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Italian Pages 328/326 [326] Year 2005
Anthropos 39 Collana diretta da Vittorio Lanternari
Adelina Talamonti
La carne convulsiva Etnografia dell’esorcismo
ISSN 0391-3163
Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2005 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Maggio 2005 Talamonti, Adelina : La carne convulsiva. Etnografia dell’esorcismo/Adelina Talamonti Anthropos Napoli : Liguori, 2005 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 6148 - 6 ISSN 0391-3163 1. Antropologia culturale
2. Esorcismo
I. Titolo
II. Collana
III. Serie
Aggiornamenti: ————————————————————————————————————————— 13 12 11 10 09 08 07 06 05 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
INDICE
Introduzione ......................................................................
1
Capitolo primo – Dall’esorcista .........................................
9
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
L’esorcismo di Sara ............................................ L’esorcistato ........................................................ La ricerca etnografica .......................................... Gli esorcisti ......................................................... La scena .............................................................. Le esorcizzate ...................................................... Le collaboratrici dell’esorcista ............................. La posizione dell’etnografa ..................................
9 15 19 23 32 35 43 48
Capitolo secondo – Il corpo di Sara ..................................
55
1. 2.
3. 4. 5.
6. 7.
Sara ..................................................................... Il corpo di Sara .................................................. 2.1 Il corpo messo in scena .............................. 2.2 L’osservazione del male ............................... La prima crisi ..................................................... Una «paziente dispettosa»: i disturbi e le terapie «Una cosa di famiglia»: le pratiche magiche ....... 5.1 Sedute spiritiche .......................................... 5.2 La zia «medium» ......................................... 5.3 L’ambivalenza dei «doni» e la passione per l’occulto ....................................................... L’infestazione diabolica ....................................... La guarigione ......................................................
55 60 61 64 67 69 75 75 80 83 89 94
LA CARNE CONVULSIVA
Capitolo terzo – L’interpretazione cattolica ....................... 1.
2. 3. 4. 5.
Definizioni e codificazione teologica ................... 1.1 Ideologia e realta` etnografica ...................... 1.2 L’esorcismo cattolico ................................... 1.3 La possessione diabolica ............................. Cosa dice il Rituale Romano ............................... Veri e falsi posseduti .......................................... Il nuovo Rito degli esorcismi .............................. La posizione di don Amorth .............................. 5.1 Il maleficio ..................................................
Capitolo quarto – La costruzione della possessione .......... 1. 2. 3. 4.
La costruzione della possessione ......................... L’origine del male ............................................... L’entrata nella condizione rituale ........................ 3.1 La performance ........................................... L’uscita dalla condizione rituale ..........................
Capitolo quinto – Atti e parole ......................................... 1.
2.
Gli atti ................................................................ 1.1 L’imposizione della stola ............................. 1.2 L’imposizione della mano e l’apertura degli occhi ............................................................ 1.3 Il segno di croce ......................................... Soffi, formule, parole .......................................... 2.1 I soffi .......................................................... 2.2 L’organizzazione delle formule .................... 2.3 L’interrogatorio e la nominazione ...............
Capitolo sesto – Le «materie» rituali .................................. 1. 2. 3.
L’acqua ............................................................... Il sale .................................................................. L’olio ...................................................................
101 101 101 102 110 113 116 128 132 134 139 139 141 147 150 156 165 165 165 173 180 183 183 184 189 201 203 209 215
INDICE
Capitolo settimo – I mediatori soprannaturali ................... 1. 2. 3.
223
La Madonna ....................................................... Angeli ed anime del Purgatorio .......................... Spirito Santo, santi, padre Pio, padre Candido ..
224 225 229
Capitolo ottavo – Il processo rituale: analogie, ripetizioni, integrazioni ......................................................................
239
1. 2. 3.
Un rito trasformativo .......................................... La ripetizione degli esorcismi .............................. Pratiche carismatiche ...........................................
239 241 251
Capitolo nono – La carne convulsiva ................................
257
1.
2. 3. 4. 5.
La costruzione del «corpo diabolico» .................. 1.1 Corpo, artificio, ambiguita` .......................... 1.2 Umano/non umano. Interno/esterno ............ Il corpo e l’anima: definizioni teologiche dell’azione demoniaca ........................................................... Persona ................................................................ Il corpo, specchio dell’anima? ............................. Il corpo della posseduta ...................................... 5.1 La «carne convulsiva» .................................. 5.2 Corpo posseduto e identita` femminile ........
Bibliografia ........................................................................
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La carne convulsiva e` il corpo attraversato dal diritto di esame e sottomesso all’obbligo della confessione esaustiva; e` il corpo insorto contro il diritto di esame e contro ` il corpo che, alla l’obbligo della confessione esaustiva. E regola del discorso completo, oppone o il mutismo o il ` il corpo che oppone alla regola della direzione grido. E obbediente le grandi scosse della rivolta involontaria o i piccoli tradimenti delle compiacenze segrete. La carne convulsiva e` al tempo stesso l’effetto ultimo e il punto di rovesciamento dei meccanismi d’investimento corporale organizzati dalla nuova ondata di cristianizzazione del XVI secolo. La carne convulsiva e` l’effetto di resistenza della cristianizzazione a livello dei corpi individuali. Michel Foucault, Gli anormali
INTRODUZIONE
«Non hai avuto paura?», e` stata la domanda piu` frequente rivoltami dalle persone comuni a cui mi e` capitato di accennare qual era l’oggetto della mia ricerca. Apparentemente banale, essa nasceva da un immaginario diabolico negli ultimi decenni rafforzato da film di cui L’esorcista rappresenta una sorta di modello, dal proliferare di articoli giornalistici e trasmissioni televisive in cui si e` messo in scena il tema diabolico e dalla stessa Chiesa cattolica che ha riportato all’attenzione dei fedeli la necessita` di vigilare contro le insidie del demonio, inteso come presenza reale e operante. La mia risposta negativa non poteva eludere le questioni a cui il quesito implicitamente rimandava: le forme di coinvolgimento e/o di distanza sperimentate nella ricerca sul campo, legate anche alla prospettiva in cui mi ponevo come persona e come ricercatrice. Considerare la possessione diabolica e il relativo trattamento esorcistico da un punto di vista laico, come io ho fatto, non ha significato adottare la prospettiva di senso comune che tende a considerare «superstizioni», «sopravvivenze» le credenze nella possessione e a leggere in chiave psicologico-psichiatrica le manifestazioni di malessere che alcuni sacerdoti poco attenti alle acquisizioni scientifiche interpreterebbero come effetto dell’azione malefica (salvo poi oscillare tra questo atteggiamento razionalizzante e quello di curiosita` ma timoroso se si prospetta l’idea di un contatto con le realta` in cui si manifesterebbe l’influenza malefica, secondo il noto modello del Je sais bien, mais quand meˆme1). Pur ponendomi in una prospettiva di non credente, ho preso sul serio le persone incontrate e quanto osservavo, accogliendo come «veri» – per quegli attori sociali – racconti e interpretazioni, che ho
1
Mannoni 1969: 9-33.
LA CARNE CONVULSIVA
innanzitutto analizzato all’interno della loro visione religiosa, a cui peraltro non aderivo; nello stesso tempo non ho fatto ricorso all’ottica medico-psichiatrica che, oltre a non essere di mia competenza, avrebbe rischiato perlomeno di semplificare l’analisi antropologica del fenomeno non permettendo di coglierne la specificita`, rintracciabile con la ricostruzione di una logica simbolica che inscrive eventi e sofferenza individuali su un piano religioso metafisico. Su questo rischio le indicazioni di Ernesto de Martino appaiono precocemente illuminanti e, invitando ad una difficile sorveglianza critica del proprio apparato concettuale nell’analisi, suggeriscono di interrogare e interpretare i fenomeni oggetto di studio senza riduzionismi medico-psicologici all’interno del quadro culturale e simbolico loro proprio2. Va in questo senso la prospettiva di considerare il trattamento esorcistico sul piano simbolico e religioso e non su quello piu` strettamente «terapeutico», evitando anche di definirlo come «terapia simbolica» se cio` «implica l’idea che vi siano forme terapeutiche non simboliche» (Csordas e Kleinman 1998: 109, 114) e focalizzando l’attenzione sul processo rituale che puo` presentare aspetti terapeutici ma non si esaurisce in essi. Nel corpo delle possedute e` infatti messo in scena il conflitto metafisico fra il Bene e il Male che implica una ridefinizione individuale e collettiva del posto e del ruolo della persona cristiana (con implicite specificita` di genere) nel mondo; esso rimanda cosı` sia all’ambito piu` specificatamente religioso del cattolicesimo cristiano e quindi all’esperienza religiosa in cui si inscrive la dimensione «terapeutica» del rito, sia all’ambito ancora piu` vasto della vita personale e sociale dell’individuo in cui infine avvengono le trasformazioni significative attese, avviate, preparate, prodotte dal processo rituale (cfr. Csordas e Kleinman 1998: 129)3. Le precedenti precisazioni metodologiche trovano la loro principale ragione d’essere nella prossimita` spaziale e culturale del tema studiato rispetto al ricercatore (gli esorcismi osservati si svolgono a Roma, oggi; la cultura cattolica permea comunque la nostra visione del mondo) mentre sarebbero state forse superflue laddove si fossero 2
Cfr. ad esempio de Martino 1961; vedi anche Lenclud 1990 e Charuty 1992. D’altra parte, una seconda fase della ricerca si e` svolta in collaborazione con uno psichiatra e psicoanalista la cui attivita` nel contesto esorcistico e` stata inclusa nell’oggetto di studio; tale analisi non e` tuttavia sviluppata in questo testo – dove invece utilizzo informazioni sulle storie cliniche tratte anche dai colloqui da lui tenuti, quasi sempre in mia presenza – ma in Talamonti 2005. 3
INTRODUZIONE
prese in considerazione pratiche religiose e/o terapeutiche appartenenti a societa` lontane nel tempo o nello spazio. In quest’ultimo caso, quanto caratterizza il procedimento antropologico, cioe` la ricerca etnografica e la metodologia della cosiddetta osservazione partecipante, non avrebbe comportato l’interrogarsi sulla distanza, data l’ovvia estraneita` del ricercatore rispetto all’oggetto di studio; nel caso in questione, al contrario, essa deve essere conseguita a causa della condivisione di molti presupposti culturali che possono indurre a dare per scontati elementi, temi, comportamenti apparentemente ovvi che invece, interrogati e analizzati, permettono di interpretare la pratica simbolica esorcistica partendo dalle categorie e dai significati «indigeni» piu` o meno espliciti per giungere a portarne alla luce l’implicita logica simbolica. Si e` trattato insomma di considerare «esotico» un oggetto familiare, vicino. ` stata dunque privilegiata una prospettiva interna di senso della E pratica esorcistica che ha significato indagare la peculiarita` dell’interpretazione fornita dagli attori sociali, interrogarsi sulle modalita` con cui viene costruita e sui rapporti di questa con le altre diverse interpretazioni oggi disponibili della possessione e dell’esorcismo. Cio` ha condotto a notare anche l’intersecarsi di diversi campi che rende non sempre pertinenti operazioni distintive nette come quella tra malattia, maleficio e possessione. Nell’ideologia effettivamente operante in ambito esorcistico i campi ricoperti dalle tre categorie, infatti, si intersecano e sovrappongono, cosı` come le rispettive modalita` di intervento «terapeutico» si susseguono, si incrociano e a volte procedono temporaneamente parallele. La fluidita` delle rappresentazioni del male e l’eterogeneita` delle «terapie» a cui si ricorre per guarire esplicitano forse una «confusione» mentre indicano l’insufficienza o l’efficacia parziale di interpretazioni della sofferenza e di interventi «terapeutici» incapaci di tenere conto della globalita` dei vari aspetti – fisici e psichici, individuali e sociali, simbolici – coinvolti nel disagio, e in particolare di fornire un orizzonte culturale condivisibile in cui il male trovi un senso e la «cura» un’efficacia. Tuttavia, se alla base del ricorso al trattamento rituale esorcistico c’e` un disagio, una lettura del rito in termini esclusivamente terapeutici potrebbe essere insufficiente. Interpretazioni di questo tipo, finora impostesi negli studi antropologici dedicati alla possessione e ai relativi riti in societa` extra-occidentali, sono state giustamente sottoposte a critiche da Olivier de Sardan (Olivier de Sardan 1994; cfr. Pizza 1996), che nota come le categorie di malattia-cura siano
LA CARNE CONVULSIVA
prevalse su quelle piu` pertinenti di rappresentazione-spettacolo4. Nella pratica esorcistica da me osservata c’e` una definita cornice rituale che fornisce spazio e sceneggiatura alla «performance» delle possedute ma troviamo ugualmente quell’emergenza di «significati terapeutici» di cui parla De Micco (1999: 112): molte delle persone che si rivolgono all’esorcista lamentano mali e cercano cure, e utilizzano termini e riferimenti medico-psicologici con cui si sono familiarizzate tramite studi scolastici, mass-media, o frequentazione di medici, psicologi, psichiatri. D’altra parte molti elementi fanno pensare che l’aspetto di «teatro rituale» – per quanto ridotto a forma quasi privata – abbia nell’esorcismo cattolico e nella possessione diabolica un peso altrettanto importante di quello terapeutico: la scelta (da parte della persona e/o dell’entourage familiare) di un esorcista come «terapeuta», la resistenza a percepirsi (e ad essere percepita) come «malata» e ad accettare cure medico-psicologiche per preferire invece un’immagine di se´ come vittima di forze esterne (umane o extraumane, che colpiscono non solo il corpo e la mente, ma lo stato d’animo, gli affetti, il lavoro) in cerca di aiuto magico-spirituale, l’assunzione di un ruolo che permette la rappresentazione drammatizzata della propria alterita`. La ricerca indica che entrambi gli aspetti coesistono in un’ambiguita` che e` tipica del rito ma assume qui e oggi specifici contenuti. Si puo` infatti ricondurre lo stato di possessione diabolica ritualizzata nel quadro di quella che Smith, a proposito della struttura e del funzionamento simbolico del rito piu` in generale, ha chiamato «una trappola del pensiero», e sottolinearne l’aspetto teatrale e «un certo tipo di complicita` che e` piu` effetto della messa in scena che semplice conseguenza di una credenza indipendente nella realta` del personaggio rappresentato» (Smith 1988: 132-134). Come mostra Houseman a proposito del rito d’iniziazione So dei Beti del Camerun, per gli attori del rito, infatti, i cambiamenti da esso prodotti sono convincenti non perche´ comportano una concettualizzazione definita dei termini implicati ma in quanto coinvolgono i 5 partecipanti in «trappole del pensiero» fondate sull’esperienza . In 4
L’assenza della discussione delle teorie della possessione elaborate in relazione a contesti extra-occidentali e` dovuta all’esigenza di rimanere ancorati allo specifico oggetto di ricerca ma non ha significato ignorare i lavori etnologici sui riti di possessione, che hanno costituito un preliminare studio sul tema in generale e a cui nel testo faro` talvolta riferimento. Per una rassegna critica di tali teorie vedi Boddy 1994 e, in relazione al contesto africano, vedi, da ultimo, Beneduce 2002. 5 Houseman 1993: 221. Anche Young, da un’altra prospettiva, in un esame critico del noto testo di Evans-Pritchard sugli Zande, riconosce che «le percezioni Zande riguardanti l’efficacia delle loro pratiche [...] sono basate sull’esperienza. Cioe` le attribuzioni di efficacia
INTRODUZIONE
questa prospettiva diventa meno rilevante anche il problema complesso del grado di consapevolezza o coscienza con cui la rappresentazione si svolge, data inoltre la grande variabilita` nei livelli di coscienza e di memoria (cfr. Gallini 1988: 86-90; Lanternari 1994), con differenze rispetto ai diversi momenti del percorso rituale, spesso di anni, dello stesso soggetto. L’ambiguo gioco del «come se» in cui possono operare diversi livelli di coscienza, comunque, non e` ovviamente esclusivo del rito esorcistico ma caratteristico anche di contesti terapeutici in cui e` presente una cornice «rituale» in senso lato (le psicoterapie, ad esempio) oppure di altri tipi di teatro tradizionale, come quello della Passione studiato da Fabre-Vassas (1995), dove vita e rappresentazione si intrecciano influenzandosi a vicenda. Nell’esorcismo, pero`, l’intreccio problematico degli aspetti terapeutico e teatrale assume una specifica valenza intrinseca alla concezione cattolica della possessione e del relativo trattamento rituale: in quanto vittima di un male metafisico che colpisce innanzitutto il corpo, oggetto quindi delle rituali manipolazioni fisiche e simboliche, la persona posseduta (o influenzata dal diavolo, nelle forme meno gravi) si puo` percepire ed e` considerata come «malata» a vari livelli (fisico, psichico, spirituale) senza contraddizioni con il ruolo di indemoniata; inoltre puo` talvolta percorrere anche strade parallele di cura (esorcistiche, mediche, psichiatriche) che si focalizzerebbero sui diversi ambiti in cui si presenta il disturbo peraltro riconducibile ad un’origine malefica. La rappresentazione rituale, piu` che di una «terapia» in senso proprio, assume il ruolo di esprimere in forme codificate e condivisibili il senso del male; nella conversione della sintomatologia in senso lato in segni della presenza diabolica l’esorcismo puo` diventare il trattamento unico ed esclusivo del male ed accentuare l’aspetto terapeutico, ma altre agenzie terapeutiche scientifiche possono essere chiamate a svolgere il lavoro di cura piu` specifico una volta individuato l’orizzonte di senso in cui collocare il proprio disagio e il mezzo per combattere, incarnandolo, l’agente soprannaturale causa ultima del male. Questo tentativo di coniugare fede, credenze magico-religiose e scienza caratterizza in varia misura sia l’esorcista che le esorcizzate, in un intreccio di tratti tradizionali e moderni che rende l’odierna sono sostenute dalle conferme dell’efficacia ma tali conferme non sono necessariamente basate sulle osservazioni del “senso comune”, secondo la definizione data da EvansPritchard di questo termine», ma fanno riferimento al ragionamento analogico, abduttivo e retroduttivo (Young 1997: 16-17).
LA CARNE CONVULSIVA
pratica simbolica esorcistica una configurazione «ibrida» di grande attualita`. La ricerca etnografica, cioe` il vero e proprio lavoro sul campo su cui si basa il libro, si e` svolta in due periodi: iniziata nel 1990 e proseguita l’anno successivo nell’ambito del dottorato di ricerca in Scienze antropologiche e analisi dei mutamenti culturali presso l’Istituto Universitario Orientale (ora Universita` di Napoli «L’Orientale»), e` poi stata ripresa negli anni 1994-1996, in parte con una borsa di studio post-dottorale presso la stessa Universita`. Questa seconda fase si e` svolta in collaborazione con uno psichiatra e psicoanalista. Per la stesura del libro ho tenuto conto di alcuni miei precedenti lavori (Talamonti 1992-1993, 1993, 1994, 1996, 1998a, 1998b) ma proprio nel corso della scrittura si sono resi evidenti alcuni temi e rapporti tra aspetti della pratica esorcistica – come ad esempio la centralita` del corpo in relazione alla specificita` di genere, il ruolo coadiuvante delle pratiche carismatiche – che mi hanno portato a rivedere, integrare, precisare quanto gia` elaborato. Tutte le persone incontrate nel corso della ricerca hanno contribuito a «fare» questo libro e soprattutto ad arricchirmi umanamente6. A loro va il mio non formale ringraziamento. Ne menzionero` solo alcune che per la loro disponibilita` sono state particolarmente preziose. Innanzitutto don Gabriele Amorth, per l’accoglienza e la generosa collaborazione, e padre Candido Amantini per la sua testimonianza; don Giancarlo Rocca per l’interesse manifestato per la ricerca e per avermi dato la possibilita` di entrare in contatto con gli esorcisti. Il dottor Alessandro Tamino per la fiducia e la stima che mi ha mostrato invitandomi a collaborare con lui e accettando la mia presenza di osservatrice anche in ambito psicoterapeutico. Un debito particolare ho nei confronti di «Sara» e «Vittoria» che mi hanno accolto con amicizia; spero di non averla tradita. Vittorio Lanternari, in veste di tutor nel dottorato di ricerca, mi ha incoraggiato e indirizzato fin dall’inizio, mentre Giordana Charuty ha generosamente letto varie stesure del mio lavoro fornendomi
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Tranne che per gli esorcisti e lo psichiatra, tutti i nomi che utilizzo nel testo sono fittizi.
INTRODUZIONE
stimolanti, risolutivi consigli. A tutti loro va il mio ringraziamento, ma in special modo a Clara Gallini per l’impareggiabile, paziente lavoro di attenta lettura critica. Infine, ringrazio chi mi e` stato vicino in questi anni di ricerca, sostenendomi con affetto, incoraggiandomi con fiducia e tollerando con pazienza le mie «assenze».
1 DALL’ESORCISTA
1. L’esorcismo di Sara ` una mattina fredda e luminosa di febbraio. Esco dalla metropoliE tana romana tra studenti che vanno a scuola e persone che si recano al lavoro. Dopo piu` di due anni ritorno a partecipare agli esorcismi di don Gabriele Amorth. Lo psichiatra con cui ho appuntamento mi ha invitato a collaborare ad una ricerca sulla pratica esorcistica del ` un’occasione per ritornare sul campo, sacerdote che gia` conosco. E ampliare l’etnografia, verificare e approfondire il mio studio precedente, registrare gli eventuali mutamenti, allargare alla presenza psichiatrica la mia sfera d’indagine. Alle aspettative si accompagna una certa tensione che scaturisce da interrogativi relativi alla mia precedente esperienza etnografica e alla nuova in cui lavorero` con lo psichiatra. Vedo passare l’esorcista diretto al luogo dove svolge la sua attivita`. Quando lo conobbi – nel 1991 –, esercitava presso la sacrestia di una chiesa1; ora in un edificio all’interno di un complesso appartenente ad una grande basilica romana. Vi si accede suonando un campanello vicino ad un cancello di ferro dove e` posta una targa con il nome di una scuola per operatori familiari. Il nome di don Amorth e` stato aggiunto in basso con nastro plastificato adesivo; sotto e` scritto: «solo per appuntamento». Il cancello immette su un largo spiazzo circondato da mura che delimitano l’area della basilica. 1
La ricerca etnografica e` cominciata nel 1990 con progetto iniziale diverso (vedi piu` avanti) che poi e` stato incentrato sugli esorcismi ufficiali. Ho avuto i primi contatti con don Amorth e ne ho osservato la pratica nella primavera-estate del 1991; la seconda fase, a cui ha partecipato anche lo psichiatra, si e` svolta dall’inizio del 1994 alla fine del 1996.
LA CARNE CONVULSIVA
Di fronte, a pochi metri, la costruzione in cui si svolgono gli esorcismi. Collocati in zone centrali della citta`, entrambi i luoghi si configurano nello stesso tempo come spazi separati dalle attivita` quotidiane che si svolgono all’esterno: nel primo caso la riservatezza di quanto avveniva nella sacrestia era assicurata dalla chiusura della chiesa al pubblico dopo la messa – celebrata dall’esorcista – che precedeva gli esorcismi e, in qualche caso, da informazioni fuorvianti date al fedele occasionale che voleva entrare; ora dalla stessa collocazione dell’edificio. Eppure, entrando qui per la prima volta, la sensazione di separazione dal mondo esterno – di cui non si percepiscono piu` i rumori – si accompagna in me a considerazioni contrastanti circa l’assenza di uno spazio intermedio che protegga l’intimita` di cio` che accade durante gli esorcismi dalla possibilita` che chi si trova nella sala di attesa senta o intraveda qualcosa. L’assistente di don Amorth che ci accoglie funge anche da portiera e quando sente suonare il campanello esterno esce dalla stanza degli esorcismi per aprire ai nuovi arrivati. Dunque, la porta che divide la sala d’attesa da quella dove si praticano gli esorcismi viene aperta abbastanza spesso, perche´ la gente arriva ad orari diversi. Ma e` evidente che la mia preoccupazione, dettata dall’idea che l’esperienza individuale della persona esorcizzata vada «protetta», non appartiene ai protagonisti del rito: tutelata la riservatezza della pratica rispetto agli estranei, chi ha accesso all’edificio – soggetti da esorcizzare ed accompagnatori – viene considerato interno al contesto, accomunato agli altri dalla stessa richiesta di intervento (se non dagli stessi problemi). Si tratta dunque di un unico spazio composto da due ambienti, il primo dei quali ha le caratteristiche di spazio intermedio, dal punto di vista simbolico oltre che fisico, che permette non solo di accedere al secondo – la stanza dell’attivita` esorcistica vera e propria – ma anche di iniziare o proseguire la familiarizzazione con una serie di comportamenti rituali ed extra-rituali propri dell’ambito esorcistico2. ` una della decina Incontro Sara proprio in questo primo giorno. E di persone che si sottopongono agli esorcismi. Si tratta per lo piu` di donne e data la loro netta prevalenza usero` sempre il femminile per indicarle, tranne quando mi riferiro` ad uno specifico soggetto di sesso maschile. 2
Considerero` piu` avanti la «duplicazione» del luogo esorcistico propriamente detto in una piccola stanza adibita a cappella e contenente un letto, situata al piano inferiore.
DALL’ESORCISTA
Bella donna bruna, di circa 30 anni, curata nell’aspetto, Sara indossa pantaloncini a meta` coscia, calze nere. Mi colpiscono il suo pallore e lo sguardo triste, quasi sofferente. La rivedro` spesso, in seguito, in questo ed altri luoghi. Allora non lo sapevo ancora, ma la sua esperienza, raccontata con il corpo e le parole, diventera` per me preziosa. Cominciamo a vederla in azione in una performance esorcistica che ho potuto osservare e filmare. Sara, sin dall’inizio dell’esorcismo, e` scivolata per terra, gambe unite e braccia aperte e don Amorth e` alla sua sinistra, seduto; accanto a lui un giovane sacerdote prega con in mano il rosario mentre 5 assistenti laici (Franca, Lidia, Renata e suo marito, piu` l’amica di Sara con il marito) pregano – oltre che con il rosario, a volte imponendo anche le mani – e trattengono Sara per le braccia. Lei emette un suono gutturale e un paio di suoni secchi, brevi, sibilanti che accompagnano movimenti del bacino verso l’alto e del busto in modo ondulatorio mentre don Amorth recita le formule in latino e le tiene la mano sinistra sul petto (con stola interposta); la destra e` poggiata sulla fronte e poi traccia croci sul volto. «Recede, recede...», ordina l’esorcista, e Sara ha conati, alza la testa per emettere qualcosa dalla bocca, sorretta dal sacerdote che continua a pregare; i suoi occhi sono rivoltati verso l’alto. Lidia porge un secchio e un fazzoletto di carta. Sembra che Sara sputi qualcosa (saliva credo); continua ad emettere brevi suoni gutturali; l’esorcista – ora con le due mani sul capo della donna – accenna anche qualche carezza sui capelli; le viene posto un cuscino sotto la testa, che Sara continua ad alzare; don Amorth le da` qualche leggero colpetto in fronte poi mette l’indice e il pollice della mano destra sopra la zona oculare: Sara, che aveva gli occhi chiusi, li apre (sempre all’in su`) e ripete i tentativi di vomito. All’unzione con olio sulle varie zone del viso che vengono rispettivamente nominate (fronte, occhi, orecchie, naso, bocca, gola, nuca, capo, piu` due croci sul petto) reagisce con movimenti della testa, bloccati dalla mano sinistra del sacerdote, e con altri suoni inarticolati. L’esorcista esercita una leggera pressione sullo stomaco (il pollice sull’epigastrio e le altre dita tra stomaco e ventre), poi ritenta brevemente di esaminare gli occhi, ma Sara si muove, alza di nuovo il bacino, sempre mantenendo le gambe unite (che non sono trattenute) per poi iniziare un movimento sussultorio del corpo che inizia piano e diventa sempre piu` veloce. Alla fine ha le gambe un po’ divaricate. Quando don Amorth inizia l’interrogatorio
LA CARNE CONVULSIVA
in latino – sempre mantenendo la pressione della mano sinistra sul ventre – Sara intensifica la resistenza e i movimenti. Don Amorth: «Dicas mihi nomen tuum! Dicas mihi nomen tuum! Dicas mihi nomen tuum! Nomen tuum maledictum! Nomen tuum maledictum! Nomen tuum maledictum! Volo nomen tuum! Quomodo vocaris? Quomodo vocaris? Quomodo vocaris? Quomodo vocaris? In nome di Dio e di Maria, quomodo vocaris? Quomodo vocaris?», ripetuto piu` volte, mentre l’esorcista tiene una mano sotto il mento di Sara e con l’altra traccia ripetutamente croci sulla fronte; poi fa lo stesso sulla bocca insistendo: «Quomodo vocaris? Quomodo vocaris? Volo nomen tuum maledictum! Volo nomen tuum maledictum! Volo nomen tuum maledictum!». Sara ora tiene gli occhi chiusi e l’esorcista tenta spesso di premere sulla parte superiore dell’orbita ottenendone a volte l’apertura; in tal caso si nota che la donna tende ad alzare gli occhi mostrandone il bianco. Sempre opponendo resistenza, soprattutto con movimenti del busto e del capo – che tenta inutilmente di sottrarre alle manipolazioni del sacerdote –, emette qualche urlo e suoni inarticolati che a tratti diventano espressioni glossolaliche con tono di rifiuto o protesta. Don Amorth continua: «In quanti siete?», ripetuto piu` volte, anche in latino, mentre intensifica i segni di croce sulle labbra quando Sara urla. Infine solleva la testa che per tutto l’interrogatorio aveva tenuta vicinissima al viso dell’esorcizzata, continua con le altre formule in latino e lei cessa subito di opporsi assumendo una posizione ferma (occhi aperti rivoltati in su, bocca chiusa) per poi accennare un conato accompagnato da un movimento del capo quando don Amorth preme di nuovo brevemente sul ventre. Il segno di croce tradizionale tracciato su Sara dall’esorcista, seguito da un paio di colpetti della mano sulla fronte, segna la fine del rito, mentre la donna ha ancora qualche conato. Don Amorth: «Un segno di croce, Sara» e la aiuta ad iniziarlo. «Ce la fa a tirarsi su da sola?». Sara e` piuttosto provata e ancora non si e` del tutto ripresa; aiutata dai presenti si solleva fino ad assumere una sorta di posizione allungata ma poggiata con la schiena alla poltrona; don Amorth ripete il segno di croce; lei emette qualche suono gutturale e si lamenta toccandosi il ventre; la aiutano a sedersi meglio ma lei mantiene una posizione «scivolata» e continua ad indicare il punto in cui l’esorcista faceva prima pressione. Renata dice qualcosa di non chiaro al proposito, come: «C’e` ancora...». L’esorcista: «Si tiri su meglio. Le fa male lı`?». Sara, annuendo: «Ah, dentro». Don Amorth: «Non spingevo cosı` forte. Nel nome del Padre, del Figlio e dello
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Spirito Santo. Amen», tracciato sul petto e capo con colpetto finale in fronte. Si continua con la preghiera Salve Regina; durante la recitazione don Amorth tiene la mano sulla fronte di Sara, la accarezza, riprende una leggera pressione sugli occhi; l’altra mano e` di nuovo all’altezza dell’epigastrio; Renata le deterge il viso con un fazzoletto. Nuovo segno di croce con colpetto in fronte; Sara emette ancora qualche lamento, e` molto provata, sofferente. L’esorcista: «[...] Prova a guardarmi. Mi vedi bene? Regolare?». Sara annuisce ma continua ad indicare lo stomaco e dice con tono lamentoso: «Mi sento pieno... qua». Don Amorth: «Un bicchiere d’acqua per favore» e ripete la richiesta non immediatamente esaudita. Sara prendendo il bicchiere dice qualcosa di incomprensibile; beve ma sembra avere ancora male. L’esorcista le parla molto vicino al viso, rassicurandola ma non e` chiaro cosa dica: «[...] pero` a vedere cosı` non si sente niente. [...] Beva» e infine si scosta da lei, mentre ora e` l’assistente a tenere una mano sulla fronte della donna. Mentre Sara finisce di bere, ancora in posizione un po’ scivolata sulla poltrona, l’esorcista dice: «L’acqua le fa bene anche se fa fatica a mandarla giu`» e all’improvviso le asperge velocemente il viso per 4 volte con acqua benedetta («Pu, pu, pu, pu!») provocando subito una reazione di difesa di Sara che tenta di coprirsi e accenna qualche conato. L’esorcista: «Eh! Che paura dell’acqua che ha!», e le mette una mano in fronte mentre Sara pone le sue nella zona dell’epigastrio, con un’espressione di fastidio. Don Amorth: «Ce la fa ad alzarsi in piedi per dire l’Ave Maria? [...] Proviamo?». Lei fa cenno di sı`; Renata, rimasta sempre accanto a lei (Lidia invece si e` gia` alzata) la aiuta insieme all’esorcista. Sara si lamenta, sempre con la mano sullo stomaco, piegata in avanti, sofferente; don Amorth sorreggendola ripete: «Ce la fa a stare in piedi?»; Sara: «Aaaah, non posso sta’ dritta»; don Amorth «Aspetti, questione solo di un po’ di tempo. La mettiamo su una sedia? Quella lı`, la metta un po’ piu` in la`, lontano dalla stufa». I presenti, tranne Renata, sono in piedi; il sacerdote sposta la sedia. Sara piange: «Oddio». L’esorcista la accompagna e tenta di rassicurarla: «No, vedra`, passa subito. Stia bona, Sara, stia bona Sara». Sara si siede: la mano destra sullo stomaco (con la stola interposta tra mano e corpo, sembra sia casuale) e la sinistra sul fianco. Don Amorth, in piedi accanto a lei, accarezzandola sul capo con entrambe le mani la invita a pregare: «Diciamo l’Ave Maria» e inizia aspettando che la donna ripeta ogni parola o frase; lei lo fa con fatica, gli occhi quasi chiusi; il marito di Renata le deterge il viso. Si
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prosegue con altre invocazioni: «Oh Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te; nostra Signora di Lourdes prega per noi che ricorriamo a te; padre Pio e padre Candido pregate per noi. Un segno di croce. Nel nome del Padre – con le parole –, del Figlio e dello Spirito Santo». Sara ancora sofferente si segna. L’esorcista, rivolto agli assistenti: «Che facciamo? La mettiamo fuori seduta un po’?». Il marito di Renata dice sı`, ma la moglie suggerisce qualcosa, probabilmente in relazione al fatto che Sara non si e` ancora ripresa bene e don Amorth, rimettendo la stola viola intorno al collo della donna, ricomincia a pregare, sempre con le mani sul suo capo: «Spirito del Signore, Spirito di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Santissima Trinita`...». Si tratta della preghiera carismatica che viene spesso usata, recitata anche dagli assistenti (ma non da Sara)3. Renata ora e` in piedi e tende le mani nel tipico gesto carismatico di imposizione delle mani, come fa anche il marito. Quando don Amorth toglie una mano dalla fronte della donna per metterla sull’epigastrio, Sara tende a muovere leggermente il capo e a fare blandi tentativi di conati. Alla fine della preghiera l’esorcista le chiede se vuole un altro po’ d’acqua; lei rifiuta con un cenno del capo; l’espressione e` un po’ meno sofferente ma accigliata. Don Amorth la invita a sedersi nella sala d’aspetto e a chiamare se c’e` bisogno. Non sembra essersi del tutto ripresa e piu` tardi l’esorcista andra` a salutarla. Come si evince gia` dalla descrizione di questa seduta, nella scena esorcistica si costruisce un particolare modo di comunicazione tra gli attori rituali basato su specifici registri d’espressione – verbali e non verbali, codificati e informali – e che coinvolge una varieta` di interlo-
3 «Spirito del Signore, Spirito di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, Santissima Trinita`, Vergine Immacolata, Angeli, Arcangeli e Santi del paradiso, scendete su di me. Fondimi, Signore, plasmami, riempimi di te, usami. Caccia via da me tutte le forze del male, annientale, distruggile, perche´ io possa stare bene e operare il bene. Caccia via da me i malefici, le stregonerie, la magia nera, le messe nere, le fatture, le legature, le maledizioni, il malocchio; l’infestazione diabolica, la possessione diabolica, l’ossessione diabolica; tutto cio` che e` male, peccato, invidia, gelosia, perfidia; la malattia fisica, psichica, morale, spirituale, diabolica. Brucia tutti questi mali nell’inferno, perche´ non abbiano mai piu` a toccare me e nessun’altra creatura al mondo. Ordino e comando con la forza di Dio Onnipotente, nel Nome di Gesu` Cristo Salvatore, per intercessione della Vergine Immacolata, a tutti gli spiriti immondi, a tutte le presenze che mi molestano, di lasciarmi immediatamente, di lasciarmi definitivamente, e di andare nell’inferno eterno, incatenati da S. Michele Arcangelo, da S. Gabriele, da S. Raffaele, dai nostri Angeli Custodi, schiacciati sotto il calcagno della Vergine Santissima Immacolata».
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cutori visibili e invisibili. La messa in atto di questa singolare forma comunicativa e` una delle condizioni affinche´ la presenza diabolica possa manifestarsi e, ancor prima, essa comincia ad operare nell’approccio iniziale con l’esorcista, con il quale non si comunica in maniera ordinaria e si instaura un rapporto basato sulla pertinenza delle modalita` di comunicazione, oltre che sull’asimmetria delle posizioni di forza.
2. L’esorcistato Al momento del primo incontro con un esorcista ufficiale avevo gia` le informazioni teoriche generali sul suo ministero: e` il sacerdote che puo` legittimamente praticare gli esorcismi solenni. Le disposizioni attuali della Chiesa sono contenute nel canone 1172 del nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) e limitano tale esercizio a sacerdoti specificamente autorizzati dall’Ordinario competente, scelti perche´ si distinguono per pieta`, scienza, prudenza e integrita` di vita. Un sacerdote puo` quindi richiedere ed ottenere per ogni particolare caso la licenza ad esorcizzare usando le formule del Rituale, ma tale ministero non e` piu` una funzione specifica del ` prevista invece ora la possibilita` che il vescovo sacerdote come tale. E richieda eventualmente alla Sede Apostolica l’istituzione del ministero dell’esorcistato nella sua diocesi; l’esorcista (ma in una grande diocesi ce ne puo` essere piu` di uno) a cui, senza nessun rito particolare, viene conferito tale potere, puo` esercitarlo solo nel territorio diocesano di sua competenza. La riduzione dell’esorcistato a servizio eventuale, che puo` indicare una minore importanza attribuita dalla Chiesa agli esorcismi rispetto al passato4, risale al 1972, anno in cui con il Motu proprio Ministeria quaedam, si sopprime l’esorcistato come ordine minore. Storicamente, infatti, la figura dell’esorcista e` soggetta, anche a livello ufficiale, ad alcune trasformazioni che mostrano la progressiva regolamentazione del potere esorcistico, oltre alla piu` o meno grande importanza attribuita dalla Chiesa alla realta` della lotta contro Satana. Si ritiene che nei primi secoli fosse largamente diffuso il potere 4
Questa e` l’interpretazione del documento ufficiale della Santa Sede Fede cristiana e demonologia, del 26-6-1975: 869.
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dato da Gesu` a tutti i credenti di scacciare i demoni in suo nome. Probabilmente cio` e` da collegarsi all’iniziale opera di cristianizzazione in gran parte basata sulla lotta contro le divinita` pagane, demoniache, che si riteneva infestassero il mondo; la loro espulsione, come ricorda Balducci, era un argomento a cui spesso i Padri della Chiesa ricorrevano per provare la verita` della fede cristiana. Ma piu` che dovuto ad un disegno della divina provvidenza tendente alla diffusione della fede cristiana, che avrebbe dotato un maggior numero di persone del potere carismatico5, l’ampio ricorso agli esorcismi sembra essere stato uno strumento di conversione che ben si inseriva nel contesto culturale del tempo. Bisogna metterlo infatti in relazione sia alla preesistente diffusione di pratiche esorcistiche in ambito pagano che alla conseguente necessita` di differenziarsene da parte degli esorcisti cristiani. Mentre dunque, nei primi secoli, ad esercitare questo particolare carisma erano in genere dei laici il cui potere esorcistico non era ufficialmente conferito ma attribuito dalle varie comunita` in base all’effettiva sua pratica ad individui particolarmente stimati, dal terzo secolo si hanno documenti che attestano dell’intervento regolatore dell’autorita` religiosa. Si ritenne necessario distinguere gli esorcisti «che operavano nel nome di Cristo, dagli stregoni gentili o ereticali, i quali con le loro ciurmerie pretendevano sedurre le anime semplici». Della costituzione di un gruppo ecclesiastico particolare con questa specifica funzione si fa cenno per la prima volta in una lettera di papa Cornelio dell’anno 251 (Righetti 1959: 381). L’esorcistato diventa uno degli ordini minori della Chiesa latina – gli altri erano l’ostiariato, il lettorato, l’accolitato, il suddiaconato – e prevedeva un rito d’ordinazione da parte del vescovo che, consegnando un libro di esorcismi, conferiva all’esorcista la potesta` di imporre le mani sopra l’energumeno, battezzato o catecumeno (Vagaggini 1965: 403; Roberti-Palazzini 1968). Dunque gli esorcisti, che non erano sacerdoti ma chierici, avevano la funzione principale di cacciare i demoni dai candidati al battesimo; secondariamente esorcizzavano i malati ritenuti posseduti, oltre ad assolvere ad altre funzioni minori6. Il declino dell’ordine si sarebbe avuto intorno al V-VI sec. col decadere del Catecumenato; in seguito, anche mante-
5
Balducci 1990: 931-932 e Fede cristiana e demonologia 26-6-1975: 1974-1975. Come congedare i non comunicandi (presto in disuso) e porgere l’acqua ai sacerdoti durante la messa. Piolanti 1949: 597-598. 6
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nendo nominalmente il potere esorcistico, gli esorcisti di fatto non lo avrebbero piu` esercitato di frequente. Sembra che gia` dal 400, sotto il pontificato di Innocenzo I, ad esorcizzare gli indemoniati fossero i sacerdoti o i diaconi autorizzati dal vescovo, oppure il vescovo stesso (Righetti 1959: 381-382; Balducci 1990: 932). Nei secoli successivi, come si vedra` in seguito, in realta` gli esorcisti o i sacerdoti esorcizzano anche senza previa licenza vescovile; indice di una preoccupazione perlomeno delle chiese locali riguardo ad una pratica evidentemente diffusa e indiscriminata, sono le disposizioni di alcuni concili provinciali tese a regolamentarla coll’esigere il permesso dell’autorita` ecclesiastica (soprattutto nei secoli XVI e XVII). A parte alcune direttive, la Curia romana stabilı` delle disposizioni generali piuttosto tardi: nel 1917, con la promulgazione del Codice di Diritto Canonico che, secondo Balducci, «nel canone 1151 adottava e sanzionava la prassi divenuta ormai universale», e il cui contenuto e` rimasto identico nel Nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 (Balducci 1990). La soppressione dell’esorcistato come ordine minore, nell’ambito della riforma del sacramento dell’Ordine sotto il pontificato di Paolo VI, sanciva dunque la fine di un ordine ormai desueto le cui funzioni erano assolte gia` da tempo da sacerdoti. Negli stessi anni ’70, pero`, pratiche di tipo esorcistico si andavano diffondendo tra i laici con una frequenza abbastanza preoccupante per la Chiesa da richiedere – dopo qualche anno – un intervento ufficiale. Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 29/9/1985, intitolato Norme sugli esorcismi, richiama le prescrizioni in materia riferendosi a «certi gruppi ecclesiastici» che fanno preghiere di liberazione dall’influsso dei demoni. Il riferimento, anche se implicito, e` preciso: si tratta dei gruppi del Rinnovamento Carismatico. Anche se non si ricorre alle formule dell’esorcismo solenne, il documento ricorda la non liceita` per i laici anche dell’uso dell’esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli di Leone XIII, nella forma integrale o di estratti7. Sottoposto alla vigilanza dei vescovi, l’esorcismo dovrebbe essere limitato solo ai casi di accertata ossessione o possessione diabolica anche da parte dei sacerdoti; ma alcuni di questi, evidentemente, vi 7 Evidentemente l’impiego di tale formula e` piuttosto diffuso; se ne lamenta l’uso da parte di fedeli anche in un foglietto divulgativo dedicato alle benedizioni e agli esorcismi (probabilmente distribuito nelle chiese) stampato da Frammenti di evangelizzazione, n. 2 (Piazza S. Giovanni in Laterano, 4 – Roma). Il Documento citato e` in Enchiridion Vaticanum, 1979 (v. V): 1614-1617.
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ricorrono con troppa frequenza se, per esempio, il cardinale G. B. Benelli, arcivescovo di Firenze, nel 1978 interviene con una serie di istruzioni indirizzate al suo clero a proposito di benedizioni ed esorcismi. Egli osserva «che un ricorso, talora eccessivo o non illuminato, alle benedizioni o agli esorcismi rasenta la magia, alimenta la superstizione», e ritira ogni facolta` di esorcizzare, eccetto che alle persone autorizzate (evidentemente gli esorcisti diocesani)8. La Chiesa, dunque, sembra orientata a riservare solo agli esorcisti ufficialmente nominati la possibilita` di esorcizzare con le formule del Rituale Romano nei casi in cui e` diagnosticata una influenza diabolica. In pratica, pero`, l’intervento esorcistico e` esercitato anche da altri sacerdoti in forme piu` o meno ufficiali quando questi ritengono di individuare la presenza demoniaca in determinate persone o luoghi. Nonostante le raccomandazioni di cautela della Chiesa nella diagnosi, di fatto sono possibili diverse interpretazioni del grado e del tipo di intervento diabolico nella realta` e quindi un piu` ampio campo d’applicazione degli esorcismi. Il problema e` dunque nello stabilire in quali casi ricorrere all’esorcismo solenne, cioe` nella definizione di possessione diabolica e nei criteri per accertarla9. Tra i requisiti che la Chiesa richiede all’esorcista, oltre ad alte qualita` morali, c’e` quello della scienza e di un criterio che permetta un giudizio sicuro, al fine di evitare di cadere nella «ingenua credulita`» a volte presente nel mondo ecclesiastico10. L’esorcista, saldamente ancorato alla dottrina tradizionale della Chiesa sul soprannaturale e il demoniaco e dotato di una certa competenza «scientifica» che gli permetta di distinguere tra una vera ossessione e una malattia nervosa o mentale, dovrebbe garantire la corretta applicazione delle disposizioni teoricamente piuttosto restrittive in materia di esorcismi. In realta` la prassi si e` spesso storicamente discostata – e tuttora si discosta – dal modello ideale. Queste notizie storico-informative, insieme alle letture che via via andavo facendo sulla possessione diabolica, mi avrebbero guidato all’inizio di una ricerca che mi andava rivelando un oggetto sempre meno «residuale» e, al contrario, sempre piu` visibilmente attuale. 8
Benelli, 1978: 181-185. Circa altri pronunciamenti ufficiali sul ministero dell’esorcistato, cfr. Radoani-Gagliardi 1997: 43-45. 9 Vedi infra cap. III. 10 Il «giudizio sicuro» di cui parla l’autore e` un «pratico giudizio di azione» che annuncia «una verita` pratica [...] formulata non in rapporto alla realta` obiettiva [...] ma alla retta intenzione»; e` cioe` un «giudizio di coscienza» (Maquart 1954: 210).
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3. La ricerca etnografica La ricerca sul campo e` iniziata un po’ a tentoni. Dopo aver provato – senza successo – ad entrare in contatto con persone possedute in occasione della festa della Madonna a Fanzolo (Treviso), che secondo studi e testimonianze precedenti in passato era particolarmente frequentata da donne alla ricerca della liberazione dal diavolo11, mi indirizzo a scopo esplorativo verso un sacerdote romano che si e` conquistato grande fama di guaritore e di esorcista con le benedizioni impartite ad un gran numero di fedeli sofferenti. Spero possa essermi utile per avvicinarmi agli esorcismi. Si tratta di un passionista, padre Germano Ventura, che riceve due volte a settimana i fedeli in un locale attiguo alla chiesa di S. Gemma (parrocchia SS. Rufina e Seconda) nella borgata romana Casalotti; prima di operare in questa parrocchia, riceveva al «Villaggio Breda» sulla Casilina12. Siamo nell’inverno del 1991. Fallito il tentativo di prendere un appuntamento telefonicamente, dalla parrocchia mi dicono che devo recarmi sul posto nei giorni di ricevimento. Arrivo durante la pausa tra gli incontri del mattino e quelli pomeridiani; ci sono diverse persone in attesa ed altre continuano ad arrivare. Nell’anticamera della stanza dove il sacerdote benedice, individuo un uomo, seduto ad un piccolo tavolo, che da` le informazioni richieste dai nuovi fedeli. Gli spiego il motivo per cui vorrei vedere il sacerdote – una ricerca sugli esorcismi – e chiedo se posso avere un appuntamento per incontrarlo. Forse non mi ascolta con molta attenzione, ma con qualche parola mi conferma che padre Germano di esorcismi se ne intende. Dovrei prendere il numero per essere ricevuta ma quel giorno sono gia` stati tutti assegnati; bisogna venire molto presto, all’alba, per averlo. Ripetendo che si tratta di una ricerca e quindi che il motivo del colloquio e` diverso da quello degli altri fedeli, chiedo se non e` il caso di avere un appuntamento particolare. L’uomo, che gestisce l’assegnazione dei numeri e controlla il flusso delle persone, mi liquida dicendo che non sa se e` possibile e che posso lasciare un messaggio alla sua segreteria telefonica, certa di essere richiamata. La mia speranza che la richiesta fosse inoltrata al sacerdote fu delusa quando, telefonica11
Bonin s.d.; Sicurelli s.d. Nella primavera del 1991, qualche mese dopo la mia visita, la sua attivita` e` stata oggetto di articoli giornalistici (nella cronaca di Roma) e di un servizio televisivo trasmesso da RAI 2. Cfr. Giraldi 1991; Chiappini 1991; servizio di TG2 Pegaso del 22/5/1991. 12
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mente, dovetti spiegare di nuovo cosa volevo e fui invitata a presentarmi insieme agli altri. Per l’uomo il mio era un problema come tanti; come tutti avevo bisogno dell’aiuto di padre Germano. Questa e` stata la prima occasione in cui nonostante il tentativo di differenziarmi dagli altri fedeli presentandomi nel mio ruolo di ricercatrice, venivo immediatamente ricacciata nella massa di coloro che, per i motivi piu` vari, si aspettano conforto dalle parole e dalle benedizioni del sacerdote. Come gli altri seguo dunque la trafila – una sorta di rituale iniziatico per un non habitue´ – che richiede di presentarsi la mattina molto presto, prendere il numero progressivo, attendere per qualche ora il momento dell’incontro, nell’attesa, pregare e, se si vuole, seguire la messa che il passionista celebra alle 8.30. Si aspetta il proprio turno in una prima sala d’attesa, per poi accedere – per blocchi di numeri – ad una piccola anticamera che conduce alla stanza dove si trova il sacerdote. Una donna dell’entourage di padre Ventura, in piedi accanto alla porta che divide le due ` solo il primo di una serie che mi sale, invita a recitare il rosario. E pare interminabile. Decido di partecipare recitando le preghiere che, abbastanza rapidamente, mi tornano in mente. Dal momento che mi trovo in quel contesto, non riconoscibile, cerco di integrarmi comportandomi come tutti invece di distinguermi come l’unica che non prega; nello stesso tempo cerco di osservare ed ascoltare cio` che si dice. Avvicinandosi il mio turno, passo nella seconda sala d’attesa. Un po’ inquieta per l’esito dell’incontro – istintivamente avvertivo che non avrei ottenuto granche´ –, un po’ infastidita dalla parte di fedele recitata e immersa in un’atmosfera rarefatta dalla cantilena del rosario, entro. Il sacerdote siede dietro una lunga scrivania posta su una pedana, ad un’estremita`, mentre sull’altra ci sono vasi di fiori, come per terra, ai piedi della statua della Madonna. Al muro e` appeso un grande crocifisso. Mi avvicino e con un cenno mi fa capire di mettermi di lato, alla sua destra. Immediatamente mi prende una mano che terra` nella sua, appoggiata sulla scrivania. Capisco che devo essere io a parlare e brevemente spiego il motivo della mia visita: forse e` la persona che puo` aiutarmi, data la sua esperienza in pratiche esorcistiche. Mi aspetto che chieda spiegazioni ulteriori sul tipo di ricerca che voglio condurre, o se sono una credente, oppure che neghi di fare esorcismi, comunque mi aspetto che parli. Invece la sua risposta consiste in una benedizione senza parole: mi impone le mani sul capo e, presa un’antica reliquia, me la passa sulla fronte,
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sulla bocca e sul petto. Infine dice: «Ti aiuto io» e mi da` due «santini» identici con la sua fotografia, recanti sul retro una preghiera alla Madonna delle Grazie «Pellegrina». Stupita e indecisa sul da farsi, aspetto ancora qualche secondo ma mi sembra di capire che per lui il «colloquio» e` finito; incapace di aggiungere altro, saluto e me ne vado, dimenticando anche di mettere un’offerta nella fessura sulla scrivania proprio sotto il mio naso. Come interpretare l’atteggiamento del prete? Avrei potuto ottenere la sua collaborazione adottando un approccio diverso, piu` aggressivo, per esempio insistendo? Ritengo di no, ma la sensazione immediata e` stata di un fallimento dovuto anche alla mia incapacita` di sottrarmi praticamente alla logica che guidava le azioni del sacerdote e di chi lo circondava. La mia richiesta di collaborazione, che mi sembrava abbastanza chiara, veniva da un’esigenza conoscitiva, scientifica. Sicuramente era anomala in un contesto caratterizzato da aspettative (dei fedeli) e da risposte (del sacerdote) di tipo religioso. Padre Germano offre a persone sofferenti benedizioni, preghiere, parole di speranza e conforto; forse possiede particolari doni carismatici e guarisce malattie. Siamo comunque nell’ambito della fede. Le mie parole potevano essere interpretate come una richiesta di aiuto di una persona di fede che si rivolge ad un sacerdote ritenuto dotato di capacita` che conferiscono particolare efficacia alle sue preghiere. La risposta che anche io ho avuto e` stata quella di sua competenza: il sostegno della sua benedizione e delle preghiere. Si e` trattato, insomma, dello scontro di due prospettive diverse, una delle quali – la mia – e` risultata sconfitta per la posizione di forza oggettivamente occupata dall’altra trattandosi di un oggetto – gli esorcismi – e di un contesto – le benedizioni di un prete-guaritore – religiosi. Le due prospettive possono essere definite, rispettivamente, di tipo scientifico e di tipo religioso nei termini di Geertz: l’assioma alla base della prospettiva religiosa e` che chi vuole sapere deve prima credere. La differenza dalla prospettiva scientifica, caratterizzata dal dubbio, dalla ricerca sistematica, dalla problematizzazione di cio` che appare ovvio al senso comune, risiede nel fatto che la prospettiva religiosa «mette in dubbio la realta` quotidiana non per scetticismo istituzionalizzato ... ma nei termini di cio` che considera essere verita` piu` vaste, non-ipotetiche. Piuttosto che distacco, la sua parola d’ordine e` impegno; piuttosto che analisi, incontro» (Geertz 1971: 25-28). D’altra parte, la spiegazione del mio insuccesso non e` riconduci-
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bile soltanto a questo elemento ma anche all’inadeguatezza della forma comunicativa da me messa in atto, sia nei primi contatti con i collaboratori che con padre Ventura. Mi e` ora evidente che in un simile contesto – e in quello esorcistico piu` in generale – il modo in cui si richiede l’incontro, le modalita` di approccio all’esorcista, seguono «regole» implicite che ordinano il succedersi di silenzio e parola, contatto fisico e scambio verbale, preghiere ed offerte, richieste e ringraziamenti. Qui, come da don Amorth, si instaura un tipo di comunicazione diversa dall’ordinario, a cominciare dalla presenza di interlocutori diversi – persone reali e entita` invisibili – la relazione tra i quali avviene su piu` registri espressivi. Un’altra ipotesi, che non annulla ma integra quelle precedenti, puo` essere fatta per spiegare la reticenza del sacerdote. La Chiesa usa molta cautela quando si tratta di pronunciarsi sugli esorcismi. Ufficialmente esistono norme e persone precise per praticarli, soprattutto per quanto riguarda quelli solenni, cioe` destinati a liberare da influenze diaboliche accertate. In pratica le cose vanno un po’ diversamente: a parte gli esorcisti designati, altri sacerdoti ricorrono a pratiche esorcistiche probabilmente non solo nelle forme loro consentite e comunque al limite tra prassi legittima e illegittima, senza la garanzia di una diagnosi ` vero che si appropriata che la Chiesa teoricamente richiede. E riconosce anche in questo campo la possibilita` che particolari doni carismatici siano impiegati per l’individuazione dell’intervento diabolico e per la liberazione dal demonio, ma si tratta di una materia piuttosto controversa, anche all’interno della Chiesa. Per evitare abusi e polemiche, si cerca comunque di evitare di parlare di esorcismi quando non siano praticati da sacerdoti ufficialmente nominati. Da qui, dunque, la prudenza della risposta di mons. Diego Bona, vescovo ausiliare per la diocesi a cui appartiene don Ventura, alla domanda di una giornalista sugli esorcismi del sacerdote (Chiappini 1991). I suoi superiori conoscono evidentemente il suo operato, ma egli non e` un esorcista nel senso proprio, anche se dichiara, nella stessa breve intervista, di aver esorcizzato due casi negli ultimi tre anni, sottolineandone la rarita`. In ogni caso, ufficialmente la Chiesa non favorisce un facile ricorso agli esorcismi e dunque non alimenta questo genere di aspettative tra i fedeli. Il fatto che io andassi ad interrogare il sacerdote proprio su una attivita` che rendeva delicata la sua posizione, e comunque non dovrebbe caratterizzarlo, ha verosimilmente provocato una risposta evasiva, anzi una non-risposta.
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4. Gli esorcisti Ai fini della mia ricerca sarebbe risultato piu` utile, ma non meno problematico, rivolgersi all’esorcista ufficialmente designato. In quanto autorizzato dalla Chiesa, era la persona che legittimamente poteva almeno parlarmi di esorcismi e possessioni basandosi anche sulla sua esperienza. Ho incontrato quindi don Gabriele Amorth e padre Candido Amantini; il primo e` un esorcista ufficiale particolarmente attivo e noto, il secondo – ormai anziano e malato – non praticava piu` ma rappresenta una figura importante perche´ maestro di don Amorth, oltre che esorcista molto conosciuto. Padre Candido Amantini, passionista, e` stato l’unico esorcista ufficiale della diocesi di Roma per decine di anni. Ha ricevuto l’incarico nel 1958 ed ha praticato regolarmente fino al 1989 presso la Scala Santa a Roma, quando ha dovuto cessare la sua attivita` per motivi di salute. Ho avuto l’occasione di avere colloqui con lui per due volte nel 1991, prima della sua scomparsa avvenuta il 22 settembre 1992, ma non ho potuto osservare gli esorcismi che ormai aveva cessato di fare. I dati circa la sua attivita` provengono quindi dalle sue dichiarazioni, che coincidono sostanzialmente con quelle rilasciate ad alcuni giornalisti nel corso di interviste13. Professore di Sacra Scrittura per diversi anni, non ha pubblicato niente in materia di esorcismi e possessioni diaboliche, partecipando solo ad alcune conferenze e dedicandosi piuttosto alla pratica effettiva. Prima di lui, nella stessa sede, un altro sacerdote impartiva delle «benedizioni generiche» nel coro, ma in pubblico, e dunque secondo modalita` che la Chiesa non ritiene adeguate. Evidentemente, per rispondere alle richieste dei fedeli e regolarizzare una pratica non proprio corretta, le autorita` competenti ritennero di nominare un esorcista diocesano che garantisse il rispetto dei criteri approvati dalla Chiesa per fare gli esorcismi. Sui motivi che portarono alla sua scelta, padre Candido non e` stato molto loquace, limitandosi a dire che il Rituale indica alcuni criteri – prima ricordati; l’esperienza gia` acquisita nella pratica non sembra essere uno di questi, piuttosto la si fa presso qualche altro esorcista quando l’autorita` competente ha gia` indicato il sacerdote che intende scegliere. Padre Candido, comun13 ` stato lui stesso a fornirmi la raccolta delle pagine di giornali in cui si trovano le E interviste. Quando non indico la fonte, le sue parole sono tratte dal colloquio da me registrato.
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que, dal 1955, prima della nomina ufficiale, aveva cominciato a praticare alcuni esorcismi, forse, come dichiara in una intervista, casualmente, per fornire consigli ad un amico sacerdote (Baggio 1986: 42). Egli riceveva tutte le mattine anche fino a cento persone che aspettavano dall’alba l’apertura della chiesa; una parte di esse proveniva anche da altre regioni d’Italia. Dopo aver celebrato la messa in una cappella della Scala Santa, iniziavano gli incontri individuali, ma spesso doveva ricevere anche due persone alla volta per motivi di tempo. In questi casi dava una benedizione contemporanea che richiedeva, tra l’altro, l’«abbraccio» simultaneo delle teste dei soggetti. L’esorcismo puo` comportare anche, nella pratica di questo esorcista, il ricorso ad uno stretto contatto fisico con l’esorcizzato. Sempre stando al suo racconto, i casi di vera possessione erano rari, ma a tutti impartiva almeno la benedizione semplice, cioe` una forma di esorcismo ridotta, che non comporta la recitazione di tutte le formule dell’esorcismo solenne. Alle persone in cui ravvisava una forma di influenza maligna o che richiedevano ulteriori accertamenti rituali, si fissavano appuntamenti, generalmente settimanali. Dal racconto del sacerdote, pero`, e` chiaro che con coloro che presentavano una accertata possessione si stabiliva un rapporto anche piu` frequente e gli esorcismi potevano essere fatti, secondo le necessita`, anche al di fuori del normale orario di ricevimento. Per diverse di queste persone gli esorcismi di padre Candido sono continuati per anni, assumendo il carattere di una lunga dipendenza che non sempre ha portato alla liberazione definitiva. Purtroppo l’esorcista non ha mai tenuto dei dossier sui casi che seguiva. In genere, giunti da lui, i fedeli esponevano brevemente i loro problemi: «Parlavo, sentivo il dramma quotidiano della loro esistenza e da lı` si ricavava qualche cosa per poter poi fare un giudizio, ma il giudizio si faceva quando gli si dava la benedizione [...] La prima cosa era che dandogli un segno di croce e poi cominciando l’esorcismo, dopo un poco venivano e parlavano come fossero altre persone. C’era uno sdoppiamento di personalita`, e dopo, alla fine, non ricordavano piu` nulla di quello che avevano detto, si aveva un’amnesia». Alla mia domanda se lo sdoppiamento avveniva proprio quando lui diceva la formula esorcistica, ha risposto: «Sı`, non venivano qui sdoppiati. Qualche volta soltanto a vedere, incontrare noi gia` cominciavano a sparlare, si agitavano e bisognava reggerli in piu` persone». Ricorda pure che «la Chiesa dice che alle volte vanno anche legati».
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Dal colloquio con padre Candido comincio` a delinearsi una prima ipotesi: la crisi di possessione e` ritualizzata dall’occasione e dal procedimento esorcistico, cosı` come avviene nelle feste e nei santuari degli esseri ritenuti particolarmente potenti per la liberazione dal demonio (Talamonti 1992-1993: 148-204). Quest’ipotesi sarebbe diventata poi l’oggetto della mia ricerca. L’espressione di padre Candido «dopo un poco venivano», a proposito del cambiamento del soggetto all’inizio degli esorcismi, mi sembra che possa essere riferita ai demoni che fanno la loro comparsa e iniziano a parlare. Anche essa indica che le manifestazioni diaboliche sono strettamente legate al rito: lo spirito appare quando con l’esorcismo lo si chiama in causa e tanto piu` quando direttamente lo si interpella con l’interrogatorio. Si puo` ricordare che gli esorcisti delle possedute di Agen, nel 1619, per continuare gli scongiuri e il dialogo con il demone, in maniera ancora piu` esplicita ordinavano all’esorcizzata «ritornata in se´» spontaneamente, «qu’il vienne a` la langue»14; il demone era costretto a ripresentarsi. Dal punto di vista dell’esorcista, la benedizione vale come momento diagnostico (anche se padre Candido non usa questo termine) e i segni che si manifestano nel corso del rito fanno decidere se c’e` un intervento maligno. Padre Candido racconta di numerosi fenomeni straordinari a cui ha assistito, che generalmente possono essere ricondotti ai segni diabolici indicati dal Rituale – forza superiore alle capacita` umane, facolta` di conoscere cose che il soggetto, per condizione, istruzione, eta`..., non e` in grado di sapere, una sorta di levitazione – oppure a quelli tradizionalmente considerati indicativi come vomito di oggetti taglienti o espulsione di sassi a ripetizione lanciati dalla bocca a grande distanza, inspiegabile abbassamento della temperatura nel luogo dove si svolgono gli esorcismi, comparsa di puzza di bruciato o di zolfo. Insiste comunque sulla straordinarieta` del fatto, di cui mi porta diversi esempi, che bambini esorcizzati dimostrassero una conoscenza approfondita di difficili questioni teologiche sulle quali egli li metteva alla prova per accertarsi della natura della personalita` che li possedeva. In questi casi, a suo parere, le interpretazioni psichiatriche dello sdoppiamento di personalita` non riescono a smentire che a manifestarsi e` una personalita` estranea al soggetto, indipendente da lui, un altro essere. Il passionista afferma di aver richiesto varie volte la consulenza di 14
Dai processi verbali dell’esorcismo pubblicati da Hanlon-Snow 1988: 26.
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psichiatri che generalmente non sapevano dare risposte scientifiche alle manifestazioni che potevano osservare. In ogni caso, spesso ha consigliato lui stesso alla persona che aveva benedetto di rivolgersi a medici. Piu` raramente si e` verificato il caso che un medico gli inviasse qualcuno. Circa la rarita` dei casi di possessione diabolica tra le persone che si rivolgono all’esorcista, la sua esperienza lo porta a ridimensionare la stima che fa Balducci – uno su mille: «Sono rari ma non pochi, molti di piu` comunque di quanto si possa pensare. Su un centinaio di persone che vengono da me, vedo la possessione diabolica, con fenomeni straordinari, in otto o nove persone. Ritengo comunque che bisogna stare in contatto con medici qualificati»15. Tra le cause di possessione, in cui i peccati dell’uomo hanno un ruolo importante perche´ facilitano l’azione di Satana, padre Candido riconosce le fatture. «La fattura consiste proprio nell’offrire al demonio qualcosa, la fotografia, un oggetto, i capelli di qualcun altro, affinche´ entri in lui e gli faccia del male»16. «Cosı` come la religione ha il suo rito e i suoi sacramenti, la magia e` il rito del demonio e le fatture ne sono i sacramenti»17. La credenza nell’efficacia delle pratiche magiche, che vengono risignificate in senso assolutamente diabolico, e` piena. L’accertamento dell’esistenza delle fatture di cui gli esorcizzati gli raccontano e` fatto invece solo in rari casi. Ma qualche verifica e` bastata all’esorcista per confermare che l’intervento diabolico passa anche attraverso di esse. Mi racconta di essere andato a benedire una casa «infestata» dove trovo` in un materasso una corda con in cima una specie di nodo con due spilli, che aveva l’aspetto di un serpente. La corda si sarebbe alzata da sola come un serpente. In questi casi bisogna bruciare tutto. Su un piano generale, il condividere le credenze magiche da parte delle esorcizzate e del sacerdote – dal punto di vista di don Amorth giustificata dal Rituale stesso che parla di malefici – e` uno dei fattori che sicuramente determinano l’efficacia degli esorcismi e, di conseguenza, per quanto riguarda padre Candido, hanno contribuito alla sua fama. Fatture e poteri magici occupano un posto rilevante tra queste credenze condivise; anche se non e` sempre scontata una completa identita` tra le concezioni di chi si sottopone all’esorcismo e quelle del sacerdote, esse testimoniano del sincretismo dell’ideologia
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Intervista in Petrosillo 1986. Intervista in Simonetti 1986. Intervista in Giannetti 1984.
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magico-religiosa di entrambi. Va comunque sottolineato che, per quanto se ne sa, la pratica esorcistica del sacerdote della Scala Santa non si e` mai distaccata dalle indicazioni ufficiali della Chiesa al riguardo, attenendosi al Rituale Romano; cio` la differenzia da quella di altri esorcisti come don Negrini, che presenta maggiori elementi di sincretismo con pratiche esorcistiche popolari18. La condivisione di credenze magico-religiose da parte degli attori dell’esorcismo non deve pero` essere considerata semplicemente un presupposto a priori, un retroterra comune a cui si attinge e che si attiva nella relazione. Essa e` costruita nel rapporto comunicativo, nel contesto rituale ed extra-rituale, attraverso un complesso gioco in cui accenni, allusioni, piu` raramente accuse e dichiarazioni esplicite relative al piano piu` strettamente magico da parte delle esorcizzande possono trovare nell’esorcista eco, convalida, approvazione, interesse, oppure essere rifiutate, minimizzate, messe in discussione, a seconda dei casi e in base al quadro di riferimento dello specifico sacerdote. Cosı`, nell’interazione comunicativa e nel ricorso a interventi specifici (come ad esempio bruciare gli oggetti maleficiati), si definiscono le coordinate di un ambito comune di operativita` in cui parole, credenze e pratiche ammesse, legittime, si contrappongono a quelle pericolose, da evitare. Per le persone esorcizzate si tratta comunque di un ambito non definito una volta per tutte, suscettibile di modifiche, eventualmente criticabile19. Alla «scuola» di padre Candido si e` formato uno dei piu` famosi esorcisti in attivita` in Italia, sicuramente il piu` noto esorcista diocesano di Roma dopo il suo maestro. Nella capitale, nel periodo della ricerca, ne esistono cinque, ma per vari motivi l’unico che pratica a
18
Don Amorth e` stato amico di don Faustino Negrini fin da prima della sua nomina ad esorcista (Tosatti 2003: 14-15). Su don Negrini di Cellatica vedi Romano (1987: 226-230); e` quasi sicuramente questo sacerdote che si nasconde dietro lo pseudonimo Quidam, autore di un libro piu` volte ristampato che vuole ribadire l’esistenza del diavolo e della sua reale influenza sull’uomo (Quidam 1975). Cfr. l’esorcista siciliano di cui parla Guggino (1978: 167 sgg.). Un altro esempio di sincretismo si trova nell’ideologia e nella pratica dell’esorcista pugliese di cui Albano (1987-1988) ha esaminato l’attivita` nella tesi di laurea. 19 Un’analisi pragmatica del tipo di quella adottata da Claverie (2003) in un recente libro sulle apparizioni di Medjugorie – particolarmente interessante proprio per il metodo d’analisi e d’interpretazione – potrebbe sviluppare e sostenere queste brevi osservazioni; non ho potuto integrarla perche´ sono venuta a conoscenza di questo testo quando ormai il mio lavoro era concluso. L’autrice non si occupa pero` dell’aspetto rituale, da me privilegiato nell’analisi dell’esorcismo, che e` invece oggetto specifico dello studio di Hauseman e Severi (1994) sul naven, condotto appunto in un’ottica pragmatica; cfr. anche Severi 1993.
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tempo pieno e` don Gabriele Amorth. Inizialmente l’ho incontrato per un colloquio nell’istituto dove risiede, poi numerose volte in occasione dei suoi esorcismi a cui ho partecipato. Don Gabriele Amorth, sacerdote della Pia Societa` San Paolo, e` nato nel 1925 a Modena. Laureato in giurisprudenza, si e` prevalente` esorcista della diocesi di mente occupato di argomenti mariani. E Roma per mandato del Card. Vicario Poletti dal 1986. Inizialmente fu nominato come aiuto di padre Candido20, dal quale afferma di essere stato istruito molto minuziosamente sia in teoria che in pratica, e a cui ha fatto riferimento per avere consigli su casi difficili anche quando l’anziano sacerdote ha smesso di esercitare per problemi di salute, fino alla sua morte. Circa i requisiti di un esorcista, ricorda, oltre a quelli del Rituale citati anche da padre Candido, un ottimo equilibrio mentale, un solido sistema nervoso, un carattere non emotivo, una costituzione fisica sufficientemente robusta perche´ a volte bisogna usare la forza con coloro che si agitano violentemente; soprattutto una certa cultura biblica teologica e la conoscenza di un po’ di psicologia: «una certa infarinatura dei mali psichiatrici e anche dei fenomeni parapsicologici, anche se l’esorcista non e` tenuto ad essere esperto cosı` a fondo come uno psichiatra o un parapsicologo, pero` almeno quanto basta per rendersi conto se occorre la presenza di uno psichiatra... Alle volte la diagnosi e` complicata e richiederebbe di essere fatta in e´quipe». Don Amorth riceve tutti i giorni su appuntamento in due luoghi differenti. Il pomeriggio, nell’istituto dove vive, le persone che gia` conosce e che all’esorcismo restano tranquille. La mattina, nel locale adiacente ad una chiesa che si trova in una posizione abbastanza centrale della citta`, coloro che hanno crisi di agitazione, urlano, e le persone che vede per la prima volta, di cui non conosce le reazioni. La sede di questi esorcismi e` stata poi spostata presso i locali di una grande basilica romana; successivamente destinato ad altro uso anche questo spazio, ora don Amorth svolge la sua attivita` in prevalenza nella propria residenza, e talvolta presso quella di un altro esorcista romano. Inizialmente esorcizzava solo in istituto, ma le lamentele di alcuni confratelli lo hanno costretto a spostare l’attivita` altrove, operando tra gli esorcizzati una suddivisione che riducesse l’afflusso alla Casa, limitandosi a ricevere lı` persone che non distur20
Sugli inizi del ministero dell’esorcistato di Amorth cfr. l’intervista in Tosatti 2003: 14-18.
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bano; in questo modo nessuno puo` sapere il motivo reale dell’incontro. Don Amorth riceve individualmente e senza la presenza di estranei, tranne l’assistente, l’eventuale accompagnatore del «paziente», eventuali sacerdoti che intendono istruirsi sulla pratica esorcistica21. In genere opera una prima selezione delle richieste per telefono; da coloro che chiedono un appuntamento (la stessa persona bisognosa o un parente o conoscente) raccoglie le informazioni per una sorta di pre-diagnosi a distanza, che riguardano essenzialmente il tipo di problemi, i modi in cui si manifestano, il tipo di cure a cui si e` eventualmente fatto ricorso. Sulla base di queste notizie decide se fissare un appuntamento per l’esorcismo, che inizialmente puo` essere una semplice benedizione, come faceva padre Candido. In quest’occasione, prima dell’inizio del rito vero e proprio, l’esorcista si fa spiegare di nuovo molto brevemente il male-malessere accusato ma lasciando pochissimo spazio di parola alla persona, a volte bloccando con autorita` i tentativi di racconti o spiegazioni piu` particolareggiate, per procedere direttamente all’esorcismo. Questo e` ritenuto dal sacerdote il vero strumento diagnostico, l’unico in grado di avvalorare o respingere l’ipotesi di una influenza diabolica. I segni che l’esorcizzato manifestera` durante il rito, correlati ad eventuali sintomi significativi precedenti, e agli effetti secondari che l’esorcismo avra` nei giorni successivi, determineranno la diagnosi definitiva dell’esorcista e la decisione di continuare o meno le sedute. Un ulteriore breve colloquio puo` esserci al termine del rito, ma in genere si riduce alla esplicitazione sintetica della diagnosi del sacerdote, espressa in termini di presenza o assenza di «influenze negative», e si conclude con alcune raccomandazioni o prescrizioni che comunque dovrebbero proteggere l’individuo inducendolo a condurre una vita cristiana (preghiere assidue, sacramenti, eventuale uso fuori dal rituale di sacramentali come acqua benedetta, olio e sale esorcizzati). A seconda della gravita` del caso, si fissera` una sequela di appuntamenti a scadenza settimanale, quindicinale o mensile ma che sara` di volta in volta stabilita poi secondo l’evoluzione dei sintomi che si manifestano nel rito, interpretati come segno di miglioramento o peggioramento dello stato dell’esorcizzato. Nei casi gravi, di possessione o forte vessazione diabolica che si manifestano a volte da molti anni, gli esorcismi vengono ripetuti regolarmente un giorno stabilito della 21
In seguito, all’assistente iniziale se ne aggiungeranno altre.
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settimana o anche piu` frequentemente, con la stessa regolarita` di sedute psicoterapeutiche. La loro durata puo` variare, ma generalmente non superano i 15-20 minuti. I segni prodotti nel corso del rito, significativi per l’esorcista, possono essere quelli «tipici» del posseduto, come agitazione motoria, avversione al sacro – nella persona dell’esorcista, o rispetto agli oggetti benedetti e ai gesti liturgici impiegati, o che si manifesta nell’impossibilita` di recitare preghiere. Altro segno indicativo di possessione diabolica puo` essere il manifestarsi, nel corso del rito, di una personalita` estranea al soggetto stesso che la esprime riferendosi a se´ come ad altra persona, a volte usando un linguaggio blasfemo, e/o un cambiamento di voce, di tono e di fisionomia. Ma i segni possono essere anche di tipo impercettibile e difficilmente qualificabile da un osservatore esterno. L’attribuire all’esorcismo quella funzione diagnostica che don Amorth sottolinea con forza, giustifica l’ampio ricorso che egli fa al rito. A parte il tentativo di distinguere i tipi di maleficio e la relativa terminologia, don Amorth segue l’esempio del suo maestro anche nel condividere con i suoi «pazienti» molti elementi di un’ideologia magico-religiosa dagli esorcisti risignificata in senso assolutamente diabolico. Da padre Candido, invece, egli si differenzia per una concezione «militante» del suo ministero: pubblica libri sull’argomento, interviene spesso pubblicamente nei mass-media a proposito di esorcismi e delle iniziative che andrebbero prese per migliorare e rendere piu` capillare ed efficiente il ministero dell’esorcistato. I diversi organi di informazione – soprattutto a partire dal 1985, quando a Torino furono nominati dal vescovo sei nuovi esorcisti che in un certo senso rappresentavano la risposta della Chiesa torinese al proliferare delle cosiddette sette diaboliche – hanno varie volte interpellato gli esorcisti e i demonologi. Nello scorso decennio don Amorth e` forse quello che piu` spesso viene chiamato ad esprimere il suo parere, o che perlomeno accetta di farlo. In varie apparizioni televisive e interviste sui giornali egli ha cosı` ribadito a migliaia di telespettatori e lettori la dottrina tradizionale della Chiesa su diavolo e possessioni; nello stesso tempo si e` fatto pubblicamente promotore del rilancio dell’esorcismo presso il pubblico e presso la Chiesa, lamentando la scarsa attenzione che essa riserva a questo particolare settore della pastorale, richiedendo la nomina di altri esorcisti per sollevare dall’enorme carico di lavoro quei pochi esistenti, e prendendo anche iniziative ufficiali. Presidente dell’Associazione italiana
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degli esorcisti, e` stato ad esempio il promotore – alla fine del 1991 – di una proposta avanzata alla Conferenza Episcopale Italiana da un gruppo di esorcisti italiani; essi richiedono l’istituzione di un ufficio nazionale per la formazione e il coordinamento degli esorcisti presso la Commissione pastorale degli infermi e dei malati. Anche se non sembra che la richiesta sia stata ancora ufficialmente accolta, in ogni caso l’aver mosso le acque ha determinato un maggiore interesse dei vescovi intorno al problema degli esorcismi. Dal Sinodo di Roma che si e` tenuto alla fine del 1992, e` infatti scaturito un «appello alle autorita` religiose romane, affinche´ “il ministero degli esorcisti” si legge nel resoconto diffuso da monsignor Levi, sia affiancato da “laici competenti in campo psicologico e psichiatrico”» (La Rocca 1992). Tra questi laici non e` escluso che possano assumere un ruolo importante i membri dei gruppi carismatici; non bisogna infatti dimenticare che gia` i carismatici svolgono, con preghiere di liberazione e terapie spirituali, un lavoro di «discernimento» e di sostegno parallelo e/o successivo alla terapia esorcistica vera e propria. Don Amorth e gli altri esorcisti, che auspicano una collaborazione interdisciplinare in grado di assegnare alle specifiche competenze degli specialisti il trattamento dei vari mali presentati da coloro che chiedono l’esorcismo, sembrano dunque aver trovato degli interlocutori e dei sostenitori. D’altra parte, quella che in Italia appare come una novita` radicale – l’affiancamento di esorcisti e psichiatri – in Francia e` gia` una realta` da molti anni. Esorcisti, teologi ed esperti delle scienze umane si confrontano regolarmente a livello regionale e nazionale. Cio` ha prodotto, mi sembra, negli esorcisti francesi una posizione molto piu` cauta e che modifica anche il senso e le modalita` di svolgimento del loro compito: la loro funzione non e` piu`, tranne in casi eccezionali, quella di esorcizzare, ma diventa essenzialmente accoglienza, ascolto, discernimento e accompagnamento. Una sorta di terapia psicologica spirituale svolta in stretta collaborazione con altri specialisti, collaborazione che non si riduce solo, come sembra accada per don Amorth o, prima, con padre Candido, al chiedere la consulenza dello psichiatra nei casi in cui l’esorcista e` in dubbio sulla diagnosi diabolica. Rispetto agli esorcisti italiani, le differenze sono notevoli nella teoria, nella pratica e nel linguaggio stesso, e dimostrano come le scienze umane, antropologia compresa, siano entrate a far parte integrante del bagaglio culturale e degli strumenti di esorcisti che si considerano piu` «testimoni della tenerezza di Dio» presso coloro che soffrono che sacerdoti in lotta contro l’essere
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personale e reale che sarebbe il demonio22. La differenza con l’esperienza e l’impostazione di don Amorth e` tale che egli stesso critica l’attuale tendenza francese con toni duri, soprattutto per quanto riguarda il prevalere di una lettura psicologico-psichiatrica su quella piu` strettamente religioso-demonologica (Amorth 1996: 33-39). La sua collaborazione con uno psichiatra e, in generale, il dialogo con gli psichiatri sono infatti improntati ad una accentuata divisione delle competenze e dei compiti23.
5. La scena Nel corso della ricerca la sede degli esorcismi a cui ho partecipato e` stata cambiata. Dapprima si e` trattato di una stanza nella sacrestia di una chiesa a cui si accede da un breve corridoio diviso da una porta. La stanza, arredata con pochi mobili, e` illuminata dalla luce elettrica (non vi e` fatta entrare quella naturale). Su una parete si trova una sedia di ferro, con braccioli, dove sta la persona da esorcizzare; tra lo schienale e il muro c’e` un cuscino di stoffa rosso scuro, appoggiato ad una scatola di cartone, all’altezza della testa; la scatola, a sua volta, e` posta su uno sgabello basso. Alla sinistra (dalla mia posizione frontale) siede l’assistente dell’esorcista, il quale inizia il suo lavoro seduto di fronte al paziente, un po’ spostato sulla destra, vicinissimo. Tra esorcista ed assistente e` posta un’altra sedia sulla quale ci sono: tovaglioli di carta, un aspersorio con acqua benedetta, un piccolo contenitore con olio esorcizzato, una reliquia, un crocifisso; a volte ci sono anche delle piccole immagini (plastificate) del viso di Padre Pio o delle sue stimmate che in alcuni casi l’assistente tiene con la sua mano a contatto della mano o del braccio della persona esorcizzata. Gli oggetti sembrano d’argento. Io osservo seduta vicino al tavolo che si trova quasi al centro della stanza, a circa due metri dalla sedia degli esorcismi che ho di fronte. Su questo tavolo sono posti gli oggetti da benedire – soprattutto bottiglie d’acqua, ma anche foto o altro contenuto in buste – che vengono portati nella stanza prima dell’inizio degli esorcismi e benedetti collettivamente. La bottiglia d’acqua che viene data alle esorcizzate e` tra le altre. Sul tavolo e` posto anche un comune barat22
Sugli esorcisti francesi vedi Froc 1992; Leneuf-Vernette 1991. Cfr. anche Vernette 1991. 23 Amorth 1996: 91-121. Per un’analisi del rapporto con lo psichiatra vedi Talamonti 2005 (in corso di stampa).
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tolo di plastica contenente sale, benedetto col resto. Vi si trova anche una cornice con foto di Maria Bordoni (come riporta la dicitura in basso; e` una giovane donna forse ritratta all’inizio del secolo); si tratta della sorella del rettore della chiesa, morta in odore di santita`; fu tormentata dal diavolo che perfino quando era prossima a morire le incendio` le lenzuola del letto. La foto e` tenuta lı` perche´ puo` essere d’aiuto, osserva don Amorth. ` Lidia, l’assistente, che oltre al compito di introdurre i pazienti E ha quello di predisporre l’ambiente aiutata dall’esorcista. La seconda sede che ho frequentato presenta diversi miglioramenti rispetto alla precedente. Innanzitutto si trova piu` appartata dagli spazi istituzionali; inoltre e` piu` ampia e, nel corso della mia ricerca, viene via via dotata di oggetti piu` confortevoli per gli attori del rito. Le finestre sono in alto, proprio sotto il soffitto. C’e` un termosifone non funzionante; il riscaldamento e` assicurato – nei mesi invernali – da una piccola stufa elettrica. Ci sono numerose sedie in plastica ammucchiate contro le pareti. Una poltrona, posta nella parete di fronte alla porta d’entrata, sostituisce la sedia per chi si sottopone agli esorcismi. Attorno vengono disposte a semicerchio le sedie per gli assistenti – circa quattro – ed eventuali osservatori (sacerdoti, psichiatri, antropologa, accompagnatori dell’esorcizzanda). Non molto distante vi e` un tavolo; su di esso e sulle sedie vicine ritrovo gli oggetti gia` descritti: il barattolo con su scritto sale esorcizzato, qualche bottiglia di acqua, tovaglioli di carta, la borsa di don Amorth con gli altri oggetti rituali, un piccolissimo foglietto con gli appuntamenti, un calendario. Alle pareti molte immagini religiose, alcune delle quali probabilmente gia` nella stanza prima del suo attuale utilizzo. Sulla parete di fronte alla porta d’ingresso si trovano: un poster con la foto in bianco e nero di papa Giovanni Paolo II con un bambino e la preghiera del papa per la famiglia; una piccola immagine con la Sacra Famiglia; una grande foto ricoperta da un vetro della grotta di Lourdes con sopra un crocifisso in legno; un’immagine dipinta su legno della Sacra Famiglia di tipo orientale; una riproduzione incorniciata come un quadro dell’immagine classica di San Michele Arcangelo che sconfigge il diavolo; infilata tra la cornice e il vetro una cartolina con un Cristo che mostra il Sacro Cuore; un ingrandimento (sotto vetro) di una foto di padre Candido a mezzo busto24. 24
Sulla tonaca si vede il simbolo dei passionisti. L’espressione e` serena, lo sguardo diretto e penetrante dietro le lenti degli occhiali.
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Sulla parete a sinistra della poltrona noto un quadro raffigurante padre Pio con un libro in una mano e l’altra che accenna una benedizione. Sopra la porta, sulla parete proprio di fronte all’esorcizzato c’e` l’immagine della Madonna di Medjugorie. Un paio di poster di differenti dimensioni sono sulla quarta parete; rappresentano contorni di figure umane su sfondo marino con spiaggia al tramonto. Nel corso del tempo sul tavolo si troveranno anche diversi santini, tra cui quello di una Madonna chiamata S. Maria dell’Equilibrio, di S. Gemma Galvani, di padre Candido; de´pliant di pellegrinaggi a Lourdes; una gigantografia di una foto di padre Candido; statuine di Madonne (una – di Fatima – alta circa 50 cm). Al muro si aggiungera` un’immagine di S. Gabriele dell’Addolorata. Nello spazio sottostante la stanza, al piano seminterrato, si trova un’area con varie stanze, per un certo periodo poco utilizzata, a giudicare dallo stato polveroso e di incuria in cui si trova. In un secondo tempo sara` in parte abitata. In una di queste stanze vengono svolti gli esorcismi di alcune persone che per la gravita` del loro male e il tipo di manifestazioni presentate sono esorcizzate distese; vi si trova infatti un piccolo letto con una coperta, un comodino con una lampada, e, in un angolo, un piccolo tavolino coperto di stoffa; alle pareti ci sono varie immagini a sfondo religioso; noto una tela senza cornice che ritrae padre Candido, molto simile a quella con padre Pio che si trova al piano superiore. In un tempo successivo, questa stanza sara` adibita a cucina e sala da pranzo per gli inquilini che gestiscono il mercatino dell’usato antistante l’edificio; mentre i colloqui condotti dallo psichiatra con le persone conosciute in ambito esorcistico continueranno a svolgersi qui, a volte tra odori di cibo cucinato e visite degli abitanti, gli esorcismi piu` lunghi ed elaborati saranno trasferiti in una stanzetta adiacente molto piccola, chiamata la «cappella» perche´ vi si trova un altare. Qui viene spostato il letto, posto di fronte all’altare in modo che la persona distesa lo abbia davanti agli occhi. Alcune sedie servono per i partecipanti e per gli oggetti rituali. In una fase ulteriore anche questa stanza sara` abbandonata in quanto l’esorcista avra` a disposizione un lettino di tipo medico che, insieme ad una sedia a rotelle, fara` parte del mobilio al piano superiore dove si svolgeranno tutte le varie pratiche esorcistiche. Nella scena i confini tra religione e scienze mediche si fanno progressivamente piu` labili mentre sembra profilarsi la trasformazione dell’esorcizzata in paziente.
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6. Le esorcizzate Le persone che ho incontrato dall’esorcista sono prevalentemente donne tra i 18 e i 50 anni, di ceto sociale medio-basso; la maggior parte si colloca nella fascia d’eta` compresa tra i 20 e i 35 anni ed ha un buon livello di scolarizzazione (diploma di scuola superiore, talvolta frequenza universitaria). Per lo piu` appartengono alla diocesi di Roma, hanno ricevuto un’educazione cattolica ma non sempre sono assidue praticanti. Queste persone non vengono ovviamente tutte riconosciute come possedute. Tramite il rito, nella forma breve o completa, viene individuata l’eventuale influenza demoniaca nei suoi vari gradi (da generiche influenze negative fino alla possessione vera e propria) e deciso il trattamento a breve termine. In molti casi la diagnosi esorcistica e` negativa ed esplicitata, in altri, pur ritenendo che non ci sia presenza malefica, l’esorcista prosegue gli esorcismi perche´ ritiene che abbiano un effetto positivo sulla richiedente. In ogni caso, le centinaia di donne che si rivolgono a lui, e/o coloro che le spingono a farlo, credono che la benedizione (termine generico con cui spesso viene chiamato l’esorcismo) e il parere di don Amorth possano essere d’aiuto, se non risolutivi. Si vedra` in seguito come dalla storia di Sara – di cui all’inizio si e` descritto un esorcismo – emerge che il ricorso ad esorcisti, alternato ad altri tentativi falliti di cura, si colleghi prevalentemente a fenomeni o disturbi «inspiegabili» che spesso hanno attinenza con il sacro. Alcuni altri esempi possono pero` illustrare quali problemi e quali sospetti o convinzioni sulla loro natura portano queste donne da don Amorth. Essi si potrebbero moltiplicare, e diversi sono gli spunti di analisi che offrono. Qui mi interessa evidenziare che le persone che richiedono l’esorcismo sostengono generalmente di avere dei malesseri inspiegabili, dei comportamenti strani o delle vere e proprie malattie psicofisiche che sarebbero risultate incurabili agli interventi terapeutici della medicina e della psichiatria; spesso lamentano una serie di disgrazie e sfortune di vario tipo attinenti all’ambito affettivo, lavorativo, scolastico, oltre che della salute. Generalmente sospettano un intervento malefico – fattura, maledizione... – voluto da qualcuno. Spesso cio` ha determinato il ricorso a maghi per liberarsene, nel qual caso, secondo don Amorth, si e` aggravato ulteriormente il loro problema. A volte il suggerimento di ricorrere all’esorcista, che segue all’avanzamento di un’ipotesi dell’origine malefica del male o della sfortuna, viene da persone appartenenti a gruppi carismatici alle
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quali il soggetto si e` avvicinato; talvolta quest’ultimo e` un membro di tali gruppi. Per tutte le richiedenti, il rito esorcistico rappresenta almeno una rassicurazione; piu` spesso, permette di dare un senso e una direzione ai propri mali o malesseri, di comprendere e orientare l’evento; soprattutto se si considera che spesso oltre alla forma del male, e` la sua persistenza, il susseguirsi di eventi sfavorevoli, la causa apparentemente indecifrabile, che fa ipotizzare un’origine soprannaturale malefica25. Ecco qualche esempio tratto dai miei appunti di osservazione. Luisa viene accompagnata dall’amica Vittoria26, in passato benedetta da don Amorth; e` una bella ragazza di circa 25 anni dai lunghi capelli castani e dagli occhi scuri. Don Amorth, dopo brevissimi preliminari, chiede: «Che cosa c’e`?»; Luisa: «Da un po’ di tempo vanno male molte cose...»; l’esorcista: «Le sembra che tutto va storto, eh?» (o qualcosa di molto simile); Luisa: «Sı`, soprattutto con il mio fidanzato, in quest’ultimo periodo...»; la ragazza non e` affatto reticente e comincia ad accennare ai problemi ma l’esorcista decide che bisogna esorcizzare: «Io non ricordo bene quello che mi ha detto per telefono..., mi spiega poi, adesso faccio la benedizione, sento con le mani». [...] La ragazza non ha nessuna reazione particolare. L’esorcismo e` breve, le pressioni del sacerdote sul corpo della donna leggere e non c’e` interrogatorio. Infine, la diagnosi: «Senta, io non avverto nessuna negativita` in lei, invece, era un po’ in soggezione?». La ragazza conferma. Cosı` l’esorcista ha interpretato il suo atteggiamento e il riso nervoso, e continua: «Come va in quanto a preghiere e a sacramenti?»; Luisa: «Le preghiere le dico, faccio anche la comunione spesso, la confessione meno, non so, a volte mi crea qualche problema». L’esorcista incalza: «Il vangelo lo legge?»; Luisa: «Il vangelo? Non tutti i giorni»; l’esorcista: «Ricordi che una confessione vale piu` di una benedizione». Ripete che non vede nessuna negativita`, almeno in lei, forse nel fidanzato potrebbe esserci ma dovrebbe 25
Cfr. Auge´ 1986, e Sindzingre 1986 circa il problema della causalita` della malattiasventura in una societa` tradizionale africana, che offre interessanti spunti interpretativi anche per altri contesti; secondo l’autrice, la funzione fondamentale del pensiero causale e` la spiegazione, e il modello esplicativo tradizionale non e` necessariamente modificato dal moltiplicarsi delle alternative terapeutiche laddove il registro dell’interpretazione e quello della risoluzione della sventura sono relativamente impermeabili (1986: 113). Potrebbe interpretarsi in tal senso il parallelo ricorso degli esorcizzati, in alcuni casi, sia a pratiche esorcistiche che alla medicina. 26 La prima donna con cui in seguito parlero`.
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incontrarlo e si informa sulla vita cristiana del ragazzo che, secondo la fidanzata, e` credente, va a messa e prega quando capita. Il sacerdote, contrariamente alla maggior parte delle volte, lascia poi che la ragazza parli abbastanza a lungo dei suoi problemi, intervenendo con domande e consigli. Il nodo centrale sembrano essere i problemi che ha nel rapporto con il fidanzato. Luisa racconta che mentre fino a non molto tempo fa stavano molto bene insieme, recentemente ci sono state liti anche violente. All’inizio l’esorcista le dice che se non si va d’accordo, se i caratteri sono incompatibili, e` meglio lasciar perdere, e` importante per una buona unione l’accordo dei caratteri. Ma Luisa sostiene che si vogliono bene, che le basi per un buon rapporto ci sono. Finalmente viene fuori quella che sospetta essere la causa di tutto: i carismatici (di cui su richiesta specifica il gruppo) le hanno detto che le e` stata fatta fare una fattura dalla madre del ragazzo, che non l’accetta e si e` rivolta ad una maga per ostacolare il fidanzamento. Quando i carismatici glielo hanno rivelato lei si e` spaventata. Non e` chiaro se in seguito all’interpretazione fornitagli dai carismatici lei ha, a sua volta, ricollegato alcuni episodi della sua vita relativi a malocchi e spiritismo, o se la sua interpretazione negativa di quegli episodi abbia preceduto e forse influenzato la diagnosi carismatica. Fatto sta che, senza essere sollecitata, Luisa racconta, subito dopo aver parlato della presunta fattura, quei fatti sospetti; forse per dimostrare che ha sempre avuto timore di certe pratiche e nello stesso tempo per far conoscere all’esorcista che ha avuto suo malgrado contatti con persone che vi si dedicavano, ritenendole evidentemente significative. Dice che purtroppo e` vissuta sempre con persone che avevano a che fare con cose particolari come lettura di carte, sedute spiritiche; la figlia della persona con cui abitava l’aveva anche invitata a partecipare ma lei non aveva voluto. In una casa in cui e` vissuta c’era addirittura l’immagine di un diavoletto su una parete. Dopo un periodo di permanenza se ne e` sempre andata da quelle case. Una volta pero` si e` fatta togliere il malocchio, ma lo ha subito confessato, precisa. L’esorcista, interessato, le chiede come lo hanno fatto; risponde che lei piangeva, non lo sa; allora lui cerca di aiutarla a ricordare: «Usavano olio e piattino?»; Luisa: «Sı`, l’olio nell’acqua del piattino; la donna diceva delle preghiere: l’Ave Maria e altre cose che non capivo»; l’esorcista: «Le hanno preso qualcosa? Capelli, qualcosa di suo?»; la donna: «Non lo so, io piangevo sempre, non credo...». L’esorcista evidentemente, anche se non lo esplicita, collega la fattura di cui la ragazza sarebbe
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vittima con la pratica a cui si e` sottoposta e cerca elementi per confermare la sua ipotesi; dal momento che la ragazza non ricorda, non insiste con le domande. Luisa racconta anche che in passato il ragazzo partecipo` per caso a una seduta spiritica (di quelle con il bicchierino) ma fu l’unica volta perche´ si accorse di avere dei poteri (non specifica quali) e si spavento`. Conclude: «Non so se c’entra qualcosa». Poi continua a parlare del fidanzato che si e` un po’ montato la testa: vuole lasciare il lavoro in banca per fare il pilota. L’esorcista alla fine ripete che in lei non ha trovato niente, forse dovrebbe benedire il ragazzo, se invece ci sono influenze negative intorno a lei – cosa piuttosto normale – si combattono con preghiere e sacramenti. La ragazza chiede con un po’ di insistenza un appuntamento cogliendo al volo l’occasione che le da` l’esorcista e dimostra di averlo gia` previsto, forse desiderato, dicendo che il fidanzato sarebbe d’accordo, ne hanno parlato. Si fissa un appuntamento per il venerdı` della settimana successiva. Cinzia, sui 25 anni, viene con la zia. Ha gli occhi sgranati e sembra un po’ impaurita; il contrasto tra le due donne, nell’aspetto e nell’atteggiamento, salta subito agli occhi. Mentre Cinzia ha un abbigliamento antiquato, la zia e` ben vestita, con pelliccia, truccata; tanto la zia e` vivace, loquace, sorridente, quanto la nipote (figlia della sorella) e` timida, silenziosa, seria. Quando don Amorth chiede cosa non va, Cinzia non risponde, lo fa la zia per lei: non riesce piu` a studiare da un anno circa, andava benissimo, studia farmacia, tutti trenta. Don Amorth cerca di tranquillizzare la ragazza e inizia l’esorcismo. Cinzia non ha comportamenti particolari durante il rito. Alla fine l’esorcista le chiede se ricorda un episodio avvenuto nel periodo in cui ha cominciato a non stare bene, se c’e` stato un fatto traumatico, qualcosa in famiglia; la ragazza resta muta e lo guarda con occhi smarriti; Renata, un’assistente carismatica, dice che non ricorda perche´ ha rimosso la causa. Don Amorth conclude che non ha nulla che lo riguardi, ma dall’atteggiamento sembra sospettare un problema psicologico e invita a parlare con lo psichiatra. La zia sostiene che forse qualcosa c’e`: invidia da parte di qualcuno nel palazzo in cui abitano, perche´ la ragazza prendeva bei voti e la nonna se ne vantava con i vicini. Don Amorth e le assistenti carismatiche non sembrano dar peso alla cosa. Marilena, proveniente da una cittadina marchigiana, e` accompagnata dal padre. Bella donna molto magra, alta, sui 30 anni, dai capelli
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chiari e l’espressione del viso dolce; la voce e` flebile, un poco lamentosa. Prima del rito fornisce poche notizie: e` sposata e ha un bimbo di 17 mesi; e` sempre stanca, non riesce a riprendersi. Durante l’esorcismo non presenta nessun comportamento particolare e quando l’esorcista le chiede se sentiva male quando la toccava in vari punti del corpo, dice di averne sentito un po’ sullo stomaco e dietro la nuca. Dopo, Amorth la lascia parlare abbastanza a lungo. La donna fa risalire la causa del suo malessere a qualcosa che una persona le avrebbe fatto (in genere evita di usare il termine fattura); l’esorcista consiglia di non vederla piu`, se sa chi e`; lei dice che e` difficile, trattandosi della suocera. Grazie alle domande dell’esorcista, che chiede quando ha cominciato a star male e se era sposata o fidanzata, si ricostruisce che tutto sarebbe cominciato nel periodo del fidanzamento. Cerca di evitare la suocera per quanto e` possibile, ma non puo` farlo in certe occasioni come il battesimo del bambino o la cresima di qualche parente; inoltre, il marito di Marilena e` molto legato alla madre, con cui vive ancora oggi, perche´ lavora nella stessa citta` e torna dalla moglie e dal figlio solo per il fine settimana. La situazione non e` gradita dalla donna ma sarebbe giustificata dal fatto che non hanno raggiunto una sufficiente sicurezza economica e il marito – influenzato dalla madre – preferisce cosı`. Del resto Marilena non ha voluto andare a vivere con la suocera. Si parla anche dei sintomi che Marilena accusa: spossatezza, deperimento fisico, per cui ha fatto cure ricostituenti ed esami relativi al fegato (e` don Amorth che vuole sapere se e` andata da medici e se e` stata curata). Inoltre sente cattivi odori, come di peli bruciati, non solo in casa, e una sorta di puzza che il marito porta con se´ quando torna dalla moglie. Ha trovato in una giacca delle strane macchie e in cuscino piccole macchie sulla federa piu` interna (terza o quarta) come di sudore ma non presenti sulle federe esterne, e pezzetti di legno dentro; sul coprimaterasso piccole macchie come di te´ e una macchia di sangue a forma di cuore umano; piu` veniva lavato piu` apparivano le macchie; sul collo bianco di un suo vestito, indossato in un’occasione in cui la suocera era presente, ha scoperto macchie sparite con la benedizione. Si reca settimanalmente da un sacerdote ed e` stata una volta da un altro noto esorcista amico di don Amorth. Ad essere consultato per primo e` stato uno psichiatra27, che le ha detto di 27 Noto per essere un cattolico che crede nella realta` di malefici, possessione e diavolo, ` lo stesso «professore» che invia dall’ecome ha spesso mostrato in trasmissioni televisive. E sorcista Vittoria.
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essere vittima di una fattura e le ha consigliato di aprire cuscino e materasso (in seguito a questo suggerimento li ha ispezionati). Don Amorth chiede cosa hanno detto gli altri esorcisti: il sacerdote che la segue sostiene che la suocera «la fa da sola» [la fattura], di continuo. Don Amorth non sottolinea questo punto ma consiglia di non tenere in casa oggetti dati dalla suocera, di non accettare nulla da lei e ritiene la situazione insostenibile: che il marito si decida a stare da una parte o dall’altra. Marilena dice di essere molto religiosa mentre il marito non approva che vada da esorcisti, e non ha voluto accompagnarla a Roma. Alla fine la donna chiede se deve aprire il materasso (significherebbe buttarlo). Don Amorth non lo ritiene necessario. Sofia ha 33 anni. Il suo problema non e` una specifica malattia fisica: tutto nella sua vita va male. Inizia raccontando che gia` padre Candido l’aveva piu` volte benedetta: la prima volta fu la madre che ando` dal passionista portando una foto della propria famiglia; padre Candido individuo` nella foto lei come la persona che aveva bisogno della benedizione. La donna si reco` da lui due o tre volte nel corso di un ampio lasso di tempo, poi padre Candido si ammalo`. Ora viene da don Amorth come per concludere qualcosa rimasto incompiuto. Don Amorth le chiede se prega, se lavora, se e` fidanzata e attraverso il dialogo – piu` lungo del consueto breve colloquio che precede il rito – si costruisce un quadro della sua situazione personale e familiare, con grossi problemi. Non e` sposata, vive con i genitori, una sorella di 26 anni e un fratello tossicodipendente convinto. Il problema piu` grande e` lui: si droga in casa, non ha alcuna intenzione di smettere o di andare in comunita` di recupero, o di andarsene da casa. Sofia e` la piu` tollerante dei familiari, cerca di aiutarlo, mentre la sorella non lo sopporta. Il fratello in passato faceva l’ausiliare (portantino) in un ospedale romano, un posto d’oro, l’ha perso. Ora ruba e pretende soldi. Il padre ha dovuto vendere la sua attivita`: una vita impossibile. Non e` fidanzata; lo e` stata 10 anni fa; il fidanzato non poteva sopportare il fratello. Si da` il caso che abiti vicino casa loro. Non molto tempo fa Sofia trova un biglietto dell’ex-fidanzato sulla propria macchina: subito dopo e` stata inspiegabilmente licenziata dal posto dove lavorava come ausiliare medico (una clinica privata). Aveva uno dei primi posti nella graduatoria, e nonostante fosse stata assunta con la raccomandazione del direttore della clinica, non c’e` stato nulla da fare. Circa le preghiere, dice con entusiasmo che e` devota di S.
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Michele arcangelo, che la aiuta tanto; l’esorcista le fa notare il quadro alla parete; lei commenta sorridente: «Lo sapevo». Durante l’esorcismo ha un’unica reazione significativa (che non sara` pero` esplicitamente commentata dall’esorcista): piange per un po’. Don Amorth infine conclude che la donna ha probabilmente una certa capacita` assorbente (sottinteso di negativita`). Prima di andarsene la donna chiede di avere un’immagine di padre Candido. Non si fissa un altro appuntamento. Fabrizia, tredicenne, e` accompagnata da madre, padre e una delle sorelle, ventunenne. Dimostra piu` della sua eta`. Ha un atteggiamento di ritrosia, «chiusura», quasi paura forse. Occhi piccoli, sguardo sfuggente, in genere guarda in basso. Ha un sorriso nervoso, fin dai primi momenti del rito. Non parlera` quasi per niente, solo a ` soprattutto monosillabi se don Amorth la interroga direttamente. E la madre a raccontare qual e` il suo problema, a volte precisando qualcosa su richiesta dell’esorcista: Fabrizia e` aggressiva con i familiari, ci sono dei «conflitti» che i genitori non sanno piu` come affrontare; non vuole piu` uscire ne´ per andare a scuola, ne´ per ` andare a giocare; non parla. Il tutto e` iniziato dopo gli 11 anni. E stata in psicoterapia per un periodo e le sono stati prescritti due tipi di farmaci, tra cui il Serenase (e` lo psichiatra che si informa a questo proposito): quando faceva la terapia Fabrizia era sempre intontita, mezzo addormentata. Tutta la famiglia e` stata in terapia familiare, secondo quanto ha detto la sorella allo psichiatra separatamente. L’hanno portata dall’esorcista per forza; non voleva venire. Dopo poco dall’inizio del rito non sorride piu` e tenta con la mano di togliersi dalla fronte la mano del sacerdote, infastidita. L’intervento di un’assistente e` immediato; subito dopo le bloccano anche l’altra mano perche´ la ragazzina fa qualche tentativo per divincolarsi. Don Amorth le dice di stare tranquilla e non preoccu` chiaramente contrariata dalle manipolazioni che sta subendo parsi. E e oppone una leggera resistenza, anche cercando di sottrarre la testa. L’esorcista interpreta il suo comportamento come un segno negativo perche´ almeno una volta si gira verso di noi come a dire: «vedi, resiste; c’e` qualcosa». Tenta, senza insistere, l’interrogatorio in italiano, chiedendole come si chiama: risponde con il suo nome. Quando Fabrizia comincia a resistere al prete, la madre e la sorella iniziano a piangere; soprattutto la sorella e` sconvolta e don Amorth le consiglia di uscire, aggiungendo che c’e` un «legame» tra le
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due. Alla fine del rito l’esorcista fa a Fabrizia le solite domande su come lo vedeva durante la benedizione e se la mano sul capo le sembrava pesante28. Dopo di lei viene esorcizzata la madre e poi, piu` brevemente il padre; nessuna reazione e nessun commento dell’esorcista. La madre aggiungera` che nel cuscino di Fabrizia hanno trovato fili intrecciati. Alla fine e` dunque venuta fuori l’ipotesi interpretativa della fattura. L’esorcista, in seguito, la esorcizzera` altre volte, pur esplicitando i suoi dubbi sulla natura malefica del problema e consigliando una visita psichiatrica. Dora, bella ragazza mora di 21 anni. Come inizia l’esorcismo cade subito in una specie di sonno e dopo pochi secondi ha improvvisamente uno scatto violento, si divincola con forza ma e` trattenuta, oltre che da don Amorth, dalle due assistenti – per le braccia – e dal ragazzo che le blocca le gambe. L’agitazione motoria e` di brevissima durata e Dora ritorna nello stato di «sonno» precedente, abbandonata sulla poltrona. Avra` per altre due volte lo stesso comportamento, ma per lo piu` rimane ferma. Ha quasi sempre gli occhi chiusi e quando l’esorcista le alza le palpebre se ne vede il bianco (sono rivoltati all’in su`), soprattutto nella prima parte del rito, poi gli occhi restano prevalentemente in posizione normale. La stessa «perdita di coscienza», seguita da amnesia, avra` agli esorcismi successivi. Il male che l’affligge consiste proprio in «svenimenti» improvvisi seguiti da comportamenti aggressivi verso i presenti, che dice di non riconoscere. Iniziato intorno ai 18 anni, il disturbo e` stato curato da diversi medici (psichiatri, neurologi) che dopo vari accertamenti le hanno prescritto cure farmacologiche (anche con tranquillanti); uno di loro ha diagnosticato la «piccola epilessia». Ha seguito per un anno una psicoterapia. Nessuna delle terapie e` stata efficace. All’origine dei disturbi sembra esserci un episodio di subita violenza sessuale. Circa il motivo per cui viene dall’esorcista, racconta di essere stata portata da una maga dalla sorella, qualche mese prima. Dora: «Lei subito ha ` uscita una cosa un paio di volte, detto che ero posseduta. [...] E quando stavo male. Dice che cambiavo voce. Alla madre di lui [il fidanzato] non gli piaceva come donna [la maga] e ne ha parlato a un 28
In modo molto chiaro, piu` di altre volte, la risposta e` stata indotta, proponendola subito dopo la domanda.
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sacerdote, tramite questo sono arrivata qui. Hanno parlato di malocchio, non so». Ritiene che gli esorcismi le facciano bene e alla domanda diretta: «Lei pensa di essere un po’ posseduta?», risponde: «Un po’ sı`; la prima volta gli ho dato le botte [all’esorcista], pero` sto ancora male. A svenire non svengo sempre».
7. Le collaboratrici dell’esorcista Le assistenti di Don Amorth appartengono tutte a gruppi del Rinnovamento Carismatico. L’esorcista, infatti, intrattiene ottimi rapporti con questa parte del movimento carismatico con cui condivide, in particolare, il sistema di credenze relative al diavolo e al suo intervento sull’uomo: partecipa regolarmente ad incontri di preghiera, convegni annuali, pellegrinaggi. Sono dunque le sue assistenti a indirizzargli talvolta persone con problemi di sospetta natura diabolica emersi durante le preghiere di guarigione-liberazione che caratterizzano la pratica carismatica, sebbene la fama di don Amorth nell’ambiente dei carismatici a livello nazionale fa sı` che la mediazione delle dirette collaboratrici non sia sempre necessaria per individuare in lui l’esperto che potrebbe chiarire la natura dei propri problemi e risolverli. Quella carismatica appare dunque una sorta di rete informale di mediazione che disegna in parte il bacino di utenza di don Amorth, svolgendo inoltre un ruolo di sostegno sia per coloro che seguono il percorso esorcistico, sia per chi presenta disturbi lievi che secondo l’esorcista possono giovarsi della frequentazione di un gruppo carismatico e delle preghiere in esso praticate. Il ruolo delle assistenti carismatiche non consiste pero` solo nel fungere da tramite con l’esorcista. Alcuni esempi serviranno a delineare come esso si esplica all’interno del contesto esorcistico e le loro singole figure. Lidia, da me conosciuta all’inizio della ricerca, e` la donna che collabora con don Amorth da piu` anni. Come gli altri ha superato i ` stato padre sessanta anni e fa parte di un gruppo carismatico. E Candido, verso il quale ha una grandissima devozione, a dirle che quello di aiutare negli esorcismi era il suo compito. Due dei suoi figli hanno avuto gravi problemi di salute (fisici), e le preghiere del passionista li hanno «guariti»; per esempio, padre Candido individuo` (sentendo un forte calore) la vera sede del male di uno dei figli che dai medici era stata diagnosticata in un’altra parte del capo, come tumore al cervello, senza speranze di guarigione.
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Negli esorcismi di Martina risalta bene una parte del suo specifico contributo durante la pratica esorcistica, che per il resto consiste soprattutto nella preghiera, nel coadiuvare il sacerdote negli aspetti pratici e nel trattenere le persone che si agitano. In uno di questi esorcismi, Lidia si avvicina quando la crisi e` piu` acuta con in mano un crocifisso e due immagini; il crocifisso lo passa al sacerdote anziano presente quel giorno; lei tiene l’immagine della Madonna e la foto di padre Candido; entrambi tengono gli oggetti in prossimita` delle gambe di Martina, una delle parti del corpo dove la donna avverte maggiormente la potenza dell’esorcista e degli oggetti sacri; quando sentira` suonare il campanello e andra` ad aprire, Lidia lascera` le due immagini sulle gambe di Martina. La donna, che prima aveva reagito con un certo fastidio o «ribrezzo» alla vista delle immagini, ora non sembra notare che le sono in grembo. In un’altra seduta Lidia ad un certo punto interviene mettendo davanti al viso di Martina, a non molta distanza, un’immagine della Madonna delle Grazie, che non sembra sortire nessun effetto. In altre occasioni, con soggetti diversi, Lidia usa allo stesso modo la foto di un altro noto esorcista vivente (riprodotta su un cartoncino che ricorda il cinquantesimo anno di sacerdozio), oppure mette a contatto del corpo della persona un rosario o, come faceva soprattutto all’inizio della mia ricerca, le immagini di padre Pio. Con Simona, che conosce molto bene, Lidia discretamente agisce in modo autonomo: alla fine dell’esorcismo le passa sugli occhi e sul viso un tovagliolo imbevuto d’acqua benedetta e poi una bustina di plastica contenente l’olio di S. Lucia. A parte la sua attivita` di servizio, questa assistente non manifesta particolari carismi, a differenza delle altre. Tutte pero` osservano con sospetto catenine e braccialetti delle esorcizzate, su cui in modo esplicito o velato esprimono giudizi di disapprovazione, chiedendo a ` quanto avviene ad esempio con Sara volte di togliere i ciondoli. E che ha appeso alla stessa catenina, accanto al crocifisso, quella che l’esorcista chiamera` mezzaluna musulmana. Franca collabora con don Amorth da oltre 10 anni ed e` la piu` anziana delle assistenti. Fa parte del Rinnovamento Carismatico e, come racconta, non aveva mai pensato di «fare qualcosa per la Chiesa»; un giorno riceve una telefonata da un membro del gruppo di preghiera di cui fa parte anche don Amorth (lei e` in un altro gruppo romano); le dice che lei ha dei doni, dei carismi che possono essere di aiuto all’esorcista. Sapra` poi che il gruppo «aveva fatto il
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discernimento». Ha dunque accettato quello che chiama normalmente un lavoro, cioe` mettere a disposizione i suoi doni. Don Amorth non e` l’unico esorcista con cui collabora: alcuni pomeriggi va da un altro sacerdote. Il carisma che la caratterizza e` la capacita` di «scoprire» se c’e` qualcosa (sottinteso di malefico) in luoghi ed oggetti, per cui si reca anche nelle case (ad esempio interviene nell’abitazione di Sara) o da determinate persone – spesso con Lidia – non solo a Roma ma anche in altre citta` italiane. Tra l’altro, conferma la stretta collaborazione tra i carismatici e l’esorcista, che invia diverse persone ai vari gruppi di preghiera. In mia presenza il suo carisma si e` manifestato ad esempio durante un esorcismo di Marilena, che mostra alcune foto con i familiari (compresa la suocera che sarebbe l’autrice della fattura all’origine del suo malessere) chiedendone la benedizione; Franca, osservandole, sente qualcosa di negativo e chiede di poterne avere una «per pregare»; in realta` e` da quando Marilena e` arrivata che l’assistente si sente male, a causa delle negativita` che avvertirebbe, a detta di Renata, l’altra collaboratrice. L’altra coppia sposata di collaboratori partecipa solo qualche giorno a settimana e da meno tempo a causa dei tanti impegni; e` infatti responsabile di un gruppo di preghiera. Tra i due e` Renata ad avere un ruolo piu` rilevante. Il marito, Enrico, prega e impone a volte le mani a distanza, come le altre carismatiche, in qualche caso tiene il crocifisso in direzione delle esorcizzate, piu` raramente ne tocca il corpo se non per trattenerle quando oppongono resistenza. Renata invece, stabile nella sua posizione accanto alla poltrona degli esorcismi, manifesta diversi carismi, come illustra la descrizione seguente tratta dalle annotazioni relative ad un esorcismo di Sandra. Si tratta di una giovane donna con la fede al dito, magra, dai capelli e la carnagione chiari; e` con i genitori, viene da una citta` campana ed e` gia` stata esorcizzata altre volte. Don Amorth la saluta affettuosamente. Viene fatta stendere sul lettino e i partecipanti (una decina) si posizionano intorno. Sandra comincia subito ad avere un respiro leggermente accelerato – si vede il petto sollevarsi – ma che rimarra` regolare; presto viene accompagnato da un lieve movimento del capo (dall’alto in basso). Emette un lievissimo soffio dalle labbra. Non c’e` bisogno di trattenerla perche´ e` tranquilla: le mani poggiate sul ventre, accetta di buon grado il crocifisso che ad un certo punto le viene messo in mano dall’esorcista. Ci saranno pero` manipolazioni, soprattutto da
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parte di Renata: le tiene una mano sulla gola o sotto il mento, che a volte massaggia in modo carezzevole, cosı` come la tempia destra; queste zone sono individuate come importanti (forse perche´ particolarmente colpite); al momento dell’unzione Renata chiede con un gesto a don Amorth di ungere anche le tempie (lui integra: «Sii munita in tempis») e di insistere sulla gola; anche don Amorth la massaggia un po’. Sandra ne e` un poco infastidita: l’unico tentativo di intervenire lo fa proprio per cercare di togliere la mano dalla gola, ma senza forza e convinzione; desiste subito senza riprovarci. Renata, alla fine (la donna e` ancora distesa) le chiede qualcosa circa la gola; lei replica in modo per me incomprensibile (probabilmente che si sentiva spingere) e Renata: «Io non facevo pressione, altrimenti si sarebbe arrossata e invece, vedi». Piu` tardi, la carismatica accenna alla gola come ad un’«apertura». Franca con una mano tiene poggiato su un ginocchio dell’esorcizzata un rosario (avendo anche cura, poi, di fargli toccare l’altro ginocchio); in un secondo momento terra` la propria mano su quelle della donna. Renata inoltre canta in lingue. Di questo dono29 – una forma di glossolalia – da` prova diverse volte nel corso degli esorcismi: a voce non molto alta, articola suoni che non corrispondono a parole compiute e sensate; talvolta si riesce a individuare la ripetizione di alcuni suoni come «iscia» proferito allungando un po’ la «sc», come un ordine, che potrebbe corrispondere ad un comando rivolto al diavolo; in genere si tratta di un suono «melodioso». Quando canta in lingue Renata tiene la mano nel gesto di imposizione. Nella mia percezione questo canto si contrappone ai suoni «sgradevoli» o alle urla emessi a volte dalle possedute e d’altra parte la sua funzione sembra essere proprio quella di contrastare, in quanto dono dello Spirito Santo e preghiera rivolta a Dio, la loro «voce» diabolica. Una peculiarita` di Renata consiste nel percepire, in presenza di alcune esorcizzate, una «puzza» caratteristica che indicherebbe l’influenza malefica. In alcuni esorcismi, Renata interviene anche in altro modo: apre la sua Bibbia, ne legge qualche passo in silenzio. Piu` tardi esprime un suo parere sul caso in questione (ad esempio che c’e` un problema di non perdono). Si tratta del carisma della profezia unito probabil-
29 Uno dei piu` comuni tra i carismatici (Samarin 1972; Goodman 1973, Csordas 1990: 23-31); vedi, anche per la manifestazione degli altri carismi dello Spirito Santo in un gruppo romano, Talamonti 1991.
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mente a quello del discernimento, anche questi, doni spesso esercitati dai carismatici nelle riunioni di preghiera, soprattutto di guarigione, ma in ambito esorcistico manifestati molto discretamente. Rispetto ai carismi degli assistenti, si sottolinea in genere quello della preghiera ma non si fa mai riferimento esplicito ad eventuali doni di guarigione, spesso centrali negli incontri carismatici30. Allo stesso modo, l’esorcista non alimenta le attese di guarigione delle consultanti centrate sulle capacita` della sua persona ma invita a riporre le proprie speranze nella misericordia e nel potere di Cristo presente nelle sua Chiesa; cosı` sottolinea l’ambito liturgico ed extraindividuale in cui opera l’esorcismo, mantenendosi in linea con le direttive ufficiali31. L’insieme dei fedeli – assistenti e sacerdoti – presenti all’esorcismo rappresenta la Chiesa, che e` corpo di Cristo. Anche la persona sofferente vi appartiene, incarnandone la parte «malata» di cui si chiede la guarigione-liberazione; ma non sempre questa si ottiene perche´ «le sofferenze da sopportare possono avere come senso quello per cui “io completo nella mia carne cio` che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che e` la Chiesa” (Col. 1,24)» (Istruzione... 2000: 5). Da questo punto di vista, il corpo dell’esorcizzata rimanda sia al corpo di Cristo – nelle modalita` che piu` avanti considerero` – sia all’espressione terrena di quest’ultimo, la comunita` ecclesiale, di cui le assistenti rappresentano la parte «sana», svolgendo anche un importante ruolo di mediazione come donne e cristiane. Oltre a coadiuvare don Amorth nella recitazione delle preghiere comuni e a trattenere le persone che si agitano, oltre a rinforzare, con i loro interventi e carismi, l’azione esorcistica, le collaboratrici mostrano infatti che il rapporto tra sacerdote e posseduta necessita di, o 30 Vedi Istruzione circa le preghiere ..., 2000. In un suo testo, pero`, don Amorth si esprime in modo piu` chiaro: «I carismi sono tanti. A noi interessano particolarmente quelle persone che hanno il carisma della liberazione dai mali e dalle presenze malefiche (dono assai raro); o quelle persone che hanno un particolare carisma di discernimento, sia per avvertire le presenze malefiche (per cui sono di utilita` per le diagnosi), sia per percepire le cause, da cui dipendono gli appositi rimedi» (Amorth 1992: 174). 31 La differenziazione tra preghiere di guarigione liturgiche e non liturgiche e` sottolineata dal documento appena citato che intende fare chiarezza sul «fenomeno per certi versi nuovo» «del moltiplicarsi delle riunioni di preghiera» (Istruzione... 2000: 1); l’esorcismo vi e` nominato all’art. 8 delle Disposizioni Disciplinari per ribadire la dipendenza di tale ministero dal Vescovo Diocesano, la distinzione dalle «celebrazioni di guarigione, liturgiche e non liturgiche» e il divieto di inserire preghiere esorcistiche in altre celebrazioni liturgiche (Istruzione... 2000: 5-6).
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e` facilitato da, un termine mediatore che unisca alcune caratteristiche dell’uno e dell’altra. Per il loro essere laiche e radicate nella condizione umana e femminile, si collocano dalla parte della donna sofferente; nello stesso tempo rappresentano anche un modello cristianamente esemplare di femminilita`: sono spose e madri, tranne Franca che pero` si dedica totalmente alla missione di aiutare gli altri. Cio` che le avvicina al sacerdote e` invece la grande fede e il condividere i presupposti ideologici che giustificano l’intervento esorcistico. Innanzitutto le assistenti si occupano dell’allestimento dello spazio rituale contribuendo cosı` alla caratterizzazione di un luogo inizialmente anonimo, in particolare dotandolo degli oggetti profani (bicchieri, tovaglioli di carta) che saranno utili per assistere l’esorcista. Appaiono quindi anche nella fase preparatoria come l’elemento di raccordo tra prescrizioni rituali e preoccupazioni umane per i concreti problemi dello svolgimento del rito. Inoltre, accompagnano le esorcizzande nella stanza degli esorcismi, dirigendo il passaggio introduttivo al rito sull’asse spaziale (dallo spazio genericamente sacro – quando si aspettava il proprio turno in chiesa – o profano a quello specificamente rituale; da quello comune a quello individualizzante) e in genere ripetendo il passaggio contrario alla fine. Collegano cosı` anche due tempi – rituale ed extra-rituale – fungendo da intermediarie tra due dimensioni qualitativamente differenti. Il loro intervento e` quindi senz’altro di sostegno all’esorcista, ma nello stesso tempo e` di aiuto e rassicurante per la donna. Tenendole la mano, ricomponendole la gonna, suggerendole qualcosa, porgendo fazzoletti, le assistenti sono il suo supporto umano, l’ancoraggio terreno nella rappresentazione della lotta metafisica. ` grazie a tali caratteristiche – umanita`, femminilita`, fede – che le E rendono partecipi della varie dimensioni messe in gioco nel rito, che le assistenti svolgono una funzione mediatrice tra spazio-tempo del rito e spazio-tempo extra-rituale, sofferenza umana e sua rappresentazione in termini metafisici, donna esorcizzata e uomo esorcista, aspetto privato e dimensione collettiva del rito.
8. La posizione dell’etnografa Nell’incontro con l’esorcista diocesano si e` subito posta la questione credenza/non credenza ma non nella forma di un rischio di possibile coinvolgimento del ricercatore nel fenomeno religioso che studia,
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tale da fargli sperimentare «uno stato di credenza inconscia» che si sovrappone alla non-credenza della sua posizione di etnografo (cfr. Harding, cit. in Apolito 1990: 40-41). La partecipazione agli esorcismi non mi ha creato il problema di «credere» alla realta` della possessione diabolica, piuttosto quello di partecipare secondo modalita` che non avevo scelto e che mi presentavano come credente mio malgrado. Invece il credere, la fede, mi veniva richiesta dall’esorcista come una condizione necessaria per l’osservazione del rituale. Mi aspettavo di incontrare un ostacolo del genere che rendeva evidente la distanza tra la mia prospettiva e quella dell’esorcista. Avevo deciso di mantenere una posizione ambigua che senza pregiudicarmi il proseguimento della ricerca mi permettesse di conservare un certo distacco critico. In concreto cio` ha significato non negare ne´ ammettere esplicitamente di credere, ma «confessare», in seguito ad una precisa domanda diretta, di non avere quella grande fede che l’esorcista richiedeva. Don Amorth mi ha classificato, senza troppo indagare, tra i cattolici poco praticanti ed io non ho ritenuto opportuno cambiare la sua opinione nella speranza che alla fine mi ammettesse agli esorcismi. Accettando di parlarmi dei suoi criteri diagnostici, delle classificazioni dei vari tipi di intervento diabolico etc., comprendeva la mia esigenza conoscitiva, ritenendola forse un altro modo di allargare l’interesse intorno a tali fenomeni, secondo lui trascurati. Ma negandomi inizialmente la partecipazione ai riti, a causa della mia poca fede, ribadiva che l’unico punto di vista valido da cui possono essere considerati e` quello della fede nella realta` dell’azione del diavolo. All’inizio mi chiedevo anche se non tradisse la preoccupazione che uno sguardo esterno sulla prassi effettiva potesse mettere in qualche modo in discussione la sua autorita` di esorcista; in seguito, frequentandolo, mi sono convinta che cosı` non era. Comunque, secondo lui, non era giustificabile agli occhi degli esorcizzati, la presenza nel contesto esorcistico di una persona estranea che non fosse motivata almeno dal desiderio di aiutare con le proprie preghiere la riuscita dell’esorcismo. Lo stato di estrema sofferenza di queste persone, l’incomprensione in quanto «posseduti» che in genere li circonda, li porta a nascondere i loro problemi, a non desiderare sguardi estranei. Cio` rendeva altamente improbabile che acconsentissero a parlare con me anche fuori dal contesto esorcistico. L’altra mia richiesta riguardava infatti la possibilita` di incontrare alcune delle persone che vengono esorcizzate dal sacerdote, per
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sapere che tipo di problemi le hanno condotte dall’esorcista, se sono ricorse ad altri mezzi per risolverli (magia, medicina), quali tipi di interpretazioni sono state avanzate, chi eventualmente ha assunto la funzione di «annunciatore» (Favret-Saada 1977: 24 e 38) del loro stato di «posseduti», se e che tipo di benefici hanno ricevuto dall’intervento esorcistico. Ho formulato la richiesta in modo generico, spiegando l’importanza di conoscere le loro dirette esperienze e assicurando la massima discrezione e la loro non riconoscibilita`. L’esorcista avrebbe provato a saggiare la disponibilita` di alcuni suoi «pazienti». Ho dovuto quindi affidarmi alla sua mediazione32. Rispetto all’osservazione degli esorcismi, dopo rinnovate richieste, l’esorcista ha permesso la mia partecipazione ma a determinate condizioni e per un numero molto limitato di volte: poteva giustificare la mia presenza di fronte agli esorcizzati solo come quella di una persona che partecipa con le sue preghiere. Mi ha fatto scegliere un giorno tra i due che mi proponeva, evidentemente ritenendo che ci fossero casi dal suo punto di vista significativi e da me osservabili. Dopo la prima volta, ho preferito ritornare le successive nello stesso giorno della settimana: dal momento che diverse persone si recano dall’esorcista settimanalmente in un giorno prestabilito, potevo riosservare gli stessi casi oltre ad altri che si presentavano per la prima volta. Cio` mi ha dato modo di rilevare sia il tipo di comportamenti ed eventuali variazioni durante l’esorcismo tenuti dai primi, la cui diagnosi era gia` stata formulata precedentemente dall’esorcista, sia le modalita` in cui viene invece formulata al primo incontro. La posizione che mi e` stata assegnata – quella di «persona che prega» – come l’unica possibile per assistere alle sedute, ha notevolmente condizionato il tipo di osservazione e gli strumenti adottati. Innanzitutto ha escluso l’uso di qualsiasi forma di registrazione nel contesto, con appunti o registratore a cassette33. Ho cercato di fissare nella memoria il maggior numero possibile di elementi che facevano parte del contesto esorcistico per scriverli appena possibile. Ha comportato inoltre un tipo di atteggiamento conforme: recitare preghiere quando era richiesto, non poter fare domande. 32
Per quanto riguarda questo aspetto, all’inizio ho ottenuto solo la possibilita` di incontrare una donna liberata dopo numerosi esorcismi. 33 Ho ritenuto inopportuno ricorrere ad un registratore nascosto data la facilita` con cui sarebbe stato scoperto in una situazione con pochissime persone – in genere l’esorcista, la sua assistente e l’esorcizzato –, scoperta che avrebbe irrimediabilmente precluso la continuazione della ricerca.
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Dal momento che non avevo manifestato in nessun modo la «grande fede» richiesta, i motivi che infine hanno portato l’esorcista ad acconsentire che assistessi alle sue sedute rimangono poco chiari. In ogni caso la scappatoia alla quale e` ricorso, mettendomi nella posizione di una fedele, mi e` sembrata rispondere ad una preoccupazione preventiva rispetto a possibili contestazioni degli esorcizzati. Di fatto, non risulta che nessuno abbia chiesto spiegazioni della mia presenza, ne´ sono stata presentata in alcun modo. In realta`, costringendomi ad assumere un determinato ruolo l’esorcista mi poneva dei limiti precisi: non potendo accedere ai soggetti interessati in quanto ricercatrice, avevo la possibilita` di considerare solo il suo punto di vista, quello dell’autorita` competente e legittima, che conduce il rituale. Tutto cio` ha presentato almeno un vantaggio: non riconoscibile nel mio vero ruolo dagli attori del rituale – a parte l’esorcista – la mia partecipazione non ha alterato gli eventi che osservavo essendo percepita come omogenea34. Cio` che ora e` importante rilevare, e` che la parte che ho assunto mi ha permesso l’osservazione degli esorcismi nel loro svolgimento pressoche´ «normale». In qualche caso, inoltre, ne e` conseguito un tipo di partecipazione che sarebbe stata impossibile nel ruolo riconosciuto di ricercatrice e che credo mi abbia consentito di avvicinarmi di piu` all’oggetto della ricerca. Mi riferisco alla richiesta di aiutare l’esorcista e la sua assistente a trattenere le persone che si agitavano durante il rito. Spazialmente collocata in una posizione diversa, accanto all’esorcizzata, ho potuto spostare la prospettiva di osservazione, cioe` vedere molto da vicino gli attori del rito e le azioni compiute. Ma non si e` trattato solo di «vedere», ho potuto (dovuto) «toccare» e nell’unico modo che il contesto permetteva: usando la mia forza contro quella dell’«indemoniata» che resisteva al prete. Offrendomi questa possibilita` l’esorcista mi coinvolgeva piu` di quanto forse desiderassi, costringendomi ad assumere un ruolo attivo e a schierarmi implicitamente dalla sua parte nella lotta anche fisica contro il diavolo che possedeva quel corpo. In quest’occasione soprattutto ho avvertito il problema della sovrapposizione tra la «“parte” di spettatore attivo omogeneo ai fatti» e «“l’identita`” di ricercatore» di cui parla Apolito (1990: 39 e sgg.). Umanamente e 34
Credo che solo alcuni atteggiamenti dell’esorcista – l’unico a conoscere la mia vera identita` – siano stati, anche se debolmente, influenzati dalla mia presenza.
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fisicamente vicina alla persona sofferente che le mie mani trattenevano, mi chiedevo che senso aveva quello che facevo e la mia presenza lı`. Misuravo tutta la mia estraneita`. Consapevole che la posizione dell’etnografo e` il risultato delle dinamiche e dei rapporti di forza tra tutti i soggetti in campo e che non va esclusa dall’oggetto di indagine, come Favret-Saada, ad esempio, ha dimostrato35, ho cercato di inserirmi in modo discreto nel contesto esorcistico accettando la parte – con relativi limiti e vantaggi – che mi veniva proposta e interrogandomi nello stesso tempo su di essa. L’osservazione di un rito in azione, che e` stato il mio obiettivo principale di ricerca, si e` svolta dunque assumendo una posizione di bilanciamento tra partecipare e osservare. D’altra parte, una «altra etnografia» delle credenze, a partire da Favret-Saada, e` possibile anche senza le implicazioni soggettive radicali della prospettiva adottata da quest’antropologa, che pratica e teorizza l’«eˆtre affecte´» (Favret-Saada 1990). Alcuni interessanti esempi si trovano nel numero della rivista Terrain dedicato a L’incroyable et ses preuves (1990, 14). Come sostiene Lenclud nel saggio introduttivo, che propone una revisione critica della categoria stessa di «credenza»36, «praticare un’altra etnografia, e` innanzitutto rifiutare di scambiare in maniera dissimulata, o per norma metodologica, il contenuto proprio di un sistema con una logica di comprensione esterna». Per comprensione esterna egli intende «l’operazione che fa a meno della comprensione interna ricorrendo, per esempio, a determinazioni esclusivamente sociologiche (sociologismo) o psicologiche (diagnosi di delirio individuale o collettivo)». Si tratta invece di mantenere uniti «il contenuto e la sua comprensione che risiede quasi interamente nella sua descrizione» (Lenclud 1990: 13). Cio` significa, dal punto di vista dell’etnografia, «prendere sul serio» i contenuti delle credenze costitutive del sistema osservato, «condizione d’accesso – secondo Olivier de Sardan (1995: 86) – alla logica e all’universo di senso di coloro che l’antropologo studia» e premessa per combattere i propri pregiudizi e preconcetti; significa anche rifiutare il criterio del vero e del falso (cfr. Lanternari 1994, Leiris 1988, Me´traux 1955) e riservare un’attenzione minuziosa a tutti i piu` piccoli dettagli di cio` che viene detto e fatto.
35
Favret-Saada 1977; Favret-Saada e Contreras 1981. Vedi anche Rabinow 1988. Cfr., su questo tema, Pouillon 1988; Sperber 1984 (cap. Le credenze apparentemente irrazionali); Boureau 1991; Bazin 1991, che si riferisce al numero di Terrain citato. 36
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Anche per l’analisi del rito, comunque, i lavori di Favret-Saada e Contreras sui dispositivi di «de´sorcelement» rappresentano un utile punto di riferimento (Favret-Saada e Contreras 1985; Contreras e Favret-Saada 1988, 1990). Come sottolinea Charuty, essi hanno mostrato, ad esempio, che da parte del terapeuta e del paziente c’e` lo stesso «occultamento dei procedimenti da cui dipende la riuscita della cura». L’efficacia del «de´sorcelement» – come, in parte, quella dell’esorcismo – appare fondata su «procedimenti di suggestione ipnotica»; ma – si domanda Charuty – se quest’ultima «costituisce la risorsa comune delle cure magiche, non si perde l’originalita` di ogni configurazione culturale trascurando l’analisi delle reti semantiche che strutturano i rituali?» (Charuty 1992: 106-107). Il concetto di «suggestione ipnotica» infatti, piu` che fornire una spiegazione cela specifici modi d’interazione che richiedono di essere dettagliatamente descritti. Qualunque sia la posizione assunta dal ricercatore sul campo, tali indicazioni di metodo che orientano verso un’etnografia minuziosa appaiono particolarmente stimolanti e feconde.
2 IL CORPO DI SARA
1. Sara Abbiamo gia` incontrato Sara nel corso di un suo esorcismo, descritto all’inizio di questo testo. Ora vorrei riportarne la storia per enucleare alcuni aspetti che, pur nella loro singolarita`, sono utili ad intrecciare i fili di un discorso che riguarda tante altre persone sofferenti incontrate. Non si trattera` di una ricostruzione completa della storia di Sara, ma – lasciando a lei la parola – estrapolero` dai suoi racconti alcuni temi e elementi che appaiono particolarmente interessanti: la descrizione della prima crisi, la cultura familiare magico-religiosa, i molteplici mali e la pluralita` dei percorsi terapeutici, l’infestazione diabolica, il suo rapporto con il corpo, il processo di guarigione1. 1
Sul rapporto tra narrativita` e malattia vedi Good 1994: 135-165. Sui problemi relativi all’uso da parte degli antropologi delle informazioni/narrazioni raccolte nella relazione etnografica, che riguardano il tema della scrittura etnografica e della riflessivita`, la letteratura antropologica e` ampia e non riprendero` qui il relativo dibattito. Ricordo soltanto che e` ormai acquisito che l’«Altro» e` una creazione o costruzione del lavoro antropologico, in cui il momento della scrittura e` parte fondamentale. Sui possibili modi di raccontare una storia, che variano a seconda dello scopo e del pubblico a cui ci si rivolge, cfr. Wolf 1992. D’altra parte, gia` De Certeau negli anni ’70, e proprio in relazione alla possessione, aveva sottolineato che il ricercatore parla al posto dei soggetti che prende in considerazione: «il discorso demonologico, il discorso etnografico o il discorso medico assumono nei confronti della posseduta, del selvaggio e del malato una stessa posizione: “So meglio di te quello che dici”, cioe` “Il mio sapere puo` mettersi al posto da cui tu parli”. Ora, quando la posseduta parla questo linguaggio che le si impone e che si mette al suo posto, il discorso alienante ma necessario che lei fa, porta la traccia – la “ferita” – dell’alterita` che il sapere pretende di ricoprire» (De Certeau 1977: 265). Cfr. la posizione di Crapanzano relativa all’incontro etnografico: «Ribadisco comunque che non e` mai possibile entrare in contatto con una persona, in qualsiasi situazione sociale, senza costruire una rappresentazione (che e` sempre decontestualizzata) del soggetto di questo incontro; ne´ e` possibile, utilizzando le nozioni romantiche del dialogo, sfuggirne con la pretesa di dare “voce all’altro”. Anche in tal modo, si costruira` sempre e inevitabilmente, una rappresentazione della voce dell’altro, cosı` come
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Sara, che vive vicino Roma, nasce nel 1963 in una famiglia di ` la seconda di 5 figli; ha una sorella maggiore di 1 commercianti. E anno piu` grande, e 1 sorella e 2 fratelli minori. Tutti lavorano nel ` sposata ed ha tre figli di 13, 10 e 2 negozio di alimentari del padre. E anni e mezzo2. Si descrive come una bambina e un’adolescente allegra, vivace, socievole, testarda, dispettosa, insofferente agli ordini. Ha lasciato la scuola dopo la terza media. Sostiene di non aver avuto forti conflitti in casa3; riferendosi al fatto che i genitori le compravano tutto quello che desiderava (fa l’esempio di abiti), ritiene di essere stata forse un po’ viziata, come anche gli altri fratelli. Al momento di iniziare la vita matrimoniale, non ancora maggiorenne, cio` le ha creato qualche problema. Cosı` lo racconta: All’inizio, appena sposata me so’ trovata male, perche´ magari tutto quello che ci avevo dentro casa mia all’inizio non lo potevo ave’ [...] Allora non ci avevo mai avuto da pensa’: devo paga’ la bolletta della luce, e chi ci aveva mai pensato a ’ste cose! All’inizio me so’ trovata, che ne so, dopo un po’ col ragazzino piccolo, lavalo, vestilo, pulisci casa, piu`... [dopo] ci ho avuto sempre ’sta donna che ci ho adesso, che viene tutti i giorni della settimana meno che il sabato. All’inizio io so’ sempre stata al negozio e non sapevo come se metteva la lavatrice, non ho mai lavato un piatto perche´ pure da mamma abbiamo sempre avuto una donna fin da quando eravamo piccole piccole, anzi, due ce n’avevamo: una che ce guardava e una pe’ dentro casa. Non sapevo fa’ niente! [...] Io a 18 anni non avevo mai spazzato per terra dentro casa.
Sebbene sia lei che il marito si adatteranno, collaborando, per far fronte ai nuovi impegni, il ruolo della casalinga a tempo pieno non piace a Sara:
ho fatto con Tuhami, sia rappresentandone la voce che i nostri incontri» (Crapanzano 1995: 12-13). Clifford ritiene che «[...] non sara` piu` possibile considerare innocenti ne´ l’esperienza, ne´ l’attivita` interpretativa del ricercatore scientifico. Diverra` inderogabile concepire l’etnografia non come esperienza e interpretazione di una circoscritta realta` ‘altra’ ma, piuttosto, come una transazione costruttiva coinvolgente almeno due, e di solito piu`, soggetti consapevoli e politicamente intenzionati» (Clifford 1993: 58). Il recente testo di Romano (2004) – uscito quando il presente lavoro era gia` concluso – offre un interessante esempio di scrittura antropologica sulla possessione che tiene conto della dimensione dialogica dell’esperienza etnografica. 2 Questo tipo di dati si riferiscono al momento in cui raccolgo la storia, nel 1995. 3 In un colloquio, pero`, la sorella maggiore accenna ad un episodio avvenuto quando Sara aveva 14 anni: prese molte «pasticche» dopo una lite con il padre.
IL CORPO DI SARA
So’ stata a casa un pochino, poi so’ tornata al negozio perche´ a casa non ce sapevo stare proprio, il pomeriggio portavo il bambino, ci aveva un anno e mezzo, quasi due anni, due anni ci aveva, lo portavo al negozio pure a lui, tanto siamo tutti fratelli e sorelle, tutti di noi, insomma, eravamo tanti perche´ siamo 5 fratelli e sorelle, piu` mamma con papa` eravamo 7, non c’era il problema de guardarlo; poi, quando lo volevo lascia’ da mia suocera me lo teneva lei, abita insieme con mia cognata, una sotto una sopra, non ci avevo il problema de lascia’ i bambini, non ce l’ho mai avuto; se volevamo uscire di sera, stavano da mamma o stavano con mia suocera, li lasciavamo a dormire lı`.
A dire di Sara sia la famiglia di origine che quella acquisita l’hanno sostenuta in vari modi nel corso degli anni, incluso il lungo periodo in cui ha accusato i piu` vari disturbi. Anche il marito si e` sempre dimostrato una persona comprensiva, disponibile, che collabora in casa e si occupa dei bambini; e` rimasto vicino a Sara anche nei momenti piu` difficili, quando tutti gli dicevano che la moglie era pazza. Ma il forte legame che Sara mostra di avere con la famiglia di origine emerge soprattutto in relazione ad alcune figure femminili della linea di parentela materna. Un ruolo centrale nella vita di Sara lo ha avuto una zia (sorella della madre) a cui lei e` stata legata da grandissimo affetto e con la quale ha passato buona parte del suo tempo. Come si vedra`, il rapporto con la zia la segna fortemente ed e` importante per la storia successiva di alcune particolari esperienze; la zia, infatti, ha capacita` medianiche e la «inizia» a pratiche spiritiche. Oltre alle capacita` «paranormali», accomunerebbero le due donne crisi psichiche anche violente – per un periodo della loro vita – e una vocazione artistica. La cultura magica familiare femminile di cui Sara partecipa e si appropria risale almeno alla nonna materna che continuera` anche dopo morta, sotto forma di spirito, a intervenire nella vita familiare, per esempio anticipando a Sara fatti che devono ancora accadere. Sara e` molto affezionata anche ad un’altra sorella della madre, con problemi mentali, che vorrebbe far tornare in famiglia dall’istituto dove si trova ricoverata. Sara si sottopone regolarmente alle sedute esorcistiche con don Amorth da circa due anni, dopo essersi saltuariamente rivolta ad altri esorcisti ed aver intrapreso altre strade medico-psichiatriche per tentare di risolvere i propri problemi di salute. L’ultimo disturbo presentato, comparso proprio nel periodo in cui si erano intensificati
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i rapporti dei ricercatori4 con lei, e` una sorta di paralisi agli arti inferiori, che peraltro muove agevolmente durante gli esorcismi senza averne consapevolezza. Ma molteplici e mutevoli sono i problemi che ha accusato nel corso degli ultimi dieci anni della sua vita, senza trovare vero giovamento nelle diverse cure mediche prescritte. A questo proposito, va subito messo in rilievo un aspetto che sara` piu` avanti illustrato: Sara si definisce una «paziente dispettosa», «perche´ proprio per le cure, prima vado in cerca delle cose e poi le faccio a meta` o non le faccio». Al susseguirsi e modificarsi dei disturbi si accompagna dunque una varieta` di terapie che la donna a volte interrompe o mescola, sia a livello farmacologico che come tipo di operatori (medici, psichiatrici, magici, religiosi) a cui si rivolge per la diagnosi e la cura. In questo intreccio o alternanza di diverse interpretazioni dei mali e relative terapie, la lettura in termini diabolici, sebbene avanzata abbastanza precocemente, sara` pienamente accettata da Sara solo dopo l’incontro con don Amorth e la «verifica» dell’efficacia degli strumenti esorcistici; anche se essa assume agli occhi di Sara il valore di spiegazione plausibile proprio in quanto la relativa «terapia» risulta produttiva, tanto da abbandonarne altre, meno evidente e certa e` l’esclusivita` che si prospetta per il futuro nell’ultimo periodo della mia osservazione etnografica. La paralisi alla gambe, infatti, induce Sara a ricercare anche altri trattamenti medico-estetici, oltre agli esorcismi; alcuni suoi accenni ad un prossimo scavo interiore per individuare eventuali traumi all’origine dei suoi mali, inoltre, lasciano supporre che nella sua inquieta ricerca di cura, che e` innanzitutto ricerca di senso, Sara possa intraprendere di nuovo strade diverse, forse parallele al percorso esorcistico. La frequentazione di specialisti diversi, la familiarita` con terapie di vario tipo, hanno lasciato tracce nel linguaggio di Sara, che risulta una miscela di termini medici, farmacologici, psicologici, spiritici, religiosi, usati in genere in modo appropriato e inseriti in un modo di parlare fortemente segnato da inflessioni romanesche. Il primo colloquio con Sara avviene dopo aver piu` volte assistito ai suoi esorcismi; accetta di parlare, su suggerimento di don Amorth, per portare una «testimonianza». Quando le chiedo cosa si aspettava dal colloquio, Sara e` netta nel rispondere: non intendeva chiedere 4
Io, antropologa, lo psichiatra con cui partecipo alla ricerca in questa seconda fase, e altri suoi collaboratori.
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alcun tipo di aiuto (medico o psicologico) ma portare una testimonianza della malattia ai ricercatori5 che stavano conducendo uno studio; pensava che sarebbe stata utile anche per altri. Considerato che Sara era stata consigliata dall’esorcista, frequentava da anni l’ambiente esorcistico e da qualche tempo piu` direttamente anche quello del Rinnovamento Carismatico, credo che il termine «testimonianza» vada inteso nella doppia accezione di «deposizione fatta in qualita` di testimone» (in senso esteso: «attestazione, dimostrazione, prova che rende atto di qualcosa») e di «condizione propria del cristiano che, attraverso il pensiero e gli atti, vive l’Evangelo» (Vocabolario della lingua italiana Zingarelli, 1996). Come indica anche un brano di un colloquio piu` avanti citato, Sara si trova lı` per testimoniare, da cristiana che la vive sulla propria pelle, la realta` del male diabolico6. Per quanto riguarda la metodologia di raccolta dei dati relativi a Sara, essi provengono da tre tipi di incontri che si differenziano essenzialmente per la sede, le finalita`, le tecniche di raccolta, il numero dei presenti. Innanzitutto gli esorcismi: l’osservazione delle sedute esorcistiche di Sara risale a prima dei colloqui individuali (ed e` proseguita anche dopo) e le note relative ai dialoghi e ai comportamenti tenuti in quella sede (compresi quelli precedenti e seguenti il rito vero e proprio) sono stati annotati – come in tutti i casi – immediatamente dopo la fine delle sedute della giornata. Una volta proposto e accettato dall’esorcista l’uso della videocamera, tre degli esorcismi di Sara sono stati filmati con il suo consenso. La maggior parte dei dati sulla sua storia provengono pero` dai due colloqui tenuti in «clinica»7 – il primo con me e il secondo condotto dallo psichiatra in mia presenza – e da altri colloqui avvenuti a casa di Sara8: io vi ho trascorso da sola una giornata, registrando la maggior parte dei dialoghi e annottando successivamente quanto detto o avvenuto nei momenti piu` informali; questo tipo di incontro ha permesso di chiarire alcuni punti oscuri dei primi racconti e ha fatto emergere altri ricordi, vicende e considerazioni utili alla ricostruzione 5 In realta`, Sara inizialmente crede che io sia un medico; la informo di essere un’antropologa nel corso del primo colloquio, condotto solo da me. 6 D’altra parte, in una dinamica diversa, anche il mio primo colloquio con un’esorcizzata – Vittoria – , risalente a qualche anno prima, aveva per lei, sostanzialmente «guarita», il carattere di una testimonianza. 7 Mi riferisco alla sede universitaria, chiamata generalmente «clinica», presso la quale si sono tenuti alcuni dei colloqui con le esorcizzate e le psicoterapie. 8 In tutti i casi ho effettuato registrazioni su audiocassette.
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della storia. Sempre a casa di Sara sono stati effettuati dagli psichiatri test psicodiagnostici e una visita neurologica (la donna presentava in quel periodo la paralisi agli arti inferiori) in 4 incontri, a due dei quali ho partecipato anch’io. I racconti raccolti da me potrebbero essere definiti con il termine «sequenze di vita», utilizzato da Olivier de Sardan (1995: 82) per indicare «racconti di episodi biografici limitati scelti in funzione della loro pertinenza per la ricerca», ovviamente diversi dalla storia di vita. Nel mio caso, pero`, la scelta dei temi o episodi da narrare non e` stata sempre e solo guidata dell’antropologa, per due ragioni. Innanzitutto il primo racconto ha la caratteristica di essere impostato da Sara stessa in base alle idee che lei si era fatta del tipo di contributo che poteva dare e delle aspettative dei ricercatori; inoltre, quando e` presente, e` lo psichiatra a condurre il colloquio indirizzando i racconti secondo la sua finalita` di ricerca e/o intervento e la sua specifica prospettiva.
2. Il corpo di Sara Nei racconti di Sara emerge con particolare risalto un tema che anche l’analisi del processo esorcistico mette in luce partendo da una diversa prospettiva: la centralita` del corpo. Mentre piu` avanti dedichero` un apposito capitolo all’esame delle principali implicazioni che riguardano il corpo sul piano della concreta manipolazione rituale, dei presupposti teologici e della concezione della persona che ne consegue, ora lascio che Sara narri con le proprie parole alcuni aspetti del suo rapporto con il corpo. Sebbene esso sia presente in tutta la sua storia, in particolare laddove racconti vicende di malesseri e malattie, alcuni ambiti toccati da Sara nella sua narrazione possono essere isolati al fine di illustrare l’importanza che da vari punti di vista il corpo assume soprattutto in relazione alla sua possessione. Ancora prima che con le parole, pero`, e` con il suo stesso aspetto e atteggiamento che Sara manifesta una particolare attenzione per esso: sempre curata nell’abbigliamento, nel trucco, nell’acconciatura dei capelli, che si rechi dall’esorcista o stia in casa, in carrozzella o meno, Sara da` l’impressione di muoversi con la consapevolezza e forse il piacere di essere osservata. I suoi racconti confermano quest’attenzione, che ovviamente ha avuto un peso diverso nelle varie eta`.
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Complessivamente, l’immagine che appare e` quella di un corpo piegato su se stesso, assorbente e restringibile – ad esempio nelle diete a cui periodicamente si sottopone –, ricettivo e plasmabile – come mostra la sua adesione essenzialmente corporea alla lettura esorcistica –, messo in scena nel concorso di bellezza a cui partecipa e drammatizzato nelle crisi di tipo psichico come in quelle di possessione. Un corpo post-moderno, insomma, che declina il malessere in una molteplicita` di forme, rappresentando diverse sintomatologie e accogliendo varie terapie. Il corpo posseduto di Sara si inscrive quindi nella millenaria storia della lotta contro il diavolo di cui eredita le modalita` di espressione (soprattutto tramite la tradizione rappresentata dal rito esorcistico), che convivono con quelle altrettanto antiche di una cultura magico-spiritistica popolare, ma nello stesso tempo puo` assumere – accettandoli o meno – le fattezze e i comportamenti che la lettura medico-psichiatrica gli propone con le sue diagnosi (si pensi al corpo dell’«isterica») senza peraltro rinunciare a quelle aspirazioni (essere curato, in forma, attraente) di donna «moderna» che vive un tempo in cui l’apparire sembra avere un valore fondamentale. Questa mescolanza, giustapposizione, ibridazione di esperienze, espressioni, stili, linguaggi corporei, e` il tratto che caratterizza Sara e in maniera forse meno marcata ed evidente anche le altre possedute. Un tratto post-moderno, appunto, riconoscibile non solo nelle forme piu` o meno estreme dei corpi-cyborg virtuali e tecnologizzati, ma altresı` nella figura attuale della posseduta che potrebbe sembrare appartenere a un universo simbolico di desuete sopravvivenze e invece coniuga passato e presente in una sintesi problematica e complessa.
2.1 Il corpo messo in scena La messa in scena del corpo riguarda almeno due ambiti e presenta due caratteri distintivi. Da una parte c’e` la performance durante il rito esorcistico, in cui il corpo incarna l’alterita` diabolica con toni drammatici, mostrando la sofferenza provocata dall’ospite; alla descrizione gia` fornitane in precedenza aggiungero` tra poco quella che Sara stessa da` di alcuni momenti delle sedute, mentre nella seconda parte del testo procedero` all’analisi del rito. Ci troviamo qui nell’ambito del corpo «malato», nella variante di corpo posseduto, in cui si
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colloca la piu` ampia storia di disturbi variamente affrontati. Dall’altra parte c’e` l’«esibizione» del corpo nelle forme piu` profane, quotidiane, ludiche: la cura dell’aspetto, le diete, il concorso di bellezza... Questi due campi, distinti a scopo descrittivo, sono in realta` strettamente intrecciati: le varie forme di messa in scena si susseguono e alternano a seconda dei momenti, delle occasioni, dell’eta` in un fluire che piu` che operare distinzioni tra di esse le presenta come un coacervo di rappresentazioni di un corpo – con forti connotazioni di genere – che cerca la propria dimensione e collocazione. Lasciamo la parola a Sara, per vedere il secondo aspetto della messa in scena del corpo. Ecco come riferisce di un episodio accadutole durante la vacanza in Spagna fatta con un’amica, che finira` appunto con un ricovero ospedaliero: Cominciamo a girare un po’ per il posto; c’era un concorso di bellezza, passavano dei ragazzi sulla spiaggia a sceglie le ragazze e mi prendono per ’sto concorso. Ho detto: «Ma guarda, io non voglio fa’ nessun concorso, non me serve niente, io so venuta qui pe’ sta una settimana a riposo, non pe’ venimme a strapazza’». Dico: «Non me serve». «No, devi venire, devi venire», c’era un italiano in mezzo; dice: «Non c’e` neanche un’italiana in mezzo». Dico: «Ci sta l’amica mia, prendete a lei». Dice: «No, ma lei non ci ha l’altezza giusta» – era un po’ rotondetta – «Tu ci hai le misure perfette...». «Eh be’, so’ un osso! Quali misure perfette!», pesavo 47 Kg, portavo la 38-40! [...] A un certo punto l’amica mia: «Convinciti» e dai e dai e dai, e be’ quella sera andiamo lı`, non sono neanche andata a fa’ le prove, niente, andiamo lı` per andare a vede’ sto concorso, dato che c’e` andiamocelo a vede’. Me mettono in mezzo, come se niente fosse: «No, devi partecipa’», m’hanno dato ’sto costume che te danno loro, era un bikini, un tanga, me danno ’sto coso, dice: «Adesso bisogna sfilare prima in passerella, poi dopo che avete sfilato dovete ballare un quarto d’ora sulla pista a tempo di samba, da sola». Io facevo scuola di ballo, a me... non... [quasi ridendo].
Ti piaceva ballare? – le chiedo. Sı`, io ho fatto scuola di liscio e di latino-americani, percio` non e` che me metteva paura famme un pezzetto de samba da sola. [...] Insomma poi, da lı`, m’ero levata ’sto costume, ero andata dentro al camerino, me so’ tolta i vestiti che ci avevo, me so’ messa ’sto costume; ho sfilato insieme a ’ste ragazze, eravamo 150, l’unica italiana, erano tutte inglesi, tedesche, svedesi, scozzesi, spagnole, ero l’unica italiana. Insomma, facciamo ’sta passerella, rientro prima nelle prime 100, poi nelle prime 50, nelle prime 25, tutte a scalare. Dico: «E quando me buttano fuori qua, non esco mai da qua, non vedo l’ora de levamme!»,
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[ridiamo] perche´ nun m’annava proprio. Va be’, poi dopo ci fanno risfila’ un’altra volta, eravamo una... 15, poi 10, poi ci hanno fatto ballare a tempo di samba; ogni volta dovevi fa’ sto quarto d’ora a tempo de samba; ho ballato, a un certo punto rimango tra le prime tre; «meno male – dico – mo’ esco!», e invece no: esce la terza, esce la seconda e so’ arrivata prima! Su 150 ragazze, era una bella soddisfazione arriva’ prime.
Sara dice che all’epoca aveva 24 anni, poi, stimolata da me (che le ricordo: «Ma tu prima dicevi che eri un po’ deperita, cioe`, che volevi andare per...») continua: Sı`, io ci avevo avuto, ero uscita dall’ospedale da 20 giorni, avevo avuto un deperimento organico, nell’87, dovuto a una dieta, perche´, ero magrissima, la fissa che uno ci ha quando se vede grossa. Perche´ pesavo 54 kg, io il peso forma mio so’ 60 kg, so’ alta 1 e 67, devo pesa’ 60 kg, il dietologo m’ha detto; stavo gia` sotto peso, ho partorito della 9 bambina , dopo poco che ho partorito, io l’ho allattata fino a quasi un anno, allattavo e non mangiavo, prendevo un caffe` al giorno, tutte le mie sostanze se l’e` prese lei. Un giorno m’hanno trovato svenuta, m’hanno portato all’ospedale, deperimento organico, m’hanno messo in flebo, varie cose. [...] Non volevo ingrassare perche´ io me vedevo grossa, e invece mi dicevano: «Sembri la morte, sei secca allampanata! Ma dove te vedi grossa?». Che ne so, era una fissa mia, io so’ stata sempre fissata pe’ il peso forma, pe’ esse precisa di peso..., cosı`. Quando so’ rientrata [dalla vacanza], m’ero ripresa un pochino, dopo avevo ripreso 7 kg, [...] quando stavo lı` che ho fatto il concorso di bellezza ero arrivata a 55 kg. Praticamente, 12 kg meno di adesso, so’ tanti.
Nel periodo in cui raccolgo la sua storia Sara e` a dieta, seguita da un dietologo. Dice: So’ calata 6 kg e mezzo, da quando ho cominciato la dieta gia`. [...] Perche´ riporto il 44 da 48-50, l’ho portata quasi 8 mesi ’sta taglia, eh, che m’ero ingrassata tanto, in un anno li ho presi ’sti kg. Mo’ so’ riscesa pero` me mancano ancora un po’ de kg, me mancano 4-5 kg pe arriva’ al peso forma proprio.
Qualche giorno dopo tocchera` lo stesso argomento con lo psichiatra:
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La secondogenita.
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Quando sono stata male sono dimagrita tantissimi kg, proprio andavo giu` facilmente; come sono andata da padre Amorth, non me spiego ’sto fatto, io ho ingrassato 12 kg. Perche´ ho cominciato a mangia’, o forse me sentivo bene, che ne so; mo’ dal 1 febbraio sto a dieta, [...] una dieta un po’ strettina. Dei momenti ci ho sprazzi de fame perche´ me vengono. Praticamente ho tolto pane, pasta, dolci, zucchero, patate, riso e formaggi; mangio carne, pesce, verdura e frutta, e caffe` Hag, perche´ dice che Hag ingrassa di meno del caffe` normale. [...] Voglio riprende la linea di prima, insomma [conclude ridendo].
Questo rinnovato accentuarsi dell’interesse per l’aspetto fisico sembra conseguente al complessivo miglioramento del suo stato attribuito al trattamento esorcistico e non sara` essenzialmente intaccato dall’evento che di lı` a poco la colpira`: la paralisi agli arti inferiori. Sara, infatti, non solo continuera` la dieta ma iniziera` un trattamento laser e massaggi alle gambe; manifestera`, inoltre, ai ricercatori un certo fastidio per le critiche al suo modo di fare (uscite, trucco del viso, interesse per i vestiti) avanzate da membri del gruppo carismatico che frequenta.
2.2 L’osservazione del male L’attenzione al proprio aspetto fisico, che passa anche attraverso la cura della linea e dell’abbigliamento, presenta altri risvolti che affiorano nei racconti di Sara sotto forma di un corpo raccontato con la rievocazione delle malattie, gli accenni ai parti e alle interruzioni di gravidanza. Colpisce pero` come la sua dolorosa storia di malesseri sia rievocata e apparentemente vissuta senza toni drammatici o enfatici, con una certa leggerezza. Sembra quasi che l’espressione della sofferenza sia concentrata e riservata al corpo in quanto tale, piu` che alle parole; quel corpo offerto alle manipolazioni esorcistiche, sofferente ed esibito che, senza parole, durante il rito si presta all’iscrizione del codice demonologico, condensando gesti e comportamenti antichi; lo stesso corpo che si e` offerto alla lettura medica e psicopatologica e che, prima ancora si prestava alle «scorporazioni», ricercate con la zia e le tecniche orientali, o improvvise e non volute in altre occasioni; un corpo plasmabile, capace delle piu` varie manifestazioni e sintomi di disagio, pronto a recepire ed assumere, incorporandole, le diverse interpretazioni che del suo malessere vengono proposte, senza forse aderire a nessuna definitivamente, pronto a nuove performance: un corpo-spugna.
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Eppure, se sollecitata a descrivere sensazioni o dolori, Sara sa essere piuttosto precisa verbalmente. Ecco un esempio, in cui inizia col riferire di un fenomeno strano accadutole di recente, dopo un esorcismo durante il quale ricorda di aver provato un «dolore fortissimo» al ventre. Sono arrivata a casa, avevo due macchie di sangue, me le ha viste quella signora che e` sotto, qui, [si riferisce all’amica che l’ha accompagnata al colloquio] io non sono tagliata, con niente. [...] Ha visto queste due macchie che sono rimaste sulla cinta del pantalone che e` macchiato.
Lo psichiatra chiede: «Di rosso?», e lei: Di rosso, sono due macchie di sangue. Eee, e io, non m’e` uscito da nessuna parte, ’sto sangue. Ce l’avevo sulla pelle e sopra il pantalone; quando ho pulito sulla pelle non c’era assolutamente niente, non si sa da dove e` uscito ’sto sangue. Ha detto padre Amorth che e` un fenomeno normale. Poi circa due mesi fa, ho dato fuori un sasso; mio marito l’ha visto cogli occhi suoi, un sasso bianco cosı` [mostra quanto era grande: un po’ piu` di una castagna]. ’Sta volta me so’ pure spaventata io: «mo’ m’escono i sassi. Che ce manca?», [conclude ridendo, per poi riprendere raccontando che telefono`] quella sera tardi a don Gabriele: «Don Gabriele, senta! Io sto male! Ho tirato fori un ` una cosa sasso, ma allora ci avro` i calcoli, ci ho qualcosa!». Dice: «E normale: piu` mandi fori queste cose, escono tutte e poi finisce tutto». Dice che e` un fenomeno normale che succede. Io l’avevo sentito ma su me non era mai capitato questa forma qui. E poi, che ne so, altri fenomeni, sono stata con le gambe immobilizzate, che non potevo muove, non potevo camminare, ero bloccata sulle gambe10. Di sintomi strani, ogni volta che sto lı`11 sento dei dolori pazzeschi dentro, come bruciori, come se mi si strappasse la pelle, qualcosa dentro, cioe` mi sento strappare, tirare, questi fenomeni cosı`, io li sento lı`; e poi inizia che il momento che inizia con l’esorcismo, quando mette la stola, gia` mi viene un affaticamento di respirazione: piano piano mi sento chiudere dentro, un affaticamento e mi sento intontita, come se la testa..., stai tra le nuvole, non lo so; dei momenti come se sei cosciente e dei momenti no, e non riesci a essere cosciente, sembra come se vai a addormentarti.
Alla richiesta di precisazioni ulteriori, relative ad un’occasione in cui queste sensazioni sono state forti, Sara aggiunge: 10 11
Qui Sara si riferisce ad episodi precedenti la paralisi. Intende durante gli esorcismi.
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Una volta forte e` stata la penultima volta, che c’eravate voi, tutti e due12; ecco, sentivo questa cosa come se mi tiravano dentro, una cosa che mi porta..., come se mi sento trascinata via, ma dentro! Io il corpo me lo sento, sento il dolore, sento tutto, pero` non riesco ad essere cosciente, a vedere, a visualizzare, mi sento come..., non lo so spiegare, come strappata via dal corpo, una cosa strana che non se po’ descrive, non lo so come descriverla; da lı` comincio a sentire questi dolori strani, non riesco a vedere intorno, non la so spiegare, pero`.
Le chiedo dove sente i dolori. I dolori li sentivo allo stomaco, questa parte qui dietro, qui, e questa fascia qui [spalle, petto e fascia addominale], e nelle gambe: le gambe me le sento che mi si irrigidiscono, ma che non c’e` comando delle gambe, anche quando esco, me le sento tremanti, come se perdessi la cosa di muoverle, il comando delle gambe perdo. Ecco, questa cosa non la spiego, io me sento come due tronchi fissi, immobili; invece loro me dicono che io alzo le gambe; dico: «Ma io non le posso muove! Come fate a dı` che alzo le gambe?». Infatti, apposta, gli ho detto che 13 voglio vede’ il filmino perche´ io me devo leva’ ’sta curiosita` [ridendo]. Proprio me la devo leva’ per vede’ se me lo dite cosı` o se e` vero, perche´ io me le sento rigide le gambe, non le sento..., come se non ce l’ho, me sento due tronchi fermi cosı`, io sento questa parte, sopra dove sento i dolori, e poi mi sento una cosa, un blocco forte come se devo dar di stomaco, mi deve uscire qualche cosa da dentro lo stomaco e da qui, qui in mezzo [petto-epigastrio]; questa cosa che non riesco a dar fuori, pero` mi sento questa cosa che quando mi riprendo mi sento questo affaticamento qui che mi da` fastidio come se mi chiude nella gola, che mi deve uscire qualcosa pero` mi sento chiusa. E poi il dolore, ecco, il dolore che sento un po’ sparso dappertutto: so’ delle fitte, come degli strappi e delle fitte, come fossero delle pugnalate interne, sulla schiena, qui in mezzo e questa parte, cosı`, i fianchi, questi dolori cosı`. Nella testa, dentro la testa sento queste stesse fitte e dentro gli occhi, che io sto male quasi tutto il giorno poi, mi sento gli occhi infastiditi, che mi danno proprio fastidio, sento come delle spine nella parte interna degli occhi, come se mi punge da dentro; infatti mi viene quasi sempre il mal di testa, come ieri: so’ stata a letto fino alle 8 per il mal di testa; tutta questa parte mi faceva male, e questa mezza parte qui fino a qui dietro. Non prendo piu` niente, perche´ non prendo nessun tipo di farmaco, non prendo ne´ farmaci per dormire, ne´ farmaci questi che prendevo, ne´ cose per il mal di testa, che tanto con i farmaci non mi passa mai, ho provato tante volte, perche´ mi devo intossicare; prendo i farmaci e non mi va via, fa sempre, insomma, le
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Io e lo psichiatra. Si riferisce alle riprese da me effettuate con videocamera di alcuni suoi esorcismi.
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ore sue so’ sempre quelle, sia se prendo il farmaco che no, e allora non lo prendo per niente, non prendo piu` niente, aspetto che mi passa, mi metto a letto e aspetto, cosı`. Comunque non sono piu` forti come ce li avevo tempo addietro: venivo a casa, stavo pure due giorni a letto, davo di stomaco come alzavo la testa, non mi potevo alzare, poi come mi mettevo dritta, svenivo come me mettevo in piedi, non avevo forza sulle gambe per niente; invece adesso, magari ci ho il mal di testa, riesco a stare in piedi, non sono quei mal di testa che avevo.
La descrizione che Sara fa di sensazioni e dolori che caratterizzano, in forme piu` o meno accentuate, le sedute esorcistiche mentre esprime l’aspetto propriamente corporeo dello «sdoppiamento» innescato dal rito rimanda anche ad altre esperienze assimilabili: l’osservarsi come fuori dal corpo nelle trance con la zia o l’amica, la imminente paralisi agli arti inferiori, i forti mal di testa che l’hanno tormentata per anni. Sono proprio questi ultimi che contraddistinguono la prima crisi.
3. La prima crisi ` Sara stessa a indicarli come il primo dei disturbi che poi sopragE giungeranno e a mettere in risalto l’importanza di questo episodio ponendolo all’inizio del suo primo racconto. Io ho cominciato verso i 21-22 anni con forti mal di testa. M’e` cominciato la notte di Natale, mentre andavo a messa, un forte mal di testa, fortissimo; non un mal di testa normale: sentivo battere dentro la testa, era come un – non lo so spiegare –, come se mi si muoveva il cervello, dico il cervello per dire, un muoversi dentro che e` una cosa ` stato quella irresistibile, dovevo tenere le mani sulla testa, stretta. E notte per la prima volta; non avevo mai avuto un mal di testa [...] . Poi di lı` sono andata a messa, come entro dentro, mi sento male: comincio a avere giramenti di testa, annebbiamenti, vedevo muovere tutto, sono svenuta, e mi hanno portato fuori; mi hanno portato a casa. Questo mal di testa e` durato fino alla Befana ininterrottamente, senza poter alzare la testa dal letto, dal cuscino, proprio sdraiata, non potevo sentire niente, ne´ mangiare perche´ davo subito fuori quello che mangiavo.
L’insorgere e il durare della malattia vengono iscritti dunque in un tempo liturgico – da Natale alla Befana – come avviene anche nel caso di altri mali che si manifestano e trovano la relativa «terapia» secondo una scansione del tempo definita dalla liturgia (si pensi ad
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esempio al rapporto tra il tarantismo e la festa di S. Paolo a Galatina). Inoltre, il disturbo si manifesta in prossimita` di una celebrazione e di uno spazio sacri. Sebbene Sara non assegni a cio` un particolare esplicito significato, a posteriori non e` difficile ravvisare in questo primo episodio anche i caratteri di quell’avversione al sacro – per esorcisti e demonologi categoria discriminante nell’accertamento della possessione – che si manifestera` in seguito varie volte: invitata da un amico frate a cantare ad una celebrazione nella chiesa romana dell’isola Tiberina, non appena entrata nel coro comincia a sentirsi male: malessere, vomito e svenimento; rimane quasi per tutto il tempo della messa in bagno; quando prova a rientrare sta di nuovo male e debbono portarla fuori. Consigliata dallo stesso sacerdote va a trascorrere una decina di giorni al convento dove lui vive, per riposarsi, ma anche lı` si verifica un episodio simile: nel luogo in cui si ` trova il sasso su cui prego` S. Francesco d’Assisi Sara «cade a terra». E solo anni dopo, una volta accettata la lettura in termini diabolici dei suoi mali, che la donna mette in relazione questi ultimi con la religione, sebbene gia` allora le venga suggerito di rivolgersi ad un sacerdote competente. L’insorgere dei forti mal di testa e` invece indirettamente legato da Sara ad un fatto relativo ad un fratello che «ha combinato qualche pasticcio». In un secondo colloquio, Sara dice che e` stato in galera perche´ a 18 anni, insieme a degli amici, aveva preso delle pasticche il giorno di Pasquetta, impasticcati si sono scambiati per due poliziotti, e fermavano le macchine per strada, e lı` poi so’ arrivati questi della Polizia. [...] L’ha pagata con due anni di carcere [...] Io insieme a lui andavo in chiesa quella sera, la notte di Natale. Era pochi giorni che era uscito, lui e` uscito fine novembre, primi di dicembre e la notte di Natale siamo andati a messa insieme, e lı` mi so’ ammalata per la prima volta, co’ ’sta testa cosı`, co’ ’sti dolori tremendi; mai avuto niente prima, non ho avuto problemi, non conoscevo il mal di testa neanche leggero, non avevo mai avuto un mal di testa, proprio mai sofferto di queste cose insomma. Neanche di malattie, manco una febbre...
Comincia da questo momento la sua storia di malattia con la parallela ricerca di terapia, in un intreccio di tempo medico e tempo liturgico. Poi sono stata da un dottore e mi ha dato delle ricerche per il nervo del trigemino, si pensava che fosse questo trigemino, diceva che era cosı`;
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ho fatto 128 punture [di Biosinax e Cronaxial] alla fine di febbraio, fino al 26 febbraio. Dopo di che, questo mal di testa era diminuito, non era continuato come l’avevo avuto dal 24-25 a notte fino al giorno della Befana; ce l’avevo due volte a settimana, tre volte, secondo, e pero` quando mi prendeva dovevo stare a letto, al buio, non potevo sentire voci, non potevo sentir rumori, non potevo mangiare, davo di stomaco a digiuno. Cosı` sono passati 5-6 anni e io feci gli accertamenti, l’elettroencefalogramma, tutti negativi, negativi, negativi: non risultava niente. Poi feci un elettroencefalogramma nell’88, che lı` c’e` scritto diffuse anomalie, pero` mi sembra che non era una cosa grave, perche´ dissero che non era niente, pero` dovevo ripetere questo elettroencefalogramma nel tempo. A me ’sti mal di testa non e` che diminuivano, non mi avevano dato cura ne´ niente.
4. Una «paziente dispettosa»: i disturbi e le terapie Come gia` segnalato, Sara si definisce una «paziente dispettosa», «perche´ proprio per le cure, prima vado in cerca delle cose e poi le ` cosı` per molte strade che intrafaccio a meta` o non le faccio». E prende, interrompendone una per provarne un’altra, e talvolta percorrendole in parallelo per alcuni periodi. Passa infatti attraverso varie disfunzioni e trattamenti del male. Riferendosi al persistente mal di testa, dice: Facevo delle punture da sola praticamente, perche´ non sapevo piu` come togliere questo dolore; praticamente ero diventata un piccolo chimico perche´ mischiavo tutto e provavo qualsiasi cosa; e lı` facevo il Bentelan, il Lyseen e Novalgina, tutto in una fiala e mi facevo questa puntura. Dopo 4-5 ore mi si alleggeriva questo mal di testa; a volte succedeva, a volte no, pero` tante volte succedeva, io provavo, me la facevo uguale.
Un’altra «crisi» che Sara narra dandole rilievo accade nel viaggio di andata verso Lourdes, dove si recava come assistente volontaria ma finiva per dover essere assistita. Nel ’91 sono stata a Lourdes. Non ci fossi mai andata! Sul treno, m’hanno fermato il treno, a Ventimiglia, m’hanno fatto portare via con l’autoambulanza perche´ io svenivo, collassavo con mal di testa e vomito. [...] Dopo parecchie ore sono stata un pochino meglio: ho ripreso il treno per andare. Arrivo a Lourdes: ricomincio a stare male. Sono stata per tre giorni dalle suore che non potevo uscire, ne´ stare in piedi perche´ stavo malissimo, sempre con questo mal di testa e
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vomito. Sono stata 15 giorni lı`, ero andata a fare un servizio di volontariato; so’ tornata stravolta.
Anche in questo caso, e sebbene Sara non sia andata manifestamente a Lourdes come malata in cerca di guarigione, il percorso religioso e quello medico-farmacologico di cura si intrecciano e mescolano. Tornata a casa Sara decide di fare altre ricerche. Racconta: Rifaccio un elettroencefalogramma quando ritorno da Lourdes e mi risulta che c’avevo un’epilessia. Per questa epilessia mi hanno dato il Depakin, all’inizio; poi io non ero convinta, sono andata da un altro medico perche´ il primo medico da cui ero andata era un medico della SAUB, ho detto: «Tanto non ha cose da dirmi di piu` ne´ di meno perche´ non e` a pagamento, ne´ niente, dato che... venisse fuori, vado da uno che non conosco per niente, cosı`». Questo me disse cosı`, poi sono andata da un medico che io conoscevo, un neurologo, e lı` lui me disse che c’era questa epilessia, anzi, che i farmaci che mi aveva dato questo erano pure troppo bassi per il livello che stava; comincia con questi farmaci: il Depakin e lui mi aggiunse il Maliasin, il Maliasin 900 milligrammi e il Depakin a 500; prendevo tre al giorno di 500 milligrammi di Depakin e due al giorno di Maliasin. Sono andata avanti un paio d’anni, 2-3 anni con queste cure: aumentavo e diminuivo, aumentavo e diminuivo, secondo, pero` niente, ’sti mal di testa non sparivano mai, stavo sempre male. Poi ho fatto delle punture di Sumadol [Sulimador?]; con quelle sembrava che miglioravo; al momento che ci avevo ’sto forte mal di testa, anche se io prendevo questa cura, queste pasticche, facevo questa puntura e un pochino migliorava il mal di testa. Pero` avevo sempre ’sti vuoti di memoria, non amnesie pero`, era..., all’improvviso magari mi sentivo confusa, strana, mi sentivo come un movimento nella testa; era questo che io ogni volta gli facevo al medico: «Io sento questa confusione, una cosa strana che non so descrivere, come dire, e` un’amnesia; non e` un’amnesia che mi va via la memoria, non e` cosı`». E lui faceva che il sintomo dell’epilessia erano queste amnesie, con gli svenimenti che io avevo, perche´ ogni volta che avevo questo mal di testa svenivo per il dolore perche´ non lo sopportavo. Insomma, niente, da lı` ho fatto queste punture, spiegavo ’sti sintomi: non mi capiva nessuno e sono andata avanti col tempo, sempre co’ ’sti mal di testa, queste cose.
D’altra parte, nel corso della sua vita si sono susseguiti vari disturbi. Si presentano all’improvviso: l’individuazione della loro origine e` difficile, nonostante gli accertamenti a cui Sara si sottopone. A Palma di Majorca, dove e` in vacanza con un’amica, Sara si
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sente male prima nel viaggio di andata e poi al termine del concorso di bellezza: sviene, vomita, sviene di nuovo e viene ricoverata in ospedale dove resta per tre giorni senza riprendere conoscenza. La diagnosi e` di collasso cardio-circolatorio. Non molto tempo prima era stata ricoverata per deperimento organico. In seguito e` ricoverata al S. Camillo per problemi all’apparato digerente (gastrite con vomito di sangue), ma – a suo dire – dalle numerose gastroscopie e da altri accertamenti non risulta nulla. Esclude che i suoi disturbi possano essere dovuti all’«ansia» o ad altri suoi problemi, come qualcuno deve averle suggerito: non ha particolari preoccupazioni. Per due volte durante il ricovero, e una volta a casa, ha episodi di «scorporazione» durati circa 15 minuti: e` a letto, sveglia ma con gli occhi chiusi; non riesce ad aprirli, a parlare e a muoversi; e` in grado di sentire e ha l’impressione di «vedersi da ` a causa di questo episodio che fa il primo colloquio con fuori». E degli psichiatri: uno ipotizzo` una forma di epilessia nel sonno, che pero` non risulto` da ulteriori accertamenti. Sara rimase molto scossa dall’accaduto, ma altri problemi sopraggiungono ad aggravare il suo stato. Scomparso il disturbo allo stomaco, inizia quello alla colonna vertebrale che le impedisce di camminare e stare in piedi. Dai vari esami fatti, secondo quanto sostiene Sara, viene escluso che la causa possa essere fatta risalire alla sua caduta da cavallo, avvenuta a 16 anni, che le procuro` una lesione ad una «vertebra cervicale», ma non si avanza un’altra spiegazione. Dopo un mese circa di immobilita`, passa anche questo disturbo. Avra` poi un periodo di totale afasia, che scompare improvvisamente cosı` come si era manifestata. Nel lungo lasso di tempo in cui viene curata come epilettica si ` una gravidanza difficile, colloca anche la sua terza gravidanza. E trascorsa a letto, con day-hospital settimanale all’ospedale Gemelli per tutti e 9 i mesi; infatti Sara non puo` rinunciare ai farmaci anti-epilettici e deve essere continuamente sotto osservazione medica. Ha anche paura che il bambino presenti delle malformazioni. Con un parto difficile, durante il quale Sara ha anche dei «collassi», nasce quindi il terzo figlio, che presenta gravi problemi allergici. In questo periodo la zia medium manifesta gia` qualche sintomo di un disturbo che diventera` piu` grave poco dopo, all’incirca negli stessi mesi in cui Sara avra` la «crisi» di cui tra poco riferiro`. La coincidenza puo` essere significativa se si considera, oltre al forte legame con questa zia, che ora Sara piu` o meno implicitamente
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riconosce nei problemi della zia una somiglianza con i propri, tanto da pensare che anche a lei gioverebbe rivolgersi ad un esorcista. Sempre nello stesso periodo, in giugno, l’ultimogenito da poco uscito dall’ospedale ha una broncopolmonite; Sara non vuole ricominciare la vita che ha fatto per tanti mesi per assistere il bambino, ma e` costretta a ricoverarlo di nuovo. Iniziano alcune settimane di «avvilimento», «tristezza», «stanchezza», in cui perde il suo consueto ` proprio durante questa estate che la situaottimismo e ne soffre. E zione esplode. Particolarmente drammatico e` il racconto del tentativo di violenza contro il marito, proprio la persona che le si dimostra piu` vicina, comprensiva e tollerante. L’episodio critico e il seguente stato confusionale vengono inquadrati dai medici in una nuova – per Sara – casella nosografia, inaugurando altre terapie farmacologiche. Erano cose improvvise – dice Sara riferendosi alle gastroscopie – pure lı` non e` uscito niente; finche´ un bel giorno d’estate (questo e` stato un paio d’anni fa, d’estate) allora, stavamo tutti insieme, con i miei cugini e cugine sul terrazzo da me, a parlare, a ridere, a scherzare; vado a letto, verso le due di notte, niente, io verso le tre non riuscivo a dormire, mi veniva in mente che dovevo uccidere mio marito [detto come una cosa incredibile]. Lı` per lı` era una cosa che mi veniva e mi andava, mi sconvolgevo da sola: «Ma possibile una cosa simile? Ma perche´?». A me stessa domandavo perche´; mi sentivo questo impulso; insomma, a un certo punto, e lui non riusciva a dormire; e io m’arrabbiavo: «Ma perche´ non dormi!», proprio un’isterica e lui: «Ma che ti e` preso? Che ti senti male? Che ci hai?». Lui era sconvolto, perche´ non aveva visto mai ’ste crisi, ’sti attacchi cosı`. «Che ti e` successo? Fino a mo’ stavamo ridendo e scherzando, mo’ che ci hai?». Niente, io volevo solo che dormisse perche´ lo dovevo uccidere mentre dormiva. Dopo un po’ mi ritrovo in cucina, non so come ci sono arrivata, ci ho le scale, si sale, si va sopra; arrivo in cucina, non so come sono arrivata lı`; lui e` salito che io stavo smucinando, cioe` mi sono vista, mi sono come svegliata ma io stavo con gli occhi aperti, cercavo qualcosa, pero` salendo lui e` come se mi sono svegliata, anche essendo gia` sveglia. Stavo cercando un coltello, un coltello grande, e niente, quando e` venuto lui, dice che io ho fatto degli scatti nervosi, dice che lo guardavo malissimo, ho riposato questo coltello e sono scesa per andare a dormire, come se non fosse successo niente. Logicamente lui si era agitato, non dormiva piu`, vedendo una cosa simile, e poi cose che non avevo mai fatto, dice: «Questa ci ha qualcosa che non va». Pero` non si spiegava, poverino, insomma niente. Poi io ci sono risalita di nuovo nella tarda mattinata, come se ancora andassi a cercare, ha sentito muovere, non e` salito, ci sono stata un... m’ha detto circa un quarto d’ora, e sono rimasta ferma sulle scale mentre scen-
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devo – lui mi vedeva dallo specchio della camera – con ’sto coltello in mano, dice che sulla scala facevo su` e giu`, come per andare a prendere il coltello e tornare giu`, facevo questo avanti e dietro; e niente, ho posato questo coltello e sono andata a letto; ho avuto una crisi di pianto; dicevo: «Stai attento, che non lo so, mi sento qualcosa di strano», come se lo avvisassi che doveva stare attento a me. Dopo, la mattina, gli ho spiegato questa cosa, perche´ voleva sapere, mi aveva vista prendere il coltello; gli ho detto questa cosa che sentivo cosı`; ha chiamato subito il neurologo da cui ero sotto cura, e` venuto a casa, dice: «Non so come spiegarmi, potrebbe essere una depressione», «Ma da che e` dovuta, scusa?», cioe` non mi sentivo in depressione. Avevo avuto come..., non lo so se le potevo chiama’ allucinazioni, un sogno, non lo so spiegare che poteva esse. Insomma, siccome di lı`, in quei giorni, con questa paura che mi era venuta, di questa cosa che avevo sentito, pero` sentito e non sentito, perche´ lui poi me l’ha rispiegata, era come un sogno, che percepivo queste cose, sentivo questo istinto, era un istinto, non era una cosa che io capivo, che volevo ucciderlo, perche´ non ci avevo in mente assolutamente di poter uccidere, pero` va be’, di lı` mi ha dato una cura per depressione e esaurimento, insomma, due cure.
Sara non ricorda bene il periodo immediatamente successivo, di cui riferisce basandosi essenzialmente sui racconti fatti dai familiari; ne emerge comunque una sorta di bovarismo, in cui il marito comprensivo e paziente appare come il principale bersaglio della sua aggressivita`; comportamenti fortemente violenti si alternano a comportamenti infantili, con momenti di immersione totale in uno stato quasi sognante, di «favola», in cui «interpreta» personaggi fiabeschi e canta filastrocche da bambina. Cosı` Sara continua la rievocazione di quei giorni difficili: Di lı`, m’e` cominciato a anda’ fuori il cervello de testa, so dovuta anda’ da mi’ madre, m’hanno portato lı`, manco so quando ci so andata, quando mi ci hanno portato perche´ non me le ricordo, a me tante cose me l’hanno raccontate, che praticamente dicevo cose senza senso, cose strane, facevo cose strane, vedevo gocciolare dalla finestra, tipo allucinazioni, mi immedesimavo in delle parti, che ne so, su una favola, su una cosa, avevo questi attimi cosı`, e degli attimi violentissimi, dei momenti ero proprio violenta: dice che mia madre una volta ho tentato di ucciderla con una statuetta di Murano pero` – dice – sempre in modo furtivo, mai davanti. Insomma, di lı`, una volta mi presi, non so c’ho avuto un momento di lucidita` perche´ dice che ragionavo, poco prima, non stavo nella confusione, che era quasi un mese che stavo in questa confusione cosı` e non m’ero piu` ripresa, avevo momenti lucidi, perche´ avevo parlato lucidamente, e niente, avevo paura di quello che mi stava succedendo, di me stessa, mi sentivo, dice che io ho spiegato
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che avevo un qualcosa dentro che mi spingeva a fare delle cose che non riuscivo a frenare e in quel momento mi sentivo entusiasta di farle.
Pericolosa per se stessa oltre che per gli altri, doveva essere costantemente sorvegliata, anche di notte (la dovevano legare). A questi momenti ne alternava altri di relativa tranquillita`; ricorda anche un episodio in cui piangendo disperata si rivolse al padre chiedendo aiuto: «Sara se ne va, riprendila che se ne va...». Ora, a posteriori, Sara pensa che quel comportamento fosse un modo per essere «al centro dell’attenzione». Continuando la ricerca di una soluzione ai suoi problemi su piu` fronti, a fine estate e` condotta da un secondo esorcista, che – a causa del suo comportamento aggressivo – le consiglia di rivolgersi a don Amorth, il quale si avvale dell’aiuto di collaboratori14. A questo proposito, Sara afferma di essere sempre stata portata dagli esorcisti un po’ a forza, controvoglia, non ritenendo di avere problemi di natura diabolica, ma nello stesso tempo in tutta la sua storia si manifesta una costante oscillazione tra cure mediche e trattamenti di tipo religioso; la sua riluttanza o rifiuto a sottoporsi agli esorcismi apparterrebbero comunque al quadro tipico della posseduta che anche cosı` esprime la cosiddetta avversione al sacro e la resistenza del diavolo ad andarsene. Tuttavia Sara andra` da don Amorth solo in seguito, dopo altre tristi esperienze. All’inizio di settembre, aggravatasi, Sara viene ricoverata nel reparto di malattie mentali di un grande ospedale romano dove resta quasi un mese. Vengono sospesi i farmaci; si ipotizza che siano stati i numerosi farmaci assunti da Sara negli ultimi anni ad aver provocato le «allucinazioni», che infatti cessano; Sara rifiuta altre terapie, anche perche´ in un’occasione si accorge che hanno scambiato i suoi medicinali con quelli di un’altra paziente. Anche qui da` prova con infermieri e pazienti di quella che considera una forza «spaventosa», straordinaria, superiore alle sue capacita`, forza che aveva manifestato anche a casa (per esempio spostando un armadio pesantissimo). Secondo Sara i medici «non ci capiscono niente», perche´ da tutti gli accertamenti e i colloqui fatti non trovano a cosa sia dovuto il suo male e la dimettono. Sara ha un bruttissimo ricordo della sua degenza, per due motivi principali: l’impossibilita` di muoversi liberamente (si sentiva in gab14
Come si vedra`, era gia` stata da un primo esorcista.
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bia), e il non sentirsi rispettata dai medici, ma trattata come una pazza. Da questo momento si fa una brutta opinione dei trattamenti psichiatrici e ha paura delle malattie mentali (che distingue dai disturbi psichici). Una volta dimessa, viene ricoverata in una clinica che esteriormente le sembra un luogo piu` accogliente dell’ospedale, in quanto, per esempio c’e` un giardino. Per la prima volta, pero`, ha pero` la sensazione di essere stata abbandonata. Vi rimane solo un giorno e una notte, perche´ anche qui non accetta il trattamento che le viene riservato (viene aggredita da un paziente, reagisce, viene legata e le viene somministrata una forte dose di farmaci per farla dormire). Subito dopo, in ottobre, tenta il suicidio ingerendo una forte quantita` di anti-epilettici e barbiturici, che, con stupore generale, vomita integri al Pronto Soccorso. Precedentemente aveva sospeso i farmaci anti-epilettici. Avendo aggredito infermieri e medici le viene prescritto il ricovero coatto, ma uno psichiatra dell’ospedale Grassi di Ostia riesce a parlare con Sara e lo annulla; come si vedra`, ritiene infatti che Sara abbia bisogno di un esorcista. Prima di considerare piu` da vicino le manifestazioni che con maggiore evidenza fanno sospettare un intervento malefico e richiedere l’aiuto esorcistico, delineiamo il quadro culturale in cui esse si collocano.
5. «Una cosa di famiglia»: le pratiche magiche Del quadro culturale familiare fanno parte le tradizioni spiritiche cosı` come altre pratiche del tipo: lettura delle carte, sensazioni e sogni premonitori, stati di trance spontanei o indotti che riguardano essenzialmente Sara e la zia «medium» ma coinvolgono in varia misura tutta la famiglia e particolarmente le donne. Come si vede dai racconti, i confini tra i diversi stati di coscienza sperimentati in queste pratiche, tra amnesie e ricordi, tra «ispirazioni» e saperi acquisiti, tra uscite dal corpo guidate e spontanee, sono piuttosto ambigui.
5.1 Sedute spiritiche Insomma, all’eta` di 14 anni dovrebbe essere, 14-15 anni, mi e` capitato di fare qualche volta sedute spiritiche; poi ho una zia che e` medium, lei
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dice che e` medium, comunque andava in trance da sola e io stavo sempre insieme a un’altra zia e a questa zia incredibile, lei un bene per me e io per lei, una cosa morbosa proprio era, e mi imparai a fa le carte, spontaneamente, lei faceva anche le carte, io a forza di staie dietro, un giorno dice: «Perche´ non me fai le carte?»; e io cominciai, lei tira giu` ste carte, rimango un attimo a riflette, ma non leggendo le carte: proprio mi sentivo ispirata a parlare de ’ste cose; ’ste cose succedevano tutte. De lı` io cominciai a fa le carte, le feci per tanti anni pure. E poi niente, lei mi ha mandato in trance due o tre volte, dice che mi faceva vede’ le vite indietro, infatti me so’ vista una gitana, zingara, andalusa, in un campo che giravo la polenta, ’ste cose cosı`; un’altra volta dentro un castello antico, con quei letti a baldacchino de legno, era tutto scuro, tutto tetro. Dice insomma che poi lei m’ha registrato, perche´ dopo che mi ha mandato in trance praticamente lei ha messo il registratore perche´ io non ci credevo, logicamente – «Me le racconti te, bisogna vede’ se e` vero che io ho parlato cosı`».
Per vincere lo scetticismo di Sara si utilizza quindi la tecnica della registrazione che testimonierebbe la veridicita` di quanto la zia riferisce sia avvenuto durante la trance della nipote e, nello stesso tempo, permette a Sara di acquisire i racconti fatti in uno stato di non consapevolezza. L’ho risentito dal registratore. Praticamente una sera non sapevamo che fare, stavamo a casa di mia madre, va be’, ci ha fatto sdraiare per terra sul pavimento, lei si era concentrata con la mano su..., a un certo punto ti sentivi tutta vuota, tutta vuota, a un certo punto non c’eri piu` e ti vedevi in un altro mondo, praticamente; e poi di li cominciai a parlare. Lei ti faceva delle domande e tu parlavi. Allora metteva il registratore quando cominciavi a parlare, con le domande e quando cominciavi a parlare, e ti registrava tutto; durava 3/4 d’ora, un ora, secondo. E poi risentivi tutto quello che avevi detto, quello che avevi vissuto in quella vita, in quell’altra, quello che avevi fatto, i figli che avevi avuto, se eri stata sposata... Una volta so’ morta di morte violenta: ero stata pugnalata, una volta, mi ricordo; tutte ’ste cose qui.
Sara poi continua sottolineando la differenza tra la trance indotta da lei sperimentata e quella improvvisa e spontanea della zia. In questo racconto emerge pero` anche un’altra differenza che Sara sembra non rilevare e comunque non commenta: mentre a proposito della propria esperienza dice di aver «visto» e parlato di luoghi e vicende da lei stessa vissuti in vite precedenti, nelle trance della zia a manifestarsi erano spiriti di morti, per lo piu` familiari. Sono dunque le capacita` medianiche, che invece Sara non ritiene di avere, a caratterizzare le trance della zia facendone il ricettacolo di spiriti e il
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tramite per la comunicazione tra essi e i vivi; Sara non viene in questi casi «posseduta» da spiriti ma compie una sorta di viaggio a ritroso nel tempo in cui e` sempre lei a esprimersi come gitana, castellana etc., si tratta infatti – come lei stessa dice – di «vedere le reincarnazioni». I suoi contatti con gli spiriti non avvengono per incorporazione ma in qualita` di semplice partecipante a sedute spiritiche oppure – come si vedra` – vengono ricercati, su un altro piano, nelle «uscite dal corpo» di ispirazione orientale; in quest’ultimo caso pero` non si tratta di spiriti di morti ma di entita` spirituali indefinite che comunque non sembrano incarnarsi durante la trance quanto piutto` sto dotarla di chiaroveggenza o affinare capacita` in lei gia` presenti. E tuttavia su questa attitudine, variamente coltivata, a sperimentare stati «altri» che si innesteranno i comportamenti rituali della possessione, caratterizzati – secondo l’interpretazione esorcistica – dalla presenza dello spirito diabolico. Ma seguiamo il racconto di Sara, notando anche che nel riferire le varie esperienze mette l’accento sui «segni» che avvalorerebbero la realta` delle presenze spiritiche e anticipa la successiva lettura in termini diabolici. Lei [la zia] lo faceva per gioco, perche´ lei c’aveva spontanea questa cosa, che a un certo punto, pure se stavamo giocando a carte a casa, magari stavamo giocando a poker, a un certo punto lei si sentiva male, si accasciava sulla sedia, cosi. [...] Era come svenuta, irrigidita, poi la mettevamo sul letto, immobile, senza toccarla, poi cominciava a parla’ con una voce strana, una voce rozza, non era la voce sua, cominciava, insomma lei cambiava ’sta voce e poi uno le faceva le domande: «Chi sei, chi non sei», logicamente padre Amorth dice che poi e` sempre il diavolo che viene, pero` dice che parla sotto forma, che sembra che e` tua madre, tua zia, tua nonna e invece non e`, infatti lı` veniva mia nonna, secondo come parlava lei e diceva certe cose che magari sapevi solo tu e e` lı` che ti colpiva, magari una cosa che avevi parlato, che aveva detto solo a te, riferita a te, ’sta cosa era vera; cioe` li’ dicevi: «e` ` vero quello che sta’ a di’, e` vero che e` mi’ nonna questa!». vero! E Capito, no che e` il diavolo che viene. Invece, dice, pure lui sa tutto. Pero` ecco, succedevano ’ste cose, facevamo ste cose qui. Poi cominciai a fa delle sedute spiritiche con delle amiche. Dentro casa le hanno fatte parecchie volte zia, mamma, papa` che era scettico, che non credeva e allora volevano vede’ che succedeva, la prima volta che la fecero ci avevano un orologio di quelli grandi a pendolo, da mamma e ci avevano questo tavolo rotondo proprio davanti a questo orologio a pendolo; mentre stavano con la catena, mio padre scherzava, dice: «Va be’, ma non succede niente, che segni ci da`, si dovrebbe alza’ il tavolo, che dovrebbe succede». Lui diceva: «Seduti coi ginocchi», scherzava
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cosı`, a un certo punto un tocco, ’sto orologio, un segno, ’sto orologio non ha piu` funzionato. So passati 17-18 anni, ’sto orologio non funziona piu`, non c’ha niente; e` venuto l’orologiaio, sto orologio non ci ha niente pero` sto orologio non funziona. Il segno c’e` stato, insomma.
Di episodi simili – sedute spiritiche in famiglia e trance della zia – Sara ne narra diversi, ma e` una catena fatta con delle amiche ad averla molto impressionata per le predizioni dello spirito manifestatosi e lo sfascio che segue alla rottura della catena. Mia madre ha parlato con mia nonna che e` venuta spontaneamente, con la zia, con gli zii, quasi tutti i parenti oppure conoscenti; invece quando l’abbiamo fatta noi con delle amiche nostre, la` e` stata un po’ brutta, li’ so’ rimasta scioccata e e` stata l’ultima seduta spiritica che ho fatto e non le ho fatte piu`. Stavamo con delle amiche, c’era un medium, un ragazzo era, e a un certo punto ci mettiamo al tavolino con sta catena, prima ha fatto il giochetto del bicchierino, pero` senza il dito sopra, il bicchiere al centro del tavolo, il cartellone coi numeri, le lettere alfabetiche, sı`, no, perche´, con le domande fatte. Praticamente noi, co ’sta catena, ’sto bicchiere, tu facevi delle domande, era il medium che faceva domande. Quando il medium faceva domande che si era concentrato, ’sto bicchiere andava sulle lettere, sui numeri e c’era una persona che le scriveva mano mano che andava; era un uomo di 68 anni, poi noi vedevamo anche da soli, perche´ le vedi, un uomo di 68 anni morto di tetano, dice che non stava in pace, che vagava praticamente. Va be’, stavamo facendo questa catena, poi, ah! A me mi disse che mi chiamavo [suo nome e cognome], il giorno che ero nata – il medium non lo sapeva, non sapeva perche´ era una persona che era la prima volta che lo vedevo – e il giorno che ero nata, che mi sarei sposata a 18 anni incinta di 6 mesi; io mi so’ sposata a 18 anni incinta, questo e` successo un anno prima, questa seduta. Mi so’ sposata incinta, che avrei fatto un bambino maschio, poi mi ha detto che gli ero molto simpatica e che mi sarebbe venuto a trovare. Me so’ messa paura e ho rotto la catena. Quello si e` messo a urla’, che non se doveva fa’, mo’ rimane dentro casa, mo’ che succede, qui lı`, non so che doveva fa’ per mandarlo via, poi s’e` arrabbiato ’sto ragazzo, se n’e` andato, insomma siamo rimasti cosı`. [...] E insomma, quella sera stessa, erano le 2 di notte, ah, poi lı`, dopo che avevo rotto ’sta catena, c’era un temporale cosı`... [un paio di parole incomprensibili, quasi ridendo] momenti piu` lugubri, no?, beh, a un certo punto si apre la finestra da sola, dove eravamo noi, alle spalle nostre, si apre sta finestra, era cosı` ma doppia, una di queste piccole doppie, si spalanca ’sta finestra, un botto, il vento, ’sta tenda volava, ci veniva addosso e la luce si era spenta, non c’era la luce, l’abat-jour pero` si accendeva e si spengeva, si accendeva e si spengeva, ’st’abat-jour che ci avevamo vicino, ’sta lampada si accendeva e si spengeva, i so’ caduti tutti i
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soprammobili, s’e` sfasciato tutto in quella stanza, la libreria e` caduta giu`, non ti dico quello che e` potuto succedere. [...] ’Sto bicchiere ballava sul tavolo e saltava cosı`, cioe` quello e` stato uno shock tremendo e da lı` ho detto basta, perche´ poi siamo andate a casa, comunque prima di me ha detto a mia sorella che si sarebbe lasciata col ragazzo e questa signora dove stavamo a casa co’ le amiche nostre e` la sorella di questa mia amica, si sarebbe, avrebbe avuto un figlio – era incinta lei – quando il bambino aveva due anni si separava dal marito; e lei, il bambino ha compiuto due anni, si e` separata due giorni dopo, il marito se ne e` andato con un’altra e ci ha altri due figli adesso [...]. Si e` avverato a tutti quello che ha detto, a tutti quanti; poi siamo andate a casa, verso le 2 di notte, abitavo proprio nella strada davanti, niente, come ci mettiamo a letto, io e mia sorella, c’avevamo gli sportelloni da mamma, quelli lunghi, non con le persiane, quelli chiusi tutti in legno, quelli da montagna; bussare in continuazione, cosı` sentivo fare [con la mano sul tavolo fa ‘toc toc’] a ’sta finestra vicino al letto, io e mia sorella ci siamo messe tutte e due nello stesso letto.
Non sappiamo perche´ nella comunicazione che si instaura tra i partecipanti alla seduta, il medium-spirito vagante privilegi proprio Sara per instaurare un ulteriore contatto; forse e` individuata come la persona piu` ricettiva. Questa sua apertura alle pratiche spiritiche, che rientra in cio` che Sara chiama passione per l’occulto, viene in questa occasione messa alla prova: e` come se Sara, che avverte di avere una certa attitudine paranormale, misuri qui il proprio coraggio nell’affrontarlo. Scelta dallo spirito, ha paura della sua visita nonostante quest’ultima non si preannunci come temibile dato che lui la trova «simpatica»; rompendo quindi la catena rifiuta la possibilita` di continuare una comunicazione che si e` gia` avviata e avrebbe potuto assumere forme non necessariamente negative. Certo, immaginare per Sara un’altra «carriera», magari da medium e/o maga, e` solo un’ipotesi basata sulle possibilita` logiche previste all’interno dello specifico sistema di credenze e sostenuta dall’esempio della zia; di fatto, la paura di Sara l’ha portata nell’unica altra direzione possibile che non mette in crisi tale sistema ma invece lo conferma: cio` che Sara chiama paura crea le condizioni perche´ la visita annunciata si verifichi e in modo terrificante; si ritiene infatti che una rottura impropria della catena comporti il restare in circolazione dello spirito, tanto piu` pericoloso in quanto si tratta di un’anima «che non stava in pace». Dopo questa esperienza Sara chiude con le sedute spiritiche ma la strada che percorre e` ugualmente costellata di contatti con entita` spirituali e manifestazioni di forze ritenute esterne che infine prenderanno la forma della possessione diabolica.
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Ecco come Sara narra cio` che avvenne quella notte: «Oddio» – mi diceva – «Sara lo senti quello? Vattene che e` venuto a trova’ a te, perche´ ha detto che a te veniva a trova’!», mia sorella me diceva, e io ci avevo paura, non me levavo de la`. «No, mettete a letto tuo perche´ da me non vole niente, vole a te!», me diceva. Io il terrore, e chi se levava da la`! A un certo punto si so’ aperte le finestre, se so’ rotti tutte e due i vetri della finestra, coi sportelloni chiusi, gli sportelloni so’ restati chiusi, la finestra all’interno s’e` aperta e son caduti i vetri giu`. Mi padre non se svegliava e mi madre nemmeno; io e mia sorella abbiamo cominciato a urlare come due pazze; mio padre e mia madre non si svegliavano, non ci avevamo il coraggio di uscire dal letto per anda’ nella camera loro. A un certo punto si sente aprire la porta delle scale; capirai! Non lo so come non so’ svenuta! Dopo tutto questo macello che era successo, che potevamo da` credito a questo, a un certo punto sentiamo un respiro affannoso e struscia’ sulla parete; poi noi due dentro a ’sto letto, con le coperte sopra, ci sentivamo toccare addosso, cosı` e questo respiro. A un certo punto gli urli so diventati disumani; mio padre si e` alzato... [ride] e` venuto nella camera nostra a levacce la coperta da sopra, c’avevamo il cane che era entrato, ci avevamo un canone, un alano cosı` noi [sempre ridendo] ... un alano che era entrato dentro casa, chi gli ha aperto la porta non se sa, la porta ha scattato e s’e` aperta, nessuno l’ha aperta a casa nostra eh, il portone di sotto, noi c’abbiamo il portone giu`, due rampe di scale e il portone di casa, casa e` padronale, lı` non e` come da me che anche se e` padronale c’ho altri due appartamenti dentro, c’e` solo mia madre; praticamente il portone di sotto e` stato aperto, ha salito tutte le scale, il cane, anzi e` stato aperto il portone di sopra, le mandate si sentivano proprio quando e` si e` sentita aprı` la porta, che lı` il tremore non te dico e questo cane e` venuto lı` vicino, ci si strusciava addosso, faceva su e giu` cosı` sulle coperte, co ’sto respiro affannoso, io ... lı`, la voce mi e` uscita dappertutto, non lo so, m’avranno sentito pure a casa del diavolo [ridendo]. E mio padre e` venuto lı` preoccupato, ha detto: «’ste sceme!», non sapeva niente de ’sta cosa perche´ lui l’aveva fatta scherzando lı` a casa perche´ era scettico perche´ non credeva; anche lui a tutte ste cose che vedeva, diceva so’ coincidenze, capito? Poi dopo ha creduto anche lui, quando ha visto realmente, magari delle cose, ma non l’ha piu` fatte, mia madre le faceva con mia zia, mo’ non l’ha piu` fatte manco lei, zia ha continuato.
5.2 La zia «medium» Questa zia «medium», gia` menzionata piu` volte, appare nei racconti di Sara come la persona piu` esperta e dotata della famiglia in questioni magico-spiritiche e l’iniziatrice ad esse di Sara. Quella che
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la madre di Sara chiama la «spiritualita`» della sorella, che comportava una forte dedizione agli altri e il trascurare gli aspetti piu` concreti della vita quotidiana, ha determinato molti problemi nella famiglia della donna. Lei ha cominciato a andare in trance all’eta` di... 25-26 anni, credo; infatti aveva un negozio di frutteria, ha dovuto lascia’ il negozio perche´ durante... stava al lavoro, cadeva, sveniva, andava in trance, c’aveva questi problemi qui, ha lasciato il lavoro. Lı` [...], dove c’aveva il negozio, aveva conosciuto della gente che faceva magia nera, faceva sedute, bambolette quelle con gli spilli, queste cose qui. E lei se n’e` tirata fuori da ’sta storia perche´ non le piacevano quelle cose, lei diceva: «Mi piace fa’, leva’ il malocchio...», faceva le carte, non si e` mai fatta pagare, sempre a titolo di amicizia, perche´ era una cosa che le piaceva proprio, era portata a fare queste cose. [...] Come io le carte, io me lo sentivo un dono perche´ mi dicevano tutti che era vero quello che io dicevo e pensavo che era un dono; poi quando un sacerdote – 5 anni fa, credo, 5-6 anni fa – io, mi avevano detto che chi faceva le carte era superstizione, sulla Bibbia c’era scritto cosı`..., non ci credevo a ’sta cosa, ero ignorante nel campo, e ho domandato a un sacerdote al Divino Amore: non m’ha dato l’assoluzione, ho detto che facevo le carte, ’ste cose, le sedute spiritiche, momenti me se mangia! Non te dico, guarda. M’ha detto che prima avrei dovuto lascia’ perdere, fare delle opere di carita`, delle opere buone per ricompensare, seguire una via retta, seguire il vangelo e poi dovevo tornare e mi dava l’assoluzione; infatti io non ce so tornata piu`, so andata dal vescovo, e il vescovo me diede l’assoluzione, poi, che rinunciavo veramente a questo, che avevo rinunciato perche´ io non l’ho piu` fatto dopo che m’hanno detto cosı`. Pero` non la vedevo come una cosa di male, non la sentivo male questa cosa...[...] Come legge la mano, tanti leggono i segni: io non ho mai letto i segni. A me me davano la mano e io cominciavo a di’ prima il passato, poi il presente, poi il futuro, ma m’e` sempre venuto spontaneo.
Il parallelismo che Sara istituisce tra le predisposizioni e gli interessi propri e della zia, comincia dunque ad incrinarsi quando Sara decide di interrompere le sedute spiritiche che invece la zia continua, e finisce nel momento in cui Sara inizia a dare credito alle interpretazioni religiose cattoliche in termini di superstizione o influenza diabolica abbandonando le pratiche magiche mentre, come vedremo, la zia rifiutera` di farlo. Qui si divaricano le loro strade: sebbene entrambe attraversino periodi di forti crisi di tipo «psichico», Sara sceglie di affidarsi prima alla medicina e poi alla religione, trovando in quest’ultima un rimedio efficace; la zia invece le rifiuta tutte e due rimanendo fedele alle sue credenze e pratiche.
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La zia, secondo Sara, era spinta da una inclinazione «naturale», da un dono che coltivava con passione; nello stesso tempo proseguiva una tradizione familiare di cui anche Sara raccoglie l’eredita`: pure la nonna materna di Sara faceva le carte e aveva capacita` premonitorie. Addirittura mia nonna, la madre di mia madre, cioe` la mamma pure di questa zia che faceva le carte, faceva le carte pure lei; mia nonna faceva quelle napoletane, cosı`, si faceva pure da sola, le faceva cosı` e ci prendeva pure lei, per cui, ecco, eppure mia nonna era tanto cattolica, pero`, magari con l’ignoranza tante cose non se sapevano una volta. Pure lei le faceva, praticamente e` proprio un giro di famiglia, se vai a vede’; adesso poi ho saputo che mie due cugine..., una zia, la moglie del fratello di mia madre, praticamente si so’ comprate un libro, loro non e` che le sanno fare cosı` come le facevamo noi, pero` magari con le spiegazioni del libro, dentro casa, si fanno ’sti calcoli, dice che poi ce so’ dei riti da fare, delle cose, hanno fatto pure ’sti riti. ’Namo bene!
commenta con una certa disapprovazione, ora che la frequentazione di don Amorth le ha insegnato la diabolicita` di tali pratiche. «Ecco, insomma cosı`, era una cosa di famiglia queste cose... insomma un po’... paranormali, come le vuoi chiama’, ecco». Si trattava comunque di una famiglia cattolica, che andava in chiesa; ma anche qui le cose virano. Era tutta gente che credeva, mia zia sempre con la Bibbia in mano, pero` lei la Bibbia non la consultava come la consultano..., come uno va a legge la Bibbia pe’ legge e ne prende atto, uso per la vita quotidiana; lei, doveva fa’ una cosa? «Vedemo oggi che me dice qua», apriva, leggeva un versetto, da quel versetto lei diceva la risposta che il Signore gli dava, non e` che si metteva, insomma, che pregava e poi consultava la Bibbia. Tanto cosı`, «con la mano sinistra» diceva [ridendo], apre la Bibbia, era come un libro di magia, per dire; pero` lei in chiesa ci andava sempre, si andava a fa’ la Scala Santa, per dire. Poi, era giovane questo, all’inizio, poi ’ste cose non l’ha fatte piu`, piano piano s’e` ritirata e, appunto, ha cominciato a anda’ fuori de’ testa: vede cose che non esistono, le vede solo lei, vede cose strane, sta proprio male [...]. Pero` delle volte, allora, una volta m’ha detto, lei aveva dipinto una Madonna, e ci aveva attaccato al muro questo quadro; lei e` un po’ artistica come me, cioe` dipinge quadri, lavora con la creta, lavorava coi sassi, scalpello, col martello, magari su un sasso ce faceva venı` un viso, una statua, ’ste cose artistiche cosı`, sul legno, scolpiva il legno, il marmo, quello che gli capitava. E io ho preso un po’ da lei de questo, perche´ tutte ’ste cose che faceva lei, piacciono pure a me, insomma. Va be’, lei fece questa Madonna [su tela]; questa
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Madonna, mano mano che si asciugava usciva fuori della vernice rossa, questo rosso non c’era sulla Madonna, non c’era niente perche´ era celeste, bianco, colori cosı`. [...] E noi la prendevamo per pazza. [...] Ci aveva paura de ’sta cosa, una volta ando` pure dal parroco nostro [...] gli aveva spiegato sto fatto, l’ha fatto veni’ a casa per benedire.
Gli strani fenomeni che si verificano le fanno evidentemente sospettare qualcosa di malefico, che non puo` spiegare o controllare, tanto da ricorrere ai riti della chiesa previsti in casi del genere; questi pero` non hanno esito positivo e la zia, di fronte a nuove singolari manifestazioni, non segue le indicazioni dei sacerdoti e anzi, nelle sue «crisi», prendera` a bersaglio anche gli oggetti religiosi. Cosı` Sara continua il racconto: Poi, un altro giorno non so che aveva fatto, questa roba l’aveva levata, da sopra questa tela, ha cercato di cancellare, poi ha sciacquato, l’ha strizzata dentro al water e lı` s’e` formato un rosario, dice che se rompeva e se univa, come tutte palline nere, come la forma di un rosario, insomma, cosı`. Insomma lei era scioccata, diceva che gli succedevano tutte ’ste cose strane, gli si e` spezzato un crocifisso grande di legno che era di mia nonna, quelli antichi, centenari, grandi, con il Cristo di peltro, che usavano nelle antiche famiglie proprio, che si trova anche nelle chiese, nelle sacrestie, ecco; ce l’aveva sopra al letto, lei, questo Cristo e ’sto Cristo si e` fatto tutto a pezzi, un giorno e` caduto giu`, s’e` spezzata tutta la croce, si so’ rotti i bracci, s’e` tutto ` stato lı` 50 anni»; dice: «Come rotto, e lei diceva: «Chi l’ha toccato? E mai che...». Va be’, gli era successo quello. Dopo gli ha cominciato a prende male: non voleva piu` preti, non voleva piu` chiese, niente, perche´ dice che gli dicevano che se doveva allontana’ da ’ste cose, doveva sta’ attenta, erano tutti traditori, tutto contro praticamente, no? Ha cominciato a leva’ santini, Madonnine, Cristi, ha bruciato la Bibbia, ha bruciato il vangelo, ha cominciato a brucia’ tutto quello che era sacro, insomma. Ha fatto sparı` tutto da dentro casa e ha cominciato pure ha sfascia’ bicchieri, pentole, buttava tutto fuori nel giardino, gli era preso proprio, gli venivano ’ste crisi strane, e cosı` sta adesso.
5.3 L’ambivalenza dei «doni» e la passione per l’occulto Ritornando alle capacita` di Sara, la spontaneita` che a suo dire caratterizza il modo in cui legge la mano, cioe` la mancanza di un sapere e di una tecnica specifici («leggere i segni»), si ritrova anche
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nella lettura delle carte e nelle premonizioni. Queste, pero`, a volte derivano dalla visita in sogno di un morto – la nonna – inscrivendosi cosı` in una diffusa tradizione popolare. Non e` che leggevo, no, quello che mi veniva in mente; io in quel momento, quando lei mi diceva quella cosa mi sentivo cosı`, ma tante volte anche a voce, non mi servivano le carte. Cioe`, stavamo parlando, mi sentivo le cose, proprio da dentro, di dirle, oppure doveva..., mettiamo che succedeva qualche cosa, per esempio, quando mia nonna e` morta di incidente, nell’81, io la mattina sentivo che mia nonna il pomeriggio sarebbe morta, cioe` me lo sentivo proprio; e` stata una cosa dentro, quando quel pomeriggio mi hanno detto che era morta m’e` preso un colpo, cioe` mi si avveravano tutte le cose, capito? Me la sognavo dopo morta, me diceva tutto quello che succedeva, ma fino a poco tempo fa, prima che andassi da padre Amorth, anzi, questa cosa manco gliel’ho detta, ci so tante cose che uno poi si ricorda mano mano, ma siccome nella vita so tanti gli anni, so tante le cose, non te puoi sta a ricorda’ sempre tutto, capito? Ecco, io me ricordavo lei mi diceva quello che succedeva, io quando lo ridicevo, magari il giorno dopo, dopo una settimana, succedevano ’ste cose. Dice: «quella e` una strega», ma non so’ una strega, a me me viene cosı`, non faccio niente pe’ anda’..., me sentivo de di’ quella cosa; tutte ’ste cose qui, magari c’avevo, ecco.
Sono qui da notare due elementi significativi: il momento in cui si arrestano i sogni premonitori coincide con quello in cui Sara si affida a don Amorth, indicando che cominciando ad imporsi la lettura diabolica di quanto le accade cessano le manifestazioni piu` tradizionali del rapporto con i morti a favore di altri segni riconducibili ugualmente all’influenza diabolica ma via via circoscritti all’ambito rituale; altrettanto importante e` l’accenno alla stigmatizzazione che la colpisce e che Sara rifiuta in nome proprio della spontaneita`, cioe` della mancanza di una ricerca attiva di stati di coscienza e/o mezzi favorevoli all’esplicazione di capacita` premonitorie o di chiaroveggenza. La concatenazione stessa di questi elementi nella narrazione di Sara, fa intravedere un possibile nesso tra di essi, che resta implicito nelle sue parole e pone alcuni interrogativi: quanto ha pesato il giudizio sociale negativo, il sospetto di stregoneria, sulla «decisione» di seguire la strada esorcistica? Non era infatti questa un modo per liberarsi dello stigma oltre che per dare un senso ai propri «doni» e al susseguirsi di inspiegabili mali e strani fenomeni interni ed esterni a lei? Nella parte di posseduta che il percorso esorcistico le propone,
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Sara appare come solo parzialmente colpevole, perche´ se e` vero che con le sue pratiche «superstiziose» ha dato modo al diavolo di insinuarsi nella sua vita, la sua «inconsapevolezza» e l’averle abbandonate cercando l’aiuto della Chiesa la pone come una vittima che tenta di liberarsi: non e` una «strega». ` particolarmente evidente in questo caso l’intrecciarsi dei due E aspetti di ogni evento di «malattia», quello individuale e quello sociale, che richiedono entrambi un conferimento di senso ottenuto qui tramite il dispositivo simbolico esorcistico (interpretazione in termini diabolici e relativo procedimento rituale) gestito dal sacerdote e accettato dall’esorcizzata sulla base di una sostanziale condivisione dei presupposti culturali magico-religiosi che lo sottendono15. Tale condivisione implicita non e` smentita dalla lotta che don Amorth combatte su vari fronti (innanzitutto con la sua stessa pratica esorcistica, ma anche con i suoi scritti e le dichiarazioni a vari mass-media) contro il proliferare di pratiche magiche, ma e` quanto caratterizza il suo operato, reso efficace proprio dall’accettazione della visione magica dei processi di sventura e malattia proposta dalle consultanti, salvo poi ricondurre la loro causa ultima all’essere diabolico e rivendicare agli operatori religiosi la giusta «cura». Quanto a Sara, stiamo appunto delineando il suo quadro culturale di riferimento che, in un articolato intreccio di adesioni a e rifiuti di credenze e pratiche magiche e credenze e pratiche religiose ortodosse, struttura sia l’espressione del suo malessere che il sistema di «cura» ` nella sua visione – come in quella degli altri attori: ricercato. E possedute, esorcista e collaboratori – che si opera di fatto la distinzione tra magico e religioso. I confini tra i due campi possono pero` essere mobili e provvisori per chi richiede l’esorcismo non essendo scontata o definitiva la sovrapposizione di cio` che ciascuno iscrive in un ambito e nell’altro con le distinzioni di don Amorth; e` nell’interazione comunicativa, nell’esperienza concreta, che si apprende un codice comune e si costruisce la condivisione. Cio` vale soprattutto per le esorcizzande, chiamate a ridefinire quanto appartiene all’ambito religioso, legittimo, e quanto a quello magico, diabolico; ma anche l’esorcista – che pure detiene il sapere legittimo per operare la distinzione – deve continuamente misurare i suoi interventi (di con15
Sulla duplice valenza della «malattia» vedi Auge´ 1986; cfr. De Micco (1999: 101-102) che sottolinea questo aspetto in relazione ai diversi procedimenti terapeutici (medici e magico-religiosi) messi in atto in uno specifico contesto geografico italiano, con particolare riferimento alle pratiche esorcistiche.
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danna, riprovazione o accettazione implicita o esplicita di pratiche e credenze) sull’esperienza delle persone che ha di fronte. Da un punto di vista critico, la differenziazione tra i due ambiti e` un dato etnografico che riguarda il processo di costruzione dell’interpretazione del malessere che ha portato dall’esorcista (individuazione delle cause, decifrazione dei segni); tale processo tende appunto a creare una base comune d’intesa tra gli attori su cui il rito propriamente detto si inserisce con il proprio apparato di operatori simbolici. Per Sara le pratiche magiche erano una passione; io fino a poco tempo fa, che ne so, vedevo un libro delle risorse della mente, oppure magia bianca, magia nera pure se non la facevo, a ma me piaceva leggerlo, cioe` mi piaceva sapere tutto, volevo fare uno studio pure, a me mi piaceva studiare quel campo, sapere tutto quello che succedeva, quello che c’era, capito? Queste cose qua, perche´ e` una cosa che mi e` sempre piaciuta, tutto quello che riguarda l’occulto m’e` sempre piaciuto, e` una cosa che mi attrae proprio dentro.
Come e` lecito supporre, questo interesse si estende anche alla consultazione di operatori magici. Quando le faccio una domanda in proposito Sara risponde: Sı`, sono andata da... Quando non facevo piu` le carte, ho accompagnato mia madre – quando mio fratello aveva quel problema che ti ho gia` detto – da una signora a [...]; mia madre ando` per sapere di mio fratello, quella volta, e gli avevano detto che questa era brava: «Ma, andiamo a senti’, dicono cosı`», noi stavamo un po’ al di dentro de ’ste cose. ’Sta signora gli disse quando mio fratello usciva, e` uscito quando ha detto lei, pure il giorno ha indovinato, addirittura il giorno stesso che sarebbe uscito, il problema perche´ usciva, in scadenza termine in cassazione sotto cauzione; mio fratello e` uscito cosı`. Poi, non gli disse piu` niente e mia madre disse: «Ma io so’ venuta per sapere de lui e mi stai parlando di lei», di me; voleva parlare di me, lei, mia madre faceva una domanda su mio fratello e lei gli rispondeva su me, questa signora. Praticamente io dovevo fa’ un viaggio in aereo, a Palma di Majorca; a questa chi glielo aveva detto? Ma chi la conosceva? [...] Questa persona a un certo punto dice: «Qui c’e` un viaggio, c’e` un viaggio in aereo, e` per una signora, penso che sia proprio per lei»; io, zitta, mica ho detto sı`, e` vero, non ho detto niente. «Non lo prendere l’aereo, ti sentirai tanto male, non ci andare, non andare all’estero», diceva. «Ma quale estero, ma chi ce va all’estero?». «Va bene, e` un viaggio fuori dall’Italia», dice «Non ci andare! Rimani qui nell’Italia».
Quanto detto dalla maga puntualmente si avvera. Questa consul-
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tazione, originariamente non destinata a Sara, non e` l’unica: in almeno un’altra occasione Sara, alla ricerca di una spiegazione e di una cura per i suoi mal di testa, si rivolge ad una maga. Le risposte della medicina non la soddisfano e tenta ugualmente una strada che sa essere rischiosa a causa dell’equivoca fama della maga. Poco prima di ammalarmi sono stata da una donna con mia madre, perche´ avevo sempre ’sti mal de testa, nessuno riusciva mai a sape’ che ci avevo, ne avevo fatte tante de cose, e insomma andai da ’sta donna, avevo gia` l’epilessia e prendevo i farmaci, pero` io i mal de testa non mi terminavano in nessuna maniera, e mi disse che avevo una fattura in testa; [...] non gli abbiamo detto che avevo il mal de testa, cosı`, m’ha passato..., allora, m’ha messo un crocifisso in mano, questa usava il sacro col profano, praticamente, m’ha messo questo crocifisso in mano, poi c’aveva dei serpenti imbalsamati, ci aveva tanti animali imbalsamati, tra cui tanti serpenti, ci aveva un mobile co’ tutti questi serpenti stesi sopra [...], e mi disse che io avevo una fattura, mi passo` ’sto fazzoletto in testa, mi passo` sulla testa, me lo diede in mano a me, m’ha detto: «Stendilo sul tavolo, dove vuoi, passaci sopra il crocifisso e poi ce passi la mano». Io, come passavo la mano e il crocifisso il fazzoletto s’alzava sul tavolo, mi veniva appresso, insomma. Se io mi alzavo dalla sedia il fazzoletto me veniva dietro, lei faceva dei riti, ci aveva delle polveri, mischiava, ci aveva una valigetta piena de roba, ci aveva un osso, un teschio, tutte ’ste cose lugubri, che queste io, a ’sto livello qua de magia nera, pure che facevamo ’ste cose, non l’avevo mai viste, sapevo che c’erano. Non glielo dissi a mia zia, quella lı`, perche´ ancora non stava male, stava un po’ cosı` pero` non voleva assolutamente che..., sconsigliava a tutti di andare da ’sta donna; dice: «Sı` ci prende, e` vero, pero` fa magia nera, so’ cose pericolose», c’aveva paura, non voleva.
Come nella seduta spiritica finita male, anche in questo caso Sara, posta dinanzi alla richiesta di partecipare a pratiche di magia nera che l’avrebbero coinvolta in un rapporto con forze malefiche, ha paura e si tira indietro. Perche´ [la maga] e` stata una donna un po’ cattivella, lei ha fatto addirittura al figlio una fattura per farlo lasciare con la fidanzata, a un altro figlio sposato perche´ non si prendeva con la nuora, e` una persona un po’ cosı` [...]; insomma, andai la` e mi disse cosı`, mi disse che mi dovevo far levare questa fattura, che io dovevo prendere un animale, dovevo portare un animale a lei, lei lo avrebbe ucciso, poi con degli indumenti miei l’avrebbe fatto bollire, poi non so che riti faceva, pure co’ ’ste pelli di serpente, e m’avrebbe chiuso ’st’involucro in un sacchetto e io dovevo andare a mezzanotte al cimitero, dovevo trovare
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una tomba, dovevo scegliere una tomba e dovevo essere fortunata, dovevo trovare non una persona che vagava ma una persona che e` morta di morte tranquilla, un anziano, una cosa cosı`, d’anzianita`, insomma, e dovevo scavare sotto a questa terra e infilare questa roba sotto. Io non l’ho mai voluto fa’; me so’ messa gia` paura da come aveva parlato, dissi a mia madre pure: «No, no, assolutamente». Insomma voleva 3-4 milioni per fare questo lavoro e mi disse che non c’erano problemi, glieli avrei potuti dare pure un po’ al mese, e invece io non ho voluto fare questo lavoro che diceva questa persona e niente, dopo un po’ mi sono un po’ aggravata e ho cominciato a star male, dopo de quel periodo lı`, pero` non me la so’ fatta mai leva’, non so manco se era vero che c’era che non c’era.
Spaventata, dunque, Sara rifiuta di fare il «lavoro» proposto dalla maga e rimane col dubbio sulla presenza della fattura, che sarebbe stata operata da due donne; di fatto il suo stato peggiora ma Sara non si rivolgera` piu` ad operatori dell’occulto per intraprendere invece le altre strade di cui si e` parlato. Quello che oggi l’esorcista condanna con piu` forza non sono pero` tanto le pratiche magiche di Sara, quanto la frequentazione di pratiche e filosofie «orientali», peraltro abbandonate anch’esse. Sara le conosce dopo la nascita del terzo figlio. A causa dei gravi problemi allergici per circa 5 mesi il neonato e` «nutrito» attraverso flebo; non cresce sufficientemente, rischia di morire e, contro il parere dei medici che lo seguono, viene trasferito in un altro ospedale specializzato; in seguito vengono utilizzati latte chimico e alimenti speciali. Prima, pero`, viene allattato per 2 mesi da una donna conosciuta in ospedale che, a questo scopo, si sottopone a una dieta esclusivamente di patate e agnello. Uscita dall’ospedale, Sara si trasferisce dunque per circa due mesi presso l’abitazione della donna che allatta il figlio, a Roma. La donna pratica il buddismo e inizia Sara a questa «filosofia» (e` lei che la definisce cosı`). Anche lei partecipa alle pratiche quotidiane, tra cui la cura della statua del Buddha e la recitazione delle formule di preghiera. Tramite questa donna, Sara ne conosce un’altra, seguace del santone indiano Sai Baba, che la avvicina ad alcune tecniche orientali di meditazione. Guidata da lei sperimenta una sorta di concentrazione-rilassamento durante la quale viene invitata a staccarsi gradualmente dal corpo per entrare in un altro spazio e mettersi in comunicazione con le entita` spirituali che lo abitano: e` quello che Sara chiama «uscire dal corpo». In questo stato di coscienza, dopo che la donna ha accertato mediante domande sul proprio passato che Sara e` in grado di vedere particolari
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che non conosceva, Sara parla del futuro del bambino. La stessa donna le procura le cosiddette «polveri di Sai Baba» che dovrebbe giornalmente somministrare al bambino, oltre che a se stessa. Sara le ingerisce per un certo periodo di tempo, ma non ha il coraggio di darle al piccolo a causa delle sue allergie e gliene mette solo un po’ sul capo. Queste esperienze saranno in seguito fortemente stigmatizzate da don Amorth e dai carismatici, che ne daranno un’interpretazione assolutamente negativa: la sua pratica buddista e` stata un rinnegamento della fede cattolica; le entita` spirituali che si troverebbero nello spazio raggiunto con le tecniche orientali non sono altro che anime vaganti, spiriti pericolosi, soprattutto in quanto si rischia di portarli con se´ rientrando nel corpo; le polveri di Sai Baba provengono da ossa di morti e sono le stesse con cui si fanno le fatture. Si tratta insomma di pratiche di ispirazione diabolica. Sara ora aderisce a questa interpretazione, sottolineando che all’epoca non sapeva, era in buona fede. Dall’esterno, considerando tutta la sua storia, appare come Sara non sia riuscita a gestire, ad incanalare le sue capacita` e «doni», e forse a realizzare le sue aspirazioni, in una vicenda in cui anche i multiformi e ripetuti disturbi che l’hanno colpita possono essere letti in chiave magica o soprannaturale. Incostante nelle cure mediche quanto nel seguire le indicazioni degli operatori magici, trova infine nella «terapia» religiosa cattolica una cura momentaneamente efficace e una risposta alle sue domande; risposta che, pur cambiando in segno negativo la qualita` della maggior parte delle sue esperienze, rimane inscritta sul piano extra-naturale che ha sempre affascinato Sara.
6. L’infestazione diabolica Comincia ora ad apparire piu` chiaro come e perche´ Sara arriva dall’esorcista. In realta`, don Amorth e` il terzo esorcista a cui i familiari della donna si rivolgono nel corso di alcuni anni, ma l’unico che Sara accetta infine di rivedere regolarmente. Sono infatti i parenti a condurla dai sacerdoti, inizialmente con piccoli inganni, promesse, quasi a forza, cercando di vincere la sua avversione. Ecco come Sara racconta il lato «diabolico» dei suoi disturbi, non appena la stimolo dicendole che mi interessa l’aspetto religioso della
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sua vicenda e tutto quello che le succede, non solo i problemi clinici e la lettura medica e psichiatrica; erano infatti queste che fino a quel momento il racconto di Sara aveva posto in primo piano, lasciando solo intravedere pochi altri elementi riconducibili all’ambito religioso e alla relativa interpretazione (ad esempio: il sopraggiungere della prima crisi quando si sta recando in chiesa, con peggioramento durante la messa; il malessere durante il viaggio e la permanenza a Lourdes). Praticamente i sintomi sono, cioe` cominci che ti succede di tutto, dentro casa ti si spostano degli oggetti: quello cade da solo, il quadro che si gira all’incontrario.
Le chiedo quando questo e` cominciato; risponde: Le prime cose, gli spostamenti, nel ’91 quando mi salto` il crocifisso per la prima volta, fino a quel momento avevo avuto questi casi di malattia che non si capiva cos’era, non c’era niente, pero` spostamenti visibili o cose reali che uno poteva accorgersi davanti, mai successe fino a quel momento. La prima e` stato il crocifisso che dalla catena, avevo una catena grande con un crocifisso cosı`, di mio marito, quelli che andavano parecchi anni fa con quelle catene grandi che si portavano, e ce l’avevo io al collo questa catena; me l’ero messa da un paio di giorni, non avevo mai portato un crocifisso, mai; e in chiesa ci andavo e non ci andavo; cercavo di partecipare a queste cose tipo volontariato pero` ogni volta che andavo mi sentivo male, non riuscivo mai a finire l’opera, a compiere quello che ero andata a fare perche´ magari dovevano assistere me che stavo male; ecco, mi succedevano ’ste cose cosı`. Andavo a messa, se dovevo andare, mai per Gesu`, per Dio, per la Madonna, non ci andavo mai; andavo per fare la chiacchierata con l’amica, per anda’ a canta’ vicino l’organo, pero` non sentivo questa forte... Andavo in chiesa ma se devo dı` che io avevo fede, che credevo, no, dico la sincera verita`, ecco. Di lı` mi sono cominciata un po’ a avvicinare di piu` e ho voluto fare questo volontariato, ho voluto provare quest’esperienza, dice ’e` una bella esperienza che ti avvicina a Gesu`, prova’. Ho provato. La prima volta che provai mi salto` questo crocifisso davanti al parroco.
Considerando quanto avviene alla zia e altri episodi occorsi a Sara cui si accennera` piu` avanti, l’immagine sacra che si spezza o salta e` una costante nelle manifestazioni di forze-entita` considerate soprannaturali e per cio` immediatamente riconducibili ad un agente malefico. In questo caso, il repentino e inspiegabile sganciamento del crocifisso dalla sua catena, segno della presenza diabolica, e` – per
IL CORPO DI SARA
cosı` dire – preparato dalle condizioni ambientali e psicologiche di Sara (il buio improvviso nel momento in cui si sta per aprire la porta di un luogo che di per se´ le faceva paura) e dall’annuncio scherzoso di un bambino. Ecco come Sara racconta l’arrivo del diavolo: Stavamo in un seminterrato, sotto, e c’era un refettorio; i bambini stavano mangiando; questo frate ospitava dei profughi dell’Albania che stavano facendo dei piaceri a lui: dovevano portare uno scatolone grande, chiuso, sotto questo seminterrato che alla fine c’era una porta di una cantina con delle scalette che si andava in profondita`; io non so proprio, mi metteva un po’ di terrore questa porta, non volevo mai andare; c’era la lavatrice, queste cose, ci mandavo sempre qualcuno, non volevo mai entrare lı` dentro; avevo questo senso di paura. Una sera, quando arrivano questi ragazzi a portare questo frigorifero, i bambini cominciano a scherzare, ridevano, scherzavano e al momento che passavano ando` via la luce, mentre passavano questi ragazzi, e un bambino comincia a urlare: «Ecco, arriva Satana! Arriva Satana!». Io che mai ho avuto reazioni, anzi ci scherzavo io, avevo fatto sedute spiritiche tempo addietro, da ragazzetta, facevo le carte, sedute spiritiche, c’ho mia zia che e` medium, cercava di mandarmi in trance per far vedere le reincarnazioni. Ero un po’ malata di queste cose, mi piacevano tanto ’ste cose dell’occulto; vedevo un libro su un giornale e io lo compravo subito perche´ dovevo anda’ a cercare ’ste cose di magia, ero un po’ fissata su ’ste cose cosı`. Insomma, io che avevo sempre scherzato sul diavolo e su Satana, quando il bambino disse quella parola io cominciai a piangere, che il sacerdote disse: «mi prendi in giro a me? Stai sempre a scherza’», perche´ io prendevo sempre in giro, scherzavo; a piangere a singhiozzi, una paura, un tremore incredibile e cominciai a urlare di farla finita. Allora il sacerdote disse: «va bene, diciamo il Pater nostro e mandiamoli a letto». Io mi metto vicino al sacerdote, lui qui, io qui, due catechiste qui, i bambini in cerchio; facciamo il segno della croce: bom! Il crocifisso comincia a saltare per aria; allora le catechiste hanno portato via i bambini, li hanno mandati a letto; e niente, non riusciva a prenderlo il sacerdote.
Il crocifisso, d’oro, rimbalzava. Escluse spiegazioni meccaniche e naturali del fenomeno, si comincia ad ipotizzare un intervento malefico. Poi mi ha detto: «Si sara` rotto», lui cercava di sviare: «Spostamenti d’aria» non lo so, e io con un senso di paura terribile. Pensavo che era rotta e allora feci cosı` e: «La catena e` sana, non e` rotta». E lui ha detto: «Sara` rotto il gancio». Prende, il gancio era pure grosso, era chiuso e non era rotto, infatti l’ho riattaccato, dopo. E non spiegava questo fatto, dice: «Ci saranno, non lo so, qualche infestazione, qualcosa di diabolico, io non sono addentrato in questi casi, pero`, quando succe-
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dono queste cose..., ti mando da monsignor [un esorcista della diocesi di Roma] ». Io ero un po’ impaurita di ’sta cosa, e di lı` sono stata male: ho cominciato a dar de stomaco, non avevo mangiato niente pero` davo de stomaco roba alimentare, ci avevo avuto il mal di testa, il giorno prima, mi sentivo un po’ scombussolata: «non mangio»; non avevo mangiato. Niente, il giorno dopo ancora, ho dato de stomaco tutta la notte, questi tremori, queste forze di stomaco; poi piano piano, dopo tre giorni sono migliorata; questo e` stato il primo..., pero` io non gli ho dato peso; cioe`: lı` per lı` tanta paura; so’ andata dal sacerdote, mi ha dato una benedizione, so’ uscita che ridevo, [...] non so perche´ so’ uscita coi capelli cosı` comunque [fa il gesto di capelli ritti e ride], i capelli non me li aveva toccati perche´ non fa, non era un esorcismo come padre Amorth: in ginocchio su un inginocchiatoio antico, ha fatto una preghiera sempre tipo un esorcismo senza toccarmi; m’ha buttato solo l’acqua, col coso cosı`, non ho avuto reazioni strane, mi sentivo stordita, mi sentivo confusa, stordita ma non ho avuto nessuna reazione. Solo che i capelli mi si erano drizzati, tutti dritti, ma pari.
Le chiedo se l’esorcista ha detto qualcosa. Lui m’ha detto: «Ci sono delle infestazioni diaboliche». Io ho fatto una risata in faccia e so’ uscita e me ne so’ andata, perche´ non stavo male 16 come m’e` successo poi dopo da quell’altro esorcista – non ricordo il cognome, come si chiama – che ha detto che non era in grado di, e m’ha mandato poi da padre Amorth.
Anche a questo secondo esorcista Sara non da` «nessun credito» e lo «beffeggia»; il suo atteggiamento aggressivo e` tale che l’anziano esorcista, con l’unico aiuto del marito di Sara, non puo` praticamente procedere ad una benedizione completa e la invita a tornare. Sara non vuole ma alla fine i familiari riescono a condurla di nuovo dal sacerdote che non puo` esorcizzarla perche´ viene da lei aggredito nel confessionale in cui si trova; le viene dunque consigliato di rivolgersi a don Amorth che si avvale dell’aiuto di collaboratori. Sara, pero`, non ci andra` subito. Sebbene Sara dichiari di non aver dato importanza ne´ al primo ne´ al secondo esorcista, la lettura in termini diabolici comincia inconsapevolmente a fare breccia in lei almeno da quando il primo sacerdote le annuncia la presenza di «infestazioni diaboliche» che infatti cominciano a riprodursi.
16
Si riferisce ad un altro sacerdote esorcista di cui mi dice il nome di battesimo, che io ometto come quello del monsignore prima citato.
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Dopo di lı`, ecco, ci avevo sempre queste cose che mi si spostavano dentro casa, i quadri che venivano giu` da soli e il chiodo rimaneva addosso al muro, il gancetto c’era; queste cose un po’ strane di questo genere. Sentivo nella camera da letto..., tutte le sere, mi mettevo nel letto – ci avevo una camera da letto che ho cambiato per quel motivo e poi il rumore c’era uguale nell’altra camera – nell’angolo faceva uno scricchiolio come se fossero i tarli, l’ho fatta vedere: non c’erano tarli. [...] Insomma, cambiai la camera; invece che lı` bussavano sulla parete; le serrande: io abbassavo tutta la serranda, mi svegliavo la mattina con la serranda alzata tanto cosı`. Queste cose cosı`, ecco, capitavano dentro casa; che gli posso spiega’... Una volta ci si e` allagata casa e non sappiamo da dove e` uscita l’acqua; dove e` uscita l’acqua non c’erano tubature. [...] Non c’erano guasti, evidente, non c’era niente. C’era l’acqua sotto il tappeto, davanti alla televisione, una volta ce la siamo trovata sotto i piedi, saliva l’acqua. Queste cose cosı` un po’ assurde e poi non lo so; dicevo: «Succede tutto dentro ’sta casa. Ma che ne so io, tutte a noi!».
Le chiedo se questo accadeva prima di andare da padre Amorth. Sı`, pero` io non gli davo mai peso a ’ste cose, cioe` io non pensavo che evidentemente c’era qualcuno che poteva provocare queste cose, che io avessi qualcosa indietro a questa seduta spiritica che avessi fatto, perche´ facevo le carte, o perche´ avessi qualche fattura o cose del genere. Non mi sembravano cose vere, purtroppo. E dopo di lı` mi so’ convinta, perche´ ’ste cose man mano so’ sparite; possono succedere cose piccolissime, adesso, ecco, come ’sta settimana, di tre televisori, uno al giorno si so’ rotti tutti e tre.
In un colloquio successivo riprende a parlare di questo genere di eventi: Dei fenomeni particolari c’erano dentro casa: degli spostamenti di oggetti, delle cose che venivano giu` da sole, mettiamo che la borsa sta lı`, ad un certo punto senti un botto, la borsa sta vicino alla porta, ecco, queste cose cosı`, che spesso succedevano. Ecco, un’altra cosa: il rosario mi si levava da solo, andava a finı` in fondo al letto, dal collo [mostra una specie di collana-rosario in legno che ha al collo], oppure la catenina [...] senza levarsi i ganci, la ritrovavo cosı`, mio marito dice: «Ma che te la sei messa lı`? Guarda che te s’e` levata ’n’altra volta?». Oppure mi si sfilava, sana, nel letto; me l’ha rimessa lui piu` volte, perche´ delle volte sembravo pazza. Ogni volta che succedeva, lui non aveva mai visto queste scene, mo` ha cominciato a vederle pure lui, e` impossibile, non puo` succedere una cosa simile; dice: «Questa e` diventata matta! Questa e` diventata matta!». Perche´ ogni volta che succedeva quello, e mi agitavo! Mi venivano le crisi nervose perche´ succedevano queste cose pero` nessuno mi dava credito, all’inizio.
LA CARNE CONVULSIVA
La presunta presenza diabolica si estende progressivamente dalla persona – colpita nella salute, nelle relazioni affettive, nella capacita` lavorativa – all’ambiente circostante piu` prossimo, domestico. Da don Amorth Sara andra` – sempre portata dai familiari – solo dopo il tentato suicidio, su indicazione, questa volta, dello psichiatra dell’ospedale presso cui viene portata per la lavanda gastrica, che riconosce la somiglianza del suo caso con quello di una sua parente curata inutilmente per anni per problemi mentali e poi esorcizzata dal Papa. Insospettito, il medico verifica la sua ipotesi sottoponendo Sara ad una prova: senza dirle di chi si tratta, la fa parlare telefonicamente con un esorcista, che lei immediatamente individua come tale ricoprendolo di insulti. L’incontro con don Amorth segnera` una svolta nella storia della donna nonostante la resistenza che ancora una volta Sara mostrera` all’inizio.
7. La guarigione Il miglioramento dello stato psico-fisico di Sara avviene dopo circa dieci anni dallo scatenarsi di quella che lei indica come la prima crisi, quando e` esorcizzata da don Amorth: da quasi un anno, 7-8 mesi; mi cominciai a sentire meglio: sentivo che non avevo bisogno dei medicinali [anti-epilettici]. Il neurologo diceva che era impossibile, poi spiegai: non ho piu` svenimenti, non ho piu` mal di testa, non ci ho piu` queste cose, non ci ho amnesie, non ci ho niente, perche´ devo prende ’sti farmaci? «Sono salvavita!». Io li voglio interrompere. Lui diceva che non era possibile; un giorno dice: «Proviamo a scalarli, vediamo se diminuendo il farmaco..., quello che succede». Io diminuivo i farmaci: non succedeva niente. Lui mi ha detto che pero` ci voleva molto tempo per farli scalare; io mi so’ intestardita: ho seguito lui, ma acceleravo, in 15 giorni mi so’ tolta da sola tutti i farmaci, il Depakin, tutto; facevo un pezzetto di meno al giorno per due o tre giorni, poi un altro pezzetto di meno; ho scalato ’sti farmaci e non c’avevo niente.
Durante il successivo trattamento esorcistico non assume dunque alcun farmaco e tuttavia non ha le crisi o i sintomi che la mancata assunzione dovrebbe provocare. Rimane inspiegabile, agli occhi di Sara e degli operatori medici, l’elettroencefalogramma di controllo effettuato in questo periodo che indica (come quelli passati) una crisi
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in corso che invece la donna non manifesta. Un’ipotesi esplicativa puo` pero` essere trovata a livello della complessa dinamica che si instaura tra il piano simbolico e quello psico-fisico: trovata una nuova forma culturalmente determinata per esprimere il male, si e` ` a questo livello operata una «conversione» delle sue manifestazioni. E che opera l’efficacia simbolica, la quale riguarda, prima ancora che gli effetti di una «terapia» simbolica, la possibilita` dell’inscrizione del male in un ordine simbolico condiviso tra «terapeuta» e «paziente». Come gia` le parole precedentemente citate di Sara hanno lasciato intendere – e l’analisi del rito mostrera` – il processo di guarigione, lungo e non ancora terminato, si configura, per lei allo stesso modo che per le altre esorcizzate, come una sorta di disciplinamento del male e delle crisi nel tempo e nello spazio rituali, che via via diventano luogo e occasione privilegiati, se non unici, per la manifestazione del malessere secondo le forme ormai accettate della possessione. Alla luce dell’interpretazione in termini diabolici viene ugualmente letto il sopraggiungere di nuovi sintomi: la paralisi, considerata un altro segno del demonio che resiste alla liberazione del corpo di Sara dalla sua presenza17; le strane macchie di sangue e l’espulsione di un «sasso», che invece sarebbero segni positivi dell’esteriorizzazione del male – secondo una logica simbolica piu` avanti analizzata. Sebbene Sara non abbia conseguito un completo ristabilimento del suo stato di salute, i suoi racconti – proprio in quanto testimonianze nel senso prima indicato – risultano strutturati secondo un prima e un dopo rispetto all’inizio del trattamento esorcistico (come anche per Vittoria, che pero` si ritiene ed e` considerata liberata, mentre Sara non ha finito il suo percorso). Se il cambiamento e` graduale – come peraltro l’apprendimento del linguaggio esorcistico in genere richiede – a posteriori Sara evidenzia le differenze piu` nette tra il passato e il presente, contrapponendo non solo malattie e relative terapie insoddisfacenti al benessere (relativo) di oggi, pratiche magiche del passato e loro rifiuto attuale, ma anche il suo precedente modo di essere e stato psicologico di inquietudine ad una certa raggiunta serenita`. Il rilievo dato al percorso esorcistico come 17
L’immobilita` delle gambe inizia al convegno annuale dei carismatici, tenutosi a Rimini; Sara vi ha partecipato insieme a don Amorth e al gruppo carismatico guidato dalla coppia di assistenti dell’esorcista, alle cui riunioni di preghiera prende parte anche Sara. La paralisi terminera` durante un esorcismo, circa due mesi dopo.
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elemento discriminante tra due fasi della sua vita, evoca i racconti di conversione tipici, ad esempio, dei membri dei gruppi carismatici18, senza pero` l’enfasi di questi ultimi sul nuovo stato di rinati alla vita cristiana, enfasi in Sara mitigata dal raggiungimento solo parziale del benessere e da un certo margine di dubbio non sui risultati conseguiti tramite gli esorcismi ma – mi sembra – sull’interpretazione in termini esclusivamente diabolici di molti eventi della sua vita. Gli effetti benefici degli esorcismi investono tutta la sua vita, compreso il rapporto con i figli; la figlia, dice Sara: ha avuto, aveva dei problemi di notte: degli incubi, faceva dei sogni strani, una notte si e` svegliata, ci ha messo una paura, ha cominciato a picchiare il fratello; quello diceva: «Questa e` matta! Aiuto! Aiuto!». Io e il padre non la potevamo staccare, sembrava una iena; in due non riuscivamo a tirarla sopra dal fratello; e poi io ne parlai con padre Amorth di ’sta storia, dice «Possiamo dare una benedizione», io ringrazio Dio, da quando ha preso quella benedizione mia figlia non parla piu` di notte, non si e` piu` alzata, non ha nessun tipo di problema. Dice «Non ce devi crede?». Io ce credo adesso. Se prima non ci credevo, dico la verita`, non credevo proprio, io oggi ci credo e ci credo pure tanto, perche´ ho visto dei risultati su me stessa, su mia figlia, su tutto insomma. Mi sento bene! [...] Prima, non stavo coi piedi per terra, non mi stava bene niente, qualsiasi cosa io la vedevo storta, tutte le cose: in casa, sui figli, sgridavo in continuazione, vedevo tutto fatto male, era tutto storto per me; ero sempre ansiosa, non stavo ne´ in cielo ne´ in terra. Adesso mi sento una persona abbastanza tranquilla. Non vedo nessun tipo di problema anche in famiglia, sembra tutto preciso, forse pure troppo tante volte, mi va bene: con mio marito non ho problemi, coi figli pure vado abbastanza bene. Giusto il primo [figlio], che l’altr’anno me dava qualche problema con la scuola, pero` aveva subito anche tutti questi traumi che io stavo male, ne avevo combinate di tutti i colori, ’sto ragazzino pure, sara` stato un po’ anche quello il problema, perche´ quest’anno che io sto bene lui va benissimo, non m’ha dato problemi; anche i professori m’hanno detto: «Il bambino ha recuperato tantissimo. Sembrava come sotto shock». Aveva dei problemi, la testa sempre fra le nuvole proprio, e questo sembra che adesso il bambino non ce l’ha, insomma tranquillo; sono molto piu` attaccati a me, forse hanno visto pure, non lo so, pensavano [parola non chiara] perche´ m’hanno raccontato che la bambina diceva: «Mamma non ce l’ho piu`», si sentiva proprio che piangeva disperata e io nei momenti di crisi sfasciavo proprio tutto dentro casa e dice che me la prendevo con loro, non ho mai dato uno schiaffo, non l’ho mai toccati pero` da come urlavo, con quello che gli dicevo, li uccidevo 18
Cfr. Talamonti 1991.
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proprio. Per cui hanno passato dei traumi anche loro, insomma, dovuti a me, pero` anche per colpa mia perche´ ero io che inveivo contro di loro. La bambina dice che piangeva tutti i giorni, dice: «Io non ce l’ho piu` la mamma». Magari adesso e` attaccatissima; quando sto a casa, gli dico: «Che sei il cagnolino mio?». Me sta sempre attaccata proprio, m’abbraccia in continuazione, e forse lei un po’ avra` anche capito dai discorsi dei grandi, e` una bambina che prega in continuazione, vuole andare sempre a messa, viene con noi alla preghiera e mo’ la vedo molto rilassata, contenta, non so, cosı`.
E in un’altra occasione: Mi sento meglio di volta in volta. Adesso vado al centro di preghiera dove stanno Renata e Enrico come responsabili, mi trovo bene. All’inizio sono stata male, non potevo entrare lı`, mi venivano degli svenimenti anche lı` dentro; adesso riesco, non sto abbastanza tranquilla perche´ ancora non sto perfettamente bene pero` riesco a andare, a pregare, vado in chiesa che non ci andavo piu`, non potevo entrare perche´ svenivo in chiesa, e invece adesso entro in chiesa normalmente e io pure pensavo che queste cose non esistessero e invece mi sono dovuta ricredere perche´ esistono. Come c’e` Gesu` Cristo, c’e` Dio, c’e` anche il demonio. E per me e` cosı`, e questa e` la storia.
Sara dichiara di non sentirsi piu` malata, non segue nessuna terapia, e` tranquilla e, a parte la «paralisi», non ha alcun tipo di problema: di questi anni di malattia le resta solo una certa difficolta` di concentrazione quando e` impegnata in attivita` come leggere o scrivere. Chi, finora, ha saputo rispondere alla domanda implicita – formulata esplicitamente dalla madre – che sempre si accompagna alla richiesta di guarigione: «perche´ proprio a me»? La religione ha dato al suo male un senso che la medicina non ha saputo trovare. Gli straordinari miglioramenti verificatisi grazie agli esorcismi la inducono ad aderire all’interpretazione diabolica del suo male e si potrebbe dire che il suo attuale benessere e` precisamente il prodotto dell’assunzione rituale della parte diabolica; ma Sara, pur «facendo» la posseduta, afferma di non sentirsi «indemoniata». Riferendosi all’esorcista la donna afferma: Lui dice che c’e` questa possessione... L’altra sera mi stavo interrogando... ho avuto questi cambiamenti nella vita, ho visto che [gli esorcismi] mi hanno giovato perche´ ho trovato la serenita`, la calma, pero` ... se devo dire che mi sento – come si puo` dire – indemoniata, indiavolata, no, mi viene da ridere.
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E ripetendo che non ha piu` le «angosce» e gli «scatti» di prima conclude: «Chiamatela come vi pare ... questo e` quello che posso dire io». Partecipe del gioco rituale del «come se», favorito dall’alternarsi di diversi stati di coscienza che ne accentuano l’ambiguita`, Sara sperimenta l’efficacia simbolica di una «terapia» in cui la rappresentazione del ruolo di posseduta permette di dare forma, nome, senso individuale e significato sociale ai propri mali. Resta pero` non del tutto chiarito il problema della spiegazione della natura del male e della guarigione, di fronte al quale Sara ha delle incertezze. Al di la` del caso individuale, si tratta di una questione che riguarda i sistemi di cura piu` in generale; a tale proposito De Micco, che fa riferimento a Stengers (1996), sostiene che «la guarigione non e` una prova sufficiente della validita` del sistema di spiegazioni e di pratiche che l’hanno prodotta. Tipico esempio: tutte le guarigioni ottenute per via di “suggestione” non aiutano a comprendere la natura del fenomeno morboso, al contrario la occultano; esse non consentono di raggiungere una chiara conoscenza, al contrario confondono» (De Micco 1999: 99). Se consideriamo il trattamento esorcistico di tipo «suggestivo» (ma la categoria stessa di «suggestione» andrebbe problematizzata), in questo caso mi sembra che oltre al dubbio sulla precisa natura del male (Sara, dicendo di non sentirsi indemoniata, si chiede se il suo male e` veramente diabolico) resti soprattutto non compresa la modalita` con cui la guarigione avviene, certamente «occulta» per l’esorcizzata19. La validita` del sistema di pratiche mi sembra comunque sufficientemente comprovata per Sara dai benefici ottenuti, mentre rimane incerta la validita` del sistema di spiegazioni che sottende la pratica esorcistica. Da una parte Sara vi aderisce, incarnando la parte diabolica durante il rito e cautamente rileggendo in chiave diabolica esperienze del passato secondo l’interpretazione di don Amorth; dall’altra lascia comunque aperte altre possibili spiegazioni di quanto le e` accaduto o le accade durante gli esorcismi: ammette che inconsciamente si possano produrre certi tipi di fenomeni, e che altri possano essere paranormali. In ogni caso gli esorcismi le hanno giovato e continuera` questo percorso finche´ ne vedra` i vantaggi. Nello stesso tempo, ha maturato
19 Sulla natura del procedimento in atto in «terapie» suggestive vedi i lavori gia` citati di Contreras e Favret-Saada, e Charuty 1992 per una critica attenta alla specificita` della ricerca antropologica su questi oggetti.
IL CORPO DI SARA
l’esigenza di riesaminare approfonditamente il passato per indagare se esista qualcosa che non ricorda, un eventuale «trauma» che possa essere all’origine del suo male. Sara non cessa di interrogarsi e interrogare e, nella sua ricerca, appare una donna moderna, che vive i problemi e le contraddizioni di tante altre donne di oggi.
3 L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA
1. Definizioni e codificazione teologica 1.1 Ideologia e realta` etnografica Entrare nel vivo della pratica esorcistica comporta una preliminare ricognizione dei suoi presupposti resi espliciti nel discorso cattolico 1 sul male di origine diabolica e dei relativi trattamenti . D’altra parte, e` proprio l’etnografia ad aver messo in luce un elemento importante: la teoria e la reale prassi esorcistica non sempre combaciano; la realta` etnografica appare piu` articolata e fluida di quanto le definizioni e la codificazione teologica lascino intendere. Se queste ultime costituiscono gli obbligatori presupposti, il loro carattere prescrittivo non impedisce che la prassi effettiva si differenzi dall’ideologia «ufficiale» accogliendo elementi originariamente spuri e adattandosi agli specifici contesti. Questo aspetto e` presente non solo nell’attivita` esorcisticabenedizionale di operatori religiosi che si colloca al limite della legittimita` ma anche in quella di un esorcista ufficiale come don Amorth. Nella sua pratica e` ravvisabile infatti un’elasticita` nell’impiego di vari strumenti esorcistici che, pur nel riferimento obbligato al quadro stabilito dal Rituale Romano, si articolano a seconda delle situazioni e dei soggetti. Attenuerei dunque la differenza sottolineata da De Micco tra la situazione ufficiale da me descritta e la pratica di sacerdoti di un’area campana da lei studiata, caratterizzata dall’«o1
Per un’ottica storico-religiosa su diavolo e possessione vedi Di Nola 1987.
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scillazione della cornice rituale» (De Micco 1999: 107). Il sacramentale esorcistico infatti, come peraltro De Micco e Ferraiolo (1998: 100) rilevano, contiene insito in se´ uno «spazio di liberta`» (da loro chiamato anche «di ambiguita`»); esso permette la modulazione di pratiche diversificate piu` strettamente esorcistiche e rituali, e di atti «profani» dalla valenza genericamente esorcistico-«terapeutica» che caratterizzano il singolo sacerdote. Ed e` proprio di tutti questi elementi – rituali o meno – che si dovra` tener conto nella descrizione e nell’analisi della prassi esorcistica di don Amorth, non limitandosi all’esorcismo maggiore che pure rappresenta il momento culminante del dispositivo simbolico ufficiale. La relativa fissita` della «cornice rituale» non impedisce adattamenti e l’investimento ufficiale dell’esorcista da me incontrato non rende la sua pratica meno soggetta ad una certa flessibilita` operativa mentre «l’investimento» popolare rivela proprio la contiguita` del quadro culturale di riferimento delle persone consultanti e del sacerdote o la condivisione degli stessi presupposti magico-religiosi2. Va dunque sottolineato subito l’elemento che maggiormente caratterizza la prassi di don Amorth facendola divergere dalle direttive ufficiali: il carattere probativo del rito esorcistico, cioe` il valore diagnostico del rito stesso, tendente all’accertamento della presenza o influenza malefica, laddove le Norme del Rituale indicano l’utilizzo dell’esorcismo nei casi di possessione accertata. In questo senso la «cornice rituale» e` per don Amorth di fondamentale importanza ma nondimeno suscettibile di declinarsi in varie forme (impiego di una sola delle formule esorcistiche previste dal rito, di tutte e/o di uno o piu` strumenti esorcistici supplementari) nella effettiva relazione con le singole persone.
1.2 L’esorcismo cattolico Il termine esorcismo, per la Chiesa cattolica, designa lo scongiuro, il comando fatto in nome di Dio per liberare luoghi, cose o persone dal demonio. Le formule che lo costituiscono, pur premettendo frasi di 2 Purtroppo la mancanza di una descrizione delle pratiche messe in atto dai religiosi studiati da De Micco e Ferraiuolo, definite «al limite dell’eterodossia rispetto alla dottrina ecclesiastica» (De Micco 1999: 107), non permette un confronto puntuale. Cfr. Scafoglio-De Luna 2001 e 2003 per uno studio della possessione e delle pratiche esorcistiche nell’area campana.
L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA
tipo «autoritativo», sono considerate preghiere invocative (Alonzo 1946: 129) rivolte a Dio, per intercessione della Chiesa, al fine di impedire che lo spirito del male eserciti i suoi influssi e il suo potere. Gli esorcismi appartengono dunque alla categoria dei sacramentali – chiamati anche benedizioni – definiti, nel nuovo Codice di Diritto Canonico, «segni sacri, per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, si significano e si ottengono per l’impetrazione della Chiesa taluni effetti, soprattutto spirituali» (Can. 1166). Nel commento al Codice si nota che la loro definizione come segni sacri sostituisce quella del vecchio Codice che si limitava alla semplice descrizione designandoli come cose o azioni. Tuttora essi consistono di cose, cioe` oggetti benedetti come acqua benedetta, le sacre ceneri, il cero pasquale etc., e azioni, che comprendono formule, uso degli oggetti benedetti e alcune cerimonie come il segno della croce. Si distinguono dai sacramenti perche´ agiscono «ex opere operantis» invece che «ex opere operato»3. L’efficacia degli esorcismi dipenderebbe quindi «non solo dalle disposizioni dell’esorcista e del paziente, ma anche dalle preghiere della Chiesa, dotate di uno speciale potere impetratorio»4. Il demonologo Balducci, da cui traggo quest’ultima citazione, si riferisce essenzialmente agli esorcismi solenni sugli ossessi che possono essere legittimamente compiuti solo da chi abbia «ottenuto dall’Ordinario del luogo un peculiare ed esplicito permesso» come stabilito al Can. 1172 del Cod. Dir. Can. Formalmente si distingue tra esorcismi pubblici e privati. I primi non sono intesi come riti da svolgersi in pubblico, ma sacramentali fatti in nome della Chiesa, secondo le modalita` da essa stabilite, da una persona legittimata (presbitero con permesso speciale per ogni caso, o esorcista designato); si parla di esorcismi privati quando non sono soddisfatte queste condizioni, vale a dire lo scongiuro e` fatto per iniziativa privata ed in proprio nome, e, dato che i testi non limitano esplicitamente il loro uso ai sacerdoti, se ne deduce che possono farvi ricorso anche i laici. Gli esorcismi pubblici si dividono in semplici e solenni a seconda che siano inseriti in altri riti, per esempio del catecumenato e del battesimo, o che vengano impiegati per i casi di possessione o ossessione diabolica (Cod. Dir. Can. 1986-7: 837). La distinzione che qui viene operata tra i due tipi di 3
Codice di Diritto Canonico 1986-87: 832-835; Codice di Diritto Canonico 1988: 291-292; Alonzo 1946: 127-128. 4 Balducci 1990: 931. Da notare l’utilizzo del termine «paziente» da parte di Balducci, che assimila l’esorcizzato ad un malato.
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esorcismi pubblici in base al contesto e alle finalita` del loro impiego, e` fatta altrove secondo un criterio che tiene conto soprattutto dei destinatari dell’esorcismo e del grado di influenza diabolica: l’esorcismo solenne sarebbe diretto a persone possedute, mentre quello semplice a persone o cose infestate (Simeone 1949: 596). Per Balducci sono invece destinati alle persone, senza distinzione tra le forme di influsso diabolico, gli esorcismi pubblici, ufficiali, solenni, laddove il termine esorcismo negli esorcismi battesimali e` utilizzato in un senso largo e potrebbe essere eliminato, dati anche i cambiamenti introdotti con il nuovo Rituale (1969 e 1972) che sostituiscono la forma imperativa rivolta al demonio con una forma deprecativa rivolta a Dio (Balducci 1990: 931). Esorcismi nel senso piu` generale si trovano anche nell’ambito sacramentale della cresima. In pratica, anche la differenza essenziale tra esorcismo solenne, pubblico e esorcismo privato sarebbe nella diversa entita` a cui ci si rivolge, che richiede modi distinti di formulazione: nell’esorcismo solenne, diretto al diavolo, si usa un modo imperioso, di comando, e tale autorita` puo` essere impiegata solo dal sacerdote autorizzato perche´ deriva dalla Chiesa; l’esorcismo privato e` una preghiera, una supplica che implica umilta`, indirizzata a Dio o ad altre entita` soprannaturali non malefiche5. Le norme che regolamentano l’uso dell’esorcismo pubblico e le formule da impiegare sono contenute nel Rituale Romano; fino a pochi anni fa erano sostanzialmente le stesse della prima edizione del 1614, sotto il pontefice Paolo V. Fino al 1952 gli esorcismi erano nel titolo XI, poi sono passati nel XII che pero`, a differenza degli altri, non e` stato tradotto dal latino con la Riforma liturgica che ha seguito il Concilio Vaticano II, ma solo di recente (nel 2000), dopo la pubblicazione della nuova edizione in latino (1999) che ha implicato la revisione di alcuni aspetti delle norme, gia` messe in discussione da anni da piu` parti6. Storicamente pratiche esorcistiche di vario tipo erano conosciute dalle popolazioni antiche e dagli Ebrei prima della nascita del cristianesimo. Ma trascurando in genere di analizzare la continuita` e il sincretismo con le tradizioni precedenti, da parte cattolica si fa risalire l’esorcismo della liturgia latina alle esperienze dell’ambiente
5 Tra gli esorcismi privati sarebbero dunque da considerare le preghiere di liberazione attualmente molto diffuse nel movimento carismatico. 6 Vedi paragrafo successivo.
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del Nuovo Testamento e soprattutto all’attivita` esorcistica di Gesu` descritta nel Vangelo. Numerose trattazioni sono state ovviamente dedicate alla concezione biblica di demoni e diavolo, e alla sua evoluzione anche in rapporto alle concezioni precedenti e contemporanee. Le scarse notizie sulla prassi esorcistica precedente ai tempi di Gesu`, pero`, permettono solo di ipotizzarne indirettamente forme diverse in relazione a differenti credenze sui tipi di demoni e il loro 7 campo d’azione . Mentre una trattazione piu` approfondita dell’evoluzione storica di forme esorcistiche pre-cristiane esula dal presente lavoro, e` invece necessario accennare ai testi del Nuovo Testamento che costituiscono il presupposto e il fondamento mitico del rituale esorcistico cristiano cattolico; nei vangeli ci sono infatti gia` molti degli elementi che caratterizzeranno il rituale esorcistico successivo e la connessa ideologia del male. Per quanto riguarda l’attivita` esorcistica di Gesu`, la sua interpretazione letterale e` stata negli ultimi decenni messa in discussione da
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Cosı`, secondo Limbeck, nella comunita` di Qumran, che aveva identificato i demoni tradizionali (che non avevano alcun rapporto con Satana) con gli spiriti di Belial (l’angelo delle tenebre) secondo un’impostazione fondamentalmente dualistica, l’azione di questi spiriti non «aveva niente di sinistro». Dio aveva gia` stabilito dall’inizio salvezza per alcuni e tormento e perdizione per altri. «Per questa ragione sarebbe stato sciocco per il credente avere paura degli assalti da parte degli spiriti di Belial (I QS I,17s.) come anche voler cercare di cacciarli mediante qualsivoglia pratiche esorcistiche, tanto essi eseguono soltanto il salutare castigo di Dio nel singolo...». Limbeck aggiunge in nota che chi e` ritenuto indemoniato, viene lapidato (Limbeck 1975: 49-50). Per una ricostruzione della demonologia giudaica antica e del problema degli esorcismi, si sono rivelati utili agli storici i documenti rinvenuti in questo secolo a Qumran: alcuni apocrifi dell’Antico Testamento e gli scritti della comunita` di Qumran. Essi indicherebbero l’esistenza di quelle pratiche esorcistiche che Limbeck escludeva. Rispetto all’Antico Testamento «dove i riferimenti sono relativamente scarsi o frammentati, conseguenza forse di una censura delle fonti o di un intervento demitologizzante» (Rosso Ubigli 1990: 130), vi si trovano diverse indicazioni. Nell’Apocrifo della Genesi (I secolo a.C., in lingua aramaica) e` contenuta la piu` antica, forse l’unica testimonianza sull’impiego giudaico dell’imposizione delle mani nella guarigione, mentre fuori della Palestina tale rito, «che era gia` attestato nelle fonti assiro-babilonesi, e` “occasionalmente” documentato anche nel “mondo greco”» (Rosso Ubigli 1990: 139, nota 3). Le tecniche esorcistiche di cui qui si parla non sono le uniche documentate in ambito giudaico; secondo Rosso Ubigli esse si ritrovano nel Nuovo Testamento ma non nell’Antico, e differiscono inoltre da tecniche altrove attestate che ricorrevano a suffumigazioni o all’uso di piante o radici dalle proprieta` straordinarie (Rosso Ubigli 1990: 130, dove l’autrice considera queste ultime «tipi di esorcismo di carattere piu` propriamente magico» senza tuttavia specificare in base a quale definizione di magia opera la distinzione). Salmi contro i demoni utilizzati negli esorcismi o in funzione apotropaica sono quelli contenuti nel Rotolo dei salmi apocrifi, e di tipo esorcistico – oltre che di lode a Dio – sono i Canti del Saggio che dovevano essere eseguiti da un maskil (saggio della comunita`).
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diversi teologi che sottolineano la necessita` di storicizzare l’opera di Cristo e soprattutto il suo linguaggio nel contesto esorcistico, che risentirebbe della cultura del suo tempo. I vangeli riflettono la demonologia tardo-giudaica secondo la quale «le esperienze nefaste che sembrano superare le forze dell’uomo, quali la malattia, la morte, le catastrofi naturali» sono da attribuirsi a potenze sovrumane (Dufour 1990: 144). I diversi nomi con cui queste vengono chiamate indica «qualcosa delle molteplicita` delle figure del male, come gli uomini ai tempi di Gesu` l’esperimentavano», e non si puo` far derivare dalle diverse affermazioni una «“demonologia” o “satanologia” in senso dogmatico»8. Anche secondo Kertelge, alle credenze giudaiche e pagane del tempo di Gesu` appartiene l’attribuzione delle malattie all’influsso di demoni della malattia e la conseguente concezione della guarigione come cacciata dei demoni. D’altra parte la possessione diabolica nel Nuovo Testamento non si identificherebbe sempre con malattie fisiche o spirituali, ma in certi casi – quando il demonio parla attraverso l’indemoniato – sarebbe contrassegnata dalla «autoalienazione dell’uomo, dalla perdita del complesso di relazione che determina nel piu` profondo dell’umano la sua vita». Con la cacciata del demonio l’uomo torna «a se stesso». Gli esorcismi di Gesu` sarebbero «annunci simbolici della potenza salvifica e escatologica di Dio» (Kertelge 1975: 65-67; cfr. Dufour 1990: 145). Secondo l’interpretazione critica e «storicizzante» di alcuni teologi, tesa a distinguere nei Vangeli cio` che appartiene ad un preciso contesto storico-religioso – il linguaggio, lo schema narrativo – dal
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Kertelge 1975: 70. Un brano di Dufour (1990: 144-145) fornisce un quadro riassuntivo dei dati evangelici su demoni ed esorcismi. «Salvo una eccezione, il termine per designarli [i demoni] e` il plurale daimonia (e non daimones), secondo l’uso della tradizione greca dell’Antico Testamento, la Settanta. I demoni possono anche essere chiamati “spiriti” (pneumata) e definiti talora “impuri”, talora “maligni”. Talvolta sono messi in relazione con il loro capo, il “diavolo”. Sembrano prediligere i luoghi deserti o i luoghi considerati impuri e pericolosi, come le tombe. Dimorano spesso nel mare o nell’abisso o anche nell’acqua, per non parlare del fuoco, con cui la febbre ha un rapporto evidente. Sono estremamente combattivi e, dopo una sconfitta che si e` manifestata con un urlo, tornano all’attacco, magari in maggior numero. I demoni agiscono un po’ dappertutto e l’esorcismo e` il medesimo, che si tratti di un caso di epilessia o del mare in tempesta. Tuttavia la loro attivita` si manifesta principalmente nelle malattie, che si tratti della vista, dell’udito, della parola, della paralisi, della lebbra o semplicemente di febbre. La transizione da malato a ossesso avviene cosı` insensibilmente... Gesu` e` quindi considerato nel contempo come un medico e come un esorcista. Egli “tocca”, impone le mani, ripetendo magari tre volte il gesto, ricorre per guarire alla saliva o al soffio. Ma e` essenzialmente tramite la sua parola che Gesu` ottiene la guarigione e manifesta la sua sovranita` sui demoni». Nella citazione ho omesso i numerosi riferimenti evangelici, per i quali si rimanda al saggio di Dufour.
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messaggio «autentico» di Cristo – la vittoria di Dio sul male –, non si puo` dedurre dall’attivita` esorcistica di Gesu` l’esistenza degli spiriti cattivi che egli esorcizza, mentre bisogna prendere atto che «non sussistono piu` i presupposti e le concezioni che ci permettono di praticare un esorcismo di tipo rituale» (Kertelge 1985: 40). Altre e piu` tradizionali sono pero` le interpretazioni degli esorcismi evangelici prevalse fino ad oggi. Per esempio, la lettura che mons. Catherinet propone dei «fatti», cioe` dei racconti evangelici circa liberazioni dal demonio e guarigioni di malattie, ribadisce la realta` del demonio e delle ossessioni demoniache assumendo come «prova della presenza attiva del demonio [...] l’affermazione e l’atteggiamento del divin Maestro» (Catherinet 1954: 188). Egli tende a distinguere le liberazioni operate con gli esorcismi dalle guarigioni di malati, sulla base dei diversi caratteri del comportamento dei soggetti in questione e del modo differente di intervento di Gesu`. Ritiene infatti che il comportamento di Gesu` in materia di esorcismi ed ossessi e` una dottrina, e quindi non suscettibile di interpretazioni che lo riducano ad un adattamento alle credenze dei suoi contemporanei. Il problema della possibile interpretazione psichiatrica dei sintomi presentati dagli indemoniati del Vangelo, che potrebbe destituire di fondamento la legittimita` della tradizionale lettura in termini di ossessione diabolica, e` risolto ricorrendo alla teoria della teologia cattolica e in particolare alla teologia mistica (Catherinet 1954: 191 sgg.). Una volta assunte come verita` di fede le parole e gli atteggiamenti di Gesu` esorcista, principalmente sulla loro base si giustifica l’attivita` esorcistica della Chiesa. Il teologo-esorcista manterra` la sua competenza nell’individuazione della possibile causa trascendente – il demonio – in casi sospetti e ricorrera`, se necessario, agli stessi mezzi che nel vangelo sono stati impiegati da Gesu`. Nella lettura tradizionalista e letterale, dunque, i racconti degli esorcismi vengono a costituire il modello per eccellenza, assumendo il valore paradigmatico che, da un punto di vista laico, e` caratteristico dei miti di fondazione. L’impiego di certe tecniche, la connessione tra malattie e possessione, il tipo di demoni possessori, la fenomenologia del comportamento dell’indemoniato, tutto cio` trova ancora oggi i suoi primi presupposti nel mito fondante degli esorcismi di Cristo nei Vangeli. Su esso si basa e grazie ad esso si giustifica tutta l’attivita` esorcistica successiva della Chiesa, a cominciare da quella degli apostoli ai quali per primi fu conferito il potere di scacciare i demoni. Nello stesso Vangelo questi esorcismi si propongono come radicalmente diversi e
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alternativi rispetto a quelli praticati da altri esorcisti, per esempio Farisei (Luc., XI, 19), ma sembra piu` in relazione al maggiore potere che il Dio cristiano conferirebbe a chi li pratica in suo nome che alle specifiche tecniche. Da un punto di vista cattolico, anche Kertelge nota che, se si considerano gli esorcismi evangelici soltanto nel loro aspetto fenomenologico, si potrebbe «qualificare anche Gesu` come uno dei tanti esorcisti del tempo, di cui anche la tradizione neotestamentaria e` a conoscenza». Cio` che caratterizzerebbe i suoi esorcismi non e` dunque il ricorso ad una prassi esorcistica gia` utilizzata, ma l’annuncio, tramite essi, del regno di Dio9. Ma mentre il teologo, seppure in una prospettiva critica, intende enucleare dai racconti del vangelo l’insegnamento essenziale di Gesu`, per noi e` utile rilevare sia la continuita` storica tra le pratiche magiche di tipo esorcistico contemporanee agli scrittori evangelici e quelle attribuite a Gesu`, sia l’assunzione dello schema rituale dei suoi esorcismi come modello per le successive pratiche di liberazione dal demonio. Nella Chiesa antica dei primi tre secoli non sembra si fossero formalmente strutturate formule e modalita` precise riguardo gli esorcismi. Uno dei motivi sarebbe la diffusione tra tutti i cristiani del potere carismatico di cacciare i demoni (Balducci 1990: 930). Questo si esercitava non solo sui cosiddetti posseduti dal demonio, tra cui erano considerati anche gli eretici, ma anche sui pagani idolatri di fatto assimilati alla categoria degli indemoniati (Righetti 1959: 539). La «demonizzazione del paganesimo» gioca un ruolo fondamentale nell’opera di conversione che vede impegnati i primi credenti. Nell’epoca patristica, che risente di influssi giudaici ed ellenistici, si riteneva che i demoni potessero abitare nel corpo dell’uomo, a volte in determinati suoi organi, che fossero sempre presenti tra i pagani e ` in che potessero influenzare vari elementi naturali, piante etc. E questo clima che nascono certi riti liturgici antidemoniaci come quelli contenuti nel battesimo (Vagaggini 1965: 367-368). Anche gli esorcismi introdotti a meta` del terzo secolo nelle formule del Credo per il battesimo, erano infatti destinati a coloro che provenivano dal
9 Kertelge 1985: 33-34. Il titolo del paragrafo, «Esorcismi-Pratiche magiche o aiuti efficaci?», sintetizza bene la discriminazione che l’autore vuole operare tra quello che sarebbe il senso ultimo degli esorcismi di Gesu` e i modi contingenti in cui lo avrebbe espresso. I riferimenti ad altri esorcisti nel Nuovo Testamento sono in: Mt. 12,27 par.; Mc. 9,38 s. par.; Atti 19,13.
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paganesimo10. Contemporanea e` la creazione dell’ordine minore dell’esorcistato. Oltre a precedere spesso certe benedizioni, nella liturgia prebattesimale antica formule e gesti rituali esorcistici avevano un ruolo fondamentale (Martimort 1987: 181). I riti dell’iniziazione cristiana dei catecumeni si incentravano sui due momenti, strettamente connessi, della liberazione da Satana e dell’apertura a Cristo, e prevedevano diverse cerimonie distribuite nel tempo. Tra queste, variamente usata nei tempi, troviamo l’insufflazione: nell’«Ordo Baptismi Parvulorum» ha il doppio significato di espulsione dello spirito maligno e di immissione dello Spirito Santo (Alonzo 1946: 26-27). Altri gesti esorcistici erano il segno della croce, l’imposizione delle mani, la benedizione, l’«effete», la degustazione del sale benedetto, a cui si accompagnavano la recitazione di preghiere come il Padre Nostro e il Credo con la rinuncia a Satana. La degustazione del sale sarebbe una particolarita` della liturgia africana e romana: il sale simboleggiava la sapienza divina da impartire al catecumeno e, secondo quanto sostiene Alonzo – che su questo punto non e` chiaro –, aveva valore esorcistico e medicinale. L’azione esorcistica dell’«effete» consisteva nell’unzione delle orecchie e delle narici del catecumeno, inizialmente con olio, in seguito, tra il VI e il VII, secolo con la saliva (Alonzo 1946: 28-38; Vagaggini 1965: 377-401). L’impiego di tutti questi elementi e gesti simbolici si ritrova, anche dopo i primi secoli, negli esorcismi destinati agli ossessi, che prevedono inoltre il ricorso al digiuno e alla preghiera come indicato nei testi evangelici (Mt 17, 19.21). Sembra che il digiuno fosse non solo prescritto al supposto indemoniato, ma costituisse un elemento importante anche nella pratica dello stesso esorcista cristiano. In alcuni testi della liturgia «romano-franca» (secoli IX e X) l’aspetto penitenziale dell’esorcismo e` evidenziato anche da una serie di prescrizioni di tipo dietetico raccomandate preliminarmente all’esorcizzando, e dall’uso di cilicio e cenere11. «I gesti esorcistici della prima tradizione cristiana non hanno sostanzialmente cambiato nei secoli successivi; se ne aggiun-
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Bolgiani 1990: 211. L’autore, a sostegno della tesi che nel Credo cristiano non si deve dichiarare quasi mai di credere alle potenze demoniache, insiste sulla distinzione tra simboli, teologia e dottrina da un lato, e credenze, costumi, pratiche dall’altro, evidenziando che l’intervento normalizzatore del «livello culturale alto» si ha solo in un secondo momento. 11 Baroffio 1990: 308-310. Secondo l’autore il ricorso a digiuno e preghiera escluderebbe «una concezione magico-meccanica circa l’efficacia dell’esorcismo, dei gesti e delle parole che lo costituiscono».
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sero invece altri due: uno, l’acqua benedetta, di primaria importanza, sconosciuta, come e` noto, al rituale antico; l’altro, l’imposizione della stola sulle spalle dell’esorcizzando, introdotto dopo il secolo X» (Righetti 1959: 542). Una pratica collaterale, in genere raccomandata come mezzo profilattico contro il demonio, e` la Comunione Eucaristica. Le formule esorcistiche sono un altro elemento fondamentale del rito. Si ipotizza l’esistenza di formule scritte fin dai primi secoli ma probabilmente al singolo esorcista era lasciato un ampio margine di improvvisazione all’interno dello schema. I primi formulari ufficiali documentati, impiegati nell’esorcismo degli ossessi in Occidente, risalirebbero al VII-VIII secolo (precedenti sono invece quelli per i catecumeni), secondo Righetti (1959: 543-544). Balducci menziona anche un libretto per esorcismi della fine del Cinquecento, ma ai fini della presente ricerca e` sufficiente rilevare che la struttura del Ritus exorcizandi obsessos a demonio, contenuta nel Rituale Romano impiegato fino a poco tempo fa, risale al formulario esorcistico che Alcuino introdusse alla fine dell’VIII sec. nel sacramentario Gregoriano. D’altra parte gli esorcisti hanno spesso fatto ricorso oltre che alle formule ufficiali, a quelle contenute in vari manuali esorcistici, che, nelle diverse epoche, hanno probabilmente influenzato l’effettiva pratica esorcistica in modo ancor piu` determinante delle disposizioni ufficiali12.
1.3 La possessione diabolica La possessione diabolica e` solo una delle forme di azione straordinaria malefica sull’uomo (distinte da fenomeni diabolici ordinari che consisterebbero nella semplice tentazione). Per meglio comprenderne le caratteristiche occorre dunque considerarla in relazione agli altri tipi di intervento diabolico secondo le distinzioni elaborate dalla teologia mistica che fornisce la base delle successive classificazioni adottate dagli esorcisti e in particolare da don Amorth. Tanto piu` che, come rileva quest’ultimo, la terminologia relativa ai vari tipi di azione straordinaria malefica e` piuttosto confusa, non esiste un linguaggio ben definito e comune, e il suo e` un tentativo di chiarificazione in tal senso. 12
Ricorda i piu` famosi Balducci 1990: 930.
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Va innanzitutto rilevato che i fenomeni diabolici straordinari rientrano tra i fenomeni mistici straordinari insieme a quelli divini come visioni, estasi, stimmate, etc.. Nella trattazione del teologo Tanquerey si distinguono due forme: l’infestazione, che sembra comprendere sia la vessazione che la tentazione straordinaria, che altri teologi tengono distinte, in quanto si riferisce all’azione del demonio che «vessa l’anima dal di fuori suscitando in lei orribili tentazioni»; l’ossessione, che si ha quando esso «si fissa nel corpo e lo muove a suo grado come ne fosse il padrone per riuscire a turbar l’anima» (Tanquerey 1954: 937). Il traduttore del testo specifica in nota che in realta` la traduzione non e` letterale ma segue la terminologia italiana, per cui infestazione tradurrebbe il francese obsession, ed ossessione il francese possession. Ad ogni modo la differenza principale tra le due e`, per il teologo, che nel primo caso il demone agisce dall’esterno sull’anima, nel secondo caso agisce internamente nel corpo. Quest’ultima forma corrisponde a quella che generalmente, anche in Italia, e` oggi chiamata possessione, la quale riguarda il corpo dell’uomo e solo indirettamente l’anima, che non puo` essere posseduta. Specificando meglio la differenziazione, Tanquerey, stabilisce che anche nell’infestazione l’azione demoniaca puo` essere interna, ma non in quanto il demonio risiede nell’individuo, bensı` a causa del fatto che essa produce «interne impressioni», cioe` «opera sui sensi interni, la fantasia e la memoria, e sulle passioni». Allo stesso modo, la modalita` di azione esterna e` definita in relazione al fatto che si esercita sui sensi esterni13. L’ossessione (possession) «e` costituita da due elementi: dalla presenza del demonio nel corpo dell’ossesso e dal dominio che esercita su questo corpo e per esso sull’anima [...]. Il demonio non e` unito al corpo come vi e` unita l’anima; non e` rispetto all’anima che un motore esterno, e, se opera su di lei, lo fa solo per mezzo del corpo in cui abita» (Tanquerey 1954: 940). Tanquerey passa poi a rilevare i due stati di crisi e di calma che l’ossesso puo` presentare e alternare, i tre principali segni dell’ossessione, che sono quelli indicati dal Rituale Romano – parlare o capire una lingua ignota, scoprire cose lontane ed occulte, dar prova di forze superiori all’eta` o alla condizione della persona –, a cui si aggiunge l’avversione al sacro come effetto degli 13
Tanquerey 1954: 938-939. Il teologo fa l’esempio di vista, udito e tatto, ma dice che il demonio puo` operare su tutti i sensi.
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esorcismi e dell’uso di oggetti sacri; infine riconosce l’analogia tra segni esterni dell’ossessione e disturbi nervosi, invitando ad attenersi ai criteri del Rituale per distinguerli. Il teologo Meynard propone definizioni sostanzialmente simili, aggiungendo solo la categoria della tentazione, in cui rientrano le suggestioni e ispirazioni di Satana (Meynard 1937: 131 sg.), che corrisponde ad un grado minore di influenzamento diabolico. Tra i segni certi della «possessio» (la ossessione-possession di Tanquerey) ricorda pero` soltanto il primo del Rituale a cui aggiunge l’amnesia del soggetto dopo la possessione – che Tanquerey considera invece con molta cautela solo in relazione allo stato del posseduto –, e le risposte del diavolo agli esorcismi, alle quali pero` si puo` credere con riserva (Meynard 1937: 135, v. II). Balducci, uno dei piu` noti demonologi italiani, distingue quattro modi di intervento demoniaco: la tentazione, che e` un modo ordinario; l’infestazione locale, che riguarda direttamente la «natura inanimata» ed il regno vegetale e animale, e solo indirettamente l’uomo; l’infestazione personale, che corrisponde alla definizione di Tanquerey; la possessione diabolica, che «consiste in un dominio che Satana esercita direttamente sul corpo e indirettamente sull’anima di una persona» (Balducci 1988: 98-99). Due sono quindi gli elementi della possessione: «la presenza del demonio nel corpo dell’uomo e l’esercizio di un potere»; quest’ultimo si attua direttamente sulla materia o cio` che ne dipende (funzioni della vita vegetativa e sensitiva), e indirettamente e limitatamente sulle funzioni proprie della vita intellettiva, in quanto facolta` che dipendono dal corpo (Balducci 1988: 100). Nel tentativo di riconsiderare tutta la questione della possessione alla luce degli avanzamenti della scienza, Balducci propone una revisione che vuole essere di tipo scientifico-teologico, ma che rimane su una posizione tradizionalista (Kelly 1969: 114 sg.). Rispetto ai segni fondamentali indicati dal Rituale per la diagnosi di possessione, egli ritiene che tali manifestazioni possono rientrare nella fenomenologia parapsicologica, che di per se´ ha un’origine naturale, ma, se si accompagna ad una fenomenologia psichica orientata ad una forte avversione al sacro, diventa indizio di possessione diabolica. L’esame diagnostico deve riguardare in particolare la «speciale tonalita`» delle manifestazioni, concetto piuttosto vago che comprenderebbe un insieme di modalita`, circostanze, elementi particolari (Balducci 1988: 183-229; cfr. Balducci 1995: 69-80). Nell’attivita` dell’esorcista da me direttamente osservata si tiene
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conto solo marginalmente di questi criteri teorici, che restringerebbero il campo d’intervento delle pratiche esorcistiche; semmai nella cautela con cui l’esorcista si pronuncia a favore di una diagnosi di vera possessione, che pero` non e` per lui necessaria per procedere al rito, a cui attribuisce un valore diagnostico prima che «terapeutico». Comunque, in base alla sua esperienza, don Amorth ha potuto riscontrare i segni indicati dal Rituale solo nel corso degli esorcismi (Amorth 1991: 60). A questi ultimi, in varie forme, ricorre largamente per tutta una serie di possibili disturbi da lui stesso interpretati come possibile effetto di un diretto o indiretto intervento maligno. La loro effettiva natura malefica sara` accertata proprio dal rito.
2. Cosa dice il Rituale Romano Consideriamo ora il testo ufficiale di riferimento per l’intervento esorcistico, il Rituale Romano, che contiene le norme che regolamentano l’uso dell’esorcismo pubblico e le formule da impiegare. Pubblicato nel 1614 sotto Paolo V, il Rituale va collocato nel clima contro-riformistico che segue il Concilio di Trento, quando la Chiesa cattolica persegue un progetto di «riforma centralizzatrice. Le stesse opere pastorali e liturgiche, pubblicate sotto l’autorita` della Santa Sede, divennero strumenti dell’unita` cattolica» (Puech 1981: 114-5). A parte le disposizioni prese da alcuni sinodi e concili provinciali, soprattutto nell’ultimo quarto del XVI secolo, per limitare gli abusi nella pratica esorcistica14, il capitolo del Rituale dedicato agli esorcismi fu il testo che ne definı` ufficialmente norme e modalita` al fine di unificare le procedure ed eliminarne elementi poco ortodossi. Lo scopo non fu immediatamente conseguito: i piu` famosi manuali esorcistici continuavano ad essere evidentemente dei punti di riferimento per molti sacerdoti se piu` tardi, nei primi anni del ’700, si sentı` la necessita` di metterne all’indice diversi «sia per la non aderenza al rituale, sia naturalmente per le superstizioni contenute» (Petrocchi 1978: 157). Le norme ufficiali erano in ogni caso stabilite e rimarranno sostanzialmente le stesse fino ad oggi. Un breve saggio 14
Cfr. Romeo 1990: 135-136. In particolare e` con il IV concilio milanese del 1576 che «si introducono precise forme di selezione e di controllo degli esorcisti, attraverso la concessione di un’apposita licenza, si fissano divieti e garanzie particolari per lo svolgimento delle sedute e per l’accertamento della realta` della possessione».
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di Dondelinger-Mandy permette di contestualizzarle nell’epoca che le ha prodotte e di vedere quali modificazioni sono state introdotte in seguito. Le principali fonti del Rituale per quanto riguarda le norme esorcistiche furono il Liber Sacerdotalis del domenicano Alberto Castellani (1523) e il Rituale Sacramentorum romanum preparato per ordine del papa dal cardinale Giulio Santori, stampato dal 1584 al 1602 (Dondelinger-Mandy 1990: 99-121; 102). Al contrario di questi testi, il Rituale «non cerca di giustificare teologicamente la possibilita` della possessione», ne´ parla espressamente di maleficiati distinti dagli indemoniati, ma alle due categorie si possono ben applicare i termini ora usati – vexati a daemone e obsessi –, e l’idea che un maleficio sia implicato nella possessione e` chiara nelle norme 8 e 20. In generale sembra che le due categorie siano assimilate, laddove gli antichi rituali le distinguevano in base ai segni, ritenendo comunque che in entrambe il demone entrasse nel soggetto e andasse esorciz` interessante notare come scompaiano, nel testo del 1614, i zato. E riferimenti a come e per quali vie il demone entri nel corpo umano. Sartori e Castellani dicevano che esso si presenta sotto l’aspetto di un revenant, spesso un familiare, o di un animale terribile, o un topo, una rana, un gufo, e che puo` entrare per la bocca, il naso, le orecchie o membra del corpo. Inoltre asseriscono che un maleficio puo` essere all’origine della possessione. Queste credenze continueranno a sussistere, come mostrano le storie di possessione, ma sembra che il Rituale abbia preferito non specificarle forse «per diminuire l’aspetto “folklorico” dell’esorcismo» (Dondelinger-Mandy 1990: 103-104, 121). Quando infatti tratta dell’interrogatorio del diavolo, che e` necessario sebbene debba limitarsi a un certo tipo di domande, ritiene che non si debba credere al diavolo quando afferma di essere un santo, un morto o un angelo buono (norma 14). Le cautele da osservare nel dialogo con il diavolo possono certo essere considerate «misure contro l’esorcismo-spettacolo e la possessione-oracolo» cosı` frequenti a quell’epoca, ma il modo in cui si svolsero gli esorcismi di molte altre possedute dopo il 1614 dimostra che le indicazioni del Rituale restarono per lo piu` inascoltate, essendo d’altra parte abbastanza ambigue e vaghe anche riguardo altri aspetti, come i criteri per distinguere un posseduto da un malato (Dondelinger-Mandy 1990: 107-117). A questo proposito bisogna notare con Dondelinger che tra i segni per riconoscere un posseduto manca quello «che e` sempre stato, in teoria e in pratica, il criterio determinante: l’avver-
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sione contro le cose religiose» mentre si privilegiano le constatazioni empiriche (Dondelinger-Mandy 1990: 110). Cio` potrebbe forse rappresentare un tentativo di restringere i casi in cui si puo` diagnosticare una possessione, ma non sembra che nella pratica esorcistica ci si sia mai limitati a considerare posseduti soltanto coloro che presentavano i tre segni fondamentali, continuando piuttosto a ritenere valido il criterio di tipo religioso che ne ampliava notevolmente il numero; ne´, d’altra parte, l’uso dell’esorcismo solenne ha mai riguardato solo le possessioni accertate, contribuendo invece con il suo apparato simbolico alla produzione stessa della possessione nelle forme codificate dalla tradizione. Il Rituale in ogni caso appare accogliere la maggior parte della tradizione teorica e pratica sugli esorcismi o direttamente, o evitando di condannarne aspetti e strumenti, e adottando una terminologia e formulazioni abbastanza ambigue e flessibili da poter essere variamente interpretate. Potrebbe essere anche per questo motivo che non si e` ritenuto necessario apportare in seguito molti cambiamenti; in realta`, per quanto riguarda le norme, due sole modifiche appaiono nell’edizione del 1954, sotto Pio XII, e sono relative alla stessa norma (n. 3) che fa riferimento alle malattie che l’esorcista deve distinguere dai segni diabolici. Laddove prima si diceva «In primis, ne facile credat, aliquem a daemonio obsessum esse, sed nota habeat ea signa, quibus obsessus dignoscitur ab iis, qui vel atra bile, – vel morbo aliquo laborant», ora – fa notare Dondelinger-Mandy (1990:108) – si sostituisce il termine organicistico malinconia con quello generico di malattie psichiche. Inoltre, si sfuma la sicurezza con cui venivano presentati i segni demoniaci mettendo al posto di «sono», «possono essere», lasciando cosı` un piu` ampio margine alla discrezionalita` dell’esorcista nel giudicare la realta` della possessione e, nello stesso tempo, prendendo implicitamente atto della possibile natura non diabolica ma eventualmente psicologica o parapsicologica di capacita` umane straordinarie prima assolutamente attribuite a Satana. Queste correzioni non hanno comunque cambiato il senso generale dell’esorcismo e sembrano piu` il riflesso di un cauto riconoscimento dell’imprescindibile avanzamento delle scienze mediche e psicologiche che il segno di una volonta` di rivedere i principi e i criteri sui quali l’esorcismo si fonda.
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3. Veri e falsi posseduti La questione della verita` o falsita` della possessione e` posta innanzitutto da quegli aspetti teatrali che caratterizzano il comportamento della posseduta e si prestano a letture diverse, spesso contrapposte, a seconda dell’ottica dell’osservatore. La Chiesa stessa ha ragionato nei termini di questa antitesi che non solo trova posto nel dibattito tra sacerdoti e medici in diverse epoche storiche, ma in teoria, secondo le norme del Rituale, si pone come problema da risolvere preliminarmente affinche´ si possa procedere all’esorcismo solenne. Il rilancio del dibattito avviene proprio negli anni in cui, in materia di possessione diabolica, si manifesta la prudente apertura cattolica ufficiale alla prospettiva scientifica che si era andata affermando da quasi un secolo – a partire almeno dall’«invenzione dell’isteria» da parte degli alienisti e in particolare di Charcot15 –, quando veniva pubblicato il famoso libro del neurologo cattolico Lhermitte, Veri e falsi ossessi, uscito in Francia nel 1956 e tradotto in italiano l’anno successivo. Come il titolo chiaramente indica, esso si prefiggeva di dirimere in un’ottica scientifica la questione della verita` o falsita` della possessione diabolica, intendendo per possessione falsa quella «sintomatologia» riconducibile ad un quadro clinico tale da escludere un’origine extra-naturale. L’interrogativo, pero`, non e` nuovo: esso ha attraversato vari secoli di storia, declinato in varie forme, per giungere fino ad oggi riproposto in termini moderni; allo stesso modo, non costituisce una vera novita` neanche la tesi di Lhermitte che si rifa` ampiamente agli studi classici sull’isteria. Non e` qui possibile esaminare criticamente ne´ tutti i modi in cui la questione e` stata posta e affrontata ne´ le diverse risposte prodotte dalle varie prospettive religiose e/o scientifiche da cui la possessione e` stata considerata. Solo l’analisi delle interpretazioni medico-psichiatriche, che andrebbero collocate in una prospettiva storica, richiederebbe una trattazione a parte; nel corso dei secoli i medici e poi gli psichiatri hanno classificato e 15 Il riferimento e` al libro di Didi-Huberman (1982); per una prospettiva storica vedi anche Ellemberger (1980), Veith (1973). Charcot, alla fine del XIX secolo, spiego` la possessione demoniaca come una forma d’isteria rileggendo cosı` anche le rappresentazioni artistiche di indemoniati del passato (Charcot e Richer 1984; su tale argomento vedi l’importante postfazione di Didi-Huberman allo stesso libro) e Janet (1990) curo` come tali le manifestazioni di possessione introducendo i concetti di idee fisse subconsce e di restringimento di campo della coscienza (su Janet vedi anche Bernand 1987 e Talamonti 2001).
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trattato la possessione come mal de me`re16, melanconia, delirio demonopatico, nevrosi isterica..., e fin dai piu` famosi casi di possessione a cavallo tra il XVI e il XVII secolo si chiedevano anche se il comportamento da posseduta fosse dovuto a simulazione. Schematizzando, il problema e` stato per molto tempo riuscire ad individuare quale delle tre seguenti alternative era valida per il singolo caso: malattia (variamente definita), simulazione, possessione diabolica, salvo poi riuscire a distinguere la simulazione vera e propria da alcuni tipi di patologie che presenterebbero marcati tratti mistificatori. Un cenno ad alcuni dei casi che pressoche´ tutti gli studiosi – compreso Lhermitte – citano a sostegno delle proprie tesi rileggendoli in genere attraverso la lente clinica, puo` fornire qualche coordinata per inquadrare sommariamente la questione. L’intervento del re Enrico IV, del Parlamento, di alti rappresentati del clero e della medicina, fece della possessione di Marthe Brossier17 un caso piuttosto eccezionale sul quale si scontrarono e si divisero i fautori e gli avversari della possessione che dovevano decidere tra le tre ipotesi possibili di malattia, possessione diabolica e simulazione. I primi – teologi, esorcisti ed alcuni medici – ritennero di trovarsi di fronte a una vera indemoniata sulla base della presenza di manifestazioni straordinarie non naturali; essenzialmente quei segni che poi confluiranno nel Rituale Romano – forza superiore alle capacita` umane che si esprime in agitazioni e posture del corpo, comprensione di lingue sconosciute –, piu` una presunta avversione ad oggetti e parole sacre, ma anche l’insensibilita` alle punture dei medici con assenza di fuoriuscita di sangue, vale a dire i marchi diabolici che una lunga tradizione 16 Qualche studioso contemporaneo del diabolico ricorda ancora il termine tradizionale mal de me`re, usato per definire un male tipicamente femminile, in relazione alla somiglianza dei sintomi con quelli della possessione diabolica, ma senza problematizzare il dato (cfr. Villeneuve 1972: 65-66). Un saggio antropologico fondamentale sul mal de me`re e «l’essere isterica» e` quello di Charuty 1987b: 43-72. 17 La possessione di Marthe Brossier, che inizia a Ramorantin (Francia) nel 1598 per concludersi a Roma nel 1600, passando per gli affollatissimi esorcismi pubblici di Parigi, inauguro`, secondo lo storico Mandrou, la serie dei grandi scandali di possessione che segnarono il secolo XVII in Francia (Mandrou.1979: 183-215 v. I; Walker 1984:.44-55; cfr. sul ruolo di Pierre de Be´rulle, futuro cardinale e fondatore degli Oratoriani francesi, anche il capitolo «Entre Be´rulle et Marescot» in P. Bruno de J. M. 1942). La vicenda ebbe tanta risonanza perche` si svolse prevalentemente a Parigi, invece che in provincia, in un delicato momento della storia dei rapporti tra cattolici e protestanti: il diavolo di Marthe predicava contro gli ugonotti di fronte al numerosissimo pubblico che accorreva agli esorcismi, pochi giorni dopo la promulgazione dell’Editto di Nantes, che rappresento` il «tentativo di pervenire alla tolleranza ufficiale di due religioni nell’ambito della medesima nazione» (Walker 1984: 44).
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demonologica insegnava a cercare sui corpi delle streghe. Marthe, tuttavia, si proclama ed e` considerata una vittima e non una complice del diavolo; la Chiesa si ritiene dunque la legittima istituzione competente in materia e considera gli esorcismi la terapia adeguata. La maggior parte dei medici che visitarono la posseduta, ed alcuni ecclesiastici, ritennero invece che si trattasse di simulazione, a cui il medico incaricato dal re, Marescot, aggiungeva una possibile malattia melanconica. La creazione dei due schieramenti – possessionisti e anti-possessionisti – non coincideva dunque esattamente con la divisione tra i detentori del sapere medico e quelli del sapere teologico, ne´ la posizione scientifica dei primi metteva in discussione la realta` della possessione diabolica. Marescot crede nella possibilita` d’intervento diabolico su certi soggetti, ma nel caso specifico la diagnosi medica avrebbe confutato tutte le prove addotte dai sostenitori della possessione di Marthe. Come anche in casi successivi, per esempio quello delle monache di Loudun, e nella posizione di psichiatri cattolici del XX secolo, dal punto di vista medico, all’azione diabolica puo` essere comunque attribuito tutto cio` che la scienza contemporanea non riesce ancora a spiegarsi con i suoi concetti e su cui non sa intervenire con i suoi strumenti. Come affermera` De Certeau a proposito delle possessioni di Loudun, «il medico ammette il soprannaturale come una regione di fatti che affianca il suo proprio dominio; egli riconosce nei teologi i proprietari di feudi che delimitano i suoi e richiedono ancora la sua fedelta` nel nome di Dio» (De Certeau 1980: 174). Altrettanto controverso fu il caso di Elisabeth de Ranfaing, posseduta dal 1618 per circa otto anni, fondatrice di un’istituzione per il recupero di prostitute che diventera` poi l’ordine monastico del Rifugio di cui sara` la superiora con il nome di Maria Elisabetta della Croce di Gesu`, e ritenuta da alcuni una sorta di santa: da viva le si attribuirono doni taumaturgici e capacita` straordinarie e intorno alla sua persona si organizzo` un culto caratterizzato dalla distribuzione di medaglie da lei benedette e una vera e propria setta di tipo apocalittico, chiamata dei Medaglisti; dopo la sua morte sara` oggetto di forme di devozione riservate a sante o beate e si iniziera` anche una causa per la sua beatificazione. La sua storia e` nota soprattutto perche´ e` stata successivamente studiata dallo storico Delcambre e dall’autore di Veri e falsi ossessi, in un libro pubblicato nel 1956: Un cas e´nigmatique de possession diabolique en Lorraine ou XVII sie`cle. Elisabeth de Ranfaing l’e´nergume`ne de Nancy fondatrice de l’Ordre du Refuge.
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Lhermitte ne cura il capitolo conclusivo dove considera «dal punto di vista psicopatologico» il caso di cui Delcambre ha dato una lettura storico-psicologica. Lo psichiatra elabora una sorta di diagnosi retrospettiva costruendo un profilo clinico di Elisabeth de Ranfaing sulla base dei numerosi documenti storici18; arriva alla conclusione che la donna fosse affetta da «psicosi ossessiva» che divento` «pseudo-possessione demoniaca» nel momento in cui sulla sua psicopatia influiscono «suggestioni» religiose (Delcambre e Lhermitte 1956: 110-111). Secondo Lhermitte, gli esorcismi giocarono in questo processo un ruolo importante contribuendo a caratterizzare come demonopatiche le crisi della donna, in cui il neurologo ritrova i segni e le fasi classiche dell’isteria. Mentre il clero si divideva tra possessionisti (gli esorcisti e i Gesuiti in particolare) e anti-possessionisti, i medici contemporanei che visitano Elisabeth ritengono di trovarsi di fronte ad una malattia ma per uno di origine naturale, per l’altro soprannaturale; il suo medico – lo stesso che sara` accusato di averla maleficiata – la tratta come affetta da «mal de me`re», disturbo che Delcambre assimila a cio` che «il volgo chiama oggi isteria». Un altro medico, che crede nella possessione di Elisabeth, ritiene che sia il diavolo «a farla apparire 19 agitata da furore uterino, erotico e vera follia d’amore» . La diagnosi, in questo caso, trova un compromesso con l’origine diabolica che salvi sia il sapere medico che l’ipotesi soprannaturale e la fede. Anche in questa vicenda, da parte di alcuni contemporanei, si avanzano sospetti di simulazione (oltre che di suggestione esercitata dagli esorcisti), ipotesi che Delcambre e Lhermitte considerano favorevolmente come tratto esibizionistico e di megalomania appartenente al quadro psicopatologico della donna (Delcambre e Lhermitte 1956: 68-71). Ultimo esempio storico: la possessione delle Orsoline di Loudun,
18 Delcambre e Lhermitte 1956: 104. Tale diagnosi retrospettiva si inserisce in una tradizione francese di studio di casi storici di possessione inaugurata dalla «Bibliothe`que diabolique», collana diretta da D. M. Bourneville e pubblicata tra il 1883 e il 1902; tali studi, che sostanzialmente applicano ai documenti storici una lettura clinica in termini di isteria analoga a quella che Charcot dava delle rappresentazioni artistiche di indemoniati (Charcot e Richer 1984), comprendono ad esempio la nota autobiografia (commentata) di Jeanne des Anges, la piu` famosa posseduta di Loudun, e la storia della possessione di Jeanne Fery (Bourneville 1886), oltre al noto saggio di Charcot La foi que guerit (Charcot 1987). 19 Delcambre e Lhermitte 1956: 60.
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iniziata nel 1632 e terminata per la principale delle possedute – ` sicuramente la vicenda che ha Jeanne des Anges – nel 1637. E ricevuto maggiore attenzione da parte di storici, teologi, medici e studiosi di vario tipo20; si tratto` infatti di un complesso affare religioso-politico, che uscı` dall’ambito conventuale per interessare il potere politico, quello medico e quello giudiziario, oltre al potere religioso, e fu immediatamente seguito da un’ampia letteratura. Qui l’intervento del sapere medico fu abbastanza tempestivo e si affianco` a quello demonologico modificandolo innanzitutto col rendere pubblici gli esorcismi e in secondo luogo con la proposta di teorie e pratiche differenti. D’altra parte spesso esorcisti e medici avevano in comune lo stesso sistema d’interpretazione, basato su cio` che e` visibile sul corpo della posseduta, e pratiche terapeutiche destinate a «far parlare i corpi», a fare in modo che esprimessero «la scienza che li organizza»21. Certamente a Loudun l’interpretazione e le procedure esorcistiche prevalsero sull’ipotesi di simulazione (sebbene le possedute fossero sottoposte a varie prove che non sempre dimostrarono la loro «innocenza») e sull’interpretazione e le terapie mediche; furono impiegati essenzialmente i classici strumenti antidiabolici (e in un secondo momento, con l’esorcista Surin, quelli della nuova spiritualita` mistica), integrati da alcuni mezzi terapeutici para-liturgici: fumigazioni, somministrazione di droghe, purganti, clisteri, che originariamente appartenevano alle terapie mediche, ma che gli esorcisti recuperarono. I medici intanto tentavano di curare le possedute come malinconiche, ma la diagnosi di malinconia non escludeva necessariamente un’origine soprannaturale della malattia22. 20
Dell’ampia bibliografia su Loudun segnalo solo alcune delle opere principali: De Certeau 1977 e 1980; Legue´ 1979; Jeanne des Anges 1986; Huxley 1988; Surin 1990. 21 Su questi temi vedi De Certeau 1980: 163 sgg. 22 Huxley (1988: 177), ad esempio, ricorda che magia e possessione erano cause comuni di malattie sia mentali che fisiche. Sull’ impiego dei cosiddetti rimedi naturali contro i malefici diabolici cfr. ad esempio Guaccio (1992: 358-363), che li ritiene leciti come coadiuvanti di quelli soprannaturali, purche´ le sostanze impiegate siano preventivamente esorcizzate e benedette. In seguito Brognoli (1682: 139-140), in un libro che ebbe molto successo, esprimera` riserve sull’utilizzazione da parte di esorcisti di bagni e suffumigi a base di erbe e sostanze varie, ritenendoli possibile causa di allucinazioni, infiammazioni, convulsioni... nell’esorcizzato. Cfr. anche Pazzini (1930), che li considera preliminari di tipo medico volti ad indebolire il posseduto e a prepararlo alla suggestione dell’esorcismo. Nell’Italia del ’500 e ’600, comunque il loro uso esorcistico era molto frequente: insieme ad altri abusi compiuti dagli esorcisti e alla realta` della possessione diabolica come appariva in molti casi italiani, esso fu l’oggetto di discussioni e accuse provenienti dall’interno della Chiesa e dai medici. Il principale bersaglio furono i manuali e le pratiche di Girolamo Menghi, il piu` famoso esorcista italiano a cavallo tra i due secoli, le cui opere erano le piu`
L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA
L’antico dilemma sulla realta` della possessione diabolica non e` stato del tutto sciolto neanche con il progressivo affermarsi delle moderne scienze della psiche; esse, pur affrontandolo con strumenti conoscitivi ritenuti scientifici e piu` raffinati e riconducendo i fenomeni cosiddetti diabolici ad una spiegazione «naturale», non hanno comunque trovato che una parziale accettazione da parte dei credenti. Da una prospettiva di fede fortemente tradizionalista la «verita`» della possessione non e` smentita dall’interpretazione psicologicopsichiatrica che ne riduce solo l’effettiva incidenza diventando un ` cosı`, ad esempio, ulteriore strumento nell’accertamento dei casi. E per Lhermitte. Prima di lui, un tentativo di ricostruzione storico-comparativa del fenomeno della possessione che si avvale delle moderne teorie psichiatriche e` stato fatto da Oesterreich. Dopo un’ampia rassegna di casi di possessione – diabolica e non –, egli rileva la costanza di alcune caratteristiche fondamentali e distingue una forma lucida ed una sonnambolica, entrambe considerate come una sorta di ossessioni psichiche di tipo parassitario23. Rispetto ad un’interpretazione in termini di isteria, rileva la somiglianza tra le crisi isteriche moderne (quelle studiate da Charcot) e i casi di possessione, ma, a suo parere, li distinguerebbe un elemento fondamentale: l’attitudine dei malati verso le proprie crisi, che oggi sono considerate naturali anche se patologiche. L’idea di possessione, invece, interveniva e occasionava uno sviluppo automatico del processo di costrizione verso ` la credenza nella possessione, per l’autore, personalita` seconde24. E in decadenza, che generava in passato una «divisione reale dell’anima», mentre, ai tempi in cui scrive, nelle «divisioni» di personalita` il rapporto sarebbe inverso: l’individuo si dichiara doppio dopo la percezione di una divisione interiore25. Le teorie di Charcot e Janet a sostegno della tesi di Oesterreich si ritrovano, adattate, anche nel testo di Lhermitte, che rifiuta invece le spiegazioni psicoanalitiche dell’indemoniamento. diffuse tra chi praticava esorcismi. La Chiesa, con le disposizioni espresse in alcune costituzioni sinodali e nei concili provinciali milanesi del 1565 e 1576, tento` di arginare le pratiche abusive attraverso il controllo vescovile degli esorcisti e dei testi da loro usati. Su questi temi vedi Romeo 1990; Delanuay 1948: 12-19; Zilboorg-Henry 1963: 115-121. 23 Oesterreich 1927: 40 sgg. Negli stessi anni usciva in Francia anche lo «studio storico, critico e medico» di Garon e Vinchon (1926) sul diavolo. 24 Oesterreich 1927: 163-164. 25 Sargant (1973: 55-57), commentando la distinzione di Oesterreich tra stati di possessione e stati d’isteria clinica, sostiene invece la sostanziale identita` dei processi mentali implicati.
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Per il neurologo cattolico, che crede alla possibilita` reale della possessione diabolica, si tratta di distinguere le pseudo-possessioni diaboliche, nelle forme parossistiche o lucide, dalle possessioni veramente dovute a causa soprannaturale demoniaca. In breve, quando il medico riscontra analogie tra le leggi del delirio di possessione demonopatica e altre forme di delirio, e la terapia valida per le seconde e` efficace anche per il primo, le cause sono naturali e si tratta di false possessioni. Altrimenti non si puo` escludere a priori un’eziologia trascendente le psiconevrosi e si deve ricorrere ad un esorcista o un teologo. Come psiconevrosi sono appunto diagnosticate e curate le pseudo-possessioni, tra cui analizza alcuni casi classici soprattutto dei secoli XVI e XVII, interpretati all’epoca come possessioni diaboliche. Secondo Lhermitte si tratta, invece, generalmente di individui isterici e mitomani, e in un apposito paragrafo analizza la struttura psicofisiologica della nevrosi isterica, caratterizzando come uno stato patologico la falsa possessione demoniaca. Tra vere e false possessioni, che posto ha ora la simulazione? Lhermitte vi fa piu` volte riferimento in relazione all’«isterismo» e sostiene che le manifestazioni di questa malattia «non possono piu` oggi esser considerate come artifici, cioe` come il prodotto di una simulazione volontariamente consentita»; tuttavia esiste uno stato psicologico chiamato «mitomania, cioe` la tendenza alla fabulazione, alla creazione di romanzi completamente staccati dalla realta` e di asserzioni menzognere», che appartiene alla patologia e in cui non c’e` mistificazione volontaria (Lhermitte 1957: 155-156). Come afferma Ernesto de Martino, quello di Lhermitte appare «il tentativo disperato d’accordare la possibilita` della “vera possessione” con i risultati della moderna psichiatria»26. Ancor prima di Lhermitte, un esorcista della diocesi di Parigi, padre Joseph de Tonque´dec, aveva fatto lo stesso tentativo collocando nel campo della patologia nevrotica e psicotica la maggior parte delle manifestazioni tradizionalmente ritenute diaboliche. La vera possessione resta pero` anche per lui una possibilita` reale, sebbene rara, e va ad occupare quei «posti vuoti che i fenomeni medicalmente spiegabili non riempiono»27. Il sacerdote mette anche in guardia dai pericoli di un ricorso frequente e non attentamente ponderato agli esorcismi, che hanno un potere suggestivo. 26 27
De Martino 1980: 207 (cap. Purificazione di giugno). Tonque´dec (de) 1938: 202-203.
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L’esorcista dovra` controllarsi molto e attenersi alla piu` grande riserva per non favorire questi fenomeni [di suggestione]. Un prete incaricato di questo pericoloso ministero ci diceva: «Non si rischia mai niente ad esorcizzare, anche se si ha a che fare con dei malati. L’esorcismo, se non fa bene, non fara` comunque male». [...] L’esorcismo e` una cerimonia impressionante che puo` agire molto efficacemente sull’incoscio del malato: gli scongiuri al demone, le aspersioni d’acqua benedetta, la stola messa al collo del paziente, i segni di croce ripetuti, etc., sono ben capaci di suscitare, in uno psichismo gia` debilitato, la mitomania diabolica in parole ed azioni. Se si chiama il diavolo, lo si vedra`: non lui, ma il suo ritratto composto secondo le idee che il malato si fa di lui (Tonque´dec 1938: 82-83).
La cautela consigliata piu` di cinquanta anni fa da de Tonque´dec, avra` sicuramente contribuito a ridurre la pratica esorcistica indiscriminata, ma oggi, mentre alcuni demonologi come Balducci si trovano, a questo riguardo, sulle posizioni dell’esorcista francese, altri la pensano come il sacerdote criticato da de Tonque´dec: don Amorth, ad esempio, si e` espresso con parole quasi identiche, aggiungendo che difficilmente ci puo` essere suggestione quando, come fa lui, le formule le recita tra se´ e se´, e inizialmente si limita ad una benedizione con imposizione delle mani28. D’altra parte – si puo` aggiungere – come potrebbe rinunciare a fare l’esorcismo se ritiene che proprio esso permette di diagnosticare il male diabolico? Si vedra` in seguito che, dal punto di vista da me adottato, l’esorcismo diagnostica quello che esso stesso produce, cio` che, in termini psicologici, puo` essere anche chiamato potere di suggestione. Per quanto riguarda de Tonque´dec, in conclusione, le supposte manifestazioni diaboliche si possono nella maggior parte dei casi ricondurre a fenomeni patologici in cui spesso si associano mitomania e sindrome isterica, ma che possono anche essere di tipo psicotico. Qui non interessa pero` tanto distinguere i tipi di patologie individuabili, secondo le varie prospettive mediche, dietro un’«apparente» 29 possessione diabolica . Porterebbe ugualmente in un’altra direzione 28
Cfr. anche Amorth 1992: 140-141. Vedi ad esempio Callieri e Schiavi 1961; Declich 1962; Liggio 1981; Scala 1986; De Falco 1986; Fassino-Gatti-Munno-Rovera 1990 (cfr. nello stesso volume i saggi di Devoti, Pollastro-Volonte`-Sacchetti, Rovera-Gatti); Fassino 1990; Carena e Cipolla 1993; Mellina – Mellina 1994; Ancora 1994 e, da ultimo, Gagliardi (Radoani-Gagliardi 1997), che conduce da anni uno studio sugli stati di coscienza, anche di posseduti, con strumentazioni scientifiche. Per un’interpretazione della crisi di possessione come comportamento isterico vedi il saggio di Jervis (1965) che presenta un certo interesse perche´ riguarda in modo particolare la crisi che anche nella possessione demoniaca in occidente puo` diventare rituale e mantiene un’attenzione critica nell’uso del termine isteria mettendo inoltre in rilievo le 29
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l’analisi della prospettiva etnopsichiatrica, all’interno della quale e` stato in particolare l’approccio di Nathan a prendere in considerazione su un piano teorico anche la possessione demoniaca cattolica, pur occupandosi principalmente del lavoro clinico con soggetti di origine extraeuropea appartenenti ad altre religioni30. dinamiche socio-culturali dei fenomeni di possessione. Col termine di isteria si designa «la presenza di sintomi (come, nel modo piu` tipico, una paralisi, una cecita`, una afonia, una anestesia) o di disturbi complessi del comportamento (come una crisi crepuscolare, una crisi di agitazione) quando essi siano presentati in modo tale da essere apparentemente riferibili a una lesione neurologica, ma appaiano invece, a un esame piu` attento, affini alla simulazione, e siano al tempo stesso differenziabili da essa in base all’ipotesi che il soggetto sia dominato da fattori di ordine suggestivo e non sia conscio (o sia parzialmente conscio, o non sia piu` conscio) del carattere fondamentalmente intenzionale del disturbo» (Jervis 1965: 556). Al concetto di dissociazione isterica come scissione di responsabilita` si riferisce Jervis per spiegare l’ideologia razionalizzante del soggetto e del suo gruppo, che interpretano il disturbo in termini di possessione di un altro essere. La possessione sarebbe uno dei nomi della «razionalizzazione sociale» della crisi di tipo isterico «di cui il soggetto tende a negare la responsabilita`» (Jervis 1965: 560). Che l’isteria rimanga un’interpretazione comune della possessione anche nel contesto trans-culturale, oltre che la diagnosi piu` frequente per i casi di indemoniamento diabolico almeno a partire dalla fine del XIX secolo, lo nota anche lo psicologo Spanos. Egli ritiene pero` che l’uso di tale concetto per spiegare la possessione sia problematico per numerose ragioni, la piu` importante delle quali e` nell’implicazione che comporta l’etichettare dei comportamenti devianti come sintomi di malattia mentale: «i comportamenti etichettati come sintomi sono avvenimenti involontari piuttosto che azioni dirette ad uno scopo», li si spoglia, cioe`, di qualsiasi carattere intenzionale. Spanos propone invece un’interpretazione alternativa che vede la possessione demoniaca come un modello acquisito di comportamento interpersonale e i posseduti come individui che rappresentano una self-presentation socialmente strutturata conforme alle credenze del contesto. Le rappresentazioni fornite dagli indemoniati sarebbero quindi di natura essenzialmente strategica e non ci sarebbe un’autentica perdita del controllo (Spanos 1989: 103-108). Spanos sottolinea anche il ruolo che l’esorcista svolge: egli definisce gli aspetti del ruolo del posseduto, ne incoraggia, modella e legittima ufficialmente la rappresentazione. Il modellamento non riguarda solo il comportamento dell’attore, ma le categorie concettuali da questo impiegate per capire e interpretare il proprio comportamento di ruolo. Quando il processo di modellamento riesce, le interpretazioni causali del soggetto e dell’esorcista convergono e vanno a costituire la rappresentazione come accadimento involontario (Spanos 1989: 119). Tra le interpretazioni psicologo-psichiatriche cattoliche vedi Sall 1976 e 1979, Bach 1979, e Mischo (1975 e 1985) per una lettura critica che propone una revisione della fenomenologia tipica della possessione alla luce delle moderne conoscenze scientifiche. Lo psicologo tedesco mette particolarmente in rilievo l’effetto di induzione nel processo di interazione tra esorcista e presunto posseduto e il ruolo svolto dal contesto socio-culturale in cui nasce e si sviluppa la possessione. Cauta ma possibilista circa la realta` di vere e proprie possessioni – che presenterebbero «aspetti e manifestazioni che eludono le spiegazioni metaforiche di natura psicologica o psichiatrica, o che non e` possibile far rientrare nella metafora scientifica» – la posizione di Scilligo (1995: 62). Per un approccio storico-psicoanalitico alla possessione vedi, ad esempio, Schneider 1979, Wajeman 1982; un tentativo di lettura comparativa dei fenomeni di possessione appartenenti ad aree geografiche e periodi storici diversi, che si avvale di una prospettiva psicologico-psicoanalitica, e` quello di SchottBilmann 1977. 30 Nathan 1983, 1988 e 1990. Tra le numerose ricerche condotte su un piano transculturale cfr. anche Ward 1980, 1989a e 1989b.
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Il tema del processo storico che fa delle crisi di possessione un oggetto del sapere medico sara` invece affrontato in seguito con riferimento alle analisi di Foucault, il quale rileva come «la medicina dei nervi e dei vapori, nel XVIII secolo, riprende a sua volta il campo d’analisi isolato gia` nel momento in cui i fenomeni della possessione avevano aperto una grave crisi nelle pratiche cosı` “indiscrete” della direzione di coscienza e dell’esame spirituale (la malattia nervosa non e` certamente la verita` della possessione; ma la medicina dell’isteria non e` senza un qualche rapporto con la vecchia direzione degli “ossessi”)»31. Ora va piuttosto messa in discussione la rilevanza della questione della verita` e falsita` della possessione. Se gia` in un approccio psicoanalitico, che si riferisce alle dinamiche inconsce, queste due categorie perderebbero qualsiasi utilita` discriminante, nello studio della possessione condotto da una prospettiva antropologica esse sono state da tempo superate grazie soprattutto ai lavori di Me´traux e Leiris. Entrambi, pur occupandosi di due realta` etnografiche diverse, hanno infatti messo in rilievo l’importanza dell’aspetto teatrale nella possessione e sono stati anche tra i primi a criticare una riduttiva lettura psicopatologica del fenomeno. La possessione, che puo` cominciare con una crisi incontrollata, dal momento in cui e` ricondotta in un contesto rituale prende una forma culturalmente standardizzata e presenta un aspetto teatrale32. Dopo che Me´traux ha sottolineato l’«elemento di commedia» presente nella maggior parte delle possessioni, Leiris ha mostrato in modo ancora piu` chiaro come esse siano una sorta di rappresentazioni rituali che hanno il carattere del teatro vissuto. Cio` che egli afferma a proposito di quello che si potrebbe definire l’apprendi-
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Foucault 1988: 104. Sull’affermarsi dell’interpretazione in termini di isteria di fenomeni di possessione vedi i due studi storici di Maire (1981) e Carroy-Thirard (1981) che prendono ad oggetto la possessione collettiva di Morzine (1857-1877); circa il caso italiano di Verzegnis vedi Ceschia-Cozzi (1987 e 1988). 32 La trance che caratterizza lo stato di possessione – secondo Me´traux – e` generalmente «un imperativo rituale» e il comportamento del posseduto «gli e` rigorosamente dettato dalla tradizione» (Me´traux 1955: 41). Quanto alla sua giusta contestazione della spiegazione della possessione haitiana in termini psicopatologici, essa andrebbe allargata ai posseduti del passato ai quali Me´traux accenna (Me´traux 1955: 34): la loro assimilazione a degli isterici andrebbe problematizzata evidenziandone la dipendenza da una lettura psichiatrica che non corrisponde, come nel caso delle societa` extra-occidentali, necessariamente a quella della cultura degli individui che ricorrono alla possessione. Infatti anche la possessione diabolica appare generalmente come tale in seguito ad una ritualizzazione e corrisponde ad un modello stereotipato di espressione del malessere codificato dalla cultura.
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mento del ruolo di posseduto nei culti zar, vale anche per i posseduti dal diavolo in Occidente, salvo eliminare il riferimento all’intesa con lo spirito come una sorta di patteggiamento, che nella religione cristiana sarebbe per principio impossibile33. La possessione segue dunque ad un processo d’iniziazione condotto principalmente nel rito, oppure, nella sua forma non ritualizzata, che si puo` far risalire alla fede comune e agli esempi effettivamente visti dal soggetto (Leiris 1988: 61). Qui pero` le tesi di Me´traux e Leiris hanno un interesse limitato: dal momento che loro oggetto di analisi sono altre pratiche rituali la comparazione con esorcismo e possessione diabolica e` alquanto problematica e si iscriverebbe su un piano di fenomenologia della possessione lontano dagli scopi di questo lavoro. Lanternari, invece, proprio su un piano comparativo, ha sviluppato le tesi dei due etnologi francesi integrandole, tra l’altro, con i riferimenti alle analisi demartiniane del tarantismo e del pianto rituale, a quelle di Gallini sull’argia sarda e alle proprie sugli esorcismi del vescovo cattolico Milingo (Lanternari 1994). Per quanto riguarda de Martino e` necessario aprire una breve parentesi. Fin da Il mondo magico egli propone un’analisi della dinamica psichica all’inizio della vocazione sciamanica in cui e` possibile rilevare un importante elemento anticipatore alla base di teorie successive della possessione come quelle di Me´traux e Leiris; de Martino sottolinea infatti come la crisi dello stregone arunta «si modella secondo uno schema»: da «possessione incontrollata» diventa padroneggiamento degli spiriti; imposta inoltre la problematica dell’artificialita` della condotta rituale in relazione allo stato psichico dell’attore e al ruolo modellante della cultura, problematica che sara` sviluppata successivamente nello studio del pianto rituale (de Martino 1973: 126; 114-118; de Martino 2000; Talamonti 2001). E 33
«La maggior parte dei pazienti non sono posseduti nel senso comune del termine [...]: sono solo persone affette da una malattia, o tormentate da un fastidio, o vittime di un incidente, che attribuiscono le loro sofferenze alla probabile maligna volonta` di uno spirito. In genere le crisi di possessione non sono affatto la malattia originaria da curare, ma si manifestano solo dopo l’intervento del guaritore, che – per poter comunicare col supposto persecutore al fine di raggiungere un’intesa – lo indurra` a possedere il paziente in modo chiaro o, per meglio dire, abituera` quest’ultimo a manifestare nel suo comportamento [...] segni riconoscibili di possessione da parte dell’uno o dell’altro genio». Il guaritore, fatta la prima diagnosi, «lavorera`, conformemente a cio` che crede, per scatenare i sintomi della possessione. Niente permette di affermare che egli non creda di sottoporre semplicemente il paziente a un interrogatorio il cui solo fine e` quello di condurre il genio a dichiararsi in modo esplicito» (Leiris 1988: 15-16).
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discutendo della «possibile e varia gradualita` di diversificati livelli di coscienza, e di differenziate reazioni nell’iter e nel corso della procedura rituale», Lanternari puntualmente rileva il precoce contributo demartiniano all’analisi della dinamica rituale incentrata sul «comese», in cui si puo` passare, come le lamentatrici lucane, dalla «commedia» all’autentico coinvolgimento (Lanternari 1994: 243). D’altra parte, in altri riti in cui un’entita` mitica possiede un individuo l’elemento di «gioco-spettacolo artefatto» e` altrettanto costitutivo del processo di definizione, espressione e risoluzione del malessere, come ha mostrato Gallini sottolineando l’aspetto carnevalesco dell’argismo (Gallini 1988) e come Lanternari ribadisce individuando nel rituale esorcistico di Milingo l’instaurarsi di una comunicazione tra gli attori basata su una sorta di «gioco» o finzione che opera a livello inconscio, in cui quella che ho chiamato assunzione della parte rituale permette lo svolgersi di una rappresentazione che – per usare le parole di Lanternari – comprende una fase «adorcistica» prima di una strettamente esorcistica e produce una «almeno provvisoria efficacia terapeutica» (Lanternari 1994: 239-242). L’analisi di Lanternari, che dimostra l’inadeguatezza della dicotomia verita`/finzione come strumento per la comprensione della possessione rituale, caratterizzata da «immanente ambiguita` e inquietante problematicita`» (Lanternari 1994: 242), mette quindi un punto fermo nella discussione relativa alla questione sui veri e falsi posseduti, trattandosi di un interrogativo sostanzialmente improponibile, se non in una prospettiva di fede. Da un punto di vista laico e critico sara` invece il processo rituale, inteso come dispositivo simbolico di costruzione della possessione, a diventare centrale nell’analisi. In questa direzione, l’individuazione delle «patologie» presentate dalle esorcizzate, oltre ad esulare dalla mia competenza, risulta di tanto poco interesse quanto il tentare di scindere la componente di «finzione» o teatrale dalla componente di «verita`» o coinvolgimento vissuto. Va pero` sottolineato che il dibattito su veri e falsi posseduti giustifica in teoria la presenza dello psichiatra accanto al sacerdote, configurando una collaborazione che di fatto si presenta difficile e ambigua. Nella prospettiva dell’effettiva pratica esorcistica il raggiungimento della certezza della possessione, cioe` della natura diabolica del male nella forma di una presa di possesso dell’individuo da parte dell’entita` malefica, e` un elemento di una certa rilevanza: teoricamente l’esorcismo solenne potrebbe essere impiegato solo per i casi
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di accertata – cioe` «vera» – possessione. Il nuovo Rito che ora andremo ad esaminare ribadisce questo punto ma la posizione di alcuni esorcisti, tra cui don Amorth, che in occasioni pubbliche e scritti ne e` in un certo senso il portavoce, risulta critica proprio sulla possibilita` di accertare la realta` della possessione senza ricorrere al rito.
4. Il nuovo Rito degli esorcismi Sebbene la mia analisi e i riferimenti al Rito degli esorcismi del Rituale Romano contenuti nelle altre parti di questo lavoro riguardino la vecchia versione in latino utilizzata da don Amorth nel periodo della mia ricerca, versione che peraltro questo esorcista non intende abbandonare, le importanti modifiche apportate nel nuovo Rito riformato richiedono almeno un breve esame34. Il nuovo testo in latino e` stato firmato il 22 novembre 1998 e pubblicato nel 1999; nel 2001 (21 settembre) e` seguita la traduzione in italiano. Esso e` diventato obbligatorio dal 31 marzo 2002 (Pasqua); il vecchio, pero`, sembra non essere stato eliminato definitivamente in quanto puo` comunque essere usato a discrezione del ` quanto sostiene don Amorth, che avanza – vescovo diocesano. E come si vedra` – forti critiche al Rito riformato e ritiene ancora valido il precedente: «Fortuna che, al fondo, contiene una scialuppa di salvataggio: una notificatio che ci consente, a richiesta, di continuare a usare il vecchio testo» (intervista in Travaglio 2001). Il riferimento sembra essere al punto n. 38 del cap. VI (Adattamenti di competenza della Conferenza Episcopale) e forse al punto n. 34 del cap. V (Adattamenti spettanti all’esorcista) facenti parte delle Premesse generali al Rito dell’Esorcismo Maggiore. Il nucleo essenziale del rito canonico per gli esorcismi rimasto fondamentalmente immutato dal 1600 – secolo nel quale continuarono tuttavia ad essere scritti e pubblicati altri manuali e impiegate tecniche esorcistiche almeno in parte difformi da quelle nel Rituale stabilite – ha ora subito diverse modifiche che riguardano sia le norme sia le preghiere e le formule, per rispondere «alle disposizioni della Costituzione Sacrosanctum Concilium, specialmente al n. 79», 34
Per una riflessione specifica sui problemi di linguaggio e di traduzione dal latino del nuovo Rito vedi Pistoia 2000.
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come si legge nel Decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, riportato nel nuovo testo (p. 15). Se consideriamo la struttura di quest’ultimo, va innanzitutto notata la presentazione della Conferenza Episcopale italiana in cui il nuovo Rito e` contestualizzato nella realta` culturale e religiosa italiana, caratterizzata da «una larga diffusione di pratiche cultuali deviate o apertamente superstiziose» (p. 9); vi si sottolinea la rarita` di fenomeni diabolici straordinari invitando a vigilare invece sulla «realta` quotidiana della tentazione e del peccato», e si raccomanda «sollecitudine pastorale» nel richiamare i fedeli ad evitare il sensazionale, la credulita` ma anche il razionalismo preconcetto in relazione all’intervento diabolico, cosı` come nel metterli in guardia dai mass media – che sfruttano l’interesse per l’insolito – e dal ricorso a maghi (p. 11). Per quanto riguarda il Rito, la presentazione contiene alcune precisazioni circa elementi contenuti nelle Premesse generali o nel Rito stesso sulle modalita` d’uso del testo; ne sottolineo tre, interessanti in rapporto ai cambiamenti introdotti. Innanzitutto si insiste molto sul ricorso alle formule imperative di esorcismo solo dopo aver raggiunto la «certezza morale sulla reale possessione diabolica del soggetto», per cui e` da ritenersi prioritaria la formula deprecativa o invocativa rispetto a quella imperativa (facoltativa); si prevede inoltre la possibilita` del confronto con esorcisti esperti e «in alcuni casi, della consulenza di persone esperte di medicina e di psichiatria», ma nei casi di «disturbi psichici o fisici di difficile interpretazione» si dice di non procedere al Rito dell’esorcismo maggiore invitando la persona sofferente a servirsi di preghiere alternative per uso privato, contenute in Appendice al testo; infine, si ritengono «convenienti» incontri di esorcisti a livello diocesano, interdiocesano e nazionale (pp. 12-13). Le Premesse generali, che seguono un breve Proemio, sostituiscono le vecchie norme e precedono il Rito vero e proprio; dopo quest’ultimo troviamo una serie di testi a scelta (Salmi, Vangeli e formule di esorcismo) e le Appendici (preghiere ed esorcismi per circostanze particolari e preghiere ad uso privato dei fedeli). Soffermiamoci sulle Premesse che comprendono 38 punti suddivisi in 6 capitoli laddove le norme (punti) del precedente Rituale erano 21. I contenuti di queste ultime sono parzialmente ripresi nei cap. III (Ministro e condizioni per l’esorcismo maggiore, punti 13-19) e V (Adattamenti spettanti all’esorcista, punti 31-36) con diverse modifiche. Oltre agli aspetti sottolineati anche nella Presenta-
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zione e gia` ricordati, e` da mettere in rilievo che nel punto 15 si vieta di ricorrere all’esorcismo nei casi in cui i consultanti si ritengano «oggetto di malefici, sortilegi o maledizioni», mentre nel punto successivo, dopo aver vietato l’utilizzo della forma imperativa di esorcismo se l’esorcista non ha la certezza di trovarsi di fronte a una vera possessione, si indicano i segni per riconoscerla. Anche qui si rileva una revisione che vale la pena riportare per intero in quanto accoglie un criterio nella prassi esorcistica gia` operante ma non indicato nel vecchio Rituale – l’avversione al sacro –, che si aggiunge ai segni tradizionali, diventati «indizi» e non piu` «sintomi» per distinguere il posseduto da coloro affetti da malattia soprattutto psichica (come si legge nel punto 3 delle vecchie Normae): Secondo una prassi consolidata, vanno ritenuti segni di possessione diabolica: parlare correntemente lingue sconosciute o capire chi le parla; rivelare cose occulte e lontane; manifestare forze superiori all’eta` o alla condizione fisica. Si tratta pero` di segni che possono costituire dei semplici indizi e, quindi, non vanno necessariamente considerati come provenienti dal demonio. Occorre percio` fare attenzione anche ad altri segni, soprattutto di ordine morale o spirituale, che rivelano, sotto forma diversa, l’intervento diabolico. Possono essere: una forte avversione a Dio, alla Santissima Persona di Gesu`, alla Beata Vergine Maria, alla Chiesa, alla parola di Dio, alle realta` sacre, soprattutto ai sacramenti, alle immagini sacre. Occorre fare attenzione al rapporto tra tutti questi segni con la fede e l’impegno spirituale nella vita cristiana; il Maligno, infatti, e` soprattutto nemico di Dio e di quanto mette in contatto i fedeli con l’agire salvifico divino (Rito degli esorcismi: 24).
Alla fine del capitolo III viene introdotto anche un punto che rivela l’intenzione soggiacente all’intera revisione, con una precisazione tutta moderna: L’esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come un atto di magia o di superstizione. Si eviti che diventi uno spettacolo per i presenti. Durante lo svolgimento dell’esorcismo non si ammettano mezzi di comunicazione sociale e, sia prima che dopo la celebrazione del rito, tanto l’esorcista che i presenti evitino di divulgare la notizia, mantenendo un giusto riserbo (Rito degli esorcismi: 25).
Sempre nelle Premesse, costituiscono delle novita` i primi due capitoli in cui si ricordano le verita` di fede, la realta` dell’intervento diabolico e della lotta eterna contro di esso, la vittoria di Cristo e la
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missione esorcistica della Chiesa, con relativi richiami biblici. Nuovo e` anche il capitolo IV, Descrizione del rito: vi si sottolinea l’importanza dei gesti e dei riti (oltre che delle formule vere e proprie) che rimandano al catecumenato, cioe` il segno di Croce, l’imposizione delle mani, l’exsufflatio e l’aspersione con l’acqua benedetta; si sintetizza inoltre la sequenza dei gesti, delle preghiere e delle formule esorcistiche e il loro significato. Cosı`, in un certo senso, si rendono espliciti alcuni degli aspetti che, sulla base dell’esame del vecchio rito, nella mia analisi intendo mettere in rilievo da una prospettiva antropologica. Il capitolo V, invece, mentre accoglie elementi precedenti – come l’invito alla preghiera e al digiuno per l’esorcista o altri – ufficializza la presenza dell’immagine della Madonna e la possibilita` di adattamenti dell’esorcista purche´ conservi la struttura generale del rito. Ulteriori adattamenti «in base alla cultura e al genio delle varie popolazioni», di competenza della Conferenza Episcopale, sono previsti nel capitolo VI. L’elemento di maggiore rilevanza e` pero` la cancellazione totale dell’interrogatorio esorcistico con relative precisazioni sulle modalita` di condurlo (punti 14-15 delle Normae); esso, che precedeva la lettura dei passi evangelici, e` stato sostituito dalla professione di fede (nelle due forme alternative di recitazione del Simbolo o di rinnovo delle promesse battesimali) collocata pero` dopo la lettura del Vangelo. Va ugualmente notata la soppressione dell’imposizione della stola violacea – che il celebrante comunque indossa – sulle spalle dell’esorcizzato, oltre all’eliminazione delle indicazioni circa quello che l’esorcista puo` fare per rafforzare l’effetto esorcistico del rito (croci su parti sofferenti o colpite del corpo, ripetizione delle parole e dei comandi che provocano maggiori reazioni nell’esorcizzato), del divieto di utilizzo di medicinali, di cautele negli esorcismi di donne (punti 4 e 16-19 delle Normae). Infine, e` da sottolineare un altro aspetto, questa volta integrativo, che il nuovo rito accoglie dalla prassi effettiva consolidatasi nei secoli: l’introduzione ufficiale delle litanie dei santi dopo l’aspersione dell’acqua benedetta e prima della recitazione dei Salmi. Si tratta di un elemento che don Amorth utilizzava gia` e che ora e` menzionato nell’illustrazione introduttiva del testo alle litanie: «Si possono inserire, nei rispettivi luoghi, alcuni nomi di Santi (ad esempio: del Patrono, del Santo di cui il fedele tormentato dal Maligno porta il nome, ecc.), oppure alcune intenzioni piu` adatte alla circostanza» (Rito degli esorcismi: 35).
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Nel complesso, dunque, il nuovo Rito, accanto al riconoscimento e all’«ufficializzazione» di alcune pratiche gia` effettive (eventuale consulenza medico-psichiatrica; incontri tra esorcisti; criterio dell’avversione al sacro nella diagnosi di possessione; richiamo alla protezione mariana; invocazione dei santi), fornisce indicazioni piu` restrittive quanto all’utilizzo dell’esorcismo vero e proprio e mira all’eliminazione degli aspetti che possono essere considerati magici, superstiziosi, o tendenti alla spettacolarizzazione, primo fra tutti l’interrogatorio del diavolo.
5. La posizione di don Amorth In rapporto alla teoria generale che sostiene e indirizza la pratica esorcistica della Chiesa cattolica, don Amorth assume una posizione tradizionalista e conservatrice che lo porta da una parte a tentare una sistemazione – che si inscrive nella tradizione – della terminologia relativa alle cause e alle forme dell’azione malefica, dall’altra a criticare le recenti innovazioni apportate al Rito dell’esorcismo basandosi soprattutto sulla propria decennale e intensa esperienza. Rispetto alle forme dell’intervento demoniaco, don Amorth distingue cinque forme, escludendo dal campo d’interesse dell’esorci35 sta la tentazione ordinaria . La prima si riferisce al fatto che Dio puo` servirsi del demonio per purificare le anime36. Una seconda forma, la piu` grave, e` la possessione: definita come sempre dalla presenza del demonio nel corpo del posseduto, in cui a muovere le membra a parlare etc. sarebbe l’essere malefico; essa puo` essere piu` o meno forte, totale o parziale, continua o intermittente; la varieta` delle forme della stessa possessione, riscontrate nella sua esperienza e in quella di altri esorcisti, porta don Amorth a criticare i teorici che vogliono ridurla entro un unico modello o schema generale, per esempio Balducci. Il termine vessazione e` usato per indicare mali minori, ma di
35 Le definizioni di don Amorth sono ricavate dall’intervista che gli ho fatto; nell’edizione del 1991 del suo libro, Un esorcista racconta, non le aveva ancora ben elaborate. 36 Qui rientra la possibilita` che Dio permetta delitti o carneficine – azioni diaboliche – per trarne del bene, e permetta che il diavolo tormenti dall’esterno persone sante per renderle ancora piu` sante.
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origine diabolica. Una delle sue caratteristiche e` l’inefficacia delle medicine37. L’ossessione diabolica, invece, riguarda le persone assalite «da pensieri assolutamente invincibili, tali da fare impazzire, tali da spingere alla disperazione e anche al suicidio». Essa, secondo don Amorth, molte volte si ripercuote anche nei sogni, e le cure, i calmanti, in questi casi non servirebbero a niente. Questa, come le altre, e` una forma di disturbo che potrebbe avere cause naturali ma anche cause demoniache. L’esorcista riserva invece il termine infestazione «ai casi che non riguardano l’uomo: infestazione per le case, infestazione degli oggetti – un oggetto puo` essere maleficiato –, infestazione degli animali». Dal momento che, in ogni caso, di fatto per don Amorth sono essenzialmente gli esorcismi a permettere di individuare se c’e` azione demoniaca e di che tipo essa e`, e considerato che «la cura e` la stessa: preghiera, sacramenti, digiuno, vita cristiana, carita`, esorcismi» (Amorth 1991: 69), tutte le distinzioni riportate hanno una scarsa rilevanza per l’analisi e l’interpretazione del rituale esorcistico. D’altra parte, la maggior parte dei casi presentati possono essere definiti di possessione anche nel senso che attribuiscono alla parola i teologi ed esorcisti citati. Circa le cause di quella che generalmente i demonologi chiamano l’azione demoniaca straordinaria, che e` quella che interessa l’esorcista, egli ne individua quattro. La prima e` la permissione divina: Dio stesso permette che alcuni individui dalla vita santa siano colpiti da possessione o vessazione diabolica per umiliarli e purificarli; sono prove che, superate, permettono di elevare la propria vita spirituale; questo e` stato il caso di molti santi ed e` quello di alcuni sacerdoti che si recano da don Amorth. Una seconda causa e` l’essere vittima di un maleficio: essa sara` esaminata meglio fra poco. La terza e` la persistenza in certe forme di peccati gravi: l’esorcista mi fa l’esempio dell’aborto, della droga, dell’omosessualita`, delle perversioni sessuali. Qui egli dimostra come nella lettura demonizzante vengano inseriti tutti quei comportamenti e quelle scelte non approvati della cultura 37 «Se il male e` di origine diabolica, anche se identico a un male fisico, le medicine non fanno niente, gli esorcismi hanno effetto... L’inefficacia delle medicine e` uno dei segni... Abbiamo tanti casi di persone colpite nella salute, negli affetti, nel lavoro. Possono essere gravi, possono essere tenui, magari soltanto il giovane che per essere andato ad una seduta spiritica non riesce piu` a studiare, la testa gli e` andata in tilt, niente piu` esami, niente piu` memoria. [...] Anche in questi casi si esorcizza».
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cattolica piu` conservatrice. La quarta causa e` individuata nella frequenza a sedute spiritiche, nel ricorso a pratiche magiche e dell’occultismo. Tutte diaboliche, esse permetterebbero l’intervento del maligno. Oggi le due ultime cause conoscerebbero «un’esplosione» perche´ manca la fede: «dove cala la religione cresce la superstizione», vale a dire, per don Amorth, tutte le pratiche menzionate, a cui sono da aggiungere «yoga, zen, meditazione trascendentale: tutte [...] fondate sulla reincarnazione, sul dissolversi della persona umana nella divinita` o, comunque, su dottrine inaccettabili da un cristiano» (Amorth 1991: 46). La perdita della fede e` invece attribuita al «senso materialistico ed edonistico» della vita contemporanea38. Don Amorth ritiene che i colpiti dal demonio per queste vie siano oggi aumentati; a parte le forme minori, i casi di possessione che lui ha incontrati sono circa settanta, considerando anche che ha ereditato di un colpo tutta la «peggiore clientela» di padre Candido, cioe` i non guariti.
5.1 Il maleficio Per quanto riguarda la seconda causa dall’esorcista indicata, il maleficio, essa e` la piu` frequente e la persona e` colpita incolpevolmente. Il maleficio, che in generale e` definito «nuocere ad altri attraverso l’intervento del demonio», e` distinto dal sacerdote, in base alla sua esperienza, in quattro forme: magia nera, maledizioni, malocchio e fatture (Amorth 1991: 122). La suddivisione si basa sulle modalita` e i mezzi attraverso i quali si ottiene l’effetto malefico; e` interessante soffermarsi su questo tentativo di distinzione, che peraltro presenta sovrapposizioni e intersecazioni tra le varie forme, non tanto in se´, quanto perche´ diventa una sorta di schema per l’effettiva operativita` esorcistica. Con la magia nera si considerano per analogia stregonerie e riti satanici; «loro caratteristica e` di procurare il maleficio contro una determinata persona attraverso formule magiche o riti [...], con invocazioni rivolte al demonio, ma senza far uso di oggetti partico38
Afferma l’esorcista: «Credo che, soprattutto in Italia, una buona parte di colpa vada data al comunismo e socialismo, che con le dottrine marxiste hanno dominato in questi anni cultura, educazione, spettacolo» (Amorth 1991: 45-46). Il quadro del diabolico contemporaneo e` cosı` completo.
L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA
lari» (Amorth 1991: 123). Nello stesso tempo, dal momento che non esisterebbe una magia bianca perche´ la magia e` sempre diabolica, sembra rientrare in questa categoria anche la maggior parte delle altre specifiche forme di maleficio. Comunque, considerato che in generale sono i riti, con gesti e formule, a trasmettere il maleficio, e che tutte le pratiche sono considerate il contrario di quelle sante della religione cattolica, il cristiano si puo` proteggere o rimediare agli effetti malefici con i riti e le formule approvate dalla Chiesa, depositaria dell’unica vera religione39: sacramenti, preghiere, eventualmente esorcismi, in ogni caso una condotta cristiana; «la nostra forza e` la Croce di Cristo, il suo sangue, le sue piaghe, e l’obbedienza alle sue parole e alla sua istituzione, la Chiesa» (Amorth 1991: 145). Tra le maledizioni quelle piu` dannose sono fatte da persone con cui la vittima ha un legame di sangue; in questo caso al maleficio si possono opporre preghiere ed esorcismi, ma spesso questi non riescono a fermare la catena di mali di cui la vittima si lamenta, procurando solo un aiuto spirituale40. La terza forma di maleficio e` il malocchio, che si differenzia dalle altre per il mezzo usato, lo sguardo (Amorth 1991: 125). L’esorcista e` abbastanza cauto nel dare per certo che esso possa essere sufficiente a provocare l’effetto malefico, ma lo considera possibile, mostrando cosı` di aderire alle tradizionali credenze sul potere dello sguardo, senza peraltro accettare la validita` delle pratiche tradizionali preposte a neutralizzarlo. L’esorcismo si sostituisce ad esse, altrettanto malefiche del malocchio, e si propone come l’unica pratica legittima. Dato che con il malocchio si sospetta di una determinata persona, anche se l’esorcista dice che spesso non si riesce a conoscerne l’artefice, il modo specifico di contrastarne gli effetti diventa qui quello cristiano del perdono e della preghiera per chi ha provocato il male. Se poi, a livello simbolico, possano essere particolar39
Che il Dio cristiano cattolico sia l’unico vero, che la sola verita` sia quella della sua religione, che tutte le pratiche religiose – ma per don Amorth solo magiche nel senso diabolico del termine – delle societa` extraoccidentali siano assolutamente dalla parte del demonio, l’esorcista lo afferma piu` o meno esplicitamente nell’intervista che mi ha rilasciato e nel capitolo «Qualcosa di piu` sulla magia» (Amorth 1991: 137-145). 40 A tale proposito bisogna dire che se il rimedio e` sempre lo stesso, la sua minore efficacia risolutiva deriva forse dal fatto che il rito esorcistico non puo` andare ad incidere molto laddove la causa del male e` individuata in conflitti familiari alla cui ricomposizione dovrebbero partecipare tutti gli individui coinvolti. Con l’esorcismo si avvalora o si avanza la reinterpretazione di tali conflitti in termini diabolici, ma evidentemente in questi casi cio` non basta a superare il problema affettivo e relazionale costituito da una madre o un padre che sono diventati causa del male, strumenti diabolici.
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mente significative, in caso di malocchio, le operazioni esorcistiche che si incentrano sullo sguardo e sugli occhi – l’esorcista che ordina di essere guardato, che scruta negli occhi dell’esorcizzata... – e` difficile dirlo, perche´ esse fanno parte della procedura esorcistica comunque, che la causa sia una fattura, il malocchio o altro. La fattura e` la quarta forma di maleficio e la piu` usata, secondo don Amorth. In relazione al modo in cui e` stata preparata e a quello in cui va ad agire, puo` causare particolari disturbi. Se le sostanze affatturate sono state fatte entrare con cibo o liquidi nel corpo del soggetto, generalmente questo «soffre poi di un caratteristico male di stomaco, che gli esorcisti sanno bene individuare, e che guarisce solo dopo aver liberato lo stomaco con molto vomito o con molte feci, in cui si espellono le cose piu` strane» (Amorth 1991: 126). Quando agisce in modo indiretto, cioe` su «materiale di transfert», la vittima avverte su di se´ gli effetti delle azioni compiute sull’oggetto che la rappresentava nel rito di affatturamento; se ad una bambola e` stata trafitta la testa o lo stomaco con spilli, la persona sentira` dolori simili a punture nelle parti del corpo corrispondenti. Anche in questi casi la guarigione avviene con l’espulsione di oggetti che corrispondono a quelli usati nel maleficio: spilloni, chiodi, fili di ferro e altro. In questi casi, dunque, accettata l’interpretazione di affatturamento, con l’esorcismo si procede a provocare l’espulsione del maleficio, che poi andra` bruciato, mentre si prega, sottolinea l’esorcista. Qui l’azione esorcistica e` piu` specifica e diretta perche´ l’ipotesi di una fattura comporta anche l’utilizzo di particolari strumenti esorcistici destinati ad operare l’espulsione e dunque a trasferire sul prodotto di questa il male di cui l’esorcizzato soffre: acqua, olio e sale esorcizzati, ma anche tutte le tecniche di tipo espulsivo di cui si parlera` in seguito. Questi strumenti, che vanno a contrapporre l’azione del potere divino all’azione magica diabolica, sembrano essere usati secondo una logica simbolica che corrisponde essenzialmente a quella delle pratiche magiche che hanno causato il male della posseduta: in modo diretto e indiretto, per transfert, per imitazione, per contagio, con l’uso dei «talismani» cattolici, per usare i termini con cui don Amorth caratterizza i modi in cui agisce la magia, a cui si potrebbe anche aggiungere il legamento che corrisponderebbe alla legatura malefica. Benche´ don Amorth distingua i tipi di maleficio e tenti di definire una terminologia, il nucleo essenziale della sua ideologia a questo proposito non si discosta da quella del suo maestro padre Candido
L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA
Amantini che, tra le cause di possessione – in cui i peccati dell’uomo hanno un ruolo importante perche´ facilitano l’azione di Satana – riconosceva le fatture. «La fattura consiste proprio nell’offrire al demonio qualcosa, la fotografia, un oggetto, i capelli di qualcun’altro, affinche´ entri in lui e gli faccia del male» (intervista in Simonetti 1986). «Cosı` come la religione ha il suo rito e i suoi sacramenti, la magia e` il rito del demonio e le fatture ne sono i sacramenti» (intervista in Giannetti 1984). La credenza nell’efficacia delle pratiche magiche, che vengono risignificate in senso assolutamente diabolico, e` piena. L’accertamento dell’esistenza delle fatture di cui gli esorcizzati raccontano e` fatto invece solo in rari casi. Ma qualche verifica puo` bastare all’esorcista per confermare che l’intervento diabolico passa anche attraverso di esse41. Su un piano generale, la condivisione dell’esorcista delle credenze magiche delle persone che esorcizza – dal suo punto di vista giustificata dal vecchio Rituale stesso che parla di malefici – e` uno dei fattori che sicuramente determinano l’efficacia degli esorcismi e, di conseguenza, contribuiscono alla sua fama. Fatture e poteri magici occupano un posto rilevante tra queste credenze condivise; anche se non e` sempre scontata una completa identita` tra le concezioni di chi si sottopone all’esorcismo e quelle del sacerdote, esse testimoniano del sincretismo dell’ideologia magico-religiosa di entrambi. ` anche sulla base dell’ideologia appena illustrata che don E Amorth critica il nuovo rituale esorcistico: «fatto da persone completamente incompetenti» e` praticamente quasi «tutto da cestinare» per due motivi principali: Anzitutto, il divieto di esorcizzare a scopo diagnostico, preventivo: cioe` per capire se c’e` o non c’e` il demonio. Il testo lo consente solo quando c’e` gia` la certezza della presenza demoniaca. Ma questa si puo` accertarla solo con l’esorcismo, non prima e non senza! Poi c’e` il divieto di esorcizzare tutti i casi di maleficio; cioe` le vittime di fatture, legature, macumba, vodoo, malocchio, maledizioni. Un’assurdita`: tutti i casi piu` famosi di possessione sono cominciati con un maleficio (intervista in Travaglio 2001).
41
Padre Candido mi ha raccontato di essere andato a benedire una casa «infestata» dove trovo` in un materasso una corda con in cima una specie di nodo con due spilli, che aveva l’aspetto di un serpente. La corda si sarebbe alzata da sola come un serpente. In questi casi bisogna bruciare tutto.
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Le posizioni di don Amorth, dunque, non fanno che ribadire la necessita`, per chi pratica l’esorcismo, di rimanere a stretto contatto con le credenze di coloro che chiedono aiuto, per fare in modo che il rito sia efficace, e questo nonostante la rilettura in termini diabolici. Lo spazio riservato al maleficio e` dunque un elemento di continuita` che lega l’ideologia diabolica esorcistica di oggi con quella dei secoli passati, ma nello stesso tempo assume aspetti specifici in relazione al momento storico e alle poste in gioco implicite o dichiarate del discorso e della pratica esorcistici. Affrontare questo tema, significa cercare di enucleare alcuni elementi della dinamica culturale in cui, per secoli, si sono intrecciate religiosita` popolare e religione ufficiale cattolica: il rapporto tra le credenze popolari che attribuiscono la causa di alcuni mali o malesseri all’aggressione magica di esseri umani ed extra-umani, e la rilettura in termini diabolici che la Chiesa ne fa nella teologia e nella effettiva prassi esorcistica; il sincretismo stesso del dispositivo simbolico esorcistico. ` dunque considerando la pratica esorcistica di don Amorth che E si puo` capire meglio come si articola il rapporto tra le rappresentazioni magico-religiose popolari del male, della sventura e di esseri extra-umani, e la loro interpretazione diabolicizzante. Nel prossimo capitolo, analizzando il rito in azione, ne proporro` alcuni esempi.
4 LA COSTRUZIONE DELLA POSSESSIONE
1. La costruzione della possessione L’esorcismo puo` essere considerato un dispositivo simbolico che, per intervenire sul malessere che la persona accusa, costruisce ritualmente la figura della posseduta dal diavolo. Si tratta di un processo che si svolge nel tempo, in cui il comportamento della persona esorcizzata si modifica nel corso dei mesi o degli anni. Queste «variazioni» (individuali, temporali) si collocano pero` in un quadro relativamente stabile di azioni, gesti, parole, formule, preghiere che caratterizzano il rito esorcistico in quanto tale e il comportamento stereotipato della posseduta. Sara` quindi un’analisi dettagliata del rito nella sua forma codificata, con particolare attenzione ai singoli operatori simbolici, a introdurre in un ambito dove la contrapposizione teologica tra Dio e il suo avversario prende letteralmente corpo, suscitando nell’osservatore una serie di interrogativi che vanno oltre l’oggetto specifico e investono i concetti di corpo, anima, persona, identita` femminile nella religione cattolica. Pratica a cui la religione cattolica ricorre, tra altre, per gestire un disagio religiosamente interpretato, l’esorcismo si avvale di una serie di operatori simbolici che, nella prospettiva da me adottata, prima di essere strumenti «terapeutici» volti alla liberazione appaiono come i mezzi della costruzione della stessa possessione ritualizzata. Considerero` dunque il rito in azione, secondo l’espressione demartiniana che da` il titolo ad un capitolo di La terra del rimorso: faro` un’analisi dinamica dello svolgimento di un singolo esorcismo e, piu` avanti, dello strutturarsi del trattamento rituale nel tempo. Infatti gli esorcismi vengono ripetuti sulla stessa persona piu` volte, con cadenze in genere regolari, a volte per anni. Il processo di produzione-«cura»
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dell’influenza diabolica si struttura sia nel tempo breve del rito che nel ripetersi degli esorcismi. Comincero` con l’esaminare in particolare come si susseguono e si ordinano i vari momenti, cioe` come le varie fasi si compongono in sequenza e che tipo di logica simbolica presiede a tale ordine. Cio` implica l’analisi parallela del significato dei molteplici operatori simbolici che entrano nel corso della seduta; ne esaminero` il loro significato sia in generale nel contesto esorcistico, sia in rapporto con il particolare momento della sequenza rituale in cui intervengono, con gli altri momenti che l’accompagnano, li precedono, li seguono e con il rito nel suo insieme. Tali operatori, teoricamente divisi in atti e parole, consistono non solo di preghiere, formule, ordini e atti codificati, ma anche di oggetti e sostanze che vengono utilizzati nei vari gesti, di atti non formalizzati nel Rituale e di entita` soprannaturali chiamate direttamente in causa per la riuscita dell’esorcismo; esaminero` dunque l’imposizione della stola e le pressioni, l’imposizione della mano e l’apertura degli occhi, i soffi, gli schiaffetti in fronte, il segno di croce, l’organizzazione delle formule, l’interrogatorio e la nominazione, le materie rituali (acqua, sale, olio) e gli esseri mediatori (Madonna, angeli ed anime del Purgatorio, Spirito Santo, santi, padre Pio, padre Candido). Tutti i gesti, le parole, gli oggetti e le sostanze, ritualmente codificate o meno, costituiscono degli strumenti, considerati esorcistici dal punto di vista liturgico – cioe` mirati all’espulsione del diavolo – ma che all’analisi appaiono veri e propri operatori simbolici della possessione ritualizzata. Essi inducono nell’esorcizzata una serie di reazioni comportamentali che corrispondono allo stereotipo culturalmente condiviso dell’indemoniata. La relazione tra tali azioni e il comportamento di chi e` sottoposto all’esorcismo non va ovviamente intesa come un rapporto automatico di causa-effetto; esistono variazioni individuali nelle risposte e la possibilita`, anche per l’esorcista, di una certa liberta` nella manipolazione degli strumenti esorcistici, pur nella relativa fissita` codificata del rituale. Cio` che e` importante sottolineare nell’esame della sequenza esorcistica e` che nella prima fase, la piu` lunga nello sviluppo complessivo del rito, si realizza con i suddetti strumenti1 la conversione di sintomi diversi di malessere, all’inizio non necessariamente vissuti come demoniaci, in segni di influenza o presenza diabolica. L’esor1
O si tenta di realizzare, nei casi di un primo esorcismo.
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cizzata assume, soggettivamente e oggettivamente, il ruolo di posseduta permettendo cosı` alle armi rituali e metafisiche di operare con efficacia contro la personificazione del male che esse stesse hanno costruito. Il rituale esorcistico, cioe`, si carica di una funzione propedeutica e determinante: produrre e riprodurre quella possessione diabolica che esso stesso, poi, intende eliminare.
2. L’origine del male All’inizio, la richiedente ha la possibilita` di esporre brevemente, spesso per soli accenni, qual e` il suo problema. In linea generale si tratta di un male/malessere fisico e/o psichico e/o spirituale di cui si cerca un’interpretazione ex novo oppure una conferma ad un’interpretazione gia` avanzata da se´ o da altri, e una soluzione. L’individuo si presenta dunque per ricevere un trattamento rituale in quanto persona sofferente. Come tale e` trattato all’inizio anche dal sacerdote che, in questa breve fase esplorativa, non assume in modo ben definito lo specifico ruolo di esorcista. Chiedendo informazioni e chiarimenti, egli appare piu` come semplice sacerdote che intende soccorrere una persona in difficolta`. Tutto cio` vale per ogni e qualsiasi seduta, cioe` anche per casi in cui l’esorcizzanda sia gia` conosciuta e si sottoponga ad esorcismi da tempo: nei momenti preliminari si puo` accennare al proprio stato di salute, al tipo di segni che si sono manifestati dopo l’ultima seduta, alla propria situazione familiare. A volte e` lo stesso esorcista che richiede tali informazioni, salutando affettuosamente le esorcizzande. La maggior parte delle persone che si rivolge oggi a don Amorth – ma il discorso sembra generalizzabile –, ha inizialmente ipotizzato che all’origine del proprio malessere ci fosse un maleficio o una fattura da parte di qualcuno; nonostante abbia considerato altre possibili interpretazioni del male, eventualmente facendo ricorso alla medicina o alla psichiatria, di fronte alla persistenza del problema continua a ritenere valida l’ipotesi di essere vittima di una volonta` malvagia che ha agito attraverso mezzi magici e spesso, prima che all’esorcista, si rivolge a maghi. Se la frequentazione di questi ultimi non fa che rafforzare l’interpretazione magica, il loro intervento non sempre e` risolutivo, oppure il rapporto viene interrotto a causa di richieste inaccettabili perche´ ingenti dal punto di vista economico o perche´ implicano un coinvolgimento del soggetto in pratiche consi-
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derate pericolose. Emblematico e` quanto racconta Sara che, dopo essersi rivolta ad una maga, conosciuta in paese per praticare «magia nera», non segue le sue indicazioni perche´ spaventata, oltre che per la ` notevole somma di denaro chiesta per operare la contro-fattura. E allora che si ricorre all’esorcista2, al quale, insieme alla descrizione del problema, si prospetta anche cautamente l’interpretazione in termini di fattura. In linea di massima, il sospetto di essere affatturati viene espresso dalle esorcizzande al primo incontro con l’esorcista, che puo` dargli o meno peso in base a svariati fattori (succedersi di coincidenze ed eventi «strani» nella vita della persona in questione, ritrovamento di oggetti o materie anomali in certi luoghi, «evidenti» connessioni tra determinate persone e manifestarsi di mali e avvenimenti singolari...), ma soprattutto terra` conto del comportamento effettivo del soggetto durante il rito; se poi il soggetto proseguira` nel percorso esorcistico questo aspetto tornera` piu` raramente nei dialoghi con il sacerdote, indirizzati piu` ad indagare gli effetti dell’esorcismo e lo stato generale dell’individuo che ad accertare con precisione le cause magiche del male. Come si e` visto, il sacerdote condivide quest’ideologia magica ma ne effettua una rilettura che procede in due direzioni parallele: da una parte reinterpreta in termini diabolici le cause del male e le sue manifestazioni, dall’altra tende a screditare gli interventi degli operatori magici condannandoli come strumenti del diavolo, sia direttamente sia indirettamente, proponendo l’aiuto sacerdotale come l’unico legittimo e ortodosso per un cattolico. Alcuni esempi tratti dai dati raccolti sul campo possono illustrare il modo in cui si effettua questa lettura. Alla domanda circa il problema che l’ha portata a richiedere l’esorcismo, Gioia spiega che a casa sua succedono strane cose, cioe` hanno piu` volte trovato nei materassi dei fili intrecciati. L’esorcista le chiede se li hanno buttati e lei risponde: «No, li abbiamo disfatti e ricardati». Ma secondo l’esorcista bisogna buttarli, mentre una sua assistente suggerisce di bruciarli. I fenomeni strani sarebbero iniziati dopo la morte di un fratello, deceduto 18 anni fa; sebbene la ragazza non metta esplicitamente in relazione gli avvenimenti, i periodi coincidono e cio` non sfugge ai presenti. L’esorcista chiede se hanno 2
Il quadro generale che qui sto sintetizzando non esclude, ovviamente, le altre possibilita` specifiche che conducono dall’esorcista (suggerimento di sacerdoti o carismatici, individuazione immediata dell’esorcista come l’autorita` competente anche nel trattamento di mali effetto di fatture...).
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fatto benedire la casa, e alla risposta negativa consiglia: «Lo faccia fare, lo chieda al suo parroco, e butti i materassi». Anche a Sara, che come si e` visto ha frequentato maghi e esercitato pratiche magiche, e` stato caldamente raccomandato di disfarsi di tutta una serie di oggetti ritenuti possibili ricettacoli di influenze malefiche; man mano vengono gettati i libri di «magia» – che Sara in passato leggeva perche´ fortemente attratta dall’occulto –, la statua del Buddha – da lei considerata un «oggetto d’arredamento» –, un papiro, la maggior parte delle bambole e dei peluches dei bambini, le bamboline di porcellana collezionate da Sara. Tutti oggetti individuati come pericolosi grazie allo specifico carisma di Franca, l’assistente dell’esorcista che si reca nelle case degli esorcizzati per scoprire cosa vi e` di maleficiato. In questo caso l’esorcista sembra attribuire la causa della possessione alle pratiche magiche sperimentate in passato dalla donna, in particolare alla sua ingestione delle polveri del santone indiano Sai Baba. Se non sempre all’esorcista interessa approfondire lo specifico agente del maleficio, considerando sufficiente l’aver individuato elementi diabolici nella vita della persona esorcizzata e, soprattutto, avendo constatato la presenza di un’influenza diabolica nel comportamento durante il rito, a volte indaga e cerca conferme, come nel caso di Roberta. Durante l’interrogatorio condotto in una delle sedute esorcistiche don Amorth vuole farle dire l’identita` di chi le avrebbe fatto il maleficio, e di fronte alla sua reticenza suggerisce anche: «Un mago? Una maga?». Roberta dice un nome di donna; l’esorcista vuole sapere anche come e` stato fatto il maleficio e lei, sempre in stato di agitazione, accenna ad una foto. In un colloquio precedente con lo psichiatra e me aveva parlato di questa foto – che la sorella avrebbe portato da uno «stregone» perche´ la usasse per provocare la morte di Roberta –, cosı` come era emersa la frequentazione di maghi e fattucchiere (fu, ad esempio, una «fattucchiera» a dirle che era «indemoniata» e la crisi che ebbe da un esorcista laico lo confermo`). L’emergere, in questo caso – ma gli esempi potrebbero essere numerosi – di familiari come responsabili del maleficio subito (spesso la nuora sospetta della suocera), pone il problema delicato dei rapporti conflittuali intra-familiari a cui rinvia l’accusa di maleficio o fattura. Esso, nella procedura esorcistica, non e` in genere affrontato direttamente e l’esorcista, nel rapporto con il soggetto, non si sof-
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ferma molto sulla precisazione delle cause e degli agenti del disturbo malefico, ma procede essenzialmente nella prassi alla costruzione della rilettura diabolicizzante. Quest’ultima pero` non manca di produrre effetti sulla natura di quegli stessi rapporti: essere riconosciuta e riconoscersi come vittima del diavolo puo` significare un invito a sospendere i sospetti e le accuse verso i familiari, oltre che ribadire la propria estraneita` – gia` operante nel definirsi vittima di fattura – come parte attiva e responsabile nelle dinamiche interpersonali che hanno portato all’ostilita` e ai contrasti. L’atteggiamento di don Amorth e` diverso se con l’esorcismo non ha rilevato segni sospetti di influenza malefica: laddove negli esempi precedenti accettava in maniera implicita o esplicita l’ipotesi del maleficio come causa del male, in altri la liquida come effetto di suggestione. Ad una donna che – nel colloquio del suo primo esorcismo – accenna a una fattura che secondo qualcuno non precisato l’avrebbe colpita, l’esorcista dice di lasciar perdere quelle cose; alcune persone ti ficcano in testa quell’idea e non te la togli piu` dalla mente. La rassicura e le da` un altro appuntamento, ma e` evidente che sospetta si tratti di suggestione. In modo analogo tratta una famiglia di origine pugliese emigrata a Parigi, venuta a Roma appositamente per l’incontro con lui: la moglie e` convinta di essere vittima di una fattura che le sarebbe stata fatta da una zia quando era bambina. L’esorcista invita a non credere a queste sciocchezze e a condurre una vita cristiana. Don Amorth si muove dunque con cautela, non sempre accettando come vere le interpretazioni proposte dai soggetti, ma nello stesso tempo, grazie alla condivisione di alcuni presupposti magici, riesce ad entrare in contatto con essi per poi ridimensionare la lettura magica popolare collocandola in un quadro cristiano in cui viene risignificata in termini di aggressione diabolica e di relativa prospettiva di salvezza. Quest’articolazione tra credenze originariamente autonome e rilettura diabolicizzante e` rintracciabile anche in molte storie di possessione del passato3 che mostrano inoltre come la demonizzazione di credenze e pratiche folkloriche non deve far ipotizzare una irridu-
3 Allo stesso modo, sembra un elemento ricorrente nel percorso terapeutico delle vittime di malefici del passato e di oggi il fatto che il ricorso all’esorcista si collochi dopo quelli al mago tradizionale. Cfr. Ginzburg 1986.
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cibile contrapposizione tra le credenze degli esorcisti e quelle delle possedute. Quello che sottolinea Ginzburg a proposito di inquisitori e streghe, «partecipi di una comune visione della realta` che implica la presenza quotidiana del demonio, la possibilita` di avere rapporti con esso, e cosı` via» (Ginzburg 1986: 15 sg.; cfr. Ginzburg 1989), vale anche per esorcisti e indemoniate. D’altra parte, altri esempi – come l’affare Cangiano (Napoli, 1586-8) studiato da Salmann – mostrano che non e` raro trovare una «collisione di credenze d’origine differente, o piuttosto, l’inserimento di credenze autonome nella mitologia demonologica» (Salmann 1986: 45). Tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600, la Chiesa, pur combattendo certi abusi nella pratica esorcistica, non sembro` ostacolare quello che Romeo (1990: 148) chiama «l’ampliamento di competenze degli esorcisti», che puo` essere letto anche come un processo di diabolicizzazione di pratiche e credenze popolari. Questo processo si ritrova ugualmente in altri casi, anche nei secoli successivi, al livello della costruzione dell’interpretazione del male/malessere. Tra i molteplici esempi storici possibili dell’intreccio tra credenze diverse, basti ricordare le vicende di possessione francesi di Marthe Brossier (Mandrou 1979; Walker 1984), di Sere`ne di Baiamont e delle sue domestiche (Hanlon e Snow 1988), delle Orsoline di Loudun (De Certeau 1977; De Certeau 1980; Huxley 1988; Jeanne des Anges 1986), e quelle italiane dei due cugini esorcizzati nella chiesa torinese della Consolata (Borello 1988; Borello 1990) e delle possedute di Verzegnis, in Friuli (Franzolin 1879; Bastanzi 1888; Ostermann 1894; Gallini 1983; Ceschia e Cozzi 1987 e 1988). Come acutamente sottolinea De Certeau a proposito delle possessioni di Loudun, ma l’osservazione vale su un piano piu` generale, con l’intervento dei sacerdoti comincia quel lavoro di denominazione dei demoni con il quale si stabilisce un codice che solo in apparenza sembra una individuazione, un riconoscimento dei demoni, e che in realta` corrisponde ad un processo inverso: «la nomenclatura dei demoni mette una griglia sulla superficie dei fenomeni. L’esorcismo ha da allora lo scopo di strappare al “melange” che gli presentano le possedute il corpo “propre”, l’elemento puro che corrisponde al modello concettuale» (De Certeau 1980: 62). D’altra parte e` spesso possibile ravvisare uno scarto tra il codice demonologico ufficiale attraverso il quale si manifesta la possessione e il ruolo che effettivamente la posseduta talvolta finisce per impersonare (profetico per Marthe Brossier e le possedute di Verzegnis), oppure le «resistenze»
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che, pur all’interno del modello della possessione, le donne oppongono al dispositivo esorcistico, con slittamenti da un’identita` diabolica all’altra, comparsa di diavoli dal nome popolare, mutismo, ritorno ad uno stato «normale» di coscienza. L’articolazione tra le rappresentazioni magico-religiose del male, della sventura, dei rapporti con il mondo soprannaturale e la loro lettura cattolica esprime, dunque, piu` che una contrapposizione netta tra visioni del mondo, la possibilita` di sincretismi, riadattamenti e raccordi messi in atto dal clero in secoli di storia secondo quella dinamica culturale che de Martino ci ha insegnato a riconoscere (de Martino 1993). Se oggi le credenze magiche rimangono sullo sfondo a vantaggio del tentativo di ricondurre i soggetti ad una piena vita cristiana, il loro persistente intreccio con la demonologia ortodossa sembra iscrivere possessione diabolica ed esorcismo in una lunga durata, mentre appaiono secondari – per quanto riguarda malefici e fatture – gli elementi di mutamento. Certo, ad esempio, l’introduzione di termini come «negativita`» per indicare influenze malefiche minori puo` essere considerata un aggiornamento del vocabolario che rimanda a concezioni piu` moderne ma non meno popolari della circolazione di forze negative; gli elementi di mutamento, pero`, vanno piuttosto ricercati in altri aspetti della teoria demonologica e della pratica esorcistica (rapporto con le scienze medicopsichiatriche, privatezza del rito e rapporto con i mass-media...). Come non vedere, invece, nella pratica collaterale dell’assistente dell’esorcista che si reca nelle case per individuare oggetti e spazi maleficiati una versione aggiornata dell’accurata ricerca dei malefici attuata in passato dagli esorcisti? Oggi e` investito del compito un individuo dotato di particolari carismi, secondo l’ideologia carismatica, mentre nei secoli passati erano gli stessi indemoniati a indicare i luoghi in cui il presunto stregone avrebbe nascosto i malefici, ma in entrambi i casi e` rintracciabile lo stesso dispositivo che mette in relazione disturbo diabolico e concrete fatture o oggetti carichi di negativita`, e richiede la loro distruzione, preferibilmente con il fuoco e accompagnata da preghiere4.
4 Una profusione di malefici ritrovati e distrutti dagli esorcisti si trova – ad esempio – nel racconto della vicenda delle Orsoline possedute di Auxonne (1658-1663) ricostruita, in base a documenti d’archivio ma in forma romanzata, dallo storico Garnot (1995).
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3. L’entrata nella condizione rituale Immediatamente dopo il breve colloquio tra l’esorcista e la consultante, cominciano ad essere messi in gioco vari elementi attraverso i quali opera quella che si puo` chiamare «la messa in condizione rituale», che riguarda tutti i presenti, e principalmente l’esorcizzanda. Nel primo periodo della mia partecipazione, una messa celebrata in chiesa da don Amorth precedeva gli esorcismi; piu` di recente, con il cambiamento del luogo delle sedute, la liturgia e` assente, ma essa, pur non essendo obbligatoria, potrebbe essere considerata una tappa preliminare, insieme all’attesa del proprio turno in chiesa o in sala d’aspetto; questi momenti gradualmente preparano il cambiamento rituale che si completera` nel corso dell’esorcismo. Mentre la partecipazione alla messa e` aperta a tutti, la possibilita` di restare poi in chiesa sara` limitata alle sole esorcizzande con eventuali accompagnatori. Con la chiusura della porta d’ingresso costoro si ritrovano separati dal resto dei fedeli e dal mondo profano. Tale separazione, messa in atto anche nella nuova sede, colloca le persone in una condizione contrapposta a quella della vita quotidiana. La persona sofferente, presentandosi all’esorcista, e` gia` stata introdotta in uno spazio (chiesa) e in tempo sacri (messa); e in questa fase preliminare puo` aver iniziato a manifestare segni di «indemoniamento». Lo stesso puo` accadere anche quando spazio e tempo non sono piu` istituzionalmente sacri, ma di fatto acquistano tale caratteristica grazie alla presenza dell’esorcista e alla prospettiva del rito che si svolgera`. Mi raccontano che Silvio ogni volta che lo portano da don Amorth non vuole uscire dalla macchina e lo devono forzare; una volta l’esorcista e` dovuto andare a prenderlo e usare l’acqua bene` detta per cercare di indurlo a entrare nel luogo degli esorcismi. E proprio a questo rifiuto che viene fatta risalire la sua lentezza, la difficolta` nel camminare, con una gamba che sembra un po’ rigida, al momento dell’entrata nella stanza. Quando invece se ne va, o in altri momenti della vita quotidiana, Silvio non presenta alcun problema di deambulazione. Ugualmente collegato all’avversione al sacro – ma con manifestazioni anche indipendenti da questa – e` il fenomeno che egli presenta in un’occasione, mentre aspetta di essere esorcizzato: uno dei fratelli si avvicina a noi ricercatori e dice, riferito a Silvio: «L’ha colpito». Lo psichiatra presente in sala d’aspetto chiede: «Chi?». Il fratello: «Venite, ha un graffio sulla fronte, e` in bagno». Ci avviciniamo: Silvio ha l’espressione sofferente, un po’ sconvolta; ha un segno rosso sulla fronte. Il fratello e un altro accompagnatore rac-
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contano che non appena Silvio e` arrivato si e` sentito male, ha vomitato, ed e` apparso il segno sulla fronte; in passato, prima di venire da don Amorth cominciava a stare male anche i giorni precedenti l’appuntamento5. Roberta, invece, quando incontra l’esorcista nella sala d’attesa gli dice che le fa schifo e urla mentre aspetta il suo turno. Un’altra donna, all’avvicinarsi alla stanza delle sedute, comincia ad emettere una sorta di rutti, caratteristica che presenta in modo piu` accentuato durante il rito; qualcuno viene fatto entrare accompagnato sulla sedia a rotelle per difficolta` deambulatorie. ` pero` quando la richiedente e` entrata nella stanza e si e` seduta E sulla sedia o sulla poltrona predisposta che avviene il passaggio ad un luogo e ad un tempo determinati, che riguardano specificatamente il proprio trattamento esorcistico. Con la separazione dal gruppo dei simili, il processo di introduzione al rito si particolarizza e si incentra sulla singola persona. Senza sottovalutare i passaggi preliminari, e` necessario analizzare gli elementi che nel contesto esorcistico si configurano come piu` specifici agenti del passaggio alla condizione rituale. In tal senso vanno interpretate anche operazioni quali il liberarsi di ornamenti e il cambiarsi d’abito talvolta osservate prima dell’inizio del rito, o la somministrazione della comunione. In un caso la sostituzione degli indumenti appare particolarmente significativa perche´ la donna, appena cambiato l’abito, mostra gia` segni di insofferenza per i consigli dell’esorcista e sembra voler affrettare l’inizio (e la fine) dell’esorcismo vero e proprio, i cui effetti dolorosi conosce e gia` avverte. Qui, il cambiamento d’abito segna in maniera chiara il cominciare della rappresentazione rituale. Quanto alla somministrazione della comunione all’esorcizzata, prima dell’inizio del rito, assume – da questo punto di vista – lo stesso valore, con l’effetto di anticipare la manifestazione dei primi segni della possessione rituale. All’ultimo esorcismo di Sara a cui ho assistito, dopo i saluti iniziali, mentre la donna e` seduta sul lettino, don Amorth le si avvicina dicendo: «Le diamo la comunione». Si recita il Confiteor («Confesso a Dio onnipotente...») e Sara comincia a manifestare forti sussulti nella zona di stomaco e pancia. Le viene messa in bocca
5 Non e` la prima volta, a suo dire, che sul corpo dell’uomo appaiono dei segni simili a graffi, attribuiti – una volta iniziato il percorso esorcistico – al diavolo, soggetto della frase «l’ha colpito».
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l’ostia: Sara da` segni di fastidio ma non la sputa; l’esorcista sollecita subito un bicchiere d’acqua (perche´ l’aiuti a ingerirla) chiedendo poi se l’ha inghiottita. Sara risponde di sı`; viene fatta stendere sul lettino e i presenti si dispongono intorno per iniziare l’esorcismo. Il rito esorcistico, tuttavia, si apre con il segno di croce, con l’aspersione di tutti i presenti con acqua benedetta e con la recitazione in comune di preghiere introduttive. Tali atti coinvolgono tutti i partecipanti e hanno lo scopo di assicurare loro protezione nel momento in cui si entra in una condizione potenzialmente pericolosa. Il contatto con il soprannaturale diabolico va affrontato con adeguate misure protettive che, nello svolgimento complessivo del rito, assumono valore di primi elementi idonei a sacralizzare gli attori, il luogo e il tempo rituali. Rispetto alla progressione della sequenza rituale, che con gli atti successivi sara` focalizzata sempre piu` sull’esorcizzanda, qui e` tutta la Chiesa, intesa come comunita` di fedeli e di entita` soprannaturali, che e` chiamata in causa e rappresentata. Nello stesso tempo, nei confronti della persona sofferente, l’aspersione e le preghiere possono assumere anche un altro significato. Si ritiene che l’acqua benedetta sia particolarmente aborrita dal diavolo e, come mostrano i numerosi esempi riportati dalla letteratura, essa e` stata da sempre usata come test per saggiare la presenza diabolica in un individuo. Il supposto diavolo possessore reagisce al suo contatto e cosı` si rivela. Secondo il valore attribuitogli dalla Chiesa, l’aspersione costituisce dunque anche un primo attacco all’essere malefico che comincia a manifestarsi. Le reazioni di fastidio dell’esorcizzanda sono interpretabili in tal senso, cosı` come la sua difficolta` a recitare le preghiere. Entrambi gli atteggiamenti rientrerebbero nella piu` ampia categoria di avversione al sacro che caratterizzerebbe il comportamento di chi e` influenzato dal demonio, ma nella sequenza esorcistica aspersione e preghiere sono gli elementi che operano un ulteriore avanzamento nella messa in condizione rituale. Gradatamente l’esorcizzata sta diventando la posseduta grazie agli strumenti simbolici che l’esorcista le offre. L’assunzione di tale ruolo – a cui si contrappone quello del prete esorcista – si struttura nelle fasi successive per mezzo di altre azioni, parole e gesti che sono specifici del rituale esorcistico.
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3.1 La performance Ha dunque inizio la performance rituale. Seduta sulla poltrona o distesa sul lettino, a volte con le caviglie legate, la persona vittima di un’influenza malefica comincia a mostrare un comportamento difforme dall’ordinario reagendo ai gesti e alle parole del sacerdote: da` segni di fastidio, tenta di sottrarsi alle manipolazioni o di aggredire l’esorcista, contro il quale puo` imprecare, emette suoni inarticolati, grida, lamenti, talvolta piange; ma puo` anche restare in silenzio esprimendo solo con segni corporei la presenza diabolica e l’effetto provocato dall’esorcismo. Inizialmente, il tremore della mano, il movimento della testa o quello «a scatti» degli arti, la posizione «scivolata» sulla poltrona, l’irrigidimento del corpo o di sue parti, la chiusura e/o la posizione degli occhi – rivolti in alto o in basso –, possono essere indici corporei del cambiamento in atto, cioe` del manifestarsi della personalita` diabolica indotta dall’entrata nella condizione rituale. Benche´ quest’ultima e cio` che chiamo stato rituale dell’esorcizzata si caratterizzino per un cambiamento di atteggiamento che puo` riguardare anche lo stato di coscienza, occorre precisare che con tali espressioni mi riferiscono ad un processo dinamico di «trasformazione» che non si esaurisce nell’ambito del cosiddetto stato modificato (o alterato) di coscienza ma riguarda, piu` che lo stato psichico del soggetto, l’insieme degli elementi (tecniche, strumenti, comportamenti variamente stereotipati) che concorrono a definire gli attori e il contesto rituali. In quest’ottica, l’eventuale stato modificato di coscienza e` solo uno dei fattori che interviene nella costruzione del ruolo rituale con funzione predisponente. Concetto di origine psicologica, esso e` entrato a far parte del linguaggio antropologico dagli anni ’60, quando le ricerche di Bourguignon hanno iniziato ad esaminarne i rapporti con le pratiche religiose e il cambiamento sociale su un piano comparativo transculturale, operando anche una distinzione euristica delle categorie di «trance» e «possessione»6. Da allora numerosi sono stati gli studi volti
6 Bourguignon 1973. Per una critica vedi Lambek 1989, che mentre accoglie la definizione di Bourguignon di «possession trance» («l’associazione di un comportamento di trance con una teoria culturale che lo attribuisce alla possessione del se´ da parte di un agente esterno») nota l’arbitrarieta` dell’isolamento delle categorie di trance e possessione, la cui applicazione nomotetica e decontestualizzata rischia di reificarle e naturalizzarle (Lambek 1989: 37-38).
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a cogliere, da diverse prospettive antropologiche, gli aspetti invarianti o appartenenti alle specifiche culture del comportamento dell’individuo in stato alterato di coscienza, fino ad arrivare al recente dibattito, svoltosi principalmente su riviste come Culture, Medicine and Psychiatry e Trancultural Psychiatric Research, in relazione alla proposta di inserire nel DSM-IV la categoria di «Trance and Possession Disorder»7. Nella pratica esorcistica osservata, sebbene in diversi casi – ma non in tutti – si puo` presumere che lo stato di coscienza della persona esorcizzata muti durante il rito e a volte sia seguito da amnesia, non e` questo tratto a caratterizzare sempre la condizione rituale. Alcuni studi psicologici8 sono stati diretti ad accertare anche questo aspetto, rilevando un abbassamento del livello di coscienza «normale» nelle esorcizzate, ma esso esula dalle mie competenze e dagli scopi specifici del punto di vista qui adottato, per due ragioni: occuparsi dell’accertamento e del tipo dello stato modificato di coscienza implica spostare l’attenzione sul soggetto, mentre la mia ottica e` quella dell’attore rituale, del rapporto tra sacerdote e esorcizzata; inoltre essa e` basata sull’osservazione etnografica di uno particolare contesto in cui comunque non e` lo stato piu` o meno modificato della coscienza a costituire un elemento discriminante nella «diagnosi» di possessione o nell’assunzione del ruolo rituale. Si pensi ad esempio agli esorcismi di Lea – alla quale accennero` piu` volte – esorcizzata da anni; la sua performance rituale farebbe pensare, osservata dall’esterno, piu` ad una sorta di rappresentazione stereotipata che al comportamento di una persona in uno stato modificato di coscienza: l’interrogatorio del diavolo che la possiede sembra una schermaglia scherzosa tra l’esorcista e la donna e inoltre Lea ricorda, terminato l’esorcismo, le sensazioni provate durante il rito. Ma anche la presenza o meno dell’amnesia post-rituale non sarebbe un elemento sufficiente per distinguere il livello di coscienza precedente che puo` mutare nel corso dello stesso esorcismo e nelle diverse sedute. Vittoria – ne parlero` in seguito – ricorda che dopo le
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Cfr. ad esempio il vol. XXIX (4) 1992 di Transcultural Psychiatric Research, e il numero monografico di Transcultural Psychiatry, vol. XXXV (3) 1998. Generalmente, la possessione diabolica cattolica non e` comunque presa in considerazione. Un accenno a tale dibattito si trova anche in Talamonti 2001, dove tratto della dissociazione psichica e della possessione da una particolare angolazione. Dell’ampia bibliografia sugli stati modificati di coscienza segnalo solo i saggi (di antropologi e psichiatri) contenuti in Ward (a cura di) 1989a. 8 Cfr. Gagliardi in Rodoani-Gagliardi 1997.
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prime sedute, in cui aveva prevalentemente reazioni aggressive, cadeva in una specie di sonno incontrollabile che non le impediva pero` di sentire le parole del sacerdote. Sara, invece, ricorda solo alcune sensazione precedenti e successive al rito ma non cosa avviene per la maggior parte del tempo in cui sembra perdere coscienza. Il comportamento di Dora e` ugualmente caratterizzato da «perdita di coscienza», seguita da amnesia; nel suo caso, questi cosiddetti «svenimenti» assomigliano a quelli che sopravvengono improvvisi anche in altri momenti extra-rituali della sua vita quotidiana e che l’hanno portata a rivolgersi a vari specialisti medico-psichiatrici. Don Amorth, in riferimento a casi del genere, usa il termine «trance» oppure l’espressione «e` partita»; padre Candido mi ha parlato dello stato di sonno, o molto simile al sonno, in cui cadevano molti degli esorcizzati all’inizio del rito – confermato separatamente da un sacerdote che ha assistito ad alcuni dei suoi esorcismi. La relativa frequenza con cui si riscontrano presumibili stati modificati di coscienza non deve pero` indurre ad assegnare a questo elemento un ruolo centrale di per se´. L’eventuale individuazione puntuale dei vari stati di coscienza sembrerebbe avere come esito soprattutto una moltiplicazione e graduazione delle modalita` di comportamento individuali che poco aggiungerebbe alla constatazione della presenza di una varieta` di livelli di coscienza; la questione da porsi riguarda piuttosto la relazione tra questi ultimi e il processo rituale. De Martino intendeva chiarire proprio questo nesso quando, nell’analisi del pianto rituale, analizzava lo stato psichico della lamentatrice in azione, ricorrendo alla teoria janetiana della dissociazione e degli automatismi9. Centrale diventa allora non tanto determinare la condizione su cui il rito interviene ordinando e mediando, ma piuttosto analizzare cio` che il rito produce nella condizione psichica – la relativa dualita` della presenza – e che e` condizione della sua stessa efficacia10. La «monotona iterazione dei modelli culturali» del rito provoca l’attenuazione della «presenza di veglia» e l’induzione e il mantenimento di un «leggero stato oniroide» che sarebbe propriamente la «presenza rituale del pianto». D’altra parte la presenza di veglia non scompare del tutto, ma si restringe alla semplice funzione di guida e di regia, e ad un generico 9 10
Talamonti 2001. Cfr. Gallini 2000: XL.
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rapporto con la situazione luttuosa nel suo complesso. Viene cosı` istituito, in luogo della normale presenza unitaria di veglia, un particolare regime di relativa dualita` psichica che solo di grado differisce dalla piu` profonda dualita` delle presenze simultanee che si realizza per esempio nella prassi sciamanistica e nella seduta spiritistica, allorche´ lo sciamano o il medium entrano in rapporto con uno spirito (de Martino 2000: 80-81).
Questa dinamica psichica innescata dal rito e` rintracciabile anche nella possessione diabolica, dove l’accento e` da porre appunto sulle modalita` con cui l’esorcismo opera quello che de Martino chiama processo di destorificazione rituale, piu` che sulla distinzione tra forme di possessione riconducibili a diversi stati di coscienza e 11 dissociazione psichica . Il sopraggiungere di una sorta di sonnolenza, o trance, o svenimento, all’inizio del rito, la fine di questo stato in coincidenza col terminare delle preghiere, la capacita` di reagire appropriatamente alle azioni esorcistiche, fanno pensare che un particolare stato di coscienza sia determinato proprio dal procedimento rituale su soggetti predisposti. Un esempio puo` illustrare la messa in atto del meccanismo induttivo che, con piu` o meno evidenza, e` rintracciabile anche in altri casi. Sebbene si tratti di un’eccezione maschile rispetto alla prevalenza femminile, esso e` stato scelto perche´ si offriva all’osservazione fin dal primo esorcismo. Quando Silvio si presenta ad Amorth per la prima volta, non appena gli viene messa la stola attorno al collo, comincia a mostrare segni di insofferenza: immediatamente vuole togliersela di dosso esprimendo anche a parole il suo rifiuto (dice qualcosa del tipo: «Cos’e` questa? Levatemela!» con il tono di chi e` molto infastidito); don Amorth lo rassicura e inizia le preghiere preliminari, mentre contemporaneamente gli assistenti si mobilitano per cercare di bloccarlo. Non si arrivera` neanche a terminare le preghiere introduttive perche´ Silvio reagisce subito con una certa forza e l’esorcista si rende conto che non riusciranno a tenerlo fermo. Non dice nulla di fronte all’uomo; semplicemente interrompe il rito e lo invita a fare anche un 11 Nella mia prospettiva, non sarebbe di grande utilita` individuare – ad esempio – che la possessione di Silvio e` di tipo lucido mentre quella di Sara e` di tipo sonnambulico; d’altra parte, i casi osservati sembrano riferibili alcuni alla prima ed altri alla seconda forma. Tale distinzione, che risale alle teorie di Janet, e` utilizzata da alcuni studiosi come Oesterreich (1927), Lhermitte (1957) e anche de Martino (1993).
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colloquio con lo psichiatra. A noi, poi, dira` che ha smesso perche´ ha capito subito, in base alla sua esperienza, che sarebbe diventato furioso (o violento, non ricordo il termine esatto) e non c’erano abbastanza persone per trattenerlo. L’uomo torna immediatamente tranquillo e fa il colloquio con noi. In questa occasione sara` da notare la reazione immediata di rifiuto al contatto con l’oggetto sacro (la stola) mentre non e` possibile determinare lo stato di coscienza dell’uomo, sebbene quanto afferma durante il colloquio immediatamente successivo lasci intravedere una qualche alterazione; Silvio infatti ricorda il «fastidio» e aggiunge: «[...] io pero` nello stesso momento sono cosciente, e` quello che non riesco a capire, sono cosciente, cioe`, capisco quello che faccio. Pero`, non lo so, come se venissi manovrato, non lo so». In seguito, Silvio sara` esorcizzato per molto tempo e la forma del suo comportamento rituale via via si definira` secondo il modello stereotipato della possessione. All’interno di esso, caratterizzato dalla cosiddetta «avversione al sacro», vanno ugualmente ricondotti i problemi di deambulazione nell’avvicinarsi al luogo degli esorcismi che l’uomo comincia presto ad accusare. Eccone un esempio. Silvio zoppica. Da quando e` arrivato il suo sguardo e` come perso, sebbene sorrida, saluti, parli. Amorth arriva verso le 8.45; dopo poco, le assistenti. Silvio e` il primo della mattinata ma non entra subito; come al solito sembra che la famiglia chiacchieri tranquillamente, mentre in realta` si attende che Silvio sia pronto; non lo si forza, ma ad un certo punto la moglie lo invita a dare lui ad Amorth un pacchetto che ha in mano. Ancora Silvio non e` pronto; ad un certo punto dice con tono un po’ aggressivo qualcosa del tipo: «Che ci sto a fare, non voglio andare»; trascorso qualche altro minuto lo invitano di nuovo ad entrare. Si decide un po’ di malavoglia; il pacchetto contiene una statuina (in ferro o peltro) di San Michele Arcangelo, regalo per l’esorcista. Silvio improvvisamente esce. Nel frattempo ha perso l’espressione sorridente. Un fratello dira` poco dopo che Silvio non riesce ad avvicinarsi perche´ vede Padre Pio steso sul lettino degli esorcismi (e` implicito che lo veda anche in altre occasioni). Per Amorth e` buon segno. Tutta la famiglia esce per riportarlo dentro: lo invitano a rientrare, lo accerchiano e senza usare la forza lo spingono nella stanza piano piano. Ma Silvio comincia a fare resistenza; gli lasciano un po’ di spazio e lui torna indietro verso la porta, ma non esce; sempre senza
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parlare va a sedersi sulla poltrona. Amorth scherza: «Stai meglio lı`? Possiamo provare». Qualcuno dei familiari ha dubbi sulla possibilita` di esorcizzarlo in poltrona, date le sue reazioni aggressive. Amorth si avvicina – gli altri sono gia` tutti attorno pronti per trattenerlo – e lo asperge di acqua benedetta provocando l’immediata reazione dell’uomo: scatta con tutto il corpo sferrandogli anche un calcio che non colpisce il prete; Amorth riprova e lui ripete il tentativo; i familiari lo bloccano, ma il sacerdote decide che non si puo` continuare. Lo prendono di peso, mentre lui continua a opporre una certa resistenza, e lo stendono sul lettino alla meglio. Poi alcuni familiari dovranno cambiare posizione per distribuire meglio le forze nel bloccarlo. Oltre ad Amorth, sono dieci le persone che lo tengono fermo. Io e una collaboratrice dello psichiatra osserviamo. Un’assistente e` stata graffiata ad una mano da Silvio. Ormai l’uomo e` in un’evidente stato alterato, con occhi e bocca chiusi (la bocca e` aperta solo all’inizio). Il rito procede come al solito con unzioni, soffi, croci sul viso e sul corpo, applicazione del crocifisso su varie zone del corpo (percorrendolo fino alle caviglie), colpi sul petto. Vengono fatti l’interrogatorio (senza risposte) e la preghiera in italiano e inoltre la richiesta di intercessione di vari santi (tra cui San Benedetto, San Silvio, Santa Teresina del Bambin Gesu`, San Francesco, padre Pio e padre Candido) con relative croci sul viso. Silvio reagisce opponendo resistenza con tutto il corpo, ma e` praticamente immobilizzato: tenta movimenti del capo per quanto gli e` possibile; sputa in faccia a Amorth rispondendo al suo soffio; la sua mano destra anche oggi si muove come per graffiare il lettino. Presenta qualche leggera accentuazione nelle reazioni al nome di padre Pio, ripetuto con forza due volte. Finito il rito, esce subito. Don Amorth chiede ai familiari se l’uomo riesce a pregare a casa e ad andare in chiesa; la moglie risponde che quando lei e la figlia cominciano a pregare si fa solo il segno di croce, ma non prega. In chiesa non ci va, ma e` riuscito ad entrare nel santuario di padre Pio (sono andati in pellegrinaggio e, come mi diranno poi i familiari, Silvio ha anche fatto la comunione). Amorth chiede notizie sul male ai piedi, quando e` cominciato, in che punto della strada si manifesta. Amorth accenna ad altri che presentano lo stesso problema prima di arrivare da lui e a chi non riesce a camminare dopo la seduta ed ha bisogno di essere trasportato sulla sedia a rotelle (ormai fissa nella stanza). Rispetto al primo tentativo di esorcismo, in quelli successivi e`
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ancor piu` palese come l’apparato rituale determini un qualche tipo di modificazione dello stato di coscienza che si accompagna ad un comportamento «altro», difforme rispetto a quello ordinario ma conforme a quello dell’indemoniamento. Questo stato di sospensione o parziale assenza, dalle molte sfumature, e` dunque innescato e come costruito dal rito che ne definisce le principali modalita` di espressione convogliandole in forme stereotipate interpretabili come comportamento diabolico. L’amnesia che spesso segue l’esorcismo, indipendentemente dalle interpretazioni psicologico-psichiatriche o teologiche, puo` essere considerata un modo di circoscrivere e limitare al momento rituale le manifestazioni del male che seguono le forme previste dal linguaggio diabolico. Permettendo alla persona di non attribuirsi la responsabilita` di quanto e` avvenuto nel corso della seduta e di distanziarsene, l’amnesia qualifica la condotta tenuta come un evento separato e facilita la ritualizzazione della crisi che dovrebbe condurre al superamento del male. D’altra parte, se un mutamento piu` o meno profondo del livello di coscienza puo` favorire il processo di apprendimento inconscio o semi-conscio del ruolo di posseduta, non sempre risulta essere determinante per l’efficacia della «terapia» rituale: da un lato, la maggior parte delle persone che sembrano presentare uno stato di trance in cui reagiscono come possedute rappresenta anche i casi piu` difficili da risolvere e necessita di sedute ravvicinate per mesi o anni; dall’altro lato, persone che apparentemente non mostrano uno stato modificato di coscienza adottano ugualmente durante l’esorcismo un comportamento interpretabile come effetto di una presenza diabolica e trovano nella performance rituale un giovamento ai propri problemi, in tempi a volte anche brevi. Il cosiddetto stato modificato di coscienza delle esorcizzate e` dunque stimolato e gestito dall’apparato rituale che si avvale di molteplici strumenti atti a favorire l’apprendimento del ruolo rituale.
5. L’uscita dalla condizione rituale Nella prospettiva che considera la possessione diabolica soprattutto come rappresentazione drammatizzata di un disagio attraverso l’impersonazione di un ruolo, gli elementi che realizzano la fine della seduta sono altrettanto fondamentali di quelli che la inaugurano,
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essendo la limitazione dello spazio e del tempo della messa in scena un tratto caratterizzante la performance rituale come tale. Prima di procedere all’analisi dettagliata degli strumenti e delle modalita` di costruzione del ruolo diabolico, esaminero` dunque come avviene l’uscita dalla condizione rituale. Le componenti che segnano la conclusione del rito e portano a compimento nella singola seduta il processo simbolico di sdoppiamento dall’essere possessore, sono di vario tipo. Sempre, comunque, in qualche modo ritualizzate perche´ le si ritrova per ogni caso trattato, anche se l’atteggiamento dell’esorcista puo` variare a seconda della persona che ha di fronte. Questi elementi sono: l’aspersione con acqua benedetta, il farne bere all’esorcizzata, le preghiere conclusive, il cambiamento di comportamento del sacerdote nei confronti del soggetto. Un ulteriore gesto dell’esorcista, gli schiaffetti che da` sulla fronte, potrebbe essere inserito in questa serie, con alcune precisazioni12. Innanzitutto, non sempre vi si ricorre; inoltre lo si osserva, a volte, anche nel corso dell’esorcismo, non solo nella fase finale. Il ricorso differenziato a questa tecnica a seconda dei soggetti sembra rimandare alla necessita` di sollecitarne la «presenza» laddove il sacerdote avverta una qualche modificazione dello stato di coscienza pregiudizievole alla riuscita dell’esorcismo. In quest’ipotesi e` implicito che, perche´ l’esorcismo funzioni, la persona debba rimanere «presente» in modo da rispondere alle sollecitazioni rituali. Se, su un piano generale, la collaborazione dell’esorcizzata e` fondamentale per il conseguimento della liberazione, nella seduta esorcistica le si richiede pure una forma di partecipazione che non puo` prescindere da una soglia minima di attenzione che permetta, a livello conscio o inconscio, di elaborare risposte comportamentali consone al contesto. Utilizzati alla fine del rito, gli schiaffetti avrebbero la funzione di far cessare lo stato di «alterazione» rituale orientando, insieme ad altri strumenti simbolici, verso il ritorno ad uno stato ordinario. Confermano questa interpretazione le affermazioni di un sacerdote che in passato ha partecipato agli esorcismi di padre Candido Amantini: ai suoi schiaffi gli esorcizzati, soprattutto bambini, immediatamente uscivano da quella sorta di trance in cui sembravano caduti durante il rito. Formalmente l’esorcismo finisce con un’altra aspersione di acqua 12
Sebbene questi «schiaffetti» evochino quelli dati dal vescovo al candidato alla Cresima, qui mi sembra piu` rilevante sottolinearne la funzione interna all’esorcismo.
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benedetta sull’esorcizzata. Operazione simmetrica a quella iniziale ma con la differenza che ora e` compiuta solo sulla donna. Proprio l’incentrarsi dell’azione sul soggetto del rito suggerisce che ora non si tratta piu` soltanto di una forma di benedizione protettiva – di cui gli altri presenti possono fare a meno –, ma di uno strumento diretto a segnare la fine del particolare stato rituale di possessione. Se infatti l’esorcizzata mostra di non esserne ancora uscita, per esempio continua ad agitarsi, l’aspersione puo` essere ripetuta. A cominciare da questo momento l’esorcista dimostra un atteggiamento non piu` autoritario e aggressivo, ma paterno, consolatorio, affettuoso, scherzoso. Finito di impersonare il ruolo di esorcista come previsto dal rito, assume quello piu` generico di prete che consola, sdrammatizza, consiglia. Ovviamente non si puo` ritenere che si verifichi in lui una vera e propria scissione tra i due ruoli: la funzione di esorcista e` quella che comunque lo caratterizza nello specifico contesto, e come esorcista egli si accerta che si seguano le prescrizioni extra-rituali o esprime il suo giudizio sulla diabolicita` o meno del comportamento del soggetto. Cio` che intendo sottolineare e` che il cambiamento di atteggiamento indica l’abbandono del ruolo codificato, rituale, richiesto dalla cerimonia, a favore di un ruolo meno standardizzato. Se per l’esorcizzata l’intero esorcismo funziona come apprendimento di un ruolo rituale, e` innanzitutto perche´ nella rappresentazione il celebrante del rito, che funge da iniziatore, rappresenta a sua volta il ruolo opposto e complementare di agente ispirato da Dio. Essendo la persona che conduce il rito e che consapevolmente e istituzionalmente rappresenta il suo ruolo, l’esorcista ne segnala la fine passando ad un comportamento piu` informale, oltre che con alcuni gesti liturgici. L’uscita dal ruolo di posseduta deve avvenire anche per l’esorcizzata. A tal fine e` dunque trattata non piu` come indemoniata, ma come una persona sofferente che ha bisogno di cure13 e/o rassicurazioni. Cosı` anche il tipo di relazione tra esorcista e esorcizzata si modifica riacquistando caratteri piu` profani. Spesso all’insegna dello scherzo, per provocare verosimilmente anche un calo di tensione, si svolge la penultima operazione rituale, che non e` prevista dal Rituale Romano, ma rientra sotto varie forme 13
Per cure si intendono rimedi spirituali come preghiere, sacramenti... o ingestione di acqua, olio, sale esorcizzati. Nel caso l’esorcista non ritenga si tratti di intervento demoniaco ma di malattia, psichica per esempio, le cure saranno quelle mediche che il soggetto ricevera` dallo specialista competente.
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tra le pratiche popolari di protezione e cura del male. Mi riferisco all’atto di bere dell’acqua benedetta da un bicchiere preparato dall’assistente. In genere l’esorcizzata, dietro invito del sacerdote, beve l’acqua da sola; nel caso la si ritenga incapace di farlo autonomamente, e` l’esorcista o la sua aiutante che la fa sorseggiare. In che modo cio` contribuisce a produrre l’uscita dalla condizione ` il primo atto che si richiede alla donna di compiere in rituale? E prima persona. Mentre prima essa rimaneva oggetto delle manipolazioni fisiche e simboliche del sacerdote, ora deve assumere il compito di agire su se stessa dimostrando di non essere piu` – almeno ritualmente – in possesso o sotto l’influenza del diavolo. Come si sa, egli teme il contatto con l’acqua benedetta e reagisce rifiutandolo. Accettare di berla, anche se a volte con difficolta`, significa per l’esorcizzata e per l’esorcista, la capacita` di controllare la presenza diabolica o di agire contro di essa. Seguendo la tesi interpretativa dell’apprendimento rituale del ruolo di posseduta, il gesto offre la possibilita` di mostrarsi capaci di uscire dal ruolo. Nei casi in cui l’esorcizzata non e` in grado di bere da sola perche´ non si e` ancora compiuto lo sdoppiamento, la si aiuta; se appare in difficolta` e non riesce a ingoiare tutta l’acqua in breve tempo, la si minaccia in modo scherzoso. «Lasciane un pochino per me», dice l’esorcista, intendendo che l’acqua non bevuta le sara` gettata addosso. E cio` sara` fatto se la persona non arriva fino in fondo. Non riuscire a bere indica che non si e` pienamente realizzato, nel singolo rito, il distacco dell’individuo dal suo ruolo e questo comporta un nuovo attacco all’essere possessore, sotto forma di acqua benedetta versata sulla parte superiore del corpo con gesto violento. Si minaccia quindi di ricominciare; l’esorcizzata, a volte esausta, non lo desidera di certo. Nell’apprendimento progressivo del ruolo rituale imparera` a interpretare il gesto di bere l’acqua benedetta come segno della fine della possessione ritualizzata. In ogni caso, nello svolgimento della singola seduta, esso sembra indicare simbolicamente la fine dell’impersonazione rituale e la restituzione della persona a se stessa. Lo stesso si puo` dire delle preghiere finali. Il soggetto, nella maggior parte dei casi alzatosi in piedi come gli altri partecipanti, e` invitato a recitarle insieme. L’abbandono della posizione rituale, segnando la fine del rito, segna anche il distacco dal ruolo impersonato. In posizione eretta come gli altri e unendosi alla recitazione corale, la persona e` reintegrata nell’insieme dei credenti. Spinta a partecipare in modo attivo, ritorna soggetto delle proprie azioni. Questo fine, che in genere non si
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raggiunge pienamente con un solo esorcismo, e` comunque gia` simbolicamente rappresentato nelle ultime azioni rituali che operando il passaggio dalla condizione rituale di posseduta la reimmettono gradualmente nella condizione profana. Sia il contenuto che lo stile dei brevi colloqui che seguono, realizzano, nel contesto ancora rituale, tale passaggio. Chiedere il giudizio dell’esorcista, esprimere la propria preoccupazione, domandare la benedizione di oggetti di uso quotidiano o riprenderli dal tavolo, comunicare il proposito di andare in pellegrinaggio, parlare dei familiari, mostrarne le foto (ed eventualmente chiederne la benedizione), chiedere l’approvazione di una propria condotta o pratica, sono modi in cui la donna si premunisce di mezzi per affrontare di nuovo la vita «normale». L’esorcista, a sua volta, esprimendo la sua diagnosi, dando consigli, informandosi sulla condotta cristiana del soggetto, rassicurandolo, abbracciandolo, assicurandosi che vengano seguite le sue prescrizioni, lo riconduce a una dimensione quotidiana. Il tono piu` rilassato, scherzoso o affettuoso che il sacerdote ora usa, gia` introdotto in parte nelle ultime operazioni rituali, contrasta con la serieta` e la concentrazione dell’esorcismo vero e proprio. La stessa esorcizzata, stanca, confusa o perplessa, che prima si comportava da indemoniata, adesso si esprime semplicemente come una persona sofferente14. Secondo il male di cui soffre, secondo il tipo di influenza diabolica di cui e` vittima e secondo il numero di esorcismi a cui e` stata sottoposta, essa uscira` dall’esorcismo piu` o meno abbattuta, o sollevata o «liberata», ma avra` comunque avuto modo di apprendere ad esprimere secondo un codice condiviso il suo male-malessere, la sua parte «diabolica». Gia` questa prima ricostruzione dell’esorcismo – che sara` completata dal successivo esame delle modalita` specifiche che producono l’assunzione del ruolo di posseduta – permette di leggere anche la singola sequenza rituale come un movimento orientato, in una prima fase alla produzione dell’essere diabolico e successivamente al suo addomesticamento e eliminazione. Se consideriamo i principali attori – esorcista e esorcizzata – di questo processo di costruzione della possessione ritualizzata, vediamo che nello svolgimento del rito si strutturano in successione una serie di coppie di opposizioni: 14
Il rientro nella quotidianita` e` segnato, per chi si era cambiata d’abito o si era tolta la bigiotteria, anche dall’atto di riprendere l’aspetto precedente.
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persona sofferente/sacerdote: messa in condizione rituale posseduta/esorcista diavolo/Dio posseduta/esorcista persona sofferente/sacerdote: uscita dalla condizione rituale
Rispetto alla coppia diavolo/Dio in posizione centrale, le altre coppie si oppongono simmetricamente mostrando come al processo di produzione dell’essere diabolico nella prima fase corrisponda nella seconda il processo inverso; questo, portando alla sua conclusione l’impersonazione rituale, prefigura anche in senso piu` generale la fine della possessione. Ogni volta si riprodurrebbe un’«identificazione» progressiva dell’esorcizzata con il diavolo, e poi il movimento contrario di «separazione» del soggetto dal ruolo diabolico. Il fine del rituale sarebbe la liberazione, che possiamo definire come la restituzione della salute fisica, psichica, spirituale, vale a dire la ripresa di una vita normale precedentemente disturbata o impedita da fattori di vario genere. Attualmente non sembra che un singolo esorcismo possa conseguire tale risultato, pur presentando gia` un’organizzazione strutturale e simbolica in grado di proporre un’interpretazione in termini diabolici e una soluzione in termini di liberazione. ` nella ripetizione delle sedute rituali che il processo di produzioneE identificazione con l’essere diabolico e successiva disgiunzione si realizza pienamente. Si trattera` allora di vedere se lo schema presentato, proiettato nel tempo degli esorcismi ripetuti, manterra` una validita` analitica e come eventualmente la dimensione temporale confermi o smentisca l’ipotesi iniziale. Bisogna comunque precisare che tale schema e` solo una proposta di lettura del rito. La scomposizione in fasi e la costituzione delle coppie di figure opposte non corrisponde a momenti e ruoli sempre immediatamente e puntualmente distinguibili nell’esorcismo. Quando i passaggi individuati si verificano cio` avviene in maniera alquanto sfumata. Inoltre essi non sono necessariamente percepiti come tali dagli attori del rito. Se l’ideologia esorcistica che contrappone le due entita` soprannaturali e ne rappresenta la lotta metafisica sulla terra con uno specifico
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rito, giustifica in parte il ricorso a tale tipo di ordinamento dei dati osservati nella seduta rituale, esso resta peraltro un tentativo di superare le categorie interpretative ben differenti fatte proprie dagli specialisti del rito e dai richiedenti. Pur partendo da queste, lo scopo e` rintracciare la logica e l’efficacia simbolica dell’esorcismo che non operano per lo piu` a livello di consapevolezza. Il problema che si pone in questo caso specifico e` di portata molto piu` vasta e investe tutta la questione della spiegazione-interpretazione antropologica delle pratiche simboliche15. Se il punto di partenza e` la ricostituzione della logica dal punto di vista «indigeno», il passo successivo dell’interpretazione antropologica consiste nel rintracciare le categorie sensibili, quelle culturali e soprattutto le loro relazioni. Trattandosi qui di una pratica cristiana, il distacco dalle categorie indigene diventa distacco dalle categorie interpretative ufficiali fornite dalla teologia, che puo` ben essere considerata la teoria indigena del cristianesimo16. A tale teoria, del tutto o parzialmente, aderiscono o sono indotti ad aderire anche gli altri protagonisti del rito, esorcizzati e familiari o accompagnatori. Inoltre, difficilmente per questi e` chiaro il funzionamento di tutto il sistema simbolico in cui la pratica e` inserita17. Claudine Fabre-Vassas e Daniel Fabre puntualizzano bene il problema inquadrandolo nell’analisi critica che fanno dell’etnologia del simbolico in Francia. Minimizzando l’importanza dell’assegnazione di un senso a una pratica simbolica, sottolineano il valore dell’assunzione (teorica e metodologica) per la quale l’oggetto stesso della ricerca e` la rete delle relazioni in seno alle quali tale atto acquista senso, poiche´ e` questo insieme aperto che giustifica i modi di dire, di fare, le credenze e i saperi che lo costituiscono. Questo ordine e` inesprimibile dai suoi attori – «si fa cosı`, e` la tradizione» – ma permette loro allo stesso tempo di comprendere e prendere posizione rispetto agli avvenimenti, anche i piu` strani, di produrre degli atti e dei commenti adeguati, vale a dire dotati di senso, di verificare la loro 15
Cfr. i saggi contenuti nella sezione «Par symbolisme interpose´: un dialogue des disciplines», in Segalen (1989); in particolare M. Abraham e N. Belmont. Vedi inoltre Fabre (1989), Charuty (1992) e Albert (1990a). 16 Riprendo l’espressione da Albert J. P., che l’ha utilizzata nelle lezioni seminariali al Centre d’Anthropologie des Socie´te´s Rurales di Toulouse. Per un’analisi strutturale di alcuni aspetti della religione cristiana cfr. Albert (1990a e 1999b). 17 Cio` non significa che l’analisi antropologica debba alla fine ricercare un senso nascosto, profondo, secondo il procedimento psicoanalitico. Cfr. Leach (1980: 321-361); Fabre (1989) e Charuty (1992).
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efficacia. Analizzare, costruire questi oggetti che restituiscono la logica degli attori nell’ordine delle pratiche e delle rappresentazioni sul mondo naturale, spirituale e sociale, richiede dunque il passaggio a un modo di pensiero relazionale e conduce ad attraversare senza sosta le categorie elaborate che servono a classificare e comprendere il mondo e la vita sociale (Fabre-Vassas & Fabre 1987: 131-132; cfr. Claverie 1987: 139-149).
In conclusione, lo schema proposto risulta da una scomposizione analitica dell’esorcismo incentrata soprattutto sulle relazioni tra comportamenti e azioni dei protagonisti considerati nella prospettiva dell’ipotesi iniziale. Tale schema ha quindi il valore di una possibile griglia interpretativa ad un primo livello d’analisi, da integrare con l’esame di altri aspetti del rituale e delle relative credenze.
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Con quali strumenti e modalita` il dispositivo simbolico esorcistico produce la figura della posseduta, cioe` l’impersonazione del ruolo diabolico che l’analisi precedente ha collocato nella fase centrale della sequenza rituale? Comincero` ora ad esaminarli in relazione sia al loro ambito di riferimento liturgico sia alla loro specifica funzione nel processo rituale, partendo dagli atti e dalle parole.
1. Gli atti 1.1 L’imposizione della stola Itaque Sacerdos, sive alius Exorcista, rite confessus, aut saltem corde peccata sua detestans, peracto, si commode fieri potest, SS. Missae sacrificio, divinoque auxilio piis precibus implorato, superpelliceo et stola violacea, cujius extrema pars ab ossessi collum circumponatur, indutus, et coram se habens obsessum ligatum, si fuerit periculum, eum, se, et astantes communiat signo crucis... (Rituale Romano). 1 Si tratta del primo gesto strettamente esorcistico . Mentre un lembo della stola rimane intorno al collo dell’esorcista, l’altro viene fatto passare intorno a quello della posseduta e lasciato ricadere sul suo petto. Con tale gesto, in uno stesso movimento, si uniscono i due principali attori del rito in un rapporto
1
Esso non compare piu` nella versione riformata, sebbene si dica che l’esorcista debba indossare la stola violacea.
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privilegiato, separandoli dagli altri presenti. Si delimita ulteriormente il campo d’intervento esorcistico restringendolo a posseduta ed esorcista e, piu` in particolare, ai loro corpi legati dalla stola in un rapporto fisico, estremamente ravvicinato e circoscritto. Anche se in vario modo, e secondo le circostanze, gli assistenti dell’esorcista e l’accompagnatore della posseduta possono avere un contatto fisico con quest’ultima, la pericolosita` dell’operazione ricade sul sacerdote che si assume il ruolo di unirsi simbolicamente alla paziente col rischio non solo del contatto con forze negative, ma di una sorta di scambio. La stola che li unisce non puo` anche significare la possibilita` di un passaggio nei due sensi delle contrapposte forze soprannaturali? D’altra parte, cio` e` avvenuto in alcuni casi storici; si pensi a Jeanne des Anges e all’esorcista Surin (De Certeau 1980). Cosı` si preannuncia o inizia la lotta corpo a corpo e si costituisce la coppia posseduta/esorcista. L’imposizione della stola sulle spalle della persona che si sottopone ad esorcismo e` un atto introdotto dopo il X secolo (Righetti 1959: 542; Leclercq 1907b: 673-676); prescritto dal Rituale, se ne specifica il colore: viola. La considerazione delle altre occasioni in cui la Chiesa prevede l’impiego della stola viola suggerisce gia` ad un primo sguardo l’accostamento dell’esorcismo ad altri specifici riti o periodi liturgici caratterizzati da alcuni tratti distintivi. Sappiamo che il sacerdote la indossa nel periodo quaresimale, nella somministrazione dell’unzione a malati e moribondi, nei funerali; dunque la veste liturgica viola indica la penitenza, l’espiazione dei peccati in preparazione della Pasqua o della morte, e quindi il lutto. Inoltre, nella vecchia liturgia battesimale, essa si trova associata alla fase esorcistica che precede il battesimo vero e proprio con l’unzione del sacro Crisma; il celebrante ha infatti la stola viola, e la impone al battezzando, soltanto in questa prima parte del rito per poi sostituirla con quella di colore bianco (Collectium Rituum 1956: 15-28). Appare qui in maniera evidente la relazione tra la stola viola e il mondo non cristiano, e quindi potenzialmente diabolico, a cui il candidato e` sottratto. D’altra parte anche nel caso dell’estrema unzione si tratta di governare un passaggio, questa volta nell’aldila`, che espone l’anima del cristiano al pericolo di un destino infernale. Penitenza, malattia fisica e spirituale, pericolosita` dei momenti di passaggio in cui l’individuo e` a contatto con forze diaboliche, sono tutti tratti che si ritrovano nel sacramentale dell’esorcismo per gli indemoniati. Il solo impiego della stola viola colloca gia` quest’ultimo rito tra quelli
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destinati a gestire il rapporto con la sofferenza e il Male2. Su di un piano piu` specifico, l’impiego effettivo della stola unisce i due principali protagonisti del rito in un rapporto circoscritto e privilegiato che delimita il campo in cui si affrontano le due forze contrapposte. Strumento simbolico che lega, costituisce la coppia rituale, la stola appare anche il supporto concreto della rappresentazione del passaggio del potere esorcistico sull’esorcizzata. Un suo impiego particolare la qualifica effettivamente come veicolo della forza divina e mediatrice del contatto con il corpo posseduto. Quando l’esorcista esercita pressioni sulle parti del corpo della persona ritenute nel caso specifico particolarmente soggette all’influenza diabolica, in genere quelle in cui si manifesta il dolore o il fastidio, la stola viene sempre interposta tra la sua mano e il corpo. In questa operazione sono individuabili due aspetti complementari della funzione mediatrice dell’oggetto: da una parte la stola, antidemoniaca perche´ simbolo sacerdotale e del potere della Chiesa, garantisce l’efficacia dell’attacco esorcistico alla sede del male mediando la trasmissione della forza divina; dall’altra, la sua interposizione tra i due corpi – che oltre a contrapporsi perche´ incarnano due entita` antagoniste sono quasi sempre di sesso differente – appare l’elemento mediatore che qualifica come lecito e sacro il «toccare» del sacerdote fornendogli una sorta di garanzia e protezione nel contatto con l’altro diabolico e femminile. In questo senso la stola separa tanto quanto unisce e collega: negli atti piu` ravvicinati e materialmente aggressivi dell’azione esorcistica essa divide i corpi dei due attori e mantiene distinti i rispettivi ruoli. In ogni caso, non sono le pressioni l’unico atto in cui il contatto tra sacerdote ed esorcizzata e` mediato da un elemento carico di sacralita`: nell’unzione e` l’olio che viene interposto tra mano dell’uno e parti del corpo dell’altra. Solo nell’imposizione delle mani sul capo non sembra necessario il ricorso ad un agente supplementare, forse a causa della polivalenza dell’atto e della non equivocabilita` del contatto esercitato su una zona «nobile» del corpo umano. L’atto esorcistico che don Amorth compie spingendo o colpendo alcune zone del corpo del soggetto, considerato poc’anzi solo in rapporto all’uso della stola, deve ora essere esaminato autonomamente nella sua principale valenza e nelle implicazioni simboliche. 2
Il rapporto tra esorcismo e altri riti come battesimo ed estrema unzione e` sviluppato in un paragrafo successivo.
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Appena entrata nella stanza degli esorcismi Lea saluta e si siede nel posto previsto. L’esorcista le chiede come sta e lei: «Oggi non va bene», dice toccandosi la pancia. L’esorcista: «La pancia? Ne facciamo polpette della sua pancia!». Tra i due c’e` una certa familiarita`: la donna e` esorcizzata da anni. Dall’inizio dell’esorcismo e per tutta la sua durata, emette a intermittenza suoni cupi e gutturali, e lamenti; a volte sbuffa. Muove la testa da destra a sinistra con un ritmo abbastanza lento e regolare; gli occhi sono chiusi. Verso la fine fa qualche risata bassa e cupa, a bocca aperta. L’esorcista esercita pressioni piuttosto forti sulla pancia; da` anche pugni, sempre interponendo la stola tra mano e ventre di Lea, la quale sembra lanciare alcune grida in reazioni a tali pressioni. Finito l’esorcismo il sacerdote le chiede come si sente; Lea afferma di stare meglio; su invito del prete si tocca la pancia e dice di non sentire piu` dolore. «Vede?» – commenta l’esorcista – «Piu` io spingo e lei sente male durante la benedizione, meglio sta dopo». Anche al termine di un successivo esorcismo Lea esprime, questa volta non sollecitata, il sollievo: «Sapesse come stavo! Che dolori alla pancia avevo!». L’esorcista: «Adesso va meglio, eh?». «Sı`» – risponde Lea, e rivolta a me – «Un male! La sento come punta da tanti spilli». Secondo l’esorcista, i sintomi caratteristici che Lea presenta sono mal di stomaco-pancia e mal di testa, che diminuiscono dopo l’esorcismo; a volte la donna si presenterebbe piegata in due per il dolore, mentre esce dall’esorcismo molto sollevata. Sente male quando l’esorcista le preme sul ventre, anche se egli afferma di non spingere molto forte; sarebbero le esorcizzate ad avvertire la pressione come molto forte e, a volte – e` il caso di Lea – desidererebbero che egli prema con forza perche´ staranno meglio dopo. Nora, nel corso dell’esorcismo, emette qualche breve grido o lamento soprattutto quando il sacerdote le preme sullo stomaco. Alla fine le viene chiesto se provava dolore in quel punto e Nora risponde: «Sı`, sı`, ma che aveva un pugnale?». L’esorcista: «E adesso? Prema sullo stesso punto. Le fa male?». Nora: «No, ora no». L’esorcista: «Piu` le faccio male prima, meglio sta dopo». E sorride. Anche Giovanna e` sottoposta allo stesso tipo di pressioni su pancia e stomaco. Al primo esorcismo della donna a cui partecipo Giovanna cerca di togliere la mano dell’esorcista, subito bloccata da questi e dall’assistente. In un successivo esorcismo, in cui appare
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complessivamente piu` calma, si lamenta molto quando il sacerdote pigia piuttosto forte sulla pancia; per due volte gli indica anche quale punto del ventre deve toccare, alla sua destra, come infastidita dell’imprecisione dell’intervento. Appena finito l’esorcismo di Luisa, che e` ancora seduta in poltrona, don Amorth le dice di spingere dove lui aveva poco prima premuto, chiedendo se le fa male; la donna risponde di no. L’esorcista domanda anche come va la gola, ricordandole che non l’ha toccata e che le ha «torturato» solo la pancia. Luisa gli aveva detto di avere dei fastidi alla gola, pregandolo di non intervenire su quella parte del corpo; anche adesso, toccandosela, esprime con il viso un certo fastidio e dice che e` un po’ secca. L’esorcista, allora, cogliendola di sorpresa, ricomincia un piu` breve esorcismo ponendole la stola sulla gola e premendo con la mano. Cio` provoca nella donna una reazione di opposizione, sia pure non molto accentuata rispetto al comportamento che generalmente tiene durante il rito, con tentativo di resistenza e lamenti. Monica, appena entrata, comincia subito a parlare: il sacerdote che la segue le ha consigliato di tornare da don Amorth perche´ sospetta in lei qualche «presenza» negativa; accenna al fatto di essere gia` stata esorcizzata da lui in passato. Un po’ brusco l’esorcista la fa smettere di parlare dicendo che lui «sente con le mani», e inizia le preghiere. Durante l’esorcismo la donna lancia qualche breve urlo, non si agita molto. Secondo l’esorcista non c’e` da preoccuparsi, forse si tratta di qualche leggera influenza negativa e chiede se Monica si era gia` recata in precedenza da lui. Monica ripete che aveva ricevuto due benedizioni tempo fa, nel periodo della sua gravidanza, e insiste nel dire che il sacerdote a cui fa riferimento ipotizza una presenza malefica all’origine del suo star male (di natura imprecisata): «Lei non ci trova niente?». L’esorcista la rassicura ma lei: «Allora come spiega gli urletti e questo fastidio...?», dice toccandosi lo stomaco. Don Amorth spiega di aver sentito solo sussulti del diaframma (sottintende: normali) e ripete che potrebbe esserci qualche influenza ma non presenza demoniaca; taglia corto alle insistenze della donna consigliando preghiere e di rivolgersi ad uno dei numerosi gruppi del Rinnovamento Carismatico che fanno preghiere di liberazione. I caratteri che esplicitamente si attribuiscono all’impiego delle
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pressioni sono di due tipi: esorcistico-curativo quando una forma di possessione e` gia` stata accertata nelle sedute precedenti; diagnostico se l’individuo si sottopone al rito per la prima volta (o dopo molto tempo). Nel secondo caso il gesto, esplorativo ma riguardante in genere la zona dell’epigastrio, non e` fatto con molta forza ne´ con insistenza se la donna non vi reagisce in modo particolare. Alla prima seduta, comunque, don Amorth e` abbastanza cauto, preferisce ricorrere ad un esorcismo ridotto3, e se sospetta qualcosa attende di rivedere nuovamente la consultante anche per conoscerne le eventuali reazioni extra-rituali. Certo, le indicazioni dell’esorcizzata prima del rito, se ci sono state, possono indirizzarlo al trattamento di una specifica zona del corpo, ma, come si e` visto nel caso di Monica, perche´ si abbia una diagnosi di possessione il sacerdote deve riscontrare «qualcosa» di piu` dei naturali sussulti del diaframma. Che cosa l’esorcista «sente con le mani»? I tremolii, come lui li ha chiamati rispondendo ad una mia domanda in proposito, senza specificare altro, se non che la diagnosi puo` essere lunga e che il suo sentire con le mani e` comunque secondario rispetto all’osservazione della posizione degli occhi dell’esorcizzata4. La funzione diagnostica delle pressioni ha un’importanza minore degli altri elementi della procedura esorcistica ed e` soltanto in relazione ad essi che acquista valore. Invece, una volta che la presenza malefica e` data per certa, le pressioni con applicazione della stola diventano un vero e proprio mezzo esorcistico-terapeutico che, da una parte mantiene un certo valore diagnostico nell’individuazione della specifica zona colpita, dall’altra agisce contemporaneamente da antidemoniaco. Quest’ultima funzione, soprattutto quando le pressioni diventano dei veri e propri colpi che l’esorcista da` con la mano chiusa a pugno o di taglio, richiamano alla mente procedure esorcistiche popolari: le botte che le possedute ricevevano dagli esorcisti laici nel santuario friulano di Clauzetto perche´ avvenisse l’espulsione del maleficio e del demone (Franzolin 1879; Ceschia e Cozzi 1987); i colpi che i «capurali» siciliani menavano sul ventre delle «spiritate» (Pitre` 1980, 3
«Qualche preghiera introduttiva e uno dei tre esorcismi; in genere scelgo il primo, che da` anche l’opportunita` della sacra unzione [...]. Il demonio cerca di nascondersi, di non essere scoperto, per non essere cacciato via. Per cui puo` accadere che le prime volte manifesti poco o nulla della sua presenza. Ma poi la forza degli esorcismi lo costringe ad uscire allo scoperto» (Amorth, 1991: 66). 4 Trattero` questo elemento nelle pagine successive.
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v. IV: 44) e quelli inferti piu` di recente sul ventre delle possedute a Fanzolo, cui accenna Bonin (s.d.). Questo particolare mezzo esorcistico sembra appartenere piu` a tecniche magiche popolari che a quelle propriamente ortodosse della Chiesa, e comunque indica un sincretismo tra le due che si ritrova anche nella procedura siciliana: i «capurali», infatti, ad ogni colpo dato invocavano il nome di un santo protettore. Quest’ultimo elemento, proveniente dalla religiosita` ufficiale, lo si ritrova – come si vedra` – anche nella pratica di don Amorth, seppure non in connessione con i colpi ma con i segni di croce. L’atto materiale e quello verbale dell’invocazione, qui disgiunti, nella tecnica siciliana erano uniti a significare la forza dell’esorcismo. Don Amorth accenna alle pressioni parlando dei mali stabili o passeggeri – che a volte si manifestano solo nel corso dell’esorcismo – che il diavolo causa alla salute: «Il Rituale suggerisce di farvi sopra il segno della croce e aspergere con l’acqua benedetta. Molte volte ho visto l’efficacia anche solo di porvi la stola sopra e premere con una mano» (Amorth 1991: 69-70). L’efficacia di cui si parla e`, dal punto di vista dell’esorcista e delle esorcizzate, quella di cui ha voluto darmi prova chiedendo a varie persone, dopo il rito, se sentivano male spingendo negli stessi punti che egli aveva trattato con pressioni provocando dolore e grida; tutte hanno risposto negativamente5. Ragionando nei termini di categorie diagnostico-terapeutiche, l’atto non differisce nella sua funzione dagli altri interventi esorcistici: va ad agire con una particolare forza sul corpo della posseduta, ma sempre per provocare la manifestazione del diavolo in modo da cacciarlo via. Se invece lo si considera nell’ipotesi della produzione rituale della possessione, esso diventa un ulteriore strumento di cui l’esorcista dispone per offrire all’esorcizzata, attaccata fisicamente con una certa violenza, la possibilita` di rappresentare in maniera ancora piu` drammatica il suo ruolo. Nello stesso tempo, dal momento che ad essere colpito e` l’essere possessore, le pressioni non solo sono giustificate, ma possono diventare un mezzo efficace, a volte necessario, per alleviare – seppure temporaneamente – il male che si ritiene il diavolo provochi in certe specifiche parti del corpo. Se ci si distanzia dall’ideologia condivisa dagli attori del rito secondo la quale cio` che il diavolo soffre per il tramite del corpo del soggetto 5
La conferma – come poi mi ha detto – che il male non si avvertiva piu` era destinata a me, dal momento che lui era gia` certo degli effetti.
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durante il rito sara` altrettanto sollievo per il soggetto dopo l’esorcismo, appare chiaro che e` proprio la costruzione rituale di un corpo diabolicizzato che permette successivamente e progressivamente di avvertire come miglioramenti le differenze riscontrate in ambito extra-rituale, una volta che si e` appreso il codice con cui esprimere il proprio male. D’altra parte quando Sara6 o Giovanna – esorcizzata per anni prima da padre Candido e poi da don Amorth – pur lamentandosi delle pressioni del sacerdote gli indicano il punto preciso in cui agire, non siamo di fronte ad un esempio evidente di collaborazione tra i due protagonisti per la buona riuscita della rappresentazione? La prova, allora, che l’esorcista intendeva darmi diventa la conferma non tanto dell’efficacia del trattamento per pressioni, quanto della riuscita dell’impersonazione del ruolo di posseduta da cui l’efficacia complessiva del rito dipende. In quest’ottica non e` irrilevante il fatto che non sia stato lo stesso esorcista a ripetere le pressioni ad esorcismo terminato, ma abbia chiesto ai soggetti di farlo da soli. Un suo nuovo intervento avrebbe di nuovo innescato nell’esorcizzata il meccanismo di identificazione in posseduta che ha la sua controparte nella figura e nell’azione dell’esorcista. Anche se la parte sottoposta a pressioni fosse dolente prima dell’esorcismo, e` la manipolazione rituale da parte di don Amorth che la rende significativa, la valorizza, e un semplice, leggero tocco del soggetto non solo non puo` provocare un gran male, ma e` carente di quelli attributi – alterita` e sacralita` – che danno senso al gesto esorcistico. Un ultimo tipo di pressione deve essere analizzata. Ad essa l’esorcista ha fatto ricorso una sola volta in mia presenza. La situazione era un po’ particolare, ma non in rapporto alla donna esorcizzata, bensı` al fatto che mi era stato richiesto di partecipare attivamente all’esorcismo mettendomi a fianco delle possedute e intervenendo qualora ci fosse stato bisogno di trattenerle. In un caso, mentre cercavo di fermare il braccio di Simona che voleva togliere la mano dell’esorcista dal suo stomaco, questi, vedendo che la donna tentava di sottrarsi alla presa, interrompe l’esorcismo per spiegarmi una tecnica che generalmente funziona. A volte – dice mostrandomi il gesto – premendo leggermente con pollice e indice (rispettivamente sotto e sopra) al centro del palmo della mano delle esorcizzate, esse perdono forza. Da cosa dipende l’efficacia del gesto don Amorth 6
Vedi, ad esempio, la descrizione dell’esorcismo all’inizio del cap. I (parte I).
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sembra non saperlo e, ad ogni modo, non lo spiega. Un’ipotesi esplicativa potrebbe essere legata alla parte del corpo – il palmo – in cui si interviene; essa corrisponde, almeno nelle rappresentazioni iconografiche, al punto delle mani in cui a Gesu` vengono conficcati i chiodi che lo crocifiggono. L’identificazione del soggetto al Cristo sulla croce – come quella al Cristo sofferente operata tramite altri gesti di cui parlero` piu` avanti – appare essere l’operazione simbolica che priva di forze il diavolo, lo «uccide», riproducendo l’atto mitico antidiabolico per eccellenza del Salvatore. Giocando sull’ambivalenza rituale del corpo, che e` della posseduta ma anche del diavolo che ne ha preso possesso, con questo tipo di pressione si «crocifigge» il corpo reale della donna che, assimilato a quello di Gesu`, riscatta con la sofferenza e la morte simbolica il male diabolico; dall’altra parte, attraverso il corpo diabolico che essa e`, ad essere crocifisso e sconfitto e` il diavolo stesso.
1.2 L’imposizione della mano e l’apertura degli occhi Sia nella versione latina del rito che in quella piu` recente tradotta in italiano si da` indicazione di imporre la mano destra dopo le preghiere iniziali e la lettura dei passi evangelici. Negli esorcismi di don Amorth, tuttavia, l’imposizione della mano sul capo e` in genere il secondo gesto del sacerdote – dopo aver posto la stola sulle spalle dell’esorcizzanda – e viene ripetuto piu` volte nel corso del rito. Daniela si presenta per la prima volta all’esorcismo con la sorella piu` anziana e la figlia di circa dieci anni, che sara` allontanata subito perche´ spaventata dalle reazioni della madre. Inizialmente il sacerdote fa passare la stola intorno al collo di entrambe le donne, pone le mani sui loro capi e comincia a pregare. Daniela immediatamente reagisce sbarrando gli occhi, urlando, agitandosi, e don Amorth decide di procedere alla benedizione singolarmente. L’esorcizzata muove le braccia e la testa per sottrarsi alla mano dell’esorcista; tenta anche di alzarsi, continua ad urlare, infine scivola dalla sedia. Il corpo rigido, rimane seduta per terra, per un po’ con gli occhi fissi nel vuoto, poi lo sguardo non e` piu` fisso ma quasi impaurito, attonito, rivolto sempre davanti a se´. L’esorcista afferma che Daniela non ha un problema che puo` essere risolto da lui e consiglia di rivolgersi ad un medico, neurologo o psichiatra.
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Successivamente ripete anche a me che si tratta di un caso psichiatrico. Chiedo come fa a distinguerlo; risponde che e` importante la posizione degli occhi: ad esempio, le pupille rivolte in su sono segno di demoni scorpioni, in giu` di demoni serpenti; inoltre, quando lui comanda di guardarlo le persone con problemi di tipo diabolico fanno molti sforzi per ubbidire, possono riuscirci o no, a volte vanno in trance. In Daniela questi segni non li ha riscontrati, ne´ c’e` stata alcuna rispondenza alle parole dell’esorcismo. Durante il breve esorcismo Claudio non ha nessuna particolare reazione. Il sacerdote ripete qualche volta l’ordine di guardarlo, scherzando anche sul fatto di essere brutto. Don Amorth mi spiega poi che lo esorcizza da molto tempo e ` posseduto da Lucifero, il piu` l’uomo e` sulla via della guarigione. E forte tra i demoni scorpioni; un segno della sua presenza sono le pupille rivolte verso l’alto. L’ordine ripetuto di guardare l’esorcista e` dovuto alla tendenza di Claudio ad alzare ancora gli occhi in alto. Luisa tiene gli occhi chiusi per tutto l’esorcismo; quando l’esorcista tenta di aprirglieli se ne vede il bianco, mentre le pupille sembrano rivolte all’in su... All’interrogatorio del demone possessore risponde, dopo ripetuti comandi, di chiamarsi Lucifero. Ester rimane tranquilla per tutta la durata del rito, con gli occhi aperti. Alla fine l’esorcista le chiede: «Come mi vede ora? Mi vede doppio o no?». Ester: «La vedo bene». Esorcista: «E prima mi vedeva doppio?»; la donna risponde di no e il sacerdote, spingendo leggermente sull’orbita oculare con il pollice e l’indice della mano destra – come fa nell’esorcismo – le chiede come lo vede ora. «Un poco confuso», risponde Ester. Don Amorth ritiene che la donna stia bene e fissa un appuntamento a scopo di controllo. L’esorcismo di Simona e` uno tra i piu` lunghi e laboriosi da me osservati, con ricorso a tutte le procedure supplementari a disposizione del sacerdote; la sua e` una forma grave di possessione. Gli occhi di Simona sono sempre chiusi; l’esorcista tenta piu` volte di aprirli ottenendo solo l’apertura di una piccola fessura da cui si intravede il bianco ed un certo rossore. La donna li riapre dopo l’aspersione finale con acqua benedetta: lo sguardo e` obliquo, schivo, spesso rivolto in basso, come e` anche fuori dall’esorcismo. Finito il
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rito, durante l’assenza momentanea del sacerdote dalla stanza, un’assistente bagna un tovagliolo di carta con acqua benedetta e lo pone sugli occhi dell’esorcizzata per qualche minuto, spiegandomi che le fa bene agli occhi. Poi estrae dalla borsa una bustina di plastica trasparente contenente olio di S. Lucia, la porge alla suora che assiste Simona per farglielo passare sugli occhi e altre zone del corpo della donna, che oppone un po’ di resistenza. Ad un primo sguardo, l’imposizione della mano ha un generico carattere esorcistico, lo stesso che gli viene attribuito quando entra nella somministrazione di sacramenti come il battesimo, la cresima e l’estrema unzione (Torre 1970b, v. III: 1608, 1647). Generalmente, al di fuori di specifici momenti liturgici, ha il valore di una semplice benedizione del prete sul fedele. Negli esorcismi puo` essere considerato uno degli atti tramite il quale si esercita il potere di trasmettere la forza dello Spirito e di cacciare i demoni, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo. In alcuni casi provoca quindi nelle persone esorcizzate tentativi di sottrarsi al contatto della «sacra» mano sacerdotale. In quelli di don Amorth, pero`, l’atto si accompagna alla manipolazione e all’esame degli occhi ` in relazione a questi elementi che l’imposizione della del soggetto. E mano acquista uno specifico valore trasformandosi in uno strumento di fondamentale importanza per la diagnosi di possessione. Secondo quanto ha dichiarato nel primo colloquio con me, don Amorth ammette che la posizione degli occhi e` significativa per gli allievi di padre Candido, ma non per tutti gli esorcisti; essa e` uno degli elementi che appartiene al patrimonio delle esperienze personali; e l’esperienza personale – aggiungo io – diventa tradizione insegnata e trasmessa nell’apprendistato di coloro che diventeranno gli eredi di una particolare tecnica esorcistica. L’importanza dell’osservazione degli occhi, da me riscontrata nella partecipazione alle sedute e che l’esorcista nel suo libro illustra con le parole che seguono, e` quindi uno dei tratti – come le pressioni – che mostrano come la pratica esorcistica integri sempre le indicazioni ufficiali della Chiesa con particolari tecniche e valorizzazione di «segni» specifici. Noi abbiamo visto che il demonio e` molto sensibile sui cinque sensi («entro da lı`» mi disse una volta) e soprattutto sugli occhi. Allora siamo soliti, P. Candido e i suoi allievi, di tenere leggermente due dita sugli occhi e alzare le palpebre in determinati momenti delle preghiere. Quasi sempre capita che, nei casi di presenza malefica, gli occhi si
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presentano interamente bianchi; si vede appena, e qualche volta serve l’aiuto dell’altra mano, da quale parte stanno le pupille: se in alto o in basso. La posizione delle pupille e` significativa circa la specie di demoni e circa i disturbi. Nei molti interrogatori, sempre i demoni si sono classificati secondo una duplice ripartizione, ispirata al capitolo IX dell’Apocalisse; se le pupille sono in alto si tratta di scorpioni, se sono in basso si tratta di serpenti. Gli scorpioni hanno a capo Lucifero (nome forse extra-biblico, ma radicato nella tradizione); i serpenti hanno a capo Satana, che comanda anche a Lucifero (ma potrebbero essere lo stesso demonio) e a tutti i demoni. [...] Per la mia esperienza si tratta di due diversi demoni (Amorth 1991: 67).
Implicito nelle parole dell’esorcista e da me direttamente constatato e` il fatto che molte delle possedute chiudono gli occhi durante il rito, cadendo a volte in uno stato che lo stesso don Amorth in alcune occasioni chiama trance, con rivoltamento degli occhi. Le altre hanno comunque una certa difficolta` a fissare lo sguardo sull’esorcista che generalmente si tiene a pochissimi centimetri di distanza dal loro viso proprio per scrutarne gli occhi. Notiamo innanzitutto che sia nella prima modalita` – chiusura degli occhi e quindi del contatto visivo – sia nella seconda – mobilita` dello sguardo che non riesce a fermarsi piu` di qualche secondo sul viso del sacerdote –, si esprime quel rifiuto totale o parziale del rapporto visivo e ravvicinato che secondo i tradizionali criteri si puo` leggere come un altro aspetto dell’avversione al sacro, qui personificato dall’esorcista, ma che indica pure una maniera di difendersi dallo sguardo altrui, indagatore e potente, e un modo stereotipato di rappresentare la propria alterita`. ` possibile ipotizzare che una serie di segnali, verbali e manuali, E inviati dall’esorcista al soggetto contribuiscano alla costruzione di una stereotipia del comportamento visivo, pur nelle differenze individuali. All’atteggiamento scrutatore del sacerdote si aggiungono i ripetuti ordini di guardarlo e, spesso, una sorta di manipolazione degli occhi operata con piu` o meno forza: da leggere pressioni sulla parte superiore di occhi anche aperti puo` arrivare alla forzata momentanea apertura di palpebre ben serrate. In ogni caso si tratta di modi di segnalare al soggetto la significativita` del comportamento visivo, indicando anche implicitamente quello giusto, contemporaneamente per l’indemoniata e per chi non lo e`: in apparenza quello «corretto» di chi non ha nulla da temere dal rito e dall’esorcista e quindi riesce a guardarlo, in realta` connotando come negativo – e diabolico – quello contrario. L’esorcizzata apprende cosı` a rappresentate il proprio
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ruolo di indemoniata anche attraverso un altro comportamento corporeo che il sacerdote valorizza, se non lo induce, assegnandogli precisi significati diabolici e il ruolo di ulteriore indicatore dello stato di possessione. Anche la guarigione sara` segnalata, fra l’altro, da una ritrovata «normalita`» degli occhi e dello sguardo. L’interpretazione della posizione degli occhi proposta dall’esorcista sembra riguardare l’esigenza dell’officiante di criteri che lo orientino nella diagnosi e nel trattamento dei casi specifici. Alla base appare un’operazione classificatrice che, prendendo spunto da un testo biblico7, serve ad ordinare i dati dell’esperienza esorcistica per renderli significativi e manipolabili. Nella pratica concreta il sacerdote si dota di strumenti interpretativi, costruiti secondo una logica binaria (sguardo diritto = «normale» / sguardo obliquo o deviato = diabolico; quest’ultimo si specifica in: pupille in su = scorpioni / pupille in giu` = serpenti) capaci di classificare il comportamento dell’esorcizzata e di orientare il trattamento esorcistico. Nell’esame dello sguardo e delle pupille si ritrova la piu` generale attivita` ordinatrice e individuante che, mettendo in rapporto certi tratti dell’atteggiamento corporeo del soggetto con elementi mitici (animali diabolicizzati, sostanze esorcistiche, esseri potenti), costruisce le coordinate all’interno delle quali la possessione diabolica ha senso e l’esorcismo efficacia. Sebbene la rilevanza della posizione degli occhi appaia un tratto singolare e poco comune, e` possibile mettere in dubbio l’originalita` assoluta del valore attribuito agli occhi della posseduta dagli esorcisti della «scuola» di padre Candido. In Les de´lires de possession diabolique, gli psichiatri L. e T. Gayral, introducendo la discussione dei criteri diagnostici delle possessioni
7 Colpisce il fatto che l’esorcista, a questo proposito, citi come riferimento l’Apocalisse e non il passo evangelico in cui i due animali sono presentati chiaramente come oggetti del potere esorcistico: «Io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni e di annientare ogni potenza del nemico» (Luca 10, 17-20; cfr. Marco 16, 18 e Salmi 91, 13). La diabolicita` del serpente, che sia o meno identificato ad un tipo di demone, trova – per i teologi – il suo fondamento in altri passi biblici, a cominciare dal serpente tentatore della Genesi (per un’analisi antropologico-strutturale della Genesi e del serpente, animale abominevole ab initio, vedi Leach 1980: 143-159; cfr. Albert 1990b: cap. II, in part. 44). Nella cultura popolare europea, inoltre, gli si attribuiscono, come ai rettili in generale, dei poteri malefici (Albert-Llorca 1985: 100). Anche lo scorpione rientrerebbe tra gli animali della terra (come pure il ragno e il rospo) che pungono, mordono, soffiano, classificati come velenosi e diabolici, ad esempio negli scongiuri medioevali della Chiesa e nell’antico trattato De Venenis (Pizza 1990-91: 44 sg., 57-58). Sul ragno mitico che provoca le forme di possessione chiamate tarantismo e argismo vedi De Martino 1961 e Gallini 1988.
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diaboliche, riportano una doppia serie di segni stabiliti, rispettivamente, da teologi e medici medioevali per riconoscere l’azione straordinaria del demonio sull’uomo. Tra quelli indicati nella lista del medico B. Codronchus, riguardanti varie manifestazioni somatiche, si trova: «Se egli ha le palpebre talmente strette che appena possa aprire gli occhi e tuttavia gli occhi siano molto chiari e trasparenti. Se egli guarda di traverso, se gli sembra di vedere qualche fantasma o un nugolo di essi. Se egli non puo` guardare il prete fissamente o abbia qualche difficolta` a guardarlo. Se il bianco degli occhi gli cambia di colore [...]» (Gayral 1944: 132). Il comportamento e l’aspetto degli occhi del sospetto indemoniato, dunque, se non sono stati sempre e per tutti rilevanti allo stesso modo e il loro esame non rientra tra le procedure suggerite dal Rituale, anche in passato erano tra gli elementi significativi per formulare una diagnosi di possessione. Nel caso citato si tratta di una diagnosi medica, ma cio` non stupisce se si considera che la medicina medievale riconosceva l’origine diabolica di malattie che non sapeva spiegare8. D’altra parte, anche nei successivi processi per stregoneria uno dei segni diabolici era cercato proprio negli occhi (Baroja 1972: 166-169, 196-200; Institor e Sprenger 1988). Con questo accenno al fenomeno stregonesco non si vuole ovviamente proporre ne´ una comparazione ne´ un rapporto di discendenza diretta tra le tecniche diagnostico-esorcistiche di alcuni esorcisti attuali e determinate procedure inquisitoriali del passato, o tra i rispettivi immaginari diabolici. Un’analogia, pero`, si riscontra sia nella rilevanza data nei diversi contesti all’occhio e alla vista che nella qualificazione animale del segno diabolico. Da una parte il diavolo lascia il suo marchio, tra l’altro, nell’occhio e le streghe non possono piu` vedere il S. Sacramento sull’altare; dall’altra egli si manifesta nell’anomalia dello sguardo o della posizione delle pupille, nella difficolta` a guardare l’esorcista, ed entra nell’individuo dagli occhi. Un animale diabolicamente connotato – rospo, scorpione, serpente – e` sempre associato a tali anomalie. Cio` suggerisce due osservazioni che riguardano entrambe le modalita` del processo di diabolicizzazione sia della strega colpevole che della posseduta vittima. La costruzione della loro identita` da parte delle autorita` preposte 8
Il primo dei segni che Codronchus elenca e` infatti: «Se la malattia e` tale che i medici non la possano scoprire ne´ conoscere» (Gayral 1944: 132).
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a giudicarle fa sempre riferimento a degli atteggiamenti o segni corporei – reali o immaginari – che diventano il supporto o la prova del loro essere diverse, altre dall’individuo «normale». Il corpo si trova al centro di questa costruzione simbolica, e gli occhi e lo sguardo alterati vi occupano un posto rilevante perche´ la loro funzione relazionale ed espressiva li qualifica immediatamente come buoni indicatori dello stato del soggetto – dallo stato d’animo, allo stato di coscienza, alla condizione ritualizzata di possessione –, trasmettitori tra l’interno e l’esterno, e tra il soggetto e gli altri – comunicano sensazioni e sofferenze cosı` come le ricevono tramite le immagini –, e quindi mezzi adatti a rappresentare simbolicamente l’alterazione soggettiva e relazionale che il diavolo provoca nel corpo e nell’anima; in definitiva, l’alterita` dell’indemoniata (e della strega)9. La seconda considerazione riguarda invece il costante ricorso a metafore animali per rappresentare la diabolicita` dell’individuo. Non solo l’esorcista da me considerato le utilizza per l’individuazione del demone possessore, ma nei racconti di casi di possessione gli atteggiamenti dell’indemoniata sono molto spesso descritti come animaleschi: abbaia come un cane, miagola o salta come un gatto, striscia come un serpente. D’altra parte il diavolo stesso, nell’iconografia o nei racconti, e` presentato con attributi o forme animalesche. Queste metafore, sia nello stereotipo del sabba, ad esempio con la metamorfosi in animale, sia in quello della posseduta, con l’assimilazione simbolica a certi animali, suggeriscono di considerare l’animalita` un altro modo di espressione dell’alterita`10. Nel processo di costruzione
9 Circa l’importanza dello sguardo e della «visione» nella concezione popolare della malattia si ricordi il potere attribuito allo sguardo invidioso o malefico nell’ideologia del malocchio e gli effetti – tra i quali si trova la possessione – provocati dalla vista di esseri spaventosi o di morti (Gallini 1973; De Martino 1993). Coisson mette peraltro in rilievo la continuita` tra le credenze folkloriche concernenti il malocchio e la scienza ottica colta, e, per quanto riguarda la Chiesa cristiana, sostiene che: «Non bisogna stupirsi che autori cristiani, anche non sospetti di eterodossia, accettino come scontato il fatto della potenza del malocchio, che l’odierno senso comune collocherebbe volentieri tra le superstizioni dal forte sentore di paganesimo. Non bisogna tuttavia dimenticare che questi autori hanno dalla loro parte l’autorita` non solo dei Padri, ma dei Vangeli stessi e delle Lettere di Paolo. Dubitare della realta` del malocchio significa dubitare delle Scritture stesse. Ma, ancor meglio, queste suggeriscono che gli autori dei Vangeli sono in accordo con una dottrina ottica che, per un periodo molto lungo, e` stata sia del pensiero comune sia della scienza piu` avanzata» (Coisson 1988:40). 10 Cfr. Ginzburg (1989: 246-247), che ricostruendo gli elementi del nucleo folklorico dello stereotipo del sabba – volo magico e metamorfosi in animali – definisce animali e morti «due espressioni dell’alterita`» e vede una «connessione profonda» «tra animali e anime, animali e morti, animali e aldila`».
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simbolica della figura della posseduta, i riferimenti ad animali, che appartengono al non-umano, servono a rappresentare l’alterita` radicale dell’essere diabolico possessore.
1.3 Il segno di croce Il segno di croce appare come l’operatore simbolico per eccellenza del passaggio dalla possessione da parte del diavolo alla «possessione» da parte di Cristo; il suo impiego riguarda la trasformazione, sul piano simbolico, del corpo della posseduta. Vediamo come avviene. Che il segno di croce sia il principale mezzo antidemoniaco, e` addirittura scontato e lo si ritrova sia nelle credenze e pratiche popolari che in quelle ufficiali della Chiesa11. Se consideriamo da vicino le modalita` con cui l’esorcizzata e` segnata, e` pero` possibile individuare un’altra valenza del segno di croce: esso, fatto su determinate parti del corpo o su tutta la persona, con o senza olio esorcizzato, puo` essere interpretato come un’azione identificatoria con il Cristo volta a riguadagnare alla vita cristiana il soggetto sottratto ad essa dal diavolo. Nel momento prescritto dal Rituale, il sacerdote fa il segno della croce sulla fronte, sul lato destro del petto, sullo stomaco, sul lato sinistro del petto, nell’ordine descritto; scende cioe` dall’alto in basso per poi risalire al petto, con un movimento che sembra quasi circoscrivere una parte del corpo... Ad un certo punto delle preghiere l’esorcista comincia le unzioni sotto forma di croce, nell’ordine: sulla fronte, su entrambi gli occhi, sulle orecchie, sulle narici – a volte sul naso e su tutto il viso –, sulla gola, sul petto, talvolta sulla nuca. Gli atti sono compiuti in corrispondenza dell’elencazione delle rispettive parti del corpo.
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Cfr. ad esempio Cocchiara (1945: 205), e Il libro segreto dei grandi esorcismi... (Anonimo 1954: 35-36), dove il segno di croce e` il primo per ordine d’efficacia tra i mezzi indicati, seguito dall’aspersione con acqua benedetta e dall’incenso. Vi si legge che esso «ricorda la discesa in questo mondo del Verbo celeste incarnato per salvarci. Rappresenta dunque per il malato, posseduto o maleficiato la Virtu` divina serventesi della parola e del gesto rituale per ristabilire nel corpo la salute allo stesso modo che la venuta del figlio di Dio ha ristabilito la salute dell’anima». Il testo, non proprio ortodosso, contiene numerosi esorcismi per fatture, malefici, febbri..., compreso quello solenne del Rituale Romano in traduzione italiana.
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Nel corso dell’esorcismo, Simona, le cui braccia sono disposte come in una crocifissione per rendere piu` agevole alle assistenti ` mia! E ` mia!» bloccarne i movimenti, dice a volte con tono duro: «E [...]. L’esorcista, coadiuvato dalle due donne, replica allora: «Simona ` di Cristo e di e` di Cristo e di Maria. Simona e` di Cristo e di Maria. E Maria...», mentre traccia sul corpo della donna delle croci con ampi gesti, partendo dalla testa fino a petto e pancia e, nel movimento orizzontale, sul petto e sulle spalle [...]. Si ricorre anche alla preghiera per l’intercessione dei vari santi. Simona sembra reagire particolarmente al nome di S. Maria di Gesu` Crocifisso, che viene con forza ripetuto dal sacerdote mentre fa segni di croce sul corpo. Quando la posizione dell’esorcizzata lo rende possibile, essi vengono tracciati anche sulla schiena. Il Rituale prevede ovviamente che l’esorcista faccia numerosi segni di croce, ma mentre spesso non specifica dove devono essere tracciati, altre volte indica la parte del corpo. In genere si tratta della fronte, in due casi del petto. Nella preghiera che segue il primo esorcismo si ha l’indicazione delle parti da segnare che da` luogo all’azione descritta nel primo brano sopra riportato. [...] Sit nominis tui signo † (in fronte) famulus tuus munitus, et in animo tutus et corpore. (Tres cruces sequentes fiant in pectore demoniaci) Tu pectoris † hujus interna custodias. Tu viscera † regas. Tu † cor confirmes [...] (Rituale Romano).
Nelle parole che accompagnano i gesti si invoca dunque la protezione divina su specifici organi, oltre che sull’anima e sul corpo della posseduta genericamente intesi. Se alla precisione della formula si aggiunge che l’azione dell’esorcista si configura come un movimento che circoscrive la zona corporea interessata, tutto l’insieme appare una sorta di individuazione e delimitazione del luogo fisico e simbolico su cui si incentra l’esorcismo. Lo stesso si puo` dire degli altri segni di croce su parti specifiche (occhi, orecchie...) a cui corrisponde la loro rispettiva nominazione. L’unzione con segno di croce, che si estende a volte fino a coprire tutto il corpo, indicandone i punti significativi e quasi disegnandone il contorno, sembra procedere ad una progressiva identificazione della posseduta con Cristo. Quando poi la croce e` tracciata, con un ampio movimento sia in linea orizzontale che verticale, quasi a ricalcare il corpo della posseduta su quello crocifisso di Cristo, e` ancora piu` chiaro come sia
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l’identificazione con Cristo ad operare la (ri)presa di possesso da parte della Chiesa. Qui sembra che il corpo dell’esorcizzata, le cui parti significative vengono puntualmente segnate con un’azione individuante, sia nel suo insieme quasi misurato su quello di Cristo; l’identificazione, cioe`, passerebbe per una sorta di misurazione di quello diabolico su quello santo. Cio` che oggi appare condensato in un gesto, nei secoli passati era espresso in maniera chiara da oggetti o procedimenti che entravano a far parte delle pratiche esorcistiche su vittime e colpevoli di stregoneria12. Se si trascura la differenza pur rilevante tra strega e stregata in considerazione della sostanziale identita` tra alcuni degli accorgimenti usati dai giudici per ottenere la confessione della prima e i metodi esorcistici impiegati per la seconda, si puo` rilevare che tra i mezzi antidemoniaci rientrano oggetti e pratiche basati su un sistema di misura di tipo metafisico la cui unita` e` la lunghezza del corpo di Cristo. La funzione, in questo caso, e` appunto identificatoria prima di essere esorcistica: messo a stretto contatto dell’oggetto – legato alla candela come alla croce, o avvolto dal nastro che regge, tra l’altro, le parole del Cristo crocifisso – il corpo nudo di chi subisce influenze demoniache e` assimilato a quello di Gesu` sulla croce. Mentre il principio esorcistico generale e` sempre lo stesso – l’accostamento di elementi opposti e incompatibili in modo che quello ritenuto piu` forte vinca sull’altro –, qui l’associazione tra i due corpi opera in maniera piu` specifica la trasformazione di quello diabolico in corpo santo: «misurarsi» al corpo crocifisso equivale simbolicamente a diventarlo. Certo, la funzione di questo tipo di misurazione non e` esclusivamente antidemoniaca. Sappiamo che oggetti ed immagini con funzioni devozionali chiamati «sante misure» ebbero una certa diffusione 12 Nel capitolo del Malleus maleficarum dedicato ai «Rimedi per esorcismi leciti della Chiesa contro qualsiasi malattia arrecata dalla stregoneria. Sul modo di esorcizzare gli stregati», si legge che l’esorcizzando «deve prima essere puramente e debitamente confessato; se puo` tenga la candela accesa e riceva la santa comunione e in luogo della veste candida rimanga legato con il corpo nudo alla candela benedetta, della lunghezza del corpo di Cristo o del legno della croce». Piu` avanti gli autori, parlando della maniera di interrogare le streghe, consigliano: «In secondo luogo si prenda cio` che si e` menzionato prima, il sale e le altre cose benedette, insieme con le sette parole che Cristo pronuncio` in croce, scritte su un foglietto, e il tutto raccolto insieme sia legato al suo collo e sia cinto tutt’intorno al corpo nudo secondo la lunghezza del Cristo, insieme con altre cose benedette, se questa lunghezza si puo` ottenere comodamente. L’esperienza ha insegnato che la strega e` molestata in modo mirabile da queste cose, ma sopra tutto dalle reliquie dei santi, e a stento si trattiene» (Institor & Sprenger 1988: 315; 390).
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a partire dal XIV secolo: immagini con la piaga del costato di Cristo e la relativa misura; nastri della lunghezza del sepolcro di Cristo o del suo corpo o della colonna alla quale fu flagellato (o una sua frazione); cinture della Madonna... Erano oggetti protettivi o ritenuti efficaci per la guarigione da diverse malattie13. Nel contesto esorcistico, comunque, una sorta di misurazione del corpo del soggetto posseduto su quello di Cristo crocifisso – misurazione di cui oggi non resta che il segno della croce – assume il valore di un’identificazione che prefigura per il soggetto la fine della possessione cosı` come, sul piano metafisico, riassume il messaggio salvifico della passione, morte e resurrezione di Gesu` con la promessa dell’esclusione della presenza del Male.
2. Soffi, formule, parole Accomunati dal provenire dalla bocca dell’esorcista, questi tre elementi rituali coinvolgono direttamente l’esorcizzata chiamata ad esprimersi – in quanto diavolo – sul piano verbale (con l’interrogatorio esorcistico) oltre che corporeo.
2.1 I soffi Il gesto che l’esorcista a volte compie di soffiare sul volto dell’esorcizzata puo` essere fatto risalire all’antico rito dell’insufflazione che, fin dai primi secoli, fa parte integrante della liturgia dell’iniziazione cristiana. Soffiare sul volto del battezzando aveva un senso esplicitamente esorcistico che si ritrova identico nell’attuale battesimo dei bambini, dove il soffio e` accompagnato da parole che ordinano allo spirito immondo di lasciare il posto allo Spirito Santo (Puniet 1932, v. II, 2: 2579-2621; Torre 1970a, v. II: 1244-1246; Collectium Ritum 1956: 15-28). La matrice mitica, contenuta nel Vangelo, sembra
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D’altra parte pratiche diagnostiche e curative popolari basate sulla misurazione del malato, di sue parti o di suoi indumenti, oppure basate sulla sua pesatura, erano conosciute fin dal Medioevo. Spesso, ma non esclusivamente, si trattava di mali causati da aggressioni di entita` soprannaturali (ad esempio mali di santi). Vedi Charuty 1995 e 1997. Cfr. anche Thomas 1985: 208-209, sulla misurazione della cinta, antica prassi diagnostica «diffusa in tutta Europa, alla quale era sottesa l’ipotesi che la presenza di uno spirito maligno (la “fata”) avrebbe trovato riflesso in variazioni di lunghezza dell’indumento».
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essere il dono dello spirito che Gesu` fece agli Apostoli: «Alito` su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22). Tale atto, proveniente dagli esorcismi pre-battesimali, viene dunque inserito da don Amorth tra gli strumenti piu` specifici dell’esorcismo per ossessi secondo una logica che basa l’efficacia del rito sull’integrazione di altri elementi esorcistici, oltre che sulla ripetizione di essi nel singolo rito, e del rito nel tempo. Il soffio sul viso, che, secondo l’esorcista, alcuni demoni trovano particolarmente potente, mantiene dunque il ruolo originario di operatore simbolico del passaggio da una condizione pagana e quindi demoniaca ad una cristiana14. Questo passaggio, che l’insufflazione realizza sostituendo il soffio dello Spirito Santo a quello demoniaco – l’esorcista Salvucci sostiene che «nei casi in cui la presenza di Satana e` forte si manifesta come un soffio di vento» (Salvucci 1992:150) – e` lo stesso operato dal segno di croce attraverso l’identificazione a Cristo: si tratta sempre di azioni simboliche destinate a significare e a riprodurre l’appartenenza della posseduta a Cristo e alla Chiesa.
2.2 L’organizzazione delle formule Accanto al ruolo che i gesti esorcistici – compreso l’impiego di oggetti e materie particolari – hanno nel rito considerato come dispositivo simbolico che produce e «cura» la possessione rituale, troviamo quello delle formule esorcistiche propriamente dette. Pronunciate in latino e a bassa voce da don Amorth, esse risultano praticamente incomprensibili al soggetto15. Eppure il potere esorcistico, per la Chiesa, risiede principalmente proprio nelle parole dette in nome di Gesu`. Da questo punto di vista la loro efficacia non e` condizionata dall’essere o meno udite e comprese dalla posseduta, tanto che c’e` chi prevede la pratica di esorcismi a distanza soprat-
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Si puo` notare, per inciso, che il valore iniziatico dell’insufflazione battesimale doveva essere piuttosto chiaro in passato se nelle prime descrizioni del sabba fatte da alcune streghe tolosane del XIV secolo, il primo atto che sancisce l’entrata delle nuove adepte nella setta diabolica e` il soffiare del diavolo nelle loro bocche, secondo un procedimento di inversione dei valori e dei simboli cristiani (Baroja 1972: 102). 15 Come si e` detto, la traduzione in italiano della parte del Rituale dedicata agli esorcismi e` stata pubblicata quando la mia ricerca sul campo era terminata. Ricordo che, comunque, don Amorth preferisce continuare ad usare la versione latina per i motivi gia` illustrati nel II capitolo.
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tutto quando si tratta di diagnosticare l’eventuale possessione16; c’e` chi li fa in assenza della persona sofferente, e spesso a sua insaputa, anche per motivi pratici17; chi adduce come prova dell’efficacia degli esorcismi il fatto che la crisi di possessione «si ripete anche se l’esorcismo e` proferito solo mentalmente, o a distanza di chilometri» (Calliari 1992: 105); e chi, come don Amorth, abitualmente pronuncia le formule tra se´ e se´ e considera un vantaggio che siano in latino18. Tutto cio` dimostrerebbe che il valore esorcistico di orazioni e scongiuri sta nel potere di Dio conferito ai suoi ministri e che non si tratta di effetti di suggestione – peraltro oggi considerati possibili anche da esorcisti19 – a cui i critici, cattolici e non, riconducono la possessione diabolica e la liberazione. Nella prospettiva della produzione rituale della possessione va invece sottolineato il valore simbolico attribuito al latino come lingua dell’esorcista, segreta, sacra e percio` carica di potere. Si tratta, cioe`, di considerarlo non tanto come un «atto comunicativo diretto» con la persona sofferente quanto come un elemento che definisce la posizione dell’esorcista nel ` contesto rituale e le condizioni di costruzione di quest’ultimo. E questa l’indicazione fornita da Severi nell’analisi dei riti cuna, fondata sulla «costruzione pragmatica del significato» (Severi 1993: 224-225): «la parola sciamanica e` in parte taciuta, in parte mostrata, si direbbe, sulla scena rituale. [...] Per comprendere questo punto
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«Qualora tutto riuscisse vano [esami ed accertamenti preliminari], ritengo che il sacerdote possa fare uso degli esorcismi (sempre con la dovuta autorizzazione), attuandoli pero` a insaputa dell’ammalato e a distanza, purche´ questo sia presente entro i confini della giurisdizione ricevuta; un reale intervento demoniaco non rimarra` inerte agli scongiuri del potere sacerdotale» (Balducci 1988: 235). 17 Chenesseau 1989. In genere si tratta di persone che l’esorcista ha gia` esorcizzato, soprattutto religiosi/e; che l’esorcismo a distanza sia legato ai poteri conferitogli dal vescovo, come quest’ultimo sostiene, o sia soprattutto un carisma personale, Chenesseau lo ritiene efficace e necessario in certi casi, pur consapevole dei suoi limiti, primo tra tutti la mancanza di partecipazione. 18 Amorth 1991: 65. Questo esorcista effettua anche esorcismi per telefono rivolti a persone che gia` conosce, ritenendoli molto efficaci (cfr. intervista in Beretta 2001: 3). 19 Secondo don Amorth un linguaggio allarmistico potrebbe causare suggestioni ingannevoli e percio` usa un «linguaggio eufemistico» chiamando gli esorcismi, benedizioni, e i disturbi del maligno, negativita` (Amorth 1991: 65). D’altra parte egli sostiene che, con questi accorgimenti, l’esorcismo non puo` mai fare male. Altri, come Tonque´dec (1938) e Balducci (1988), sono piu` attenti alle possibili suggestioni che tutto il rito esorcistico puo` produrre su soggetti psichicamente fragili, e di conseguenza sono molto meno propensi di don Amorth ad esorcizzare.
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bisogna studiare la dinamica delle relazioni rituali quali sono stabilite dalle azioni, e non dal contenuto del testo»20. Prima di procedere all’analisi particolareggiata del rito in azione e` pero` utile esaminare anche il contenuto e l’organizzazione formale del testo, che forniscono ulteriori indicazioni sulla logica simbolica che presiede alla costruzione del dispositivo rituale. L’esorcismo solenne contenuto nel Rituale Romano – preceduto dalle Normae observandae circa exorcizandos a demonio di cui si e` gia` parlato – presenta una struttura tripartita. Inizialmente si recitano le litanie dei santi, il salmo 53, una specifica orazione in cui e` prevista l’ingiunzione a Satana di manifestare la sua identita`, il giorno e l’ora della sua uscita e i segni che la caratterizzeranno. Segue la lettura dell’inizio del Vangelo di S. Giovanni e di altri tre passi evangelici (Marc. 16, 15-18; Luc. 10, 17-20 e Luc. 11, 14-22) che riguardano la lotta contro Satana. Altre due preghiere, riprendendo i temi evangelici in cui si parla del potere esorcistico conferito da Gesu`, chiedono piu` specificatamente che all’esorcista venga accordato tale potere e l’aiuto necessario per combattere il demone che, in particolare, affligge l’esorcizzata. Nella seconda parte si trovano gli esorcismi propriamente detti (tre formule) intercalati da preghiere. Qui il diavolo viene direttamente affrontato chiamandolo con terribili nomi e attributi che ne definiscono il carattere, le azioni e le finalita`. Nello stesso tempo si ricapitolano episodi biblici riguardanti la vittoria di Cristo-Dio sulle potenze del male. L’ultima parte prevede la recitazione di diverse preghiere, di una serie di salmi e di una preghiera post liberationem. Nello stesso titolo del Rituale Romano concernente gli esorcismi, l’ultimo capitolo contiene l’esorcismo di Leone XIII per le infestazioni. 20 Severi 1993: 242. Cfr. quanto Tambiah (1968) osserva a proposito dell’intellegibilita` delle parole sacre, peraltro in una prospettiva differente da quella adottata da Severi e sviluppata da Houseman e Severi (1994). In quest’ultimo testo gli autori, considerando insufficiente un’ottica centrata sullo scambio dei messaggi, affermano: «Il significato di un’esperienza rituale non e` mai per gli attori stessi interamente esplicitabile. L’azione rituale stessa non costituisce ne´ un discorso coerente sulle proprieta` dell’universo naturale, ne´ un tentativo di soluzione – indiretto, reale o immaginario – dei problemi posti dalla vita sociale. L’esperienza del rituale non trasmette direttamente messaggi. Stabilisce innanzitutto e tacitamente un contesto relazionale in cui certi messaggi che contrastano con l’esperienza quotidiana, possono essere formulati». Questi messaggi possono apparire incomprensibili o assurdi agli stessi partecipanti alla cerimonia. «Per comprendere un rituale, bisogna quindi analizzare l’istituzione di questo contesto preliminare a qualsiasi messaggio, che solo le sequenze di azione permettono di identificare» (Houseman e Severi 1994: 49-59).
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Che la struttura si consideri tripartita, distinguendo preghiere iniziali, esorcismi centrali (inframmezzati da preghiere) e preghiere finali, o divisa in cinque parti – come sostiene Oesterreich – essa e` costruita secondo una certa consequenzialita` logica. Da un punto di vista psicologico, Oesterreich la trova una «costruzione non balorda» in quanto, alternando preghiere in cui e` in causa la posseduta ad esorcismi che si indirizzano a, e agiscono sul demone, si distinguono e contrappongono i due esseri (Oesterreich 1927: 133). In una prospettiva antropologica, la forma interna e la sequenza strutturata delle parole rituali liturgiche assume importanza anche in un altro senso. L’alternanza di passi evangelici e riferimenti alla storia sacra della lotta tra Dio e il suo antagonista, e di quelli in cui ci si rivolge direttamente al diavolo dello specifico soggetto esorcizzato o a quest’ultimo per metterlo sotto la protezione divina, produce un doppio effetto. Da una parte si inquadra il caso particolare nell’universo mitico che definisce le coordinate simboliche e culturali dell’attuale scontro cosı` come di ogni battaglia ingaggiata contro il diavolo; questo e` definito e personificato una volta per tutte attraverso gli attributi che la tradizione ha fissato, e allo stesso modo il potere di Dio contro di lui. Si tratta dunque di un discorso generalizzante. Dall’altra si procede al trasferimento dei termini generali nella specifica situazione rituale che e` in corso di svolgimento. Certo, questa singolarizzazione del discorso21 si riduce alla nominazione del soggetto e di alcune parti del suo corpo, e al passaggio da definizioni generali del diavolo a comandi diretti allo specifico demone possessore, ma si vedra` piu` avanti che altre parole rituali, correlate a una serie di atti, vanno ad integrare questo processo di particolarizzazione. Anche se le formule rituali oggi non sono comprensibili che al sacerdote, la logica che le organizza e` la stessa che costruisce il rito esorcistico nel suo insieme. Inoltre, se si considera che il linguaggio rituale esorcistico mette in relazione il passato mitico – insidie diaboliche e vittoria divina –, il presente rituale – le specifiche circostanze di possessione e quel determinato esorcismo – e il futuro da realizzare – la liberazione –, la sua logica sembra corrispondere a quella di altri rituali non solo di guarigione22. La loro funzione transitiva si 21 L’espressione, che nel contesto originario di provenienza designa in modo piu` articolato uno degli effetti di diverse procedure linguistiche rituali, e` presa da De Sales 1991: 298 sg.; cfr. Dow 1986. 22 Considerando anche le differenti proprieta` dei comportamenti verbali e non verbali nel rito, Tambiah (1968: 202) afferma: «Il linguaggio e` una costruzione artificiale e la sua forza e` che la sua forma non appartiene affatto alla realta` esterna: cosı` esso gode del potere di
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esprime non solo nelle azioni che istituiscono una serie di equivalenze simboliche, per esempio tra oggetti rituali ed entita` umane o soprannaturali del rito, ma anche sul piano dell’organizzazione della struttura simbolica del testo recitato, attraverso il passaggio da eventi mitici situati nel passato, al tempo presente e futuro. D’altra parte, come sostiene Leach a proposito del rituale nelle comunita` «primitive» – ma l’affermazione si puo` estendere – «esso e` un complesso di parole e azioni [...] non e` che le parole siano una cosa e il rito un’altra: la pronuncia stessa delle parole e` un rituale» (Leach, cit. in Tambiah 1968: 175). L’organizzazione simbolica delle formule esorcistiche considerata finora in termini di generalizzazione e particolarizzazione, e di sequenza che descrive un percorso temporale, puo` essere intesa – secondo quanto suggerisce Todorov a proposito della singola formula magica – anche come messa in parallelo di due situazioni distinte provenienti dalla vita quotidiana attuale e dal canone cristiano. La comparazione, nel caso da me esaminato non sempre esplicita, e` il mezzo principale attraverso il quale questo parallelismo e` compiuto (Todorov 1973: 50). La sua funzione «non e` di far risaltare delle rassomiglianze, ma piuttosto d’affermare la possibilita` stessa di una messa in relazione tra avvenimenti appartenenti a delle serie differenti, di permettere la messa in ordine dell’universo [...]. L’atto perturbatore, sconosciuto, si trova integrato in un ordine rassicurante; si tratta di un’attivita` di classificazione» (Todorov 1973: 52). ` vero che nell’esorcismo ufficiale non siamo di fronte a due E serie del tutto eterogenee, perche´ la possessione diabolica ha lo stesso carattere degli eventi mitici a cui e` ricondotta; se consideriamo pero` non solo il valore terapeutico-esorcistico del rito, ma anche quello probativo, cioe` la cosiddetta funzione diagnostica, si tratta comunque di classificare un male o un evento sconosciuto e contingente in un ordine che lo comprenda. In ogni caso, che si esprima nel collegamento di piani, serie o tempi diversi, la funzione ordinatrice sembra essere la caratteristica essenziale della struttura degli atti verbali. Cio` vale, come si vedra`, oltre che per le formule codificate evocare immagini e comparazioni, di riferirsi al tempo passato e futuro e di mettere in relazione eventi che non possono essere rappresentati nell’azione. L’azione non-verbale, d’altra parte, eccelle in cio` che le parole non possono facilmente fare – essa puo` codificare analogicamente imitando eventi reali, riprodurre atti tecnici ed esprimere multiple implicazioni simultaneamente».
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del Rituale, anche per le altre preghiere e invocazioni inserite dallo specifico esorcista. Mentre in queste ultime osservazioni ho provvisoriamente separato le formule dal loro contesto di enunciazione, e` ovviamente in questo che esse acquistano potere ed efficacia. Alcuni brani tratti dalle descrizioni di specifici esorcismi da me osservati precederanno dunque l’analisi dell’effettivo interrogatorio del diavolo possessore.
2.3 L’interrogatorio e la nominazione Interrogatorio (in latino e italiano) di Sara nel corso dell’ultimo suo esorcismo a cui assisto. L’esorcista: «In nome dell’autorita` datami dalla chiesa, dimmi il tuo nome! Voglio il tuo nome! Come ti chiami?!...». A fatica, deformando la pronuncia, Sara dice: «Satana». L’esorcista vuole sapere quanti sono i demoni: 3. Poi chiede il nome degli altri due: Lucifero e Belzebu`. Don Amorth: «Chi sara` il primo ad uscire? Sarai tu?». Sara resiste, fa versi, muove la testa ma don Amorth insiste e lei alla fine annuisce; l’esorcista vuole sapere anche quando avverra` l’uscita e se dara` dei segni; lei non risponde e il sacerdote: «Non ti e` stato comunicato?» La donna dice di no. Ad un ` mia!», al che don Amorth replica che certo punto Sara dice anche: «E e` di Cristo; poi, rivolto a Renata: «Chiudiamo qui?». Renata: «L’altra volta ha detto il primo di novembre»; allora l’esorcista riprende a chiedere e Sara da` la data dell’uscita: «Uno». Don Amorth: «Di quale mese?». Nessuna risposta. «Di quale anno?». Sara: «Novantacinque». Sembrano soddisfatti e l’interrogatorio termina23. Leda e` esorcizzata da parecchio tempo. L’esorcista mi dice che «ha un bestione grosso che sta andando via». Al suo primo esorcismo in mia presenza non ha risposto all’interrogatorio – l’esorcista ha chiesto un paio di volte: «Come ti chiami? Dimmi come ti chiami!» – ma generalmente dichiarerebbe di chiamarsi Belzebu`. Alla seduta successiva la donna, interrogata piu` volte sul nome del diavolo, risponde una volta «no» e infine pronuncia il nome di Belzebu`; alle 23 L’esorcismo di cui parlo si svolge nell’ottobre del 1995, ma la liberazione non avverra` alla data indicata: nel febbraio 1996 Sara non solo e` ancora posseduta ma, dopo un periodo di miglioramento, sembra stare peggio: si agita, sputa ancora (ma non piu` sangue), quando si alza a fine esorcismo le gambe per un po’ non la reggono, come semiparalizzate; puo` riprendere a camminare solo gradualmente (secondo quanto dichiara don Amorth).
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domande circa la sua uscita risponde ad un certo punto: «Non lo so», come se fosse stanca dell’interrogatorio insistente. Ad un altro esorcismo il sacerdote pone solo qualche volta la domanda e non insiste anche se Leda non risponde. Dopo il primo esorcismo di Giovanna a cui assisto, don Amorth mi dice che e` posseduta da anni da un demone che dice di chiamarsi Rodolfo. Lui la segue da cinque anni, precedentemente era esorcizzata da padre Candido. Il demone ha dato diverse date «sballate» per la sua fuoriuscita, per esempio il 15 agosto, festa dell’Assunta, durante la messa: non sono state mai rispettate. Quando l’esorcista ordina, prima in latino, poi in italiano: «Dimmi come ti chiami!», Giovanna risponde: «No». Il sacerdote insiste: «Oggi non lo vuoi dire come ti chiami, eh?»; risposta: «Valentino»; il sacerdote: «Dı` come ti chiami!»; risposta: «Valentino»; il sacerdote: «Non lo vuoi dire?! Te lo dico io, ti battezzo io: maledetto da Dio, maledetto da Dio! Come ti chiami?»; Giovanna: «Rodolfo»; l’esorcista: «Quando te ne andrai?»; non ottiene risposta e ripete la domanda; la donna, infine, dice: «Me ne andrei solo per non tornare piu` qui». Una seduta successiva. Don Amorth chiede varie volte, con tono forte e imperativo, al diavolo di dire il suo nome; Giovanna rimane zitta, poi dice: «No»; l’esorcista: «No cosa? Non lo vuoi dire, maledetto?» e continua ad ordinare al diavolo di rivelarsi; infine la donna pronuncia il nome Rodolfo e l’esorcista chiede insistente quando se ne andra`, in quale mese, in quale giorno. La donna non risponde. L’esorcista: «Non ti e` stato comunicato?»; la risposta di Giovanna e` negativa. Don Amorth chiede piu` volte: «Quanti siete? Sei solo?»; la donna risponde: «Sı`». Al terzo esorcismo svoltosi in mia presenza Giovanna non oppone nessuna resistenza a dire il nome del diavolo – Rodolfo –, rispondendo al primo comando; invece, alla domanda piu` volte formulata: «Quando te ne andrai?», o non risponde o dice «No», facendo smorfie e suoni con la bocca; il sacerdote insiste: «Non ti e` stato ordinato da Cristo Signore?»; Giovanna: «Sı`»; l’esorcista ripete la domanda e vuole sapere mese e giorno dell’uscita; «Lo sai!», dice la donna spazientita, ma il sacerdote vuole sentirlo dire da lei, che infine parla: «Alle feste della Madonna». L’esorcista: «Perche´ non te ne sei andato martedı`, come avevi detto, che era la festa della Madonna del Carmine?»; non c’e` risposta e don Amorth continua chiedendo se dara` segni e quali all’uscita. Giovanna non risponde e
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dopo poco comincia a tossire in modo piuttosto forte, il viso diventa congestionato, ha ripetuti conati di vomito e riesce ad espellere della saliva. ` deciso ed Interrogatorio del demone possessore di Luisa. E imperioso il tono con cui l’esorcista, in latino e in italiano, ordina al diavolo di dichiararsi, chiamandolo anche maledetto. La donna si agita di piu`. Dopo alcuni insistenti comandi – accompagnati da colpi sempre piu` forti al ventre – Luisa risponde a bassa voce, costretta: «Lucifero». L’esorcista le chiede piu` volte quando se ne andra`, senza ` difficile». avere risposta; lei ad un certo punto dice: «E In mia presenza Lea non e` stata sempre sottoposta ad interrogatorio. Una sola volta viene interrogato, senza particolare accanimento, il suo diavolo, che non risponde; l’esorcista allora chiede in italiano: «Ti chiami Lea? Ti chiami Giovanna? Ti chiami Lidia? Ti chiami Gabriele? Ti chiami Adelina?» (sono i nomi dell’esorcizzata, dei presenti, piu` un nome a caso o di qualcuno che non conosco) e la donna fa cenno di no con la testa ad ogni nome. Ho l’impressione che Lea, con gli occhi chiusi, sorrida delle domande, consapevole che si tratta di una specie di schermaglia scherzosa; anche il tono con cui l’esorcista conduce l’interrogatorio e` piu` rilassato del solito, quasi giocoso. L’interrogatorio del diavolo, di breve durata, non sempre si realizza nelle stesse forme, ma si viene a collocare nel punto centrale della fase di possessione ritualizzata. Tale centralita` non e` esattamente temporale, ne´ negli esorcismi osservati, ne´ considerando il momento in cui il Rituale colloca le domande da rivolgere al diavolo rispetto al susseguirsi delle formule. L’interrogatorio in latino, previsto dal precedente Rituale Romano e eliminato – come si e` visto – nella nuova versione, e` incluso nella serie delle preghiere iniziali che precedono i tre esorcismi veri e propri, e quindi e` sempre formulato, pur se a bassa voce e senza sortire effetti visibili; quello in italiano, invece, e` effettuato a discrezione dell’esorcista secondo criteri non esplicitati24. In questi casi – domande in latino e/o in italiano rivolte a voce alta – si puo` piuttosto parlare di una centralita` strutturale in 24
Ne proporro` una possibile interpretazione quando analizzero` gli esorcismi nella prospettiva di tempi piu` lunghi, cioe` nella loro ripetizione.
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quanto, nell’ipotesi dell’esorcismo come produttore di possessione rituale, ora si raggiunge il culmine del processo identificatorio dell’esorcizzata con l’entita` malefica, a cui seguira` una fase, per cosı` dire, discendente di segno opposto. Rivolgendosi al diavolo direttamente, e non piu` alla persona sofferente, l’esorcista gli ordina in modo imperativo e con forza di rivelare il suo nome, l’eventuale presenza di piu` demoni e, secondo i casi, tempi e modi della sua fuoriuscita. Le ingiunzioni in latino sono comunque proferite perche´ contenute nelle formule rituali, ma non sempre risultano comprensibili all’esorcizzata, perche´ oltre ad essere in una lingua sconosciuta, sono in genere dette sottovoce. Nella maggior parte di questi casi non si sono riscontrate risposte. L’interrogatorio in italiano, invece, che a volte segue quello in latino, si effettua quando l’esorcista ritiene di essere in presenza di influenze maligne, in base ad un insieme di segni gia` riscontrati nel corso degli esorcismi. Quando esso si verifica, la posseduta e` in genere costretta a rispondere, non solo dagli ordini insistenti del prete ma anche dalle pressioni fisiche o dai colpi che subisce. Indipendentemente dal fatto che l’interrogatorio, in latino o in italiano, ottenga l’effetto desiderato, che nella maggior parte dei casi e` parziale, esso e` sempre uno strumento che ha lo scopo di provocare la manifestazione del diavolo, richiedendo, per la prima volta, alla persona esorcizzata-diavolo incarnato di pronunciarsi direttamente e verbalmente. Si presuppone, cioe`, che tutti i procedimenti rituali svolti abbiano sostanzialmente gia` prodotto l’identificazione. Far entrare esplicitamente in campo l’entita` maligna significa dare ritualmente la possibilita` alla posseduta di portare a compimento e di mostrare l’assunzione completa del ruolo. Essa ora e` il diavolo, un determinato diavolo, a cui l’esorcista si contrappone come rappresentante di Dio in maniera ancora piu` forte che nei momenti precedenti dell’esorcismo: su un piano metafisico a fronteggiarsi sono il diavolo e Dio. Forse non sarebbe errato considerare anche l’esorcista un «posseduto», da entita` soprannaturali che la religione cattolica valorizza positivamente, certo, ma proprio per questo capace di opporsi materialmente e simbolicamente all’indemoniata. Benche´ il sacerdote non sembri attribuire grande valore al nome in se´ – si tratta comunque del diavolo – e consideri le altre eventuali risposte circa la data e le modalita` dell’uscita con cautela – il diavolo e` bugiardo –, la nominazione soprattutto acquista una certa rilevanza
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sotto due aspetti. Dal punto di vista della costruzione della possessione ritualizzata, essa rappresenta, all’interno del singolo esorcismo e nel susseguirsi delle sedute, il momento in cui l’identificazione tra soggetto ed entita` diabolica e` compiuta e verbalmente espressa. Confrontando gli interrogatori di Sara nei vari esorcismi, si nota – ad esempio – che inizialmente la donna non risponde o emette urla, suoni inarticolati, espressioni glossolaliche, mentre dopo circa un anno che si sottopone al rito i diavoli che si dichiarano sono tre. Dal punto di vista dell’esorcista, il fatto che il demone sveli la sua identita` rappresenta sia la conferma della possessione che un segno di cedimento del demone, dato che esso tenderebbe a nascondersi per non dar modo agli strumenti esorcistici di cacciarlo. La rivelazione del nome, che in quest’ottica lo renderebbe piu` vulnerabile, corrisponde in altri termini ad un significativo passo avanti nel suo addomesticamento. Ma in quale senso specifico cio` darebbe piu` potere all’esorcista? Come chiaramente si esprimono i carismatici a proposito della nominazione del male nelle preghiere di liberazione, che sono di fatto delle pratiche di tipo esorcistico, «essere capaci di nominare, conoscere il nome, e` avere potere su» (Renouveau Charismatique 1979: 49). La tradizione cattolica attribuisce infatti un grande valore alla funzione del nome che riassume l’essere, l’identita` di chi lo porta. Gia` all’inizio della creazione si trova che Dio crea il mondo assegnando dei nomi: «E Dio chiamo` la luce giorno e la tenebra notte» (Gen. 1,5); poi conferisce all’uomo la funzione di nominare: creati gli animali «li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato gli esseri viventi, quello doveva essere il loro nome» (Gen. 2, 19). In nota il commentatore ricorda che «nelle culture semitiche imporre il nome significa possedere totalmente una realta`». Per quanto riguarda piu` specificatamente l’esorcismo, il riferimento biblico alla confessione del nome e` nell’episodio dell’indemoniato di Gerasa (Luca 8, 26-39). Gesu`, riconosciuto dal posseduto che lo chiama per nome e Figlio del Dio Altissimo, domanda allo spirito il suo nome ottenendo la risposta «Legione e` il mio nome». La liberazione e` quindi preceduta dallo svelamento dell’identita` demoniaca. Il posseduto che dice il suo nome «si arrende al Cristo che e` maestro di tutti gli spiriti. [...] Allora Gesu` puo` liberare il posseduto che ha detto la verita`, gli ha svelato il nome degli spiriti che lo abitano accettando cosı` che egli eserciti il suo potere su di loro»
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(Renouveau Charismatique 1979: 49). La pronuncia del nome, che qui viene valutata come confessione della verita` e riconoscimento del potere di Gesu`, corrisponde dunque all’accettazione da parte del soggetto del codice religioso entro il quale il suo male e` interpretabile come possessione. Il potere che all’esorcista deriva dal riconoscere il nome del demone, allora, risiede innanzitutto nella capacita` ritualmente acquisita dall’indemoniata di nominare e quindi classificare e personificare il suo malessere nei termini previsti. Ecco perche´ e` importante non tanto il nome dichiarato quanto la nominazione in se´. Che poi la specifica identita` del demone, una volta scoperta, permetta all’esorcista di adeguare i suoi strumenti al tipo di personalita` diabolica che si trova davanti, e` un elemento secondario perche´ non sempre cio` si verifica. Avviene in ambito carismatico, dove gli spiriti che vengono allontanati dalle preghiere di liberazione non sono generalmente demoni con nomi classici della tradizione ma personificazioni di sentimenti e comportamenti negativi, e si chiamano, ad esempio, spirito di egoismo, spirito di odio, spirito di bestemmia...; l’individuazione dello specifico spirito comporta il ricorso alla lettura di quei passi del Vangelo significativi al riguardo. Anche l’arcivescovo esorcista Milingo sottolinea con forza la necessita` di conoscere il nome del demone che, finche´ non si rivela e non parla, sembra insensibile alle preghiere. Gli spiriti, infatti, «sanno che i nomi sono piu` importanti delle parole nell’identificazione di una persona e che un nome “significa” una persona» (Milingo 1989: 203). Inoltre, quando il nome dichiarato coincide con quello di un defunto e gli attori del rito credono nella possessione di spiriti dei morti, l’identificazione permette la recitazione di specifiche preghiere a loro destinate. Milingo e` tra coloro che sostengono la possibilita` della possessione da parte di spiriti degli antenati vendicativi (cfr. Milingo 1991), ma c’e` anche chi, nella pratica esorcistica della Chiesa anglicana, assegna un grande valore proprio alle preghiere di liberazione per i morti non in pace; tra essi sono da considerare sia coloro che non hanno avuto funerali religiosi, sia i feti abortiti. L’assegnazione di un nome a questi ultimi risulterebbe di grande aiuto nella guarigione della madre «posseduta» (Mc All 1989). Si opera cioe` simbolicamente la riconciliazione con il bambino non nato e quindi carente del battesimo e del nome, attraverso un atto che gli conferisce un’identita`; la sua liberazione da uno stato ambiguo favorirebbe quella dei parenti. Per don Amorth, comunque, «le anime dei defunti presenti in
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esseri viventi, per tormentarli, non sono altro che demoni» (Amorth 1991: 25), e non fa esempi di questo genere tratti dalla sua esperienza, ne´ io ne ho rilevati negli esorcismi osservati. Inoltre, in questi, non si riscontrano trattamenti specifici conseguenti allo svelamento del nome, probabilmente anche a causa del fatto che i demoni si attribuiscono nomi classici che non indicano una peculiare personalita` demoniaca. A proposito dell’interrogatorio e del modo di condurlo, si sara` notato nelle descrizioni riportate come don Amorth, almeno in mia presenza, non sia troppo insistente con domande relative al giorno della liberazione e agli eventuali segni; tanto meno interroga su altre questioni. Certamente egli si attiene alle indicazioni del Rituale Romano, che limita le domande necessarie da porre, escludendo quelle dettate da curiosita` su cose future ed occulte25. Non e` pero` raro che altri esorcisti conducano interrogatori piu` lunghi e particolareggiati affrontando, ad esempio, questioni teologiche. Le precisazioni del Rituale testimoniano, vietandola, che questa prassi era comune fino al 1600, ma anche in seguito non fu abbandonata e spesso serviva – come gli esorcismi pubblici e continuati in generale – a dimostrare ai protestanti il valore dell’ortodossia tradizionale e la superiorita` liturgica dei cattolici26. Il diavolo, infatti, per bocca della posseduta, confermava dogmi e verita` di fede. In tempi a noi molto vicini, padre Candido poneva a volte a persone possedute difficili domande sull’inferno, l’aldila`, il soprannaturale, a cui il soggetto – mi riporta spesso l’esempio di un dodicenne – non poteva saper rispondere. Le risposte denotavano invece una straordinaria conoscenza dimostrando che a parlare sarebbe stato un essere diabolico. In ogni caso, a don Amorth, come pure al suo maestro, cio` non e` necessario per diagnosticare la presenza di Satana. Con un soggetto esorcizzato da tempo come Giovanna egli puo` anche permettersi di condurre l’interrogatorio circa il nome in modo scherzoso, ed e` sufficiente che la donna neghi di chiamarsi con il suo vero nome –
25 «16. Exorcista ne vagetur in multiloquio, aut supervacaneis vel cuiosis interrogationibus, præsertim de rebus futuris et occultis, ad suum munus non pertinentibus; sed jubeat immundum spiritum tacere, et ad interrogata tantum respondere; neque ei credatur, si dæmon simularet se esse animam alicujus Sancti, vel defunti, vel Angelus bonum. 15. Necessariæ vero interrogationes sunt, ut de numero et nomine spirituum obsidentium, de tempore quo ingressi sunt, de causa, et aliis hujusmodi [...]» (Rituale Romano) 26 Cfr., ad esempio, Hanlon & Snow 1988, che riportano anche gli interrogatori di due sedute di esorcismi.
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oltre che con i nomi dei presenti – perche´ sia comunque confermato che a parlare sarebbe una personalita` estranea soprannaturale27. La nominazione, come si e` gia` accennato, esprime quindi essenzialmente la disponibilita` e la capacita` dell’esorcizzata a rappresentarsi all’interno del modello della possessione che l’esorcismo presuppone, e apre un ulteriore canale di comunicazione, questa volta verbale, tra l’esorcista, il soggetto e l’essere possessore. In questa prospettiva, pur tenendo conto delle differenze rilevanti tra la possessione diabolica nella cultura occidentale cristiana e quella di specifici spiriti nelle societa` extra-occidentali, l’identificazione dello spirito tramite la rivelazione del nome sembra rispondere in entrambe alla stessa logica. Boddy, che analizza il sistema di possessione zar in un villaggio del Sudan musulmano settentrionale, afferma: Identificare lo spirito antagonista e` uno sviluppo cruciale, necessario sia alla guarigione della paziente che all’ulteriore azione rituale. Una volta classificato, lo spirito prima indefinito e non-comunicativo viene saldamente inserito nel dominio di cio` che e` definito. Come la personalita` dello spirito e` rivelata e la sua identita` verificata, la sua presenza e` temporaneamente ridotta a proporzioni umane. In corrispondenza, l’esperienza soggettiva della paziente – il suo problema o male – e` articolata: oggettivata ed esternalizzata. Essa, inoltre, assume dei caratteri definiti che prima non aveva. Lo spirito responsabile dell’afflizione diventa accessibile, aperto al dialogo con i terapeuti umani e, attraverso la loro mediazione, con la paziente stessa. [L’identita` rivelata dallo zar] annuncia il codice nei termini del quale puo` avere luogo una negoziazione significativa (Boddy 1989: 161).
Gia` Leiris aveva mostrato che lo zar, personaggio anche in senso teatrale, con una determinata personalita` e tratti comportamentali, deve innanzitutto essere ritualmente indotto a far conoscere la propria identita` in modo da rendere possibile un accordo che limiti modi e tempi della sua presenza nel soggetto (Leiris 1988: 52-53). Me´traux, a sua volta, riferendosi alla possessione dei loa nel vodou haitiano, aveva evidenziato come ogni dio parli e si comporti secondo il carattere che la tradizione gli attribuisce e sia dotato di 27 Incidentalmente si puo` fare un’altra osservazione: questo interrogatorio dal carattere quasi giocoso non fa pensare che anche nell’esorcismo possa entrare, come nelle possessioni rituali ad opera degli spiriti zar, per esempio, una seppur minima componente di «giocospettacolo artefatto» – per usare le parole di Lanternari (1994) – che difficilmente puo` essere scissa dalla componente di verita`?
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specifici attributi o costumi che lo caratterizzano; se lo specifico loa e` riconoscibile da un insieme caratteristico di comportamenti, la dichiarazione del nome e delle sue qualita` e` generalmente fatta dal loa stesso, se i presenti l’hanno omessa, per evitare confusione, principalmente tra posseduto ed essere possessore (Me´traux 1955: 26-49). Il nome esplicita che la condotta rappresentata nella possessione rituale appartiene all’immagine tradizionale di quel personaggio mitico. Analoga rilevanza data al momento identificatorio tramite l’interrogatorio riscontrava Gallini nell’argismo oristanese, dove l’argia che possiede e` distinta innanzitutto per stato civile e sara` sottoposta ad un trattamento di tipo esorcistico specifico secondo i suoi attributi (Gallini 1988). ` vero che quella serie di comportamenti stereotipati e perfettaE mente identificabili come tipici di un determinato spirito che si ritrova nei culti di possessione zar o vodou e nell’argismo e` assente nelle possedute da me osservate, e che niente che assomigli ad un patteggiamento o accordo con il diavolo e` ammesso dalla Chiesa cattolica; negli esorcismi del passato, pero`, si possono rintracciare analogie significative anche in questa direzione. Si pensi, ad esempio, alle Orsoline di Loudun possedute da piu` demoni, ognuno dei quali era caratterizzato e riconoscibile da un nome e da un certo comportamento (De Certeau 1980: 136-140; Jeanne de Anges 1986: 23-25); inoltre, in qualche caso – l’orsolina Jeanne des Anges o Carmette Transfi (Baurens de Molivier 1873), per citarne due – alcune richieste dei demoni relative al luogo della liberazione vengono accettate dagli esorcisti, indicando che una sorta di patteggiamento era in pratica possibile. Ad accomunare le cerimonie del culto zar e questi ultimi riti esorcistici, differenziandoli dagli esorcismi di don Amorth e, in generale, da quelli attuali, e` il carattere teatrale e pubblico del rito. Cio` indica che un insieme di modelli stereotipati stabiliti dalla tradizione, a cui corrispondono determinati nomi, e` in quei contesti e periodi storici non solo culturalmente disponibile ma anche tanto radicato e diffuso da dare luogo ad una vera e propria rappresentazione drammatizzata dell’immaginario collettivo – diabolico per l’occidente – condiviso dagli attori del rito, compresi gli spettatori. Certo, a Loudun erano anche gli stessi esorcismi che contribuivano a costruire, con la rappresentazione, una certa immagine dei demoni e delle loro caratteristiche; la condivisione, pero`, di un comune patrimonio di credenze secondo il quale, ad esempio, esisteva un demone della concupiscenza chiamato Iscaaron e un demone della bestem-
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mia di nome Behemoth, permetteva che negli esorcismi le possedute impersonassero piu` personaggi diabolici e i riti diventassero una sorta di spettacolo teatrale. Se oggi il carattere privato del rito e` fortemente consigliato dalla Chiesa per motivi di vario genere, la limitata gamma di nomi e personaggi demoniaci chiamati in causa e la corrispondente mancanza di specifiche stereotipie nella loro rappresentazione non potrebbero derivare anche dalla scarsa disponibilita` di precisi modelli e nomi su cui costruire e con cui designare personalita` diaboliche diverse? In questo senso, un ruolo fondamentale lo gioca l’esorcista che, con le sue convinzioni e tendenze, puo` ritualmente influenzare il soggetto. Non dovrebbe allora stupire che i demoni che si presentano a don Amorth si chiamino per lo piu` con i nomi tradizionali di Lucifero, Belzebu`, Satana, quando l’esorcista sostiene la fondamentale unicita` del diavolo possessore e al massimo fa una distinzione (non sempre certa) tra Lucifero e Satana, di cui Belzebu` sarebbe solo un altro nome. Se egli non esclude la possibilita` di una possessione multipla – che in qualche caso, come ad esempio per Francesca e Sara, si verifica –, ritiene comunque significativo il primo nome indicato, che corrisponderebbe al capo dei demoni, dunque, in definitiva, a Lucifero-Satana. Naturalmente il nome e l’eventuale carattere che l’esorcizzata assegna al proprio diavolo dipendono anche dalla sua storia e cultura personale, religiosa e non, e dalle circostanze della possessione. Cosı`, come suor Claire (a Loudun) aveva, tra gli altri, un demone chiamato Sans Fin, alias Grandier delle Dominazioni, il cui nome corrisponde a quello del sacerdote ritenuto responsabile dell’indemoniamento delle monache, e una conversa ospitava un certo Buffetison e Coda di cane, che non sono nomi della tradizione della Chiesa, oggi Giovanna da` il nome di Rodolfo al suo diavolo e talvolta nell’interrogatorio compare il nome della persona reale che avrebbe causato la possessione con pratiche magiche. La conoscenza dei nomi diabolici biblici, della tradizione della Chiesa, o della letteratura su casi di possessione influenzava sicuramente la scelta dei nomi dei demoni in passato. Nel caso della possessione di Aix-en-Provence nel 1610, che era il modello corrente all’inizio del XVII secolo, il demone della posseduta Louise si chiamava Verrine (Michaelis 1613). Sappiamo che il libro dell’esorcista domenicano Michaelis su questo famoso caso entro` nel convento di Loudun prestato da un esorcista alla priora e comunque la vicenda con
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i suoi particolari era sufficientemente nota a tutte le Orsoline dopo le lunghe letture di brani di quel resoconto con cui l’esorcista stesso le intratteneva (cfr. Huxley 1988: 147, 245). Non e` quindi strano che un Verrine si trovi tra i demoni possessori di una di quelle suore. Ovviamente anche in tempi piu` recenti si possono verificare casi in cui un demone e` chiamato con un nome poco conosciuto ma che appartiene al patrimonio religioso. L’anziano esorcista della Scala Santa, padre Candido, mi ha raccontato di aver avuto a che fare con il demone Zabulon che si manifestava in una giovane sposa. Questo nome era noto all’esorcista perche´ compariva nell’esegesi di Sant’Ilario, relativa ad un passo evangelico, contenuta nel vecchio breviario. Ulteriori ricerche gli confermarono che era un nome del diavolo. Continuo` ad esorcizzarlo nella donna e una volta, finito il rito, mentre la donna pregava in una cappella adiacente, Zabulon si presento` durante l’esorcismo della persona successiva. A parte il racconto dei successivi «ululati» alternati delle due possedute, che padre Candido interpreta come passaggi di Zabulon dall’una all’altra, e ammesso che la vicenda si sia svolta in questi termini, qui si vede che una volta che un nome, attinto in qualche modo dalla tradizione, entra a far parte del contesto esorcistico, e` possibile che diventi patrimonio comune28. Da questo punto di vista, non e` di cosı` grande importanza che la seconda persona esorcizzata da padre Candido abbia potuto ascoltare il nome dalla prima – cosa che l’esorcista esclude –, che una o entrambe fossero dotate di capacita` di ordine parapsicologico, come leggere nel pensiero dell’esorcista, evidentemente colpito da questo nome, o che l’esorcista l’abbia influenzata in qualche modo. Oggi, per chi non ha un’istruzione religiosa piuttosto approfondita, la serie di nomi e modelli disponibili per definire il demone e` probabilmente piu` ristretta; d’altra parte, la possibilita` che venga scelto un nome significativo solo per la posseduta si riscontra sia oggi che nel passato. In conclusione, il nome dello spirito maligno sembra attualmente meno importante. La confessione del nome resta invece l’atto che esprime l’identificazione rituale della posseduta con l’essere che la abita e dunque completa sul piano verbale l’accettazione del codice esorcistico gia` manifestata con comportamenti conformi; nello stesso tempo inaugura una possibile comunicazione verbale da tenersi nei termini stabiliti dall’esorcista sulla base delle norme del Rituale. 28
Si puo` notare che Zabulon era anche uno dei demoni possessori a Loudun.
6 LE «MATERIE» RITUALI
Alla fine dell’esorcismo, il sacerdote chiede a Leda se le capita nella vita quotidiana di avere conati di vomito con saliva densa – che durante gli esorcismi da me osservati la donna non ha mai presentato – aggiungendo che tale espulsione puo` essere liberatoria. Leda risponde di no; poi aggiunge che per circa due giorni ha avuto vomito e diarrea; le sembra che cio` sia avvenuto nel giorno del digiuno. L’esorcista: «Prende sempre l’olio esorcizzato la mattina a digiuno?». ` meglio a Leda: «Sı`, con acqua e sale». L’esorcista: «A digiuno? E digiuno», e si appresta alla benedizione della lattina d’acqua che la donna ha portato. «Oggetti benedetti contro oggetti caricati di maledizione» (Salvucci 1992: 250), cosı` l’esorcista Salvucci sintetizza il principio che regola il rapporto tra l’assunzione di olio, acqua e sale esorcizzati e l’attesa eliminazione del materiale maleficiato; ma anche elementi naturali contro sostanze che potremmo definire «snaturate» perche´ il cibo affatturato viene sviato dalla sua originaria funzione nutritiva per diventare cibo di malattia e di morte. In ogni caso, che si tratti di unzioni, ingestione o «profumo» dell’olio benedetto, la logica simbolica opera sempre in base al principio di opporre qualita` contrarie secondo un movimento dall’esterno verso l’interno del corpo che ricalca quello dell’indemoniamento (il demone entra e prende possesso) e dovrebbe produrre il movimento opposto di fuoriuscita dell’entita`-sostanza malefica. D’altra parte tutta la procedura esorcistica e` condotta sotto forma di un’esteriorizzazione: il passaggio dall’interno all’esterno non si ritrova solo nell’esito finale della liberazione ma nella traduzione
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del male-malessere del soggetto in comportamenti visibili, stereotipati come passaggio dall’inesprimibile o indefinito all’esprimibile e codificato; nella nominazione del diavolo come passaggio da cio` che si nasconde e non ha una precisa identita` allo svelamento e identificazione, oltre che nei tentativi di materializzazione del male all’esterno del corpo tramite conati di vomito che anche la somministrazione dell’olio ha lo scopo di produrre. A questo proposito, un altro tratto va sottolineato: quando si suppone che l’origine della possessione sia dovuta ad una concreta sostanza affatturata che si introduce nel corpo della vittima, tra gli atti esorcistici si inserisce un’operazione altrettanto concreta che ricorre a sostanze materiali con lo scopo di ottenere un effetto visibile, vale a dire l’espulsione del maleficio. Anche se non sempre si tratta di quei veri e propri oggetti (chiodi, pezzi di vetro, sassi, fili annodati...) di cui spesso narrano le storie di possessione e anche alcuni esorcisti moderni, e si espelle saliva densa o altre sostanze organiche, l’importanza che si attribuisce alla materializzazione della liberazione in qualcosa di visibile e agli agenti naturali di essa sembra suggerire che una concezione del «sacro concreto»1 e` presente in maniera significativa nel sistema esorcistico. Essa, sempre in ambito esorcistico, si esprime anche nell’uso di immagini sante o nell’efficacia attribuita ai pellegrinaggi a certi santuari, e indica che l’esorcismo attuale – almeno quello da me osservato – costruisce la sua efficacia su forme di religiosita` popolare che dalla concretezza sono caratterizzate. Esaminero` ora il significato simbolico, l’impiego nella «terapia» rituale dell’indemoniamento e il ruolo nella dinamica del rito di tre materie: acqua, sale, olio. Sostanze di comune uso liturgico, negli esorcismi acquistano una specifica valenza antidemoniaca e figurano tra gli operatori simbolici della possessione ritualizzata. Rispetto alla sequenza rituale si collocano in vari momenti e possono essere impiegate sotto diverse forme assumendo anche significati diversi. Tutte e tre le sostanze, sottoposte alle benedizioni esorcistiche contenute nel Rituale Romano2, sono considerate sacramentali, cioe` «segni sacri con cui, per una qualche imitazione dei sacramenti, 1
«Questo sacro concreto e` ancora presente nel modo in cui gli elementi naturali intervengono nei testi e nei rituali: e` un serpente che conduce Eva al peccato; i Vangeli ci ` infine nel pane e nel vino, nell’olio e nel parlano di perle, di maiali e, certo, di profumi. E balsamo, nell’acqua e nel sale che la Chiesa trova il lessico che le permette di esprimere il sacro» (Albert 1990b: 342-243). 2 Si possono consultare anche in Salvucci 1992: 307-310.
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vengono significati e ottenuti effetti soprattutto spirituali, per l’impetrazione della Chiesa» (Codice di Diritto Canonico, canone 1166). Come si e` visto, anche l’esorcismo per i posseduti e` un sacramentale; dunque i tre elementi di cui si tratta sono – da un punto di vista dottrinale – della stessa natura dell’azione esorcistica vera e propria e la vanno ad integrare come utili sussidi. Se si considera la distinzione che il vecchio Codice operava tra i sacramentali suddividendoli in «cose» ed «azioni», acqua, olio e sale appartengono al primo gruppo, le preghiere e le invocazioni esorcistiche al secondo. Puo` essere utile sottolineare questa distinzione per evidenziare meglio come nella pratica di don Amorth – e di diversi altri esorcisti contemporanei o del passato – si senta l’esigenza di ricorrere al piu` ampio spettro di sacramentali, rafforzando l’azione di quelli verbali e gestuali con quelli che, pur investiti di un particolare potere spirituale in seguito alle specifiche benedizioni che li rendono «veicoli di grazia», rimangono comunque oggetti e sostanze materiali, concreti. Grazie a questa loro natura possono essere facilmente usati anche al di fuori della seduta esorcistica, in assenza del sacerdote, e secondo modalita` che si possono definire profane, ad esempio nell’alimentazione. Inoltre, come si vedra`, ci si aspetta da essi effetti non soltanto spirituali ma, a volte, concretamente visibili, e sembra lecito ipotizzare che cio` sia dovuto al loro agire direttamente sul corpo della supposta indemoniata, su alcuni organi e/o sensi che si ritengono significativi perche´ investiti dall’azione diabolica o rivelatori di possessione.
1. L’acqua Naturalmente l’acqua benedetta trova largo impiego in tutta la liturgia e ricopre un ruolo fondamentale soprattutto nel battesimo. Come ricorda don Amorth, il suo effetto esorcistico – «la difesa dalle insidie del maligno» – e` solo uno dei benefici che derivano dal suo uso, gli altri essendo il perdono dei peccati e la protezione divina (Amorth 1991: 109). Invece, l’acqua usata nell’esorcismo sotto forma di aspersione o da bere ha, secondo la formula della benedizione per esorcizzarla e nelle intenzioni del sacerdote, lo scopo specifico di allontanare il diavolo e le sue influenze spirituali e fisiche su uomini e luoghi. Negli antichi riti di iniziazione cristiana e battesimale, in cui la maggior parte degli atti e delle parole liturgiche avevano un senso esorcistico, anche l’acqua battesimale – come l’olio – era esorcizzata
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prima di procedere all’immersione del candidato o alla sua aspersione (Torre 1970a: 1244-6; Torre 1970b: 1606 e sg.). Non si riscontra invece l’uso dell’acqua benedetta negli esorcismi sui posseduti della prima tradizione cristiana; secondo Bodin fu il papa Alessandro I che la introdusse (Bodin 1589; Righetti 1959: 542). Comunque, essa ha assunto in seguito l’importante funzione di utile, anche se non sufficiente, mezzo anti-demoniaco e rivelatore di possessione perche´ ritenuta particolarmente sgradita dal diavolo. Nella chiesa medioevale vi si faceva ampio ricorso, insieme al sale. «Poteva essere usata per scacciare spiriti maligni e vapori pestilenziali; era un rimedio contro la malattia e la sterilita`; con essa si benedicevano case e alimenti; ma era oggetto di disputa teologica se operasse automaticamente o soltanto quando l’officiante era dotato di sufficiente santita` personale [...]. Opinione comune era che il diavolo fosse allergico ad essa, e dovunque se ne sospettasse l’influsso l’acqua santa costituiva l’adeguato rimedio» (Thomas 1985: 33-4). Cio` non vale solo per l’Inghilterra, a cui si riferisce l’autore del brano citato, ma per tutta l’Europa cristiana, e trova inoltre riscontro nelle pratiche odierne. Oggi non e` piu` in discussione che l’efficacia di questo e degli altri sacramentali sia legata alla fede di chi l’utilizza, anche se nel ricorso che vi fanno i fedeli puo` permanere la fede nell’efficacia di tipo magico dell’oggetto o dell’atto in se´. Rimane invece l’idea che l’acqua esorcizzata giovi al ristabilimento della salute anche fisica. Certo, negli esorcismi osservati, i mali di cui soffre l’esorcizzata sono totalmente o in parte ricondotti ad un’origine diabolica, ma e` comunque nell’aspetto fisico, corporeo che si va ad agire soprattutto quando l’acqua e` fatta bere e se ne prescrive l’uso per ingestione nella vita quotidiana. Mentre, come si vedra`, l’aspersione e l’atto di bere l’acqua possono assumere valenze specifiche, in correlazione agli altri momenti del rito in atto, e` proprio sullo slittamento di significato tra impiego dell’acqua esorcizzata all’esterno e all’interno del corpo che ora vorrei soffermarmi. Una prima differenza riguarda proprio la materialita`, la «fisicita`» – per cosı` dire – degli effetti che ci si attende nei due casi. Mentre l’aspersione puo` provocare gesti di rifiuto, agitazione motoria, cioe` manifestazioni esteriori di presenza diabolica, l’acqua ingerita sistematicamente fuori dall’esorcismo ha anche lo scopo di aiutare a liberarsi concretamente dell’influsso diabolico, per esempio sotto forma di sostanze organiche o oggetti maleficiati.
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Questa proprieta` e` condivisa con l’olio esorcizzato e va ad incidere particolarmente su alcuni mali fisici o segni, come mostrero` meglio parlando dell’olio, che in tal senso e` ancora piu` specifico. Il generico valore purificatorio dell’acqua santa acquista dunque un significato piu` preciso quando entra nel corpo, lo attraversa; l’azione esorcistica interna mira anche all’espulsione materiale del male e completa quella esterna operata, tra l’altro, dall’aspersione. La presenza diabolica che agisce su tutto il corpo e` combattuta su tutti i fronti, compreso gli organi interni. Tale lettura rende conto dell’utilizzo dell’acqua esorcizzata soltanto ad un primo livello e si basa sulle spiegazioni che lo stesso esorcista fornisce, anche se egli non problematizza la distinzione tra uso esterno ed interno. Essa andra` quindi integrata da un’interpretazione in termini simbolici che consideri anche una possibile diversa attribuzione di senso all’atto di bere l’acqua esorcizzata fuori dal contesto rituale da parte delle persone esorcizzate. Avanzero` un’ipotesi dopo aver trattato dell’olio e del sale in quanto sembra rilevante, al di la` delle differenti proprieta` delle tre sostanze, il loro uso congiunto ed extra-rituale. Per quanto riguarda la caratteristica antidemoniaca dell’acqua santa in generale, ci si puo` intanto chiedere da dove tragga il suo valore simbolico. Al di la` del valore sacramentale conferitogli dalla specifica benedizione che opera il passaggio da materia comune, di uso profano, ad elemento sacralizzato e sacralizzante, perche´ essa risulterebbe cosı` odiosa al diavolo? Perche´ proprio l’acqua? Ragionando in termini di categorie oppositive tra elementi si puo` trovare una possibile risposta che vada oltre una spiegazione basata sulla peculiarita` purificatrice e rigenerante di questa sostanza, che la renderebbe adatta a significare simbolicamente un cambiamento, in questo caso il passaggio auspicato da una condizione negativamente connotata di possessione e/o contaminazione ad una liberazione e ritrovata integrita`. Quando c’e` di mezzo il diavolo sembra opportuno considerare l’acqua in opposizione al fuoco, che e` uno degli attributi classici dell’universo diabolico. Esso e` nelle rappresentazioni dell’inferno e nel calore del corpo della posseduta che, in preda ad agitazione, tenta di opporsi all’intervento esorcistico; e` nel sudore, nel rossore del viso, nella sofferenza che la fa urlare. «Corpo consumato dall’interno, bruciato dall’inferno, intirizzito di malinconia, il cadavere dell’affatturato e` il ritratto [...] chiaramente inverso di quello del corpo intatto e odoroso dell’uomo santo»
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(Houdard 1992: 149). Cosı` Houdard commenta le affermazioni del giudice Boguet – chiamato a giudicare diversi casi di stregoneria in Francia negli ultimi anni del XVII secolo – a proposito del progressivo «rinsecchimento» dei corpi delle persone affatturate3. Anche se in questo caso l’affatturata e` la strega, quindi colpevole di patto con il demonio, il corpo secco, «segno sicuro dell’affatturamento», e` un attributo che vale per chiunque si trovi sotto l’influenza demoniaca, per scelta deliberata o come vittima4. Tralasciando di considerare l’accostamento per contrasto fatto da Houdard tra il cadavere della strega e quello del santo, che esula dalla presente analisi, e` sufficiente qui ritenere che e` il rapporto con il fuoco dell’inferno stabilito tramite l’appartenenza – ricercata o meno – di un individuo al diavolo a qualificare simbolicamente il suo corpo come arido, secco, 5 consumato . Dunque la posseduta e` dalla parte del fuoco e il trattamento con l’acqua esorcizzata a cui e` sottoposta tende a contrastarlo, a spegnerlo, come a ripristinare la giusta proporzione tra secco ed umido, per riportare l’indemoniata dal lato opposto. Quest’azione di contrasto dell’acqua rispetto al fuoco e` molto spesso avvertita dall’esorcizzata secondo un’inversione del valore e dell’effetto reale della sostanza. Infatti, nelle descrizioni degli effetti dell’aspersione esorcistica su indemoniati, la persona esorcizzata reagisce gridando «Mi brucia!», o racconta in seguito di aver provato un’insopportabile sensazione di calore al contatto dell’acqua benedetta sulla pelle. Come esempio valga quello di Agostino e Geltrude, esorcizzati alla Consolata di Torino nel 1800: dopo gli esorcismi entrambi dicono che l’acqua santa pare loro fuoco (Borello 1988: 287 e 290)6. 3
Ci si riferisce all’opera di H. Boguet, Discours exe´crable des sorciers, pubblicata per la prima volta nel 1602. 4 Un episodio evangelico in cui Gesu` guarisce un indemoniato sembra indirettamente confermarlo; nella versione riportata da Cocchiara di Marco IX, 17-18, si legge che un uomo cosı` si rivolge a Gesu`: «Maestro, io ti avevo menato un mio figliolo, che ha uno spirito mutolo. E dovunque esso lo prende lo dirompe e allora schiuma e stride de’ denti e divien secco» (Cocchiara 1945: 102-103. Corsivo mio). Bisogna comunque aggiungere che in una traduzione piu` moderna dello stesso passo l’aggettivo «secco» e` sostituito da «rigido», che indica meglio la fase conclusiva di una crisi di tipo epilettico come quella che affliggerebbe il ragazzo in questione. Cfr. La Bibbia 1989. 5 Cfr. Jacques-Chaquin 1992. 6 Anche il contatto con altri oggetti sacri o con il sacerdote puo` provocare gli effetti di una sensazione di calore o bruciore. Sara ne parla ricordando la prima volta che venne portata da don Amorth: «come mi si avvicinava [il sacerdote] io urlavo sempre di piu`, e dice che mi ha messo una mano sulla spalla e io cominciai a urlare come una pazza, sentivo un bruciore come se m’avesse messo un fuoco, m’avesse bruciato con un ferro rovente, una cosa incredibile».
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L’inversione del valore «rinfrescante» dell’acqua che dovrebbe spegnere il fuoco diabolico e invece diventa essa stessa fuoco per le possedute corrisponde all’inversione simbolica che caratterizza tutto il mondo demoniaco rispetto a quello cristiano e divino. Essa si esprime sul piano della percezione tattile e del comportamento ricorrendo alla coppia di opposti acqua/fuoco: non solo il segno positivo attribuito alla prima dalla religione cristiana viene cambiato in negativo, ma i due poli vengono invertiti attribuendo gli effetti dell’uno all’altra. Tale inversione, per gli attori del rito, indica che e` il diavolo nel corpo della posseduta ad agire e reagire. Nel senso sopra indicato si potrebbe interpretare anche il valore positivo attribuito al pianto di alcune esorcizzate durante il rito. Dopo pochissimi minuti dall’inizio dell’esorcismo – apparentemente in corrispondenza dell’aumentare delle pressioni dell’esorcista sullo stomaco – Gabriella comincia a piangere. Il sacerdote continua l’esorcismo ma cerca di sdrammatizzare rassicurandola con una battuta scherzosa sul pianto e tutti sorridono, compresa la ragazza. Il suo comportamento non e` violento: non cerca di resistere ne´ di opporsi in alcun modo; ha gli occhi pieni di lacrime, fa qualche breve ` la terza volta che Gabriella si sottopone ad esorcismi. urlo... E Secondo don Amorth, la prima volta, appena seduta e come il sacerdote le mette la mano sul capo, fa un grande urlo seguito da un pianto come di liberazione. Al secondo esorcismo non ha dato nessun segno; al terzo: urla, mal di stomaco e pianto. Per don Amorth il piangere durante l’esorcismo sarebbe tipico della liberazione ed e` generalmente seguito da benessere; puo` accadere che posseduti si liberino con il pianto. Anche se e` possibile intendere in senso piu` psicologico che diabolico questa forma di liberazione, non e` da escludere un’interpretazione che consideri le lacrime dell’esorcizzata, segno di cedimento o di resa dell’essere possessore, come un elemento visibile che simbolicamente si oppone all’aridita` del corpo demoniaco. D’altra parte, nella tradizione demonologica, si e` attribuito un considerevole valore all’incapacita` delle streghe di piangere; non a caso Houdard tratta della prova delle lacrime, a cui le imputate nei processi di stregoneria erano sottomesse, proprio prima di rilevare come l’immagine del corpo delle streghe, che si disegna nelle procedure esorcistiche descritte da Boguet e in altri processi di stregoneria del 1600, sia quella di un corpo secco, bruciato dalle fiamme infernali. «Le lacrime, questo dono proprio dei santi [...] sono precluse agli
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uomini del diavolo» e le spiegazioni addotte dal giudice della Controriforma ricalcano quelle contenute nel Malleus Maleficarum del 1486-87, che rimane il modello delle successive procedure inquisitoriali e da cui i trattati di demonologia dei secoli seguenti non possono prescindere. Cosı` Institor e Sprenger suggeriscono di continuare negli interrogatori e nei «tormenti» dell’imputata che resta in silenzio: [il giudice] cerchi di accorgersi se possa piangere quando sta davanti a lui o quando e` esposta ai tormenti. Infatti proprio questo fatto, secondo quanto riferiscono antichi racconti degnissimi di fede e secondo quanto insegna la propria esperienza, e` stato trovato finora come un segno certissimo; se e` davvero una strega non puo` versare lacrime. [...] Se poi si cerca la causa dell’impedimento del pianto nelle streghe, si puo` dire che e` perche´ la grazia delle lacrime nei penitenti e` annoverata fra i doni principali. Infatti, come afferma Bernardo, un’umile lacrima penetra il cielo e vince l’invincibile; ed e` fuor di dubbio che questo ovviamente dispiace moltissimo al nemico della salvezza, e percio` nessuno dubiti che egli con i massimi sforzi le ostacoli in questo affinche´ intervenga l’impenitenza finale (Institor e Sprenger 1988: 385-86).
Se la strega, colpevole, non puo` piangere e qualora lo faccia le sue lacrime sono considerate false perche´ astuzie diaboliche, la posseduta in quanto vittima incolpevole manifesta con il pianto il sottrarsi almeno in parte all’influenza diabolica. Le lacrime raggiungono Dio, creano una comunicazione con l’avversario del demonio; segno tangibile di una non aridita` interiore, come l’acqua santa a cui ricorre l’esorcista, si oppongono su di un piano simbolico al fuoco che le indemoniate a volte sentono dentro. Accomunare questi due elementi nell’opposizione al fuoco non deve pero` impedire di cogliere le differenze nel tipo di relazione che ciascuno di essi ha con il termine simbolicamente opposto e il rapporto che hanno tra di loro. Se consideriamo le sofferenze della posseduta come l’equivalente simbolico del fuoco infernale portato sulla terra, l’impiego dell’acqua esorcizzata da parte del rappresentante di Dio segue un movimento contrario che va dal cielo alla terra tramite la mediazione dell’esorcista. Le lacrime, invece, salgono dalla posseduta – dalla terra – al cielo, a Dio, ripristinando la relazione che l’intervento diabolico vuole impedire e nello stesso tempo seguendo una direzione opposta a quella che valorizza l’azione dell’acqua santa. Mentre quest’ultima e` uno strumento, le altre sono un effetto dell’esorcismo. Si puo` dire che il pianto preannuncia o sancisce sul
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piano delle reazioni soggettive il ristabilimento di quella relazione con Dio a cui anche l’acqua esorcizzata, come l’esorcismo in generale, tende su di un piano rituale e sovrapersonale. Tra acqua e lacrime non c’e` quindi identita` se non nella posizione oppositiva che assumono rispetto al mondo diabolico caratterizzato dal fuoco e dalla secchezza. Per concludere con l’analisi del significato simbolico dell’acqua – che riprendero` per completarla insieme a quella di olio e sale – riporto uno stralcio della testimonianza di un «colpito» dal diavolo liberato dagli esorcismi: «La sofferenza era arrivata alle stelle, cominciai a gridare, a contorcermi in terra come se avessi il fuoco dentro e invocai la Madonna [...]. Ero stato a vedere l’inferno» – e continua narrando del primo esorcismo – «dopo un po’ una rugiada fresca, anzi gelata, mi scese dalla testa al resto del corpo. Per la prima volta, dopo quasi un anno, la febbre mi lasciava» (Amorth 1991: 94-95; corsivi miei). Rugiada fresca contro febbre e fuoco infernale. La sensazione soggettivamente avvertita in questo caso conferma l’opposizione fra gli elementi acqua e fuoco, sulla quale si e` basata l’interpretazione dell’avversione di Satana all’acqua esorcizzata e del conseguente suo impiego come strumento antidemoniaco.
2. Il sale Un’altra spiegazione e` stata avanzata a questo proposito. Essa collega direttamente al secondo elemento da trattare: il sale. Secondo Conway il diavolo odia e teme l’acqua perche´ e` salata; molte religioni la usano quindi per purificazioni ed esorcismi (Conway 1880, v. II: 216-218, 297). Far dipendere l’uso esorcistico dell’acqua dalla caratteristica di essere naturalmente salata e quindi da una fondamentale e originaria avversione dei demoni per il sale, puo` non essere un’ipotesi del tutto priva di fondamento. L’affermazione andrebbe comunque contestualizzata. Quello che si rileva nella pratica cristiana cattolica e` ad ogni modo l’immissione di un po’ di sale esorcizzato durante la benedizione esorcistica dell’acqua. Vale a dire che, se non si dispone gia` di sale esorcizzato, si procede preliminarmente al suo esorcismo per poi continuare con quello dell’acqua e infine unire le due sostanze mettendo il primo nella seconda sotto forma di segno di croce. Il gesto e` accompagnato dalla formula:
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Commixtio salis et aquae pariter fiat, in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti (cfr. Salvucci 1992: 248, 307-309). La funzione antidemoniaca dell’acqua si lega dunque a quella del sale che ne e` un elemento necessario e costitutivo. Il rapporto esiste ed e` evidente ma in genere rimane nelle intenzioni della Chiesa e dell’officiante la benedizione delle due sostanze. Nell’uso che poi se ne fa da parte di esorcisti ed esorcizzate queste ultime acquisiscono una valenza simbolica che puo` diversificarsi. Ammesso che l’avversione del diavolo per il sale sia all’origine di quella per l’acqua, non e` escluso che nella pratica il ricorso all’acqua esorcizzata si configuri secondo attributi simbolici dotati di una certa autonomia e interpretabili nel senso prima da me suggerito. Resta in ogni caso da spiegare perche´ i demoni aborrono il sale. Prima di considerare le ipotesi avanzate da altri per valutare il loro interesse in relazione allo specifico contesto esorcistico, ne considero l’impiego negli esorcismi osservati. Il sale esorcizzato e` presente durante i riti sotto due forme: disciolto nell’acqua esorcizzata utilizzata nei modi sopra indicati e solido nel barattolo posto sul tavolo insieme ad altri oggetti. Nel primo caso non sembra un elemento particolarmente rilevante in quanto nella benedizione dell’acqua che sara` data da bere alle esor` invece verosimile cizzate non ho riscontrato l’immissione di sale. E che l’acqua contenuta nell’aspersorio sia stata precedentemente esorcizzata secondo la procedura completa con aggiunta di sale. Per il resto, il sale nel recipiente non e` mai stato utilizzato in mia presenza anche se e` evidentemente previsto un suo uso eventuale. Dove invece il sale assume una certa importanza e` nell’uso individuale ed extrarituale. L’esorcista consiglia infatti di prenderlo per via orale insieme ad acqua ed olio, in particolare quando l’origine dell’influenza o possessione diabolica e` stata individuata in un maleficio subito ingerendo qualcosa di affatturato, nel qual caso «quasi sempre si verifica quel particolare male di stomaco [...] che denota il bisogno di una liberazione o per via fisiologica o vomitando» (Amorth 1991: 131). La proprieta` specifica del sale esorcizzato, che e` utile per cacciare i demoni e per la salute di anima e corpo, e` comunque quella di proteggere i luoghi, per cui l’esorcista consiglia in certi casi «di porre del sale esorcizzato sulla soglia di casa e nei quattro angoli della stanza o delle stanze che si ritengono infestate» (Amorth 1991: 111). Lo stesso sostiene l’esorcista Salvucci, che sottolinea la possibilita` di usarlo nella cucina in modo che entri giornalmente nel corpo insieme all’olio esorcizzato (Salvucci 1992: 249).
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Uso al di fuori della seduta esorcistica, impiego per ingestione, rapporto con malefici ingeriti e da espellere: questi sono gli elementi sui quali si basera` l’analisi conclusiva della funzione simbolica delle tre sostanze. Considerero` ora quali proprieta` specifiche renderebbero il sale odioso al diavolo dotandolo di un effetto apotropaico. In genere si sostiene che esso e` il simbolo dell’alleanza di Dio con il suo popolo, della incorruttibilita` e quindi della durata, e della sapienza. Con tali significati esso entra nel rito del battesimo e in quello dell’acqua benedetta, oltre che in altri momenti liturgici (ad esempio consacrazione della chiesa e dell’altare). Preservare dalla corruzione di mali fisici e morali, e dare sapore ai cibi sono le qualita` che ne avrebbero fatto il simbolo della «lotta contro la putredine del peccato» e della sapienza intesa come dono divino, che deve contraddistinguere la vita del cristiano dandogli un peculiare gusto delle cose celesti (Picozzi 1902-1906: 602; Siffrin 1949 sg.: 1653-1654; cfr. Conway 1880, v. I: 288). Sulla prima qualita` insisteva Bodin nel 1500 per spiegare perche´ i diavoli non sopportano il sale: esso e` «segno dell’eternita`, & purita`, percioche´ non si corrompe, no putrefa giamai, & conserva le cose da corruzione, & putrefazione, & il diavolo non cerca se non la corruzione, & dissoluzione delle creature, come Iddio la generazione» (Bodin 1589: 120). Nelle credenze e nelle pratiche popolari si trova spessissimo l’idea dell’incompatibilita` di sale e diavolo, estesa anche alle streghe in quanto agenti demoniaci o esseri comunque malefici. Da qui il suo impiego antistregonesco e contro gli spiriti maligni che va dal potere attribuito al sale (e all’acqua) nelle orazioni per scongiurare le malie delle streghe, all’uso di mettere un po’ di sale in bocca agli epilettici durante l’accesso perche´ si ritengono «occupati dal diavolo», a quello di metterne sullo sputo che le persone considerate ossesse erano costrette a produrre (Pitre` 1980, v. IV: 111, 138; Zanetti 1978: 84-85; Pitre` 1981: 437). Il sale e` insomma usato in tutte quelle pratiche destinate a proteggere uomini e animali da malocchio e fatture (Pitre` 1980, v. III: 230; 426). L’ipotesi di Cocchiara secondo la quale l’origine della credenza che il diavolo rifugge dal sale risiede probabilmente nella benedizione divina di cui la Chiesa lo ha investito con uno specifico esorcismo, mentre indica il peso che la Chiesa ha avuto nella costituzione della simbologia del sale nell’Europa cristiana, non sembra del tutto soddisfacente in quanto non rende conto delle qualita` che hanno fatto del sale uno strumento antidiabolico (Cocchiara 1945: 204).
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` a partire dalle sue proprieta` naturali di «durevolezza e immuE nita` dal deperimento» che il sale si e` prestato a molte accezioni metaforiche7 – simbolo di eternita`, incorruttibilita`, saggezza – diventando un mezzo antidemoniaco laddove il diavolo si colloca dalla parte di cio` che e` destinato al disfacimento (mali del corpo e dello spirito), del corrotto, del putrido. Secondo queste categorie oppositive la persona che si trova sotto l’influenza diabolica puo` essere vista come sottoposta ad un processo di trasformazione negativamente connotato (corruzione, disfacimento) analogo a quello di una materia che si guasta, marcisce e si decompone se non e` sottoposta ad un procedimento conservativo quale, ad esempio, la salatura. Questo processo il sale divino dovrebbe contrastare, restituendo integrita` e salute8. Due credenze piuttosto diffuse possono in particolare offrire spunti per integrare l’interpretazione del ricorso al sale nell’esorcismo: esse riguardano l’assenza di sale nei cibi delle streghe e i pericoli che derivano dalla mancanza di battesimo o da una sua incompletezza. Pitre`, riferendosi al noce di Benevento, riporta che «le streghe tengono un notturno banchetto, nel quale tutto si trova fuorche´ il sale che piu` ancora dell’aglio, ha forza contro le malattie e le malie. Tutte le vivande sono percio` insipide, perche´ le streghe mangiano senza sale e sentono per esso profondo orrore. Il solo nome di sale porta a sciogliere quel convito»9. Il tema sembra avere una lunga storia: era gia` presente nell’immagine del sabba fin dalle sue prime elaborazioni, ad esempio nella descrizione fatta da alcune streghe tolosane del XIV secolo (Baroja 1972: 104), e si ritrova nella demonologia dei primi anni del 1600. Boguet, descrivendo il banchetto delle streghe, afferma che non vi era mai il sale per una semplice ragione: esso «rappresenta l’immortalita`, che il Diavolo odia immensamente. Dio ha chiesto che si metta 7 Jones 1972: 34 sg. Anche se il metodo – che si avvale di una comparazione indiscriminata di credenze e pratiche provenienti da contesti e tempi differenti – e l’interpretazione psicoanalitica proposta – «il sale e` un tipico simbolo del pene» – andrebbero rivisti in una prospettiva antropologica, l’A. parte dalle qualita` e dagli attributi del sale e offre molte notizie sul suo uso magico e curativo. 8 Il processo corruttivo del corpo dell’indemoniata, collocabile dal lato del putrido, non contraddice l’immagine dello stesso corpo come arido, secco, se si considera che entrambi sono modalita` con cui si opera l’impresa distruttiva diabolica (cfr. Le´vi-Strauss 1982: 443). 9 Pitre` 1980, v. IV: 109. Cfr. Baroja 1972: 124, circa l’episodio di un sabba italiano del 1526 in cui i cibi non erano salati.
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del sale in tutti i sacrifici ed offerte che gli saranno consacrate; e` cosı` che ce se ne serve nel battesimo, che e` un antidoto supremo contro la potenza del Diavolo. Si puo` anche aggiungere che, siccome il sale e` segno di saggezza, Dio, per un segreto giudizio, non permette che se ne usi al sabba, al fine di provare agli stregoni che tutto quello che fanno e` pura follia». Inoltre si dice che tutti gli stregoni riconoscono che il cibo mangiato al sabba non ha alcun gusto e che la carne non e` altro che carne di cavallo (Boguet, cit. in Salmann 1989: 145; 150). Uno spostamento dal piano della spiegazione interna alla tradizione cattolica e demonologica a quello del significato simbolico soggiacente alla rappresentazione «mitica» della cucina stregonesca senza sale, permette di considerare il sale non solo come una sostanza divina quanto come un alimento umano e culturale. Un ingrediente, cioe`, che entra nelle operazioni culinarie dell’uomo aggiungendo al cibo un particolare sapore o permettendone la conservazione e quindi la disponibilita` in tempi piu` lunghi. La salatura e` dunque tra i procedimenti che implicano l’intervento culturale dell’uomo nel rendere commestibili gli alimenti. La cucina diabolica – insipida, senza gusto – e` allora pensata secondo un’inversione dei termini che caratterizzano quella umana – salata o comunque saporita, condita10. Verdier ricorda che la tradizione orale raffigura le streghe «nell’inversione materiale», come donne «che utilizzano la loro attrezzatura domestica a fini “contro-culturali”, con una scopa come cavalcatura e un paiolo dove si elabora una cucina immonda votata ad un’opera di morte» e che presuppone l’infanticidio per procurarsi gli ingredienti necessari (Verdier 1979: 343). Cucina mortifera che si oppone a quella umana che ha per fine la vita (conservazione e riproduzione degli uomini), l’assenza in essa di sale evidenzia, utilizzando all’in-
` ovviamente l’approccio di Le´vi-Strauss, alla base delle analisi di Verdier e FabreE Vassas, a ispirare questa lettura. Secondo Le´vi-Strauss (1982: 388), dolce e salato apparterrebbero alla stessa categoria sensibile del saporito. Verdier (1979: 295-298) fa notare che sale e zucchero condividono stessi usi e virtu` (di fortificanti, ma soprattutto di conservazione e maturazione); cio` che viene salato o zuccherato e` comunque condito. Anche se qui non e` possibile verificarne la pertinenza nel contesto esorcistico, la connotazione sessuale associata all’idea di fecondazione maschile che Verdier rileva nella categoria culinaria del condito, in relazione al suo specifico ambito di ricerca, potrebbe suggerire nuovi spunti per l’analisi della rappresentazione della strega: la sua cucina insipida – mancante di un principio fecondatore maschile – la qualifica ulteriormente come deviante dalla figura di donna culturalmente accettata e corrisponde alla sua capacita` di dare la morte invece della vita. 10
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terno del codice culinario i termini del «condito» e dello «scondito», lo stesso aspetto «contro-culturale» indicato da Verdier11. Questa rapida esplorazione dell’alimentazione nel sabba come puo` aiutare a comprendere l’uso del sale negli esorcismi? Nella prospettiva indicata, l’esorcizzata a cui e` somministrato il sale potrebbe essere considerata come simbolicamente sottoposta ad una «salatura» o «condimento»; essi non solo dovrebbero impedirne il processo degenerativo, ma mirano a riportarla di nuovo dalla parte della cultura umana a cui indebitamente Satana l’avrebbe sottratta per situarla dal lato anti-umano, laddove per la religione cristiana cattolica l’individuo acquista la piena dignita` di uomo nell’accogliere la parola e i doni di Dio, tra cui il sal sapientiae. Se consideriamo, inoltre, che spesso l’intervento diabolico all’origine della possessione sarebbe operato tramite un cibo affatturato – caricato dunque con procedure magiche di potere malefico –, ritroviamo che per contrastarne gli effetti deleteri la logica simbolica opera opponendogli un cibo divino, che e` innanzitutto l’Eucarestia, ma anche il sale a cui la benedizione esorcistica ha a sua volta conferito un potere divino. Il riferimento ad un’altra credenza, questa volta relativa al sale nel battesimo, sembra confermare per via indiretta il ruolo attribuito a questa materia nel recuperare l’individuo posseduto all’integrita` e alla salute fisica e spirituale. Pitre` riporta che in Sicilia le anime dei bambini non battezzati vanno al limbo perche´ rimaste prive del sale necessario al battesimo (Pitre` 1980, v. IV: 30). La credenza che la mancanza di battesimo comporti un destino ultraterreno particolare, spesso caratterizzato da un’ambigua collocazione tra morti e vivi, e` attestata non solo nell’area considerata da Pitre`. «L’etnografia europea – sottolinea Fine – e` molto prolissa sulla sorte nell’aldila` dei bambini morti senza battesimo. Per quanto varie ne siano le rappresentazioni, essi sono tutti dei revenants [...]. Perpetui erranti, a volte aggressivi, a volte solamente invidiosi, essi tornano perche´ manca loro l’essenziale: i gesti e le parole che compiono il passaggio» (Fine 1987: 105-106, 138)12. Ma chi non e` stato battezzato o ha ricevuto 11 Cfr. anche Fabre-Vassas (1991: 423-437) che, sulla traccia indicata da Verdier, compara la cucina delle donne, relativa in particolare a certe parti del maiale, con quella delle streghe. 12 Fine, che si occupa della parentela spirituale tra padrino-madrina e figlioccio/a, mette in luce come non sia solo il sacramento battesimale «che manca a questi bambini erranti, ma un padrino o una madrina che li inscriva in una relazione di parentela necessaria alla loro salvezza nell’altro mondo poiche´ essa implica una stretta reciprocita` nell’assistenza simbolica» (Fine 1987: 140).
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un battesimo carente e` esposto anche in vita ad alcuni pericoli: ad esempio, in Sicilia e` soggetto a subire le influenze di Farfareddu, che e` un essere soprannaturale di tipo diabolico il quale «ha l’ufficio di trasfondersi nella mente o nel cuore dell’uomo mediante l’incubo notturno; ma e` da avvertirsi che tale potesta` puo` venire esercitata da lui sopra coloro i quali furono battezzati incompletamente, vale a dire o con omissioni di parole rituali, o per iscarsezza di olio o di sale» (Pitre` 1980, v. IV: 66). Ritenere che l’insufficienza di tali elementi rituali esponga ad influssi malefici, implica l’idea che essa ha pregiudicato la riuscita della trasformazione che il battesimo deve operare; il soggetto non e` mai stato del tutto liberato dal mondo pagano demoniaco. Una conferma che per raggiungere questo scopo il sale ha un ruolo di primo piano, si ha in un uso scozzese riportato da Jones: «la celebrazione del battesimo ad opera di un laico veniva convalidata dal prete mediante la somministrazione di una particella di sale» (Jones 1972: 44). D’altra parte tutta una serie di pratiche incentrate sul sale venivano attuate anche prima del battesimo per proteggere i neonati13. Chi, come la posseduta, si trova di nuovo esposto all’influenza maligna, viene ritualmente trattato come carente di quelle qualita` antidemoniache e protettive che la somministrazione di sale (e di acqua e olio) nel battesimo ha lo scopo di assicurare all’inizio della vita. L’operazione deve dunque essere ripetuta, e piu` volte, in modo da rinnovare quel passaggio nel mondo cristiano che l’essere diabolico ha in un certo senso reso nullo.
3. L’olio ` la materia rituale di cui restano da esaminare le implicazioni E simboliche nell’esorcismo. Innanzitutto ne analizzero` le forme d’impiego nella seduta: l’unzione e la somministrazione come «profumo»; poi, dopo aver chiarito quale significato la Chiesa attribuisce all’olio santo in generale, ne considerero` l’uso per ingestione fuori dal rituale propriamente detto, per ricostruire il ruolo che riveste nella logica simbolica dell’esorcismo nella sua specificita` e in relazione alle altre sostanze impiegate. 13
Jones 1972: 41. Ad esempio l’uso francese (fino al 1408) di cospargere i bambini di sale fino al momento del battesimo, o quello olandese di metterne un po’ nella culla.
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Dopo l’interrogatorio, l’esorcismo prosegue sia ripetendo gesti gia` in precedenza impiegati, che introducendone di nuovi, insieme alle formule specificatamente esorcistiche del Rituale e a preghiere facoltative, alle quali l’esorcista ricorre secondo necessita` per rafforzare l’effetto esorcistico. In questa fase l’esorcizzata e` ancora trattata da posseduta e tale ruolo impersona. Ma considerando la sequenza rituale nel suo insieme, si cominciano a intravedere dei passaggi rituali intermedi che la orientano verso l’uscita dalla condizione rituale, ossia verso la fine della possessione ritualizzata, in un movimento simmetrico e opposto a quello iniziale. Un’azione rituale significativa e` l’unzione, praticata sotto forma di croci, su varie parti del corpo che vengono contemporaneamente nominate una ad una. Qui operano tre elementi particolarmente carichi di valore simbolico: l’olio, la croce e alcune zone del corpo. Per quanto riguarda l’impiego dell’olio, sul piano piu` tradizionale della simbologia cristiana, esso indica l’azione della Grazia divina e ha come effetto la liberazione da malattie e insidie diaboliche. Se si tiene presente che Cristo e` l’Unto per eccellenza, l’unzione della posseduta appare quindi come un ulteriore atto che tende a trasformare l’identificazione del soggetto al diavolo, in identificazione a Cristo. Il segno di croce con cui si applica l’olio, rafforza, raddoppiandola, l’azione identificatoria: il corpo di Cristo crocifisso, sofferente e santo, si oppone a quello diabolico rappresentato dal corpo sofferente della posseduta. La particolare attenzione che quindi viene riservata a certe specifiche zone del corpo conferisce un’ulteriore valenza al passaggio simbolico da un corpo diabolicizzato ad uno sacralizzato. Innanzitutto l’azione esorcistica si particolarizza su organi o funzioni umane fondamentali come intelletto (testa, nuca), vista (occhi), udito (orecchie), funzioni vitali (petto, precordi). Tali sono gli ambiti in cui si ritiene che il diavolo agisca. In alcuni casi, inoltre, l’unzione si estende alle articolazioni e alle estremita` degli arti. Dal momento che cio` avviene per persone che presentano reazioni particolarmente violente e forte agitazione motoria, da un punto di vista razionale e` ovvio che la specifica azione esorcistica si applichi anche a gambe e braccia che oppongono resistenza. Il confronto, pero`, con le credenze dei secoli passati circa i modi in cui il diavolo entrava nel corpo umano, suggerisce la possibilita` di leggere meglio la logica simbolica dell’unzione. Se accomuniamo articolazioni ed estremita` di braccia e gambe alla serie di orifizi
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sottoposti ad unzione, abbiamo l’insieme delle parti del corpo dalle quali si riteneva che il diavolo penetrasse e dalle quali eventualmente uscisse14. In questa prospettiva il segno di croce con l’olio non indicherebbe solo una generica azione sacralizzante di segno opposto a quella diabolica; esso ripeterebbe anche, ricalcando un modello mitico, il passaggio simbolico dell’influenza malefica dall’esterno all’interno del corpo, opponendogli in maniera puntuale l’azione della Grazia. Quelle zone e funzioni che possono essere state coinvolte nell’origine della possessione o che sono tuttora ritenute colpite devono ritornare in possesso del soggetto passando per la riappropriazione da parte divina. A tutto cio`, nei casi di gia` accertata o fortemente sospetta influenza diabolica, si aggiunge il «test» dell’olio esorcizzato che viene fatto annusare e puo` provocare reazioni di rifiuto o disgusto (cfr. l’esorcismo di Luisa descritto in un paragrafo successivo). Siamo qui in una fase ancora essenzialmente esorcistica o diagnostica, secondo le categorie dell’esorcista, perche´ si saggiano le reazioni della posseduta cercandone i punti piu` vulnerabili, vale a dire i mezzi esorcistici suscettibili di provocarne manifestazioni di avversione e dunque ritenuti capaci di agire efficacemente contro il diavolo. Nei termini da me proposti, di «produzione della possessione», l’esorcizzata e` ancora stimolata a esprimersi secondo il codice stereotipato dell’in` solo gradualmente che, all’interno della singola demoniamento. E seduta esorcistica, si consegue il processo di separazione del soggetto dall’entita` diabolica, in un movimento di progressiva disidentificazione. Per meglio comprendere l’uso esorcistico dell’olio, e` utile collocarlo nel quadro liturgico piu` generale. Tre sono gli oli santi che la Chiesa distingue: olio degli infermi, dei catecumeni e Santo Crisma (olio mescolato a balsamo). Ognuno ha uno specifico uso liturgico, rispettivamente nell’estrema unzione e nella benedizione esterna delle campane, nel battesimo e nel sacramento dell’ordine, nella cresima e in tutte le consacrazioni. Tutti e tre sono consacrati dal vescovo il giovedı` santo con rito solenne e in cio` risiede la differenza essenziale dall’olio benedetto per l’uso dei fedeli. Quest’ultimo e` semplicemente benedetto dal sacerdote con una formula contenente un esorcismo simile a quello per l’acqua e un’orazione che allude ai
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Cfr. ad esempio il caso di Carmette Transfi in Baurens de Molivier (1873).
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suoi effetti (Cabrol 1925, v. IV: 2777-2791; Romallo 1949 sg., v. IX: 98-99). L’esorcismo e` il seguente: Sradica e metti in fuga da questa creatura dell’olio ogni esercito avversario, ogni esercito diabolico, ogni incursione, ogni fantasma di Satana. Fa che quanti useranno di questo olio siano liberati da ogni malattia, ogni infermita` e da tutte le insidie del nemico15.
In pratica, l’olio benedetto e` quello che alcuni esorcisti chiamano olio esorcizzato, ma va sottolineato che anche i vari tipi di olio sacro sono sottoposti ad esorcismi. L’impiego di questa ed altre sostanze nella liturgia e nella vita quotidiana richiede sempre la preliminare purificazione da Satana. La distinzione tra i vari olii non avrebbe che un interesse semplicemente descrittivo se si considera che normalmente e` l’olio benedetto ad essere usato negli esorcismi. Nel caso pero` delle pratiche da me osservate si ricorre anche ad olio dei catecumeni ed olio degli infermi: ad istruzione di un giovane prete che partecipa per la prima volta, don Amorth afferma di usarli mescolati, con un implicito riferimento alla loro maggiore efficacia. Nel suo libro, invece, parla solo dell’unzione con olio dei catecumeni, che il Rituale non prevede sia impartita alle esorcizzate ma che l’esperienza ha insegnato essere efficace; essa e` fatta in corrispondenza delle parole «Sit nominis tui signo famulus tuus munitus» e si ispira – secondo quanto afferma ` probabile che l’esorcista – a quella battesimale (Amorth 1991: 66). E l’aggiunta dell’olio degli infermi sia recente. In ogni caso e` una mistura di questi olii che viene fatta annusare alle esorcizzate e con la quale si praticano le unzioni. L’analisi del loro specifico e originario contesto liturgico permettera` piu` avanti di valutarne il valore di efficacia aggiuntiva nell’esorcismo solenne. Per il momento si puo` rilevare che «l’olio dei catecumeni o l’olio degli infermi sono implicati in rituali di purificazione» (Albert 1990b: 23) e dunque perfettamente congruenti con le finalita` esorcistiche. D’altra parte il loro uso nel battesimo e nell’unzione dei malati ha anche un senso esorcistico. Pone invece un problema interpretativo l’attribuire, da parte dell’esorcista, un profumo a questo olio che profu-
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La traduzione dal latino e` di Salvucci (1992: 249), il quale riporta l’intera formula latina (p. 310) e ricorda che alla fine si richiede l’aspersione con acqua.
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mato non e`16. Dunque, il buon odore dell’olio e` in questo caso solamente immaginario, ma presentato da don Amorth come se fosse reale per stimolare nella persona esorcizzata una risposta codificata; questa, mentre conferma l’influenza o la presenza diabolica indica anche la specifica utilita` di quel particolare strumento antidemoniaco. Vale a dire che accompagnando l’atto di far annusare l’olio con locuzioni del tipo: «Senti come e` profumato? Che buon odore! Ti piace?», l’esorcista si aspetta e induce una reazione che non puo` che essere negativa se il soggetto e` calato nel ruolo della posseduta. Naturalmente non tutti, anche se in vari gradi vittime del demonio, si dimostrano sensibili a questo trattamento: qualcuno manifesta solo indifferenza; ma se reazione c’e`, e` di fastidio e disgusto (nessuno ha mostrato di sentire o apprezzare questo profumo). Il supposto profumo dell’olio e` tale solo in rapporto alla percezione opposta – di puzza o di odore sgradevole – che la posseduta ne avra` in quanto, per cosı` dire, sente con il naso del diavolo, che ovviamente non puo` trovarsi d’accordo con il suo avversario il quale propone come profumata una sostanza sacralizzata, cioe` qualcosa destinato a contrastarlo. Resta da proporre una possibile spiegazione di questo ricorso alle categorie olfattive anche in assenza di vere sostanze aromatiche o maleodoranti. Il lavoro di Albert ha mostrato che esiste una mitologia cristiana degli aromi dal simbolismo complesso; sul piano delle categorie sensibili si trova una prima opposizione significativa: gli aromi e i profumi si oppongono alla putrefazione e alla sua caratteristica piu` saliente, il fetore. Grazie a cio` essi trovano largo impiego nella medicina antica, la quale ha «il suo fondamento nella teoria dei quattro elementi che, collocando gli aromi dal lato del caldo e del secco, e persino del bruciato, li riconoscono come l’antidoto per eccellenza del “putrido”, freddo e umido» (Albert 1990b: 106-109). Alla categoria della putrefazione si ricorreva d’altra parte nel XVII secolo proprio per spiegare da un punto di vista medico la possessione diabolica. Secondo Pazzini «mentre ancora la presenza dell’infernale ospite costituiva la ragione fondamentale della sindrome caratteristica, fornendo materia e ragione di essere all’esorcismo, una 16
Oltre alla mia verifica personale, la letteratura riporta che il balsamo entra solamente nella costituzione del crisma che, ad esempio, viene impiegato anche nel battesimo, ma separatamente e in momenti diversi dall’olio dei catecumeni (Torre 1970b, v. III: 1606 sg.; cfr. Albert 1990b: 21, 25).
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profonda alterazione degli umori ne forniva a sufficienza, affinche´ fosse giustificato l’intervento del medico. Il demonio, infatti, essere impuro per eccellenza, massima espressione, anzi, della impurita`, non poteva coesistere alla compagine organica, senza indurvi i malefici effetti della sua presenza. Conseguentemente gli umori venivano alterati profondamente, per una putrefazione che era consono ambiente con l’infernale visitatore». Per depurare dagli umori corrotti si ricorreva allora a purganti, salassi, vomitivi, suffumigi, i cui ingredienti dovevano essere benedetti (Pazzini 1951: 132-133; cfr. Pazzini 1930). Se un’antica simbologia, accolta in certi periodi storici anche dalla medicina, situa il diavolo dalla parte della putredine, del corrotto, opponendogli il profumo che e` una qualita` divina17, e` possibile ipotizzare che il ricorso dell’esorcista ad un olio metaforicamente profumato serva ad esprimere nei termini dell’incompatibilita` olfattiva l’opposizione metafisica tra diavolo e Dio. Il fare appello a categorie sensoriali nell’esorcismo presenta il vantaggio di tradurre in termini concreti l’antagonismo tra le due entita`, permettendogli di esprimersi in forme visibili e stereotipate. La persona esorcizzata manifestera` di essere posseduta dal demonio nei termini del codice proposto dall’esorcista: sollecitata nell’olfatto, anche se con un profumo «simbolico», fara` il gesto di non sopportarne la puzza, cosı` come sollecitata negli altri sensi mostrera` che tutto cio` che e` santo e` sgradevole alla sua vista (non riesce a guardare l’esorcista), al suo gusto (non riesce a bere l’acqua o a fare la comunione), al suo udito (le parole esorcistiche), al suo tatto (reliquie, immagini sante o le mani del sacerdote). Una conferma di questa interpretazione e` fornita da un altro ricorso a categorie olfattive, questa volta da parte di una delle assistenti. Renata ha piu` di una volta espresso fastidio per la «puzza» proveniente da alcune delle persone esorcizzate, come Ottavia e Fabio, a cui con difficolta` riesce a stare vicino; si tratterebbe di «puzza di putrefazione, di morti», secondo la descrizione data a me dall’altra collaboratrice, Lidia. La capacita` di Renata di avvertire tale cattivo odore rientrerebbe tra i suoi carismi. Cosı` come la posseduta, in quanto influenzata dal diavolo, puo` percepire un cattivo odore emanante da una sostanza sacralizzata, la carismatica, in quanto dotata di carismi dello Spirito Santo, puo` percepire la «puzza» diabolica emanante dall’esorcizzata. 17
Per un’analisi della simbologia del Cristo «profumato» cfr. Albert 1990b, cap. VI.
LE «MATERIE» RITUALI
Se si considera l’uso extra-rituale dell’olio per ingestione, si ritrova alla base lo stesso tipo di relazione oppositiva che esiste tra il profumo (l’olio profumato) e il fetore associato a fenomeni di putrefazione, ma espressa, invece che in termini olfattivi, ricorrendo alle categorie piu` generali di integrita` e corruzione-malattia. L’olio esorcizzato – sostiene don Amorth – oltre che come protezione dai demoni «giova alla salute dell’anima e del corpo; qui ricordiamo l’antico uso di ungere con olio le ferite e il potere dato da Gesu` agli apostoli di guarire i malati con l’imposizione delle mani e ungendoli con olio. C’e` poi una proprieta` che e` specifica dell’olio esorcizzato: di separare dal corpo le avversita`. Molto spesso m’e` capitato di benedire persone che hanno subito fatture mangiando o bevendo qualcosa di malefico [...]. In questi casi l’organismo, per liberarsi, deve espellere cio` che di malefico contiene. L’olio esorcizzato aiuta molto a staccare e liberare il corpo da queste impurita`» (Amorth 1991: 110). La liberazione puo` avvenire per via fisiologica o vomitando; piu` avanti specifica che l’olio va bevuto (con acqua e sale esorcizzati). Una forma caratteristica di mal di stomaco localizzato al collo dello stomaco, o erutti o singhiozzi particolari che si verificano in concomitanza con azioni religiose, sarebbero i segni che indicano l’affatturamento per ingestione secondo l’esorcista. Simbolo, tra l’altro, di incorruttibilita`, l’olio acquista dunque la specifica funzione di contrastare all’interno del corpo l’effetto delle sostanze maleficiate, corrotte e corrompitrici della salute fisica e mentale. Nello stesso tempo, la relazione congiuntiva e identificatoria tra l’uomo e Cristo – l’Unto per antonomasia – che l’olio opera simbolicamente nell’unzione esterna, sempre fatta con un segno di croce, ha il suo rovescio nella relazione disgiuntiva che esso stabilisce tra corpo sano, cristiano ed elementi portatori di malattia, diabolici, quando va ad agire all’interno dell’organismo: separa dal corpo le avversita`, cioe` i malefici ingeriti, dice l’esorcista. ` ora possibile proporre un’interpretazione unificante delle tre E sostanze di acqua, olio e sale in relazione al loro uso congiunto extra-rituale. La persona sofferente che durante gli esorcismi e` progressivamente condotta ad esprimere il suo male in modi stereotipati ed impara a rappresentarsi come posseduta in maniera da permettere all’esorcista di liberarla, uscita dalla seduta si trova sprovvista del punto di riferimento essenziale in contrapposizione al quale ha senso il ruolo che ha assunto: l’esorcista, appunto, con tutto il suo appa-
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` allora importante, per lei, potersi dotare di alcuni strumenti rato. E che rappresentino nella vita quotidiana il potere esorcistico che il sacerdote riassume nella sua figura. Acqua, olio e sale non potrebbero essere gli strumenti che il soggetto e` richiesto di utilizzare in prima persona diventando, in un certo senso, l’esorcista di se stesso? Lo stesso si potrebbe dire anche a proposito delle prescrizioni di compiere altre azioni religiose, piu` o meno specifiche; ma il fatto che quelle sostanze vengano ingerite e quindi messe nel piu` stretto contatto con il corpo abitato dal diavolo fa pensare che cosı` si voglia contrapporre un’incorporazione di segno positivo ad una negativa. Le tre sostanze equivalgono simbolicamente allo stesso esorcista che va a contrastare il demonio nel modo piu` ravvicinato possibile, dall’interno, continuando fuori dal rito il lavoro esorcistico condotto nelle sedute nella massima prossimita` fisica con l’esorcizzata. D’altra parte non si tratta della stessa logica che nella comunione degli indemoniati oppone il corpo di Cristo a quello diabolico? Dal piano metafisico sul quale qui ci si muove si passa a quello piu` vicino della concreta operativita` esorcistica in cui la presenza fondamentale del sacerdote viene mediata, fuori dal rito, da sostituti caricati dello stesso potere.
7 I MEDIATORI SOPRANNATURALI
L’esorcismo, nell’accezione ampia del termine, ha lo scopo di ripristinare l’ordine metafisico laddove si e` prodotto un eccessivo avvicinamento o un’identificazione tra categorie di esseri che devono rimanere distinte. L’essere umano puo` essere abitato dallo Spirito Santo e da Cristo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla Chiesa, ma non dalle entita` diaboliche il cui intervento sovverte il piano divino. La rimessa in ordine prende dunque la forma di una separazione di esseri indebitamente congiunti: l’uomo e il diavolo, ma anche il diavolo e Dio se si considera che l’individuo posseduto e`, in quanto cristiano, assimilato a Cristo e figlio di Dio. Anche nell’ipotesi che l’esorcismo, per operare tale separazione, produca esso stesso la manifestazione rituale dell’essere diabolico e quindi la rappresentazione della sovrapposizione degli esseri, un’opposizione fondamentale che il rito mette in gioco e` quella tra esseri soprannaturali positivi/essere soprannaturale negativo. Che ruolo rivestono allora quei personaggi «mitici» che sono chiamati in causa nell’esorcismo? Essi sembrano assolvere, nelle operazioni simboliche del rito, quella funzione mediatrice che Le´viStrauss ha per primo attribuito a certi personaggi nell’analisi strutturale dei miti (Le´vi-Strauss 1990: 231-259). Si puo` pensare infatti che la relazione tra i termini oppositivi principali, caratterizzata da un movimento di accostamento e separazione (possessione e depossessione), sia logicamente governata da una serie di mediatori. Questi sono la Madonna, gli angeli, le anime del Purgatorio, lo Spirito Santo, i santi, padre Pio e padre Candido. Rispetto alla sequenza rituale vengono chiamati in causa in momenti diversi, soprattutto all’inizio e alla fine, assolvendo funzioni specifiche oltre quella mediatrice che li accomuna.
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1. La Madonna Tra le entita` di cui si invoca la presenza spirituale nel corso dell’esorcismo considero innanzitutto quelle che vengono chiamate in causa all’inizio, nelle preghiere preliminari. Non mancano, come sempre nelle cerimonie religiose ufficiali, quelle per Dio Padre e la Madonna. Mentre l’invocazione del primo e` d’obbligo, nella forma del Padre Nostro o rivolta alle persone della Trinita` (Gloria al padre), essendo l’essere in nome del quale tutto l’esorcismo si svolge, la preghiera alla Madonna assume gia` un significato piu` preciso in questo contesto, tanto piu` se si considera che spesso si ricorre nuovamente al suo aiuto con la recitazione della Salve Regina nella seconda parte del rito e se ne invoca la protezione alla fine rivolgendosi anche piu` specificamente alla Madonna di Lourdes. Che Maria, in quanto madre di Dio, sia la mediatrice principale presso di lui e` gia` contenuto negli insegnamenti della Chiesa; vicina in modo particolare alla SS. Trinita`, e` inoltre in opposizione radicale rispetto a Satana che si e` allontanato da Dio ed e` spesso rappresentata mentre schiaccia il serpente diabolico. La sua ascesa dalla terra al cielo rappresenta il movimento inverso della caduta degli angeli ribelli: essere umano la cui definitiva santificazione si compie nel passaggio dal basso all’alto, con una valorizzazione positiva del polo superiore, la Madonna si contrappone all’essere spirituale che perde parte dei suoi poteri nel passaggio dall’alto al basso – negativamente valorizzato – diventando diabolico. «Nemica di Satana e vittoriosa su di lui fin dal primo annuncio della Redenzione» (Amorth 1991: 193), il suo ruolo efficace nella lotta contro il demonio e` messo particolarmente in rilievo dal nostro esorcista che, ad imitazione di padre Candido – suo maestro – ha aggiunto anche negli esorcismi dei richiami mariani non previsti dal Rituale (Amorth 1991: 66). Nella gerarchia celeste la Madonna e` quindi la figura di origine umana piu` prossima a Cristo-Dio e piu` lontana dal diavolo; quella che pur acquisendo caratteri divini mantiene nello stesso tempo qualcosa della sua umanita`. Inoltre, per la donna cristiana, rappresenta comunque il massimo modello di femminilita`. Sicuramente la funzione mediatrice di Maria ha una portata molto piu` generale e non e` specifica del contesto esorcistico; probabilmente in questo ambito e` piu` utile metterla in relazione con quella operata dalle assistenti: si tratta dello stesso tipo di mediazione ma trasposta dal piano terreno a quello celeste.
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2. Angeli ed anime del Purgatorio Sempre all’inizio, i partecipanti invocano la protezione degli angeli e delle anime del Purgatorio. Questi esseri sono quindi preposti all’apertura del rito e, insieme alla Madonna, conducono al piano metafisico dove lo scontro tra Dio e Satana, che l’esorcismo sta per rappresentare, trova la sua origine e la sua ragione d’essere. Ma per quanto riguarda gli angeli, il loro ruolo introduttivo, cioe` di collegamento tra due piani differenti, non e` tanto determinato dal momento in cui si richiede il loro intervento quanto dalla loro natura e dalle funzioni che la dottrina cristiana attribuisce loro. Anzi, e` grazie a queste che trovano posto nella fase inaugurale dell’esorcismo. Gli angeli sono considerati esseri personali diversi sia da Dio sia dagli uomini: la loro natura spirituale li avvicina al primo, pur essendogli inferiori, e li rende superiori ai secondi; rappresentati anche nella Bibbia sotto forma umana, non hanno un corpo naturale; abitano il cielo ma, date le missioni loro affidate, sono spesso anche sulla terra. Infatti la principale missione e` quella di messaggeri tra Dio e gli uomini, a cui si aggiungono quelle di proteggere e soccorrere gli uomini, assicurare la salvezza dei predestinati, combattere i diavoli, accompagnare le anime nell’altra vita (Vacant et al. 1909: 1189-1271). Che gli angeli siano degli intermediari tra realta` umana e soprannaturale e` dunque gia` chiaramente definito dalle Scritture; resta solo da specificare tra quali livelli essi operano la mediazione e il loro ruolo nel contesto esorcistico. Caratterizzati dalla possibilita` di movimento – non a caso nell’iconografia sono rappresentati alati – essi si spostano tra Dio e gli uomini, e tra cielo e terra, cioe` tra due categorie di esseri e due categorie spaziali. Inoltre, presiedendo al passaggio delle anime nell’aldila`, oltre a confermare il loro ruolo di collegamento tra due luoghi qualitativamente differenti, operano tra due condizioni, la vita e la morte, una mediazione che si iscrive anche sull’asse temporale. La funzione che pero` sembra piu` pertinente nell’ambito esorcistico e` quella di potenti avversari del diavolo. Che cosa conferisce loro questo potere? Il fatto che originariamente Satana e` della loro stessa natura, ma in piu` gli angeli sono dalla parte di Dio. Il loro essere mediatori spiega che condividano alcune caratteristiche dei due poli opposti tra cui si collocano (Le´vi-Strauss 1990: 254). Sul piano soprannaturale, la mediazione e` tra polo divino e polo diabolico: sono emissari di Dio ma condividono con il diavolo la natura angelica; sul piano dei rapporti tra mondo terreno e mondo soprannatu-
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rale, essa e` tra uomo e diavolo (oltre che tra uomo e Dio): vicini per volere divino all’uomo ma a lui superiori, gli angeli combattono i demoni da pari. Negli esorcismi osservati, e` significativo che tra gli angeli siano menzionati in particolare gli angeli custodi e gli arcangeli S. Michele, S. Gabriele e S. Raffaele. Essi, oltre che nelle preghiere introduttive, appaiono anche nella parte finale della preghiera di liberazione come coloro che «incatenano» gli spiriti immondi e le presenze malefiche. La credenza che ogni individuo abbia accanto dalla nascita un particolare angelo destinato a proteggerlo ed aiutarlo, e` nota. Se aggiungiamo che secondo alcuni teologi la dottrina dell’angelo custode deriva da quella del Mazdeismo secondo la quale essi, chiamati fravashis, erano anime dei morti che restavano in compagnia dei vivi1, la loro prossimita` al mondo terreno e` ancora piu` evidente. Tra le entita` spirituali mediatrici che compaiono nell’esorcismo, dunque, l’angelo custode e` quella piu` vicina all’uomo in maniera continuativa. Con la sua invocazione l’accento e` posto sulla necessita` della protezione quotidiana dai pericoli diabolici e sul polo umano del rapporto in questione nell’esorcismo. Con il ricorso ai tre arcangeli, invece, si sottolinea la necessita` dell’intervento potente, straordinario, e l’accento e` sul polo soprannaturale del rapporto uomo/diavolo; l’efficacia della mediazione, cioe`, deriva dal carattere superiore angelico che il mediatore condivide con il diavolo, laddove per l’angelo custode dipende piu` dalla sua familiarita` con le vicende umane. Infatti San Michele, San Gabriele e San Raffaele, in quanto arcangeli, sono classificati tra gli ordini piu` importanti della gerarchia angelica e considerati capi degli angeli. Ma e` soprattutto San Michele, principe delle milizie celesti, che ha lo specifico compito di combattere il demonio. Il suo ruolo fondamentale e` messo in particolare evidenza nell’Esorcismo contro Satana e gli spiriti ribelli di Leone XIII, che e` inserito nel Rituale Romano dopo le formule del principale esorcismo2. Esiste anche una specifica preghiera a San Michele arcangelo, attribuita sempre a Leone XIII, che prima della riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II era recitata alla fine di ogni messa e che gli attuali esorcisti non mancano mai di consigliare a 1 Vacant et al. (voce Anges, col. 1191) riportano questa ipotesi ma sottolineano la radicale differenza con gli angeli cristiani che non avrebbero mai avuto nulla della natura umana e abiterebbero in cielo. 2 Una traduzione italiana e` in La Grua 1985: 131-133; un commento si trova in Proja 1992: 122-124 (l’autore e` un esorcista ufficiale).
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tutti i fedeli3. La lotta di San Michele contro il diavolo acquista un senso piu` specifico se si considerano le due particolari funzioni che, pur non essendo sue esclusive, lo qualificano: quella di psicogogo e di psicopompo. Egli ha infatti il ruolo di introduttore delle anime nell’aldila` al momento della morte (Leclerq 1932: 903-907), e il compito di giudicare, attraverso la pesatura su una bilancia, se le anime devono ricevere la ricompensa o la punizione eterna (Leclerq 1907a: 2080-2161). La decisione circa il destino delle anime dei defunti, e in particolare di quelle del Purgatorio, prende in genere la forma di una lotta tra l’arcangelo e il diavolo (Charuty 1995). Che l’accostamento dell’invocazione agli arcangeli e di quella alle anime del Purgatorio sia o meno casuale, all’inizio dell’esorcismo, nell’esame che sto conducendo appare comunque un rapporto tra i due tipi di esseri e tra essi e il diavolo. Come spiega Le Goff, il giudizio individuale subito dopo la morte, da cui il Purgatorio dipende, e` rappresentato spesso dall’iconografia cristiana medievale «sotto forma di una lotta per l’anima del defunto tra angeli buoni e cattivi, tra angeli propriamente detti e demoni. Siccome le anime del Purgatorio sono delle anime elette che saranno infine salvate, esse dipendono dagli angeli ma sono sottomesse a una procedura giudiziaria complessa» (Le Goff 1981: 285). La durata della pena dipende anche dai suffragi dei vivi, oltre che dalla misericordia di Dio, simboleggiata dalla lotta degli angeli contro i demoni, e dai meriti personali del defunto quando era in vita. Un quarto elemento – gli uomini viventi – entra quindi nel rapporto tra angeli, diavoli e anime dei morti. Tutto questo cosa puo` aggiungere alla comprensione della logica simbolica dell’esorcismo? Che senso ha invocare qui le anime del Purgatorio, dato che chi ha bisogno di aiuto e` una persona vivente? Se consideriamo che soprattutto nei secoli XV-XIX la credenza nel Purgatorio si allarga ed arricchisce e che le pratiche devozionali dei fedeli, per esempio gli ex-voto, mostrano che le anime possono riportare i meriti acquisiti sui viventi, assisterli, si comprende che esse possano figurare, in quanto intercessori, anche tra le entita` chiamate a presiedere al rito esorcistico (Le Goff 1981: 481-482; Michel 1936: 1163-1326). Il sistema di solidarieta` tra vivi e morti che Le Goff nota essere diventato una catena circolare, trova modo di esprimersi anche qui. Ma affermare che le anime del Purgatorio possano soccorrere i vivi 3
Oltre a Amorth 1991: 29-32, cfr. Proja 1992: 168 e Salvucci 1992: 305-306.
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sembra insufficiente per capire la loro specifica funzione nell’esorcismo. Bisogna aggiungere che anch’esse appaiono come mediatori. Il Purgatorio e` il luogo intermediario per eccellenza tra tempi (vita terrena, mortalita`/vita ultraterrena, immortalita`) e spazi (inferno/paradiso che si fonda sull’antagonismo fra terra e cielo) (Le Goff 1981: 9-17). Le anime che vi si trovano sono in uno stato transitorio, scontando delle pene in attesa del loro destino finale. Inoltre, anche se, secondo Le Goff, il Purgatorio non e` un intermediario perfetto perche´ sarebbe decentrato a favore del cielo-paradiso, rispetto alla mediazione angelica le anime che lo abitano sono piu` vicine alla terra a causa della loro origine umana. In rapporto agli uomini, dunque, sono tra i mediatori piu` prossimi. Se ricordiamo pero` che per la sorte delle anime del Purgatorio lottano S. Michele e il diavolo, si potrebbe avanzare un’altra ipotesi: la persona esorcizzata, in favore della quale le potenze soprannaturali benefiche sono chiamate a combattere per sottrarla al possesso diabolico, non potrebbe essere assimilata ad un’anima del Purgatorio? Naturalmente c’e` una trasposizione della lotta nella vita mortale e si decide non tanto della sorte ultraterrena quanto di quella sulla terra, ma la posizione della posseduta e` analoga a quella dell’anima in Purgatorio: in quanto considerata una vittima, non puo` essere del tutto dalla parte infernale e il suo destino e` ancora negoziabile; si trova in uno stato di sofferenza; la misericordia di Dio, il proprio impegno cristiano e le preghiere di altri fedeli possono alleviare la sua ` come se la posseduta subisse in terra, e pena fino a porle termine. E nel suo corpo, cio` che le anime subiscono in Purgatorio. Certo non si puo` sostenere che ci sia una vera analogia tra i termini perche´, per esempio, nell’esorcismo la posseduta e` sottoposta ad un lavoro di sdoppiamento che non trova un corrispettivo nella condizione dell’a4 nima purgante. Si tratta invece di un’analogia tra percorsi : tra il passaggio rituale dell’esorcizzata da persona con un male-malessere non ancora ben definito a posseduta e poi liberata, e il passaggio delle anime, sul piano mitico, dalla vita terrena a quella del Purgatorio in attesa dell’inferno o del paradiso. L’analogia sarebbe basata sulla caratteristica di transitorieta` delle due condizioni: «la posseduta e` innanzitutto una spoglia, un luogo transitorio dove il diavolo
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L’espressione e` mutuata da De Sales 1991: 191.
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parla»5 e il Purgatorio e` il luogo transitorio per eccellenza dove sosta l’anima, cio` che la morte separa dalla spoglia terrena. L’analogia suggerita suppone che l’esorcizzata sia anche assimilata ad un morto nel trattamento simbolico esorcistico, come suggerisce anche l’inserimento in esso di modalita` d’impiego di sacramentali proprie della liturgia per malati e moribondi. Qui interessa sottolineare che le anime del Purgatorio sembrano essere soprattutto degli esseri ausiliari che, in quanto mediatori, sono chiamati a presiedere, insieme ad altri, alle trasformazioni che l’esorcismo deve produrre.
3. Spirito Santo, santi, padre Pio, padre Candido Nei casi gravi di possessione o vessazione diabolica l’esorcista ricorre ad invocazioni supplementari, accompagnate dalla ripetizione di alcuni gesti esorcistici; introduce cosı` nel rito altri esseri ausiliari che dovrebbero rafforzare l’effetto esorcistico. Si tratta di semplici integrazioni o e` possibile vedervi l’introduzione di elementi di mediazione piu` specifici? Per quanto riguarda la preghiera di liberazione, recitata alla fine, non sono chiamate in causa nuove entita` che non siano gia` state invocate nelle preghiere iniziali o nelle formule esorcistiche del Rituale. L’elemento che la caratterizza e` l’accento sullo Spirito Santo. Indicatore dell’origine carismatica della preghiera6, esso completa la serie degli esseri spirituali ausiliari che presiedono al rito qualificandosi come quello di piu` alto rango. Proviene infatti direttamente da Dio («Spirito del Signore, Spirito di Dio») e ne sintetizza l’azione sugli uomini. Veicolatore dei carismi per gli uomini, collega direttamente il piano divino e quello umano trasferendo sotto forma di doni alcune qualita` del primo nel secondo. Su un piano generale si puo` definire il mediatore per eccellenza e nell’esorcismo e` chiamato a contrapporsi come forza divina a quella malefica, a sostituirsi come spirito di Dio allo spirito diabolico. Nelle formule esorcistiche del Rituale, d’altra parte, e` gia` chiaro che e` lo Spirito Santo il legittimo abitante dell’uomo e Satana l’usurpatore. 5
La frase, nel testo da cui e` tratta, si riferisce ad una posseduta della fine del 1600, ma si puo` estendere a tutta la categoria. Houdard 1992: 154. 6 La preghiera e` stata originariamente composta da una carismatica e poi riveduta e corretta dall’esorcista.
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La preghiera di liberazione presenta anche un doppio carattere generalizzante e particolarizzante insieme, ripetendo con le parole un procedimento che tutto l’insieme del rito mette in opera legando atti e parole. Con essa, che comincia con l’invocazione, secondo l’ordine di importanza, dei vari esseri soprannaturali, il male di cui soffre il soggetto esorcizzato e` ricondotto in un’ampia categoria di mali diabolici e non, di vario tipo e origine. Sono infatti menzionati magia nera, fatture, malocchio, infestazione, possessione, ossessione, peccato, invidia, malattia fisica, psichica, morale, diabolica...7. Nello stesso tempo, se il soggetto – che e` chiamato per nome – reagisce in qualche modo ad una particolare denominazione del male-malattia (per esempio ossessione diabolica) o della sua causa specifica (per esempio maledizioni o fatture), cio` indichera` o confermera` all’esorcista che genere di influenza piu` o meno diabolica e` all’opera in quel caso. Ne ripetera` allora il nome rafforzando quello che dovrebbe ` quanto avviene durante un esorcismo di essere l’effetto esorcistico. E Sara alla pronuncia del termine «legature», o nel caso di Ginevra che reagisce maggiormente, per esempio aumentando le smorfie e il tentativo di ritrarsi, quando si dice «magia nera». Ancora nel ruolo della posseduta, la donna fornisce, stimolata dall’elenco dei mali, ulteriori coordinate per l’individuazione del proprio problema offrendo al sacerdote il modo di affrontarlo. Insieme a questa possibilita` individuante, pero`, la preghiera permette anche, in maniera sfumata, di orientare la seduta verso la fine. Rispetto agli atti e alle formule esorcistiche precedenti qui ci si colloca su un piano di piu` generale malattia e si chiede la preservazione dal male anche per tutte le altre creature. Quindi l’esorcizzata e` inserita in una piu` vasta categoria di potenziali vittime diaboliche. Inoltre e` da notare che alla fine si prefigura l’allontanamento degli «spiriti» o «presenze» fissandone il luogo di appartenenza, l’inferno eterno. Con cio` si rappresenta non solo l’auspicata liberazione definitiva, ma si significa simbolicamente nella singola seduta la «separazione» dell’esorcizzata dal ruolo di diavolo. Infine, nella recitazione della preghiera di liberazione intervengono anche gli assistenti. La loro partecipazione diretta e` un primo
7 Malattia fisica, psichica... e diabolica sono separatamente nominate, perche´ le prime non possono sempre essere ricondotte ad un’origine diabolica, e comunque si invoca la guarigione anche per queste, quale che sia la loro causa.
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indicatore del passaggio dalla fase formalmente esorcistica, riservata al sacerdote, alle ultime operazioni che coinvolgono di nuovo i presenti e accompagnano l’esorcizzata nel ritorno alla condizione profana (non rituale). Si puo` aggiungere che, se si considera la recitazione in latino delle formule esorcistiche una caratteristica non secondaria della ritualizzazione del processo che «produce» la possessione, l’introduzione di preghiere in italiano va esattamente nel senso opposto e complementare sopra indicato. Il latino e` la lingua sacra, padroneggiata dall’esorcista e teoricamente comprensibile al diavolo. Il passaggio all’uso dell’italiano, comprensibile a tutti, allarga il campo del contesto rituale dalla coppia esorcista-esorcizzata alla partecipazione di presenti. Rispetto alla persona esorcizzata, ne orienta l’uscita dalla condizione ritualizzata riportandola al linguaggio comune, profano. La preghiera di liberazione e la preghiera per l’intercessione di una serie di santi, che spesso vengono inserite al termine delle formule rituali, in italiano, sembrano gia` indicare un cambiamento di piano dell’azione rituale. Nel caso dell’invocazione dei santi l’esorcista, utilizzandone i vari nomi sempre come «armi» per combattere la presenza diabolica, va alla ricerca di strumenti supplementari particolarmente potenti nel caso in questione. Cosı` facendo introduce un ulteriore elemento che rende piu` specifica l’azione esorcistica – quel santo contro quel diavolo in quella determinata persona –, precisando il campo dove bisogna con piu` forza intervenire, cioe` il nome in quel caso potente. Nello stesso tempo, ci si sposta dal ricorso alle maggiori divinita` – le tre persone della Santissima Trinita`, la Madonna, – all’invocazione di entita` che nella gerarchia del soprannaturale hanno uno statuto minore ma sono piu` prossime al mondo umano: dal piano generale, lontano e astratto della potenza divina, si passa a quello piu` circoscritto, vicino e concreto del potere di figure mediatrici. L’elencazione dei vari santi e` accompagnata dai gesti del sacerdote che traccia segni di croce sul viso e sul petto della posseduta. Ancora una volta si significa cosı` l’appartenenza di quell’essere umano a Cristo e alla Chiesa contro l’indebita ingerenza delle forze del male. Che la contrapposizione eterna tra il bene e il male assuma nella rappresentazione altamente drammatizzata dell’esorcismo la forma di una lotta per il possesso del corpo e dell’anima, appare in modo particolarmente esplicito in un caso osservato. La donna in questione, tra poche parole di senso compiuto, lunghi «ululati» ed espres-
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` mia! E ` mia!», riferendosi a se sioni di tipo glossolalico, dice anche: «E stessa in terza persona. Ovviamente sarebbe il diavolo a parlare. L’esorcista, subito seguito dall’assistente e dall’altra accompagna` di Cristo e di Maria. Simona e` trice, replica con una lunga serie di «E ` di Cristo e di Maria. E di Cristo e di Maria...». Nel dire cosı` traccia piu` volte sul corpo dell’«indemoniata» delle croci, con movimenti ampi che si estendono a tutta la parte superiore della persona, operando – come si e` visto – il passaggio dalla possessione da parte del diavolo alla «possessione» da parte di Cristo. Nella preghiera di liberazione, d’altra parte, si richiede esplicitamente al Signore, secondo lo stile carismatico, di essere da Lui riempiti (oltre che plasmati, usati...). L’idea che l’eliminazione delle forze del male sia provocata e controbilanciata dalla sostituzione di quelle del bene e` quindi espressa chiaramente facendo precedere la frase esorcistica dalla richiesta al Signore di essere da lui «posseduti». La serie di santi che, al di fuori delle formule fisse del Rituale, e` evocata dal sacerdote, sembra annettere una dimensione piu` specifica, individualizzante, all’azione esorcistica. Dato che i santi inseriti nella lista possono variare e non sembrano avere caratteristiche che li qualifichino come particolarmente potenti contro il demonio, la specificita` del loro intervento e` legata alla particolare persona esorcizzata che manifestera` segni di avversione ad un nome piuttosto che ad un altro. Cio` probabilmente in relazione alla sua storia personale, a determinate forme di devozioni. Il potere del nome del santo, che riproduce ad un livello minore l’effetto esorcistico di quello di Dio, agisce su un piano ancora piu` strettamente correlato allo specifico soggetto. Come categoria generale, i santi, uomini sacralizzati, operano da mediatori tra realta` umana e soprannaturale. Grazie a questo carattere di intercessori nel rapporto tra uomo e Dio e di protettori nel rapporto tra l’uomo e il male, la loro presenza nell’esorcismo introduce un ulteriore piano di mediazione nella rappresentazione simbolica della lotta per il possesso del soggetto esorcizzato. Ma il modo in cui operativamente l’esorcista li utilizza suggerisce che l’impiego dei nomi di santi ha lo scopo di operare su di un piano piu` ristretto e concreto: quello tra l’esorcista e la specifica posseduta. Il sacerdote, fornendo a questa la possibilita` di indicare quale santo assume per lei un significato, adatta il dispositivo simbolico esorcistico al soggetto, si collega direttamente alla sua situazione, acquisisce uno strumento in piu` con il quale «manipolarne» la possessione. La mediazione del santo riguarda dunque il rapporto di potere tra i due protagonisti del rito.
I MEDIATORI SOPRANNATURALI
La funzione ausiliaria e contestualizzante che i santi rivestono per l’esorcista diventa ancora piu` chiara se si considerano i due personaggi che in genere egli aggiunge alla fine della lista o nella richiesta di protezione finale: padre Pio e padre Candido. Essi, per la chiesa, santi non erano ancora all’epoca della mia ricerca8, ma l’accostamento ai santi canonizzati li assimila ad una condizione di santita`, anticipandola e nello stesso tempo proiettando in una dimensione ultraterrena i poteri che questi due uomini hanno dimostrato di avere in vita. Se questa santificazione «dal basso» accomuna i due personaggi differenziandoli dai santi ufficiali che li precedono nell’invocazione, nel rito in atto il pronunciare i loro nomi sortisce gli stessi effetti in alcuni soggetti. Dunque anch’essi fungono da mediatori tra il livello di efficacia generica dell’esorcismo e quello di efficacia specifica nel caso in questione. D’altra parte, padre Pio e padre Candido si differenziano tra loro per alcune caratteristiche non secondarie che ne specificano la natura di mediatori in relazione all’esorcista. Santo Pio da Pietralcina e` un noto frate stigmatizzato a cui gia` in vita si attribuivano poteri soprannaturali di preveggenza, guarigione, bilocazione..., e che dopo la sua morte continua ad essere oggetto di un diffuso culto popolare. La sua fama basterebbe da sola a spiegare la sua presenza nella lista dei santi. Bisogna pero` ricordare che, come molti altri mistici, fu sottoposto ad ogni sorta di persecuzioni diaboliche fin dalla prima infanzia – visioni, rumori, violenze fisiche – e seppe combattere il diavolo in maniera eroica (Boniface 1966; Chiron 1989). Rappresenta dunque il potere di chi ha partecipato alle sofferenze causate da Satana e le ha cristianamente offerte a Dio. Santo Pio, inoltre, ha vissuto sul proprio corpo addirittura la passione di Cristo; non e` certo casuale che piccole sue foto, in particolare quelle delle stimmate, venissero poste sul corpo dell’esorcizzata: l’effetto ricercato non era solo quello di un trasferimento per contatto del potere taumaturgico e antidemoniaco del santo, ma simbolicamente si opponeva all’identificazione eccessiva, anomala e negativamente connotata della posseduta con il diavolo, quella altrettanto eccessiva e straordinaria ma positivamente valorizzata dello stigmatizzato con Cristo. Al corpo a corpo tra l’esorcizzata e l’esorcista, che rispettivamente incarnano il potere diabolico e quello divino, si aggiunge un terzo termine che rappresenta un altro corpo a corpo: le 8
Padre Pio non era ancora stato neanche beatificato.
LA CARNE CONVULSIVA
stimmate, segni divini del corpo santo, contro l’agitazione motoria e le grida, segni diabolici del corpo posseduto. «Ossesso» autoliberato, operatore di guarigioni, sacerdote stigmatizzato e santificato, la figura di padre Pio svolge la funzione di mediatore dell’efficacia del rito conferendo all’esorcista un supplemento di forza. Se l’elevazione del frate di Pietralcina alla dignita` di santo (prima del riconoscimento ufficiale) e` facilmente spiegabile, cosı` come l’aiuto che rappresenta per l’esorcista – piu` noto di molti altri veri santi e` riconoscibile dall’esorcizzata devota come potente contro il proprio male – resta da chiarire grazie a quali attributi anche padre Candido si collochi in una posizione «santificata» e mediatrice. Come si e` detto, padre Candido Amantini e` stato l’iniziatore di don Amorth all’attivita` di esorcista, il maestro da cui l’allievo ha ereditato gran parte del sapere soprattutto tecnico e una parte della «clientela». Inoltre, la lunga esperienza e forse delle doti particolari lo qualificano come potente esorcista e ne hanno esteso la fama anche oltre i confini regionali. ` proprio in quanto maestro che, unico personaggio ancora vivo, E trova posto tra i morti invocati9; e` in quanto esorcista efficace che si colloca tra i santi, con i quali condivide il potere contro il diavolo anche se lo ha ricevuto solo per designazione della Chiesa. Nello stesso tempo e` per l’attuale esorcista il supporto reale e simbolico piu` prossimo, l’individuo attraverso il quale i poteri esorcistici conferiti dalla Chiesa gli sono stati effettivamente trasmessi assumendo la concretezza di un patrimonio tecnico da apprendere. Circa le possedute che reagiscono al nome di padre Candido con segni di avversione, e` legittimo supporre che siano proprio alcune di quelle da lui a suo tempo esorcizzate, che cosı` dimostrano di essere ancora suscettibili alla forza dell’anziano passionista. Insieme, la donna esorcizzata e don Amorth, legando al presente il proprio passato – di posseduta e di apprendista esorcista – tramite il nome di padre Candido, non solo riassumono nell’esorcismo in atto la storia millenaria del combattimento della Chiesa contro il male personificato, ma gli conferiscono una continuita` con il passato prossimo e ne costruiscono la tradizione specifica e contestuale. D’altra parte, anche chi prima di iniziare le sedute esorcistiche non conosceva padre 9
All’epoca della prima osservazione degli esorcismi, nel giugno-luglio 1991, padre Candido era ancora vivo; e` morto circa un anno e mezzo dopo.
I MEDIATORI SOPRANNATURALI
Candido, ha modo, nella relazione con don Amorth, di apprendere chi e` e qual e` il suo potere10. In questo caleidoscopico assortimento di santi, morti, spiriti, angeli, etc., e` anche ravvisabile il segno dell’integrazione dei due livelli di religiosita` cristiana: quello «ortodosso» canonico, contraddistinto – per l’esorcismo – dal Rituale Romano, e quello «popolare», legato alle esperienze, tradizioni, consuetudini locali, variabile secondo il tempo e la localita`. I richiami agli aspetti di religiosita` popolare si presentano, ovviamente, dotati di particolare rispondenza ed efficacia. Secondo l’interpretazione proposta, gli individui e le istanze soprannaturali che partecipano al rito esorcistico risultano essere, ognuno secondo le proprie caratteristiche e attributi, dei mediatori tra vari livelli di realta` – umana e soprannaturale, soprannaturale benefico e malefico, rituale ed extra-rituale – e tra varie modalita` dell’essere umano – maschile e femminile, morti e vivi, essere umano posseduto e essere umano liberante. Questa funzione mediatrice li qualifica come una particolare categoria di operatori simbolici delle trasformazioni che l’esorcismo ha lo scopo di rappresentare. Trasformazione del male dell’esorcizzata in possessione ritualizzata, che va di pari passo con la creazione di un tempo e luogo rituali e passa per la parallela «metamorfosi» del sacerdote in individuo dotato di poteri ` soprattutto in relazione all’esorcista, celebrante del rito, superiori. E che gli individui e gli esseri spirituali chiamati in causa appaiono come «spiriti ausiliari», strumenti d’aiuto e protezione grazie ai quali egli puo` muoversi e orizzontarsi tra i vari ordini di realta` che l’esorcismo mette in scena. Senza voler proporre arbitrarie comparazioni tra l’esorcista e lo sciamano, sembra pero` possibile riscontrare delle analogie nella funzione degli esseri che permettono in entrambi i contesti il superamento della condizione umana, profana, e contribuiscono all’instaurarsi di un mondo rituale dove l’esorcista come lo sciamano gode di un potere non ordinario. Se, come suggerisce Eliade per lo sciamanesimo (Eliade 1974: 110 sg.), cio` che caratterizza in maniera specifica la categoria degli spiriti ausiliari e` il rapporto di familiarita` che l’officiante del rito
10 Ad esempio Vittoria. Don Amorth a volte parla del passionista, ricordando qualche aspetto dei suoi esorcismi e le sue capacita`; inoltre, un quadro appeso ad una parete della seconda sede lo rappresenta.
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intrattiene con loro – che li differenzia ad esempio dagli altri esseri divini invocati – anche tra gli ausiliari dell’esorcista occorre distinguere. Alcuni, come lo Spirito Santo o gli angeli, sono piu` potenti ma generiche entita` soprannaturali; altri assumono il ruolo di specifici «spiriti familiari» disponibili ed efficaci per il particolare esorcista, che vi ricorre anche in modo differenziato in relazione al determinato soggetto che ha di fronte. I santi, padre Pio, padre Candido sono gli strumenti ausiliari necessari ad ancorare il piano generale e fisso in cui opera il rito esorcistico alla specifica attivita` dell’esorcista. Nello stesso tempo, come suoi «alter ego», lo collegano al piano soprannaturale nel quale i suoi poteri hanno origine. Anche le assistenti rientrano tra gli esseri ausiliari: pur essendo presenti fisicamente e non in spirito, rappresentando dunque il supporto concreto dell’esorcista, esse sono una sorta di «doppio» che mette in relazione la dimensione rituale con l’esperienza quotidiana, profana. Circa il ruolo dei santi nell’esorcismo, vale la pena fare alcune osservazioni relative alle trasformazioni che, rispetto al passato, si riscontrano negli esorcismi praticati da don Amorth. Mentre rimane costante l’importanza dell’invocazione al santo e il ricorso alla sua potenza mediatrice, nella pratica dell’esorcista romano le modalita` sono cambiate almeno in due sensi. Laddove nel XIV-XV secolo l’esorcista chiedeva allo stesso diavolo qual era il suo nemico in cielo (Hanlon e Snow 1988: 18; Bourneville 1886: 3) e ogni demone – se ce n’era piu` di uno nella stessa posseduta – era costretto dalla forza degli esorcismi ad indicare il nome di colui per mezzo del quale sarebbe stato scacciato, oggi e` l’esorcista che propone una lista di santi all’interno della quale il soggetto esorcizzatodiavolo «sceglie» il suo o i suoi nemici esprimendosi solo con alcuni atteggiamenti corporei. In questo caso non abbiamo piu` l’espressione diretta e verbale del demone per bocca della posseduta. Cio` sembra essere il prodotto del cambiamento di tendenza della Chiesa che a livello teorico raccomanda di non dare troppo credito alle affermazioni diaboliche e praticamente si traduce nel ridurre al minimo la possibilita` di parola del soggetto, squalificandola a favore del linguaggio corporeo. Se quest’ultimo e` sempre stato al centro della possessione e dell’esorcismo, in passato le parole dei demoni assumevano altrettanta importanza, tanto da provocare l’intervento della magistratura e la morte in quanto stregoni di alcuni individui. Inoltre, l’associazione privilegiata di un certo demone con un
I MEDIATORI SOPRANNATURALI
determinato santo non disegna piu` quella sorta di mappa di entita` antagoniste collocate nella gerarchia soprannaturale secondo gradi che si corrispondono (il demone appartiene ad un preciso ordine celeste come il santo o l’angelo) (Hanlon e Snow 1988: 18). Per altri versi, pero`, resta sostanzialmente identica la logica che regola il ricorso al santo. Nella pratica di don Amorth si valorizza non solo la santita` di alcuni specifici personaggi, ma la devozione delle possedute nei loro confronti: l’esorcista, finito il rito, chiede a Lea se e` devota di quei santi ai nomi dei quali ha reagito nel corso dell’esorcismo (naturalmente senza dirle che avevano provocato un atteggiamento di rifiuto di cui Lea non dovrebbe serbare memoria). Cosı` facendo egli lega la potenza del santo contro il diavolo possessore alla fiducia che la posseduta in stato «normale» in lui riporrebbe. L’efficacia antidiabolica risiede piu` nella vicinanza del personaggio invocato alla realta` esistenziale dei protagonisti del rito che in un’astratta distribuzione di potere secondo l’importanza ufficiale del santo o il rango angelico. Ma anche in passato l’individuazione dell’essere potente contro un determinato demone era spesso determinata dalla sua prossimita` alla vita della posseduta: S. Maria Maddalena, il cui ruolo fu fondamentale negli esorcismi di Jeanne Fery, era la santa privilegiata della suora e l’accompagno`, anche sotto forma di immagine dipinta, fin da bambina per tutta la vita (Bourneville 1886; Debongnie 1954)11. La trasformazione che quindi si puo` rilevare va nel senso di privilegiare certi mediatori piu` diretti ed attuali; nel lasciare all’ambiguita` dei segni corporei il compito di manifestare la potenza del personaggio che una volta veniva individuato tramite le parole del diavolo nell’interrogatorio, e nella piu` diretta gestione sacerdotale che indirizza – tramite la lista proposta – la scelta del nome. Un altro elemento deve essere considerato in relazione alla trasformazione dei modi effettivi dell’intervento del santo negli esorcismi: l’uso delle reliquie. Da sempre esse hanno rivestito un ruolo importante e ancora oggi se ne sottolinea l’efficacia, ma non le troviamo che molto di rado nella pratica di don Amorth. Anche nel suo libro ricorda l’efficacia delle reliquie di santi o della Santa Croce – «efficacissima [...] perche´ e` con la Croce che Gesu` ha sconfitto il 11
Negli esorcismi osservati oggi, pero`, il rapporto tra demone e santo si sposta su un piano ancora piu` vicino alla vita dell’esorcizzata in quanto a volte il «santo» potente non e` ufficialmente santo, come padre Pio o padre Candido, e appartiene spazialmente e temporalmente ad un mondo prossimo agli attori del rito.
LA CARNE CONVULSIVA
regno di Satana» (Amorth 1991: 148) – tra i mezzi sacri che tutti i cristiani possono impiegare per liberarsi dalle influenze malefiche, ma non attribuisce loro un potere caratterizzante gli esorcismi ufficiali. In realta` la funzione delle reliquie non e` del tutto scomparsa neanche in questi ultimi: essa sembra essere stata ereditata dalle immagini plastificate di padre Pio. Queste appaiono il sostituto moderno delle reliquie: pur non essendo dei veri santini ma riproduzioni di foto del viso e delle stimmate di padre Pio senza approvazione ecclesiastica, esse condividono con le immagini sante la caratteristica di poter essere usate dal fedele anche privatamente e a stretto contatto con il corpo; in questo si differenziano dalle reliquie che e` il sacerdote ad applicare generalmente sul corpo dell’esorcizzata. Se la loro funzione di strumento antidiabolico rimane sostanzialmente la stessa, le foto plastificate riflettono pero` l’utilizzo nella prassi esorcistica dei mezzi moderni oggi disponibile per rendere visibile e comunicabile il potere del corpo santo. Esso si esprime e si trasmette anche in e tramite la fotografia che, fissando il santo vivo in un’immagine, compie cio` che in passato era attribuito esclusivamente ai resti e ai luoghi del santo: estenderne l’efficacia dopo la morte.
8 IL PROCESSO RITUALE: ANALOGIE, RIPETIZIONI, INTEGRAZIONI
1. Un rito trasformativo La logica simbolica dell’esorcismo e l’ambigua condizione di posseduta-esorcizzata possono essere meglio spiegate alla luce dei riti cattolici che ordinano e governano momenti considerati pericolosi nella vita del cristiano: la nascita e la morte, in particolare, a cui corrispondono iniziazione battesimale e preparazione alla vita nell’aldila`. Innanzitutto, sono alcuni degli elementi stessi degli esorcismi osservati a richiamare dal punto di vista storico e morfologico il rito del battesimo e quello per i malati-moribondi: uso della stola viola e del sale, impiego di olio dei catecumeni misto ad olio degli infermi, le unzioni stesse e le zone del corpo interessate. D’altra parte, nel nuovo Rito riformato il rimando ai gesti e riti del catecumenato e` esplicito. Dato che le unzioni, con corrispondente nominazione delle parti segnate, non sono prescritte dall’esorcismo solenne per gli indemoniati contenuto nel Rituale, occorre chiedersi qual e` il loro contesto originario. Un primo accostamento puo` essere fatto con il rito dell’antica apertio aurium che, inserito nella preparazione al battesimo dei catecumeni, consisteva nell’unzione delle orecchie, poi accompagnata da quella delle narici e del petto. A partire da V-VI secolo esso fu sostituito dal semplice tocco delle orecchie e delle narici con le dita umettate di saliva da parte del sacerdote, mentre veniva ancora praticata l’unzione sul petto a cui si aggiunse quella inter scapulas. Il rito prese il nome di effeta. Con esso, in entrambe le forme, i candidati erano ammessi per la prima volta all’ascolto del Vangelo; si
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significava cosı` «la disposizione del neobattezzato all’ascolto in fede della parola di Dio»1. Ma le unzioni esorcistiche sembrano soprattutto essere analoghe a quelle impartite nell’unzione dei malati, date le parti del corpo implicate e la recitazione di preghiere che le nominano. Secondo un’antichissima tradizione, il Rituale Romano prevedeva, prima della riforma liturgica, che le unzioni fossero fatte sui cinque sensi del malato e sui piedi, con formule deprecative relative a ciascun senso e alla parte del corpo nominata2. In passato si ungeva anche la zona del corpo corrispondente ai reni e l’olio era anche bevuto (Cabrol 1925: 2783-2784). Dopo la riforma liturgica del 1972, l’unzione e` praticata solo su fronte e mani3. In passato si faceva dunque riferimento ai peccati che il malato poteva aver commesso con i cinque sensi e l’imposizione della mano, che precedeva le unzioni, era accompagnata da una formula esorcistica. Oltre al rapporto storico-liturgico con tali riti, una seconda ragione suggerisce di considerare l’esorcismo in relazione a battesimo ed estrema unzione4; tutti e tre regolano tre passaggi fondamentali: dalla malattia fisica e spirituale diabolicamente connotata, alla salute; dalla non-esistenza come cristiano alla vita cristiana, dalla vita terrena all’aldila`. Nell’esorcismo la posseduta e` contemporaneamente trattata come gia` morta alla vita cristiana che va ri-iniziata (rinascita simbolica), e come malata, vicina alla morte, che va protetta. In esso si riassume e si condensa il percorso rituale che fa di un individuo un cristiano, rappresentandolo in una situazione limite che ne conferma la validita` salvifica sul piano terreno e soprannaturale. Da questo punto di vista, l’esorcismo appare come un rito trasformativo5 con un valore iniziatico. Questo si esprime nell’esorcismo, oltre che con l’impiego degli strumenti specifici che assimilano l’esor-
1
Torre 1970b: 1609-1610 (v. III); Puniet (de) 1925: 2523-2537 e 2579-2621 (v. I-II). Torre 1970b: 1647-1648 (v. III); Ordo ministrandi extremæ unctionis in Collectium Rituum 1956: 85-93. 3 Ordo unctionis infirmorum... in Rituale Romanum MCMLXXII. 4 Da un punto di vista teologico-liturgico l’accostamento e` improprio per la differenza di statuto: mentre l’esorcismo e` un sacramentale, gli altri due sono sacramenti; qui si giustifica nell’ipotesi prima enunciata che sono tutti preposti a momenti di particolare importanza nella vita del cristiano. 5 Non utilizzo la classica categoria antropologica di rito di passaggio (Van Gennep 1981) perche´ non risulta utile a chiarire la logica e la dinamica del rito esorcistico; per una critica alla teoria di Van Gennep vedi Bourdieu 1988: 97-107 e Turner 1977: 53-70. 2
IL PROCESSO RITUALE: ANALOGIE, RIPETIZIONI, INTEGRAZIONI
cizzata a una battezzanda e a una morta, anche nel fatto che il comportamento da posseduta e` appreso essenzialmente all’interno del rito grazie all’impiego di tutti quegli operatori simbolici messi in gioco dall’esorcista e prima analizzati. Egli funge da iniziatore al ruolo diabolico della posseduta ponendosi come la figura contrapposta – il rappresentante di Dio dotato degli strumenti sacri – in rapporto alla quale tale ruolo acquista significativita`. Ritualmente prodotto e riprodotto, dunque, esso comporta che l’iniziazione dell’esorcizzata non riguardi solo il comportamento stereotipato ma anche l’acquisizione della capacita` di rappresentarlo entro i limiti del contesto rituale. L’esorcizzata e` iniziata sia al linguaggio demoniaco, al ruolo e alla sua riproduzione nel rito, sia al superamento di esso, che passa per il riconoscimento dell’efficacia degli strumenti esorcistici sulla figura diabolica dall’esorcismo prodotta. Quando il processo riesce solo in parte e la posseduta non arriva a superare quella soglia che le permetterebbe di ritrovare definitivamente la salute e di terminare la «terapia» esorcistica, ella appare come una sorta di iniziata ad un culto di guarigione: resta dipendente dal rito all’interno del quale puo` almeno continuare ad esprimere il suo male con la sicurezza che esso sara` riconosciuto e compreso, e la speranza che possa essere eliminato. Quando il processo riesce per intero, l’iniziazione diventa cio` che permette il passaggio da un disagio o malessere ad una sorta di nuova integrita` e talvolta l’acquisizione del nuovo status di rinata alla vita cristiana.
2. La ripetizione degli esorcismi Dopo aver considerato i vari elementi che simbolicamente operano la serie di passaggi individuabili sia a livello di singolo rito che a quello della trasformazione complessiva del soggetto in «indemoniato» da liberare, elementi di cui si sono rintracciate le caratteristiche che li rendono adatti come operatori di cambiamento, e analizzata la dinamica delle relazioni tra di essi in una seduta esorcistica, passo ora a considerare come la possessione ritualizzata si struttura nel tempo (assumendo anche le caratteristiche di «terapia» rituale). Rispetto al primo esorcismo di Luisa da me osservato, gli urli sono diminuiti cosı` come i movimenti del corpo, il tentativo di divincolarsi, i conati di vomito e la congestione del viso. Reagisce soprattutto muovendo la testa a destra e a sinistra non molto veloce-
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mente. A differenza dell’altra volta, riesce ad espellere un grumo di saliva densa [...]. Tentativi un po’ piu` violenti la donna li ha all’aspersione con acqua benedetta e soprattutto dopo l’unzione con olio, quando l’esorcista con forza le tiene premuto sotto il naso il recipiente con l’olio per alcuni secondi, tenendole la testa con l’altra mano per non farla ritrarre. Anche in altri casi don Amorth fa annusare il contenitore, ma e` la prima volta, in mia presenza, che si sofferma cosı` a lungo e con tanta determinazione. Nel caso di Luisa, non sembra che egli abbia aspettato che la donna mostrasse di reagire all’applicazione per continuare con forza a farglielo annusare. Da subito il gesto e` stato deciso e costrittivo. Cio` e` dovuto al fatto che nelle sedute precedenti gia` era stata avanzata l’interpretazione dell’atteggiamento di Luisa come significativo rispetto all’uso rituale dell’olio. Infatti, alla fine dell’esorcismo della settimana precedente, esorcista ed assistente – su iniziativa della seconda – avevano commentato dicendo che aveva ancora reazioni di fastidio all’olio. L’esorcista ritiene che la possessione della donna attraversi una fase discendente dopo una ascendente e considera un buon segno il diminuire delle forze. Mentre Nora si siede sulla sedia per essere esorcizzata, il sacerdote le chiede come va e se al di fuori delle benedizioni ha gli scuotimenti di testa, vale a dire quei movimenti veloci e ripetuti del capo che presenta durante gli esorcismi. La donna sostiene che cio` le accade solo alle messe di Milingo e alle benedizioni di padre Ermete (sacerdote che appartiene ad un gruppo carismatico), comunque alle preghiere di liberazione. Don Amorth piu` tardi mi dice che aveva chiesto per me queste informazioni, dal momento che lui gia` ne era a conoscenza; prima di iniziare ad essere esorcizzata la donna aveva scuotimenti di testa anche nella vita ordinaria, ora no e cio` e` segno di miglioramento. Simona ha una forma molto grave di possessione. Alla mia domanda sui segni che presentava inizialmente, il sacerdote risponde che la donna non riusciva a pregare, ne´ a stare in chiesa perche´ aveva i «rigurgiti», cioe` quella specie di erutti che emette anche per tutto la durata dell’esorcismo. Avrebbe fatto notevoli passi avanti, anche se non e` guarita: ora non presenta piu` quelle manifestazioni al di fuori dell’esorcismo e riesce a fare la comunione mentre prima piu` persone le dovevano aprire a forza la bocca.
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Ester e` praticamente guarita. I brevi esorcismi a cui e` sottoposta sono una sorta di controllo per verificare che non ci siano recrudescenze del male. A cio` si aggiunge quella che potrebbe essere chiamata una «terapia di sostegno»: l’esorcista consiglia di frequentare, se gia` non lo fa, un gruppo del Rinnovamento carismatico e nomina tre sacerdoti che ne fanno parte. Ester chiede se hanno partecipato agli esorcismi di don Amorth e le viene risposto di sı`. L’esorcista, mentre non sa darmi informazioni sulla genesi del male, perche´ non ha indagato, sottolinea che durante gli esorcismi Ester presentava vari segni che ora sono scomparsi: sbavava, aveva conati di vomito, si buttava per terra. ` la terza volta che Gabriella e` esorcizzata. Dopo commenti E scherzosi sui parenti che l’accompagnano, l’esorcista le chiede come e` stata dopo l’ultimo esorcismo; la ragazza risponde che non sempre riesce a dire le preghiere e che il giorno dopo e` stata malissimo (parla di mal di stomaco o fa un gesto per indicarlo). Senza commenti il sacerdote inizia il rito, nel corso del quale Gabriella piange, lancia qualche breve urlo, ma non oppone resistenza ne´ ha un comportamento violento [...]. L’esorcista mi dice che al primo esorcismo, appena messa la mano sul capo, la donna ha fatto un grande urlo seguito da un pianto liberatorio. Al secondo esorcismo non ha dato nessun segno; al terzo ` un caso da – a cui io partecipavo –: urla, mal di stomaco e pianto. E studiare ancora: sembra trattarsi di una forma lieve e temporanea di attacco malefico. Per la sua guarigione potrebbero bastare preghiere e sacramenti; utile puo` essere la partecipazione ad un gruppo del Rinnovamento Carismatico. Gli esempi appena riportati illustrano alcuni aspetti del processo di produzione-riproduzione della possessione diabolica ritualizzata e rivelano elementi e modi con i quali l’esorcista costruisce la sua interpretazione dello sviluppo del male; introducono dunque all’esame del trattamento rituale nel tempo. Infatti, gli esorcismi vanno ripetuti piu` volte sia in casi sospetti, per formulare una diagnosi attendibile, sia in casi di accertata influenza diabolica, come «terapia». Il punto centrale, da esaminare da un prospettiva critica, e` costituito proprio da quei segni o dalla scomparsa dei segni che l’esorcista interpreta come miglioramenti e propone come tali al
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soggetto. Prima di affrontare piu` in dettaglio l’analisi del procedimento rituale che induce la manifestazione del male-malessere secondo forme stereotipate (gli da` una forma, un nome e un senso per poterlo affrontare e vincere; crea per esso un contenitore rituale e una sua precisa rappresentazione), va notato che vari sono gli elementi assunti come indici positivi di guarigione o di efficacia esorcistica. Essi comprendono la comparsa di comportamenti significativi durante il rito e non manifestati prima dell’esorcismo; gli effetti che si suppone siano creati dal rito nella vita ordinaria; la progressiva sparizione di quegli stessi comportamenti o reazioni di avversione nel corso dei ripetuti esorcismi. Il caso di Gabriella e` considerato dal primo punto di vista: i segni che da` non si verificavano prima dell’esorcismo e sembrano via via aumentare d’intensita`; se e` il rito a provocarli vuol dire, per l’esorcista, che ci si trova di fronte ad una forma diabolica del male per combattere la quale l’esorcismo e` stato ideato. L’aumento o l’intensificarsi dei segni diabolici vuol dire allora che il demone e` costretto a scoprirsi, e sono quindi segni positivi. Cio` puo` avvenire anche dopo anni di sedute, come nel caso di Lea: da un anno circa la donna presenterebbe manifestazioni piu` vistose che fanno sperare in una futura liberazione. Naturalmente lo scopo ultimo del rito e` l’eliminazione della possessione e dei comportamenti che la rivelano e, dunque, la vera efficacia si misura nel lungo periodo, tenendo conto della riduzione e della scomparsa di quei comportamenti, piu` che della capacita` di provocarne una manifestazione esteriore. In questo senso gli attori del rito possono gia` ritenersi parzialmente soddisfatti se, pur non avendo raggiunta la definitiva liberazione, si sono ottenuti dei «miglioramenti»: la diminuzione della forza di Luisa nelle reazioni all’esorcismo; la limitazione degli scuotimenti di testa di Nora solo in concomitanza ad esorcismi e preghiere di liberazione; la possibilita`, per Simona, di fare la comunione ed assistere alla messa senza che fuori dal rito esorcistico ella esprima avversione al sacro nel suo particolare modo, cioe` con emissioni continue di aria dalla bocca. La guarigione di Ester, infine, sembra essere essenzialmente misurata sulla base della scomparsa di quei segni – bava, agitazione motoria con cadute, conati di vomito – che la donna manifestava durante gli esorcismi. L’interpretazione in termini positivi sia della manifestazione di segni stereotipati che della loro diminuzione, puo` sembrare contraddittoria; la contraddizione si rivela invece solo apparente non sol-
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tanto secondo l’ideologia che sostiene tale interpretazione, ma anche nella prospettiva che considera la possessione come espressione codificata e ritualizzata di un male inizialmente indefinito. Anzi, e` proprio da questo punto di vista che si puo` comprendere la coerenza della logica del dispositivo simbolico esorcistico. L’attenzione quasi esclusiva dell’esorcista all’evoluzione dei segni nel corso dell’esorcismo indica che proprio nella rappresentazione rituale si gioca la riuscita della «terapia» religiosa. Essa consiste innanzitutto nella progressiva codificazione, strutturazione e rappresentazione in termini diabolici dei disturbi e delle sofferenze che hanno portato il soggetto ` questa la fase che corrisponde, a richiedere l’intervento esorcistico. E dal punto di vista dell’esorcista, al suo intervento volto a fare uscire lo spirito maligno allo scoperto, e dunque a suscitare reazioni ai vari strumenti esorcistici. Una volta che l’esorcizzata ha appreso a rappresentarsi come posseduta e manifestare ritualmente, secondo il codice propostole, una serie di segni nei quali si converte e condensa il suo malessere iniziale, potra` essere in grado, nel lungo periodo, di sperimentare e dimostrare l’efficacia di quegli stessi strumenti esorcistici non reagendo piu` con avversione e resistenza, vale a dire abbandonando progressivamente il comportamento diabolico. A questa evoluzione corrisponde il diminuire delle forze o la scomparsa di reazioni ad olio e acqua benedetti, cioe` quella che l’esorcista chiama una fase discendente. In definitiva, si agisce sul male agendo sulla sua rappresentazione diabolicizzata. L’esorcismo appare dunque il dispositivo simbolico dell’induzione della crisi rituale di possessione e la sua efficacia dipende dalla riuscita dell’apprendimento del ruolo che il soggetto e` chiamato a rappresentare. Cosı` si spiega la necessita` della ripetizione regolare nel tempo delle sedute. Rispetto ai procedimenti specifici che operano la conversione dei segni e producono la rappresentazione ritualizzata della possessione, ho precedentemente mostrato come, nello svolgimento del singolo esorcismo, essi realizzano la configurazione diabolica del male dell’esorcizzata e contemporaneamente la sua «terapia». Ma, ovviamente, e` nel lungo periodo degli esorcismi ripetuti che si puo` misurare la validita` dello schema proposto, secondo il quale il trattamento rituale si struttura come progressiva esteriorizzazione del supposto essere possessore, identificazione con esso e successivo sdoppiamento. Sulla base delle notizie fornite dall’esorcista, delle storie raccon-
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tate da alcune donne e raffrontando i comportamenti dei vari soggetti in relazione al momento in cui lo specifico esorcismo si colloca nella vicenda rituale complessiva, e` possibile ricostruire lo sviluppo stereotipato del male e il modo di operare degli strumenti esorcistici6. D’altra parte l’analisi di casi storici relativamente ben documentati sembra confermare l’ipotesi su un piano generale. Se il ricorso all’esorcista puo` far pensare che il soggetto e/o il suo entourage gia` considerino una possibile interpretazione in termini soprannaturali o diabolici del male o degli eventi negativi che lo affliggono, cio` non vuol dire che prima dell’esorcismo si siano gia` manifestati quei segni di influenza o presenza diabolica che caratterizzano la crisi di possessione rituale. In genere all’esorcista si chiede, ancor prima di guarire, di rintracciare la causa del malessere che sfugge alle proprie capacita` di individuazione e comprensione e, a volte, nel caso di mali fisici o psichici, anche alla scienza. A suo dire, Vittoria, non pensava minimamente di spiegare con un’origine diabolica il male di cui soffriva7 finche´ non si e` sottoposta agli esorcismi, disperata e su consiglio di un «professore sensitivo»8. «Era come se la jella si fosse accanita contro di me», ripete piu` volte. ` la sua stessa reazione nel corso del rito, inizialmente letta anche E nell’espressione del viso e nell’atteggiamento spaventato di chi la accompagnava, che convince Vittoria che qualcosa di soprannaturale e di maligno e` intervenuto nella sua vita. Il marito, presente agli esorcismi, ad esempio, abbandona il suo scetticismo quando si vede quasi aggredito da Vittoria con gli occhi interamente bianchi dalle pupille abbassate: «Hai visto quando ti ringhia un animale, un cane? Ecco [...] gli volevo andare addosso e aggredirlo», ricorda la donna. Dal momento che il primo esorcismo le provoca pianti e alterazione del viso, ed e` seguito da una sensazione di svuotamento che in seguito diventa anche benessere e rilassamento, la donna pensa che l’esorcismo ha qualche effetto e vale la pena continuare. Gli esorci6 Nonostante l’osservazione diretta e prolungata della pratica esorcistica di don Amorth, con la raccolta di dati significativi sul percorso terapeutico-rituale di molte delle persone esorcizzate (cfr. la storia di Sara), non e` stato possibile seguire l’evoluzione dei segni dal primo all’ultimo esorcismo, tranne rare eccezioni. 7 Nervosismo, aggressivita` ingiustificata verso i familiari, pensieri di morte e suicidio, paure, allucinazioni uditive notturne, comparsa improvvisa di acne e numerosissime verruche, caduta e cambiamento di consistenza dei capelli, alterazioni ormonali, mal di stomaco persistente, sonnolenze improvvise. 8 Il riferimento e` al dott. Morabito, psichiatra noto al pubblico televisivo, sostenitore della realta` della possessione diabolica.
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smi infatti si susseguono regolarmente ogni 15 giorni e Vittoria, accettata essenzialmente l’interpretazione diabolica, si comporta conformemente reagendo secondo le modalita` stereotipate e quindi confermandola. Nel corso degli esorcismi manifesta via via l’impossibilita` di bere acqua esorcizzata – a volte sputata contro il sacerdote –, prova fastidio all’olio, pronuncia espressioni blasfeme, assume un comportamento violento contro l’esorcista e – piu` tardi, durante l’interrogatorio – arriva a pronunciare il nome della donna presunta colpevole della fattura all’origine del male. Dopo alcuni mesi indica anche la data dell’uscita del demone: data coincidente, come poi si rendera` conto, con l’anniversario del suo matrimonio. Vittoria e` contenta ma l’esorcista le consiglia di non illudersi e l’avverte che il diavolo dice speso bugie, e infatti la liberazione non avverra` nel giorno previsto. In ogni caso, col progredire delle sedute il suo atteggiamento violento si trasforma in una sorta di passivita` caratterizzata dalla caduta in una specie di sonno quando l’esorcista pronuncia le formule rituali, e anche la spossatezza che provava dopo le sedute e` sostituita da una sensazione di sollievo. Cosı` si esprime Vittoria: «No, non sono guarita il 7 giugno. Cioe`, non ero piu` a livello di prima che uscivo da la` sconvolta... Pero`, ecco, per esempio nelle sedute m’addormentavo, mi prendeva sonno». Io: «Quando? All’inizio o alla fine?» «Quando stavo... diciamo che non avevo piu` quelle reazioni un po’ violente, dopo mi prendeva sonno. Mentre lui pregava io mi addormentavo; praticamente e` come se io non volessi sentire quello che lui mi diceva. Cascavo proprio... pero` sentivo, eh! Hai visto quando ti si chiudono gli occhi che tu non riesci a controllare... Eh, mi si chiudevano proprio gli occhi. Niente. Poi, piano piano, piano piano, piano piano». Io: «E lui come faceva? Perche´ ho visto che da` questi schiaffetti sulla fronte» «Che fa quando ti fa l’esorcismo?» Io: «Sı`, in che modo ti svegliava, poi?» Vittoria, dopo una breve pausa: «Niente, mentre dice proprio quella preghiera specifica..., tu caschi proprio... ci hai queste reazioni, poi quando lui smette – dice diversi tipi di preghiere, non ne dice solo una – niente, ti svegli». Io: «Quando finisce». «Automaticamente, non te lo so dire. Poi ti da` lo schiaffetto, ma quello quando stai sveglia, diciamo. A volte m’e` successo pure che lui finiva di dire ’ste preghiere e io dormivo, e allora doveva ricominciare da capo, capito? Quando... perche´ quando ancora non sei, diciamo, non stai bene lı` per lı`, non reagisci, non ritorni normale, allora lui ricomincia un’altra volta, capito? Poi dopo, piano piano, piano piano, sempre meno, sempre meno... Per esempio dopo non rifiutavo piu` l’olio santo, non rifiutavo piu` il crocifisso, perche´ quando stai cosı`, se ti mettono davanti un’immagine di Gesu` Cristo, insom-
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ma... non la vuoi vedere, ti da` fastidio. Ah! E mi dava fastidio pure quando nominava padre Candido. Quando dice una preghiera... dice pure il nome di padre Candido e mi dava fastidio sentire quel nome». Io: «Ma tu lo conoscevi?» «No. No, pero` quello e` un esorcista, diciamo, il migliore» Io: «Il piu` famoso». «Eh. Mi dava fastidio. Diciamo potente come esorcista, e mi dava fastidio sentı` il nome di padre Candido. Poi, don Amorth mi disse che dovevo pregare tanto, infatti mi sono avvicinata parecchio alla chiesa».
Per quanto gli specifici problemi e le storie personali di possessione delle esorcizzate si possano differenziare, nello sviluppo rituale della vicenda di Vittoria si ritrovano i passaggi fondamentali attraversati da tutte le persone ai cui esorcismi ho partecipato. Come Gabriella, anche Vittoria piange e lancia un urlo ai brevi esorcismi iniziali: le prime reazioni non sono ancora completamente stereotipate, ma gia` indicative per l’esorcista, autorizzano quest’ultimo a ripetere le benedizioni. Man mano gli esorcismi diventeranno piu` lunghi, con impiego delle formule complete e dei vari strumenti supplementari – applicazione dell’olio, interrogatorio, invocazioni dei santi. Vittoria, come le altre, comincera` a reagire all’apparato esorcistico dando sfogo all’aggressivita` o esteriorizzando il suo malessere nelle forme codificate che le vengono suggerite, cioe` come incarnazione di una forza malefica altra da se´. Questa rappresentazione del ruolo diabolico che coincide con l’esteriorizzazione del male giunge, in certi casi, fino all’identificazione rituale con l’entita` diabolica nelle risposte all’interrogatorio. A differenza di Luisa o di Giovanna, Vittoria non dichiarera` di essere un determinato demone, ma pronuncera` il nome dell’agente umano colpevole della fattura; in ogni caso, il responsabile entra direttamente in scena, e una volta realizzata l’identificazione, la posseduta potra` piu` facilmente procedere alla disgiunzione tra se´ e l’essere possessore, prima ritualmente, e in seguito anche in forma pressoche´ definitiva. L’interrogatorio in italiano, quindi, non e` fatto subito, ma quando una serie precedente di sedute permette all’esorcista di ritenere che l’esorcizzata sia gia` sufficientemente calata nel ruolo diabolico, abbia cioe` appreso il comportamento rituale da posseduta. Via via che gli esorcismi proseguono, anche l’azione esorcistica si specifichera` incentrandosi su quegli strumenti – manipolazioni, unzioni... – che il sacerdote ritiene piu` efficaci nel caso in questione. In altre parole, su quegli atti verbali e non verbali ai quali il soggetto ha appreso a reagire con particolare intensita`. Non e` infatti tanto o solo la sua storia personale che induce l’esorcizzata a percepire come potente quel particolare
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nome o gesto; come si puo` vedere nell’esempio di Luisa, non solamente si apprende il comportamento conforme al ruolo rappresentato – avversione generica al sacro –, ma si e` anche indotti dall’esorcista a manifestare un crescente fastidio a determinati atti. In che modo cio` avviene? Nell’esorcismo di Luisa prima descritto, si notava chiaramente che l’applicazione dell’olio era praticata immediatamente con una determinazione e forza inconsuete, senza attendere la reazione della donna. Per l’esorcista la costrizione del gesto era giustificata dall’interpretazione, acquisita e formulata dall’esorcista stesso in maniera esplicita nella seduta precedente, circa le reazioni all’olio manifestate da Luisa. Anche se io non avevo notato particolari differenze nel comportamento della donna quando le era stato fatto annusare l’olio, assistente ed esorcista hanno ritenuto significative le sue reazioni. Una volta formulata l’interpretazione di certi segni, l’esorcista procedera`, nelle sedute successive, non in modo di saggiare di nuovo le reazioni dell’esorcizzata allo stesso stimolo, ma imponendoglielo con forza, gia` presupponendo l’effetto che provochera`. La risposta della donna sara` quella che l’esorcista si aspetta e sara` enfatizzata soprattutto per effetto del modo particolarmente impositivo dell’atteggiamento energico dell’esorcista, della particolare valorizzazione del suo gesto in virtu` della sua voce e della forza delle sue mani. Recepisce cio` che il sacerdote cosı` le comunica e si conforma alle sue aspettative e alla sua interpretazione, d’altra parte gia` accettata nella forma piu` generale di diagnosi di possessione. Quella risposta, in tempi lunghi, diventera` un punto vulnerabile sul quale agire per ottenere il cedimento del supposto demone possessore. Focalizzando l’attenzione su tale segno di avversione l’esorcista procedera` all’addomesticamento dell’entita` maligna. Tale addomesticamento puo` assumere aspetti diversificati che si succedono con una certa progressivita`. Nel caso di Simona, di Vittoria o di Nora, si esprime con una riduzione delle manifestazioni del male, ormai codificate nelle forme rituali e circoscritte nei tempi delle sedute. A cio` puo` seguire, come accade a Luisa e Vittoria, una riduzione delle reazioni violente; in particolare Vittoria cade in una sorta di trance che le permette, pur essendo cosciente di cio` che le accade, di fare come se non lo fosse e abbandonare il ruolo di posseduta. Infine, nello stesso caso di Vittoria o in quello di Ester, il processo di addomesticamento puo` evolversi fino alla liberazione dalle manifestazioni diaboliche nel contesto esorcistico, con la scomparsa di quei segni e malesseri nella vita ordinaria.
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La ripetizione delle sedute e` quindi fondamentale non tanto in funzione diagnostica e «terapeutica», quanto per indurre la possessione e, mediante la sua rappresentazione drammatizzata, superare il problema al quale l’esorcismo ha dato un nome e una forma. Si puo` dunque definire l’esorcismo come «terapia» rituale, ma con il presupposto dell’induzione rituale della crisi e della inscindibilita` del cosiddetto momento diagnostico da quello terapeutico9. L’esorcismo rituale provoca la manifestazione dei segni di presenza diabolica secondo modi culturalmente determinati che hanno i loro presupposti mitici e simbolici in un insieme di credenze condivise o condivisibili dagli attori rituali e dal rispettivo entourage. L’induzione rituale dello stato di possessione e la relativa «terapia» vanno di pari passo e non si risolvono praticamente mai in una sola seduta. La ripetizione a scadenze prestabilite delle sedute esorcistiche permette un progressivo ritualizzarsi delle crisi attraverso un modellamento univoco, secondo codici standardizzati, dei disturbi che originariamente presentavano la piu` varia natura. Se prima le crisi di «possessione» si verificano anche fuori dal rito, con esso vengono via via disciplinate, incanalate, si producono e si risolvono nel corso dell’esorcismo. Anche se non si giunge alla liberazione definitiva e il male-malessere persiste e si manifesta in qualche forma, l’esorcista e l’esorcizzata possono considerare gia` come un effetto terapeutico del rito il disciplinamento delle crisi e la riduzione dei disturbi in un contesto e in un tempo determinati. Anche per gli individui che accusano disturbi o malesseri non ben definiti prima della pratica esorcistica, il rito fornisce un linguaggio simbolico per esprimerli, comunicarli, rappresentarli e diventa strumento di possibile guarigione.
9 La comparazione con rituali terapeutici popolari, come il tarantismo pugliese e l’argismo sardo, mostra che cio` non vale solo per il rito esorcistico cattolico ufficiale (de Martino 1961; Gallini 1988; Talamonti 1991). In ambito cattolico, invece, Lanternari ha gia` analizzato la pratica esorcitica pubblica del vescovo Milingo sottolineando l’aspetto adorcistico. Secondo la sua tesi, ogni esorcismo rituale comporta un preliminare adorcismo come fase funzionale e predisponente. Questo elemento, troppo spesso trascurato, chiarisce proprio la funzione di induzione di possessione preposta al cosiddetto esorcismo (Lanternari 1988a; 1988b; 1994).
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3. Pratiche carismatiche A coadiuvare questo processo spesso si aggiungono pratiche collaterali piu` o meno ritualizzate che concorrono alla riuscita dell’impresa esorcistica: partecipazione alla messa e ai sacramenti, preghiere individuali e familiari, pellegrinaggi, frequentazione di gruppi carismatici. Consigliate dall’esorcista, esse, sul piano di una operativita` concreta, hanno lo scopo di riportare il soggetto a una vita pienamente cristiana, sottraendo forza a quella certa vita «diabolicamente umana e umanamente diabolica» che il demone ha nell’uomo10. Rispetto alla possessione vera e propria esse sono ulteriori strumenti esorcistici; la possibilita`, per esempio, di assistere alle funzioni religiose senza avere disturbi o di fare la comunione liberamente e` letta come una diminuzione o un superamento dell’avversione al sacro che caratterizza lo stato di possessione. Nello stesso tempo, pero`, queste pratiche veicolano i valori religiosi a cui il soggetto deve aderire per potersi dire veramente liberato e ridefinirsi come cristiano. Se consideriamo il sistema esorcistico nel suo insieme e partiamo dall’ipotesi che il rito su un piano generale interviene nella costituzione di un «diventare cristiano»11, proponendo a un soggetto in qualche modo deviante il sistema di valori del «buon cristiano», dobbiamo allargare il campo d’analisi. La categoria stessa di terapia rituale riferita a questo rito va dunque ripensata e problematizzata: perche´ l’esorcizzato possa sperimentarne l’efficacia, deve aderire ad una serie di valori la cui trasmissione passa appunto attraverso l’esorcismo e le pratiche ad esso collegate. Un ruolo rilevante puo` assumere allora il collegamento dell’esorcista con gruppi di preghiera, in particolare carismatici, che don Amorth consiglia spesso di frequentare sia alle persone con una vera e propria forma di possessione sia a quelle con problemi minori che non richiedono la continuazione della pratica esorcistica. L’affinita` e` evidente: le comunita` del Rinnovamento Carismatico oggi sembrano proprio il luogo in cui si rielabora e si ripropone un’ideolo10
Cito le parole dell’esorcista Surin, che, nella possessione delle Orsoline di Loudun, inauguro` un nuovo modo di intervento basato, piu` che sugli spettacolari esorcismi pubblici, su un lavoro interiore di preghiere, meditazioni, mortificazioni (cfr. cap. successivo). Le pratiche a cui io mi riferisco non tendono pero` per lo piu` a forme di spiritualita` mistica ma al recupero di una condotta da cristiano praticante. 11 Per un’interpretazione di altri riti che intervengono nella costituzione di un’identita` cristiana nelle societa` europeee, vedi Fabre-Vassas 1994.
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gia religiosa che lascia un notevole margine di intervento nella vita umana a spiriti malefici. Si e` visto che a volte il suggerimento di ricorrere all’esorcista, che segue all’avanzamento dell’ipotesi di un’origine malefica del male o della sfortuna, viene da persone appartenenti a gruppi carismatici alle quali il soggetto si e` avvicinato; talvolta egli stesso e` un membro di tali gruppi; inoltre, membri delle comunita` del Rinnovamento Carismatico sono stabilmente presenti all’interno del contesto esorcistico, in qualita` di collaboratori del sacerdote. Rispetto alle esorcizzate che le frequentano, tali comunita` svolgono un ruolo di sostegno spirituale, integratore, con preghiere di guarigione e liberazione, dell’attivita` strettamente esorcistica del sacerdote ufficialmente nominato dalla Chiesa. L’inserimento attivo dell’individuo sofferente in un circuito religiosamente impegnato va dunque considerato sia in relazione al costituirsi dell’interpretazione in termini diabolici del male, sia in relazione alla reintegrazione del soggetto in una vita cristiana. Nei gruppi di preghiera carismatici il soggetto riceve accoglienza, solidarieta`, sostegno spirituale, e un modello di vita cristiana a cui conformarsi; nel tempo gli viene richiesta una conversione profonda che gli dara` la nuova identita` di cristiano. Questi gruppi, oltre a nuove forme di socializzazione, offrono dunque un trattamento del male e della sventura – pensati come allontanamento, trasgressione dei precetti cristiani – che consiste nel ristabilire la comunicazione con Dio. Inoltre, nella loro opera di ricristianizzazione, valorizzano alcuni elementi e riti come la manifestazione dei carismi, la confessione e l’effusione dello Spirito Santo (Charuty 1990). Quest’ultima e` concepita come un nuovo battesimo e accompagnata dalla riscoperta del dono della preghiera, a cui seguiranno altri doni dello Spirito. Nella sua forma ritualizzata, preceduta da un periodo di preparazione spirituale, l’effusione diventa un’iniziazione alla comunita` e alla nuova vita cristiana. I valori veicolati dalle pratiche carismatiche non si distinguono da quelli piu` generali proposti dalla Chiesa, cosı` come le forme di religiosita` carismatica non si sostitutiscono a quelle piu` tradizionali, per esempio sacramentali, ma vi si aggiungono e tentano una rivivificazione di quelle nello spirito carismatico di ricostituzione del corpo sociale e del corpo mistico della Chiesa. In molti casi, l’individuo sofferente e` cosı` inserito in un circuito religiosamente impegnato in cui pratiche e discorsi concorrono alla costituzione di una lettura religiosa della realta` che trasmette, nono-
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stante le interpretazioni psicologiche che vanno ad aggiornarlo, un modello essenzialmente tradizionale dell’intervento diabolico: mali fisici, mali psichici, malesseri o vizi morali e tutto cio` che allontana l’uomo da Dio sono considerati come possibili influenze di entita` malefiche12. Se consideriamo un particolare aspetto dell’esorcismo come praticato da don Amorth e da sacerdoti vicini al Rinnovamento – la ridotta possibilita` di parola lasciata all’esorcizzata – e` possibile individuare anche un ulteriore elemento di integrazione fornito dai gruppi carismatici. Nell’esorcismo, la parola del soggetto esorcizzato e` doppiamente svalorizzata: egli e` tenuto a fornire poche informazioni su di se´ e non e` richiesta un’elaborazione verbale di quanto gli accade, essendo essenzialmente il corpo a esprimersi nelle forme stereotipate; inoltre la sua parola da posseduto e` radicalmente ambigua (a parlare e` il soggetto o il diavolo possessore?). Nelle terapie psico-spirituali carismatiche, al contrario, la persona sofferente puo` essere chiamata ad esprimere verbalmente momenti e forme del suo malessere e, piu` in generale, la sua storia. A questo proposito esistono differenze notevoli tra i tipi di cure praticate, come ha mostrato ad esempio Charuty (1987a: 447): cure specializzate e cerimonie di guarigione. Rispetto al rituale esorcistico le prime possono ridare spazio all’espressione tramite la parola che l’esorcismo solenne limita; le seconde reiscrivono il soggetto in un ambito collettivo di partecipazione comunitaria che l’esorcismo in genere non offre. Dunque, la partecipazione a gruppi carismatici si qualifica come apporto qualitativamente utile da due punti di vista: per il reinserimento dell’esorcizzato in una dimensione collettiva caratterizzata dalla fede e dalla pratica cristiana e per la possibilita` di recuperare una sorta di «simbolizzazione» per mezzo della parola che restituisce all’individuo la possibilita` di raccontare la sua particolare storia, pur riconducendola ad un modello preciso e nonostante la lettura «riduttiva» che possono farne i «terapeuti» (Charuty 1987a: 448). L’individualizzazione dell’esorcismo privato praticato su un particolare soggetto e la standardizzazione del rito che parzialmente cancella la specificita` di un individuo per considerarlo come una qualunque potenziale o accertata vittima del demonio, sono rispettivamente integrati in modo complementare dalla condivisione collet12
Cfr. Talamonti 1991; Charuty 1986, 1987a e 1990; Renoveau Charismatique 1979 e relative bibliografie.
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tiva dell’esperienza di sofferenza nelle cerimonie carismatiche di guarigione e dall’attenzione che le cure «fortemente individualizzate» forniscono ai propri specifici problemi. Esorcismo piu` terapie carismatiche diventano un sistema che va ad agire sui diversi fronti della sofferenza (aspetto privato ma comune) impiegando tecniche diverse, ma il cui scopo comune e` il superamento della malattia o malessere attraverso la ricostituzione del soggetto come cristiano. Cio` avviene attraverso un processo di conversione che anche l’esorcismo richiede e simbolicamente rappresenta, ma che nei riti liturgici carismatici si articola a piu` livelli (preghiere comuni, preghiere di guarigione in gruppi ristretti, rito iniziatico dell’effusione dello Spirito...). Esso, in entrambi i casi, si ricollega ai momenti forti della conversione cristiana come battesimo e comunione, ma con differenze d’accentuazione e di forma. Nell’esorcismo, come si e` visto, una sorta di iniziazione ripetuta all’essere cristiano serve a togliere l’individuo dal dominio diabolico ed e` praticata, in forma – per cosı` dire – condensata, con impiego di gesti e sostanze liturgiche, indipendentemente dall’adesione e dal desiderio del soggetto posseduto. Lo stesso vale per la comunione, atto imposto alla posseduta. L’effusione carismatica dello Spirito, pensata in analogia con il battesimo (Charuty 1987a: 458), e` invece preceduta e seguita da una preparazione spirituale, cosı` come altri rituali terapeutici carismatici che si rifanno, come evidenzia Charuty, piu` a «esperienze, riti e linguaggi della religione “all’antica” di cui la rivalorizzazione dei ritiri» e` uno dei segni, che all’«integrazione di saperi e tecnologie nuove» (Charuty 1987a: 461). Rispetto al formalismo e alla relativa fissita` del rito esorcistico privato, la frequentazione di gruppi carismatici da parte dell’individuo diabolicamente influenzato, permette di articolare la conversione in tempi e forme differenziate. Il processo di produzione rituale dei segni malefici che l’esorcismo solenne mette in atto si trova cosı` da una parte rafforzato dalle terapie carismatiche, insieme alla condivisione di un’eziologia essenzialmente diabolica del male, dall’altra completato da un lavoro su di se´ e da una dimensione di compartecipazione che socializza il malessere-malattia, aspetti che nel rito praticato dall’esorcista ufficiale non trovano spazio13. 13
Charuty 1990: 76. Ma si tenga presenta che le cure carismatiche sono «dei dispositivi di distacco che mirano a sottrarre i fedeli a certi modi di autoanalisi, modellati da quei saperi [psicoanalitici] il cui linguaggio viene adottato solo per meglio svuotarlo di senso» (Charuty 1990: 89).
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Anche laddove il soggetto esorcizzato non entri a far parte di un gruppo carismatico e non si avvalga dei dispositivi specifici lı` messi in atto per operare la conversione e la guarigione, gli e` comunque richiesta una sorta di conversione, un riavvicinamento alla pratica, alla dottrina e alla morale cristiana. Le prime raccomandazioni dell’esorcista all’esorcizzata riguardano la preghiera, la partecipazione alla messa e ai sacramenti. Inoltre, chi vive in peccato – convivenze, relazioni extra-matrimoniali, per quanto riguarda la morale sessuale; mancanza di carita` e di perdono; frequentazione di pratiche magiche o occulte; uso di droghe... – e` invitato a rinunciarvi e a ritornare ad una vita cristiana. Un insieme di prescrizioni positive e negative che riguardano il tempo extra-esorcistico ha dunque lo scopo di ricostruire, insieme agli esorcismi, un’identita` del soggetto in termini cristiani14. La liberazione non puo` avvenire che in questo quadro, attraverso un riapprendimento dei principi fondamentali del cristianesimo che implica un preliminare riaccostarsi alla preghiera e alla liturgia, considerate i primi mezzi per contrastare un’influenza malefica. Questo comporta anche una ridefinizione della propria vita e di quella della famiglia – basilare rimane il valore attribuito al nucleo familiare – alla luce di quelli che la religione cattolica considera i giusti ruoli degli individui secondo il sesso, l’eta`, la posizione familiare. Ad esempio, trattandosi soprattutto di donne, durante il percorso di guarigione si chiedera` loro se riescono ad ottemperare ai doveri di madri e di mogli (occuparsi dei bambini, del marito e della casa); se si tratta di donne senza figli, si auspica e raccomanda una prole numerosa, secondo un modello tradizionale della femminilita`. Nella prospettiva che considera l’identita` una costruzione dina15 mica e nel suo aspetto relazionale , il passaggio attraverso l’assunzione del ruolo diabolico, con il relativo intensificarsi di pratiche religiose e la necessaria adesione ai valori religiosi cattolici, consente la ridefinizione di un’identita` cristiana che comporta, sul piano culturale e sociale, la conformita` ai ruoli e alle condotte ammesse dalla visione religiosa, quegli stessi il cui ordine la posseduta aveva in qualche modo alterato. 14 Da un’ottica diversa Csordas (1983) parla di «ricostruzione del se´» a proposito del processo trasformativo che si attiva nei rituali di guarigioni tra i Pentecostali cattolici (cfr. Kapfner 1979); io ne sottolineo l’inscrizione nel quadro della concezione cristiana della persona. 15 Cfr. Lanternari 1986; Le´vi-Strauss 1980.
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1. La costruzione del «corpo diabolico» L’analisi dell’agire rituale ha messo in rilievo la centralita` del corpo – inteso come corpo fisico – rispettivamente nel trattamento esorcistico e nelle vicende che precedono e accompagnano la possessione. Sebbene non si possa nettamente separare l’ambito corporeo da quello psichico e spirituale, il corpo dell’esorcizzata risalta come il luogo in cui si rappresenta l’alterita` diabolica e come l’oggetto della manipolazione concreta e simbolica dell’esorcista destinata a restaurare l’ordine interno ed esterno che l’essere diabolico ha perturbato. Negli esorcismi che ho osservato, per le persone che ho conosciute, il diavolo non e` un’entita` astratta, simbolo e ispiratore del Male, ma un essere che si «incarna», provoca disturbi fisici e psichici, immobilizza le gambe, fa perdere la voce, procura graffi e, quando contrastato con l’esorcismo, manifesta rabbia e resistenza con agitazione motoria, aggressivita` fisica e verbale. Abita nel corpo e a volte sceglie in esso delle sedi specifiche che, una volta individuate, saranno oggetto di una manipolazione piu` mirata. Puo` anche spostarsi e colpire organi e facolta` diverse del corpo che abita. Si ricordi la storia di Sara, in cui alternativamente o contemporaneamente, l’essere possessore assale la testa, lo stomaco, la pancia, le gambe, manifestandosi con emicranie inguaribili, nausee e vomito, disturbi intestinali, svenimenti, paralisi temporanee, e – durante l’esorcismo – provoca dolori e fastidi localizzati oltre a mostrarsi nell’insieme del comportamento corporeo caratterizzato da agitazione, sussulti, tremiti, contrazioni e rilassamenti, movimenti interni di aria, espulsione di saliva. Due ulteriori esempi serviranno a ricordare alcune modalita`
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di manipolazione corporea nello svolgimento del rito gia` descritte per altri casi. Francesca, una ragazza a cui e` stata diagnosticata una forma piuttosto grave di possessione, per un lungo periodo esorcizzata anche due volte a settimana, e` tra quelle persone che vengono distese sul lettino, con le caviglie legate, immobilizzate da piu` persone, a causa della possibile reazione violenta. In uno dei suoi ultimi esorcismi a cui ho assistito, prima di iniziare le viene data la Comunione, da seduta; ha qualche difficolta` ad ingerire l’ostia ed e` aiutata con acqua esorcizzata. Poi si siede sul lettino e si lega da sola le caviglie mentre don Amorth fa il nodo finale; sorridendo dice che l’anno scorso riusciva a slegarsi con i piedi durante l’esorcismo. Un giovane sacerdote oggi presente e` invitato a sedersi ad un’estremita` del lettino mettendo le gambe di Francesca sulle proprie, per bloccarle meglio. Un altro prete e` dietro la testa della ragazza. Il rito, come quasi sempre con Francesca, dura circa un’ora: oltre all’esorcismo completo del Rituale, la preghiera di guarigione-liberazione, l’intercessione dei santi, sono stati recitati 5 misteri del Rosario condotto da uno dei sacerdoti, con «Gloria» cantati. Francesca ha manifestato una certa agitazione, ma non ha urlato ne´ parlato; l’interrogatorio e` stato condotto a bassissima voce da don Amorth, che le sussurrava attaccato all’orecchio mentre gli altri recitavano il rosario; Francesca oggi non ha dato risposte, mentre in precedenti esorcismi ha dichiarato il numero dei diavoli che sono in lei (sei) e alcuni dei loro nomi, come Satana e Zabulon. Ha avuto scuotimenti di testa, ha afferrato la gonna di una suora e la giacca dell’assistente Lidia, che le tengono le mani. La suora mette piu` volte nel palmo della mano di Francesca la corona del rosario. A contatto del corpo di Francesca ce ne sono diverse, poste su capo, mani, petto e ventre. Nel suo caso e` in particolare il basso ventre ad essere oggetto di questo trattamento, in genere operato dalle assistenti, come ancor meglio si evidenziava in sedute precedenti. Il viso di Francesca e` manipolato e coperto dalle mani dei due esorcisti: l’uno che incombe da dietro e dall’alto, don Amorth che le sta sopra, piu` vicino, seduto accanto sul lettino con il busto su di lei, gli avambracci praticamente poggiati sul suo seno, il viso attaccato al suo, le mani che glielo toccano, le aprono gli occhi, le ungono la bocca, mentre immette soffi e parole al suo orecchio. Alla fine, Francesca torna sorridente e si slega le caviglie aiutata dall’esorcista. Concetta, 25 anni circa, arriva accompagnata da madre, sorella,
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fidanzato e un sacerdote. Don Amorth, che la conosce gia`, l’abbraccia con molto affetto e la sculaccia scherzosamente; lei, sorridente, si distende sul lettino mentre gli altri si dispongono intorno e l’esorcista chiede loro come va la ragazza; il sacerdote racconta del suo ultimo esorcismo condotto da un altro esorcista, in cui si e` manifestato il demone Meridiano, che risiede nella testa; interviene la madre per confermare e accennare ad altre dichiarazioni fatte da Concetta in quell’occasione. Legate insieme con un apposito legaccio le caviglie di Concetta, inizia l’esorcismo. Quasi subito aumenta il ritmo respiratorio e inizia ad agitarsi con il capo e tutto il corpo, ma e` gia` fermamente bloccata. Assistenti e familiari sono tutti sopra di lei a trattenerla, manipolarla: la madre le blocca il mento insieme a don Amorth in un groviglio di mani, mentre con l’altra mano le tiene continuamente sulla bocca un tovagliolo – cambiato spesso – per asciugarle la saliva ed evitare che sputi all’esorcista, il quale tiene come sempre il viso sopra quello di Concetta, vicinissimo, e le invia frequentissimi soffi. Questi sono una delle cose che piu` la infastidiscono, ma reagisce verbalmente con forte rabbia anche ad altri gesti o parole e se la prende con diversi dei presenti. Parla molto, nel senso che inveisce o si lamenta o emette suoni quasi di continuo, sempre opponendo resistenza con tutto il corpo e muovendo la testa per cercare di liberarsi dalle strette. Il viso e` deformato nello sforzo e dalla rabbia. Essendo l’esorcista impegnato sul capo e sul viso, Renata lo sostituisce – in un certo senso – nella zona del ventre: tocca e spinge anche in profondita`; ad un certo punto chiede a don Amorth con un gesto di intervenire in quella zona; sempre interponendo la stola, l’esorcista preme e le da` anche un paio di pugni sulla pancia, non molto forti ma che provocano un ulteriore tentativo di inarcamento di Concetta la quale, inoltre, alza e poi riabbassa con un colpo il busto per due o tre volte consecutive. La donna fa anche le corna con la mano tenuta da Lidia. Renata canta «in lingue»; Concetta, tra grida e invettive mostra di esserne infastidita: «Lasciami! Lasciatemi! Leva quella mano! Basta! Cosa credi di fare, porco! Queste sono ` mia! Vi maledico! Maledetto! Maledetto! Ti faccio tutte porcate! E vedere io! Sei troppo protetto! E tu lı` dietro, smettila! Chi e` che canta?! Mi da fastidio, basta! Smettila di soffiare! Vattene, che hai mangiato, l’aglio?». Ad un certo punto dice qualcosa a proposito della testa, forse di lasciargliela stare, e accenna alla propria forza (in quanto demone).
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Emette di continuo saliva, asciugata dalla madre. All’interrogatorio, condotto con insistenza in latino e italiano, risponde infine parzialmente opponendo molta resistenza: tra rifiuti e parole incomprensibili dichiara che sono tre i demoni che la possiedono: Meridiano, Belzebu`, Asmodeo. Don Amorth invoca poi l’intercessione della Madonna e di molti santi. Proprio in considerazione dell’avversione di Concetta al canto, l’esorcista decide di cantare anche l’invocazione allo Spirito Santo. Verso la fine della seduta il tono di Concetta e` piu` lamentoso, ma non si da` per vinta; al termine torna sorridente. Corpi uno sull’altro, in tensione, visi che si sfiorano, mani che manipolano, spingono, colpiscono, accarezzano, sudore, saliva, talvolta lacrime, sguardi scrutatori, voci dai toni rabbiosi, di sfida, lamentosi, imploranti, imperiosi, consolatori, suoni melodiosi e grida, parole reiterate: questo groviglio di corpi e di suoni contrapposti mentre, quanto ai presupposti, rimanda alla lotta metafisica tra Dio e diavolo, di fatto la mette in scena attraverso una concreta fisicita`. Oltre che esemplificare la manifestazione corporea del diavolo e il relativo trattamento, le precedenti descrizioni mettono in evidenza il consenso – che puo` arrivare ad una collaborazione attiva – delle donne che «offrono» il proprio corpo al rito esorcistico per poi resistere e reagire con piu` o meno forza, in quanto possedute, a quella che a me pare una violenza ma che da loro e` accettata e si giustifica come attacco al diavolo. Dove io vedo una donna sofferente, divisa, un corpo espropriato, in balia di persone concrete, gli attori del rito vedono una posseduta, un corpo sequestrato dal diavolo, da liberare. Tentando di mettere da parte le mie emozioni e opinioni che, esplicitate, potrebbero sfociare in giudizi di valore senza peraltro chiarire il senso che per gli attori del rito ha il corpo posseduto e la sua manipolazione, ed evitando un’immediata e semplicistica lettura psicologica della duplicita` della donna-diavolo incarnato, seguiro` un’altra direzione: l’analisi della messa in scena del corpo abitato dal diavolo come si esprime nell’esorcismo per risalire ai presupposti teologici e simbolici a fondamento del rito che costituisce il canovaccio e la sceneggiatura della rappresentazione e ritrovarvi gli elementi di continuita` e mutamento che la inscrivono in una lunga tradizione. All’interno di questa prospettiva, occorrera` problematizzare il concetto stesso di corpo riferito al contesto della possessione diabolica e
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dell’esorcismo. Tale scelta nasce dall’esigenza di evitare di dare per scontato cosa si intenda con «corpo», col relativo rischio di applicare ad uno specifico campo categorie ad esso estranee e soprattutto inesplicate. L’analisi e l’interpretazione, piuttosto che servirsi di comparazioni arbitrarie o procedere a generalizzazioni affrettate, devono innanzitutto tener conto dell’ambito in cui il loro oggetto ` stato dunque necessario iniziare a ricostruire acquista significato. E la teoria teologica del corpo posseduto e considerarlo nel rapporto – oppositivo e complementare – che intreccia con l’altra componente della persona cristiana: l’anima. Partendo da questo presupposto, non si e` potuto evitare, per comprendere il corpo nella possessione diabolica, di considerare brevemente anche il concetto cristiano di persona. Senza entrare in merito alle disamine filosofico-teologiche, una prima lettura ce lo fa apparire come lo sfondo che, nel gioco di ombre diaboliche e luci divine, mentre presenta l’uomo nella sua relazione spirituale con Dio ci permette di mettere meglio a fuoco l’immagine del «corpo diabolico» che ne dipende.
1.1 Corpo, artificio, ambiguita` Le parole di un esorcista-posseduto serviranno come introduzione alla preliminare analisi del corpo nel rito. Il Diavolo puo` certo agire come se il corpo che egli possiede fosse suo; se egli non forma con questo corpo un tutto fisico, tuttavia forma con esso un tutto in un certo senso politico o morale, poiche´ rende testimonianza attraverso la sua bocca e risponde nella sua propria persona, dicendo «Io Leviatano», «Io Be´he´moth», e si firma perfino con le mani della persona, servendosi degli stessi caratteri di questa; e cosı`, in un certo senso, si puo` dire, quando gli si e` parlato: Ho visto il Diavolo; poiche´ lo spirito maligno si manifesta in questo corpo e attraverso questo corpo, come lo spirito umano si manifesta attraverso il corpo che lo racchiude; con questa differenza, tuttavia, che il Diavolo non puo` formare un tutto fisico con questo corpo da essere detto un animale, come lo formano l’anima o lo spirito umano, ma costituisce come un tutto artificiale che si compone di due parti unite per arte o volonta`, e non per natura. Ciononostante vediamo che il demone si lega e si interessa a cio` che appartiene al corpo, per dire: la mia mano, il mio braccio, la mia testa, e si serve delle facolta` subordinate alla ragione e di quanto appartiene all’anima vegetativa e sensitiva, subordinando cio` allo spirito angelico, come per natura e` subordinato allo spirito umano che e` la ragione, e forma con esso un certo
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tutto in cui ci sono cose eccellentissime e meravigliose, degne dell’attenzione e dell’ammirazione di tutte le menti; di modo che, per discorrere a fondo di cio`, si puo` dire che questa unione dell’angelo con l’uomo... e` un’unione che imita quella vitale, perche´ il demone ha una certa vita nell’uomo che e` diabolicamente umana e umanamente diabolica, vita che si fortifica man mano che ci sono piu` principi che possono causare questa unione... [Il demone] puo` uscire non solo in virtu` dell’esorcismo e per l’autorita` di un uomo che ha il dono di agire contro i demoni, come accadeva ai santi, ma anche per pura defectionem principii interni, attraverso la sottrazione delle forze che il demone ha per sussistere in questa vita e in questo essere colpito... (Surin 1990: 370-371).
La lunga citazione da un’opera di Surin, gesuita vissuto nella prima meta` del ’600, grande mistico e noto anche per essere stato uno degli esorcisti delle possedute di Loudun, a sua volta vittima degli attacchi diabolici, offre un doppio vantaggio: permette di sintetizzare in un linguaggio chiaro, frutto dell’esperienza, come la religione cattolica intende le modalita` dell’azione del diavolo sull’uomo – diavolo inteso come essere reale e personale –; indica inoltre alcuni elementi da cui partire per una lettura critica del corpo della posseduta e del suo trattamento rituale. Surin parla dell’unione del diavolo possessore con il corpo umano come di un «tutto ... politico o morale», in quanto il diavolo parla per bocca della posseduta in prima persona e ne usa il corpo come fosse suo; come di un «tutto artificiale», come di un’ «unione che imita quella vitale». Artificio, imitazione: sono termini che, invertendo il soggetto e l’oggetto dell’azione (per Surin, rispettivamente il diavolo e l’essere umano) sembrano richiamare proprio il processo messo in atto nel rito esorcistico in quanto – come si e` visto – si puo` parlare della figura della posseduta solo in termini di costruzione artificiale, cioe` culturale, e in particolar modo rituale, di un ruolo in cui il soggetto umano «imita», cioe` si conforma ad un modello metafisico attraverso una procedura che induce l’identificazione con l’essere diabolico. Surin dice chiaramente che il diavolo si dichiara nel corpo e ` innanzitutto esso ad esprimere il rapporto attraverso il corpo. E ambiguo che intercorre tra la vittima dell’influenza diabolica e l’essere malefico, attraverso un linguaggio verbale e non verbale che all’interno del momento rituale – in cui essenzialmente si manifesta – appare spesso oscillante quanto all’appartenenza all’una o all’altro e nondimeno identificabile per l’esorcista in base alla sua griglia inter-
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pretativa perche´ prodotto degli strumenti esorcistici che da essa dipendono. Si puo` dire, con Starobinski, che se da una parte «la nozione di possessione diabolica serve da strumento interpretativo, applicato a un dato antecedente», si instaura pero` un «circolo vizioso: il concetto di possessione, appena accettato come strumento interpretativo, diventa a sua volta un dato offerto all’interpretazione vissuta» (Starobinski 1991: 100). In questa prospettiva, che considera la possessione come espressione codificata e ritualizzata di un male inizialmente indefinito, l’intervento esorcistico consiste innanzitutto nella progressiva codificazione, strutturazione e rappresentazione in termini diabolici dei disturbi e delle sofferenze che hanno portato il soggetto a richiederlo. Il dispositivo simbolico rituale, inducendo la possessione ritualizzata, va dunque ad agire sul male agendo sulla sua rappresentazione diabolicizzata. Come si svolge questo lavoro rituale di identificazione e sdoppiamento? Attraverso quella serie di operatori simbolici di diversa natura – esseri umani e soprannaturali, sostanze, atti e parole – precedentemente analizzati. Si tratta di elementi tradizionali come, ad esempio, l’uso dell’acqua esorcizzata o la recitazione delle formule liturgiche in latino, e di altri integrati dallo specifico esorcista, come la manipolazione di determinate parti del corpo, inteso come corpo fisico. Tali elementi, da una parte mediano tra vari livelli di realta` – fisica/metafisica, soprannaturale diabolica/soprannaturale divina... –, e dall’altra producono l’esteriorizzazione del male-entita` diabolica sotto varie forme. Una volta che esso si sia reso visibile nel comportamento e nella parola alterati della posseduta, l’alterita` che la abita puo` essere piu` facilmente affrontata e combattuta. In altri termini, il soggetto esorcizzato apprende ad esprimersi nel codice che l’esorcista propone, cioe` con un linguaggio corporeo e verbale che significhi la possessione o l’influenza malefica.
1.2 Umano/non umano. Interno/esterno L’esorcismo si presenta come un rapporto estremamente ravvicinato dal punto di vista fisico. I corpi dei due protagonisti – il sacerdote inizialmente seduto e poi in piedi, l’esorcizzanda seduta in poltrona o sdraiata su un lettino, a seconda del tipo di manifestazioni che pre-
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senta – sono a stretto contatto per tutta la durata del rito. Quando esorcizza sul lettino, l’esorcista e` aiutato da numerosi collaboratori (assistenti e familiari) che si occupano ciascuno di bloccare una parte del corpo dell’esorcizzata, mentre egli si dedica principalmente alla manipolazione di viso, capo e parte superiore del busto (escluse le braccia, trattenute come disposte a croce da assistenti e familiari), mantenendosi in una posizione seduta, su una sedia o addirittura sul letto stesso. In quest’ultimo caso don Amorth e` piegato sulle esorcizzate, vicinissimo al viso come sempre, ma la particolare posizione permette un’interazione ancora piu` ravvicinata che diventa una vera lotta corpo a corpo; lotta che puo` trasformarsi quasi in un groviglio di corpi quando la crisi di possessione diventa violenta e i molti aiutanti tentano con tutto il corpo di trattenere i movimenti di chi e` sottoposto al rito. Anche quando questi non presenta agitazione motoria, don Amorth ha comunque bisogno di mantenere una forte vicinanza per poter agire con le mani sul corpo dell’esorcizzata. Cio` e` evidente, ad esempio, in uno degli esorcismi di Emanuela: seduto davanti a lei, l’esorcista mette subito la sua mano sinistra sul ventre della donna e l’altra sul capo, spostandola poi sulla fronte. Con la mano destra in questa posizione riesce facilmente ad agire – non in modo continuo, ma con tentativi ripetuti – sugli occhi: con il pollice sull’occhio sinistro e l’indice su quello destro fa una certa pressione o tenta di aprirli se sono chiusi. La mano sul ventre e` inizialmente posta tra stomaco e pancia, ma poi si spostera` nella stessa zona, eventualmente anche sul petto, ed esercitera` pressioni. In altri casi don Amorth da` veri e propri pugni. Emanuela comincia immediatamente ad avere colpi di tosse seguiti da emissione di saliva ma non si agita molto, non urla e non e` sottoposta ad interrogatorio. Del resto, il rapporto fisico tra il sacerdote e la persona sofferente puo` non essere improntato al combattimento ma avere aspetti affettuosi, per esempio prima che il soggetto assuma, durante la rappresentazione rituale, la parte diabolica, o alla fine della crisi, quando don Amorth scherza, sdrammatizza, rassicura prima di congedare l’esorcizzata. Nel caso di Sonia, esorcizzata da anni, anche nel corso del rito il rapporto e` piu` protettivo e consolatorio che di scontro, dato anche l’atteggiamento che la donna presenta: piange a tratti, ha lo sguardo smarrito, un’espressione triste e sofferente, soprattutto quando tentera`, nel corso dell’interrogatorio esorcistico, di pronunciare il nome. Sonia emette soltanto lunghi sibili, che corrispondono
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` ripetutamente invitata con una anche all’iniziale del suo nome. E certa dolcezza ma non riesce. L’esorcista ha un atteggiamento affettuoso, la bacia in fronte, avvicina la propria testa a quella della ragazza, l’abbraccia e le accarezza i capelli. Insomma, sia durante il rito che subito dopo, il rapporto fisico assume le caratteristiche di una sorta di maternage, a cui collabora anche una delle assistenti di don Amorth. Per il sacerdote, non si tratta, infatti, solo di bloccare eventuali movimenti aggressivi, ma di poter imporre le mani sul capo, effettuare i segni di croce, con o senza olio esorcizzato, esercitare pressioni principalmente su ventre e stomaco, manipolare ed osservare gli occhi, soffiare sul viso, applicare eventualmente il crocifisso o altri oggetti benedetti. D’altra parte, il Rituale esige un uso specifico della stola viola, un lembo della quale va posto sulle spalle della persona esorcizzata, mentre l’altro rimane attorno al collo dell’esorcista; e` dunque richiesta e inevitabile la prossimita` dei corpi. Nel sistema di collegamenti simbolici che gli strumenti rituali attivano, un ruolo fondamentale e` dunque riservato a quelle che, con Mauss, possono chiamarsi tecniche del corpo (Mauss 1991: 385 sgg.). Nell’esorcismo esse si configurano come tecniche rituali gestite essenzialmente dall’esorcista con il ricorso ad una serie di operazioni manipolative che plasmano il corpo, capaci di innescare un processo di trasformazione. Tale processo presuppone una rappresentazione del corpo come permeabile, percorso da forze che lo attraversano e si contrappongono – la forza malefica e quella divina –, abitato da esseri che possono circolare tra l’interno e l’esterno. Gli orifizi e gli organi di senso sono i punti privilegiati su cui si esercita l’azione esorcistica, perche´ ai confini corporei e dunque vulnerabili (cfr. Douglas 1975: 177-197). Nello stesso tempo, la diabolicita` dell’individuo e` rappresentata dall’immagine di un corpo non regolato nelle sue funzioni, caotico e convulso nei movimenti, non ordinato, caratterizzato da una perdita e insieme da un eccesso. La funzione transitiva del rito esorcistico si basa sulla rappresentazione simbolica del passaggio tra lo spazio interno e quello esterno, e da un corpo sofferente ad uno ambiguo, non ordinato, altro, per arrivare a ristabilirne l’ordine e l’equilibrio. Una serie di opposizioni fondamentali sembra riassumere gli elementi che caratterizzano questi passaggi. Innanzitutto l’alterita` del corpo della posseduta e` definita da comportamenti e espressioni descritti come animaleschi o assimila-
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bili al comportamento animale. Nelle descrizioni delle crisi di possessione se ne trova un’ampia gamma: la posseduta ruggisce, abbaia, grugnisce, miagola, stride, sibila...; a volte, senza ulteriore precisazione, le sue grida e i suoni che emette sono definiti inumani; morde e graffia se stessa e gli altri come una bestia feroce; inoltre si muove in modo culturalmente anomalo: salta come alcuni animali o striscia come un serpente. Nell’assimilazione al bestiale il suo corpo e il suo linguaggio sono collocati dal lato del non-umano. Talvolta questo aspetto e` espresso, invece che con un linguaggio inarticolato e animalesco, con una modalita` che estende al massimo grado il difetto, la mancanza di una forma culturalmente valida d’espressione: il mutismo. Esso puo` riguardare il momento rituale oppure un periodo piu` o meno lungo della vita della persona posseduta. Si pensi all’impossibilita` di alcune possedute di rispondere all’interrogatorio rituale, che puo` indicare una resistenza del soggetto ad esprimersi nel codice proposto dal sacerdote, ma comunque puo` essere interpretata come la presenza di un altro essere che blocca le capacita` comunicative verbali della persona esorcizzata. Oppure a Sara che perde la voce per alcune settimane e all’esorcista-posseduto Surin che rimane privo di tale facolta` per anni. In ogni caso, l’assenza della parola indica l’alterita` dell’essere possessore rispetto al soggetto posseduto. ` dunque in relazione all’opposizione tra un linguaggio corporeo E e verbale animalesco, e la parola, un linguaggio culturalmente riconosciuto come umano – rispettivamente di segno negativo e positivo – che si definisce l’alterita` diabolica. Il rito, una volta che ne ha ottenuto la rappresentazione stereotipata, tende quindi a trasformare il primo nel secondo addomesticando le varie espressioni dell’animalita` fino a che il soggetto ritrovi la parola umana. Circa l’alterita` che si manifesta sul piano del linguaggio (animalesco, glossolalico, ridotto a poche parole o suoni, o del tutto assente), un passaggio centrale nel processo che tende a eliminare l’«altro» diabolico e a restituire la posseduta alla sua identita` umana e` la nominazione dell’essere possessore. Essa non puo` segnare la piena restituzione della parola alla posseduta perche´ e` il diavolo che parla in lei, ma esplicita l’identita` altra assunta dal soggetto, la presenza di un «doppio» ritualmente prodotto e connotato negativamente che si esprime nel discorso della posseduta. D’altra parte, come acutamente sottolinea De Certeau, la posseduta non potrebbe enunciarsi se non grazie all’interrogatorio esorcistico o al sapere demonologico,
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che le forniscono in anticipo la condizione e il luogo del suo dire. Compito degli esorcisti (ma anche dei medici) e` appunto la nominazione, che mira a collocare chi parla in un luogo circoscritto del sapere da essi detenuto, cioe` a riclassificare l’alterita` (De Certeau 1977: 261-262). Oltre che con metafore animali, l’essere posseduta si esprime anche attraverso la metafora della mobilita`. Spesso pure qui e` un eccesso e/o un difetto, relativo alla mobilita` del corpo, che caratterizza la presenza di un’entita` estranea nel soggetto. L’indemoniata nelle crisi di possessione si agita in modo scomposto, cade a terra o aggredisce i presenti. Si ricordi Nora, il cui sintomo piu` vistoso sono gli scuotimenti violenti e ripetuti del capo; la mobilita` corporea e` inoltre dalla donna descritta come l’effetto di una mobilita` interna: qualcosa le sale dalla pancia in su`, fino alla testa. Anche il rutto che viene continuamente emesso da alcune donne nel corso delle crisi potrebbe essere considerato un indicatore di mobilita` – che in questo caso e` accompagnato da agitazione motoria –, in quanto manifesta il movimento dell’aria nell’organismo, il passaggio ripetuto e incontrollabile di aria dallo stomaco alla bocca. Lo stesso si puo` dire a proposito di altre possedute del passato che emettevano una sorta di singhiozzo se messe in contatto con luoghi o oggetti sacri. Anche quando non e` in crisi, la posseduta presenta cambiamenti piu` o meno improvvisi di umore, nervosismi: una sorta di mobilita` psichica. Inoltre il demone che e` nel suo corpo puo` cambiare di posto muovendosi da un organo o da una zona ad un’altra durante gli esorcismi. Allo stesso modo, il male fisico che la posseduta presenta e che e` stato ricondotto ad un’origine diabolica, appare mobile, fluttuante. Secondo l’esorcista «una caratteristica tipica di cause malefiche si ha quando il male suole spostarsi: ora a tutto lo stomaco o agli intestini, ora ai reni, ora alle ovaie... senza che i medici ne comprendano le cause e senza che si ottenga frutto con i farmaci» (Amorth 1991: 60). Troppo mobile o addirittura assente appare lo sguardo delle sue possedute, che non riescono a guardare e spesso tengono gli occhi chiusi. A volte, invece, dallo stato di agitazione psicomotoria la donna passa ad un blocco di qualsiasi movimento tanto che appare come morta, insensibile come un corpo cadaverico. D’altra parte il trattamento esorcistico ricorre sia al contenimento della mobilita` eccessiva
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che all’assimilazione simbolica degli individui posseduti a morti. In questo senso mobilita` e immobilita` contrapposte a movimenti controllati e «composti», interni al corpo ed esteriori, costituiscono una seconda coppia di opposizioni che differenzia l’essere e il non essere posseduta. Il secondo termine definisce il giusto comportamento al quale l’esorcismo intende ricondurre ritualmente l’esorcizzata; a tal fine vengono adoperati alcuni strumenti rituali e non che, nel caso dell’atteggiamento corporeo troppo «mobile» lo indirizzano entro forme culturalmente stereotipate come l’avversione al sacro e lo limitano materialmente; nel caso dell’eccesso opposto, la mancanza di mobilita` che dimostra la chiusura del corpo posseduto all’interazione, lo si stimola nei vari sensi perche´ reagisca all’azione rituale che dovrebbe restituirlo a movimenti ordinati. In ogni caso la manipolazione esorcistica del corpo, che e` materiale – blocco dei movimenti aggressivi e disordinati, pressioni e colpi nella zona dell’epigastrio e del ventre, etc. – e simbolica – ricorso alla parola, agli odori, agli oggetti – intende ripristinare l’ordine interno ed esterno del corpo1. La perdita dei «normali» attributi umani che definisce il corpo della posseduta come diabolico, si esprime anche in termini di pesantezza e leggerezza, che rappresentano entrambi, per eccesso e per difetto, due caratteristiche anomale rispetto al «giusto peso», al peso reale che il soggetto ha2. La modificazione che il diavolo in corpo determina nella persona posseduta si rappresenta quindi anche come un sovvertimento straordinario della legge di gravita` nei due sensi della pesantezza e della leggerezza. Entrambi questi attributi segnalano l’identificazione del corpo del soggetto a quello diabolico, ma in due modi differenti. Il corpo pesante indica un sovrappiu`, il demone che si aggiunge al peso normale: il diavolo si incorpora rendendo quasi misurabile la sua presenza, acquistando un attributo – il peso – che non e` suo proprio. Il corpo che si solleva implica invece che l’identificazione e` del corpo della posseduta con quello diabolico, corpo angelico senza peso, capace di volare, corpo spirituale. In entrambi i casi l’unione 1 L’interpretazione in termini di mobilita` dell’essere posseduta si ispira a quella proposta da Charuty (1987b) in relazione all’«essere isterica», al suo rapporto con il mal de me`re e alle tradizionali tecniche terapeutiche considerate come manipolative dell’organo in questo caso spostato: la matrice. Cfr. la fine di questo capitolo. 2 La letteratura fornisce diversi esempi di quella che e` stata chiamata «gravita` demoniaca» e della levitazione diabolica; sebbene non le abbia mai riscontrate nella ricerca sul campo, esse fanno parte dell’immaginario diabolico e talvolta alcuni esorcizzati, come Silvio, raccontano episodi di levitazione.
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dell’individuo con il diavolo rappresenta una congiunzione ambigua e indebita di esseri e livelli di realta` che normalmente dovrebbero essere separati: in un caso con l’«abbassamento» dello spirito maligno al livello umano, terreno, nell’altro con l’elevazione del corpo umano, simbolicamente disincarnato, al livello del soprannaturale. L’esorcismo, per ristabilire l’ordine e il giusto rapporto, deve operare una disgiunzione che e` ottenuta principalmente con tecniche che inducono l’esteriorizzazione, fino all’espulsione spesso visibile e concreta di qualcosa che rappresenta l’essere possessore. Se le coppie di opposizioni relative al linguaggio corporeo considerate finora possono riassumersi nell’opposizione di due categorie piu` astratte come umano/non-umano (animale, non ancora umano, non piu` umano, sovrumano), le categorie di interno/esterno sembrano piu` appropriate per definire in termini generali la logica simbolica della possessione e del trattamento esorcistico per ottenere la de-possessione. Il demone agisce dunque dall’interno della posseduta nella quale si e` incorporato entrando generalmente attraverso le aperture che mettono in relazione con l’esterno; inizialmente esso non si manifesta come tale, resta nascosto – per usare le parole degli esorcisti – e preferisce operare indirettamente provocando malattie e difficolta` di vario genere che il soggetto non si spiega o non riesce a risolvere. Secondo la procedura esorcistica che legge in termini diabolici questa interiorizzazione del male, bisogna allora contrapporgli un’azione che lo induca a scoprirsi, a rendersi visibile e dunque direttamente attaccabile. Quello che ho chiamato il processo rituale di produzione-riproduzione dell’essere diabolico e il parallelo apprendimento del ruolo di posseduta, consistono quindi in una esteriorizzazione della presenza malefica in segni e atteggiamenti corporei stereotipati o significativi nel particolare contesto esorcistico. La logica simbolica in base alla quale questa esteriorizzazione si produce opera sempre secondo il principio che oppone qualita` contrarie secondo un movimento dall’esterno verso l’interno che ricalca quello dell’indemoniamento e dovrebbe produrre il movimento opposto. Vale a dire, non solo la manifestazione del demone ma la sua fuoriuscita. Il luogo di questa azione rituale e` sempre il corpo sul quale si agisce esternamente (unzioni, segni di croci, stimolazioni dei sensi...) e internamente (ingestione di sostanze esorcizzate). La liberazione – lo sdoppiamento tra i due esseri che ritualmente si sono identificati nel corpo del soggetto – viene significata anch’essa dalla esteriorizzazione
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del male che in genere prende la forma di un’espulsione: di sostanze organiche, di oggetti maleficiati3. La trasformazione rituale della persona sofferente in posseduta, attraverso la quale il rito intende operare il ristabilimento di un ordine fisico, psichico e metafisico, e` dunque ottenuta per mezzo di una serie di operatori simbolici di vario tipo che materialmente e simbolicamente manipolano il corpo. Il corpo stesso puo` essere considerato, secondo Gil, l’operatore simbolico che permette «la riorganizzazione dei significanti della malattia in un linguaggio sensato» ed e` dall’autore definito «significante fluttuante»4. Tutto cio` trova un suo presupposto nella definizione della possessione come occupazione del corpo da parte di un essere diabolico; la produzione-riproduzione rituale di tale essere si basa dunque sulla possibilita` che il soggetto esorcizzato apprenda ad esprimersi con un linguaggio corporeo che significhi la possessione o l’influenza diabolica. Va ora messo in evidenza, come dato essenziale, che l’implicazione del corpo nella possessione diabolica – finora esaminata nella prassi esorcistica – trova il suo fondamento nella teologia: il diavolo entra nel corpo e la possessione diabolica si configura come il dominio esercitato dall’essere malefico sul corpo della persona.
2. Il corpo e l’anima: definizioni teologiche dell’azione demoniaca Prendero` dunque ad oggetto di analisi alcune definizioni dell’azione demoniaca; esse evidenziano i presupposti teologici e demonologici dell’esorcismo e permettono di individuare un nodo centrale della problematica della possessione diabolica: il ruolo che vi giocano il corpo e l’anima5. Negli ultimi decenni, si sono moltiplicati i libri dedicati a diavoli ed esorcismi da parte di teologi, demonologi ed esorcisti cattolici (Amorth 1991, 1992, 1996; Balducci 1989; Bourrat-Soupa 1995; 3 Cfr. le osservazioni di Risso in relazione al fatto che nel mondo magico «la malattia viene immaginata come qualcosa di concretizzabile, che deve essere in qualche modo enucleata ed espulsa dal corpo» (Risso-Boker 1992: 153). 4 Gil 1985: 93. Cfr. Galimberti 1989 e, per una lettura essenzialmente psicologicapsicanalitica, basata anche su materiali etnologici, Schott-Bilmann 1977. 5 Data l’impossibilita` di un’analisi puntuale di tutti i testi classici del pensiero cattolico – ognuno dei quali richiederebbe un lavoro e uno spazio a se´ –, si e` considerata solo la letteratura piu` recente.
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Calliari 1992; Ernetti 1992; Fizzotti 1995; Froc 1992; Haag 1976; Huber 1992; Iersel (van)-Bastiaensen-Quinlan-Schoonenberg 1989; Kasper-Lehmann 1985; La Grua 1991; Laurentin 1995a; Lavatori 1995; Leneuf-Vernette 1991; Proja 1992; Tavard 1990; Vernette 1991). Effetto di un rinnovato interesse per l’argomento – rilanciato di recente anche dai mass-media e accompagnato da un intensificarsi della pratica esorcistica – questi testi, mentre spiegano ad un pubblico ampio i fondamenti teologici dell’esistenza personale del diavolo e i mezzi per combatterlo, spesso tentano anche un confronto con le scienze psicologiche rivendicando la pertinenza del trattamento religioso spirituale nei casi di presenza diabolica nell’uomo (possessione o altre forme minori). A partire dal famoso volume Satan uscito nel 1948 in Francia e nel 1954 in traduzione italiana (parziale), le formulazioni piu` recenti continuano a basarsi essenzialmente sulle definizioni e il linguaggio della teologia mistica6. Al di la` delle distinzioni terminologiche – non sempre del tutto sovrapponibili nei tentativi di sistematizzazione degli esorcisti (cfr. La Grua 1991; Ernetti 1992; Proja 1992) – un dato sembra acquisito dalla teologia e appare come presupposto della pratica esorcistica: l’azione demoniaca si esercita sul corpo e solo indirettamente sull’anima umana. Ancora abbastanza recentemente una nota pastorale della Conferenza episcopale toscana ricordava che la possessione va intesa come «presa di possesso del corpo di un individuo ad opera del demonio»7 e precisava che l’azione di Satana, anche nella forma piu` grave della possessione, non puo` riguardare il dominio dell’anima, ma unicamente l’uso del corpo, come ricorda San Bonaventura, esprimendo in proposito la posizione tradizionale della riflessione teologica: «A cagione della loro sottigliezza o spiritualita`, i demoni possono penetrare il corpo e risiedervi; a cagione della loro potenza, possono muoverli e turbarli. Quindi i demoni possono, in virtu` della loro sottigliezza e della loro potenza, introdursi nel corpo dell’uomo e tormentarlo, a meno che ` cio` che si chiama possedere, siano impediti da un potere superiore. E obsidere [...]. Ma penetrare nell’intimo dell’anima e` riservato alla sostanza divina» (Conferenza episcopale toscana 1994: 22).
6
Meynard 1937; Tanquerey 1954. Vedi infra, cap. II. Il riferimento evangelico e` a Marco 3,22-27, dove sarebbe chiaro che «il soggetto che ne e` vittima diventa come una “casa” di cui il nemico ha preso possesso» (Conferenza episcopale toscana 1994: 22). 7
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Ad aver posto le basi dell’odierno pensiero cattolico sulla questione e` pero` Tommaso d’Aquino, spesso citato a questo proposito, secondo il quale «il diavolo agisce solo esteriormente attraverso i sensi della immaginazione, ma non puo` giungere nell’intimo dell’anima, come invece fanno la grazia divina e lo Spirito Santo» (Lavatori 1995: 357. Cfr. Ernetti 1992: 59; Laurentin 1995: 117; Calliari 1992: 84). La tradizione precedente a San Tommaso non sempre distingueva chiaramente l’ambito – corporeo o spirituale – dell’influenza diabolica. Secondo l’Epistola di Barnaba (117-119, di autore ignoto), per esempio, il diavolo si insinua nella mente o nell’anima per indurre al peccato e l’anima diviene il campo di battaglia tra Cristo e il suo avversario (Ernetti 1992: 36; Lavatori 1995: 111). Nell’ambito della spiritualita` monastica occidentale, invece, Cassiano ritiene sı` che i demoni non possano penetrare direttamente nell’anima e si servano degli organi corporei, ma, in fasi successive e attraverso questi, una volta che l’anima sia «spoglia del soccorso e della protezione divina, si gettano audacemente sulla preda, che e` divenuta facile; infine fissano nell’anima la loro dimora come se fosse un possesso lasciato in loro balia» (cit. in Lavatori 1992: 244). Nelle teorizzazioni piu` antiche appare dunque meglio in luce un elemento che in quelle successive e` invece implicito nell’accentuazione della limitazione del potere diabolico al corpo: la posta in gioco, la vera «preda» di Satana e` l’anima. Sarebbe il libero arbitrio ad impedire che egli possa raggiungere «la parte piu` intima della psiche umana che rimane libera da ogni costrizione» (Lavatori 1992: 276). Ma in che rapporto sono l’anima e il corpo per la teologia cattolica? Senza pretendere di affrontare qui in modo esauriente una questione cosı` rilevante, consideriamo quanto afferma Catherinet, che si basa sulla teologia mistica, a sua volta sostenuta dalla teologia dogmatica e dalla filosofia scolastica. La Scolastica distingue nell’anima indivisibile dell’uomo due gruppi di facolta`: le une di ordine sensibile (immaginazione e sensibilita`), le altre di ordine intellettuale (intelligenza e volonta`). Quando tutto e` in ordine in un’anima umana, la sua attivita` e` diretta dalla volonta` che comanda all’immaginazione e alla sensibilita`, in grazia dei lumi che essa riceve da una ragione ben informata della verita`. Ma la ragione a sua volta e` incapace di giungere alla verita`, nelle condizioni normali di funzionamento durante la vita, se le facolta` sensibili non le forniscono un alimento gia` da esse raccolto e preparato. Questa azione scambievole delle facolta` dell’anima si estende fino alla volonta`, che puo` essere influenzata nelle sue decisioni [pur mantenendo la sua posizione
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gerarchicamente superiore.] Ma e` l’anima che da` vita al corpo, che lo «informa». Non vi sono due anime nell’uomo, una spirituale e l’altra corporale, ma una sola. E appunto per mezzo delle sue facolta` inferiori, per mezzo della sensibilita`, l’anima immateriale esercita il suo ` questo il punto di congiunzione, nell’essere unico potere sul corpo. E ma composto che e` l’individuo umano. E` proprio su questo punto di intersezione e di congiunzione tra l’anima e il corpo che i teologi collocano l’azione del demonio. Questi, al pari di ogni altra creatura, non puo` agire direttamente sull’intelligenza o sulla volonta`: e` questo un campo d’azione riservato rigorosamente alla persona umana e a Dio, suo creatore (Catherinet 1954: 195-196).
Il demonio le colpira` indirettamente tramite le facolta` inferiori (tentazione) fino ad «approfittare del disordine che una malattia mentale preliminare abbia introdotto nell’essere umano» per insediarvisi e assumerne il comando (ossessione). La frase da me sottolineata e` di un certo interesse per la comprensione dell’ambito in cui si esplica l’azione demoniaca e merita ulteriore attenzione. Anima e corpo, strettamente collegati, avrebbero il loro punto debole – esposto agli attacchi diabolici – nelle funzioni «corruttibili» dell’anima – memoria, immaginazione, affettivita` – che trovano espressione corporea nelle passioni; cio` a causa del peccato originale che ha lasciato invece intatte le facolta` superiori (La Grua 1991: 53-54). Sembra dunque che le facolta` inferiori dell’anima umana possano essere assimilate a quella che, con una terminologia piu` moderna, e` chiamata psiche. L’assimilazione e` infatti operata da diversi autori, senza peraltro implicare una riduzione del disturbo diabolico a disturbo psichico o una messa in discussione della specificita` del male diabolico. Secondo l’esorcista La Grua – che a questo proposito si basa essenzialmente sul testo curato da Madre (1980), un classico della letteratura carismatica – il diavolo «si insinua attraverso le “incrinature” della psiche ferita», per poi progredire «subdolamente, come un cancro, attraverso le brecce della memoria, dell’immaginazione, della affettivita`»; attribuendo queste facolta` all’anima, l’autore sembra sovrapporre quest’ultima e la psiche, salvo poi indicare che il discernimento dovra` distinguere, in ogni ambito e caso specifico, la semplice patologia psichica dall’intervento malefico8. 8
Lo psichiatra, afferma Catherinet (1954: 197), «non trovera` mai il demonio in fondo ad un’analisi puramente medica, cosı` come il chirurgo non scopre l’anima col suo bisturi». Per una posizione critica, relativa anche alla difficolta` – per i teologi – di distinguere tra possessione e malattia, cfr. Haag 1976: 187-202.
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La specifica competenza esorcistica e` sostenuta ugualmente da Laurentin, che pure riconosce che l’azione del demonio procede per suggestioni di ordine psicologico. «Il demonio che abita un uomo puo` muovere il suo corpo e investire il suo psichismo, sotto forme peraltro diverse» (Laurentin 1995: 39). Il fine dell’esorcismo sarebbe dunque «liberare i corpi, precisa il sacramentario galesiano, a differenza del sacramento della penitenza che libera l’anima assolvendo dal peccato (Giov. 20, 23). Ma il corpo, animato dallo spirito o anima (come lo si voglia chiamare), e` inseparabile dallo psichismo e dall’anima che ne e` il principio costitutivo»9. Attaccando la sfera immaginativa e sensibile che connette corpo ed anima, il diavolo mette dunque in pericolo l’unita` stessa della persona umana10. Oscurato dalla spesso puntigliosa trattazione dei livelli dell’intervento malefico, questo concetto non sempre e` esposto in modo esplicito negli scritti demonologici e esorcistici, ne´ risalta immediatamente all’osservazione della pratica esorcistica. La prospettiva antropologica insegna pero` che le rappresentazioni del corpo e i saperi che lo riguardano vanno considerati in rapporto a una visione del mondo e alla corrispettiva definizione della persona, a sua volta costruita dalle categorie della cultura11. Anche se la focalizzazione sulla possessione corporea generalmente colloca il riferimento alla persona in secondo piano, la relazione tra dominio diabolico e crisi dell’unita` della persona, intesa in senso cristiano, puo` dunque essere messa in luce. Che nella possessione diabolica sia in gioco l’intera persona e` implicito quando si afferma, ad esempio, che «nel posseduto [...] e` pertanto il diavolo che agisce, non piu` la 9
Laurentin 1995: 279; cfr. Balducci 1988: 199. La contrapposizione complementare fra liberazione del corpo e dell’anima, con i rispettivi strumenti religiosi per ottenerle, rimanda a una soggiacente analogia basata sul termine «liberare» inteso nel senso di «vuotare», «sgravare»; in entrambi i casi qualcosa – l’essere diabolico che occupa il corpo, il peccato che pesa sull’anima – deve essere portato fuori per essere eliminato. Per alcuni cenni sull’uso della stessa metafora in relazione a mali fisici e spirituali nella prima eta` moderna, cfr. Calvi (1987: 48), il quale nota come «le tecniche dell’evacuazione (salassi, purghe, sudorifici, emetici) siano poste a fondamento di ogni terapia non solo fisica, ma, obbligatoriamente in eta` controriformistica, anche spirituale. Perche´ anche dal peccato ci si “libera”, ci si “sgrava” l’anima, alleviando il senso di colpa attraverso l’emissione della voce che, confessando, alleggerisce il cuore del peccatore. [...] In ambedue le letterature – medica e esorcistica – l’immagine del corpo gravido e pieno si accompagna a quella delle membra risanate da un metaforico “parto”, da un’evacuazione». 10 Catherinet (1954: 197) aggiunge che il punto preciso in cui si congiungono corpo e anima e` anche quello in cui possono essere disgiunti. 11 Cfr. Mauss (1991) e, per un ripensamento della nozione maussiana di persona, Carrithers-Collins-Lukes (1985); cfr. anche Le Breton (1990) e Davini (1996).
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persona umana, incapace di reagire alla forza maggiore che l’opprime e quindi non moralmente responsabile delle azioni che compie» (Balducci 1995: 71-72). Piu` chiaro e` La Grua quando afferma che sotto l’azione malefica la persona umana si disgrega progressivamente e l’uomo perde se stesso; questo esorcista, d’altra parte, non attribuisce solo all’intervento diabolico la compromissione «dell’unita` della persona», che puo` trovarsi parzialmente anche in disturbi neuropsichici e somatizzazioni piu` generalmente intesi, attribuiti dai soggetti interessati – ma non dall’esorcista – a un’influenza diabolica (La Grua 1991: 95 e 125. Cfr. Ernetti 1992: 190). Uno sguardo al concetto cristiano di persona fornira` qualche ulteriore coordinata a questo primo tentativo di riflessione sul rapporto anima-corpo in relazione alla possessione diabolica, senza pretendere di esaurire cosı` un tema vasto e complesso.
3. Persona Sul ruolo fondamentale svolto dal cristianesimo nella ridefinizione del concetto di persona i pareri degli studiosi sono concordi. Gli autori cattolici ne sottolineano la portata innovativa: «il concetto di persona subı` un rovesciamento di importanza capitale con l’avvento del cristianesimo, al punto che si puo` dire che esso [...] ha la sua radice nella rivelazione giudaico-cristiana. Secondo quest’ultima, infatti, ciascun uomo, anziche´ trovare definito il suo ruolo da un fato impersonale e ineluttabile, e` viceversa chiamato alla propria esistenza irripetibile dalla libera iniziativa del Creatore personale, che affida altresı` alla libera risposta dell’uomo la continuazione del dialogo salvifico con lui» (Galeazzi 1977: 723). Secondo Milano «la persona quale “soggetto” autocosciente e libero [...] rappresenta essenzialmente una “invenzione” segnata dal cristianesimo» il quale provoco` nel mondo antico «una rottura epistemologica» da cui scaturı` «l’antropocentrismo dell’orizzonte ermeneutico moderno» (Milano 1984: 14-15 e 19; cfr. Berti 1995: 515-516). Certo, fu il cristianesimo a fornire alla nozione di persona la sua ` a partire dalla nozione di uno che si e` creata la base metafisica: «E nozione di persona – credo per molto tempo – a proposito delle persone divine, ma a un tempo, a proposito della persona umana, sostanza e modo, corpo e anima, coscienza e atto» (Mauss 1991: 377). Abbandonando il termine e il significato greci (pro´sopon) che
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rimandano alle nozioni di maschera e di ruolo, e partendo dalla definizione di Boezio – «persona e` la sostanza individuale di natura razionale che esiste per se´» – poi modificata da S. Tommaso, il cristianesimo situa il nucleo essenziale della persona nel suo essere profondo, in definitiva nell’anima. Questa, creata da Dio, costituisce la persona anche nella sua componente corporea e la caratterizza come essere in relazione con Dio (Jennings 1994; Milano 1995; Ferraris 1996). Nel corso dei secoli, la compresenza nella persona umana di una componente corporea e di una componente spirituale e` stata oggetto di speculazioni che hanno dato luogo, ad esempio, alla concezione dualista in cui alla radicale differenza tra corpo materiale e anima spirituale si accompagnava una valorizzazione della seconda a sfavore del primo. La teologia contemporanea sostiene invece la fondamentale unita` dell’uomo, inteso nel suo aspetto corporeo e spirituale. Quest’unita`, ribadita da vari concili e stabilita da S. Tommaso, implicherebbe il riconoscimento del valore positivo e del ruolo indispensabile della corporeita`, che coopera al raggiungimento del bene dell’essere umano cristianamente inteso (Marranzini 1977; Macquarrie 1994; Ladaria-Maggioni-Natoli-Bellocchio-Tonini 2000). Le speculazioni teologiche, muovendosi tra dualita` e unita` della persona, forniscono pero` solo il quadro di riferimento generale in cui collocare il concetto di persona cristiana; esso non si riempie di contenuti che se analizzato nelle pratiche cristiane che lo esprimono ` utile, in questo senso, e lo rendono – per cosı` dire – operativo. E seguire la via indicata da Charuty nell’analisi dei riti terapeutici per il «male del santo» e delle rappresentazioni della persona cristiana, e vedere nel rito esorcistico – come fa l’antropologa in relazione al suo specifico oggetto –, «l’applicazione specifica di un codice simbolico di portata molto piu` generale, codice che, manipolato in altri contesti rituali, viene a dare un contenuto specifico a quelle categorie vuote costituite dalla distinzione cristiana tra “corpo” e “anima”» (Charuty 1997: 17). D’altra parte, come sottolinea Solinas ricordando che le osservazioni di Mauss hanno fornito all’analisi del concetto di persona la dimensione specifica della rappresentazione, «la persona non solo si rappresenta, ma si produce e si ricostituisce nel rappresentarsi» (Solinas in Ferraris 1996: 24). La carne e` il cardine della salvezza. Infatti, se l’anima diventa tutta di Dio, e` la carne che glielo rende possibile! La carne viene battezzata
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perche´ l’anima venga mondata; la carne viene unta, perche´ l’anima sia consacrata; la carne viene segnata dalla croce, perche´ l’anima ne sia difesa; la carne viene coperta dall’imposizione delle mani, perche´ l’anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si nutre del corpo e del sangue di Cristo, perche´ l’anima si sazi di Cristo. Non saranno percio` separati nella ricompensa, dato che sono stati uniti nelle opere (Tertulliano, De resurrectione, 8, PL 2, 806)12.
Se messa in relazione all’analisi di alcuni elementi del rito esorcistico da me proposta, la frase di Tertulliano appare particolarmente significativa: nell’esorcismo non solo si rappresenta un’immagine del corpo, ma si produce, attraverso di essa, un’idea della persona. L’esorcismo, agendo sul corpo, opera sull’anima e si propone di ricostituire l’unita` della persona cristiana minacciata dall’agente separatore malefico.
4. Il corpo, specchio dell’anima? La rappresentazione rituale esorcistica sembra rimandare ad una concezione del male che si esprime come una sorta di dissociazione tra corpo e anima. Attribuire a un’origine diabolica mali fisici e psichici, problemi relazionali e sventure, oltre che mali spirituali, significa nello stesso tempo prospettarne una possibile risoluzione sul piano in cui agiscono le forze soprannaturali: quella divina si contrappone a quella diabolica operando la liberazione-guarigione. Si proietta cioe` su un orizzonte metafisico l’origine ultima e il senso del male, nonche´ il suo esito positivo. Nella rappresentazione esorcistica, Dio, nella persona dell’esorcista, combatte il diavolo impersonato dalla persona posseduta e incarnato nel suo corpo; questa, come essere umano degradato dalla presenza malefica, si offre come prova dell’efficacia degli strumenti religiosi rituali e quindi del potere della Chiesa nel reintegrare parte della persona: attraverso l’addomesticamento del corpo diabolico nel rito si procede alla salvaguardia o al recupero della componente spirituale della persona, quell’anima che Satana non puo` possedere direttamente – come sostengono i teologi – durante la vita dell’uomo, ma che cerca di conquistare sulla terra,
12
Cit. in voce Anima e Corpo, in Diz. Teol. Interdisc. 1977: 371.
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agendo sulla componente corporea, per assicurarsene il possesso nell’aldila`. Nella visione religiosa, la rimessa in ordine dei rapporti tra le componenti della persona risponde ad un determinato modello che le colloca in posizioni gerarchicamente definite, attribuendo all’anima entrambe le facolta`: quelle sensibili – e quindi il potere sul corpo – e quelle intellettive. Nel rito, questo riordinamento opera secondo la stessa logica simbolica che presiede all’intervento portatore di disordine e disgregante dell’agente aggressore malefico; non solo si intende guarire il male agendo sulla sua rappresentazione ritualizzata, ma si agisce sul corpo per il possesso dell’anima; l’identita` cristiana e l’integrita` della persona umana vengono ricomposte e riaffermate: la persona, cacciato il «demonio-squatter» (Laurentin 1995: 117) torna ad essere abitata da Dio13. Anche un altro dato importante va ricordato: il demonio e` stato sconfitto in modo esemplare con l’incarnazione di Cristo. Questa sorta di incarnazione di Satana che e` la possessione non potrebbe essere considerata come l’opposto di quella divina? E dunque lo spostamento sul piano concreto, umano – del corpo come «carne» –, della lotta eterna condotta a livello metafisico tra i nemici irriducibili? La divinita` che si incarna e il suo Spirito che viene ad abitare gli uomini di fede si contrappongono fin dall’inizio all’idea dell’uomo pagano come dimora di spiriti malvagi14. Inoltre, il sacrificio dell’Eucarestia – corpo di Cristo, cibo dell’anima – ci ricorda continuamente il ruolo centrale che il corpo riveste nella rappresentazione dell’essere cristiano. Se la posta in gioco e` l’uomo come persona composta di corpo e anima, la valorizzazione religiosa della parte spirituale non sembra poter fare a meno delle possibilita` che il corpo offre alla rappresentazione drammatizzata dello scontro metafisico: la messa in scena del corpo soggiogato dal diavolo, mentre opera il passaggio tra 13
Attraverso il trattamento simbolico dell’alterita` (il diavolo nella posseduta) si costruisce e riafferma anche l’identita` del gruppo di appartenenza dell’esorcizzata (la famiglia e gli amici; la comunita` dei partecipanti all’esorcismo e quella piu` vasta dei credenti). Quanto Curcio sostiene a proposito della stigmatizzazione della famosa posseduta suor Jeanne des Anges – del convento delle Orsoline di Loudun – puo` essere esteso, nelle proposizioni generali, all’insieme delle manifestazioni del corpo «diabolico». All’origine vi sarebbero infatti sia «un codice prescrittivo di comportamento [...]», sia «un contesto socio-culturale entro cui la realizzazione del codice assume il valore eccezionale di conferma eclatante della ` corpo fede del gruppo. Il tal senso il corpo stigmatizzato personifica un’attesa culturale. E latente di un gruppo. Corpo in cui si condensano le attese collettive consentendo ad ognuno di rinnovare le sue sempre minacciate certezze» (Curcio 1987: 88). 14 Cfr. ad esempio Righetti 1964: 539; Vagaggini 1965: 367-368; Bolgiani 1990: 221.
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linguaggi e orizzonti diversi – da quello della malattia a quello religioso; da quello storico a quello metastorico – prospettando la risoluzione del male o della crisi sul piano terreno, prefigura nello stesso tempo il destino metafisico dell’anima secondo la prospettiva escatologica. Come sottolinea Sabbatucci, quest’ultima «contiene ogni necessita` cristiana» ed «e` l’unico elemento che distingue il cristianesimo da altre religioni e che, al contempo, realizza un corpo unitario cristiano, nonostante la sua suddivisione in chiese, confessioni e sette». L’importanza della salvezza extra-mondana e` palese, per lo storico delle religioni, quando si considerino le tre virtu` teologali «che trasformano l’uomo in cristiano [...]: fede (nella prospettiva salvifica), speranza (nella salvezza) e carita` (comportamento adeguato alla teoria salvifica)». E anche la figura del diavolo va valutata come «una presenza necessaria alla dialettica cristiana della salvazione» (Sabbatucci 1989: 16-17). D’altra parte, il corpo stesso e` inteso dal pensiero cristiano nell’ottica della destinazione eterna: «lo stesso universo corporeo», come la Persona «scopre la sua piu` profonda ragione di essere in questa inserzione nella storia della salvezza» (Gi. 1958: 167). Che la corporeita` abbia un ruolo rilevante nel cristianesimo lo ricorda anche Cardini analizzando le tecniche del corpo nella preghiera: un tema centrale e` «il rapporto fra salvezza (che, nel quadro della resurrezione dei corpi, e` valore fisico oltreche´ morale e spirituale) e salute, che i traduttori latini delle Scritture esprimeranno mediante l’uso, per i due differenti ma simili concetti, dello stesso termine salus» (Cardini 1987: 18). Se non puo` prescindere dal corpo, la religione cristiana lo ` a proietta dunque in una dimensione extra-mondana e metafisica. E questa dimensione che va rapportato anche il trattamento rituale del «corpo diabolico», operatore simbolico attraverso il quale si configura l’impresa malefica e la promessa alternativa di salvezza dell’anima. D’altronde, come ricordano teologi ed esorcisti, anche l’azione del diavolo avviene – oltre che per il peccato dell’angelo decaduto e dell’uomo – perche´ Dio la permette per il bene del cristiano, bene di cui potra` godere pienamente nella vita ultraterrena. Nel corpo come superficie iscrivibile e luogo di circolazione di forze trasformate dal sacerdote in potere sui corpi cosı` dominabili e manipolabili (Gil 1985) – e` lui che detiene il sapere, il Verbo – si cerca l’anima: la componente della persona umana che da` al cristiano il pieno senso del suo essere.
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5. Il corpo della posseduta Il quadro finora delineato, in cui ho cercato di individuare le coordinate teologiche e rituali che fanno del corpo il luogo dello scontro di entita` contrapposte, lascia aperti diversi interrogativi, rispetto ai quali provero` a dare, se non una risposta esaustiva, l’indicazione di una possibile lettura. In quale cornice storica di lunga durata si colloca la costituzione del corpo posseduto come oggetto del sapere e del potere religioso? Attraverso quali meccanismi si definisce? Come avviene il passaggio dal «corpo diabolico» al «corpo isterico», oggetto medico-psichiatrico? Come si struttura storicamente il rapporto tra ambito religioso e ambito medico in cui si gioca la partita che ha il corpo (e l’anima) della posseduta come posta in gioco? Quale ruolo ha l’appartenenza di genere nella possessione diabolica e come spiegare l’elettivita` femminile? Che rilevanza ha, nell’interazione rituale, il fatto che il corpo in questione sia un corpo sessuato, cosı` come quello degli altri attori del rito esorcistico?
5.1 La «carne convulsiva» Il riferimento ad alcuni saggi di Foucault permette sia di impostare correttamente i problemi sollevati, sia di delineare il quadro storicoconcettuale entro cui cercare le risposte. Unico studioso, a quanto mi risulta, ad essersi interessato del corpo nella possessione in una prospettiva non psicoanalitica, la sua analisi del «teatro somatico», «il teatro fisiologico-teologico costituito dal corpo dell’indemoniata» (Foucault 2000: 188), rappresenta un contributo importante sia per l’acutezza e la lucidita` con cui individua i luoghi, i momenti e i passaggi fondamentali che definiscono la diabolicita` del corpo in determinati periodi storici, sia a conferma della mia autonoma lettura della centralita` del corpo nel dispositivo rituale e nella possessione, condotta sulla base dei dati etnografici quando ancora non conoscevo il saggio in questione. Piu` volte affrontato da Foucault, soprattutto per quanto riguarda il fenomeno storico della stregoneria15, il demoniaco vedrebbe nel XVI sec. un periodo chiave. In particolare, e` alla fine di quel secolo
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Altrove messa a confronto con la possessione, individuando tra le due continuita` storica e differenze (Foucault 2000).
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che esso diventa oggetto di dibattito tra sacerdoti, medici e magistrati, che discutono sulla possibilita` che il diavolo alteri i poteri fisici dell’uomo. Nessuna delle diverse posizioni, pero`, contesta l’esistenza del demonio e la sua presenza tra gli uomini; ci si interroga piuttosto sulle modalita` della sua manifestazione, per cui si tratta non di un conflitto tra natura e soprannaturale ma di un dibattito sul «modo di verita` dell’illusione»: il modo in cui l’azione demoniaca si trasmette e si nasconde sotto le apparenze (Foucault 1996a: 171). Un luogo di confine – fra il mondo e l’uomo, fra l’anima e il corpo – viene individuato come ambito di esplicazione dell’intervento di Satana: la «fantasia» e i sensi, «laddove la natura si trasforma in immagine». ` un intervento localizzato che pero` si effettua con un sistema di E complicita` e corrispondenze. «Di tutte le facolta` dell’anima, l’immaginazione e` la piu` materiale o piuttosto e` in essa che in ogni istante si compie il passaggio dal corpo all’anima e dall’anima al corpo». Tale spiritualizzazione del potere demoniaco implica pero` non una diminuzione ma un aumento della influenza sulla grande macchina interna del corpo. «Tutto cio` che e` ai confini dell’anima, subito prima dell’immagine, dell’illusione o del sogno, ovvero i sensi, i nervi, gli umori diventa per diritto di vicinanza dominio privilegiato del demonio» (Foucault 1996a: 173-4). Il demoniaco agisce quindi nell’articolazione dell’anima con il corpo, dove nasce l’immaginazione. Il procedimento «archeologico» di analisi foucaultiano risulta dunque particolarmente interessante, anche nell’oggetto da me analizzato, per una duplice ragione. Da una parte individua puntualmente nel corpo (ai confini tra corpo e anima) il luogo concreto e simbolico che le interpretazioni mediche e religiose, in un preciso momento storico, hanno indicato come terreno dell’azione demoniaca. Considerando i riferimenti teologici in precedenza da me riportati, si puo` dunque sottolineare la persistenza di una stessa concezione dell’intervento diabolico. Dall’altra parte, e` da ritenere l’esigenza di contestualizzare le categorizzazioni, le distinzioni oppositive (come normale e patologico) rintracciandone le origini, i campi di applicazione, la formazione dei loro oggetti, in un procedimento che Foucault stesso – in un altro saggio – definisce etnologizzazione dello sguardo che rivolgiamo alle nostre conoscenze (Foucault 1996b: 220). Qui il filosofo porta proprio l’esempio della stregoneria e della possessione. In genere si ammette che si tratta di casi patologici che non erano stati riconosciuti come tali mentre il problema da porsi e` inverso: «le figure degli stregoni e degli indemoniati, che erano
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perfettamente integrate in questi rituali che li escludevano e li condannavano, come sono potute diventare oggetti di una pratica medica che dava loro un altro statuto e li emarginava in modo diverso? Il principio di questa trasformazione non va ricercato nel progresso dei lumi ma nel gioco dei processi inerenti a ogni societa`». Vale per questo oggetto di analisi – che Foucault esamina in particolare in una lezione al Colle`ge de France nel 1975 – la stessa indicazione di metodo proposta ad esempio in Storia della follia nell’eta` classica16; i fenomeni di possessione e stregoneria – e le trasformazioni di alcuni elementi caratterizzanti, come la «convulsione» nella posseduta dal diavolo – possono essere meglio compresi con uno studio storico delle tecnologie di potere (Foucault 2000). Quello che qui interessa ritenere, di un discorso piu` ampio sull’apparato (o tecnica) della direzione di coscienza di cui l’emergere della possessione nel XVI secolo sarebbe un effetto, e` l’analisi del corpo posseduto, luogo della penetrazione dei nuovi meccanismi di potere del cristianesimo dell’epoca. Principalmente attraverso i riferimenti alla vicenda di possessione delle Orsoline di Loudun (1632), Foucault mostra che si tratta di un corpo «multiplo», frammentato, attraversato da potenze e penetrato da sensazioni, «un “corpo-fortezza”: fortezza assalita e assediata», teatro di battaglie, contrassegnato dalla «convulsione», definita «la forma plastica e visibile del combattimento che si svolge nel corpo dell’indemoniata» (Foucault 2000: 188). Ma e` soprattutto con la lettura del «gioco del consenso» e della sostituzione ripetuta del corpo della posseduta con quello del diavolo che Foucault offre uno spunto interpretativo al problema complesso, prima accennato, dell’articolazione di consenso e resistenza presentata dalla posseduta nell’esorcismo. L’indemoniata, nel sistema della possessione, si sdoppia: «e` sı` colei che si trova sotto il potere del diavolo, ma questo potere, non appena si radica o penetra in profondita` nel corpo dell’indemoniata, incontrera` una resistenza. L’indemoniata e` colei che resiste al diavolo nel momento stesso in cui ne e` il ricettacolo. Di modo che nella donna sorge subito una dualita`: cio` che dipende dal diavolo, e che fa sı` che lei non sia piu` lei, diventata semplice macchinario diabolico; lei stessa, in quanto ricettacolo resistente che, contro il diavolo fara` valere le proprie forze o cerchera` 16
Nel costruire l’archeologia di un’alienazione, «non si tratta di determinare quale categoria patologica o poliziesca fu cosı` accostata, il che presuppone sempre questa alienazione come gia` data» ma di sapere come si e` costituito il terreno dell’alienazione, terreno circoscritto dallo spazio di internamento (Foucault 1976: 116).
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il sostegno del direttore, del confessore, della chiesa. In lei si incontreranno allora gli effetti malefici del demonio e gli effetti benefici delle protezioni divine o sacerdotali alle quali fara` appello» (Foucault 2000: 184; cfr. 189). L’ambiguita` del gioco rituale, evidenziata nell’esorcismo di Francesca sopra descritto ma ugualmente rintracciabile in quelli di Lea, di Sara e molte altre, cosı` come la drammaticita` delle loro esistenze, risiede in questo essere doppia (o plurale) che si concretizza nella dimensione corporea fino ad una vera e propria incarnazione dell’alterita`. Se sul piano dell’analisi del rito si era evidenziato che il regista, oltre che attore, del teatro esorcistico e` il sacerdote che detiene e gestisce gli strumenti concreti e simbolici di produzione della possessione, l’analisi di Foucault mostra come su un piano storico piu` generale sarebbe stato l’affermarsi di una pratica di direzione spirituale a produrre quella che chiama «la carne convulsiva», di cui sottolinea l’aspetto di «resistenza»: «La carne convulsiva e` il corpo attraversato dal diritto di esame e sottomesso all’obbligo della confessione esaustiva; e` il corpo insorto contro il diritto di ` il corpo che, esame e contro l’obbligo della confessione esaustiva. E ` il alla regola del discorso completo, oppone o il mutismo o il grido. E corpo che oppone alla regola della direzione obbediente le grandi scosse della rivolta involontaria o i piccoli tradimenti delle compiacenze segrete. La carne convulsiva e` al tempo stesso l’effetto ultimo e il punto di rovesciamento dei meccanismi d’investimento corporale organizzati dalla nuova ondata di cristianizzazione del XVI secolo. La carne convulsiva e` l’effetto di resistenza della cristianizzazione a livello dei corpi individuali» (Foucault 2000: 189). Per contrastare il «contropotere» e la resistenza della possessione, mantenendo potere sui corpi, la Chiesa ha utilizzato dei meccanismi che Foucault chiama «i grandi anticonvulsivi», tra cui il trasferimento del convulsivo nel campo del potere medico che a partire dal XVII secolo iniziera` a farne un suo oggetto privilegiato17. La Chiesa stessa ha dovuto, inizialmente con cautela e reticenza, prendere atto della necessita` di rendere «la convulsione un fenomeno autonomo, estraneo» ai meccanismi di direzione della coscienza, ben consapevole del rischio che comportava il ricorrere alla medicina perche´ cosı` «s’introduce la giurisdizione del sapere medico nell’ordine della carne che la
17 Gli altri sono «la modulazione stilistica della confessione e della direzione di coscienza» e «il sostegno che il potere ecclesiastico ha cercato da parte dei sistemi disciplinari ed educativi» (Foucalt 2000: 195 e 200).
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nuova pastorale ecclesiastica aveva costituito come campo» (Foucault 2000: 196). Questo campo della «carne» sara` quindi almeno in parte ereditato dalla patologia che lo ricodifica in termini medici come «sistema nervoso», una cui forma parossistica di azione e` appunto la convulsione; quest’ultima, nella sua nuova forma «apparira` adesso come la liberazione involontaria degli automatismi», diventando «il modello neurologico della malattia mentale» sul quale si costruira` la categoria di istero-epilessia (Foucault 2000: 198). Ma sebbene la Chiesa lasci la convulsione ai medici, per far valere invece – secondo la suggestiva ipotesi di Foucault – il fenomeno delle apparizioni, nel XIX secolo il rapporto tra potere ecclesiastico e potere medico si presenta intricato e contraddittorio in relazione alla giurisdizione su fenomeni che gli uni considerano straordinari e miracolosi, gli altri naturali, scientificamente spiegabili e anche riproducibili; il dibattito che aveva preso le mosse proprio dai casi piu` famosi di possessioni si spostera` con Lourdes e la Salette sul terreno delle apparizioni e delle guarigioni miracolose e trovera` una sua fondamentale tappa nell’istituzione del Bureau des constatations all’interno del santuario mariano di Lourdes18. «Da Loudun a Lourdes, alla Salette o a Lisieux, vi e` un lungo trasferimento, una redistribuzione degli investimenti medici e religiosi del corpo, una specie di traslazione della carne, uno spostamento reciproco delle convulsioni e delle apparizioni» (Foucault 2000: 200). In questo processo, il corpo posseduto – convulsivo, nei termini di Foucault – si contrappone al corpo implicato nelle apparizioni in una configurazione che vede emergere nuove figure (non piu` il diavolo, la posseduta, l’esorcista, ma la Vergine, il veggente, il miracolato e poi il medico) e un nuovo scenario che tuttavia presuppone il teatro della possessione: invertendo le modalita` del rapporto di incorporazione che si stabiliva tra il corpo della posseduta e l’essere soprannaturale diabolico, ora la Vergine rimane a distanza. Come acutamente nota Foucault «le apparizioni del XIX secolo [...] escludono assolutamente il corpo a corpo. La regola del non contatto, del non corpo a corpo, della non mescolanza del corpo spirituale della Vergine e del corpo materiale del miracolato, e` una delle regole fondamentali nel sistema d’apparizione che s’instaura durante 18
Una fondamentale ricostruzione di queste questioni per quanto riguarda Lourdes e` quella di Gallini 1998; sulla contiguita` di interessi degli alienisti circa questi pur diversi fenomeni cfr. i due studi di Charcot sulla possessione (Charcot 1984) e poi sulle guarigioni per fede (Charcot 1897).
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il XIX secolo» (Foucault 2000: 199). Ma si dovrebbe aggiungere che un contatto anche «materiale» con la Vergine e` invece ricercato dai pellegrini che visitano i santuari nelle pratiche diffuse di toccare le pareti della grotta delle apparizioni o le immagini sacre, di immergersi nelle piscine... tutti modi per tentare di assumere nel proprio corpo gli effetti curativi e salvifici del «corpo» santo mariano. D’altra parte a Lourdes si mette in atto una ridefinizione dei confini del corpo, evidente soprattutto nel corpo malato miracolato che diventa santificato (Gallini 1998), ma che – per chi e` posseduto – si puo` esprimere anche nella liberazione dal male malefico, annunciata e preparata dalla manifestazione acuta dei segni diabolici. Per inciso, si puo` notare che se la Chiesa progressivamente ha lasciato l’ambito della possessione – in cui spesso la posta in gioco era l’affermazione delle verita` della religione cattolica, in certi momenti storici in contrapposizione a quella protestante – per favorire quello delle apparizioni mariane, in tempi recenti troviamo una convergenza tra i due terreni di cui si dovrebbe ricostruire la storia. Se consideriamo la pratica di coloro che comunque hanno continuato, fino a una quindicina di anni fa in modo piu` riservato, ad occuparsi di possessione, cioe` gli esorcisti, e` spesso evidente il rapporto che si instaura tra intervento mariano – e in particolare della Madonna legata ad apparizioni – e richiesta di liberazione da ` noto il potere antidiabolico che alla Vergine e` influenze malefiche. E in generale attribuito; ma sono esistiti ed esistono anche santuari mariani «specializzati» nella liberazione dei posseduti (quello della Madonna di Caravaggio a Caravaggio e a Fanzolo, quello della Madonna della Stella a Cellatica, ad esempio19); oggi troviamo inoltre un particolare legame dell’ambiente esorcistico con luoghi come Lourdes e Medjugorie, dovuto alla vicinanza o all’appartenenza di esorcisti e collaboratori ai gruppi carismatici e all’opera di teologi come Laurentin. Il ricorso alla mediazione e protezione mariana e` infatti piuttosto diffuso tra chi pratica il rito, nonostante l’inserimento di un richiamo mariano nelle preghiere esorcistiche del Rituale sia recente (1999) e sembri accogliere ufficialmente una prassi gia` diffusa. Valga per tutti l’esempio di don Amorth, particolarmente rilevante per la posizione di autorevolezza che riveste tra i colleghi esorcisti e il suo ruolo pubblico: prima di diventare esorcista don 19
Anonimo 1892; Marchesan 1908; Anonimo 1987; Agnoletti 1884; Bonin s.d.; Sicurelli s.d.; Mercati 1911; Quidam 1975; Romano 1987.
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Amorth si e` a lungo occupato di mariologia, e` devoto della Madonna di Lourdes e sostenitore di Medjugorie; partecipa spesso a pellegrinaggi ai due santuari, accompagnando a Lourdes anche esorcizzate, che lı` a volte trovano la liberazione; ricorre abitualmente all’invocazione della protezione mariana nella sua pratica esorcistica, ritenendola fondamentale. D’altra parte un teologo come Laurentin, anche lui mariologo, studioso di Lourdes e attivo fautore delle apparizioni di Medjugorie, si interessa di fenomeni diabolici e mistici, oltre che appoggiare il movimento carismatico, al quale pure don Amorth e` vicino20. E l’accostamento o sovrapposizione dell’ambito esorcistico, della devozione mariana e della spiritualita` carismatica e` ravvisabile anche a livello mass-mediatico, laddove nelle trasmissioni televisive il rilancio del tema diabolico – con discussioni e testimonianze circa possessione ed esorcismo – va di pari passo con quello mariano e miracolistico e presenta spesso gli stessi esperti (non solo sacerdoti). Si tratta pero` di un tema che richiederebbe una specifica analisi e allontanerebbe dall’oggetto qui trattato – il corpo posseduto – piu` della precedente digressione. Quanto al corpo, dunque, ad una prima lettura appare esprimere almeno un aspetto della connessione o convergenza dei tre ambiti citati: che sia preda della possessione diabolica, che sia malato in cerca di guarigione nei luoghi delle apparizioni mariane o che ritrovi uno spazio di espressione emozionale nella preghiera carismatica, e` un «luogo» importante in cui si esplicano alcune delle modalita` contemporanee del rapporto con il sacro, in un intreccio che lega orientamenti e settori del mondo cattolico partecipi di una spiritualita` piu` o meno cautamente aperta a forme di misticismo – di cui fanno parte i fenomeni diabolici –, al visionarismo, alla manifestazione dei carismi21. Nel gioco degli spostamenti e delle ridistribuzioni degli investimenti religiosi e medici del corpo rilevato da Foucault la possessione sembrava destinata a scomparire come tale, passando alla competenza medica, come anche de Martino si aspettava, affidando ai 20
Laurentin 1995a e 1995b. Egli ha inoltre partecipato ad un recente convegno internazionale dell’Associazione degli esorcisti tenutosi in Italia. 21 Il corpo sembra invece «disincarnarsi» e passare in secondo piano nella virtualita` del rapporto che i fedeli navigatori in rete dei siti cattolici e mariani intrattengono con il sacro (Apolito 2002); questo aspetto delle nuove forme di religiosita` non esclude peraltro a priori l’eventuale compresenza delle due modalita`, che andrebbe verificata.
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progressi della scienza, della psichiatria in particolare, il compito di spazzare via «la credenza di una causazione extranaturale da parte del demonio» di malattie che ora possono essere «ricondotte sul piano delle alterazioni psichiche da osservare clinicamente e da spiegare con cause naturali» (de Martino 1980: 206); oggi si puo` affermare che invece e` ancora presente nel campo religioso in modo non proprio marginale, se la si considera non tanto in senso restrittivo ma come insieme dei vari gradi di presenza diabolica nell’uomo, ritenuta possibile non solo in teoria ma nella pratica sia degli esorcisti, sia dell’elevato numero di persone che a loro si rivolgono. Rispetto alla fiducia laica riposta nelle scienze medico-psichiatriche da de Martino, e implicita nella tendenza individuata da Foucault, rimane anzi ancora attuale anche la posizione, seppur minoritaria, di alcuni psichiatri cattolici, che trova larga eco negli ambienti esorcistici: essa ribadisce i limiti della scienza di fronte a mali e fenomeni inspiegabili per riconsegnare possessione e mali diabolici nelle mani della Chiesa22.
5.2 Corpo posseduto e identita` femminile Se le acute osservazioni di Foucault permettono di inquadrare storicamente e concettualmente il problema della costituzione del corpo posseduto come oggetto del sapere e del potere religioso e il suo passaggio ad oggetto medico-psichiatrico, tralasciano pero` di considerare altri due elementi centrali: il ruolo che ha l’esorcismo nel ritualizzare la possessione e il carattere sessuato del corpo posseduto23. Quanto al primo, l’approccio storico-filosofico dello studioso francese e l’interesse relativo dedicato al nostro tema nell’insieme della sua produzione scientifica, non gli permettono di sviluppare un aspetto che invece l’etnografia mette fortemente in luce. La centralita` del rito nel dare forma alla possessione – peraltro forse rintracciabile in nuce laddove Foucault insiste sulle dinamiche e i meccanismi messi in atto nel rapporto tra sacerdote e posseduta – e` infatti 22 Al professor Morabito, cui si e` gia` accennato, si possono ad esempio aggiungere gli psichiatri che partecipano ai convegni degli esorcisti. 23 D’altra parte le sue analisi prendono ad oggetto l’ordine del discorso e la genealogia dei saperi e non quella che successivamente e` stata chiamata l’«esperienza incorporata» (cfr. la critica di Good 1994: 69).
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individuabile con chiarezza soprattutto all’osservazione diretta e ad un livello di analisi strettamente legato ai dati etnografici: e` essenzialmente il dispositivo rituale che modella i corpi e costituisce la «carne convulsiva». ` ancora l’etnografia – oltre alla storia – a porre il problema E dell’appartenenza di genere nella possessione diabolica, elemento tutt’altro che irrilevante trattando del corpo posseduto che proprio nell’interazione con altri corpi sessuati si definisce come tale. Se da una parte e` la performativita` discorsiva (teologico-esorcistica) che costituisce la posseduta24, va anche sottolineato che e` la pratica rituale a darle corpo e a mettere in scena corpi femminili e maschili in ruoli sostanzialmente stabili: il corpo posseduto femminile si contrappone a quello maschile dell’esorcista25. Come spiegare l’appartenenza prevalente della persona posseduta al genere femminile? Come si articola la costruzione dell’identita` sessuata e di genere in possessione ed esorcismo? Alla prima domanda sono state date risposte di due tipi, entrambe non pienamente convincenti. Don Amorth, come altri esorcisti, ritiene che la netta prevalenza femminile dipenda dalla maggiore propensione delle donne rispetto agli uomini a rivolgersi agli operatori religiosi e a chiedere aiuto, rendendo visibile il male malefico; ma se questa spiegazione, che puo` essere parzialmente vera, si limita a constatare una tendenza generale dei due sessi nel rapporto con la religione, non spiega le forme specifiche che tale rapporto assume in relazione al genere. Una risposta di tipo psicologico-psichiatrico che colleghi la specificita` femminile dei fenomeni di possessione alla patologia isterica, tradizionalmente ritenuta piu` frequente tra le donne, appare invece riduttiva e lascia aperti ulteriori interrogativi all’analisi antropologica. Si puo` tentare di esaminare la questione, collegando i due interrogativi, col considerare i dati etnografici come elementi di piu` generali rappresentazioni cristiane dell’identita` femminile. L’analisi del rito, dei momenti extrarituali e delle informazioni sulla storia di alcune persone esorcizzate fa ipotizzare che il passaggio attraverso l’alterita` radicale rappresentata dall’essere posseduta si intersechi con quella definita dalla coppia oppositiva maschile/fem24
Cfr. De Certeau 1977 e 1980, e per una lettura femminista del rapporto tra corpo, genere e costituzione del soggetto in generale, vedi ad esempio Butler 1996. 25 Tralasciando di considerare che anche il diavolo, per quanto entita` spirituale disincarnata, e` rappresentato con attributi maschili oltre che animaleschi.
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minile in modi che rimandano, oltre che alla fisiologia e alla psicolo` gia della donna, alla costruzione culturale dell’identita` femminile. E l’immagine della «cattiva cristiana» a fare da sfondo al processo di indemoniamento ed esorcistico. Lo scopo dell’esorcismo, la liberazione dal diavolo, si esprime concretamente nella restituzione del soggetto ad una vita normale che prima era impedita dalla presenza malefica o non corrispondeva al modello proposto dalla religione cattolica. La liberazione puo` dunque avvenire, in parallelo al rito, attraverso un riapprendimento dei principi fondamentali del cristianesimo, con un preliminare riaccostarsi alla preghiera e alla liturgia; e si e` visto come alle donne, anche nei momenti informali dello stesso rito, si proponga un modello tradizionale di femminilita` a cui ` cioe` in gioco la aderire come parte del processo di liberazione. E ridefinizione di un’identita` cristiana che comporta la conformita` a ruoli e condotte ammesse dalla religione cattolica e che la posseduta aveva in qualche modo sovvertito o non del tutto rispettato. Dietro una generica identita` cristiana troviamo dunque un modello dell’identita` femminile che rinvia, per usare le parole di Charuty, a «un insieme di rappresentazioni cristiane della differenza tra i sessi, che colloca sempre l’irruzione della femminilita` sotto il segno di una minaccia dell’identita` religiosa». Tali rappresentazioni non costituiscono «una sopravvivenza “pagana”» ma sono essenziali al «pensiero cristiano che assegna sempre alla femminilita` una posizione di irriducibile alterita` e che ha fornito alla Chiesa, come alla medicina antica o moderna, logiche simboliche molto potenti» (Charuty 1997: 92). Un momento storicamente importante per l’individuazione dei modi nei quali il pensiero cristiano ha messo in atto tali logiche simboliche riguarda proprio la pratica esorcistica ed e` stato esaminato da Lyndal (1994). Il suo studio, pur occupandosi piu` direttamente della stregoneria, rileva l’importanza del corpo, dei meccanismi inconsci e la loro relazione con la differenza sessuale anche nell’esorcismo cattolico e protestante. L’approccio di Lyndal, al di la` dell’utilizzo di riferimenti psicoanalitici, nell’analisi dei documenti storici mette in luce come si possa parlare di una vera e propria «teologia del corpo» che si costituisce nel dibattito sull’esorcismo nella seconda meta` del XVI secolo, periodo in cui la pratica esorcistica prende in Europa nuovo vigore ed e` usata dai cattolici nella contrapposizione ai protestanti26. L’esorcismo, sottolinea Lyndal, col 26
Cfr. Walker 1984; Bourneville 1886; Debongnie 1954; Mandrou 1979.
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suo carattere fisico (contatto fisico dei partecipanti, esperienza somatica dei disturbi appartenenti ad un ambito religioso...) implica il problema del rapporto tra anima e corpo (Lyndal 1994: 24 sg.; 171-179). Se da una parte, quindi, tale analisi conforta, da una prospettiva storica, quanto messo in rilievo dalla ricerca etnografica, cioe` la centralita` persistente della relazione tra anima e corpo in una pratica simbolica che concorre alla costituzione della persona cristiana, dall’altra parte il riferimento di Lyndal al corpo sessuato nell’esorcismo converge con la tesi che in questo rito sia in gioco la ridefinizione dell’identita` femminile secondo la concezione cristiana27. Dopo aver rilevato l’importanza della «logica sessuale» nell’esorcismo (elettivita` femminile alla possessione collegata all’aspetto subordinato della natura femminile, differenziazione sessuale degli attori e dei ruoli rituali), Lyndal osserva infatti che e` innanzitutto la rottura del normale comportamento femminile che attesta la presenza diabolica, per i luterani come per i cattolici; la possessione sarebbe dunque una sorta di caricatura ipermascolina e la riuscita dell’esorcismo si realizzerebbe quando la posseduta assume di nuovo la sua «persona» femminile, dopo aver eliminato le parti mascoline. «L’esorcismo necessita dell’espulsione del maschile e della riassunzione di una non frammentaria identita` sessuale convenzionale» (Lyndal 1994: 188-191). A meno che non si vogliano considerare come necessariamente «maschili» tutti gli aspetti presentati dalla posseduta che non corrispondono al modello cristiano di femminilita`, l’interpretazione di Lyndal non trova pero` nell’etnografia una chiara rispondenza quanto all’«espulsione del maschile» e si inscrive in un quadro concettuale dagli evidenti riferimenti psicoanalitici estranei all’approccio qui adottato. In un’altra prospettiva, e` invece interessante osservare che la specificita` femminile relativa alla possessione rimanda anche all’analisi dei rapporti e delle trasformazioni tra figure e mali tipicamente femminili in un arco temporale di lunga durata: possessione, mal di madre ed isteria. L’interpretazione della possessione in termini di isteria e` stata la
27 Per un’altra prospettiva e analisi storica del rapporto tra esorcismo, pratica della confessione e sessualita` femminile nel caso dell’Italia della Controriforma vedi Romeo 1998.
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piu` comune per i casi di indemoniamento diabolico almeno a partire dalla fine del XIX secolo ed e` anche la piu` frequente sul piano trans-culturale (Talamonti 1994); nell’ottica psico-patologica si spiegherebbe dunque la prevalenza femminile tra le persone possedute con il ricorso ad una categoria che storicamente si collega alle funzioni riproduttive e agli organi genitali femminili (Swain 1983). L’approccio antropologico di Charuty all’essere isterica, che collega l’uso odierno del termine isterica a quello del passato nella medicina antica e popolare, in una ricostruzione delle reti semantiche, mostra pero` l’importanza di un elemento, la mobilita` della matrice, che definisce la malattia isterica (mal di madre, mal de me`re, etc, secondo le varie denominazioni locali) e indica ulteriori prospettive d’analisi. Le tecniche terapeutiche, pur nella loro diversita`, «costituiscono una “manipolazione” dell’organo spostato, destinata a restaurare l’ordine interno del corpo». Attraverso l’analisi della metafora della mobilita`, che appare come caratteristica delle cure del mal de me`re, Charuty la individua come una «proprieta` generale dell’interiorita` corporea e del suo vissuto» nella fisiologia popolare, mentre fu un prodotto della razionalizzazione del sapere e delle pratiche empiriche da parte della medicina dal XVI al XVIII secolo l’attribuzione della mobilita` alla sola matrice28. «La stessa metafora della mobilita` serve, in effetti, a pensare la malattia sia nella sua dimensione organica – la mobilita` della matrice – [...] sia nella sua dimensione psichica – la mobilita` di spirito – che s’esprime ella stessa tramite uno spostamento fisico, uno “spostamento” morale ed uno “spostamento” sociale». La malattia isterica, coerentemente rappresentata a livello tradizionale, «si riferisce dunque ad una tripla definizione della femminilita`: morfologica, psichica e sociale»29. Condotte trasgressive come sessualita` eccessiva, sempre associata al rifiuto di adempiere ai lavori domestici riservati al sesso femminile, confusione di eta` e di ruoli – che si esprime, per esempio, col rifiuto della maternita` da parte di chi e` incinta o in gravidanze immaginarie per chi sta per perdere la fecondita` – sono i modi in cui si esprime la crisi del rifiuto dell’iden-
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Con verbi ed espressioni di movimento si esprimono anche mali dello spirito; la natura psichica del mal de me`re e` riconosciuta a livello popolare allorche´ si mettono in relazione matrice e sua localizzazione con un’emozione incontrollata, uno stato d’animo particolare (Charuty 1987b: 50-52). 29 Charuty 1987b: 54-55. L’autrice analizza infine i sintomi e le cure dell’isteria maschile a livello popolare, per una conferma ed un maggior chiarimento dell’interpretazione dell’isteria femminile come difetto di femminilita`, mancanza che, in parte, virilizza.
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tita` sessuale. Nell’isteria, mal d’amour, alcune donne «affermano la loro femminilita` nel costante spostamento dei riferimenti simbolici che servono alla sua costruzione sociale» (Charuty 1987b: 65). A partire da tale analisi e` possibile intravedere la presenza di alcune analogie tra le «isteriche» descritte da Charuty e le donne che si sottopongono all’esorcismo. Sembra cioe` che qualche elemento della concezione tradizionale dell’isteria si ritrovi nelle esorcizzate da me osservate e nelle tecniche esorcistiche del sacerdote. I sintomi piu` frequenti accusati dalle persone che richiedono un esorcismo sono mal di stomaco – in particolare la zona chiamata bocca o collo dello stomaco, sotto lo sterno, che e` direttamente chiamata in causa nel corrispettivo siciliano del mal de me`re, la matrazza – mal di pancia, a volte mal di testa, oppure malesseri non ben localizzati. In genere pero` tali mali del corpo sono accompagnati da malesseri di tipo piu` propriamente psichico come inquietudine, aggressivita` ingiustificata verso familiari ed amici, cambiamenti improvvisi d’umore, nervosismo, depressione o disperazione. Si ritrovano dunque molti dei sintomi menzionati da Charuty ed anche il carattere «flou» che accompagna tutti gli spostamenti degli organi malati (Charuty 1987b: 52). Rispetto allo spostamento e alla mobilita`, proprieta` specifica del mal de me`re, si possono rilevare nelle esorcizzate almeno tre elementi che suggeriscono una somiglianza, oltre alla mobilita` dell’umore. A parte dovrebbe essere considerata la «mobilita`» per eccellenza che caratterizza la figura della posseduta, cioe` l’agitazione della crisi di possessione30. Innanzitutto la fluttuazione del male nelle varie parti del corpo e la mobilita` corporea come effetto di una mobilita` interna che segue spesso una direzione ascensionale (dal ventre al capo). Cio` presenta una singolare somiglianza con le parole, raccolte da Guggino, di una donna siciliana che soffre di matrazza: «Quando la madre sale fino alla testa c’e` da impazzire» (Guggino 1985: 58; cfr. Guggino 1986). Inoltre l’erutto, altro indicatore di mobilita` interna; esso e` anche un segnale vistoso della matrazza (Guggino 1985: 58; Guggino 1986: 89-90). Suggerisce un’ulteriore analogia con mali 30 Negli esempi etnografici citati nei vari capitoli questo elemento e` solo apparentemente marginale in quanto, se la crisi non e` sempre visibile con chiarezza nelle sue forme parossistiche, cio` e` dovuto alle precauzioni adottate fin dall’inizio dall’esorcista, che non ne permette la completa manifestazione (cfr. ad esempio il caso di Silvio); inoltre, molte delle descrizioni riportate si riferiscono a casi sottoposti da tempo al trattamento rituale, in cui il comportamento diabolico e` per buona parte gia` addomesticato.
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tipicamente femminili e in particolare legati agli organi di riproduzione il fatto che l’esorcista riporti di aver spesso esorcizzato donne che presentavano cisti alle ovaie, scomparse insieme ai dolori dopo l’esorcismo31. Riguardo le tecniche esorcistiche impiegate da don Amorth, sembra possibile rintracciare almeno un elemento che rimanda alle tecniche terapeutiche tradizionali per la cura del mal de me`re: la manipolazione di pancia e/o stomaco, cui l’esorcista spesso ricorre32. Inoltre, se si intendono come manipolative dell’organo spostato – secondo Charuty – tutte le tecniche «destinate a restaurare l’ordine interno del corpo», ricorrano esse alla magia della parola, degli odori o degli oggetti, molti altri elementi del rito si potrebbero inscrivere tra tali tecniche. Cio` che comunque ripropone con forza di considerare la possibilita` di un rapporto tra l’essere indemoniata e l’essere isterica (soffrire di mal di matrice) come analizzato da Charuty, e` il riferimento dell’esorcista alla bocca dello stomaco. Come sostiene Guggino per la matrazza, «la sede privilegiata della sintomatologia in ambito popolare e`, non casualmente, la “bocca dello stomaco” ovvero “bocca dell’anima”, quel nodo vitale in cui soma e psiche si incontrano tant’e` che le due espressioni vengono usate indifferentemente per indicare una stessa parte del corpo». La «bocca dello stomaco» si configura come «soglia di guardia fra basso e alto [...], ma anche punto di convergenza e di sintesi di cio` che si muove dentro lo stomaco, dunque dei rapporti fra corpo individuale e corpo sociale, fra interno ed esterno»33. Se consideriamo che questa zona del corpo e` per l’esorcista una delle parti spesso colpite dal demonio e, di conseguenza, quella dove si esercita principalmente la sua pressione manuale, e` possibile ipotizzare che della rappresentazione dell’indemoniamento facciano parte anche tratti originariamente estranei all’elaborazione dotta demonologica e dotati, in passato o ancora oggi in certe zone, di una propria autonomia e coerenza.
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Amorth 1991: 70. In alcuni racconti di esorcizzate sembra possibile rintracciare anche quei comportamenti «trasgressivi» del ruolo femminile, a volte vissuti in modo conflittuale e indicati come sintomi inspiegabili – insieme ad altri – dello stato di malessere, che Charuty trova nelle donne ritenute isteriche. 32 Ovviamente non si tratta degli stessi tipi di manipolazione delle procedure popolari; bisogna almeno sottolineare una differenza evidente: credendo in un’origine diabolica del male o nella presenza del demonio stesso nel corpo dell’indemoniata, si giustifica l’impiego della forza e di una certa violenza, che non compaiono nelle cure tradizionali del mal di matrice. 33 Guggino 1986: 80, 89. L’autrice usa il termine stomaco o grande stomaco nel senso di corporeita` (p. 86).
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Nella fenomenologia dell’indemoniamento confluiscono forse sintomi complessi che rimandano ad una concezione popolare tradizionale della malattia/malessere femminile. Anche nella cura esorcistica si intravedono elementi che assimilano qualcosa delle tecniche tradizionali piu` che di quelle terapeutiche della medicina ufficiale. Mi sembra possibile, quindi, proporre in via ipotetica che l’indemoniata di oggi sia anche il risultato storico della sovrapposizione e del sincretismo di letture diverse dello stesso male34. Queste osservazioni richiederebbero di essere sviluppate in un apposito lavoro volto a cogliere alcuni elementi di quella che Bourdieu ha chiamato la «costruzione sociale dei corpi», secondo un approccio storico e antropologico (Bourdieu 1998). Una conclusione provvisoria e aperta puo` fare riferimento proprio all’analisi della «dominazione maschile» fatta dal sociologo e antropologo francese, particolarmente attento, tra l’altro, al ruolo delle pratiche rituali nella produzione sociale delle differenze tra i sessi35. Innanzitutto Bourdieu dimostra come il lavoro di costruzione simbolica della differenza sessuale e della dominazione maschile si compie non solo a livello di rappresentazioni, ma soprattutto in una «trasformazione profonda e duratura dei corpi», in una vera e propria «incorporazione della dominazione». L’apparente oggettivita` del maschile e del femminile e la naturalizzazione della differenza sono l’esito «di una somatizzazione dei rapporti sociali di dominazione» (Bourdieu 1998: 28-29). In questo quadro assume particolare valore l’esercizio della «forza simbolica» che, nella definizione di Bourdieu, serve a superare «l’alternativa della costrizione (da parte di forze) e del consenso (a delle ragioni), della coercizione meccanica e della sottomissione volontaria, libera, deliberata, o addirittura calcolata» nell’analisi della dominazione di un sesso sull’altro: «la forza simbolica e` una forma di potere che si esercita sui corpi, direttamente, e come per magia, al di fuori di qualsiasi costrizione fisica; ma questa magia opera solo sostenendosi su delle disposizioni depositate, come delle molle, nel piu` profondo dei corpi». Essa e` cioe` resa possibile dal preliminare lavoro che opera la trasformazione dei corpi e produce le disposizioni permanenti che essa mette in moto, attraverso un’opera di familiarizzazione, per lo piu` insensibile, con un «mondo fisico simbolicamente 34
Per un’analisi della trasformazione della rappresentazione dell’isteria alla fine del XIX sec., cfr. Gallini 1983: 271 sgg. e Swain 1983. 35 Uno studio fondamentale in tal senso, relativo a una comunita` contadina francese, resta quello di Verdier 1979.
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strutturato ed un’esperienza precoce e prolungata d’interazioni abi` alla tate dalle strutture di dominazione» (Bourdieu 1998: 43-44). E luce di questa tesi che si comprende meglio – su un piano generale – la sottomissione con cui le possedute si sottopongono alla violenza, simbolica piu` che fisica, del rito esorcistico. Mentre l’analisi di Foucault del gioco di consenso e resistenza della posseduta ha permesso di cogliere una modalita` specifica dell’incorporazione dell’alterita` diabolica, quella di Bourdieu aiuta a collocare il lavoro rituale esorcistico nell’ambito di quelle pratiche, in questo caso religiose, che partecipano alla riproduzione sociale della differenza dei sessi e la cui efficacia simbolica si fonda sulla preliminare socializzazione religiosa che ha prodotto disposizioni profondamente inscritte nel corpo36. La Chiesa, infatti, e` una delle istanze – insieme alla famiglia e alla scuola – che hanno avuto e hanno un ruolo fondamentale «nella riproduzione della dominazione e della visione maschile» agendo sulle «strutture inconsce». [Essa] animata dall’antifemminismo profondo di un clero pronto a condannare tutte le mancanze femminili nei confronti della decenza [...] e riproduttore titolato di una visione pessimista delle donne e della femminilita`, inculca (o inculcava) esplicitamente una morale familiarista, interamente dominata dai valori patriarcali, in particolare con il dogma dell’inferiorita` innata delle donne. Essa agisce inoltre, in maniera piu` indiretta, sulle strutture storiche dell’inconscio, segnatamente attraverso il simbolismo dei testi sacri, della liturgia e anche dello spazio e del tempo religiosi (Bourdieu 1998: 92-93).
Sia i corpi osservati in azione che le storie delle donne esorcizzate parlano, per lo piu` in modo allusivo, proprio di questioni legate alla femminilita` e il caso di Sara e` ancora una volta emblematico. Il suo abbigliamento a volte molto attillato, «provocante», che segnala un atteggiamento di tipo seduttivo; i movimenti sussultori del bacino, e tutta l’interazione rituale con il principale attore maschile, il sacerdote, da cui si lascia manipolare con docilita` nonostante i tentativi di resistenza; l’iniziale difficile accettazione delle restrizioni e delle incombenze relative al ruolo di moglie e madre; il comportamento «trasgressivo» caratterizzato dalla voglia di divertirsi, letta come condotta sospetta; il rifiuto – in alcuni periodi – del marito e della
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I lavori di Foucault e Bourdieu sono alla base anche delle teorie dell’embodiment, in particolare di quella fenomenologica di Csordas (1990; 1994a; 1994b).
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famiglia; il tentativo di relazione extraconiugale interrotta sul nascere, proprio all’inizio del trattamento esorcistico, sono tutti elementi che rimandano ad un modo conflittuale di vivere la propria femminilita`. Nel suo essere, per alcuni versi, «estrema», la storia di Sara permette di cogliere una questione centrale nella comprensione di possessione ed esorcismo: mentre la prima puo` essere considerata la manifestazione somatica, oltre che psicologica, di un malessere legato alla definizione di se´ come essere sessuato che trova nella stereotipia del comportamento diabolico un modello d’espressione in termini religiosi, l’addomesticamento, tramite il rito, della condotta corporea prelude o si accompagna al ridefinirsi del ruolo femminile secondo quanto la visione cattolica ritiene legittimo. L’unita` della persona cristiana, minacciata nella possessione dall’agente separatore malefico, che tramite il rito esorcistico si intende ricostituire, appare dunque non un elemento neutro ma fortemente segnato dalle rappresentazioni cristiane della differenza tra i sessi.
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