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Italian Pages 423 [424] [424] Year 1993
Il cristianesimo non nasce come religione del libro, ma dell'incontro con il Cristo vivente. Per quanto Gesù abbia utilizzato e citato nella predicazione le Scrit ture del giudaismo (probabilmente meno di quanto appaia dalla tra dizione) , il suo messaggio tuttavia scardinava il quadro entro cui erano lette all'epoca, introducendovi la figura di Gesù stesso quale portatore del perdono ultimo di Dio. I saggi raccolti nel volume raccolgono i risultati di recenti ricerche sulla funzione che assunsero le Scritture nella vita delle comunità cristiane dei primi due secoli e nella redazione degli scritti neotesta mentari. Alcuni cardini della questione sono noti. Nessuno dei testi entrati nel Nuovo Testamento fu composto con la consapevole pre tesa di essere divinamente ispirato, tranne l'Apocalisse di Giovanni (1.1; 22,6.18-19). Il canone del Nuovo Testamento si forma lungo un processo di fondamentale importanza che può essere colto sola mente ponendosi nel punto prospettico in cui operavano i cristiani del tempo. Ma se la canonicità è importante per comprendere la ri cezione di un testo divenuto normativa, lascia in ombra le opere che a tale livello non sono giunte. Questo volume perciò intende seguire l'uso delle Scritture nel cristianesimo antico con il presupposto che al riguardo non si debbano distinguere gli scritti divenuti canonici dagli altri. Di fronte alla fioritura di nuove scritture, di interpretazioni, di ab bozzi di canoni, con il relativo séguito di conflitti, la grande chiesa cristiana trovò intorno al II secolo la chiave per definire il proprio canone. La via già indicata da Paolo si rivelò risolutiva: lo Spirito presente nella comunità cristiana consentiva una nuova lettura della Legge a partire da un criterio nuovo, il suo orientamento a Cristo. La Bibbia ebraica veniva così salvaguardata anche se in un sistema che ne cambiava il senso. Cristo convalidava la tradizione d'Israele: gli scritti cristiani più antichi incorporarono nei fatti e nel racconto questa riflessione retrospettiva sull'Antico Testamento. Il volume si conclude con un saggio su Origene. La sua figura gigan teggia nella storia dell'esegesi biblica: alla teoria origeniana dell'in terpretazione ( tripartita in letterale/corporea, morale/psichica, alle gorica/spirituale ) tutta l'antichità e il medioevo debbono qualcosa.
ISBN 88-10-40258-8
L. 52.000 (IVA compresa)
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78881 o 402580
collana LA BIBBIA NELLA STORIA diretta da Giuseppe Barbaglio
La collana si caratterizza per una lettura rigorosamente storica delle Scritture sacre , ebraiche e cristiane. A questo scopo , i libri biblici, oltre che come documenti di fede , saranno presentati come espressione di determina ti ambienti storico-culturali , punti di arrivo di un lungo cammino di espe rienze significative e di vive tradizioni , testi incessantemente riletti e re interpretati da ebrei e da cristiani. Si presuppone che la religione biblica sia essenzialmente legata a una storia e che i suoi libri sacri ne siano, per definizione , le testimonianze scrit te . Più da vicino, ci sembra fecondo criterio interpretativo la comprensione, criticamente vagliata, della Bibbia intesa come frutto della storia di Israele e delle primissime comunità cristiane suscitate dalla fede in Gesù di Nazaret e, insieme , parola sempre di nuovo ascoltata e proclamata dalle generazioni cristiane ed ebraiche dei secoli post-biblici. Il direttore della collana, i collaboratori e la casa editrice si assumono il preciso impegno di offrire volumi capaci di abbinare alla serietà scientifica un dettato piano e accessibile a un vasto pubblico. Questi i titoli programmati: 1 . L'ambiente storico-culturale delle Scritture ebraiche (A. Bonora) 2. Da Mosè a Esdra. I libri storici dell'antico Israele (E. Cortese : 1985) 3 . I profeti d'Israele: voce del Dio vivente (G. Savoca: 1985) 4. I sapienti di Israele (G. Ravasi) 5. I canti di Israele. Preghiera e vita di un popolo (G. Ravasi: 1986) 6. La letteratura intertestamentaria (M. Cimosa: 1992) 7. L 'ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata (R. Penna: 31991) 8. Le prime comunità cristiane (V. Fusco) 9. La teologia di Paolo (G. Barbaglio) 10. Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari (G. Segalla: 1993) 11. Gesù di Nazaret (G. Barbaglio) 12. Gli scritti della tradizione paolina (R. Fabris) 13. Omelie e catechesi cristiane nel I secolo (G. Manconi) 14. L 'apocalittica cristiana del I secolo (U. Vanni) 15. La Bibbia nell'antichità cristiana (a cura di E. Norelli) l. Da Gesù a Origene (1993) II. Dagli scolari di Origene al V secolo 16. La Bibbia nel Medioevo (a cura di G. Cremascoli - C. Leonardi) 17. La Bibbia nell'epoca moderna e contemporanea (a cura di R. Fabris: 1992) 18. La lettura ebraica delle Scritture (S.J. Sierra)
LA BffiBIA NELL'ANTICIDTÀ CRISTIANA l. Da Gesù a Origene
a cura di ENRICO NORELLI
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
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1993 Centro Editoriale Dehoniano Via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
ISBN 88-10-40258-8 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 1993
Abbreviazioni
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BZNW CB . NT CBFV CBQ CChrG CChrL CNT CPS CSCL CSEL CTG CTP CwH DBS DPAC EHPhR EKK EncCatt EstT ET EtB EThL EThSt EvTh FNT FRLANT FzB FZPhTh GCS GLNT HThR In t JBL JETS JSJ JSNT JSNT.SS 6
Beihefte zur Zeitschrift ftir die neutestamentliche Wissenschaft Coniectanea biblica, New Testament series Cahiers bibliques de Foi et vie Catholic biblical quarterly Corpus christianorum. Series graeca Corpus christianorum. Series latina Coniectanea neotestamentica Corona patrum salesiana Corpus scriptorum christianorum latinorum Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum Clavis patrum graecorum Collana di testi patristici Calwer Hefte zur Forderung biblischen Glaubens und christlichen Lebens Dictionnaire de la Bible. Supplément Dizionario patristico e di antichità cristiane Études d 'histoire et de philosophie religieuses Evangelisch-katholischer Kommentar zum NT Enciclopedia cattolica Estudios ecclesiasticos Expository times Études bibliques Ephemerides theologicae lovanienses Erfurter theologische Studien Evangelische Theologie Filologia neotestamentica Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments Forschung zur Bibel Freiburger Zeitschrift fiir Philosophie und Theologie Die griechischen christlichen Schriftsteller Grande lessico del Nuovo Testamento Harvard theological review Interpretation Journal of biblical literature Journal of the evangelical theological society Journal of the study of judaism in the persian, helleni• stic and roman period Journal for the study of the New Testament JSNT. Supplement series
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Introduzione La Bibbia come problema alle origini del cristianesimo Enrico Norelli
Che la storia dell'esegesi biblica non sia un esercizio erudito, è oggi un'acquisizione consolidata. Benché il cristianesimo alle origini non fosse (lo ripeteremo ancora) una religione del libro, ma dell'in contro con Gesù vivente, nell'esperienza dello Spirito, la compren sione del senso di tale incontro , e delle conseguenze che ne deriva vano , aveva come punto di riferimento essenziale le Scritture d'I sraele. Motivi diversi condussero poi alla costituzione di un canone in cui le Scritture ebraiche si affiancavano a scrittì cristiani che dove vano trasmettere il messaggio di Gesù e definire lo spazio e i criteri della vita di fede dei credenti nelle comunità cristiane. Queste ulti me hanno dunque continuato a vivere e a pensare la propria fede in riferimento a quel corpus di Scritture sacre , che ha fornito di volta in volta categorie ai teologi , materiale per la liturgia, precetti e para digmi etici, impulso ai santi , ispirazione agli artisti , ma anche pezze d'appoggio a ogni genere di politiche ecclesiastiche . Gerhard Ebe ling, in un saggio celebre e suggestivo , ha potuto descrivere la storia delle chiesa come storia dell'interpretazione della Scrittura. 1 In generale , la linguistica testuale ha affinato l'analisi del testo come componente linguistica di un processo di comunicazione , ciò che obbliga a tener conto dell'universo di rappresentazioni disponi bile al fruitore di un testo come di una delle condizioni della costitu zione del senso ; d'altronde, la teoria letteraria ha rivolto sempre più la sua attenzione al ruolo del lettore come interprete . 2 Accogliendo 1 G. EBEUNG, «Kirchengeschichte als Geschichte der Auslegung der Heiligen Schrift», in Io., Wort Gottes un d Tradition , Gottingen 21966, 9-27 . Conviene distingue re storia dell'interpretazione , che s'interessa ai commenti e agli scritti teologici sopra un testo della Scrittura; e storia della ricezione, che s'interessa più in generale alla presenza e all'influsso dei testi biblici , per esempio nella predicazione , nell'arte, ecc. La prima è parte della seconda. La presente opera intende abbracciare , sia pure in maniera non com �leta , il campo più largo ; ciò apparirà peraltro soprattutto nel secondo volume. La letteratura è molto vasta. Rinviamo , per la linguistica testuale , a R.A. DE BEAUGRANDE - W. DRESSLER, Introduzione alla linguistica testuale, tr. it. Bologna 1984; per un orientamento, con bibliografia, sull'estetica della ricezione, a Y. CHE-
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queste istanze, l'esegesi biblica si è interessata in misura crescente alla ricezione dei testi , anche se, per il momento , i metodi sono in discussione e lo studio della ricezione si concreta spesso in un' ap pendice all'esegesi propriamente detta, come mostra per esempio il caso del pur eccellente Evangelisch-katholischer Kommentar zum Neuen Testament (Ziirich-Neukirchen-Vluyn) .3 Del resto, la storia stessa della formazione della Bibbia, dei sin goli testi e delle raccolte canoniche , è una storia di ricezione e di ela borazione di tradizioni e di testi scritti. Non solo non è più possibile studiare ciascuno degli scritti biblici indipendentemente dal contesto di comunicazione in cui esso è nato ; ma nemmeno si può studiarlo come un solo evento di comunicazione , perché la forma cristallizza ta nel canone è il risultato di un processo in cui differenti forme te stuali sono state elaborate , le une a partire dalle altre , per servire in differenti situazioni di comunicazione . Questa prospettiva diacroni ca consente di problematizzare il testo biblico : ciò che noi troviamo nelle migliori edizioni critiche correnti dell'Antico e del Nuovo Te stamento è una forma del testo, quella che , nel corso della trasmis sione , ha finito con l'imporsi. Senza dubbio è decisivo partire da questa forma; e tuttavia certe varianti importanti sono lì a ricordarci che essa stessa è piuttosto una convenzione che un'entità che abbia traversato, tranquilla e immutabile , la storia del cristianesimo.4 Il VREL, «Les études de réception», in Précis de littérature comparée, diretto da P. BRu NEL- Y. CHEVREL Paris 1989, 177-214. Si veda anche U . Eco, Lector in fabula, Mila no 1979. 3 Si possono vedere le riflessioni di U. Luz nel primo volume del medesimo commento : Das Evangelium nach Matthiius, l. Teilband: Mt 1-7, 21989, 78-82. Sulla ricezione cf. inoltre il c. 9 di K. BERGER, Exegese des Neuen Testaments. Neue Wege vom Text zur A uslegung, Heidelberg 31991. 4 Basterà richiamare l'esempio classico della pericope dell'adultera (Gv 7,538 , 1 1 ) . La tradizione manoscritta dimostra che essa non apparteneva in origine al van gelo di Giovanni, al quale fu aggiunta probabilmente nel II secolo. Mentre nell'edi zione critica di NESTLE (- ALANo) , fino alla venticinquesima, essa era relegata in ap parato, nel «testo standard>> della ventiseiesima edizione figura nel testo , tra doppia parentesi quadra , per segnalare che si tratta di una pericope certo non appartenente al testo originario, ma che non la si è relegata in apparato «a causa della sua età molto antica, della sua tradizione e della sua dignità» (p. 7• dell'Introduzione) . Ma in altre edizioni la pericope ha subìto diversa sorte: in quella di WEsrcorr - HoRT (1881 ) , per esempio, si trova alla fine di Gv, dove la situano numerosi manoscritti . Analogo è il caso della finale lunga di Mc (16,9-20) , anch'essa in doppie parentesi quadre presso NESTLE - ALAND26: sicuramente è un'aggiunta posteriore alla più antica forma del te sto trasmessa nei manoscritti . Diverso , ma pure istruttivo per le nostre riflessioni , il caso di Gv 21: il capitolo non manca in alcun manoscritto (non potrebbe dunque , per esempio, essere messo tra doppie parentesi quadre) , ma la critica letteraria assicura che si tratta di un'aggiunta posteriore al Vangelo . Nei primi due casi citati , lo svilup po testuale si situa dunque all'interno della tradizione manoscritta disponibile, nel
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valore permanente del metodo storico-éritico, spesso accusato di to gliere l'anima al testo quando lo seziona alla ricerca delle fonti e de gli stadi di composizione, sta nella possibilità, che esso fornisce, d'integrare il testo in una storia di uomini, della quale anche noi sia mo parte. Ora, questa storia non si è arrestata al momento in cui la costituzione di un canone ha «bloccato» la forma linguistica del te sto: quest'ultimo ha continuato a funzionare in processi di comuni cazione. E anche se le parole non ne fossero state più cambiate (il che è tutto da verificare, e in certi casi precisam(fnte non è vero : si veda per esempio, in questo volume, il capitolo sui testimonia bibli ci) , il modo in cui le citazioni sono state di volta in volta ritagliate, combinate e accostate tra loro , o la maniera in cui per esempio si fa allusione contemporaneamente a due o anche più passi biblici che in una certa tradizione «viaggiano» insieme , tutto questo rende attenti al fatto che il testo biblico ha continuato a vivere. Si comprende dunque che l'opera La Bibbia nella storia , dedicata al «farsi» dei te sti biblici nella loro dinamica storica, si concluda con dei volumi con sacrati all'uso dei testi già divenuti Scrittura sacra, nella tradizione cristiana e in quella ebraica. 5 Il presente volume non è una storia dell'uso delle Scritture solo presso ì «Padri», cioè presso gli autori cristiani che non appartengoterzo , invece , anteriormente ad essa , ed è sicuramente più antico . Ma in tutti e tre gli esempi è legittima la domanda: qual è il testo «originale» del Vangelo? La risposta di pende dal senso che diamo al termine «originale»: la stesura più antica? la forma più antica trasmessa nei manoscritti? la forma divenuta canonica? In ogni caso , possiamo toccare con mano il divenire dei testi biblici , e la difficoltà di «fissare» uno stato del testo. Si aggiunga però che questo non significa l'anarchia: in realtà, come mostra la storia delle edizioni moderne del Nuovo Testamento, il numero delle varianti signifi cative è limitato, il testo è abbastanza «sicuro» . Cf. K. ALANO - B. ALANO , Il testo del Nuovo Testamento , tr. it. , Genova 1987 , 30-38. 5 L'interesse per la storia dell'esegesi è in crescita. Trascurando studi , spesso ec cellenti , dedicati alla storia dell'esegesi di singoli libri o parti di libri biblici , ricordia mo qui solo alcune iniziative di ampio respiro . Naturalmente la Cambridge History of the Bible, 3 voli. , Cambridge 1963-1970; più di recente , la Bible de tous /es temps, Pa ris, Beauchesne , i cui primi volumi riguardano il cristianesimo antico: Le monde grec ancien et la Bible, a cura di CL. MoNOÉSERT, 1984; Le monde latin antique et la Bible, a cura di J. FONTAINE e CH . PIÉTRI , 1985 ; S. Augustin et la Bible, a cura di A.-M. LA BoNNARDIÈRE, 1986. In italiano , la densa trattazione di M. SIMONETTI , Lettera e/o alle goria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica , Roma 1985 . Un consorzio di università italiane (Torino, Bologna, Firenze, Roma, Bari , Catania) organizza dal 1983 convegni annuali di storia dell'esegesi, i cui atti vedono la .luce dal 1984 negli An nali di storia dell'esegesi, Bologna (dal 1990 si hanno ogni anno due convegni e due volumi, dedicati rispettivamente all'esegesi giudaica e cristiana antica e medievale , e a quella moderna e contemporanea) . Dal 1990 vi si pubblica una «Bibliografia di sto ria dell'esegesi» , a cura di P . C. BoRI - L. PERRONE - M. PESCE.
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no al Nuovo Testamento . Gli scritti confluiti in quest'ultimo rappre sentano anzi una parte rilevante della materia di questo volume, ben al di là di un capitolo preliminare . Abbiamo qui cercato d'illustrare l'uso delle Scritture nel cristianesimo antico, fondandoci sul presup posto che , al riguardo, non si debbano distinguere gli scritti divenuti canonici dagli altri.6 Nessuno dei testi entrati nel Nuovo Testamento fu composto con la pretesa che fosse divinamente ispirato, tranne l'Apocalisse di Giovanni ( 1 , 1 ; 22,6. 18-19) - la quale , paradossal mente, restò a lungo, fino al IV secolo, ai margini del canone in Oriente. Il canone del Nuovo Testamento è il punto di arrivo di un processo di fondamentale importanza, anche se a tutt'oggi non defi nitivamente chiarito. Ci si precluderebbe qualunque comprensione storica del cristianesimo ignorando tale processo e il suo risultato , cioè che da un certo periodo in avanti - in pratica la fine del II seco lo, anche se il termine «canone» sarà applicato alla raccolta solo nel IV - un insieme ben determinato di scritti fu considerato come un corpus di Scritture sacre. Ma, appunto , la canonicità di uno scritto diviene un fattore rilevante per l'interazione tra tale scritto e la tra dizione in cui è portato, solo a partire dal tempo in cui il canone è ri conosciuto come tale. La canonicità è determinante per comprende re la ricezione, in quanto tale testo , divenuto Scrittura, esercita un influsso normativo sulla comunità che lo riconosce come tale, sulla sua attività e sulla sua produzione teologica e letteraria. Viceversa , lo studio del testo in quanto tale, della sua formazione, delle sue in tenzioni e della sua funzione , non terrà conto della sua canonizza zione , in quanto questa non è iscritta, neppure implicitamente, nelle origini del testo stesso, ma lo raggiunge, per così dire , durante la sua ricezione e trasmissione , certo imprimendovi un'impronta particola re, la quale tuttavia non cambia la fondamentale indipendenza del testo rispetto alla sua qualità canonica. È chiaro che tale posizione implica delle scelte. In particolare , essa si distingue dall'approccio della cosiddetta «critica canonica», difesa in particolare da Brevard S. Childs/ e secondo la quale lo stu dio dei libri appartenenti al Nuovo Testamento deve farsi a partire dalla loro «forma canonica» . Questa non è solo la forma definitiva 6 Il noi di questo capitolo introduttivo è retorico: esso riflette l'opinione del cu ratore del volume , che non è stata previamente discussa con gli altri collaboratori anche se, evidentemente, non si esclude affatto l'eventuale accordo di questi ultimi . 1 B . S. CHILDS, lntroduction to the Old Testament as Scripture, London 1979 ; Io . , The New Testament as Canon. An Introduction, London 1984.
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che essi hanno raggiunto nel canone, ma è tale forma in quanto ri sultato di un processo inerente appunto alla loro qualità canonica, nel corso del quale sono stati progressivamente· staccati dalle contin genze in cui furono composti per acquisire una funzione ecclesiale non condizionata dal tempo e dal luogo del loro uso. La reazione contro un metodo storico-critico che privilegia la dissezione del testo è comprensibile, ma non ha affatto bisogno di generare un approccio il quale - come Childs stesso riconosce - non può essere praticato a fondo che dall'interno della comunità di fede, una condizione oggi a nostro parere inammissibile da chiunque vo glia praticare l'indagine storica. L'approccio di Childs presuppone che l'iter che ha condotto i testi ammessi nel canone ad acquisire la loro forma finale sia specifico dei testi canonici , il che non solo non è provato, ma appare contraddetto dai fatti. L'esempio della redazio ne e della raccolta delle lettere paoline, addotto da Childs, si rivolge contro la sua tesi quando ci si renda conto che, come ha sottolineato di recente David Trobisch,8 il processo editoriale cui le lettere furo no sottoposte era consueto per la pubblicazione degli epistolari anti chi. Inoltre, per restare nell'esempio delle lettere paoline, là dove esse furono veramente sottoposte a un processo di redazione in di retto rapporto con la loro funzione canonica , fu nel canone di Mar cione, che probabilmente Childs non si sentirebbe di riconoscere co me il canone della chiesa: ciò dimostra quanto meno che esistevano diverse possibilità alternative di «formare» i testi per includerli in un canone di Scritture . Ancora: altri testi furono sottomessi a elabora zione e trasformazione lungo la storia di comunità credenti , senza per questo divenire canonici: è il caso (per non parlare di testi gno stici) di numerose apocalissi giudaiche , a cominciare dal libro di He noch, di apocalissi cristiane , di scritti normativi (Didaché) , della fonte dei logia di Gesù (Q) . In effetti, sia Marco che Q potevano , al lo stesso titolo, essere soppiantati da Matteo e Luca : se questo av venne in un caso e non nell'altro, è assai dubbio che ciò sia dipeso dall'intrinseca qualità canonica di uno dei due e dall'assenza di tale qualità nell'altro. Ciò che permette di comprendere i testi delle origini cristiane che divennero Scrittura, nonché precisamente le ragioni e la portata della loro inclusione nel canone, è dunque, a nostro parere , pt.:oprio 8 D. TROBISCH , Die Entstehung der Paulusbriefsammlung. Studien fiingen christlicher Publizistik, Freiburg-Gottingen 1989.
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un'indagine che li consideri, all'origine, sullo stesso piano degli altri scritti cristiani. Per questo , nel presente volume le lettere, i vangeli e l'Apocalisse verranno considerati non nel contesto del Nuovo Testa mento, ma ciascuno nel suo contesto storico , nel quale si è re alizzato di volta in volta un uso particolare delle Scritture ebraiche, provoca to da una situazione determinata. Alle origini del cristianesimo sta la figura di Gesù. Per quanto profonda sia stata la trasformazione che ha condotto, dopo la sua morte, dalla predicazione di Gesù alla predicazione su Gesù, e per quanto sia stata proprio questa svolta che ha fondato il cristianesi mo, la critica storica e la ricerca teologica sono oggi concordi nel sot tolineare l'impossibilità di separare il kerygma della chiesa primiti va, annunziante il Signore risorto, dalla vicenda storica di Gesù , an che se il rapporto tra le due entità resta e resterà problematico.9 Il fatto che abbiamo accesso a Gesù solo attraverso il kerygma non si gnifica l'impossibilità di ritrovare , a partire dalle fonti disponibili, la comprensione che Gesù aveva di Dio e della propria missione, la quale ha condizionato la comprensione che le comunità cristiane delle origini hanno avuto di Gesù, come attesta la tradizione delle sue parole. Le Scritture ebraiche , in quanto portatrici del significato attribuito all'esperienza religiosa d'Israele, costituirono un punto di confronto obbligato non solo per la riflessione dei primi cristiani su Gesù , ma già per l'attività e il messaggio di Gesù stesso, benché Ge sù non derivasse la propria autorità dalla Scrittura e certo la citasse molto meno di quanto appare-nei Vangeli. È per questo che il pre-
9 Il grande libro di A. ScHWEITZER, Storia della ricerca sulla vita di Gesù (1913, prima edizione nel 1907 col titolo von Reimarus zu Wrede) , tr. it. , Brescia 1987 , ave va constatato in maniera definitiva il fallimento degli sforzi di scrivere una «vita di Gesù» , ripetuti attraverso tutto il XIX secolo. Accettando la tesi , elaborata da Johan nes Weiss e dallo stesso Schweitzer, secondo cui Gesù aveva predicato l'avvento im minente del regno di Dio nel quadro delle attese apocalittiche del suo tempo (e in ciò si era dunque sbagliato) , Rudolf Bultmann considerò la predicazione di Gesù non co me parte della teologia del Nuovo Testamento , ma come una delle premesse di essa , appartenente ancora interamente al giudaismo; e , fondandosi sul suo importantissi mo studio della tradizione presinottica, identificò praticamente «Gesù» con lo strato più antico raggiungibile di questa tradizione , che è pur sempre postpasquale: si veda l'introduzione al suo Gesù (1925) , tr. it. , Brescia 1972 . Ma è stata la scuola stessa di Bultmann , a cominciare da Ernst Kasemann nel 1953 , a riproporre la ricerca sul Gesù storico come esigenza ineludibile anche della teologia. Su tali sviluppi , nonché sui fondamenti e sui criteri odierni di questa ricerca, si veda J . M . RoBINSON , Kerygma e Gesù storico , tr. it., Brescia 1977; G. BARBAGLIO [e altri], Conoscenza storica di Gesù. Acquisizioni esegetiche e utilizzazioni nelle cristologie contemporanee, Brescia 1978 .
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sente volume si apre con uno studio di Vittorio Fusco sull'uso della Scrittura da parte di Gesù. Gesù di Nazaret e i suoi discepoli riconoscevano l'autorità divina di alcuni scritti : in primo luogo la Torah, cioè i cinque libri attribuiti a Mosè , poi i Profeti, che non comprendevano solamente i quattro «maggiori» e i dodici «minori» che noi designamo con questo termi ne (questi erano i profeti «posteriori»), ma anche i profeti «anterio ri», cioè Giosuè, Giudici, Samuele , Re. 10 La Torah era certo accet tata come Scrittura sacra verso il 400, i profeti verso il 200. Nel giu daismo postesilico si fece strada, almeno in certi ambienti, la convin zione che l'età dei profeti fosse finita, e che, di conseguenza, non vi fosse più posto per nuovi scritti ispirati. È questa la persuasione espressa verso il 100 a.C. dall'autore di l Maccabei (9,27; 14,41 ) , mentre, verso l a fine del I secolo d.C. , l o storico ebreo Flavio Giu seppe, nel difendere contro i detrattori l'attendibilità delle Scritture .ebraiche anche come documento storico precisa però: «Ma da Arta serse fino al nostro tempo i singoli avvenimenti sono stati sì registra ti per iscritto, però non sono stati considerati altrettanto attendibili dei precedenti , perché non esiste l'esatta successione dei profeti» (Contro Apione 1 ,41) . Questa affermazione del fariseo Flavio Giu seppe si connette bene con l'inizio del trattato A bot (entrato nella Mishnah) : «Mosè ricevette la Torah dal Sinai e la trasmise a Giosuè , Giosuè agli anziani e gli anziani ai profeti; e i profeti l'hanno tra smessa agli uomini della grande sinagoga» . La grande sinagoga era, secondo questa prospettiva, l'assemblea narrata in Ne 8-10, che la Bibbia situa all'epoca di Artaserse (Ne 2,1); è dunque la tradizione rabbinica che eredita la trasmissione della Legge dagli ultimi profeti (Aggeo, Zaccaria e Malachia) . È vero peraltro che la cessazione del la profezia non era affatto universalmente ammessa: secondo la To sefta (Sotah 13) dopo la morte di quegli ultimi profeti lo Spirito San-
10 Non facciamo qui, naturalmente , la storia del canone ebraico. Importante (anche per il canone cristiano dell'Antico Testamento) R. T. BECKWITH , The 0/d Te stament Canon of the New Testament Church and its Background in Early Judaism , London 1985 . Inoltre Le canon de l'Ancien Testament. Sa formation et son histoire, a cura di J.-D. KAESTLI - O. WERMELINGER, Genève 1984 . Sulla Bibbia ebraica e il suo uso nel giudaismo e nel cristianesimo antico cf. Mikra. Text, Translation, Reading and lnterpretation of the Hebrew Bible in Ancient Judaism and Early Christianity , a cura di M.J. MuLDER - H. SYSLING , (Compendia Rerurn ludaicarum ad Novum Te stamentum 1111 ) , Assen/Maastricht-Philadelphia, 1988. Importante anche Le canon des Écritures. Etudes historiques, exégétiques et systématiques, a cura di C. THEOBALD, Paris 1990.
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to è stato interrotto in Israele, e tuttavia quest'ultimo può «udire vo ci» , allusione alla Bath Qol, la voce divina che si fa udire ora solo In maniera discontinua. E la comunità di Qumran crede alla presenza dello Spirito divino nel suo mezzo. Il libro di Daniele , scritto nel 166/165 ma messo sotto il nome di un personaggio ispirato dell'epo ca esilica, poté farsi accettare tra i profeti a Qumran , appunto, non ché dai cristiani e nei manoscritti della versione greca della Bibbia, mentre i farisei lo inserirono verso la fine degli «scritti» , attestando così che la tradizione farisaica considerava chiuso il gruppo dei pro feti quando Daniele fece la sua comparsa. Quanto agli «Scritti» (ke tubim) , essi costituivano un gruppo evidentemente ancora aperto, attestato verso la fine del II secolo a.C. dal traduttore greco del Sira cide (Prologo, vv. 2. 10.25). Nel canone dei farisei saranno infine ac cettati Ruth , i Salmi , Giobbe, i Proverbi , Qoelet, il Cantico , le La mentazioni, Daniele, Ester, Esdra(/Neemia) e le Cronache; il Sira cide , scritto in ebraico verso l'inizio del II secolo a.C. , tradotto in greco verso Ja fine del medesimo secolo , letto in Palestina (mano scritti ne sono stati ritrovati a Qumran e a Masada) , finì col non en trarvi. I sadducei ammettevano solo il Pentateuco; quanto ai samari tani, anch'essi riconoscevano il solo Pentateuco, ma in una recensio ne particolare , che presenta non poche varianti. 11 Gesù convergeva evidentemente con i farisei. Ma fu la missione cristiana di lingua greca, quella degli ellenisti, a divenire decisiva, fin dai primi anni: ed essa adottò la versione gre ca di cui la diaspora giudaica si era munita progressivamente, a par tire dal III secolo a.C. Il suo nome tradizionale di Settanta è legato alla leggenda dei traduttori12 che produssero miracolosamente la versione della Torah ad Alessandria sotto Tolomeo Filadelfo (285246) , e che fu propagandata dalla Lettera di Aristea, composta veri similmente nel II secolo a.C. Naturalmente, la storia è più comples sa, e in parte ancora oscura: il Pentateuco fu tradotto certo nel III se colo - questo il nucleo di verità della leggenda -, gli altri libri seguiro-
11 J. D . PURVIS, The Samaritan Pentateuch and the Origin of the Samaritan Sect, Cambridge (Mass. ) , 1968. 12 Il cui numero oscilla invero, nelle fonti antiche , tra 70 e 72: la fonte d'ispira zione della leggenda è probabilmente in N m 1 1 , dove 70 anziani profetizzano, e poco dopo è detto che profetizzano Eldad e Modad , i quali , secondo alcuni autori antichi, devono essere aggiunti ai 70, producendo cosl la cifra 72. La Lettera di Aristea , che parla di 72 traduttori, menziona al § 273 «i due in più dei 70» , mostrando cosi di cono scere una forma della leggenda in cui i traduttori erano 70.
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no a poco a poco, fino al I secolo d.C.13 La Settanta comprendeva una serie di testi assenti dalla Bibbia ebraica: aggiunte a Ester, ai Salmi , a Geremia, a Daniele, nonché i libri seguenti : l Esdra, 1-4 Maccabei, Siracide, Giuditta, Tobia, Salmi di Salomone14 Questi li bri divennero dunque parte del canone cristiano sin dagli inizi , e so lo alcuni dotti li misero in discussione fino a Lutero. Ciò non toglie che gli autori greci cristiani che utilizzavano la Settanta potessero essere consapevoli di divergenze rispetto al cano ne ebraico . 15 Si è notato che Giustino, intorno alla metà del II seco lo, non usa (nelle opere a noi pervenute) nessun testo estraneo alla Bibbia ebraica, comprese le aggiunte a Geremia ( = Baruc) e a Da niele: evidentemente intendeva limitarsi, nella sua dimostrazione mediante le Scritture , ai libri ammessi dai giudei . Verso il 160-170, Melitone di Sardi compone le Eclogai, testimonianze su Gesù estrat te dalle Scritture: ce ne resta parte della prefazione diretta a Onesi mo, in cui Melitone afferma di aver voluto rispondere alla preoccu pazione del suo interlocutore di «conoscere con precisione i libri an tichi , il loro numero e il loro ordine» , e prosegue: «Recatomi dun que in oriente , ed ess'endo stato fino al luogo dove fu annunziato e compiuto (il contenuto delle Scritture) , ed avendo appreso con pre cisione i libri dell'Antico Testamento , ne ho stilato la lista e te la in vio ; eccone i titoli: cinque di Mosè , Genesi, Esodo , Numeri, Leviti co, Deuteronomio; Gesù di Nave, Giudici, Rut ; quattro dei Re , due dei Paralipomeni ; Salmi di Davide, Proverbi di Salomone , detti an che Sapienza; Ecclesiaste, Cantico dei cantici, Giobbe ; profeti : Isaia, Geremia, i dodici in un solo libro, Daniele, Ezechiele, Esdra. Da questi appunto ho ricavato i miei estratti, distribuendoli in sei li bri» (in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica IV,26, 13-14 ) . Dun que, la consapevolezza dell'esistenza di una Bibbia ebraica non coincidente con quella utilizzata nelle comunità cristiane ha indotto Melitone a questa verifica, la quale ha anche l'effetto di assicurare , presso i cristiani, lo statuto di Scritture sacre per questi libri. D'al13 Per tutta la problematica relativa alla Settanta è strumento di lavoro indispen sabile M. HARL - G. DoRtVAL - O. MuNNICH, La Bible grecque des Septante. Du ju dafsme hellénistique au christianisme ancien , Paris 1988. 1 4 Lista dettagliata di G. DoRIVAL nel volume cit. alla nota precedente , 84-85 . 15 Sulla formazione del canone cristiano dell'Antico Testamento si veda soprat tutto E. JUNOD, «La formation et la composition de l' Ancien Testament dans l'église grecque des quatre premiers siècles» , in Le canon de l'Ancien Testament. Sa forma tion et son histoire, a cura di J.-D. KAESTU - O. WERMELINGER, Genève 1984, 105151 .
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tronde , i cristiani del I e II secolo hanno citato come Scrittura dei li bri ereditati dai giudei, ma che non sono poi entrati nel canone ebraico quando questo si è chiuso definitivamente. L'esempio più eyidente è Henoch , esplicitamente citato in Gd 14 e implicitamente in Gd 6, largamente, benché tacitamente (ma questa utilizzazione tacita riguarda in questo caso tutte le Scritture) impiegato nell' Apo calisse di Giovanni, e in generale assai influente sulla letteratura cri stiana fino al III secolo. 16 Ancora verso il 202, Tertulliano nel De cultu feminarum 1 ,3,1-3 , avendo citato Henoch , polemizza con i giu dei che non l'hanno a Gesù, non si poteva rinunziarvi, ma al tempo stesso non si poteva più considerarle come l'espressione ultima della Parola di Dio, per ché questa funzione era svolta ora da Gesù. I sinottici, provenienti da comunità ellenistiche di diversa composizione, integrarono nella loro narrazione su Gesù soluzioni diverse . Già Marco presenta Gesù in conflitto con le autorità giudaiche a proposito delle norme rituali, ma non arriva a far respingere da lui queste ultime. Matteo rappre senta il caso chiaro della ricerca dell'equilibrio in una comunità mi sta: nella storia di Gesù si proietta il problema della posizione della comunità nei confronti della Legge e della storia d'Israele .22 Matteo mantiene la· tensione, ma questa non potrà resistere a lungo. A Roma, alla fine del I secolo, la lettera di Clemente ai Corinzi documenta un cristianesimo profondamente radicato nel giudaismo ellenistico, ma dove il problema del valore della Legge non sembra affatto preoccupante ; il richiamo a Paolo (5,5-7) non implica alcun riferimento alle sue posizioni verso la Legge, e anche là dove sono evocate le dispute che provocarono la corrispondenza tra Paolo e i corinzi (47 ,1-3) , si allude solo alle proskliseis, le preferenze accorda te all'uno o all'altro degli apostoli. Per Clemente, i giusti dell'Antico Testamento sono, per il cristiano , esempi di fede e di opere al tempo stesso: «Per quale ragione fu benedetto il nostro padre Abramo: non forse perché aveva praticato giustizia e verità mediante la fe de?» (31 ,2). «Guardiamo: tutti i giusti si adornarono di opere buo ne , e il Signore stesso si rallegrò essendosi adornato di buone opere . Avendo dunque tale modello, applichiamoci di buona lena alla sua volontà: con tutte le nostre forze lavoriamo all'opera di giustizia» (33,7-8) . Si tratta di una concezione della giustizia ben radicata nel giudaismo. L'uso della Bibbia è costante, ma del tutto analogo a quello dell'omiletica sinagogale: i grandi personaggi dell'Antico Te stamento sono citati come esempi insigni dei difetti dai quali Cle mente invita i corinzi a guardarsi (la gelosia: c. 4; ai cc. 5-6 esempi tratti dalla storia dei cristiani) , o delle virtù che egli raccomanda lo ro: l'obbedienza (Henoch , Noè, Abramo, Lot, Rahab : 9-12) , l'umil-
22 Si veda, da ultimo, U. Luz, «L'évangéliste Matthieu: un judéo-chrétien à la croisée des chemins. Réflexions sur le pian narratif du premier évangile», in La mé moire et le temps. Mélanges offerts a Pierre Bonnard, a cura di D. MARGUERAT - J . ZuMSTEIN, Genève 199 1 , 77-92.
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tà (oltre al Cristo, c. 16, sono ricordati i profeti, Abramo, Giobbe, Mosè, David , cc. 17-18) , la sopportazione delle sofferenze (Daniele e i tre giovani nella fornace , c. 45) , l'umile intercessione (Mosè, c. 53) , e così via. La grande preghiera finale dei cc. 59-61, che senza dubbio s'ispira alla liturgia romana, è densa di espressioni tratte dal la Settanta. Ciò che invece manca è l'uso tipologico della Scrittura, cioè l'in terpretazione di fatti e personaggi dell'Antico Testamento come prefigurazioni del Cristo e di circostanze relative alla vicenda della chiesa cristiana. Unica eccezione è l'interpretazione della corda scaTlatta di Rahab (Gs 2, 18) come figura del sangue di Cristo, che avrebbe riscattato tutti coloro che credono e sperano in Dio (12,7) : questa tipologia, che si ritroverà in Giustino (Dialogo 111 ,3-4) e poi spesso in seguito, viene, già a Clemente, da una raccolta di testimo nia cristologici di origine probabilmente palestinese . Ma questo caso unico nulla toglie al fatto che la prospettiva di Clemente sia sostan zialmente altra: egli non contrappone due testamenti , ma suppone una perfetta continuità tra Israele e la chiesa, che gli permette di as sumere senza problemi l'eredità etica del giudaismo (mentre la que stione rituale e la circoncisione sono semplicemente ignorate) . Che lo Spirito abbia parlato di Cristo nell'Antico Testamento (c. 16, con citazione di Is 53 ,1-12 e Sal 21 ,7-9) , che tutti i profeti abbiano an nunziato la venuta del Cristo (17,1), che anzi Cristo stesso abbia parlato di sé nell'Antico Testamento (22,1), tutto questo non fa che sottolineare la perfetta continuità. L'amore (agape) praticato dai cristiani non è che la continuazione di «quanti sono stati resi perfetti nell'amore secondo la grazia di Dio» da Adamo sino al presente (50,3-5) . Questo scritto getta luce sul tipo di cristianesimo romano contro il quale , meno di cinquant'anni dopo, reagirà violentemente Marcione, appellandosi alla radicalità di quel Paolo che a Roma era naturalmente letto, ma, evidentemente , in una prospettiva che sem plicemente ignorava le implicazioni della sua riflessione teologica su Legge e Vangelo .23 Agli antipodi di un simile atteggiamento sta Ignazio di Antio chia, nelle lettere a comunità dell'Asia minore composte verso il 23 Sull'uso della Scrittura in Clemente si veda D.A. HAGNER, The Use of the Old and the New Testament in Clement of Rome, Leiden 1973 ; per un quadro d'insieme, l'introduzione di A. JAUBERT alla sua edizione nella collezione Sources chrétiennes: Clément de Rome, Ép'ìtre au.x corinthiens , Paris 1971 , 13-90.
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115, sulla via che lo condurrà a subire il martirio a Roma. 24 Esse contengono un numero molto limitato di citazioni veterotestamenta rie, quasi tutte di contenuto etico (Sal 1 ,3 in Mag 13 , 1 ; Pr 3,34 in Ef 5,3; Pr 18,17 in Mag 12; Is 52,5 in Tr 8 ,2) ; una sola- e implicita - si applica al Cristo (Is 5 ,26 in Sm 1 , 2 ) , e sembra dipendere da un uso già tradizionale di Is 5 ,26 ; 49 ,22 ; 62 , 10 come testimonia cristologici. Ignazio è molto più propenso a citare scritti cristiani, anche se non li considera come Scrittura: conosce una raccolta di lettere paoline comprendente Rm, 1Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1Ts, e probabilmente i vangeli di Matteo e Giovanni25 (la sua teologia è fortemente impron tata a Paolo e Giovanni). Perché la sua reticenza nei confronti del l' Antico Testamento? È stato autorevolmente proposto di scorgere in questo atteggiamento un «indizio del sospetto, per non dire del l'avversione, che certi ambienti cristiani d'origine pagana nutrivano nei confronti del VT, come riflesso di un atteggiamento fortemente antigiudaizzante» .26 Va però osservato che tutte le allusioni alla por tata cristologica delle Scritture si trovano in contesti direttamente polemici. «Certi, ignorandolo, lo ( = Cristo) rinnegano , anzi sono stati piuttosto rinnegati da lui, essi che sono avvocati della morte piuttosto che della verità: essi che né le profezie , né la legge di Mosè hanno potuto persuadere , ma neppure, sinora, il vangelo , né le sof ferenze di ciascuno di noi . . . Conviene dunque che vi teniate lontani da siffatte persone, e che non parliate di loro né in privato né in pub blico , ma che vi atteniate ai profeti, ma particolarmente al vangelo , nel quale ci è mostrata la passione ed è compiuta la resurrezione» (Sm 5 , 1 ; 7,2; il verbo finale «è compiuta» sembra alludere al compi mento delle profezie nella resurrezione di Gesù) . Particolarmente chiaro in questo senso un passo della lettera ai filadelfiesi : «Ho sen tito alcuni dire: "Se non lo trovo negli archivi, non credo nel vange lo" . E quando dicevo loro : "È scritto" , mi risposero: "Questa ap punto è la questione"» ( Fi/ 8,2 ) . In questo passo molto discusso , gli archivi sembrano designare le Scritture ,Z7 e il dibattito porta certo 24 Gli argomenti per una datazione delle lettere verso la fine del II secolo , solle vati, con diverse modalità, in particolare da R. JoLY (Le dossier d'Ignace d'Antioche, Bruxelles 1979) e J. Rlus-CAMPS ( The Four A uthentic Letters of lgnatius, the Martyr, Roma 1979) , non ci sembrano decisivi; cf. in particolare CH. MUNIER, evan gelica. Quest'ultima soluzione suppone dei Vangeli dotati di forte autorità (che non possono quindi essere semplicemente scartati) , av viati verso una canonizzazione (il che spinge a fonderli in un'unità che ne riprenda tutto il contenuto) , ma non canonizzati in quanto ta li (il che permette di creare una nuova entità con l'intenzione di sop piantarli) . È stato proposto, con verisimiglianza, di identificare la prima armonia evangelica a noi nota nel Vangelo degli ebioniti, un testo giudeocristiano , composto probabilmente non più tardi del 150, di cui ci sono pervenuti solo fnimmentiY Si tratterebbe, secon do questa tesi , di una compilazione eseguita a partire da Matteo , Marco e Luca, con la preoccupazione di conservare ogni elemento . Eloquente è l'episodio del battesimo di Gesù, in cui i tre evangelisti riportavano tre forme diverse della voce divina; con l'aiuto di alcuni elementi di raccordo estranei alle sue fonti, l'autore del Vangelo de gli ebioniti le ha conservate tutte e tre: «Dopo che il popolo era stato battezzato , venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni. E quandç> san dall'acqua, si aprirono i cieli e vide lo Spirito santo sotto forma di una colomba che scen deva ed entrava in lui. E (venne) una voce dal cielo che diceva: "Tu sei il mio figlio diletto, in te mi sono compiaciuto" (Mc 1 , 1 1 ) ; e di nuovo: "lo oggi ti ho generato" (Le 3 ,22) . E subito una gran de luce avvolse di splendore il posto. Vedendo ciò , Giovanni gli dice: "Tu, chi sei?" E di nuovo una voce dal cielo a lui: "Questi è il figlio mio diletto, sul quale mi sono compiaciuto '' (Mt 3 , 17) . E allora Giovanni, prostratosi a lui, diceva: "Ti prego, Signore , bat tezzami tu". Ma quegli glielo impedì, dicendo: "Lascia, perché cosl conviene che tutto sia compiuto"» (EPIFANIO, Panarion , 30, 13 ,7-8) . 32
Ma l'armonia evangelica più nota, e più influente, è il Diatessa ron (Attraverso quattro) composta, verisimilmente intorno al 170, da
Taziano, un siro di Mesopotamia che fu allievo di Giustino a Roma e dopo la morte di questi rientrò nella sua terra di origine , conti-
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Sui vangeli giudeocristiani cf. in questo volume lo studio di Luigi Cirillo. La proposta di considerare il Vangelo degli ebioniti come un'armonia di Mar co, Matteo e Luca è stata formulata da D . A . BERTRAND, «L' É vangile des ebionites: une harmonie évangélique antérieure au Diatessaron>> , in NTS, 26(1 980) , 548-563. 32
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nuando l'insegnamento già intrapreso a Roma ; resta di lui un Di scorso ai greci improntato a dura polemica contro la cultura greca,
cui il cristianesimo viene nettamente contrapposto come la vera filo sofia, proveniente dai «barbari» . Taziano utilizzò tutti e quattro i nostri vangeli; probabilmente attinse alcuni elementi anche a vange li non divenuti canonici. Il suo lavoro fu il vangelo del cristianesimo siriaco fino al V secolo, quando la cattiva fama di Taziano, conside rato eretico (fondatore della setta degli encratiti, e gnostico) fin dal la fine del II secolo, indusse i vescovi della Siria a distruggere le co pie del Diatessaron che poterono trovare : abbiamo il racconto di uno di loro, Teodoreto , vescovo di Ciro sull'Eufrate dal 423, che di strusse circa 200 copie del Diatessaron (Haereticarum fabularum compendium 1 ,20) . Del testo greco ci resta solo un piccolo fram mento , ritrovato ne1 1933 a Dura Europos, città sull'Eufrate distrut ta dai persiani nel 256-257 (termine ante quem , dunque, per il fram mento) . Disponiamo inoltre delle testimonianze di autori siriaci che utilizzarono il Diatessaron , e in modo particolare del commento che Efrem di Nisibe (morto nel 373) scrisse sul vangelo di Taziano;33 nonché di versioni modificate del Diatessaron in arabo (XI sec.), persiano, neerlandese (XIII sec . ) , italiano (XIII e XIV sec. ) , ingle se. Una traduzione del frammento greco (in cui manca l'inizio di tut te le linee , supplito qui tra parentesi quadre , come pure le lettere il leggibili per varie ragioni), con l'aggiunta dei riferimenti , può dare un'idea dell'abile maniera in cui era costruito il testo: «(la madre dei figli) di [Zebed]eo (M t 27 ,56) e Salomè (Mc 15 ,40) e le donne [di coloro che] lo avevano accompagnato dalla [Gali l]ea vedendo il crocifisso (Le 23,49, che ha però «le donne che lo avevano accompagnatm> ) . Ora , [il giorn]o era Parasceve ; il sabato nasc[eva (Le 23 ,54) . La s]era venuta (Mt 27,57) , nella Paras[ce ve] , cioè il giorno precedente il sabato (Mc 15 ,42) , giu[nse] un uo mo (Mt 27,57) , che [era] membro del consiglio (Le 23 ,50) , di Ari matea (Mt 27 ,57) , città della [Giud]ea (Le 23,51), di nome Giu [seppe] (Mt 27,57) , buono e gi[usto] (Le 23 ,50) , che era discepolo di Gesù , ma na[sco]sto per il timore dei [Giude]i (Gv 19,38) : ed egli (Mt 27,57) aspettava [il] r[egno] di Dio (Le 23 ,51). Costui non [aveva accon]sentito al p[iano] (Le 23 ,51) . . . ».
33 Quest'opera ci resta in buona parte nell'originale siriaco, ritrovato nel 1957 ed edito nel 1963 da dom Louis Leloir; il resto ci è fornito da una versione armena. Tra duzione con note e introduzione : L. LELOIR, Éphrem de Nisibe. Commentaire de /'É vangile concordant ou Diatessaron , (Schr 121) , Paris 1966 .
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Il Diatessaron esercitò larga e duratura influenza, come mostra no tra l'altro le versioni conservate. Ma la tendenza che prevalse fu quella di canonizzare quattro vangeli: si dovette allora risolvere di versamente il problema della loro compresenza. Verso il 180-190 Ireneo di Lione difende, contro le Scritture accolte o prodotte dai gruppi gnostici, i quattro Vangeli di Matteo , Marco, Luca e Giovan ni : riferisce la tradizione di cui dispone circa la loro origine, che lega Matteo e Giovanni direttamente a Gesù, Marco e Luca rispettiva mente a Pietro e Paolo. Dunque chi li disprezza, disprezza i partici pes Domini, anzi il Signore stesso, anzi il Padre (Contro le eresie 3 , 1 ,1-2). È interessante che, subito dopo, Ireneo riporti le obiezioni degli avversari gnostici: «Si volgono ad accusare le Scritture stesse , dicendo che il loro testo non è corretto, che non sono autorevoli, che non si accordano tra loro, e che sulla loro base non si può trova re la verità se non si conosce la tradizione» (3 ,2,1). Questo appello alla tradizione orale , mediante la quale gli gnostici affermavano di risalire ai discepoli diretti del Signore , e divenuta ormai incontrolla bile, fu certamente una delle ragioni che condussero progressiva mente alla definizione del canone del Nuovo Testamento. Altrove (3 , 1 1 ,8-9) lreneo difende il numero di quattro Vangeli contro coloro che vogliono ammetterne più o meno : è evidente che quei quattro erano già accolti dalla chiesa che egli considera ortodossa, ma non erano ancora universalmente accettati. Polemizzando contro gli gnostici e Marcione, Ireneo difende da un lato l'unità tra Antico e Nuovo Testamento , dall'altro consolida l'autorità degli scritti cri stiani da lui riconosciuti e, per primo tra gli autori a noi noti, accetta il confronto con i suoi avversari sull'interpretazione di Paolo. 34 Una soluzione in parte diversa per giustificare i quattro Vangeli si trova nel cosiddetto frammento muratoriano , così chiamato per ché pubblicato nel 1740 dal grande erudito Ludovico Antonio Mura tori, che lo aveva trovato in un manoscritto dell'ottavo secolo , pro veniente da Bobbio e attualmente alla Biblioteca ambrosiana. 35 Si
34 Sulle scritture negli gnostici , in Marcione e in lreneo , cf. lo studio di Claudio Gianotto nel presente volume . 35 Parti del medesimo testo, indipendenti dal manoscritto bobbiense , furono ri trovate a Montecass ino in quattro manoscritti di lettere di Paolo e pubblicate nel 1897 .
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tratta di un testo mutilo all'inizio e alla fine, scritto in un latino bar baro non sempre comprensibile , e consistente in una lista (non uffi ciale , ma a uso privato) di libri cristiani da accettare e, in piccola parte , da respingere. L'opinione prevalente è che il testo originario (probabilmente latino , ma la cosa è controversa) risalga alla fine del II secolo e sia stato composto in occidente, forse a Roma.36 Oltre ai quattro vangeli (manca la notizia su Matteo e quella su Marco , tran ne le ultime parole) , il frammento menziona gli Atti degli apostoli, scritti da Luca, le lettere di Paolo a sette chiese (ma due ai corinzi e due ai tessalonicesi) , cifra che simboleggia l'unica chiesa universale , come nel caso delle sette lettere dell'Apocalisse . Nomina inoltre le lettere a Timoteo e a Tito, mentre rifiuta di riconoscere le lettere ai Laodiceni e agli Alessandrini , che pure circolano sotto il nome di Paolo , ma che sono marcionite. Ricorda una lettera di Giuda e due di Giovanni ; non menziona Ebrei , Giacomo e le lettere di Pietro, ma singolarmente , tra questi libri cristiani , aggiunge il libro della Sa pienza, «Scritto dagli amici di Salomone» (lin. 70) . Infine dichiara di accettare le apocalissi di Giovanni e di Pietro, anche se alcuni non ammettono che la seconda sia letta nella chiesa . Il Pastore di Erma è dichiarato di composizione recente, per cui può essere letto privata mente , ma non in chiesa, né annoverato tra i profeti , «il cui numero è completo» (lin. 79) . Nelle ultime linee si respingono gli scritti di Arsinoo, Valentino , Milziade , che avrebbero composto un nuovo li bro di salmi per Marcione, insieme con Basilide , fondatore dei cata frigi in Asia minore: quest'ultima parte è assai confusa e misteriosa. La prima parte, dedicata ai vangeli (lin. 1-33), si sofferma in partico lare sull'origine del Vangelo di Giovanni, presentato come steso da Giovanni in seguito a una rivelazione divina concessa ad Andrea, ma autenticato dall'insieme dei discepoli. Questa leggenda appare destinata ad autorizzare il Vangelo di Giovanni, che viene dichiara to non solo approvato da tutti gli apostoli come fedele agli av venimenti della vita di Cristo , ma anche confermato dalle lettere do36 A.C. SUNDBERG , JR. , «Canon Muratori: A Fourth Century List», in HThR, 66 (1973) , 1 -41 , ha sostenuto un'origine orientale nel IV secolo, ma i suoi argomenti non sembrano convincenti . Riprende ora la sua tesi G.M. HAHNERMANN , The Muratorian Fragment and the Development of the Canon, Oxford 1992. Un'ottima edizione critica del canone muratoriano è quella di H. LIETZMANN, Das muratorische Fragment und die monarchianischen Pro/ogen zu den Evangelien , Berlin 21933 ; una tr. it. per esem pio in Enchiridion biblicum, Bologna 1993 , nn . 1-7 e in M. ERBETTA, Gli apocrifi del Nuovo Testamento 111 , Casale Monferrato 1975 , 25-26. La bibliografia è vastissima, per un primo orientamento: B . M . METZGER, The Canon of the New Testament, 191201 ; VON CAMPENHAUSEN , Die Entstehung, 283-303 .
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ve lo stesso apostolo dichiara di aver messo per iscritto ciò che egli stesso ha visto e udito (citazione di 1Gv 1 , 1 .3-4 alle lin. 29-31) . Tali enunciati sembrano accordarsi bene con le polemiche sull'autentici tà del Vangelo di Giovanni sviluppatesi a Roma a opera del prete Gaio e in Asia minore a opera degli «alogi», tra la fine del II secolo e l'inizio del III . Al tempo stesso , il canone muratoriano si preoccupa di giustificare la pluralità dei Vangeli: «e perciò , benché diversi principi (oppure : diversi inizi) siano in segnati dai singoli libri dei Vangeli , ciò non fa tuttavia differenza per la fede dei credenti , perché da un unico e sovrano Spirito tutte le cose sono state dichiarate in tutti : circa la nascita , la passione , la resurrezione , la vita con i suoi discepoli , e le sue due venute, la prima nell'umiltà, disprezzato , ed essa ha già avuto luogo, la se conda gloriosa, in potenza regale, e questa avrà luogo nel futuro» (!in. 16-26) .
Prima di quello dei Vangeli , si formò il corpus delle Lettere pao line. Paolo rivendicava per sé l'autorità dell'apostolo direttamente chiamato dal Signore , ma non pretendeva di scrivere testi ispirati, e distingueva accuratamente ciò che , nel suo insegnamento , veniva dal Signore (cioè dalla tradizione delle parole di Gesù) e quello che veniva da lui (1Cor 7,10. 12. 17) . Le chiese si scambiavano le lettere ricevute dall'apostolo per leggerle nell'assemblea (Col 4,16) , il che non ha impedito la perdita di alcune di esse, come quella ai Laodice ni menzionata appunto in Col 4,16,37 Altre furono elaborate e fuse insieme; è oggi opinione corrente che 2 Corinzi risulti dalla fusione di più lettere , secondo alcuni operata dallo stesso Paolo, seguendo un procedimento diffuso nell'antichità allorché si decideva di pub blicare un epistolario. Le origini della raccolta delle Lettere paoline sono uno dei problemi più complessi e meno chiariti del cristianesi mo antico, che qui non è il luogo di riprendere. Basterà ricordare che esistono due opinioni principali : secondo gli uni il corpus paoli na fu opera, nei primi decenni del II secolo, della consapevole ini ziativa editoriale di una comunità cristiana, 38 secondo altri la raccol37 Marcione la identificava con la lettera agli Efesini ; una lettera ai laodiceni fu fabbricata più tardi riunendo frasi dalle lettere paoline. 38 Per esempio, secondo A . von Harnack, una raccolta dì 10 lettere , senza le Pa storali ed Ebrei , fu realizzata a Corinto ; le Pastorali, composte in Asia minore nel II secolo, furono ivi aggiunte alla raccolta ; infine la collezione ricevette la sua forma de finitiva e canonica alla fine del II secolo a Roma, con l'aggiunta di Ebrei. A. voN HARNACK, Die Briefsammlung des Apostels Paulus und die anderen vorkonstantini schen christlichen Briefsammlungen. Sechs Vorlesungen aus der altkirchlichen Litera turgeschichte, Leipzig 1926.
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ta fu il risultato di un lento sviluppo progressivo , che si riflette nella situazione dei manoscritti giunti a noi. 39 Certo è che verso il 140 Marcione conosce e utilizza un corpus di dieci lettere paoline , senza le Pastorali ed Ebrei. Un endovi il vangelo di Luca - o una forma di esso più antica di quella a noi nota - e cor reggendo il testo per recuperarne quello che a suo avviso era il tenore originario, Marcione ha fabbricato il primo canone di Scritture cri stiane . 40 H. von Campenhausen ha individuato in questa iniziativa l'impulso decisivo che condusse la grande chiesa, per reazione , a de finire il proprio canone. Indubbiamente Marcione ebbe una funzione importante, con il suo rifiuto radicale della tradizione, in favore di un testo scritto che valesse come norma unica. Ancora poco prima di lui , Papia di Gerapoli aveva sostenuto invece la superiorità della viva tra dizione orale portatrice delle parole del Signore e dei suoi discepoli: «Se poi veniva qualcuno che si era accompagnato ai presbiteri , m'informavo delle parole dei presbiteri, che cosa avessero detto . Andrea, Pietro, Filippo , Tommaso, Giacomo, Giovanni, Matteo o qualcun altro dei discepoli del Signore , e che cosa dicono Ari stone e il presbitero Giovanni , discepoli del Signore. Non pensavo .infatti che le conoscenze ricavate dai libri giovassero tanto quanto quelle provenienti da una voce viva e durevole».41
39 Cosi K. ALANO, in lo . , Neutesta mentliche Entwurfe, Munchen 1979, 302-350. E' ora importante il libro di TROBISCH, Die Entstehung der Pau/usbriefsammlung, che attraverso un accurato esame dei ma noscritti più antichi cerca di ricostruire la struttura delle prime raccolte , parziali, che furono poi utilizzate per le più ampie raccolte giunte a noi . Trobisch cerca d'illumina re questo processo attraverso un esame della tecnica antica di edizione degli epistola ri. Forse più soggetta a discussione è l'ultima parte , in cui egli propone di considerare Paolo stesso come responsabile di una raccolta primitiva, elaborata a Efeso e com prendente Rm, l e 2Cor, Gal, con la quale si sarebbe poi combinata una raccolta «cattolica>> di lettere indirizzate a un pubblico largo, cioè lCor, Rm, Ef ed Eb (quest'ultima non composta da Paolo stesso , ma approvata e diffusa con una sua po stilla). All'inizio del secondo secolo , un vescovo influente (forse Onesimo ad Efeso) avrebbe curato un'«edizione autorizzata» dell'epistolario , aggiungendo alla primitiva collezione efesina di Paolo un'appendice costituita da Ef, Fil , Col, Ts, più Fm , parti colarmente cara al vescovo che era appunto l'antico schiavo per cui Paolo aveva inter ceduto presso Filemone . Le Pastorali sarebbero state composte ed aggiunte in questa occasione, per assicurare alla raccolta il sostegno degli altri vescovi d'Asia. L'iniziati va ebbe in effetti successo : questa raccolta di 13 lettere si sarebbe rapidamente impo sta , e ad essa si sarebbe ancora aggiunta Eb, in una posizione ancora non fissata nei manoscritti più antichi . Si veda ora soprattutto R. PENNA, «L'origine del Corpus pau iinum. Alèuni aspetti della questione>> , in corso di stampa in CrSt, 15(1994) . 40 Cf. in questo volume, c. 8, § 3 . 1 . 41 E u s EBIO, Storia ecclesiastica III , 39,4. La bibliografia sull'interpretazione del frammento è vasta. Cf. U .H.J. KORTNER , Papias von Hierapolis. Ein Beitrag zur Ge schichte des fruhen Christentums , Gottingen 1983, 1 14-1 32. '
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Al tempo stesso, queste frasi provengono dall'introduzione ai cinque libri intitolati Esegesi di parole del Signore: pur privilegiando la tradizione orale, Papia si era dedicato a metterne per iscritto il contenuto , le parole del Signore , forse rendendosi conto che la tra dizione orale non avrebbe potuto conservarsi pura a lungo .42 Ma ciò che a Papia non sarebbe mai venuto in mente , era di considerare la sua opera come la sola normativa per la predicazione di e su Gesù, mentre questo è precisamente ciò che ha fatto Marcione . Contro quest'ultimo, tutta una letteratura si levò a difendere l'unità di Dio e la coerenza della rivelazione concessa agli ebrei con quella portata da Gesù . Gli gnostici, invece, ammettevano molti libri come porta tori di rivelazione: qui il problema era di ridurne il numero . Di fronte a Marcione e agli gnostici, gli autori ecclesiastici dovet tero comunque impegnarsi a fondo nella difesa dell'Antico Testa mento , il che li metteva in una situazione difficile dato che non pote vano accettarne le prescrizioni cultuali . Una soluzione per eliminare dall'Antico Testamento le parti che parevano divenute inaccettabili (non solo le norme rituali, ma anche l'attribuzione a Dio di passioni umane, i passi che potevano sottintendere una posizione politeista, e anche una parte delle profezie) fu adottata dal giudeocristianesimo ebionita la cui tradizione , risalente al Il secolo, si ritrova negli strati antichi delle Pseudoc/ementine (Homiliae e Recognitiones) . È la teo ria detta delle «false pericopi». Secondo questo modo di vedere , la Legge divina venne trasmessa da Mosè, per tradizione orale, a set tanta saggi, e solo dopo la morte di Mosè fu messa per iscritto da qualcun altro (Hom. 3 ,47, 1-2) . Il fatto stesso che Mosè avesse rinun ziato a scriverla dimostra la sua prescienza, perché egli sapeva che sarebbe stata distrutta da Nabucodonosor: viceversa, coloro che la scrissero non avevano previsto questo fatto, il che dimostra che non erano profeti (Horn. 3,47 ,3-4) . Il risultato è che nella legge scritta si sono introdotte numerose parti false: «Le Scritture hanno infatti accolto molte falsità contro Dio, in questa maniera: mentre il profeta Mosè in accordo con la volontà di Dio aveva trasmesso a settanta uomini scelti la legge insieme
42 E in effetti degli enunciati escatologici di Gesù, che IRENEO cita dal quarto li bro di Papia in Contro le eresie 5,33,3-4, sono evidentemente fantastici, frasi ricavate dalla tradizione apocalittica del giudaismo e attribuite a Gesù .
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con le spiegazioni, affinché essi a loro volta istruissero quelli del popolo che lo volessero, messa per iscritto non molto tempo dopo la legge accolse anche certe falsità contro il Dio unico, creatore del cielo, della terra e di tutto il loro contenuto: era il maligno che aveva osato far questo, per una ragione giusta. E ciò avvenne se condo ragione e giudizio, affinché siano scoperti coloro che osano ascoltare volentieri i passi scritti contro Dio, e coloro che , mossi dall'amore per lui , non solo non prestano fede a quanto è detto contro di lui, ma neppure sopportano di cominciare a udirlo, quand'anche fosse vero, considerando molto meglio correre peri colo a proposito di una fede che evita parole irreligiose, piuttosto che vivere con una cattiva coscienza a causa di parole blasfeme» (Hom. 2,38) .
Ciò che permette di discernere tra le pericopi vere e false è la pa rola del vero profeta, annunziato da Mosè stesso , cioè Gesù (Horn. 3,49-54) . È questo il senso della parola di Gesù: «Siate buoni cam biavalute» (cf. 1Ts 5,21): Hom. 2,51 , 1 ; 3,50,2. Tale teoria non fu elaborata in funzione antimarcionita, ma si situa piuttosto sulla linea di una critica a certe parti delle Scritture già interna al giudaismo .43 Gesù assume qui in certo modo la funzione che certi rabbi attribui scono a Elia quando ritornerà nei tempi della fine , quella cioè di chiarire tutte le difficoltà della Legge:44 ma qui la soluzione è radica le, perché si tratta di mostrare quali parti della Legge sono false . Ma questa soluzione non era semplice da adottare: avrebbe aperto la strada a infinite controversie sulla determinazione delle false perico pi. Inoltre , di fatto essa fu adottata da circoli gnostici , come mostra la concezione della diversa origine delle parti della Legge, che la tra dizione delle parole di Gesù permette di distinguere, nella Lettera a Flora di Tolomeo 3,8 e passim .45 Per la grande chiesa era più sempli ce accogliere integralmente le Scritture ebraiche . La via già indicata da Paolo si rivelò allora come la soluzione : lo Spirito presente oggi nella comunità cristiana consente una nuova , e vera , lettura della Legge , a partire da un criterio nuovo , il suo orien tamento a Cristo. La Bibbia ebraica veniva così salvaguardata, ma
43 Sulla dottrina delle false p,ericopi cf. G. STRECKER, Das Judenchristentum in den Pseudoklementinen , Berlin 198 1 , 166-187 . 44 Cf. P. VoLz , Die Eschatologie der judischen Gemeinde im neutestamentlichen Zeitalter nach den Quellen der rabbinischen, apokalyptischen und apokryphen Litera tur, Tiibingen 1934 (rist. anast. Hildesheim 1966) , 196. 4� Cf. in questo volume , c. 8. § 2.2.
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tutto il sistema cambiava di senso, una volta mutati i referenti.46 La comprensione della Scrittura entrava ora in gioco come il vero cam po di battaglia. Nel giudaismo, certe apocalissi e Qumran avevano già posto la questione della comprensione di un senso profondo dei testi canonici sulla base di una riv�lazione . Ma nel cristianesimo un avvenimento reale , ben ancorato nella storia, la vita, morte e resur rezione di Gesù, consentiva di ripensare in maniera unitaria, in rife rimento ad esso, l'insieme della tradizione religiosa d'Israele. Cosl le due parti della Bibbia cristiana si sostenevano a vicenda: servendo alla dimostrazione cristologica (ap6deixis è un termine chiave in Giustino) , le Scritture del giudaismo confermavano l'autorità della predicazione cristiana, ma al tempo stesso ricevevano autorità da quel Cristo che , come si cercava di dimostrare , convalidava tutta la tradizione religiosa d'Israele, benché in un senso ben diverso da quelli rappresentati nel giudaismo stesso . Gli scritti cristiani più an tichi incorporarono , nel racconto stesso dei fatti e delle parole di Gesù, i risultati della riflessione retrospettiva sull'Antico Testamen to. Il racconto della storia di Gesù nasceva quindi già solidamente radicato nelle Scritture del giudaismo, senza che peraltro questo fat to oscurasse la coscienza della radicale novità che si era realizzata in Gesù. Lo sviluppo dell'esegesi cristiana era dunque iscritto nelle sue origini. In un primo tempo, una consapevolezza nuova della presen za attiva dello Spirito nella comunità e della qualità profetica di tutti i credenti rendeva possibile un'interpretazione carismatica delle Scritture che al tempo stesso le modificava per esplicitarne il senso nascosto e ora accessibile grazie · alla conoscenza consentita dalla fe de nel Cristo. È il caso della profezia nelle comunità paoline, la qua le, come ha mostrato Gerhard Dautzenberg, si esl? rimeva spesso co me interpretazione carismatica delle Scritture.4' E il caso dell' Apo calisse di Giovanni, che integra una grande quantità di allusioni alle Scritture senza una sola citazione esplicita: è una specie di riscrittura della Bibbia a partire da una autocoscienza di profeta destinatario di una rivelazione.48 È, in buona parte, il caso degli elaboratori di testi46 Si può vedere W. ScHENK, «Code-Wandel und christliche ldentitat. Der Ka non des «Neuen TestamentS>> als semiotisches Problem» , in Linguistica Biblica, 61 (1988) , 87-1 14. 4 G . DAUTZENBERG, Urchristliche Prophetie. Jhre Erforschung, ihre Vorausset zungen im Judentum und ihre Struktur im ersten Korintherbrief, Stuttgart ecc. 1975 . 48 Cf. in questo volume lo studio di Bruno Corsani.
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mania , i quali modificano e combinano le citazioni per metterne in
luce il senso cristologico. Ma la rivendicazione stessa della Bibbia giudaica da parte dei cristiani condurrà progressivamente a organiz zare la dimostrazione cristologica non più su florilegi di citazioni e mediante la loro modifica, ma sulla misura dei libri biblici stessi, ri spettandone l'integrità e l'espressione. Si sviluppa cosl il commento sistematico . Tipico è il caso di Ippolito,49 che procede per estratti e testimonia (anche apocrifi) nell'Anticristo, ma che produce anche commenti sistematici (Daniele, Cantico dei cantici . . . ) . 50 E la messa in opera in grande stile di una ermeneutica applicabile sistematica mente per ricavare i diversi sensi da ogni libro della Scrittura sarà, naturalmente, l'opera di Origene, che eserciterà un influsso enorme in oriente come (attraverso Rufina e Girolamo) in occidente .51 In occidente, del resto, la riflessione esegetica si era sviluppata e ap profondita con Tertulliano, Cipriano , Lattanzio, Novaziano, che avevano affinato (soprattutto il primo, in polemica con Marcione e con gli gnostici) criteri e metodi, cercando di definire le condizioni dell'interpretazione letterale e allegorica. 52 L'epoca successiva vedrà lo sviluppo delle grandi scuole esegetiche , nel segno del confronto e della controversia sulla gigantesca, e spinosa, eredità di Origene .
49 Lasciando da parte la questione dell'unità o meno di autore del corpus degli scritti ippolitei , ci riferiamo qui all'autore dei commenti biblici. 50 Cf. su di lui lo studio di Emanuela Prinzivalli in questo volume . sJ Sull'esegesi di Origene cf. il capitolo finale del presente volume, di Sandro Leanza. sz Cf. nel presente volume il saggio di Claudio Moreschini.
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l
Gesù e le Scritture di Israele Vittorio Fusco
DIFFICOLTÀ DI RICOSTRUZIONE STORICA
l.
Come ha interpretato le Scritture Gesù? Il suo uso della Bibbia in che cosa si accomuna a quello dei contemporanei, ed in che cosa se ne distingue? In che senso si può far risalire a Gesù stesso quella che poi sarà la lettura delle Scritture sviluppata dai cristiani? Nella traiettoria che va dall'interpretazione ebraica a quella cristiana, qual è la collocazione che spetta propriamente a Gesù? La risposta a questi interrogativi non è facile. Alle difficoltà sto riografiche , dovute al fatto che gran parte delle citazioni bibliche fu la comunità cristiana a collocarle sulle labbra di Gesù1, se ne aggiun gono altre forse ancor più pesanti, legate alla tormentata storia dei rapporti fra ebraismo e cristianesimo. I cristiani di origine non giu daica, ben presto maggioranza e poi praticamente totalità nella chie sa, non sempre fedeli a quell'atteggiamento di profonda umiltà nei confronti degli ebrei raccomandata loro da Paolo (Rm 1 1 , 13-16) , so no caduti spesso riguardo all'Antico Testamento in due estremi: da un lato quello di una più o meno accentuata svalutazione, che li por tava ad abbandonarlo senza troppi rimpianti nelle mani dei primi proprietari, gli ebrei; dall'altro , quello della pura e semplice appro priazione cristiana - con correlativa espropriazione degli ebrei - di quel patrimonio prezioso che essiper secoli avrebbero posseduto so lo materialmente , senza nulla veramente comprendeme.2 E questi due atteggiamenti estremi nei confronti dell' AT, il cristianesimo
1 Per alcuni esempi si rinvia al c. 4, sui Vangeli e gli Atti.
Cf. Barn . 4,6s: «Vi chiedo inoltre . . . di non diventare simili a certuni, accumu lando i vostri peccati col dire che la nostra alleanza è anche di quelli. È nostra , certo: invece essi l'hanno perduta per sempre già quando Mosè la ricevette . . . » (tr. F. ScoR ZA BARCELLONA, Torino 1975 , 85). Altri testi in H. DE LUBAC, Storia e Spirito , ( Opera omnia 16) , Milano 1985 , 135s, 146s. Cf. P.C. BoRI, Il vitello d'oro. Le radici della controversia antigiudaica, (Ricerche italiane l ) , Torino 1983. 2
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può essere portato ad attribuirli inconsciamente a Gesù stesso, arri vando in entrambi i casi a raffigurarsi un Gesù talmente «cristiano» da non aver più nulla di ebreo3• A loro volta alcuni studiosi ebrei, nel loro sforzo di riappropriarsi di Gesù, rischiano di presentarci un Gesù così ebreo da non avere più nulla a che fare con il cristianesimo . Presenti sotto varie forme già nell'antichità cristiana, queste ten denze sono state radicalizzate nell'esegesi moderna, con alterne vi cende di cui essa porta ancora visibili le cicatrici. Alla fine del secolo scorso nell'area che era all'avanguardia degli studi biblici, quella del protestantesimo tedesco, la corrente «liberale» vedeva Gesù essen zialmente come un maestro di valori religiosi e morali universali (e in ultima analisi razionali) , senza alcun rapporto veramente intrinseco col giudaismo , a parte il monoteismo e la ripresa di certe categorie salvifiche (regno di Dio, Messia . . . ) intese però in realtà in maniera completamente diversa; anzi, in radicale contrasto con l'ambiente . 5 Ben presto però, anche per merito dei liberali stessi, i progressi della ricostruzione storica resero insostenibile questa ingenua mo dernizzazione ed occidentalizzazione di Gesù e imposero una risco perta della sua profonda ebraicità. Si arrivò anzi ad un capovolgi mento, che ha la sua massima espressione nella concezione di Ru4
3 Su questo fenomeno , buone riflessioni in P. GRELOT, «Rapporto fra Antico e Nuovo Testamento in Gesù Cristo», in Problemi e prospettive di teologia fondamenta le, a cura di R. LATOURELLE - G. O'CoLLJNS, Brescia 1980, 235-257 . Per alcuni mo menti storici caratterizzati da questa tendenza, cf. H.-J . KRAus, L 'Antico Testamento nella ricerca storico-critica dalla riforma ad oggi, Bologna 1975 , 641-662. 4 Così per esempio : D . FwssER, Jesus , (Biblioteca di studi storico-religiosi 7) , Genova 1976; G. VERMES , Gesù l'ebreo, Roma 1983 ; S. BEN CHORIN, Fratello Gesù. Un punto di vista ebraico sul Nazareno, Brescia 1985 ; per gli autori meno recenti cf. G. LINDESKOG, Die Jesusfrage im neuzeitlichen Judentum. Ein Beitrag zur Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, (AMSNU 8) , Leipzig-Uppsala 1938 . Per la critica dal punto di vista esegetico a tale tendenza: S. LéGASSE, «Jésus: Juif on non?», in NR Th, 86( 1964) , 673-705 ; W.D. DAVIES, «Reflections on Judaism and Christianity» , in L'E vangile hier et aujourd'hui. Mélanges offerts au Prof F. -l. Leenhardt, Genève 1968 , 39-54; H. MERKEL, «Jesus und die Pharisiier» , in NTS, 14( 1967-68) , 194-208; R. PESCH , «Christliche und jiidische Jesusforschung . Obersicht und kritische Wiirdi gung», in Jesus in den Evangelien , (SBS 45) , a cura di J. BLINZLER, Stuttgart 1970, 1037 ; W . G. KùMMEL, «Ein Jahrzent Jesusforschung (1965-1975), II : Nicht-wissenschaf tliche und wissenschaftliche Gesamtdarstellungen», in ThR, 41(1976) , 197-258, alle pp. 207-209 .214-216; P. SACCHI, «Gesù l'ebreo», in Henoch, 6(1984) , 347-368; lo . , «L'eredità giudaica nel cristianesimo» , in Aug, 28 ( 1988) , 23-50. 5 Caratteristico al riguardo A. voN HARN ACK , L'essenza del cristianesimo, (Giornale di teologia 121) , Brescia 1980 , 98-101 . 155s. Quanto questa tendenza sia an cora presente nella nostra cultura lo mostra per esempio il libro di l. MAGLI, Gesù di Nazaret, Milano 1982; cf. la valutazione critica di C. MARUCCI, «Il "Gesù" di Ida Ma gli», in Rassegna di teologia , 24(1983) , 154-1 64 .
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dolf Bultmann, secondo il quale il Gesù storico appartiene total mente all'ebraismo e in nessun modo alla fede cristiana: eliminando dai Vangeli le aggiunte postpasquali si ottiene l'immagine di Gesù che rimane entro l'ambito del giudaismo, sia con la sua predicazione del Regno, che non fa altro che conferirgli una nota di maggiore im minenza, senza però che il Regno dal futuro entri nel presente; sia con il suo insegnamento morale , che anche nei suoi aspetti più critici e conflittuali - come già nei profeti - non va al di là di un progetto di riforma e purificazione dell'ebraismo6• A sua volta però questa ricostruzione bultmanniana non tardò ad essere accusata di unilateralità, prima dall'esterno (J . Schnie wind , L. Goppelt, J. Jeremias, O. Cullmann . . . ) , poi anche dall'in terno della sua scuola (E. Kasemann, G. Bornkamm, E. Fuchs . . . ) . È facile notare infatti che essa trascura quei gesti caratteristici di Gesù , sicuramente storici perché troppo «scandalosi» per poter es sere stati inventati dalla comunità cristiana (mangiare con i pecca tori, porsi al di sopra della Legge . . . ) , gesti tali da oltrepassare i confini di una missione puramente profetica.7 È importante però notare subito che questa critica della ricostruzione bultmanniana non deve tradursi in alcun modo in un ritorno all'immagine libera le, «antigiudaica», di Gesù; mentre si insiste sulla novità di Gesù che supera i limiti veterotestamentari, al tempo stesso va sottoli neata la profonda adesione di Gesù all'eredità spirituale del suo popolo. L'orizzonte capace di tener insieme i due aspetti a prima vista contrastanti , la continuità e la discontinuità tra Gesù ed Israe le , individuato, in varia maniera, nell'idea di «storia della salvez za». Resta però ancora largamente aperto , a nostro avviso , il pro blema di dove collocare l'una e l'altra, la continuità e la disconti nuità, all'interno di un'unica immagine che non diventi frammenta ria e priva di una sua coerenza ed intelligibilità. Sarà necessario perciò, dopo qualche osservazione preliminare più concreta sulla presenza delle Scritture nella vita personale di Ge-
6 R. BuLTMANN , Il cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche, Mi lano 1964, 69-78; cf. Io . , Gesù , Brescia 1972 ; I o . , Theologie des Neuen Testaments, Ttibingen 7 1977 , 10-21 . Cf. P.-G. MOLLER, «Altes Testament , lsrael und das Juden tum in der Theologie Rudolf Bultmanns», in Kontinuitiit und Einheitfur F. Muf3ner, a cura di P.-G. MOLLER - W. STENGER, Freiburg i . B . 1981 , 439-472; H. HOBNER , «Ru dolf Bultmano und das Alte Testament» , io KuD, 30( 1984) , 250-272. 7 Per una sintesi cf. per es. J. DuPONT, «A che punto è la ricerca sul Gesù stori co», in Conoscenza storica di Gesù, Brescia 1978, 7-3 1 .
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sù e nel suo modo di insegnare (§ 2) , esaminare distintamente il suo atteggiamento nei confronti dei principali filoni teologico-letterari delle Scritture ebraiche:8 la Legge (§ 3) , i Profeti (§ 4) , la Sapienza (§ 5), per cercare alla fine di riassumere gli elementi più essenziali ed unificanti della posizione di Gesù nei confronti di quello che per i cristiani diventerà l' «Antico» Testamento (§ 6) .
UNA VITA IMPREGNATA DI SCRITIURA
2.
2. 1 Le Scritture nella vita personale di Gesù Il primo contatto di Gesù con tutto quel mondo complesso e af fascinante che ruota intorno alla lettura delle Scritture , alla loro tra smissione ed interpretazione , è indicato dal Vangelo lucano nell'epi sodio di Gesù dodicenne fra i dottori nel tempio (Le 2,41-52) . Ma già prima di quell'età, anche se i Vangeli dandolo per scontato ne tacciono, dobbiamo supporre - come ha ben messo in luce lo studio so ebreo francese Robert Aron9 - tutto quel continuo contatto con le Scritture che ogni bambino di famiglia osservante non poteva non avere nella cerchia familiare (l'Ascolta Israele quotidianamente reci tato e appeso anche agli stipiti della porta; le preghiere , i salmi , i detti proverbiali, i racconti: soprattutto quello pasquale ripetuto dal capofamiglia secondo il rito in risposta alle interrogazioni affidate ai più piccoli . . . ) ; poi nella riunione liturgica del sabato presso la sina goga; e anche nella piccola scuola attigua, nella quale s'imparava a leggere cantilenando i testi biblici . 10 Non tacciono invece i Vangeli, benché discordi nell'indicare il testo, che Gesù ha chiuso la sua vita terrena pregando, sulla croce, con le parole di un salmo (Mt 27,46; Mc 15 ,34; Le 23,46; Gv 19,2830). A questa conclusione corrisponde del resto anche l'inizio della missione, l'episodio delle tentazioni nel deserto., che descrive Gesù l
8
È l'itinerario seguito - muovendo però dall'AT verso Gesù - da C. WESTER MANN, L'Antico testamento e Gesù Cristo , Brescia 1976. 9 R. ARON , Gli anni oscuri di Gesù, Milano 1978. 10
Sul sistema di istruzione ebraico ai tempi di Gesù si ha ora l'ampio studio di
�· RIESNER, Jesus als Lehrer. Eine Untersuchung zum Ursprung der Evangelien
Uberlieferung, (WUNT 1117) , Ttibingen 198 1 , ..97-245 ; cf. anche la breve sintesi ; lo. , «Judische Elementarbildung und Evangelien-Uberlieferung» , in Gospel Perspectives, l, a cura di R . T FRANCE - D . WENHAM, Sheffield 1980, 209-223. .
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come colui che trova la sua forza nella Parola che esce dalla bocca del Padre (Mt 4,4 11 Le 4,4; cf. Dt 8,3) . Quale che sia il nucleo storico dell'episodio ,11 che rivela le tracce del lavorìo scritturistico cristiano e finisce per assumere l'aspetto di una dotta schermaglia a colpi di citazioni bibliche tra Gesù e il tentatore come tra due esperti rabbi ni , il racconto comunque coglie certamente nel segno nel sottolinea re l'importanza del deserto per Gesù, come luogo di preghiera ali mentata dalla Parola (cf. Mc 1 ,35 par. ; 6,31s; Gv 11 ,54) . Oltre ai salmi, certamente recitati non solo nelle occasioni pre scritte (cf. Mc 14,26 par. : l'Hallel pasquale, cioè i salmi 113-1 18) , Gesù deve avere amato anche le altre preghiere della liturgia e della pietà privata, 12 di cui il Padre nostro rivela tutto un intreccio di remi niscenze. 13 Con tono di venerazione , più forte di quello che si riscon tra nei contemporanei, 14 ha parlato di Gerusalemme come «la città del gran Re» (Mt 5 ,35) , del tempio come «la casa di Dio» (Mc 2,26; Gv 2, 16) , il luogo dove Dio abita (Mt 23,21), dell'altare che comuni ca la sua sacralità alle offerte che vi vengono deposte (Mt 23 , 16-19) ; ha additato ad esempio la povera vedova che dona i suoi ultimi spic cioli per le spese del culto (Mc 12,41-44 par.); ha scacciato i mercan ti e coloro che profanavano lo spazio sacro utilizzandolo come scor ciatoia (Mc 1 1 , 15-17) . 1 5 Tutto converge nel mostrarci un profondo
1 1 Cf. J . DuPONT, Le tentazioni di Gesù nel deserto, Brescia 1970.
12
Cf. J. JEREMIAS, «Das Gebetsleben Jesu» , in ZNW, 25(1926) , 123-140; In . , Teologia del Nuovo Testamento , 1 : La predicazione di Gesù, Brescia 1972 , 213-233; J . M . NIELEN , Gebet und Gottesdienst im NT. Eine Studie zur biblischen Liturgie und Ethik, Freiburg i . B . 1937, 1-72; J. DuPONT, «Jésus et la prière liturgique», in MD , (1968 ) , 95 , 16-49 , riprodotto in In . , Études sur /es Évangiles Synoptiques, (BEThL 70 ) , Leuven 1985 , 146-179. Più congetturali le ipotesi di O. BETZ , > , in In . , Jesus. Der Messias Israe/s (WUNT 42) , Tiibingen 1987, 185-201 ; In. , desu Tischsegen. Psalm 104 in Lehre 13 und Wirken Jesu» , ivi, 202-231 . Per i particolari cf. J . JEREMIAS, Das Vater- Unser im Lichte der neueren For 3 schung, (CwH 50 ) , Stuttgart 1965 ; tr. it in In. , Gesù e il suo annuncio , Brescia 1993 ; H. ScHORMANN, Il Padre nostro alla luce della predicazione di Gesù, Roma 1967 . 1 4 L'osservazione è di H. BRAUN , che inserisce il fenomeno nella radicalizzazio ne caratteristica di Gesù: Spiitjudisch-hiiretischer und fruhchristlicher Radikalismus. 2 Jesus von Nazareth und die essenische Qumransekte, (BHTh 24) , Tiibingen 1969, Il, 63. 15 Va rettificata l'interpretazione anticultuale del gesto, comune in molti autori, per esempio E. LoHMEYER, Kultus und Evangelium , Gottingen 1942, 85-87 ; F. HAHN, Il servizio liturgico nel cristianesimo primiJivo , Brescia 1972, 31-35 ; cf. invece JERE MIAS, Teologia del NT, l, 237s. La critica di Gesù all'ipocrisia, alla scissione tra culto e vita etica (cf. per esempio Mt 5,23s; Mc1 1 ,25 ; Mt 23,25s Il Le 1 1 ,37-41) non implica una critica al culto come tale (cf. Mc 12 ,33 con 1Sam 15 ,22) .
39
radicamento nella spiritualità ebraica, e dunque nelle Scritture, che ne costituivano l'epicentro.
2.2. Le Scritture nel metodo didattico di Gesù I Vangeli segnalano ripetutamente che Gesù insegnava il sabato nelle sinagoghe (Mc 1 ,21-28 par. ; 3,1-6 par. ; 6,1-6 par. ; Le 13, 10-17; Gv 6,22-59) , notando anzi che questa era una sua prassi abituale (Mc 1 ,39; Mt 4,23 ; 9,35 ; Le 4,16.44; Gv 18,20) ; non precisano però se si limitava ad approfittare dell'occasione per trovare la gente già riunita, o si inseriva direttamente nella celebrazione liturgica av valendosi del diritto riconosciuto ad ogni adulto di fare la lettura e l'omelia (cf. At 13,5. 14s; 14, 1 ; 17 ,1s. 10; 18,4s. 19; 19,7) . Ciò avviene solo nell'episodio lucano della predica inaugurale a Nazaret (Le 4,16-30) , che però differisce notevolmente dai paralleli (Mc 6,1-6 e Mt 13 ,53-58) e presenta forti tracce di rielaborazione teologica. 16 Non si può escludere che a volte Gesù abbia sfruttato questa possibi lità, ma non dev'essere stata questa la forma più frequente del suo insegnamento. A partire da un certo punto poi non più la sinagoga ma spazi aperti, soprattutto sulla riva del lago, diverranno il luogo preferito per il suo insegnamento; lo schema marciano, che collega questo cambiamento all'incipiente tensione con gli avversari (cf. 1 ,21-28.39; 3, 1-6; poi invece 3,7-12; 4,1s, ecc. ) , sembra riflettere un dato storico. Con l'omiletica sinagogale l'insegnamento di Gesù non presenta contatti tli rilievo , al di là del ricorso, caro all'uditorio popolare, a fi gure ed esempi biblici classici: Abele, Noè, Salomone , Giona . . . Non ricalca, se non occasionalmente , le varie tecniche scritturistiche con temporanee , la halakah , la haggadah , il midrash , il pesher, e via di cendo. 1 7 Gli ascoltatori, abituati ad ascoltare i rabbini , colgono subi1 6 Rinviamo al paragrafo su Luca-Atti .
1 7 Cf. il breve paragrafo «Jésus et les techniques exégétiques» , in P. GRELOT, La
2 Bible Parole de Dieu , (BT 115), Paris-Tournai 1965 , 187s . I contatti su cui insistono alcuni studiosi - cf. per esempio J.W. DoEVE, Jewish Hermeneutics in the Synoptic Gospe/s and Acts, Assen 1954; C . H . CAVE, «The Parables and the Scriptures» , in NTS, 1 1 (1964-65), 374-387 «Les paraboles et l' Écriture», in BVC, 14( 1966) , 72, 3549; E.E. ELLIS , «New Directions in Form Criticism», in Jesus Christus in Historie und Theologie. Neutestamentliche Festschrift jùr H. Conzelmann zum 60. Geburtstag, a cura di G . STRECKER, Tiibingen 1975 , 299-3 15; In. , «Midrash, Targum and NT Quota tions>> , in Neotestamentica et semitica. Studies in honour of M. Black, a cura di E.E. ELus - M. WILcox, Edinburgh 1969, 61-69 - non risultano sempre convincenti e co munque riguardano solo un numero limitato di brani ; cf. le critiche di RIESNER, Jesus a/s Lehrer, 358s . =
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to qualcosa che lo differenzia da essi, 18 soprattutto il suo tono di au torità (Mc 1 ,22; Mt 7,28s) . In effetti , i rabbini non rivendicavano un'autorità personale ma solo quella della tradizione, di cui il conti nuo studio li aveva resi depositari; la tradizione stessa poi a sua vol ta, più che un'autorità propria, possedeva quella della rivelazione si naitica, di cui intendeva essere semplicemente interpretazione ed applicazione. Direttamente o indirettamente dunque, attraverso ar gomentazioni di vario tipo da lui stesso escogitate oppure ereditate dai maestri precedenti, il rabbino aveva alle spalle l'autorità della ri velazione divina fatta a Mosè e consegnata alle Scritture ;19 appog giare ogni sua affermazione ad uno o più testi biblici era dunque per lui un'esigenza fondamentale . Gesù invece non sente il bisogno di citare né l'autorità di altri maestri , né i testi biblici stessi; né si è po tuto dimostrare che nel suo insegnamento ai discepoli avesse un qualche spazio il commento di determinati passi biblici. 20 Questa «indipendenza» di Gesù nei confronti delle Scritture non significa però indifferenza nei loro confronti . In realtà, come ora ve dremo , Gesù fa riferimento ad esse in un'altra maniera, più profonda .
3.
GESÙ E LA LEGGE21
Il cristiano di oggi, inconsapevolmente, è portato ad attribuire a Gesù la propria posizione nei confronti della Legge, che per lui in ultima analisi - attraverso tutta una serie di troppo comode distin zioni (lettera l spirito, esteriore l interiore, tradizione l progresso, e via dicendo) - finisce per ridursi ad un certo numero di grandi valori morali, ad una «legge naturale>> iscritta nella coscienza di ogni uo18 I l titolo Rabbi può spiegarsi col fatto che Gesù insegnava e aveva discepoli ; non implica che avesse ricevuto una formazione di tipo rabbinico: RIESNER, Jesus als Lehrer, 239-244 . Per il confronto in generale , cf. M. PESCE, «Discepolato gesuano e discepolato rabbinico. Problemi e prospettive della comparazione» , in ANRW IUXXV/1 , (1985), 351 -389. 19 W.G. KtiMMEL, «Jesus und der jiidische Traditionsgedanke», in Io . , Heilsge schehen und Geschichte. Gesammelte Aufsiitze 1933-1964, (MThS 3), Marburg 1965 , 15-35 ; precedentemente in ZNW 33 (1934) , 105- 130. 20 Come ipotizzò C.H. Dooo , Secondo le Scritture. Struttura fondamentale della teolo�ia del Nuovo Testamento, Brescia 1972, 1 13-1 15. Questo paragrafo è stato anticipato nell'articolo «Gesù e la legge», in Rasse gna di teologia , 30(1989), 528-538 ; riprodotto anche in Israele e le genti, (RdT Books 2) , Roma 199 1 , 73-88. Non ho potuto tener conto di F. VouGA, Jésus et la Loi selon la tradition synoptique, Genève 1988 e di Jesus und das ìudische Gesetz , a cura di I. BROER , Stuttgart 1992.
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mo, che la rivelazione si sarebbe limitata a confermare. Indubbia mente, anche per l'ebreo osservante le varie prescrizioni non vanno messe tutte sullo stesso piano; la Legge però è un tutt'uno. In parti colare, alla nostra sensibilità tutta occidentale e moderna, poco at tenta alla dimensione simbolica, non è facile comprendere il valore di tutto il vasto complesso delle norme di purità rituale, che a noi sembrano solo dei tabù più o meno irragionevoli . Assai diversa però è l'esperienza di chi le vive dall'interno. Av volgendo con la fitta rete delle prescrizioni tutti i momenti dell'esi stenza quotidiana del fedele, mantenendola sempre orientata al cul to del Signore , del quale continuamente ribadiscono la santità, la trascendenza, la radicale opposizione a tutto ciò che attiene alla sfe ra della corruttibilità e della morte, esse mirano a tenere sempre vi va la consapevolezza dell'identità di Israele, del suo rapporto col Dio vivente. 22 Non meno anacronistica va considerata anche un'altra nostra di stinzione , in base alla quale Gesù avrebbe limitato il suo rispetto so lo alla parola di Dio, la Legge scritta, rigettando invece, in quanto puramente «umana», tutta la tradizione successiva. Le due cose in realtà non possono essere scisse cosi semplicisticamente : la tradizio ne rabbinica non è un'arbitraria aggiunta umana alla parola divina, ma un continuo sforzo di interpretazione ed attualizzazione, indi spensabile perché nel volgere dei tempi e delle situazioni Israele possa continuare a vivere nella fedeltà a quella parola; in concreto non era concepibile essere rispettosi della Torah senza esserlo anche dell'interpretazione datane da coloro che si rendevano esperti in es sa dedicando tutta la loro vita a studiarla e commentarla. E in effet ti, anche se non esita a criticarla in casi particolari , come quello del korban (Mc 7,9-13) , Gesù non la respinge mai in blocco.23 Da un la to, egli si rivela rispettoso anche della tradizione ; dall'altro, come vedremo , la sua inaudita rivendicazione di autorità non si ferma neppure di fronte al testo della Torah.
22 G. VON RAo , Teologia dell'Antico Testamento, I: Teologia delle tradizioni sto riche d'Israele, Brescia 1972, 235s .312-321 . 23 Monografia: S. WESTERHOLM, Jesus and Scribal A uthority, (CB. NT 10) , Lund 1978.
42
3.1.
Il problema storico
Dopo le opposte unilateralità del passato (cf. § 1) , l'esegesi con temporanea generalmente riconosce l'impossibilità di ridurre Gesù al l'una o all'altra immagine troppo semplice, quella del pio rabbino pie namente ligio alla legge24 o quella, cara ai moderni, del trasgressore e del contestatore;25 non senza il rischio però di fermarsi a sua volta ad un'immagine sfuocata, oscillante, confusa, se non addirittura contrad dittoria:26 in Gesù che di volta in volta mantiene l'obbedienza alle nor me mosaiche o addirittura la radicalizza, salvo poi in altri casi a trasgre dirle , criticarle , reinterpretarle , o addirittura abrogarle . Per quanto alieno da una «sistematicità» astratta, 27 come supporre che Gesù abbia agito opportunisticamente o capricciosamente o senza rendersi conto di quel che faceva (Harnack lo paragonava a Lutero in quella fase in cui ancora non si era reso conto che le sue posizioni ormai lo ponevano fuo ri della dottrina ufficiale).28 S'impone uno sforzo di comprendere le motivazioni del suo atteggiamento; di individuare un filo conduttore capace di tenere insieme tanto la continuità quanto la novità all'interno di una visione unitaria, in qualche modo «teologica» , di cui non poteva essere privo nei confronti di una realtà così importante nella vita di Israele . Qual era, insomma, il suo progetto nei confronti della Legge? Renderla ancor più rigorosa, o invece renderla più praticabile, sempli ficarla? Darne l'interpretazione autentica? Correggerla, perfezionar la, modificandone ed abrogandone alcuni elementi? Dare una «nuova Legge?» Superare la Legge stessa come tale? 24 Non molti oggi gli studiosi che mantengono (e radicalizzano) la posizione bult manniana; fra gli altri : W. ScHMITHALS, «Jesus und die Apokalyptik>> , inJesus Christus in Historie und Theologie, a cura di STRECKER, 59-85 ; In . , «> , in Judaica, 26( 1970) 105-124; G.N. STANTON , The Gospels and Jesus, Oxford 1989, 235-247. TI Cf. BRAuN , Spiitjudisch-hiiretischer. . , Il, 8-14. 28 A. voN HARNACK, «Hat Jesus das alttestamentliche Gesetz abgeschafft?», in In. , Aus Wissenschaft und Leben , Il, Giessen 191 1 , 227-236. .
43
S'�mpone però un'operazione preliminare di ricostruzione stori ca. I Vangeli infatti riportano un gran numero sia di gesti concreti che di insegnamenti di Gesù che hanno a che fare con la Legge, in cluse anche alcune dichiarazioni di principio di portata assai genera le , che sembrerebbero dare q.na risposta chiara e diretta al nostro in terrogativo ; tuttavia proprio la complessità dei dati, che arriva a vol te a innegabili divergenze, rende difficile coglierne unitariamente il significato . All'inizio del discorso della montagna, con estrema so lennità, la Legge è dichiarata intangibile in ogni sua più minima par te (Mt 5,17-19) ; altrove invece , con altrettanta solennità, viene pro clamato che non esiste impurità se non quella interiore (Mc 7,15 par.), il che equivale a canceliarne di colpo intere sezioni , tra le più ampie . Tanto che alcuni hanno fatto l'ipotesi che Gesù nel corso del suo ministero abbia modificato la sua posizione ;29 oggi però sembra più fondato riconoscere che alcuni di questi testi evangelici sono sta ti formulati secondo le tendenze teologiche dei vari gruppi cristiani (cf. Gal 1-2 ; At 15, 1-35) , gli uni protesi verso una sempre più com pleta emancipazione dalle osservanze mosaiche , gli altri riluttanti a seguirli su questa strada o propensi addirittura a un irrigidimento. 30 Indubbiamente , bisogna tener conto anche del fatto che gli uni e gli altri non potevano arrivare alle rispettive posizioni senza un qualche punto di appoggio nell'atteggiamento di Gesù; entrambi , come ve dremo , ne coglievano un aspetto reale, formulandolo però in termi ni non riconducibili direttamente al Gesù prepasquale. Solo rinun ziando ad armonizzare concordisticamente tutti i testi e riconoscen do il carattere postpasquale di alcuni di essi, si apre la via ad una ri costruzione più chiara e coerente . Essa dovrà far leva, oltre che sui criteri di discontinuità3 1 e di coerenza, soprattutto su quello di spiegazione sufficiente:32 occorre 29 M. HuBAUT, � , dunque , nella quale si nasconde , almeno implicita mente, anche una cristologia.71 Non si tratta di una novità di tipo teoretico, una nuova idea di Dio o dell'uomo, rispetto a quella di Israele, ma della novità di un evento; Gesù non ha semplicemente parlato di un Dio «vicino» : lo ·
67
V. Fusco, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, Roma 1983 . Cf. DuPONT, Le beatitudini, l, 635-719. Ulteriori ipotesi, più congetturali , in O . BETZ, «Jesu Evangelium vom Gottesreich», in Das Evangelium und die Evange lien , a cura di . P . STUHLMACHER, (WUNT 28) Tubingen 1983 , 55-77 ; ripubblicato in BETZ, Jesus', 232-254; B . CHJLTON , A Galilean Rabbi and His Bible: Jesus own lnter pretation of Jsaiah , London 1984. 69 Fusco, Oltre la parabola , 94-99. 70 GoPPELT, Theologie des NT, l, 76s. 71 JEREMIAS , Le parabole di Gesù, 270s; In . , Teologia del NT, 116-129; DUPONT, Le beatitudini, l, 656-674. 68
55
ha reso vicino.72 E tuttavia il Dio che Gesù rende vicino in maniera inaudita e definitiva, è il medesimo Dio di cui già Israele aveva spe· rimentato la vicinanza e la lontananza, la presenza e l'attesa; l'even· to indicibilmente nuovo è l'adempimento delle attese antiche .
4.2. Il mistero della morte e risurrezione del Figlio dell'uomo Dall'annunzio pubblico del Regno, Gesù a un certo punto della narrazione sinottica passa a quello della sorte che lo attende a Geru salemme , riservato ai discepoli . Qui più che altrove è impresa assai ardua voler ricostruire gli ipsi.Ssima verba di Gesù ;73 ed ancor più ar dua voler precisare se e come Gesù stesso abbia ricollegato questi eventi alle Scritture , come fanno ripetutamente i Vangeli , in forma globale (Mc 9,12; 14,21) o in forma più dettagliata citando determi nati testi. Moltissimo si è discusso soprattutto sull'origine del titolo «il Fi glio dell'uomo»74 e sulla possibilità di ricondurre a Gesù stesso - se non addirittura a prima di Gesù - la fusione di questa figura gloriosa (Do 7, 13s) con quella del Servo sofferente (Is 52,13-53 ,12) .75 È facile constatare che nelle tre predizioni della passione (Mc 8,3 1 ; 9,31 ; 10,32-34, e rispettivi paralleli) il riferimento alle Scritture non è presente neppure in forma generica se non nella redazione lu cana della terza predizione (Le 18,31-33) .76 A maggior ragione , è difficile ricondurre a Gesù quei testi in cui il riferimento della passione alle Scritture si fa ancor più dettagliato. . Un discorso a parte andrebbe fatto per l'ultii:na cena (Mc 14,1725 par . ) , in cui parole e gesti rinviano indubbiamente a un ricco sfondo veterotestamentario,77 però piuttosto ricbiamando global·
n
Lo riconosce in qualche modo anche BuLTMANN, Gesù, 264. Uno dei tentativi più interessanti è quello di H. ScHORMANN, Gesù di fronte alla propria morte. Riflessioni esegetiche e prospettive, Brescia 1983 ; però con le diffi coltà da noi sottolineate in altra sede : cf. Gesù e la sua morte. Atti della XXVII setti mana biblica, Brescia 1984 , 396-398 ; cf. anche G . GHIBERTI , «Ges .. e la sua morte se condo i racconti della cena . Alcune interpretazioni del XX secolo>> , ivi, 129-153. 73
7 4 Bilancio recente : S . LtGASSE, «Jésus historique et le Fils de l'homme : aperçu sur les opinions contemporaines», in Apocalypses et théologie de /'espérance, (LeDiv 95) , Paris 1977, 271 -298. 75 Cf. H.C. CAVALLIN , «Tod und Auferstehung der Weisheitslehrer. Ein Beitrag zur Zeichnung des frame of reference Jesu» , in SNTU, 5(1980) , 107-121 . 76 Cf. il capitolo sui Sinottici, § 1 . 1 . n F. HAHN , «Die alttestamentlichen Motive in der urchristlichen Abendmahlsii berlieferung», in Ev Th , 27(1967) . 337-374 . ·
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mente l'insieme delle premesse salvifiche: redenzione , alleanza , re gno di Dio, convito escatologico . . È possibile che sullo sfondo ci siano alcuni testi particolari (Ger 31 ,31 ; Is 52 , 13-53, 12) ma non pro priamente come «predizioni» nel senso della successiva apologetica cristiana. .
·
5.
GESÙ E LA SAPIENZA
Resta ancora un aspetto che esige una particolare riflessione. Nell'insegnamento etico di Gesù non sempre la motivazione è esca tologica; spesso prevalgono motivazioni di altro tipo , fondate non sull'approssimarsi del Regno ma su uno sguardo alla realtà perenne dell'uomo, delle cose create, del loro rapporto con Dio: motivazioni cioè , in prima approssimazione , di tipo «sapienzale».78 L'invito ad amare i nemici viene motivato con l'esigenza di imitare il comporta mento del Padre, il quale « . . . fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa scendere la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti . . . » (Mt 5 ,45 11 Le 6,35) ; il distacco dai beni terreni, il fiducioso abbandono alla provvidenza, viene motivato con uno sguardo agli uccelli del cielo e ai fiori del campo, che senza affaticarsi per il loro futuro rice vono nutrimento e splendido vestito (Mt 6,25-34 11 Le 12,22-32; Mt 10,29-31 Il Le 12,6s) . Resta pur vero che, globalmente considerato , il messaggio di Gesù rivela una struttura di tipo profetico-escatologico e non d\ tipo puramente sapienziale, fondato cioè unicamente sull'autorità dell'e sperienza e della prolungata riflessione . Ciò non toglie però che al l'interno di esso non tutto venga motivato con l'approssimarsi del Regno; è presente anche un elemento di tipo sapienziale, uno sguar do diretto alla realtà stessa delle cose. Per comprendere come esso si integri organicamente nell'insie me del messaggio di Gesù, 79 è importante ricordare quell'intima 78 D. LOHRMANN , «Der Verweis auf die Erfahrung und die Frage nach der Ge· rechtigkeit>> , in Jesus Christus inHistorie und Theologie, 185-196; W. GRUNDMANN, Weisheit im Horizont des Reiches Gottes. Eine Studie zur Verkundigung Jesu nach der Spruchuberlieferung Q , in Die Kirche des Anfangs. Festschrift fur H. Schurmann zum 65. Geburtstag, a cura di R. SCHNACKENBURG, (EThSt 38) , Leipzig 1977, 175-199; D. ZELLER, Die weisheitlichen Mahnspruche bei den Synoptikern, (FzB 17) , Wiirzburg 1977. 79 Su questo punto è interessante la discussione fra i due noti esegeti cattolici A. Vogtle e H. Schiirmann. Il primo, con la posizione oggi più comune , riconduce l'etica di Gesù all'escatologia (che a sua volta però ha un'implicazione cristologica) ; il secon do ritiene che l'etica di Gesù non abbia solo una motivazione escatologica , ma anche una motivazione teo-logica o teo-centrica: entrambe poi fanno perno sull a cristolo-
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connessione che , nella visione biblica, collega il compimento all'ini zio, le realtà ultime alle realtà prime. Non a caso nelle apocalissi ebraiche, e cristiane si ritorna alle immagini delle prime pagine della Genesi. L' éschaton non è un «altro» mondo, ma questo stesso mon do redento, reso «nuovo». Come già notato parlando del radicalismo etico di Gesù (§ 3.3) , esso consiste appunto nel riportare le cose alla loro verità originaria, alla loro arché (Mc 10,1-12 par.).80 Ma per poter cogliere questa ve rità originaria delle cose occorre uno sguardo nuovo, libero, uno sguardo innocente. Non basta il lento processo secolare di accumu lazione di esperienza e di attenta riflessione, che poi si consegna ai posteri nella forma incisiva della sentenza proverbiale ben ritmata. Quello di Gesù è sl , come negli autori sapienziali, uno sguardo alla realtà quotidiana: ma uno sguardo più immediato , più profondo; è lo sguardo «filiale» di colui che conosce il Padre e sa vedere ogni co sa come la vede il Padre. Come per la Legge e per i Profeti, così an che per la corrente sapienziale l'inserimento di Gesù è caratterizzato da continuità e discontinuità al tempo stesso . Non senza fondamen to la tradizione sinottica (Mt 1 1 ,25-30 Il Le 10,21-23) e più diffusa mente quella giovannea faranno parlare Gesù non tanto come gli autori sapienziali quanto come la Sapienza stessa,81 e spingendosi ancor più a fondo su questa linea, altri scritti neotestamentari pro clameranno audacemente l'identità tra la Sapienza e Gesù. Uno svi luppo che , quale che sia l'apporto della rilettura cristiana, in ultima analisi trova anch'esso il suo fondamento nell'esperienza e nell'inse gnamento di Gesù stesso.82
gia, sulla coscienza filiale di Gesù . Cf. H. ScHORMANN, «Eschatologie und Liebes dienst in der Verkiindigung Jesu», in ID. , Gesammelte Aufsiitze, II, Diisseldorf 1970, 279-298; ID . , «Il più importante problema ermeneutico della predicazione di Gesù. Rapporti fra escato-logia e teo-logia» , in Orizzonti attuali della teologia , Roma 1966, l, 591-636; A. VOGTLE, «"Theo-logie" und "Eschato-logie" in der Verkiindigung Je su» , in NT und Kirche. Festschrift fùr R. Schnackenburg, a cura di J . GNILKA, Frei burg i . B . 1974, 371-398. Ell U . B . MOLLER, «Vision und Botschaft. Erwligungen zur prophetischen Struk tur der Verkiindigung Jesu», in ZThK, 74(1977) , 416-448. 81 Cf. Mt 1 1 , 19 Il Le 7,35 ; Mt 12,42 11 Le 1 1 ,31 ; Mt 23,34-36 11 Le 1 1 ,49-51 . 82 Per un approfondimento di questo aspetto: A . FEUILLET, «Jésus et la sagesse divine d'après les évangiles synoptiques. Le "logion johannique" et l'Ancien Testa menb>, in RB, 62(1955), 161-196; P.-E. B oNNARD , La Sagesse en personne annoncée et venue: Jésus Christ, (LeDiv 44) , Paris 1966, 124-133; F. CHRIST Jesus-Sophia. Die Sophia-Christologie bei den Synoptikem, (A ThANT 57) , Ziirich 1970; M. HENGEL, «Jesus als messianischer Lehrer der Weisheit und die Anflinge der Christologie», in Sagesse et religion. Colloque de Strasbourg, octobre 1975, Paris 1979, 147-188. ,
58
6.
CONCLUSIONI
Da questo sommario sguardo all'atteggiamento di Gesù nei con fronti delle Scritture ebraiche nelle loro varie componenti, risultano chiari alcuni dati di fondo. l) In negativo, si deve constatare la di Gesù nei confronti delle Scritture . Né con le folle , né con gli avversari, né con i discepoli Gesù , almeno abitualmente , ha insegnato appellandosi ai testi delle Scritture. I riferimenti biblici spesso mancano del tutto, a volte vanno attribuiti alla comunità postpasquale; ma anche quando sono presenti ed attribuibili a Gesù , non si collocano al centro del suo insegnamento ; non sono invocati a fondamento di quelli che ne sono i temi centrali , ma solo occasionalmente , soprattutto per repli care agli avversari su punti particolari o denunZiarne certe contrad dizioni (per esempio in Mc 7,6s. l0 par. ; 12, 36 par . ) . Tuttavia questo dato negativo non è che il risvolto d i un dato po sitivo : Gesù parla come portatore di una rivelazione nuova, in atto , affidata a lui. A differenza però anche dai profeti, non usa neppure le classiche formule introduttive: «Oracolo del Signore . . . «Cosi di ce il Signore . . «Parola del Signore che fu data ai profeta . . . >> ; la sua autorità si presenta come più immediata, più radicale, ricevuta direttamente dal Padre. »,
.
»,
2) Però questa rivelazione nuova, in atto, di cui Gesù si sente porta tore , non è in contrasto ma in continuità con quella antica. YHWH, il Dio vivente rivelatosi a Israele, il Dio della Legge e dei profeti, ed il Padre, l'Abba invocato da Gesù e proclamato dai cristiani come autore della risurrezione di Gesù dai morti (cf. Rm 4,24) , sono un unico e medesimo Dio . 83 Per quanto ci si sforzi di eliminare il lavorio scritturistico dei primi cristiani, per quanto si risalga all'indietro nel la ricostruzione storica, non viene fuori mai né un Gesù privo di rife rimento alle Scritture né un Gesù che legga le Scritture come un qualsiasi altro ebreo, senza riferirle alla realtà nuova di cui è lui por tatore . Più facile risulta il discorso sui grandi temi biblici ripresi da Ge sù, più arduo il discorso sull'uso gesuanico di testi particolari. 84 Quel 83 Espressioni in senso contrario si leggono in J. BECKER, «Das Gottesbild Jesu und die iilteste Auslegung von Ostem», in Jesus Christus in Historie und Theologie, 105-126. 84 Cf. T. W. MANSON , «The Old Testament in the Teaching of Jesus» , in BJRL, 34(1951-52) , 312-332.
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che è certo, comunque, è che Gesù non ha praticato una lettura «se lettiva» , accettando dell'AT solo alcuni elementi e respingendone altri (i profeti a scapito della Legge, l'etica a scapito del culto, l'uni versalismo a scapito dell'elezione di Israele , le speranze ultraterrene a scapito di quelle terrestri, o viceversa la linea sapienziale a scapito della linea apocalittica , e via dicendo, come ha ritenuto la scuola li berale, ma non essa soltanto) . Tutto ha accettato,85 ma tutto ha mo dificato, tutto ha posto in una nuova luce. È arbitrario affermare che Gesù avrebbe percorso solo il cammino discendente , leggendo le Scritture alla luce di se stesso, e non anche il cammino ascendente , leggendo se stesso alla luce delle Scritture.86 Indubbiamente la rela zione non può non rimanere asimmetrica, sbilanciata, col centro di gravità nel nuovo e non nell'antico ; tuttavia, come fa efficacemente G. von Rad,87 occorre sottolineare l'ineliminabile circolarità erme neutica, in forza della quale non è soltanto l'Antico Testamento a restare incomprensibile senza il Nuovo, Israele senza Gesù, ma an che il Nuovo a restare incomprensibile senza l'Antico , Gesù senza Israele. 3) È la prospettiva della storia della salvezza a consentire di cogliere unitariamente, già in Gesù , tanto la discontinuità con l'AT quanto la continuità.88 Però l'interpretazione storico-salvifica dev'essere for mulata con maggior rigore e coerenza in entrambe le direzioni, ri spettando veramente il divenire storico: non solo evitando di ridurre Gesù entro un ambito puramente giudaico, ma al tempo stesso , prendendo maggiormente sul serio il fatto che Gesù è nato, vissuto e morto «sotto la Legge» (Gal 4,4) ,89 evitando anche di anticipare al 85 Anche autori non «liberali» scrivono a volte che Gesù avrebbe contestato la canonicità delle Scritture. A parte l'anacronismo del concetto, a noi sembra che nes sun caso, compresa la «abrogazione» del ripudio (v.s. ) , autorizzi una tale concezione ; Gesù non nega che quella particolare prescrizione appartenga alla rivelazione fatta da Dio a Mosè, ma intende questa rivelazione come tappa non definitiva. 86 Cosi per esempio, in un contesto storico che rende più grave l'affermazione , J. HEMPEL, «Der synoptische Jesus und das AT» , in ZA W, 56( 1938) , 1-34, a p. 34. 87 Teologia dell'A T, II, 465s. 88 Con W.G. KOMMEL, «Heilsgeschichte im Neuen Testament?», in NT und Kir che, 434-357. A torto BuLTMANN (Gesù, 230-231 ) giudica estranea a Gesù la visione storico-salvifica (creazione - caduta - redenzione) pur riconoscendo che senza di essa non è possibile comprendere come vi sia « . . . un tempo in cui Dio non regni» (ivi, 228) . Il che equivale, tra l'altro, a negare l'ebraicità di Gesù proprio da parte di chi per altro verso vuole racchiudere Gesù nell'ambito dell'ebraismo. ' 89 Notare, in tal senso , la posizione di s. ToMMASO o AQUINO: « . . . currebant si mul lex et evangelium, quia iam mysterium Christi erat inchoatum sed nondum con summatum» (STh la·II"", q. l03 , a. 3) .
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ministero prepasquale quanto sarà acquisito solo con la risurrezione e con le successive esperienze della chiesa primitiva. Distinguendo - anche se non contrapponendo - prescrizione di Mosè e volontà di Dio (Mc 10,1-12 par.) Gesù presuppone che Dio attraverso Mosè abbia espresso la sua volontà per una situazione de stinata un giorno a cessare ; in questo senso possiamo dire che Gesù ha anche della Legge, oltre che dei profeti , una comprensione stori ca. Non può dunque richiamarsi a Gesù né il rigetto della Legge (Marcione) , né l'appropriazione cristiana della Legge (e correlativa espropriazione dei giudei) ottenuta attraverso l'allegoresi, leggendo cioè nei precetti mosaici la descrizione simbolica di realtà spirituali future ; ma neppure l'opposta tentazione di sminuire la novità evan gelica ricalcando , come nella cristianità medievale e in altri momenti storici, modelli spirituali e politici decisamente veterotestamentari. 90 Ma anche l'operazione chirurgica di concentrare la Legge nella par te morale e «abrogare» la parte più rituale legata al patto fra Dio e Israele e non applicabile all'ecclesia ex gentibus , operazione che que st'ultima a suo tempo attribuirà direttamente, in termini di nova lex , a Gesù stesso,91 può rifarsi a lui solo indirettamente, semplificando un più complesso svolgimento storico che passa attraverso la svolta della morte/resurrezione e le successive tormentate vicende della co munità primitiva. Se ci si chiede come Gesù abbia inteso l'idea di adempimento , destinata ad essere concepita in varie maniere nel pensiero cristia no,92 e ad assumere anche una valenza apologetica , per cui il puntua le verificarsi di determinati avvenimenti corrispondenti a determina ti testi veterotestamentari si traduce in una «prova», una conferma del messaggio proclamato,93 è difficile individuare qualche caso in cui tale aspetto risalga a lui. Gesù proclama l'adempimento delle promesse salvifiche , la venuta del Regno atteso da Israele, ma senza fare mai leva sull'idea che ne siano state anticipatamente descritte anche le concrete modalità. Le guarigioni e gli esorcismi che accom90 Questo fenomeno storico è stato finemente descritto negli studi ecclesiologici di Y.M. -J . CoNGAR a proposito dei rapporti chiesa-stato , del ruolo dei laici , della con cezione dell'autorità, ecc. 91 Cf. V.E. HASLER, Gesetz und Evangelium in der alten Kirche bis Origenes, Ziirich-Frankfurt M . 1953 ; P.G. VERWEIJS, Evangelium und neues Gesetz in der alte sten Christenheit bis auf Marcion , Utrecht 1960. 92 Cf. P.-M. BEAUDE, L'accomplissement des écritures: pour une histoire critique des zstème� de représen_ta�ion �� sens chrétien , (Cogitatio fidei 104) , Paris 1980. Cf. mfra c. 4 sm smottJCJ , §§ 3 . 3 , 3 . 4 , ; 4.3.
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pagnano la sua predicazione, hanno valore di segno non in quanto predette ma in quanto testimoniano che la vittoria di Dio sul male è già in atto (Mt 12,28 Il Le 1 1 ,20) .94 4) Rimane assai ardua una risposta all'interrogativo sulla possibilità di individuare un particolare metodo scritturistico di Gesù. 95 Se per «metodo» intendiamo le tecniche esegetiche , anche nei primi cristia� ni esse rimangono in sostanza le stesse dei giudei . 96 Ma anche se per «metodo» vogliamo "intendere qualcosa di più profondo, un criterio ermeneutico, una chiave di lettura generale, le proposte formulate in tal senso rimangono problematiche. Il concetto di lettura «tipolo gica» , cosi come presentato soprattutto da L. Goppelt,97 rimane pro blematico sia in se stesso98 che come riconducibilità a Gesù;99 altret tanto , quello di sensus plenior. 100 Gesù dunque non ha lasciato né una lettura già effettuata, né uno strumento esegetico, una detta gliata criteriologia per poterla effettuare ; ma, in ultima analisi, solo i due termini del rapporto, da una parte la fede nelle Scritture di Israele come parola di Dio valida per sempre, dall'altra se stesso , la sua vita, morte , risurrezione come rivelazione definitiva e salvezza definitiva. È in questo senso che risale a lui la lettura cristiana del l'AT,101 la certezza che Gesù va interpretato alla luce dell'AT, e l' AT alla luce di Gesù. Una certezza che non si traduce in una lettu-
94
Cf. infra c. 4 sui sinottici, § 1.3. Per questi interrogativi cf. PESCE, «Discepolato gesuano . . . », 376s. Tentativi di risposta in Dono , Secondo le Scritture, 1 12-1 15; R. M. GRANT, L'interprétation de la Bible des origines chrétiennes à nos jours, Paris 1967 , 13-23 . 96 Vedi sopra , nota 17. Cf. infra c. 4 sui sinottici, § 5, con la nota 109. 91 L. GoPPELT, Typos. Die tyf.ologische Deutung des Alten Testaments im Neuen , Darmstadt 21973 ( Giitersloh 1939) . 98 a. V. Fusco, «Henri de Lubac e l'unità dei due Testamenti . Domande alla teologia biblica», in La teologia biblica. Natura e prospettive. In dialogo con Giuseppe Segai/a, a cura di E. FRANCO , (Saggi 27) , Roma 1989, 57-66. 99 La classica opera di Goppelt è praticamente inutilizzabile , a questo riguardo, a causa della mancata distinzione tra elementi prepasquali e postpasquali. 100 Non pertinente l'esempio addotto da F. DREYFUS, «L'argument scripturaire de Jésus en faveur de la résurrection des morts», in RB , 66(1959) , 213-224. In Mc 12, 18-27 par. , per convincere i sadducei, che ammettevano solo il Pentateuco, Gesù fa leva sulla riflessione che Dio, se abbandonasse gli uomini per sempre alla morte , non sarebbe più «il Dio di Abramo, di !sacco e di Giacobbe» ( Es 3,6) , il Dio che con l'al leanza ha voluto legarsi agli uomini fino ad essere chiamato il loro Dio, ma un Dio che sta per conto suo , un Dio senza gli uomini . L'argomentazione rivela una straordi naria forza ermeneutica, di per sé tuttavia rimane possibile anche all'interno del giu daismo: non è sensus plenior nel senso più rigoroso del termine (prolungamento del senso originario alla luce del NT) . 101 BEAUDE, L'accomplissement, 303-313 . 95
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ra fatta una volta per sempre ma in uno sforzo di lettura incessante, che dovrà lasciare ampio spazio alla indeducibilità ed imprevedibili tà che , anche in una prospettiva teologica cristiana, accompagnano l'adempimento nelle concrete modalità del suo realizzarsi ,102 all'o scurità sempre inerente alla fede , e alla perdurante tensione del «non ancora» che anche i cristiani sono tenuti a condividere, fino al la fine , con i figli di Israele .
102 Cf. H . U . VON BALTHASAR, Gloria. Una estetica teologica, VI: Antico Patto , Milano 1975 , 341 -35 1 ; VII : Nuovo Patto , Milano 1977 , 37-43.
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L 'uso della Scrittura nel proto-Paolo Giuseppe Barbaglio
È a ragion veduta che si è scelto il termine «Scrittura» invece della formula «Antico Testamento». Per l'apostolo , come per tutto il cristianesimo delle origini , esisteva una sola raccolta di libri sacri, quelli della tradizione ebraica, da lui indicati con le denominazioni ho n6mos (la parte per il tutto) (cf. per es 1Cor 14,21 .34) , ho n6mos kai hoi prophétai (cf. Rm 3 ,21), he graphè (cf. Rm 4,3 ; 9,17 ecc. ; hai graphaì: cf. Rm 1 ,2 ; 15 ,4 ecc . ) . Essendo dunque scontata l'accetta zione di principio, l'interrogativo verte su quale uso ne ha fatto nelle sue lettere , in 1Ts, 1-2Cor, Gal, Rm, Fil, Fm . D'altra parte la lunga storia di studi moderni, a partire da H. Vollmer (1985) , e attraverso A . Von Harnack (1928) , O. Michel (1929) , J. Bonsirven (1939) , E.E. Ellis (1957) fino all'esaustiva mo nografia di D.A. Koch (1986) ,1 ci ha offerto una grande messe di ri sultati, spingendo per altro la ricerca sempre più oltre . Così, per esempio, assodato che Paolo usa di regola il testo dei LXX, ci si do manda a quale tradizione manoscritta si sia riferito e se abbia utiliz zato anche le traduzioni greche di Aquila, Simmaco e Teodozione .2 1 H. VOLLMER, Die Alttestamentlichen Citate bei Paulus textkritisch und biblisch theo/ogisch gewurdigt nebst einem Anhang uber das Verhiìltnis des Apostels zu Philo , Freiburg 1895 ; A. voN HARNACK, «Das Alte Testament in den paulinischen Briefen und in den paulinischen Gemeinden» , in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften , (1928/XII) , Berlin 1928, 124-141 ; O. MICHEL, Paulus und seine Bibe/, Giitersloh 1929 (Darmstadt 1970) ; J. BoNSIRVEN, Exégèse Rabbinique et Exé gèse Paulinienne, Paris 1939; E . E . EL us Pau/'s Use of the 0/d Testament, London 1957 (Grand Rapids 1981); D.A. Kocu, Die Schrift a/s Zeuge des Evangeliums. Un tersuchungen zur Verwendung und zum Verstèindnis der Schrift bei Paulus, Tiibingen 1986 (con ricca bibliografia). Si aggiungano R. PENNA, «Atteggiamenti di Paolo verso l'Antico Testamento», in L 'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologùi, Torino 1991 , 436-469 (or. 1984) ; U. Luz , «Paulinische Theologie als biblische Theologie», in Mitte der Schrift?, a cura di M. KLOPFENSTEIN , e altri, Bem-Frankfurt a.M. 1987, 1 1 9-147 e R. B. HAvs , Echoes of Scripture in the Letters of Pau/, New Haven-London 1989. Non mi è stato invece pos sibile leggere W. K.lRcuscul.AGER, «Paulus und das Alte Testament», in L'Ancien Te stament dans I' Église, Chambésy-Genève 1988, 49-65 . 2 In proposito vedi la trattazione di Kocu , Die Schrift a/s Zeuge . . , 48-88. ,
.
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Nello spazio ristretto del presente contributo è sembrato opportuno premettere i risultati generali emersi dall'accurata ricerca di Koch per studiare poi a fondo l'uso della Scrittura nella lCor, concentran do l'attenzione sulla funzionalità delle citazioni bibliche che vi si ri scontrano . Queste infatti sono abbastanza numerose per poterei fare un'idea generale della «teologia biblica»3 di Paolo , ma senza rag giungere il numero straordinario di Rm, la cui analisi richiederebbe ben altro spazio.
1.
DATI SOMMARI
Nelle sette lettere certamente autentiche di Paolo sono state in dividuate una novantina di citazioni, più di un centinaio se compren diamo le combinazioni di passi citati e le citazioni miste.4 Di queste 66 hanno una formula introduttoria, formata per lo più graphein (34 volte) , di preferenza nella forma del perfetto gé graptai (29 volte),5 e da légeinlho l6gos (27 volte) , di cui preponde rante è il presente légei (con he g_raphè, Hesai'as , ecc. come soggetto) (19 volte) .6 Sempre dallo studio di Koch risulta che Isaia e il Salterio sono i libri biblici più citati , appunto 28 volte il primo e 20 volte il secondo, mentre non solo Nm , Gs, Gdc, 1-2Sam, 2Re, Rt, Ct, Lm, Qo, Est, Esdra, Ne, 1-2Cron, ma anche Ger, Ez e Dan non sono mai citatF (p. 33) . L'assenza di questi ultimi tre può sorprendere, ma qui , co me nel privilegiare Isaia e il Salterio, Paolo si mostra in sintonia con la letteratura giudaica del tempo che li cita raramente, a differenza 3
L'espressione «teologia biblica» è di U. Luz. Vedi la tabella di KocH (Die Schrift a/s Zeuge , 21-23) e quella, analoga, di ELLIS (Pau/'s Use of the O T, 150-152) ; questi presenta anche un elenco di allusioni (ivi, 153s) . 5 18 volte abbiamo la formula kathbs gégraptai e 6 gégraptai gar, precisa sempre KocH, (Die Schrift als Zeuge . , 25) . 6 KocH rileva che l'uso paolina d i légein non è sorprendente i n rapporto alla let teratura giudaica e extragiudaica vicina (Die Schrift als Zeuge . . . , 26) e che la prefe renza di Paolo per la formula gégraptai lo omologa alla letteratura giudaica in cui essa (ktb) è corrente (ivi, 27-29) . Invece a differenza degli scritti di Qumran l'apostolo nel le introduzioni alle citazioni non nomina mai Dio come autore della parola scritturistica, anche dove ce lo si aspetterebbe (ivi, 31). 7 Il concetto della kainl diatheke di 2Cor 3 ,6 non sembra riconducibile all'uso di Ger 3 1 ,3 1 . D'altra parte 1Cor 1 ,31 non sembra riflettere direttamente Ger 9,22, ma, come ritiene KocH (Die Schrift als Zeuge . . , 42) , risale piuttosto a una tradizione ora le della sinagoga ellenistica e del protocristianesimo di lingua greca. 4
. . .
. .
·
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di Is e dei 12 profeti minori (pp. 46s) . Invece appare significativa la poca attenzione per la tradizione della legge mosaica attestata nel Pentateuco ,8 di cui soltanto il Deuteronomio ha un certo rilievo (15 citazioni) (p. 47) . C'è comunque una diversa distribuzione delle citazioni nelle let tere paoline. Si va infatti da lTs, la prima lettera, con nessun testo citato a Rm, l'ultimo scritto probabilmente , con 65 citazioni sul tota le di 106. Ma anche Fil e Fm ne sono del tutto prive . Dunque solo le quattro lettere maggiori presentano una densità più o meno grande di citazioni; ma si dovrebbe pure distinguere tra sezione e sezione .9 L'uso che ne fa Paolo dipende, annota Koch (p. 91), dal fatto se egli vuole chiarire o no teologicamente la sua posizione. Certo il con traddittorio degli «avversari>> nelle tematiche della giustificazione per fede con esclusione delle «opere della legge>> e dell'apertura uni versale del vangelo paolino (cf. Gal e Rm) , come anche il bisogno di rintuzzare le posizioni errate dei suoi interlocutori di Corinto circa la sapienza della croce (cf. lCor 1-3) e la speranza nella risurrezione somatica (cf. lCor 15) hanno sollecitato l'apostolo ad argomentare decisamente «ex sacra Scriptura>> . Infine sempre Koch (pp. 102-198) ha mostrato la grande libertà di Paolo nel citare la Scrittura. In particolare , vi si possono notare: l) un diverso ordine di successione delle parole atto a sottolineare un aspetto a preferenza di un altro ; cosl lCor 15 ,55 cita Os 13,14b spostando il vocativo thfmate, per altro ripetuto nel se condo stico , al centro e conferendogli in tal modo un'accentua zione particolare; 2) cambiamenti di persona , numero, genere, tempo e modo, 10 con preferenza marcata per i mutamenti di contenuto rispetto a quel 8 Nel paragrafo «L'AT come nomos>> (pp. 447-453) R. PENNA evidenzia la criti ca di Paolo alla legge , precisando però che egli la rifiuta «in quanto elemento antago nista e sostitutivo di Cristo . . . ; se essa pretende di monopolizzare la salvezza, anche se è dono di Dio , non regge il confronto con Cristo e perciò deve cedere il passo» (p. 453 ; con riferimento all'opera di E.P. SANDERS , Paolo e il giudaismo palestinese, Bre scia 1986) . Da parte sua U. Luz mostra come Paolo veda dialetticamente la Scrittura ebraica sotto il segno della bipolarità contrapposta nomos e epanghelta (legge/pro messa) («Paulinische Theologie . . . », 132- 134) . 9 In una tabella apposita a p. 90 KocH ha calcolato anche la percentuale relativa alla lunghezza dello scritto: 2,17% in Rm; 2% in 2Cor 9 (3 citazioni) ; l ,3% in Gal (13 citazioni) ; l % in 2Cor 8 (2 citazioni) ; 0,64% in 1Cor (18 citazioni) ; 0,55% in 2Cor 22, 14-6,13+7 ,2-4 (3 citazioni) ; 0,33% in 2Cor 10-13 (2 citazioni) ; anche 2Cor 1 , 1 2,13+7,5-16 + 1 3 , 1 1-13 (la lettera d i riconciliazione) non presenta alcuna citazione . 10 Dei 93 testi biblici che Paolo cita nelle sue lettere (alcuni più volte) , 52 sono stati cambiati , 37 trasmessi in forma invariata. Dei 52 cambiati 30 sono stati cambiati da più punti di vista. Cf. KocH, Die Schrift als Zeuge , 186- 187. . . .
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li stilistici; cosl applicando Is 52,7 alla realtà cristiana Rm 10,15 sostituisce il genitivo singolare «i piedi dell'evangelizzatore» con il plurale «i piedi degli evangelizzatori» ; 3 ) omissioni, tra cui menzioniamo il passo di A b 2,4: ho dfkaios ek pfste6s (con omissione di emou riferito a Dio) zésetai citato in Rm 1 , 17 e Gal 3 , 1 1 e dunque riferito alla fede dell'uomo e non alla fedeltà di Dio ; 4) aggiunte, di cui la più significativa è 1Cor 15 ,45 rispetto a Gn 2,7, come si vedrà ; 5) sostituzione di parti della citazione con proprie formulazioni; per es. Gal 4,30 ha: «non .e rediterà infatti il figlio della schiava con il figlio della libera», mentre Geo 21 ,10 attesta: «non eredi terà infatti il figlio di questa schiava con il mio figlio Isacco»; 6) citazioni miste ,11 per es. Gal 3 , 10 riporta Dt 27,26ab («maledetto chiunque non persevera en ptisin tois l6gois tou n6mou toutou per compierle») ma prendendo da Dt 29,19b il motivo delle cose scritte («tutte le maledizioni di questo patto hai gegramménai en t6-i biblfo-i tou n6mou toutou» ) ; così Paolo sottolinea il carattere scritto della legge , che connette con la maledizione; 7) combinazione di più citazioni, di cui l'esempio più chiaro è Rm 3, 10-18. Si deve però riconoscere che le citazioni bibliche sono soltanto una parte dell'uso che Paolo ha fatto della Scrittura. Ha dunque ra gione Hays nel denunciare questo limite della ricerca di Koch, e di altri, e nel proporre uno studio degli echi dei libri sacri dell'ebraismo nelle lettere paoline.
2.
LA «TEOLOGIA BIBLICA» DELLA lCOR
Nell'elenco di Ellis figurano 15 citazioni bibliche della 1Cor: 1 , 19; 1 ,31 ; 2,9; 2,16; 3,19; 3 ,20; 6,16; 9,9; 10,7; 10,26; 14,21 ; 15,27; 15 ,32; 15 ,45 ; 15 ,54s. Nella tabella di Koch se ne indicano due in più: 5,13 e 9, 10. Mi sembra però che nel conto bisognerebbe mettere an che 15,25 con riferimento a Sal 109 , 1 ; invece 9,10 ci sembra assai
11
È un procedimento caratteristico di Paolo che vi ricorre in 13 casi e riguarda in tutto 28 testi (KocH , Die Schrift als Zeuge . . . , 188) . Lo stesso studioso (ivi, 190ss) osserva che nella letteratura del giudaismo ellenistico era di regola la citazione immu tata del testo biblico (cf. Filone, Aristobulo , 4Mac) e vi mancavano del tutto combi nazioni di testi o citazioni miste, non catene di citazioni. E se è vero che nei testi qum-
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problematica. Ma la loro distribuzione non appare uniforme , perché la maggior parte è attestata in due sezioni: 6 citazioni infatti caratte rizzano l'antitesi tra sapienza umana e sapienza di Dio o della croce (cf. cc. 1-3) e altre 5 si trovano nel c. 15 che tratta il tema escatologi co della risurrezione. Rilevante è anche la citazione di 10,7 perché fa parte di un testo (10,1-13) che è tutto un'attualizzazione della vicen de dell'esodo e del deserto. La citazione 9 ,9 poi è stata ritenuta un rarissimo esempio in Paolo d'interpretazione allegorica. 12
2. 1 . Sapienza umana e sapienza divina ( l Cor 1-3) citazioni di 1 , 19; 1 ,31 ; 2,9; 2,16; 3 , 19 ; 3,20 riguardano tutte il motivo dell'antitesi che caratterizza questa sezione della lettera. La loro importanza nel discorso di Paolo risalta non solo dal nume ro rilevante , ma anche e soprattutto dal ruolo primario che vi svol gono sia come ragioni addotte a favore della tesi difesa sia quali elementi strutturanti l'unità letteraria. Qui l'epistolarista procede alternando il tema delle divisioni della chiesa corinzia in «partiti» contrapposti (A) a quello della sapienza (B) , secondo questo sche ma concentrico: · A 1 , 10-17 B 1 , 18-2,16 3 , 1-17 A B 3 , 18-23 4,lss A Le
Ora le citazioni bibliche sono tutte distribuite nei brani riguar danti la sapienza (B) . In particolare la citazione di 1 , 19 («Sta scritto infatti . . . ») viene addotta a prova della tesi enunciata in 1 , 18 ma pre parata già in l , 17b con la bipolarità «sapienza di parola» «croce di Cristo». La citazione di l ,31 («affinché come sta scritto))) è a soste gno della tesi connessa dell'esclusione di ogni vanto (kauchesis) umano davanti a Dio (v. 29) e dell'affermazione dell'iniziativa divi na di grazia in Cristo (v. 30) . Le citazioni di 2,9 («Ma come sta scrit to) e 2,16 («Infatth)) reggono il brano 2, 1-16 motivando rispettiva-
ranici che non siano commenti biblici si registrano, nelle citazioni , cambiamenti lin guistici del testo biblico , ciò avviene quasi esclusivamente in CD , che su 32 riferimen ti scritturistici ha un solo caso di citazione combinata. 12 In proposito si veda KocH , Die Schrift als Zeuge , 202-216. . . .
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mente il carattere misterioso (en mysterfo-i) e nascosto (apokekrym ménen) della sapienza divina (v. 6) e la possibilità di accedervi sol tanto mediante lo Spirito o «il pensiero di Cristo». Le citazioni di 3, 19b e 20 («Sta scritto infatti>> l «E di nuovo») - un esempio di com binazione di più citazioni - giustificano l'affermazione di 3, 19a: «La sapienza di questo mondo è stoltezza presso Dio» che riprende l'an titesi di 1 , 17b-18 chiudendo l'intera elaborazione teologica di Paolo in proposito. Abbiamo dunque un'inclusione con citazione biblica ai due estremi (1 ,19 e 3 , 19 e 20) . L'analisi di ciascuna, vista in se stessa e nella sua collocazione, confermerà l'assunto generale, valido per tutta la 1Cor, che nell'ela borazione teologica di Paolo le citazioni bibliche possiedono un im portante ruolo argomentativo; non sono riducibili cioè a puro ele mento decorativo, ma qualificano a tal punto il corso del pensiero paolina da giustificarne la definizione di «teologia biblica». A scanso di equivoci, però , è necessario precisare subito: le citazioni bibliche non offrono i nuclei centrali della teologia paolina, presi dalla fede cristiana o dal vangelo, secondo la formula di Paolo stesso (cf. per es Gal 1 , 1 1-12; 2 , 14; Rm 1 , 1 . 16 ; 1Cor 15,1), ma sono strumenti impor tanti della sua riflessione teologica. In 1 , 19 egli cita ls 29 ,14: «Manderò in rovina la sapienza dei sa pienti (ten sophfan ton soph6n) e l'intelligenza degli intelligenti inva liderò». Del testo greco del profeta ha cambiato il verbo finale «na sconderò» con uno più forte «invaliderò» (athetéo) che usa altre tre volte (Gal 2,21 ; 3,15; lTs 4,8) . Si tratta di un oracolo divino che esprime in prima persona (ma nel TM il soggetto è la sapienza e l'in telligenza) la reazione di JHWH al popolo vicino soltanto a parole ma lontano con il cuore . Direttamente la parola di giudizio coglie i sapienti e gli intelligenti, con probabilità le guide politiche e religio se di Gerusalemme che con la loro pretesa sagacia politica e av vedutezza diplomatica nelle relazioni internazionali in realtà hanno condotto Israele a confidare in se stesso e non in Dio . 13 Con la citazione l'apostolo si copre dell'autorità di Dio: non è umana ma divina l'esclusione della sapienza dei corinzi che si vanta vano, in proprio o per riflesso del proprio leader Apollo , 14 dell'elo-
13
Cf. H. WII.DBERGER, Jesaja, III , Neukirchen 1982, 1 1 22s. Cf. R.A. HOSLEY, «Gnosis at Corinth: I Corinthians 8,1-6>> , in NTS, 27( 1981), 32-51 e G. SELLIN , «Das "Geheimnis" der Weisheit und das Ratsel der "Christus partei" (zu 1Kor 1-4)», in ZNW, 73( 1982) , 69-96. 14
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quio forbito e della profondità della penetrante conoscenza del mi stero cristiano. C'è incompatibilità tra la loro sapienza e la posizione di Dio, che viene ribadita al v. 20: «Non è forse vero che Dio ha reso stolta (emoranen) la sapienza del mondo?» . L'evento puntuale qui indicato è senz'altro quello della croce di Cristo alternativa alla sa pienza umana, presentato ai vv. 17b-18: Dio ha inviato Paolo ad evangelizzare «non con sapienza di parola, perché non sia svuotata (di contenuto salvifico) la croce di Cristo . La parola della croce in fatti per chi è incamminato alla perdizione è stoltezza (moria) , per chi è destinato alla salvezza invece , per noi, è potenza (dynamis) di Dio>>. Così Paolo ha interpretato alla luce della croce, vero criterio ermeneutico, il testo profetico citato: quel giudizio di condanna che il profeta ha indicato per il futuro si è compiuto . Più in generale , la realtà escatologica , qui indicata dalle categorie di giudizio divino , salvezza e perdizione , ha fatto irruzione nella storia: la croce e la predicazione della croce costituiscono l'epocale svolta del cammino dell'umanità ; nel suo beneplacito di grazia, «piacque (eud6kesen) a Dio di salvare quelli che credono mediante la stoltezza (moria) del kerygma» (v. 21b) . In questo modo l'apostolo ha potuto anche de terminare il lato positivo dell'iniziativa di Dio: ha condannato la via della sapienza umana e ha scelto la strada della stoltezza della croce come cammino salvifico per l'umanità. La citazione di 1 ,3 1 : «Chi si vuole vantare (ho kauchomenos) , si vanti nel Signore (èn Kyrio-i kauchastho)» è stata riferita sia a Ger 9,22s sia a 1Re 2,10. Ecco il testo profetico: «Queste cose dice il Si gnore: Non si vanti (Mè kauchastho) il sapiente nella sua sapienza (ho sophòs en te-i sophia-i autoit) , e non si vanti il forte nella sua for za e non si vanti il ricco nella sua ricchezza, ma piuttosto in questo si vanti colui che vuole vantarsi (en touto-i kauchastho ho kauchome nos) : comprendere e conoscere che io sono il Signore che faccio mi sericordia e diritto e giustizia sulla terra». 1Re 2,10 è parallelo, con leggere varianti terminologiche, per esempio ho phr6nimos en te-i phronese-i autoit, e con una marcata diversità in chiusura: « . . . com prendere e conoscere il Signore e fare diritto e giustizia in mezzo alla terra». In realtà appare problematica la dipendenza diretta di Paolo dai due testi critici paralleli . Infatti in caso affermativo come spiega re l'omissione della formula «nella sapienza» che si sarebbe inqua drata ottimamente nella sua antitesi di sapienza divina e sapienza umana? È più probabile, come ritiene Koch (p. 42), che 1 ,3 1 , co me del resto 2,9 e 9, 10b, sia stata presa dalla tradizione orale , cioè dalla predicazione della sinagoga ellenistica o dal cristianesimo el71
lenistico prepaolino, che la proponeva come parola scritturistica. In ogni modo la sua funzionalità nel testo paolino è chiara.L'i niziativa salvifica di Dio che «ha scelto le realtà stolte (tà morti) del mondo per far arrossire di vergogna i sapienti (toùs sophoU.s)» (v. 27) finisce per escludere la possibilità dell'uomo di menar vanto re ligioso : «perché nessun essere vivente possa vantarsi (m� kaucM séthai) al cospetto di Dio» (v. 29) . Tutto è grazia quello che i cre denti sono: «ma è per opera di lui "Dio" che voi siete in Cristo Ge sù, il quale è diventato per noi sapienza da Dio, giustizia e santifi cazione e redenzione» (v . 30) . Come punto di arrivo intenzionale di tale processo si ha che l'unico vanto possibile è quello riposto nel Signore (v. 31). In realtà il brano 1 ,26-31 ha una struttura precisa. Il v. 26 enun cia la «propositio» : la «logica» paradossale della sapienza divina in carnata nella croce è evidente nella stessa chiamata dei credenti di Corinto alla fede: «Guardate infatti la vostra vocazione (klésis)» voi che non brillate per sapienza, peso politico e sociale e per nobiltà di natali. La «probatio» viene offerta in due momenti paralleli: la loro elezione divina è stata una scelta paradossale di tà mora (vv. 27-28) e Dio ha fatto di loro persone immesse nella sfera d'influsso di Cristo Gesù (en Christ6-i Iesou) (v. 30) . Ora nell'una e nell'altra presenta zione dell'azione storica divina Paolo ne indica la duplice finalità in trinseca, introdotta dalle particelle finali h6p6s e hina, l'una negati va («perché nessun essere vivente possa vantarsi al cospetto di Dio») e l'altra affermativa espressa con una citazione biblica: «affinché come sta scrittQ - chi vuole vantarsi si vanti nel Signore» . Dopo aver criticato, in nome della stoltezza divina o della croce , la ricerca della sapienza umana in atto nella chiesa di Corinto, in 2,6-1615 Paolo ribalta il discorso dicendosi possessore e portatore di una sapienza partecipabile «tra i perfetti», «non di questo mondo» , ma di Dio, «misteriosa» (en mystéri6-i) , nascosta e sconosciuta agli «arconti» di questo mondo , cioè alle autorità ebraiche che di conse guenza hanno condannato Cristo alla crocifissione16 ( vv . 6-9) . L'a postolo in realtà è stato beneficiario di una rivelazione divina media-
IS J. MuRPHY-O'CoNNOR, dnterpolations in l Corinthians», in CBQ, 48(1986) , 81-84 respinge l'ipotesi che 2,6- 16 sia non-paolino. 16 Cf. M. PESCE, Paolo e gli arconti a Cdrinto. Storia della ricerca (1888-1975) ed esegesi di JCor 2, 6. 8, Brescia 1977.
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ta dallo Spirito capace di scrutare persino le profondità del mistero di Dio (v. 10) . Ora queste due volées dell'unità letteraria sono quali ficate ambedue da citazione biblica. La prima al v. 9 spiega la defi cienza umana nel conoscere tale sapienza di Dio incarnata nella cro ce di Cristo , in particolare la chiusura degli «arconti» che hanno cro cifisso «il Signore della gloria»; la seconda al v. 16 dimostra l'accessi bilità della suddetta sapienza en mysterf6-i esclusivamente per via «spirituale», accessibilità mostrata nell'esperienza che Paolo ha fat to. Si può dunque notare, ancora una volta, che le citazioni bibliche sono collocate in posizione strategica, appunto a chiusura delle due parti del brano come prova di quanto detto. Per la citazione biblica di 2,9 («Ciò che occhio non vide e orec chio non udi e non sali nel cuore d'uomo, questo Dio ha preparato per quelli che lo amano») è stato indicato il testo di Is 64,3 («Dall'eternità non udimmo né i nostri occhi videro Dio») , ma con scarsi risultati probativi. La soluzione più probabile è che anche qui Paolo dipenda dalla tradizione orale, a sua volta influenzata dalla corrente apocalittica . . Più interessante invece è la citazione di 2,16: «>, in Studiorum Paulinorum Congressus lnternationalis Ca tholicus 1 961 , 1963 , 207-215; O . MICHEL, Paulus und seine Bibel, (BFChTh 11,18) , Giitersloh 1929 , Darmstadt 1970, 21972; I D . , «Zum Thema: Paulus und seine Bibel» , in Wort Gottes in der Zeit, Fs. K. H. Schelkle, a cura di H. FELD - J. NoLTE, Diissel dorf 1973 , 114-126; R. PENNA, «Atteggiamenti di Paolo verso l'Antico Testamento>>, in RivBib , 32(1984), 175-210; in I D . , L 'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia , Ci nisello Balsamo ( M I) 1991 , 436-469 ; A. PERRlMAN , «Typology in Paul>> , in TLond, 90 (1987) , 200-206; M. PESCE, «Funzione e spazio dell'uso della Scrittura nell'attività apostolica paolina. Ipotesi di ricerca» , in ASE, 1(1984) , 75-108 ; H. RAISANEN , Paul and the Law, (WUNT 29) , Tiibingen 21987 ; C.K. STOCKHAUSEN , «Paul the Exegete», in Bib Tod 28( 1990) , 196-202 ; H. ULONSKA, Paulus und das Alte Testament, Miinster 1964; PH. VIELHAUER, «Paulus und das Alte Testament» , in Studien zur Geschichte und Theologie der Reformation, Fs. F. Bizer, a cura di L. ABRAMOWSKI - F. GoTERS , Neukirchen 1969 , 33-62 ; W. WOLLNER, «Toposforschung und Torainterpretation bei Paulus und Jesus» , in NTS, 24(1977n8) , 463-483.
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nell'ambiente della diaspora giudaica di Alessandria d'Egitto , per ragioni liturgiche, giuridiche e interessi culturali , viene fatta la ver sione dei testi biblici ebraici nella lingua greca. Essa inizia con il Pentateuco e si estende progressivamente agli altri libri della Bibbia ebraica. Quella che solitamente viene chiamata la traduzione dei «settanta» (LXX) , è una rilettura del testo originale ebraico. I voca boli e le categorie biblico-semitiche sono tradotti e interpretati con i modelli linguistici e culturali del mondo greco-ellenistico . 2 Questo corpus di scritti sacri nella loro versione greca viene assunto dai pri mi cristiani di lingua greca. Paolo di Tarso, nato nella diaspora giudaica e venuto a contatto con i giudeo-cristiani della Siria - Damasco e Antiochia - porta con sé il bagaglio religioso e spirituale dei padri . Egli infatti ci tiene a di re che è «> perché profetiz zato nelle Scritture ; tuttavia dall'idea della previsione nel disegno di Dio all'idea della previsione nelle Scritture , il passo è abbastanza breve , e i due temi finiranno per trovarsi unificati (Le 24,25-27 . 4447) ; nella formulazione più antica delle predizioni della passione essi però risultano ancora distinti : in essa non il rinvio alle Scritture ma l'accostamento alla tematica apocalittica ha fornito un primo raggio di luce. Una conferma è offerta anche dal racconto della passione, che ri vela tutta una serie di rinvii a testi veterotestamentari, non visti però come «profezie» . Si tratta infatti essenzialmente di quei salmi in cui risuonava la voce del giusto sofferente . Il presupposto per l'applica zione a Gesù7 non è che quei salmi intendessero riferirsi profetica-
5 E. FASCHER, «Theologische Beobachtungen zu dei>> , in Neutestamentliche Stu dien [iir R. Bultmann , a cura di W. ELTESTER (BZNW 2 1 ) , Berlin 21957 , 228-254. V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole (Mc 4, 1-34) nella prospet tiva marciana, (Aloisiana 13) , Brescia 1980, 356-361 ; R. SruHLMANN , Das eschatolo gische MajJ in NT, (FRLANT 132) , Gottingen 1983 .
7 Ovviamente non si può escludere che Gesù stesso abbia effettivamente usato come preghiera in quel momento dei salmi , come aveva fatto con altri salmi in altri momenti.
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mente alle sofferenze del Messia anziché a quelle del salmista stesso e di tutti i fedeli sofferenti. Al contrario : proprio il fatto che già in passato tanti altri giusti avevano sofferto , erano stati perseguitati benché innocenti, si rivelava altamente significativo; offriva una qualche risposta a chi era tentato di vedere nella crocifissione di Ge· sù, nel suo essere stato «abbandonato» da Dio, la prova tangibile che Dio non era con lui, che egli dunque giustamente era stato con· dannato come falso profeta. Nella luce di quei salmi, invece , proprio questo silenzio di Dio, questo essere «abbandonato» , era già stata l'esperienza di altri innocenti perseguitati ingiustamente. Più che questo o quel testo particolare -inteso come «profezia», era dunque tutto un tema, un insieme di testi, un intero filone veterotestamenta· rio che veniva applicato a Gesù. Di qui poi è comprensibile che si sia passati a dare maggior peso a certe coincidenze più particolari, come la divisione delle vesti (Mc 15,24; cf. Sal 22, 19) , l'abbeveratura con mistura amara (Mt 27 ,34; cf. Sal 69,22). Qualcosa di analogo va detto per un terzo tema che è stato di aiuto ai primi cristiani per riflettere sulla sorte dolorosa di Gesù: quello della costante persecuzione, e spesso uccisione , degli inviati di Dio da parte del popolo ostinato (cf. Mt 23,37 11 Le 13,34; ecc. ).8 Anche qui abbiamo piuttosto l'inserimento in una serie già prolun· gata , che non un rapporto profezia/adempimento. Anche riguardo all'utilizzazione dei testi sul «Servo di YHWH» sofferente (Is 52 ,13·53 ,12) ,9 oltre a ricordare che gli antichi non co· noscevano la prassi moderna di isolare i cosiddetti «quattro canti del servo di YHWH» dall'insieme del libro di Isaia, sembra necessario distinguere tra la semplice ripresa di qualche espressione particolar· mente idonea ad esprimere il senso della morte di Gesù (soprattutto quelle che si incontrano nell'ultima cena: «in riscatto» e «per la mol· titudine»: cf. Mc 10,45 par. ; Mc 14,24 par. ,10 e l'interpretazione del l'intero testo come profezia del Messia sofferente . 11
8 Monografia: o.: H. STECK, lsrael und die gewaltsame Geschick der Propheten. Untersuchungen zur Uberlieferung des deuteronomistischen Geschichtsbildes im A T, Spiitjudentum und Urchristentum , (WMANT 23) , Neukirchen 1967 . 9 L'espressione «servo di Dio>> da sola non rinvia necessariamente ai testi isaiani
ma piuttosto ad una terminologia stereotipa di tipo liturgico (cf. in At 4, 25-30: «Da vide tuo servo . . . il tuo santo servo Gesù . . . >> ) . a. E . KRA.NKL, Jesus der Knecht Got tes. Die heilsgeschichtliche Stellung Jesu in den Reden der Apostelgeschichte, (BU 8), Regensburg 197 1 , 125-129. 10 Cf. J. JEREMIAS, «polloi» , in ThWNT VI, 536-546; tr. it. : GLNT X, 1 3291 354!1 Su At 8,32s cf. § 4.3.3.
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Sembra lecito concludere che l'idea secondo cui nella morte di Gesù si adempie ciò che era stato profetizzato nell'AT (Le 18,3 1 ; 24,25-27.44; ecc.) v a considerata non punto di partenza m a punto di arrivo di tutta una prolungata riflessione teologica . Difficile pertan to stabilire a che cosa volesse riferirsi l'antichissima formula keryg matica: «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15 ,3) : se a qualche testo più determinato o solo a tematiche più generali ; se come «profezia» in senso stretto , o solo come acco stamento , inserimento in un contesto tradizionale che si rivela illu minante .
1 . 2. Le parabole Anche nelle parabole il riferimento biblico più originario è quel lo , di tipo globale, al Regno. Può essere normale in esse anche l'uti lizzazione di immagini già classiche nella tradizione veterotestamen taria (il re, il pastore, la vigna, il convito . . . ) non invece il riferimen to a testi particolari, che appare raro e quasi sempre tardivo. 12 An che nel caso in cui, come nella parabola del contadino che attende (Mc 4,26-29) o in quella del granello di senapa (Mc 4,30-32 par.) il riferimento veterotestamentario appare essenziale alla comprensio ne della parabola, 1 3 ciò vale piuttosto, globalmente , per il tema (la mietitura come simbolo del giudizio, il grande albero come immagi ne di regalità . . . ) che non per testi determinati (01 3 , 13 in Mc 4,29 ; Dn 4,9. 18 e Ez 17,23 ; 31,6 in Mc 4,30-32 par.). Un caso particolare , più interessante, si è verificato nella para bola dei vignaioli infedeli (Mc 12, 1-12 par.). La parabola vera e pro pria si concludeva con l'espulsione dei coloni, resisi colpevoli del l'uccisione dell'erede (v. 8) . Il punto conclusivo è sottolineato anche dalla domanda che il parabolista rivolge agli interlocutori: «Che farà dunque il proprietario della vigna?» ; e dall'ovvia risposta: «Verrà, farà perire quei criminali, e darà la vigna ad altri» (v. 9) . A questo punto però, inaspettatamente, troviamo ancora qualcosa: «Non ave te letto questo passo della Scrittura: "La pietra scartata dai costrut tori è diventata testata d'angolo , ecc."» (v. 10; cf. Sal 118,225) . Il fe nomeno, nelle parabole, è inconsueto . Tra l'altro, in questa maniera
12 J. JEREMIAS , Le parabole di Gesù, Brescia 1967, 33-35; Fusco, Oltre la para bola. Introduzione alle parabole di Gesù , Roma 1983, 97s. 13 Su queste due parabole cf. Fusco, Parola e Regno , 341-380.
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l'immagine della vigna (peraltro anch'essa con chiare allusioni vete rotestamentarie : cf. Is 5 , ls) viene abbandonata per un'immagine di tutt'altro genere, quella della costruzione di un edificio; anche que sto passare da un «campo figurativo» all'altro non è normale in una parabola. Che cos'è avvenuto? Evidentemente questo concludere il rac conto sulla nota tragica dell'uccisione dell'erede, lasciava insoddi sfatti i cristiani. Come era possibile menzionare la morte del «figlio carissimo», Gesù , senza far parola della risurrezione? Di qui l'inseri mento della citazione biblica, che infatti appartiene a quelle tradi zionalmente usate per la risurrezione (cf. At 4 , 1 1 ; lPt 2,7) .
1 . 3 . I miracoli Ancor più interessante quanto è avvenuto con i miracoli . Alla do manda degli inviati del Battista: «Sei tu colui che deve venire? . . . », Ge sù risponde: «Andate a riferire a Giovanni: . . . i ciechi vedono , gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati. i sordi odono , i morti risorgono, i poveri sono evangelizzati . . . » (Mt 1 1 ,2-6 11 Le 7, 18-23). Come mai sono menzionati, come segno che Gesù effettivamente è colui che deve ve nire , il Messia, precisamente questi miracoli e non altri? Anche Marco, il quale non riporta questo episodio , sembra attri buire a queste particolari guarigioni un valore di segno messianico più forte delle altre . Mentre infatti le altre guarigioni e gli esorcismi vengono compiuti in pubblico , in mezzo a grandi folle, senza remora alcuna se non quella di zittire gli indemoniati nel momento in cui co minciano a gridare l'identità di Gesù (Mc 1 ,32-34; 3 ,7-12; ecc.), ci sono in Mc quattro miracoli, e precisamente quello del lebbroso (1 ,40-45), quello della risurrezione della figlia di Giairo (5 ,21-43) , quello del sordomuto (7 ,31-37) e quello del cieco (8,22-26) , che sono preceduti da un allontanamento dalla folla (5,37. 40; 7,33; 8,23) e seguiti da una severa proibizione di divulgarli (l ,44; 5 ,43 ; 7 ,36; 8,26) . È in vigore cioè anche per essi la stessa proibizione che è in vi gore , fino alla pasqua, per la messianicità di Gesù (8 ,30; 9,9; cf. 1 ,34; 3,11s) . Anche Marco dunque , o eventualmente già la sua tra dizione, condivide con la tradizione Q, da cui Mt e Le riprendono l'episodio dell'ambasceria del Battista, il presupposto che queste guarigioni possedevano un valore più eminentemente messianico. 14 In base a che cosa? 14 V. Fusco, «> marciano ,25 ma neppure di una estra neità di Mc alla continuità storico-salvifica , come se i riferimenti al l' AT fossero per lui soltanto una maniera come un'altra, presa dal l'ambiente , per dare espressione al messaggio . 26 Anche in Mc la no vità e la rottura non escludono la continuità. 27 23 Su questa tematica cf. A. VANHOYE, «< racconti della Passione nei Vangeli si nottici», in Domenica delle Palme, (PAF 16). Brescia 197 1 , 71-124. Ora più ampia mente G. BtGuzzt , > (2,10.28; 8,31 .38; 9,9. 12.3 1 ; 10,33.45 ; 13 ,26; 14,21 .41 .62) , e soprattutto «Messia>> , determinante nella struttura dell'opera ( 1 , 1 .34; 8,29 ; 9,41 ; 12,35 ; 13,21 ; 14,61 ; 15,32) anche se i n qualche modo subordi nato a quello di «Figlio di Dio>> , di risonanza più universalistica ( 1 , 1 . 1 1 ; 3 , 1 1 ; 5,7 ; 9,7; 12,6; 13,32; 14,61 ; 15 ,39) . Veterotestamentaria è anche la categoria di «regno di Dio» nella quale si compendia, anche per Mc, la realtà nuova annunziata da Gesù ( 1 , 14s) : realtà misteriosamente già iniziata, come illustrano le parabole, unica sezione in cui Mc riporta qualcosa dell'insegnamendes Verhaltnisses . . . ; R . H . LIGHTFOOT, The Gospel Message of Mark , Oxford 46s ; J. MuNCK, Paulus und die Hei/sgeschichte, (AJut XXVI/l ) , Kt11benhavn 255-259; J . M . RoBINSON, The Problem of History in Mark, (SB T I/2 1 ) , London 48 e 57s ; HAHN , Das Verstiindnis der Mission im NT, 61 -64 ; H. BAARLINK, «Zur Frage nach dem Antijudaismus im Markusevangelium», in ZNW, 70( 1979) , 166- 193 . blem 1950, 1954, 1 957,
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to di Gesù (cf 4 , 1 1 . 26.30); ma che conserva appieno la dimensione del futuro (9, 1 .47; 10,14s.23-25 ; 15 ,43) . È degno di nota che il tema del Regno venga ripreso all'inizio della seconda parte del racconto (9,1) ; notare anche, nel medesimo contesto , il passaggio dal titolo di Messia a quello più escatologico di Figlio dell'uomo (8,31.38). In questa maniera anche quando l'insegnamento viene ad incentrarsi nel mistero della morte e risurrezione di Gesù, è sempre l'attesa ve terotestamentaria del Regno ad offrire l'indispensabile orizzonte di intelligibilità, come del resto verrà nuovamente ribadito al momento dell'ingresso in Gerusalemme (11 , 10) e nell'ultima cena con i riferi menti alla Pasqua e l'esplicita utilizzazione della categoria di allean za (14, 12-25).28 Soprattutto questa categoria del Regno premunisce Mc da una lettura puramente spiritualistica dell'AT e da uno sradicamento del le Scritture e del loro messaggio dalla concreta realtà storica del po polo ebraico. Anche i testi in cui maggiormente vibra la tonalità «giudiziale>> non suggeriscono affatto una condanna irreparabile ed una estromissione di Israele dalla storia della salvezza. Anzi , è pro prio l'incredulità del popolo eletto in quanto tale a creare un enigma così doloroso e sconcertante da poter essere illuminato in qualche modo solo facendo ricorso attraverso il teologumeno dell'acceca mento ad un misterioso disegno di Dio (4, 10-12) : teologumeno, pe raltro , intelligibile solo all'interno di una teologia dell'elezione e dell'alleanza, e correlativo a quello di una illuminazione donata per grazia:29 per il momento solo alla minoranza credente (4, 1 1 ) , ma in futuro anche a coloro che attualmente sono prigionieri dell'acceca mento (4,21-25) .30
2 . 3 . Riflessioni conclusive Anche in Mc, come in tutto il NT, questo rinvio di Gesù all'AT implica al tempo stesso un rinvio dell'AT a Gesù . L'adempimento tuttavia è visto , per lo più, in termini globali, attraverso le grandi ca tegorie dell'Alleanza e del Regno o le grandi immagini che già nella tradizione veterotestamentaria avevano subito un processo di rilet-
28 Significativa, in tal senso , anche l'apparizione di Mosè ed Elia accanto a Gesù trasf� rato (9,4) . Cf. Fusco, Parola e Regno, 325-329. 381 -389. 30 Fusco, Parola e Regno, 279-304.
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tura escatologica, quali il deserto, il banchetto, la vigna: «tipologia)) ' se si vuole, ma in un senso assai generale. Anche se rari, non mancano i casi in cui un particolare testo ve terotestamentario è considerato adempiuto in un particolare av venimento . Sostanzialmente sembrano risalire alla tradizione pre marciana e si incentrano nell'evento della resurrezione : così la cita zione del Salmo 118 ,22s nella parabola dei vignaioli (Mc 12,1-12; cf. At 4,1 1 ; 1Pt 2,7), o quella del Salmo 1 10,1 nella discussione sui rap porti tra Davide ed il Messia (12,35-37; cf. At 2,33s; Rm 8,34; Eb 1 . 13; 1Pt 3,22) . Anche nel racconto della passione le numerose allusioni bibliche sono riconducibili all'unico grande tema del giusto perseguitato ; an che in questo contesto l'idea di adempimento (14,49) rimane piutto sto generica; non è facile precisare se sia visto come un realizzarsi di vere e proprie profezie· messianiche, o solo come un'analogia di si tuazioni che si rivela illuminante. Ciò vale anche per il celebre testo isaiano sull'accecamento di Israele (Is 6,9s; cf. Gv 12,40) cui Mc 4,1ls indubbiamente allude , pur senza esplicita citazione Y Più che una «profezia)) nel senso più ristretto del termine , l'evangelista sembra vedervi un'analogia, assai significativa, tra l'insuccesso di Isaia coi suoi contemporanei, e quel lo di Gesù . 32 Anche Mc dunque si sforza di salvaguardare l'aspetto della novi tà e al tempo stesso quello della continuità:33 i due aspetti risalenti come nucleo di partenza a Gesù stesso, probabilmente arrivati all'e vangelista attraverso la mediazione delle tradizioni dei giudeo-cri stiani «ellenisti)) di Palestina, eredi di certe tendenze più liberali del giudaismo della diaspora che li avevano resi più sensibili agli aspetti innovativi dell'insegnamento di Gesù (cf. At 6,1-8,4) e li avevano predisposti ad essere , già prima di Paolo, i promotori dell'evangeliz zazione dei pagani (cf. At 1 1, 19-26) .
31
Parola e Regno , 266s , nota 179. Parola e Regno , 257s; cf. T.W. MANSON , The Teaching of Jesus. Stu dies in its Form and Content, Cambridge 31963 , 79. E . E . ELus , «Midrash, Targum and NT Quotations» , in Neotestamentica et semitica. Studies in honour of M. Black , a cura di E.E. ELLIS - M . WILcox , Ed.inburgh 1969 , 61-69 . 32
Fusco , Fusco,
33 Un ulteriore approfondimento della «dialettica» continuità/novità VT-NT in Mc coinvolge soprattutto il problema del senso della morte di Gesù; cf. V. Fusco, «Rivelazione di Gesù - Rivelazione di Dio. Il problema del "Dio di Gesù Cristo" nel la prospettiva marciana», in ScC, 1 17(1989) , 149-166.
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Rispetto a Le e soprattutto a Mt, sebbene le premesse degli svi luppi successivi siano tutte già presenti, Mc sembra riflettere uno stadio relativamente meno evoluto della riflessione scritturistica cri stiana . Minor sviluppo che può avere anche il risvolto positivo di una maggior concentrazione sull'essenziale : la persona stessa di Ge sù, più che i singoli dettagli, come adempimento delle attese vetero testamentarie.
3.
MATIE034
3 . 1 . Gesù e l'AT nella prospettiva di MT In Mt lo sforzo teologico cristiano di rilettura di Gesù alla luce dell'AT e dell' AT alla luce di Gesù viene spinto più a fondo e diven ta uno degli aspetti dominanti. Tutto Cristo , possiamo dire, ogni aspetto della sua opera e della sua persona, viene visto alla luce del l'AT: il suo insegnamento (5, 17-19) , i suoi miracoli (8, 16s; 1 1 ,5s) , l'insuccesso (13 , 13-15 , 15 ,7-9; 23,34-37) , la passione (26,54.56) , la glorificazione (21 ,42) ; la sua stessa persona, frutto di un intervento radicalmente nuovo dello Spirito attraverso il concepimento vergi nale di Maria - anch'esso però profetizzato da Is 7,14 - ma al tempo stesso , attraverso la paternità legale assicurata da Giuseppe , piena mente inserito nella linea genealogica di Abramo e di Davide (cf. 1 , 1-25) .35 E tutto l'A T, a sua volta, viene visto alla luce di Cristo: le grandi figure (Mosè , Davide, Salomone, Elia . . . ) , gli eventi (l'eso do , la monarchia, l'esilio . . . ) , le istituzioni (tempio, regalità, profeti smo . . . ), le varie componenti teologico-letterarie (storiche , legislati ve, profetico-apocalittiche, sapienziali36 e spirituali, i Salmi . . . ) , le 34 Il tema è stato molto studiato ; ricordiamo solo alcune monografie: K. STEN DAHL, The School of St. Matthew and its Use of the Old Testament, (ASNU 20) , Lund 21968 (= 1954) ; R.H. GuNDRY , The Use of the Old Testament in St. Matthew's Go spel, with Special Reference lo the Messianic Hope, (NT. S 18), Leiden 1967 ; W. RoTHFUCHS, Die Erfullungszitate des Matthiius-Evangeliums, (BWANT 88 V/8) , Stuggart 969; R. S . McCoNNELL, La w and Prophecy in Matthew's Gospel. The A utho· rity and Use of the Old Testament in the Gospel of Matthew, {Theol. Dissertationen 2), Basel 1969. A. SAND , Das Gesetz und die Propheten. Untersuchungen zur Theolo gie des Evangelium nach Matthiius, (B U 1 1 ) , Regensburg 1974. Per una visione gene· rale della struttura e teologia di M t: V. Fusco , «Matteo>>, in Nuovo dizionario di teo logia biblica , Torino 1978, 930-937. 35 Notare come il titolo «Figlio di Davide» ricorra otto volte in Mt, contro solo due sia in Mc che in Le. 36 Monografia: M.J. Suoos, Wisdom, Christology and Law in Matthew's Gospel, Cambridge (Mass . ) 1970. =
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diverse figure della speranza escatologica . . . Almeno tendenzial mente, nulla di Cristo e nulla dell'AT rimane fuori da questo proces so di illuminazione reciproca.
3 . 2 . Gesù e la legge In modo speciale , com'è noto, viene sottolineato il rapporto tra Gesù e la Legge, che non viene abolita ma «portata a compimento» (5 , 17-19) . Non è facile precisare cosa concretamente includa l'evan gelista in questo «portare a compimento>> . A volte esso sembra im plicare anche il superamento di certe norme (5 ,21-48; 19, 1-9) : anche allora, però, proprio allo scopo di realizzare in maniera più perfetta la volontà di Dio nella sua intenzione originaria (19 ,8) . Benché i dati del problema siano molteplici e controversi,37 forse per Mt neppure i precetti rituali vengono semplicemente aboliti (cf. 23 ,23 : pagare le decime; 24,20: pregate perché la vostra fuga non capiti di sabato !) ,38 ma solo subordinati, in caso di conflitto, a quello fondamentale del l'amore (7 ,12; 22,34-40; cf. 23,23 ; 9,13; 12,7 ; 25 ,31-46) . Ma appunto questo subordinare un precetto meno importante ad uno più impor tante , e questo considerare supremo comandamento quello dell'a... more, erano principi riconosciuti già nel giudaismo. Possiamo dunque concludere che Mt riprende con forza la di mensione etica, l'aspetto più «ebraico» dell'insegnamento di Gesù ; ed è suggestiva l'ipotesi che questa ripresa avvenga non semplice mente per la forza d'inerzia di una tradizione, ma proprio per con trastare certe tendenze di segno opposto, «libertine» , serpeggianti nella chiesa primitiva, e più verosimilmente in ambienti etnico cristiani. 39
37 Tra i molti studi sul problema ricordiamo: J . P . MEIER , Law and History in Matthew's Gospel. A Redactional Study of Mt. 5, 1 7-48, (AnBib 71), Roma 1976; H . SIMONSEN , «Die Auffassung des Gesetzes i m Matthausevangelium», i n SNTU, 2(1976) , 174-194; U . Luz , «Die Erfullung des Gesetzes bei Matthaus» , in ZThK, 75 (1978) , 398-435 ; D. MARGUERAT, désus et la Loi , selon Matthieu», in CBFV, 18 (1979) , 53-76; l . BROER, Freiheit vom Gesetz und Radikalisierung des Gesetzes nach Matthiius. Ein Beitrag zur Theologie des Matthiius, (SBS 98) , Stuttgart 1980 ; L. DI PlNTo, «Amore e giustizia: il contributo specifico del Vangelo di Matteo» , in Amore Giustizia , (Studio biblico teologico aquilano , II corso monografico), a cura di G. DE GENNARO, L'Aquila 1980, 327-455 .
38 Sulla questione dei cibi puri ed impuri (Mt 15, 1-20) , rinviamo al confronto già fatto con Mc: vedi sopra, § 2 . 1 . 39 Cf. V. Fusco, > ) ; 89-130 («Stefano e Paolo rileggono le Scritture [At 7; 1 3 ; 28 ) >> ) Monografie: T . HOLTZ, Untersuchungen uber die alttestamentlichen Zitate bei Lukas , ( TU 104 ) , Berlin 1968 ; M. RESE, A lttestamentliche Motive in der Christologie des Lukas, (StNT 1 ) , Giitersloh 1969. Cf. anche J . JERVELL, «Die Mitte der Schrift. Zum lukanischen Verstiindnis des Alten Testamentes», in Die Mitte des Neuen Testa ments . , 79-96. 55 N.A. DAHL, «The Story of Abraham in Luke-Acts», in Studies in Luke-A cts. Essays presented in honor of P. Schubert, a cura di L . E . KECK - J. L. MARITN, Lon don 1968 , 139-158, a p. 152. 56 Cf. V. Fusco, «Progetto storiografico e progetto teologico nell'opera lucana», in L a storiografia nella Bibbia. Atti della XXVIII settimana biblica, Bologna 1986, 123152; G. BETORI, «Chiesa e Israele nel libro degli Atti>>, in RivBib , 36 ( 1988 ) , 81-97 . 57 Cf. per esempio IRENEO, Adv. haer. 3 , 10, 1 -5 ; 3 , 1 2 , 1 - 14; 3, 14, 1-4; TERTULLIA NO, Adv. Marcionem , 4,2.4; 4,4.4; 5,2.7; Io . , De praescr. haer. 22, 1 1 ; 23 ,3. 5 8 La tesi era che Luca avrebbe ripreso da Paolo solo l'idea dell'accecamento di Israele (At 28,26-28) senza quella complementare dell'illuminazione futura (cf. Rm 1 1 ,25-27 ) : in tal modo avrebbe aperto la via ad un'interpretazione puramente allego rica dell'AT e, al limite , a quell'abbandono di esso da parte dei cristiani che HARNACK auspicava. Notare la modificazione attraverso i successivi scritti: Missione e propaga zione del Cristianesimo nei primi tre secoli, Torino 1906, p. 48 ; Die Apostelgeschichte, .
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ta da alcuni , si tratta di una forte potenzialità antignostica; il proble ma era lo stesso degli gnostici, quello del rapporto fra i due Testa menti, posto però in senso inverso: gli interlocutori di Luca non han no difficoltà ad accettare l'Antico Testamento perché ritenuto in contrasto col Nuovo, semmai ad accettare il Nuovo se non si riesce a veder lo in continuità con l'Antico . L'opera lucana può essere ascritta alla corrente più ortodossa mente «biblicistica», se cosi è lecito esprimersi , del cristianesimo primitiv�. 59 Colpisce , in primo luogo, la scelta di tipo linguistico. Benché ca pace di scrivere , all'occorrenza, secondo moduli ellenistici di buon livello - si pensi al prologo (Le 1,1-4) , al discorso all'Areopago (At 17 ,22-34) , alla scena del tumulto di Efeso (At 19,23-40) o all'apolo gia davanti ad Agrippa (At 26, 1-32) - l'autore dei due volumi a Teo filo opta decisamente per quel greco particolarissimo che è il greco dei LXX, la traduzione della Bibbia realizzata dai giudei della dia spora grecofona: un greco inconfondibile per vocabolario, stile, for me sintattiche che ricalcano quelle dell'originale semitico .60 Subito dopo il prologo, di buona fattura ellenistica (Le 1 , 1-4) , il tono cam bia improvvisamente: ci si ritrova nell'atmosfera solenne ed edifi cante della narrazione veterotestamentaria, con tutto un susseguirsi di «biblicismi» o, più precisamente, «septuagintalismi>> lucani, espressioni cioè volutamente ispirate allo stile dei LXX: «giusti al cospetto del Signore . . . » «camminare in tutti i comandamenti e le prescrizioni del Signore . . . » e via dicendo.
Leipzig 1908, 7-9.214-217; Neue Untersuchungen zur Apostelgeschichte, Leipzig 191 1 , 47 , nota 2 . Per la critica alla tesi dell' «antigiudaismo» lucano: P.-G. MOLLER, «Die jii dische Entscheidung gegen Jesus in der Apostelgeschichte» , in Les Actes des Ap6tres. Tradition . . , 523-531 . 59 Cf. P . ScHUBERT, «The Structure and Significance o f Luke 24>> , in Neutesta mentliche Studien jUr R. Bultmann , a cura di W . ELTESTER, Berlin 1954, 165-186, a p . 1 7 1 (esigerebbe rettifica però l'accostamento un po ' indifferenziato a scritti come Eb, 1Ciem, Ap, Ps-Barn; e anche l'affermazione che per essi la Scrittura è più sacra di quanto non Io sia stata per Gesù, Paolo e Giovanni). Non ben motivato il diverso pa rere di SAND, «"Wie geschrieben steht . . . " . . . » , 345-347 . Come termine , in questo con testo , è meglio «biblicismo» che «fondamentalismo» (JERVELL, «Die Mitte . . . », 79: «Lukas ist der Fundamentalist - sit venia verbo - im Neuen Testament>>); cf. invece ScHUBERT, «The Structure . », 185: «Luke himself, with ali his Biblicism, was neither a fundamentalist, n or a liberai . . » . 60 Maggiori particolari in E. PLOMACHER, Lukas a ls he/lenistischer Schriftsteller. Studien zur Apostelgeschichte, (StUNT 9), Gottingen 1972, 38-72; W.S. KuRz , «Lu ke-Acts and Historiography in the Greek Bible», in SBL. SP, 19( 1980} , 283-300. .
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Per quanto tale linguaggio potesse essere famigliare e congeniale all'autore - comunque lo si voglia ipotizzare: giudeo grecofono op pure ex-pagano, eventualmente già passato attraverso l'esperienza dei «proseliti>> o dei «timorati di Dio>> che avevano abbracciato la fe de di Israele - siamo di fronte ad uno che vive una doppia apparte nenza culturale e si rivela padrone di diversi tipi di linguaggio: la sua dunque rimane una scelta linguistica vera e propria. Diametralmen te opposta a quella del contemporaneo Giuseppe Flavio, giudeo pa lestinese ma ambizioso di affermarsi come storiografo ellenistico, il quale, riscrivendo la narrazione biblica ad uso del pubblico dell'Im pero , non esita a far parlare patriarchi e profeti secondo i dettami della retorica greca. Significativa è anche la ripresa delle grandi categorie veterote stamentarie, prima fra tutte quella del «regno di Dio». Mentre il vangelo giovanneo si arrischia a tradurla in altre categorie forse più congeniali alla sensibilità religiosa degli ambienti cui si rivolge - vi ta, luce , verità, liberazione . . . - Luca, nonostante una certa propen sione a dare maggior spazio alla terminologia della «salvezza»,6 1 op ta decisamente per il mantenimento di «regno di Dio» come catego ria fondamentale che riassume il contenuto della predicazione non solo prepasquale (Le 4,43; 8 , 1 ; 9 ,2. 1 1 ; 10,9 . 1 1 ; 1 1 ,20; 16, 16) ma an che postpasquale (At 1 ,3 ; 8,12; 14,22; 19,8; 20,25 ; 28,31).62 L'an nunzio della Chiesa benché ormai abbia come oggetto Gesù morto e risorto , rimane in pari tempo annunzio del Regno annunziato da Gesù. Notare anche l'insistenza sul tema della «promessa» (Le 24,49; At 1 ,4; 2,33 ,39; 7,5 . 17; 13 .23 ,32; 26,6) della «speranza di Israele» (At 26,6.7; 28 ,20) ; sull'espressione «i padri», «i nostri padri» (Le 1 ,55 ,72; At 3,25; 7 , 1 1 , 12,15 , 19,38.39,44,45 ; 13 , 17,32,36 ; 15, 10) «il Dio dei nostri padri» (At 3,13; 5,30; 22,14; 26,6) , «il Dio di Israele» (Le 1 ,68 ; At 13,17) . Da queste scelte tutte convergenti appare chiaro che Luca, nel momento stesso in cui auspica l'inserimento del vangelo nella cultu61 Oltre al verbo so-izo e al sostantivo soterla usati più largamente, va notato an che Sotér, Salvatore, come titolo di Gesù (Le 2 , 1 1 ; At 5,31 ; 13 ,23) , forse in contrap posizione all'usurpa;done di tale titolatura da parte dei sovrani ellenistici. 62 Cf. O. BETZ , «The Kerygma of Luke», in Int, 22( 1968) , 131-146: ripubblicato in Io . , Jesus Der Messias Israels , ( WUNT 42) , Tiibingen 1987 , 257-272; G . Voss , Die Christologie der lukanischen Schriften in Grundzugen , (SN 2) , Paris-Briigge 1965 , 2560; M. Vi>LKEL, «Zur Deutung des "Reiches Gottes" bei Lukas» , in ZNW, 65(1974), 57-70.
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ra ellenistica, come mostra emblematicamente il discorso dell'Areo pago (At 17 ,22-34) , e come testimonia concretamente l'opera sua stessa col ricalcare i modelli storiografici ellenistici (Le 1 , 1-4) , esige però che sia anche il pagano a muoversi verso la tradizione veterote stamentaria, a familiarizzarsi con quel linguaggio e quella storia (non a caso è in At 7 e in At 13, sulla bocca di Stefano e poi di Paolo , che troviamo, uniche nel NT, due ampie sintesi della storia veterote stamentaria, dai patriarchi alla conquista, poi fino all'elezione della dinastia davidica), ad inserirsi nel cammino già percorso da Israele. Su questo sfondo più ampio di valorizzazione dell' AT nel qua dro della continuità Israele-chiesa, va esaminato il problema più specifico di come venga vista in Lc-At la rilettura cristiana dei testi veterotestamentari .
4.2. La Legge Per la Legge in quanto tale, il problema si pone in termini diversi da Mc e anche da Mt. Per Luca - che in questo probabilmente si riavvicina maggiormente alla realtà storica - Gesù nell'intera sua esistenza terrena, che inizia puntualmente con la circoncisione (Le 2,21) , non ha né violato né abrogato nessuna norma della Legge, ma ne ha ribadito e radicalizzato l'osservanza (Le 6,20-49 ; 10,25-28 ; 16, 16-18) contrapponendosi solo a certe posizioni dei farisei , come sul sabato (Le 6,1-1 1 ; 13,10-17; 14, 1-6) , il ritualismo in genere (11 ,37-54) , l'atteggiamento verso i peccatori (Le 7,36-50; 15, 1 -32; 18,9-14) . Il motivo essenziale del dissenso con loro, e più in generale con le autorità giudaiche e con l'intera «generazione incredula» , sta piuttosto nel loro rifiuto di accogliere il messaggio della venuta del Regno (7 ,29-35 ; 20, 1-8 ; 1 1 , 14-32; 12,51-56; 13 ,1-9.23-35 ; 14, 15-24; 19,11-28.41-44; 20,9-19) . Spunti di critica, o se non altro di una certa relativizzazione del culto del tempio63 - ma entro i limiti di quanto era possibile anche al l'interno del giudaismo stesso - affioreranno solo col discorso di Ste fano (At 7, 1-53, sopr. vv. 44-50) ; nel processo di Gesù essi non gio cano alcun ruolo: Luca elimina testi come Mc 14,57-58; 15 ,29. Per Luca però sono i falsi testimoni a distorcere le parole di Stefano in senso ostile al santuario e alla Legge (At 6,13-14; cf. anche 7,38 do-
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Atti,
Monografia: Brescia 1984.
A. CASALEGNO, Gesù e il tempio. Studio redaziona/e su Luca
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ve la legge mosaica è definita, da Stefano, «parole viventi») , così co me avverrà poi a suo tempo anche con Paolo (At 21 ,28; 24,12-13; 25 ,7-8; 28, 17) . Significative le omissioni , già segnalate parlando di Mc, della po lemica contro le norme di purità (Mc 7, 1-23) , dei contatti più signifi cativi tra Gesù e i pagani (Mc 7, 24-30; 8, 1-10), e , come appena no tato , delle espressioni contro il tempio. Per quanto riguarda poi la comunità postpasquale , il punte;> di vi sta di Luca sembra essere che la. circoncisione, il culto ebraico, l'os servanza delle prescrizioni mosaiche - non attribuendo però loro, nè per i pagani nè per gli ebrei, quel valore salvifico che spetta solo a Cristo (At 13, 38-39 ; 15 ,10-11) - rimangono in vigore per i cristiani di origine ebraica (2,5 .46; 3 , 1 ; 5 ,12.42; 21 ,20; 22, 12) ; attribuire a Paolo l'intento di distogliere i giudeocristiani dalla circoncisione e dalle tradizioni nazionali , è una calunnia priva di fondamento (At 21 , 17-26) . I pagani invece , come sancisce il concilio di Gerusalem me, non sono obbligati se non a quelle clausole che la Legge stessa aveva voluto estendere ai forestieri immigrati in mezzo agli ebrei (At 15, 19-21 .28-29 ; cf. Lv 17-18) . Certe trasgressioni delle norme mosaiche che si rendono inevitabili anche per i giudeocristiani per avvicinarsi ai pagani, come Pietro a Cornelio, non assumono portata generale ma vengono giustificate appellandosi alla nuova volontà espressa in tal senso da Dio (At 10,1-11 , 18) .
4.3 . L'aspetto profetico delle Scritture Più che nella Legge dunque la lettura cristiana delle Scritture , per Luca, s'incentra nei profeti , o più in generale nell'aspetto profe tico delle Scritture. Assai spesso anche altri testi, particolarmente dei Salmi, o del Pentateuco stesso , vengono equiparati a testi profe tici: Davide «essendo profeta» parlò della risurrezione di Cristo (At 2,30) ; Mosè preannunziò la venuta dell'inviato definitivo (At 3 ,2223 ; 7,37) . Significativamente , l'espressione completa «la Legge ed i profeth> o «Mosè e i profeti» (Le 16,16.29.31 ; 24,27.44; At 13,15 ; 24,14; 28,23) , o quella più generica «(tutte) le Scritture» (Le 24,27.34.45 ; At 17,2. 1 1 ; 18,24.28) , può essere sostituita, con portata altrettanto generale, da «(tutti) i profeti» (Le 1 ,70; 18,3 1 ; 24,25 ; At 3, 18.21 .24; 7 ,42; 10,43 ; 13,27 ; 15 ,15; 26,22.27) . Per comprendere com'è visto in Lc-At l'adempimento delle Scritture, sarà opportuno considerare da un lato alcune importanti affermazioni di principio (§ 4.3 . 1 ) , dall'altro i testi biblici concreta130
mente addotti , prima nel Vangelo (§ 4.3.1), poi negli Atti (§ 4.3 .3) . Sia per la concezione generale che per i testi biblici di fatto utilizzati, cercheremo di volta in volta di precisare, nella misura in cui può es sere possibile e fruttuoso in questa sede, che cosa sia opera del re dattore e che cosa invece risalga ad una tradizione già fonnata. 4. 3. 1 . Sotto il segno dell'adempimento
Luca apre il racconto del ministero di Gesù sviluppando, al po sto del breve sommario marciano sull'annunzio del Regno (Mc 1 ,1415) , una dettagliata descrizione della predica di Gesù a Nazaret (Le 4,16-30) ,64 episodio che i paralleli collocano abbastanza più tardi (cf. Mc 6,1-6; Mt 13,53-58) e che Luca invece volutamente anticipa, per farne come una chiave di lettura di tutte le successive vicende, non solo di Gesù ma anche della chiesa postpasquale. Il valore emblema tico dell'episodio, agli occhi dell'evangelista, sta, in negativo, nella reazione di rifiuto ed ostilità dei connazionali ; in positivo, nell'an nunziare in termini programmatici tutta la missione salvifica di Ge sù. Approfittando della celebrazione settimanale nella sinagoga, Gesù si fa avanti come lettore , sceglie il passo di Isaia 61,1-2, e poi, a mò di omelia, commenta: «Oggi si è adempiuta questa Scrittu ra . . (Le 4,21) . E in effetti l'attività di Gesù descritta nelle pagine successive - predicazione, guarigioni, esorcismi , remissione dei pec cati - corrisponde alla missione dell'inviato divino di cui parlava il passo biblico . Tutta l'opera di Gesù, in questa maniera, viene posta più esplicitamente sotto il segno dell'adempimento delle Scritture . Questa particolare insistenza lucana all'inizio del vangelo, trova riscontro in quella che si avverte alla fine, ancor più fortemente,65 nel racconto della risurrezione .66 Il racconto si articola in tre mo.
»
64 Monografia: U . BussE, Das Nazareth-Manifest Jesu. Eine Einfilhrung in das lukanische Jesusbild nach Lk 4, 16-30, (SBS 91), Stuttgart 1978.
65 È stato notato che nel discorso di Nazaret l'identificazione dell'inviato divino in Is 61 , 1-2 con Gesù , pur essendo ovvia per i lettori cristiani , rimane sottaciut�: J .-N. ALErn , «Jésus à Nazareth (Le 4,16-30) . Prophétie , Écriture et typologie>>, in A cause É É de /' vangi/e. tudes sur les Synoptiques et /es Actes offerts au p. J. Dupont , osb, à /'occasion de son 70" anniversaire, (LeDiv 123) , Paris 1 985 , 431-45 1 . 66 Oltre allo studio d i ScHUBERT già citato (vedi sopra, nota 59) , cf. anche : C.M. MARTIN!, «L'apparizione agli apostoli in Le 24,36-43 nel complesso dell'opera luca na>> , in Resurrexit. Actes du Symposium lntern. sur la Résurrection de Jésus, a cura di E. DHANIS , Roma 1974, 230-245 , ripubblicato in C.M. MARTIN!, La parola di Dio alle origini della chiesa, (AnBib 93) , Roma 1980, 259-271 ; R.J. DILLON , «Easter Revela tion and Mission Program in Luke 24,46-48>> , in Sin, Salvation and the Spirit. Comme morating the 5fY' Year of the Liturgica[ Press, a cura di D . DuRKEN, Collegeville
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menti, in ognuno dei quali l'accento viene a cadere sempre sulla comprensione della necessità delle sofferenze del Messia. Al mo mento della scoperta della tomba vuota (24, 1-12) le donne sono in vitate a richiamare le parole dette a suo tempo al riguardo da Gesù in Galilea e rimaste finora incomprese (vv. 7-8: cf. 9,44-45 ; 18,34) ; non si menzionano ancora esplicitamente le Scritture , ma ad esse rinviavano quelle parole di Gesù che le donne sono invitate a ricor dare (cf. 18, 31 ; 24,44) . Ai due discepoli diretti ad Emmaus (24, 1335) sarà invece il Risorto stesso ancora in incognito , dopo aver rim proverato l'intero gruppo dei discepoli per la riluttanza a credere a «tutto ciò che avevano detto i profeti» circa la necessità delle soffe renze messianiche (vv . 25-26) , ad impartire strada facendo una det tagliata lezione esegetica: « . . . partendo da Mosè e da tutti i profeti interpretò (dierméneusen) loro in tutte le Scritture le cose che si rife rivano a lui» (v. 27) . E dopo averlo riconosciuto nell'atto di spezzare il pane , essi stessi , riflettendo sull'accaduto , riconosceranno che il loro cuore si andava infiammando, mentre egli parlava loro lungo la via ed «apriva (diénoigen) loro le Scritture» (v. 32) . Apparendo infine all'intero gruppo dei discepoli (24,36-49) , Ge sù, ribadendo la necessità che si adempissero « . . . tutte le cose scritte nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi su di me» (v. 44) , «aprì (diénoixen) la loro mente a comprendere le Scritture>> (v. 45) : «Così stava scritto , che il Cristo soffrisse e risorgesse dai morti il terzo giorno, e nel suo nome venisse predicata la conversione e la remis sione dei peccati a tutti i popoli (ta éthne: i pagani), a cominciare da Gerusalemme» (vv . 46-47) . È in questa scena, che segna l'autentica conclusione teologica del Vangelo lucano , prima della breve conclusione narrativa (vv . 5053) , che il tema è formulato nella maniera più piena. Da una parte , si fa più dettagliata l'enumerazione delle Scritture : Legge, profeti , Salmi , una tripartizione che sembra ricalcare quella tradizionale ebraica tra la Legge , i profeti, e gli «altri Scritti»: insomma, tutte le Scritture (cf. 24,27; At 3 , 18.24; 10,43 ; 13,27) . Dall'altra, si fa più dettagliata anche l'articolazione del disegno divino preannunziato nelle Scritture: non soltanto la passione del Messia e la sua risurre zione , ma anche un terzo elemento : la predicazione non solo ai giu dei ma anche ai pagani. È lo stesso schema che ritroveremo , questa (Minn.) 1979, 240-270 ; Io . ,
and Composition in Luke
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From Eye-Witnesses to Ministers of the Word: Tradition (AnBib 82) , Roma 1978, pp. 268-274.
24,
volta sulla bocca di Paolo, nell'ultimo grande vero e proprio discor so del secondo volume, l'apologia davanti ad Agrippa: « . . . ciò che avevano preannunziato i profeti e Mosè: - che il Messia avrebbe sofferto - e che , risorgendo per primo dai morti , - avrebbe proclamato la luce al popolo e ai pagani . . » (At 26,23). 67 .
È facile osservare che di questi tre punti il kerygma primitivo ri cordato da Paolo ai corinzi menzionava solamente i primi due:
- «Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture . . . - ed è risorto il terzo giorno, secondo le Scritture . » (lCor 15 ,34) . .
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Questo schema più tradizionale, binario e non ternario, affiora nell'opera lucana stessa; così nella sinagoga di Tessalonica i punti che Paolo illustra con le Scritture sono solo due: « . . . che il Messia doveva soffrire, e risuscitare dai morti» (At 17 ,3) . Indubbiamente, in connessione con la morte e risurrezione di Gesù, era tradizionale menzionare la «remissione dei peccati» (cf. Gv 20,23 ; At 5,31-32; 10,43 ; 13 ,38) , senza però sottolinearne la uni versalità che, al massimo, restava implicita nel fatto che la remissio ne dei peccati è offerta a chiunque l'accoglie nella fede ; e senza un esplicito richiamo alle Scritture come invece per la morte e la resur rezione . Il parallelo matteano (Mt 28, 16-20) e la finale canonica di Mc (Mc 16,9-20) sottolineano esplicitamente l'universalità della mis sione; non però come un elemento nel quale si adempiono le Scrittu re (neppure Mt che tutto riconduce ad esse !) ma semplicemente co me un comando del Risorto. Nel discorso escatologico marciano l'e vangelizzazione dei pagani è preannunziata, con terminologia apo calittica, come «necessaria» prima della fine (Mc 13, 10) senza che ciò implichi un adempimento delle Scritture.68 In Paolo viceversa va ri testi veterotestamentari vengono interpretati nel senso dell'evan gelizzazione dei pagani (cf. per esempio Rm 15 ,7-13) .
67 Cf. J. DuPONT, «La portata cristologica dell'evangelizzazione delle nazioni» , in Io. , Nuovi Studi sugli A tti, p. 33-52; già precedentemente: «La salvezza dei gentili e il significato teologico del libro degli Atti», in Io. , Studi sugli Atti, 669-715. Non si comprende come JERVELL, «Die Mitte . . . », 91 (il quale non cita questi studi di Du pont) includa l'evangelizzazione universale tra le molte altre cose che Luca riconduce alle Scritture e che a differenza dalla morte e risurrezione del Messia non apparter rebbero però a quel nucleo più essenziale la cui comprensione è dischiusa dalla pa squa. 68 Vedi sopra § 1 . 1 .
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Tradizionale era anche il tema stesso della illuminazione pasqua le dei discepoli, in contrapposizione alla invincibile cecità preceden te. Esso risale ad una tradizione attestata sia da Mc (Mc 4,13; 6,52; 7,18; 8, 14-21 ; 9,9s.32) sia da Gv (Gv 2,22; 12,16; 16,12-14.25 ; ecc.), nel quale tale comprensione pasquale del mistero della passione fa un tutt'uno con la comprensione delle Scritture (Gv 20,9; cf. 2,22; 12,16) . La sintesi più chiara ed esplicita di tutti questi elementi nello schema temario sembra dunque lucana; gli elementi in se stessi però risultano praticamente tutti già tradizionali: Luca sviluppa una ri flessione personale ma inserendosi in quella portata avanti già prima di lui. È interessante anzi notare che Luca stesso non spinge fino in fondo la sua sintesi.69 Benché egli, come abbiamo visto nell'episodio programmatico di Nazaret (Le 4,16-30) ponga decisamente sotto il segno dell'adempimento delle Scritture anche l'attività prepasquale di Gesù, quest'ultima poi non entra nello schema temario di Le 24,46s e At 26,23 . Ai due elementi più tradizionali, la morte e la ri surrezione (1Cor 15 ,3-5), Luca fa seguire un ulteriore elemento, l'e vangelizzazione dei pagani, ma non fa precedere l'attività terrena di Gesù: stando allo schema, a rigore , l'adempimento delle Scritture comincerebbe con la passione . Questa dualità irrisolta sembra riflet tere una dualità di tradizioni: da una parte quella di tipo keryg matico , prepaolina e paolina, incentrata sull'evento pasquale; dal l'altra quella più incentrata sul Gesù terreno . Che già nel ministero terreno di Gesù si adempisse la Scrittura è infatti anch'esso un ele mento che Luca riceve dalla tradizione . Se è sua la descrizione del l'omelia di Gesù a Nazaret, tradizionale però è indubbiamente il te sto che egli fa leggere e commentare a Gesù in quell'occasione: Is 61 , 1-2, il messaggero inviato a proclamare la buona notizia ai pove ri. Il tema infatti è presente già nella fonte Q, sia nella pericope del l'ambasceria del Battista (Mt 1 1 ,5s Il Le 7,22s) , sia nella beatitudine dei poveri (Mt 5,3 11 Le 6,20) ; e, ancor più a monte, nell'uso stesso della terminologia «vangelo» per designare la predicazione di Gesù (cf. Mc 1 , 14s; ecc.).70 69 Una mancanza di sintesi può essere ravvisata anche nel fatto che in alcuni testi (per esempio At 10-1 1) l'apertura ai pagani non è motivata con le Scritture: J . B . TY SON , «The Gentile Mission and the Authority of Scripture in Acts», in NTS, 33(1987) , 619-63 1 . 70 Cf . J . DUPONT, «.Jésus annonce l a bonne nouvelle aux pauvres, i n Evangeliza re pauperibus. Atti della XXW sen. bibl. , Brescia 1978, 127- 129; ripubblicato in ID. , É tudes sur les évangiles syrwptiques, (BEThL 70), Leuven 1985 , 23-85 ; v. anche D . SECCOMBE, Luke and lsaiah , i n NTS, 27( 1980-81), 252-259.
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Luca dunque più che essere già pervenuto ad una sintesi o ad un maggiore approfondimento teologico del tema dell'adempimento , si muove in direzione di esso. Se poi si guarda in concreto sia ai testi scritturistici citati , sia agli avvenimenti con essi commentati, si ha la riprova che ad una maggior insistenza globale sul tema dell'adempi mento non corrisponde poi una tendenza ad individuarlo in maniera sempre più dettagliata estendendolo ad altri testi e ad altri av venimenti. 4. 3.2. Citazioni scritturistiche nel Vangelo lucano
Almeno per quanto riguarda il primo volume lucano, per il qua le il confronto con le fonti è più facile, si può concludere che sia gli avvenimenti, sia i testi bibljci per i quali si parla di adempimento, ri mangono praticamente · quelli ricevuti dalla tradizione. Altri av venimenti che non siano la passione e la risurrezione sono pochissi mi e sempre ripresi dalla tradizione: l'attività del precursore (Is 40,3s in Le 3 ,4-6 par. ; Ml 3 , 1 in Le 7,27 11 Mt 1 1 , 10; cf. Mc 1 ,2) ; la predicazione di Gesù come lieto messaggio per i poveri; alcune sue guarigioni che richiamano più da vicino testi profetici. 71 Sotto questo aspetto la differenza con Mt è notevole . Nell'infanzia lucana, ad esempio, i richiami biblici sono assai abbondanti ma prevalentemen te di tipo allusivo-midrascico , secondo una tendenza tradizionale già nel giudaismo e che non implica necessariamente l'idea di adempi mento in senso più stretto. n Ma anche per quanto riguarda la passione e la risurrezione , i ri ferimenti scritturistici restano sostanzialmente quelli già presenti nella tradizione; per lo più si presentano in forma generica «le Scrit ture» , «i profeti»: Le 18,31 ; 24,24-27.46s) . Solo in Le 22,37 mentre gli altri sinottici in un contesto simile rinviano più genericamente al le Scritture (Mc 14,49 e Mt 26,56) , Luca cita un testo particolare: �E
71
Vedi sopra § 1 . 3 . Un caso un po' a sé , in quanto pur trovandosi nel vangelo si tratta di eventi successivi alla pasqua, si ha nel discorso escatologico , in cui l'evangelista presenta an che la distruzione di Gerusalemme come adempimento delle Scritture (Le 21 ,22). L'accenno però rimane molto generico («tutte le cose scritte») e in ultima analisi non fa che rendere più esplicito quanto anche le fonti presupponevano, nel descrivere la grande tribolazione futura con i colori di quelle dell'Antico Testamento (cf. Mc 13,8. 12. 14. 19.24) oppure nel descrivere il rifiuto opposto a Gesù secondo Io schema del rifiuto opposto ai profeti, che colma la misura del peccato e rende inevitabile il giudizio (cf. Le 1 1 ,49-51 Il Mt 23 ,34-36) . 72
.
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fu annoverato tra gli iniqui» Is 53, 12) . L'espressione è tratta da quel� lo che i moderni chiamano il quarto canto del Servo di JHWH (Is 52, 13-53 ,12) , però si ferma all'aspetto più generico ; a ben vedere, non aggiunge nulla di particolare al tema del giusto perseguitato, già ben tradizionale nel racconto della Passione . 4. 3.3. Citazioni scritturistiche negli Atti
Il libro degli Atti a più riprese descrive i primi evangelizzatori, ed i loro interlocutori, appassionatamente intenti a «discutere sulla base delle Scritture ( dialégein apo ton graph6n) . . . spiegare (dianoi gein) . . . dimostrare (paratithemi)» (At 17,2-3) ; «esaminare (anakri nein) le Scritture per vedere se le cose stavano così» ( 17,1 1 ) , «dimo strare (epideiknymi) attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo» (18,28) «convincere (peithein) riguardo a Gesù in base alla legge di Mosè , e ai profeti» (28,23) .73 E di questo intensificarsi della riflessio ne scritturistica cristiana, il libro offre esso stesso una ricca docu mentazione con le sue numerose citazioni ed allusioni. 74 Non sempre è facile - né d'altra parte è di assoluta importanza - precisare quanto di questa riflessione scritturistica sia opera del redattore finale e quanto invece sia stato ereditato dalla tradizione . Mentre per il pri mo volume lucano era facile il confronto con Mc (e , più ipotetica mente , con Q) , qui il confronto, con le lettere paoline ed altri scritti neotestamentari, è possibile in misura più limitata Indubbiamente alcuni elementi privi di parallelo in altri scritti neotestamentari - il rinviare con precisione ad un determinato passo (At 13,33: «com'è scritto nel salmo secondo . . . ») , il rifarsi all'autore del passo (Davide, Mosè, ecc. : 1 , 16; 2,25. 34 ; 3,22; 4,25 ; 7,37) , il ricapitolare i punti es senziali dell'adempimento - sembrano rivelare un intenso lavorio scritturistico personale dell'autore di Le At.75 Va da sé però che tale lavoro era iniziato ben prima di lui e si era sviluppato con lo svilup parsi stesso della predicazione cristiana.
73 Verosimilmente questo riferimento alle Scritture è presupposto dovunque si parli di «dimostrare che Gesù è il Messia»: 9 ,22; 18,5. 7 4 In questa sede ci soffermeremo solo su alcune delle principali citazioni , rin viando per un'analisi più dettagliata a J. DuPONT, «L'utilizzazione apologetica del l'Antico Testamento nei discorsi degli Atti » , in Io . , Studi sugli Atti, 415-479; e a B E TORI , «L'AT negli Atti». 7s JERVELL, «Die Mitte . » , 80. . .
Un punto da notare è che la maggior parte delle citazioni si in contra all'interno dei discorsi collocati sulla bocca dei vari personag gi. Oggi tra gli studiosi è largamente diffuso il convincimento che , conformemente all'uso della storiografia greco-romana, i discorsi , più che riprodurre quanto detto effettivamente nelle varie occasioni, mirano ad esprimere il punto di vista dello storiografo stesso , la sua interpretazione dei fatti narrati. 76 Questa ed altre considerazioni l'estrema concisione, l'omogeneità stilistica e teologica indipenden temente dal personaggio che parla, l'inserirsi perfettamente nei mo menti strategici dell'opera, l'uso della versione greca dei LXX anche quando chi parla non è un grecofono, come Giacomo , e tuttavia il testo risulta probante solo nella forma dei LXX (così Am 9,1 1-12 in At 15 , 15-18) - autorizzano ad attribuire al redattore per lo meno una notevole parte in questa grande operazione di rilettura cristiana dell' AT. Questo però non esclude affatto l'utilizzazione di tradizio ni, soprattutto quelle dei cristiani grecofoni , che già avevano lavora to col testo dei LXX.77 Come già nel Vangelo lucano, anche negli Atti si potrà constatare che la riflessione personale di Luca si innesta in quella già sviluppatasi sotto la spinta delle esigenze della predica zione e soprattutto del dialogo con i giudei, al quale come già notato il narratore stesso fa frequentemente riferimento. Alla luce dello schema ternario di Le 24,46s e At 26,23 , conviene raggruppare da una parte le citazioni riferentisi alla morte e resurre zione di Gesù, dall'altra quelle che vogliono illuminare gli eventi postpasquali connessi all'evangelizzazione dei giudei e dei pagani. Alla passione e risurrezione del Messia, oltre ad alcuni rinvii ge nerici a «i profeti», analoghi a quelli già incontrati nel Vangelo, si ri feriscono innanzitutto alcune citazioni che appaiono anche in altri scritti neotestamentari , e che pertanto dovrebbero risalire ad una tradizione, almeno orale: 78 Il passo sulla pietra scartata dai costrut tori divenuta pietra angolare (Sal 1 18,22) citato in At 4,11 (cf. Mc 12,10-11 par. ; lPt 2,7) ; quello del Sal 1 10, 1 : «Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra» , applicato alla glorificazione di Gesù
76 Tra i molti studi sui discorsi , rinviamo a U. WILCKENS, Die Missionsreden der 3 Apostelgeschichte, ( WMANT 5 ) , Neukirchen 1 974; J. ScHMIIT, «Prédication aposto lique , l. Les discours missionnaires des ActeS>>, in DBS VIII , ( 1 967) , 25 1-267 ; P LO MACHER, Lukas als hellenistischer Schriftsteller. . . , 32-79 ; J . DUPONT, «l discorsi di Pie trO>>, in In. , Nuovi studi sugli Atti, 53-102. 77 DuPONT, «L'utilizzazione . . . », 462-466. 78 Sul problema dei testimonia , vedi sopra, § l .
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(At 2,34s ; cf. Rm 8 ,34; Mc 14,62; Eb 1 , 13; 8 , 1 ; 10,12; 12,2; 1Pt 3,22; Ef 1 ,20; Col 3 , 1 ) ;79 l'altro salmo regale 2,7 («Figlio mio sei tu, io og gi ti ho generato») , in riferimento anch'esso alla resurrezione (At 13,33 ; cf. Eb 1 ,5 ; 5 ,5) . Tutte le citazioni suddette appaiono nei di scorsi «kerygmatici» ai giudei, sulla bocca di Pietro (2,34s; 4,11) e poi anche di Paolo (13 ,33) ; è lecito ipotizzare che risalgano appunto a questo tipo di predicazione tradizionale . Delle rimanenti citazioni riferite alla passione e alla risurrezio ne, alcune appaiono più semplici e sostanzialmente sulla linea delle precedenti - cosi i passi dei Salmi applicati a Giuda (At 1 ,20, cf. Sal 69,26; 109 ,8), a Erode e a Pilato (At 4,25s; cf. Sal 2,1), sulla linea dell'utilizzazione già tradizionale nel racconto della passione80 mentre altre sembrano presupporre una riflessione scritturistica più approfondita, più sottile. Il brano di Is 53 ,7s che Filippo in risposta all'Etiope applica a Gesù (At 8, 32s) non si limita genericamente a descrivere Gesù come l'innocente perseguitato (come Is 53 ,12 in Le 22,37) ma pare che intenda riferire ogni singolo elemento del testo ai singoli momenti della passione e glorificazione di Gesù.81 Note volmente elaborata risulta anche l'argomentazione ricavata dal Sal 16,8-11 in At 2,25-2882 (ripresa poi più brevemente , come già nota al lettore , anche in At 13 ,35) . Redazionali o tradizionali che siano, queste riletture più sottili testimoniano l'intensificarsi della riflessio ne scritturistica cristiana messa in moto dagli eventi pasquali. Più interessante e più caratteristico dell'opera lucana l'altro gruppo di citazioni, quelle riferentisi all'esperienza della chiesa post pasquale, in particolare all'evangelizzazione dei giudei e ' poi anche dei pagani: quel terzo punto , cioè, dell'adempimento delle Scritture
79 Cf. J. DuPONT, «"Seduto alla destra di Dio"» , in In. , Nuovi studi sugli Atti, 195-275 . lll Applicazioni a Giuda si hanno anche in Gv 13,18; 17,12 (cf. Sal 41 ,10) . II -sal mo 2 era già tradizionalmente interpretato cristologicamente ; il salmo 69 era già ap plicato alla passione (Mc 15 ,36 parall . ; Gv 1 5 ,25 ; 19,29) ; il salmo 109 appartiene an ch'esso ai Salmi del giusto sofferente . a. J. D UPONT «L'interpretazione dei Salmi ' negli Atti degli Apostoli» e «> , in Testimo nium Christi. Scritti in onore di J. Dupont, Brescia 1985 , 205-236, alle pp. 223-225 . 82 a. più avanti .
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mènzionato programmaticamente a suo luogo (Le 24,46s ; At 26,23). Questa tematica emerge con studiata progressione, dapprima con allusioni abbastanza velate, poi in maniera sempre più esplicita. 83 Già all'inizio del primo volume , il piccolo Gesù è salutato da Simeo ne, con linguaggio deuteroisaiano: «salvezza preparata al cospetto di tutti i popoli, luce che illumina le genti e gloria di Israele tuo po polo . . . » (Le 2,30-32; cf. Is 40,5 ; 42,6; 46,13; 49,6; 52,10) . All'inizio poi dell'attività pubblica, la citazione tradizionalmente applicata al Battista, «voce che grida nel deserto . . . » viene prolungata fino ad in cludere la frase: « . . . e ogni carne vedrà la salvezza che viene da Dio» (Le 3 ,4-6; cf. Is 40,3-5); e nel discorso di Nazaret, in cui Gesù pro clama l'adempimento delle promesse salvifiche, l'ira dei presenti si accende quando Gesù ad un certo punto allude ad Elia ed Eliseo in viati a beneficare i pagani piuttosto che i connazionali (Le 4,24-27; cf. 1Re 17 ,1-24; 2Re 5 ,1-27) . Nel secondo volume , il primo discorso di Pietro, nel giorno della pentecoste, cita un testo di Gioele (At 2, 17-21 ; cf. Gl 3,1-5) : forse più idoneo all'interpretazione cristiana, rispetto ad altri grandi testi profetici sull'effusione dello Spirito, perché tale evento è descritto come escatologico ma al tempo stesso come storico, in quanto desti nato ad investire l'intera comunità di una missione profetica. Inol tre, l'espressione finale, « . . . chi avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo», si prestava a ricevere un'interpretazione cristologica: Pietro spiega che questo Kyrios da invocare per essere salvati va identificato proprio con quel Gesù di Nazaret che era stato crocifisso e che il Padre ha risuscitato dai morti (2,35s, con l'ulteriore citazione dal Sal l l0;1) ; chiunque invoca il suo nome , compie cioè l'atto di fe de in lui, si dissocia dalla «generazione perversa» (2,40) sulla quale il giorno del Signore, giorno grande e terribile annunziato da Gioele (2,19s; cf Gl 3 ,4) incombe non a salvezza ma a condanna. Benché la citazione di Gioele non si incontri altrove nel NT in ri ferimento al dono dello Spirito e ai fenomeni carismatici connessi (cf. per esempio 1Cor 12-14) , è interessante notare che l'espressione «coloro che invocano il nome del Signore» risulta usata come termi nologia ben nota, equivalente ad una vera e propria definizione dei cristiani, non solo in altri passi degli Atti (9,14.21 ; cf. 22,16) , ma an-
li
.
83 . .
».
Per un più ampio svolgimento del tema , cf.
DuPONT,
«La salvezza dei genti·
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che nelle lettere di Paolo (1Cor 1 ,2; in Rm 10, 12-14 esplicitamente come testo scritturistico ) . È lecito pertanto supporre che almeno un nucleo di partenza sia tradizionale. Nel contesto lucano , l'accenno alla necessità di questa opzione di fede in Gesù per dissociarsi dalla «generazione perversa», prepa ra il tema della divisione di Israele . Quanto ai pagani - mentre Paolo esplicitamente sottolinea che anch'essi sono compresi in quel «chiunque . . . » e nel fatto stesso che la salvezza si ottenga attraverso quell'atto di fede (Rm 10,12-14) - nel testo lucano questa esplicita zione manca; i gruppi di varie lingue cui Pietro si rivolge sono i Giu dei della diaspora,84 ai pagani si allude forse solo velatamente con l'espressione «ogni carne» (At 2,17) , poi con l'accenno: « . . . coloro che sono lontani, quanti il Signore chiamerà . . . » (A t 2,39; cf. Gl 3 ,5 e Is 57 ,19) . Già nel secondo discorso di Pietro si può notare un'accentuazio è n . Da una parte, si fa più esplicita la minaccia a quei giudei che ri fiutano di credere in Gesù: essi incorrono nell'esclusione dal popo lo, minacciata da Mosé a chi avesse rifiutato di prestare ascolto al profeta simile a lui che sarebbe stato inviato da Dio (At 3 ,22s; anche 7,37; cf. Dt 18, 15-19) .85 Da il'altra, in pari tempo, si fa più chiaro l'u niversalismo della salvezza con il rinvio alla promessa fatta ad Abra mo: «Nella tua discendenza saranno benedette tutte le stirpi della terra» (At 3,25 ; cf. Gen 12,3 ; 22,18) ; l'applicazione ai pagani, ben ché non esplicita, è suggerita dalla frase conclusiva, «A voi dunque per primi . . . » (3 ,26} , con la quale i giudei vengono designati quali beneficiari prioritari ma non esclusivi della benedizione promessa (proton in questo senso anche in At 13 ,46s ; Rm l ,16; 2,9s; Mc 7 ,27) . Anche questa volta i riferimenti scritturistici, almeno come nucleo essenziale,sembrano tradizionali: l'interpretazione universalistica della discendenza di Abramo si ha anche in Paolo, seppure in ma niera diversa (Gal 3 ,7-29; cf. Rm 4, 1-25 ; 9,6-8) ; l'identificazione di Gesù con il profeta di Dt 18,15 . 19 è attestata dall'espressione «il profeta» (Gv 1 ,21 ; 6,14; 7 ,40; forse anche Mt 21 , 1 1 ) , come pure dai
84 Cf. V. Fusco, ((Effusione dello Spirito e raduno dell'Israele disperso . Gerusa lemme nell'episodio di Pentecoste (Atti 2 , 1 - 1 3) >> , in Gerusalemme. A tti della XXVJ settimana biblica, Brescia 1982, 20 1-218. 85 Cf. C.M. MARTINI , ((L'esclusione dalla comunità del popolo di Dio e il nuovo Israele secondo Atti 3 ,23» , in Bib , 50( 1969) , 1 - 1 4 ; ripubblicato in lo. , La parola di
Dio alle origini della chiesa, 239-258 .
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testi nei quali si sviluppa la tipologia Mosé-Gesù. I due aspetti paradossalmente contrapposti - fede dei pagani, in credulità dei giudei - ritorneranno, ancor più esplicitamente , nel primo discorso posto sulla bocca di Paolo, nella sinagoga di Antio chia di Pisidia (At 13, 16-41). Dopo aver ricapitolata la storia di Israele fino all'elezione della dinastia davidica (vv. 16-22) , e dopo aver proclamato che le promesse salvifiche, non realizzate dalla Legge , si sono adempiute nella risurrezione di Gesù (vv. 23-39, con le citazioni di Sal 2,7; 16,10; Is 55,3),86 il discorso si conclude con un severo ammonimento , ricavato da Abacuc, ai «beffardi» che voles sero disprezzare questo messaggio di salvezza: «Badate dunque che non sopraggiunga su di voi ciò che è detto nei Profeti : Mirate, bef fardi, e stupite e nascondetevi , poiché un'opera io opero ai vostri giorni , un'opera che non credereste, se vi venisse raccontata!» (v. 41 ; cf. Ab 1 ,5 LXX) . Il castigo è minacciato in termini oscuri; tutta via il contesto successivo (vv . 42-52) fa capire che è quello stesso che Paolo prospetterà ai giudei di Roma (28,25-28) . Di fronte alla rea zione ostile della maggioranza dei giudei e favorevole invece da par te di numerosi pagani, Paolo e Barnaba infatti dichiarano che, aven do ormai rispettato la priorità dei giudei, d'ora in poi essi si dediche ranno ai soli pagani (vv . 46s) . A sostegno di tale decisione viene ci tato Is 49,6: «Ti ho posto a luce delle genti , affinché tu possa essere a salvezi: a fino all'estremità della terra» ; si tratta di una di quelle for mulazioni deuteroisaiane cui Lc-At fa allusione ripetutamente (Le 2,30; 3,6; At 1 ,8; 28,28) .87 L'imperativo che il Signore rivolgeva al suo Servo , qui viene riferito agli evangelizzatori cristiani . Alla base di quest'applicazione ecclesiologica rimane però sempre quella cri stologica:88 cf. At 26,23, dove colui che avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani , è Cristo stesso risorto dai morti. Benché i testi qui citati non appaiano altrove nel NT, questo me todo di rilettura cristiana dei testi «universalistici» dell' AT - soprat tutto Isaia e i Salmi - ha un certo parallelismo, soprattutto in Paolo (cf. Rm 9, 25s ; 10,11-13. 18-20; 15,7-13.21) . Assai chiaro invece è il
86 Cf. J. DuPONT, «Le cose sante di David, che sono degne di fede (Atti 13 ,34 Isaia 53,3) , in In. , Studi sugli Atti, 575-615. 87 W.C. VAN UNNIK, «Der Ausdruck hé6s eschiitou tés ghés (Apg 1 ,8) und sein alttestamentlicher Hintergrund» , in lo . , Sparsa Collecta , 1: Evangelia - Paulina - Ac ta , (NT. S 29) , Leiden 1973 , 386-401 . 88 J. DuroNT, «"Ti ho posto a luce delle genti" (At 13, 14 ,43-52)» , in I o , Nuovi studi sugli A tti, 323-329 . =
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carattere tradizionale della citazione di ls 6,9s, che Luca anziché in serire nel ministero di Gesù (Mc 4,11s ; Gv 12,39s) preferisce porre sulla bocca di Paolo nelle sue parole ai giudei di Roma a conclusione dell'opera (At 28,25-28) . 89 Per completare il quadro, a queste citazioni poste sulla bocca di Pietro e di Paolo va aggiunta quella posta sulla bocca di Giacomo nel suo intervento all'assemblea di Gerusalemme (At 15,15-18) : Amos 9,11s LXX con qualche elemento minore da altri testi. lvi si preannunzia la restaurazione della tenda di Davide caduta in rovina, « . . . affinché anche il resto degli uomini ricerchi il Signore, e tutte le genti, su cui è stato invocato il mio nome . . . ». L'applicazione univer salistica, benché posta sulla bocca di Giacomo che non è un grecofo no, è resa possibile solo dalla versione dei LXX, che ha letto «UO mo» (adam) e «Cercare» (drs) , Laddove il testo ebraico, con Edom e «conquistare» (yrS) , aveva solo una promessa di vittoria sul popolo confinante , tradizionale nemico di Israele. La citazione, sia che la si interpreti in senso cristologico (la restaurazione della tenda di Davi de identificata nella risurrezione di Gesù), sia che si pensi ad una «restaurazione» , di Israele come premessa all'estensione della sal vezza agli altri popoli,90 si i nserisce perfettamente nella concezione lucana.
4.4. Riflessioni conclusive Da quanto osservato nell'esame dei singoli testi è facile constata re che all'accentuazione delle affermazioni di principio sul rapporto inscindibile tra l' AT e Gesù , e alla notevole frequenza quantitativa delle citazioni, non fa riscontro un approfondimento della riflessio ne sui présupposti ermeneutici e metodologici di questa rilettura cri stiana. I metodi messi in opera restano più o meno quelli , moltepli ci, dell'esegesi giudaica contemporanea,9 1 con l'ampia parte di liber tà ed artificiosità che essi comportavano; anche se è giusto ricono-
89 a. Fusco , Parola e Regno , 255-257; GNILKA, Die Verstockung Israels . . . ' 1 17-154. 90 Sul problema , cf. DUPONT, Teologw della chiesa . . . , 38-46. 91 Esempi (a volte però piuttosto ipotetici) in J.W. DoEVE , Jewish Hermeneutics in the Synoptic Gospels and Acts, Assen 1954; J.W. BOWKER, «Speeches in Acts: A Study in Proem and Yelammedenu Form», in NTS, 14(1967-68) , 96- 1 1 1 ; E . E . ELLIS , «Midraschartige Ziige in den Reden der Apostelgeschichte» , in ZNW, 62(197 1 ) , 94104; J . A . SANDERS, «From Isaiah 61 to Luke 4» , in Christillnity, Judaism and Other Graeco-Roman Cults , 75-106.
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scere che non si incontra in Lc-At una vera e propria allegoresi nel senso dell'esegesi patristica dei secoli successivi.92 Difficile tracciare una netta linea di confine tra l'abitudine , cara già ai giudei pii, di commentare o addirittura esprimere ogni cosa con parole bibliche , e l'idea cristiana di adempimento in senso vero e proprio. Difficile anche stabilire fino a che punto vada intesa nel senso più stretto del termine l'idea che queste argomentazioni scrit turistiche offrano una «prova»93 della messianicità di Gesù. 94 La co stante connessione tra la comprensione delle Scritture e la pasqua, in contrapposizione alla precedente cecità, sembra far cadere l'ac cento non tanto sulla prevedibilità di eventi di cui poi sarebbe suffi ciente constatare il realizzarsi, quanto sulla luce che la Scrittura vie ne a proiettare su eventi dolorosi rimasti finora oscuri,95 ma che a lo ro volta fanno cogliere il senso delle Scritture rimaste anch'esse fino ad allora enigmatiche. A livello di principio, viene enunziata una Circolarità ermeneutica, un rapporto che va in entrambe le direzioni: le Scritture rinviano a Cristo , Cristo rinvia alle Scritture. 96 Nella luce della pasqua, i discepoli comprendono Gesù alla luce delle Scritture, ma anche le Scritture alla luce di Gesù (Le 24,46s) . In particolare ciò vale per il punto che sta molto a cuore a Luca, l'evangelizzazione dei pagani. Raffrontata ai testi veterotestamenta ri che la preannunziavano come parte integrante dell'opera messia nica, ne viene legittimata, traducendosi a sua volta in una conferma della messianicità di Gesù.97 92 DuPONT, «L'utilizzazione», 468-470. Nel modo di trattare la figura di Abra mo, Luca tra gli autori neotestamentari è il più vicino al senso letterale: DAHL, «The Story of Abraham . » . 9 3 Su una «Proof-form-prophecy-theology» in Lc-At insiste soprattutto ScHu BERT, «The Structure . . . » . 94 Non del fatto della risurrezione come tale : cf. DuPONT, «L'interpretazione dei salmi . . », 487-495 .506-509.51 1-518; C. GmoELu , «Le citazioni dell'Antico Testa mento nel cap. 2 degli Atti» , in Il Messianismo. Atti della XVIII settimana biblica , Brescia 1966 , 285-305 . 95 H.J. CADBURY, The Making of Luke-Acts , London 1968 (= New York 1927) , 303-305 . 96 Ben sottolineato in BETORI, «L'AT negli Atti . . . » . 91 DuPONT, «La salvezza dei Gentili . . . » , 745 ; Io. , «La portata cristologica . . . » . Tra i due aspetti , nell'ottica lucana, ci sembra preminente il primo: era la missione ai pagani (e le concrete modalità con cui si era realizza t a: senza circoncisione , senza at tendere la previa conversione in Israele . . . ) che aveva bisogno di essere legittimata, più di quanto non ne avesse bisogno la messianicità di Gesù per chi aveva già accolto la proclamazione della risurrezione ; benché sia lecito presumere che per certi lettori giustificando l'evangelizzazione cristiana dei pagani si rimuoveva anche un ostacolo ad accettare Gesù stesso. Sul rapporto fra finalità «apologetico-ecclesiologica» e fina lità «kerygmatica» , cf. Fusco «Progetto . ». .
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In che senso dunque si deve «partire» dalle Scritture per capire Gesù (cf. Le 24,27 : « . . . e cominciando da Mosé e da tutti i profe ti . . . » ; At 8,35 : « . . . e cominciando da quel passo della Scrittura . . . ») , ed in che senso viceversa si deve «partire» dall'esperienza vissuta , dall'evento della morte e risurrezione di Gesù, per capire le scrittu re?98 in che senso sono enigmatiche le Scritture senza Gesù e in che senso è enigmatico Gesù senza le Scritture? In che senso , fino a che punto, dev'essere considerata inadeguata la lettura ebraica delle Scritture (cf. At 13,27)? Dopo Cristo e la sua risurrezione , essa avrebbe perduto ogni ragion d'essere ,99 oppure in qualche modo po trebbe conservarla? La risposta non è facile. A volte sembra che si punti sulla lettera lità stessa del testo biblico, e una letteralità che spesso ingenuamen te (o forse furbescamente?) prescinde dal contesto originario : 100 la voce che grida nel deserto è quella del Battista (Le 3,4-6; cf. Is 40, 3-5 LXX) , il messaggero inviato a portare la lieta notizia ai poveri , è Gesù (Le 4, 18s; cf. Is 61 ,1s) , gli storpi , i ciechi e i sordi di Is 35 ,5s sono quelli guariti da Gesù (Le 7,22s) , e via dicendo . Il profeta di cui parlava Mosé (Dt 18,15. 19) non è più semplicemente , in senso di stributivo , il profeta inviato di volta in volta da Dio al suo popolo , ma in senso individuale, un profeta ben preciso , quello escatologico, da identificare con Gesù (At 3,22s ; 7,37) . Non sempre però l'utilizzazione è cosi «ingenua» . A volte ci si pone l'interrogativo esegetico: «Di chi dice queste cose il profeta? di se stesso o di qualche altro?» (At 8,34) . A volte si fa leva appunto sulla impossibilità di intendere il testo, o almeno certi elementi di es so, in senso puramente letterale . Quando il Salmista si dichiara sicu ro di non essere abbandonato alla dimora dei morti e a subire la cor ruzione, ma di godere una pienezza di vita senza fine alla presenza del Signore (Sal 16,8- l l ) , queste espressioni non possono riferirsi in senso letterale al suo autore, Davide, il quale in realtà anche lui è morto e fu sepolto, « . . . e la sua tomba è in mezzo a noi fino al giorno 98 Sui due procedimenti, cf. DuPONT, «Le point de départ de l'affirmation chri stologique dans les discours des Actes des Apòtres» , in CoMM. BIBL. PoNT. , Bible et Christologie, Paris 1984, 219-235 ; tr. it. : «Il punto di partenza dell'affermazione cri stologica nel discorso degli Atti degli Apostoli», in PoNT. CoMM. BIBL . , Bibbia e Cri stolo�ia Cinisello Balsamo (MI) 1987 , 223-239. Ì! questa la concezione che attribuisce a Luca H.CoNZELMANN, Die Mitte der Zeit. Studien zur Theologie des Lukas, (BHTh 18) , Tiibingen 51964, 146-152. 100 Cf. DuroNT, «L'utilizzazione » , 470: Esegesi «letterale» sl, ma quale la praticavano anche i rabbini . . . . . .
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d'oggi»; egli dunque parlava di un altro : da profeta qual era, si rife riva a quel discendente che gli era stato promesso (cf. 2Sam 7, 12s) ; parlava, «anti-veggendo» (proi"dòn) , della risurrezione del Messia (At 2,29s) . 101 La rilettura cristiana fa leva sull'apertura, percepibile già nel testo veterotestamentario almeno come oscura intuizione , in direzione di una salvezza più piena, più radicale , della semplice gua rigione dalla malattia, di una provvisoria preservazione dalla morte: uno di quei presentimenti che si incontrano a volte nell' AT anche prima che la dottrina della vita ultraterrena venisse esplicitamente formulata. 102 La rilettura cristiana però, anche se prende le mosse da quest'ulteriorità di senso racchiusa già nascostamente nel testo vete rotestamentario , va al di là di essa con un'interpretazione diretta mente cristologica. 103 Altre volte lo spessore letterale del testo di partenza non è elimi nato; si presuppone semmai un rapporto «tipologico». Così quando Stefano racconta la vita di Mosé, l'accento cade su quei tratti che an ticipano l'esperienza· di Gesù: Mosé «rinnegato» dal suo popolo (At 7 ,35 ; cf. 3,14) ; e viceversa per Gesù si adopera il termine exodos (Le 9,31) ed altre reminiscenze mosai che . 104 Analogamente, certi episo di evangelici - miracoli, scene di vocazione . . . - appaiono ricalcate su episodi del ciclo di Elia e di Eliseo (cf. Le 7,15 con 1Re 17,23 ; Le 9,59s con 1Re 19, 19s; ecc.) . 105• Ma a queste «tipologie» non soggiace alcuna concezione sistematica, quale l'ha costruita a volte la teologia moderna. In che misura queste operazioni esegetiche hanno un che di «ra zionale» /06 e in che misura sono oggetto di fede (cf. Le 24 ,25 : «tardi di cuore a credere . . . ») , dono di Dio (notare le costruzioni al passivo ·
101 Argomentazione analoga , nel medesimo contesto, col Sal 1 10,1 in At 2,34: «Non Davide ascese ai cieli . . . >> . Questo metodo che riflette una situazione di contro versia coi giudei, è attestato anche in GIUSTINO: cf. Apol. 1,35; Dia/. �.3 , 1 ; 34 ,1 ,2,7; 36,2; 43 ,8; 68,7-9; 77 , 1 ; 97,4; 99, 1 ; 120,3 ; 122 , 1 -5 ; cf. F. OvERBECK , «Uber das Ver haltniss Justins des Martyrers zur Apostelgeschichte», in ZWTh, 15(1872) , 305-349 . 102 Anche nella controversia coi sadducei circa la risurrezione (Mc 12,18-27 par. ) il procedimento è analogo . 103 Ulteriori elementi di discussione in KRA.NKL , Jesus der Knecht Gottes, 131136. 104 Non tutte convincenti però quelle proposte da J . MÀNEK, «The New Exodus in the Books of Luke» , in NT, 2(1957) 8-23 . 105 Cf. R. SwAELES , «Jésus, nouvel �lie , dans s. Luc>> , in ASeign , (1964)69, 4166; J.-D. DuBOIS , «La figure d' Éiie dans la perspective lucan,ienne>>, in RHPhR, 53 (1973d6 155-176. 1 Cosl JERVELL, «Die Mitte . . . », 85s , con formulazioni un po' unilaterali : per Luca basterebbe avvicinare gli eventi ai testi biblici e il senso balzerebbe fuori da sé . . .
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«teologico» sia per l'accecamento che per la illuminazione: Le 9,45 ; 24, 16.31 .35)?107 In che misura è paradigmatico che queste interpre tazioni delle Scritture siano fatte , da Gesù e dagli apostoli, dopo aver ricevuto l'effusione dello Spirito Santo (Le 4, 14; cf. 3,21s e 4, 1 ; At 2,4; 4,8.31; 6,5 . 10; 7;55)? Ben difficilmente Luca può pensare che esse fossero possibili già prima dell'evento, senza l'esperienza della risurrezione. In che misura però, nel suo modo di vedere, la lu ce vada, oltre che dall'evento in direzione del testo, anche dal testo in direzione dell'evento, non è facile precisare . Anche se non con la stessa chiarezza del quarto Vangelo (cf. Gv 2,22; 12,16; 16,12-14.25 ; ecc . ) , sembra presupposta una connessione tra comprensione post pasquale (delle Scritture e di Gesù) e dono dello Spirito . 108
5.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE GENERALI
Il ricorso alle Scritture fu indubbiamente , se non l'unica , certo la prima e fondamentale forma di riflessione teologica del cristianesi mo nascente. Studiandola in Mc, Mt e Lc-At e sforzandoci di risalire in alcuni casi anche alle tradizioni soggiacenti, abbiamo potuto quasi toccare con mano il progressivo estendersi in tutte le direzioni, a macchia d'olio, di questo processo di rilettura dell'Antico Testa mento alla luce di Gesù, e di Gesù alla luce dell'Antico Testamento . Dal punto focale , la morte e risurrezione che già l'antichissima formula kerygmatica citata da Paolo proclamava compiuta «secondo le Scritture» (1Cor 15 ,3-5), si risalì gradualmente all'indietro: innan zitutto alla passione stessa in tutto il suo concreto svolgimento nar rativo; e poi ad altri precedenti momenti dell'esistenza terrena di Gesù, al suo insegnamento, ai miracoli; per arrivare infine con Mt 1-2 e Le 1-2 fino alla nascita stessa e all'infanzia; mentre di pari pas so andavano accrescendosi e diversificandosi anche i testi veterote stamentari utilizzati e, come vedremo fra poco, anche i metodi. Il campo di applicazione già in partenza, almeno tendenzialmente, è 107 In tal senso J. ERNST, «Schriftauslegung und Auferstehungsglaube bei Lu kas», in ThGI, 60(1970) , 360-374; J. DELLINO, «" als er un die Schrift ausschloB". Zur lukanischen Terminologie der Auslegung des Alten Testaments» , in Das Wort und die Worter, pp. 75-84; DILLON , «Easter Revelation . . . », 244s. 108 U. LucK, «Kerygma, Tradition und Geschichte Jesu bei Lukas» , in ZThK, 57( 1960) , 51-66; C. GHIDELLI , >, citando il Sa/ 82, 6. Se condo Hanson22 qui parlerebbe «il Verbo di Dio» (10,35) contro i giudei increduli, in analogia con l'accusa originaria del salmo ai giu dici ingiusti. Secondo J. Barr invece si avrebbe un chiaro supera mento dell'AT come canone , perché l'evangelista cerca nel Sal 82,6 una testimonianza dell'incarnazione, un evento assolutamente nuo vo. Cosi farebbe dire al testo il contrario di quello che era il senso originario. 23 Per la verità l'evangelista segue le usuali regole di inter pretazione, praticate nel suo ambiente palestinese , dove un testo poteva ben essere estrapolato dal suo contesto. Certo, l'interpreta-
19
Cf. MENKEN , «The Provenance». HANSON, The Living, 1 1 9. REIM, Studien, 56-88; HANsoN, The Living, 120; M.E. BmsMARD , , avrebbe suggerito 12,32 («E quando sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me>>). Hanson stesso però si accorge di essere «troppo speculativm>Y Simile a questa tecnica mi sembra quella presupposta da J. Beu tler per l'influsso del salmo 42/43 (TM) su Gv 14,1-9.27 per spiegare alcune tensioni nel testo: il significato non usuale di pisteuete in 14,1b che significa «aver fiducia» ; l'espressione «il vostro cuore» ;
Zc
34 D. MARzorro, L'unità degli uomini . . . , 140. Non mi convince il riferimento 14,9, proposto da B . Chilton ed accolto da HANSON ( The Living, 126) . 35 HANSON , The Living, 126-129. J(j Dooo Secondo le Scritture, 35-36. 37 HANSON , The Living, 129. ,
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a
così pure i temi della «casa del Padre mio» (il tempio) e «le dimore di Dio», del «vedere», di Gesù «via verità e vita>> . Si avrebbe un mi drash del salmo , che era già stato interpretato cristologicamente nel la tradizione del Getsemani.38 Oltre a Gv 14, 1-9.27, anche 19,28 (il «Sitio») si rifarebbe al Sal 42,1-2 (cf. anche Sal 62,1).39 Gesù vi sa rebbe presentato come il giusto sofferente , tradito dagli amici , che ricorre al Dio, che salva. E sarebbe, infine , la lettura giovannea del la tradizione sinottica del Getsemani . Esaminate con Hanson le cinque tecniche nell'uso giovanneo della «Scrittura» possiamo accettare anche la sua tesi conclusiva: che la tecnica interpretativa di Gv muove dalla tipologia verso l'allego ria; per cui si distingue sia dalla allegorizzazione di Filone sia dalla grossolana interpretazione cristologica di Giustino . E rappresenta perciò «the non plus ultra of the New Testament interpretation of Scripture». 40 1.
Le grandi tradizioni bibliche e la loro interpretazione cristiana
Dall'analisi dei testi scritturistici in Gv passiamo ora alla sintesi, collocandoli nelle grandi tradizioni dell'AT, e tenendo conto, in tal modo, del più ampio contesto, cui sono legati. Esamineremo anzitutto il Pentateuco, dapprima come Torà e quindi come storia nei tre cicli: storia primordiale, storia dei patriar chi e ciclo di Mosè . Passeremo quindi ai «profeti anteriori» (il ciclo di Elia-Eliseo) e «posteriori» (o «scrittori») ; e infine ai Salmi e Sa pienziali. 2. 1 .
La Torà
o
Pentateuco
2. 1 . 1 . La Legge (Torà) nel quarto Vangelo
La migliore monografia su questo argomento è quella di S. Pan caro,41 i cui risultati vengono qui riassunti e presentati, dopo averli passati al vaglio critico .
38
BEUTLER, BEUTLER, . 40 HANSON , 4 1 PAN CARO 39
,
«Psalm 42/43» ; lo . , Habt, 25-46. «Psalm 42/43», 54-56 . The Living, 131-132. The Law.
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La Legge (ho nomos) in Gv viene utilizzata nei riguardi di Gesù con due diverse ed opposte finalità: dai giudei per criticarlo e con dannarlo (in questo caso è chiamata «la loro Legge, cioè la Legge com'è interpretata da loro) ; da Gesù e dai suoi simpatizzanti (7,51) in suo favore . Le quattro accuse a lui mosse in base alla Legge sono: la violazione del sabato (5,1-18; 9,16-24) ; l'accus.a di bestemmia per essersi proclamato «Figlio di Dio» (5 , 17-18; 8,58; 10,24-38) ; quella di dottrina, opposta alla Legge, con cui inganna il popolo (7 , 1 1-18; 7,45-49; 9,24-34; 18,19-24) ; ed infine quella di essere nemico della nazione giudaica, perché solleverebbe il popolo contro i romani (11 ,47-52) . Però i giudei , nonostante tutti i loro sforzi, non riescono a provare che Gesù è contro la Legge , neppure davanti a Pilato (18,31 ; 19,6) ; è per questo che si vedono costretti a portare contro Gesù un'accusa politica (19, 12) . La Legge, al contrario , testimonia contro i giudei a favore di Gesù. I giudei, condannando Gesù vanno così contro la Legge (7,19.51) . Gesù invece, operando di sabato compie la Legge, perché dona la vita (7 ,21 .23-24). Egli si appella al la «Legge» per difendere la sua asserzione di essere «Figlio di Dio» (10,34-36) , per dimostrare , in base alla «testimonianza» (5 ,37-41 ; 8,12-20) che la sua dottrina è vera; per cui Natanaele , il vero Israeli ta (1 ,47) , fondandosi sulla «Legge e i profeti>> lo proclama «Figlio di Dio e re d'Israele>> (1 ,47). La Legge , bene interpretata, avrebbe do vuto condurre il popolo d'Israele a riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, inviato dal Padre. Quest'uso conflittuale della Legge riflette un duplice livello stori co: il conflitto storico fra Gesù ed i giudei ; e quello fra la comunità giovannea e la sinagoga: il giudaismo normativo di Jamnia (Javne) , caratterizzato dalla Birkat hamminim .42 In conclusione, «Legge» in Gv può avere quattro sensi diversi:43 l . In l ,45 significa «il Pentateuco», perché viene distinta da «I pro feti». 2. In 10,34; 12,34; 15,25 (citazione dai Salmi o dai profeti) in dica tutto l'AT. 3. In 8,17; 7,5 1 ; 18,31 e 19,7 ha il significato di «or-
42 Cf. sull'argomento: P. ScHXFER, «Die sogenannte Synode von Jabne . Zur Trennung von Juden und Christen im ersten/zweiten Jahrhundert n. Chr. » , in Judai ca, 31( 1975), 54-64 ; G. STEMBERGER, «Die sogenannte "Synode von Jabne" und das frii he Christentum» , in Kairos , 19(1977) , 14-21 ; M.E. STONE, «The Benediction of the Minim», in JThS, 33(1982) , 19-61 ; BINYAMIN BEN-ZION , «Birkat-Ha-Minim and the Ein Gedi Inscription>> , in lmmanuel, 21(1987) , 68-89. 43 Il Pancaro ne distingue cinque, ma il terzo e il quarto sono praticamente uguali.
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dinamento giuridico». 4. In 1 ,17; 7,19.23.49 è intesa nel senso più comprensivo «as the body of teaching revealed to Moses which con stitutes the foundation of the whole social-religious life and thought of Israel».44 Come tale è presente in tutti i testi con nomos. La «Leg ge», interpretata alla luce della fede, e non del giudaismo normativo di Jamnia, si identifica con la «Scrittura» , che rende testimonianza a Gesù . La «Legge» per i giudei era un dato di fatto assoluto, che non si doveva cambiare; per i giudeo-cristiani della comunità giovannea invece era una promessa, che si doveva compiere in Gesù. La Legge di Mosè è quindi in funzione di Gesù, che porta a compimento la ri velazione ( 1 , 17) . 2. 1 .2. La legge (Torà) come storia
La Legge o Pentateuco come «storia della salvezza» , che prelude e prepara la rivelazione salvifica di Gesù è la prospettiva più fre quente in Gv. Possiamo distinguere, nel Pentateuco, i tre grandi ci cli : il ciclo della preistoria, quello dei patriarchi e quello di Mosè. Le proposte strutturali tipologiche totalizzanti, come quella dell' «Eso do», proposta da H. Sahlin,45 sono state tutte scartate dalla critica, anche se taluni elementi di esse rimangono sempre validi. 2. 1 .2. 1 .
Il ciclo della preistoria (Gen
1-3)
Le allusioni si limitano ai primi tre capitoli del Genesi. Anzitut to , a Gen l ,l allude l'inizio del prologo di Giovanni: «In principio era il Logos>> ; e al «settimo giorno, in cui Dio compì (synetélesen) l'opera sua>> (Gen 2,2) corrisponde il compimento dell'opera di Ge sù in Gv (4,34; 5 ,30; 6,38; 17 ,4) , che trova la sua conclusione nelle ultime parole sulla croce : « È compiuto>> (19,30) .46 Gen 2,7, che par la del «soffio della vita>> immesso da Dio nel primo uomo , formato di creta e per il quale diviene una «persona vivente>> fa pensare al soffio del Signore risorto sui suoi discepoli, con cui dona lo Spirito, che attraverso il loro ministero darà la vita spirituale (20,22-23). Il racconto della tentazione del serpente in Gen 3 , 1-6 (inganno e mor-
44
PANCARO, The Law, 515. SAHUN, Zur Typologie. � La tesi di P. BoRGEN , che la struttura del prologo va letta primariamente sulla base di una esposizione di Gn l ,lss, è discutibile, anche se suggestiva («Logos was the Light» , in NT, 14( 1972) , 1 15-130) . 45
163
te) , riletta da Sap 2,24, dove il serpente viene identificato col «diavolo» sta dietro alle parole di Gesù in Gv 8,44b: «Lui (il diavolo) era omicida fin dal principio e nella verità non rimase, perché la verità non è in lui . . . ». Il racconto di Adamo ed Eva finisce con l'esclusione dei primi uo mini dalla «Vita» (Gen 3,22) , mentre Gv finisce con la promessa della «Vita» a chi crede in Gesù, Cristo e Figlio di Dio (20,31). 2. 1 .2.2.
Il ciclo dei pa triarchi (Gen 12-50)
In Gv vengono nominati i patriarchi Abramo , Giacobbe e Giu seppe, mentre forse si allude ad Isacco. Abramo viene nominato 11 volte, tutte nel capo 8 (33 .37.39 (3volte).40. 52-53 .56. 57-58) sempre come modello della fede in Gesù. Giacobbe è ricordato 3 volte in 4,5 .6. 12, ed implicitamente in 1 ,5 1 ; Giuseppe una volta sola, in rela zione a suo padre Giacobbe (4,5) . È invece discusso se in Gv vi sia un riferimento implicito ad Isacco . Sembra, in ogni caso , implicito nel fatto che Abramo previde «con gioia» il giorno di Gesù ; certa mente nel compimento della promessa di Isacco (Gv 8,56 = Giub 15, 15-17; 16, 15-21 e TOnqelos a Gn 17, 17) .47 Isacco , figlio della promessa di Dio e della fede di Abramo, è tipo di Gesù, futuro Mes sia e servo, che offre la sua vita. 2. 1 .2.3.
Il ciclo di Mosè (Esodo-Deuteronomio)
Mosè ricorre ben 12 volte in Gv ( 1 , 17.46; 3 , 14; 5,45-46; 6,32; 7,19.22 (due volte).23 ; 9 ,28-29) , mentre in Mt solo 7 , 8 in Mc e 10 in Le. Anche la figura di Mosè, come la Legge, viene utilizzata pro o contro Gesù: contro Gesù dai giudei , che si ritengono «discepoli di Mosè» (6,32; 9 ,28-29) ; in favore di Gesù dai discepoli di Gesù (1 ,46; 3, 14) e da lui stesso (5 ,45-46) . Mosè però viene anche qualificato co me «mediatore della Legge» ( 1 , 17 ; 7,19.22 (due volte) .23) , mentre Gesù è creatore della grazia (vita) e della verità o rivelazione del Pa dre (1 , 17-18) . Se vogliamo penetrare più profondamente nel rapporto che Gv istituisce fra Mosè e Gesù, possiamo distinguere Mosè come «profe ta» , che preannuncia il futuro profeta escatologico (Dt 18, 15-18) e come «inviato di Dio)) al suo popolo per guidarlo alla terra promessa con «segni e prodigh).
47 J. SwETNAM , Jesus and lsaac, (AnBi 94), Roma 198 1 , 125-127 ; un rapporto più ampio , anche se meno rigoroso , viene proposto da BoNNET, Le «Midrash» , 74-77 .
164
2. 1 .2.3 . 1 . Il profeta come Mosè Che Dt 18, 15-18 sia stato interpretato nel senso del «profeta escatologico» lo si può arguire già dall' AT: il «servo di JHWH» del Deuteroisaia potrebbe essere una reinterpretazione di Mosè, chia mato «servo di Dio» in Es 14,31.48 L'interesse per il «profeta escato logico» è presente anche in Qumran (4QT; CD 6, 1 1 ; 1QS 9,10-11) e nel Taheb della tradizione samaritana, una specie di «Moses redivi vus» secondo il McDonald.49 La proclamazione di Gesù, «profeta escatologico», non viene solo acclamata dal popolo entusiasta (6, 14;7 ,40) , ma espressa anche dall'evangelista (7 ,45-52) e pronun ciata dallo stesso Gesù (5,46) . L'identificazione del «profeta» col «re�� in Gv 6, 14-15 è stata studiata da W.A. Meeks ; egli identifica una tradizione giudaica, che risalirebbe almeno al II secolo a.C. e che arriva fino al medioevo, per la quale Mosè è insieme «profeta e re ideale di Israele» .50 Quanto al rapporto tra le due figure, giusta mente, a mio avviso, G. Reim conclude che «Gesù è il profeta che porta tratti regali e non viceversa . . . Sul profeta cade l'accento nel Vangelo di Giovanni».51 Tale tesi si fonda sulla critica dello stesso Gesù al tentativo da parte del popolo di farlo re (se ne va solo sul monte: 6, 15) e sulla spiegazione che egli dà a Pilato del suo titolo di «re�� (18,37) . 2 . 1 .2.3.2. La tipologia di Mosè nella cristologia giovannea G. Reim riassume in quattro punti questa tipologia, che mi per metto di sintetizzare per quanto mi sembra fondata. 52 Mosè è inviato da Dio al suo popolo (Es 3 , 12. 15 ; 4,1-5 . 12. 15) . Gesù è pure l'inviato del Padre per rivelare il suo nome agli uomini e mediante la fede portarli alla vita. Ma vi sono anche molte differen ze , di cui le più importanti sono: l'unicità del rapporto di Gesù col
48 È la tesi di G. VON RAo: «È assai probabile, a· nostro avviso, che anche il Deu teroisaia come il Deuteronomio vivesse inserito in una tradizione animata dall'attesa del profeta come Mosè . . . Se l'interpretazione del servo di Dio come "profeta simile a Mosè", è giusto , è colmato pure quel vuoto che si avverte con tanto disagio tra questi canti e il resto del messaggio del Deuteroisaia» ( Teologia dell'A T, II, Brescia 1974, 305-306 ; ed. or. : Theologie des A T, II, 273-74) . 49 J . McDONALD , The Theology of the Samaritans , London 1964, 36. so MEEKS, The Prophet-King. 5 1 REIM , Studien , 129. 52 REIM, Studien, 130-153 .
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Padre «che l'ha mandato» e il fatto che Gesù a sua volta invia il Pa raclito (16,7ss) ed i suoi discepoli (13,20; 17,18; 20,21 ) . L e opere di Mosè e quelle di Gesù. Mosè opera dei semeia (Es 4,5 . 17 ; Nm 14,22) come Gesù (Gv 2, 1 1 ; 3 ,2; 6,2. 14; 12,37) . Il popo lo d'Israele vedrà «le opere del Signore» (Es 34,10) , e le opere di Dio si rivelano in Gesù (Gv 9,3) . Cosi l'espressione «segni e prodi gi» compare sia in Dt 34, 1 1 che in Gv 4,48. Tra le opere di Mosè vanno ricordate in particolare: il miracolo della manna (Gv 6,31) , che il popolo vorrebbe Gesù ripetessè, mentre egli la reinterpreta affermando: «Mio Padre vi dà il vero pane dal cielo» (6,32) , che si reduplica in Gesù stesso (6,35) e nel cibo che egli darà (6,27.51c) . Gesù certo compie dei «segni»; ma è egli stesso il più grande «Se gno» . La stessa cosa si deve dire del «serpente innalzato da Mosè nel deserto» (Nm 21 ,8-9) , tipo del Figlio dell'uomo , che dev'essere in nalzato : «affinché chiunque creda in lui, abbia vita eterna» (Gv 3 , 14-15) . Anche qui, a differenza del serpente di bronzo, elevato da Mosè , è Gesù stesso colui che sarà innalzato come «segno di sal vezza». Il fine dei «segni ed opere» , nel ciclo di Mosè, è il credere . Nel l' «Esodo» ricorrono le stesse forme del «Credere» che si trovano in Gv: in forma assoluta (Es 4,3 1 ; Gv 1 ,7) ;53 «credere» col dativo (Es 4,1 ; Gv 5,46; «cred ere» con eis ed accusativo (Es 14,31 ; Gv 14,1). Mosè vede la gloria di Dio (Es 33 ,18-34,6) . Però Gv nega decisa mente che qualcuno abbia visto Dio; solo «l'Unigenito Dio che è nel seno del Padre lui l'ha rivelato» ( 1 , 18 ; cf. 6,46) . ·Egli era presso Dio ancora prima di essere inviato nel mondo (7,29) . Nel confronto con Mosè viene affermata la superiorità e singolarità di Gesù . Mentre Mosè è mediatore della Legge (Gv 1 , 17a) , Gesù è autore della grazia e della verità; ed inoltre dà un comandamento nuovo (13 ,34-35) . Altri paralleli con la tipologia mosaica sono le mormorazioni nel deserto contro Mosè e le mormorazioni contro Gesù (Es 16,2-3 e Gv 6,41-42) . Forse anche l'acqua fatta sgorgare dalla roccia ha influito sul tema dell'acqua in Gv (4, 10. 14; 6,35 ; 7 ,37-38) . Il ciclo di Mosè è perciò quello che più ha influito sulla configu razione della cristologia giovannea.
53
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L'uso assoluto si trova peraltro anche in Is 7,9; 28,16.
2 . 2 . I profeti Va distinto il ciclo narrativo dei profeti «Elia ed Eliseo» dalle tradizioni dei profeti scrittori. Ambedue sono presenti nel quarto vangelo. 2.2. 1 . Il ciclo di «Elia-Eliseo»
Il contatto col ciclo di Elia è rappresentato da due miracoli: quello dell'olio e della farina, in cui la vedova «fece come Elia aveva detto» (IRe 17,15; cf. Gv 2,5) ; e quello del figlio della vedova risu scitato , nel cui racconto si leggono le due espressioni: «Che c'è fra me e te?» (IRe 17 ,18; cf Gv 2,4) e «Vedi, vive tuo figlio» (IRe 17,23 ; cf. Gv 4,50) . Il contatto col ciclo di Eliseo si limita al miracolo della moltipli cazione dei pani «di orzo» (2Re 4,42-43; cf. Gv 6,9-13) . Più discuti bile mi sembra il contatto di Gv 9,7 (Gesù dice al cieco nato: Va a la varti nella piscina) e 2Re 5, 10-14 (Eliseo comanda a Naaman siro di andarsi a lavare nei · Giordano) . 2.2.2. I profeti scrittori ed Isaia
«Nessun libro dell'AT ha più fortemente caratterizzato la teolo gia di Gv quanto il Deuteroisaia (Is 40-55)» - afferma G. Rei m. 54 Io stesso ho condotto una breve ricerca sul tema della fede come op zione fondamentale in Isaia ed in Giovanni, concludendo alla pro fonda affinità delle due teologie. 55 Ma veniamo ai dati. Le citazioni esplicite sono le seguenti: Giovanni l ,23 40,3 Isaia 6,45 54,13 12,15 40,9; 62, 1 1 (?) 12,38 53 ,1 12,40 6,9 Dei quattro passi sicuri (Is 6,9; 40,3 ; 53 , 1 ; 54,13), tre sono del Deu teroisaia e riguardano il tema della fede in Gesù . Lo stesso si può di re delle seguenti allusioni sicure:
S4 ss
RaM, Studien , 183. G . SEGALLA, «La fede».
167
7,9c; 28 ,16 43 ,10; 52,6 ( «> del credente in Gesù; e nel «pozzo di Giacobbe>> il simbolo del poz zo interiore di acqua viva che zampilla verso la vita eterna, dono di Gesù alla samaritana (4,6-15) . Ma il ciclo più utilizzato in favore di Gesù è indubbiamente quel lo di Mosè: oltre al titolo di «profeta escatologico» , vengono da esso assunti i simboli del serpente, della manna e dell'acqua. In Gesù tut ti i simboli vengono personalizzati: il serpente è il tipo del «figlio dell'uomo» innalzato; la manna è il tipo del «vero pane dal cielo», che è Gesù; l'acqua è simbolo dello Spirito, che Gesù glorificato da rà (7 ,37-39).
63 G. SEGALLA, Una storia annunciata. l racconti dell'infanzia in Matteo , Brescia 1987, 137-139. 64 M . McNAMARA, «Logos of the Fourth Gospel and Memra of the Palestinian Targum» , in ET, 79(1968) , 1 15-1 18.
172
L'evangelista ritorna indietro all'arcaico, all'arch�, per dire la singolarità «divina» di Gesù e l'unicità della salvezza, portata da lui «a compimento». Anche il ciclo profetico di Elia-Eliseo serve a preannunciare «i segni» compiuti da Gesù. Il profeta «Isaia» viene invocato per testi moniare con l' «io sono» la divinità di Gesù. Egli è anche il profeta, che predice la reazione di fede e di incredulità alla rivelazione di Ge sù. La figura danielica del «Figlio dell'uomo» viene identificata con la persona di Gesù, Verbo incarnato .65 Il suo «discendere dal cielo» (interpretazione giovannea del «venire con le nubi del cielo») e la sua trascendenza misteriosa. Lo stesso vale per i grandi simboli del ((pastore» e dell' «unico gregge», riaggregato intorno a lui ; della vite e della vigna, del tempio , che egli sostituirà con la sua morte risurrezione , trasformando il culto templare nel culto «in Spirito e verità». Questo uso simbolico della Scrittura permette a Gv di leggervi la cristologia elevata del «Figlio inviato dal Padre», del «Logos incar nato» , del «Figlio dell'uomo , disceso dal cielo»; ed inoltre la sua drammatica vicenda umano-divina, che si conclude col «compimen to» della croce ed il suo significato , rivelato dalla trafissione. La Scrittura viene in tal modo letta complessivamente come «figura» , orientante alla «verità», che è Gesù. In questo senso, «Verità» e «Ve ro» in Gv rimandano al grande codice simbolico dell'AT, la cui chia ve interpretativa è Gesù , l'agnello che apre i sette sigilli della storia (Ap 5 ,9-10) . La maestosa distanza degli avvenimenti , dei personaggi e delle parole sacre permette la loro elevata simbolizzazione ; un ca so analogo è la rimeditazione simbolico-poetica del libro della «Sa pienza» , che rimane però nell'ambito di una «meditazione sulla sto ria» passata per compiacersi dell'amore di Dio per il suo popolo ; mentre Gv ricorre ai grandi simboli del passato per superarli nella «verità» del presente : la persona di Gesù. Nell'ambiente giudaico dopo il 70 era impossibile tale simbolizzazione, perché l'interpreta zione della Legge e del messianismo era troppo legata ad esigenze ed aspettative immediate : l'interpretazione della Legge si consolida nella tradizione rabbinica, quella delle aspettative messianiche sfo cia nei movimenti rivoluzionari antiromani fino a Bar Kokeba.
65 S u questo tema cristologico giovanneo l a migliore monografia è quella d i F.J . MoLONEY, The Johannine Son of Man , (Biblioteca di scienze religiose 14), Roma 2 1978.
173
In conclusione, per Gv la Scrittura non è né Legge né storia in senso giudaico-nazionalistico. Sia come Legge sia come storia divie ne promessa e «figura» della ve nuta e della missione di Gesù. La ri velazione simbolica della Scrittura è continuata e portata a compi mento in Gesù, in quanto egli come «Figlio» incarnato è la rivelazio ne personale del Padre nella storia. Gesù, simbolo supremo ed ulti mo, non rimanda più ad altre verità ulteriori, all'interno della storia (come l'A T) , ma rimanda verticalmente al Padre, ali 'unità con lui nell'essere e nell'opera salvifica. È questa la verità ultima che peral tro sarà pienamente svelata solo «presso il Padre» (17 ,24) .
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PASSONI DELL'AcQUA A. , «> , e il tempo del verbo è diver so: i LXX hanno il perfetto , l'Apocalisse l'aoristo. Questo porta il Charles a classificare anche questo fra i riferimenti al testo ebraico. La città in rovina è descritta come «covo di demoni, carcere di ogni spirito immondo , carcere di ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita» (18,2) . Gli uccelli im mondi sono i rapaci , elencati come tali , insieme ad altri , in Dt 14,1317. Anche in questo passo riecheggia un luogo comune delle descri zioni o dei preannunzi di rovina di città abitate; i passi dell'Antico Testamento che lo sfruttano sono molti, ma nessuno coincide preci samente con Ap. 18,2. Is. 13,21s. e Baruc 4,35 includono la menzio ne dei demoni (oltre a fare una lista abbastanza lunga di animali e uccelli selvatici) come fanno anche Ger 50,39, Is 34, 1 1 e Sof 2,14. Infine, l'elegia del c. 18 sulla ca.d uta di Babilonia sembra model lata su Ez 27 (elegia per Tiro) . Charles accosta soltanto i vv . 13. 18. 19 di Giovanni ai vv. 13.32 e 30 di Ezechiele nella sua stesura ebraica. Anche Prigent nota che non risulta mai in questo capitolo una derivazione dai LXX. Egli pensa all'impiego di una tradizione apocalittica greca modellata su Ez 27-28. Il problema è esaminato a più riprese da Vanhoye nel suo fondamentale lavoro sull'uso di Eze chiele nell'Apocalisse. 10 Ai vv. 9 . 1 1 . 15 . 19 l'atteggiamento dei re, dei mercanti e dei navi ganti è descritto abbinando i verbi klaiein e penthein : ci potrebbe es sere un'influenza di Ez 27,31b che parla di bakah (piangere) e di misph ed (lamento) che manca nei LXX ed è stato aggiunto in base alla recensione di Origene sotto asterisco. 11 Il v. 19a («gettandosi sul capo la polvere gridano , piangono e ge mono») richiama Ez 27,30 (« . . . e grideranno amaramente, si gette ranno sulla testa la polvere, si rotoleranno nella cenere») con molte 10
(1962>, 1
A. VANHOYE, «L'utilisation du livre d ' Ezéchiel dans l' Apocalypse» , in Bib , 43 436-476. VANHOYE, «L'utilisation du livre », 447 . . . .
186
diversità rispetto ai LXX che hanno «terra» invece di «polvere», «mettere su . . . » invece di «gettare su . . . » e usano «testa» al singolare mentre il passo dell'Apocalisse lo reca al plurale . 1 2 Inoltre Ezechiele continua ancora in 31 e 32a, con espressioni ridondanti, a descrivere le manifestazioni di cordoglio delle persone colpite nei loro interessi dalla caduta di Tiro , e solo in 32c dà loro la parola. Nell'Apocalisse invece questo avviene già nello stesso v. 18,19. Ap 18,21c («e non sarà più trovata») chiude l'oracolo dell'angelo che scaglia la pietra nel mare, oracolo che secondo Charles è sugge rito da Ger 51 ,63s. («Quando avrai finito di leggere questo rotolo vi legherai una pietra e lo getterai in mezzo all'Eufrate dicendo: Cosi affonderà Babilonia e non risorgerà più dalla sventura che io le farò piombare addosso») . Vanhoye invece lo accosta a Ez 26,21 «né mai sarai ritrovata» - ma quest'inciso manca nei LXX. 13 Si potrebbero ancora citare due passi caratteristici dell'elegia sulla caduta di Babilonia: la lista dei prodotti di cui cessa il commer cio ( vv. 12s) e la lista delle musiche, dei suoni e delle voci la cui as senza indica la fine della vita sociale nella città in rovina (vv. 22-23). È ovvio che si tratta di elenchi di maniera. Ci potrebbe essere uno spunto per la prima lista in Ez 27 ,12-24 (ma già la lunghezza del bra no suggerisce che non si può parlare di citazione bensl, al massimo , di ispirazione) , per la seconda lista in 26,13. Qui c'è una situazione opposta a quella della lista di prodotti: il testo di Ezechiele è più bre ve di quello dell'Apocalisse. Dice soltanto: «Farò cessare lo strepito delle tue canzoni, e non s'udrà più il suono delle tue cetre». Il testo dei LXX è un po' diverso all'inizio («la moltitudine dei tuoi musi canti») .
2.2. Promesse e realizzazioni Se l'autore dell'Apocalisse si rifà alle Scritture d'Israele quando minaccia o descrive i castighi futuri riservati all'umanità peccatrice o ai poteri malefici di questi mondo, ancora di più ricorre al testo bi blico quando deve accennare alla speranza del mondo nuovo di Dio e alle benedizioni che lo accompagneranno . Possiamo citare in primo luogo il ciclo delle sette lettere alle chiese dell'Asia Minore. Nella lettera alla chiesa di Efeso troviamo
u
VANHOYE, «L'utilisation du livre VANHOYE, «L'utilisation du livre registra l'inciso nel codice Q. 13
. . . . . .
»,
»,
449 . 447. SWETE, The OT in Greek
. . .
, III ,
187
la promessa di mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio (2,7) . Qui sembrano affiorare tre passi : Geo 2,8-9; 2,17 e 3,22 rovesciandone la prospettiva. Il racconto genesiaco ha per fine di spiegare l'esclusione della razza umana dal paradiso di Dio e dal l'albero della vita, mentre Ap 2,7 riavvicina i due termini del proble ma promettendo «a chi vince» di ricevere da mangiare dell'albero della vita. 14 Questo si trova già in altri testi apocalittici come Apoc. di Mosè, 28,2-4 o Test. Levi 18,11-12. Prigent, rifacendosi a Loh meyer, affaccia l'ipotesi che la promessa possa riferirsi non agli ulti mi tempi ma al presente : nella misura in cui i cristiani di Efeso si rav vedono e tornano all'amore di prima (5a, cf. 4) potrebbero tornare alla comunione con Dio simboleggiata dall'accesso all'albero della vita. Gangemi lo esclude : la pienezza del pristino amore e il lavaggio delle vesti nel sangue dell'Agnello (22,14) diverranno realtà solo nella Gerusalemme celeste . 15 La promessa per chi vince, nella lettera alla chiesa di Pergamo , consiste nella manna nascosta e nella pietruzza bianca con scritto so pra un nome nuovo che nessuno conosce (2,17) . Il riferimento all'E sodo e a tutto quello che la manna aveva significato per Israele nel deserto è scontato. Il trasferimento dell'immagine all'orizzonte escatologico è presente in testi intertestamentari e rabbinici, cf. 2Baruc 29 ,8: «Di nuovo scenderà la manna e se ne mangerà: poiché questi sono coloro che giungeranno alla consumazione dei tempi» . 16 Mech. Ex. 16,25 riporta il detto di Eleazar ben Hasama: «> . Perciò Charles propone di tradurre anche in 2,27 con distruggerà o frantumerà. « . . . E non cancellerò il suo nome dal libro della vita» (3 ,5) è la promessa per «chi vince» della chiesa di Sardi . Il passo ricorda la mi naccia fatta da Dio a Mosè in Es. 32,33 «>, e quindi la presenza di nominativi dove Isaia usa (nei LXX) degli accusativi. Tra il passo profetico citato e quello dell'A pocalisse c'è tutta una serie di scritti giudaici che toccano il medesi mo tema del rinnovamento dell'universo , ma nessuno contiene una formula così pregnante e vicina al nostro passo come quella di Is 65. Essi rappresentano però l'ansia di un rinnovamento che deve spaz zar via il mondo corrotto dal peccato per far posto a un mondo nuo vo nel quale possano vivere in armonia le genti rinnovate nella loro vita interiore ed esteriore dall'intervento escatologico di Dio. Nell'ambito del mondo nuovo di Dio occupa un posto speciale la Nuova Gerusalemme , dapprima identificata con «la sposa adorna per il suo sposo>> (21 ,2). Alcuni rimandano, per questo linguaggio, a Is 61 , 10 . . . come uno sposo che si cinge il diadema, come una sposa che si adorna di gioielli>>, 20 altri alla descrizione di Gerusalemme adottata come sposa dal Signore e adornata di abiti lussuosi e di gioielli in Ez 16, 10-14 (Prigent) . La sua funzione è di costituire il punto di incontro fra Dio e gli uomini : essa sarà «la dimora [il taber nacolo] di Dio con gli uomini. Egli dimorerà tra di loro ed essi saran no suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro"» (21 ,3) . Qui lo spunto viene da Ez 37,27 «In mezzo a loro sarà la mia dimora [ kataskenosis, parola costruita sulla radice skéne = tabernacolo) : io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo». Ma Giovanni amplia la prospettiva, che in Ezechiele era limitata ad Israele, allargandola alle altre nazio ni: si osservi il plurale del passo dell'Apocalisse secondo i migliori manoscritti (S , A} . Purtroppo né la Bibbia CEI né quella delle Pao line traducono «ed essi saranno suoi popoli» come fanno invece la Riveduta del 1924 e quella del 1982. Il plurale potrebbe essere stato suggerito da Zc 2,15.21 Questa comunione nuova e completa con Dio sarà la fine del do lore e del pianto: «E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (21 ,4) «
le Scritture al v. 19: « e in Ap a «Si batteranno per lui il pettO>>) è significativo che anche Mt 24,30 citi assieme, in uno stesso versetto, Zc 12,10 e Dn 7 ,13. Doveva dunque esistere una tradizio ne esegetica che abbinava questi testi, tradizione antecedente Mat teo e Giovanni e indipendente dal testo dei LXX - forse risaliva al testo ebraico? - che era usata come testimonium cristologico dai pri mi cristiani. Nel testo di Zaccaria sono le stesse persone a vedere co lui che hanno trafitto e a battersi il petto. Invece Ap 1 ,7 e Mt 24,3 sotto l'influenza di Dn 7,13 tendono ad estendere questo guardare a tutte le tribù della terra e non solo a «quelli che lo trafissero>> . 25 Un secondo blocco di riferimenti alle Scritture appare nella vi sione inaugurale di Giovanni, Ap 1 , 12ss. In mezzo a sette candelabri d'oro il veggente vede «uno simile a figlio d'uomo»: siamo di nuovo in pieno nel libro di Daniele, cf. Dn 7,13. Il v. 18 ci assicura che il personaggio apparso a Giovanni è il Cristo risorto. Egli indossa «un abito lungo fino ai piedi (podéres)» ed è «cinto con una fascia d'oro» al petto. Giovanni si ispira probabilmente a Ez 9 ,2. 11 (LXX. Le no stre traduzioni correnti, fatte sul testo ebraico, non menzionano l'a bito che arriva �i piedi) . Si è supposto talvolta che Giovanni volesse descrivere dei paramenti sacerdotali: Es 28,4 infatti parla di podé res . Ma il personaggio della visione di Ez 9 non risulta essere stato un sacerdote. Un elemento descrittivo ulteriore è che «i capelli della testa erano candidi , simili a lana . . . come neve» (v. 14) . È un parti colare che potrebbe essere stato desunto dalla visione di Dn 7 ,9. In vece il paragone dei piedi con il bronzo splendente ricorda Dn 10,6 quanto all'immagine (la terminologia è diversa) . L'indipendenza di Giovanni dal testo dei LXX emerge nel v. 15b «la sua voce era simile al fragore di grandi acque». Qui egli riprodu25 Cf. la discussione del rapporto fra questi quattro passi (Ap l, Mt 24, Dn 7, Zc 12) in B . LINDARS , New Testament Apologetic. The doctrinal significance of OT quo tations, London 196 1 , 21978, 122-127. Lindars prende in considerazione anche Gv . 19,37.
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ce in greco il testo ebraico di Ez 43,2 e non quello greco, che dice in vece: «Voce di un esercito, come voce di molti che raddoppiavano». L'importanza di quest'osservazione aumenta se notiamo che la cita zione del testo non è brevissima e corrisponde quasi esattamente al l'ebraico. 26 Concludiamo questo capitolo sul Cristo e i suoi titoli passando in rassegna rapidamente altre definizioni cristologiche nei capitoli suc cessivi. In 2,23 il Cristo si presenta come «colui che scruta le reni e i cuo ri e che a ciascuno retribuirà secondo le sue opere» (ci t. dalla Bibbia delle Paoline. Qui la Bibbia CEI parafrasa) . È un richiamo a Ger 17, 10: «lo, il Signore, scruto il cuore ed esamino le reni per retribui re a ciascuno secondo la propria condot.ta» (id.). In 3 ,7 Cristo è «CO lui che ha la chiave di Davide : quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre». C'è una reminiscenza di Is 22,22 ma non si può parlare di citazione. In 5 ,5 l'Agnello è presentato come «il leone della tribù di Giuda» (cf. Gen 49,9 - solo una reminiscen za) e come «il germoglio di Davide». Il termine «germoglio» ricorda Is 1 1 , 10, che però dice «di lesse» (non : di Davide. lesse era suo pa dre) . Infine citiamo il titolo «Signore dei signori e Re dei re» ( 17, 14) che non cita un libro canonico ma quello di Enoc: «Signore dei si gnori, Dio degli dèi, Re dei re» (9,4) . I passi seguenti non sono titoli cristologici, ma servono ugual mente a definire le funzioni del Cristo. Nella sua apparizione su un cavallo bianco ( 19,1 1-16) viene precisato che egli «giudica e combat te con giustizia» (questo ricorda Is 1 1 ,4 «Egli [il germoglio di lesse] giudicherà con giustizia») . Il suo mantello intriso di sangue (v. 13) ricorda il soccorritore che viene da Edom in Is 63,1 con le vesti tinte di rosso , ma è anche meno di una reminiscenza. Invece il v. 15 è molto vicino al Sal 2,9a. Ne abbiamo già parlato nel § 2.2.
I CREDENTI , LA CHIESA
4.
Questi due temi sono già compresi, per forza di cose , in non po chi dei passi citati nei capitoli precedenti (giudizio e castigo ; promes se e realizzazioni) . Specialmente in quest'ultimo, i passi tratti dalle
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A. VANHOYE, «L'utilisation du livre
. . .
»,
447-448 .
lettere alle sette chiese e quelli relativi alla Gerusalemme celeste coinvolgono direttamente il popolo dei credenti che rimangono fe deli. Vale la pena ricordare però un passo significativo della dossolo gia iniziale: «A colui che . . . ha fatto di noi un regno di sacerdoti» (1 ,6) . Una traduzione più letterale dovrebbe dire: «ha fatto di noi un regno, sacerdoti» per il suo Dio e Padre.27 L'espressione è gram maticalmente ostica. Charles ritiene che significhi: «ha fatto di noi un regno, ciascun membro del quale è un sacerdote per Dio» . Altri contesta quest'interpretazione. «Regno» sarebbe un caso di astratto per il concreto: re e sacerdoti compongono il santo popolo di Dio.28 Altri ancora preferisce vedere una sottolineatura più forte sul termi ne sacerdoti, mettendone in evidenza il carattere concreto e il riferi mento diretto a singoli membri del popolo cristiano (mentre «re gno» è impersonale e astratto) . È la vocazione ad essere tutti quanti sacerdoti di Dio - qualcosa che è già accaduto , perché il verbo è al l'aoristo. 29 La fonte della formula usata da Giovanni potrebbero es sere le versioni greche di Simmaco e di Teodozione, che hanno la stessa formulazione ostica; i LXX migliorano la forma, (ma forse modificano il concetto) dicendo «sacerdozio regale» , e Aquila «re gno di sacerdoti» . Gli stessi termini si trovano di nuovo in 5 , 10 (uniti però dalla co pula «e») . Mentre in l ,6 il termine più importante del binomio sem bra essere «sacerdoti», qui l'enfasi cade su «regno» (sottolineato nelle parole seguenti: «e regneranno sopra la terra») . Se il sacerdo zio spirituale per tutti i popoli, che i credenti condividono col Cristo, è già una realtà presente, il regnare invece appartiene al futuro esca tologico e Giovanni lo sottolinea in 22,5 («regneranno nei secoli dei secoli») . Un altro riferimento importante al popolo dei credenti lo trovia mo nei due passi paralleli 7,1-17 e 14, 1-5. Il parallelismo consiste nell'annunzio che nonostante i castighi rappresentati dai primi quat tro suggelli (c. 6) e nonostante l'apparizione della bestia che sale dal mare e della bestia che sale dalla terra (c. 13) Dio veglia sui suoi
27
Cosl A. WIKENHAUSER, L'Apocalisse di Giovanni, Brescia 21968, 43 . G.R. BEASLEY MuRitAY , The Book of Revelation , London 1974 , 57s, che si rifà a STRACK - BILLERBECK. Sostanzialmente simile E. LOHMEYER, Die Offenbarung des Johannes, Tiibingen 21953. 1 1 . 29 U . B . MiiLLER, Die Offenbarung des Johannes, Giiterslob-Wiirzburg 1984, 75s. 28
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eletti. Questo è il senso dei due passi citati. In entrambi sono nume rosi i riferimenti alle Scritture . «Non avranno più fame, non avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura di sorta» (7 , 16) riprende ls 49,10. La promessa che Dio sarà il loro pastore, li guiderà alle sor genti dell'acqua della vita, asciugherà le loro lacrime echeggia oltre a Is 49,10 il Sal 23, 1 e Ez 34,23 ; poi Is 25,8. Queste promesse stanno in rapporto dialettico con i passi che parlano delle prove che non ri sparmieranno i credenti: 6,11 parla esplicitamente del loro martirio e così anche 13,15. Le promesse dei cc. 7 e 14 non garantiscono una posizione di privilegio (essere risparmiati dalla persecuzione) ma una assistenza divina che permetta ai credenti di passarvi attraverso senza che la loro fede venga meno.
CONCLUSIONI a. Come fanno notare molti studiosi dell'Apocalisse , è evidente che il libro è permeato di Antico Testamento e che questo è così per ché la mente del suo autore ne era nutrita e il suo pensiero si forma va nelle categorie e con il linguaggio dell'Antico Testamento. Perciò non ha bisogno di ricorrere al metodo della «citazione» formale . b. L'analisi dei testi biblici a cui più spesso l'Apocalisse allude ci porta a concludere che si tratta del ciclo dell'Esodo, dei profeti esili ci e post-esilici , e - fra gli «scritti» - di Daniele e dei Salmi. Si tratta cioè dei testi biblici che parlano dell'elezione di Israele a essere il popolo santo di Dio, di quelli che affrontano il problema della di subbidienza (idolatria, spesso etichettata come prostituzione) , del castigo , e della restaurazione (cioè della speranza) . La prevalenza degli scritti esilici e post-esilici è in armonia con il genere apocalitti co dell'ultimo libro del canone. c. Il ricorso alle Scritture d'Israele non è fatto con interesse sto rico o in prospettiva storica, bensì sovrapponendo o identificando il popolo dei credenti in Cristo con il popolo di Dio del passato. Attra verso l'equiparazione delle esperienze dei due momenti Giovanni legittima l'appropriazione delle promesse e delle;: prospettive escato logiche annunziate dagli scritti del giudaismo. d. La giustificazione implicita per una lettura cristocentrica de gli scritti d'Israele consiste nel fatto che come ora si è detto Giovan nP0 si considera parte di quel popolo e di quella storia, perché è sto-
30 Voglio precisare che usando per l'autore dell'Apocalisse il nome «Giovanni>> (cf. 1 ,4.9ss) non ho inteso suggerire né avallare alcuna identificazione tra lui e l'auto re del quarto Vangelo. Il problema è estraneo all'argomento di queste pagine. Su di
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ria della ricerca, da parte di Dio, di un popolo che sulla terra lo ser va e testimoni a chi ancora non lo conosce la sua volontà di salvezza universale e di comunione universale con l'umanità senza limitazio ne alcuna. Non vi è contrapposizione fra i due tempi (e fra i due Te stamenti ) . Il fine della storia dei rapporti fra Dio e gli uomini e sim boleggiato visivamente dall albero della vita e dal fiume dell'acqua della vita - due simboli , anzi due realtà spirituali che gettano un pon te fra il tempo prima di Gesù Cristo e il tempo dopo Gesù Cristo che è anche il nostro. '
esso cf. B . CoRSANI, L'Apocalisse. Guida alla lettura, Torino 1987, 24s e Io . , Introdu zione al NT, II: Epistole e Apocalisse, Torino 1975 , 303ss.
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Il dibattito con il giudaismo nel II secolo . Testimonia ; Barnaba ; Giustino Enrico Norelli l.
I TESTIMONIA
Le Scritture del giudaismo fornirono ai discepoli di Gesù l'oriz zonte di comprensione per valutare il senso della sua attività e in particolare della sua morte, in relazione con l'avvenimento che fu inteso come la sua risurrezione. Le testimonianze più antiche (in particolare la tradizione già ricevuta da Paolo e riportata in 1Cor 15 ,5-7) dicono che, risuscitato al terzo giorno, Gesù «fu visto» (oph the) da Cefa, poi dai dodici, poi da oltre cinquecento discepoli, quin di da Giacomo. Altre tradizioni, conservate in vangeli canonici e non canonici , parlano di queste visioni, che sono state quindi consi derate dalla critica moderna come l'origine della fede nella risurre zione di Gesù. Di recente, tuttavia, si è sempre più affermata la ten denza a rivalutare la storicità del racconto della scoperta del sepol cro vuoto, che era stato a lungo visto come una leggenda secondaria a intento apologetico. 1 Certo, i discepoli di Gesù hanno vissuto, do po la sua morte, delle esperienze che li hanno condotti ad affermare che Dio lo aveva risuscitato e costituito Signore, capace di donare la salvezza a chi abbia fede in lui come nell'Inviato di Dio. Ogni esperienza vissuta, tuttavia, acquista un senso solo se mes sa in relazione con le categorie mentali di cui si dispone . Se fatti qua li la scoperta del sepolcro vuoto e le apparizioni convinsero i disce poli che Gesù non aveva condiviso il comune destino degli uomini , quello di soggiacere alla morte, essi dovettero anche indurii a inter rogarsi su quale fosse allora il destino del loro maestro . Il carattere stesso dell'attività di Gesù, alla quale i suoi seguaci avevano assisti1 Classica argomentazione per il carattere secondario delle storie del sepolcro vuoto: R. BuLTMANN , Die Geschichte der synoptischen Tradition , ( 1 921) , Gottingen 91979, II B l c. Gli argomenti a favore della storicità sono sintetizzati e difesi in parti colare da W.L. CRAJo, «The Historicity of the Empty Tomb of Jesus», in NTS, 31 ( 1985), 39-67.
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to , li orientò verso la risposta: colui che aveva mostrato una familia rità tutta speciale con il Dio d'Israele, da lui chiamato Abba, e una totale fiducia in lui; che aveva annunziato la prossimità del regno di Dio e aveva vissuto di conseguenza, infrangendo le norme e le bar riere di purità che dovevano salvaguardare Israele fino all'instaura zione della signoria divina; che aveva reso presente nella sua attività l'amore di Dio per gli uomini; questo Gesù doveva essere l'inviato atteso per inaugurare il regno di Dio . Tale attesa si fondava sulle Scritture e sulla loro tradizione interpretativa, dove però nulla era annunziato di un messia sofferente e messo a morte . Ora, la forza di ciò che i discepoli avevano vissuto con Gesù e dopo la sua morte si manifestò proprio nell'incredibile successo dell'impresa di legittima re come messia un personaggio la cui vita e la cui sorte non somiglia vano molto a quelle previste per il messia d'Israele. A questo riguardo , la nostra tradizione cristiana ci situa spesso in una falsa prospettiva. Le prime generazioni cristiane ricavarono dalla Bibbia una quantità di passi che furono interpretati come pro fezie di eventi della vita di Gesù , in primo luogo della sua passione: e li usarono a fini apologetici nella dura polemica contro i giudei, ac cusati di non avere compreso le proprie Scritture , non avendo rico nosciuto quel messia la cui attività e il cui destino vi erano così chia ramente annunziati. Ora, in realtà, non solo il dossier delle profezie considerate come messianiche nel giudaismo dell'epoca di Gesù era infinitamente più ridotto di quello che fu riunito dai cristiani a poste riori, sul fondamento degli eventi della vita di Gesù ; ma il carattere di tale dossier era anche profondamente diverso da quello attribui togli dai cristiani e che ancor oggi anche gli stessi non cristiani sono abituati a considerare come ovvio . Le varie correnti del giudaismo del tempo di Gesù avevano in effetti individuato nelle Scritture dei passi che consideravano come profezie messianiche , ma non erano interessate a disporli in modo da formare una sorta di «biografia» del messia. Per rendersene conto , basta sfogliare , ad esempio , la co moda raccolta commentata di testi di P. Grelot .2 I tratti apparente mente biografici, quali la discendenza davidica o la nascita a Be tlemme , servono anch'essi all'intenzione fondamentale delle rifles sioni giudaiche sul messia: quella di definirne Ia funzione, in rappor to essenzialmente con i problemi posti dal presente. Così, per esem-
2 La speranza ebraica al tempo di Gesù, tr. it. Roma 198 1 .
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pio, i messia degli autori apocalittici rappresentano la soluzione al problema della liberazione d'Israele dal giogo dei pagani e/o del mondo dal male che lo pervade;3 i due messia, di Aronne e d'Israele (Regola della comunità IX,1 1 ) , o «il messia di Aronne e d'Israele» (Manoscritto di Damasco A, XII ,23 - XIII , 1 ; B , 1 , 10- 1 1 ; 11 ,1) attesi a Qumran rispondono all'importanza centrale che il rapporto tra la funzione regale e la funzione sacerdotale assume per la setta ;4 nella Mishnah, le «impronte del messia» segnano la strada da seguire nel presente tenebroso in cui è necessario salvaguardare l'identità del popolo disperso. 5 Anche il cosiddetto oroscopo del messia in ara maico, di cui resta un frammento a Qumran (4QMessAr) , se pure non è un oroscopo di Noè (da collegare all'Apocrifo della Genesi) , concerne essenzialmente caratteri generali piuttosto che dettagli biografici. I discepoli di Gesù, invece , partivano dalla vicenda storica del loro maestro, e dalla necessità di dimostrare che il crocifisso , contro ogni attesa, era il messia. Poiché erano le Scritture ebraiche a comu nicare il pensiero di Dio, la dimostrazione doveva fondarsi su di es se . Una consapevolezza esemplare del nesso tra fede nella risurre zione di Gesù e ricerca della testimonianza delle Scritture è nell'e vangelista Luca. L'ultimo capitolo del suo Vangelo è un itinerario in tre momenti verso l'acquisizione del senso della risurrezione . La scoperta del sepolcro vuoto, fatta dalle donne, annunziata ai disce poli e verificata da Pietro (Le 24, 1-12) , segnala il carattere nuovo del destino di Gesù e suscita il ricordo delle sue parole, ma non provoca la fede , bensì incredulità e sbigottimento (vv. 1 1-12) . I discepoli in viaggio per Emmaus (vv. 13-35) avevano vissuto l'esaltazione dei giorni di Gerusalemme e la speranza che Gesù fosse il messia, ma , non conoscendo il vero destino del m�ssia, non erano in grado di ca-
3 La morte del messia in 4Esd 7,29 non è neppur essa, se ben vedo, un tratto biografico , ma un elemento reso necessario dalla coerenza di un sistema che vuole connettere la tradizionale funzione liberatrice del messia (la quale , non a caso , è pal lidissima in tale contesto) con l'esigenza di una scomparsa totale del vecchio mondo , contaminato dal male , prima che il nuovo possa sorgere (7 ,30-3 1 ) . 4 U n doppio messia, d i Levi e d i Giuda, compare forse anche nei Testamenti dei dodici patriarchi: Ruben 6 ,10-12; Levi 18,2-9. s Sul messia nella tradizione rabbinica è indispensabile J. NEUSNER, Messiah in Context. lsrael's History and Destiny in Formative Judaism , (Studies in Judaism), Lanham-New York-London 1988. In generale, la riflessione che ho abbozzato qui so pra riguardo al messia nel giudaismo è largamente debitrice alla prospettiva di Neu sner, che in un seminario tenuto a Bologna nel maggio 1988 mostrò, tra l'altro, come il messia nel giudaismo sia propriamente un «indicatore tassonomico>>.
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pire l'esperienza delle donne e le parole degli angeli i quali «dicono che è vivo». Gesù stesso s'incarica di spiegar loro come, secondo le Scritture, è proprio attraverso quella passione e morte che il messia accede alla sua gloria (v. 26) ; inoltre, il gesto sacramentale in cui si fa riconoscere forma con 22,14-20 un'inclusione comprendente l'in tera storia della passione, la quale, così inquadrata dalla celebrazio ne pasquale, rivela il suo carattere di compimento di quella salvezza donata da Dio di cui la pasqua ebraica è , secondo la Bibbia, l'inizio e il paradigma. Infine, Gesù si manifesta direttamente ai discepoli (24,36-53) : ma ciò che lo fa riconoscere e suscita in loro la gioia non è l'astensione del corpo fisico (vv. 36-43) , bensì l'appello al compi mento delle Scritture , che abbraccia questa volta non solo la passio ne e la morte, ma tutta l'esperienza vissuta dai discepoli con Gesù (v. 44a) e il perdono dei peccati che si realizzerà nella predicazione del Vangelo di conversione (v. 47) . È questo prolungamento dell'e sperienza pasquale nella vita della chiesa che consente ai discepoli di vivere con gioia la separazione prodotta dall'ascensione di Gesù (vv. 51-53) : l'ascensione è infatti il senso vero, finalmente compreso, del la morte di Gesù come raggiungimento del Padre e presenza costan te presso di lui (cf. la coincidenza di benedizione e separazione al v. 51). Per Luca, insomma, la fede nella risurrezione di Gesù e l'espe rienza del prolungarsi dell'evento della risurrezione nella vita della comunità dei credenti presuppongono la comprensione retta, cioè cristologica, delle Scritture. D'altra parte, il fatto che sia il Risorto a esporre l'esegesi cristologica indica al tempo stesso che quest'ultima non è una costruzione dei discepoli, ma è possibile solo a partire da quel qualcosa che si è prodotto a pasqua e che si è loro imposto : la comprensione cristologica delle Scritture è dunque resa possibile dall'evento stesso di cui rivela il significato. Se tale è il denso significato della presentazione lucana che met te in bocca al Risorto l'esegesi cristologica, non si può dubitare pe raltro che il processo di riflessione esegetica fosse l'opera accurata dei credenti stessi. È quanto chiarisce un frammento della Predica zione di Pietro, il più antico rappresentante del genere «apologia del cristianesimo» di cui ci resti qualche cosa (se si eccettua, in un certo senso , l'opera di Luca, in particolare gli A tti) . Composto con tutta probabilità in Egitto verso il 100-110, questo scritto anonimo non so pravvive che in alcuni frammenti, citati per lo più da Clemente di Alessandria.6 Questi ci permettono d'intravvedere che esso com6 Su di esso lo studio accurato di H. PAULSEN, «Das Kerygma Petri und die ur christliche Apologetik», in ZKG, 88( 1977) , 1-37 ; testo dei frammenti , con traduzione
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prendeva un discorso del Cristo risuscitato ai discepoli, poi un bra no sulla comprensione cristologica delle Scritture, probabilmente detto da Pietro a nome di tutto il gruppo ; infine , una predicazione di Pietro e degli altri apostoli, rivolta ai pagani e assai poco tenera con il giudaismo . Leggiamo il frammento sulla comprensione delle Scritture: «Quanto a noi, aprendo i libri dei profeti che avevamo, i quali parlano del Cristo Gesù in parte in parabole, in parte in enigmi , in parte chiaramente e alla lettera, trovammo la sua venuta, la mor te , la croce e tutti gli altri castighi che i giudei gli inflissero , e la ri surrezione e l'ascensione nei cieli prima che Gerusalemme fosse fondata,? così come erano state scritte tutte queste cose , ciò che egli doveva soffrire e ciò che verrà dopo di lui. A vendo dunque compreso ciò, credemmo a Dio a causa delle cose scritte in vista di lui» . 8
Se la ricostruzione dell'ordine dei frammenti proposta da Paul se n (e riass�nta qui sopra) è corretta, anche qui la comprensione cri stologica delle Scritture segue l'apparizione del Risorto: non è però quest'ultimo che le spiega , ma i discepoli che le esaminano.9 A parte il termine generale «venuta», le profezie cristologiche concernono anche qui essenzialmente la passione, morte, risurrezione, ascensio ne di Gesù , ma anche - sia pure in modo ben meno preciso che in Luca - le vicende successive dei credenti («ciò che verrà dopo di lui») . L'autore della Predicazione ha dunque ben presente il dossier
italiana e commento, in M . G . MARA, «