Jean Cocteau teorico del cinema
 8857548252, 9788857548258

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Stefania Schibeci

JEAN COCTEAU TEORICO DEL CINEMA

MIMESIS

© 2018 - Mimesis Edizioni (Milano - Udine) Isbn: 9788857548258 Issn 2420-9570 Collana: Cinema, n. 64 www.mimesisedizioni.it / www.mimesisbookshop.com Via Monfalcone, 17/19 - 20099 Sesto San Giovanni (Ml ) Telefono +39 02 24861657 / 02 24416383 E-mail: [email protected]

INDICE

Ringraziamenti

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Introduzione

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Capitolo I. L’universo estetico e poetico Li. L’arte e la bellezza 1.2. I temi ossessivo-ricorrenti: la morte, l'infanzia, l’angelo Heurtebise I.3. Il poeta incompreso I.4. Un pionieredell’intermedialità I.5. il rapporto con il pubblico

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Capitolo IL La teoria del cinema Ila. Jean Cocteau teorico del cinema? II.2. Lo specifico filmico: “rendre visible l’invisible" II.3. Il cinematografo come “véhicule de poésie” II.4. L’influsso di EjzenStejn sulla teoria del cinema di Cocteau 80 II.5. Il rapporto con il cinema surrealista 11.6. La «phénixologie» II.7. Considerazioni sul cinema a lui contemporaneo

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Capitolo III. I

rapporti tra la teoria DEL CINEMA e L’ESPERIENZA SUL CAMPO

III.i. 11 «poète de cinema» III.2. L’«automitografìa» nella trilogia orfica III.3. La poesie nella trilogia orfica

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ni.4.11 «réalisme irréel»; il caso di La Belle et la Bete e Orphée 111.5. H limite tra visibile e invisibile, realtà e irrealtà: la «zone» e lo specchio

Indice

dei nomi

Bibliografia Filmografìa

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Hé oui, me revoilà. On sen a jamais fini de se dire au revoir. J. Cocteau, Post-scriptum au Testament d’Orphée, i960

RINGRAZIAMENTI

Per la stesura di questo libro ho avuto la fortuna di potermi av­ valere del sostegno e dei preziosi consigli di docenti e amici. Per questo desidero ringraziare innanzitutto il professor Vin­ cenzo Trione per aver condiviso con me la passione per Jean Coc­ teau, incoraggiandomi a intraprendere questo studio e seguendolo da vicino mediante un’attenta lettura e con indispensabili consigli. I In ringraziamento ugualmente sentito va al professor Antonio So­ maini, per aver letto e sostenuto questo mio studio. A tutto lo staff del Musée Jean Cocteau/ Collection Séverin Wunderman di Menton, per la cordialità con cui mi hanno accolta c, in particolare, a Madame Sandrine Faraut per la disponibilità e la generosità con cui mi ha aperto le porte del Centre de Do­ cumentation del Museo, permettendomi di accedere a documenti importanti per la stesura di questo libro. Alla zia Battola, che ha oltrepassato la «zona» di confine tra inondo visibile e invisibile prima di vedere questo lavoro compiu­ to, ma che so per certo che sarebbe stata la mia prima lettrice. Al mio compagno di vita Franco, che, ancora una volta, ha accolto e seguito con entusiasmo questa mia nuova sfida, motivandomi quando mi sentivo persa e leggendo con passione alcuni estratti del mio studio. Alla mia famiglia, che è da sempre la mia tifoseria più accanita. I', infine, a Jean Cocteau, perché mi auguro di essermi avvici­ nata alla «decriptazione dei geroglifici della sua anima» che egli auspicava e meritava...

Alle mie meravigliose radici, la mia famiglia, e al mio cuore, Franco

INTRODUZIONE

L’interesse di Jean Cocteau è interamente rivolto alla «poésie», ( me strumento principe per conoscere e rappresentare il mon­ do, soprattutto quello interiore, ed è proprio in questa chiave che bisogna leggere anche il suo cinema. 11 suo approdo alla «dixième muse» è assolutamente naturale per un artista a tutto tondo come lui, che non ha mai operato una netta distinzione tra le arti, pro­ muovendo una straordinaria intermedialità ed esplorando tutti i tipi di linguaggio fino a scoprire le potenzialità del connubio tra immagine e parola in questa «veritable art des poétes». I suoi film, intervallati spesso da un notevole lasso di tempo, si presentano come degli «objets difficiles à ramasser», secondo la celebre espressione di cui il poeta stesso si serve per definire le sue opere, in quanto è difficile inserirli a pieno in una corrente artisti­ ca egli stesso rifiuta l’etichetta di surrealista - e sono piuttosto criptici, se non si conosce a fondo la sua concezione del cinema. Questo studio mira a dimostrare come Cocteau possa essere a buon diritto inserito nel novero dei teorici del cinema, in quanto, pur non avendo mai scritto un vero e proprio trattato sullargomcnto, in numerose sue opere si evincono i principi guida della sua riflessione sul nuovo medium, che si ritrovano poi applicati nella sua filmografìa. Dal momento che la chiave di lettura di tutta la sua opera è la •poesie», il primo capitolo introduce quello che è l’universo poeti­ co dcllartista, in modo da individuare le tematiche ricorrenti della sua intera opera, e quindi anche del suo cinema. Dopo aver spiega­ lo ( oiiic la «démarche» di un poeta come lui non possa essere cir­ ci iscritta a nessuna corrente o movimento artistico in particolare, si individua quello che è il concetto fondamentale della sua arte, ossia quello di «manie de vérité», l’ossessione del poeta di essere

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creduto anche quando va a fondo nella notte della sua anima, che fa della sua estetica un’etica. Questa necessità nasce dall’idea che ogni opera è sempre un autoritratto del suo creatore ed è frutto di un processo di «espirazione», nel quale il poeta porta a galla quan­ to di più recondito si annida dentro di lui, per cui non può che dire la verità. In questo senso essa affiora in modo del tutto inconsape­ vole nella sua mente, come risultato di una partogenesi ed egli non è altro che il medium attraverso il quale prende forma. Una volta partorita l’opera, il poeta diventa «postumo» in quanto deve mo­ rire per permetterle di vivere e ciò lo porta a elaborare il concetto di «angélisme», secondo cui colui che crea, essendo sospeso tra la vita e la morte, è simile agli angeli che vivono a metà tra due mon­ di, quello divino e quello terreno. Cocteau definisce la sua conce­ zione dell’arte come una «esthétique de l’échec», ossia un’esteti­ ca dell’insuccesso poiché non mira a compiacere e a convincere il pubblico - cosa che, a suo parere, rappresenta il peccato originale dell’arte - ma a introdurre e affermare nuovi valori in contrasto con quelli tradizionali, che generano il disappunto del pubblico. Tra questi vi è una nuova idea del bello che egli matura sotto l’in­ fluenza di Picasso prima e di Ejzenètejn poi. Esso non risponde più ai canoni di armonia, forma ed equilibrio, ma ha l’aspetto di una testa di Medusa che pietrifica al primo sguardo, in quanto è talmente al di fuori della norma da sembrare brutto. L’«esthétique de l’échec» causa l’incomprensione del pubblico nei confronti del­ la «démarche solitaire» del poeta, per cui per tutta la vita egli vive sulla sua pelle la «difficulté d’etre», che nasce dal paradosso di es­ sere al contempo il poeta più celebre, a causa della sua mondanità, e il più sconosciuto, perché la sua opera non viene compresa. A suo parere, questa ostilità è da rintracciare nell’attitudine che il pub­ blico - compresi i critici delle sue opere - ha a riconoscere, piut­ tosto che a conoscere: ciò significa che l’approccio a un’opera non avviene in maniera libera e con mente aperta, pronta ad affrontare la novità e, talvolta, lo choc che genera un’opera d’avanguardia, ma si trasforma in una sorta di ’caccia alle somiglianze’ con qualcosa di già visto e già ‘digerito’, perché genera meno sforzo. Ad accentuare ancor più la difficoltà del pubblico a decifrarne l’opera, contribuisce il fatto che l’artista francese non si dedica a un solo medium e a un solo genere, ma ha un approccio intermediale alle arti - anche se si esprime contro l’ibridazione -, in quanto è

Introduzione

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convinto che produca un’estensione dei nostri sensi, anticipando la teoria dei media. Tra quelli che prende in considerazione vi sono anche la droga, in particolare l’oppio - che negli stessi anni anche Walter Benjamin sperimentava e studiava per giungere a riflessio­ ni analoghe - e il sogno, che consentono di oltrepassare i limiti che circoscrivono la nostra visione e percezione della realtà. Dopo aver delineato il suo universo concettuale ed estetico, il secondo capitolo entra nel vivo della sua teoria del cinema, parten­ do da alcune considerazioni relative a quanto il cinematografo sia presente nella vita dell’artista sin da ragazzo, dal momento che egli ha assistito alle prime proiezioni dei fratelli Lumière, e nelle sue opere, in quanto alcune poesie hanno come protagonista la «deci­ ma musa». Come osserva Dominique Paini, è possibile riconosce­ re «une pensée précinématographique» in Cocteau, che affonda le radici nella sua cinefilia, ma anche nel modo in cui descrive certe situazioni all’interno dei propri romanzi - si pensi in particolare ad alcuni passi descrittivi del Livre Blanc - come se le osservasse tramite l’occhio della cinepresa. Dunque, sin dal primo momento, egli non ha dubbi sul fatto che il cinema sia una vera e propria arte elle ha la straordinaria capacità di scrivere tramite la luce. Benché non dedichi un trattato alla sua teoria del cinema, è possibile evin­ cerne i punti chiave da alcune riflessioni presenti soprattutto in ( )pium e in Mon premier voyage, oltre che nei numerosi articoli, omaggi e note sul cinematografo pubblicate nel 1973 all’interno della raccolta Du cinématographe. Essa prende avvio da una fondamentale distinzione tra i due termini «cinema» e «cinématographe», dove il primo si riferisce a una forma di intrattenimento di massa e ai relativi meccanismi e costi di produzione; il secondo - che l’artista francese predili­ ge si richiama all’etimologia greca di scrittura defl’immagine in movimento e consente al regista una maggiore libertà espressi­ va. Una volta operata questa distinzione, come le altre teorie del cinema di stampo ontologico, egli individua lo specifico filmico nella capacità del «cinématographe» di «rendere visibile l’invisi­ bile», in quanto l’immagine cinematografica non è altro che il ri­ flesso esatto della realtà che si fìssa sulla pellicola, dando luogo a un'impronta del visibile, e rivela, al contempo, l’immaginario del regista, ovvero l’invisibile, attraverso il ricorso a particolari truc­ chi. Per esempio il ralenti o l’accelerazione delle immagini riesco-

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no a rendere visibile una velocità che non coglieremmo a occhio nudo e una temporalità che non ha a che fare con il presente, il passato e il futuro, ma solo con l’eternità. Il cinema assolve dun­ que la funzione di «véhicule de poèsie», dal momento che essa scaturisce spontaneamente dall’organizzazione delle immagini sullo schermo e ciò spiega la ragione per cui Cocteau, quando re­ alizza il suo primo film, nell’epoca del passaggio dal muto al so­ noro, privilegia il linguaggio visivo a quello del suono. In quanto veicolo di poesia, il cinematografo è un «encre de lumière» che dà corpo ai fantasmi interiori del poeta-regista e permette agli spettatori che assistono alla proiezione di farne un’esperienza col­ lettiva, perché li precipita in una forma di «hypnose collective». Il linguaggio e la sintassi del cinema oltre a unire gli spettatori di fronte alla visione dello schermo come se stessero facendo lo stesso sogno, realizzano anche l’utopia dell’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk) di Wagner. Se per far emergere la poesia sullo schermo è fondamentale saper organizzare sapientemente le im­ magini, non stupisce che un altro principio fondamentale della teoria del cinema di Cocteau sia proprio il montaggio. Influenzato da Sergej EjsenStejn, che ha l’occasione di incontrare a Parigi nel 1930, l’artista francese comprende quanto questo strumento sia importante per far emergere un nuovo tipo di bellezza non tra­ dizionale dall’accostamento accurato delle immagini. Egli si con­ fronta anche con l’Avanguardia surrealista, alla quale viene spesso associato dalla critica e dal pubblico - soprattutto in seguito alla realizzazione del suo primo film - da cui prende le distanze anche a causa del carattere dispotico di Breton, sebbene condivida con essa l’interesse per la psicanalisi di Freud, per il «merveilleux» e per il sogno, pur con le dovute differenze. Un altro concetto cardine della sua teoria del cinema è quello di «phénixologie», che riguarda la creazione di un’opera. Con questo termine, mutuato da Salvador Dalì per indicare una sorta di parascienza secondo cui l’uomo rinasce continuamente dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice, fa riferimento alla capacità del poeta di rinascere dopo essere morto per far vivere la propria opera, che è il tema che attraversa tutta la trilogia orfica. Infine, non mancano delle considerazioni sul cinema a lui contemporaneo e sulla delu­ sione che gli provoca la visita agli studios di Hollywood, troppo impegnati nei meccanismi di produzione e attenti alle logiche di

Introduzione

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mercato e poco inclini a favorire la sperimentazione e a rischiare di investire sui nuovi talenti, perché generano minori introiti. Una volta enucleati e analizzati i principi della sua teoria de) cinema, il terzo capitolo si occupa di mostrare come essi vengono applicati concretamente nella sua filmografìa in qualità di regista, prendendo in considerazione i film onirici, quelli in cui il tema portante è mostrare sullo schermo le immagini interiori del po­ eta, ossia la trilogia orfica - Le Sang d’un poète, Orphée, Le Testa­ ment d’Orphée - e La Belle et la Bète. Innanzitutto è importante precisare che egli non si considera un «cinéaste», ma piuttosto un artigiano, un «ébéniste» che costruisce il tavolo per evocare gli spi­ riti, i fantasmi interiori. Egli infatti si sottrae completamente alle logiche dell’industria cinematografica, avvicinandosi al cinema da sperimentatore, digiuno di qualsiasi tecnica, e rifiutandosi di enl rare ne) circuito di produzione di un film all’anno. In questo senso egli può essere a buon diritto definito più un anticineasta, che non si piega ai dettami hollywoodiani. ) suoi film nascono piuttosto da un’esigenza interiore che lo spinge a "espirare” i suoi fantasmi in­ consci e a renderli visibili. 11 mezzo attraverso il quale essi emergo­ no dalla sua notte interiore e si mostrano al suo pubblico è il mito, che viene da lui utilizzato in chiave «automythographique», per usare un’espressione di Jean Touzot. Ciò significa che il racconto mitologico classico - che assolve la funzione del poeta di dire le verità più recondite, dato che si tratta di storie di eventi fantastici che intendono spiegare determinati enigmi della condizione uma­ na - diventa per lui un modo per reinventare continuamente il pro­ prio io, proiettandolo nei personaggi del mito. Tra questi egli pri­ vilegia Orfeo, che rappresenta l’alter ego ideale e «phénixologique» del poeta e che, non a caso, è protagonista della trilogia orfica. Non solo, in questi tre film è evidente cosa intenda l’artista francese quando afferma che il cinema è veicolo della poesia, dal momento che essa ne è il tema principale e unificante ed è ottemila tramite il rifiuto dei simboli e il cosiddetto «synchronisme accidente)». Infatti il primo espediente parte dal presupposto che i simboli hanno la capacità di fuorviare lo sguardo del pubblico e di indirizzarlo verso un solo significato, mentre l’opera deve essere aperta a più interpretazioni. 11 secondo consiste nel non utilizza­ re la musica come elemento diegetico, narrativo, che commenta in modo pleonastico le immagini sullo schermo, ma piuttosto in

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maniera asincronica, in modo che l’immagine acquisti ancora più intensità e drammaticità. E siccome lo scopo del poeta è dire la verità costi quel che costi, Cocteau non esita a servirsi di quello che definisce il «réalisme irréel», che crea una sintesi tra reale e immaginario, visibile e invisi­ bile e che ottiene mediante trucchi cinematografici semplicissimi. La loro funzione è quella di rafforzare la realtà, anche se per farlo ricorrono alla finzione, e ciò è evidente in La Belle et la Bète e in Orphée. Il limite tra mondo reale e mondo immaginario è segnato dagli specchi attraverso i quali i personaggi dei suoi film - sia quel­ li della trilogia orfica, sia la Belle et la Bète - possono raggiungere la cosiddetta «zone», ovvero luogo in cui il poeta perde le sue carat­ teristiche terrestri ed entra in contatto con la poesia.

CAPITOLO I. L’UNIVERSO ESTETICO E POETICO

l.i. L’arte e la bellezza

Vulgarité des premieres places. Il ny a que des places à part. Jean Cocteau, Des Beaux-Arts con­ siders camme un assassinat, 1928

L’opera di un artista poliedrico e proteiforme come Jean Cocteau non può essere ascritta a un unico movimento o a una corrente art ist ica, in quanto si alimenta delle suggestioni provenienti dalle di­ verse avanguardie a lui contemporanee, senza mai aderire in toto a una di esse. D’altra parte lui stesso riconosce di essersi formato al l’interno di un ricco milieu culturale, ma di aver poi scelto di per­ seguire un cammino controcorrente che lo ha portato a occupare un posto a parte'. I n un’epoca contrassegnata dalla formazione di gruppi e movi­ menti artistici che condividono le stesse idee, Cocteau ammette 1

«La mia formazione è avvenuta nell'ambito degli ismi: cubismo, futurismo, purismo, orfismo, espressionismo, dadaismo, surrealismo, e da una valan­ ga di segreti messi a nudo (cosa che non impedisce loro di sprofondare nell'ombra di profondi retrobottega). Senza dubbio è per questo istinto di contraddizione che ci manovra che ho deciso, nella misura in cui un artista decide qualunque cosa, di mettere all'interno i miei segreti e di non farne sfoggio». [«Ma formation sest faite au milieu des ismes: cubisme, futuri­ smo, purisme, orphisme, expressionisme, dadaismo, surréalisme, et d'une avalanche de secrets mis à l’exterieur (ce qui ne les empèchait d’enfoncer dans l'ombre de profondes arrière-boutiques). Sans doute est-ce par cet instinct de contredire qui nous manoeuvre que je décidai, dans la mesure oil (artiste décide quoi quece soit, de mettre messecretsà l’intérieuret de n'en pas afficher la montre»], J. Cocteau, Démarche dun poète, Grasset, Paris, 2013, p. 55.

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di aver peccato di individualismo, sostenendo la necessità di un «rappel à l’ordre»23, richiamo all’ordine, e prendendo le distanze dalle norme al fine di «étre vrai, coùte que coùte, d’un vrai qui n’est pas celui des autres [essere vero, costi quel che costi, di un vero che non è quello degli altri]»\ Questo concetto di «manie de vérité»4, mania di verità, è fondamentale per capire la sua intera opera, in quanto lo ritroviamo in tutti i generi esplorati e sperimentati dall’artista e nella sua concezione di poeta come colui che vuole essere creduto, e perché fa della sua estetica una vera e propria eti­ ca. Cocteau elabora la sua poetica attorno al concetto di «vérisme» che trae dalla distinzione che Goethe fa tra «vérité», ovvero la re­ altà idealizzata che esprime l’interiorità di un artista, e «simple réalité»5, che non è altro che la riproduzione, la copia fedele di un modello. Goethe introduce dunque la necessità per l’arte di andare oltre la mimesis della realtà, in modo che l’artista, al di là della rappresentazione, riesca a fare emergere delle verità più profonde dalla natura attraverso la verosimiglianza: Bisognerebbe dire "verismo”. Non che si tenti di avvicinarsi a una verità che oggettivamente non esiste, ma, soggettivamente, che è la nostra6.

Ciò che gli interessa, dunque, non è tanto la realtà oggettiva, quanto il verismo, che, dal suo punto di vista, ha la facoltà di ma­ nifestare «la réalité de l’irréel», la realtà dell’irreale, e che trova la sua piena affermazione nel cubismo di Picasso. Infatti, l’artista 2

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Nel 1926 Cocteau raggruppa sotto il titolo Le Rappel à lordre una raccolta di saggi - che comprende Le coq et l'Arlequin, Le Secret professionnel, D’un ordre consideérée camme une anarchie e Picasso - in cui, influenzato da Raymond Radiguet, sostiene la necessità di porre un freno alle sperimen­ tazioni avanguardistiche per lasciar spazio a un «classicisme vivant», ossia un ritorno ai valori classici di ordine ed equilibrio, dopo gli eccessi delle Avanguardie, che permetta, però, all'artista di esprimere la propria indivi­ dualità e specificità. Op. cit., p. 83. J. Cocteau, Opium in B.Benech (a cura di), Romans, poésies, ouvres diverses, La Pochothèque, Paris, 1995, p. 619. J. Cocteau, Dialoghi sul cinematografo, Ubulibri, Milano, 1987, p. 66. «C’est “vérisme” qu’il faudrait dire. Non qu’on tente de s’approcher d’une verité qui objectivement n'existe pas, mais, subjectivement, qui est la nótre», Ibidem, traduzione italiana mia.

l'universo estetico e poetico

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francese sostiene che le opere cubiste, che si pongono l’obiettivo di riprodurre sulla tela la quarta dimensione invisibile degli oggetti, ritagliandoli, ricomponendoli, assemblandoli, sono la testimo­ nianza della lotta che essi ingaggiano per rivelarsi al di là della loro apparenza superficiale. La potenza di questi quadri sta nel fissare sulla tela non tanto la realtà oggettiva, quanto la visione che gli artisti cubisti hanno di essa, il loro spirito, al punto che Cocteau arriva a sostituire l’espressione tompe-lbeil con «trompe-l’esprit»7. l 'arte, quindi, è tale solo nel momento in cui l’artista prende le