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Italian Pages 280 Year 2017
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Eleonora Fragai Ivana Fratter Elisabetta Jafrancesco Italiano L all’università Profili, bisogni e competenze degli studenti stranieri
Aracne editrice www.aracneeditrice.it [email protected] Copyright © MMXVII Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale www.gioacchinoonoratieditore.it [email protected] via Sotto le mura, Canterano (RM) ()
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Ai nostri cari
Non è la letteratura né il vasto sapere che fa l’uomo, ma la sua educazione alla vita reale. Che importanza avrebbe che noi fossimo anche di scienza, se poi non sapessimo vivere in fraternità con il nostro prossimo? Gandhi
Indice
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Prefazione di Fiona Clare Dalziel
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Introduzione
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Capitolo I Studenti universitari di Italiano L2 1.1. Introduzione, 23 – 1.2. Mobilità, lingue straniere e globalizzazione, 24 – 1.3. Strategie europee per il settore educativo, 28 – 1.3.1. La strategia di Lisbona e Istruzione e formazione 2010, 28 – 1.3.1.1. Programma d’azione per l’apprendimento permanente, 36 – 1.3.2. La strategia Europa 2020, 39 – 1.3.2.1. Il Programma Erasmus+ e le precedenti iniziative per la mobilità, 43 – 1.4. Competenze chiave per il lifelong learning, 48 – 1.4.1. Le competenze chiave del progetto DeSeCo dell’OCSE, 50 – 1.4.2. Le competenze chiave nel contesto europeo, 53 – 1.5. Studenti universitari di Italiano L2: una pluralità di profili, 58 – 1.5.1. Elementi di omogeneità del profilo, 59 – 1.5.1.1. Il punto di vista dell’Europa sulle competenze interculturali, 65 – 1.5.2. Elementi di diversità del profilo, 66 – 1.6. Studenti universitari inseriti nelle istituzioni universitarie italiane, 70 – 1.6.1. Studenti di programmi europei, 75 – 1.6.1.1. Il caso dell’Università di Firenze e dell’Università di Padova, 81 – 1.6.2. Studenti cinesi di programmi governativi, 84 – 1.6.2.1. Studenti sinofoni di Italiano L2, 88 –1.6.3. Studenti universitari iscritti alle università italiane, 89 – 1.6.4. Studenti stranieri di programmi finanziati dallo Stato italiano, 97 – 1.6.5. I Centri linguistici universitari, 100 – 1.7. Studenti angloamericani, 102 – 1.7.1. Studenti anglofoni di Italiano L2, 108 – 1.8. Bisogni di apprendimento in Italiano L2, 110 – 1.8.1. Studenti in mobilità europea e contesti di comunicazione, 112 – 1.8.1.1. Abitazione e sussistenza quotidiana, 113 – 1.8.1.2. Formazione in Italiano L2 e in ambito accademico, 114 – 1.8.1.3. Socializzazione e tempo libero, 116 – 1.9. Conclusioni, 121.
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Capitolo II Formazione linguistica per studenti universitari 2.1. Introduzione, 123 – 2.2. Coordinate teorico-metodologiche, 124 – 2.3. Formazione linguistica: verso la testualità, 128 – 2.3.1. Aspetti di macrotestualità: generi testuali e contesto accademico, 130 – 2.3.2. Generi testuali nel contesto accademico: proposta di selezione, 132 – 2.3.3. Aspetti di micro-testualità: i segnali discorsivi, 137 – 2.4. Formazione linguistica: verso l’imparare a imparare, 143 – 2.4.1. Strategie di apprendimento e L2, 144 – 2.4.2. Compiti e strategie: proposta di selezione, 146 – 2.5. Approcci e me-
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Indice todologie nel contesto accademico, 151 – 2.5.1. Approccio CLIL, 152 – 2.5.1.1. Esempio di applicazione CLIL, 155 – 2.5.2. Metodologia Task Based Learning, 160 – 2.5.2.1. Esempio di applicazione del TBL, 160 – 2.6. Trasferibilità dei modelli: percorsi di sperimentazione, 163 – 2.7. Quadro di sintesi, 171 – 2.7.1. Comunicazione nelle lingue straniere, 173 – 2.7.2. Competenza digitale, 175 – 2.7.3. Imparare a imparare, 178 – 2.8. Conclusioni, 181.
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Capitolo III Uso delle TIC per studenti universitari 3.1. Introduzione, 183 – 3.2. La rivoluzione digitale, 183 – 3.3. La digital generation, 186 – 3.3.1. Caratteristiche della digital generation, 186 – 3.3.2. Quanto digital natives sono gli studenti di Italiano L2, 188 – 3.4. Modelli pedagogici per le TIC, 190 – 3.4.1. Costruttivismo socioculturale e ambienti cooperativi, 191 – 3.4.2. Connettivismo e digital literacy, 193 – 3.4.3. Apprendimento formale, non formale e informale, 196 – 3.5. Apprendere e insegnare in Rete, 199 – 3.5.1. E-teaching ed e-learning, 199 – 3.5.2. Studenti di Italiano L2 e uso delle TIC, 201 – 3.5.3. Modelli di apprendimento/insegnamento in Rete, 202 – 3.5.4. Le nuove frontiere del blended learning: la flipped classroom, 204 – 3.5.5. Il blended per gli studenti di italiano L2, 207 – 3.6. Supporti per l’apprendimento mediato dalle TIC, 211 – 3.6.1. Il m-learning: che cos’è e che cosa cambia, 211 – 3.6.2. Permeabilità e criticità del m-learning, 217 – 3.6.3. Didattica con i portable device, 219 – 3.6.4. Il BYOD: una prospettiva per il futuro, 220 – 3.6.5. I dispositivi hardware e software più utilizzati, 221 – 3.7. La rivoluzione dei social media, 223 – 3.7.1. Applicazioni del Web 2.0: caratteristiche e funzionalità, 224 – 3.7.2. Il profilo “social” degli studenti di Italiano L2, 228 – 3.7.3. Grado di permeabilità del Web 2.0 nella vita professionale e di studio, 231 – 3.8. Apprendimenti online e classi virtuali, 232 – 3.8.1 Le piattaforme per l’apprendimento online, 233 – 3.8.2. Massive Open Online Courses, 236 – 3.8.3. Esperienze innovative di apprendimento, 238 – 3.9. Le nuove frontiere, 240– 3.9.1 App e cloud, 240 – 3.9.2. Open Educational Resources, 241 – 3.9.3. Contenuti bitsize per il m-learning, 243 – 3.9.4. Apprendimento e gamification: i badge, 245 – 3.10. Preferenze dei materiali per lo studio delle lingue, 249 – 3.10.1. Strumenti tradizionali e innovativi, 249 – 3.10.2. Preferenze sulle modalità di studio per i corsi di lingua, 251 – 3.11. Conclusioni, 253.
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Bibliografia
Prefazione di Fiona Clare Dalziel* I tre anni trascorsi come Direttore del Centro Linguistico di Ateneo dell’Università di Padova mi hanno dato una preziosa visione dei continui cambiamenti a cui stiamo assistendo nelle università italiane nonché delle implicazioni di tali trasformazioni nell’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere e dell’Italiano L2. Nelle università italiane, come nelle università europee in generale, l’internazionalizzazione è una delle principali priorità. Citando Knight, si può parlare di due aspetti di questo fenomeno: «Internationalisation Abroad» e «Internationalisation at Home». In altre parole, le università non sono solamente luoghi dove la formazione attraversa le frontiere, ma hanno anche l’importante compito di promuovere competenze interculturali, per far sì che gli studenti facciano propri i valori di cittadinanza e di impegno globale. Come risultato della spinta verso l’internazionalizzazione, le università italiane hanno visto negli ultimi anni una crescita enorme della mobilità di studenti e docenti. Un cambiamento ugualmente forte è stato l’aumento nel numero di studenti internazionali che frequentano interi corsi di laurea presso i vari atenei, grazie alla diversificazione dell’offerta formativa e all’esistenza di nuove tipologie di studenti stranieri che si sono aggiunte a quelle già note. I Centri linguistici tradizionalmente offrivano corsi di italiano per studenti (e docenti) in entrata con il Programma Erasmus o con accordi bilaterali di collaborazione culturale e scientifica. I cambiamenti sopra citati hanno portato a un’evoluzione nei profili dello studente di Italiano L2, richiedendo ai Centri linguistici una attenta riflessione sui mutati bisogni di apprendimento delle nuove tipologie di studenti stra* Docente di Lingua e Traduzione inglese, ex-Direttore del Centro Linguistico di Ateneo dell’Università degli Studi di Padova.
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Prefazione
nieri. Per questo motivo, negli ultimi anni è mutata notevolmente l’offerta formativa dei Centri linguistici, che hanno ampliato rosa dei corsi offerti. Oltre alla diversificazione dei pubblici di studenti stranieri afferenti alle istituzioni universitarie preposte alla formazione in Italiano L2, un altro fenomeno significativo riguarda la sfida costante di offrire opportunità che incoraggino la sperimentazione di nuove soluzioni didattiche nell’uso delle nuove tecnologie per l’apprendimento linguistico. Coerentemente con le indicazioni ministeriali in materia di e-learning e con le riflessioni condotte in ambito europeo in tema di competenze digitali, i Centri linguistici e le altre istituzioni universitarie hanno cercato di promuovere approcci innovativi nella didattica delle lingue, che tengono conto dei cambiamenti nel campo dell’apprendimento mediato dal computer, andando dall’uso degli strumenti digitali più tradizionali a quelli più innovativi basati sulle risorse del Web 2.0. Durante la mia esperienza di direzione di un Centro linguistico ho imparato molto dagli insegnanti che usavano le tecnologie per facilitare un approccio attivo, seguendo le linee guida fornite nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue o, più in generale, i modelli pedagogici di stampo sociocostruttivista. È naturale che l’adozione delle tecnologie avvenga sempre all’interno di un modello di insegnamento dinamico e flessibile, non di tipo one size fits all, ma basato sulla personalizzazione dei percorsi di apprendimento linguistico. Personalmente ho dedicato molto tempo nei miei studi a capire come gli studenti possono diventare più efficaci nell’apprendimento delle lingue, adottando strategie individuali e impegnandosi, con lo scaffolding del docente, a diventare sempre più autonomi nello studio delle lingue. Questo è particolarmente importante nel contesto universitario, dove gli studenti sono fisicamente presenti per poco tempo, ma necessitano per la loro vita futura di padroneggiare strumenti metodologici utili per proseguire nell’apprendimento, in una prospettiva di lifelong learning. Nell’ambiente universitario è di grande importanza analizzare in modo oggettivo i cambiamenti recenti e il loro impatto
Prefazione
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sull’insegnamento delle lingue, Italiano L2 incluso. Non si possono infatti comprendere tali cambiamenti senza esaminare il contesto sociale e politico in cui avvengono; il crescente aumento dell’interesse nei confronti dell’ecologia dell’apprendimento ne è la prova. Ed è per questo motivo che il primo capitolo di questo volume fornisce uno sfondo essenziale per capire l’evoluzione del profilo dello studente universitario di Italiano L2 e dei suoi bisogni, un punto di partenza necessario per una approfondita riflessione sull’argomento. Nel secondo capitolo, si offre una interessante panoramica sulla gestione della testualità accademica, analizzando testi, compiti e strategie. L’attenzione data ai generi testuali si collega bene con il lavoro di molti studiosi, per esempio nel campo dello sviluppo della produzione scritta. Il capitolo si sofferma poi sulla formazione degli studenti universitari, per i quali, come già sottolineato, è di grande importanza lo sviluppo dell’autonomia, in altre parole del «saper apprendere». La successiva riflessione sul CLIL è di grande attualità in relazione alla diffusione di tale metodologia in ambito scolastico e universitario, che richiede studi approfonditi e precisi per assicurarne il successo. Il terzo capitolo contiene una discussione ampia e preziosa sulle competenze tecnologiche degli studenti relativamente all’uso degli strumenti digitali a loro disposizione, collocando questo dibattito all’interno di un quadro teorico sull’apprendimento linguistico. Nel complesso, il volume rappresenta un contributo necessario e di grande valore alla letteratura in questo settore di studi, e sarà di grande interesse per ricercatori, insegnanti ed altri professionisti coinvolti nell’insegnamento dell’Italiano L2 a livello universitario.
Introduzione* Il presente lavoro desidera fornire un contributo al settore di studi sull’Italiano L2. L’oggetto del volume riguarda il profilo dello studente universitario di Italiano L2 ed è il risultato del lavoro di anni di esperienza e ricerca sul campo. Grazie al contatto diretto e costante con le problematiche e le specificità legate all’insegnamento dell’Italiano L2 nel contesto della formazione universitaria presso i Centri linguistici e presso altre istituzioni preposte alla formazione linguistica è stato possibile osservare l’evoluzione sia dei profili degli apprendenti, sia dei loro bisogni di formazione, e sperimentare, conseguentemente, nuove modalità per l’educazione linguistica, applicando inoltre forme innovative di didattica al passo con le esigenze di questo specifico pubblico dell’Italiano L2. Lo studio e le ricerche nell’ambito della didattica dell’Italiano L2 a studenti universitari è ricco e vivace anche grazie al ruolo svolto dalle associazioni del Centri linguistici in Italia (AICLU) e all’estero (CERCLES) che, a partire dalla loro nascita, hanno saputo attrarre a sé studiosi, ricercatori, docenti e soggetti interessati alla formazione in Italiano L2 degli studenti universitari, offrendo, attraverso l’organizzazione di convegni, seminari e giornate di studio, numerose occasioni di incontro, discussione, e riflessione, che hanno alimentato il dibattito e il confronto fra chi, a vari livelli, opera in questo settore. Le politiche e i programmi per l’internazionalizzazione sono stati in questi ultimi decenni al centro dell’attenzione delle azioni universitarie, determinando la promozione di percorsi formativi di alto livello, nonché lo snellimento delle procedure di ammissione, che hanno avuto il merito di aprire le porte degli atenei italiani a numerosi studenti internazionali. In virtù di tali * L’intero volume è frutto della collaborazione delle tre Autrici, tuttavia è di Fragai il Cap. II, di Fratter il Cap. III, di Jafrancesco il Cap. I. L’Introduzione è stata elaborata comunemente dalle autrici.
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politiche, si assistito a una consistente crescita del numero di studenti stranieri che hanno scelto l’Italia come destinazione per svolgere gli studi, per periodi di tempo più o meno lunghi, spinti dal tradizionale interesse per l’apprendimento della lingua e della cultura italiane, anche se è ipotizzabile che si siano aggiunte nuove motivazioni di natura professionale, collegate all’idea della spendibilità di una lingua straniera anche come investimento per un migliore futuro lavorativo. Conseguentemente alle politiche universitarie per l’internazionalizzazione sono cambiate le caratteristiche socioculturali del pubblico degli studenti stranieri che si avvicina alla lingua italiana. Infatti, nel corso del tempo si è assistito a un mutamento delle comunità straniere presenti nella formazione universitaria; attualmente le comunità straniere con il maggiore dinamismo sono soprattutto quelle provenienti da paesi europei e asiatici, per esempio la Cina, tuttavia, secondo i dati diffusi dal Ministero degli Interni, sono numerosi anche gli studenti provenienti da paesi terzi, come Camerun, Iran, Marocco. Questo nuovo scenario della formazione presenta un profilo di studenti stranieri universitari notevolmente differenziato al suo interno, anche in relazione al contesto di inserimento in Italia (università italiane, oppure università estere) e al tipo di progetto di studio (a breve, medio e lungo termine). L’alto livello di diversificazione degli studenti internazionali, ha ricadute importanti sulla progettazione della formazione in Italiano L2. Le politiche europee volte a promuovere la mobilità delle persone, in particolare quella degli studenti universitari, hanno come obiettivo primario la formazione delle future classi dirigenti, una formazione basata sul plurilinguismo e sulle competenze interculturali, diventati sempre più rilevanti a causa dei cambiamenti avvenuti, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, non solo sul piano economico, ma anche sul piano sociale e culturale. Secondo i dati forniti dalla UE i giovani che studiano o si allenano all'estero hanno la possibilità di trovare un impiego molto più facilmente rispetto a coloro che non hanno una esperienza internazionale.
Introduzione
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Gli scambi culturali fra le varie nazioni sono sostenuti a livello accademico dalla mobilità delle persone e hanno l’intento di migliorare sia la qualità dell’apprendimento, sia le competenze professionali delle giovani generazioni, favorendo un tipo di conoscenza maggiormente competitivo e dinamico, utile per affrontare con la capacità critica e la consapevolezza necessaria le sfide di un mondo globalizzato in rapida evoluzione. Inoltre, l’importanza che le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) rivestono nella formazione delle persone e, nello specifico, degli studenti universitari è sottolineata con forza dalle politiche dell’UE che sostengono l’introduzione delle TIC nell’educazione. Si tratta, infatti, di strumenti in grado di offrire una vasta gamma di opportunità, permettendo nuovi e diversi tipi di apprendimenti, che stimolano la collaborazione fra le persone, il dialogo e la creatività, riducendo inoltre il divario digitale e aumentando l’occupabilità e l’inclusione sociale. In quest’ottica le TIC per l’educazione linguistica hanno il ruolo di traghettare le persone verso la società della conoscenza, che richiede sempre nuove competenze e abilità, in una prospettiva di apprendimento permanente Per quanto riguarda la dimensione prettamente didattica, le nuove sfide poste dall’internazionalizzazione del sistema universitario e la evoluzione dei profili socioculturali e linguistici degli studenti universitari di Italiano L2 impongono una rilettura dei consueti paradigmi pedagogici per la definizione di modelli progettuali in ambito educativo coerenti con le nuove esigenze di formazione linguistica. Si tratta di ripensare le scelte in ambito formativo alla luce del concetto di «competenze chiave», ovvero quelle competenze trasversali ai vari settori disciplinari, e delineare nuovi strumenti culturali, metodologici, relazionali che permettano di sviluppare competenze che mettano in grado gli studenti partecipare alla vita sociale e incidere sulla realtà. Pertanto, nelle esperienze di mobilità degli studenti universitari, i formatori giocano un ruolo importante nel favorire lo sviluppo delle loro performance e nell’affinare competenze chiave trasversali trasferibili anche in altri apprendimenti. In tale pro-
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spettiva, l’apprendimento di una o più lingue straniere diventa il passe-partout per il contatto diretto con altre culture, permettendo la costruzione un atteggiamento mentale di apertura verso la diversità. Alla luce delle considerazioni fin qui fatte, l’esigenza di ripensare a un modello formativo per il pubblico specifico degli studenti universitari di Italiano L2, che tenga in considerazione gli obiettivi delle politiche europee, in materia di plurilinguismo, pluriculturalismo, sviluppo delle competenze chiave e al contempo che riesca a soddisfare il più possibile i bisogni di formazione linguistica e culturale, ha condotto nel corso degli anni a sperimentare e a ricercare nuovi modelli didattici, giungendo alla formulazione di una proposta editoriale per l’Italiano L2 (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010). Tale proposta integra più dimensioni significative dell’apprendimento, in grado di valorizzare e sviluppare competenze, abilità e strategie per la formazione delle giovani generazioni, europee e del mondo, adeguata alle nuove dinamiche sociali e culturali, e attenta in particolare al contesto accademico. Il primo capitolo del volume mira a inquadrare all’interno del contesto internazionale ed europeo il fenomeno della presenza degli studenti internazionali nel mondo della formazione superiore in Italia, facendo riferimento sia alle istituzioni universitarie italiane, sia alle istituzioni universitarie estere, in particolare nordamericane, evidenziando il forte interesse del mondo universitario nei confronti della internazionalizzazione della formazione, attraverso varie forme di collaborazione interuniversitaria. Per contrastare il fenomeno della crescente disoccupazione, soprattutto tra i giovani, e per adeguare l’istruzione e la formazione alle richieste del mondo globalizzato è importante dotare le persone delle conoscenze, competenze e abilità necessarie per il mondo del lavoro e dall’economia, che consentano inoltre una partecipazione attiva alla vita della società. Per raggiungere tale obiettivo è importante elevare il livello della formazione università, offrendo agli studenti, nella prospettiva del lifelong learnig, attraverso il sostegno alla mobilità, opportunità forma-
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tive all’estero che valorizzino l’apprendimento formale, non formale e informale, e che sviluppino la loro conoscenza delle lingue straniere e le loro competenze interculturali. Nella parte centrale, il capitolo si incentra sull’individuazione, attraverso l’esame di dati statistici nazionali e internazionali, delle caratteristiche delle varie tipologie di studenti internazionali presenti nella formazione universitaria, evidenziando come le differenze fra le varie tipologie abbiano un importante peso sulle scelte metodologiche nella didattica dell’Italiano L2, richiedendo ai docenti, in una prospettiva learner centered, di ricorrere ad approcci, metodi e strumenti didattici adeguati alle effettive caratteristiche degli apprendenti, quali quelli proposti nel secondo capitolo. Il secondo capitolo, dedicato alla formazione linguistica per gli studenti universitari e incentrato su testi, compiti, strategie, si ricollega all’analisi presentata nel primo capitolo sulle caratteristiche socioculturali e linguistiche del pubblico di studenti stranieri universitari per inquadrare alcuni aspetti riguardanti la gestione di competenze linguistiche e di saperi disciplinari, spendibili nel contesto di studio accademico. La parte introduttiva del capitolo delinea le coordinate teorico-metodologiche, mostrando come la dimensione testuale e l’«educazione alla testualità» abbiano un ruolo cruciale per la formazione linguistica di studenti stranieri universitari, per i quali è indispensabile saper gestire testi diafasicamente connotati durante l’esecuzione di compiti non solo di tipo linguistico. Coerentemente con questo obiettivo prioritario di formazione, il capitolo intende fornire alcune indicazioni per lo sviluppo di competenze testuali che riguardano la selezione di un possibile repertorio di generi testuali d’interesse (p. es. seminario universitario), a livello macro-testuale, e la scelta di alcuni elementi linguistici tendenzialmente usati maggiormente in un genere testuale rispetto ad altri, a livello micro-testuale (p. es i segnali discorsivi). Nella parte centrale, il capitolo si sofferma, nella parte centrale, sulla questione dello sviluppo delle strategie di apprendimento e su abilità di tipo cognitivo-accademico, il cui impiego
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consapevole può essere considerato come una variabile positivamente correlata al progresso del processo di apprendimento linguistico, se adeguatamente trattate. In questa prospettiva viene puntualizzata l’efficacia di approcci formativi e di metodologie didattiche orientati al paradigma socio-costruttivista, quali il CLIL e la metodologia Task Based Learning, anche attraverso la descrizione di esempi applicativi e di percorsi di sperimentazione, che esaltano la dimensione sociale dell’apprendimento, come auspicato nei più importanti documenti europei di riferimento. Con l’intento di mettere a fuoco alcune implicazioni operative per l’insegnamento dell’Italiano L2 all’università derivate dall’ipotesi di progettazione seguita nel capitolo, vengono tratte, infine, alcune considerazione conclusive, interpretabili come punti di interesse e tracce di lavoro per incoraggiare azioni formative incentrate sull’imprescindibile relazione tra competenze specifiche e competenze chiave. Il terzo capitolo, dedicato all’uso delle TIC per studenti universitari, si pone l’obiettivo di delineare il profilo tecnologico degli studenti di Italiano L2, esaminando in particolare alcuni aspetti delle loro competenze digitali e cercando di indagare se, ma soprattutto in che modo, le tecnologie siano entrate anche nell’ambito dello studio e del lavoro di questo specifico pubblico. Si tratta dunque di capire se, per gli apprendenti l’Italiano L2, si possa parlare a pieno titolo di digital learner, ovvero di studenti che utilizzano le tecnologie (hardware e software), dai dispositivi mobili ai social network, in tutte le loro potenzialità passando dall’uso personale a un uso legato alla formazione senza che si possano intravvedere dei confini netti tra i due ambiti di applicazione. Il capitolo si apre con un inquadramento generale sullo stato dell’arte sulle TIC per l’apprendimento linguistico, soffermandosi in particolare sugli approcci pedagogici e sugli orientamenti che nel corso degli anni si sono rivelati più efficaci e consoni alla gestione delle tecnologie, come il costruttivismo socioculturale e il connessionismo.
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Attraverso l’esame di alcune indagini sugli studenti universitari di Italiano L2 vengono messi in luce dei dati utili a tracciare da una parte le esperienze pregresse di apprendimento linguistico di tipo innovativo, come per esempio la partecipazione a MOOC o l’utilizzo degli strumenti del Web 2.0 per la formazione linguistica, dall’altra l’interesse e il tipo di preferenza ad apprendimenti online, blended o di tipo tradizionale in classe. Nello specifico il m-learning apre nuove frontiere che portano a metodologie basate sulla gamification con il conseguimento di premi e di riconoscimenti (p. es. badge) riuscendo in tal modo a far convergere i diversi tipi di apprendimento (formale, non formale e informale) permettendo al contempo la valorizzazione di ogni tipo di esperienze di apprendimento, anche quelle che un tempo non erano prese in considerazione, come l’apprendimento informale.
Capitolo I
Studenti universitari di Italiano L2 Mobilità, profili e bisogni di studenti universitari
1.1. Introduzione In questo capitolo si intende presentare una lettura critica dei principali documenti europei ed extra-europei sulle politiche per l’istruzione e la formazione che sono alla base di programmi, progetti, iniziative di vario genere che sostengono la mobilità delle persone per studio all’interno dei sistemi della formazione superiore. In secondo luogo, attraverso l’analisi dei risultati di indagini nazionali e internazionali sulla figura dello studente universitario straniero nel nostro paese, si intende delineare i vari profili riconducibili a tale figura, definendone le caratteristiche socioculturali, linguistiche e motivazionali, nella convinzione che tali elementi conoscitivi siano alla base della progettazione di percorsi di Italiano L2 tarati sulle effettive caratteristiche degli apprendenti, così come raccomandato nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER). A questo scopo vengono analizzati i dati statistici disponibili, fornendo inoltre una serie di strumenti utili a quanti hanno interesse ad approfondire la conoscenza del fenomeno della presenza degli studenti stranieri, comunitari e non comunitari, nella formazione universitaria. Il capitolo si conclude infine con alcune considerazioni sui bisogni linguistico-comunicativi in Italiano L2 di questa specifica tipologia di apprendenti, che saranno ripresi e approfonditi nel secondo capitolo del volume.
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Italiano L2 all’università
1.2. Mobilità, lingue straniere e globalizzazione Nell’ambito dell’istruzione e della formazione, fra i principali promotori di programmi che prevedono la mobilità delle persone (studenti, docenti, personale del settore) per l’apprendimento vi sono, innanzitutto, le istituzioni europee, che hanno una lunga tradizione nel campo della formazione e dell’apprendimento all’estero, che risale alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, con la nascita del Programma Erasmus (cfr. Par. 1.3.2.1). Dall’anno del lancio del Programma per l’istruzione superiore (1987) fino al 2013, quando termina il Programma d’azione per l’apprendimento permanente (2007-2013), che include Erasmus, ha visto la partecipazione agli scambi di tre milioni di studenti appartenenti a circa tremila università o istituzioni di istruzione superiore europee. Dopo le istituzioni europee, fra i più importanti promotori della mobilità, vi è il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), che sostiene un ricco ventaglio di progetti, rivolti alle varie tipologie di studenti stranieri che intendono studiare in Italia: i residenti all’estero, i comunitari, i comunitari con titolo di studio conseguito all’estero e i residenti in 2 Italia (cfr. Par. 1.6). Si ricordano poi le numerose università nordamericane, pubbliche e private, che, accogliendo le sollecitazioni all’internazionalizzazione dell’istruzione superiore, provenienti da vari organi istituzionali, fra cui, per esempio, l’American Council on
2. Per le informazioni sulle opportunità offerte alle varie tipologie di studenti stranieri, che intendono studiare in Italia, cfr. il sito Internet «Studiare in Italia», uno strumento di informazione per gli studenti che desiderano frequentare in Italia corsi universitari di primo, secondo e terzo ciclo. «Studiare in Italia» è un progetto del MIUR, realizzato congiuntamente dal Centro Informazioni Mobilità Equivalenze Accademiche (CIMEA) della Fondazione RUI e dal Consorzio Interuniversitario del Nord-Est per il Calcolo Automatico (CINECA). «Studiare in Italia» è (http://www.studiare-in-italia.it/). Cfr. anche il Par. 1.6.
I. Studenti universitari di Italiano L2 3
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Education (ACE) e la Abraham Lincoln Commission , gestiscono programmi di study abroad sul territorio italiano, che, sulla base dei dati disponibili (IRPET-AACUPI 2013), sono circa centocinquanta5 e si concentrano principalmente nell’Italia centrale, in particolare nella Toscana e nel Lazio6 (cfr. Par. 1.7). Tale pluralità di istituzioni, italiane, europee, extra-europee, incoraggia la mobilità delle persone, in particolare quella degli studenti universitari, con l’intento di formare le future classi dirigenti sui valori del plurilinguismo e dell’intercultura, divenuti sempre più rilevanti a causa dei cambiamenti epocali avvenuti, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, sul piano economico, sociale e culturale. Le trasformazioni che si sono verificate sono connesse all’intensificarsi, in particolare, dei processi di modernizzazione e di globalizzazione, e sono state inoltre potenziate dall’enorme sviluppo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC), che hanno rivoluzionato i sistemi tradizionali di comunicazione, rafforzando e velocizzando le interazioni sociali7. Le azioni intraprese dal mondo dell’istruzione e della formazione, sia in Italia, che all’estero, che prevedono la mobilità delle persone, mirano ad accrescere gli scambi culturali fra le varie nazioni a livello accademico per migliorare la qualità 3. ACE è il principale organo di coordinamento per college e università statunitensi, e rappresenta circa 1800 presidenti di istituzioni universitarie pubbliche e private. Cfr. in sito Internet di ACE all’indirizzo http://www.acenet.edu/Pages/default.aspx. 4. In seguito agli attacchi dell'11 settembre contro gli Stati Uniti, nel 2005 il Congresso ha istituito la Abraham Lincoln Commission Study Abroad dandole il compito di sviluppare un quadro di riferimento a sostegno della formazione internazionale e delle esperienze di studio all’estero, come risposta alle vulnerabilità proprie di un mondo fortemente interconnesso. 5. In base allo studio promosso dallo European Migration Network (Ministero dell’Interno et al. 2013) sono circa duecento. 6. I dati dell’Institute of International Education (2016) evidenziano che, nell’anno 2014-2015, l’Europa è la prima destinazione per gli studenti statunitensi, che sono la percentuale più numerosa degli studenti nordamericani che studiano all’estero, con un incremento, rispetto all’anno precedente del +5,3%, e l’Italia rappresenta il secondo paese di destinazione con 33.768 presenze, mentre al primo posto vi è il Regno Unito, con 38.189 studenti che hanno conseguito crediti formativi per lo study abroad. 7. Sui cambiamenti apportati dalla diffusione dell’uso delle TIC (cfr. Fratter, Jafrancesco 2014).
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dell’apprendimento e le competenze professionali delle giovani generazioni, e per sviluppare in essi un tipo di conoscenza maggiormente competitivo e dinamico, utile per affrontare con la capacità critica e la consapevolezza necessarie le sfide di un mondo globalizzato e in rapida evoluzione. Non è sufficiente studiare la storia, la geografia, l’economia e la letteratura, degli altri paesi, per poter affermare di conoscerne la cultura, è indispensabile infatti una conoscenza più approfondita, basata sulla vicinanza e sulla esperienza quotidiana concreta, che consente di capire meglio il proprio modo di agire e quello degli altri, e di cambiare il proprio modo di pensare. Tale tipo di conoscenza ha l’effetto positivo di incrementare la comprensione reciproca e il rispetto delle diversità culturali, migliorando inoltre le capacità di adattamento dei giovani e il problem solving in contesti culturali differenti. Obiettivo fondamentale degli scambi per l’apprendimento, oltre lo sviluppo delle competenze professionali delle persone, è anche la promozione della diversità linguistica e culturale, sancita nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. Nel documento, il Capo III, dedicato all’uguaglianza, sancisce il divieto di ogni discriminazione e il rispetto della diversità (Artt. 2022): «L’Unione rispetta la diversità culturale, politica, religiosa e linguistica». La diversità linguistica e culturale non costituisce un ostacolo, ma rappresenta un ricco patrimonio da valorizzare, nonché l’elemento caratterizzante l’identità dei cittadini europei e del mondo. Pertanto, le varie iniziative intraprese in ambito educativo a livello comunitario ed extra-comunitario, e, in particolare, in quello delle lingue moderne mirano allo sviluppo del «plurilinguismo» e del «pluriculturalismo», intendendo con questi termini la capacità che una persona, come soggetto sociale, ha di usare le lingue per comunicare e di prendere parte a interazioni interculturali, in quanto padroneggia, a livelli diversi, competenze in più lingue ed esperienze in più culture. Questa competenza
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non consiste nella sovrapposizione o nella giustapposizione di competenze distinte, ma è piuttosto una competenza complessa o addirittura composita su cui il parlante può basarsi (Council of Europe 2001/2002: 205),
evitando così i pericoli che possono derivare dall’emarginazione di quanti non hanno le capacità di comunicare in una Europa interattiva (Jafrancesco 2004). Il plurilinguismo, come si ricorda nel QCER, si differenzia dal multilinguismo, che consiste nella conoscenza di un certo numero di lingue o nella coesistenza di diverse lingue in una determinata società. Si può realizzare il multilinguismo semplicemente diversificando l’offerta linguistica in una scuola o in un sistema scolastico, o incoraggiando gli allievi a studiare più di una lingua straniera […] (Council of Europe 2001/2002: 5).
Inoltre, la prospettiva plurilingue, affrontando il rapporto fra competenza nella lingua madre e competenza nella lingua straniera o nelle lingue straniere apprese, pone l’enfasi sull’integrazione di tali competenze cioè man mano che l’esperienza linguistica di un individuo si estende dal linguaggio domestico del suo contesto culturale a quello più ampio della società e poi alle lingue di altri popoli, queste lingue e queste culture non vengono classificate in compartimenti mentali rigidamente separati; anzi, conoscenze ed esperienze contribuiscono a formare la competenza comunicativa, in cui le lingue stabiliscono rapporti reciproci e interagiscono (Consiglio d’Europa 2001/2002: 5).
La promozione della diversità linguistica e culturale implica, nell’ottica dell’Unione europea (UE); la necessità di incoraggiare e sostenere, sia in ambito educativo, sia in ambito lavorativo, le iniziative finalizzate all’apprendimento del numero più ampio possibile di lingue. Le lingue proposte dovrebbero includere, insieme alle principali, le lingue europee minori, le lingue
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regionali, minoritarie e le lingue dei migranti, nonché le lingue dei più importanti partner commerciali di tutto il mondo. Il plurilinguismo, in ambito europeo e internazionale, rappresenta un obiettivo strategico. Le competenze linguistiche, nella madrelingua e nelle lingue straniere, sono strumenti essenziali sia per accedere all’istruzione, alla formazione e ai programmi rivolti ai giovani; sia per sentirsi partecipi alla società in cui si agisce, ci si muove, ci si informa e in cui è importante avere un ruolo attivo. In particolare, la conoscenza delle lingue straniere, fra le competenze che preparano per il mercato del lavoro e per trarre il maggior profitto dalle opportunità disponibili, svolge infatti un ruolo fondamentale. In questa prospettiva, l’UE si è posta l’obiettivo di dare la possibilità a ogni cittadino di imparare, a partire dalla prima infanzia, almeno due lingue straniere.
1.3. Strategie europee per il settore educativo 1.3.1. La strategia di Lisbona e Istruzione e formazione 2010 Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha affidato all’UE l’obiettivo strategico di diventare, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale (Consiglio europeo 2000).
Per il raggiungimento di tale obiettivo generale, si richiede all’istruzione e alla formazione di offrire opportunità di apprendimento tarate sulle caratteristiche dei singoli cittadini ed estese a tutte le fasi della loro vita. È altresì importante la promozione dell’occupabilità e dell’inclusione sociale attraverso l’investimento nelle conoscenze e nelle competenze delle persone, la creazione di una società dell’informazione per tutti oltre al sostegno della mobilità.
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In questo contesto, la mobilità nel settore dell’istruzione e della formazione, che si integra con la libera circolazione delle persone sancita dai trattati8, rappresenta uno strumento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona e per la graduale costruzione dello spazio europeo dell’apprendimento permanente, che mira da un lato, a rendere i cittadini capaci di far fronte alle sfide della società della conoscenza e di circolare liberamente da un contesto di apprendimento, da un lavoro, da una regione o da un paese all’altro, a fini di apprendimento e, dall’altro, a consentire all’Unione europea e ai paesi candidati di raggiungere i loro obiettivi in materia di prosperità, integrazione, tolleranza e democrazia (Commissione delle Comunità europee 2001a).
La strategia comunitaria in campo educativo ruota intorno al concetto chiave di «apprendimento permanente» (lifelong learning), che si è diffuso negli anni Settanta del secolo scorso, grazie alle iniziative dell’UNESCO per lo sviluppo dell’educazione9. Il Consiglio europeo di Lisbona pone infatti l’apprendimento permanente alla base del modello sociale europeo e definisce gli obiettivi politici trasversali per la sua realizzazione (Consiglio europeo 2000). L’apprendimento permanente si riferisce a tutte le attività di apprendimento intraprese nel corso della vita per sviluppare e/o migliorare le proprie conoscenze, abilità e competenze in una
8. Il Trattato di Maastricht introduce, nel 1992, la libertà di circolazione e di soggiorno delle persone all'interno dell'UE. Tale libertà, che rappresenta la pietra angolare della cittadinanza dell'Unione, ha comportato la graduale abolizione delle frontiere interne in virtù degli accordi di Schengen, inizialmente in un numero limitato di Stati membri. Attualmente la Direttiva 2004/38/CE del 29.04.2004 regola il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Nel momento in cui si scrive i paesi che partecipano a pieno titolo allo spazio Schengen sono ventisei: ventidue Stati membri, più Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein (con lo status di paesi associati). 9. Cfr., in particolare, il Rapporto della Commissione internazionale per lo sviluppo dell’educazione del 1972, noto con il nome di «Rapporto Faure», dal nome del presidente della commissione Edgar Faure, ex primo ministro francese e ministro dell’Educazione.
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prospettiva personale, sociale e/o collegata al lavoro. Il lifelong learning è da considerarsi quindi un dato costante della vita delle persone, che non può essere relegato a una unica fase della vita, ma che va dal periodo prescolare all’età della pensione e oltre, e che valorizza ogni forma di apprendimento: formale, non formale, informale (CEDEFOP 2009)10. Poiché l’apprendimento permanente rappresenta un elemento essenziale per l’occupazione, le decisioni in ambito economico e la partecipazione attiva alla società, si richiede, sul piano pratico, che Stati dell’UE elaborino e attuino strategie generali coerenti per l’apprendimento permanente, attraverso azioni concertate a livello comunitario relative alle priorità stabilite. Le misure relative al settore dell’istruzione e della formazione, messe in atto per il raggiungimento dell’obiettivo strategico di Lisbona, sono di primaria importanza e si integrano con le politiche economiche e sociali dell’UE. Le azioni intraprese nel settore educativo sono finalizzate al conseguimento, come stabilito nel Consiglio europeo di Stoccolma del marzo 2001, in cui si approva la Relazione del Consiglio (Istruzione) del marzo 2001, dei tre seguenti obiettivi prioritari: 1. aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione nell’UE; 2. facilitare l’accesso ai sistemi di istruzione e di formazione; 3. aprire i sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno (Consiglio europeo 2001). Il terzo obiettivo, in particolare, può essere raggiunto, per esempio, con l’aumento della mobilità e degli scambi e con il miglioramento dell’apprendimento delle lingue straniere. La mobilità e gli scambi offrono infatti
10. L’apprendimento formale è erogato in contesti organizzati e strutturati (p. es. corso di laurea universitario), appositamente progettati come tali, in termini di obiettivi, tempi, risorse per l’appren-dimento. Si tratta di un apprendimento intenzionale dal punto di vista dell’apprendente, che in genere si conclude con una certificazione. L’apprendimento non-formale è erogato nell’ambito di attività pianificate che non sono specificamente concepite come apprendimento (p. es. abilità attitudinali acquisite sul posto di lavoro) ed è intenzionale dal punto di vista di chi apprende. L’apprendimento informale deriva dalle attività della vita quotidiana (lavoro, famiglia, tempo libero) e non è strutturato (p. es. imparare a suonare la chitarra con gli amici). In genere non è intenzionale.
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ai partecipanti una nuova visione del mondo: pratica delle lingue straniere, competenze, motivazione per allievi, insegnanti e formatori e una possibilità di interazione con il mondo. Gli scambi internazionali forniscono inoltre una prospettiva diversa del processo d'apprendimento e gli insegnanti e i formatori hanno la possibilità di condividere esempi di buone pratiche con i loro colleghi stranieri e di imparare l'uno dall'altro (Consiglio europeo 2001: 15).
Il Consiglio dei Ministri europei, riunitosi a Barcellona nel marzo del 2002 a partire dai tre obiettivi strategici per l’istruzione e la formazione, approvati dal Consiglio di Stoccolma del 2001, delinea un piano di lavoro dettagliato con tredici sotto-obiettivi11 e pone il traguardo di rendere entro il 2010 i sistemi d'istruzione e di formazione un «punto di riferimento di qualità a livello mondiale» (Consiglio europeo 2002a: 18), sottolineando la necessità di introdurre strumenti volti a garantire la trasparenza dei diplomi e delle qualifiche (ECTS, supplementi ai diplomi e agli attestati, CV europeo) e di un loro adattamento al settore dell’istruzione e della formazione professionale (IFP). L’intensificarsi della collaborazione fra gli Stati dell’Unione sul tema dell’IFP, sancita anche nella Dichiarazione di Copenaghen (Consiglio europeo 2002b)12, emanata dal Consiglio eu11. 1. Migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione: migliorare l’istruzione e la formazione per insegnanti e formatori; sviluppare le competenze per la società della conoscenza; garantire l’accesso alle TIC per tutti; attrarre più studenti agli studi scientifici e tecnici; sfruttare al meglio le risorse. 2. Agevolare l’accesso dei sistemi di istruzione a tutti: creare un ambiente aperto per l’apprendimento; rendere l’apprendimento più attraente; sostenere la cittadinanza attiva, le pari opportunità e la coesione sociale. 3. Aprire i sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno: rafforzare i legami con il mondo del lavoro e della ricerca e con la società in generale; sviluppare lo spirito imprenditoriale; migliorare l’apprendimento delle lingue straniere; aumentare la mobilità e gli scambi; rafforzare la cooperazione europea. 12. Il Consiglio europeo dei Ministri dell’Istruzione di Copenaghen ha introdotto il metodo della Cooperazione rafforzata nel settore dell’IFP. Tale metodo, previsto dal Titolo VI del Trattato dell’Unione europea, consente ad almeno nove paesi comunitari di stabilire una cooperazione più stretta in una determinata area all'interno delle strutture dell'Unione europea senza coinvolgere gli altri paesi, consentendo loro quindi di muoversi a velocità diverse e verso obiettivi diversi rispetto a quelli al di fuori delle aree di cooperazione rafforzata. La procedura serve per superare la paralisi di quando una pro-
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ropeo nel novembre 2002, intende sottolineare l’importanza della sfida, per i sistemi di IFP europei, costituita dalla «costruzione di un’Europa basata sulla conoscenza e di un mercato del lavoro europeo aperto a tutti e dalla necessità di adattarsi continuamente alle evoluzioni e alle richieste mutevoli della società» (Allulli 2010: 10). Le priorità individuate nella Dichiarazione riguardano a) il rafforzamento della dimensione europea nell’IFP; b) l’aumento dell’informazione, l’orientamento, la consulenza e la trasparenza in ambito di IFP; c) lo sviluppo di strumenti per il reciproco riconoscimento e la convalida delle competenze e delle qualifiche; d) il miglioramento della garanzia della qualità dell’IFP. Il punto (a), in particolare si riferisce all’obiettivo di rafforzare la dimensione europea dell'IFP, migliorando la cooperazione per facilitare la mobilità e lo sviluppo della cooperazione fra le varie istituzioni, dei partenariati e delle altre iniziative transnazionali, tutto al fine di elevare il profilo europeo dell’istruzione e della formazione nel contesto internazionale, in modo che l’Europa sia riconosciuta come un punto di riferimento a livello mondiale per gli studenti (Consiglio europeo 2002b). Con la Comunicazione del novembre 2003 (Commissione delle Comunità europee 2003) la Commissione fa il punto della situazione sulla effettiva attuazione del programma di lavoro dettagliato per il 2010, riguardante i sistemi d’istruzione e di formazione, e propone misure urgenti da adottare per accelerare la transizione dell'UE verso un'economia e una società fondate sulla conoscenza, come previsto dalla strategia di Lisbona. Successivamente, Il Consiglio dell’Unione europea di Bruxelles del marzo 2004 (Consiglio dell’Unione europea 2004), nella Relazione congiunta del Consiglio e della Commissione si individuano tre “leve” su cui basare l'azione futura, per rispettare gli obiettivi e i tempi di Lisbona: 1. concentrare le riforme e gli investimenti nei settori-chiave; 2. fare dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita una realtà concreta; costruire l'Europa posta è bloccata da un singolo paese o da un piccolo gruppo di paesi che non vogliono partecipare all’iniziativa.
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dell'istruzione e della formazione, con l’impegno di verificare ogni due anni i progressi compiuti nell’attuazione del piano di lavoro. Negli anni seguenti, una serie di Comunicati, Maastricht del 2004, Helsinki 2006, Bordeaux 2008, Bruges 2010, confermano i successi ottenuti per il raggiungimento dei vari obiettivi, individuando inoltre i passi che è necessario compiere per rendere migliore la cooperazione nel settore educativo per il periodo 2011-2020. Il cosiddetto «processo di Copenaghen» è infatti parte integrante dell’insieme dei dispositivi strategici di Education and Training 2020 (ET 2020), che invita gli Stati dell’UE a orientare l’offerta di istruzione e formazione sulle richieste provenienti dai sistemi produttivi, con l’intento di contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici relativi all’istruzione e alla formazione della strategia Europa 2020 (cfr. Par. 1.3.2). Nella prospettiva adottata dall’UE riguardante la realizzazione degli obiettivi strategici individuati, nel 2002, dal Consiglio europeo a Barcellona e a Copenaghen, e l’integrazione di strategie e programmi, i Programmi settoriali del Lifelong Learning Programme finanziano, come ricorda Allulli (2010), azioni volte ad applicare Decisioni e Raccomandazioni13 europee, come quelle emanate fra il 2006 e il 2009, con cui l’Europa porta a compimento le scelte effettuate fra Lisbona e Copenaghen nel settore educativo. −
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Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b); Raccomandazione 2008/C 111/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per
13. La Decisione è un atto vincolante per i suoi destinatari (p. es. un paese dell'UE, una singola impresa) ed è direttamente applicabile, mentre la Raccomandazione è un atto non vincolante utilizzato dalle istituzioni comunitarie per invitare gli Stati membri ad adottare specifiche misure. Per una descrizione degli atti dell’UE, cfr. il sito Internet dell’Unione https://goo.gl/zG9HLt.
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l’apprendimento permanente (EQF) (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2008); Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009 sull'istituzione di un sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET) (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2009); Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009 sull'istituzione di un Quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell'istruzione e della formazione professionale (EQARF) (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2009).
La Raccomandazione del 18.12.206 individua otto competenze chiave di cittadinanza, che saranno approfondite più avanti (cfr. Par. 1.4.), che dovrebbero essere possedute da tutti i cittadini. A questo scopo, gli Stati membri dell’UE, nell’ambito delle politiche per l’istruzione e la formazione, sono chiamati a sviluppare «l'offerta di competenze chiave per tutti nell'ambito delle loro strategie di apprendimento permanente, tra cui le strategie per l'alfabetizzazione universale» (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006a). La Raccomandazione del 23.04.2008 istituisce un Quadro europeo delle qualifiche (European Qualification Framework, EQF), cioè un sistema oggettivo di riferimento comunitario da usare come «strumento di riferimento per confrontare i livelli delle qualifiche dei diversi sistemi delle qualifiche e per promuovere l’apprendimento permanente e le pari opportunità nella società basata sulla conoscenza, nonché l’ulteriore integrazione del mercato del lavoro europeo, rispettando al contempo la ricca diversità dei sistemi d’istruzione nazionali» (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2008: 8). Dal punto di vista tecnico è una griglia di traduzione/lettura a otto livelli, in cui i vari paesi collocano, in ordine crescente, le qualificazioni rilasciate al termine dei percorsi formativi, sulla base dei risultati dell’apprendimento (learning outcomes). Il Quadro si
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applica a tutte le qualificazioni, da quelle relative ai percorsi scolari obbligatori, ai livelli più alti di istruzione e formazione accademica/professionale, a quelle non formali e informali. La Raccomandazione del 18.06.2009 istituisce il sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionali (European Credit System for Vocational Education and Training, ECVET), che consente di attestare e registrare i risultati dell’apprendimento, in termini di conoscenze, abilità e competenze, svolto in diversi contesti (all'estero, attraverso percorsi formali o informali), e trasferirli verso i contesti di origine, dove possono essere accumulati e per i quali è possibile ottenere la certificazione. Infatti, la diversità dei sistemi nazionali, che stabiliscono livelli e contenuti di certificazione, ostacola la mobilità transnazionale di chi è in formazione, pertanto l’ECVET si pone l’obiettivo di superare tali difficoltà favorendo la mobilità delle persone in formazione attraverso l'intera Europa. Il sistema ECVET si applica a tutte le qualificazioni dei sistemi di istruzione e formazione non accademica, mentre per i titoli accademici si applica l’European Credit Transfer and Accumulation System (ECTS), un sistema di trasferimento e di accumulazione dei crediti, messo a punto per facilitare la mobilità degli studenti fra i diversi paesi. Il sistema, basandosi sui risultati di apprendimento e il carico di lavoro di un corso, consente agli studenti di trasferire i propri crediti ECTS da una università all'altra in modo che possano essere sommati e contribuire al corso di laurea o di formazione di un individuo14. La Raccomandazione del 18.06.2009 stabilisce invece un Quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità (European Quality Assurance Reference Framework for Vocational Education and Training, EQARF), che include una serie di 14. Il riconoscimento ai fini dell'equiparazione e l'equivalenza in ambito internazionale dei due cicli universitari principali, uno di primo e uno di secondo livello, con lo scopo della costruzione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore, fa riferimento, in particolare alla Dichiarazione della Sorbona sottoscritta il 25 maggio 1998 dai Ministri dell’Istruzione Superiore di Italia, Francia, Germania e Regno Unito e alla Dichiarazione di Bologna, sottoscritta il 19 giugno 1999, dai Ministri di ventinove paesi europei.
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iniziative europee volte a incoraggiare la mobilità dei lavoratori. Esso aiuta i paesi a promuovere e a monitorare i miglioramenti dei loro sistemi di istruzione e formazione professionale (IFP), sulla base di criteri condivisi. Le Raccomandazioni appena descritte mirano tutte, a vario livello, all’interno della cornice della promozione dell’apprendimento permanente, ad agevolare mobilità transfrontaliera delle persone15. Con tale politica, l’UE intende offrire ai cittadini europei disposti a spostarsi migliori condizioni di vita, cercando di risolvere il problema della disoccupazione16, che ha un tasso molto elevato, soprattutto fra i giovani. 1.3.1.1. Programma d’azione per l’apprendimento permanente Coerentemente con la strategia volta alla promozione dell’apprendimento permanente e con l’intento di realizzare gli obiettivi per lo sviluppo dell’istruzione e della formazione definiti a Barcellona e Copenaghen, il Consiglio europeo istituisce, nel novembre del 2006 (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b), il Programma d’azione per l’apprendimento permanente, o Lifelong Learning Programme (LLP)17, per il 2007-2013, con l’intento di promuovere la mobilità. Il Programma include e sostituisce i precedenti programmi euro15. Per approfondimenti su strumenti per la IFP, cfr. il sito Internet del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (https://goo.gl/wJbteG), in cui si descrivono, fra l’altro, i seguenti strumenti: Europass: portafoglio di documenti per la mobilità geografica e professionale dei cittadini europei (Centro Nazionale Europass Italia, NECISFOL, www.europass-italia.it); EQF (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, MIUR, Regioni e Province autonome, parti sociali); ECVET (ISFOL, www.isfol.it); ENQAVET (ISFOL, mail: rpqualità@isfol.it); Euroguidance, rete europea dei Centri risorse per promuovere la dimensione europea dell’orientamento, la mobilità per motivi di studio e formazione in Europa, fornendo sostegno a quanti desiderano comprendere meglio le opportunità disponibili nell’UE (Commissione europea Direzione generale Istruzione e Cultura, autorità nazionali competenti in ciascun paese, mail: [email protected]). Euroguidance gestisce il portale «Ploteus» (http://ec.europa.eu/ploteus) sulle opportunità di apprendimento nello spazio europeo. 16. Per la mobilità professionale in Europa, cfr. il Portale Europeo della Mobilità Professionale (EURES) all’indirizzo https://goo.gl/N6MrNl. 17. Per approfondimenti sul Lifelong Learning Programme, cfr. il sito della Commissione europea al l’indirizzo Internet https://goo.gl/5KdDc7.
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pei per l’istruzione, la formazione professionale (Socrates, Leonardo) e l’e-learning, allo scopo di rafforzare e integrare le iniziative dei paesi dell’UE in questo settore, di sostenere la cooperazione comunitaria e la mobilità transnazionali e di rendere disponibili strumenti amministrativi più funzionali. Il LLP, come previsto dalla strategia di Lisbona, intende contribuire, mediante l’apprendimento permanente, allo sviluppo dell'UE, intesa come società avanzata basata sulla conoscenza, e a promuovere, attraverso scambi, cooperazione e mobilità, uno sviluppo economico sostenibile, migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Per conseguire tale obiettivo generale, il Programma persegue mete specifiche riguardanti l'istruzione e la formazione durante l'intero arco della vita, fra cui si ricordano, in particolare, i seguenti intenti: a) contribuire a sviluppare la qualità, l’innovazione, la dimensione europea dei sistemi di apprendimento permanente; b) promuovere l’apprendimento delle lingue e diversità linguistica; c) sostenere lo sviluppo degli strumenti offerti dalle TIC. Aspetti, questi, di fondamentale importanza per quanti si occupano, a vari livelli, di promuovere un insegnamento e un apprendimento di qualità. Possono prendere parte al Programma non soltanto gli Stati membri, ma anche i paesi dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) partecipanti allo Spazio Economico Europeo (SEE) (Islanda, Liechtenstein e Norvegia), la Confederazione svizzera, nonché i paesi candidati all’adesione all’UE (p. es. Turchia), e ai potenziali paesi candidati dei Balcani occidentali, conformemente alle regole e agli accordi che regolano la loro partecipazione ai programmi dell’UE. La Commissione può inoltre stabilire cooperazioni con paesi terzi e organismi internazionali, come il Consiglio d'Europa o l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’istruzione, la scienza e la cultura (UNESCO). Il Programma d’azione per l’apprendimento permanente consente di individuare opportunità di apprendimento in tutta l’UE e per l’intero arco della vita, ed è articolato complessivamente il sei programmi (cfr. Tab. 1): quattro Programmi settoriali, o Sottoprogrammi, che conservano i nomi delle azioni dei
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precedenti Programmi Socrates e Leonardo, attivi dal 1995 al 2006, il Programma trasversale e il Programma Jean Monnet. Tabella 1. Lifelong Learning Programme (2007-2013). Programmi settoriali Comenius Erasmus Leonardo da Grundtvig Istruzione sco- Istruzione suEducazione Vinci lastica periore e alta Formazione degli adulti formazione iniziale e continua Programma trasversale Attività chiave Sviluppo politico; Apprendimento delle lingue; Nuove tecnologie (TIC); Disseminazione dei risultati Programma Jean Monnet Attività chiave Azione Jean Monnet; Istituzioni europee; Associazioni europee
I quattro Programmi settoriali sono pertanto 1. Comenius, rivolto all’istruzione scolastica; 2. Erasmus, destinato all’istruzione universitaria e di alto livello, inclusi gli studi di dottorato; 3. Leonardo da Vinci, riguardante l’istruzione e la formazione professionale; 4. Grundtvig, relativo all’educazione per gli adulti. Gli altri due programmi previsti da LLP sono il Programma trasversale, pensato per assicurare il coordinamento fra i vari settori e per promuovere azioni di interesse comune, che integra i Programmi settoriali; il Programma Jean Monnet, riguardante le questioni relative all’integrazione europea nella sfera universitaria e al sostegno agli istituti e alle associazioni che operano nel settore dell’istruzione e della formazione sul piano europeo. Mentre i Programmi settoriali sono coordinati direttamente dagli Stati membri, i il Programma trasversale e il Programma Jean Monnet sono coordinati dalla Commissione europea. A livello nazionale il Programma è coordinato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Direzione generale per le Poli-
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tiche Attive e Passive del Lavoro) e dal MIUR (Direzione Affari internazionali)18. Per l’implementazione operativa nazionale dei Programmi settoriali, sono state nominate delle Agenzie nazionali di riferimento, che si occupano dei Programmi, secondo quanto riportato qui di seguito (cfr. Tab. 2). Tabella 2. Ruolo delle Agenzie nazionali. Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ministero della Istruzione, Ministero del Lavoro dell’Università e Ricerca e delle Politiche Sociali Agenzia Nazionale c/o Agenzia Nazionale ANSAS ex INDIRE ISFOL Programma Programma Programma Programma Leonardo da Vinci Comenius Erasmus Grundtvig
1.3.2. La strategia Europa 2020 La strategia Europa 2020 rilancia e rinnova gli obiettivi della strategia di Lisbona e stabilisce le priorità di sviluppo per il decennio in corso. Il nuovo programma di lavoro dell’UE, descritto nella Comunicazione del marzo del 2010 (European Commission 2010) come un insieme di misure per uscire dalla grave crisi economica, viene adottato dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo il 17.06.2010 (Consiglio europeo 2010). Europa 2020 fa riferimento a tre obiettivi principali strettamente collegati fra loro: crescita intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell'istruzione, nella ricerca e nell'innovazione; crescita sostenibile, per la scelta a favore di un'economia a basse emissioni di CO2; crescita solidale, in quanto mira alla creazione di posti di lavoro e alla riduzione della povertà. L’UE trova accordo nel raggiungimento di cinque obiettivi quantitativi prioritari, che i singoli Stati membri devono tradurre in traguardi nazionali, i cui progressi attuativi sono valutati
18. Il Ministero del Lavoro, con la Direzione generale Affari internazionali, si occupa di coordinare il Sottoprogramma settoriale Leonardo da Vinci.
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dall’UE19. Nel campo dell’istruzione, le politiche e le azioni messe in atto mirano, in particolare, a a) ridurre i tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10%; b) aumentare al 40% i 30-34enni con un'istruzione universitaria20. La strategia viene attuata e controllata all’interno del semestre europeo, vale a dire nel ciclo annuale di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio dell’EU21. Nel campo dell’istruzione e della formazione, Education and Training 2020 («Educazione e formazione 2020») (ET 2020) rappresenta il quadro strategico per la cooperazione europea, che stabilisce il programma di lavoro degli Stati membri per il decennio 2011-2020 (Consiglio dell’Unione europea 2009), prendendo le mosse dalle azioni realizzate nel programma di lavoro Istruzione e formazione 2010. ET 2020 mira a realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 per il settore dell’istruzione e della formazione, individuando a sua volta gli obiettivi strategici comuni e definendo principi e metodi di lavoro comuni, che fissano le priorità per ogni ciclo di lavoro. Ha infatti come basi giuridiche la Comunicazione del marzo del 2010 (European Commission 2010), le Conclusioni del giugno 2010 (Consiglio europeo 2010) e la Comunicazione della Commissione del dicembre 2008, su Nuove competenze per nuovi lavori. (Commissione delle Comunità europee 2008), in
19. Il Metodo Aperto di Coordinamento (MAC), nel rispetto della suddivisione di responsabilità prescritte nei Trattati, è uno strumento di cooperazione tra gli Stati membri nell’ottica della convergenza delle politiche nazionali e nel raggiungimento di obiettivi condivisi. Il MAC si basa a) sull'identificazione e la definizione congiunta degli obiettivi da raggiungere; b) sulla definizione comune di indicatori che consentano agli Stati membri di conoscere la loro posizione in un dato momento e i loro progressi nell’ambito degli obiettivi definiti; c) su strumenti di cooperazione comparativa finalizzati allo stimolo dell’innovazione, della qualità e della rilevanza dei programmi di formazione e di occupazione (disseminazione di buone pratiche, progetti pilota ecc.). 20. Gli altri quattro obietti di Europa 2020 riguardano le seguenti aree socioeconomiche: lavoro (75% di occupazione nella fascia 20-64 anni); ricerca e sviluppo (3% del PIL investito in R&S); clima ed energia (obiettivo 20/20/20: -20% emissione gas serra; portare a 20% energia da fonti rinnovabili; +20% efficienza energetica); inclusione sociale e povertà (meno 20 milioni di poveri). 21. Per approfondimenti, cfr. il sito Internet della Commissione europea, dedicata alla strategia Europa 2020 (https://goo.gl/AFWLpb).
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cui si ipotizzano per l’UE, in base alle analisi condotte da CEDEFOP, i seguenti scenari nel settore lavoro: Diversi fattori correlati incentiveranno la domanda di competenze maggiori e più adeguate: la globalizzazione e i maggiori scambi internazionali, il passaggio a un'economia a bassa emissione di carbonio, l'applicazione di tecnologie, in particolare le TIC, e i cambiamenti nell'organizzazione del lavoro, in parte conseguenza a loro volta di mutamenti tecnologici e del potenziamento delle capacità professionali. Nel prossimo decennio si assisterà a una domanda crescente di forza lavoro altamente qualificata e flessibile e a un aumento dei lavori per i quali le competenze sono determinanti. Si può avere conferma della tendenza generale all'aumento della domanda di competenze dando uno sguardo al livello d'istruzione richiesto, sebbene questo sia una variabile molto approssimativa del livello di competenze (Commissione delle Comunità europee 2008: 8).
Gli obiettivi strategici di ET 2020, in gran parte già definiti nel processo di Copenaghen, sono i seguenti: a) fare in modo che l'apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà; b) migliorare la qualità e l'efficacia dell'istruzione e della formazione; c) promuovere l'equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva; d) incoraggiare la creatività e l'innovazione, compresa l'imprenditorialità, a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione. Obiettivi, questi, che si distinguono, rispetto a quelli individuati in ET 2010, per l’enfasi attribuita a innovazione e creatività. Oltre a contribuire alla realizzazione personale, la creatività costituisce una fonte primaria dell'innovazione, che a sua volta è riconosciuta come uno dei motori principali dello sviluppo economico sostenibile. La creatività e l'innovazione sono fondamentali per la creazione di imprese e la capacità dell'Europa di competere a livello internazionale (Consiglio dell’Unione europea 2009: 4).
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Si evidenzia inoltre l’importanza che i sistemi di istruzione e formazione offrano alle persone la possibilità di acquisire competenze chiave trasversali (cfr. Par. 1.4) fondamentali. Sistemi d'istruzione e di formazione di elevata qualità, al tempo stesso efficaci ed equi, sono essenziali per garantire il successo dell'Europa e per potenziare l'occupabilità. La sfida principale consiste nel garantire che ciascuno possa acquisire le competenze fondamentali, sviluppando al tempo stesso, a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione, l'eccellenza e l'attrattiva che consentiranno all'Europa di conservare un forte ruolo globale. Per raggiungere tale traguardo su una base sostenibile, deve essere prestata maggiore attenzione al miglioramento del livello delle competenze di base come la lettura, la scrittura e il calcolo, rendendo la matematica, le scienze e la tecnologia più allettanti, nonché al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel contempo, sussiste l'esigenza di garantire un insegnamento di qualità elevata, offrire un'istruzione iniziale adeguata agli insegnanti e uno sviluppo professionale continuo agli insegnanti e ai formatori e rendere l'insegnamento una scelta di carriera allettante (Consiglio dell’Unione europea 2009: 2-3).
Per la misurazione dei progressi verso i vari obiettivi, come per le precedenti politiche per l’istruzione e la formazione, vengono stabiliti indicatori e benchmarch, cioè obiettivi quantitativi che l’UE si prefigge di raggiungere in questo settore entro il 202022. I progressi generali sono controllati dalla Commissione europea in collaborazione con le autorità nazionali, valutando inoltre come migliorare gli indicatori.
22. I benchmark elaborati all’interno di ET 2020 sono i seguenti: 1. una media di almeno il 15% di adulti dovrebbe partecipare alla formazione permanente; 2. la quota delle persone fra 30 e 34 anni con un titolo di livello terziario dovrebbe essere almeno il 40%; 3. la quota delle persone con scarse prestazioni in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15%; 4. la quota di abbandoni precoci dall’istruzione e formazione dovrebbe essere inferiore al 10%; 5. almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età di inizio della scuola primaria dovrebbero partecipare all’istruzione preelementare.
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1.3.2.1. Il Programma Erasmus+ e le precedenti iniziative per la mobilità Il Programma Erasmus+ per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport è il nuovo programma comunitario per il 20142020, istituito l’11.12.2013 con il Regolamento n. 1288/2013 (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2013). I settori di intervento del Programma si ritiene possano fornire un contributo importante per affrontare le sfide dell’Europa per il decennio in corso e per sostenere la strategia decennale dell’UE Europa 2020 per la crescita, l'occupazione, l'equità e l'inclusione sociale. Erasmus+ segue una lunga serie di iniziative e di progetti culminati, il 14.05.1987, con il varo del Programma Erasmus (European Community Action Scheme for the Mobility of University Students) da parte del Consiglio dei Ministri dell’Istruzione, successivamente ratificato il 15.06.1987 con la Decisione n. 87/327/CEE (Consiglio delle Comunità europee 1987). Il Programma Erasmus23 è concepito fin dall’inizio per rafforzare, attraverso la mobilità delle persone, la dimensione europea dell’apprendimento e per migliorare la qualità dell'istruzione superiore, anche attraverso una maggiore collaborazione fra gli istituti universitari. Dopo questa prima esperienza, segue il Programma Socrates/Erasmus, che si articola in due fasi successive: la prima, adottata il 14.03.1995 con la Decisione n. 819/95/C, copre il periodo 1995-1999, mentre la seconda, istituita il 24.01.2000 con la Decisione n. 253/2000/C (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2000), copre il periodo 2000-2006. Il nuovo Programma consente la collaborazione tra università attraverso accordi bilaterali, che prevedono lo svolgimento, da parte di studenti e docenti, di un periodo di studio, o di insegnamento, riconosciuto dall'ateneo di appartenenza, presso altre univer-
23. Il nome del Programma è ispirato al celebre umanista del Cinquecento Erasmo da Rotterdam.
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sità europee. Il Programma si conclude nel 2006 con un bilancio di oltre 1 milione di studenti in mobilità in tutta Europa. Il Programma per l'apprendimento permanente (Lifelong Learning Programme) (cfr. Par. 1.3.1), istituito il 15.11.2006 con la Decisione n. 1720/2006/CE (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006a), è attivo per il periodo 20072013. Il Programma sostituisce Socrates/Erasmus e sostiene fra le sue azioni la mobilità delle persone fra istituti universitari, aprendo l’accesso anche a paesi terzi, titolari della «Carta Universitaria Erasmus» (EUC). Inoltre, rispetto al Programma Socrates/Erasmus, include i tirocini (Student Placement) degli studenti presso imprese, centri di formazione, centri di ricerca e altre organizzazioni, e la formazione di personale docente e non docente presso istituti di istruzione superiore e imprese (Staff Training). Il programma Erasmus+ combina fra loro i vari meccanismi di finanziamento utilizzati dall’UE fino al 2013 e integra i programmi europei attuati dalla Commissione nel periodo 20072013 (cfr. Tab. 3). Erasmus+ ha l’obiettivo generale di contribuire al raggiungimento delle finalità della strategia Europa 2020 e di quelle di ET 2020 (cfr. Par. 1.3.2), nel campo dell’istruzione e della formazione. Il Programma si rivolge a una vasta gamma di persone e organizzazioni: da un lato vi sono infatti gli studenti, dall’altro persone di ogni età, a cui offre la possibilità di sviluppare e di condividere conoscenze e competenze in diversi paesi, coinvolgendo istituzioni di vario genere, come università, istituti di istruzione e formazione, centri di ricerca, imprese private. Il Programma, come si legge nei documenti dell’UE (Commissione europea 2016), intende contribuire a(d): a) ampliare le conoscenze e la comprensione delle politiche e delle pratiche nazionali; b) migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento; c) sostenere la modernizzazione e l’internazionalizzazione delle istituzioni educative e formative; d) promuovere le attività di mobilità.
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Tabella 3. Programmi europei inclusi in Erasmus+ (2014-2020). Programma Erasmus+ Programmi settoriali del Lifelong Learning Programme − Comenius − Erasmus − Leonardo da Vinci − Grundtvig Programma Gioventù in Azione24 Programmi di cooperazione internazionale − Erasmus Mundus, − Tempus − Alfa − Edulink Programma di cooperazione bilaterale con i paesi industrializzati Programma Jean Monnet Sport
Erasmus+ sostiene gli strumenti dell'UE che consentono il riconoscimento di abilità e qualifiche, nonché una loro facile comprensione, indipendentemente dal fatto che esse siano acquisite attraverso l’educazione formale, non formale, informale. Questi strumenti sono, per esempio, Europass, il Quadro europeo delle qualifiche (EQF), il Sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti (ECTS), il sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET) e altri ancora25 (cfr. Par. 1.3.1). Si tratta di strumenti utili affinché le politiche per istruzione, formazione e gioventù contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020, relativi alla crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e agli obiettivi a essa collegati. 24. Gioventù in Azione è un programma della Commissione europea (Direzione Generale Istruzione e Cultura) che promuove l’educazione non formale, i progetti europei di mobilità giovanile internazionale attraverso scambi culturali e attività di volontariato all’estero (cfr. Servizio Volontario Europeo), l’apprendimento interculturale e le iniziative dei giovani di età compresa tra i 13 e i 30 anni. Per approfondimenti, cfr. il sito Internet del Programma (http://scambinternazionali.it/gioventu-in-azione/). 25. Per un elenco completo di tali strumenti, cfr. Commissione europea 2016. Per una sintetica descrizione di alcuni di essi, cfr. par. 1.3.1.
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Il Programma Erasmus+, per raggiungere i propri obiettivi prevede le seguenti azioni (cfr. Tab. 4): Tabella 4. Struttura del Programma Erasmus+ (2014-2020). Azione chiave 1 Mobilità individuale a fini di apprendimento (KA1) Azione chiave 2 Collaborazione per l’innovazione e scambio di (KA2): buone pratiche Azione chiave 3 Sostegno alla riforma delle politiche (KA3): Attività Jean Monnet Sport
L’Azione chiave 1, in particolare, sostiene la mobilità degli studenti e la mobilità del personale (docenti, personale di istituti d'istruzione ecc.), offrendo la possibilità di svolgere una esperienza di studio e/o professionale in un altro paese. Gli studenti, in particolare, possono svolgere all'estero un periodo di studio presso un istituto d'istruzione superiore, oppure un tirocinio presso una impresa o un altro posto di lavoro di interesse, coerentemente con il loro programma di studio. Il periodo di studio all'estero può includere anche un tirocinio. La mobilità del personale consente ai docenti di svolgere periodi di insegnamento all’estero presso istituti d'istruzione superiore, oppure al personale delle imprese di andare a insegnare presso un istituto di istruzione superiore all'estero. Il personale docente/non docente di istituti d'istruzione superiore può svolgere periodi di formazione all’estero per lo sviluppo professionale nella forma di eventi formativi, inclusi periodi di osservazione/formazione presso un istituto di istruzione superiore, o presso un’altra organizzazione di interesse. Un periodo all'estero può prevedere anche attività di insegnamento e formazione. Inoltre, l’Azione chiave 1 supporta i titoli di master congiunti Erasmus Mundus, cioè programmi di studio internazionali integrati di alto livello, relativi a consorzi di istituti d'istruzione superiore che assegnano borse di studio complete ai migliori studenti in tutto il mondo, e prestiti destinati agli studenti di
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master, che possono richiederli per frequentare un intero programma di master all'estero. Possono partecipare alle azioni di Erasmus+ tutti i cittadini degli Stati membri dell’UE, ma anche coloro che sono di paesi extra-UE che aderiscono al Programma (p. es. Islanda, Turchia, Liechtenstein). I risultati conseguiti dal Programma Erasmus+ sono documentati attraverso relazioni, studi e statistiche, accessibili in Internet sulla piattaforma dedicata, in cui è possibile trovare le principali iniziative finanziate, oltre a una selezione di buone pratiche26. Si prevede la revisione del Programma Erasmus+ nel 2017 e lo svolgimento di uno studio d'impatto, che sarà pubblicato nel 2020, al termine del programma. Il Programma Erasmus+ è gestito dalla Commissione europea (DG Istruzione e Cultura), in cooperazione con gli Stati membri, con l’assistenza dell’EACEA (Education, Audiovisual and Culture Executive Agency) e delle Agenzie nazionali dei paesi partecipanti. In Italia, la gestione operativa delle azioni decentrate del programma è affidata a tre Agenzie nazionali, competenti per ambiti diversi, con il coordinamento di tre autorità nazionali (cfr. Tab. 5). Tabella 5. Agenzie nazionali per la gestione di Erasmus+. Agenzie nazionali Descrizione Agenzia nazionale Ha sede a Firenze e ha anche un ufficio distaccato a Roma. Ambito di competenza: istruzione Erasmus+ scolastica, istruzione superiore, educazione deINDIRE gli adulti27. L’Agenzia è coordinata dal MIUR (DG Affari internazionali; DG per l’Università).
26. Cfr. Il sito Internet https://goo.gl/nvWhf7. 27. L’Agenzia nazionale Erasmus+ INDIRE comprende le unità nazionali eTwinning, l’azione europea per i gemellaggi elettronici fra scuole; EPALE (Electronic Platform for Adult Learning in Europe), la piattaforma online europea dedicata all’educazione degli adulti; Eurydice, che opera presso INDIRE nell'ambito della rete europea di informazione sull'istruzione, su incarico del MIUR.
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Agenzie nazionali Agenzia nazionale Erasmus+ INAPP
Agenzia nazionale per i Giovani
Descrizione Ha sede a Roma. Ambito di competenza: istruzione e formazione professionale. L’Agenzia è coordinata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (DG per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione). Ha sede a Roma. Ambito di competenza: gioventù. L’Agenzia è coordinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale).
1.4. Competenze chiave per il lifelong learning Nel mutato contesto generale, interessato da fenomeni che caratterizzano il sistema economico mondiale, ascrivibili principalmente alla globalizzazione e alla rivoluzione digitale (cfr. Cap. III, Par. 3.2), i sistemi di istruzione e di formazione dei vari paesi intendono contribuire positivamente alle sfide poste dal mondo moderno in continua evoluzione e sempre più interconnesso, dotando i cittadini delle competenze necessarie per il mondo del lavoro, per l'economia e per la società. La necessità di dare una risposta alle istanze della società della conoscenza, sposta inevitabilmente la riflessione nell’ambito delle politiche educative, «da come definire e acquisire le conoscenze (i saperi) a come definire ed acquisire le competenze (saper essere e saper fare) [il corsivo è di chi scrive]» (Allulli 2010: 36). Il concetto di «competenza» condanna inevitabilmente all’obsolescenza la concezione tradizionale della conoscenza basata sui saperi e indica nuove priorità per il mondo dell’istruzione e della formazione, che implicano anche un rinnovamento in tema di approcci e metodi di insegnamento/apprendimento. Infatti, il concetto di competenza, sviluppatosi soprattutto in ambito lavorativo si pensi infatti agli studi di De Boterf (Le Boterf 1994) sulla gestione e lo sviluppo delle competenze professionali dei primi anni Novanta del secolo
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scorso28 , e successivamente applicato all’ambito educativo, esprime la volontà di passare da un modello per la formazione di tipo trasmissivo incentrato sul docente e sulle conoscenze da acquisire, di matrice comportamentista, a un modello dialogico, incentrato sull’apprendente e sull’acquisizione di metodi, di matrice costruttivista. Si tratta di un modello, quello di tipo dialogico, che ricorre all’utilizzo di nuove modalità di lavoro, capaci di superare i singoli ambiti disciplinari e di sviluppare attitudini e capacità per realizzare un determinato compito, che riguarda saperi e saper fare. In questa prospettiva, i vari contesti educativi, dalla scuola primaria all’università, devono puntare a creare contesti di apprendimento in cui gli studenti hanno un ruolo attivo. Apprendere significa infatti azionare l’attività intellettuale e non “ricevere” un insieme di informazioni e conoscenze precostituite. Nell’ottica costruttivista, l’apprendente è posto al centro del processo formativo (learning centered) ed è considerato un soggetto che in modo attivo e intenzionale costruisce le proprie conoscenze. Egli, infatti, mediante i saperi posseduti, rielabora in modo personale l’istruzione ricevuta, ma anche le sensazioni e le emozioni, e ristruttura di continuo il proprio sistema di conoscenze attraverso l’interazione con l’ambiente esterno (costruttivismo socioculturale). In altre parole, non è più un ricettore passivo dei significati predefiniti impartiti con istruzione. Si passa pertanto da una concezione dell’apprendimento teaching centered, a una concezione in cui il docente, non essendo più il depositario di saperi astratti e decontestualizzati, ma ha il compito di guidare i processi di apprendimento e di aiutare gli studenti nella costruzione consapevole delle conoscenze e nella loro ridefinizione.
28. In uno dei principali lavori dello studioso francese, De la compétence: Essai sur un attracteur étrange (Le Boterf 1994: 56), il concetto di competenza è definito un «insieme, riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato».
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Lo sviluppo della conoscenza ha carattere situato, è ancorato cioè nel contesto concreto e avviene attraverso l’adozione di prospettive multiple e il ricorso a forme di collaborazione e negoziazione sociale. L’istruzione non è causa dell’apprendimento, ma ha un ruolo fondamentale nella creazione di contesti significativi, in cui lo sviluppo delle conoscenze è reso possibile. In tali ambienti gli studenti possono investigare, esplorare, scrivere, costruire modelli, fare comunità, comunicare con altri, progettare, visualizzare, valutare, e i risultati dell’apprendimento significativo consistono nella soluzione di problemi (problem solving). L’apprendimento significativo esalta la centralità dell’interazione nei processi di costruzione della conoscenza ed è attento a tutte le dimensioni dell’apprendente: cognitiva, praticooperativa, affettivo-motivazionale, relazionale-sociale, metacognitiva, sviluppando quei saperi (sapere, saper fare, saper essere, saper apprendere), che riguardano la persona nel suo complesso e che sono implicati in ogni tipo apprendimento. Gli «ambienti di apprendimento di stampo costruttivista sono di conseguenza sistemi complessi, contesti in cui si impara a interagire con gli altri e in cui si sviluppano abilità e processi cognitivi di livello superiore, che attengono alla sfera del pensiero critico, del pensiero creativo, della presa di decisioni, della risoluzione di problemi. Un ambiente di apprendimento con tali caratteristiche è un luogo di interazione, collaborazione e aiuto reciproco per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, in cui sono più importanti i processi di elaborazione e costruzione dei contenuti, piuttosto che i contenuti in se stessi» (Jafrancesco 2016: 243). 1.4.1. Le competenze chiave nel Progetto DeSeCo dell’OCSE Tornando al concetto di competenza e alle sue applicazioni nell’ambito educativo, per il superamento della concezione trasmissiva della conoscenza, un passaggio importante è rappre-
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sentato dal Progetto dell’OCSE sulla Definizione e Selezione delle Competenze chiave (DeSeCo)29. Il Progetto dell’OCSE, condotto fra il 1997 e il 2003, si pone l’obiettivo di elaborare un quadro di riferimento internazionale per l’identificazione e la sistematizzazione delle competenze chiave, che contribuisca a promuovere la discussione e rafforzi le indagini internazionali per la misurazione delle competenze dei giovani e degli adulti. Le competenze chiave sono quelle competenze di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali e per la cittadinanza attiva, che servono per far fronte alle rapide trasformazioni della società contemporanea e per definire gli obiettivi della formazione per il lifelong learning. Le cosiddette «key competencies» (o «core competencies»), sono infatti la base per continuare ad apprendere per tutta la vita, implementando il repertorio di conoscenze e di abilità utili per affrontare i continui cambiamenti in atto, consentono alle persone di partecipare attivamente alla società e di raggiungere gli obiettivi personali, con effetti positivi non solo per i singoli individui, ma anche per le varie istituzioni coinvolte e per la società nel suo complesso. Il modello teorico del progetto DeSeCo individua complessivamente nove competenze chiave e le raggruppa in tre categorie principali strettamente collegate fra loro (Jafrancesco 2014) (cfr. Tab. 6). Ogni categoria riguarda una specifica area tematica, in cui sono enfatizzate, in particolare, la dimensione interculturale delle competenze, e la dimensione linguistica. Per prima cosa, le persone devono essere capaci di utilizzare un'ampia gamma di strumenti per interagire efficacemente con l'ambiente e hanno bisogno anche di conoscerli bene per saperli adattare ai propri scopi (use tools interactively). Inoltre, in un mondo sempre più interdipendente, dato che gli individui devono essere in grado di stringere legami con altre persone, che probabilmente appartengono a contesti di vario genere, è importante che essi siano capaci di interagire in gruppi di persone ete29. Per approfondimenti sul Progetto e per i documenti a esso collegati, cfr. l’apposito sito Internet dell’OCSE (https://goo.gl/pClWXJ).
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rogenei (interact in heterogeneous groups). In terzo luogo, le persone devono essere capaci di assumere la responsabilità di gestire la propria vita, collocandola in contesti sociali più ampi e di agire in modo autonomo (act autonomously). Tabella 6. Progetto DeSeCo: competenze chiave. Using tools Interacting Acting interactively in heterogeneous autonomously groups A. Use language, A. Relate well to othA. Act within the big symbols and texts ers picture interactively B. Use knowledge B. Co-operate, work in B. Form and conduct and information in- teams life plans and personteractively al projects C. Use technology C. Manage and resolve C. Defend and assert interactively conflicts rights, interests, limits and needs
Le competenze essenziali della categoria use tools interactively riguardano le capacità di: 1. usare lingua, simboli e testi in modo interattivo, che consente di comprendere il mondo, di comunicare e interagire efficacemente con il proprio ambiente; 2. utilizzare conoscenze e informazioni in maniera interattiva, che permette di gestire saperi e informazioni, e di servirsene per compiere le proprie scelte, per prendere decisioni, agire e interagire; 3. utilizzare le nuove tecnologie in modo interattivo, che implica sia le abilità tecniche all’uso degli strumenti, sia la consapevolezza delle modalità di interazione a cui essi danno vita. Le competenze della categoria interact in heterogeneous groups, fanno riferimento alla capacità di: 1. stabilire buone relazioni con gli altri, che consente di avviare, mantenere, e gestire relazioni personali; 2. cooperare, che permette di lavorare insieme per uno scopo comune; 3. gestire e risolvere i conflitti, che, a partire dall’accettazione del conflitto come aspetto caratterizzante le relazioni umane, consente di adottare modalità costruttive per gestirli e risolverli.
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Infine, la categoria act autonomously, si riferisce alla capacità di: 1. agire in un contesto d’insieme, in un quadro più ampio, che consente di capire il funzionamento del contesto generale, la propria collocazione, la posta in gioco e le possibili conseguenze delle proprie azioni; 2. definire e realizzare programmi di vita e progetti personali, che permette di concepire e realizzare obiettivi che danno significato alla propria vita e si conformano ai propri valori; 3. difendere e affermare i propri diritti, interessi, responsabilità, limiti e bisogni, che consente di fare scelte come cittadini, membri di una famiglia, lavoratori, consumatori ecc. Sono competenze, queste, che non agiscono indipendentemente fra loro, ma che si combinano in costellazioni in relazione al contesto e agli obiettivi perseguiti. 1.4.2. Le competenze chiave nel contesto europeo Per fare fronte alle nuove sfide poste dalla globalizzazione, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, come già evidenziato (cfr. Par. 1.3.1), con la Raccomandazione del dicembre 2006, un Quadro europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, in cui le competenze chiave sono definite alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b).
In un opuscolo apposito (Comunità europee 2007: 4-12), si individuano otto competenze chiave, di cui si propone per ciascuna la definizione, descrivendone inoltre conoscenze, abilità e attitudini essenziali connesse.
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a) La comunicazione nella madrelingua è la capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero. b) La comunicazione nelle lingue straniere condivide essenzialmente le principali abilità richieste per la comunicazione nella madrelingua: essa si basa sulla capacità di comprendere, esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta in una gamma appropriata di contesti sociali e culturali istruzione e formazione, lavoro, casa, tempo libero a seconda dei desideri o delle esigenze individuali. La comunicazione nelle lingue straniere richiede anche abilità quali la mediazione e la comprensione interculturale. Il livello di padronanza di un individuo varia inevitabilmente tra le quattro dimensioni (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e tra le diverse lingue e a seconda del suo background sociale e culturale, del suo ambiente e delle sue esigenze e/o dei suoi interessi. c) Competenza matematica e competenze di base in campo scientifico e tecnologico. La competenza matematica è l’abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza delle competenze aritmeticomatematiche, l’accento è posto sugli aspetti del processo e dell’attività oltre che su quelli della conoscenza. La competenza matematica comporta, in misura variabile, la capacità e la disponibilità a usare modelli matematici di pensiero (pensiero logico e spaziale) e di presentazione (formule, modelli, costrutti, grafi ci, carte). La competenza in campo scientifico si riferisce alla capacità e alla disponibilità a usare l’insieme delle conoscenze e delle metodologie possedute per spiegare il mondo che ci circonda sapendo identificare le problematiche e traendo le conclusioni che siano basate su fatti comprovati. La competenza in campo tecnologico è considerata
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l’applicazione di tale conoscenza e metodologia per dare risposta ai desideri o bisogni avvertiti dagli esseri umani. La competenza in campo scientifico e tecnologico comporta la comprensione dei cambiamenti determinati dall’attività umana e la consapevolezza della responsabilità di ciascun cittadino. d) La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nelle TIC: l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet. e) Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di apprendimento e dei propri bisogni, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di sormontare gli ostacoli per apprendere in modo efficace. Questa competenza comporta l’acquisizione, l’elaborazione e l’assimilazione di nuove conoscenze e abilità come anche la ricerca e l’uso delle opportunità di orientamento. Il fatto di imparare a imparare fa sì che i discenti prendano le mosse da quanto hanno appreso in precedenza e dalle loro esperienze di vita per usare e applicare conoscenze e abilità in tutta una serie di contesti: a casa, sul lavoro, nell’istruzione e nella formazione. La motivazione e la fiducia sono elementi essenziali perché una persona possa acquisire tale competenza. f) Le competenze sociali e civiche, che includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica.
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g) Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o contribuiscono ad un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe includere la consapevolezza dei valori etici e promuovere il buon governo. h) La consapevolezza ed espressione culturale, consapevolezza dell’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive.
La Raccomandazione del dicembre 2006 sottolinea che l’istruzione e la formazione devono offrire ai giovani e agli adulti, in una ottica di lifelong learning, gli strumenti necessari per sviluppare le competenze chiave a un livello tale che consenta loro di muoversi adeguatamente nella società. Tali competenze rappresentano inoltre la base per ulteriori apprendimenti e per la vita lavorativa, consentono l’accesso a risorse e a servizi, facilitano scambi e collaborazione a distanza, permettono alle persone di adattarsi in modo flessibile a un mondo che cambia rapidamente, con un alto grado di interconnessione. Nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’aprile 2008, che definisce l’EQF dal 2012 il sistema con cui i paesi dell’UE certificano le competenze acquisite al termine di percorsi di istruzione formale, non formale e informale, oltre a indicare, come è stato già evidenziato (cfr. Par. 1.3.1), otto livelli di riferimento, che descrivono conoscenze a capacità, frutto dell’apprendimento, fornisce le definizioni dei termini: «conoscenze», «abilità» e «competenze», che sono ri-
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portate qui di seguito (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2008: 11): −
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«conoscenze»: risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative ad un settore di lavoro o di studio. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche; «abilità»: indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le abilità sono descritte come cognitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti); «competenze»: comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.
Come segnalato da Allulli (2010), nonostante i progressi fatti per la promozione di una istruzione e formazione che fa riferimento al concetto di competenza permangono ancora alcune ambiguità che investono sia la sfera concettuale, sia quella applicativa, anche in relazione a questioni definitorie, che devono essere risolte. A questo proposito Allulli scrive quanto segue: La distinzione fra il concetto di competenza (Competence) e quello di abilità (Skill) non è chiara: la Raccomandazione europea [Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2008] afferma che per Abilità si intende la capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi: dunque nel concetto di abilità è già insita la dimensione applicativa della conoscenza acquisita, che viene utilizzata per lo svolgimento di compiti e problemi specifici. La Competenza viene invece definita dalla Racco-
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mandazione come la comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio. La differenza è sottile, al limite della tautologia (Allulli 2010: 44).
1.5. Studenti universitari di Italiano L2: una pluralità di profili Il profilo studenti universitari di Italiano L2, come evidenziano gli studi generali sui pubblici della nostra lingua (De Mauro et al. 2003; Giovanardi, Trifone 2012; MAECI 2014) e le indagini specifiche su questa tipologia di apprendenti (Fratter 2004a; Jafrancesco 2004; Fragai, Fratter, Jafrancesco 2011, 2012, 2014, 2015, 2016), rappresentano un pubblico della nostra lingua caratterizzato sia da elementi comuni, sia da altrettanto molteplici elementi di eterogeneità, che saranno entrambi oggetto di riflessione di questo paragrafo. Gli studenti universitari frequentano in genere le università italiane, pubbliche e private, oppure le succursali di istituti universitari stranieri sul territorio italiano, e afferiscono, per la formazione in Italiano L2, o ai Centri linguistici (cfr. Par. 1.6.5.) dei vari atenei, oppure ai dipartimenti di italiano degli istituti universitari stranieri. Si tenga presente che il sistema di istruzione superiore italiano è notevolmente variegato al suo interno e comprende, oltre alle università statali e non statali riconosciute dallo Stato30, un ambito non universitario, i cui titoli rilasciati sono però equipollenti ai titoli di studio universitario31, in cui la presenza degli studenti stranieri è significativa. Si tratta di istituzioni specializzate in settori disciplinari specifici, fra cui vi sono, per 30. Il settore universitario comprende 94 istituzioni: 60 università statali (3 Politecnici, 2 Università per Stranieri), 17 università non statali legalmente riconosciute, 6 scuole superiori, 11 università telematiche). Cfr. il sito Internet del MIUR in collaborazione con CIMEA e potenziato da CINECA (https://goo.gl/HPdgbf). 31. La Legge n. 508 del 21.12.1999, che ha riformato il settore dell’educazione artistica, definisce tali percorsi come «alta formazione e specializzazione artistica e musicale» di livello universitario.
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esempio, il sistema di Alta Formazione Artistica e Musicale e coreutica (AFAM)32, i Centri di Restauro e le Scuole di Restauro e Conservazione dei beni culturali. Inoltre, sul territorio nazionale sono presenti anche numerose succursali di università nordamericane (circa 200), nonché importanti atenei pontifici o facoltà teologiche (oltre 20 nella sola città di Roma), che attraggono in Italia un elevato numero di studenti stranieri. Si segnala però che i dati relativi a questi ultimi tipi di apprendenti non sono facilmente accessibili. Essi non sono infatti inclusi nelle rilevazioni statistiche regolarmente effettuate dal MIUR, ma sono reperibili o nelle banche dati del MAECI, relativi ai visti di ingresso, o nelle banche dati del Ministero dell’Interno sui permessi di soggiorno per motivi di studio. 1.5.1. Elementi di omogeneità del profilo Gli studi esistenti sul pubblico dell’Italiano L2 costituito da studenti universitari evidenziano che si tratta di apprendenti giovani adulti, con un alto livello di scolarizzazione, che sono in Italia e che studiano la nostra lingua con motivazioni legate primariamente al loro progetto di studio nel nostro Paese. Tuttavia, la scelta dell’Italia come paese dove svolgere parte della propria formazione universitaria e la scelta dello studio dell’Italiano sono legate insieme ad altre variabili, quali, per esempio, la vicinanza linguistica e culturale33 all’esistenza, in questi studenti, di forti motivazioni di tipo culturale. Questo 32. Si pensi, per esempio, alle Accademie di Belle Arti statali, Accademie di Belle Arti non statali legalmente riconosciute, ai Conservatori di Musica, Istituzioni che rilasciano titoli di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica. Per l’elenco delle istituzioni AFAM, cfr. il sito Internet del MIUR (http://www.afam.miur.it/). 33. Questo dato riguarda, per esempio, quanti usufruiscono di borse di studio di mobilità europea. In base ai dati della European Commission (2016), nel 2013-2014, come del resto anche negli anni passati, al primo posto fra gli studenti stranieri universitari in entrata nel nostro Paese con il progetto Erasmus+, vi sono gli spagnoli e i francesi, seguiti poi dai tedeschi. Si tenga comunque conto del fatto che, in relazione a politiche linguistiche degli atenei italiani per attrarre gli studenti stranieri, numerosi corsi sono offerti in inglese, con il conseguente deterioramento dell’apprendimento/insegnamento dell’Italiano L2.
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dato è confermato anche in un recente documento del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI 2014) sullo stato della lingua e della cultura italiana nel mondo, in cui, parlando di formazione universitaria, si evidenzia quanto segue. L’attrattività dell’italiano come lingua di cultura è un fatto ben noto, e può essere confermata anche nel presente. Grande è anche l’interesse nel mondo per taluni aspetti della “cultura” italiana nel senso più ampio del termine: l’arte e l’architettura, la moda, il design, il cinema, i prodotti enogastronomici, i beni culturali e il paesaggio e poi, non necessariamente di nicchia, la letteratura e la musica (MAECI 2014).
Infatti, come è già evidenziato in Italiano 2000 (De Mauro et al. 2003), lo studio sui pubblici e sulle motivazioni allo studio della nostra lingua, promosso dal Ministero degli Affari esteri (MAE)34, sebbene negli ultimi due decenni con riferimento a precedenti indagini sull’Italiano nel mondo35 vi sia stato un ampliamento delle motivazioni e delle funzioni per cui si apprende l’Italiano, da collegare ai cambiamenti delle caratteristiche socioculturali, professionali e motivazionali dei pubblici stranieri dell’Italiano L2, la motivazione culturale rappresenta ancora la base più solida che sostiene il contatto con la lingua italiana36.
34. La ricerca è stata affidata alla direzione di De Mauro con una convenzione con il Dipartimento di Studi linguistici e letterari dell'Università «La Sapienza» di Roma. La direzione scientifica del Progetto, si è avvalsa di un gruppo di lavoro costituito da Vedovelli, Barni e Miraglia, del Centro CILS (Certificazione di Italiano come Lingua Straniera dell'Università per Stranieri Siena). 35. Si pensi, per esempio, all’indagine promossa dallo Stato italiano tramite il Ministero degli Affari esteri e diretta da Baldelli (1987), che è considerata il primo studio sistematico sulle motivazioni allo studio dell’Italiano. Per una rassegna delle principali indagini sull’italiano nel mondo, cfr. De Mauro et al. 2003; Kuitche Tale 2012. Cfr. anche Giovanardi, Trifone 2010. 36. Nell’indagine, la scelta della prima motivazione allo studio dell’italiano vede infatti al primo posto la macrocategoria «Tempo libero» (32,8%), declinata nelle seguenti sottocategorie: Cultura italiana (71%), Ragioni turistiche (57,7%), Società e cultura moderna (43,4%).
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Tale elemento è confermato anche nelle successive indagini. L’opera L’italiano nel mondo (Giovanardi, Trifone 2012)37, che aggiorna l’universo dell’apprendimento dell’italiano nel mondo già scandagliato da De Mauro (De Mauro et al. 2003), sottolinea infatti che l’interesse per il nostro Paese, inteso come attrazione culturale e turistica, è ancora la motivazione principale per quanti studiano l’italiano all’estero, sebbene all’importante valore estetico di questa lingua si tenda a sommare anche un significativo valore socioeconomico, in relazione ad aree di recente emigrazione (Europa dell’Est, Africa e Asia). L’italiano, infatti, da tradizionale strumento per accedere ai prodotti intellettuali di ambito letterario, artistico e musicale, è diventato, anche in relazione alla rilevanza a livello mondiale del ruolo economico e culturale dell’Italia, che permane nonostante la decennale crisi che attanaglia il Paese, un mezzo per l’inserimento nel mondo del lavoro e nel contesto educativo. In termini di motivazioni, in relazione all’importanza dei flussi migratori verso l’Italia degli ultimi tre decenni, accanto al profilo studenti stranieri universitari, si posiziona il profilo immigrati stranieri, due pubblici dell’Italiano L2 con caratteristiche molto diverse fra loro. Gli studenti stranieri universitari, in numero sempre crescente, sono inseriti a vario titolo negli atenei italiani sono studenti, docenti, ricercatori, personale amministrativo o perché hanno deciso autonomamente di svolgere la loro formazione accademica in Italia, o perché partecipano a progetti di vario genere che prevedono la mobilità internazionale, e apprendono l’italiano sia in contesto spontaneo, sia in contesto guidato per acquisire le competenze e le abilità necessarie principalmente per svolgere proficuamente il proprio progetto di studio/lavoro all’estero. Gli immigrati stranieri sono invece uomini, donne e bambini, che, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, arrivano in numero sempre maggiore nel nostro Paese alla ricerca di condizioni di vita migliori e ap37. Il volume, realizzato in continuità con Italiano 2000 (De Mauro et al. 2003), è stato finanziato dal Ministero per gli Affari esteri e si basa sullo studio «Progetto Italiano 2010: lingua e cultura italiana all’estero», coordinato da Giovanardi e Trifone.
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prendono l’italiano, sia in “contesto naturale”, sia in contesto guidato, per integrarsi nella società italiana e per poter partecipare attivamente alla vita economica, sociale e culturale del Paese. Focalizzando l’attenzione sul profilo a cui è dedicato questo volume, si osserva che gli studenti universitari di Italiano L2 rientrano nel più generale profilo dell’apprendente giovane adulto il pubblico più tradizionale della nostra lingua, che si accosta allo studio dell’italiano per interessi legati al patrimonio artistico e culturale del nostro Paese e che, soprattutto in relazione alla loro giovane età e al percorso di formazione universitaria svolto in Italia, da un punto di vista motivazionale fanno pensare, come evidenzia Vedovelli (2010: 179), a una loro «volontà di investire in una lingua pensando [anche] a un rendimento a lungo termine nel campo della professione». Per quanto riguarda l’apprendimento dell’Italiano L2, in base a una prospettiva di tipo learner centered, come quella adottata nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER) (Council of Europe 2001/2002), uno fra i più importanti documenti di politica linguistica dell’UE, che mira cioè a mettere in grado gli apprendenti di soddisfare i propri bisogni comunicativi, nel caso specifico in Italiano L2, si tratta di studenti che necessitano di competenze specifiche, che riguardano tanto la dimensione linguistica, quanto la dimensione interculturale. Le competenze linguistiche in Italiano L2, come afferma Vedovelli (2010: 185), servono da un lato a «garantire la sopravvivenza comunicativa degli studenti nella loro quotidianità in Italia», dall’altro a «permettere di sostenere il percorso di studio entro la struttura comunicativa accademica», soprattutto se si tratta di studenti stranieri inseriti nelle università italiane, che svolgono in genere i loro studi in italiano38, sebbene vi sia38. Gli studenti universitari nordamericani di programmi study abroad si muovono invece in condizioni assimilabili a quelle del contesto educativo e socioculturale di provenienza. I corsi disciplinari sono in genere insegnati in inglese e i corsi di Italiano L2 sono basati sui sillabi delle università estere di riferimento.
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no anche studenti che, per effetto dei processi di internazionalizzazione delle università, seguono lezioni universitarie o svolgono attività di ricerca in lingua inglese. In relazione alla rilevanza del contesto accademico, intorno al quale ruota l’intero progetto di studio in Italia, le competenze linguistiche in Italiano L2 consentono agli studenti universitari di gestire in primo luogo il discorso proprio dei singoli ambiti disciplinari caratterizzato da usi tecnico-specialistici e da varietà della lingua diafasicamente elevate (cfr. Par. 2.3.1) , e di prendere parte agli eventi di comunicazione propri del mondo universitario (p. es. seguire le lezioni, sostenere gli esami, scrivere relazioni); in secondo luogo permettono loro di gestire la comunicazione caratteristica degli altri contesti sociali i cosiddetti domini39 in cui in genere si muovono e in cui agiscono linguisticamente. Per gli studenti nordamericani la questione è leggermente differente. Si tratta infatti di studenti che partecipano ai cosiddetti «programmi isola», dove il contatto con la cultura ospitante è del tutto marginale e dove allo studente vengono riproposte condizioni analoghe a quelle dell’università e del contesto sociale e culturale di origine, riducendo in tal modo al minimo i momenti di contatto con la “cultura” seconda (Diadori, Palermo Troncarelli 2009: 51).
In tali programmi la lingua inglese è usata infatti per coordinare e gestire i programmi di study abroad in tutte le fasi. Le competenze interculturali riguardano invece la capacità da parte degli studenti universitari di muoversi adeguatamente nei vari contesti sociali in cui sono inseriti e in cui intrattengono rapporti di vario genere nell’ambito accademico si fa riferimento, per esempio, alle relazioni con docenti, colleghi di studio, personale dell’università e in cui spendono le proprie 39. Nel QCER, si intende con «dominio», o sfera di azione della vita sociale, l’ambito in contestualizzazione di un atto linguistico. I domini possono essere principalmente distinti in quattro settori: dominio pubblico, dominio personale, dominio educativo, dominio professionale (Council of Europe 2001/2002).
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competenze in Italiano L2. In tali contesti (dominio educativo, pubblico, personale ecc.) gli studenti sono esposti a varie dimensioni della cultura inerenti l’apprendimento dell’italiano, lo svolgimento dei compiti propri dell’ambito universitario, il soddisfacimento di esigenze quotidiane, la percezione delle differenze di valori, norme sociali ecc. , e questo determina, in taluni casi anche grazie a specifici percorsi per lo sviluppo della competenza interculturale (Tarabusi 2015), un approfondimento sia della conoscenza della cultura italiana, sia della propria cultura. Gli studenti universitari, grazie all’esperienza di studio all’estero, hanno l’opportunità di sviluppare la capacità di comprendere la natura delle differenze culturali, anche comunicando con gli altri usando modalità espressive diverse dalle proprie, ma coerenti con quelle degli interlocutori, e aumentano la sensibilità verso le peculiarità culturali più sottili del contesto in cui sono inseriti, accrescendo inoltre competenze sociali trasferibili anche in altri contesti di apprendimento, di lavoro e di vita. Aspetti, questi, che contribuiscono allo sviluppo di un atteggiamento mentale interculturale e di un senso di appartenenza che supera i confini del paese di provenienza, estendendosi all’Europa o al mondo. In sintesi, partendo dal presupposto che lo sviluppo delle competenze interculturali è legato da un lato alla consapevolezza dei limiti culturali del proprio modo di pensare, sentire e agire; dall’altro all’esistenza di una motivazione a comunicare con persone appartenenti a un’altra cultura: le attitudini interculturali, unite alla conoscenza e alla comprensione di un’altra cultura potrebbero far sviluppare delle abilità comunicative interne ed esterne, che costituiscono la competenza comunicativa interculturale. Gli aspetti interni della competenza interculturale sono l’adattabilità a differenti stili comunicativi e comportamentali, la capacità cioè di adattarsi a nuovi ambienti culturali; la flessibilità, la capacità di usare cioè comportamenti e stili comunicativi appropriati al contesto; la capacità di avere una visione etnorelativa; l’empatia. L’esito ultimo e quindi esterno della competenza interculturale consi-
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ste nella capacità di utilizzare sensibilità e conoscenze acquisite in modo da agire con efficacia nell’interazione interculturale (Palomba et al. 2010: 96).
Concludendo, un altro elemento che accomuna le varie tipologie di apprendenti riconducibili al profilo studenti stranieri universitari, riguarda le loro caratteristiche socioculturali e motivazionali. Si tratta infatti di studenti che, sulla base alle teorie dell’apprendimento elaborate da (Knowles 1996)40, in quanto giovani adulti, con un livello culturale medio-alto, sono maggiormente stimolati a imparare quando l’apprendimento soddisfa i loro bisogni e interessi, e quando è collegato alle loro esperienze pregresse. Infatti, come afferma Knowles (1996), gli adulti sono disponibili ad apprendere ciò che hanno bisogno di sapere e di saper fare per affrontare in modo efficace i compiti che sono chiamati a svolgere. In altre parole, sono motivati a investire le proprie energie nella misura in cui ritengono che tale investimento possa aiutarli ad affrontare i problemi della loro vita reale. Di conseguenza, in base a un approccio pedagogico di tipo learner centered, come quello adottato nel QCER, è importante considerare le effettive caratteristiche degli apprendenti e le loro motivazioni all’apprendimento dell’Italiano L2 prima di progettare un qualsiasi percorso didattico che si vuole che sia efficace. 1.5.1.1. Il punto di vista dell’Europa sulle competenze interculturali Il Consiglio europeo, attraverso una serie di importanti documenti su questo tema, fra cui il Libro bianco sul dialogo interculturale (Consiglio d’Europa 2008), sottolinea la centralità dell’acquisizione delle competenze interculturali e dichiara di essere impegnato, tramite l’istruzione e la formazione, nella promozione di tali competenze, indicando gli istituti di istruzione superiore come luoghi privilegiati per sviluppare il rispetto 40. Cfr. il modello andragogico per la formazione di Knowles (1996).
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della diversità culturale. L’università, infatti, sebbene le competenze interculturali si possano apprendere attraverso l’educazione formale, non formale, informale, si definisce in modo più compiuto attraverso la sua universalità cioè attraverso l’impegno ad aprire la mente e ad aprirsi sul mondo basata sui valori ereditati dall’Illuminismo. L’università è dunque in una posizione favorevole per formare “intellettuali interculturali” in grado di svolgere un ruolo attivo nella sfera pubblica (Consiglio d’Europa 2008: 32).
Inoltre, Consiglio dell’Unione europea, nelle Conclusioni sulle competenze interculturali del maggio 2008, mette in relazione tali competenze con altre tre competenze chiave individuate nella Raccomandazione del 2006 (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b): la comunicazione nelle lingue straniere, le competenze sociali e civiche e la consapevolezza ed espressione culturale (cfr. Par. 1.4.2). Il settore dell’istruzione è chiamato ad adottare iniziative di vario genere volte a rafforzare le competenze interculturali, promuovendo, fra l’altro, l'apprendimento delle lingue, l’utilizzo delle TIC, l'insegnamento a distanza con lo scopo di imparare le lingue in ambienti formali, non formali e informali e incoraggiando la mobilità di studenti, docenti e personale non docente. 1.5.2. Elementi di diversità del profilo Il pubblico dell’Italiano L2 costituito da studenti universitari rappresenta un profilo notevolmente differenziato al suo interno. L’eterogeneità del profilo riguarda in primo luogo il contesto di inserimento, vale a dire il fatto di frequentare o meno le università italiane, in secondo luogo il tipo di progetto di studio con cui gli studenti giungono in Italia. L’eterogeneità del profilo riguarda in primo luogo il contesto di inserimento, cioè il fatto di frequentare o meno le università italiane, in secondo luogo il tipo di progetto di studio con cui gli studenti giungono in Italia. In base a questa distinzione e ai dati disponibili è possibile
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individuare due macrocategorie di studenti stranieri universitari in Italia: 1. gli studenti stranieri inseriti in istituzioni universitarie italiane; 2. gli studenti stranieri inseriti in università nordamericane. Gli studenti stranieri inseriti nelle istituzioni universitarie italiane, grazie a iniziative che rientrano nel quadro generale delle azioni per l’internazionalizzazione del sistema della formazione superiore, sono distribuiti in tutta la penisola e, semplificando notevolmente la situazione, possono essere suddivisi in due sottogruppi: a) studenti universitari in mobilità internazionale, che partecipano a progetti/programmi comunitari ed extra-UE, presenti nelle università italiane per periodi di tempo anche molto brevi: − studenti di programmi europei (p. es. Erasmus+); − studenti cinesi di programmi governativi (p. es. Marco Polo, Turandot); − studenti di programmi finanziati dallo Stato italiano (MIUR, MAE ecc.)41; b) studenti universitari iscritti alle università italiane, che frequentano corsi di laurea, scuole di dottorato, master ecc., soggiornanti in modo stabile nel nostro Paese. Gli studenti stranieri inseriti in università nordamericane frequentano college e università statunitensi e canadesi, presenti soprattutto nella Toscana e nel Lazio per lo study abroad e soggiornano in Italia per circa un semestre accademico, vale a dire per circa quattro mesi.
41. Il Progetto realizzato dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (MIUR), Ministero degli Affari Esteri (MAE) e dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), in collaborazione con CINECA, consente di visualizzare in ordine alfabetico per Stato gli accordi stipulati dai vari atenei con le università estere. Cfr. il sito Internet http://accordi-internazionali.cineca.it/. Nel momento in cui si scrive, l’Università di Firenze, ha in corso 340 accordi di collaborazione e culturale e scientifica con istituti universitari stranieri.
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Gli studenti stranieri che frequentano istituzioni universitarie italiane, per quanto riguarda la formazione in Italiano L2, fanno principalmente riferimento ai Centri linguistici universitari (cfr. Par. 1.6.5), o a strutture analoghe, mentre gli studenti di progetti di study abroad svolgono la loro formazione linguistica insieme a tutto il percorso di studio previsto presso le sedi italiane delle università nordamericane di afferenza. Oltre al tipo di contesto di inserimento degli studenti universitari, vi sono anche altri fattori che contribuiscono alla differenziazione interna del profilo e che sono legati principalmente al processo di internazionalizzazione delle università italiane. Tale processo contribuisce a modificare il pubblico tradizionale dell’Italiano L2, costituito da studenti che appartengono a un numero nettamente più ristretto di provenienze, facendo emergere problematiche relative alla gestione del contatto linguistico con lingue e culture molto distanti da quella italiana. La motivazione degli studenti allo studio dell’Italiano L2, la facilità/difficoltà dell’apprendimento linguistico e il livello di competenza che è possibile raggiungere sono influenzati dall’esistenza di studenti universitari con caratteristiche e bisogni di apprendimento linguistico diversi. Fra gli elementi che condizionano maggiormente l’apprendimento dell’Italiano L2, si ricordano i seguenti: − − − −
la stabilità o la temporaneità del soggiorno in Italia; la vicinanza o la lontananza della L1 degli studenti dall’italiano; la frequenza o l’esonero dalla frequenza dei corsi universitari; l’obbligatorietà o la non necessità di sostenere le prove di verifica.
Gli studenti universitari di Italiano L2 nel nostro Paese con programmi/progetti di mobilità internazionale, rispetto agli studenti che si iscrivono individualmente nei vari atenei italiani per frequentare corsi di primo, di secondo e di terzo livello, hanno un progetto di studio all’estero a breve termine, in genere
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dai due ai nove mesi, mentre i secondi, come gli studenti di dottorato, hanno in progetto di rimanere in Italia per almeno tre anni. Per la teaching o la staff mobility il soggiorno può limitarsi anche solo a pochi giorni. Inoltre, mentre gli studenti in mobilità europea hanno in genere una L1 neolatina, o comunque appartengono ad aree culturali vicine a quella italiana, gli studenti di programmi come Marco Polo o Turandot, oppure gli studenti internazionali legati ad accordi i collaborazione culturale e scientifica, hanno solitamente lingue molto distanti dall’italiano (p. es. arabo, cinese, hindi, giapponese, russo), con scritture e alfabeti diversi, e necessitano di tempi lunghi per apprendimento dell’Italiano L2. Inoltre, ci sono studenti universitari di Italiano L2, che sono in Italia, a vario titolo (studenti, ricercatori, docenti), per svolgere una ricerca e che, non dovendo assistere alle lezioni universitarie e non dovendo sostenere prove per la verifica e la valutazione delle competenze, anche in relazione al tipo di ricerca svolta, possono non aver bisogno di conoscere l’italiano. Tuttavia frequentano i corsi di Italiano L2, mossi principalmente da motivazioni intrinseche, di tipo integrativo42. Si segnala che i paragrafi che seguono (cfr. Parr. 1.6-1.7) sono dedicati a presentare i principali elementi conoscitivi dei macroprofili individuati e dei relativi sottoprofili sulla base dei dati disponibili, non sempre facilmente accessibili e in alcuni casi molto carenti, riguardanti indagini svolte da istituzioni di vario genere, che monitorano la presenza degli studenti universitari in Italia. Si ricordano, in particolare, le seguenti iniziative e istituzioni43: −
l’Ufficio di Statistiche dell’UE Eurostat, che nella sezione «Population and social condition», riporta i dati
42. «Nell’educazione linguistica si identificano due diversi tipi di motivazione, una “integrativa”, propria dello studio della lingua materna e di quella seconda perché rimanda alla volontà di integrarsi in un gruppo, ed una più semplicemente “strumentale”, tipica dello studio delle lingue straniere da usare come mezzo di contatto negli incontri con stranieri o nelle visite all’estero» (Balboni1999: 67). 43. Cfr. anche l’operato delle istituzioni italiane descritte nella Tab. 7.
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statistici relativi all’istruzione e formazione (http://ec.europa.eu/eurostat); Il servizio della Commissione europea presente nella sezione del sito Internet dedicato a «Educazione e formazione», che riporta dati statistici, studi e indagini riguardanti principalmente il Programma dell’UE Erasmus+ (https://goo.gl/hmgtL8); I servizi della Agenzia nazionale Erasmus+ INDIRE, che presentano contenuti informativi di vario genere, rapporti, rimandi ad altri siti utili (http://www.erasmusplus.it/); Il Progetto «Statistics for All» dell’UE, legato al Lifelong Learning Programme, che riporta dati statistici relativi ai vari paesi comunitari dal 2008 (http://it.statisticsforall.eu/index.php); il Programma European Migration Network (EMN), che monitora la presenza degli studenti universitari negli Stati membri dell’EU e che pubblica periodicamente studi e indagini (https://goo.gl/HUauci); l’Ufficio di Statistiche del MIUR (http://statistica.miur.it/), che presenta dati statistici sugli studenti stranieri immatricolati e iscritti negli atenei italiani; il Centro di promozione accademica per l’orientamento allo studio in Italia (Uni-Italia), che promuove e realizza eventi e studi sulla presenza degli studenti stranieri in Italia.
1.6. Studenti universitari inseriti nelle istituzioni universitarie italiane Il sistema di istruzione superiore italiano, come già evidenziato (cfr. Par. 1.5), riguarda il settore universitario e il settore non universitario. Il settore universitario, è suddiviso in quattro aree: sanitaria, umanistica, scientifico-tecnologica e sociale, e comprende, in
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base ai dati disponibili quasi cento istituzioni: università statali (60); università non statali riconosciute dallo Stato italiano (17); università telematiche (11); scuole superiori (6). Le Università per Stranieri di Perugia e di Siena, in particolare, si occupano, della diffusione della lingua e della cultura italiana per studenti di paese stranieri (Ministero dell’Interno et al. 2013). Il settore non universitario include istituzioni specializzate in ambiti disciplinari differenti, fra cui vi sono: le istituzioni AFAM44; le scuole superiori per mediatori linguistici; gli istituti specializzati in restauro e conservazione dei beni culturali (p. es. Accademie di Belle Arti, Conservatori di Musica (cfr. Parr. 1.5, 1.6.3)45. La presenza degli studenti stranieri nelle università italiane è regolata giuridicamente dal Testo unico sull’immigrazione del 1998 (Legge n. 40/1998), in cui si sancisce la parità di trattamento fra studenti italiani e studenti stranieri. Il DPR n. 394/1998 (Decreto attuativo del Testo Unico sull’immigrazione del 1998), regola, in particolare, la presenza degli studenti non comunitari nelle università con le modifiche introdotte dalla Legge n. 189/2002 e dal suo Regolamento attuativo (DPR n. 394/1999 coordinato con le modifiche del DPR n. 334/2004). Le norme generali relative al diritto allo studio sono stabilite nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che in genere è promulgato ogni tre anni. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9.04.2001, all’Art. 13, sugli interventi a favore degli studenti stranieri non appartenenti all'UE, si legge quanto segue. Gli studenti stranieri non appartenenti all'Unione Europea accedono, a parità di trattamento con gli studenti italiani, ai servizi ed agli interventi per il diritto allo studio, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, articolo 46, comma 5.
44. Per le istituzioni AFAM, Cfr. nota 33. 45. La Legge n. 508 del 21.12.1999 riforma il settore dell’educa-zione artistica e la definisce formazione superiore di livello universitario e di natura specialistica.
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Per promuovere la visibilità delle informazioni relative all’offerta formativa rivolta a studenti stranieri è stato attivato il sito Internet «Studiare in Italia», un progetto del MIUR, realizzato congiuntamente dal CIMEA della Fondazione Rui e dal CINECA, consultabile in italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese, che presenta, a quanti sono interessati a svolgere in Italia i propri studi universitari, i corsi di primo, secondo e terzo ciclo disponibili (cfr. Fig. 1).
Figura 1. «Studiare in Italia», il sito Web rivolto agli studenti stranieri.
Nel sito, nella sezione «Studiare in Italia»46, sono descritte le norme per l'accesso degli studenti stranieri ai corsi universitari, che variano in relazione alla tipologia del soggetto interessato (studente straniero residente all’estero, cittadino comunitario, cittadino di Stati membri dell'UE con titolo di studio conseguito all'estero, cittadino straniero residente in Italia), e la tempistica47. Si segnala inoltre il portale «UniversItaly», realizzato dal MIUR, con la collaborazione della CRUI, del CINECA e degli atenei italiani, allo scopo di orientare in modo semplice e funzionale gli utenti. Il portale si rivolge a una pluralità di soggetti 46. Cfr. il sito Internet http://www.studiare-in-italia.it/. 47. Si segnala che con la Legge n. 148 dell’11.07.2002 l’Italia ratifica la «Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l'11 aprile 1997», regolamentando il quadro normativo in tema di riconoscimento dei titoli esteri. Per l’attuazione della Legge n. 148/2002, cfr. DM n. 214 del 26.04.2004.
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interessati all’offerta didattica del mondo della formazione superiore (studenti italiani e stranieri, famiglie ecc.), proponendo contenuti informativi sia in italiano, sia in inglese (cfr. Fig. 2).
Figura 2. «UniversItaly», il portale a studenti stranieri italiani e stranieri.
Inoltre, per la diffusione delle informazioni riguardanti l’offerta formativa delle università italiane, l’Italia si avvale della collaborazione delle numerose rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, fra cui vi sono ambasciate, consolati, Istituti Italiani di Cultura ecc. Le ambasciate e i consolati, in particolare, offrono assistenza a quanti hanno intenzione di venire a studiare in Italia nella fase di pre-iscrizione agli atenei italiani, svolgendo procedure per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero e fornendo inoltre materiali informativi sulla assegnazione di borse di studio. Le rappresentanze diplomatiche italiane svolgono il servizio offerto ai cittadini stranieri con l’ausilio della Società «Dante Alighieri», impegnata nella diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo, presente in Italia e all’estero con oltre cinquecento sedi, in cui si svolgono corsi di lingua italiana e in cui si possono sostenere le prove d’esame per il rilascio della Certificazione PLIDA (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri), che attesta la competenza in lingua italiana come lingua straniera. Mentre le prove d’esame per il conseguimento delle Certificazioni dell’italiano delle Università per Stranieri di Perugia CELI (Certificato di Lingua italiana) e di Siena CILS
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(Certificazione di Italiano come Lingua Straniera), e dell’Università Roma Tre (Cert.it) sono svolte presso le sedi degli Istituti Italiani di Cultura48. È importante ricordare che gli studenti stranieri che hanno ottenuto le certificazioni di competenza in lingua italiana di Livello B2 del QCER, emesse nell'ambito del sistema di qualità CLIQ (Certificazione Lingua Italiana di Qualità), la convenzione fra il Ministero degli Affari esteri e gli attuali enti certificatori (Università per Stranieri di Perugia, Università per Stranieri di Siena, Università Roma Tre, Società «Dante Alighieri»)49, anche in convenzione con gli Istituti Italiani di Cultura all'estero, sono esonerati dalla prova di conoscenza della lingua italiana, altrimenti obbligatoria per i cittadini non comunitari che non risiedono in Italia per l’immatricolazione ai corsi di studio50. La gestione degli atenei pubblici italiani è affidata alle istituzioni descritte nella seguente tabella (cfr. Tab. 7). Tabella 7. Istituzioni coinvolte nella gestione del sistema di istruzione superiore. Istituzioni MIUR – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca http://www.istruzione.it/ CIMEA – Centro Informazioni Mobilità Equivalenze Accademiche
Funzioni Opera in collaborazione con altri enti e istituzioni nel settore educativo. Si occupa di informazione in materia di mobilità e di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero.
48. Cfr. i siti Internet delle Università per Stranieri di Perugia (www.unistrapg.it) e di Siena (www.unistrasi.it) e dell’Università Roma Tre (https://goo.gl/PHR3Jk). 49. Le certificazioni del sistema CLIQ sono riconosciute dal Ministero degli Affari Esteri e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. 50. Sono esonerati inoltre dalla prova di lingua italiana anche coloro che si immatricolano a un corso di studio erogato interamente in inglese e altre tipologie di utenti ancora. Per approfondimenti, cfr. il sito Internet «Studiare in Italia» (www.studiare-initalia.it/).
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Istituzioni CINECA – Consorzio Interuniversitario per il Calcolo Automatico dell'Italia Nord Orientale https://www.cineca.it/it CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane https://www.crui.it/ ANVUR – Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca https://goo.gl/5UqDyS CUN – Consiglio Universitario Nazionale https://www.cun.it/homepage/
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Funzioni Offre supporto alle attività di ricerca della comunità scientifica tramite il supercalcolo e le sue applicazioni e realizza sistemi gestionali e servizi a sostegno della modernizzazione del sistema universitario. Promuove attività di studio e di sperimentazione e rappresenta le università statali e non statali. È attiva presso il MIUR e svolge attività di valutazione in base ai criteri di indipendenza, imparzialità, professionalità, trasparenza. Esprime pareri, formula proposte, adotta mozioni, raccomandazioni, svolge attività di studio e analisi su ogni materia di interesse per il sistema universitario.
1.6.1. Studenti di programmi europei Il Programma Erasmus+, di durata settennale, non è più nella sua fase iniziale e i dati disponibili della Commissione europea e della Agenzia nazionale Erasmus+ INDIRE51 mostrano che fra i giovani universitari l’interesse per il Programma è molto vivo e che il livello di soddisfazione al rientro dal soggiorno svolto all’estero è molto alto, come risulta dalla recente ricerca condotta in ambito europeo The Erasmus Impact Study Regional Analysis (European Commission 2016)52. Il successo del Programma riguarda anche le numerose novità introdotte rispetto al passo: possibilità di ripetere l’esperienza di studio/tirocinio all’estero durante il percorso di studio universitario, contributo differenziato in base al costo della vita del paese di accoglien51. Cfr. la collana editoriale «Quaderni Erasmus+», incentrata sull’analisi dei risultati dei progetti annuali di mobilità per l’apprendimento (come KA1) del Programma. 52. L’indagine rileva aspetti qualitativi della mobilità internazionale, esaminandone gli effetti sulla vita degli ex studenti in quattro macroregioni: Nord, Sud, Est e Ovest. Lo studio evidenzia numerosi aspetti positivi della mobilità per gli studenti, fra cui una riduzione della probabilità di disoccupazione e un rafforzamento del sentimento di cittadinanza europea.
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za53; supporto linguistico online (Online Linguistic Support, OLS)54 al posto dei corsi intensivi di lingua Erasmus Intensive Language Courses (EILC)55, apertura della mobilità da e verso i Paesi extra europei. Il Programma Erasmus+ destina la maggior parte dei finanziamenti disponibili per la mobilità delle persone e si pone l’obiettivo di coinvolgere quattro milioni di persone, riservando all’istruzione superiore la quota di partecipazione più elevata (2 milioni di studenti universitari e 300 mila docenti in mobilità). Le politiche europee in materia di istruzione e formazione vedono infatti nella mobilità uno strumento essenziale per lo sviluppo delle competenze per l’occupabilità e per la cittadinanza attiva. In questa prospettiva, la mobilità contribuisce infatti al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020 (cfr. Par. 1.3.2.) in tema di lotta alla disoccupazione, crescita e aumento di posti di lavoro, equipaggiando inoltre le nuove generazioni di competenze sociali e interculturali fondamentali, anche alla luce dei recenti tragici attacchi terroristici verificatisi in primis a Parigi. La mobilità per la Commissione europea contribuisce allo sviluppo personale e professionale dei giovani, poiché li dota di 53. I paesi aderenti al Programma sono suddivisi in tre gruppi: il gruppo 1, con i paesi con costo della vita elevato (Danimarca, Irlanda, Francia, Italia, Austria, Finlandia, Svezia, Regno Unito, Liechtenstein, Norvegia); il gruppo 2, con i paesi con costo della vita medio (Belgio, Repubblica ceca, Germania, Grecia, Spagna, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Islanda, Turchia); il gruppo 3, con i paesi con costo della vita basso (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia). Gli importi delle sovvenzioni dell’UE variano entro fasce di valore minime e massime specifiche (cfr. Commissione europea 2016). 54. Si tratta di uno strumento che fornisce corsi online di inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano, olandese, ceco, danese, greco, polacco, portoghese e svedese per le attività di mobilità a lungo termine (di almeno due mesi). 55. Nel Lifelong Learning Programme, gli studenti vincitori di una borsa di studio Erasmus per uno dei 26 Paesi la cui lingua è tra le meno insegnate e meno parlate possono frequentare i corsi intensivi Erasmus per la preparazione linguistica, al fine di sviluppare le competenze linguistico-comunicative prima dell'inizio dei corsi universitari previsti per il periodo Erasmus. I corsi, che hanno in genere la durata di un mese, si svolgono in due sessioni: una estiva e una invernale rispettivamente per gli studenti vincitori di borsa di studio per il primo e per il secondo semestre.
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competenze trasferibili anche in altri apprendimenti, nel mondo del lavoro e nella società in genere, migliorando inoltre le competenze linguistiche e quelle trasversali (capacità di adattamento, problem solving, lavoro di gruppo ecc.). Osservando i dati generali più significativi della Commissione europea per il 2013-2014 (cfr. Tab. 8) (European Commission 2015), l’ultimo anno del Lifelong Learning Programme, riguardanti la mobilità per studio e la mobilità per tirocinio (traineeship), emerge che gli studenti di mobilità internazionale sono 272.497, con un incremento del +2% rispetto all’anno precedente, portando a 3,3 milioni il numero degli studenti in mobilità. La Spagna è il paese che invia all'estero e che accoglie il maggior numero di studenti: 37.235 studenti in uscita (seguono poi Francia, Germania, Italia e Regno Unito) e 39.277 studenti in entrata (vi sono poi Germania, Francia, Regno Unito e Italia). L’importo medio della sovvenzione mensile UE è pari a 274 Euro e la durata media della borsa di studio è di 6 mesi. Il numero di studenti con esigenze speciali che usufruiscono di una borsa di mobilità è pari a 401 unità, con un aumento del +3% rispetto all’anno precedente. La presenza femminile è prevalente (60,5%) e, infine, le istituzioni di istruzione superiore coinvolte nei progetti di mobilità sono 3456.
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Tabella 8. La mobilità degli studenti nel 2013-2014 (European Commission 2015: 7).
N° totale studenti Erasmus Sovvenzione media mensile UE Durata del soggiorno (mesi) N° borse di studio per studenti con esigenze speciali Principali paesi di origine (numeri assoluti) Principali paesi di origine (incidenza % sulla popolazione studentesca) Principali paesi di destinazione Livelli di studio (%)
Età media degli studenti (anni) N° delle istituzioni superiori dei paesi di origine Equilibrio di genere (% donne)
Tipo di mobilità degli studenti Studio Tirocinio all’estero all’estero 212.208 60.289
Totale Mobilità degli studenti 272.497
255
367
274
6,2
4,4
5,8
331
70
401
ES, DE, FR, IT, TR LU, LI, ES, LT, CZ
FR, ES, DE, UK, IT LV, LT, MT, LI, SI
ES, FR, DE, IT, UK LU, LI, LV, LT, ES
ES, FR, DE, UK, IT Laurea breve, 70% Master, 28% Dottorato, 1% Short cycle, 1% 23,4
UK, ES, DE, FR, IT Laurea breve, 56% Master, 31% Dottorato, 3% Short cycle, 11% 23,9
ES, DE, FR, UK, IT Laurea breve, 67% Master, 29% Dottorato, 1% Short cycle, 3% 23,5
2407
2829
3456
60,2%
61,6%
60,5%
Si segnala inoltre che per la mobilità per studio/tirocinio, i settori disciplinari degli studenti sono, nell’ordine, i seguenti: Social Sciences, Business and Law (mobilità per studio: 40,64%; mobilità per tirocinio: 28,70%), Humanities and Arts (22,01%; 17,22%); Engineering, Manufacturing and Construc-
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tion (15,29%; 15,68%). La figura 3 (cfr. Fig. 3), riporta un quadro sintetico del tipico studente Erasmus, elaborato dalla Commissione europea sulla base dei dati relativi al 2013-2014.
Figura 3. Profilo tipico dello studente Erasmus (2013-2014)56.
Per quanto riguarda l’Italia, limitandosi a considerare i dati sulla mobilità per studio relativi agli studenti stranieri in entrata nel nostro Paese, si osserva che nel 2013-2014 sono stati 20.204 gli studenti in entrata (cfr. Fig. 4), con un incremento percentuale, rispetto all’anno precedente, di +1,2%, a fronte di 26.331 studenti in uscita. Inoltre, in base ai dati del 2014-2015 (Bettini et al. 2015), il primo anno di attuazione del Programma Erasmus+, si registra una ulteriore crescita delle presenze di studenti stranieri nel nostro Paese, che giungono 20.942 unità, il +3,5% rispetto al 2013-2014. Come segnalato dall’Agenzia nazionale Erasmus+ INDIRE (Bettini et al. 2015), mentre la mobilità per studio rileva circa 200 presenze in meno nel 20142015, legata principalmente a defezioni di studenti spagnoli, britannici e turchi, la mobilità per tirocinio porta 4270 tirocinanti europei nelle aziende italiane (un terzo presso istituti di istruzione superiore), con un incremento del +22% rispetto al 2013-2014. L’incremento dei tirocinanti interessa, in modo particolare, gli arrivi da Polonia (+38%) e Regno Unito (+28,5%).
56. Per i dati di sintesi, cfr. il sito Internet della Commissione europea, sezione Statistiche (https://goo.gl/vcHbPw).
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Figura 4. LLP e mobilità57.
I cinque principali paesi di provenienza degli studenti sono, nell’ordine, Spagna, Francia, Germania, Turchia e Polonia. Dato, questo, confermato anche nel 2014-2015, il primo anno di attuazione del Programma Erasmus+. La tabella che segue (cfr. Tab. 9) riporta i primi dieci paesi di provenienza degli studenti stranieri in Italia (2014-2015) per studio e per tirocinio (Bettini at al. 2015). Tabella 9. Paesi di provenienza degli studenti stranieri in Italia, a.a. 2014/2015 (Bettini et al. 2015). Paese di provenienza Spagna Francia Germania Polonia Turchia Regno Unito Portogallo Romania Belgio Paesi Bassi
N. stud. stran. in mobilità per studio 5.489 1.798 1772 1072 966 769 803 441 485 412
N. stud. stran. in mobilità per tirocinio 1.017 427 358 522 261 309 163 215 80 109
N. stud. stran. in mobilità (studio/tirocinio) 6.506 2.225 2130 1594 1227 1078 966 656 565 521
57. Per i dati, cfr. il sito Internet della Commissione europea, sezione Statistiche (https://goo.gl/vcHbPw). Cfr. nota 42.
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Per quanto riguarda gli atenei italiani di destinazione degli studenti stranieri, le università che accolgono il maggior numero di studenti sono, nell’ordine, per il 2013-2014, le seguenti: Università di Bologna «Alma Mater Studiorum», Università di Roma «La Sapienza», Università di Firenze, Politecnico di Milano, Università di Padova. 1.6.1.1. Il caso dell’Università di Firenze e dell’Università di Padova In questo paragrafo si intende focalizzare l’attenzione sul pubblico degli studenti universitari di Italiano L2, che usufruiscono di borse di studio di mobilità dell’UE, presenti nei Centri linguistici (CLA) delle Università di Firenze e di Padova, in cui sono state condotte, nel corso degli anni, numerose indagini, volte a definire il loro profilo socioculturale e motivazionale (Fratter 2004a; Jafrancesco 2004; Fratter, Jafrancesco 2010; Fragai, Fratter, Jafrancesco 2012), con lo scopo di progettare percorsi formativi tarati sulle effettive caratteristiche degli apprendenti e calibrati e sui loro bisogni linguistico-comunicativi (cfr. Cap. II). La definizione del profilo dello studente straniero in mobilità si basa, in particolare, sui risultati di recenti ricerche svolte presso i CLA delle Università di Firenze e di Padova (Fratter, Jafrancesco 2010)58, rapportati, quando è possibile, con quelli della Commissione Europea. Dall’analisi dei risultati, emerge che sono studenti in prevalenza di sesso femminile (CLA FI: 66,5%; CLA PD: 68,7%), come risulta anche dalle più recenti indagini della Commissione europea (cfr. Fig. 1), e che, per quanto riguarda il paese di origine, provengono principalmente da Spagna (CLA FI: 43,3%; CLA PD: 35,2%) e, con percentuali nettamente più basse, da Germania (CLA FI: 12,4%; CLA PD: 15,1%) e Francia (CLA FI: 7,6%; CLA PD: 5,7%), Paesi che partecipano storicamente 58. I dati del CLA di Firenze si riferiscono al 2008-2009 (parziali), mentre quelli del CLA di Padova al 2007-2008 e riguardano complessivamente oltre 1000 studenti stranieri che afferiscono alle due strutture universitarie per la formazione in Italiano L2. Cfr. Fratter, Jafrancesco 2010.
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in modo maggiore, come già evidenziato, ai programmi di mobilità dell’UE, soprattutto in relazione alla loro grandezza. Inoltre, sempre sulla base dei risultati delle indagini condotte nei due Centri linguistici, gli studenti stranieri in entrata, considerando la totalità dei paesi di provenienza (CLA FI: 36; CLA PD: 50), hanno principalmente come madrelingua un idioma neolatino (CLA FI: 64,6%; CLA PD: 49,4%). Per quanto riguarda i settori di studio, limitandosi in questa sede a commentare i dati più significativi relativi al CLA di Firenze, mentre a livello europeo prevalgono, oggi come in passato, gli studi di scienze sociali, Economia e Giurisprudenza, fra gli studenti stranieri di Firenze, sono più popolari gli studi di scienze mediche (Medicina, Psicologia, Farmacia, 18,1%) e gli studi umanistici (Lettere 17,9%). Non stupisce poi che al terzo posto vi sia Architettura (14,5%)59, per il prestigio degli studi in questo settore risalente agli anni Trenta del secolo scorso. Inoltre, relativamente alla durata della borsa di studio, il 77,7% degli studenti del CLA di Firenze usufruisce di una borsa della durata compresa fra 6 e 9 mesi60. Mettendo in relazione i settori di studio con le Facoltà (oggi Scuole) frequentate, limitandosi a considerare i paesi di origine maggiormente rappresentati del campione di informanti (Spagna, Germania), mentre gli studenti spagnoli si distribuiscono in modo abbastanza uniforme in tutte le dodici Facoltà dell’Ateneo fiorentino, con punte importanti a Medicina e Chirurgia, Architettura e Psicologia, gli studenti tedeschi si concentrano soprattutto a Lettere e Filosofia, e non sono presenti in alcune Facoltà (Agraria, Farmacia, Ingegneria), confermando l’interesse storico del pubblico germanofono per i prodotti tra-
59. Per motivazioni analoghe, a Padova sono molto popolari gli studi giuridici. Infatti, a partire dal XIII secolo la fama dell’Università di Padova è legata agli studi di Diritto civile, Diritto canonico e Teologia. 60. I dati di Otero, McCoshan (2006) sulla durata delle borse di studio evidenziano che il 40% degli studenti ha svolto un periodo di studio all’estero compreso fra i cinque e i sei mesi. Anche i dati più recenti della Commissione europea (cfr. Par. 6.1) confermano la durata media di sei mesi delle borse di studio.
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dizionali della cultura italiana (letteratura, storia dell’arte, cinema, musica ecc.). Per quanto riguarda il livello di competenza in Italiano L2, i dati dei CLA di Firenze61 e Padova rilevano (cfr. Fig. 3) che la netta maggioranza degli studenti (oltre il 70%) corrisponde al profilo dell’apprendente basico (Livelli A1-A2) del QCER (Council of Europe 2001/2002), percentuali inferiori al 30% a quello dell’apprendente indipendente (Livelli B1-B2) e percentuali inferiori al 5% a quello dell’apprendente competente (Livello C1), confermando le criticità nei progetti di mobilità studentesca, riguardanti le competenze in Italiano L2 degli studenti stranieri universitari, evidenziate in precedenti ricerche, effettuate negli stessi contesti e in altri analoghi (Pugliese, Ciliberti 1999; Fratter 2004a; Jafrancesco 2004; Jafrancesco, Rinaldi 2010), ma anche da studi più ampi sui pubblici dell’italiano L2, come il già citato Italiano 2000 (De Mauro et al. 2003). Infatti, gli studenti provenienti da paesi con lingue neolatine tendono a sottovalutare le difficoltà linguistiche che possono incontrare, soprattutto nell’ambito accademico, e danno poca importanza alla formazione in Italiano L2, rispetto a studenti con L1 di altre famiglie linguistiche (Ciliberti, Pugliese 1999; Jafrancesco 2004).
C… B…
3,5% 1,1% 2,8% 6,1% 13,8%
B…
22,2% 30,3% 30,3%
A… A… 0%
40,4% 10%
20%
30% CLA PD
40%
49,5% 50%
Figura 5. Studenti in mobilità europea dei CLA di Firenze e di Padova per livello di competenza in Italiano L2.
61. I dati relativi al CLA di Firenze si basano sull’autovalutazione degli studenti Erasmus in fase di iscrizione ai corsi.
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1.6.2. Studenti cinesi di programmi governativi Il Programma Marco Polo, ideato e sviluppato nel 2004-2006 dalla CRUI e dalla Confederazione Generale dell’Industria Italiana (Confindustria) su modello del Programma comunitario ERASMUS (European Region Action Scheme for the Mobility of University Students), si basa su un accordo intergovernativo stipulato il 2 ottobre del 2006 fra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare cinese, mentre il Programma Turandot viene lanciato dal MIUR Direzione generale Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM) nel 2009 con l’obiettivo di incrementare le opportunità di studio in Italia per gli studenti cinesi che intendono iscriversi presso le istituzioni universitarie AFAM (Accademie di Belle Arti, Conservatori di Musica) (cfr. Par. 1.6). Gli accordi consentono agli studenti cinesi di ottenere un visto di ingresso agevolato per studiare in Italia. Gli studenti si preiscrivono a un corso universitario quando sono ancora in Cina senza che sia richiesta loro, grazie al visto di ingresso agevolato, alcuna conoscenza della lingua italiana, sebbene si raccomandi fortemente almeno una competenza di livello basico, cioè il Livello A (A1/A2) del QCER. Tuttavia devono iscriversi contestualmente a uno dei corsi di Italiano L2 appositamente istituiti. Per la formazione linguistica in Italiano L2, gli studenti cinesi possono fare riferimento ai corsi attivati delle seguenti istituzioni: Università per Stranieri di Perugia, Università per Stranieri di Siena, la Società «Dante Alighieri», Terza Università di Roma. È possibile inoltre frequentare i corsi di lingua istituiti dalle istituzioni AFAM. Nel periodo invernale gli studenti cinesi studiano Italiano L2 presso le sedi prescelte e, una volta superati l’esame di fine corso e le prove di ingresso alle scuole con accesso a numero programmato nazionale, iniziano il corso di studio a cui si sono preiscritti. Ogni anno gli atenei italiani o le istituzioni AFAM individuano un contingente specifico di studenti cinesi e lo segnalano al MIUR attraverso la banca dati CINECA, indicando i servizi
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di accoglienza, i percorsi per l’apprendimento dell’Italiano L2 attivati e il livello di competenza richiesto62. I dati sono trasmessi alle rappresentanze italiane in Cina e a Uni-Italia63, che curano la diffusione delle disponibilità e la presentazione dell’offerta formativa presso istituti superiori e università, e presso eventi specifici, come la China Education Expo, e che si occupano delle preiscrizioni degli studenti. Per la partecipazione ai Programmi Marco Polo e Turandot gli studenti cinesi devono essere in possesso del diploma di scuola superiore e aver superato l’esame di Stato cinese, previsto dalla normativa nazionale per l’ammissione all’istruzione universitaria, il Gao Kao, con un punteggio minimo di 380/750, oppure del diploma di laurea. La preiscrizione alle università e alle istituzioni AFAM non garantisce l’ammissione ai corsi, che è subordinata invece al superamento del test di competenza in Italiano L2 e di quello di ingresso. Alcuni atenei (p. es. il Politecnico di Milano), per venire incontro alle esigenze degli studenti, hanno istituito delle preselezioni ai corsi di studio universitari in Cina, che consentono agli studenti di effettuare una iscrizione con riserva, che viene poi perfezionata al momento del loro arrivo in Italia. Tuttavia, le criticità che derivano da tali difformità nelle procedure di accoglienza sono oggetto di revisione, con lo scopo di offrire agli studenti un servizio migliore, come risulta dalla discussione svolta in alcune recenti iniziative ministeriali sui Programmi Marco Polo e Turandot64. 62. Il MIUR indica nel B1/B2 del QCER i livelli di competenza di Italiano L2, da raggiungere alla fine del corso di lingua, che dura mediamente dieci mesi. 63. Uni-Italia, Centro di promozione accademica per l’orientamento allo studio in Italia, nasce il 30 luglio 2010 tra il Ministero degli Affari esteri, il MIUR, il Ministero dell’Interno e la Fondazione Italia-Cina, con l’obiettivo di favorire l’attrazione di studenti e ricercatori stranieri verso le università italiane. Uni-Italia svolge attività di promozione dell’offerta formativa italiana e sostiene la cooperazione universitaria fra l’Italia e altri paesi. È presente in Cina, Vietnam, Indonesia, Brasile, Iran e Corea del Sud. Cfr. il sito Internet all’indirizzo http://www.uni-italia.it/it. 64. Si fa riferimento, in particolare, al convegno svoltosi a Roma il 3.02.2015 presso il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, presenziato da MAECI, MIUR, Ministero dell’Interno, Ministero della Salute, CRUI, Conferenza delle Accademie di Belle arti, Conferenza dei Direttori dei Conservatori e la Fondazione Ita-
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Dall’analisi dei dati disponibili sulla presenza degli studenti Marco Polo e Turandot negli atenei italiani e negli istituti AFAM (Uni-Italia 2015, 2016), risulta che il loro numero è incostante crescita. Infatti, se nel 2008 gli studenti Marco Polo sono 766, nel 2014 gli studenti Marco Polo e Turandot sono 2465, con un aumento percentuale pari al +222%, e nel 2015 sono 2636. Si segnala altresì che c’è stato un generale aumento degli studenti cinesi nel sistema formativo italiano anche indipendentemente dai due Programmi governativi. Infatti, nel 2008, gli studenti cinesi del cosiddetto «contingente studenti stranieri» sono 360, mentre nel 2014 passano a 1261, con un aumento percentuale pari al +240%, e nel 2015 sono 1502. Tabella 10. Studenti stranieri iscritti e diplomati AFAM: primi dieci paesi e incidenza su totale iscritti (2011/2012) (Ministero dell’Interno et al. 2013: 48). Iscritti (2011-2012) 1. Cina 1394 2. Sud Corea 572 3. Iran 405 4. Albania 241 5. Russa Fed. 211 6. Giappone 199 7. Ex Jugoslavia 113 8. Ucraina 101 9. Brasile 89 10. Moldavia 72 Tot. UE 859 Tot. non UE 4380 Non ripartiti 24 Tot. stranieri 5263 di cui F 3337 Tot. ital.+stran. 79.382 % Stran./tot. 6,6 % Non UE/tot. 5,5
Diplomati (2011) 1. Corea del Sud 132 2. Cina 49 3. Giappone 42 4. Ex Jugoslavia 42 5. Albania 40 6. Russa, Fed. 30 7. Iran 25 8. Svizzera 19 9. Croazia 16 10. Brasile 15 Tot. UE 131 Tot. non UE 548 Non ripartiti 1 Tot. stranieri 680 di cui F 448 Tot. ital.+stran. 11.010 % Stran./tot. 6,2 % Non UE/tot. 5,0
lia-Cina, che ha visto la partecipazione di trentacinque università, quarantadue istituti AFAM e dodici enti di formazione linguistica, pubblici e privati.
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L’aumento degli studenti cinesi nella formazione superiore si inquadra nel più ampio fenomeno che porta, negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di studenti cinesi fuori dal proprio Paese per svolgere gli studi universitari. La maggior parte di questi studenti ha come destinazioni preferite Stati Uniti, Canada, Australia, Gran Bretagna, Francia e Corea del Sud, tuttavia l’Italia negli ultimi anni è un Paese che viene sempre più tenuto in considerazione per la mobilità per studio, anche in relazione al successo di Programmi come Marco Polo e Turnadot (Uni-Italia 2015). Se nel 2005 aderiscono al Programma Marco Polo solo 32 atenei italiani, nel 2015 sono 80 atenei e 90 istituzioni AFAM che aderiscono ai due Programmi. Fra gli studenti cinesi godono di molta popolarità i corsi delle istituzioni AFAM, che, nel 2014-2015 hanno accolto 1522 studenti del Programma Turandot e nel 2015-2016 1652. Nel 2014-2015, la maggioranza (74,5%) degli studenti cinesi Marco Polo e Turandot si iscrive a corsi di laurea triennale, mentre quanti sono in possesso di diploma di laurea triennale sono in numero nettamente inferiore (25,5%). Le prime cinque università con più studenti cinesi pre-iscritti sono, nell’ordine, l’Università di Bologna, il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’Università di Firenze e l’Università di Milano Bicocca, mentre le prime cinque istituzioni AFAM sono le Accademie di Belle Arti di Brera, Torino, Bologna, Roma e Firenze. L’importanza del contingente di studenti cinesi nel sistema della formazione superiore italiano è confermato anche da studi specifici realizzati sulla base dei dati dell’Ufficio di Statistica del MIUR (Ministero dell’Interno et al. 2013). In base a tali studi, nelle istituzioni AFAM, nel 2011-2012, vi sono 5263 studenti stranieri, che incidono per il 6,6% sul totale della popolazione studentesca, e che, per quanto riguarda le provenienze, i cinesi sono al primo posto, con 1394 unità, cioè uno studente
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ogni tre proviene dalla Cina. Ciò avviene grazie al Programma Turandot per le arti, la musica e il design65. 1.6.2.1. Studenti sinofoni di Italiano L2 Considerata la relativa novità di questo pubblico dell’Italiano L2, la loro crescente consistenza numerica e la distanza tipologica del cinese dalla lingua italiana, si riportano qui di seguito alcune considerazioni su problematiche che gli studenti cinesi possono incontrare nel processo di apprendimento dell’italiano. Per quanto riguarda l’inserimento linguistico e culturale degli studenti cinesi negli atenei italiani e nelle istituzioni AFAM, si segnala che le criticità esistenti, relative ai problemi nell’apprendimento della lingua italiana, potrebbero essere superate, almeno in parte, attraverso il potenziamento delle attività formative66. In relazione principalmente alla distanza tipologica della L1 degli studenti Marco Polo/Turandot, che è di tipo isolante67, dalla L2, che è di tipo flessivo (o fusivo)68, e al diverso modello didattico di riferimento, i tempi di apprendimento linguistico degli studenti cinesi sono molto dilatati e, nonostante le ore di formazione svolte in Italia e, in alcuni casi, anche in Cina, questi studenti raggiungono raramente gli obiettivi ufficiali relativi al Livello B1 o B2 del QCER, in ricezione e in produzione, e hanno notevoli difficoltà nel gestire la comunicazione caratteristica dei vari ambiti della vita quotidiana e, in 65. Il Decreto del Ministero per gli Affari esteri stabilisce per il 2011-2012 in 48.806 ingressi il numero dei visti da rilasciare per la formazione universitaria, di cui 6876 a favore di quanti si iscrivono alle istituzioni AFAM. 66. Per una panoramica generale delle problematiche della didattica dell’Italiano L2 a studenti cinesi, cfr. Bonvino, Rastelli 2011. Il testo fa riferimento a un importante seminario AICLU svoltosi a Roma il 19.02.2010 su questa tematica. 67. Le lingue isolanti (p. es. cinese classico, tibetano) hanno struttura molto semplice e sono le lingue in cui ogni parola, invariabile, ha una funzione autonoma e in cui le relazioni grammaticali e sintattiche sono date dalla disposizione delle parole nella frase. 68. Le lingue flessive (p. es. lingue indoeuropee, lingue semitiche) hanno una ricca morfologia e presentano una distinzione fra radici e desinenze. Queste ultime possono mutare forma per esprimere le modificazioni (p. es. alt-o, alt-i, alt-a, alt-e) e possono esprimere più di una modificazione insieme: alte-e esprime il genere femminile e il numero plurale.
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modo comprensibile, la comunicazione del contesto formativo in cui sono inseriti, caratterizzata da alti livelli di formalità. Si tratta infatti di studenti che, anche dopo molti mesi di studio dell’italiano, hanno difficoltà, in particolare, a svolgere i compiti comunicativi complessi caratteristici del mondo accademico (seguire le lezioni, leggere i testi di studio, parlare con il professore, interagire nelle segreterie, scrivere una tesina ecc.), che richiedono livelli elevati di competenza linguisticocomunicativa in Italiano L2, riferibili principalmente al Livello B2 del QCER. Gli studenti cinesi mostrano difficoltà, in particolare, in alcune abilità specifiche, quali, per esempio, quelle ricettive, soprattutto orali, quando queste ultime, come è noto, sono alla base dell’apprendimento linguistico e dell’apprendimento delle discipline di studio, con ricadute negative sul progetto di studio nel nostro Paese. Pertanto, tenendo conto delle caratteristiche di questo particolare pubblico dell’Italiano L2, si ritiene importante dedicare maggiori sforzi nella formazione linguistica degli studenti sinofoni, non solo prolungando lo studio della lingua italiana, ma anche adottando approcci, metodi, supporti all’apprendimento, materiali didattici adatti alle specificità di questi studenti e rispettosi delle loro modalità di apprendimento (Ming Lim 2014). 1.6.3. Studenti universitari iscritti alle università italiane Negli ultimi due decenni, si rileva in Italia una costante attenzione nei confronti del tema della internazionalizzazione del sistema universitario, che si realizza, per esempio, nel rafforzamento della cooperazione universitaria internazionale con paesi terzi considerati strategici69, nell’aumento dei corsi tenuti in inglese70, nello snellimento delle procedure di ammissione, nel
69. Cfr. le iniziative per la mobilità degli studenti cinesi messe a punto dalla CRUI e dalla Confindustria nel 2004-2006 (cfr. Par. 1.6.3). 70. L’indagine condotta dalla CRUI (2012) evidenzia che nel 2011-2012 il 70% degli atenei (57) propone corsi in inglese, principalmente di livello superiore (p. es. dottorato, laura magistrale, master) e nelle grandi città dell’Italia settentrionale (p. es. Mi-
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mantenimento dei talenti legati all’Italia attraverso misure specifiche (Ministero dell’Interno et al. 2013). Le università italiane sono notevolmente autonome in tema di politiche per l’internazionalizzazione. Esse infatti stipulano accordi bilaterali di cooperazione, indicano annualmente il contingente di studenti stranieri da accogliere, definiscono i test di ammissione da somministrare ecc. Le quote nazionali di autorizzazioni all’ingresso e di permessi di soggiorno per motivi di studio per gli studenti stranieri sono stabilite con un decreto promulgato annualmente. In particolare, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, in accordo con il Ministro dell’Interno e il Ministero degli Affari esteri, e consultata la Conferenza permanente Stato-Regioni, emana, tenendo conto delle disponibilità espresse ogni anno dai singoli atenei al MIUR, entro il 30 giugno, il decreto che definisce il contingente annuale di nuovi studenti stranieri. I cittadini stranieri extra-EU ed extra-SEE che intendono studiare in Italia fanno domanda di visto di ingresso per motivi di studio/università, che consente l’ingresso per soggiorni di durata variabile, alle rappresentanze diplomatico-consolari italiane dei loro Stati di origine/residenza e ottemperano contestualmente agli obblighi previsti dalla normativa vigente, presentando la documentazione richiesta, relativa, per esempio, al possesso dei titoli di studio necessari, alla copertura assicurativa sanitaria, alla disponibilità di mezzi di sostentamento sufficienti, all’esistenza di un alloggio idoneo in Italia. Inoltre, ai fini del rilascio del visto di ingresso, i cittadini stranieri devono presentare, a esclusione di quanti sono esonerati da tale obbligo, la documentazione che attesti il possesso di una adeguata conoscenza della lingua italiana, come le certificazioni del sistema CLIQ (cfr. Par. 1.6)71. lano, Torino, Bologna). I settori di studio maggiormente interessati sono quello ingegneristico e quello delle scienze economiche e statistiche. 71. Se i cittadini stranieri non possiedono una certificazione che attesti il loro livello di conoscenza della lingua italiana, le rappresentanze diplomatico-consolari italiane possono verificare tale conoscenza, anche avvalendosi della collaborazione degli Istituti Italiani di Cultura, nei modi ritenuti adeguati.
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Per quanto riguarda la conoscenza della lingua italiana, le università di destinazione scelte dei cittadini stranieri valutano in autonomia la documentazione trasmessa loro dalle autorità diplomatico-consolari ai fini di un eventuale esonero dall’esame di lingua italiana, che si svolge in sede, presso le università scelte dai cittadini stranieri. L’esame di lingua italiana è obbligatorio per tutti i corsi universitari, a eccezione dei casi di esonero previsti, che riguardano, per esempio: −
− −
quanti sono in possesso del diploma di istruzione secondaria di II grado di durata quinquennale o quadriennale conseguito presso le scuole italiane statali e paritarie all'estero; quanti hanno conseguito il Diploma di Lingua e cultura italiana presso le Università per Stranieri di Perugia e di Siena; quanti hanno ottenuto le certificazioni di competenza di lingua italiana, nei gradi non inferiori ai livelli C1 e C2 del Consiglio d'Europa, emesse nell'ambito del sistema di qualità CLIQ72.
Per quando riguarda le statistiche, in base ai dati disponibili (Ministero dell’Interno et al. 2013), emerge che vi è un aumento nel numero degli iscritti legato principalmente alla diversificazione dell’offerta formativa nazionale (introduzione, nel 2001-2002, della laurea triennale), e alla crescita della presenza immigrata (cfr. Tab. 11). Gli studenti non comunitari sono passati da 22.951 (2004-2005) a 51.947 (2011-2012), con un aumento percentuale pari a +126,3%73.
72. Per un elenco completo dei casi di esonero dall’esame di lingua italiana, cfr. il sito Internet del MIUR «Studiare in Italia», all’indirizzo https://goo.gl/0X4JCV. 73. Si segnala che le criticità riguardano soprattutto l’accesso agli studi post lauream, nel caso in cui si richieda per l’ammissione, come nelle scuole di specializzazione medica, la cittadinanza italiana. Tale limitazione rappresenta un ostacolo anche per i giovani immigrati di seconda generazione residenti in Italia.
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Tabella 11. Iscrizioni universitarie per aree di cittadinanza (dal 2004-2005 al 2011-2012). (Ministero dell’Interno et al. 2013: 44). Italiani % Non ital. Anni Non UE UE 2004-05 22.951 9521 1.285.931 2,5 2005-06 27.660 10.824 1.447.825 2,6 2006-07 32.434 11.836 1.544.465 2,8 2007-08 37.498 12.731 1.609.846 3,0 2008-09 42.145 13.259 1.637.580 3,3 2009-10 46.386 13.742 1.660.327 3,5 2010-11 49.494 14.079 1.648.949 3,7 2011-12 51.947 14.451 1.677.299 3,8
Dall’esame dei dati sulla presenza degli studenti stranieri negli atenei italiani (inclusi i comunitari), emerge che alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso gli studenti stranieri sono 10.000, mentre negli anni Settanta raggiungono le 30.000 unità, scese poi, negli anni Novanta, a 20.000. Inoltre, nell’ultimo decennio del secolo scorso, si assiste all’aumento delle immatricolazioni di studenti europei e al calo degli studenti di altre aree continentali74. Nel corso del tempo il peso delle diverse comunità straniere presenti nella formazione universitaria è mutato notevolmente. Infatti, se all’inizio prevalgono studenti tedeschi, svizzeri e greci, che trovano in Italia una alternativa al numero chiuso di alcune facoltà dei loro paesi di origine, successivamente è la volta degli studenti albanesi, anche in relazione all’iscrizione all’università dei figli degli immigrati o dei giovani delle seconde generazioni. Attualmente le comunità straniere che tendono ad avere il dinamismo maggiore sono principalmente quelle di paesi europei e asiatici, come la Cina, anche in relazione a politiche educative che incoraggiano gli studi all’estero. Osservando i dati relativi al 2011-2012 (Ministero dell’Interno et al. 2013), si osserva che gli iscritti stranieri nelle università italiane sono 66.398, di cui la maggior parte (78,2%)
74. Per i dati statistici riportati, si fa riferimento a Ministero dell’Interno et al. 2013.
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appartiene a paesi extra-UE e una netta minoranza (21,8%) a paesi comunitari (cfr. Tab. 12). Tabella 12. Studenti stranieri iscritti e immatricolati nelle università italiane: i primi dieci Paesi e incidenza su totale iscritti (2011-2012) (Ministero dell’Interno et al. 2013: 45). Immatricolati (2011-2012) Iscritti (2011-2012) 1. Albania 1719 1. Albania 11.802 2. Cina 1303 2. Cina 6161 3. Moldova 519 3. Camerun 2612 4. Camerun 460 4. Iran 2271 5. Marocco 458 5. Perù 1929 6. Ucraina 448 6. Marocco 1831 7. Perù 397 7. Moldova 1794 8. Iran 381 8. Ucraina 1559 9. Russa Fed. 287 9. Israele 1586 10. Ecuador 240 10. Russa Fed. 1404 Tot. UE 2994 Tot. UE 14.451 Tot. non UE 9937 Tot. non UE 51.947 Tot. stranieri 12.931 Tot. stranieri 66.398 Tot. ital. + stran. 280.588 Tot. ital.+ stran. 1.743.697 % Stran./tot. 4,6 % Stran./tot. 3,8 % Non UE/tot. 3,5 % Non UE/tot. 3,0
I dati disaggregati degli iscritti non comunitari, pari a 51.947, evidenziano che gli studenti stranieri sono soprattutto europei e asiatici, con prevalenza dei seguenti paesi di origine: Albania 11.802, Cina 6161, Camerun 2612, Iran 2271, Perù 1929, Marocco 1831, Moldova 1794, Ucraina 1559, Israele 1586 e Russia 1404. Tuttavia, per avere una panoramica complessiva della presenza degli studenti stranieri, è necessario considerare che, nel 2011-2012, ai 51.947 studenti non comunitari (iscritti nelle università italiane per la formazione di primo e secondo livello), si devono sommare 5980 iscritti a corsi post lauream e i 4380 iscritti a corsi AFAM, pertanto si raggiunge la cifra di 62.307 studenti non comunitari, a cui si devono aggiungere i 17.424
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comunitari75, giungendo a un totale 79.731 studenti stranieri presenti nella formazione universitaria italiana. Sebbene l’internazionalizzazione degli studi universitari stia diventando un fenomeno sempre più importante, tuttavia l’incidenza degli studenti stranieri sul totale della popolazione universitaria (3,8%) (cfr. Tab. 12), è bassa rispetto a quella di altri paesi europei. I fattori che offuscano l’attrattività del sistema universitario italiano non sono solo da ricercare internamente al sistema, poiché riguardano altre dimensioni, soprattutto legate al mercato del lavoro in Italia. È noto infatti che gli sbocchi professionali per i laureati sono limitati nel nostro Paese e questo fatto rappresenta un elemento inibitorio alla scelta dell’Italia come destinazione per gli studenti. È difficile infatti fare un investimento così importante, come lo studio all’estero, senza avere la prospettiva di inserirsi nel mondo del lavoro del paese in cui si è svolto il proprio percorso di studi universitari. Fra le criticità del funzionamento del sistema universitario, che scoraggiano maggiormente gli studenti stranieri dallo scegliere il nostro Paese per lo svolgimento di loro studi, nel 2013, sono state individuate le seguenti: − − − − −
le difficoltà connesse alla programmazione dei flussi e l’incertezza del rilascio (e conseguente rinnovo) dei permessi di soggiorno per motivi di studio; il complesso meccanismo di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero; lo scarso numero di borse di studio erogate; la carenza di residenze universitarie (i posti letto disponibili sono pari al 2,8% della popolazione universitaria); la limitata diffusione nel territorio nazionale di corsi in inglese, lingua solitamente conosciuta dagli studenti (Ministero dell’Interno 2013: 45).
75. Gli iscritti comunitari ai corsi di primo e di secondo ciclo sono 14.451 (cfr. Tab. 10), gli iscritti a corsi post lauream 2114, gli iscritti ai corsi AFAM 859.
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Per quanto riguarda la distribuzione degli studenti stranieri negli atenei italiani, si osserva che un terzo è concentrato nell’Italia centrale (cfr. Tab. 13). Tabella 13. I primi dieci atenei per numero di iscritti non comunitari (2011/2012) (Ministero dell’Interno et al. 2013: 47). Iscritti Incid. % Incid. % Ateneo non com. sul tot. sul tot. (v. a.) iscritti iscritti n. c. Uni. Bologna 4065 5,2 7,8 Uni. Roma «La Sapienza» 3977 3,5 7,7 Polit. Torino 3674 12,7 7,1 Polit. Milano 3173 8,2 6,1 Uni. Firenze 2602 5,1 5,0 Uni. Torino 2547 4,0 4,9 Uni. Genova 2203 6,2 4,2 Uni. Milano 2140 3,6 4,1 Uni. Padova 1781 3,0 3,4 Uni. Milano Bicocca 1454 4,4 2,8 Totale 51.947 3,0 100,0
I poli universitari di Roma, Firenze, Pisa, insieme alle Università per Stranieri di Perugia e di Siena, hanno un forte potere attrattivo. Per quanto riguarda l’Italia del Nord, si segnalano le sedi universitarie di Milano, Torino, Bologna, Padova e Trieste, mentre nel Sud Bari, Cosenza e Napoli. L’Università di Bologna è l’Ateneo che accoglie il maggior numero di studenti stranieri non comunitari, ma il Politecnico di Torino registra la maggiore incidenza di iscritti stranieri sul totale della popolazione studentesca (12,7%), seguito dal Politecnico di Milano (8,2%) e dall’Università di Genova (6,2%). Si ricorda che l’Università «La Sapienza» di Roma e i Politecnici di Torino e Milano accolgono un quinto del totale degli studenti stranieri presenti in Italia (Ministero dell’Interno et al. 2013), ma anche l’Università di Firenze ha un importante potere attrattivo per gli studenti non comunitari. Esaminando i dati sull’incidenza degli studenti stranieri per tipo di facoltà (cfr. Tab. 14) (Ministero dell’Interno et al. 2013),
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si osserva che i non comunitari sono oltre il 5% nelle facoltà di Architettura, Lingue e Letterature straniere, e superano il 4% nelle facoltà di Economia e Scienze politiche. Inoltre, i dati sugli iscritti per facoltà evidenziano che Economia, Ingegneria e Medicina e Chirurgia sono le facoltà che accolgono la metà degli studenti stranieri non comunitari. In queste facoltà, l’incidenza percentuale di questi studenti è, nell’ordine, pari al 4,2%, 4,1% e 3,3%. Tabella 14. Prime dieci facoltà per numero di iscritti non comunitari (2011-2012) (Ministero dell’Interno et al. 2013: 48). Iscritti non Incid. % sul Incid. % sul Facoltà comunitari tot. iscritti tot. iscritti (v. a.) alla stessa n. c. facoltà Economia 9824 4,2 18,9 Ingegneria 9313 4,1 17,9 Medicina e Chirurgia 5916 3,3 11,4 Lettere e Filosofia 3943 2,1 7,6 Sc. Politiche 3903 4,3 7,5 Architettura 3151 5,0 6,1 Giurisprudenza 3011 1,5 5,8 Lingue e Lett. stran. 2769 5,3 5,3 Sc. Mat., Fis. e Nat. 2490 1,8 4,8 Sc. della Formazione 1196 1,1 2,3 Totale 51.947 3,0 100,0
Concludendo la panoramica sulla presenza degli studenti stranieri nella formazione universitaria del nostro Paese, si riportano i dati ministeriali più significativi relativi agli iscritti a corsi post lauream (Ministero dell’Interno et al. 2013), da cui risulta che gli studenti stranieri nella formazione universitaria di terzo livello, nel 2011-2012, sono complessivamente 8083, di cui 5970 (73,9%) non comunitari. La loro incidenza rispetto a quella degli studenti stranieri iscritti ai corsi di laurea di primo (laurea triennale) e di secondo livello (laurea magistrale) (3,8%) è quasi il doppio (7,6%). Gli studenti stranieri si iscrivono soprattutto a Scuole di Dottorato (3954) e poi, nell’ordine, a Ma-
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ster e a Corsi di Perfezionamento (3454) e a Scuole di Specializzazione (675). L’Albania è il Paese con il più alto numero di iscritti (600), seguito da Iran (395), India (358) e Cina (354)76. Tabella 15. Studenti stranieri iscritti ai corsi post lauream (20112012) (Ministero dell’Interno et al. 2013: 52). Corsi post lauream Non UE UE Totali % Non ital. Scuole di Specializ461 214 34.344 2,0 zazione Dottorati 3215 739 34.629 11,4 Master e Corsi di 2294 1160 37.281 9,3 Perfezionamento Totale 5970 2113 106.254 7,6
1.6.4. Studenti stranieri di programmi finanziati dallo Stato italiano La cooperazione interuniversitaria, che prevede scambi di persone (studenti, docenti, personale non docente), l’organizzazione di attività di vario genere (convegni, seminari, eventi) e la condivisione di informazioni e di documentazione riguardanti aree di interesse comune, è riconducibile agli accordi di collaborazione culturale e scientifica, atti negoziali sottoscritti dai rettori, in cui si stabilisce, secondo criteri di reciprocità, le modalità di collaborazione e di scambio delle persone, e in cui si definisce il settore di ricerca e/o di didattica interessato, nonché le questioni pratiche (copertura assicurativa, spese di viaggio/soggiorno ecc.). Gli accordi di collaborazione culturale e scientifica hanno l’obiettivo principale di stabilire e intensificare i rapporti di collaborazione con università estere, europee ed extraeuropee, con lo scopo di sviluppare appieno le funzioni istituzionali di insegnamento e di ricerca. Tali iniziative mirano inoltre a contribuire ai processi di internazionalizzazione delle università italiane. Gli accordi sono attivati su proposta dei dipartimenti che, attra76. Gli studenti stranieri sono ammessi alle Scuole di Dottorato in soprannumero, anche se soggiornanti in Italia e con un diploma di laurea italiana.
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verso questi strumenti, formalizzano i rapporti di collaborazione culturale con università estere in determinati settori di interesse. Tuttavia, gli accordi possono coinvolgere anche più dipartimenti. Le spese che derivano dagli accordi gravano normalmente su fondi delle strutture proponenti, sebbene possano esserci ulteriori fondi, messi a disposizione, per esempio, dagli atenei interessati, che contribuiscono così all’attuazione degli accordi stessi. Le numerose agenzie che gestiscono la collaborazione in ambito accademico con i paesi esteri sono scarsamente coordinate fra loro, pertanto, con l’intento di ovviare a questa carenza e di dare maggiore visibilità alla cooperazione interuniversitaria, il CINECA (cfr. Par. 1.6) ha realizzato una piattaforma interattiva, di tipo 3.0, che consente di visualizzare gli accordi e i progetti bilaterali/multilaterali attivi in un determinato anno accademico, chiedendo ai vari atenei di aggiornarne costantemente l’elenco e offrendo loro aiuto per il corretto e omogeneo inserimento dei dati (cfr. Fig. 6).
Figura 6. La piattaforma degli accordi internazionali del MIUR, del Ministero degli Affari Esteri, della CRUI, in collaborazione con CINECA.
Come si ricorda nella Presentazione del Progetto CINECA77, il principale incentivo a tenere aggiornato lo strumento da parte 77. Cfr. il sito Internet del Progetto CINECA al seguente indirizzo (http://accordiinternazionali.cineca.it/).
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delle università riguarda i benefici derivanti loro da una maggiore visibilità delle iniziative avviate con atenei stranieri. Infatti, il mancato inserimento di un accordo/progetto appena stipulato lo farebbe restare di fatto quasi del tutto anonimo. L'inserimento nella piattaforma lo rende invece visibile a tutti, con la possibilità per qualsiasi soggetto (in particolare imprese ed Enti locali) di intervenire con finanziamenti aggiuntivi che non farebbero che accentuare il successo dell'iniziativa stessa e di conseguenza accrescere la competitività dell'università. Si ricorda infine che il grado di internazionalizzazione rappresenta uno dei principali parametri che vengono considerati nella ripartizione dei finanziamenti pubblici in favore delle Università.
La piattaforma (cfr. Fig. 4) permette all’utente di accedere a una serie di informazioni sulle collaborazioni interuniversitarie, riguardanti l’area disciplinare, la localizzazione geografica e, attraverso una ricerca avanzata, anche il tipo di accordo stipulato e la durata. Nel febbraio 2013 (Ministero dell’Interno 2013) sono attivi 11.608 accordi interuniversitari, di cui la maggioranza con istituzioni di paesi europei (57,6%), seguono poi gli accordi con paesi del continente americano (24,1%), con partner di Asia e Oceania (13,6%) e con paesi africani (4,7%). Il sostegno dato alla mobilità, cioè all’accesso ai corsi universitari al di fuori delle quote stabilite annualmente dalle singole istituzioni italiane, riguarda anche l’esistenza di borse studio per studenti provenienti da paesi che hanno rapporti di collaborazione con istituzioni italiane grazie ad appositi accordi culturali e a programmi di cooperazione allo sviluppo. Sono borse di studio del Governo italiano, legate a uno specifico bando consultabile nel sito Internet del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale78, oppure borse di studio relative a «Progetti speciali». Mentre le borse del primo tipo danno allo studente la possibilità di scegliere il corso da 78. Cfr. in sito internet della Farnesina all’indirizzo https://goo.gl/cytRHp.
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frequentare, quelle del secondo tipo non consentono al beneficiario della borsa di studio né di scegliere il corso, né l’ateneo da frequentare, che sono assegnati direttamente dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale79. In questo ambito, si segnala anche l’esistenza di borse di studio dei governi dei paesi di provenienza degli studenti, legate anch’esse ad accordi tra le università italiane e università estere. 1.6.5. I Centri linguistici universitari I Centri linguistici universitari, in genere identificati dall’acronimo CLA, che sta per Centro Linguistico di Ateneo, si avvalgono della collaborazione di docenti, ricercatori, lettori, collaboratori ed esperti linguistici (CEL), personale tecnico amministrativo ecc. e sono impegnati in attività di didattica, di ricerca e di servizio, finalizzate all’insegnamento delle lingue straniere e dell’Italiano L2 a livello universitario80. In genere i Centri linguistici universitari sono definiti «Centri di servizi» principalmente per studenti, personale docente e non docente universitario. Tuttavia, come afferma Argondizzo (2012: 195196), la parola “servizi” risulta, infatti, limitativa a chi vive quotidianamente l’esperienza di lavorare o prestare servizio in un CLA. Quello che i CLA italiani offrono va molto oltre. In particolare, essi hanno una caratteristica facilmente delineabile in un posto di accoglienza e di orientamento per le tante persone che studiano, lavorano, fanno esperienze nel contesto universitario.
I Centri linguistici universitari rappresentano, nel contesto accademico italiano e, più in generale, in quello comunitario, luoghi in cui maggiormente sono state recepite le indicazioni dell’UE in materia di multilinguismo, intendendo con questo 79. L’assegnazione di una borsa di studio, di qualsiasi tipo essa sia, è valida ai fini dei requisiti economici necessari per il rilascio del visto di ingresso. 80. Per approfondimenti dell’insegnamento dell’Italiano L2 presso i Centri linguistici universitari, cfr. Balboni 2010, Ballarin, Begotti, Toscano 2010.
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termine l’insieme di prassi e disposizioni che consentono a una istituzione di funzionare in più lingue nell’interazione interna e nei rapporti con l’esterno81. I Centri linguistici universitari, infatti, sia attraverso lo svolgimento delle attività didattiche, rivolte a studenti italiani e stranieri, sia attraverso gli scambi professionali fra colleghi di provenienze diverse, promuovono da sempre, nel contesto di studio e di lavoro di tante persone, la convivenza armoniosa e consapevole fra soggetti (studenti, personale docente, personale non docente) con lingue e culture diverse. Nell’ambito delle attività didattiche, in presenza e online, l’offerta formativa dei Centri linguistici universitari, è ricca e varia (Borrello, Luise 2007; Argondizzo 2012), e include, per le varie lingue insegnate (p. es. francese, inglese, italiano, portoghese, spagnolo, tedesco, ma anche arabo, cinese, giapponese, russo), corsi di lingua in presenza gestiti da insegnanti madrelingua, corsi di lingua in modalità blended learning, corsi per lo sviluppo di specifiche abilità linguistiche (p. es. scrittura accademica), percorsi di formazione nei laboratori linguistici, attività di tutoraggio, seminari, percorsi didattici in autoapprendimento nei Centri di risorse e/o erogati attraverso piattaforme elearning, progetti di apprendimento linguistico Tandem82, attività di verifica e di valutazione delle competenze linguisticocomunicative, con il rilascio di certificazioni di competenza ecc. Nell’ambito delle attività di ricerca, oltre ai normali scambi di esperienze fra quanti sono coinvolti, a vario livello, nella didattica delle lingue straniere e dell’Italiano L2, i Centri linguistici universitari partecipano a progetti di ricerca interuniversitari, organizzano convegni e seminari di aggiornamento su temi di ricerca applicata alla didattica delle lingue, curano la pubbli81. Per la differenza fra i concetti di «multilinguismo» e «plurilinguismo», cfr. Par. 1.2. 82. Il Tandem è un tipo di apprendimento linguistico, in cui studenti di madrelingua diversa si esercitano in coppia per migliorare le proprie competenze linguisticocomunicative. Il Tandem è, in altre parole, l’apprendimento di una lingua attraverso la comunicazione “autentica” con un parlante nativo.
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cazione degli atti delle iniziative da essi svolte, con l’obiettivo principale di migliorare la qualità dell’insegnamento e di promuovere la creatività e l’innovazione, coerentemente con le indicazioni comunitarie e nazionali in materia di istruzione e formazione, evidenziando in tal modo il «contributo scientifico rilevante che i CLA offrono costantemente ai settori, spesso integrati fra loro, della ricerca e della didattica per le lingue» (Argondizzo 2012: 199). Gran parte dei Centri linguistici universitari aderiscono alla Associazione Italiana Centri Linguistici Universitari (AICLU)83, fondata a Bologna nel 1997, che nasce con le seguenti finalità: coordinamento delle attività dei Centri linguistici universitari a livello nazionale e internazionale; miglioramento della qualità del servizio linguistico dei Centri linguistici universitari italiani; promozione della ricerca nel campo della didattica e dell’apprendimento delle lingue; scambio di informazioni, materiali e personale tra i vari Centri linguistici universitari; rappresentanza dei Centri linguistici universitari italiani verso il mondo esterno e presso la Confédération Européenne des Centres de Langues de l’Enseignement Supérieur (CERCLES), che raggruppa i Centri linguistici universitari degli atenei più importanti dell’Europa. L’AICLU, con l’intento di realizzare i propri obiettivi, organizza regolarmente convegni e seminari che si svolgono presso i Centri linguistici universitari facenti parte dell’Associazione.
1.7. Studenti angloamericani Come è noto, fin dall’Ottocento il viaggio all’estero e in particolare in Europa ha rappresentato, per le classi colte nordamericane, una importante esperienza di arricchimento culturale, come testimonia la ricca letteratura di viaggio esistente e la mas-
83. Per il sito Internet dell’AICLU, cfr. http://www.aiclu.org/.
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siccia presenza in Europa di artisti e intellettuali84. In questo contesto di forte interesse culturale nei confronti del Vecchio Continente, nel 1919 nasce negli Stati Uniti l’Institute of International Education85 e si costituisce a Roma l’American Academy, che offre attività formative di altissimo livello a un ristretto numero di studiosi. Il primo programma in Italia è quello aperto dallo Smith College a Firenze nel 1931. Come evidenzia Breby (2013), da quegli anni lo study abroad, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, si sviluppa grandemente, indirizzandosi, soprattutto negli ultimi decenni, anche verso altri continenti, con l’apertura di programmi di università nordamericane in Asia, Sud America e in altre aree del mondo. Il mondo globalizzato di oggi e la sempre maggiore interdipendenza fra i diversi paesi determina che i contatti con comunità che appartengono ad altre lingue e ad altre culture siano diventati la normalità, pertanto quanti decidono di svolgere il proprio percorso di studi in un altro paese, nel caso specifico in Italia, sono consapevoli del fatto che tale scelta consentirà loro di sviluppare competenze utili da spendere, in considerazione della giovane età degli studenti di study abroad, soprattutto in un mondo del lavoro molto competitivo, che richiede alle persone una preparazione sempre maggiore, ma anche in altri ambiti della vita personale e sociale. Tuttavia, alla motivazione di tipo strumentale, in base a cui uno studente fa un progetto di studio all’estero, pensando ai vantaggi che può trarre da questa esperienza, in termini di abilità e competenze apprese, è necessario aggiungere la motivazione intrinseca, legata principalmente al desiderio naturale di un individuo di acquisire nuove conoscenze, nuovi modi di pensare, nuovi comportamenti, indipendentemente dai benefici che ne possono derivare. In questa prospettiva si ritiene debba essere inquadrata l’esperienza dello study abroad di giovani nordamericani, principalmente statunitensi e canadesi, che svolgono 84. Si pensi a scrittori, artisti e intellettuali come Mark Twain, Henry James, John Singer Sargent, William Dean Howells. 85. Cfr. il sito Internet all’indirizzo http://www.iie.org/.
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un semestre di studio in Italia, presso le succursali italiane delle loro università di provenienza. A questo proposito, Prebys (2013) evidenzia l’importanza metaforica del viaggio, intesa come opportunità di crescita personale, come sorta di «rito di passaggio», che consente, attraverso la rottura degli schemi quotidiani, una ridefinizione del Sé e il raggiungimento di nuovi equilibri. Esistono motivazioni psicologiche e antropologiche profonde che muovono al viaggio e alla scoperta di tradizioni e culture differenti dalla propria. Il fascino che il viaggio, in quanto momento di apprendimento e crescita personale, esercita non è esclusivo della modernità né della cultura occidentale, ma risale, piuttosto, a una propensione insita nell’uomo che si è rivelata basilare per l’evoluzione della specie umana. La metafora del viaggio come momento di crescita personale è un topos che appartiene a tutte le culture e i gruppi sociali, ed è stata tramandata sin dagli antichi miti del mondo greco, delle tribù africane e asiatiche e delle civiltà precolombiane (Prebys 2013: 13-14).
La propensione dell’essere umano a viaggiare, agli scambi culturali, a interagire con i propri simili ha avuto, come conseguenza, effetti determinanti per lo sviluppo delle civiltà e della specie umana, come, per esempio, la diffusione della scrittura, la trasmissione delle conoscenze nel settore scientifico. Per quanto riguarda la presenza degli studenti nordamericani e, in particolare statunitensi, nel mondo e in Italia, l’Institute of International Education (2016), che monitora annualmente gli studenti statunitensi in programmi di studio all’estero, nel Rapporto Open Doors 2016 (Institute of International Education 2016), evidenzia che nel 2014-2015 gli studenti che ricevono crediti accademici nello study abroad sono 313.415 (cfr. Tab. 16), con un incremento del 2,9% rispetto all’anno precedente.
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Tabella 16. Principali destinazioni degli studenti statunitensi di study abroad (2013-2014, 2014-2015) (Institute of International Education 2016). % of % Rank Destination 2013-14 2014-15 Total Change World Total 304.467 313.415 100,0 2,9 1 UK 38.250 38.189 12,2 -0,2 2 Italy 31.166 33.768 10,8 8,3 3 Spain 26.949 28.325 9,0 5,1 4 France 17.597 18.198 5,8 3,4 5 China 13.763 12.790 4,1 -7,1 6 Germany 10.377 11.010 3,5 6,1 7 Ireland 8.823 10.230 3,3 15,9 8 Costa Rica 8.578 9.305 3,0 8,5 9 Australia 8.369 8.810 2,8 5,3 10 Japan 5.978 6.053 1,9 1,3
Il numero degli studenti con una esperienza di studio in un altro paese, anche per effetto delle politiche educative che incoraggiano le esperienze di studio all’estero, è più che triplicato negli ultimi due decenni, nonostante un lieve rallentamento del fenomeno negli ultimi anni. L’Europa, accogliendo un terzo di quanti studiano all'estero, rimane la prima destinazione degli studenti statunitensi. In base al Rapporto, lo study abroad verso destinazioni europee, nel 2014-2015, è aumentato del 5%. Il Regno Unito rimane la meta più importante (Fig. 7), seguita da Italia, Spagna, Francia e Cina, che rimane la quinta destinazione di accoglienza, nonostante un calo delle presenze del -7%86. Irlanda, Repubblica Ceca, Danimarca e Austria registrano invece forti incrementi, come anche la Grecia (+18%). Tuttavia, gli studenti americani studiano in misura sempre maggiore anche in altre aree del mondo, fra cui l’America centrale (Repubblica di Costa Rica +8%). 86. In area asiatica il calo di presenze di studenti americani riguarda anche l’India (-3%), mentre aumentano quelle in Giappone (+1,3%) e in Corea del Sud (9,5%). In America Latina le diminuzioni più importanti si hanno in Argentina (-13,8%), Brasile (9,2%) e Cile (-5,9%).
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Figura 7. Principali destinazioni degli studenti statunitensi di study abroad (2013-2014, 2014-2015) (Institute of International Education 2016).
Per quanto riguarda i settori di studio, nello study abroad prevalgono gli studenti che seguono corsi universitari in Science, Technology, Engineering e Math (STEM) (24%), seguiti da quelli in Business and Management (20% ca.), e Social Sciences (17%). La presenza in Italia degli studenti di study abroad è monitorata anche dalla Associazione of American College and University Programs in Italy (AACUPI)87, che, nel 2012, conta centoquarantotto associati. L’Associazione, in collaborazione con l’Istituto Regionale per lo Sviluppo della Toscana (IRPET), svolge attività di ricerca in questo settore e promuove indagini, studi ed eventi sulla presenza degli studenti americani in Italia. Dall’analisi dei dati relativi all’ultimo Rapporto (Breby 2013), emerge che nel 2012 gli studenti nordamericani in Italia sono circa 19.000 e sono distribuiti in 150 programmi di study abroad, concentrati principalmente, come già evidenziato (cfr. Par. 1.2), a Roma (34%) e a Firenze (24%), ma anche in altre località (42%), principalmente dell’Emilia-Romagna e del Ve87. Cfr. il sito Internet dell’Associazione all’indirizzo http.//www.aacupi.org.
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neto. Si tratta di studenti di livello undergraduate (97%), molti dei quali di origine italiana. Prevale la presenza di studenti di genere femminile (75,1%) e sono di una età compresa fra i 19 e i 21 anni, con alle spalle altre esperienze all’estero. Per quanto riguarda le motivazioni, sono studenti che hanno forti motivazioni a carattere culturale, per i quali la possibilità di studiare in Italia ha una importanza determinante per la scelta di un progetto di studio all’estero. L’Italia ha infatti un forte potere attrattivo in relazione al patrimonio storico-culturale posseduto e per l’immagine positiva del nostro Paese nel mondo. Si pensi, per esempio, ai settori della moda, del design e dell’enogastronomia ecc.). Sono spinti da motivazioni di carattere turistico-formativo: attratti sia dalla prospettiva di viaggiare e conoscere una nuova realtà, sia dall’opportunità di compiere un’esperienza formativa che abbia un impatto curriculare rilevante. Inoltre, esiste un forte interesse per il patrimonio artistico e culturale italiano, che, probabilmente, si associa allo studio di determinate discipline o alle radici italiane della famiglia d’origine (Breby 2013: 61).
Dato, questo, confermato anche dai risultati di altre indagini condotte sugli assetti motivazionali di questo pubblico dell’Italiano L2. Da tali studi (p. es. La Grassa 2009, 2013) emerge che «l’interesse verso la cultura italiana, intesa in senso ampio, è di gran lunga ciò che maggiormente spinge gli apprendenti americani allo studio della lingua» (La Grassa 2013: 192). La motivazione allo studio dell’italiano è infatti rafforzata dall’esperienza in Italia, pertanto i «fattori di attrattività del “sistema Italia” possono agire in modo da determinare un rafforzamento motivazionale rispetto alla condizione di partenza e, di conseguenza, possono contribuire a includere [gli studenti nordamericani di study abroad] tra il pubblico più stabile interessato allo studio della nostra lingua» (La Grassa 2013: 192). Il livello di soddisfazione dell’esperienza di studio in Italia è in genere molto alto ed è legato sia ad aspetti riguardanti la qua-
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lità accademica e organizzativa del programma, sia l’esperienza personale fatta in Italia, in relazione ai viaggi svolti, alla bellezza del Paese e della sua cultura, ma anche allo sviluppo di saperi, competenze e abilità relative alla dimensione interculturale: consapevolezza di sé, capacità comunicative e sociali, interesse per la diversità. 1.7.1. Studenti anglofoni di Italiano L2 Per quanto riguarda l’apprendimento dell’Italiano L2, le criticità maggiori riguardano le caratteristiche che accomunano i programmi nordamericani di study abroad in Italia, definiti «programmi isola», vale a dire programmi in cui il «contatto con la cultura ospitante è del tutto marginale e dove allo studente vengono riproposte condizioni analoghe a quelle dell’università e del contesto sociale e culturale di origine, riducendo in tal modo al minimo i contatti con la “cultura seconda”» (Diadori, Palermo, Troncarelli 2009: 51). In questi programmi la lingua inglese è infatti usata per coordinare e gestire lo study abroad in tutte le fasi. Le lezioni dei vari corsi disciplinari sono svolte, a parte qualche eccezione, in inglese (Merli, Quercioli 2003) e pertanto il contatto con l’italiano, all’interno del progetto educativo, è limitato al corso di lingua italiana (circa 4-6 ore settimanali), che in genere non ha collegamenti curricolari con le altre materie insegnate e che in alcuni casi non è obbligatorio, sebbene in talune istituzioni più lungimiranti si cerchi di istituire tale collegamento per creare sinergie utili per accrescere la motivazione degli studenti all’apprendimento (Baldini, Jafrancesco, Lamponi 2015a, b). A parte il contesto della formazione, in cui il ricorso alla lingua italiana è molto limitato, il dominio pubblico è quello in cui gli studenti nordamericani spendono maggiormente le proprie competenze in Italiano L2. In tale ambito, principalmente legato alla sussistenza quotidiana e alla socializzazione con italiani, le attività comunicative riguardano il parlare con italiani nei negozi, nei bar, per strada, negli uffici pubblici, nelle stazioni, nelle agenzie di viaggio ecc. (La Grassa 2008).
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I fattori principali che contribuiscono all’“isolamento” dei programmi di study abroad, facendo riferimento agli studi di La Grassa (2009, 2013), riguardano principalmente i seguenti tre aspetti: −
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il livello di esposizione alla lingua italiana (uso generalizzato dell’inglese e scarsità di occasioni in cui esercitare l’italiano); la struttura dei sillabi (utilizzo di sillabi predisposti dalle università di provenienza, rilevanza della dimensione grammaticale della competenza linguistica e scapito di quella comunicativa); il sistema di valutazione adottato (apprendimento mnemonico della lingua, intesa come insieme di elementi discreti e valutabili, frequenti attività di testing).
Per migliorare la qualità dell’apprendimento dell’Italiano L2 da parte degli studenti di study abroad è senza dubbio importante incentivare le relazioni con gli italiani (cfr. il metodo Full Immersion: Culture, Content, Service, ICCS88), anche attraverso la loro partecipazione a scambi con studenti universitari italiani (Progetto Tandem), ma anche puntare sul ricorso a metodologie didattiche meno tradizionali di tipo learner centered, come quelle di stampo sociocostruttivista, e sull’utilizzo di strumenti per la didattica innovativi e creativi, come quelli offerti dalle TIC (cfr. Cap. III), facendo inoltre leva non solo sulle motivazioni strumentali (desiderio di prendere un buon voto all’esame), ma anche su quelle culturali degli studenti, che sono ben radicate.
88. Un programma FICCS ha come caratteristica principale l’essere incentrato sullo sviluppo della competenza interculturale degli studenti attraverso esperienze di volontariato e di attività sociali di vario genere nella società italiana.
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1.8. Bisogni di apprendimento in Italiano L2 Facendo riferimento all’approccio orientato all’azione adottato nel QCER e ai dati conoscitivi, presentati in questo capitolo, sul pubblico dell’Italiano L2 degli studenti universitari, caratterizzato al suo interno da notevole disomogeneità (cfr. Par. 1.5.2), in relazione alle diverse caratteristiche socioculturali, linguistiche e motivazionali degli apprendenti (studenti che frequentano cicli diversi degli studi universitari, che provengono da aree linguisticamente e culturalmente differenti fra loro, che usano la lingua italiana in contesti diversi ecc.), si ritiene importante sottolineare che è fondamentale che i docenti dispongano di conoscenze che li rendano maggiormente consapevoli delle caratteristiche degli apprendenti con cui operano e dei loro bisogni di apprendimento linguistico. Non esiste infatti un solo e generico apprendente di italiano L2, da considerare come tipo astratto (Vedovelli 2010), ma una pluralità di tipologie e tale pluralità rappresenta il punto di partenza, in una prospettiva pedagogica di tipo learner centered, per la progettazione di percorsi formativi in grado di rispondere a una ricca varietà di bisogni linguistici (Jafrancesco 2004, 2006). Il compito dei docenti di italiano consiste nello sviluppare negli studenti delle loro classi primariamente le competenze in Italiano L2 utili per partecipare alla comunicazione propria degli ambiti di comunicazione in cui agiscono linguisticamente, in cui nascono le sollecitazioni allo sviluppo della competenza e in cui si creano i bisogni di formazione e di spendibilità di quanto acquisito (Vedovelli 2010). Fra i vari contesti di comunicazione rilevanti per gli studenti stranieri universitari, quello educativo, è comprensibilmente centrale rispetto agli altri, per l’importanza di tale ambito per quanti hanno lo status di studenti universitari. Sono infatti studenti che, anche qualora si muovano in un contesto accademico dominato dall’inglese gli studenti nordamericani di study abroad, gli studenti che frequentano negli atenei italiani corsi di
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studio in inglese ecc. , sono primariamente impegnati nello svolgere un percorso formativo in Italia che ha la finalità primaria di sviluppare conoscenze e competenze in determinati ambiti disciplinari, ma che ha anche come valore aggiunto la possibilità di sviluppare competenze linguistico-comunicative in Italiano L2, che, come più volte evidenziato, sono importanti in relazione alle richieste legate alla globalizzazione e al mondo del lavoro. Nella prospettiva europea, ma anche extraeuropea89, la conoscenza delle lingue straniere, insieme alle altre competenze chiave per l’apprendimento permanente, rappresentano infatti la chiave per il miglioramento dell’occupabilità. A questo proposito, nella Guida al Programma Erasmus+ (Commissione europea 2016: 13), parlando dell’importanza della conoscenza delle lingue straniere. si legge quanto segue. Le lingue straniere ricoprono un ruolo fondamentale nelle competenze che consentiranno alle persone di prepararsi al meglio per il mercato del lavoro e di trarre il maggior profitto dalle opportunità disponibili. L'UE ha stabilito l'obiettivo di dare l'opportunità a ogni cittadino di imparare almeno due lingue straniere, sin dalla prima infanzia. […]. La mancanza di competenze linguistiche rappresenta uno degli ostacoli principali alla partecipazione all'istruzione, alla formazione e ai programmi per i giovani europei.
Pertanto, come si vuole mostrare con questo volume, l’individuazione degli ambiti di socialità e di comunicazione in cui gli studenti universitari di Italiano L2 sono inseriti, con la definizione delle attività linguistiche e della testualità caratteristiche (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010, 2014, 2015), rappresenta la cornice di riferimento, in cui i docenti di Italiano L2 possono iscrivere la propria azione didattica ed elaborare percorsi di formazione che si integrano con i processi di sviluppo delle competenze comunicative che avvengono in contesto spontaneo. Ci si riferisce, in particolare, alla scelta degli obiet89. Cfr. anche le indicazioni in tema di competenze linguistiche contenute nel Progetto DeSeCo dell’OCSE (cfr. Par. 1.4.1).
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tivi formativi, in termini di compiti da svolgere, strategie e competenze da sviluppare ecc., e alla scelta degli approcci, delle metodologie e degli strumenti per la didattica più efficaci (p. es. Task Based Learning, metodologia CLIL, uso delle TIC) per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti, tenendo inoltre conto delle motivazioni degli studenti, aspetti, questi, che saranno approfonditi, nel secondo e nel terzo capitolo del volume. 1.8.1. Studenti di mobilità europea e contesti di comunicazione L’indagine condotta presso il Centro linguistico dell’Università di Firenze, su un campione di 10 studenti con borse di studio di mobilità europea di Livello C1 del QCER (Jafrancesco 2004, 2006), è servita a raccogliere, attraverso un diario, alcuni dati significativi sui contesti di comunicazione in cui si muovono gli studenti universitari di Italiano L2. Lo studio aveva l’obiettivo principale di individuare, all’interno di contesti sociali generali (macro-aree), le attività linguistiche svolte dagli studenti universitari, identificando le reti di rapporti sociali e gli ambiti di comunicazione specifici in cui si muovono. A questo scopo è stato chiesto loro di registrare in modo dettagliato le azioni svolte in un giorno specifico della settimana, da loro scelto. I contesti di comunicazione considerati rilevanti per gli studenti universitari di Italiano L2 sono i seguenti cinque: a) Orientamento e regolarizzazione; b) Abitazione e sussistenza quotidiana; c) Formazione in Italiano L2 e in ambito accademico; d) Socializzazione e tempo libero; e) Lavoro. Gli ambiti (a), (b), (c) e (d) riguardano in genere tutti gli studenti, anche se in momenti diversi del loro soggiorno in Italia, mentre (e), Lavoro, varia in relazione alle condizioni economiche e al progetto di permanenza in Italia. Alcuni studenti, infatti, per integrare la borsa di mobilità e i fondi che ricevono dalle famiglie, svolgono lavori occasionali presso esercizi pubblici (bar, ristoranti, ritrovi per giovani ecc.). Tuttavia, in linea generale, a causa del grande impegno richiesto dalle attività accademiche, in termini di ore di lezione e di studio autonomo, gli studenti universitari hanno raramente la possibilità di svolgere attività lavorative.
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Negli elaborati degli studenti che hanno partecipato all’indagine le due macro-aree (a) e (d) non sono menzionate. L’assenza di informazioni per la prima macro-area riguarda il fatto che, nel momento in cui gli studenti hanno redatto i diari, cioè dopo oltre un mese dall’arrivo a Firenze, le pratiche relative all’immatricolazione e l’inserimento nei corsi universitari erano state già espletate, mentre per la seconda valgono le considerazioni che sono state già fatte sulla consistenza degli impegni universitari. 1.8.1.1. Abitazione e sussistenza quotidiana Nella macro-area Abitazione e sussistenza quotidiana la rete di rapporti sociali collegati con l’abitazione e con le incombenze della quotidianità hanno un’importanza basilare nell’esperienza, sia a livello personale, sia a livello di competenze comunicative attivate. In questo ambito i rapporti sociali servono a stabilire relazioni, non necessariamente collegate all’università, anche di tipo amicale e concorrono al successo o all’insuccesso del progetto di studio in Italia. Contribuiscono inoltre alla creazione di una immagine positiva/negativa della società italiana e dell’esperienza fatta in Italia, e richiedono lo svolgimento di compiti comunicativi che implicano una vasta gamma di competenze. Nel contesto abitativo sono importanti, per esempio, i rapporti con i vicini di casa e con i coinquilini. Le relazioni possono essere: −
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con italiani (D1 dai vicini di casa: mi lamento del gatto che miagola tutta la notte; D5 colazione con i coinquilini, due italiani. Lavori di casa con i due italiani e poi pranzo insieme); con stranieri dello stesso paese (D3 colazione con la coinquilina un’amica inglese , parliamo in inglese; D10 a casa […]: colazione con Ana [la ragazza portoghese]);
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con stranieri di altra lingua (D4 a casa […]. Arrivo di amici stranieri e di un ragazzo danese; D8 a casa[…]: colazione con i coinquilini [stranieri]).
La comunicazione propria del contesto abitativo e della sussistenza quotidiana è caratterizzata da notevole complessità, riguardante l’uso di varietà diafasiche distanti fra loro, la presenza una ampia gamma di generi, l’alternanza di codici linguistici diversi (la L1, la L2 altre LS). È importante ricordare che di tale complessità, si deve tenere conto nelle proposte didattiche per studenti stranieri con borse di studio di mobilità (cfr. Cap. II, par. 2.3). Inoltre, in questa macro-area le attività comunicative riguardanti sia il gruppo dei pari, sia soggetti di vario genere come impiegati, commercianti ecc. sono prevalentemente orali: scambi informali con i coinquilini o con i vicini di casa; scambi di formalità variabile all’interno delle trattative commerciali, oppure nell’ambito dei servizi pubblici. D1 alla mensa: parlo con gli addetti per farmi dare ciò che voglio; D3 al supermercato […]: parlo in italiano con la cassiera; D4 dal tabaccaio […]. Acquisto di […] “cibo per i nervi”; D10 dal fornaio […] chiedo del pane salato; alla posta […]: ritiro del pacchetto che mi ha mandato mio fratello;
Pertanto, scambi bidirezionali faccia a faccia, ma anche non faccia a faccia, per esempio nelle conversazioni telefoniche, oppure comunicazione scritta, per esempio nella fase di ricerca di una abitazione (lettura/scrittura di annunci, contratti ecc.). 1.8.1.2. Formazione in Italiano L2 e in ambito accademico La macro-area Formazione in Italiano L2 e in ambito accademico si pone per importanza al primo posto rispetto alle altre. Infatti, per gli studenti universitari il soggiorno in Italia e l’apprendimento dell’italiano riguardano essenzialmente motivazioni legate allo studio. La capacità di gestire la comunicazione in Italiano L2 nel contesto universitario rappresenta infat-
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ti la condizione necessaria per un proficuo svolgimento del percorso di studio nel nostro Paese. Un dato positivo riguarda il fatto che gli studenti universitari di Italiano L2 affermano di parlare fra loro in italiano, sia in aula, sia in altri contesti, con gli italiani e con i propri connazionali (D3 in autobus verso casa […]: parlo in italiano con gli amici stranieri; D6 parlo in italiano con le amiche [straniere]). Il Centro Linguistico e il corso di Italiano L2 non sono solo luoghi di formazione, ma anche luoghi di incontro, di scambio e di socializzazione, a) con gli altri studenti stranieri, soprattutto nelle fasi iniziali del soggiorno italiano (D1 al bar [dell’università] con i compagni di corso, chiacchiero a lungo, arrivo in ritardo a lezione [di italiano]; D3 parlo in italiano con gli amici stranieri [che frequentano il Centro Linguistico]); b) con gli studenti italiani. Anche il ruolo di “facilitatori” dell’inserimento degli studenti nell’ambiente universitario e cittadino svolto dai docenti di italiano L2 è fondamentale. Infatti, gli studenti si rivolgono a loro non solo per i servizi di consulenza linguistica, ma con richieste di vario genere, volte, per esempio, alla soluzione di problemi pratici, all’orientamento nel sistema universitario ecc. Nell’ambito accademico, i tipi di testi che emergono dai diari variano per livello di formalità e per abilità coinvolte: −
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esempi di scambio bidirezionale faccia a faccia con presa di parola libera (D7 al dipartimento di Storia dell’arte: richiesta di informazioni alla segretaria; D8 discuto con i compagni su alcune questioni relative alla Corte Europea; D9 parlo con la docente della parte orale dell’esame); di scambio bidirezionale non faccia a faccia con presa di parola libera (D9 telefonata a una docente per parlare di un esame); di scambio bidirezionale faccia a faccia con presa di parola non libera (D7 incontro con l’assistente di Museologia, visita di Palazzo Vecchio);
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di comunicazione unidirezionale (D7 corso di Museologia; D10 lezione di Restauro di parchi e giardini).
Vi sono inoltre testi scritti di ambito disciplinare da comprendere e imparare (D9 preparazione di un esame, lettura di materiali in italiano; studio su testi in italiano e in tedesco), oppure da produrre (D9 esame scritto di Organizzazione internazionale). Poi le schede bibliografiche in cui localizzare le informazioni necessarie per il reperimento dei testi (D9 in biblioteca: ricerca bibliografica), i testi informativi dei quotidiani on line (D6 biblioteca biomedica, controllo della posta elettronica; D8 in aula computer […] navigo in Internet, lettura delle notizie del giorno, controllo della posta elettronica), i messaggi di posta elettronica letti e scritti. 1.8.1.3. Socializzazione e tempo libero La macro-area Socializzazione e tempo libero, tenendo conto delle caratteristiche del profilo socioculturale degli studenti universitari, caratterizzato dalla giovane età, dall’alto livello di scolarizzazione, dalla pluralità di interessi culturali posseduti, ha un ruolo molto importante. Infatti, dalla quantità e dalla qualità delle esperienze fatte in questo contesto di socialità può dipendere la riuscita del soggiorno di studio all’estero. Nella vita di uno studente universitario, il contesto sociale più importante, dopo quello educativo, è rappresentato dall’universo delle relazioni umane e dalle attività a esse collegate. In questo ambito sono particolarmente ricchi di significato i rapporti con i colleghi di studio, sia italiani che stranieri, conosciuti in Italia o nei loro paesi di provenienza. D4 al pub con gli amici stranieri della mattina [i compagni del corso di italiano]; D6 incontro con l’amico italiano [studente Erasmus] conosciuto l’anno scorso in Spagna; fine settima divertente, passato a ricordare gli amici con borsa di studio Erasmus conosciuti in Spagna
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e quelli conosciuti qui in Italia; D8 incontro con studenti Erasmus per bere un caffè. In base all’indagine svolta (Jafrancesco 2004, 2006), gli studenti stranieri universitari passano gran parte del loro tempo con i colleghi dell’università, con cui condividono esperienze di vita di vario genere, relative ai luoghi di aggregazione giovanile frequentati, oppure a eventi di importanza sociale e culturale, e di vita quotidiana. D2 per i pub della città; D3 in discoteca […] con amici stranieri, parliamo in italiano; D4 in giro per la città: bar, locali per giovani; D7 al bar, di fronte all’Università, con un’amica per bere un caffè; Piazza Santa Croce […]: concerto per l’inaugurazione dei lavori del Social Forum; D8 al bar: incontro con altri studenti; D10 in gelateria da Vivoli. Un altro aspetto importante legato al contesto della Socializzazione e del tempo libero riguarda il rapporto con la città, con il suo territorio, con i suoi luoghi di interesse storico e artistico (p. es. monumenti, musei, eventi), da mettere in relazione con gli interessi intellettuali e artistici degli studenti, che, nel diario pensato per registrare eventi e attività quotidiane, annotano (Jafrancesco 2004: 164): D 2 visita di una galleria d’arte; D8 Galleria dell’Accademia […]: appuntamento con tre studenti; D1 a teatro per le prove; D9 al cinema: Festival dei popoli. Poiché l’ambito delle relazioni sociali riguarda gli italiani, i connazionali e gli stranieri di altra provenienza, anche le lingue coinvolte sono diverse: l’italiano, utilizzato con i colleghi di studio, gli amici, nei luoghi pubblici (p. es. bar, locali, musei, strutture sportive), per leggere giornali, guardare la televisione, ascoltare la radio; la L1 con i connazionali, i mass media; una
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lingua diversa dalla L1 (p. es. inglese, francese, tedesco) con interlocutori con idiomi diversi. La comunicazione propria di questo ambito ricopre una gamma molto vasta di usi della lingua. Le attività linguistiche, infatti, in prevalenza orali, possono essere − − −
di tipo informale, all’interno del gruppo dei pari (scambi bidirezionali faccia a faccia, non faccia a faccia); di modesta formalità, nei locali pubblici e nei luoghi di divertimento (scambi bidirezionali faccia a faccia); di tipo formale, quando si tratta di mezzi di mass media (comunicazione unidirezionale a distanza).
Inoltre, le attività linguistiche di questo ambito richiedono abilità di comprensione legate alla lettura di giornali, avvisi ecc. e, in misura minore, abilità di scrittura (per esempio, compilare moduli, schede personali ecc.). I dati emersi dal diario consentono l’individuazione delle situazioni comunicative in cui gli studenti stranieri sono inseriti e in cui si manifestano il loro bisogni linguistici. Si ritiene che questi elementi conoscitivi possano rappresentare un possibile punto di partenza per l’elaborazione di proposte didattiche adeguate alle necessità, alle aspettative e alle motivazioni degli studenti universitari di Italiano L2. Ipotizzando di mettere i bisogni di uno studente universitario, suddivisi nelle macro-aree individuate, nell’ordine in cui essi si manifestano, è plausibile immaginare che al primo posto vi sia la necessità di regolarizzare la propria presenza nell’università di destinazione e allo stesso tempo pensare a risolvere i bisogni legati all’alloggio. Una volta soddisfatte le necessità più immediate, vi sono poi i bisogni di formazione in italiano L2 e in ambito disciplinare. Successivamente vi sono le esigenze collegate alla socializzazione e al tempo libero e, infine, in alcuni casi, quelle legate al lavoro. Tuttavia, in una prospettiva di gerarchizzazione delle macroaree per ordine di importanza, risulta evidente che l’ambito del-
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la formazione accademica è al primo posto, in quanto intorno a essa ruota l’intero progetto di soggiorno di studio all’estero. Nonostante ciò, dall’analisi dei diari emerge l’importanza dell’ambito della formazione in italiano L2, non solo come strumento indispensabile per accedere alla formazione accademica, ma anche in quanto strettamente legato ad altri ambiti, in particolare a quello della socializzazione e dell’abitazione: Prima viene lo sviluppo delle conoscenze linguistiche, dopo la cultura, il paese e altri punti di interesse, e solo al terzo posto c’è l’università (Johannes, austriaco, settembre 2003).
Il bisogno di sviluppare le competenze in italiano L2, infatti, è immediato e fondamentale per frequentare con profitto i corsi universitari, per far fronte alle esigenze della vita quotidiana e per stabilire rapporti soddisfacenti con il gruppo dei pari. L’ambito della formazione linguistica è infatti collegato con quello delle relazioni sociali, sia con i propri connazionali, sia con altri studenti stranieri, con cui è possibile condividere la propria condizione di studente universitario all’estero, sia con gli studenti italiani afferiscono per lo studio delle lingue straniere al Centro linguistico. All’università si incontra tanta gente, si scambiano i numeri di telefono e si va a prendere insieme un latte macchiato o si va a provare la mensa (Nina, tedesca, marzo 2003). Firenze è una bellissima città che offre ai giovani molte possibilità. Ci sono tantissimi posti per incontrarsi a chiacchierare e da visitare. […] Ho fatto tantissime amicizie, ma soprattutto con altri studenti Erasmus. Mi sembra che gli studenti fiorentini siano un po’ distaccati (Diana, austriaca, marzo 2003).
I rapporti con gli altri aprono le porte allo scambio, all’incontro fra culture diverse, determinando la nascita di spinte che vanno nella direzione del rinnovamento della persona, dell’idea che si ha di se stessi e del paese in cui ci si trova.
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Essere una studentessa Erasmus è un’esperienza bella e importante, soprattutto un’esperienza indimenticabile. Ho fatto progressi enormi: ho combattuto la mia timidezza, ho vinto le mie apprensioni e paure. In Francia non le avrei mai affrontate. Ma qui per vivere, lavorare, trovare un appartamento è stato necessario superarle. Adesso penso di essere a cavallo, mi sembra di essere divenuta più adulta (Lauren, francese, marzo 2003). Sono felicissima di essere qui. È una esperienza unica nella vita di una persona e io ho potuto farla. Questa sta risultando una esperienza che, con tutti gli aspetti positivi e negativi, mi sta facendo crescere come persona, e questo era uno dei miei obiettivi principali per cui ho scelto di fare l’Erasmus (Marina, spagnola, marzo 2003). Nonostante lo scontro con il sistema italiano, andare a studiare all’estero è un’esperienza bellissima, che mi dà tanto. Il vedere come si vive in altri paesi ti fa apprezzare certe cose del tuo proprio paese, ma ti insegna anche che ci sono altri modi di vivere, di organizzarsi, che funzionano anche se sono diversi dai modi a cui sei abituato (Anna, danese, settembre 2003).
Nella macro-area legata all’abitazione e alla sussistenza quotidiana, che è strettamente collegata alle precedenti, i rapporti sociocomunicativi permettono di stabilire relazioni con coetanei italiani e di altre nazionalità, con cui si condivide l’alloggio e numerosi momenti della vita quotidiana, contribuendo significativamente alla crescita personale e al successo dell’esperienza in Italia. Ho deciso di trovare un appartamento con altri studenti italiani: non volevo vivere con tedeschi e neppure con altri stranieri perché non si può imparare la lingua e neppure conoscere la gente di un paese straniero senza vivere con persone di questo paese (Janet, tedesca, settembre 2003). Ho conosciuto molte persone e cerco di abituarmi alla disorganizzazione, che certe volte mi sembra insopportabile. Credo
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di essere più flessibile, per esempio a causa del fatto che devo dividere la camera con un’altra persona. La tolleranza aumenta per forza (Maria, finlandese, settembre 2003. I miei compagni di casa e anche gli altri studenti Erasmus che ho conosciuto fino a ora sono molto simpatici e non mi sono mai sentita male nel primo mese che ho passato a Firenze (Julia, tedesca, settembre 2003).
1.9. Conclusioni Nella convinzione dell’utilità del tenere conto del quadro generale in cui si colloca il fenomeno della presenza degli studenti internazionali negli atenei italiani e, in particolare, nella formazione linguistica in Italiano L2, nel primo capitolo di questo volume è stato analizzato il contesto politico e sociale, nazionale e internazionale, in cui è possibile inserire la variegata realtà, in termini di composizione della popolazione studentesca straniera, che contraddistingue la formazione superiore, attraverso il riferimento alle principali scelte prese in ambito comunitario in capo educativo. Inoltre, attraverso l’esame dei dati statistici disponibili, raccolti in ambito internazionale e nazionale, si è tentato di rendere conto della pluralità delle tipologie di studenti, contraddistinte da specifiche caratteristiche socioculturali, linguistiche e motivazionali, che appartengono al profilo studente straniero nella formazione universitaria. Le specificità delle singole tipologie di apprendenti hanno infatti una influenza significativa sulla scelta degli approcci e dei metodi didattici più adeguati per l’insegnamento dell’Italiano L2. Sulla base degli elementi conoscitivi individuati, si è tentato infine di tratteggiare un quadro generale dei bisogni di apprendimento in Italiano L2 degli studenti universitari internazionali, nel convincimento che una formazione linguistica efficace, come sottolineato anche nel QCER, debba necessariamente mirare a soddisfare i bisogni linguistico-comunicativi degli apprendenti.
Capitolo II
Formazione linguistica per studenti universitari Testi, compiti e strategie
2.1. Introduzione Questo capitolo propone una riflessione sulla necessità di adottare approcci e metodologie di apprendimento linguistico coerenti con le esigenze di formazione degli studenti universitari di Italiano L2, legate in primo luogo ai processi di internazionaliz1 zazione dei sistemi formativi . Partendo dalle indagini sul profilo socioculturale e linguistico di questo pubblico di studenti (cfr. Cap. I), il capitolo intende fornire spunti di analisi per favorire la costruzione di competenze sia linguistico-comunicative, sia disciplinari, utili per agire linguisticamente in contesti di studio e professionali. Le osservazioni teorico-metodologiche proposte hanno, in particolare, l’obiettivo di offrire ai docenti strumenti e risorse non solo per orientarsi nella scelta di un repertorio aperto di testi, compiti e strategie di apprendimento, spendibili nel dominio educativo di tipo accademico, ma soprattutto una base di partenza per generare azioni formative appropriate al contesto di studio e riadattabili nella gestione personalizzata dei contenuti proposti.
1. Il contenuto del secondo capitolo è il risultato di vari lavori sulle esigenze di formazione del pubblico di studenti universitari di Italiano L2 (cfr. Cap. I, Par. 1.5). Tali lavori sono stati sollecitati, in parte, anche dalla realizzazione di un Progetto per la formazione per studenti stranieri universitari, realizzato da Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010, cfr. Par. 2.2.
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2.2. Coordinate teorico-metodologiche La riflessione sulle competenze che gli studenti universitari di Italiano L2 hanno necessità di sviluppare nel contesto della formazione accademica prende le mosse dall’approccio adottato nel QCER, che, come è noto, è orientato all'azione e all’uso funzionale della lingua. Il documento europeo di politica linguistica vede la lingua, infatti, come un sistema di usi e non come un sistema astratto di regole la cui applicazione consente la comunicazione: quanti usano/apprendono una lingua sono visti innanzitutto come agenti sociali, vale a dire come membri di una società che hanno dei compiti, di tipo non solo linguistico, da portare a termine in un contesto specifico attraverso la capacità di gestire testi e l’utilizzo delle strategie più adeguate per lo svolgimento dei compiti previsti. Nel QCER infatti si intende per compito qualsiasi «azione finalizzata […] per raggiungere un risultato nell’ambito di un problema da risolvere» (Council of Europe 2001/2002: 12), intendendo anche azioni e compiti non prettamente linguistici. Il documento europeo continua nelle pagine successive sostenendo che la comunicazione e l’apprendimento implicano l’esecuzione di compiti che non sono esclusivamente linguistici, anche se implicano attività linguistiche e mettono in gioco la competenza comunicativa dell’individuo. Questi compiti, quando non costituiscono una routine e non sono eseguiti in modo automatico, richiedono l’impiego di strategie di comunicazione e apprendimento. Nella misura in cui, per portarli a termine, si ricorre ad attività linguistiche, è necessario un trattamento dei testi, orali e scritti (Council of Europe 2001/2002: 19).
Il concetto di «compito» si basa da un lato su teorie linguistiche che considerano l’attività espressivo-comunicativa come azione sociale e il linguaggio come insieme di atti linguistici che si svolgono entro attività linguistiche relative a un più ampio contesto sociale; dall’altro si basa su studi di linguistica ac-
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quisizionale incentrati sul concetto di interlingua e di apprendente, inteso come soggetto che possiede e amplia nel corso della propria esistenza competenze generali e linguistico comunicative a cui può attingere2. Per quest’ultimo aspetto, chi usa/apprende una lingua, in particolare, si avvale di competenze che devono essere tenute in considerazione per sviluppare la capacità di comunicazione degli apprendenti, in quanto componenti della competenza comunicativa e che sono: − competenze generali: sapere, saper essere, saper fare, saper apprendere; − competenze linguistico-comunicative: competenza linguistica, sociolinguistica, pragmatica. Tra le competenze linguistico-comunicative rientra la competenza pragmatica, a sua volta tripartita in sottocompetenze, quali la competenza discorsiva, la competenza funzionale, la competenza di pianificazione, che implicano una serie di abilità relative appunto alla gestione della testualità e alla capacità di comprendere e produrre testi (Council of Europe 2001/2002). Inoltre il QCER, accogliendo i suggerimenti della linguistica testuale (De Beaugrande, Dressler 1994), che sposta l’attenzione dalla capacità di gestire frasi, corrette da un punto di vista formale, alla capacità di gestire testi, afferma la centralità della dimensione testuale, con il superamento dell'opposizione dei concetti di «testo autentico» e di «testo non autentico»3, intendendo con «testo» «qualsiasi elemento linguistico, un enunciato sia orale sia scritto che chi usa/apprende la lingua riceve, produce o scambia. Non esiste atto di comunicazione linguistica senza testo» (Council of Europe 2001/2002: 115). Sempre a 2. Per una lettura critica dei riferimenti teorici che sono alla base del QCER, cfr. Vedovelli 2010. 3. A proposito dei concetti di «autenticità», «non autenticità» dei testi, Vedovelli (2010: 84) afferma che «nella linguistica testuale [...] il concetto di testo autentico non prende mai spazio, e ciò perché essa parte da una definizione di testo tale per cui non è possibile concepire un testo che non sia autentico: nella linguistica testuale il testo, in quanto unità segnica fondamentale, costituisce l’occorrenza comunicativa, cioè è ogni occorrenza comunicativa inscritta in un sistema semiotico».
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proposito della dimensione testuale il QCER elenca i criteri che entrano in gioco nella selezione dei testi e che sono determinanti nella fase di selezione e nella successiva didattizzazione in riferimento a un determinato gruppo di apprendenti, quali la complessità linguistica, la tipologia testuale, la struttura discorsiva, i canali attraverso i quali il testo è presentato, la lunghezza e l'interesse che il testo riveste per l'apprendente (Council of Europe 2001/2002). Il riferimento alla prospettiva teorico-metodologica proposta nel QCER consente l’applicazione a uno specifico contesto di socialità e comunicazione, quale è quello in cui si muovono gli studenti universitari di Italiano L2, dei vari descrittori di competenza. Tali descrittori possono adeguatamente tarati in relazione alla gestione dei compiti comunicativi d’ambito accademico, che implicano la capacità di gestire testi orali e scritti per l’esecuzione di compiti anche attraverso una costante attenzione a pratiche di riflessione metacognitiva e all’uso consapevole delle strategie di apprendimento. Va sottolineata, pertanto, la necessità di coniugare i risultati di indagini a carattere socioculturale e linguistico sui bisogni di questo specifico pubblico di Italiano L2 con il modello teorico del QCER. Entro tale cornice teorica-metodologica di riferimento è stato realizzato uno specifico Progetto per la formazione linguistica, proposto in Fragai, Fratter, Jafrancesco 20104, rivolto a studenti universitari che iniziano il percorso di apprendimento a Livello B1, per raggiungere il Livello B2 del QCER, e che si qualificano per le particolari esigenze di formazione sia nel proprio settore accademico, sia in altri ambiti di socializzazione. In questa prospettiva il Capitolo suggerisce delle linee guida pensate per questo specifico pubblico di studenti stranieri e orientate alla scelta di un possibile repertorio di testi e di strategie di apprendimento, per ottimizzare la realizzazione dei com4. Il Label europeo è il riconoscimento che la Commissione europea assegna a progetti significativi nell’ambito della formazione linguistica, cfr. il sito Internet del Label all’indirizzo goo.gl/sdorVt.
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piti richiesti nel dominio educativo della formazione accademica. Si intende allora mettere in evidenza quali sono le competenze e le abilità necessarie per agire linguisticamente in modo adeguato in contesti di studio che prevedono la gestione di generi testuali, orali e scritti, centrati su contenuti disciplinari con diversi gradi di formalità, proponendo un percorso di «educazione alla testualità» (Alfieri 2016), intesa come capacità di cogliere il grado di adeguatezza di un testo a fattori del contesto extralinguistico. Nel presentare tale riflessione, inoltre, viene puntualizzata l’efficacia di approcci formativi e di metodologie didattiche, orientati all’acquisizione di contenuti disciplinari e collegati ad ambiti di interesse e di socialità rilevanti per gli studenti universitari, che fanno riferimento principalmente al paradigma costruttivista, quali il CLIL e la metodologia Task Based Learning (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016). Concludendo, in una prospettiva di linguistica educativa, in cui è centrale il ruolo dell’apprendente, si ritiene fondamentale che tutti quanti sono impegnati a vario titolo nella formazione linguistica degli studenti universitari tengano in considerazione le peculiarità degli obiettivi di formazione in relazione alla gestione della testualità, dei compiti di studio, delle strategie di apprendimento, degli approcci formativi. La considerazione di questi aspetti è fondamentale, infatti, per la programmazione di sillabi improntati sullo sviluppo della dimensione testuale e sulla riflessione sulle strategie di apprendimento per eseguire con successo compiti richiesti nell’ambito accademico (p. es. partecipare a un seminario universitario o sostenere un colloquio per superare un esame orale). A partire da queste coordinate teorico-metodologiche di riferimento, nei paragrafi che seguono, dunque, l’attenzione sarà focalizzata sugli obiettivi formativi che gli studenti universitari di Italiano L2 devono essere in grado di raggiungere in ambito accademico per poter gestire in autonomia il proprio percorso di apprendimento.
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2.3. Formazione linguistica: verso la testualità La lingua, come sottolinea anche il QCER (cfr. Par. 2), va considerata nella sua dimensione pragmatico-testuale, partendo dalla distinzione tra due livelli di analisi: la lingua come sistema virtuale e astratto ossia concepita nella sua struttura generale con regole di funzionamento e disponibile a tutti gli usi possibili e la lingua materializzata in un testo, che realizza la comunicazione tra determinati interlocutori, in una determinata situazione, per determinati scopi (Alfieri 2016: 278).
Che la dimensione testuale, nel suo doppio aspetto, abbia un ruolo privilegiato tra gli obiettivi di formazione linguistica è dimostrato, per esempio, dall’ampia produzione di testi a carattere teorico e applicativo, e di manuali che includono sezioni dedicate alla riflessione sull’architettura del testo a livello macrotestuale5. Lo sviluppo della competenza linguistico-comunicativa si correla, dunque, allo sviluppo della competenza testuale, che ne è parte integrante, e, dal punto di vista della formazione, allo sviluppo della capacità di riconoscimento di generi testuali particolari, in cui, appunto, la lingua «si materializza» e che sono ascrivibili a certe tipologie testuali più generali6. La questione della capacità di riconoscimento dei generi testuali concreti ha, allora, un ruolo cruciale sul piano dei processi formativi perché, considerando le conoscenze pregresse dell’apprendente nella propria L1 e il suo sistema di attese,
5. A questo proposito si rinvia a Palermo (2013) e a Ferrari (2014) per un’analisi dei meccanismi di testualità condotta principalmente sull’italiano contemporaneo; sulla dimensione più orientata alla didattica della lingua in prospettiva testuale e alla formazione dei docenti si rimanda, invece, a D’Achille (2016). 6. Non è questa la sede per richiamare, anche solo sinteticamente, le complesse tematiche relative alle tipologie testuali e ai diversi criteri di classificazione che esse sottintendono, sui quali cfr. Palermo (2013).
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la familiarità con il genere e il dominio (e con le conoscenze di sfondo o presupposte) aiuta l’apprendente ad anticipare e a comprendere la struttura e il contenuto di un testo (Council of Europe 2001/2002: 201).
Vedovelli (2010) offre una valida argomentazione in tal senso quando afferma che i generi testuali stessi sono da assumere come obiettivi formativi prioritari nel caso in cui tali generi testuali non siano presenti nella lingua e nella cultura di partenza, ma altresì nel caso in cui un genere testuale sia diffuso nella lingua e nella cultura dell’apprendente, sebbene si presenti con caratteristiche linguistiche o extralinguistiche differenti da quelle con cui che esso si presenta nella L2. In riferimento al pubblico di Italiano L2 preso in considerazione, si pensi, per esempio, a un tipo di testo molto frequente nelle università italiane, quale è il colloquio durante la situazione formale di un esame orale, un genere testuale che più di altri si differenzia all’interno dei vari sistemi accademici di provenienza degli studenti. Il colloquio formale in sede d’esame, proprio perché non sempre corrisponde per aspetti testuali e pragmatici a quello dei contesti accademici di provenienza degli studenti, può risultare molto complesso per la difficoltà di gestire, oltre all’esposizione dei contenuti, le regole sociolinguistiche che uno straniero non padroneggia, per esempio i diversi modi a disposizione per iniziare una risposta, per correggersi, per argomentare, per spostare l’attenzione da un argomento all’altro (Bacchelli, Losi 2005). Considerando il contesto formativo in cui gli studenti universitari di Italiano L2 agiscono linguisticamente, è fondamentale, dunque, che gli apprendenti siano in grado di sviluppare specifiche competenze per portare a termine compiti richiesti nel dominio accademico. Condizione necessaria per lo svolgimento dei compiti previsti è lo sviluppo della capacità di saper riconoscere i tratti costitutivi che, differenziando un genere te-
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stuale da un altro, contraddistinguono i generi testuali concreti7, intesi come «classi di testi raggruppati sulla base della condivisione di tratti ulteriori e più specifici» (Lavinio 2016: 297). La progettazione di un percorso di formazione rivolto nello specifico a questo tipo di pubblico richiede, pertanto, un’attenta pianificazione, che tenga sotto controllo tra le diverse variabili quelle relative ai seguenti aspetti: la selezione dei generi testuali di interesse per gli studenti universitari (cfr. Par. 2.3.2) a livello macrotestuale; b) la scelta di alcuni elementi linguistici tendenzialmente usati maggiormente in un genere testuale rispetto ad altri (cfr. Par. 2.3.3) a livello micro-testuale.
a)
Tali aspetti sono centrali nella prospettiva di percorsi di studio orientati all’«educazione alla testualità» (cfr. Par. 2). 2.3.1. Aspetti di macro-testualità: generi testuali e contesto accademico La varietà di generi testuali, che gli studenti universitari devono saper gestire, suggerisce i principali obiettivi di formazione in ambito accademico, consistenti nel «garantire la sopravvivenza comunicativa degli studenti nella loro quotidianità in Italia e permettere di sostenere il percorso di studio entro la struttura accademica» (Vedovelli 2010: 185). Le attività comunicative degli studenti universitari riguardano, infatti, l’esecuzione di compiti, che implicano il trattamento di testi, i quali offrono modelli sia di usi comuni, sia di usi tecnico-specialistici dell’italiano, appreso non solo per comunicare in vari ambiti di socialità, ma anche per sviluppare specifiche competenze utili a gestire eventi complessi e a sapersi muovere nell’ambito accademico. 7. Sulla distinzione tra tipi testuali di carattere generale e generi testuali concreti, cfr., per esempio, Palermo 2013.
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Tale ambito di comunicazione richiede agli apprendenti di capire e produrre testi che offrono modelli di uso della lingua riconducibili ai cosiddetti «linguaggi specialistici»8, e che sono caratterizzati da una doppia dimensione (Gualdo, Telve 2011: 22 ss.): a) la «dimensione orizzontale», che si riferisce a testi appartenenti allo stesso ambito disciplinare; b) la «dimensione verticale», che riguarda, nello specifico, la variazione propriamente diafasica, in quanto i testi delle materie disciplinari sono contraddistinti da livelli diversi di formalizzazione, che variano in rapporto al contesto d’uso e al genere testuale. Entrambe le dimensioni devono essere, dunque, utilizzate come parametri per la selezione dei testi. Per quanto riguarda la dimensione orizzontale devono essere selezionati i testi di uno stesso contenuto specialistico, appartenenti a uno specifico ambito di studio. Per quanto concerne, invece, la dimensione verticale, essa può essere considerata come riferimento per la macrosuddivisione in due poli stilistici, intorno a cui è possibile raggruppare la maggior parte dei testi scritti e orali con usi tecnico-specialistici della lingua e che Sobrero (1993) definisce come «livello scientifico» e «livello divulgativo». Questi due livelli sono contraddistinti rispettivamente dalla massima specializzazione e dalla massima divulgabilità e sono funzionali a distinguere i diversi gradi di formalità in cui i generi testuali possono essere graduati per la fruizione del lettore, si pensi, per esempio, a uno stesso contenuto disciplinare veicolabile da un testo scientifico con un alto livello di formalizzazione, come la relazione orale a un convegno, o da un testo, invece, a carattere divulgativo come un articolo di blog, che può trattare la stessa tematica. 8. Nel presente contributo viene utilizzato il termine «linguaggi specialistici» nell’accezione proposta in Gualdo, Telve 2011: 17 ss., ovvero come sovraordinato rispetto alle varie denominazioni usate in ambito italiano.
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Relativamente alla dimensione verticale, si sottolinea, pertanto, l’importanza, sul piano operativo, di un’attenta pianificazione che tenga conto delle diverse variabili, quali la scelta dei generi testuali da sottoporre all’attenzione degli studenti e la scelta delle forme linguistiche più adatte per lo sviluppo delle competenze pragmatiche. È fondamentale in tal modo distinguere sull’asse della dimensione verticale diversi gradi di formalità del medesimo testo e dedicare una cura particolare nella selezione dei generi testuali, a cui gli studenti universitari sono esposti, come indicato nel paragrafo seguente (cfr. Par. 2.3.2). 2.3.2. Generi testuali nel contesto accademico: proposta di selezione Per quanto concerne il livello macro-testuale dell’analisi, prendendo spunto da Fragai, Fratter, Jafrancesco (2010), si suggerisce di impostare inizialmente il lavoro di selezione dei generi testuali sulla base di un’attenta analisi e del successivo confronto con le indicazioni del QCER, dai cui descrittori di competenza emerge l’importanza di una gestione graduale della testualità in relazione ai vari livelli di competenza linguistico-comunicativa. Confrontando, per esempio, i descrittori dell'attività di produzione scritta relativa ai generi testuali «relazioni» e «saggi» per i Livelli B1 e B2, nel QCER (Council of Europe 2001/2002: 79) si legge quanto segue (cfr. Tab. 17).
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Tabella 17. Attività di produzione scritta: relazioni e saggi (Council of Europe 2001/2002: 79). B1 È in grado di scrivere relazioni molto brevi su un modello standard per trasmettere informazioni fattuali sulle routine abituali e spiegare le ragioni delle azioni. B2 È in grado di scrivere un saggio o una relazione per sviluppare un argomento in modo sistematico, mettendo opportunamente in evidenza i punti significativi e gli elementi a loro sostegno. [...].
I parametri che modulano la complessità di un testo per il Livello B1, deducibili dai descrittori del QCER, sono la lunghezza («relazioni molto brevi»), il tipo di dati («informazioni fattuali») e l'argomento («routine abituali»), mentre per il Livello B2 si parla genericamente di «un saggio o una relazione per sviluppare un argomento in modo sistematico». Si tratta in entrambi i casi di generi testuali che richiedono la padronanza di abilità linguistiche e di strategie cognitive complesse (p. es. comprendere e usare in modo appropriato il lessico specialistico e selezionare fonti di informazione attendibili). Dall'analisi dei descrittori del QCER, relativamente a questi specifici esempi di generi testuali scritti (relazioni e saggi), deriva che, limitatamente ai livelli presi in esame (B1 e B2), lo stesso genere testuale, essendo condiviso da livelli di competenza contigui, può essere graduato in più livelli sulla base di un'attenta analisi dei seguenti aspetti: − − −
bisogni formativi degli apprendenti; livello di formalità e complessità linguistica del testo; compiti associati a questo tipo di testo.
Pertanto, come proposto in Fragai, Fratter, Jafrancesco (2010), la selezione dei generi testuali può essere individuata attraverso l'incrocio fra i risultati delle indagini sui bisogni di formazione degli studenti universitari (cfr. Cap. I), i descrittori di competenza del QCER e la tassonomia proposta da Lo Duca
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(2006), specificamente rivolto a studenti in scambio, in cui si propone una selezione di compiti associati ai relativi testi, articolati nei tre Profili di competenza (A, B, C) del documento europeo. In tal modo è possibile redigere una lista di generi testuali d’interesse, la cui gestione è trasversale ai diversi percorsi di studio degli studenti universitari, che tenga conto anche della variazione diamesica, cioè del canale di trasmissione scritto e orale dei testi (cfr. Tab. 18). Tabella 18. Selezione di generi testuali per i livelli B1 e B2 (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2014). Testo orali Testi scritti Dibattito Articolo di commento Intervista Articolo scientifico Relazione orale in un convegno Curriculum vitae Seminario univesitario Domanda di selezione pubblica VideoCV Lettera formale Manuale di studio Recensione Referto medico Regolamento Saggio breve Tesina scritta
Dopo la fase di selezione dei generi testuali d’interesse (cfr. Tab. 18), si rende necessaria la tematizzazione dei tratti costitutivi del genere testuale, a cui il docente può dedicare spazi e momenti appositi per sviluppare negli studenti la capacità di riconoscimento degli elementi comuni alla classe di appartenenza del genere testuale sul piano dell’analisi macro-linguistica. Se padroneggiare un determinato genere testuale significa riconoscerne le caratteristiche strutturali, è pertanto auspicabile che il docente dedichi un percorso di formazione esplicito, volto ad accrescere le conoscenze dichiarative necessarie a padroneggiare un determinato genere testuale, fornendo alcune informazioni sui tratti costitutivi del genere testuale tematizzato, ma anche indicazioni su alcuni aspetti micro-linguistici che lo
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caratterizzano e utili per la gestione dei contenuti pragmaticotestuali del testo stesso. Come esempio di applicazione, in Fragai, Fratter, Jafrancesco (2010) si propone un esempio di Scheda di approfondimento sul genere testuale «seminario universitario» (cfr. Tab. 19). Tabella 19. Scheda genere testuale: seminario universitario (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 22-23). Genere Seminario universitario testuale Conoscenze Il seminario universitario si riferisce a tipi differenti dichiarative di attività didattiche: la discussione collettiva, le presentazioni dei lavori individuali degli studenti, il lavoro di gruppo ecc. La discussione collettiva su letture assegnate è una forma di comunicazione orale di tipo dialogico su un argomento prestabilito, in cui il docente introduce, guida e indirizza il discorso, usando strategie che facilitano e controllano lo svolgimento del compito. Tratti costi- Durante la discussione gli studenti e il docente ditutivi scutono insieme e rielaborano i contenuti dei testi letti. Gli interventi degli studenti sono in genere più lunghi, mentre quelli del docente sono più brevi. Il docente gestisce la comunicazione e assegna o concede la parola agli studenti, che in genere la richiedono alzando la mano e usando espressioni come Scusi, io vorrei dire che…. Il contesto è quasi sempre formale e i partecipanti “si danno del Lei”. Il livello di pianificazione e di formalità del discorso è in genere elevato: chi parla non improvvisa e sceglie con cura le parole. Indicazioni Il docente interviene principalmente per dare (assesu aspetti gnare o concedere) la parola agli studenti; controllamicrore la correttezza di quanto dicono; confermare le lotestuali ro affermazioni; sostenere la produzione; stimolare le loro abilità critiche e di studio (richiedere chiarimenti/precisazioni); mettere a fuoco un tema, introdurre nuove considerazioni (funzione pedagogica).
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Il seminario è inteso come discussione collettiva di tipo formale su letture assegnate rispetto a un tema predefinito, che si presenta come genere testuale concreto con determinate caratteristiche, differenti in alcuni casi da quelle del contesto formativo da cui provengono gli studenti stranieri universitari. La Scheda riporta le informazioni macro-testuali relative a conoscenze di tipo dichiarativo, riguardanti le caratteristiche del genere testuale esaminato, e le indicazioni su quali sono i tratti costitutivi del genere; dal punto di vista micro-testuale, la Scheda mette in evidenza alcune forme della testualità sollecitate dal genere testuale stesso, che si presentano come maggiormente prevalenti in questo tipo di testo rispetto ad altri, vale a dire i segnali discorsivi collegati, per esempio, alle funzioni del dare la parola agli studenti, confermare le affermazioni degli studenti, mettere a fuoco un tema. Il fatto che il docente identifichi una serie di generi testuali d’interesse (cfr. Tab. 18), tematizzabili in modo esplicito mediante momenti e spazi appositi, non esclude naturalmente che possano essere identificati altri generi testuali, su cui lavorare con l’obiettivo di ampliare l’approfondimento su altri aspetti linguistici e testuali. Il docente può scegliere, per esempio, di tematizzare un genere testuale d’interesse per la sua rilevanza in più contesti di formazione, come l’articolo di fondo, testo di tipo argomentativo che, tra l’altro, si avvicina ad altri generi testuali sempre di tipo argomentativo, ma più complessi, come il saggio breve o la tesina scritta, perché presentano registri linguistici più formali9. È possibile anche trattare generi testuali per sviluppare strategie di apprendimento, come nel caso degli articoli della Costi9. A proposito dell’uso dei testi di tipo argomentativo nella formazione linguistica, in Palermo (2016) se ne mette in rilievo l’importanza rispetto ad altri tipi di testi per le prospettive didattiche che implicano in relazione alla riflessione sui registri formali della lingua. Anche Serianni (2013) afferma che la tipologia testuale fondamentale per elaborare «testi ben scritti» è proprio quella del testo argomentativo, in quanto tale tipo di testo implica la capacità di costruire «un’argomentazione corretta ed efficace attraverso la selezione dei dati da presentare, l’uso di strumenti linguistici pertinenti (connettivi, interpunzione) ed eventualmente […] l’uso di risorse retoriche (come cominciare e come concludere) (Serianni 2013: X).
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tuzione, utilizzabili non solo per essere analizzati nelle loro caratteristiche macrotestuali, ma anche per attivare un compito di apprendimento coerente con tale tipo di testo come fare una parafrasi. Si tenga presente, infine, che l’introduzione di nuovi sistemi di comunicazione, legati all’ampia diffusione del Web 2.0 e delle TIC (cfr. Cap. III), ha reso più complesse le categorie descrittive della testualità, arricchite da nuovi generi testuali dal carattere ibrido e che si qualificano per i confini non netti fra scritto e parlato. Queste trasformazioni implicano la conoscenza delle caratteristiche specifiche delle nuove forme di testualità, soprattutto da parte di studenti universitari, i quali si trovano a utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione anche con destinatari italiani e devono pertanto fare delle scelte in direzione di una maggiore o minore formalità rispetto al genere testuale utilizzato. In questa prospettiva, qui solo accennata, si sottolinea il rischio per gli studenti di essere esposti sul web a generi testuali contraddistinti da una forte variazione diafasica, difficile da controllare e «fonte di confusione, soprattutto per chi non padroneggia a sufficienza le varietà di registro» (Palermo 2016: 35). Tale rischio può essere evitato attraverso gli strumenti offerti dalla linguistica testuale, che, stimolando la «riflessione su generi, tipi di testo e tradizioni discorsive, offrono al docente una buona base teorica e metodologica» (Palermo 2016: 35). 2.3.3. Aspetti di micro-testualità: i segnali discorsivi Un aspetto rilevante per lo sviluppo della competenza testuale, a cui va dato particolare rilievo, riguarda l’uso dei segnali discorsivi (SD), vale a dire quegli elementi linguistici, come allora, diciamo, per esempio ecc., fondamentali per la gestione dei testi sia parlati che scritti, poiché regolano i rapporti fra le loro varie parti e, nell’interazione, l’alternanza dei turni fra i parlanti. In Bazzanella 1995 si adotta un approccio di tipo pragmatico per la definizione dei SD secondo quanto segue:
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I segnali discorsivi sono quegli elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva del testo (Bazzanella 1995/2001: 225).
I SD, come mostra la letteratura scientifica sul tema, «sono caratterizzati da eterogeneità categoriale, appartengono cioè a diverse categorie grammaticali (avverbi, congiunzioni, sintagmi verbali, espressioni frasali ecc.) e non formano infatti una classe morfologica o lessicale, ma una classe funzionale, svolgendo un ruolo fondamentale per la strutturazione interna dei testi. Di conseguenza, per comprendere il valore dei SD all’interno di un determinato testo è necessario considerare un insieme di parametri diversi che interagiscono fra loro, in una prospettiva multidimensionale» (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2014: 218)10. Nonostante il significato primario dei SD sostanzialmente non cambi, tuttavia questi elementi discorsivi, a seconda del cotesto linguistico e del contesto comunicativo in cui sono utilizzati, assumono sfumature diverse, collegabili anche al diverso grado di formalità dei testi in cui sono inseriti. Questa caratteristica riguarda la polifunzionalità dei SD. In base a tale caratteristica uno stesso SD può svolgere funzioni diverse, anche antitetiche, in relazione a fattori distribuzionali, intonativi e altri fenomeni che ne definiscono il valore, e può svolgere anche funzioni diverse all’interno di uno stesso testo, sia scritto sia orale. Tale proprietà rende impossibile l’attribuzione di una sola funzione a un determinato SD. Per esempio, «diciamo» può svolgere la funzione di riempitivo, cioè di meccanismo per prendere tempo, seguito da una riprogrammazione del discorso, come nell’esempio che segue. Mi scusi, parlando sempre del contesto culturale in cui nasceva e si sviluppava il movimento futurista, volevo aggiungere a 10. Cfr. il concetto di «composizionalità pragmatica» (Bazzanella 1995).
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quello che è stato già detto che agli inizi del Novecento c’erano, eeh diciamo, erano in atto profondi cambiamenti nella società (testo orale: seminario universitario) (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 22).
Lo stesso elemento può svolgere anche la funzione di meccanismo di modulazione, che agisce localmente per mitigare il significato della parola «indelebile» nella parte di testo riportato qui di seguito. Come tutti sanno, le esperienze traumatiche lasciano un segno, diciamo indelebile, proprio a causa della grande emozione provocata dall’evento (testo scritto: articolo di divulgazione scientifica) (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 226).
Un’altra importante caratteristica dei SD su cui è importante riflettere riguarda la loro intersostituibilità, cioè la possibile sostituzione di un SD con altri di significato differente, ma che svolgono la stessa funzione in uno specifico contesto: «diciamo» al posto di «per esempio», come indicatore di esemplificazione nell’esempio che segue. Dai palchi ci si salutava, ci si spiava; erano salottini in cui si potevano ricevere, diciamo, amici, conoscenti... (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 166).
È opportuno che i docenti lavorino in classe su tali complessi aspetti linguistici, in quanto, secondo l’approccio orientato all’azione proposto nel QCER, l’apprendente di una L2 deve essere in grado di gestire, in relazione al proprio livello di competenza linguistico-comunicativa, non solo le regole del sistema linguistico, ma anche le competenze sociopragmatiche, fra le quali rientra l’uso dei segnali discorsivi, che, sebbene non contribuiscano al contenuto proposizionale, svolgono un ruolo centrale nel testo in relazione alla dimensione interazionale e a quella metatestuale (Jafrancesco 2015: 1).
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La consapevolezza del funzionamento di tali elementi discorsivi, spesso tralasciata nei materiali didattici per lo sviluppo della competenza linguistico-comunicativa, diventa un obiettivo fondamentale in percorsi basati, in particolare, sullo sviluppo della dimensione pragmatico-testuale11. Per abituare gli studenti a superare le difficoltà di gestione dei SD, inerenti alla loro natura sfuggevole, è auspicabile, pertanto, condurre una sistematica riflessione su questo aspetto della testualità, in modo da rendere consapevoli gli apprendenti dei meccanismi che regolano il funzionamento dei testi, anche attraverso l’uso di questi elementi discorsivi. Nella pratica di insegnamento è possibile problematizzare la questione dei SD attraverso modalità procedurali attraverso cui il docente può impostare il percorso di lavoro secondo gli obiettivi di apprendimento che intende sviluppare (cfr. Tab. 20). Tabella 20. SD: competenze, attività comunicative, compiti. Competenze Competenza pragmatica: ricezione
Esempio di attività comunicative Comprendere testi orali con diversi gradi di formalità e riconoscere i SD e la loro funzione.
Comprendere testi scritti con diversi gradi di formalità e riconoscere i SD e la loro funzione.
Esempio di compiti Individuare i SD interazionali nella trascrizione di un’intervista strutturata su un argomento di studio e preparare con lo stesso scopo comunicativo un testo relativo al proprio settore di studio. Capire un articolo scientifico di ambito accademico e riconoscere i SD internazionali (modulatori) per produrre con lo stesso scopo comunicativo un testo relativo al proprio settore di studio.
11. Sullo sviluppo dei SD in percorsi formativi per studenti universitari di Italiano L2, cfr. Fragai, Fratter, Jafrancesco 2011, 2012, 2014, 2015. Lo studio sull’uso dei SD in Italiano L2 da parte di studenti stranieri universitari di mobilità accademica rappresenta un aspetto in parte ancora trascurato; in questo ambito esistono, tuttavia, varie indagini approfondite sul rapporto tra didattica dell’Italiano L2 e dati quantitativi ricavati dalle produzioni interlinguistiche degli studenti, su cui cfr. Jafrancesco 2010, 2015.
II. Formazione linguistica Competenze Competenza pragmatica: produzione
Esempio di attività comunicative Interagire in diverse situazioni comunicative e utilizzare SD adeguati al contesto Scrivere testi formali e utilizzare SD adeguati al contesto
Competenza metalinguistica
Riflettere e riconoscere in un testo i SD e le relazioni fra le loro funzioni.
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Esempio di compiti Intervenire in un seminario universitario e utilizzare i SD interazionali nella gestione dei turni di parola Preparare la recensione di un manuale scientifico di ambito accademico e utilizzare i SD metatestuali per indicarne la scansione in parti. Individuare le funzioni dei SD in vari testi e preparare materiali didattici per la classe.
L’esempio che segue (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 5455) illustra solo una delle diverse attività possibili (cfr. Fig. 6) in questo caso di tipo chiuso a scelta multipla basata sull’analisi dei SD presenti in un dibattito tra due partecipanti e il moderatore sul tema delle politiche ambientali europee, un genere testuale, cioè, di tipo argomentativo con carattere formale. Leggete le trascrizioni del dibattito (attività 11) e indicate con una x se i segnali discorsivi evidenziati hanno la funzione di dare la parola (DP), controllare la ricezione (CR), chiedere una spiegazione (CS). DP CR CS 1. Vorrebbe spiegare ai nostri studenti in che cosa consiste questo sistema? Le cedo la parola, prego. 2. Possiamo forse dire che è stato il dispositivo che permesso l’espansione del mercato internazionale del carbonio. Che cosa ne pensa, Dott. Carli? 3. L’EU ETS… favorisce indubbiamente gli investimenti in tecnologie pulite che producono minori quantità di CO2. È chiaro? 4. L’EU ETS costringe le aziende a fare i conti con i costi delle emissioni, stimolando… la creatività delle industrie nel trovare soluzioni… per combattere i cambiamenti climatici. No?
Figura 8. Attività di analisi sui SD (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 55).
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Dopo l’attività di comprensione orale del testo e la riflessione sul genere testuale dibattito, l’attenzione è stata focalizzata, dunque, sui SD interazionali dalla parte del parlante e dell’interlocutore con la funzione di dare la parola, controllare la ricezione, chiedere una spiegazione. Alle attività di analisi e di riconoscimento è opportuno abbinare attività di riflessione esplicita sulle funzioni degli SD attraverso, per esempio, la lettura di apposite schede (cfr. Fig. 7) con la definizione puntuale degli elementi discorsivi su cui si lavora, facendo così emergere, già dal confronto tra i vari elementi le criticità sopra segnalate a proposito dei tratti di polifunzionalità e di intersostituibilità, che rendono più complessa la comprensione di questi aspetti. Scheda di approfondimento I segnali discorsivi interazionali (vedi anche pg. 268) sono parole ed espressioni (p. es. allora, diciamo, guarda) molto importanti per la gestione dei testi scritti e orali. Nell’interazione orale permettono di gestire l’alternanza dei turni di parola. I segnali discorsivi svolgono funzioni diverse in base al contesto in cui si trovano e, in uno stesso testo, possono esprimere anche più di una funzione. Oltre al loro significato letterale, esprimono altri significati legati al contesto in cui avviene l’interazione (p. es. la posizione, il punto di vista, le esitazioni di chi parla di fronte al discorso stesso). Nell’interazione, i segnali discorsivi servono a chi parla per svolgere le seguenti funzioni: − prendere la parola (p. es. allora, dunque, ecco, ma) − richiedere l’attenzione (p. es. dimmi/mi dica, guarda/guardi, vedi/vede) − chiedere l’accordo/la conferma di chi ascolta (p. es. eh?, no?, vero?) e a chi ascolta per: − interrompere chi parla (p. es. allora, ma, no) − esprimere l’accordo/la conferma (p. es. appunto, ecco, sì) − esprimere il disaccordo (p. es. insomma, beh, dici?) − segnalare a chi parla l’acquisizione di una conoscenza (p. es. ah, ecco, sì, ma pensa).
Figura 7. Strategie di comunicazione: imparare a interagire usando i segnali discorsivi (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 212).
II. Formazione linguistica
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2.4. Formazione linguistica: verso l’imparare a imparare Un altro aspetto centrale e ricollegabile alla gestione della testualità è lo sviluppo di una pluralità di competenze, riconducibili al concetto del «saper apprendere» e al ruolo delle strategie di apprendimento12 nel facilitare lo svolgimento dei compiti richiesti agli studenti nello specifico contesto di formazione accademica. Nel QCER, che definisce le strategie di apprendimento come «una linea di azione organizzata, finalizzata e controllata che un individuo sceglie per portare a termine un compito autonomamente assunto o posto da altri» (Council of Europe 2001/2002: 12), si afferma infatti che «pur avendo applicazione in tutti i campi, il saper apprendere è particolarmente importante per l’apprendimento delle lingue» (Council of Europe 2001/2002: 15) e che la «capacità di apprendere una lingua si sviluppa con l’apprendimento stesso e mette l’apprendente in condizione di affrontare le difficoltà in modo più efficace e indipendente, di valutare le opzioni esistenti e di sfruttare al meglio le opportunità offerte» (Council of Europe 2001/2002: 131132) 13. A livello di azioni europee di politica linguistica la rilevanza di tale aspetto viene indicata nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b), in cui viene stilato un elenco di otto competenze chiave necessarie per la realizzazione personale e la cittadinanza attiva nell’ottica dell’apprendimento lungo l’arco della vita (cfr. Cap. I, Parr. 1.4,
12. Sul concetto di «strategie di apprendimento» e sui loro campi di applicazione nella didattica delle lingue, cfr. Mariani 2010. 13. Va sottolineato il fatto che, nonostante l’importanza del concetto del «saper apprendere» nel QCER, le strategie di apprendimento e le abilità di studio non sono trattate in modo sistematico. Per un esame puntuale delle occorrenze del termine «strategia» associato ai concetti di «abilità di studio» e del «saper apprendere» nel QCER, cfr. Pozzo 2005.
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1.4.2). Tra queste competenze rientra l’imparare a imparare, competenza che nel documento è così definita: Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di apprendimento e dei propri bisogni, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di sormontare gli ostacoli per apprendere in modo efficace.
La rilevanza della categoria concettuale del saper apprendere in ambito educativo sottintende dunque la necessità di programmare sillabi di insegnamento in accordo con le indicazioni di politica linguistica europea che valorizzano, almeno a livello di indicazioni programmatiche, la funzione delle strategie di apprendimento nel facilitare l’esecuzione dei compiti che prevedono da parte dell’utente/apprendente la capacità di trattare testi orali e scritti per il loro svolgimento (cfr. Par. 2.2) . 2.4.1. Strategie di apprendimento e L2 Chamot (2005: 113) sostiene che le strategie di apprendimento «are for the most part unobservable, though some may be associated with an observable behavior» e che, proprio per questa loro caratteristica, possono essere rilevate tramite attività di autovalutazione14 con le quali gli studenti descrivono quali strategie hanno utilizzato nello svolgimento di un compito di apprendimento rispondendo, per esempio, alle domande di un questionario o appuntando le loro osservazioni in un apposito protocollo di analisi. L’esecuzione efficace dei compiti viene così facilitata dalla riflessione consapevole sull’uso delle strategie di apprendimen14. Sulle varie tipologie di attività utilizzate per indurre gli studenti a riflettere sul proprio processo di apprendimento e sui limiti che possono derivare da ogni approccio, cfr. Chamot 2005.
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to, che vengono, in genere, utilizzate dagli apprendenti a vari livelli di consapevolezza, poiché relative a operazioni cognitive meno facilmente osservabili e valutabili dal momento che sono sottostanti ai processi che portano alla realizzazione delle prestazioni finali (Mariani 2010). In questa prospettiva, i sillabi per studenti universitari di Italiano L2 dovrebbero allora includere azioni formative per il potenziamento delle strategie di apprendimento che si distinguono in primo luogo per la loro trasferibilità pedagogica, cioè la possibilità di ampliare le situazioni di utilizzo in modo da favorire negli studenti un più generale approccio all’apprendimento, che consiste nella capacità di porsi, gestire e risolvere problemi. Le sfide sono, da un lato, quella di far percepire la rilevanza e l’utilità di una strategia al di là del singolo compito, attività o ambito di lavoro in cui è stata inizialmente utilizzata e dall’altro, quella di stimolare l’adattamento flessibile della strategia a contesti simili ma anche parzialmente diversi (Mariani 2010: 175).
Tenendo conto del contesto accademico in cui gli studenti stranieri universitari si muovono, caratterizzato dalla parziale omogeneità del profilo socioculturale degli apprendenti, ma non dal settore di studio (cfr. Cap. I, Par. 1.6.1), è auspicabile dunque predisporre percorsi di formazione linguistica volti a favorire l’uso consapevole di strategie trasversali a più ambiti disciplinari, dando priorità a quelle associate a compiti caratteristici dei destinatari individuati (p. es. prendere appunti per ricostruire il contenuto di una lezione universitaria) per avvicinarsi all’italiano per «fini di studio di tipo generale» (Mezzadri 2016)15.
15. Su tale definizione e sulla interdipendenza che intercorre tra i tre livelli di lingua, vale a dire la lingua per scopi comunicativi generali, la lingua per fini di studio generali e la lingua per fini di studio specifici, cfr. Mezzadri 2016, dove si sintetizzano le varie posizioni di ricerca sulla questione.
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2.4.2. Compiti e strategie: proposta di selezione Sulla base della premessa sottolineata nel paragrafo precedente (cfr. Par. 2.4.1), è possibile isolare una serie di compiti di apprendimento per l’Italiano L2 all’università (cfr. Tab. 21)16. Tabella 21. Compiti e strategie di apprendimento e comunicazione (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2014). Compiti − − − − − − − − − −
Descrivere un’immagine Elaborare un questionario Redigere un testo accademico Leggere per orientarsi Costruire mappe concettuali Fare un riassunto Fare una presentazione multimediale Prendere appunti Scrivere una scaletta Consultare Internet per documentarsi
−
Leggere e commentare i dati di una tabella
−
Preparare un esame orale
−
Autovalutare le proprie competenze linguistiche Imparare a interagire
−
Fare una parafrasi
−
Strategie
Macrostrategie
Classificazione: riconoscere categorie di testi analizzandone le caratteristiche Attenzione selettiva: capire il senso globale di un testo Ristrutturazione delle informazioni: riorganizzare le informazioni selezionate
Cognitive
Uso e creazione di risorse: selezionare fonti di informazione e documentazione Utilizzare opere di consultazione sfruttando il linguaggio verbale e grafico-visivo Pianificazione: identificare le Metacognitive caratteristiche dei compiti da svolgere Valutazione: autovalutare i propri risultati e le strategie usate Uso di strategie di conversazione: interagire usando i segnali discorsivi Di comunicazione Uso di strategie di comunicazione: rielaborare un testo in modo più semplice
16. Per la tassonomia delle strategie di apprendimento cui è stato fatto riferimento, cfr. Mariani 2010. Su altri tipi di categorizzazioni delle strategie di apprendimento in relazione all’apprendimento di una L2, cfr. anche Mezzadri 2016.
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Ovviamente il repertorio di compiti e di strategie proposto non esaurisce tutti i potenziali obiettivi linguistico-comunicativi perseguibili, ma può rappresentare un primo punto di partenza per orientare azioni formative incentrate sulla valorizzazione del ruolo del saper apprendere nella gestione dei testi. Dopo aver individuato la lista dei compiti di apprendimento e delle strategie a essi associate e procedendo con gli stessi criteri metodologici utilizzati per la selezione dei generi testuali, si può fare riferimento ai generici descrittori delle attività linguistiche dei Livelli di competenza B1 e B2 del QCER, che devono essere declinati per definire in modo più articolato ciascun compito e per far emergere in maniera più trasparente compiti gestibili al meglio con l’attivazione di opportune strategie di apprendimento e di comunicazione. L’esempio seguente esplicita il possibile percorso metodologico elaborato per un determinato compito di alta frequenza, trasversale a più contesti di comunicazione: imparare a interagire usando i SD. Fase 1 Inizialmente si fa riferimento alla scala dei descrittori di competenza di livello B2 del QCER relativa alle strategie dell’interazione e, in particolare, al «Prendere la parola» (cfr. Tab. 22).
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Tabella 22. Strategia di interazione: prendere la parola (Council of Europe 2001/2001: 106). È in grado di intervenire in modo appropriato in una discusB2 sione, utilizzando adeguate forme linguistiche. È in grado di avviare, sostenere e concludere un discorso in modo appropriato, utilizzando efficacemente i turni di parola. È in grado di avviare il discorso, prendere la parola nel momento opportuno e concludere la conversazione quando vuole [...]. È in grado di usare frasi fatte (per es. «È una domanda a cui è difficile rispondere») per guadagnare tempo e conservare il turno di parola mentre cerca di formulare ciò che vuole dire.
Fase 2 Successivamente il descrittore generico del QCER va calibrato in modo più analitico sul compito proposto, mettendo in evidenza che esso «riguarda anche l’attività in cui l’apprendente interagisce oralmente in situazioni diverse fra loro: da quelle meno formali a quelle più formali» (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 212). Fase 3 Una volta descritto in modo più preciso il compito, possono essere identificate alcune potenziali strategie di comunicazione attivabili a partire dal compito proposto. Nel caso dell’«imparare a interagire», per esempio, la generica macrostrategia di comunicazione collegata all’uso di strategie di conversazione e all’interazione tramite i segnali discorsivi (cfr. Tab. 5) può essere tradotta in una serie dettagliata di strategie di natura comunicativa, quali, per esempio, «richiedere l’attenzione», «chiedere l’accordo», «interrompere chi parla». È fondamentale, anche per questo aspetto, tematizzare la riflessione sulla strategia di apprendimento presa in esame attraverso apposite schede che esplicitano, in sintesi, le varie strategie utili a svolgere il compito; le schede sono da intendersi come traccia di lavoro che docenti e studenti possono seguire con flessibilità, adattandola al proprio contesto di formazione.
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Nella figura 10, per esempio, è riportata la Scheda di approfondimento relativa alla strategia cognitiva di ««ristrutturazione delle informazioni, tramite la loro riorganizzazione», che, nello specifico, emerge nello svolgimento del compito di apprendimento: scrivere una scaletta. La scaletta esplicita in modo schematico la strutturazione di un testo e ne evidenzia i punti fondamentali, i concetti principali e quelli secondari. La stesura della scaletta è preceduta da una fase di ricerca e di organizzazione delle idee e conclude le attività di pre-scrittura di un testo. È possibile raccogliere le idee sull’argomento che si vuole trattare attraverso varie tecniche: − lista disordinata di idee, si scrivono tutte le idee che vengono in mente e si dispongono in una lista verticale (ogni idea su una riga diversa). In un secondo momento si selezionano le idee in base alla loro pertinenza, alla quantità di materiale disponibile, al tempo a disposizione (articolo, saggio, tesina) − lista di domande, si scrivono intorno al tema, posto al centro del foglio, tutte le domande che lo possono spiegare e sviluppare, e poi si scelgono quelle adeguate per la stesura della scaletta. In genere si parte dalle domande «5W»: when? (quando?), where? (dove?), who? (chi?), what? (che cosa?), why? (perché?) − grappolo associativo, si procede per associazioni e si scrivono intorno al tema, posto al centro del foglio, tutte le idee che vengono in mente disposte a raggiera, poi si rilegge tutto e si cercano nuove idee associate a quelle appena generate. Dopo aver raccolto le idee, è necessario organizzarle dando loro una struttura ordinata e logica: si sceglie un numero limitato di idee principali e le si usano per organizzare le idee in blocchi e in sottoblocchi. Ogni testo scritto è articolato in blocchi maggiori (paragrafi), a loro volta composti da capoversi o frasi. L’ordine gerarchico dato alle idee consente la scrittura della scaletta. Nella scaletta tutti gli elementi dello stesso livello gerarchico sono allineati verticalmente sulla pagina e sono in genere distinti fra loro da lettere e/o numeri. È possibile indicare i paragrafi con una lettera maiuscola (p. es. A, B, C), i capoversi con un numero (p. es. 1, 2, 3), le frasi con una lettera minuscola (p. es. a, b, c). La struttura generale della scaletta adatta per molti testi è articolata in introduzione, con la presentazione dell’argomento, svolgimento, con la trattazione dell’argomento, e conclusione, con le considerazioni finali.
Figura 10. Scheda di approfondimento: scrivere una scaletta (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 116).
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Per guidare, inoltre, la riflessione esplicita degli studenti sulle proprie capacità d’uso delle strategie in questione, il docente può proporre un questionario di autovalutazione (cfr. Fig. 11); il questionario si offre anche come strumento che integra pratiche di promozione dell’autonomia di chi apprende secondo quanto è suggerito dal QCER e dal Portfolio Europeo delle Lingue (PEL) a proposito dell’importanza di sviluppare la consapevolezza da parte dell’apprendente sul proprio processo di apprendimento17. Scrivere una scaletta Quando scrivo una scaletta… 1. valuto il tipo di testo da produrre e le sue caratteristiche. 2. considero le caratteristiche del destinatario del testo da realizzare. 3. mi sforzo di dare subito una organizzazione definitiva alle idee. 4. faccio prima una lista disordinata delle idee che mi vengono in mente. 5. cerco prima le idee facendomi domande sul tema da trattare. 6. mantengo l’organizzazione gerarchica data alle idee nella scaletta. = sempre = qualche volta
= mai
Figura 11. Strategie di comunicazione: imparare a interagire usando i segnali discorsivi. Scheda di autovalutazione (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010: 212).
L’attività di autovalutazione ha l’obiettivo di attivare il confronto di tipo collaborativo tra gli studenti sulle proprie esperienze di apprendimento tramite indicatori osservabili e valuta-
17. Nel PEL, che è composto da tre sezioni («Passaporto delle lingue», «Biografia linguistica» e «Dossier»), gli studenti hanno la possibilità di registrare e documentare le proprie esperienze di apprendimento, riflettendo sui risultati formativi raggiunti e programmando i futuri obiettivi di formazione. Sul PEL, cfr. Varisco 2004; Argondizzo 2009. Cfr., inoltre, il sito dedicato all’indirizzo https://goo.gl/htEFaU.
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bili di strategie secondo una scala semantica suddivisa in tre livelli (sempre, qualche volta, mai). Quanto osservato implica la necessità di predisporre attività di formazione che rendano chi progetta azioni formative e chi ne è il destinatario consapevole delle specificità di alcuni aspetti relativi alla testualità, ai compiti e alle strategie di apprendimento, adeguati a facilitare il percorso di studio dell’Italiano L2 in ambito universitario. E se è auspicabile che questi contenuti siano presenti e condivisibili in ogni contesto formativo, essi trovano senz’altro la loro naturale collocazione con questa tipologia di studenti, per i quali il contatto con l’italiano, legato soprattutto a motivazioni di studio, avviene in situazioni comunicative dove è fondamentale saper gestire testi con differenti gradi formalità, attraverso l’uso di determinate strategie di apprendimento per svolgere con successo i compiti richiesti nel contesto universitario (cfr. Cap. I, Par. 1.5).
2.5. Approcci e metodologie nel contesto accademico I paragrafi che seguono sono dedicati a una sintetica presentazione di alcuni aspetti metodologici orientati a modelli didattici basati sul CLIL (Content and Language Integrated Learning) e sulla metodologia Task Based Learning, capaci di integrare lo sviluppo di abilità e competenze sia di tipo linguisticocomunicativo, sia relative a contenuti di tipo disciplinare. La cornice teorica si rifà a una prospettiva di matrice sociocostruttivista che esalta la dimensione sociale dell’apprendimento attraverso l’utilizzo di modalità di lavoro collaborative, permettendo di sviluppare in modo bilanciato vari tipi di competenze (cfr. Par. 2.5.2), non solo di natura linguistica. In questa ottica vengono considerate l’efficacia e le potenzialità di tali approcci e metodologie didattiche nel coinvolgere in modo attivo e creativo gli studenti, anche in relazione alla richiesta di realizzare compiti significativi, spendibili sia in rife-
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rimento all’ambito specialistico della formazione universitaria, sia in altri contesti di comunicazione, contraddistinti da usi meno formali della lingua. Nei paragrafi che seguono (cfr. Parr. 2.5.1.1, 2.5.2.1) vengono, inoltre, presentati degli esempi di applicazione che si ricollegano a tali presupposti teorico-metodologici per la formazione linguistica di studenti universitari di Italiano L2 (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010). In tali esempi di applicazione particolare attenzione è stata prestata ai seguenti aspetti: − −
selezione di contenuti pertinenti con i percorsi di studio degli studenti, sul piano linguistico e disciplinare; individuazione di compiti autentici per i settori di studio e per altri ambiti significativi di socialità sul piano pragmatico.
2.5.1. Approccio CLIL Il CLIL (Content and Language Integrated Learning), acronimo introdotto nel 1994 (Marsh 1994), è un approccio educativo di tipo immersivo, volto a potenziare l’apprendimento di una lingua straniera utilizzata come veicolo per acquisire i contenuti disciplinari oggetto di studio. Il CLIL nasce nei primi anni Novanta a seguito di richieste persistenti provenienti dalle istituzioni europee (Consiglio d’Europa e Commissione Europea) per lo sviluppo di programmi scolastici che utilizzino come lingue veicolari le lingue straniere (LSV). La richiesta delle istituzioni europee è legata alla politica di sviluppo del multilinguismo e alla necessità di assicurare conoscenze in almeno due lingue comunitarie non native al fine di soddisfare le esigenze del mondo globalizzato, ma anche per poter creare quelle condizioni di maggior mobilità e conoscenza reciproca fra cittadini permesse dal Trattato di Maastricht (Coonan 2016: 63).
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Il CLIL, come approccio integrato per la costruzione di competenze e abilità linguistico-comunicative in lingua straniera e, insieme, per lo sviluppo di conoscenze disciplinari, viene elaborato, dunque, per favorire la mobilità in una società globale sempre più caratterizzata dal plurilinguismo (cfr. Cap. I, Par. 1.2), strumento indispensabile per la comunicazione internazionale. Per quanto riguarda la valenza più propriamente formativa dell’approccio CLIL in Jafrancesco (2016: 22) vengono sintetizzate le seguenti finalità di formazione: − − − − − − − −
sviluppo delle abilità di comunicazione interculturale; preparazione per l’internazionalismo; opportunità di studiare una materia da punti di vista diversi; accesso alla terminologia specifica di una determinata disciplina; miglioramento della competenza complessiva nella lingua target; sviluppo delle abilità comunicative orali; diversificazione dei metodi e delle modalità della pratica in aula; aumento della motivazione degli studenti.
Gli obiettivi di natura prettamente linguistica, come, per esempio, l’accesso alla terminologia microlinguistica di una determinata disciplina, sono comunque «subordinati» all’acquisizione di contenuti disciplinari, che resta la finalità prioritaria nell’ottica CLIL, in quanto derivano dagli obiettivi della disciplina e sono intimamente radicati nel contenuto stesso (fatti, concetti ecc.), nelle sue caratteristiche linguistiche (microlingua, generi, tipi testuali ecc.), nelle modalità di insegnamento e apprendimento (spiegazioni, commenti, sintesi, riassunti, interazioni, monologhi ecc.) e nella consapevolezza di quanto sia importante la competenza linguistica perché lo studente possa accedere ai contenuti, costruire e dimostrare la sua conoscenza (Coonan 2014: 30).
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Non si tratta, tuttavia, solo di focalizzare l’attenzione degli studenti sugli elementi linguistici che veicolano un certo contenuto disciplinare, evidenziando, per esempio, a livello macrotestuale, i tratti costitutivi di un genere testuale, che dovrà essere compreso e prodotto dagli studenti (Coonan 2014). Per apprendere in modo integrato lingua e contenuti disciplinari, infatti, gli studenti sono impegnati altresì in operazioni che implicano il possesso di competenze e abilità di tipo cognitivo-accade-mico (Cognitive Academic Language Proficiency, CALP) (Cummins 2000), necessarie per svolgere compiti complessi nel contesto di studio, favorite dall’impiego di tecniche e metodologie riconducibili anche a strategie di apprendimento trasversali a più discipline. Compito del docente è allora quello di integrare l’insegnamento di lingua e contenuti, adottando alcune modalità didattiche per facilitarne l’apprendimento. Le seguenti modalità vengono segnalate come preferenziali (TKT CLIL 2010)18:
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identificazione delle modalità per integrare le TIC nell’insegnamento (p. es. uso di presentazioni in PowerPoint per la preparazione della lezione; uso di strumenti digitali per la condivisione delle informazioni); adattamento dei materiali a livello di contenuti e di impostazione grafica (p. es. selezione delle informazioni importanti e omissione di quelle non rilevanti; uso di layout chiari per facilitare la comprensione); inclusione di modalità didattiche di scaffolding19 (p. es. suddivisione di un compito in fasi successive; uso di glossari per la spiegazione di termini non noti);
18. TKT CLIL 2010 è il Manuale per la preparazione al Teaching Knowledge Test, la certificazione di competenza nel campo dell’insegnamento della lingua inglese secondo l’approccio CLIL, ufficialmente riconosciuta e rilasciata dal Cambridge English Language Assessment dell’Università di Cambridge. 19. Sulle modalità didattiche di scaffolding, cfr. Jafrancesco 2016a.
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proposte di attività collaborative che aumentano lo student talking time (p. es. svolgimento di attività Task Based Learning e di autovalutazione tra pari e di gruppo); sviluppo delle strategie per facilitare la comprensione orale e scritta (p. es. spiegazione degli obiettivi di apprendimento; lavoro sulle strategie di apprendimento (cfr. Par. 2.4.1, 2.4.2)
2.5.1.1. Esempio di applicazione CLIL La proposta formativa di Fragai, Fratter, Jafrancesco (2010), tenendo conto dei bisogni di apprendimento degli studenti universitari di Italiano L2, che devono essere capaci di muoversi in situazioni comunicative primariamente di ambito accademico, ha accolto alcuni principi metodologici dell’approccio CLIL (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a). Tale scelta è evidente nella selezione dei contenuti tematici, ascrivibili ai vari settori disciplinari degli studenti universitari: ogni fase del percorso è stata dedicata a determinati «saperi», di natura umanistica o tecnico-scientifica, affrontati in un’ottica interdisciplinare e trasversale ai vari ambiti di studio. Nella classe di lingua, infatti, sono presenti in genere studenti con interessi in uno specifico ambito disciplinare, che non sono necessariamente in grado di gestire testi a carattere specialistico, appartenenti a indirizzi di studio diversi dal proprio, ma sono comunque interessati a gestire testi di livello divulgativo relativi a tematiche diverse. Con tale pubblico di studenti si rende necessario allora sviluppare, in ottica CLIL, competenze e abilità attraverso l’esposizione a una ricca gamma di generi testuali relativi a differenti saperi disciplinari. Come già evidenziato (cfr. Par 2.3.1), tali generi testuali sono stati trattati anche facendo riferimento alla «dimensione orizzontale», la dimensione, cioè, che attiene agli specifici contenuti che contraddistinguono i vari settori e sotto-settori di una disciplina. Per quanto concerne la dimensione orizzontale dei testi, sono stati considerati, in particolare, i
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principali settori di studio, attraverso l’identificazione di aree disciplinari di ambito universitario, come risulta dalla tabella 23. Tabella 23. Aree disciplinari di ambito universitario (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2010). Aree disciplinari e contenuti 1. Apprendimento delle lingue e autovalutazione 2. Arte e artisti 3. Lavoro ed economia 4. Ambiente e sviluppo ecosostenibile 5. Farmaci e terapie 6. Cittadinanza e diritti 7. Psicologia e mondo giovanile 8. Storia d’Italia e identità nazionale 9. Società e popolazione 10. Lingua, media e comunicazione 11. Architettura e architetti 12. Ingegneria e tecnologia 13. Lettere e cinema 14. Medicina e alimentazione 15. Scienza e ricerca
Quanto, invece, alla dimensione verticale e allo sviluppo integrato di lingua e contenuti, si è cercato di favorire il passaggio verso lo sviluppo di competenze linguistiche di livello superiore e verso lo svolgimento di compiti cognitivamente più impegnativi, utilizzando vari tipi di strumenti e di risorse per permettere agli studenti di accedere a testi complessi dal punto di vista lessicale, sintattico e cognitivo e, allo stesso, di sviluppare competenze e abilità per lo studio di contenuti specialistici in Italiano L2. In questo senso, per tenere sotto controllo la leggibilità e la comprensibilità dei testi che sono, talvolta, «al di fuori della possibilità di comprensione immediata da parte degli studenti sia per la specificità del linguaggio utilizzato sia per la densità dei concetti veicolati» si è fatto ricorso a strategie di vario genere (TKT CLIL 2010), utilizzando, tra l’altro, tecniche di
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semplificazione testuale e controllando la complessità lessicale dei testi attraverso l’uso del Vocabolario di Base (De Mauro 1997). Riguardo a quest’ultimo aspetto, sono state impiegate, inoltre, modalità di scaffolding per la presentazione di glossari che contengono principalmente termini ed espressioni di significato specialistico, che non fanno parte del Vocabolario di Base o che si riferiscono a conoscenze enciclopediche non necessariamente possedute dagli studenti. Ampio rilievo ha avuto inoltre la focalizzazione sugli aspetti legati ai meccanismi che facilitano lo svolgimento di compiti cognitivamente più impegnativi e all’uso di strategie di apprendimento (cfr. Parr. 2.4.1, 2.4.2). La riflessione su tali tipi di strategie è, infatti, particolarmente rilevante in ambiente CLIL, che, «in quanto approccio integrato, richiede ma anche sollecita l’utilizzo di strategie trasversali che non potranno che rivelarsi utili alla maturazione complessiva dell’allievo» (Nalesso 2006: 135). A riprova del positivo riscontro che l’applicazione del CLIL ha avuto in relazione alla scelta di proporre un percorso formativo esplicitamente articolato per aree disciplinari (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a), si riporta la testimonianza di uno studente universitario a cui, nella prima fase di sperimentazione del percorso, era stato somministrato un Questionario di valutazione sulla qualità e sull’efficacia della formazione seguita: Attraverso i testi ho conosciuto meglio la cultura italiana e i fatti importanti che fanno parte della storia italiana.
2.5.2. Metodologia Task Based Learning Tra le varie metodologie utilizzate per la formazione linguistica si sottolinea la posizione del Task Based Learning (TBL) per l’importanza che riveste nell’apprendimento/insegnamento integrato dei contenuti disciplinari e della lingua. La metodologia TBL prevede che lo svolgimento del compito sia articolato in tre fasi: pre-task, task cycle, post-task (Willis 1996). Nella prima fase, il pre-task, vengono poste le basi per il
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successivo svolgimento del compito, viene presentato e introdotto il compito da svolgere e il «focus can be on new vocabulary and useful phrases the learners might need for the actual task work» (Kessler, Plesser 2011: 169). Nella seconda fase, il task-cycle suddivisa a sua volta in tre sottofasi gli studenti entrano nel vivo del lavoro: durante l’esecuzione lavorano a coppie o a gruppi per la realizzazione del compito assegnato e sono impegnati nella negoziazione del significato, attraverso attività quali «draft notes, discuss outline, write first draft, exchange drafts with another and ask them to suggest improvements» (Thomas, Reinders 2010: 238); durante la pianificazione si organizzano per il resoconto del lavoro svolto; infine, durante la presentazione, illustrano il proprio lavoro all’intera classe, con resoconti scritti, oppure orali. Durante questa fase gli studenti hanno l’opportunità di esercitare la lingua prestando attenzione sia all’accuratezza formale che alla fluenza (Willis 2009: 240). La terza e ultima fase, il post-task, prevede la riflessione linguistica sulle strutture utilizzate dagli studenti nell’esecuzione del compito attraverso l’osservazione delle relazioni tra forma e funzione. In questa fase la focalizzazione, dunque, è sulla forma: l’insegnante riporta all’attenzione degli studenti le strutture utilizzate e necessarie per la realizzazione del task e gli apprendenti si concentrano maggiormente sulla forma linguistica, che dovrà essere chiara ed efficace per riferire i risultati ottenuti dal gruppo. Si tratta dunque di agire con la lingua per scopi reali, mettendo in primo piano il processo di negoziazione dei significati tra pari per lo svolgimento dei task che permettono di realizzare vari scopi comunicativi. Durante l’esecuzione di tali compiti, il focus è dunque orientato al significato, dal momento che il task è un’attività che involves learners in comprehending, manipulating, producing or interacting in the target language while their attention is focused on mobilizing their grammatical knowledge in order to express meaning, and in which the intention is to convey meaning rather than to manipulate form (Nunan 2004: 4).
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Fondamentale nella metodologia TBL è proprio la selezione dei compiti20, che devono essere adatti alla domanda di formazione del pubblico di studenti universitari di Italiano L2. In generale, il docente può scegliere tra tre possibili orientamenti: − −
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task organizzati a partire dalle forme linguistiche necessarie a svolgere il compito (Fotos, Ellis 1991); task organizzati a partire dalla naturalezza del compito, alla connessione con il mondo reale in cui la comunicazione è un processo di negoziazione (Long 1988); task organizzati a partire dalla naturalezza del compito, focalizzando l’attenzione sulle forme linguistiche (Focus on Form) (Willis 1996; Skehan 1998).
L’orientamento Focus on Form sembra quello più congeniale a un pubblico di apprendenti giovani adulti, come sono gli studenti stranieri universitari, propensi a considerare «l’apprendimento di una seconda lingua quasi esclusivamente come apprendimento basato sulla conoscenza della ‘grammatica di una lingua’» (Argondizzo 2009: 27). Il Focus on Form ha la peculiarità di overtly draws students’ attention to linguistic elements (words, collocations, grammatical structures, pragmatic patterns, and so on), in context, as they arise incidentally in lessons whose overriding focus is on meaning, or communication (Long, 1991, cit. in Doughty 2001).
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Tra le principali difficoltà di applicazione del TBL vi è proprio la selezione del tipo di task in termini di complessità, che può essere misurabile sulla base di due variabili (Skehan 1998): l’esecuzione relativamente al tempo, alla velocità dello svolgimento, alla lunghezza dei testi, al grado di controllo dell’interazione; il carico cognitivo, ovvero la familiarità dell’apprendente con l’argomento, il modo con cui è organizzata l’informazione e la quantità di elaborazione richiesta per la realizzazione del compito. Su altre criticità collegate a questo metodologia didattica, cfr. Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a.
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Infatti, coerentemente con l’Ipotesi della Nota («Noticing Hypothesis») (Schmidt 2001), affinché un input diventi intake è necessario che “sia notato”, cioè che sia sottoposto all’attenzione dell’apprendente. La focalizzazione sulla forma, tuttavia, non avviene all’inizio delle attività, ma ha luogo nella fase di post-task ed è il momento in cui l’insegnante, a partire dall’interlingua degli apprendenti, fa “notare” le forme, incentrando l’attenzione sulla gamma di possibilità offerte dalla lingua. Una considerazione conclusiva a proposito dell’efficacia del TBL nella formazione di studenti stranieri universitari riguarda, infine, lo sviluppo delle cosiddette «competenze sociali e civiche» e della «consapevolezza ed espressione culturale» (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b), che trovano nel contesto TBL uno spazio ideale per la loro applicazione. Lo svolgimento di task con modalità di gruppo, incentrate sull’interazione tra i membri, promuove, infatti, la capacità di assumere il proprio ruolo all’interno del gruppo, lavorando in modo responsabile e rispettando le opinioni altrui, e favorisce la diffusione di un atteggiamento aperto al confronto fra punti di vista differenti e al rispetto delle diverse identità culturali, come auspicato nei più importanti documenti europei21. 2.5.2.1. Esempio di applicazione del TBL Sulla base di quanto affermato a proposito dell’efficacia del TBL (cfr. Par. 2.5.2), sono stati adottati alcuni principi di tale metodologia in Fragai, Fratter Jafrancesco 2010, che riserva uno spazio particolare a tali aspetti nella sezione «Laboratorio». Il Laboratorio rappresenta, infatti, la componente di tipo procedurale del percorso formativo, in cui, in modo più esplicito che in altre parti, viene applicato un paradigma di apprendimento come insieme di attività da svolgere secondo metodologie TBL 21. Sul rapporto di tali competenze chiave, essenziali per lo sviluppo della «cittadinanza europea» e trasversali alle più generali competenze interculturali, cfr. Par. 1.5.1.1.
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e tramite il ricorso a risorse multimediali di vario genere (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a). La sezione, pertanto, suggerisce vari tipi di compiti autentici e significativi per i settori di studio degli studenti universitari (p. es. redigere un testo accademico), che permettono di mettere a frutto le conoscenze acquisite, in termini di competenze generali e di competenze linguistico-comunicative, rendendole spendibili sia in ambito accademico, sia in altri contesti di socialità. Gli studenti stranieri universitari, come precedentemente evidenziato, hanno specifici bisogni di apprendimento in Italiano L2 (cfr. Cap. I, Par. 1.8): frequentano le lezioni universitarie in italiano nella maggior parte dei casi e hanno principalmente motivazioni all’apprendimento dell’Italiano L2 di tipo strumentale. Vi sono, tuttavia, anche studenti che, per effetto dei processi di internazionalizzazione delle università, frequentano le lezioni universitarie o svolgono attività di ricerca in lingua inglese, studiando l’italiano anche con motivazioni di natura integrativa, vale a dire per muoversi nella realtà quotidiana delle città in cui frequentano l’università e in cui vivono. In entrambi le situazioni la lingua italiana costituisce uno strumento per raggiungere il proprio obiettivo linguistico-comunicativo e deve essere adeguata ai compiti comunicativi che gli studenti dovranno svolgere: una lingua più formale e di tipo settoriale per coloro che usano l’italiano per assistere alle lezioni universitarie, una lingua spendibile in una pluralità di ambiti di socializzazione per coloro che usano l’inglese per assistere alle lezioni universitarie o per svolgere attività di ricerca. Nel Laboratorio i task rispondono a entrambi le esigenze di comunicazione e sono mirati alla realizzazione condivisa di prodotti finali (p. es. fare una presentazione multimediale), attinenti ai vari contenuti disciplinari, proposti in testi con gradi di formalità diversi. Tali task sono svolti in gruppo attraverso modalità didattiche proprie del Cooperative Learning22. Tali moda22. Sulle motivazioni all’impiego del Cooperative Learning in ambiente CLIL, cfr. Lucietto 2006.
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lità di lavoro permettono di allargare le reti di comunicazione all’interno dei gruppi e motivano gli studenti a lavorare attivamente e a scambiare idee e opinioni, focalizzando l’attenzione dapprima sul significato e sul contenuto non linguistico, e solo successivamente sulla forma linguistica (cfr. Par. 2.5.2). Il Laboratorio, insomma, come spazio in cui risulta più evidente il significato di «classe» nella sua accezione di «universo di socialità» (Vedovelli 2010: 120), esalta la dimensione dell’interazione e della negoziazione dei significati, fondamentale per la costruzione di nuovi saperi e di nuove competenze, non solo a livello di lingua e di contenuti, ma anche a livello di abilità civiche e sociali (cfr. Par. 2.5.2) e procedurali. Nella proposta applicativa del Laboratorio sono indicati i macro-obiettivi da raggiungere in termini di compiti da eseguire; inoltre vengono suggeriti, da una parte, le varie fasi operative di lavoro con le principali procedure operative che possono essere ridotte o espanse in base alle esigenze del gruppo classe dall’altra vengono indicati i tipi di risorse multimediali che gli studenti possono utilizzare per realizzare i task. Per favorire pratiche di riflessione su quanto è stato realizzato, a chiusura della sezione vengono forniti, inoltre, dei criteri di valutazione finale dei compiti svolti, che permettono di monitorare, in modo collaborativo e trasparente, le attività svolte in termini di: − − − − −
impegno orario difficoltà del compito interesse per il compito livello di collaborazione con i compagni giudizio globale sul compito
Grazie alla varietà dei task e delle attività suggerite nel Laboratorio, è stato possibile sperimentare, secondo l’approccio CLIL e la metodologia TBL, percorsi formativi, affini per impostazione metodologica-operativa a quella presentata qui e nei paragrafi 2.5.1.1, 2.5.2.1, efficaci per lo sviluppo di competenze
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e abilità in ambito disciplinare, come illustrato nelle pagine seguenti (cfr. Par. 2.6.).
2.6. Trasferibilità dei modelli: percorsi di sperimentazione I percorsi formativi elaborati secondo l’impostazione metodologica-operativa in ottica CLIL e TBL (cfr. Parr. 2.5.1.1, 2.5.2.1) sono stati sperimentati attraverso un progetto, realizzato presso i Centri Linguistici di Ateneo (CLA) di Firenze e di Padova e relativo agli ambiti disciplinari della Storia dell’Arte e della Storia (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a). Tali ambiti disciplinari risultano di interesse per gli studenti, anche perché riguardanti la conoscenza del territorio in cui si trovavano a vivere durante il soggiorno in Italia. Pertanto, i task destinati al pubblico di studenti universitari di Italiano L2 dovrebbero riguardare temi significativo legati ai settori di studio e di ricerca, il cui utilizzo, però, sia trasferibile anche in altri contesti di socialità degli studenti (p. es. l’arte per il turismo, la medicina per la salute e la cura personale, l’economia per confronti interculturali tra i diversi paesi di appartenenza degli apprendenti). L’obiettivo della sperimentazione è stato quello di sviluppare negli studenti competenze trasversali che potessero essere trasferite anche in altri apprendimenti. Tra le competenze sviluppate vi sono state da un lato la capacità di relazionare oralmente in pubblico (comunicazione unidirezionale) su studiosi/personaggi significativi di determinati ambiti disciplinari, con il supporto di una presentazione multimediale e dall’altro la capacità di descrivere dettagliatamente opere d’arte e/o aspetti dell’architettura di luoghi storicamente importanti attraverso la realizzazione di una guida turistica audio o video. Il progetto realizzato si è articolato in sette fasi. La prima fase (cfr. Tab.10, Fase I) corrisponde alla fase di pre-task (cfr. Par. 2.5.2), in cui è stato introdotto il compito da svolgere e sono stati chiariti gli obiettivi formativi a cui mirava. La scelta del luogo e dei personaggi è dipesa dal percorso di studi di ciascun apprendente. In questa fase gli studenti di Padova hanno fatto
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una vista guidata in alcuni luoghi della città per osservare monumenti, piazze, luoghi culturalmente interessanti, ascoltando una guida professionista, che li ha accompagnati nel tour. Già in questa prima fase è iniziata la raccolta di una prima documentazione attraverso scatti fotografici, riprese video e raccolta di brevi brochure turistiche dei luoghi vistati, mentre gli studenti di Firenze hanno lavorato in gruppo per reperire informazioni, sfruttando le specifiche competenze del settore di studio di ciascun membro del gruppo. Nella seconda fase di task cycle (cfr. Tab. 24) gli studenti, lavorando in piccoli gruppi e sotto la supervisione dell’insegnante, si sono preparati a realizzare il proprio task. In questa fase sono stati selezionati i contenuti e sono stati organizzati nel modo più adeguato per il compito da svolgere. Gli studenti hanno fatto ricorso anche alle loro preconoscenze sull’argomento e ciascuno ha dato il proprio contributo al gruppo in relazione alle competenze legate al proprio settore di studi o all’interesse personale per l’argomento. La sperimentazione ha visto la realizzazione da una parte di una audio/videoguida per altri studenti stranieri su alcuni luoghi di interesse storico-artistico della città di Padova, dall’altra la realizzazione di presentazioni multimediali, arricchite da materiale iconico di vario genere, a supporto di presentazioni orali su personaggi significativi (artisti, letterati, studiosi ecc.) del proprio settore di studi.
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Tabella 24. Percorso di sperimentazione. Fase I e II (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a: 217). B1 – CLA di Padova B2 – CLA di Firenze Fase I: Pre-task – Preparazione e raccolta dei materiali − Scelta del luogo da presen- − Scelta di un personaggio (artitare a un amico/parente. sta, letterato, pedagogista, scienziato) attinente al proprio − Presa di appunti (per chi settore di studio da presentare partecipa alla visita guidaalla classe. ta), documentazione su guida turistica o altro. − Documentazione in Internet sul personaggio scelto e sele− Sopralluogo del posto indizione dei materiali utili (imviduato, per visitarlo, scatmagini, filmati ecc.). tare foto dei particolari da descrivere (luoghi, monumenti). Fase II: Task cycle – Selezione materiali audio e video − Selezione di foto e video − Selezione dei contenuti da ilrealizzati da descrivere nellustrare nella presentazione. la guida (oralmente e con − Scelta dei materiali per il paraalcune didascalie). testo. − Stesura di una trac− Definizione della struttura delcia/mappa dei punti princila presentazione (scaletta). pali da presentare nella − Documentazione sulle caratteguida (parte audio). ristiche di una presentazione − Realizzazione di storymultimediale e di una presenboard e definizione della tazione orale. struttura della guida: immagini, sequenze, tipo di descrizione (p. es. didascalie, solo voce narrante).
Poiché i task prevedevano la realizzazione di una guida audio-video e di una presentazione multimediale, la terza fase (cfr. Tab. 25) è stata dedicata, in particolare, alla selezione e all’utilizzo delle tecnologie informatiche per la realizzazione del compito. Si è trattato di individuare gli strumenti a diposizione degli studenti in termini di portable device (p. es. smartphone, tablet, computer portatili), di software utilizzabili
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per la realizzazione concreta del compito (p. es. Prezi, PowerPoint) e software per il montaggio delle sequenze audio e/o video (p. es. Storehouse23) e di repository per condividere il lavoro realizzato dai gruppi (p. es. Vimeo, Dropbox). La scelta dei software operata dal gruppo del CLA di Padova e dal gruppo del CLA di Firenze è stata sostanzialmente analoga. Interessante dal punto di vista dell’uso delle TIC da parte di questa tipologia di apprendenti è il fatto che, pur trattandosi di utenti relativamente giovani e dunque abituati all’uso delle nuove tecnologie, si supponeva che avessero anche un atteggiamento aperto verso la Rete e fossero disposti, se non addirittura propensi, a condividere con altri internauti i propri lavori; in realtà si sono dimostrati piuttosto restii e molti di loro hanno persino richiesto di condividere i materiali prodotti in sistemi di repository riservati al solo gruppo classe. Inoltre, il tipo di scelta fatta dei software da utilizzare può essere definita piuttosto “tradizionale”, vale a dire sono stati usati principalmente i software maggiormente conosciuti (p.es. PowerPoint). In generale questo tipo di studenti sembra confermare quanto evidenziato in una recente indagine (Fratter, Altinier 2015), cioè che gli studenti stranieri universitari, pur avendo le caratteristiche dei digital natives, non sono tuttavia «digital learners», così come sono stati definiti nella citata indagine (cfr. Cap. III, par. 3.6.2). La quarta fase (cfr. Tab. 9) è stata dedicata alla realizzazione concreta del compito, in base alle caratteristiche stabilite nelle fasi precedenti e gli studenti hanno avuto piena autonomia nella modalità di svolgimento del lavoro (tempistica, incontri, scelta degli strumenti multimediali, modalità di lavoro in presenza e/o online). Una volta terminato il lavoro, insieme all’insegnante e compatibilmente con gli impegni degli studenti, sono state stabilite le date delle presentazioni dei lavori alla classe sono stati definiti dagli stessi studenti ruoli e compiti all’interno di ciascun gruppo.
23. Si tratta di una App tra le numerose disponibili che permette di realizzare storie multimediali composte da fotografie, brevi video, audio e testo scritto.
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Tabella 25. Percorso di sperimentazione. Fase III e IV (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a: 219). B1 – CLA di Padova B2 – CLA di Firenze Fase III: Task cycle – Software per realizzare il task − Uso di software specifici per − Uso di software per videorendere la guida trasferibile e scrittura (p. es. Microsoft per poterla consultare priWord). ma/durante la vista al luogo − Uso di software per descritto. slideshow (p. es. Power− Uso di software per realizzaPoint). re un documento leggibile − Uso di software per video (p. sui dispositivi mobili (iPad, es. Movie Maker). smartphone, tablet). − Formato per file di testo − Formati per audio (MP3), (DOCX), video (MP4), imvideo (MP4), immagini magini (JPEG). (JPEG). Fase IV: Task cycle – Realizzazione del task − Titolazione − Stesura di un testo scritto con dell’audio/video guida. le caratteristiche di una scheda biografica. − Stesura dell’indice dei contenuti. − Selezione dei contenuti testuali e iconici per la presentazio− Scelta della modalità di dene multimediale. scrizione (p. es. immagini fisse/video più voce nar− Realizzazione della presentarante). zione multimediale. − Realizzazione dell’audio/video guida.
La quinta fase (cfr. Tab. 26) è stata dedicata alla presentazione orale supportata da slide, video, schemi, mappe ecc. La scelta del tipo di impegno da parte del pubblico durante la presentazione è stato diverso nei due contesti: nel progetto di Firenze, gli studenti uditori hanno preso appunti, per poi ricostruire sinteticamente in gruppo i contenuti appresi; mentre per il gruppo di Padova è stata predisposta da parte di tutti i membri della classe una griglia per la valutazione del lavoro svolto, tenendo conto di alcuni parametri quali, per esempio, la chiarezza dell’esposizione, la creatività e fruibilità del prodotto realizzato;
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le valutazioni sono state confrontate e argomentate dagli studenti in classe. Le presentazioni (diapositive, video, file audio ecc.) e le registrazioni effettuate durante la presentazione in classe sono state condivise, a scelta, fra i membri del gruppo attraverso sistemi di repository come Dropbox e Vimeo e social network come Facebook. Tabella 26. Percorso di sperimentazione. Fase V, VI, VII (Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a: 220). B1 – CLA di Padova B2 – CLA di Firenze Fase V: Task cycle – Condivisione − Presentazione in classe della − Presentazione in classe dei laguida. vori − Condivisione della guida (p. − Condivisione dei lavori (p. es. Dropbox, Vimeo). es. su Facebook, Dropbox) Fase VI: Focus on form – Focus linguistico − Trascrizione e analisi − Trascrizione e analisi dell’interlingua (p. es. fonetidell’interlingua (p. es. uso del ca). passato remoto). − Esercitazioni. − Esercitazioni. Fase VII – Valutazione del lavoro svolto − Somministrazione di un que- − Somministrazione di un questionario stionario
Tutte le presentazioni dei lavori in classe sono state videoregistrate e sono servite per la sesta fase (cfr. Tab. 26) di Focus on Form. Poiché i task assegnati erano di tipo «aperto» (cfr. Par. 2.5.2), sono stati prodotti, di conseguenza, una significativa varietà di compiti realizzati, difficilmente prevedibili in tutte le loro parti (Ellis 1994). Pertanto, è stato scelto di focalizzare l’attenzione sugli aspetti della lingua risultati maggiormente critici, anche tenendo conto dei sillabi del livello di riferimento dei corsi. Per esempio, la presentazione multimediale di studiosi/personaggi famosi relativi a specifici settori di studio (CLA di Firenze) ha fatto emergere la necessità di focalizzare l’attenzione, per esempio, sull’uso dei tempi passati nelle biografie. La trascrizione di alcune parti delle presentazioni è stata
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utilizzata successivamente per realizzare esercizi mirati sugli aspetti della lingua esaminati. A conclusione del percorso formativo, cioè nella settima fase (cfr. Tab. 26), gli studenti che hanno partecipato al progetto hanno valutato il lavoro svolto attraverso un questionario di valutazione24, con domande aperte e chiuse. Dai dati del questionario, limitandosi a focalizzare l’attenzione su una selezione di quesiti, i più significativi rispetto al tema di questo contributo, risulta un giudizio decisamente positivo sul lavoro svolto, che ha rilevato l’apprezzamento finale per le modalità di lavoro collaborative utilizzate, per la scelta dei task da svolgere e per la possibilità di esercitare maggiormente, rispetto ai contesti di insegnamento/apprendimento tradizionali, le abilità di produzione scritta e orale. Per quanto riguarda la dimensione collaborativa del percorso TBL svolto, che, come è stato evidenziato, è stata giudicata particolarmente positiva, gli studenti si sono resi conto che lavorare con i compagni non solo ha consentito loro di rafforzare i rapporti all’interno del gruppo, ma li ha aiutati a esercitare maggiormente la lingua italiana, anche con piacevolezza. A questo proposito tre studenti scrivono quanto segue: Ho conosciuto di più alcuni dei miei colleghi, lavorare in gruppo aiuta per praticare l'italiano. Secondo me è la migliore parte delle lezioni perché così “forziamo” nostro cervello a pensare in italiano e così, almeno penso io, si impara una lingua più veloce e correttamente. Inoltre, quando si faceva i gruppi potevamo conoscere altre persone e cambiare l'esperienza culturale. Secondo me in questo modo è più piacevole e più efficace il lavoro che facciamo.
24. Sulle modalità di elaborazione del questionario, cfr. Fragai, Fratter, Jafrancesco 2016a.
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Non meno importanti sono stati il gradimento dei contenuti disciplinari legati ai settori di studio degli studenti, oppure ai loro interessi culturali e il giudizio sull’utilizzo delle tecnologie digitali, sebbene, per quest’ultimo aspetto, vi siano state anche delle considerazioni negative, riguardanti l’eccessivo dispendio di energie per la realizzazione del compito. Gli studenti ritengono fondamentale l’uso delle TIC e della Rete per il lavoro di reperimento dati, risultato in tal modo molto più veloce, e per realizzare la presentazione multimediale, funzionale all’esposizione orale, resa in tal modo molto più accessibile e motivante per i compagni. Relativamente a questi aspetti, due studenti scrivono quanto segue. Credo che sarebbe stato molto difficile fare il lavoro senza l'aiuto delle tecnologie informatiche. Potremmo aver usato libri per cercare l'informazione però sarebbe stato molto difficile spiegare queste informazioni agli altri compagni. L’uso della tecnologia fa la presentazione più interessante e aiuta le persone che la guardano a prestare più attenzione al argomento.
Concludendo, nonostante l’elevata quantità di tempo svolto dalla classe per portare a termine il task (guida audio-video, presentazione multimediale), sia in aula, sia a casa, gli studenti hanno valutato positivamente l’esperienza fatta, in relazione a quanto hanno esercitato la lingua e a quanto hanno appreso, evidenziando l’importanza di attività didattiche che, sebbene impegnative, sono motivanti, valorizzano la creatività di ciascuno e consentono di approfondire le proprie competenze e conoscenze non solo di tipo linguistico, ma anche relative ad ambiti disciplinari diversi dal proprio. Uno studente, sottolineando l’importanza dell’aver assistito alla presentazione del lavoro degli altri gruppi, dice di aver potuto così imparare più sui personaggi importanti della storia e della cultura italiana. Allo stesso modo, tutto quello che è detto agli
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altri studenti sulla loro presentazione è anche importante per noi che l’abbiamo guardata.
Mentre una studentessa afferma che sono stati momenti ricchi in cultura e informazioni, in cui soprattutto era possibile riflettere sul vocabolario, tempi verbali e parole utilizzati dallo studente che ci stava parlando.
2.7. Quadro di sintesi Le osservazioni su un possibile modello progettuale per studenti universitari di Italiano L2, articolato sullo sviluppo di vari tipi di competenze legate alla dimensione testuale, consente di trarre alcune riflessioni conclusive per tracciare, in modo più organico, ma ovviamente non definitivo, un quadro di sintesi sul profilo linguistico di questo tipo di pubblico. Non si tratta ovviamente di un sillabo, dettagliato nei contenuti e prescrittivo nelle indicazioni, ma piuttosto di una messa a fuoco che, compattando quanto finora segnalato, può contribuire a incoraggiare il confronto tra docenti, orientandoli nella ridefinizione di azioni formative da utilizzare nel proprio contesto formativo. In questo senso, delineando le possibili ricadute applicative delle riflessioni teorico-metodologiche e operative illustrate nei precedenti paragrafi, va evidenziata la priorità che alcuni obiettivi in uscita dovrebbero avere rispetto ad altri nell’insegnamento dell’Italiano L2 in ambito accademico. In primo luogo si conferma senz’altro la rilevanza dell’educazione alla testualità come condizione necessaria per lo sviluppo delle altre componenti linguistico-comunicative. Infatti è dal testo che «emergono, nella loro efficacia comunicativa e nella loro adeguatezza pragmatica, tutti gli altri livelli della lingua, sia quelli che riguardano il significato, sia quelli che riguardano la forma» (Alfieri 2016: 278). Per quanto riguarda la scelta delle coordinate per lo sviluppo delle competenze pragmatico-testuali, si sottolinea come
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l’adeguata gestione di un testo implichi saper fare delle scelte linguistiche che sono strettamente connesse sia al testo da produrre (il genere testuale e la sua struttura costitutiva), sia al contesto in cui verrà prodotto. Tali scelte sono legate al livello più o meno elevato di formalità del genere testuale e alla capacità di gestire la dimensione verticale dei testi (cfr. Par. 2.3.1) perché «ciò che in un certo tipo di testo (orale o scritto informale) è accettabile, non lo è o lo è di meno in testi più formali, specie se scritti» (Coletti 2015: 200). La capacità di gestire i testi può essere allora intesa come il progressivo sviluppo di un «comportamento linguistico» che non consiste nel seguire regole, ma nel fare progetti più o meno consapevoli su quello che vogliamo dire, e nello scegliere, nel repertorio che la lingua ci offre, i mezzi di espressione che ci sembrano più adeguati. Padroneggiare con sicurezza le regole e fare scelte consapevoli sono compiti molto diversi, sia nell'apprendimento di una lingua, sia nella riflessione sulla sua struttura (Prandi 2006: 3).
Le indicazioni e i suggerimenti di tipo metodologicooperativo per la formazione di studenti universitari di Italiano L2 dovrebbero includere, dunque, una serie di competenze, da intendersi come risultati di apprendimento25 maggiormente “sensibili” nel dominio accademico e riguardanti la capacità di fare scelte consapevoli nell’ambito della testualità. Tale dimensione metodologica-operativa viene trattata entro un approccio per competenze chiave trasversali (cfr. Cap. I, Par. 1.4.2), legate in primo luogo ai processi di internazionalizzazione dei sistemi formativi, che contribuiscono a promuovere a pieno titolo la mobilità e la cooperazione internazionale nella società contemporanea. Il richiamo al concetto di «competenze chiave» si giustifica perché esse 25. Sul rapporto tra apprendimento e sviluppo di competenze si fa riferimento in parte al concetto di «competenza», riportato nella Raccomandazione dell’UE (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2008), su cui cfr. Par. 1.4.2, dove si descrive il contesto politico-linguistico entro cui è stato elaborato il documento.
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rappresentano bene il quadro di riferimento dell’istruzione e dell’educazione e sono in grado di costituire la cornice e lo sfondo per tutti i saperi e le competenze specifiche ancorate ai diversi settori in cui l’apprendimento e l’attività umana si dispiegano. Sono chiamate, appunto, “chiave”, perché sono a buon diritto delle “metacompetenze”, travalicano le specificità disciplinari, per delineare quegli strumenti culturali, metodologici, relazionali che permettono alle persone di partecipare e incidere sulla realtà (Da Re 2013).
Entro tale cornice di riferimento nei paragrafi che seguono sarà indicata una serie di obiettivi formativi in uscita, tendenzialmente prioritari per l’insegnamento dell’Italiano L2 all’università, comuni ai vari profili socioculturali degli studenti universitari e trasversali a più settori di studio e tra loro. Tali obiettivi sono stati formulati sulla base dell’ipotesi di progettazione seguita in questo capitolo ed evidenziando il legame tra competenze specifiche e competenze chiave (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b) relative − − −
alla comunicazione nelle lingue straniere; alla competenza digitale; all’imparare a imparare.
2.7.1. Comunicazione nelle lingue straniere Come osservato precedentemente (cfr. Par. 2.3.1), va ricordato che gli studenti universitari dovrebbero acquisire, come competenza sovraordinata, la capacità di saper gestire testi, controllando il piano della dimensione verticale dei testi specialistici e d’uso comune, a livello ricettive e produttivo, in «una gamma appropriata di contesti sociali e culturali − istruzione e formazione, lavoro, casa, tempo libero − a seconda dei desideri o delle esigenze individuali» (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006b). Gli obiettivi formativi per l’Italiano L2 nel contesto accademico dovrebbero allora mirare
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a far acquisire agli studenti le competenze testuali di seguito proposte. Livello macro-testuale: − saper riconoscere i tratti costitutivi di generi testuali d’interesse, identificandone le caratteristiche fondamentali (p. es. saper individuare le parti costitutive del testo e la loro funzione in un articolo scientifico); − saper individuare il contesto comunicativo in cui si colloca uno specifico genere testuale, identificandone l’argomento e i destinatari (p. es, individuare l’argomento generale e i possibili destinatari in un saggio breve); − saper riflettere sulla variazione diafasica e sui diversi gradi di formalità dei testi, trasformando un genere testuale in un altro che condivide lo stesso argomento (p. es. saper trasformare una relazione orale a un convegno in un articolo di giornale per un pubblico non specializzato); − saper capire e produrre testi per fini di studio rilevanti nella comunicazione d’ambito accademico sulla base di modelli dati (p. es. testi di tipo argomentativo come la tesina scritta); − saper realizzare testi in formato digitale utilizzando diversi canali comunicativi come supporto a una presentazione orale su un argomento di studio (p. es. saper fare una presentazione multimediale selezionando contenuti e curando l’impostazione grafica). Livello micro-testuale: − saper riconoscere i meccanismi di coesione di un testo e saperli riutilizzare (p. es. saper individuare i tipi di sostituenti); − saper riconoscere i meccanismi di coerenza di un testo e saperli riutilizzare (p. es. saper individuare la funzione dei connettivi sintattici e testuali);
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saper riconoscere gli elementi pragmatici e saperli riutilizzare (p. es. saper individuare le funzioni dei segnali discorsivi interazionali); saper utilizzare in modo adeguato lessico specialistico relativo a un certo ambito di studio (p. es. comprendere il significato di termini relativi a uno specifico settore di studio); saper essere consapevoli dei meccanismi di formazione delle parole (derivazione, composizione, alterazione) per capire parole non conosciute (p. es. saper individuare il significato di alcuni prefissi); saper individuare il livello di formalità di un testo sulla base del lessico utilizzato (p. es. saper riconoscere gli usi tecnico-specialistici delle parole nelle collocazioni); saper riconoscer le funzioni dei segni di interpunzione e saperli riutilizzare in modo adeguato in un testo (p. es. saper utilizzare un’adeguata punteggiatura per indicare le pause in un testo).
2.7.2. Competenza digitale La competenza digitale − trasversale a ogni altra competenza e collegata alla rivoluzione tecnologica che ha comportato lo sviluppo delle TIC (cfr. Cap. III) −, riveste un ruolo primario nei processi educativi per le innumerevoli opportunità che offre non solo come supporto per la trasmissione di contenuti disciplinari, ma anche come risorsa basate su «un modello teorico di riferimento di stampo socio-costruttivista, un orientamento che vede l’apprendere come una co-costruzione della conoscenza realizzata attraverso l’interazione tra le persone» (Fratter, Jafrancesco 2014: 30). Nel caso degli studenti universitari, per definizione digital natives nell’uso delle tecnologie digitali26, si ritiene opportuno prevedere obiettivi formativi focalizzati sullo sviluppo di alcune 26. Sul profilo tecnologico degli studenti digital natives e sulla correlazione tra uso delle TIC e uso degli strumenti del Web 2.0 per la formazione, cfr. Par. 3.6.2.
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competenze digitali, come emerso anche nella sperimentazione di percorsi formativi (cfr. Par. 2.6), che vengono elencate di seguito, facendo riferimento alla classificazione di Ferrari, Punie, Brecko (2013) per aree fondamentali di competenza digitale27. Informazione: − saper consultare diverse fonti di informazione online, valutandone la validità e l’attendibilità, per realizzare testi cartacei o multimediali (p. es. saper analizzare la struttura di siti con risorse, analizzandone la frequenza degli aggiornamenti e il funzionamento dei link esistenti); − saper selezionare risorse digitali per la riflessione metalinguistica e l’analisi della lingua italiana (p. es. saper selezionare dizionari autorevoli online bilingui e monolingui28); − saper selezionare e usare risorse digitali per la trasmissione di contenuti disciplinari in lingua italiana (p. es. saper selezionare siti specifici e portali dove reperire informazioni autorevoli per realizzare testi cartacei o multimediali su argomenti di studio); − saper organizzare e condividere un archivio di fonti ricavate da Internet per facilitare il recupero di contenuti da usare per la realizzazione di testi cartacei o digitali su argomenti di studio o di interesse (p. es. saper usare repositoring come Dropbox, Vimeo, Google Drive).
27. Ferrari, Troia (2015: 4) propongono al pubblico italiano il framework di riferimento europeo per la descrizione e la valutazione delle competenze digitali sulla base di una prospettiva che «non guarda all’uso di strumenti specifici, ma ai bisogni di cui ogni cittadino della società dell’informazione e comunicazione è portatore: bisogno di essere informato, bisogno di interagire, bisogno di esprimersi, bisogno di protezione, bisogno di gestire situazioni problematiche connesse agli strumenti tecnologici ed ambienti digitali». Nel documento vengono individuate le cinque seguenti macroaree di competenze digitali: Informazione, Comunicazione, Creazione di contenuti, Sicurezza, Problem solving, suddivise a loro volta in ulteriori sottocompetenze. 28. Sull’utilizzo dei dizionari in rete come risorsa per l’apprendimento autonomo, cfr. Troncarelli 2016.
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Comunicazione: − saper selezionare strumenti digitali di comunicazione, in modalità sincrona e asincrona, e saper usare modalità di comunicazione adatte allo specifico strumento (p. es. selezionare Twitter29 per condividere informazioni sintetiche, usando un registro linguistico adeguato all’interazione comunicativa di questo strumento); − saper interagire con dispositivi digitali per lavori di gruppo che richiedono lo scambio e la condivisione di informazioni su argomenti di studio o di interesse (p. es. saper usare Skype per concordare in modo collaborativo le fasi di lavoro di un compito); − saper condividere le informazioni reperite e diffonderle, anche in situazioni di apprendimento informale30, attraverso social network, per presentare i prodotti multimediali creati (p. es. condividere contenuti su Facebook commentando online il compito svolto). Creazione di contenuti: − saper progettare ed editare testi multimediali su argomenti di studio o di interesse utilizzando programmi di videoscrittura, immagini, video (p. es. saper realizzare testi audio in formato MP3 da inserire in un’audioguida di un museo); − saper modificare e rielaborare i contenuti multimediali per sviluppare e migliorare contenuti già esistenti, creati individualmente o da altri (p. es. saper analizzare criticamente i contenuti presenti nel paratesto di una presentazione multimediale e modificarli per aumentare la leggibilità del testo).
29. Sulle principali funzioni e modalità d’uso di Twitter e sul suo impiego per la diffusione di contenuti per la didattica dell’Italiano L2, cfr. Fragai 2016. 30. Sul ruolo dell’apprendimento non formale e informale nell’ambito delle politiche linguistiche europee, cfr. Cap. I; sul rapporto tra questi tipi di pratiche di apprendimento e le TIC, cfr. Cap. III, Par. 3.3.3.
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Problem solving: − saper identificare le soluzioni digitali più adeguate (applicazioni, software) alle esigenze di studio, valutandone l’efficacia, per realizzare specifici prodotti multimediali (p. es. scegliere software adatti alla realizzazione di video come Movie Maker); − saper collaborare nella creazione di un prodotto multimediale su argomenti di studio o di interesse, aggiornando le proprie competenze digitali o sostenendo gli altri membri del gruppo nello sviluppo di una competenza che è già posseduta). 2.7.3. Imparare a imparare Secondo quanto già segnalato (cfr. Parr. 2.4, 2.4.1, 2.4.2), lo sviluppo della competenza chiave trasversale Imparare a imparare ha un ruolo di primo piano nel facilitare i processi di apprendimento grazie alla riflessione esplicita sulle strategie di apprendimento, attivate per risolvere un particolare compito, ma, per loro natura, replicabili in differenti contesti di apprendimento. Di seguito vengono elencate le competenze necessarie per poter portare avanti con autonomia compiti previsti nel contesto accademico entro la classificazione di riferimento utilizzata precedentemente (cfr. Par. 2.4.2). Strategie cognitive Classificazione: − saper riconoscere categorie di testi analizzando le caratteristiche di generi testuali concreti. Attenzione selettiva: − saper applicare vari tipi di strategie per la comprensione di testi secondo lo scopo di lettura (p. es. sviluppare
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l’attenzione selettiva per capire il senso globale di un testo, individuandone le parole chiave). Ristrutturazione delle informazioni: − saper riorganizzare le informazioni attraverso vari tipi di generi testuali come le mappe concettuali, le scalette, i riassunti, le presentazioni multimediali, la presa di appunti (p. es. rielaborare le informazioni selezionate durante una lezione universitaria attraverso la rielaborazione degli appunti presi). − scegliere modalità per mettere in evidenza le informazioni principali di un testo (p. es. saper dare una titolazione ai paragrafi di un testo per sintetizzarne il contenuto). Uso e creazione di risorse: − saper consultare e selezionare fonti di informazione e documentazione per fini di studio (p. es. consultare Internet per documentarsi su contenuti di tipo disciplinare tramite la ricerca di siti autorevoli). − saper utilizzare fonti di informazione sfruttando il linguaggio verbale e grafico-visivo (p. es. comprendere tabelle e grafici che riportano i dati quantitativi e saperli realizzare a partire da nuovi elementi). − saper utilizzare testi per fini di studio, riconoscendone i l’articolazione e la funzione delle parti (p. es. saper riconoscere la struttura di un saggio breve composta di Introduzione, Svolgimento, Conclusione). Strategie metacognitive Pianificazione: − saper identificare le caratteristiche del compito e dei sotto-compiti da eseguire, identificandone le fasi e le azioni da svolgere nel tempo (p. es. nella preparazione di un esame orale saper pianificare le fasi di preparazione
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all’esame, fissando un colloquio con il docente per chiedere chiarimenti sugli argomenti più difficili e assistendo a un esame orale per capire come si svolge). Valutazione: − saper autovalutare i propri risultati e le strategie utilizzate (p. es. saper autovalutare le proprie competenze linguistiche attraverso un questionario online per capire il proprio livello di competenza linguistica). − saper utilizzare pratiche di valutazione alternativa tra pari31 e all’interno del gruppo, sia in classe sia in ambienti informali esterni alla casse (p. es. saper valutare un lavoro di gruppo in termini di livello di difficoltà del compito). Strategie di comunicazione Risposta a un problema32: − saper usare strategie di conversazione utilizzando i segnali discorsivi (p. es. saper interagire e negoziare i significati, usando i segnali discorsivi interazionali con la funzione di chiedere una spiegazione durante una conversazione). 31. In questo senso Varisco (2004: 241), dedicato al Portfolio come forma di valutazione alternativa, sottolinea il ruolo del «new assessment», definito come tipo di approccio che accresce «conoscenze e abilità strategiche, di autovalutazione, automonitoraggio e auto-gestione dei processi di apprendimento», secondo nuove forme di valutazione, non più solo etero-gestite dal docente, ma svolte all’interno di gruppi. Sempre a proposito di forme di valutazione alternativa collegate a situazioni di apprendimento collaborativo tramite le risorse offerte dal Web 2.0, cfr. Elliot (2008). 32. La definizione di questo tipo di strategia è quella attualmente più condivisa, anche se Mariani (2011: 276) evidenzia che è sfumato, in tale situazione comunicativa, il confine con le strategie discorsive/conversazionali proprio perché «gli studi sulla comunicazione, e in particolare l’analisi del discorso e della conversazione, hanno spesso sottolineato il ruolo delle strategie per gestire eventi comunicativi che appartengono ‘normalmente’ all’interazione orale (quali l’aprire e chiudere una conversazione, la gestione dei turni di parola, la facilitazione del flusso comunicativo), ma sui quali gli interlocutori possono in qualche modo aumentare il loro controllo proprio grazie all’uso consapevole di strategie».
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Parafrasi: − saper usare parafrasi per rielaborare un testo di studio contraddistinto da lessico specialistico (p. es. saper parafrasare i termini settoriali presenti negli articoli della Costituzione italiana, trovando forme sinonimiche di uso comune).
2.8. Conclusioni In una prospettiva di linguistica educativa, in cui è centrale il ruolo dell’apprendente, il capitolo ha inteso presentare alcune piste di lavoro teorico-metodologiche e operative volte a rendere chi è impegnato nei processi di insegnamento/apprendimento consapevole delle implicazioni che le proprie azioni formative hanno sui percorsi di didattica delle lingue. La riflessione critica su alcuni aspetti della testualità e su alcuni meccanismi cognitivi, assunti a variabili significative nel facilitare il contatto tra lingua e contenuti, può influenzare positivamente gli esiti dell’apprendimento. Tale influenza può essere potenziata grazie all’impiego di approcci e metodologie per la formazione linguistica che coinvolgono in modo più attivo e creativo gli studenti, anche in relazione alla richiesta di realizzare compiti significativi richiesti nei vari contesti di socialità e di comunicazione, legati primariamente al dominio educativo di tipo accademico. Tali aspetti qualificano il contesto di formazione accademica, in cui il contatto con la lingua italiana, determinato prevalentemente da motivazioni di studio, avviene in situazioni comunicative diversificate dove è indispensabile saper gestire testi caratterizzati da vari gradi di formalità. Si ritiene fondamentale, pertanto, che tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo nella formazione degli studenti universitari di Italiano L2 tengano in considerazione le specificità di questo tipo di pubblico, in relazione alla identificazione di risorse e di strumenti funzionali alla realizzazione di progetti di
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apprendimento che integrino in modo organico vari tipi di competenze, non solo linguistiche, e saperi disciplinari.
Capitolo III
Uso delle TIC per studenti universitari Competenze tecnologiche per l’apprendimento linguistico
3.1. Introduzione Le TIC hanno conquistato un posto di primo piano nella vita di ogni persona, la loro applicazione riguarda diversi settori: non solo quelli più strettamente legati alla vita quotidiana; tuttavia non è ancora chiarito quale ruolo giocano le TIC nella formazione linguistica di Italiano L2. Questo capitolo presenta una prima introduzione sullo stato dell’arte delle TIC in cui verranno presi in esame sia gli aspetti legati alla diffusione delle tecnologie nella società (software e hardware), sia i principali orientamenti pedagogici che nel corso degli anni sono stati ritenuti più efficaci all’impiego delle TIC quali il costruttivismo socioculturale e il connettivismo. Seguirà l’esame di strumenti, metodologie e approcci ritenuti tra i più innovativi e attuali mettendoli in relazione ai dati forniti da alcune indagini condotte sullo specifico pubblico di studenti di Italiano L2 all’università. Tali indagini restituiscono interessanti risultati non solo riguardanti le competenze tecnologiche di questo specifico pubblico, ma contemporaneamente danno voce alle preferenze di apprendimento di coloro che sono anche definiti dei digital immigrant offrendo nuovi e inaspettati risultati. 3.2. La rivoluzione digitale Nel 2004 Siemens usciva con un volume dal titolo Connectivism: A Learning Theory for the Digital Age, si trattava di un libro illuminante rispetto alla situazione socio-educativa del pe183
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riodo in quanto introduceva il connettivismo presentandolo come una nuova teoria dell’apprendimento adatta alla nuova era digitale. Una teoria strettamente collegata alle trasformazioni della società. La tecnologia, infatti, aveva coinvolto, e coinvolge tutt’ora, tutti gli ambiti della vita di ogni cittadino: la sfera pubblica (p. es. il lavoro, i viaggi, i trasporti, l’economia, la politica), la vita privata (p. es. le relazioni sociali, le amicizie) la sfera educativa (p. es. le diverse forme di insegnamento/apprendimento). La tecnologia ha portato a un cambiamento globale e radicale insieme, che si è manifestato nel modo di agire, di imparare, di lavorare e persino di relazionarsi di ogni persona. Per descrivere l’enorme impatto che le TIC hanno avuto nell’uomo, Siemens nel suo volume sosteneva che le TIC avessero portato anche a una “alterazione” della mente umana, del nostro cervello rispetto al modo di imparare e di pensare. L’apprendimento, dunque, per effetto dello sviluppo tecnologico muta il suo aspetto, ma anche il luogo e si apre a nuovi confini, a più ampie dimensioni nonché a nuove e diverse forme: non si apprende più solo in contesti formali, preposti all’apprendere e il risultato dell’apprendimento non è più verificabile in modo certo, chiaro, distinto (istruzione formale), ma i suoi spazi si dilatano e i confini sfumano, si propagano e confluiscono verso un diverso modo e luogo «altro» di apprendimento (informale, non formale), attraverso la pratica della condivisione (sharing). Come afferma Mattei (2014), sembra si stia realizzando la cosiddetta «noosfera» teorizzata da Vernadsky e de Chardin nel 1925 ovvero «una sorta di coscienza collettiva che scaturisce dall’interazione fra le menti umane, organizzate in reti sociali complesse che consentono alla noosfera di acquisire sempre maggiore consapevolezza» (2014: 11). Gli utenti della Rete attraverso gli strumenti del Web 2.0 possono facilmente mettere a disposizione della comunità la loro “conoscenza” attraverso post, slide, materiali e risorse di ogni genere (p. es. video tutorial), dunque gli stessi utenti creano contenuti, ne ricercano di nuovi, li modificano e li condividono con altri internauti nel mondo, questo operare in Rete vie-
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ne indicato come il «potere della folla». Si apre un nuovo scenario che, come sostiene De Kerckhove vede lo sviluppo della cosiddetta «intelligenza collettiva» (Mattei 2014), intendendo con essa una rete di saperi creata e gestita grazie alla comunicazione e alla collaborazione tra più persone. De Kerkhove individua nel modo di approcciarsi alla Rete una sorta di «mente connettiva» sviluppatasi da un contesto e che permette di «coltivare e mantenere un’identità privata, ma anche di condividere l’elaborazione delle informazioni insieme a un gruppo selezionato, senza essere spazzati via dall’identità del gruppo» (Mattei: 31) e questo nuovo modo di vivere nella Rete richiede senza dubbio lo sviluppo di nuove competenze ma anche richiede che venga sviluppata, come afferma sempre lo stesso De Kerkhove (2014: 32), «una nuova branca della psicologia generale […] la tecnopsicologia». Oggi più che mai, rispetto al passato, non è più necessario “collezionare” contenuti ma ciò che conta è lo sviluppo di nuove abilità: le meta-abilità. Si tratta di un «saper fare» che facilita il reperimento, la selezione delle informazioni presenti in Rete. Non solo la raccolta di informazioni è importante ma si è resa più che mai indispensabile anche la capacità di operare delle connessioni significative in grado di facilitare l’accesso alle informazioni. Non è necessario rincorrere in modo spasmodico le informazioni, ricercare affannosamente i dati, ma ciò che conta è il saper selezionare, è il saper individuare in modo preciso ciò che occorre, da qui la capacità di riconoscere, individuare i propri bisogni. Si tratta dunque di sviluppare la cosiddetta «media litercy», in cui il termine literacy viene inteso come «analysis, evaluation and critical Reflection» (Buckingham 2007: 43). Nell’era digitale, dunque, gli utenti devono aver sviluppato capacità critiche di selezione, poiché è solo individuando in modo mirato i propri bisogni che è possibile operare delle scelte e delle connessioni in Rete davvero efficaci.
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3.3. La digital generation 3.3.1. Caratteristiche della digital generation Nel 2001 usciva un interessante articolo dal titolo Digital Natives, Digital Immigrants dello studioso Prensky che per la prima volta parlava della digital generation e connotava i giovani come digital natives, ovvero le nuove generazioni di giovani nati durante l’era digitale. Nell’articolo, e in altri successivi (2008, 2011), si delineava in modo via via più preciso questa nuova generazione con la quale gli insegnanti, ma più in generale i formatori e i genitori (i cosiddetti digital immigrant) si confrontavano e interagivano, spesso presentando difficoltà di «comunicazione» in quanto non conoscendo il «linguaggio» dei giovani non riuscivano a «parlare la stessa lingua». I digital immigrants si sono trovati costretti di conseguenza a imparare l'uso dei nuovi dispositivi hardware e software per poter sopravvivere nell'era della rivoluzione digitale. Sempre in quegli anni, ci si interrogava sul digital divide tra le diverse generazioni e sulla necessità, ma soprattutto sul modo, con cui poter colmare quel divario digitale. Nel corso degli ultimi dieci anni sono state promosse numerose iniziative in ambito europeo e internazionale volte favorire il più possibile la diffusione del digitale nella società: eLearning-pensare all'istruzione di domani (Commissione europea 2001), Quadro strategico i-2010. Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione (Commissione europea 2005). Grazie alla forte spinta di tali politiche è stato possibile il profondo cambiamento che di fatto è avvenuto nella società moderna: molti degli immigrati digitali si sono perfettamente «integrati» nella società digitale e attualmente si muovono a proprio agio in questo nuovo mondo virtuale. L’integrazione degli immigrati digitali, avvenuta a prima vista in mo-
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do quasi «nativo»1, ha portato alcuni studiosi (Attivissimo 2013) a dubitare persino dell’esistenza delle due generazioni: i nativi digitali e gli immigrati digitali. Sembra infatti che non ci sia mai stata questa dicotomia. Tuttavia, non è del tutto vero che la generazione di nativi digitali non sia mai esistita, quello che è piuttosto accaduto oggi è che il divario tra le due generazioni si è appianato, il divario digitale, ampiamente menzionato dai documenti europei, si è ridotto. La differenza probabilmente ancora presente tra le due generazioni riguarda il modo diverso con cui si approcciano alla tecnologia, come aveva osservato lo stesso Prensky (2001a, 2001b, 2008): ciò che differenzia i giovani nell’uso delle TIC rispetto agli adulti è l’uso tecnologia come un mezzo di comunicazione, mentre gli immigrants cercano nella tecnologia uno strumento per raggiungere i propri obiettivi e per realizzare i propri prodotti2. Prensky, focalizzando l’attenzione sull’uso delle TIC da parte di studenti, nei suoi scritti aveva già messo in evidenza il fatto che essi erano, e sono ancora oggi, desiderosi di usare la tecnologia per imparare in classe e sono questi stessi studenti che, non appena escono da scuola, usano la tecnologia per imparare autonomamente e per coltivare i loro interessi. Da qui la necessità di trovare il modo di far rientrare negli scopi dell’uso delle TIC anche l’apprendimento formale passando per un apprendimento non formale (Fratter 2010; Fratter et al. 2010). Ciò che invece è stato chiaro fin dall'inizio, in base ad alcune indagini su questa tematica (Fratter 2004a) era evitare un uso indifferenziato nella tecnologia nei contesti educativi senza una riflessione teorico-metodologica accurata; il rischio era quello di portare al «rifiuto da parte dello studente di ogni forma di utilizzo del computer nell’apprendimento delle lingue» (Fratter 2004b: 1. Attualmente gli ex-digital immigrant utilizzano le TIC ma ne fanno un uso piuttosto parziale legato soprattutto alla navigazione in Internet e alla fruizione di alcuni servizi forniti dai social network. 2. «When most people think about technology they think of specific tools […] But it is important to remember that these are really tools to DO something» (Prensky s. d.). Cfr. https://goo.gl/m15DXk.
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7). Nel corso degli anni l’interesse per il modo di accostarsi alle tecnologie è cresciuto sempre più proprio per la forte espansione che le TIC hanno avuto nella società. Tra le indagini condotte nel settore, degna di nota è un’indagine del 2008 dell’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori (AIE). Si tratta di uno studio che ha coinvolto 6630 persone tra i 15 e i 65 anni e che ha avuto l’obiettivo di fotografare il modo di fruire la cultura e l’intrattenimento attraverso le TIC. Dallo studio sono state individuate due tipologie di utenti della Rete: i technofan e gli eclettici. I primi sono coloro che utilizzano la Rete prevalentemente per svago, divertimento e per stringere relazioni amicali e hanno in generale un atteggiamento definibile «usa e getta», mentre i secondi sono classificati come persone che danno importanza ai contenuti, ai servizi nel Web. La modalità usa e getta dei technofan viene indirettamente spiegata dalle posteriori riflessioni di Prensky (2011) nelle quali lo studioso si sofferma a riflettere sull’uso delle TIC The question we should ponder for that future is no longer whether to use the technologies of our time but rather how to use them to become better, wiser people (Prensky 2011: 8).
Dunque le TIC sono viste potenzialmente come degli strumenti atti a migliorare i cittadini del futuro e a renderli dei «saggi» utilizzatori. In questo panorama così variegato di utilizzatori delle TIC la domanda che sorge spontanea è la seguente come usano le TIC gli studenti di italiano L2? Nelle pagine che seguono ci soffermeremo a esaminare proprio questo specifico pubblico di apprendenti (cfr. Cap. I). 3.3.2. Quanto digital natives sono gli studenti di italiano L2 Verosimilmente è possibile parlare di una seconda rivoluzione digitale che ha avuto luogo con l’avvento dei nuovi mobile device, basati sulla modalità di interazione touch screen e, più in
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generale, grazie anche alla smisurata diffusione dei social network, tutto ciò ha fatto sì che conseguentemente anche il profilo degli apprendenti stranieri evolvesse e mutasse con gli anni. Se si osservano i dati di alcune delle indagini condotte intorno alla fine degli anni Novanta e nei primi anni del 2000 (Fratter, Jafrancesco, Troncarelli 1998; Fratter 2004a) si può notare come già in quel periodo questo tipo di pubblico di italiano L2 è bendisposto all’uso delle TIC anche se non può considerarsi del tutto esperto. Alla fine degli anni Novanta, infatti, non tutti gli utenti utilizzano Internet e non tutti possiedono un computer a uso personale (Fratter, Jafrancesco, Troncarelli 1998). Dopo alcuni anni il pubblico mostra un volto diverso: infatti, in uno studio3 volto a capire il grado di alfabetizzazione digitale degli apprendenti l’italiano L2 (Fratter et al. 2010), emerge che si tratta di una generazione straniera abituata alle tecnologie ed è in grado di affrontare e superare le complessità tecnologiche senza particolari difficoltà. Tra i dati più interessanti di quest’ultimo studio sono quelli che riguardano il tipo d’uso della Rete. In particolare, nel 2007-2008, il 93,6% degli utenti usa Internet per ragioni sociali (contatto con persone, comunicazione), mentre una percentuale piuttosto bassa (8,5%) usa Internet anche per il lavoro e/o per lo studio. Un altro dato interessante riguarda l’uso che in quegli anni viene fatto di alcuni tra i più conosciuti strumenti del Web 2.0, il blog: nello specifico emerge che, sebbene il blog sia noto alla maggior parte degli utenti, solamente il 14% ne possiede uno personale. Per quanto riguarda le possibili esperienze di apprendimento innovativo (e-learning) solo il 13,6% ha partecipato a corsi a distanza in qualità di studenti. Il quadro generale che emerge dallo studio viene descritto nel seguente modo: si tratta di studenti che non sembrano essere stati ‘fagocitati’ nell’era digitale nonostante la loro giovane età (il campione si attesta su una media di 21 anni) e pur tuttavia si tratta di giovani che sanno utilizzare i vari strumenti della CMC, del Web 2.0 3. Il campione esaminato era costituito da 235 studenti (cfr. Fratter et al. 2010).
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e, anche se non hanno avuto in prima persona esperienze di apprendimento online, sono comunque pronti ad affrontare queste esperienze [di e-learning] sotto il profilo tecnologico (Fratter et al. 2010: 293).
Si tratta di giovani che possono definirsi technofan e dunque conoscono e usano le TIC soprattutto per svago (Fratter, Jafrancesco 2010). A distanza di pochi anni da quest’ultimo studio sono state condotte nuove indagini (Fratter, Altinier 2015, in stampa) e confermano alcuni aspetti delle precedenti come sarà illustrato nel dettaglio nelle pagine che seguono. Pur senza entrare nei particolari dei dati raccolti, a una prima sommaria mappatura si tratta in generale di apprendenti dotati di diversi dispositivi ed esperti nell’uso delle TIC relativamente alla gestione della propria vita quotidiana. La consapevolezza di una certa expertise in questo tipo di pubblico gioca un ruolo di primo piano nella scelta e nella strutturazione dei percorsi formativi per l’italiano L2. Tuttavia, come è stato più volte ribadito (Fratter et al. 2010) qualsiasi offerta formativa mediata dalle TIC, oltre a tenere conto del grado di alfabetizzazione degli utenti, deve considerare i loro bisogni e poggiare soprattutto su solide basi pedagogiche (Fratter 2004), poiché, come sostiene McKenzie, «senza un valido fondamento pedagogico, la tecnologia didattica non manterrà fede alle promesse ma verrà messa da parte come altre innovazioni che l’hanno preceduta» (2006: 17). 3.4. Modelli pedagogici per le TIC Affinché le TIC possano diventare uno strumento di mediazione e al contempo di facilitazione di qualsiasi forma di apprendimento (Marconato, Litturi 2005) è richiesta la progettazione di ambienti di insegnamento/apprendimento che facciano riferimento a precise teorie e a modelli pedagogici in relazione agli obiettivi prefissati.
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Numerosi sono stati gli approcci proposti nell’ambito dell’apprendimento mediato dalla tecnologia nell’era di Internet tra i quali si possono menzionare il costruttivismo e il connettivismo (Siemens 2005). L’approccio costruttivista applicato agli ambienti di apprendimento mediati dalle TIC (Jonassen 1994) e il costruttivismo socioculturale (Jonassen, Rohrer-Murphy 1999; Varisco 2002) sono quelli che hanno trovato la loro migliore applicazione (Traxler 2009) nello specifico per l’apprendimento delle lingue (Fratter 2004), proprio per la marcata impronta sociale che li caratterizza. Non sono mancate applicazioni degli approcci basati sui task (Task Based Learning) (Nunan 1989), sulla soluzione di problemi o sulla realizzazione di progetti, come per esempio il Project Work (Beckett, Slater 2005). 3.4.1. Costruttivismo socioculturale e ambienti cooperativi Il costruttivismo socioculturale è caratterizzato in particolar modo dall’importanza del rimodellamento e della ristrutturazione delle conoscenze pregresse attraverso processi di collaborazione e negoziazione tra le persone in un contesto il più possibile reale e basato sul dialogo (Varisco 2002). Per quanto riguarda il costruttivismo applicato agli ambienti di apprendimento online hanno fatto strada gli ambienti denominati «Constructivist Learning Environment» (CLE) (Jonassen 1994) nei quali vengono messi in risalto alcuni aspetti caratterizzanti: prima di tutto si tratta di ambienti in cui l’agire dello studente viene posto in primo piano (attivo, manipolativo), infatti gli apprendenti sono invitati a manipolare oggetti e strumenti di lavoro, attraverso una esperienza pratica e diretta in situazioni di apprendimento sia formale che informale e attraverso la condivisione con altre persone. Per mezzo della negoziazione, del confronto (conversazionale) della condivisione (collaborativo) gli apprendenti integrano, rimodellano e ristrutturano le conoscenze già apprese (costruttivo). Tutto il processo di apprendimento è basato sulla riflessione dei processi messi in atto per la risoluzione dei problemi (riflessivo) e sulla verbaliz-
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zazione di ciò che il gruppo e il singolo nel gruppo devono portare a termine. Grande importanza in questo tipo di ambienti è data alla contestualizzazione (contestualizzato), che vede la simulazione di casi concreti, trasferibili in contesti simili reali e al contempo complessi (complesso). L’agire degli apprendenti in questi ambienti è comunque intenzionale, si lavora per il raggiungimento di una meta. Gli studenti, dunque, realizzano la propria conoscenza attraverso l’agire all’interno di contesti situati e complessi (Varisco 2002; Cisotto 2005). La dimensione sociale e quella relativa alla costruzione delle conoscenze sono le fondamenta su cui poggiano gli ambienti di apprendimento costruttivisti e implicano dinamiche di tipo cooperativo e collaborativo. La gestione di tali dinamiche focalizza l’attenzione sulla dimensione sociale in termini di cooperazione e collaborazione: peer collaboration, peer tutoring e Cooperative Learning (CL). Queste tre forme di collaborazione entrano in gioco negli ambienti CLE. La peer collaboration vede la collaborazione e il reciproco aiuto tra i membri del gruppo per riuscire a procedere nello svolgimento dei compiti e nella soluzione dei problemi. Il peer tutoring ben si configura nelle classi virtuali e nella comunità di apprendimento in particolare per studenti stranieri in quanto i gruppi di studenti sono eterogenei sotto diversi aspetti (nazionalità, tipo di studi, background culturale) (cfr. Cap. I) e per questo viene messo in atto più spontaneamente il peer tutoring vale a dire l’esperto del settore diventa la guida del gruppo per la soluzione di un determinato problema o aspetto del problema. Il CL (Comoglio, Cardoso 1996) è visto come una procedura ottimale anche se complessa. La peculiarità del CL riguarda, in particolare, il «concetto di interdipendenza sociale» (positiva, negativa, e assenza di interdipendenza), l’interazione positiva faccia a faccia tra i membri, l’insegnamento diretto delle competenze sociali, l’azione in piccoli gruppi, la revisione del lavoro effettuato e la valutazione sia individuale sia di gruppo. Punto centrale del CL è l’attenzione al tipo di interdipendenza che si viene a creare all’interno del gruppo; in particolare
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l’interdipendenza cooperativa richiede che vi sia il coinvolgimento diretto e attivo di tutti i membri, infatti il raggiungimento di un obiettivo è strettamente legato allo svolgimento dei compiti assegnati a ciascuno. Il successo del lavoro di gruppo, soprattutto in ambienti virtuali in cui la capacità di coordinamento e il lavoro cooperativo sono la chiave per la riuscita di ogni attività, dipende da ciascun membro, ognuno è responsabile in prima persona del successo o dell’insuccesso dell’intero gruppo per la parte di lavoro assegnata, pena il fallimento del lavoro di tutti. Negli ambienti costruttivisti l’interdipendenza positiva tra i membri è un aspetto cruciale anche per quando riguarda la condivisione sia dei compiti, sia delle stesse risorse. 3.4.2. Connettivismo e digital literacy Un altro orientamento all’uso delle tecnologie è quello denominato da Siemens e Downs «connettivismo». Nel 2006 Siemens, con l'uscita del suo volume Knowing knowledge, afferma che con la rivoluzione digitale è cambiato anche il modo di apprendere e sottolinea che la conoscenza non si ha attraverso operazioni di accumulo di informazioni, quanto piuttosto con lo sviluppo della capacità di sapere scegliere le connessioni significative in Rete in grado di facilitare l'accesso alle informazioni. A coloro che imparano si richiede il possesso abilità e competenze nel reperimento di materiali in Rete; si tratta di sviluppare oltre alle conoscenze dichiarative (sapere) anche quelle di tipo procedurale (saper fare). Secondo Siemens (2005) è necessario far sì che gli apprendenti sviluppino delle meta-abilità che sono fondamentali per l’apprendimento nell’era digitale: «Ability to see connections and recognize patterns and make sense between fields, ideas, and concepts is the core skills for individual today» (Siemens 2006: 31). La conoscenza non è statica, ma è un flusso circolare ed è di diversi tipi; sono proprio gli strumenti sociali emergenti che permettono lo scambio rapido di conoscenza e un alto livello di dialogo. La comunicazione può avvenire in modo collaborativo
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(p. es. con il wiki, con incontri su Skype, per mezzo di schermi condivisi) attraverso il singolo contributo audio o video (blog, podcasting) e in spazi comuni (Siemens 2006). In quest’ottica, «learning is more than knowledge acquisition», come afferma Downes (2006: 25), e l’apprendimento procede per fasi che implicano numerose componenti distinte, quali l’esplorazione, la presa di decisioni, la selezione di materiali ed è dunque un processo di creazione di reti. Il connettivismo ha ricevuto diverse critiche che hanno persino messo in dubbio la sua natura, dubitando che si tratti di una vera e propria teoria dell’apprendimento e affermando che si tratti piuttosto di un “pout-pourri” (Calvani 2008). Calvani, in particolare, mette in guardia di fronte a una possibile trasposizione dei presupposti del connettivismo verso la scuola in quanto si potrebbe incorrere nel pericolo di false interpretazioni dell’apprendimento come il risultato di un semplice “accostamento” alla Rete. Alle critiche mosse dal mondo accademico Downes risponde direttamente dal suo blog personale4 e in particolare nei volumi Free learning (2011) e Connectivism and Connective Knowledge (2012), sottolineando che non si tratta esclusivamente di un accostamento alla Rete, ma di una elaborazione di informazioni resa possibile dalle connessioni. If people are connected, they will produce their own content. If they have a means to create, to communicate, to record, share and save, they will create their own knowledge and share this knowledge […] (Downes 2011:90). Connectivism is the thesis that knowledge is distributed across a network of connections, and therefore that learning consists of the ability to construct and traverse those networks (Downes 2012: 85).
In sintesi, il contributo che il connettivismo fornisce alle metodologie didattiche riguarda l’attenzione allo sviluppo delle me4. Per il blog personale di Downes, cfr. http://www.downes.ca/
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ta-abilità necessarie a muoversi in modo autonomo ed efficace nella Rete per l’elaborazione delle proprie conoscenze. Se dunque il connettivismo sostiene l’importanza di creare le connessioni più appropriate, non molto lontano è il concetto di «digital literacy», o competenza digitale, utilizzato già nel 1990 (Meyers, Erikson, Small 2013) e successivamente rielaborato e ampliato alla luce delle trasformazioni tecnologiche. Inizialmente la digital literacy riguardava l’abilità di reperire, valutare le informazioni, e in seguito è stata ulteriormente specificata come segue: This new socio-technical reality requires participants to possess not only skills and abilities related to the use of technological tools, but also knowledge regarding the norms and practices of appropriate usage. To be ‘digitally literate’ in this way encompasses issues of cognitive authority, safety and privacy, creative, ethical, and responsible use and reuse of digital media, among other topics (Meyers, Erikson, Small 2013: 355).
La digital literacy non è più esclusivamente legata al contesto educativo facendo riferimento alle competenze di base (saper leggere, scrivere, parlare e ascoltare) ma riguarda più in generale le competenze necessarie a tutti i cittadini della Rete, come per esempio il saper scrivere un SMS o una mail. Per tale ragione gli studiosi dichiarano di assumere una «prospettiva olistica» in quanto a more holistic perspective sees informal and formal contexts of digital literacy as components of a knowledge ecosystem. Every day, users of digital technologies engage in a wide range of literacy activities, at home, at work, and in third spaces, physical and online. Mapping a bus route, finding a restaurant, online shopping, messaging a friend; this perspective recognizes the fluid boundaries of learning and literacy, and helps scholars, educators and institutional partners acknowledge the complex and interconnected nature of literacy practice. Digital literacy is not strictly about competence in school-based research tasks, it is about effectively participating in our new digital world (Meyers, Erikson, Small 2013: 357).
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Secondo gli studiosi le competenze richieste dunque riguardano l’uso delle tecnologie del Web 2.0 in quanto strumenti di comunicazione e la conoscenza, l’uso appropriato degli stessi implica il possesso di competenze chiave (cognitive, sociali e tecnologiche) (cfr. Cap. I). 3.4.3. Apprendimento formale, non formale e informale Forse oggi, proprio grazie alla diffusione delle TIC, è possibile raccogliere la sfida lanciata dalle diverse teorie dell’educazione che a più voci hanno sottolineato l’importanza di un apprendimento non racchiuso solamente in ambienti preposti alla didattica (contesti educativi strutturati e formalizzati) quanto piuttosto ancorato alla vita reale, al fare, il cosiddetto «learning by doing» (Kolb 1984), e in generale aperto alla comunità. Si parla infatti di apprendimenti formale, non formale e informale in vari contesti (cfr. Par. 1.3). L’apprendimento formale, come già evidenziato, riguarda nello specifico un apprendimento che ha dei confini ben definiti, che è riconosciuto come tale attraverso documenti ufficiali come per esempio diplomi e/o certificati. Con apprendimento formale si intende learning which takes place in an organised and structured environment, specifically dedicated to learning, and typically leads to the award of a qualification, usually in the form of a certificate or a diploma; it includes systems of general education, initial vocational training and higher education (CEDEFOP 2016: 17).
L’apprendimento non formale si differenzia da quello formale in quanto può aver luogo in contesti diversi, non solo in quelli preposti alla formazione come scuole, università, istituti, e non necessariamente si conclude con un diploma o un certificato riconosciuti. Si tratta di percorsi strutturati al di fuori delle istituzioni che non implicano necessariamente una verifica delle
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competenze raggiunte. Learning which takes place through planned activities (in terms of learning objectives, learning time) where some form of learning support is present (e.g. student-teacher relationships); it may cover programmes to impart work skills, adult literacy and basic education for early school leavers; very common cases of non-formal learning include in-company training, through which companies update and improve the skills of their workers such as ICT skills, structured online learning (e.g. by making use of open educational resources), and courses organised by civil society organisations for their members, their target group or the general public (Council of Europe 2012).
Con apprendimento informale, chiamato anche esperienziale, si intende un apprendimento che ha origine dalle esperienze personali e sociali. Questo tipo di apprendimento è incidentale ed è strettamente collegato alle esperienze individuali. Informal learning takes place outside schools and colleges and arises from the learner’s involvement in activities that are not undertaken with a learning purpose in mind. Informal learning is involuntary and an inescapable part of daily life; for that reason, it is sometimes called experiential learning. Learning that is formal or non-formal is partly intentional and partly incidental: when we consciously pursue any learning target we cannot help learning things that are not part of that target. Informal learning, however, is exclusively incidental (Council of Europe 2012).
Per la formazione a un pubblico di adulti, come è anche quello degli studenti universitari di Italiano L2, molto significative sono le esperienze pregresse, siano esse di apprendimento in generale (p. es. apprendimento attraverso i social network e attraverso la ricerca di informazioni in Internet) o di apprendimento linguistico o di qualsiasi forma di contatto con la cultura della lingua target. Il riconoscimento e la valorizzazione di tutte le esperienze vissute è l’obiettivo di un progetto di riconosci-
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mento delle esperienze precedenti denominato «Recogniton of prior Learning» (RPL), sviluppato in ambito europeo. Si tratta di un processo di recognizing learning that has its source in experience and/or previous formal, non-formal and informal learning contexts. This includes knowledge and skills gained within school, college and university and outside formal learning situations such as through life and work experiences (SCQF 2010: 3).
Fondamentale risulta la consapevolezza che ogni esperienza, anche quella negativa, può essere una base utile per l’apprendimento. È necessario pertanto invitare gli studenti a riflettere sulle esperienze pregresse come suggerito Learning through reflection is a skill that involves thinking about our own experiences from the past, thinking about our feelings about those experiences and drawing out some of the lessons that we have learned from those experiences (SCQF 2010: 31).
Da qui l’importanza nell’uso di questionari, di indagini per l’analisi dei bisogni, con l’obiettivo anche di abituare gli apprendenti a riflettere, a valutare esperienze pregresse di qualsiasi tipo apprendimento (formale, non formale, informale), tenendo conto inoltre di esperienze mediate dalle TIC. Facendo ciò viene esercitata la capacità di autovalutazione; poiché l’apprendimento può aver luogo in ogni momento e in ogni contesto è necessario saper riconoscerne le tracce. Informal learning is about the power of individuals to take charge of their own development, and involves a complex interplay of people, place and technology (Meyers, Erikson, Small 2013: 364).
Come si vedrà nelle pagine che seguono (cfr. Par. 3.5), proprio attraverso l’analisi di dati relativi a indagini svolte su studenti l’Italiano L2, è possibile tracciare un profilo tecnologico
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di questi apprendenti verificando quando digital learner essi siano.
3.5. Apprendere e insegnare in Rete L’apprendimento linguistico oggi può realizzarsi non solo attraverso le più tradizionali forme (corsi in presenza), ma può aver luogo anche in Rete in modo sia formale sia informale. In una recente indagine (Ballarin, Begotti, Toscano 2010) è emerso che la maggior parte dei Centri linguistici in Italia mette a disposizione degli apprendenti l’Italiano L2 non solo corsi in presenza, ma anche varie forme di e-learning; si tratta di offerte formative che hanno preso le mosse dalla specificità degli apprendenti e dalle loro esigenze (Fratter, Jafrancesco 2010, 2014; Fratter, Altinier 2015, in stampa; Fragai 2016; Fratter 2016; Jafrancesco 2016). Ma che cosa si intende generalmente con e-learning? Si tratta di corsi online, di piattaforme di apprendimento in cui vengono resi disponibili ulteriori materiali per esempio di rinforzo, di approfondimento per gli apprendenti? Il panorama dell’elearning è in effetti piuttosto variegato, perciò per capirne fino in fondo le implicazioni e le ricadute nella formazione in Italiano L2 per studenti universitari, sarà dato un breve accenno al concetto di «formazione online» e alle sue diverse sfaccettature. 3.5.1. E-teaching ed e-learning L’uso del termine e-learning nasce intorno agli anni Novanta con l’intento di associare l’elemento tecnologico al concetto di formazione; inizialmente l’e-learning si differenzia dagli apprendimenti mediati dalla tecnologia come il Computer Assisted Instruction (CAI) soprattutto per la diversità di accesso di tipo distribuito e flessibile (De Waal 2010: 37). L’e-learning viene definito come «the use of electronic media conjointly with information and communication technologies in order to facilitate both teaching and learning» (King, Piotrowski 2015: 2). L’e-
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learning, ma più in generale le TIC, viene introdotto prevalentemente con lo scopo di migliorare e di facilitare gli apprendimenti. Per l’avvio dell’e-learning, soprattutto nei primi anni, è stata data grande attenzione alla progettazione e alla predisposizione di modelli per gli ambienti di apprendimento online, i Learning Managment System (LMS) (cfr. Par. 3.8). Successivamente l’attenzione si è lentamente spostata sull’individuazione di modelli di insegnamento/apprendimento possibili tramite le piattaforme LMS. Lo stesso uso di terminologie diverse come e-teaching e e-learning mostra approcci anche diametralmente opposti nell’uso delle TIC. Contrapponendo il termine e-learning a e-teaching si evidenzia soprattutto un cambiamento di prospettiva: nell’e-learning l’attenzione è rivolta soprattutto all’apprendente (learner centred approach) (Nunan 1988) alla condivisione, alla creazione di contenuti nuovi da parte della comunità di apprendenti e non è orientato alla trasmissione, all’erogazione di nuovi contenuti (contentoriented approach) come invece è un approccio del tipo eteaching, dove la Rete è vista come veicolo di trasmissione di materiali e di contenuti da parte del docente (Quagliata, Amatiste 2003). Nell’e-teaching i materiali sono per lo più statici se osservati dal punto di vista della fruizione, non possono essere di conseguenza modificati, elaborati, ampliati dagli studenti. Si tratta in questo caso di un modello tendenzialmente trasmissivo della conoscenza; le TIC in tale contesto diventano uno strumento attraverso cui fornire dei contenuti (Marconato, Litturi 2005). Per la progettazione di un percorso di formazione, tenendo conto dei parametri dell’Instructional Design (ID)5 (Trentin 2014), si tratta di − −
predisporre contenuti da mettere a disposizione online agli utenti (e-content); decidere il tipo di interazione tra gli apprendenti e/o il
5. Con ID si intende una metodologia di progettazione di ambienti mediati dalle TIC.
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docente, approntando strumenti atti a facilitare le interazioni stesse tenendo conto dunque delle cosiddette «componenti del processo»; individuare e dunque scegliere gli strumenti adatti alla specificità di ogni attività progettata (p. es. il forum per la discussione libera, il wiki per la costruzione di documenti condivisi in modalità parallela (cfr. Fratter 2006).
Ma quali sono i punti di forza del e-learning e dell’uso di piattaforme per l’apprendimento linguistico? L’apprendimento in Rete mediato dalla TIC, rispetto ai percorsi di formazione esclusivamente face to face (F2F), ha i seguenti vantaggi: − permette la creazione di un gruppo che è in constante contatto anche fuori dall’aula (anytime e anywhere); − offre la continua disponibilità di contenuti; − permette al docente di riusare con facilità i contenuti e altrettanto facilmente permette di modificarli; − offre all’apprendente la personalizzazione del proprio apprendimento, consentendo di selezionare i materiali e le attività in base ai propri bisogni; − offre la convergenza al digitale, consentendo l’uso di qualsiasi tipologia di materiali (p. es. audio, video). I punti di forza dell’e-learning vanno messi in relazione con i bisogni degli utenti a cui sono rivolti i progetti formativi di Italiano L2 all’università. 3.5.2. Studenti di Italiano L2 e uso delle TIC Fin dalla sua prima comparsa l’e-learning in generale è stato considerato, e lo è tutt’ora, una possibile strada per la soluzione di problemi legati in modo specifico alla vita degli studenti universitari di Italiano L2. Infatti, i corsi di italiano per stranieri offerti dalle università vedono la partecipazione di studenti provenienti da differenti corsi di laurea (Scienze della formazione, Medicina, Scienze politiche ecc.) (Fratter 2004; Jafrancesco
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2004; Ministero dell’Interno et al. 2013) (cfr. Par. 1.5) e si tratta dunque di studenti i cui orari di lezione sono diversi tra di loro a seconda del corso di laurea frequentato nonché del tipo di disciplina. Questo implica l’impossibilità di trovare fasce orarie adeguate alla frequenza dei corsi di lingua che possano andare incontro alle esigenze di tutti gli studenti; è in proprio in quest’ottica che l’e-learning è stato visto come una delle soluzioni possibili a tali problematicità. A seconda del tipo di corso di studio, per lo studente straniero le lezioni di italiano in alcuni casi sono obbligatorie in quanto legate all’assegnazione di crediti formativi universitari (CFU), perciò spesso è necessario trovare delle soluzioni all’incompatibilità di orari e alla sovrapposizione con le lezioni di ambito disciplinare. L’e-learning, progettato nell’ottica di andare incontro alle problematiche di tipo gestionale e organizzativo, e alle esigenze degli apprendenti, ha proposte soluzioni formative diverse che saranno analizzate nei paragrafi successivi (cfr. Par. 3.4.3). 3.5.3. Modelli di insegnamento/apprendimento in Rete Nel corso degli anni, grazie allo sviluppo della tecnologia e delle sempre più innovative soluzioni ideate per l’apprendimento in Rete, sono stati identificati diversi modelli di apprendimento/insegnamento con le TIC. Ed è proprio grazie alle scelte del formato, il più possibile rispondente alle esigenze degli utenti, che è possibile trovare la soluzione alle diverse criticità relative alla frequenza dei corsi di Italiano L2. Il termine e-learning abbraccia dunque una varietà modelli di formazione, che, a una prima macro-classificazione, è possibile suddividere in insegnamenti/apprendimenti blended e online. Tuttavia, questa prima classificazione non rende conto della sfaccettata realtà dei fatti: l’uso delle TIC trova diverse applicazioni anche nei corsi in presenza. In questi anni il proliferare di soluzioni all’uso dell’elearning ha portato a una varietà di formati che possono essere riassunti riprendendo l’analisi fornita da Mayadas e Miller
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(2012). I due studiosi distinguono i seguenti tipi: − classroom course (corso in classe): le attività del corso sono organizzate in incontri in classe (F2F) con l’ausilio delle tecnologie, per esempio uso di LIM collegate alla Rete, uso di smartphone e/o tablet per lo svolgimento di alcune attività di gruppo (p. es. lettura, approfondimento, ascolto); − synchronous distributed course (corso distribuito sincrono): le tecnologie di Rete vengono utilizzate per l’espansione delle lezioni fuori dall’aula verso luoghi virtuali in Rete per esempio con Webinar, incontri a distanza di tutti i partecipanti al corso o solo di una parte di essi; − web enhanced course (corso integrato online): integra le sessioni di classe senza ridurre il numero di riunioni di classe richiesti. Per questo tipo di corsi l'accesso a Internet è necessario per completare i requisiti del corso, aumenta l'attività in classe o soppianta una quantità relativamente piccola (di solito il 20%) delle attività tradizionali in aula; − blended classroom course-Hybrid (corso ibrido blended d’aula)6: l'attività online è combinata con incontri in aula; c’è una riduzione significativa delle attività didattiche F2F; − blended online course-Hybrid (corso ibrido blended online): la maggior parte delle attività del corso sono svolte online, ma ci sono alcune attività didattiche F2F necessarie, come per esempio conferenze, dibattiti, laboratori o altre attività di apprendimento in presenza. Non si tratta di un vero e proprio corso online in quanto il lavoro F2F implica alcune limitazioni geografiche relativamente per l’accesso degli studenti al corso; − online course (corso online): l’intera attività di un corso è 6. Questo tipo di corso è anche chiamato «blended potenziato» (Trentin 2004).
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svolta in modalità online. È escluso qualsiasi incontro faccia a faccia; l’insegnamento/apprendimento online deve tenere conto dell’esistenza o meno fra i partecipanti occasioni di incontro in presenza. Questa mancanza di contatto F2F vincola fortemente il progettista dei corsi nella scelta del tipo di piattaforma da utilizzare7; − flexible mode course (corso con modalità flessibile): in questo tipo di corso vengono offerte molteplici modalità di consegna dei materiali in modo che gli studenti possano scegliere liberamente quella preferita. Viene istituito una sorta di centro di risorse di apprendimento con materiali online e on demand con assistenza personalizzata. Gli studenti devono sviluppare un elevato grado di autonomia di studio poiché sono loro stessi a scegliere quali tipi di materiali didattici usare a seconda delle proprie esigenze. Il corso con modalità flessibile include contatti faccia a faccia, utilizzo di siti Web con contenuti interattivi, sessioni di chat, discussioni, uso di materiali audio e video, sessioni di videoconferenza ecc. 3.5.4. Le nuove frontiere del blended learning: la flipped classroom Per quanto il blended learning, non si tratta di solo di un’alternanza spazio-temporale che vede da una parte la classe in presenza (F2F), dall’altra la classe online; si tratta invece di due modalità strettamente connesse l’una all’altra nella progettazione di un percorso formativo. I momenti F2F sono necessari a porre le basi per le successive attività online, possono servire a fornire le regole di lavoro, a dare expertise a quegli utenti me7. Nella fase di macro-progettazione di un ambiente di apprendimento, relativamente ai parametri inerenti alla gestione della comunicazione all’interno della classe, le scelte saranno orientate su piattaforme che dispongono di sistema Webconference (p. es. WizIQ) offrendo per esempio seminari online (Webinar) durante i quali gli iscritti possono partecipare e intervenire con gli strumenti forniti dalla piattaforma (alzata di mano, presa di parola con microfono, chat, condivisione dello schermo del relatore) o piattaforme in cui vengono messi a disposizione le registrazioni dei Webinar e dei forum per i commenti o le domande post-seminario.
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no avvezzi all’uso di piattaforme, sono necessari a connettere e al contempo a riepilogare quanto emerso dal lavoro a distanza. La tecnologia non è dunque solo uno strumento che facilita l’accesso alle informazioni, ma è anche uno strumento che ha lo scopo di sostenere, favorire i processi di collaborazione, di condivisione e di trasformazione e rimodellamento della conoscenza. Il blended implica la creazione di uno specifico ambiente di apprendimento in cui gli apprendenti si incontrano virtualmente, collaborano tra di loro, si sostengono vicendevolmente, sono impegnati in attività di vario genere, fra cui il problem solving. I materiali possono costituire dunque il punto di partenza per la successiva elaborazione, creazione di attività che coinvolgono l’intera classe virtuale per diventare nuovi materiali creati in modo collaborativo da tutti i partecipanti. Il blended learning richiede una progettazione ID che tenga conto di elementi di micro-progettazione e macro-progettazione che riguardano: − − −
l’organizzazione integrata e armonica delle risorse in presenza e online; l’individuazione di ciascuna fase di lavoro; la progettazione attenta delle diverse fasi di lavoro, per esempio individuale, collaborativo.
All’interno delle modalità ibride del blended learning (il corso blended d’aula e il corso blended online) si inserisce la più recente modalità chiamata «flipped classroom» secondo quanto affermato dalla KahnAcademy8. L’apprendimento capovolto (flipped learning) viene definito come un approccio pedagogico in which direct instruction moves from the group learning space to the individual learning space, and the resulting group space is transformed into a dynamic, interactive learning envi-
8. La KahnAcademy è un’organizzazione educativa senza scopo di lucro, cfr. https://it.khanacademy.org
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ronment where the educator guides students as they apply concepts and engage creatively in the subject matter (FLN 2014:1).
Con flipped classroom si intende un diverso modo di gestire la classe, le risorse e al contempo la condivisione delle stesse: Lecture is shifted outside of class, while the classroom time is employed to solve problems or doing practical works through the discussion/peer collaboration of students and instructors (Gonzàlez-Gòmez et al. 2016: 1). Tabella 27. Classe tradizionale e flipped classroom a confronto. Fasi Classe tradizionale Flipped classroom In classe A casa Il docente fornisce i conteGli studenti fruiscono dei Fase 1 nuti, gli studenti prendono contenuti (online) selezionaappunti e pongono domanti/preparati dal docente. de. A casa In classe Gli studenti fanno i compiti Gli studenti fanno gli eserFase 2 per casa, studiano sul mate- cizi in gruppo sui contenuti riale presentato in classe dal fruiti a casa, pongono dodocente. mande, il docente risponde in maniera individualizzata.
Nella classe capovolta (cfr. Tab. 27) il lavoro a casa viene svolto prima di entrare in classe, in questa fase (Fase 1) un grosso ruolo è giocato dalle TIC, in quanto i docenti predispongono materiali multimediali e, attraverso l’uso di piattaforme (p. es. Moodle, Edmodo), social network (p. es. Facebook, YouTube) condividono i contenuti con gli studenti. La flipped classrom non riguarda il metodo di insegnamento come afferma Bonaiuti ma il «diverso modo di fornire i contenuti e l’articolazione dei tempi di apprendimento» 9. I materiali
9. Cfr. sito di https://goo.gl/XcNU57
Bonaiuti
presso
l’Università
di
Cagliari
all’indirizzo
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(prevalentemente video) vengono selezionati dal docente e forniti agli studenti prima della lezione, che li consultano e li leggono autonomamente. In tal modo gli studenti sono già preparati ai contenuti e in classe vengono svolte le attività in forma di esercizi, di soluzione di problemi, studio di casi e approfondimenti; il compito del docente è quello di sviluppare abilità concrete. Secondo alcuni studi e ricerche condotti alla Vanderbilt University, prima della lezione in presenza gli apprendenti leggono i materiali per acquisire i concetti base ed eseguono anche dei test di verifica con l’obiettivo di far emergere i punti critici, che diventano a loro volta il punto di partenza per discussioni, dibattiti, analisi dei dati, attività di sintesi in classe. Questo tipo di modalità di lavoro richiede che gli apprendenti ricorrano all’uso delle loro competenze procedurali sviluppate durante il loro percorso di formazione (cfr. Par. 3.4.2). Il valore aggiunto che la modalità flipped può avere per l’insegnamento dell’Italiano L2 si può intravvedere sicuramente nella possibilità di potenziare lo sviluppo delle abilità produttive in aula poiché, grazie alla distribuzione di materiali audio e/o video da fruire prima degli incontri, è possibile utilizzare tali materiali come input per la discussione, il dibattito e l’analisi in classe. Tenendo conto che nei Centri linguistici i corsi di lingua italiana sono in media della durata di 30-60 ore per ciascun livello del QCER (Celentin 2010) e che il tempo per lo sviluppo di alcune abilità è piuttosto limitato, la flipped può essere la considerata una delle soluzioni per sfruttare al meglio gli incontri in presenza, sviluppando abilità complesse come la produzione orale che richiede tempi lunghi di apprendimento. 3.5.5. Il blended per gli studenti di italiano L2 In che modo la modalità blended può essere applicata alla specifica tipologia di studenti universitari apprendenti Italiano L2? Quale può essere il valore aggiunto del blended per questo pubblico? Poiché la modalità blended implica il potenziamento e l’integrazione di alcuni aspetti dell’apprendimento F2F con altri
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dell’apprendimento online, per tale ragione per la progettazione di percorsi formativi sarà necessario tenere in considerazione i dati relativi ai bisogni di questa specifica tipologia di apprendenti. I principali bisogni emersi dalle numerose indagini, e che sono rimasti pressoché costanti nel tempo (Fratter 2004, Jafrancesco 2004; Fratter et al. 2010; Fratter, Altinier 2015, in stampa), sono quelli relativi alla richiesta di sviluppo delle abilità produttive scritte e orali. La persistenza e l’invariabilità di questa richiesta ha origine presumibilmente dall’organizzazione stessa dei corsi. Esaminando le diverse offerte formative presso i Centri linguistici universitari, come illustrato in uno studio di Toscano e D’Este (2010: 139-189), condotto su 23 Centri linguistici universitari, il numero di studenti per classe può raggiungere anche le 60-70 unità e la durata dei corsi di lingua in termini di ore va da 30 a 100 per corso. Lo sviluppo delle abilità produttive dunque rappresenta un punto piuttosto critico e di non facile soluzione se si deve tenere conto anche delle risorse disponibili presso gli enti preposti alla formazione, come già evidenziato nel primo capitolo (cfr. Cap. I). Tuttavia nel corso degli anni, grazie agli sviluppi nel settore delle TIC, sono state trovate svariate soluzioni quali per esempio la creazione di siti Web progettati proprio per lo sviluppo di tali abilità in modalità totalmente online o blended (Fratter 2006; Jafrancesco 2014, 2016). Tra le problematiche legate alla specifica tipologia di studenti, sono stati individuati problemi legati alla frequenza in classe (Fratter, Jafrancesco 2010), dovuti principalmente alla sovrapposizione con altre lezioni all’università o alle attività di tirocinio durante il loro soggiorno; si tratta di problematiche a cui i Centri linguistici devono andare incontro e una soluzione viene proprio dall’adozione di modalità blended. Il blended può essere visto come modalità per recuperare lezioni svolte durante la classe di lingua, ma anche come canale di contatto con tutti i membri della classe. Spesso in ambito universitario il blended è considerato una soluzione a problemi di tipo logistico (Trentin 2008) in cui vi sono difficoltà nel reperire aule per la didattica
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in presenza. Da una recente indagine condotta nel 2014-2015 e nel 20152016 su un campione di 434 studenti Italiano L2 (Fratter, Altinier in stampa) sono emersi dei dati interessanti sulla percezione e sull’interesse che gli studenti stranieri hanno relativamente ai corsi di lingua in presenza, blended e online. Dall’indagine è emerso che i corsi blended sono scelti dal 24,3% e sembra che il loro gradimento stia lievemente aumentando nel corso degli anni10; infatti i corsi blended sono visti come un’opportunità in più per coloro che hanno difficoltà a frequentare delle lezioni in presenza e possono contare su una certa flessibilità di orari e autonomia nell’apprendimento, come risulta da quanto affermano alcuni informanti. Questa modalità di insegnamento è apprezzata dagli studenti per i seguenti motivi Sono libero di studiare quando voglio, è flessibile. It is better to have lessons in live but to be able to do exercises at home on our own11.
In generale i corsi blended vengono visti come occasioni per il potenziamento degli aspetti grammaticali della lingua, mentre i corsi in presenza sono destinati soprattutto allo sviluppo delle abilità produttive e interazionali orali. In presenza s'impara la lingua in prattica (espressione) ed online s'impara la lingua in teoria (grammatica). Non mi piace molto i corsi online, specialmente quando ho alcune domande.
Del tutto inaspettato è invece il numero di coloro che preferiscono lo studio online, si tratta di un unico apprendente. Ma ancora più inaspettato è il dato che mostra che tra coloro che in 10. Lo studio è stato presentato al convegno CERCLES del 2016 svoltosi in Calabria. Per approfondimenti, cfr. Fratter in stampa. 11. Gli informanti avevano la possibilità di rispondere anche in inglese.
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passato hanno avuto esperienze di formazione linguistica online (17,8%) la netta maggioranza (72,4%) dichiara di preferire la formazione in presenza, il 27,5% quella blended e nessuno dichiara di preferire la modalità esclusivamente online. Qui di seguito alcuni commenti negativi ai corsi online: Quando il corso è online è più difficile per me concentrarmi e lavorare effettivamente. Penso che non metterei abbastanza fatica per cominciarlo online. Non studio bene quando sono da sola devo avere la possibilità di chiedere le mie domande.
L’unico commento positivo sull’apprendimento esclusivamente online: You can go your own pace.
In sintesi, il fatto che ai corsi online non venga attribuito un valore aggiunto alla formazione linguistica porta a riflettere sui formati e sulla scelta del modello pedagogico offerto, che, probabilmente, nonostante l’uso di piattaforme LMS di matrice costruttivista, vengono di fatto “confezionati” come corsi con un impianto pedagogico presumibilmente di matrice comportamentista, sulla base del quale agli apprendenti vengono forniti esercizi di tipo chiuso senza l’ausilio di strumenti di interazione quali forum, chat e wiki, e questo tipo di utilizzo tende a portare a un apprendimento in isolamento. A supporto di quanto affermato vi sono alcune recenti indagini sull’uso delle piattaforme e-learning da parte di docenti universitari in Italia (Manca, Ranieri 2014), che hanno dimostrato che si tratta prevalentemente di una modalità di tipo trasmissivo, in quanto le piattaforme vengono utilizzate per erogare esclusivamente contenuti di vario genere (slide delle lezioni, materiali di approfondimento audio, video, PDF) e per comunicare avvisi agli studenti (bacheche).
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Lo scarso gradimento per l’online può avere anche altre ragioni legate al diverso grado di capacità degli apprendenti di gestire il proprio percorso di apprendimento, infatti spesso il lavoro online, richiede notevoli abilità di autoregolazione perché lascia libero l’apprendente di organizzare il proprio studio anywhere e anytime (cfr. Cap. II); si tratta dunque di abilità e competenze che vengono via via acquisite con l’allenamento e l’età (Mariani 2009), e pertanto gli studenti universitari, in quanto giovani adulti e con un pregresso di formazione lungo e articolato, dovrebbero già possedere. Concludendo, senza una metodologia adeguata di Instructional Design, in accordo con quanto sostenuto da Trentin, non è possibile «dar senso e organizzare le Web come strumento in grado di potenziare e migliorare il processo insegnamento/apprendimento» (Trentin 2014: 59). 3.6. Supporti per l’apprendimento mediato dalle TIC 3.6.1. Il m-learning: che cos’è e che cosa cambia La rivoluzione tecnologica ha portato anche alla diffusione di nuovi supporti hardware, i cosiddetti «portable device» ovvero smartphone, tablet, che hanno permesso alle persone di essere connessi alla Rete e dunque di essere costantemente in contatto con le persone distribuite in ogni parte del mondo. I dati offerti da alcune indagini (Mazzoccola 2014; Audiweb 2015) ci mostrano come in Italia, analogamente alla maggior parte dei Paesi del mondo, dal 2013 a oggi si registra una diminuzione dell’uso della audience online12 da computer a favore dell’uso dei dispositivi mobili, inoltre, per quanto riguarda gli utilizzatori di questi device, si tratta prevalentemente di giovani in una fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Al momento attuale l’uso dei portable device è ancora una nuova frontiera 12. Con audience online si misura la connettività a Internet in base al tipo di dispositivo utilizzato.
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da esplorare e da sperimentare in tutte le sue forme alla ricerca delle buone pratiche. Per quanto riguarda in modo specifico il mercato dell’elearning e le sue prospettive per il futuro, nell’indagine Mercato E-Learning Trend e Previsioni 2014-2016 (Docebo 2014) viene fornita non solo una panoramica sull’uso e sulla diffusione dell’hi-tech, ma al contempo vengono date delle previsioni di massima riguardo alla vendita futura degli stessi. È interessante notare che nel rapporto si prevede il calo delle vendite dei computer e l’aumento delle vendite di tablet e smartphone (Docebo 2014). Questi dati sono preziosi per avere un quadro del mutamento dei consumi della tecnologia, infatti l’aumento o la diminuzione dell’uso di un certo tipo di tecnologia rispetto a un’altra implica anche un mutamento nel tipo di approccio e nella modalità di fruizione delle risorse: si passa da un uso, che qui chiameremo, di tipo «dedicato» della tecnologia a un uso «flessibile». Con il termine uso dedicato si intende indicare un uso della tecnologia che richiede luoghi e tempi precisi: vi sono dunque uno spazio e un tempo dedicati all’uso delle tecnologie in contesti, come il lavoro o lo studio; con il termine uso flessibile si fa riferimento invece alla natura dei dispositivi mobili utilizzati e utilizzabili in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo; questo tipo di fruizione implica tuttavia dei cambiamenti sostanziali, di cui si parlerà nelle pagine che seguono (cfr. Par. 3.6.2). L’uso della tecnologia mobile ha aperto, e aprirà in modo sempre più massiccio, le porte a un nuovo modo di vivere la tecnologia poiché in questi ultimi anni il «Mobile Learning si è prepotentemente affermato come: una nuova scelta metodologica, una nuova opportunità di business, una nuova strategia per la gestione delle risorse umane» (Docebo 2014: 28). Il mobile learning (m-learning) potrebbe essere considerato come una naturale e dunque inevitabile conseguenza dello sviluppo dell’hi-tech nella società moderna; infatti l’impatto che la diffusione dei dispositivi mobili, quali smartphone, tablet e computer portatili, ha avuto nella vita quotidiana di ogni persona è stato imponente.
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Il m-learning viene definito come insegnamento/apprendimento mediato da supporti mobili quali smartphone, tablet e/o Ipad, computer portatili, ai quali si possono aggiungere anche le consolle, ovvero dispositivi per giocare con i videogiochi (p. es. X-Box, Play Station, Wii). Come affermano Taxler e Wishart (2011: 6), alludendo anche alla disponibilità personale dei dispositivi che ciascun apprendente può possedere, il mlearning non è solo un apprendimento con dispositivi mobili. Come sostenuto da alcuni studiosi, i dispositivi mobili possono play a particularly important role in the informal learning environment: they can be used for communication, collaboration, gathering and sharing of information (Khaddage, Lattemann 2013: 3228).
Il m-learning viene ancora definito come the exploitation of ubiquitous handheld technologies, together with wireless and mobile phone networks, to facilitate, support, enhance and extend the reach of teaching and learning (MoLeNET 2014).
Alla luce delle definizioni fornite, per m-learning nel presente contributo si intenderà un apprendimento/insegnamento mediato da tecnologie mobili con connessione in Rete che può avvenire in luoghi e momenti diversi a seconda delle esigenze dell’apprendente. Secondo tale prospettiva potrebbe sembrare che il mlearning si differenzi dall’e-learning principalmente per il tipo di dispositivi utilizzati, ma questa interpretazione risulta invece piuttosto riduttiva e semplicistica. Infatti, le differenze tra le due modalità sono più profonde proprio come spiega Traxler (2009) che, attraverso la raccolta di alcune parole chiave caratterizzanti l’e-learning, da una parte, e il m-learning, dall’altra, riesce a fornire una interessante mappatura delle due modalità di apprendimento/insegnamento: One view […] in looking at the characterizations of mobile
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learning found in the literature finds words such as “personal”, “spontaneous”, “disruptive”, “opportunistic”, “informal”, “pervasive”, “situated”, “private”, “context-aware”, “bitesized” and “portable”. These are contrasted with words from the literature of “conventional” e-learning such as “structured”, “media-rich”, “broadband”, “interactive”, “intelligent” and “usable”. We can use these to make a blurred distinction between mobile learning and ‘conventional’ e-learning (Traxler 2009: 5).
Il m-learning offre dunque nuove vie per supportare il processo di apprendimento attraverso dispositivi mobili come tablet, dispositivi MP3, smartphone, ma soprattutto grazie alle numerose App, che giorno dopo giorno popolano sempre di più il mercato. L’uso di questi dispositivi enfatizza il cosiddetto «just in time-learning», ovvero il fatto che l’istruzione può avvenire in ogni luogo e ogni momento favorendo l’apprendimento formale e informale (UNESCO 2013). Attualmente l'interesse dei ricercatori è rivolto a indagare l'uso del m-learning e i benefici che da esso ne derivano, per tale ragione le sperimentazioni sull'uso di dispositivi come l'iPad e la LIM nelle classi sono numerose. Pertanto parlare di mlearning rimanda a un insegnamento/apprendimento caratterizzato da flessibilità, informalità e immediatezza d’uso, possibili grazie all’utilizzo di dispositivi mobili. Per l’immediatezza si pensi per esempio alla pronta accensione del tablet, per l’informalità basti pensare all’interfaccia con modalità touch screen che è più user friendly rendendola semplice, interattiva e più familiare (Johnson et al. 2014). Da non trascurare altre caratteristiche quali la portabilità, la versatilità d’uso, la facilità di navigazione e non da ultimo la disponibilità delle ormai numerosissime App (cfr. Par. 3.9). Il valore aggiunto che il m-learning ha rispetto ad altri tipi di apprendimento sta nel fatto che le persone oggi possono essere connesse alla Rete in qualsiasi luogo si trovino e in qualsiasi momento. La connessione costante permette di partecipare ad
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attività, a discussioni senza dover per forza attendere di raggiungere il luogo fisico preposto a tali attività (p. es. il luogo della postazione del computer, il laboratorio linguistico). Si ha così l’opportunità di ridurre i dead-time, ovvero i tempi morti della giornata come per esempio il tempo di viaggio destinato allo spostamento per ragioni di lavoro e/o di studio (p. es. in treno, in autobus). Si tratta comunque di un vantaggio/svantaggio a seconda della prospettiva con cui viene osservato: può costituire un vantaggio perché si riducono in maniera considerevole quelle porzioni di tempo della giornata che normalmente non possono essere considerate “produttive”, dall’altro può costituire uno svantaggio se il fatto di essere sempre connessi alla Rete “ruba” spazio e tempo ad attività quotidiane più tradizionali, come per esempio l’osservazione dell’ambiente circostante gustandone le bellezze anche dal punto di vista sensoriale (odori, rumori, colori), oppure i momenti di “riflessione libera” che possono essere momenti utili allo sviluppo della creatività. Il m-learning favorisce in modo quasi naturale il passaggio da un apprendimento non formale e informale a uno formale (cfr. Par. 3.4.3) e viceversa: il collegamento tra la didattica in aula (intesa come apprendimento formale) e l’apprendimento non formale o informale (a seconda di come è stato progettato il percorso didattico), grazie per esempio all’uso di social network come Facebook o WhatsApp, è particolarmente facilitato. Infatti, il contatto tra gli apprendenti e il docente può essere continuo e costante, ma soprattutto la collaborazione è resa più facile grazie alla connessione alla Rete, ai dispositivi mobili e alle svariate App. Infine, l’estrema compatibilità delle applicazioni ai diversi tipi di dispositivi e ai relativi sistemi operativi, nonché la numerosità di App gratuite permettono sia la collaborazione tra più utenti per la realizzazione per esempio di task collaborativi, sia la fruizione di materiali didattici. Anche per il m-learning si rende necessaria non solo una riflessione, ma anche la ricerca dei modelli pedagogici più consoni al tipo di apprendimento/insegnamento: «It may also imply
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the presence or otherwise of different underlying models of pedagogy and learning» (Traxler 2009: 4). Gli stessi paradigmi che erano stati presi a riferimento per l’apprendimento mediato dalle TIC, il costruttivismo socioculturale e il connettivismo (cfr. Parr. 3.1, 3.2), vengono ripresi da studi che riguardano il m-learning e che indicano l’apprendimento autentico come attività focalizzata on real-world, complex problems and their solutions, using role-playing exercises, problem-based activities, case studies, and participation in virtual communities of practice (Johnson et al. 2014: 30).
La conoscenza, dunque, non è transferred from teachers to students, but is the result of collaborative activities; when these activities take place in a mobile environment, it is extremely important to consider how the temporal and spatial factors can influence the collaborative process (Arrigo et. al. 2010: 23).
Il m-learning, come anche l’e-learning in generale, ha come valore aggiunto l’aumento delle occasioni di apprendimento su vasta scala (p. es. con i MOOC13) dovuto alla possibilità di raggiungere gli utenti a distanza in qualsiasi luogo essi si trovino ma anche in qualsiasi momento, grazie alla esponenziale diffusione pro capite dei dispositivi mobili documentata dalle indagini sullo sviluppo dell’hi-tech (cfr. Par. 3.6.5). Una ricerca recente l’utilizzo del m-learning prevede che gli utenti need to be taught how acquire a set of conceptual and physical tools that will enable them to benefit from a diverse range of information sources, knowledgeable peers, and social networks. They must learn how to maintain a personal learning environment, to create a lasting profile of personal needs and 13. Per la definizione di MOOC, cfr. Par. 3.8.2
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interests, to access and filter a vast amount of information, and to manage formal and non-formal networks for social learning (Arrigo et. al. 2010: 1).
Gli studi condotti nell’ambito del progetto europeo MOTILL14 hanno individuato gli obiettivi a cui il m-learning deve mirare in ambito pedagogico e sociale. In ambito pedagogico il m-learning deve, in particolare: − favorire l’accesso e l’inclusione sociale; − rispondere ai bisogni degli apprendenti e alle loro abitu-
dini tecnologiche; − premettere agli studenti di gestire in modo autonomo il proprio apprendimento.
In ambito sociale il m-learning tra i principali obiettivi individuati deve: − portare lo studente fuori dalla classe nel modo reale; − permettere la costruzione di un apprendimento in contesto. In sintesi, dallo studio MOTILL (Arrigo et al. 2010) emerge che i portable device aiutano gli studenti a organizzare il loro lavoro e danno continuità tra i contesti di apprendimento formale e informale. 3.6.2. Permeabilità e criticità del m-learning Tra i principali ostacoli alla diffusione del m-learning i documenti dell’UNESCO (2012) menzionano: i costi, la formazione del personale e le scorrette abitudini d’uso. The main barriers to mobile learning are the high costs associ14. Si tratta di un progetto europeo che ha analizzato e ha presentato le buone pratiche del m-learning in uso per l’apprendimento nell’arco di tutta la vita. Cfr. Arrigo et al. 2010.
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ated with equipment, connectivity, maintenance, technical support and teacher training; and negative social attitudes about the use of mobile phones in schools (UNESCO 2012: 31).
Tuttavia, i comportamenti non appropriati riguardano in particolare gli allievi delle scuole secondarie di primo e di secondo grado ma non gli studenti universitari oggetto di studio del presente volume: «These concerns tend to be reduced at the higher education levels as learners become more mature and responsible for their own behaviour» (UNESCO 2012: 32). Per quanto riguarda l’aspetto economico, si fa riferimento in particolare al costo di alcuni dispositivi mobili che, seppur diminuito notevolmente, resta comunque alto per alcune categorie sociali e dunque non accessibile alla gran parte della popolazione15. Anche per questo aspetto le difficoltà non coinvolgono del tutto gli studenti universitari stranieri in quando quasi tutti dispongono di uno o due supporti mobili (Fratter, Altiner in stampa). Un’altra criticità legata ai costi riguarda sia la spesa per la manutenzione per il controllo dei dispostivi in dotazione agli enti di formazione, nei casi in cui sono le istituzioni a fornire i dispositivi mobili agli utenti, criticità, questa, superabile con l’approccio BYOD (Bring your own device) di cui si parlerà più avanti (cfr. Par. 3.6.4). Infine, un aspetto che di fatto costituisce un pregiudizio all’introduzione dei dispositivi mobili nella formazione riguarda le cattive abitudini da parte degli studenti nell’uso di tali strumenti. Infatti, le «negative social attitudes regarding the educational potentials of mobile technology constitue the most immediate barrier to widespread embrace of mobile learning» (UNESCO 2013: 39). Spesso infatti si introduce il m-learning in classe senza una adeguata preparazione e pianificazione (Shuler, Winter, West 2012: 30). Si ricorda da più parti che 15. Una recente indagine (Fratter, Altinier 2015), volta a indagare il “profilo tecnologico” degli apprendenti stranieri universitari in mobilità, ha messo in luce come l’uso dei dispositivi mobili attualmente sia limitata agli smartphone e ai computer portatili, mentre i tablet occupano ancora una posizione bassa tra i dispositivi più utilizzati.
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l’uso dei dispositivi mobili quali smartphone e tablet non implica necessariamente benefici e miglioramenti nell’apprendimento/insegnamento, come chiariscono alcuni studiosi (Baker, Dede, Evans 2014: 10): «smartphones and tablet are not like fire, a technology from which one gets a benefit simply by standing near it». 3.6.3. Didattica con i portable device Conformemente all’uso di qualsiasi tipo di e-learning, oltre a una consapevole e motivata scelta dell’approccio più consono al tipo di tecnologia utilizzata (computer portatili/fissi da una parte; tablet/smartphone dall’altra), l’uso del m-learning deve tenere conto: − dell’accessibilità ai diversi materiali tramite portale device (non sempre facilmente realizzabile); − della modalità di erogazione delle attività: in presenza, online, blended; − del grado di versatilità dei dispositivi: gli smartphone per la convergenza al digitale; − dei portable device disponibili nella classe con la LIM. Il m-learning, di più rispetto all’e-learning di prima generazione, favorisce i cosiddetti «modelli ibridi di insegnamento» (Johnson et al. 2014: 16) (cfr. Par. 3.4.4) ovvero il blended learning e in particolare la flipped classroom, sono modelli che cambiano il modo di gestire i contenuti didattici non solo per quanto riguarda l’erogazione, ma nella stessa fruizione. La flipped classroom bene si adatta al m-learning in quanto il materiale che i docenti predispongono può essere consultato e studiato molto più facilmente su supporti mobili trattandosi, per esempio, di brevi filmati che a loro volta, grazie all’uso di App dedicate, possono essere modificati, ampliati e annotati (cfr. Par. 4.2). Il m-learning favorisce la creatività attraverso la realizzazione di oggetti, la condivisione e la manipolazione degli stessi; i
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portable device permettono agli apprendenti di collezionare materiali frutto delle loro esperienze, dei loro interessi. Infatti con svariate applicazioni disponibili negli smartphone o nei tablet, è possibile realizzare, per esempio, dei diari personali multimediali in forma di storytelling. Oggi i portable device permettono concretamente la convergenza al digitale tanto auspicata e discussa alcuni anni orsono, quando a codici comunicativi diversi corrispondevano media diversi ciascuno con le proprie specifiche caratteristiche: le fotografie e i film su pellicola, i testi su carta, i suoni sul vinile o su nastri magnetici. 3.6.4. Il BYOD: una prospettiva per il futuro Il m-learning avrà tanto più successo quanto prima la diffusione del portable device sarà su larga scala, infatti, attualmente uno dei principali nodi da risolvere riguarda la fornitura dei dispositivi mobili agli utenti. Numerose sono le soluzioni individuate, per esempio, il programma denominato «one-to-one 1:1» (Balanskat et al. 2013), che viene impiegato principalmente nei paesi con benessere meno diffuso e che prevede siano gli enti formatori a mettere a disposizione degli utenti i dispositivi necessari all’apprendimento sostenendo che this helps them take responsibility for the device and is essential for the creation of personal mobile learning environments that span formal, informal and non-formal learning settings (Balanskat et al. 2013: 10).
Le soluzioni più spesso adottate prevedono che siano invece gli utenti a dotarsi di strumenti personali di lavoro e di apprendimento quali smartphone e tablet; questo tipo di modalità viene indicato con il termine BYOD (Bring Your Own Device (BYOD) program). L’utilizzo dei dispositivi mobili personali ha numerosi vantaggi: in particolare è proficuo per gli enti formatori in quanto non richiede loro di mettere a disposizione hardware per gli utenti, risparmiando in tal modo non solo sull’acquisto dei dispositivi ma anche sulla loro manutenzione,
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riducendo i costi per l’acquisto e la gestione della tecnologia. L’approccio BYOD ha il vantaggio di rendere il dispositivo strettamente personale: ogni utente può personalizzare il proprio device selezionando e raccogliendo le applicazioni di cui necessita per le proprie attività personali di studio/lavoro e svago più frequenti (Johnson et al. 2014: 44). Infatti, se si confrontano tra di loro i dispositivi mobili di due diversi utenti si può notare come siano diversi: ciascun dispositivo sarà personalizzato e si adatterà in modo specifico alle esigenze del suo utilizzatore. La disponibilità di innumerevoli App funzionali a diversi scopi (p. es. gioco, informazione, lavoro, studio, intrattenimento) rappresenta oggi un ponte che unisce le diverse forme di apprendimento: l’apprendimento formale, quello non formale e quello informale (cfr. Par. 3.4.3). L’approccio BYOD potrebbe essere visto proprio come il mezzo per favorire il superamento della sfida riguardante l’integrazione tra apprendimento formale e informale (Johnson et al. 2014), fortemente auspicata anche dalla Unione europea. 3.6.5. I dispositivi hardware e software più utilizzati Quale applicabilità può avere il m-learning per gli studenti di Italiano L2? Di quali dispositivi sono dotati gli studenti durante il loro soggiorno in Italia? L’offerta formativa di Italiano L2 deve prendere in esame i dispositivi normalmente utilizzati dagli studenti (computer portatili, tablet, smartphone) nonché i relativi sistemi operativi in uso (p. es. Windows, Mac OS, Linux). Si tratta di dati indispensabili alla creazione dei materiali per l’apprendimento online e blended nonché per la fruizione degli stessi, soprattutto se gli enti di formazione adottano il BYOD (Fratter 2016). Recenti indagini condotte profilo tecnologico di questo tipo di utenti (Fratter, Altinier in stampa; Fratter in stampa) offrono uno spaccato sulla situazione attuale come si vedrà qui di seguito. È da ricordare, tuttavia, che in generale i dati che riguardano il possesso di hardware sono in continuo mutamento e dipendono dal grado di sviluppo e di diffusione dell’hi-tech nel mer-
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cato internazionale e dal variare del costo dei dispositivi stessi. Si illustrano in breve i dati più significativi emersi dalle indagini sopra citati negli anni 2015-2016. In generale gli studenti stranieri dispongono nel loro paese d’origine per l’88,4% di un computer portatile, per il 77,1% di uno smartphone, mentre si riduce notevolmente la disponibilità di tablet, infatti solo il 18,8% dichiara di possederne uno. Per quanto riguarda nello specifico il periodo di soggiorno all’estero, è emerso che un buon numero di studenti (38,5%) ha acquistato per l’occasione un dispositivo (p. es. tablet, computer portatile). I dati mostrano dunque il profilo di una utenza che può essere definita “autonoma” nel possesso di dispositivi mobili e potenzialmente ricettiva alla modalità BYOD. Infine, nonostante attualmente il prezzo dei tablet sia sceso notevolmente rispetto alla fase della prima diffusione, ciò che colpisce dai dati emersi è, di fatto, l’esiguo numero di questo tipo specifico di device posseduti dagli utenti contrariamente a quanto erano le attese. In genere i possessori di tablet sono principalmente studenti di dottorato e ricercatori, con un’età compresa tra 23-26 e 27-30 anni. Tali dati sono in linea con quelli di una ricerca condotta su una popolazione di studenti universitari italiani (Micheli 2014) secondo la quale gli strumenti per la lettura digitale in mobilità sono poco diffusi se si considera la composizione del campione: il tablet è utilizzato da circa un quarto degli studenti (26,8%), mentre l’ereader, il dispositivo per leggere gli e-book come Kindle e Kobo lo è da meno di un quinto dei giovani (16,3%) (Micheli 2014: 7).
Lo smartphone rimane dunque il dispositivo posseduto pressoché da chiunque e sul quale è possibile contare per apprendimenti in modalità BYOD. Per quanto riguarda la scelta del sistema operativo con cui sviluppare applicazioni e materiali per la formazione linguistica, dalle ricerche emerge che il sistema operativo più utilizzato è Windows (80%), seguito da Mac OS (16%), seguiti in misura
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molto ridotta da altri quali Linux e Android. Nello sviluppo, dunque, di App per l’apprendimento linguistico si dovrà tenere conto anche della compatibilità con i sistemi operativi più in uso. 3.7. La rivoluzione dei social media Sono trascorsi molti anni da quando, nel 2004, ebbe luogo la «Web 2.0 Conference» promossa dalla O’Reilly Media in cui, per la prima, volta venne affrontato il tema del Web 2.0. Negli anni a seguire, l’impatto del Web 2.0 è stato determinante nel trasformare il mondo di Internet, delle TIC rivoluzionando il modo di vivere la Rete, trasformando gli internauti da utenti fruitori di contenuti a utenti creatori e utilizzatori degli stessi. Non da ultimo, lo sviluppo di open software16 utilizzabili direttamente online ha dato il via alla generazione e alla distribuzione di contenuti in modo reticolare aprendo le porte a una grande massa di utenti facendoli diventare dei “cittadini della Rete”. Con l’introduzione dei social media, ha preso avvio anche una nuova generazione di e-learning. Secondo Manca e Ranieri i social media, infatti, fanno parte dell’e-learning di seconda generazione e «sono visti come un potente volano per la trasformazione delle pratiche di insegnamento» (Manca e Ranieri 2014: 306). Tuttavia, ancora oggi piuttosto esigue sono le ricerche che mostrano in modo puntuale l’efficacia dei social media nella pratica didattica. In particolare, secondo i dati forniti da una ricerca condotta da Ranieri e Manca (2014) sull’uso dei social media in ambito universitario, emerge che gli applicativi del Web 2.0, pur considerati potenti strumenti per la dimensione collaborativa dell’apprendimento, sembrano essere utilizzati in modo molto sporadico a causa della mancanza di buone pratiche a cui potersi affidare. Se l’e-learning di prima generazione 16. Si tratta di software il cui codice sorgente viene reso pubblico e può essere modificato, migliorato dagli utenti esperti.
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era basato sull’erogazione di contenuti per mezzo di piattaforme chiuse, con l’avvento del Web 2.0 l’insegnamento/apprendimento si è aperto all’esterno, alla comunità, e ha dato luogo a ogni forma di interazione tra le persone. La riluttanza a utilizzare i social media vede anche come motivazione la tutela della propria privacy in quanto i confini tra pubblico e privato con i social tendono a svanire (Manca, Ranieri 2014: 309). Frequentemente, inoltre, gli stessi docenti non si destreggiano bene nella realtà dei social network e per tale ragione non utilizzano gli strumenti del Web per la loro didattica. Poiché i social media possono essere di diversi tipi, l’uso di qualsiasi genere di software nella didattica implica anche la conoscenza della loro natura e delle loro specifiche caratteristiche. La familiarità con i software riguarda anche la capacità di distinguerli in base alla loro funzione: software applicativi per la videoscrittura, per la gestione di banche dati, per la grafica, per la comunicazione a distanza (sincrona o asincrona), per la collaborazione. È necessario destreggiarsi tra i diversi tipi di software per poterli integrare nella pratica didattica esaltandone le potenzialità (Fratter 2010; Fratter, Jafrancesco 2010) senza rischiare il fallimento gli obiettivi didattici prefissati. In questi ultimi anni si è assistito allo sviluppo di svariate applicazioni (gratuite o a pagamento), con le quali è possibile realizzare facilmente una vasta gamma di percorsi di apprendimento, come per esempio sondaggi online, con la relativa tabulazione ed estrapolazione dei dati (p. es. SurveyMonkey, Survio, Google Docs, LimeSurvey). 3.7.1. Applicazioni del Web 2.0: caratteristiche e funzionalità Le applicazioni del Web 2.0 possono essere suddivise in base alle loro caratteristiche e funzionalità in social network, strumenti per la CMC, aggregatori di feed, social bookmarking, blogging, strumenti per la scrittura collaborativa, podcasting/videocasting, sistemi di archiviazione (repositoring) e i sistemi di file-sharing. I social network sono applicazioni sviluppate con l’obiettivo
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di permettere agli utenti di socializzare con altri internauti, di stringere nuove amicizie o nuovi rapporti di lavoro. Si possono considerare come dei luoghi di incontro che consentono alle persone e ai professionisti di tutti i settori di gestire i propri contatti, per esempio in ambito lavorativo e di creare nuovi e utili rapporti professionali con altri utenti. Vi sono diversi tipi di social network, alcuni dedicati ai rapporti per lo più informali altri dedicati invece a rapporti più formali/professionali, come per esempio LinkedIn. Tuttavia, con il passare del tempo e soprattutto in base all’uso degli stessi utilizzatori, molti social network si sono trasformati in vere piattaforme sociali poiché al loro interno sono state introdotte diverse funzionalità. Un esempio è Facebook, che oggi è diventato anche lo strumento di contatto di molti professionisti e di istituzioni. Vi sono anche altri tipi di piattaforme social network nate per mettere in contatto ricercatori, studiosi con gli stessi interessi, per esempio ResearchGate e Academia.edu. Non si tratta, come spesso si intende, di open access repositories17 ovvero di piattaforme nonprofit dove gli studiosi possono condividere i propri articoli le proprie ricerche in generale, ma sono piattaforme commerciali dove, per esempio, i lavori non hanno una durata perenne. Gli strumenti per la CMC permettono la comunicazione in tempo reale tra due o più persone non più solo testuale, ma composta da audio e video; tra questi possono essere inclusi anche i sistemi di messaggistica istantanea (instant messaging) come WhatsApp, WeChat. Tra i servizi offerti dai sistemi di messaggistica è possibile inviare, al singolo o al gruppo, messaggi scritti, adesivi, emoticons (più recentemente emoji) e ogni sorta di media. Gli aggregatori di feed hanno la funzione di raccogliere in un unico spazio tutti i siti utili all’utente permettendone una consultazione più agevole a partire da un’unica pagina HTML. Gli aggregatori hanno l’obiettivo, e al contempo il vantaggio, di ridurre in modo considerevole il tempo richiesto per essere co17. Per approfondimenti, cfr. https://goo.gl/saSmHh
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stantemente aggiornati sulle novità, sulle notizie, sulle informazioni che via via vengono pubblicate in Rete. Si tratta di strumenti che permettono dunque la gestione di uno spazio personale di dati aggiornati. I social bookmarking o segnalibri sono applicazioni utili alla condivisione, catalogazione delle risorse nella Rete per mezzo di etichette (tag). Questa tipologia di software permette: a) di aggiungere commenti ai siti, alle risorse trovate; b) di condividere la catalogazione attraverso tag con altri internauti, si parla allora di «folskonomie», di «social tagging». Tra i benefici delle folksonomie (Petrucco 2006) c’è la possibilità di etichettare le risorse con delle parole chiave che abbiano un senso per gli stessi internauti. Le folksonomie favoriscono il senso di aggregazione sociale poiché offrono l’opportunità di trovare persone che condividono interessi e risorse. Il blogging include tutti quei siti (blog) creati dagli utenti e che hanno le finalità più disparate: blog personali in cui gli utenti si raccontano, o blog tematici dedicati ad argomenti specifici, blog fotografici (fotoblog) e tanti altri ancora. Nel 2006 con il lancio di Twitter si è fatto strada il microblogging caratterizzato dalla scrittura di messaggi brevi (massimo 140 caratteri), concisi e immediati, chiamati «tweet». È possibile pubblicare anche video, immagini, link. Twitter ha avuto larga diffusione sia in ambito privato che pubblico, numerosi personaggi della scena politica, culturale e religiosa utilizzano il microblogging per informare i propri follower o seguaci in tempo reale. Il microblogging «offre la possibilità di dare in tempo reale una risposta qualitativa e individuale a una determinata situazione» (De Kerkhove 2014: 47). Gli strumenti per la scrittura collaborativa sono ambienti Web predisposti alla stesura di documenti da parte di più utenti, per esempio il wiki, oppure applicazioni come Google Drive, con le quali è possibile modificare documenti (testi, fogli di calcolo, disegni, slide) in tempo reale condividendoli simultaneamente con altri utenti e soprattutto tenendo traccia dello storico del lavoro collaborativo. Con la diffusione delle App si sono fatte strada anche applicazioni che fungono da lavagne con-
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divise e che permettono la modifica di ciò che è sulla lavagna da parte di più utenti, oppure fungono da bacheca in cui “appendere post-it” (p. es. Talkbroad per iPad) o Padlet disponibile online. Il podcasting e il videocasting fanno riferimento a documenti digitali (file), audio o video, disponibili in Internet e riproducibili su lettori audio/video personali, come per esempio iPod. Il podcasting ha visto il suo successo proprio grazie alla diffusione dei dispositivi mobili. Si tratta di software che favoriscono la condivisione di video e immagini create dagli utenti e messi a disposizione della comunità di internauti. Con questi strumenti gli utenti possono anche postare commenti alle foto e ai filmati dando così un valore aggiunto al materiale prodotto. I sistemi di archiviazione offrono agli utenti la possibilità di depositare in uno spazio online, la cosiddetta «nuvola» (cloud), documenti (di diversi formati) per poterli utilizzare in qualsiasi momento, in ogni luogo e con qualsiasi supporto (smartphone, tablet, notebook, computer fisso). Questi sistemi hanno il vantaggio di non sovraccaricare le memorie dei dispositivi e di rendere portabili i diversi materiali. Tra questi applicativi i più conosciuti al momento attuale sono Dropbox e Google Drive. I sistemi di file-sharing sono nati per la condivisione online di materiali quali, per esempio, diapositive di presentazioni multimediali, di conferenze o anche di lezioni, handhout, documenti in PDF. Si tratta di applicazioni molto utilizzate in quanto permettono di condividere facilmente il materiale senza permettere il download (p. es. Slideshare). Tutte le applicazioni del Web 2.0 sono caratterizzate da diversi gradi di portabilità, vale a dire dalla possibilità di essere o non essere installati nel computer dell’utente su cui viene eseguito. Questa caratteristica è molto importante in ambito didattico in quanto permette agli studenti e ai docenti, di usare programmi in qualsiasi luogo, per esempio aule informatiche, in cui non si dispone dei diritti di amministratore e dunque non si ha il permesso di installare programmi nei computer. Ciò che eventualmente si salva nel computer dell’utente o meglio ancora nello spazio cloud è il prodotto finale del lavoro realizzato
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online. In generale, anche per le applicazioni del Web 2.0, è possibile parlare di una sorta di “convergenza” di applicativi in quanto molte di queste applicazioni nel corso degli anni hanno visto integrare numerose funzionalità, per esempio tra i più popolari si pensi a WhatsApp che da sistema di messaggistica testuale via via ha integrato audio, video e oggi è uno dei sistemi di messaggistica più utilizzati da qualsiasi fascia d’età non solo in Italia, ma anche all’estero (cfr. Fratter, Altinier in stampa). 3.7.2. Il profilo “social” degli studenti di Italiano L2 Tutti gli strumenti del Web 2.0 visto nel paragrafo precedente (cfr. Par. 3.6.1) fanno ormai parte della quotidianità dei nativi digitali, tuttavia diverso può essere il contesto d’uso che ne viene fatto: per lavoro, per studio o per divertimento. Diverse indagini (Docebo 2014; Mazzoccola 2014) confermano la vasta diffusione che gli strumenti del Web 2.0 hanno avuto nella vita sociale di ciascuno di noi, mentre le indagini che riguardano il grado di permeabilità di tali strumenti nei percorsi educativi e professionali sembra essere ancora piuttosto ridotto. Per poter integrare pratiche didattiche innovative per l’Italiano L2 è necessario conoscere il livello di diffusione dei social media tra coloro che frequentano i corsi di lingua. Nel presente paragrafo si metteranno a confronto alcuni dati provenienti da ricerche nel settore universitario. Si prenderanno in esame alcune recenti ricerche condotte sullo stile di studio di giovani universitari italiani (Micheli 2014), sui docenti universitari italiani (Marca, Ranieri 2014) e sugli studenti universitari di Italiano L2 (Fratter, Altinier 2015, in stampa), con l’obiettivo di confrontare il grado di permeabilità delle applicazioni del Web 2.0 tra gli studenti italiani e gli studenti stranieri, e di illustrare in quale panorama tecnologico italiano sono accolti gli studenti stranieri che trascorrono un periodo più o meno lungo di studio/lavoro presso le università italiane.
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Lo studio di Manca e Ranieri (2014)18 riguarda le pratiche digitali dei docenti universitari italiani nonché gli usi e le percezioni che gli accademici italiani hanno circa il potenziale dei social media nella loro pratica didattica. In questa ricerca viene messa in evidenza l’estrema diversità tra il modo accademico, gerarchico e verticale, e il mondo social, partecipativo e orizzontale. In generale i dati che la ricerca ci restituisce mostrano come nella didattica universitaria italiana vi sia la preferenza alla modalità in presenza. L’uso che viene fatto delle piattaforme e-learning è del tipo erogativo, sono utilizzate per inviare messaggi, per fornire avvisi, per inserire programmi e materiali dei corsi. L’uso dei social media nella didattica universitaria è piuttosto ridotto, alcuni esempi sono Twitter per le comunicazioni rapide e Facebook per la gestione del calendario. Tra le principali ragioni dello scarso uso vi sono la mancanza di buone pratiche e il carico di lavoro richiesto per la gestione di attività nei social media. Molti docenti, inoltre, non ritengono si tratti di strumenti adatti in genere alla didattica in quanto non è possibile, per esempio, controllare le valutazioni dei compiti assegnati o mediare le interazioni tra e con gli studenti. Alla luce dei dati della ricerca sul contesto italiano (Marca, Ranieri 2014) si ipotizza che gli studenti stranieri in mobilità avranno poche probabilità di sperimentare didattiche innovative mediate dagli strumenti del Web 2.0. La seconda interessante ricerca (Micheli 2014)19 riguarda le abitudini di studio degli studenti universitari. Nella ricerca è stato dato spazio anche al profilo social degli studenti e al loro modo di “essere in Rete”. Secondo i dati dell’indagine, l’89% ha un profilo su Facebook, il 48% su Google+ e il 45% su Twitter. Tuttavia, nulla dice la ricerca sull’uso che ne viene fatto di tali social. Se si confrontano questi dati con quanto emerso dalla situazione della didattica universitaria, si ipotizza che si tratti prevalentemente di un uso dedicato al tempo libero e non allo 18. La ricerca è stata condotta su 6139 informanti (personale universitario con incarichi di insegnamento). 19. L’indagine è stata condotta su un campione di 1513 studenti universitari italiani distribuiti in tutta l’Italia.
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studio/lavoro. Infine, la ricerca condotta sugli studenti universitari stranieri20 (Fratter, Altinier 2015, in stampa) ha l’obiettivo di capire se gli strumenti del Web 2.0 sono utilizzati dalle giovani generazioni esclusivamente nella vita quotidiana oppure se hanno un impiego anche nella vita professionale. Per quanto riguarda l’uso sociale degli strumenti di videoconferenza, dai dati risulta che sono utilizzati dal 63% e nello specifico Skype è in assoluto quello più popolare (89%) seguito da altri software in misura molto ridotta come per esempio Facetime, Hangout e Viber. Le percentuali d’uso dei sistemi di videoconferenza, tuttavia, sono più basse rispetto alle attese: trattandosi di studenti stranieri in mobilità, si immaginava un uso pari quasi al 100% proprio per l’utilità degli stessi, ovvero per la possibilità di comunicare a costo zero con i propri familiari nei paesi di origine. I social network registrano un utilizzo maggiore (82%) rispetto ai precedenti software: in prima posizione si colloca Facebook (84%) seguito da Twitter (8%), Instagram (5%), Trumblr (1%). Per quanto riguarda i sistemi di instant messaging sono utilizzati dal 67% con al primo posto WhatsApp (88%) seguito a molta distanza da sistemi come Viber o KakaoTalk (1%), definita quest’ultima come l’alternativa coreana a WhatsApp. Infine, l’uso di software per la gestione/fruizione della musica si attesta intorno al 53% e, in particolare, al primo posto troviamo Spotify (49%), seguito da iTunes (16%) e da YouTube (9,8%). Lo studio di Fratter e Altinier (in stampa), inoltre, ha messo in luce una certa disinformazione sulle tipologie di software da parte degli studenti, infatti nei questionari è risultato che i sistemi di instant messaging venivano confusi con i social networking. Per capire il grado di abilità d’uso degli strumenti del Web 2.0, ovvero per capire se gli studenti di Italiano L2 sono solo dei fruitori di contenuti e degli utilizzatori di strumenti, oppure 20. L’indagine è stata condotta su un campione di 434 studenti universitari stranieri appartenenti a tutti e 5 i continenti.
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se sono anche dei creatori di contenuti, è stato chiesto loro se possedevano un profilo pubblico in Rete e su quale social network. L’analisi dei dati riporta un quadro interessante: solo il 4% degli informanti non ha un profilo in Rete21; tra i social network più utilizzati in ordine di frequenza ci sono Facebook (97%), Google+ (36%), Twitter (33%), Instagram (31%), alcuni hanno anche più di un profilo. 3.7.3. Grado di permeabilità del Web 2.0 nella vita professionale e di studio Avere un profilo su un social network come Facebook, Twitter o Google+ non significa utilizzare la Rete in tutte le sue potenzialità e per qualsiasi scopo. Spesso le applicazioni del Web 2.0 sono rimaste ancorate a uno spazio circoscritto al tempo libero, alle relazioni sociali informali, mentre poco ancora si sa sull’uso che gli studenti fanno della Rete per la propria formazione, dunque, per lo studio e/o il lavoro. In una indagine del 2010 anni fa condotta sugli studenti di Italiano L2 (Fratter et al. 2010: 292)22 viene evidenziato il gap esistente tra l’uso delle TIC, più in generale l’uso di Internet, per il tempo libero (93,6%) e l’uso dedicato allo studio/lavoro (8,5%). È cambiato qualcosa rispetto al passato? Se si considerano i dati del 2010 paragonati a quelli più recenti (Fratter, Altinier, in stampa; Fratter in stampa) è riscontrabile nel corso degli anni un aumento nell’uso degli strumenti del Web 2.0 per scopi di formazione e/o professionali; tuttavia, se si confrontano invece i dati relati all’uso per svago e per studio/lavoro emerge che a partire dai sistemi di videoconferenza per scopi professionali/educativi […] solo il 17% dichiara un uso legato alla forma21. In un’analoga indagine svolta nel 2010 gli studenti che avevano un profilo in Rete erano molto pochi: «L’82% dichiara di sapere che cos’è un blog e solo il 14% ne possiede uno» (Fratter et al. 2010: 292). 22. L’indagine è stata condotta presso il CLA dell’Università di Padova negli anni 2007/2008 su un campione di 235 studenti.
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zione, per passare ai social network con il 48% con in testa Facebook seguito da altri software come Twitter, per procedere con i sistemi di instant messaging con il 45% (Fratter, Altinier in stampa).
In generale, si può affermare che non è ancora avvenuto il passaggio atteso nel settore della formazione, che vede l’impiego degli strumenti del Web 2.0 anche per il lavoro e lo studio. Tuttavia, ci si aspetta che in un futuro prossimo aumenterà notevolmente il numero di persone che utilizzeranno i social network come mezzi per la formazione, grazie al diffondersi sempre più massiccio di App legate al mondo dell’educazione e alla graduale inversione di tendenza che vede i social network come Facebook passare da un uso quasi esclusivo per il tempo libero a un uso anche istituzionale, come vetrina di attività non solo commerciali ma anche formative. In conclusione, tenendo conto dei dati riferiti all’università italiana (Manca, Ranieri 2014) e di quelli relativi agli studenti stranieri in mobilità (Fratter, Altinier 2015; Fratter, Altinier in stampa; Fratter in stampa) si ritiene di poter affermare che gli studenti stranieri come quelli italiani sono ancora abituati a una didattica che non fa uso degli strumenti del Web 2.0.
3.8. Apprendimenti online e classi virtuali L’apprendimento a distanza mediato dalle TIC grazie all’evoluzione e alla trasformazione di hardware e di software ha segnato il passaggio dall’e-learning definito di prima generazione verso quello di seconda generazione (Manca, Ranieri 2014). La grande novità sta nell’apertura degli ambienti di apprendimento verso il mondo del Web. Quanto, e soprattutto come, questi cambiamenti siano stati però recepiti nel settore della formazione linguistica è difficile da stabilire in modo preciso. È possibile, tuttavia, una parziale ricognizione delle esperienze più innovative di apprendimento linguistico attraverso l’osservazione di dati provenienti da inda-
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gini sul pubblico specifico di studenti universitari stranieri (Fratter, Altinier 2015, in stampa; Fratter in stampa). Prima di prendere in esame i dati delle indagini sopracitate è necessario fornire una breve panoramica sulle possibilità offerte nel settore della formazione. Dapprima si prenderanno in esame le piattaforme per l’e-learning osservandone lo sviluppo avvenuto: dalle piattaforme di prima generazione agli ambienti dell’e-learning del Web 2.0; in seguito si esamineranno le nuove tendenze di formazione open: i MOOC. 3.8.1. Le piattaforme per l’apprendimento online La diffusione delle TIC nella gestione della quotidianità avutasi con la commercializzazione dei dispositivi touch screen e delle App, ha registrato inevitabili ripercussioni nel settore educativo con lo sviluppo di piattaforme per l’e-learning (p. es. Moodle, Blackboard) e con l’erogazione di corsi in modalità blended o online. Per offrire servizi online le istituzioni educative usufruiscono frequentemente di piattaforme Learning Content Managment System (LCMS), ovvero infrastrutture tecnologiche in grado di gestire utenti, contenuti/materiali, attività di testing in generale (assessment, placement test, self assessment). Piuttosto numerose e varie sono attualmente le piattaforme e-learning disponibili sul mercato; in generale si distinguono in proprietarie (commerciali) e open source: le proprietarie sono distribuite da case produttrici, quelle open source invece possono essere utilizzate liberamente, vale a dire hanno una licenza che permette l’accesso al codice sorgente e l’eventuale adattamento e/o modifica. Tra le piattaforme open source una tra le più conosciute in ambito universitario italiano è Moodle (Modular ObjectOriented Dynamic Learning Environment) che è una piattaforma per la gestione di utenti (LMS), corsi e contenuti (CMS). Altre piattaforme note sono, per esempio, ATutor, piattaforma open source nata da un progetto canadese, oppure DoceboLMS, una piattaforma open source nata da un progetto italiano su ini-
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ziativa dell’Università di Firenze. Questa tipologia di piattaforme è progettata per gestire e monitorare: − gli utenti, attraverso le iscrizioni, la creazione di diverse forme di gruppi (aperti e chiusi); − i corsi, gli ambienti per le classi virtuali; − i contenuti didattici, per esempio attraverso pagine HTML, learning object; − i voti e risultati (p. es. tracciamento delle attività, pagelle, report); − l'interazione degli utenti grazie a forum, chat, scambio file (audio, video, PDF, MP3 ecc.); − le attività degli utenti attraverso diversi tipi di feedback. Caratteristica di queste piattaforme è il loro carattere chiuso, vale a dire che per accedere a questi tipi di ambienti è necessario disporre di password, di chiavi di accesso, più in generale, è necessario iscriversi ai corsi. Grazie all’identificazione dell’utente tutto ciò che avviene all’interno di queste piattaforme può essere monitorato dal docente, attraverso registri di valutazione, registri di presenza, controllo dei log e delle attività svolte dai partecipanti; tale peculiarità è molto gradita ai docenti che sentono il bisogno di “controllo” sull’operato degli apprendenti (Manca, Ranieri 2014: 25). In genere i materiali sono disponibili solo agli utenti identificati, con qualche caso sporadico di accesso agli ospiti23. L’analisi degli strumenti disponibili nelle piattaforme è molto importante in quanto spesso, per esempio, per evitare l’anonimato e la spersonalizzazione dei corsi, si richiede l’uso di sistemi di videoconferenza necessari a rendere più efficaci gli incontri tra i partecipanti e i docenti. Le piattaforme di elearning possono essere distinte non solo in base agli strumenti 23. In alcune piattaforme, come per esempio Moodle, esiste la possibilità di dare l’accesso a persone non iscritte in alcune aree della piattaforma e non per tutte le attività come per esempio i quiz che richiedono una valutazione.
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utilizzati, ma anche in base all’uso che ne viene fatto. Vengono definite piattaforme erogative e con un approccio contentdriven (Trentin 2014) le piattaforme con l’obiettivo di fornire materiali, si tratta di un utilizzo molto simile alla didattica frontale d’aula o alle forme di autoapprendimento dove l’interazione è tra lo studente e i materiali. L’obiettivo pedagogico primario è assicurare l’acquisizione di conoscenze e di contenuti. Si parla, invece, di piattaforme collaborative e interattive quando sono disponibili strumenti necessari all’interazione online e alla creazione della conoscenza condivisa, come per esempio forum, wiki, chat, Webinar, ma anche e-tivity strutturate come webquest, task, problem solving. Il modello pedagogico è basato principalmente su attività collaborative in cui vengono proposti contesti didattici orientati al ragionamento e alla riflessione sia individuale che di gruppo. Le piattaforme di seconda generazione, invece, sono caratterizzate dall’essere aperte al mondo della Rete, si utilizzano gli strumenti del Web 2.0, ma soprattutto è l’utente a essere al centro di ogni attività: egli crea, condivide, modifica contenuti, materiali e diventa parte attiva del Web. Condivisione, scambio e collaborazione sono dunque i punti di forza dell’e-learning 2.0. L’essere aperto al mondo viene visto come un vantaggio a favore della motivazione (Guth, Thomas 2010: 46) ma può essere visto anche come un modo per rendere più consapevoli gli apprendenti sulla loro responsabilità nella cura dei contenuti/materiali da pubblicare in Rete (cfr. Fratter 2010: 112). Tra le criticità emerse nell’e-learning 2.0 è stata rilevata l’instabilità dei servizi e le versioni denominate «betaperennni» (Guth, Thomas 2010: 46): spesso, per alcune applicazioni, vengono messe sul mercato delle versioni di prova che in seguito non vengono mai più aggiornate e modificate e dunque conservano tutte le criticità delle versioni provvisorie. Il mercato delle applicazioni è piuttosto variabile e fluttuante, infatti, accade spesso che alcune applicazioni, pur molto utilizzate, vengano chiuse, oppure da un servizio totalmente gratuito i produttori passino a un servizio a pagamento. Attualmente vi sono svariate piattaforme gratuite disponibili
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online che non hanno bisogno di particolari permessi e con una gestione degli utenti molto facile e immediata, per esempio con l’uso di semplici codici di accesso e, in alcuni casi, non necessitano neanche degli indirizzi di posta elettronica degli utenti24. Questo genere di piattaforme offre numerosi servizi e ha una configurazione molto accattivante, simile ai social network; per citarne alcune: Edmodo, Schoology, Twiducate. Si tratta di piattaforme che, per il fatto di essere disponibili online e non richiedere password istituzionali per l’accesso, hanno avuto il merito di ampliare le iniziative di formazione anche non strettamente legate a istituzioni universitarie. 3.8.2. Massive Open Online Courses Nel 2008 Siemens e Downes realizzano il primo corso gratuito online aperto a chiunque; si tratta di un corso dal titolo «Connectivism and Connective Knowledge» preparato per ventiquattro studenti dell’Università di Manitoba e che, contemporaneamente, viene aperto anche a qualsiasi persona fosse interessata (Downes 2011: 81). Al corso partecipano 2200 persone da tutto il mondo. Il corso dura quattrodici settimane e ogni settimana viene proposto un argomento; non ci sono contenuti predeterminati in quanto secondo i creatori «learning in a MOOC, we advised, is in the first instance a matter of learning how to select content» (Downes 2012: 27). Ogni persona dunque seleziona i contenuti e riflette su di essi a partire dalla propria prospettiva. Questa è stata la prima iniziativa dei futuri corsi massivi open, i Massive Open Online Courses (MOOC). Attualmente a livello internazionale numerosi sono i consorzi che forniscono diverse tipologie di MOOC e che dispongono di piattaforme proprietarie: Coursera, EdX, Iversity, Udacity. In generale la partecipazione ai MOOC è gratuita, talvolta però è richiesto il pagamento per il certificato. Poiché si tratta di corsi internazionali in cui, nella maggior parte dei casi, la lingua veicolare è l’inglese, ciò favorisce il processo di interna24. Questo tipo di piattaforme è utilizzato in particolare da chi lavora con minori.
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zionalizzazione dei diversi atenei tra cui quelli italiani (CRUI 2015: 6). I MOOC sono il frutto della collaborazione di un team di esperti: progettisti e-learning, docenti, tutor, specialisti nel settore, personale dell’università o dell’istituzione che eroga i corsi. Questi corsi possono anche prevedere l'attestazione di competenze e conoscenze acquisite durante la formazione tramite l'erogazione di test online, somministrati al termine del corso a tutti coloro che abbiano adempiuto alle richieste minime di presenze, per esempio un numero minimo di partecipazione ai Webinar, oppure per lo svolgimento e il superamento di test online, per la partecipazione attiva ai forum. Poiché i MOOC si fondano sulla gestione autonoma dell'apprendimento, e dunque richiedono la capacità di ciascun apprendente di gestire in modo consapevole e autonomo lo studio, sono adatti soprattutto a utenti adulti in grado di organizzare il proprio studio e il proprio tempo, richiedono inoltre una forte motivazione personale (Fratter 2014, 2016) proprio come afferma Downes you decide that you want to participate, you decide how to participate, then you participate. If you're not motivated, then you're not in the MOOC […] I think, is that MOOCs expect that their participants will be motivated and will have learned how to learn (Downes 2012: 507).
Presumibilmente in un prossimo futuro sarà possibile pensare a forme di MOOC anche per pubblici con diverse fasce d’età. Grazie alle TIC con le loro nuove dimensioni e sfaccettature, il processo di apprendimento/insegnamento si avvia a nuove forme di collaborazione e condivisione. Today new technologies offer unprecedented opportunities to make learning more effective, inclusive and engaging. Digital technologies can improve effectiveness of resources through economies of scale, expanding access to a wider number of people (e.g. through MOOCs and other Open Educational Resources (OER) at lower costs or allowing teachers to focus on
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what they do best by automating or offloading more routine tasks. ICT can be used to foster more creative and innovative methods of learning (including personalised and collaborative learning), and it has the potential to facilitate collaboration, exchange and access to learning resources (Balanskat et al. 2013: 18).
3.8.3. Esperienze innovative di apprendimento online In questo variegato panorama legato alle nuove tecnologie è importante capire se, e a che livello, gli studenti di Italiano L2 hanno un pregresso di esperienze innovative di apprendimento per la lingua italiana e, in generale, per le lingue straniere e come tali esperienze vengono valutate dagli stessi apprendenti. Dalle ricerche condotte sulla specifica popolazione (Fratter, Altinier in stampa; Fratter in stampa) il primo dato interessante riportato riguarda la frequenza di corsi di italiano prima del soggiorno in Italia: si tratta di corsi nella maggior parte dei casi (95,5%) di tipo tradizionale in presenza e solo un numero esiguo di studenti (3,2%) annovera esperienze di apprendimento in modalità blended oppure online (0,7%). Nel campione raccolto dalla ricerca tra coloro che hanno frequentato corsi con nuove modalità (blended, online) non risulta esserci una nazionalità più rappresentata rispetto ad altre, le provenienze degli studenti sono varie (p. es. cinese, egiziana, greca, spagnola, tedesca). Questi dati fanno pensare a una carenza di offerta formativa online per l’Italiano L2, tuttavia nell’indagine (Fratter, Altinier in stampa; Fratter in stampa) si rileva invece che i corsi di lingua frequentati online o in modalità blended sono proprio quelli di lingua italiana (55,1%), seguiti dai corsi di inglese (34,6%), di tedesco (4,8%), di spagnolo (25%) e francese (25%). Interessante notare che, anche se in aumento rispetto al passato, la scelta di apprendere una lingua online è ancora piuttosto ridotta (Fratter et al. 2010), i dati, infatti, mostrano che solo il 17,8% ha una qualche esperienza in tal senso. Per quanto riguarda il grado di soddisfazione dei corsi online, emerge che il 15,6%, di coloro che hanno avuto esperienze di corsi online, si
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dichiara molto soddisfatto, il 46,7% abbastanza soddisfatto, il 28,9% poco soddisfatto e l’8,8% per niente soddisfatto. In generale la maggior parte degli apprendenti vede l’apprendimento online positivamente soprattutto per lo sviluppo dell’abilità di ascolto e per la possibilità di gestire in modo autonomo i tempi del proprio apprendimento. Mentre tra coloro che si sono dichiarati poco, o addirittura, per niente soddisfatti una delle ragioni forti di tale insoddisfazione è la mancanza di contatto diretto con le persone e con il docente: «It is more important to meet people and talk with them», «It is more motivating with classmates and teacher» (Fratter, Altinier in stampa). Dalle esperienze pregresse degli apprendenti emerge che, in generale, i materiali online per l’apprendimento delle lingue sono piuttosto carenti nella parte che riguarda lo sviluppo dell’abilità di produzione orale. Inoltre, dalle testimonianze riportate nella stessa indagine è possibile dedurre che gli apprendenti abbiano avuto esperienze soprattutto con piattaforme di tipo erogativo, basate principalmente su obiettivi di tipo grammaticale e scarsamente motivanti, similmente a quanto viene rilevato dallo studio di Manca e Ranieri (2014) sull’uso delle piattaforme in ambito universitario (cfr. Par. 3.7). Per quanto riguarda le esperienze più innovative specificamente per apprendimento linguistico come la telecollaborazione (Helm, Guth, Guarda 2014), il teletandem (Telles, Assunção Cecilio 2014) o la partecipazione a MOOC sembra che non siano pratiche ancora molto diffuse in questo particolare pubblico di apprendenti; tuttavia le esperienze, seppur ridotte, vengono valutate positivamente per gli aspetti che riguardano lo sviluppo delle abilità orali (ascolto e parlato) e il contatto diretto con un madrelingua (Fratter, Altinier in stampa). La scarsa diffusione di apprendimenti innovativi può essere presumibilmente spiegata da alcuni dati provenienti da ricerche internazionali che mostrano come
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in tutta Europa gli insegnanti di circa la metà della popolazione studentesca non incoraggiano gli alunni a usare le TIC per le loro attività nelle lezioni di matematica e scienze né nelle lezioni della lingua di istruzione né di lingua straniera (Commissione europea 2011).
3.9. Le nuove frontiere 3.9.1. App e cloud La rivoluzione del Web 2.0 ha subito un ulteriore impulso con la creazione e la diffusione delle App, ovvero le applicazioni per smartphone e tablet distribuite gratuitamente o a costi piuttosto contenuti e soprattutto acquistabili direttamente online nei diversi store. Attualmente le App sono una delle nuove frontiere da esplorare in quanto offrono potenzialmente una ampia gamma di opportunità didattiche. Così, come è accaduto per le applicazioni del Web 2.0, che, pur essendo state create per un uso nella vita quotidiana, nel corso degli anni sono state utilizzate anche negli ambienti di apprendimento (Fratter 2010; Fratter, Jafrancesco 2010), ugualmente accade oggi per le App, che sempre più sono degli strumenti indispensabili per la quotidiana gestione della vita di ciascuno (calendari, annotazioni, creazione di contenuti ecc.) e al contempo penetrano anche nella pratica didattica come affermano alcuni studiosi: «As social media have pervaded many aspects of our informal lives, numerous applications for teaching and learning have been developed» (Johnson et al. 2014: 8). La forza di penetrazione delle App sembrerebbe essere anche più massiccia rispetto alle applicazioni per i computer proprio per una delle peculiarità dei dispositivi mobili, ovvero la mancanza di periferiche di archiviazione per la quotidiana gestione di file di testo o multimediali e per la necessità di manipolarli direttamente online. Da qui la diffusione dei servizi di
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cloud storage come Dropobox, o Google Drive e tantissimi altri ancora. La diffusione di tali servizi è stata recentemente documentata da una indagine secondo cui emerge che la tecnologia Cloud sta cambiando il modo in cui oggi le organizzazioni, gli impiegati e i partner interagiscono e lavorano insieme. Grazie alle possibilità offerte dal Cloud, infatti, non solo siamo in grado di lavorare in modo più efficiente ed efficace, ma è addirittura la tecnologia stessa a divenire un vero e proprio strumento di collaborazione (Docebo 2014: 39).
Ne consegue che i portable device, grazie ai servizi di cloud storage, accrescono sempre più le caratteristiche del mobile learning nei suoi aspetti di mancanza di vincoli di tipo spaziotemporali. 3.9.2. Open Educational Resources Una ulteriore spinta alla diffusione del m-learning potrebbe venire dalla sempre più massiccia diffusione e sviluppo delle risorse educative aperte (Open Educational Resources, OER). Con OER si intende ogni tipo di risorsa educativa, sia essa video, audio, in formato podcast o testuale, progettata per l’insegnamento e l’apprendimento e che è fruibile da docenti e studenti o, più in generale, da qualsiasi apprendente senza alcun tipo di pagamento (UNESCO 2011: 9). Grazie proprio alla loro versatilità, le OER possono essere fruite in qualsiasi contesto didattico anche nell’apprendimento informale e in qualsiasi momento tramite i dispositivi mobili. Lo sviluppo delle OER è sentito come una impellente necessità, soprattutto perché l’Europa secondo il rapporto Educational and Trainig. Monitor 2013 (Balanskat et al. 2013) è in ritardo per lo sviluppo delle OER. La diffusione delle OER comincia intorno al 2000 e vengono definite dall’UNESCO (2002: 24) come «technologyenabled, open provision of educational resources for consultation, use and adaptation by a community of users for noncommercial purposes». Le OER, secondo le indicazioni
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dell’UNESCO, possono essere costituite da interi corsi, da moduli, da letture, da compiti per casa, da esercizi, giochi, simulazioni e qualsiasi altra risorsa in formato digitale (CEDEFOP 2016: 13). In particolare, si tratta di risorse disponibili anche per l’apprendimento informale e non formale, il materiale è ad accesso libero, non a pagamento, utilizzabile da educatori, studenti, da persone che studiano in autonomia. Questo materiale oltre a essere fruito una volta può essere anche riadoperato più volte e ridistribuito (Council of Europe 2012: 5). Grande impatto formativo hanno avuto, e stanno avendo, le OER nel campo dell’insegnamento/apprendimento, infatti nel corso degli anni si è potuto assistere al proliferare della produzione di risorse educative di ogni genere a tal punto che è stato necessario individuare dei parametri in grado di definire le OER rispetto ad altri tipi di materiali didattici. Le OER devono soddisfare il cosiddetto 4R framework. Ciascuna delle quattro «R» corrisponde a un preciso parametro (Cinque 2015): − Reuse indica che gli utenti possono utilizzare liberamente le risorse così come si presentano, in classe, nei siti, nei video ecc.; − Recise specifica che gli utenti possono adattare e modificare il contenuto; − Remix specifica che il contenuto può essere modificato, per esempio attraverso la combinazione con altre parti o anche aggiungendo parti nuove e traducendo; − Redistribuite precisa che i contenuti originari e quelli manipolati possono essere ridistribuiti. Dunque si tratta di risorse open, disciplinate dalle leggi che regolano il Creative Commons25, che, a seconda del tipo di licenza, possono essere usate, manipolate, trasformate.
25. Per approfondimenti, cfr. Aliprandi 2014.
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3.9.3. Contenuti bite-size per il m-learning La progettazione di materiali per il m-learning deve tenere conto necessariamente di fattori intrinseci ai dispositivi mobili e che dovranno rispettare specifici prerequisiti, per alcuni aspetti, diversi dai contenuti dell’e-learning di prima generazione. Due sono gli aspetti principali che caratterizzano il mlearning e che sono racchiusi nelle due parole chiave anywhere e anytime, ovvero la caratteristica dei dispositivi mobili di essere utilizzabili in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. L’assenza di vincoli spazio-temporali costituisce un vantaggio per il fatto che non obbliga l’utente a essere in uno specifico luogo (p. es. casa, università, lavoro) permettendogli di avere accesso alle risorse in qualsiasi contesto/situazione. I dispositivi mobili sono ormai diventati una propaggine di noi stessi. The sim card in your phone could be seen to contain the story of your life (at least at the present time) […]. This second-bysecond account of our lives is another way in which mobiles transform our sense of time passing [il corsivo è di chi scrive] (Traxler 2011: 7).
Le caratteristiche anywhere e anytime su cui poggia il mlearning devono essere anche il punto di osservazione con cui progettare i contenuti di apprendimento (e-content) e le attività (e-tivity), così come erano stati pensati per l’e-learning della prima generazione (cfr. Par. 3.8.1). Nella progettazione di qualsiasi tipo di materiali si dovrà tenere conto di alcune caratteristiche quali da durata di fruizione, si dovrà pensare dunque a dei micro-contenuti, cosiddetti «bite-sized learning» («bocconcini di apprendimento») fruibili in un tempo piuttosto limitato. Tali bocconcini richiamano alla mente la progettazione dei Learning Object (LO) di cui, nei primi anni del 2000, ne era permeata tutta la letteratura dell’e-learning in generale (CNIPA 2007) e anche quella relativa alla progettazione didattica per l’Italiano L2 (Fratter et al. 2010; Troncarelli 2010, Troncarelli
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2014). I LO per l’apprendimento su piattaforme devono in quegli anni seguire delle specifiche e degli standard precisi, quali quelli forniti dal modello SCORM (Sharable Content Object Reference Model), tuttavia, nella progettazione di materiali per lo sviluppo linguistico, hanno dimostrato una forte rigidità in quanto SCORM pur dichiarandosi pedagogicamente “neutrale”, […] porta con sé una visione dell’istruzione a distanza orientata alla trasmissione della conoscenza e all’addestramento e prevede un modello di comunicazione unidirezionale (Fratter et al. 2010: 297).
Si tratta dunque di un approccio didattico che si contrappone ai parametri dell’apprendimento creativo e collaborativo e per questo il modello SCORM per la produzione di materiale per lo sviluppo linguistico nel corso degli anni sembra essere stato abbandonato. Con il m-learning vengono introdotti i Mobile Learning Object (MLO) che vengono definiti come an information entity, digital, interactive, adaptable and reusable in different contexts, designed to support an educational objective through a mobile device situated or collaborative learning activities (Castillo, Ayala 2012: 240).
I materiali per il m-learning sono in parte diversi dai contenuti per l’e-learning. Dal punto di vista del formato bisogna tenere conto della caratteristica legata alla grandezza degli schermi dei dispositivi utilizzati, che in generale sono più piccoli rispetto a quelli di un computer portatile, si pensi agli smartphone (4-7 pollici) e ai tablet (8-10 pollici) per questa, e altre ragioni i materiali, perché siano utilizzabili, devono contenere un numero ridotto di oggetti e di pulsanti. Dal punto di vista della fruizione dei contenuti si deve tenere considerare che i MLO vengono usati nei contesti più svariati e ciò implica che la fruizione dei materiali potrebbe essere disturbata da fattori esterni dell’ambiente circostante (traffico, confu-
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sione generale di persone che parlano), diversamente da quanto accade se si lavora al computer in un luogo a esso dedicato. Alla luce delle problematiche individuate, è possibile tracciare una prima sintesi delle caratteristiche che dovrebbero avere i contenuti per il m-learning (Fratter 2016). Tali contenuti devono essere: − brevi (bit-size), fruibili in un intervallo piuttosto ridotto e
limitato in quanto il tempo per l’esecuzione delle attività è più breve e soprattutto il flusso può essere soggetto a interruzioni frequenti; − attraenti, è importante che l’utente sia incuriosito e attratto se non addirittura “sedotto” da essi; non si tratta solo di un fattore legato all’aspetto estetico ma molto più importante è il fattore motivazionale; la motivazione basata sul piacere, sul gioco: l’utente desidera essere sottoposto a continue sfide, come in un gioco (p. es. con il superamento di livelli, con l’ottenimento di badge) (cfr. Par 3.8.4); − usabili, devono essere facilmente utilizzabili dai dispositivi mobili; i pulsanti devono essere raggiungibili senza troppe azioni sullo schermo e devono essere intuitivi, la navigazione deve essere facile e agevole. È auspicabile, dunque, che nello sviluppo dei materiali per dispositivi mobili si tenga conto di queste macro-caratteristiche soprattutto perché l’utente medio di Italiano L2 dispone in larga misura di smartphone con connessione Internet sempre attiva attraverso SIM (cfr. Par 3.5.5). 3.9.4. Apprendimento e gamification: i badge Come è stato più volte ribadito l’apprendimento mediato dalle TIC, e in particolare quello di tipo erogativo, richiede all’apprendente una grande consapevolezza dei propri bisogni, una spiccata autonomia nello studio come per i flexible mode course (cfr. Par. 3.4.3) e una precisa capacità di autovalutazione delle
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competenze acquisite e da acquisire, anche se non sempre gli studenti universitari hanno sviluppato tali competenza (Dalziel 2011; Fratter, Marigo in stampa). Piuttosto recentemente nella progettazione di ambienti online, siano essi per il lavoro o per l’apprendimento, sembra farsi strada un orientamento delle TIC basato sul gioco e sulla sfida denominato «gamification». Si tratta di un uso della filosofia del gioco in un contesto divers: «Use of game mechanics in a non-game context to engage users» (Shuler, Winrer, West 2013: 34). Il gioco viene utilizzato in un contesto estraneo a esso «when game design elements (e.g. points, leader boards, and badges) are used in non-game contexts to promote user engagement» (Sandusky 2014: 1). Nell’apprendimento l’uso della gamification implica una progettazione di attività e di percorsi didattici basati sull’ottenimento di premi che possono essere per esempio dei punti o dei badge, che l’utente riceve a fronte del completamento corretto di attività di vario genere. La gamification si manifesta come un forte stimolo per lo svolgimento delle attività online e che, aspetto per niente trascurabile, sono in grado di suscitare piacere e soddisfazione. Infatti, attraverso attività basate sul gioco gli utenti sono stimolati alla partecipazione attiva, al completamento di compiti ecc. Sotto il profilo della motivazione l’approccio gamification ha come obiettivo ultimo il potenziamento della motivazione intrinseca, senza trascurare però il fatto che a seconda del tipo di gamification la motivazione può persino diminuire (Sandusky 2014). All’interno del modello della gamification (Huan, Soman 2013) si distinguono due tipi di elementi di gamification: individuali e sociali. Se si tratta di gamification legata al singolo individuo essa è basata in questo caso: − sul tempo previsto per lo svolgimento delle attività; − sulla ricompensa per il lavoro svolto per mezzo
dell’assegnazione di badge; − sul raggiungimento di livelli o di obiettivi a fronte di attività svolte correttamente.
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Se si tratta invece di gamification di tipo sociale allora le attività e i compiti che vengono proposti possono essere di tipo cooperativo e/o competitivo. Inoltre la gamification che passa attraverso Internet offre ai partecipanti la possibilità di giocare in gruppo online. The Internet offers gamers the opportunity to join massively multiplayer online (MMO) roleplayer games, such as “Minecraft”, and to build online reputations based on the skills, accomplishments, and abilities of their virtual avatars (Johnson et al. 2014: 42).
In questo caso si parla di apprendimento basato sul gioco (Game-Based Learning) dove il gioco è alla base dell’apprendimento. In particolare i giochi online del tipo MMO favoriscono la collaborazione e sviluppano la soluzione di problemi, invitano all’esplorazione come per esempio l’uso di Minecraft a scopi educativi. Se, come affermano alcuni studiosi (Traxler, Wishart 2011), è vero che le persone vorrebbero imparare in modo facile, allora la via della gamification sembrerebbe essere una via percorribile, si tratta dunque di esplorarla individuandone le buone pratiche. In questo contesto di gamification, in cui è importante premiare gli utilizzatori delle attività, grande fortuna hanno visto i badge, introdotti piuttosto recentemente. Si tratta di premi e vengono definiti come26 un «symbol or indicator of an accomplishment, skill, quality, or interest» (Knight, Casille 2012: 279). Ancora più precisamente Knight e Casille definiscono i badge come digital tokens that appear as icons or logos on a web page or other online venue which are awarded by institutions, organisations, groups, or individuals, to signify accomplishments such as completion of a project, mastery of a skill, or marks of
26. The Badge Alliance è un’organizzazione per la promozione dei badge nel contesto dell’educazione aperta, cfr. https://goo.gl/5jy2aT.
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experience (Casilli, Knight 2012: 5).
In generale i badge sono considerati come degli strumenti in grado di motivare gli apprendenti attraverso la gamification, ovvero l’uso di elementi del gioco come i punteggi, i livelli in un contesto non prettamente ludico (CEDEFOP 2016). I badge sono anche considerati come strumenti pedagogici utili a visualizzare le varie fasi di apprendimento delle attività, simili a mappe che indicano il percorso da seguire e gli obiettivi da raggiungere (Ahn, Pellicane, Butler 2014). I badge sono anche utili per incentivare la partecipazione ad alcune attività come la valutazione tra pari (Kriplean, Beschastnikh, McDonald 2008). Attualmente la maggior parte delle piattaforme sul mercato (Edmodo, Schoology, Moodle) offrono sistemi di attribuzione di badge, che sono classificati prevalentemente in base alla competenza o all’abilità che si desidera attestare, alla partecipazione alle attività online proposte. Per esempio, la piattaforma Schoology mette a disposizione i seguenti badge: − «Studente del mese»: per il lavoro e l’impegno profuso; − «Studente dalle prestazioni eccellenti»: per i risultati ot-
tenuti;
− «Partecipazione»: per la partecipazione alle attività in
classe e i contributi al miglioramento delle discussioni;
− «Presenza»: per la frequenza a tutte le lezioni.
Altre piattaforme come Moodle lasciano libero il docente di scegliere il tipo di badge da attribuire e il come farlo, se in modo automatico a seguito del soddisfacimento di alcuni specifici criteri preimpostati o se farlo manualmente permettendo un’analisi individualizzata della partecipazione al lavoro online. In quest’ottica i badge possono svolgere un ruolo molto importante nel passaggio tra apprendimento formale e informale in quanto offrono la possibilità di dare dei premi anche a competenze trasversali che normalmente non ricevono una attestazione ufficiale, come per esempio la partecipazione attiva alle attività in classe, diventando così una alternativa alle attestazio-
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ni, come affermano alcuni studiosi, «one possibility for badge systems is to create an alternative or supplement to traditional credentials such as diplomas» (Ahn, Pellicane, Butler 2014: 4). I benefici dei badge sono stati riconosciuti anche dal progetto Mozilla Open Badge che, nel descriverli, afferma Open Badges make it easy to: a) get recognition for the things you learn; b) give recognition for the things you teach; c) verify skills; and d) display your verified badges across the web (Mozilla wiki 2014).
In sintesi, i badge hanno un potenziale formativo molto elevato nel riconoscimento di competenze e/o abilità acquisite nel corso della vita, in modo informale e non formale.
3.10. Preferenze dei materiali per lo studio delle lingue 3.10.1. Strumenti tradizionali e innovativi Tra le diverse agenzie formative anche l’editoria è stata profondamente coinvolta dalla rivoluzione digitale, nuove e molteplici prospettive si sono aperte (p. es. print on demand); la comparsa dei supporti mobili ha cambiato anche il modo di fruire dei contenuti attraverso il libro tradizionale ovvero il libro su supporto cartaceo. In particolare, in Italia le politiche nazionali in merito all’istruzione, per esempio con il DM n. 781 del 27.09.2013 sul formato dei libri per la scuola, si invita il mondo dell’editoria a orientarsi verso «libri misti» composti da due formati, il cartaceo e il digitale (chiamati «libri in modalità mista tipo b»). Sia a livello nazionale che internazionale diverse case editrici trasformano in modo radicale la produzione di materiale per l’apprendimento, per esempio si parla di BOOCs (Book as Open Online Content) come di
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innovative ‘living books’ feature articles of various types, in a non-linear thematic presentation that offers readers the option to select and sort subjects they wish to read. With long and short articles, blogs, videos, audio and Storifys, content is added to these ‘books’ over a period of time (UCL Press 2016).
Recentemente sono state esplorate nuove frontiere con l’introduzione di ogni sorta di formato, non da ultimo l’eBook, e degli strumenti per la lettura; si sono sviluppate in modo quasi frenetico ogni genere di App per facilitare il lavoro di lettura, la fruizione dei materiali, per esempio App per modificare i materiali in PDF, come sottolineare, evidenziare, annotare per far sì che l’utente si senta a proprio agio con i nuovi strumenti, in quanto sono in grado di offrirgli le comodità di quelli tradizionali a cui è abituato. Quali sono oggi i materiali a disposizione per la formazione? Si è cercato di individuare un elenco minimo e più frequentemente utilizzato dagli studenti universitari, distinguendo in base al formato: digitale, cartaceo e misto (cfr. Tab. 28). Tabella 28. Tipi di materiali per lo studio all’università. Cartaceo Misto Digitale Libri, manuali, apLibri, parti di libri, eBook, slide, libri, punti delle lezioni, articoli in PDF, parti di libri, articofotocopie. slide. li in PDF, materiale Web (pagine HTML), esercizi interattivi, materiali audio e video.
Per capire quali sono le abitudini di studio della popolazione universitaria italiana è interessante osservare i dati forniti da una ricerca condotto da Micheli (2014) sugli stili di apprendimento degli studenti universitari. Si tratta di una indagine condotta su larga scala, su un totale di 1500 studenti italiani distribuiti in tutta la Penisola, da Nord a Sud. Questo studio permette di capire il tipo di offerta editoriale presente in ambito universi-
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tario. Poiché anche l’offerta formativa per l’apprendimento delle lingue e nello specifico dell’Italiano L2 deve stare al passo con le innovazioni a livello nazionale e internazionale, nel paragrafo che segue (cfr. Par. 3.10.2) si farà riferimento ai dati più recenti disponibili relativamente a questo specifico pubblico di utenti (Fratter, Altinier in stampa; Fratter in stampa) per capire quali siano le preferenze per l’apprendimento dell’italiano. 3.10.2. Preferenze sulle modalità di studio per i corsi di lingua Libri misti, libri digitali e persino libri cosiddetti «liquidi», quali sono i materiali preferiti per lo studio delle lingue dagli apprendenti stranieri? Il digitale, grazie alle politiche di mercato, è entrato in maniera massiccia anche nel settore della produzione di materiali per l’apprendimento linguistico; l’offerta oggi disponibile spazia dalle forme più tradizionali quali il manuale cartaceo di lingua, per passare al libro in formato e-reader arrivando persino al libro liquido, ovvero un libro che si trasforma in colore, caratteri e dimensioni a seconda delle esigenze dell’utente stesso. Tenendo conto delle innovazioni nel settore dell’editoria e al fine di proporre un’offerta formativa aggiornata e adeguata ai bisogni formativi degli utenti, è indispensabile conoscere le abitudini di studio e le preferenze degli apprendenti relativamente agli strumenti per la formazione linguistica. I parametri che devono essere tenuti in considerazione sono la flessibilità dei materiali e le eventuali versioni liquide che riguardano aspetti pedagogici, ma anche gli elementi legati all’aspetto economico, quali il costo più o meno accessibile dei materiali online rispetto a quelli in cartaceo. Relativamente ai dati forniti in una recente ricerca sugli studenti di Italiano L2 all’università (Fratter in stampa), è possibile avere un interessante spaccato di tale popolazione e del modo di approcciarsi ai materiali per la formazione. Questa tipologia di studenti sembra essere piuttosto tradizionalista in quanto preferiscono studiare le lingue straniere con l’ausilio di materiali in
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formato cartaceo (71,2 %) e giustificano le loro scelte indicando le seguenti motivazioni (cfr. Tab. 29). Tabella 29. Motivazioni a favore del libro cartaceo. Necessità Testimonianze di studenti stranieri Ordine generale Hai tutto disponibile in un posto. dei materiali Dà struttura al corso. Sequenzialità dei contenuti Praticità nell’esecuzione delle attività
A text allows to have a logic sequence of study. Si fanno esercizi facilmente. È più comodo scrivere le risposte e gli appunti sul libro. È meglio tenere in mano.
Come si legge dalle risposte sopra riportate (cfr. Tab. 29), il libro in formato cartaceo sembra ancora offrire una maggiore sicurezza non solo sul piano dell’organizzazione dei contenuti, ma anche sul piano fisico, infatti il tenere in mano, il completare, il sottolineare sono considerate caratteristiche indispensabili per apprendere. Coloro che vedono negativamente l’uso dei materiali in formato cartaceo per un corso di lingua (3,6%) adducono, come giustificazioni, ragioni di ordine economico («troppo costoso», «è difficile trovare un libro dove tutto è utile») e funzionale («si butta via dopo il corso»). Tuttavia, il numero degli amanti della carta aumenta se si considerano anche coloro (69%) che hanno indicato il formato PDF come formato preferito poiché può, all’occorrenza, essere stampato per le sole parti che interessano. Per quanto riguarda il materiale multimediale online a supporto del corso, l’interesse degli informanti si attesta sul 39,6% e le ragioni di tale interesse sono ascrivibili alla possibilità di integrare e completare il corso con la disponibilità di materiali aggiuntivi online («si può completare la formazione avuta in classe»; «è utile diversificare», «da casa puoi fare tutto con solo un click dal computer», «poi ognuno può scegliere anche esercizi in più»). Tra coloro che hanno dato un parere negativo all’uso di materiale multimediale online (7,2%) giustificano le
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proprie scelte nel modo seguente: «non tutti hanno internet», «è più facile imparare con un libro», «la gente è pigra e non guarda la parte online». In generale comunque, il materiale multimediale online è visto come un qualcosa in più rispetto al corso: «Is only an added bonus, there also needs to be some material not on line». Dunque sintetizzando i risultati relativi al materiale, la preferenza degli studenti digitali resta ancora il manuale in formato cartaceo o comunque scaricabile e stampabile dalla Rete come si legge dalla testimonianza Some online materials can be printed if necessary, so it is probably the most accessible way to have materials as it doesn’t present significant cost to the students.
L’aggiunta di materiale online è vista come approfondimento in modalità self-access («The best way to study a language is by the combination of a book and online material»). 3.11. Conclusioni A conclusione del presente capitolo è possibile delineare il profilo degli studenti di Italiano L2 all’università come un pubblico che a tutti gli effetti appartiene alla generazione digitale, in quanto ha una certa visibilità in Rete, possiede più di un profilo sui social network più noti al mondo (p. es. Facebook) ma che, nonostante ciò, non può essere definito come «apprendente digitale» (digital learners) in quanto le TIC non sono ancora entrate pervasivamente a far parte degli strumenti e dei supporti di apprendimento. Gli studenti universitari infatti prediligono i materiali di tipo cartaceo o comunque con un formato flessibile come i libri liquidi che possono essere utilizzati in modalità BYOD in quanto tutti loro posseggono uno o due dispositivi mobili (smartphone e computer portatile). Pertanto, alla luce dei dati emersi dal presente lavoro, le offerte formative di Italiano L2 dovranno essere molto diversificate rispetto ai bisogni
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Italiano L2 all’università
linguistici e ai flussi in entrata, dovranno trovare il modo di integrare gli aspetti tradizionali dell’insegnamento, ritenuti indispensabili per l’appren-dimento delle lingue, con gli aspetti più innovativi dati dai nuovi orientamenti delle TIC quali i mlearning, la gamification e il BYOD. Contrariamente alle attese, emerge che gli apprendenti appartenenti all’era digitale preferiscono studiare le lingue frequentando corsi in presenza dove sono favorite le dinamiche interazionali tra i partecipanti e il docente; infatti la maggior parte di loro predilige la frequenza di corsi in aula. Le ragioni di tale scelta sono dovute all’importanza attribuita al docente nella immediatezza delle spiegazioni, nel ruolo socializzante, nella più forte motivazione a imparare grazie al maggiore coinvolgimento dato dal contatto umano. I corsi in presenza sono visti come la modalità migliore per lo sviluppo dell’abilità di parlato. Per quanto riguarda l’audience online si è visto che il mlearning deve principalmente la sua fortuna alla forte crescita e alla diffusione dei mobile device nella vita quotidiana. I dispositivi mobili sono di fatto diventati un prolungamento del nostro corpo in quanto abbiamo assegnato loro il compito di conservare parte dei dati della nostra vita, e proprio il loro essere indispensabili sono penetrati anche nel settore dell’educazione e della formazione, così come è accaduto per l’e-learning. Il m-learning è diventato un fenomeno di enorme portata in cui si intravvedono scenari innovativi e potenzialmente creativi. La portabilità dei dispositivi, la facilità con cui è possibile creare e, al tempo stesso, condividere con qualsiasi utente qualsiasi tipo di materiali ha sancito finalmente il superamento della difficoltà d’uso delle TIC che un tempo, non molto lontano, le rendeva dominio quasi esclusivo di una nicchia di pochi esperti. La strada da percorrere per introdurre nuove forme di didattica con le TIC è sicuramente ricca di stimoli, dalla flipped classroom alla gamification, ma non è nemmeno priva di ostacoli non solo per le scelte metodologiche necessarie alla creazione e alla gestione dei contenuti, ma anche per la scelta dispositivi da utilizzare e per le difficoltà pratiche dovute alla loro distribuzione e gestione.
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