Incertezza 9788806188078

Il 1927 è una data che segna la fine di un'epoca. Quell'anno un giovane fisico tedesco, Werner Heisenberg, for

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Italian Pages 245 [256] Year 2008

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Table of contents :
Incertezza
Colophon
Indice
Introduzione
Nota
I. Particelle irritabili
II. L’entropia tende a un massimo
III. Un enigma, un argomento che suscita profondo stupore
IV. Come fa un elettrone a decidere?
V. Un’audacia mai vista in precedenza
VI. La mancanza di conoscenza non è certo la miglior garanzia di successo
VII. Come si può essere contenti?
VIII. Preferirei fare il ciabattino
IX. È successo qualcosa
X. Lo spirito del vecchio sistema
XI. Personalmente propendo per rinunciare al determinismo
XII. Le nostre parole sono inadeguate
XIII. Il terribile gergo incantatorio di Bohr
XIV. A quel punto la partita era vinta
XV. Esperienza vissuta e non esperienza scientifica
XVI. Possibilità di interpretazione univoca
XVII. La terra di nessuno tra logica e fisica
XVIII. Di nuovo anarchia
Poscritto
Ringraziamenti
Riferimenti bibliografici
Indice analitico
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Incertezza
 9788806188078

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Se la scienza è il tentativo di trarre ordine dalla confusione, si può dire che all'inizio dell927 cambiò direzione imboccando una strada imprevista. Nel marzo di quell'anno, Werner Heisenberg, un fisico che a soli ven­ ticinque anni godeva già di fama interna­ zionale, mise per iscritto un ragionamento scientifico che era in egual misura sempli­ ce, sottile e sorprendente. Neanche lui stes­ so poteva sostenere di sapere esattamente che cosa avesse fatto. Si sforzò di trovare una parola adeguata per coglierne il senso. Il piu delle volte utilizzava un vocabolo te­ desco che corrisponde a «inesattezza». In un paio di scritti, con un'intenzione lieve­ mente diversa, provò a usare «indetermina­ tezza». Ma sotto l'irresistibile pressione di Niels Bohr, suo mentore e a volte suo ne­ griero, Heisenberg aggiunse di malavoglia un poscritto che introdusse una nuova pa­ rola: incertezza. Fu cosf che la scoperta di Heisenberg acquisf l'indelebile etichetta di principio di incertezza.

In copertina: Giacomo Balla, La mano del violinista o Ritmi del violinista, olio su tela, 1912. Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art. © SIAE 2008.

SAGGI

893

Titolo originale

Uncertainty. Einstein, Heisenberg, Bohr, and the Struggle for the Soul of Science © 2007 David Lindley

Ali rights reserved. This translation is published by arrangement with Doubleday, an imprint of The Doubleday Broadway Publishing Group, a division of Random House, Inc., New York. © 2oo8 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it ISBN

978-88-o6-188o7-8

David Lindley

Incertezza Einstein, Heisenberg, Bohr e il principio di indeterminazione

Traduzione di Simonetta Frediani

• .

-

Giulio Einaudi editore

p. 3 rr

Introduzione Nota

13

1.

Particelle irritabili

24

n.

L'entropia tende a un massimo

35

m.

Un enigma, un argomento che suscita profondo stupore

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IV.

Come fa un elettrone a decidere?

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v.

Un'audacia mai vista in precedenza

73

VI.

La mancanza di conoscenza non è certo la miglior garanzia di successo

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VII.

Come si può essere contenti?

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vm.

Preferirei fare il ciabattino

IlO

IX.

È successo qualcosa

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x.

Lo spirito del vecchio sistema

XI.

Personalmente propendo per rinunciare al determinismo

XII.

Le nostre parole sono inadeguate

xm.

Il terribile gergo incantatorio di Bohr

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XIV.

A quel punto la partita era vinta

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xv.

Esperienza vissuta e non esperienza scientifica

1 93

XVI.

Possibilità di interpretazione univoca

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xvii.

La terra di nessuno tra logica e fisica

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xvm.

Di nuovo anarchia

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Poscritto

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Ringraziamenti

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Riferimenti bibliografici

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Indice analitico

Incertezza

Egli è il Dio dell'ordine e non della confusione. ISAAC NEWTON

Il caos era la legge di natura; l'ordine era il sogno dell'uomo. HENRY ADAMS

Introduzione

Se la scienza è il tentativo di trarre ordine dalla confusione, si può dire che all'inizio del 1 9 27 cambiò direzione imboccan­ do una strada imprevista. Nel marzo di quell'anno, Werner Hei­ senberg, un fisico che a soli venticinque anni godeva già di fa­ ma internazionale, mise per iscritto un ragionamento scientifi­ co che era in egual misura semplice, sottile e sorprendente. Neanche lui stesso poteva sostenere di sapere esattamente che cosa avesse fatto. Si sforzò di trovare una parola adeguata per coglierne il senso . Il piu delle volte utilizzava un vocabolo te­ desco che corrisponde a "inesattezza" . In un paio di scritti, con un'intenzione lievemente diversa, provò a usare i>, ricordò in seguito Heisenberg, « avevo l'impressione che Bohr cercasse di condurmi su un Glatteis, un terreno insidioso [ . . . ] Ricordo che alle volte ero un po ' arrabbiato per questo »' . D ' altro can­ to, come riconobbe con rammarico, se Bohr riusciva regolar­ mente a individuare problemi sottili, forse dopo tutto erano davvero su un terreno insidioso . Questo scontro intellettuale non poteva proseguire in eter­ no . All'inizio del 1 9 2 7 , i due ormai avevano dichiarato e ridi­ chiarato le proprie opinioni cosf tante volte che si parlavano senza piu ascoltarsi, rendendosi conto con un senso di frustra­ zione e impotenza che nessuno dei due avrebbe potuto o volu­ to accettare le dichiarazioni dell' altro. In febbraio, Bohr andò in Norvegia, per una vacanza sugli sci. In origine, l'aveva pen­ sato come un viaggio per tutti e due, ma a quel punto gli parve piu opportuno andare da solo . Heisenberg, nel frattempo, eb­ be la possibilità di arrancare da solo per il parco sul far della se­ ra, senza che Bohr lo seguisse a ogni passo. Ma l'eco fastidiosa della voce di Bohr non lo abbandonava. Se fosse vero, come afferma Bohr, che la posizione e la velocità devono continuare ad avere significato, anche se non il signifi­ cato tradizionale che i fisici hanno sempre supposto, quale sareb­ be questo nuovo significato ? Come poteva arrivare a capirlo ? Nelle loro zuffe, Heisenberg e Bohr fino a quel momento avevano sempre trattato la questione come un problema teori­ co. La meccanica classica funzionava con un certo insieme di precetti e la meccanica quantistica con un altro, come fare a conciliarle ? Si trattava, per citare Dirac, di arrivare all'inter-

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pretazione, di ascoltare ciò che la matematica stava cercando di dire. Dirac, di fatto, aveva fornito un indizio importante, an­ che se Heisenberg non l'aveva capito immediatamente. Mentre si trovava a Copenaghen, Dirac aveva dato l'ultimo tocco alla sua magistrale presentazione della meccanica quanti­ stica, in cui mostrava in modo del tutto generale come fare a de­ finire l'equivalente quantistico di un problema di meccanica clas­ sica. Sapeva muoversi anche nella direzione opposta - in altre parole, poteva anche far vedere che aspetto avrebbe avuto un si­ stema di meccanica quantistica, se uno avesse insistito sulla ne­ cessità di descriverlo in termini classici. Ma nella traduzione, sco­ pri, emergeva una curiosa discrepanza. Partendo da un sistema quantistico di particelle, ad esempio, si poteva delineare un qua­ dro classico in cui le posizioni delle particelle erano gli elementi primari, oppure si poteva scegliere una descrizione in funzione della velocità delle particelle - o, piuttosto, in funzione della quantità di moto (massa per velocità) , che per i fisici è la quan­ tità piu fondamentale. Stranamente, però, queste due descrizio­ ni non concordavano come avrebbero dovuto, se fossero state semplicemente descrizioni alternative di uno stesso sistema. Era come se la rappresentazione basata sulla posizione e quella basa­ ta sulla quantità di moto descrivessero in qualche modo due si­ sterni quantistici diversi, non lo stesso sistema in modi diversi. Anche Pauli si era imbattuto in questa stessa difficoltà. Ne parlò a Heisenberg in una lettera, in cui usò la lettera p per in­ dicare la quantità di moto e la lettera seguente, q, per indicare la posizione. « Posso guardare il mondo con l'occhio p», scris­ se, « e posso guardare il mondo con l'occhio q, ma se voglio apri­ re tutt'e due gli occhi allo stesso tempo, divento pazzo »6• Le particelle quantistiche non si manifestavano in modo chia­ ro. Rivelavano situazioni contraddittorie. Era l'enigma con cui stava lottando Heisenberg. Come poteva trovare un modo per obbligare la meccanica quantistica a rivelare i suoi segreti, a !a­ sciargli vedere quel che avveniva all'interno ? Non poteva! Fu questa la risposta che gli balenò in mente una sera mentre camminava a passi lenti nel parco, immerso nei

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suoi pensieri. Proprio come a Helgoland aveva capito che non sarebbe mai stato possibile descrivere i salti quantici nel lin­ guaggio continuo della fisica classica, cosf ora si rendeva conto di quest' altra impossibilità, che aveva conseguenze ancora piu ampie. Non vi era modo di costringere un sistema quantistico a svelare una descrizione che avesse un significato non ambi­ guo in termini classici. Bene, sf, ma non era proprio ciò che, da mesi ormai, cerca­ va di dire a Bohr ? La differenza era che ora iniziava a capire il punto di vista di Bohr. Poteva darsi che non fosse possibile idea­ re una descrizione non ambigua - ma questo non implicava, co­ me Heisenberg aveva pensato fino a quel momento, che si ri­ nunciasse a tentare e si passasse ad altro. Occorreva trovare un modo per parlare dei sistemi quantistici. Finalmente Heisenberg riusd a comprendere un punto che fino a quel momento né lui né Bohr avevano compreso . La que­ stione cruciale non era teorica né tanto meno, come spesso Bohr sembrava pensare, filosofica. Alla fin fine era una questione pratica. Forse non era possibile parlare della posizione e della quan­ tità di moto degli oggetti quantistici in un modo che avrebbe avuto senso sotto le vecchie regole. Ma ciò che si poteva anco­ ra fare, Heisenberg ora lo capiva, era quello che i fisici aveva­ no sempre fatto: attribuire un significato alla posizione e alla quantità di moto misurando/e. Per superare la confusione teori­ ca era necessario prestare attenzione alle questioni di ordine pratico. Ora doveva soltanto farsi venire in mente un esempio sem­ plice per mettere in chiaro la sua intuizione. E cosf, forse con il bell'esperimento di Compton di pochi anni prima in qualche recesso della mente, escogitò l'esempio di disarmante sempli­ cità che ha fatto del suo nome un'icona. Un elettrone viaggia nello spazio . Un osservatore lo illumina, poi rileva la luce dif­ fusa dalla particella in movimento . Misurando questa luce - la sua frequenza e la sua direzione - l'osservatore può cercare di dedurre la posizione e la quantità di moto dell'elettrone nel mo-

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mento in cui la luce lo ha colpito . Ed è H, scopri Heisenberg, che le cose si fanno interessanti. La luce è fatta di quanti - o fotoni, come da poco li aveva battezzati il chimico fisico americano Gilbert Lewis . L'incon­ tro tra uno di questi fotoni e l'elettrone in movimento è un evento quantistico . Quell'incontro, come aveva dimostrato Born, non produce risultati ben precisi, ma una gamma di risul­ tati possibili, con varie probabilità. Ribaltando questa logica, Heisenberg si rese conto che un osservatore non può inferire un unico evento che ha condotto al risultato misurato . Al con­ trario, esiste un certo insieme di incontri elettrone-fotone che si sarebbero potuti realizzare. E necessariamente questo signi­ fica, capi Heisenberg, che sarebbe impossibile inferire in mo­ do univoco quali erano la posizione e la quantità di moto del­ l' elettrone . Pauli aveva detto che è possibile considerare la posizione, oppure la quantità di moto, ma non entrambe allo stesso tem­ po . Heisenberg, riflettendo con cura sulla questione, capi che non era cosi semplice. Non era una mutua esclusione, ma un'i­ nevitabile compromesso . Piu un osservatore tentava di estrar­ re informazioni sulla posizione dell'elettrone, meno era possi­ bile conoscere la sua quantità di moto, e viceversa. Ci sarebbe sempre stata, come diceva Heisenberg, una « inesattezza » ( Un­ genauigkeit) nelle conclusioni. Fu durante l' assenza di Bohr che Heisenberg si convinse di questo risultato semplice, ma sorprendente. Aveva imparato a essere guardingo nei confronti del profondo e minuzioso esame critico di Bohr delle idee nuove. Scrisse una lunga lettera a Pau­ li spiegandogli che cosa aveva scoperto, ma a Bohr spedi solo un biglietto dicendogli che al suo ritorno gli avrebbe mostrato un interessante sviluppo . Quando Bohr tornò, Heisenberg ave­ va già spedito il suo articolo per la pubblicazione. Bohr lo les­ se e dapprima ne rimase affascinato, ma poi ne fu profondamen­ te turbato . Heisenberg aveva descritto un incontro tra due particelle, un fotone e un elettrone, scoprendo un'inesattezza che deriva-

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va dall'imprevedibilità di quella collisione . Bohr - inevitabil­ mente, e con il solito atteggiamento esasperante - immaginò un altro modo di considerare la questione. Un osservatore che ri­ leva il fotone non lo misura come una particella, ma come un piccolo fascio di onde. E nell'ottica classica, ricordò a Heisen­ berg, le onde hanno un potere di risoluzione limitato. In altre parole, la luce di una certa lunghezza d'onda non può rendere immagini chiare di un qualsiasi oggetto che sia piu piccolo di quella lunghezza d'onda. L'immagine si fa confusa. E quella, disse Bohr, era la spiegazione di ciò che aveva trovato Heisen­ berg . Era nell' atto di usare l'informazione proveniente da una misura dell'onda allo scopo di inferire le proprietà di una par­ ticella che saltava fuori l'inesattezza. La reinterpretazione di Bohr offese Heisenberg. In primo luogo, perché Bohr tirava di nuovo in ballo le onde, che erano marchiate con il nome di Schrodinger, e poi perché l' argomen­ to di Bohr sembrava riguardare i limiti dell'ottica classica, non l'imprevedibilità degli eventi quantistici. Ma no, ribatté Bohr, il punto non era nemmeno quello. L'i­ nesattezza si insinuava furtivamente proprio a causa della me­ scolanza di concetti incommensurabili - particelle e onde, col­ lisioni quantistiche e potere di risoluzione ottica. Era la mani­ festazione esteriore della discordanza interna fra principi quantistici e classici. Questa interpretazione, guarda caso, si ac­ cordava perfettamente con le idee su cui Bohr aveva meditato mentre sciava da solo in Norvegia. Aveva concepito un nuovo principio di ampia portata, che di li a poco prese il nome di "principio di complementarità" , secondo il quale i ruoli dell'a­ spetto ondulatorio e dell'aspetto particellare degli oggetti quan­ tistici erano entrambi necessari, ma contraddittori. A seconda del problema, poteva assumere una posizione preminente l'uno o l' altro aspetto, ma non si poteva trascurare del tutto nessuno dei due . L'inesattezza di Heisenberg, dichiarò, era la prova di­ mostrabile di questa inevitabile mancanza di accordo . Heisenberg era stupefatto . Aveva elaborato un risultato ele­ gante in modo semplice e diretto e ora Bohr voleva soffocarlo

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sotto le pesanti vesti metaforiche che tanto amava, ma che Hei­ senberg trovava opprimenti. Heisenberg voleva andare avanti e pubblicare la sua scoperta. Bohr voleva che si mettesse in con­ tatto con la rivista per tenere in sospeso l'articolo fino a quan­ do avessero elaborato insieme la presentazione migliore degli aspetti fisici. Heisenberg si rifiutò di farlo. A quel punto, Bohr scopri un errore tecnico nell' analisi di Heisenberg che era simi­ le, con grande mortificazione del giovane fisico, all'errore che aveva compiuto anni prima durante la discussione della tesi, quando aveva cercato di rispondere alle domande di Willy Wien sulla teoria ottica classica. Heisenberg era convinto che non fos­ se un grosso problema e andò avanti. Alla fine, in maggio, ac­ consenti riluttante ad aggiungere all' articolo, proprio prima che andasse in stampa, una nota di chiusura in cui ringraziava Bohr per alcuni chiarimenti e riconosceva che la fonte precisa dell' « incertezza » osservazionale - ora usava quel sostantivo, che Bohr preferiva - forse non era evidente come implicava la presentazione dell' autore. Fu quindi in mezzo alle fatiche e alle dispute che venne al mondo il famoso principio di incertezza di Heisenberg. Men­ tre Bohr e Heisenberg dibattevano come esprimerlo nel modo migliore, la difficoltà inevitabile, disse Heisenberg, era che le loro parole erano « inadeguate »7 • Certe parole causavano una particolare difficoltà. In una let­ tera a Pauli in cui si dichiarava molto stanco, Heisenberg os­ servò: « tutti i risultati nell' articolo sono certamente corretti e Bohr e io siamo d'accordo su di essi - a parte il fatto che tra Bohr e me vi sono notevoli differenze di gusti riguardo alla pa­ rola anschaulich »8• Questo aggettivo ha causato qualche proble­ ma ai fisici di lingua tedesca e molti di piu ne ha causati a quan­ ti hanno dovuto tradurla in inglese. Heisenberg intitolò il suo articolo sull'inesattezza Uber den anschaulichen Inhalt der quan­ tentheoretischen Kinematik und Mechanik, che è stato tradotto da un autore in On the Perceptual Content o/ Quantum Theore­ tical Kinematics and Mechanics (Sul contenuto osseroabile della cinematica e della meccanica quantistiche)9 e da un altro in On

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the Physical Content (Sul contenuto/is{co . . . )10, mentre un ter­ zo traduce anschaulich in "intuitivo" 1 1 • E come se un unico ag­ gettivo potesse significare tanto "concreto" quanto " astratto" . Il verbo anschauen significa "guardare" ; qualcosa di anschau­ lich è quindi qualcosa che può essere guardato . Heisenberg in­ tende parlare di fenomeni che il fisico in linea di principio può osservare, di qui la traduzione di anschaulich in perceptual [per­ cettivo] - ovvero percepibile, osservabile. Di qui anche la sua traduzione in physical [fisico] - per indicare quantità che sono empiricamente significative nel modo tradizionale. E di li, con un salto doppio, arriva anche "intuitivo" , poiché le quantità che hanno senso per i fisici sono quelle, come la posizione e la quantità di moto, che hanno un significato noto o ragionevole (il difetto in questo caso è che nessuno considerava intuitiva la quantità di moto prima che Newton la concepisse e la facesse diventare ragionevole per tutti gli scienziati successivi) . Altrettanto complicata e delicata è la parola piu famosa che entrò nella fisica e da li ebbe una piu ampia diffusione. Parlan­ do delle misure sperimentali, Heisenberg usava costantemente la parola Ungenauigkeit, "inesattezza" . Ma in un certo paragrafo del suo articolo, riferendosi all'osservazione di carattere teorico che avevano fatto sia Dirac sia Pauli sull'ambiguità nella descri­ zione teorica di un sistema, passò a Unbestimmtheit, dal verbo bestimmen, "determinare" . In altre parole, tracciò una distinzio­ ne tra l'inesattezza dei risultati sperimentali e l'indeterminazio­ ne delle descrizioni matematiche. Soltanto nella nota di chiusu­ ra compare improvvisamente la parola Unsicherheit, "incertez­ za" , che fu una scelta di Bohr e che attraverso Bohr si fece strada nel vocabolario dei fisici anglofoni. "Inesattezza" , per la verità, è una parola insufficiente per descrivere quel che scopri Heisenberg, poiché non distingue l'in­ capacità appena individuata dalla difficoltà da tempo onnipre­ sente di effettuare una qualsiasi misurazione in modo esatto. Al­ cuni fisici all' antica di madrelingua inglese preferiscono ancora parlare di indeterminacy principle, che è un'espressione migliore (nella parte conclusiva della sua pièce, Copenaghen, Michael .

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Frayn suggerisce un termine ancor piu esplicito, "indetermina­ bilità" ) . I fisici tedeschi oggi dicono die Unschiir/e Relation, una buona scelta. In tedesco come in inglese, la nitidezza (sharpness) è la qualità di una fotografia ben fatta, quindi unschar/ signifi­ ca "sfocato" Parlare del principio di sfocatura suggerisce una connotazione piacevole, che piu si strizzano gli occhi e si guar­ da attentamente, meno si riesce a distinguere l'oggetto, quale che sia, che si sta cercando di vedere. Ma "sfocatura" senza dub­ bio non è una parola abbastanza grandiosa per entrare cosi tar­ di nel lessico scientifico inglese. « Le nostre parole sono inadeguate », disse Heisenberg a Bohr, e forse passava da una parola all' altra perché credeva che nessuna parola cogliesse perfettamente la sua idea. Ma Bohr sembrava pensare che avrebbe potuto trovare la parola o l'e­ spressione giusta, se soltanto avesse continuato a cercarla. So­ lamente esprimendo la meccanica quantistica in termini cono­ sciuti, insisteva, i fisici potevano sperare di capirne il significa­ to, riuscendo a vederla come qualcosa di piu di un insieme di relazioni matematiche . Nel giugno del 1 9 2 7 , Pauli si recò a Copenaghen, sperando di fare da mediatore tra i due duellanti. Un giorno Heisenberg era stato spinto alle lacrime dall'incessante interrogatorio di Bohr. In altre occasioni la sua frustrazione lo aveva indotto a replicare con rabbia e durezza. Sembra che Bohr, in tutto que­ sto, come nel suo primo incontro con Schrodinger, mantenes­ se una calma serena e insopportabile. Pauli calmò un poco Hei­ senberg, ma la disputa non si risolse in maniera netta. Heisenberg, in ogni caso, stava per lasciare Copenaghen per­ ché gli era stata conferita la cattedra di fisica teorica all'Univer­ sità di Lipsia. Laggiu, lontano dall'opprimente presenza di Bohr, Heisenberg rifletté sugli ultimi mesi e dopo qualche tempo scris­ se contrito a Bohr, rammaricandosi di quanto irriconoscente do­ veva essergli sembrato . Una breve visita a Copenaghen piu tar­ di nello stesso anno contribui alla riappacificazione . Mai piu, tuttavia, avrebbero avuto uno scontro intellettua­ le cosi serrato, difficile e intenso come nel periodo in cui Hei-

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senberg fu assistente di Bohr. Heisenberg, che all'epoca aveva solo ventisei anni, era stato nominato professore per i suoi me­ riti, il che tra l' altro attenuò finalmente le preoccupazioni del padre che stesse sprecando i suoi talenti intellettuali occupan­ dosi di questioni frivole . Nel frattempo Bohr, forse un po' con­ trariato dal fatto che Heisenberg, lavorando da solo, avesse escogitato un argomento audace e imbarazzante che sembrava minacciare principi da lungo tempo cari ai fisici, si assunse co­ me nuovo compito la formulazione di una filosofia sensata per capire questo strano concetto di incertezza . 1 W. Moore, SchrOdinger: Li/e ci t . , p. 2 2 8 . 2 A. Pais, Niels Bohr's Times in Physics cit . , p. 2 9 5 [trad. i t . pp. 295·96]. ' Intervista a Dirac, AHQP. ' A . Pais, Niels Bohr's Times in Physics cit . , p. 295 [trad. it. p. 295].

' Intervista a Heisenberg, AHQP. ' Lettera di Pauli a Heisenberg, 19 ottobre 1 926, in W. Pauli, Wissenschaftlicher Brief­ wechsel ci t . , vol. I . 7 Intervista a Heisenberg, AHQP. ' Lettera di Heisenberg a Pauli, 16 maggio 1 9 2 7 , in W. Pauli, Wissenschaftlicher Briefwechsel ci t . 9 D . C . Cassidy, Uncertainty cit . , p. 2 2 6 [trad. it. p. 248]. 1 0 A. Pais, Niels Bohr's Times cit . , p. 304 [trad. it. p. 305]. 11 M. Beller, Quantum Dialogue : The Making o/ a Revolution, University of Chicago Press, Chicago 1 999 , pp. 69 , 1 09.

Capitolo tredicesimo Il terribile gergo incantatorio di Bohr

Il principio di incertezza, nonostante la fama che si guada­ gnò in seguito, quando entrò in scena non provocò immediata­ mente agitazione e tumulto nelle aule di fisica e di filosofia. Born, riconoscendo le onde di Schrodinger come rappresenta­ zioni della probabilità, aveva già detto che il determinismo an­ dava abbandonato . Pauli e Dirac avevano capito che c'era qual­ cosa di strano nel modo in cui la fisica quantistica si manifesta­ va al mondo esterno . L'incertezza di Heisenberg identificava quella stranezza, le metteva un numero sopra e - cosa forse piu importante per Heisenberg - infrangeva ogni speranza ancora viva che Schrodinger con le sue onde potesse restituire una qual­ che sorta di realtà classica alla fisica. Questa discussione, per i pochi eletti che vi partecipavano, riguardava però il funzionamento interno della meccanica quan­ tistica. Bohr, invece, mentre sviluppava la sua nuova filosofia della complementarità, si trovò chiaramente a lottare con il mo­ do in cui i fenomeni della meccanica quantistica si devono ne­ cessariamente presentare in un contesto piu ampio . La comple­ mentarità, per Bohr, derivava dalla sua idea di corrispondenza, l'idea che il mondo quantistico dovesse trasformarsi senza bru­ sche transizioni nel mondo classico, che è quel che continuia­ mo a vedere intorno a noi. La complementarità avrebbe dovu­ to rendere comprensibile e pratica la meccanica quantistica al­ la grande massa dei fisici attivi. Fu nel corso di questo tentativo di traduzione che gli aspetti realmente rivoluzionari della fisi­ ca quantistica irruppero su un palcoscenico piu vasto. Dopo che Heisenberg era partito da Copenaghen alla volta

Il terribile gergo incanta torio di Bohr

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di Lipsia, Bohr iniziò il lento e doloroso processo di composi­ zione della propria interpretazione del principio di incertezza. Con il suo nuovo assistente, Oskar Klein, che faceva da ama­ nuense, Bohr pensava a voce alta, provava ad applicare le sue affermazioni, poi ogni mattina metteva da parte quel che Klein si era sforzato di annotare il giorno prima, e ricominciava da ca­ po. Quando i Bohr si trasferirono nella loro casa di campagna sulla costa, a nord di Copenaghen, per trascorrere l'estate, Klein si aggregò. La composizione prosegui in modo penosamente len­ to . Margrethe Bohr, di solito allegra e stoica, fu spinta alle la­ crime diverse volte - non, come Heisenberg, perché contestas­ se il punto di vista del marito sulla fisica, ma perché lui conti­ nuava a essere mentalmente assente in quella che avrebbe dovuto essere la vacanza con la famiglia. I Bohr all'epoca ave­ vano una vivace collezione di cinque figli, tutti maschi; un se­ sto sarebbe arrivato l' anno successivo . Nonostante tutte le sue esitazioni sulla scelta delle parole, Bohr non fu mai titubante rispetto alla sua convinzione fonda­ mentale. Qualsiasi descrizione pratica delle proprietà o del com­ portamento di un oggetto quantistico in definitiva doveva es­ sere espressa in termini classici. Era un punto indiscutibile. Il risultato di qualsiasi esperimento era necessariamente un dato concreto, non una nuvola di probabilità. L'incertezza e la complementarità, pensava Bohr, gettavano luce sul motivo per cui le onde di Schrodinger non erano affat­ to un concetto classico come il suo autore aveva sperato . For­ malmente, l'equazione di Schrodinger è deterministica in sen­ so classico. In altre parole, se si conosce la funzione d'onda per un certo sistema in un certo momento, si può calcolarla in mo­ do esatto e univoco per qualsiasi momento successivo - a pat­ to, cioè, di npn compiere nel frattempo nessun tentativo di os­ servazione. E la misurazione a far si che l'interpretazione pro­ babilistica di Born dell'onda entri in azione : sono possibili risultati diversi, con diverse probabilità. L'incertezza di Heisenberg chiariva l'inevitabilità del con­ trasto tra una possibile misurazione e un' altra. Un osservatore

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può scegliere di misurare questo, quello o quell' altro, ma deve rassegnarsi alle incommensurabilità che ne derivano. E quell'in­ certezza si riversa nello sviluppo futuro del sistema. La funzio­ ne d'onda quantistica cambia riflettendo il fatto che si è otte­ nuto un certo risultato particolare di una misurazione, e non gli altri possibili - e questo a sua volta influenza i possibili risulta­ ti di misurazioni che si potrebbe effettuare. La complementa­ rità era il sistema di Bohr per cercare di tenere sotto uno stes­ so tetto tutte queste possibilità in conflitto . Bohr presentò la sua ampia filosofia nel settembre del 1 9 2 7 , nel corso di una riunione che si tenne a Como in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta, il pioniere italiano dell'elettricità. Storicamente, il suo intervento di Como segna piu di ogni altra cosa l'introduzione formale nella scienza del­ l'idea che le misurazioni non sono registrazioni passive di un mondo oggettivo, ma interazioni attive in cui l'oggetto misura­ to e il modo in cui lo si misura contribuiscono inseparabilmen­ te al risultato. All'epoca, tuttavia, i commenti torturati e tor­ tuosi di Bohr non ebbero quasi alcun successo. Alcuni ne rima­ sero completamente sconcertati e gli altri ebbero l'impressione che Bohr per qualche ragione stesse cercando di dire quel che già sapevano, ma in un modo inutilmente misterioso. Bohr preparò un resoconto del suo discorso di Como per la rivista scientifica « Nature ». Il processo si consumò in molti me­ si di tormentate ristesure, suppliche del direttore, assistenza di Pauli, spregevoli giustificazioni da parte di Bohr, seguite da ul­ teriori ritardi. Il risultato, che alla fine andò in stampa nell' a­ prile dell'anno successivo, fu accompagnato da un editor�ale che lamentava il fatto che Bohr avesse distrutto ogni ultima possi­ bilità di poter ristabilire i principi classici della fisica, ma espri­ meva la speranza, come misera compensazione, che le frasi elu­ sive di Bohr non fossero «l'ultima parola sull'argomento », e che i fisici potessero « ancora riuscire a esprimere il postulato quan­ tistico in una forma dotata di efficacia rappresentativa »1 • Bohr scrisse, ad esempio, che lui e i suoi colleghi « stavano adattando le [loro] modalità di percezione prese in prestito dal-

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le sensazioni alla conoscenza sempre piu approfondita delle leg­ gi della Natura »2, una frase che difficilmente si potrebbe con­ siderare chiara e scorrevole e che senza dubbio lasciò perplesso e sconfortato il lettore medio di « Nature » e l'interprete medio della natura. Emerse l'idea, tanto spesso citata e tanto poco compresa, che la misurazione disturba il sistema che viene misurato . Ma, come Bohr cercava di spiegare, tutte le misurazioni equivalgo­ no a perturbazioni di ciò che viene misurato . La reale novità della meccanica quantistica che Bohr voleva comunicare era che la misurazione definisce ciò che viene misurato . Quel che si ot­ tiene da una misurazione dipende da che cosa si è scelto di mi­ surare, e questo non è nulla di nuovo, ma, come Heisenberg ora aveva dimostrato, misurare un certo aspetto di un sistema chiu­ de la porta a tutte le altre cose che si potranno scoprire e quin­ di, fatalmente, limita l'informazione che potrà produrre qual­ siasi misurazione futura. A Como, Born si alzò in piedi per dire brevemente che a grandi linee concordava con Bohr. Il momento cruciale fu quan­ do lo fece anche Heisenberg . Solo pochi beninformati erano a conoscenza della difficile situazione di contrasto e di stallo in cui erano finiti i due nei mesi precedenti. Ora, in apparenza, era tutto finito e Heisenberg non aveva altro che lodi e ringra­ ziamenti per il suo mentore . Fu cosi che la cosiddetta interpretazione di Copenaghen del­ la meccanica quantistica iniziò a guadagnare potenza, un avve­ nimento che ha tormentato non solo i fisici, ma anche gli stori­ ci e i sociologi della scienza. Ha tutta l' aria di una cospirazio­ ne . Malgrado il forte disaccordo interno, pare, in pubblico la fazione di Bohr si presentò unita, per soffocare le critiche di chi non apparteneva alla cerchia ristretta. In particolare, Heisen­ berg mise da parte le sue obiezioni, si asciugò le lacrime e si at­ tenne obbediente alle direttive. Heisenberg, com'era successo a Kramers, era stato costret­ to a cedere all'irresistibile forza di Bohr, o era crollato di fron­ te alla sua inesauribile capacità di discutere ? O forse, come ha

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suggerito qualcuno, l'ardente desiderio di Heisenberg di otte­ nere una cattedra in Germania rendeva necessario abdicare a favore di Bohr, per far vedere che era un tipo solido, affidabi­ le, che sapeva fare gioco di squadra, che non era una testa cal­ da o un individualista ? Nessuna di queste ipotesi è verosimile. Heisenberg, dopo tut­ to, aveva mostrato abbastanza resistenza da insistere per pub­ blicare l'articolo sull'incertezza prima che Bohr l'avesse propria­ mente approvato . All'età di ventisei anni, aveva già avuto l'in­ tuizione fondamentale che aveva dato origine alla meccanica quantistica e ora ne aveva messo in luce una delle conseguenze piu sconcertanti e di piu ampia portata. Nonostante alcuni di­ saccordi sostanziali sulla {isica, si era guadagnato l' ammirazio­ ne di Einstein e Planck. E difficile immaginare che giudicasse necessario soffocare le proprie opinioni per ottenere un lavoro. Le spiegazioni semplici non sono necessariamente sbagliate. Dopo aver lasciato Copenaghen, Heisenberg ripensò al suo com­ portamento e riusd a capire che una certa parte della sua osti­ lità non era altro che orgoglio, insoddisfazione per il fatto che Bohr non considerava l'incertezza esattamente come lui. Pauli lo rimproverò di avere poco rispetto per le idee di Bohr. Pote­ va essere che l'estrema generalità e la concomitante vaghezza della complementarità non fossero di suo gradimento, ma quan­ do si trattava di spiegare in che modo i fisici avrebbero dovu­ to decifrare la meccanica quantistica, non poteva negare che la strategia di Bohr consentiva di cogliere un'importante verità. Inoltre, per dirla in modo molto semplice, era utile. Heisenberg cambiò idea, in breve, perché capi che Bohr of­ friva una soluzione migliore. Era un uomo pragmatico. Non vi è ragione di credere che non fosse sincero. Uno dei motivi per cui la riunione di Como fu indiscutibil­ mente poco importante fu l' assenza di Einstein e Schrodinger. Nella primavera del 1 9 2 7 Einstein aveva inviato un articolo che difendeva un'interpretazione realistica - cioè non probabilisti-

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ca - delle onde di Schrodinger, ma poi l' aveva ritirato, a quan­ to pare dopo uno scambio di lettere con Heisenberg . L'incer­ tezza non gli piaceva, ma i suoi tentativi di trovare una con­ troargomentazione non approdavano da nessuna parte. Tormen­ tato e frustrato, Einstein rimase a Berlino, dove di li a poco lo raggiunse Schrodinger, che aveva ottenuto la cattedra di fisica teorica. Planck era ufficialmente in pensione e Schrodinger, gio­ viale e scientificamente conservatore, si rivelò un sostituto quanto mai gradevole. A giudicare dalle apparenze, Einstein avrebbe dovuto ap­ provare la complementarità. Già nel 1 90 9 , quand'era il solo a difendere la realtà dei fotoni, aveva detto che la fisica teorica avrebbe condotto « a una [nuova] concezione della luce che po­ trà essere interpretata come una sorta di fusione della teoria on­ dulatoria e di quella dell'emissione [cioè dei fotoni] »3 • E poco prima che Heisenberg mettesse in circolazione l'incertezza, Ein­ stein tenne una conferenza a Berlino sulla necessità di una sin­ tesi delle visioni contrastanti. Ma una tale sintesi, per Einstein, avrebbe necessariamente eliminato i conflitti, mentre la com­ plementarità di Bohr, di contro, come il suo autore, sembrava trarre vantaggio dalla contraddizione . Poche settimane dopo lo scioglimento della riunione di Co­ mo, molti degli stessi fisici si riunirono di nuovo a Bruxelles per il quinto congresso Solvay sulla fisica, scegliendo come argo­ mento " Elettroni e fotoni" . Ernest Solvay era un chimico bel­ ga con una grande passione per la scienza che aveva fatto for­ tuna ideando un processo industriale per la produzione del car­ bonato di sodio . Nel 1 9 1 1 , affascinato dalla fisica degli elettroni e della radiazione che si stava sviluppando, aveva finanziato un convegno a inviti nel lussuoso Hotel Métropole di Bruxelles, dove venti luminari - compresi Einstein, Planck, Rutherford e madame Curie - ebbero la possibilità di dibattere le questioni piu urgenti in una situazione comoda e tranquilla. Questo primo incontro ebbe un tale successo che Solvay de­ cise di fare del suo congresso un avvenimento triennale. La guer­ ra interruppe il programma, ma in seguito i congressi Solvay ri-

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cominciarono, diventando la sede di molte discussioni scienti­ fiche fra le piu intricate e approfondite degli anni del dopoguer­ ra. Continuarono a essere convegni a invito, con un massimo di venti o trenta illustri partecipanti. A causa dell'esclusione postbellica degli scienziati tedeschi, fu solo nell'incontro del 1 9 2 7 che si riuni di nuovo un gruppo internazionale davvero rappresentativo . Tornò Einstein e per la prima volta venne Bohr, che aveva mancato l'incontro del 1 9 2 4 per motivi di salute . Nel frattempo, Solvay era deceduto. Gli argomenti in discussione al quinto congresso Solvay erano molto importanti: la meccanica quantistica e il principio di in­ certezza, che tre anni prima non esistevano ancora. Si delineò nettamente la divisione tra vecchia guardia e gio­ vani ribelli, a parte il fatto che Bohr, nel suo modo tipico, si ri­ fiutò di starsene tranquillo nell'una o nell' altra fazione . I gio­ vani, in particolare Heisenberg, Pauli e Dirac, non volevano al­ tro che far progredire la meccanica quantistica applicandola a problemi irrisolti relativi agli atomi, ai fotoni e alla radiazione . Erano insofferenti nei confronti di qualsiasi cosa che puzzasse di filosofia, semantica o pedanteria. Dall' altra parte, De Ero­ glie cercò di resistere all' avanguardia promuovendo l'invenzio­ ne di Schrodinger di una forma di meccanica quantistica scien­ tificamente accettabile, mentre Schrodinger presentò una dife­ sa poco comprensibile della propria concezione delle onde quantistiche, rifiutando l'interpretazione probabilistica. I suoi discorsi si attirarono aspre critiche, in particolare da parte di Born e di Heisenberg, e Schrodinger rimase a testa bassa per il resto della riunione. Einstein, seguendo come sempre nessun' altra visione se non la sua, ma continuando anche a essere l'esponente principale del gruppo dei tradizionalisti, non fece un intervento formale . Era stato invitato a parlare delle proprie opinioni sulla mecca­ nica quantistica, ma dopo qualche esitazione si tirò indietro, di­ cendo di non avere meditato la questione in modo approfondi­ to come avrebbe desiderato e di preferire stare ad ascoltare gli altri. Durante gli interventi, piu che altro si morse la lingua e

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tenne per sé le sue preoccupazioni. Le poche volte che si alzò in piedi per parlare, lo fece scusandosi e ammettendo che forse non aveva esaminato la meccanica quantistica abbastanza a fon­ do per essere sicuro di quel che diceva. Einstein, tuttavia, non passò inosservato. A pranzo e a cena, fuori orario, a tarda notte, incalzava i sostenitori della meccani­ ca quantistica affinché spiegassero in maniera precisa le loro con­ vinzioni e li tormentava con le riserve - intuitive, filosofiche, non completamente razionali, ma ciò nonostante convincenti. Non mancarono i problemi di comunicazione, con i sostenitori di uno dei punti di vista che non tolleravano le obiezioni mosse dagli altri schieramenti. A un certo punto Paul Ehrenfest, uno degli ultimi studenti di Boltzmann e amico intimo di Einstein, scrisse sulla lavagna il versetto della Genesi su Babele: « là il Si­ gnore confuse la lingua di tutta la terra»4• Pauli e Heisenberg, che erano presenti, non fecero mostra di preoccuparsi delle obie­ zioni del vecchio scienziato' . Ascoltarono con deferenza, disse­ ro poco, ma li sentirono mormorare tra di loro che non c'era da preoccuparsi, che tutto sarebbe andato bene. Bohr, d' altro canto, sia per il rispetto che nutriva per Ein­ stein sia perché anch'egli si lasciava andare a preoccupazioni di carattere filosofico, non poteva ignorare le obiezioni del suo vecchio amico . Fu lui ad assumersi il compito di difendere la meccanica quantistica, come se gli altri non capissero realmen­ te che aveva un gran bisogno di essere difesa. E in privato Bohr ammise di non comprendere appieno a che cosa si opponesse cosi fieramente Einstein6• Einstein tirò fuori uno dei suoi espedienti preferiti, un espe­ rimento mentale. Domandò ai suoi colleghi di immaginare qual­ cosa di molto semplice . Pensate a un fascio di elettroni che at­ traversa un minuscolo foro in uno schermo opaco, disse. Poi­ ché gli elettroni hanno proprietà ondulatorie, creeranno, su un secondo schermo piazzato al di là del primo per registrare un'im­ magine, un cosiddetto schema di diffrazione composto da anel­ li chiari e scuri alternati (questo fenomeno, previsto per la luce dallo scienziato francese Augustin Fresnel all'inizio dell'Otto-

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cento, era stato una delle prove conclusive a favore della teoria ondulatoria della luce) . La meccanica quantistica, per supposizione, poteva preve­ dere soltanto la probabilità che ciascun elettrone colpisse lo schermo in un posto o in un altro . I singoli elettroni che attra­ versavano la fenditura e si distribuivano in modo probabilisti­ co avrebbero, a tempo debito, ma indipendentemente, dato for­ ma allo schema di diffrazione corretto . Ma pensate a un singo­ lo elettrone, incalzò Einstein. Appena colpisce lo schermo in un certo punto, la probabilità che colpisca qualsiasi altro punto de­ ve ridursi a zero. La funzione d'onda deve cambiare repentina­ mente per registrare la nuova situazione . Questo non implica, argomentò Einstein, che è accaduto qualcosa di istantaneo sul­ lo schermo al momento dell'impatto ? Ecco in nuce quella che diventò l'obiezione perenne di Ein­ stein alla meccanica quantistica: il fatto che implicasse una comu­ nicazione piu veloce della luce - anche se per ammissione dello stesso Einstein era difficile spiegare che cosa fosse esattamente ciò che veniva comunicato. Purtroppo l'unico resoconto signifi­ cativo della disputa tra Einstein e Bohr fu redatto dallo stesso Bohr, una ventina d'anni dopd. L'argomento di Einstein vi è pre­ sentato di sfuggita e in modo piuttosto confuso, seguito dalla ri­ sposta dettagliata di Bohr, che tralascia il punto fondamentale. Poiché Einstein non poteva approvare fenomeni piu veloci della luce, sosteneva fermamente - cosi scrisse Bohr - che la meccanica quantistica non poteva esaurire la questione. Dove­ va esistere un modo, nell'ambito di una teoria piu grande della mera meccanica quantistica, per calcolare il comportamento de­ gli elettroni nei dettagli, cosi da poter prevedere esattamente dove sarebbe finito ogni singolo elettrone. In tal ca.s o, la pro­ babilità inerente alla meccanica quantistica si sarebbe rivelata simile alla probabilità contenuta nella vecchia teoria cinetica del calore, in cui gli atomi hanno proprietà ben definite in ogni momento e si comportano, in linea di principio, in modo asso­ lutamente prevedibile. Ma il fisico non può sperare di conosce­ re con precisione che cosa sta facendo ogni singolo atomo, co-

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si è obbligato a ricorrere a una descrizione statistica. La mec­ canica quantistica dovrebbe funzionare nello stesso modo, in­ sisteva Einstein. Sotto la superficie dovrebbe essere determini­ stica nel modo tradizionale. E l'intrusione della probabilità non indicherebbe una violazione sostanziale del determinismo fisi­ co, ma semplicemente che i fisici non sono ancora riusciti a ca­ pire il quadro completo. Come controargomentazione, Bohr usò il neonato principio di incertezza per dimostrare che nell'esperimento mentale di Einstein sarebbe stato impossibile estrarre piu informazione su­ gli elettroni - senza distruggere lo schema di diffrazione nel cor­ so del processo. Si potevano ottenere i dettagli della traiettoria di ciascun elettrone prima di colpire lo schermo, oppure si po­ teva ottenere lo schema di diffrazione, ma non gli uni e l'altro. Non è difficile immaginare l'esasperazione di Einstein per questa risposta. Certo che la meccanica quantistica non può da­ re tutta l'informazione che si vuole ! Era proprio questo il pro­ blema che voleva mettere in luce Einstein. Lungi dall'elimina­ re la difficoltà, Bohr l' aveva rafforzata. La meccanica quanti­ stica non poteva esaurire la questione. Una lettera scritta da Ehrenfest poco dopo il congresso Sol­ vay descrive la faccenda in uno stile entusiastico e telegrafico: « Come una partita a scacchi, Einstein sempre pronto con nuo­ vi argomenti. Bohr sempre in grado di tirar fuori da una nube di fumo filosofico gli strumenti per distruggere un esempio do­ po l'altro . Einstein come un fantoccio a molla, ogni mattina scattava di nuovo in piedi. Oh, davvero impagabile ! »8• Ehren­ fest fu contrariato di sentire Einstein parlare in modo irrazio­ nale della meccanica quantistica, nel modo in cui i suoi critici parlavano della relatività, e glielo disse in faccia. Ma doveva ammettere che l'insoddisfazione di Einstein metteva a disagio anche lui. E anche se stava dalla parte di Bohr, non poté fare a meno di lamentarsi del « terribile gergo incanta torio di Bohr. Che nessun altro potrebbe riuscire a riassumere »'. Altri partecipanti non ricordavano la riunione in questi ter­ mini melodrammatici. Dirac, le cui opinioni erano molto in ac-

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cordo con quelle di Einstein, osservò freddamente: « Ascoltai le loro discussioni, ma non vi partecipai, essenzialmente perché non ero molto interessato . Ero piu interessato a ottenere le equazioni giuste »10• « La complementarità », disse in altra sede, « non ti fornisce nessuna equazione che non avessi prima »11 • L'incontro tra Einstein e Bohr al quinto congresso Solvay non fu motivo di gioia né per l'uno né per l'altro . Nessuno dei due aveva comunicato in modo proficuo la propria prospettiva all'altro. Heisenberg e Pauli rimasero per lo piu in disparte. Mol­ ti anni piu tardi, Heisenberg sostenne che il congresso Solvay fu importante per stabilire quale fosse l'opinione della maggio­ ranza sulla meccanica quantistica, anche se poi, messo alle stret­ te, ammise che la maggioranza era composta da Bohr, Pauli e lui stesso . In una conferenza che tenne a Chicago nel 1 9 2 9 , parlò con grande ammirazione dell'influenza d i Bohr e del K o ­ penhagener Geist - lo spirito di Copenaghen. Per i sostenitori come per i dissidenti, l'interpretazione di Copenaghen stava di­ ventando la visione standard della meccanica quantistica. Nel corso dei decenni è stata in pari misura elusiva e influente. Quanti l' approvano parlano della sua profondità e della sua po­ tenza, ppr riconoscendo di non saperla tradurre facilmente in parole. E proprio questo il problema, ribattono i critici. Ha ac­ quisito autorità defacto anche se a quanto pare nessuno è in gra­ do di specificare bene di che cosa si tratta. Einstein non si placò. Un anno dopo il quinto congresso Sol­ vay, scrisse sprezzante ma rassegnato a Schrodinger: « la rassi­ curante filosofia - o religione ? - di Heisenberg-Bohr è cosi ben congegnata che per il momento offre al vero credente un mor­ bido cuscino da �ui non è facile farlo alzare. Lasciamolo pure dov'è, allora »12 • E ironico che Einstein contrastasse i principi religiosi altrui quando l' autorizzazione a disapprovare la mec­ canica quantistica gli derivava dal suo accesso diretto ai pensie­ ri del « Gran Vecchio » .

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1 « Nature », CXXI ( 1 928}, supp . , p. 579· N. Bohr, Collected Works cit . , vol. VI, p. 5 2 . ' Ibid., p. 58o. ' La frase compare in un articolo di Einstein del 1 909 ed è citata in A. Pais, Subtle Is the Lord . . . : The Science and the Li/e o/Albert Einstein, Oxford University Press, New York 1 9 8 2 , p. 4 0 4 [trad . i t . Sottile è i l Signore . La vita e la scienza di Albert Einstein, Bollati Boringhieri, To­ rino 1 986, p. 429] . • P. Marage e G. Wallenborn, The Solvay Councils and the Birth of Modem Physics, Birk­ hauser1 Boston 1 999. ' E un ricordo di Otto Stern, citato in A. Pais, Niels Bohr's Times in Physics ci t., p. 3 x 8 [trad. it. p. 3 20] . ' Ibid. (dagli appunti scritti a mano di Bohr) . 7 La memoria di Bohr, Discussion with Einstein on Epistemologica/ Problems in Atomic Phys­ ics, fu scritta per il volume curato da Schilpp, Albert Einstein : Philosopher-Scientist, Library of Living Philosophers, Evanston (Ili.) 1 949 [trad. it. Autobiografia scientifica, Bollati Boringhie­ ri, Torino 1 986] ed è pubblicata anche in N. Bohr, Atomic Physics and Human Knowledge, Science Editions, New York 1 9 6 1 [trad. it. Teoria dell'atomo e conoscenza umana, Boringhie­ ri, Torino 1 96 r ] . 1 Lettera d i Ehrenfest a Goudsmit, Uhlenbeck e Dieke, 3 novembre 1 9 2 7 , N . Bohr, Co/­ lected Works cit . , vol. VI, p. 38 (inglese), 4 1 5 (tedesco) . 9 Ibid. 1 0 G. Holton e Y. Elkana (a cura di), A/bert Einstein : Historica/ and Cultura/ Perspectives, Dover, New York 1 997. 1 1 Intervista a Dirac, AHQP. 12 Lettera di Einstein a Schrodinger, 3 r maggio 1 9 2 8 , in K. Przibram (a cura di), Brief zur We/lenmechanik cit.

Capitolo quattordicesimo A quel punto la partita era vinta

Verso la fine dell'estate del I 92 8 , un giovane russo che ave­ va appena seguito una scuola estiva di due mesi a Gottinga fe­ ce una tappa di un giorno a Copenaghen, sperando di incontra­ re Niels Bohr prima di tornare a Leningrado1 • Avendo un po' di tempo libero nel pomeriggio, Bohr ascoltò con interesse il giovane allampanato, George Gamow, che gli spiegò come aves­ se elaborato una soluzione elegante ma bizzarra a un enigma da tempo irrisolto. Bohr gli domandò quanto intendesse fermarsi a Copenaghen. Gamow rispose che doveva partire quel giorno stesso, avendo esaurito la modesta quantità di denaro che le au­ torità sovietiche avevano stanziato per il suo viaggio. Se fosse riuscito a offrirgli una borsa di studio di un anno all'istituto, domandò Bohr, sarebbe stato disposto a fermarsi ? Gamow in­ dugiò, degluti e accettò l'offerta. Ad attrarre l'attenzione di Bohr fu il chiarimento di Gamow del vecchio enigma del decadimento radioattivo, che Marie Cu­ rie aveva osservato nel lontano I 898 e che Rutherford e Soddy avevano dimostrato quantitativamente nel I 902 . Il decadimen­ to, come avevano capito tutti, seguiva un andamento veramen­ te casuale: ogni nucleo instabile aveva una probabilità costan­ te, in un dato intervallo, di disintegrarsi. Anche se questo era stato il primo caso nella fisica di un fenomeno davvero impre­ vedibile, il suo significato non era immediatamente balzato al­ l' attenzione dei fisici. Anche nel I 9 I 6, quando Einstein osservò che pure i salti degli elettroni nell' atomo di Bohr seguivano la stessa legge di probabilità, i fisici non si resero conto pienamen­ te che nell'arena teorica era entrato un fenomeno nuovo e im-

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barazzante . Ancor meno potevano capire quale potesse essere l'origine di una connessione tra la radioattività e i salti degli elettroni. Quando Gamow incontrò Bohr, di fisica atomica non si sa­ peva granché. Il protone era conosciuto e si stava rafforzando la convinzione che dovesse avere un partner neutro. Ma fu solo nel 1 93 2 che la scoperta del neutrone confermò questo sospetto. I fisici non avevano idea di cosa fosse a tenere insieme un nucleo: la repulsione elettrostatica avrebbe dovuto far si che un insieme molto compatto di protoni a carica positiva, con o senza compa­ gni neutri, volasse all'istante e violentemente in pezzi. Necessariamente, Gamow poteva elaborare soltanto un mo­ dello assai semplice della radioattività alfa. Immaginò che le particelle alfa, che si sapevano identiche ai nuclei degli atomi di elio, preesistessero dentro a nuclei pesanti, instabili, e sup­ pose che la forza che teneva insieme i nuclei, quale che fosse, impedisse anche alle particelle alfa, per la maggior parte del tem­ po, di schizzar via. Considerando questa situazione con un oc­ chio quantistico, Gamow giunse a una conclusione soddisfacen­ te e del tutto imprevista. Dal punto di vista classico, una forza abbastanza intensa da trattenere le particelle alfa dentro al nucleo le terrà dentro per sempre. Si pensi a una biglia che rotola all'interno di una sco­ della poco profonda: se ha abbastanza energia per superare il bordo della scodella, lo farà prontamente, ma se non ha abba­ stanza velocità per arrivare al bordo, non riuscirà mai a uscire dalla scodella. C 'è una demarcazione netta tra i due casi. Ma Gamow usò l'equazione di Schrodinger per descrivere una delle particelle alfa all'interno di un nucleo non come una particella vecchio stile, ma come un'onda quantistica. Per mo­ tivi matematici, scopri, quest'onda non poteva svanire repen­ tinamente al confine del nucleo . Doveva estendersi al di là, sva­ nendo al crescere della distanza. Ma se l'onda esisteva all'ester­ no del nucleo, si rese conto Gamow, allora doveva esistere una certa probabilità misurabile che la particella potesse effettiva­ mente essere all'esterno del nucleo. Secondo l' analisi quantisti-

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ca di Gamow, una particella alfa non poteva esistere stretta­ mente e solo all'interno del nucleo. In altre parole, una particella alfa ha una certa probabilità costante di manifestarsi all'esterno del nucleo - e, una volta al­ l'esterno, la repulsione elettrostatica prende il controllo e la al­ lontana rapidamente . Il semplice modello di Gamow non solo chiariva il motivo per cui avviene il decadimento alfa, ma spie­ gava anche la legge di probabilità scoperta da Rutherford e Soddy un quarto di secolo prima. Prima di arrivare a Copenaghen, Gamow aveva già spedito un articolo per la pubblicazione. C asualmente, anche due fisi­ ci americani, Edward Condon e Ronald Gurney, concepirono la stessa idea e pubblicarono il loro lavoro nel 1 9 2 8 . Questo modello di decadimento alfa di solito è citato come il primo esempio di un fenomeno quantistico generale conosciu­ to come tunneling: la particella alfa può riuscire ad attraversare quella che in termini classici è una barriera impenetrabile crea­ ta dalla forza confinante . Ma il tunneling è un goffo tentativo di tradurre nel linguaggio familiare un fenomeno classicamente im­ possibile. Suggerisce l'immagine di una particella che rotola qua e là all'interno della sua prigione fino a quando, spontaneamen­ te, scivola attraverso la parete e si allontana. Ma in termini pu­ ramente quantistici - coerenti con le onde di Schrodinger e an­ che con l'incertezza di Heisenberg - la particella alfa non ha mai la posizione o la quantità di moto ben definite implicate da que­ sta immagine classica e invece mantiene una sorta di esistenza costante, seppur minima, al di là dei confini del nucleo. Questo solleva una domanda spinosa: se la particella alfa ha sempre una certa probabilità di esistere al di là del nucleo, perché di fatto se ne allontana in un certo momento e non in un altro ? « Come fa un elettrone a decidere ? » , aveva domandato Rutherford a Bohr tanti anni prima, non riuscendo a capire per­ ché saltasse su un' altra orbita in un certo momento e non in un altro ? La spiegazione del decadimento alfa fornita da Gamow mo­ stra che la risposta alle due domande è la stessa. O, meglio, che

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il fatto che non ci sia risposta è dovuto alla stessa ragipne . La meccanica quantistica fornisce soltanto probabilità. E tutto . Chiedere una previsione specifica del momento o del luogo in cui accadrà qualcosa è chiedere piu di quanto la meccanica quan­ tistica possa dare. Nella fisica classica, quando avviene qualco­ sa, vi è necessariamente una causa immediata. Nella meccani­ ca quantistica, quella regola veneranda e apparentemente ovvia non è piu valida. Non è difficile capire perché Einstein la giu­ dicasse come l' ammissione di una sconfitta piu che come una spiegazione scientifica. All'epoca Gamow aveva ventiquattro anni e si era appena laureato all'Università di Leningrado . Si era perso, solo per un paio d' anni, i giorni eroici della meccanica quantistica, quando Heisenberg, Schrodinger, Dirac e tutti gli altri, sotto la vigile guida di Bohr e lo sguardo fisso e scettico di Einstein, avevano creato la nuova fisica. A Gamow, come a tutti gli altri fisici del­ l'ultima generazione, la meccanica quantistica offriva un mera­ viglioso insieme di strumenti per cercare di risolvere problemi di ogni genere che in precedenza erano inconcepibili. Tutto ini­ ziava ad arrendersi alle intuizioni della meccanica quantistica, non solo la fisica nucleare, ma anche la fisica dei cristalli e dei metalli, della conduzione del calore e dell'elettricità, della tra­ sparenza e dell'opacità. Di fronte a tutta la vasta gamma di pro­ blemi pratici che dovevano affrontare, i fisici erano poco pro­ pensi a perdere tempo con preoccupazioni di carattere filosofi­ co . C 'era troppo da fare e tutto era troppo divertente. Ma Einstein, che non era un fisico che si dedicasse a calco­ li minuziosi di fenomeni intricati, non riusciva a mettere da par­ te le sue profonde preoccupazioni. C 'era ancora spirito combat­ tivo in lui. « Al successivo incontro con Einstein, al congresso Solvay del 1 93 0 », ricordò Bohr usando un linguaggio per lui insolita­ mente forte, « la nostra discussione prese una piega veramente drammatica»2• Come nelle edizioni precedenti, trenta fra i piu

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illustri fisici di tutto il mondo si riunirono a Bruxelles, questa volta per discutere del magnetismo. L' argomento ufficiale e gli atti formali sono in gran parte scomparsi dai libri di storia. Quel che rimane è il ricordo di un altro confronto diretto carico di tensione tra Einstein e Bohr. Dopo l'inconcludente dibattito del precedente incontro, Ein­ stein aveva senza dubbio capito che le perplessità metafisiche non l' avrebbero portato da nessuna parte. Aveva bisogno di una dimostrazione specifica, quantitativa, del fatto che c'era qual­ cosa che non quadrava e quando arrivò a Bruxelles pensò di averla trovata. Intendeva dimostrare a Bohr e ai suoi discepoli che il principio di incertezza, allora acclamato come principio fondamentale della meccanica quantistica, non poteva essere la verità definitiva. Aveva trovato un modo per aggirare l'ostaco­ lo, per ricavare da un esperimento piu informazione di quanto consentisse la legge di Heisenberg. Non si trattava, ovviamente, di un esperimento reale, ma dell'ennesimo esempio di uno degli strumenti preferiti da Ein­ stein, l'esperimento mentale . Era un test che nessuno sforzo d'immaginazione avrebbe consentito di realizzare in laborato­ rio, eppure le leggi della fisica lo permettevano . Il punto piu im­ portante, secondo Einstein, era che in questo caso le leggi del­ la fisica dimostravano che l'esperimento avrebbe prodotto ri­ sultati migliori di quanto consentisse Heisenberg . Era cosi semplice da essere incontestabile. Immaginiamo alcuni fotoni in una cassetta, disse Einstein, dotata di un' apertura azionata da un orologio. Lasciamo aper­ ta la cassetta per brevissimo tempo, in un qualche momento spe­ cificato, in modo che esca un solo fotone . Pesiamo la cassetta prima e dopo. Da E = mc2, il cambiamento di peso dà l'energia del fotone in movimento . Una delle versioni del principio di Heisenberg afferma che piu accuratamente si cerca di misura­ re l'energia di un evento quantistico, meno accuratamente si può conoscere il momento in cui è avvenuto . Nel nuovo argo­ mento di Einstein, cosi credeva il suo autore, questa restrizio­ ne non valeva. Poteva misurare l'energia del fotone che si era

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allontanato e conosceva il momento in cui era uscito dalla cas­ setta, e poteva effettuare queste due misurazioni in maniera in­ dipendente, con la precisione che desiderava. Poteva battere il principio di incertezza, dichiarò trionfalmente Einstein. Léon Rosenfeld, un fisico belga che l' anno dopo sarebbe di­ ventato l' assistente di Bohr a Copenaghen, non partecipò uffi­ cialmente al congresso Solvay, ma si recò ugualmente a Bruxel­ les per assistere alla disputa. Arrivò alla foresteria dell'univer­ sità, dove alloggiavano i partecipanti, giusto in tempo per vedere un Einstein raggiante, « seguito da una corte di pesci piu piccoli »', che tornava dalla riunione . Einstein si sedette e con evidente soddisfazione descrisse il suo esperimento mentale an­ ti-Heisenberg « di fronte a tutte quelle persone ammirate ». Poi arrivò Bohr, che aveva « proprio l'aria di un cane basto­ nato, con la testa china sul petto » . Lui e Rosenfeld cenarono insieme e altri fisici passarono a trovarli al loro tavolo. Bohr era « molto turbato, estremamente turbato » e continuava a dire che Einstein non poteva assolutamente avere ragione, che altrimen­ ti sarebbe stata la fine della teoria quantistica. Ma su due pie­ di non riusciva a capire dove stesse il difetto. Con questi stes­ si argomenti piu tardi cercò in tutti i modi di persuadere Ein­ stein, che con la massima serenità non gli prestò la minima attenzione. Ma la mattina seguente quello raggiante era Bohr. Durante la notte gli era venuto in mente che per ironia della sorte Ein­ stein aveva commesso l'errore di trascurare una delle conse­ guenze della teoria della relatività generale . Supponiamo, dis­ se Bohr, che la cassetta che contiene i fotoni sia appesa a un qualche tipo di bilancia a molla che serve a misurarne il peso . Al momento dell'uscita del fotone, ragionò, la cassetta, con un peso inferiore, farebbe un leggero scatto indietro . Ne discen­ dono due importanti conseguenze. In primo luogo, il lieve rim­ balzo della cassetta produce incertezza nella misurazione della sua massa, che si traduce in incertezza nella stima dell'energia del fotone che scappa fuori. In secondo luogo, e piu elusiva­ mente, il movimento della cassetta modifica la velocità di fun-

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zionamento dell'orologio . Questo è dovuto al fatto che, come Einstein aveva dimostrato circa quindici anni prima, un orolo­ gio va a una velocità variabile mentre si muove in un campo gravitazionale . Bohr spiegò compiaciuto che il prodotto di queste due in­ certezze, nell'energia e nel tempo, era esattamente quello indi­ cato dal principio di Heisenberg . Einstein, avvilito per essersi lasciato sfuggire un suo risultato, tutto preso com'era dal desi­ derio di dimostrare che Bohr aveva torto, fu costretto a rico­ noscere la sconfitta. Bohr non gongolò . Nella descrizione di questi eventi che diede in seguito, non riesce proprio a dire chia­ ramente che lui aveva ragione e Einstein aveva torto. Sottoli­ nea invece la perspicacia mostrata piu e piu volte da Einstein nell'indicare esattamente i punti in cui la fisica classica e quel­ la quantistica si allontanano l'una dall' altra nel modo piu mar­ cato . Loda l'influenza di Einstein nello spingere i fisici quanti­ stici - intendendo con questo soprattutto sé stesso - a mette­ re a nudo le caratteristiche e le indubbie stranezze del nuovo argomento. A parte il cortese elogio di Bohr, resta il fatto che il formi­ dabile colpo diretto da Einstein contro la meccanica quantisti­ ca e il principio di incertezza sfiorò appena il suo bersaglio, sen­ za provocare danni e senza lasciare segni. Anche se Heisenberg, Pauli e gli altri avevano avuto soltanto un ruolo secondario in questo duello intellettuale, in seguito Heisenberg disse: « era­ vamo tutti perfettamente soddisfatti e avevamo l'impressione che a quel punto la partita fosse vinta»4• Sconfitto nel suo ultimo tentativo di dimostrare che la mec­ canica quantistica aveva un difetto, Einstein riprese la sua con­ testazione precedente, piu essenziale: la meccanica quantistica poteva essere logicamente coerente - ma non poteva essere tut­ ta la verità. Il caso, la probabilità e l'incertezza, sosteneva fer­ mamente, emergevano dal fatto che i fisici avevano una com­ prensione inadeguata del mondo che tentavano di descrivere con le loro teorie. Gli irritanti argomenti di Bohr, di Heisen­ berg e del resto della banda non erano null' altro che un masche-

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ramento dei problemi la cui soluzione stava altrove. Un giorno, ne era ancora convinto, avrebbero scoperto una teoria piu com­ pleta e avrebbero potuto consegnare la meccanica quantistica alla storia, insieme a tante altre ipotesi sbagliate. I membri del comitato per il Nobel per la fisica, che stava­ no faticosamente cercando di capire se la teoria quantistica aves­ se veramente preso piede, nel 1 93 1 non assegnarono il premio . Ma poi, in un impeto di fiducia, conferirono il premio del 1 9 3 2 al solo Heisenberg e quello del 1 93 3 a Schrodinger e Dirac. L'a­ marezza provata da Born tutta la vita fu accresciuta dal fatto che la sua enunciazione del ruolo della probabilità nella teoria quantistica fu ricompensata da un Nobel solo nel 1 95 4 . In quello stesso periodo, all'inizio degli anni Trenta, s i sta­ vano riscaldando forze politiche che di li a poco avrebbero di­ sperso per il mondo i fondatori della meccanica quantistica. Al­ l'inizio del 1 9 3 3 , Adolf Hitler assunse pieni poteri in Germa­ nia alterando le clausole della costituzione di W eimar e approfittando della compiacenza dei suoi avversari. I nazisti co­ minciarono immediatamente a espellere gli ebrei dalla pubbli­ ca amministrazione e dalle università. Einstein, che da anni ve­ niva attaccato come l'icona della scienza ebraica e il nemico del­ la cultura tedesca, e che già trascorreva molto tempo in viaggio, decise di lasciare Berlino per sempre . L'Università di Oxford gli offri un incarico, cosi come il C alifornian Institute of Tech­ nology e l'Institute for Advanced Study di Princeton, che era stato appena fondato. Per un certo periodo Einstein sembrò propendere per la California, che aveva già visitato e giudicava un paradiso . Tuttavia, come la maggior parte degli intellettua­ li europei, trovava l'America affascinante e piena di energia, ma fondamentalmente rozza e primitiva. A modo suo, venera­ va le glorie della tradizione e della cultura tedesche - non il mi­ litarismo prussiano, senza dubbio, né la perversa arianità di cui farneticava Hitler, ma la profonda e durevole cultura musica­ le, filosofica e scientifica della Germania.

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Quando Hitler prese il potere, Einstein si trovava in C alifor­ nia e fece capire che non sarebbe mai rientrato in Germania. Tornò per poco in Europa, spingendosi solo fino all' ambascia­ ta tedesca a Bruxelles per consegnare il passaporto e rinuncia­ re alla cittadinanza tedesca. Nell' autunno del 1 93 3 era già a Princeton, dove sarebbe rimasto fino alla morte. Princeton gli offri un rifugio tranquillo, la libertà da qualsiasi compito didat­ tico e un istituto di ricerca che poteva somigliare, cosi sperava­ no i suoi fondatori, a un raffinato centro intellettuale nel mi­ glior stile europeo. In Germania, la stampa esultò per l' allontanamento di Ein­ stein. Il fatto che avesse lasciato il paese dimostrava soltanto che non era un uomo che la Germania desiderasse. Appena spa­ riti gli ebrei piu illustri, i nazisti poterono iniziare a perfezio­ nare le liste. Piu avanti nel 1 93 3 , un giorno Born trovò il suo « nome sui giornali nell'elenco di chi era stato licenziato per mo­ tivi razziali »' . Dopo aver vagabondato per un po' , fini a Edim­ burgo . Pauli, che era figlio di un ebreo convertito al cattolice­ simo, era ormai al sicuro a Zurigo, dove rimase fino alla fine della vita. Schrodinger, che era professore a Berlino, anche se non era ebreo, trovava sempre piu disgustoso vivere in Germa­ nia. Trascorse qualche anno a Oxford, poi accettò un incarico a Graz, in Austria, anche per tornare nella madre patria, ma es­ senzialmente per poter vivere con la sua compagna, che era la moglie di un altro fisico, dalla quale aveva avuto una figlia a Oxford. Sua moglie, nel frattempo, viveva a Vienna. Ma nel 1 93 8 , all'annessione nazista di un'Austria molto po­ co riluttante, Schrodinger scappò di nuovo. Accettò un incari­ co al nuovo Institute for Advanced Studies di Dublino, fonda­ to sotto la direzione del primo ministro irlandese, Eamon de Valera, che aveva una formazione matematica. Molti altri fisici ebrei scapparono dalla Germania, o tenta­ rono di farlo . I loro colleghi di altri paesi facevano a gara per trovar loro un incarico, ma non era un compito facile, perché l' antisemitismo non era certo sconosciuto al di fuori della Ger­ mania. Per di piu, molti di coloro che cercavano di scappare

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avevano idee politiche piuttosto di sinistra. Anche i suoi soste­ nitori consigliarono ad Einstein di tenere per sé le sue opinio­ ni politiche. Nei discorsi e per iscritto aveva parlato favorevol­ mente di Stalin e dell'esperimento sovietico e qualche volta ave­ va accennato con sarcasmo alla volgarità e al materialismo degli Stati Uniti. E pochi laggiu vedevano di buon occhio un afflus­ so di simpatizzanti comunisti ebrei nel loro paese. Nel suo folle desiderio di promuovere la cultura ariana e pro­ teggere la Germania dalle perniciose influenze straniere, Hitler riusd nell' arco di pochi anni a cancellare il primato della Ger­ mania nella fisica. L'inglese diventò la lingua franca del setto­ re . Alcuni fisici tedeschi festeggiarono apertamente la pulizia etnica dei loro ranghi professionali, indipendentemente dal suo costo immediato, mentre altri protestarono contro gli eventi senza riuscire a opporsi in modo efficace . Max Planck, seppur disgustato dai nazisti, pensò di poter rimanere a Berlino e usa­ re la sua influenza per proteggere il grande patrimonio scienti­ fico del suo paese. Molto presto, prima che Einstein si dimettesse ufficialmen­ te dall'Accademia delle Scienze prussiana, Planck si incontrò con Hitler, per convincerlo che l'espulsione degli ebrei avreb­ be soltanto danneggiato la scienza tedesca. Hitler andò su tut­ te le furie e fece delle minacce, però assicurò, questo riusd a credere Planck, che gli ebrei non erano davvero in pericolo . Planck a sua volta cercò di persuadere Born e altri a rimanere, perché « nel corso del tempo, le cose splendide si separeranno da quelle odiose »6• Quando fu chiaro che Einstein non sareb­ be mai tornato, Planck gli inviò una lettera di protesta, in cui scrisse che il clamore della sua aperta denuncia dei nazisti sta­ va rendendo la vita piu difficile a quanti a Berlino cercavano di cavarsela alla meno peggio arrivando faticosamente a un qual­ che tipo di compromesso. Einstein, che aveva sempre conside­ rato Planck come la probità in persona, vide vacillare ancora di piu la sua fiducia nella decenza del popolo tedesco . Prese a di­ re che Planck era solo « al 6o per cento nobile »'. Per Planck, che aveva vissuto abbastanza per rammaricarsi

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di aver apposto la sua firma all'infame petizione a difesa della Germania durante la prima guerra mondiale, la prudenza era l'unica strategia concepibile. Era troppo vecchio e troppo pa­ triottico per prendere in considerazione l'eventualità di lascia­ re la sua terra natale, ma stava diventando impossibile ostaco­ lare i nazisti anche nelle piccole cose. Planck e Arnold Sommer­ feld, il vecchio prussiano che per anni aveva pubblicamente difeso Einstein e deriso l' antisemitismo, furono attaccati dai principali esponenti del movimento scientifico tedesco come « ebrei bianchi », per certi versi piu disgustosi degli ebrei stes­ si, poiché avevano scelto di sostenere la scienza ebraica pur non dovendo sottostare a uri imperativo genetico . Ai primi posti dell'elenco degli ebrei bianchi compariva an­ che il nome di Werner Heisenberg. Non dichiarava apertamen­ te le proprie opinioni politiche, come sempre, però difendeva la relatività e la teoria quantistica, le principali ossessioni di quan­ ti volevano reintrodurre una versione ariana della fisica. Ma il suo atteggiamento nei confronti di Hitler era ambiguo, per dir­ la nel modo piu gentile possibile . Considerava Hitler come un volgare demagogo a capo di una banda di criminali ignoranti, ma allo stesso tempo provava piu di un pizzico di simpatia per l'idea che la Germania avesse bisogno di una guida forte che le restituisse l'orgoglio e la forza. Tornato a Copenaghen dopo una visita in Germania nei primi tempi del regime di Hitler, Bohr raccontò che Heisenberg aveva espresso con ardore l'opinione che le cose non andavano male, ora che il Fiihrer si stava occu­ pando dei comunisti e di altri estremisti poco patriottici8• In ogni caso, quanto avrebbe potuto reggere Hitler ? Da quando era nato Heisenberg, la Germania aveva avuto una lun­ ga successione di governi, ognuno fragile e litigioso esattamen­ te come il precedente . Heisenberg non era certo il solo tra le persone ragionevoli - persone indifferenti e prive di curiosità a pensare che il caos si sarebbe esaurito da sé prima di fare trop­ pi danni. Il disprezzo di Heisenberg per la politica fino ad allora gli era stato utile. E l'espulsione degli ebrei creava qualche oppor-

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tunità di lavoro . L'Università di Gottinga s i dichiarò interessa­ ta a ottenere il suo trasferimento, per sostituire Born. Sommer­ feld cercò di portarlo a Monaco. Ma in entrambi i casi le auto­ rità bloccarono gli spostamenti proposti. Heisenberg non era uno di loro . Aveva manifestato alcune riserve, formulandole con grande cautela, sul fatto che alcuni bravi fisici venivano co­ stretti a lasciare il paese, ma la sua protesta privata nei confron­ ti della burocrazia non provocò alcun cambiamento della poli­ tica, solo un rimprovero formale. Castigato, tacque. Nel 1 9 3 5 , firmò u n giuramento di obbedienza al governo di Hitler, come erano tenuti a fare tutti i dipendenti pubblici. Consultò Planck sull'eventualità di dimettersi per protesta. L'unica conseguen­ za, gli rispose Planck, sarebbe stata che al suo posto avrebbero messo un nazista perfetto, un fisico meno importante di lui. Per la scienza tedesca sarebbe stato piu utile, a lungo termine, re­ stare e fare quanto era possibile . Che alla fine volle dire ben poco, se non nulla. 1 G . Gamow, Thirty Years That Shook Physics : The Story of Quantum Theory, Dover, New York 1 985 [trad. it. Trent'anni che sconvolsero /a fisica, Zanichelli, Bologna 1 996] . 2 P. A. Schilpp (a cura di) , Albert Einstein cit . , p. 2 2 4 [trad. it. p. 1 7 2]. ' Questo commento di Rosenfeld e i seguenti sono tratti dall'intervista a Rosenfeld, AHQP.

4 Intervista a Heisenberg, AHQP. ' M . Born, My Li/e and My Views, Charles Scribner's Sons, New York 1 968, p. ·3 7 . ' J. L. Heilbron, The Dilemmas o/ a n Upright Man : Max Planck as Spokesman /or German Science, University of California Press, Berkeley 1 986 [trad. it. I dilemmi di Max P!anck, por· tavoce della scienza tedesca, Bollati Boringhieri, Torino 1 988] 7 Le parole di Einstein sono tratte da una sua lettera a Fritz Haber dell'8 agosto 1933, ci­ tata in A. Folsing, Albert Einstein, Viking, New York 1 997, p. 668 . ' Intervista a Rosenfeld, AHQP.

Capitolo quindicesimo Esperienza vissuta e non esperienza scientifica l

Prima che Hitler riuscisse a disperdere nel mondo il talento scientifico tedesco, la meccanica quantistica era già diventata globale . Nessun paese trasse vantaggio dall'esodo degli intellet­ tuali ebrei piu degli Stati Uniti, ma la scienza americana stava già guadagnando posizioni sulla scena mondiale per i propri me­ riti. Gli scienziati europei avevano attraversato l'Atlantico an­ che prima del I 9 I 4 e lo fecero sempre di piu quando le tensio­ ni internazionali si allentarono dopo la guerra. Ammettevano apertamente che grazie alle avventure americane si portavano a casa piccole somme di denaro molto gratificanti, in ogni caso si rendevano conto chiaramente che con il passare degli anni il pubblico che incontravano era sempre piu ricercato . Nel frat­ tempo, i giovani americani sciamavano in Europa per impara­ re la nuova fisica - nel I 9 26, un visitatore americano trovò piu di venti compatrioti a Gottinga1 - ma sempre con l'intenzione di tornare a casa per fondare le proprie istituzioni. La presenza britannica nella fisica teorica era di nuovo in au­ mento, anche se le glorie dell'Ottocento non vennero mai piu riconquistate. L'inglese americano soppiantò il tedesco come lingua internazionale della fisica teorica. La Francia, nella per­ sona di Louis De Broglie, aveva offerto il suo contributo alla meccanica quantistica, anche se in generale la fisica francese era tramontata dai tempi di Becquerel, di Poincaré e dei Curie. L'avanguardia scientifica, in altre parole, ondeggiava qua e là tra i confini nazionali. Era passata dall'Inghilterra alla Ger­ mania all'inizio del secolo, soffermandosi per qualche tempo a Monaco e a Gottinga, spingendosi fino a Copenaghen, per poi

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passare velocemente di nuovo per C ambridge prima di trasfe­ rirsi nell' altra Cambridge, indi a Chicago, Princeton e Pasade­ na. La vera e propria intrusione di Hitler ebbe l'effetto, forse, di accelerare una crescente deriva continentale che era già in atto. Le scuole della scienza, come dell'arte e della musica, ri­ mangono di rado a lungo in uno stesso luogo. Ciò nonostante, è singolare che tanta parte della meccanica quantistica sia emersa in Germania durante una fase cosf stra­ na e carica di tensione della storia del paese. A posteriori, il pe­ riodo di Weimar ha acquisito una sfumatura esotica, come se una sensibilità straniera si fosse posata sull'imperturbabile Ger­ mania, per poi andarsene cosf come era arrivata. Era la Germa­ nia del malcontento e del disordine civile, dei folli movimenti artistici di breve durata, dei locali notturni e dei cabaret, di Ber­ tolt Brecht e Fritz Lang, dell' arrancante socialismo reale e del tecnofilo Bauhaus. Era maniacale e incoerente. Gli artisti pas­ savano d'un balzo da un'ossessione all'altra, ripudiando spieta­ tamente il passato, anche quando il passato aveva solo sei mesi. La politica era vacillante, l'arte capricciosa e la vita civile incer­ ta e a volte drammatica. Madre dell'eccesso, come disse Nietz­ sche, non è la gioia, ma la mancanza di gioia. Anche per la fisica fu un periodo di scompiglio . La nuova legge probabilistica sovvertf il vecchio ordine del determinismo. Le idee nascevano e morivano nel giro di qualche anno, a vol­ te di pochi mesi. La fisica classica diede origine alla vecchia teo­ ria quantistica, che produsse la meccanica quantistica, che ge­ nerò l'incertezza. Inevitabilmente, alcuni analisti amanti della sociologia sono stati indotti a domandarsi se tra gli alti e i bas­ si della nuova fisica e l'instabilità sociale e intellettuale di quel periodo, piuttosto che una semplice coincidenza, non esistesse invece una connessione piu ampia. Lo spirito turbolento e liti­ gioso della Germania di Weimar si diffuse anche nel pensiero scientifico e favorf l' ascesa dell'incertezza ? Gli scienziati deridono sistematicamente qualsiasi ipotesi di questo genere. La fisica, dicono, procede per motivi suoi pro­ pri. L'incertezza aveva molte radici e molti antecedenti, dalla

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teoria cin�tica alla radioattività e allo spettro dei corpi incan­ descenti. E difficile vedervi un'influenza dell' arte o della poli­ tica. E gli scienziati che svilupparono l'idea di incertezza era­ no per la maggior parte indifferenti alla politica e avevano gu­ sti musicali tradizionali. Heisenberg e Born amavano suonare Beethoven, uno al piano e l'altro al violino . Einstein preferiva Mozart . A Bohr la musica non piaceva affatto; giocava a calcio e a tennis ed era un provetto sciatore. A Pauli piaceva stare fuo­ ri fino a tarda ora, ma non si può dire che frequentasse molti artisti e musicisti. Ed era orgoglioso di non leggere i giornali. Per quanto ci tentassero, comunque, i fisici residenti in Ger­ mania in quegli anni non potevano vivere come monaci, isola­ ti dal mondo che li circondava. Sperimentarono l'esperienza di non avere denaro né cibo a sufficienza. Videro la violenza nel­ le strade. Poiché gli incarichi universitari erano nelle mani dei funzionari pubblici, dovevano essere quanto meno vagamente consapevoli del fatto che il governo di tanto in tanto cambiava e provava politiche diverse, che influivano sulla ricerca e sull'i­ struzione . Può darsi che avessero la mente altrove, però abita­ vano in un mondo reale . In ogni caso, fa sobbalzare scoprire che uno storico della scienza, Paul Forman, ha scritto: « Sono convinto [ ] che il mo­ vimento per l'eliminazione della causalità nella fisica, che spuntò cosf all'improvviso e si sviluppò tanto rigogliosamente in Ger­ mania dopo il 1 9 1 8 , fosse primariamente un tentativo dei fisi­ ci tedeschi di adeguare il contenuto della loro scienza ai valori dell' ambiente intellettuale che li circondava »2 • Primariamente ? Il ragionamento, in sintesi, è questo : il collasso della Germa­ nia nella prima guerra mondiale portò a una profonda disillu­ sione nei confronti del passato, che comprendeva non solo la politica bismarckiana e una società rigidamente strutturata, ma tutto l'ethos, radicato nella scienza, del determinismo e dell'or­ dine. In opposizione ai vecchi modi emerse una sorta di reviva­ lismo romantico, che privilegiava la natura, la passione e il ca­ so, disprezzando invece la macchina, la ragione e la logica. Se la storia, come la scienza, era deterministica, e se il determini.

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smo aveva avuto come conseguenza il crollo della Germania, evidentemente era necessario passare in fretta a un altro tipo di storia. Perciò anche gli uomini di scienza, per evitare di es­ sere associati con lo screditato passato e per cercare di ingra­ ziarsi i potenti nel nuovo clima intellettuale, si comportarono in maniera simile, abbandonando il determinismo e marciando sotto il vessillo del caso, della probabilità e dell'incertezza. Se­ condo Forman, « la pronta volontà, l' ansia dei fisici tedeschi di ricostruire i fondamenti della loro scienza è quindi da interpre­ tare come una reazione alla loro mancanza di prestigio » . Com'è ovvio, nessun fisico ammetterebbe mai d i aver pro­ posto una nuova teoria radicale per conformarsi a qualche effi­ mera tendenza sociale. Un'eventuale influenza potrebbe sola­ mente essere subliminale, inconscia - e discernibile solo da uno storico esperto e attento. Senza dubbio, certi scienziati avevano reagito manifestamen­ te al nuovo ordine generato dal collasso della Germania. Max Planck promosse esplicitamente la coltivazione della scienza co­ me modo per il suo paese di ricostruire l'onore perduto e salva­ re la propria reputazione internazionale. Ma Planck era anche famoso per la sua mancanza di entusiasmo per le implicazioni piu profonde della teoria quantistica. Il potere e la durevolez­ za della scienza, nella concezione di Planck, poggiavano proprio sulle robuste basi deterministiche fondate nell'Ottocento ed era dando rilievo a quella solidità, cosi credeva Planck, che la scien­ za tedesca poteva dimostrare il suo valore . La scienza, in altre parole, poteva esercitare un'influenza benigna e calmante resi­ stendo alle pressioni del tempo e difendendo i vecchi criteri ­ cioè esattamente l'opposto della tesi che la scienza dovrebbe adattare i suoi principi in modo da guadagnarsi l' approvazione in un mondo instabile. È pur vero che nella Germania postbellica c'era una vena di atavico anti-intellettualismo che prese di mira la fredda conce­ zione scientifica iperrazionale del mondo, tuttavia, come mol­ te altre cose nella Germania di Weimar, non si trattava di una filosofia coerente, ma di una ridda di impulsi. I ragazzi del mo-

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vimento Pfadfinder, cosi caro a Heisenberg, vagabondavano per colline e foreste, estasiandosi per le meraviglie della natura e discutendo all'infinito sul significato della vita. « Tale forma di pensiero », ha scritto lo storico della cultura Peter Gay, « non equivaleva ad altro che alla decisione di trasformare l'adolescen­ za stessa in un'ideologia»3• In ogni caso, i Pfadfinder erano un gruppo molto vario. Alcuni erano socialisti e volevano creare un mondo nuovo, egualitario; alcuni propendevano per la de­ stra e bramavano una restaurazione della vecchia Germania, do­ ve tutti sapevano stare al loro posto. Heisenberg e i suoi com­ pagni non si preoccupavano granché della politica contempora­ nea, se non per lamentarsene in blocco. Nei primi anni della sua carriera scientifica, quando stava formulando una nuova mate­ matica e il principio di incertezza, Heisenberg di tanto in tan­ to partiva per girovagare tra monti e laghi in compagnia dei suoi amici. Per lui era un vero e proprio ristoro, una fuga dalle tri­ bolazioni della vita quotidiana. Durante quelle gite voleva sol­ tanto allontanarsi dalla società, non riformarla. Se le confuse inclinazioni romantiche di questo periodo han­ no mai trovato una guida intellettuale, o meglio un guru, si può pensare che si tratti di Oswald Spengler, un autodidatta che tra il 1 9 1 8 e il 1 9 2 2 pubblicò i due volumi dt un'opera vasta e cari­ ca di contenuti, Il tramonto dell' Occidente (il titolo originale, Der Untergang des Abendlandes, è molto piu altisonante) . Spengler era un insegnante che tutte le sere lavorava sodo per raccoglie­ re la sua indubbia cultura in una teoria panoramica e globale del­ la storia del mondo. Si era istruito, a quanto pare, su tutte le an­ tiche e oscure culture di ogni angolo della Terra, studiandone e assimilandone l'arte, la filosofia, la musica, la matematica. Il suo tema principale era il destino, o meglio l'idea di destino. La sto­ ria segue un grande ciclo, affermò Spengler. Le culture nascono e muoiono e le loro forme di pensiero si diffondono e poi scom­ paiono nel nulla. La cultura moderna, scientifica e razionale, non era altro che un'ennesima fase; anch'essa sarebbe crollata. Il metodo di Spengler consiste nel presentare enormi quan­ tità di dettagli e di fatti oscuri e poi, quando il lettore inizia ad

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assopirsi, passare all'improvviso con grande abilità a p/, osservò Edward Condon. Heisenberg elaborò una risposta, ma si trattenne dal pubbli­ carla quando venne a sapere che anche Bohr stava preparando­ ne una, cedendogli cosi la sua vecchia autorizzazione papale a emettere dichiarazioni su questioni dogmatiche (non sorpren­ de scoprire che Bohr, anni dopo, dichiarò che comunque la re­ plica di Heisenberg era imperfetta)8• Naturalmente, Bohr se la prese comoda. Insieme a Rosen­ feld, il suo assistente, analizzò minuziosamente l' articolo EPR , continuando a proporre una confutazione dopo l' altra e ferman­ dosi a volte nel mezzo delle tortuose discussioni per domanda­ re: « Che cosa possono voler dire ? Tu lo capisci ? »9• Abbozzata, rimaneggiata e riscritta piu e piu volte, la replica tormentosa­ mente costruita di Bohr all' articolo EPR , pubblicata cinque me­ si piu tardi, rivela il maestro danese nella sua forma migliore, inelegantemente prolissa ed esasperante. La sostanza è, scrive .

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Bohr, che nonostante tutti gli arabeschi metafisici, Einstein e i suoi colleghi non hanno trovato un sistema pratico per batte­ re il principio di incertezza. Anche nello scenario EPR , in realtà comunque non si riescono a dedurre allo stesso tempo la posi­ zione e la quantità di moto dell'una o dell' altra particella, in modo diretto o indiretto . Da qualsiasi punto di vista pratico, il principio di Heisenberg regge. Invece, spiegò Bohr, l'argomento EPR inizia con una certa definizione della realtà fisica, per poi mostrare che la meccani­ ca quantistica non funziona. Per citare le parole di Bohr: « L' ap­ parente contraddizione in realtà svela soltanto un'essenziale inadeguatezza del punto di vista usuale della filosofia naturale per una descrizione razionale dei fenomeni fisici del tipo che trattiamo nella meccanica quantistica »10• Tradotto in un lin­ guaggio comprensibile, significa che Einstein, Podolsky e Ro­ sen valutano la meccanica quantistica con un criterio inadegua­ to, quindi non sorprende che non la trovino soddisfacente. In effetti, però, nell'esperimento EPR sembra che accada qualcosa di strano e Bohr fece attenzione a non essere molto preciso al riguardo . Evitò in maniera specifica qualsiasi affer­ mazione che implicasse che misurare la prima particella in qual­ che modo fa si che le proprietà della seconda assumano, all'i­ stante, i valori appropriati e scrisse invece una frase notoria­ mente oscura: « vi è essenzialmente la questione di un 'influenza sulle condizioni stesse che definiscono i possibili. tipi di previsioni relative al comportamento futuro del sistema ». La frase sembra significare, se mai, che la scelta dell'osservatore riguardo a che cosa misurare, non ancora tradotta in azione, influenzerà il mo­ do in cui le particelle si riveleranno in seguito. Quanto all' accusa di incompletezza della meccanica quanti­ stica, Bohr ammetteva che l'osservatore non può ottenere tut­ ta l'informazione che vorrebbe un fisico classico. Però affer­ mava che la meccanica quantistica offre nondimeno « un utiliz­ zo razionale di tutte le possibilità di interpretazione non ambigua delle misure, compatibile con l'interazione finita e in­ controllabile tra gli oggetti e gli strumenti di misura nel setto-

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re della teoria quantistica ». Tradotto, ancora una volta, signi­ fica che quel che offre la meccanica quantistica è tutto ciò che si può ottenere. Quando si trovò, una quindicina d'anni dopo, a riassumere questo suo scambio con Einstein per un volume di saggi com­ memorativi, Bohr riusci quanto meno a capire che avrebbe po­ tuto essere piu chiaro. Riferendosi alla sua replica all' articolo EPR , scrisse: « Rileggendo questi passi, mi rendo perfettamente conto dell'inefficacia del mio modo di esprimermi, che deve aver reso molto difficile cogliere il filo logico del mio ragiona­ mento, che mirava a rivelare [ . . . ] »11• Difficile da seguire, avreb­ be scritto un'altra persona, ma Bohr, anche quando voleva di­ re qualcosa di semplice, non poteva fare a meno di girare pru­ dentemente in tondo in punta di piedi, ritardando la fine della frase con tutte le ambiguità che riusciva a mettere in fila. Evidentemente, è piu facile dire che cosa c'è di sbagliato nel­ l'argomento EPR piuttosto che riuscire a ragionare su di esso in modo chiaro. Con una frase insolitamente semplice, Bohr af­ fermò che la meccanica quantistica richiedeva « una rinuncia de­ finitiva dell'idea classica di causalità »12 • Ma se la causalità clas­ sica e la realtà sono uscite dalla finestra, in quali altri termini devono pensare i fisici ? A questa domanda Bohr non diede una risposta chiara, a parte raccomandare la sua filosofia della com­ plementarità, che in effetti significava abbracciare la contrad­ dizione piuttosto che cercare di risolverla. Einstein, comunque, quando replicò alla descrizione che Bohr offri anni dopo del loro disaccordo, riusd soltanto a espri­ mere la difficoltà che provava da tempo nei confronti del prin­ cipio di complementarità di Bohr - « la cui precisa formulazio­ ne, del resto, non sono stato capace di ottenere, nonostante i molti sforzi che gli ho dedicato »0. Su questo punto aveva la stessa opinione della (silenziosa) maggioranza dei fisici, che pu­ re trovava sconcertante Bohr. I piu, tuttavia, tenevano per sé le proprie preoccupazioni. Non era tanto difficile, trovavano, usare la meccanica quantistica senza lasciarsi prendere da preoc­ cupazioni filosofiche sulla natura della realtà fisica.

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Non convinto da Bohr, costernato dalla mancanza di inte­ resse, anzi dalla vera e propria ostilità manifestata da Heisen­ berg, Pauli e gli altri, Einstein si dilungò sulle sue preocc"!lpa­ zioni riguardo alla meccanica quantistica in alcune lettere a Schrodinger, l'unico che si mostrasse solidale. In una lettera, immaginava il caso di una bomba progettata in modo da esplo­ dere in risposta a qualche imprevedibile evento quantistico . Se era già abbastanza difficile capire che cosa significasse uno sta­ to quantico che combina la probabilità che tale evento accada insieme alla probabilità che non accada, che senso poteva mai avere, domandava Einstein, pensare a uno stato che in qualche modo rappresenta una bomba che è allo stesso tempo esplosa e non esplosa ? In un articolo di rassegna pubblicato in seguito in quello stes­ so anno, Schrodinger adottò l'idea di Einstein, con una famo­ sissima variazione: la bomba di Einstein si trasformò nel gatto di Schrodinger. Questa povera creatura se ne stava impotente dentro a una scatola d' acciaio chiusa, in compagnia di un pic­ colo campione radioattivo e di un contatore Geiger che quan­ do scatta aziona un martelletto che rompe una fialetta di vele­ no. In un'ora, stabiliva Schrodinger, c'è un 50 per cento di pro­ babilità che il campione radioattivo faccia scattare il contatore Geiger, provocando in tal modo la morte del gatto. Gli stessi atomi radioattivi, in quel momento, dal punto di vista della mec­ canica quantistica devono essere descritti come intatti e deca­ duti in parti uguali, poiché combinano entrambe le possibilità. Ma allora, affermava Schrodinger, anche il gatto che è collega­ to all' atomo deve essere descritto, nel linguaggio quantistico, come un gatto morto e un gatto vivo in parti uguali. E questa è necessariamente un'assurdità, no ? Ancor piu dell' argomento EPR , il paradosso del gatto di Schrodinger è un profondo rompicapo oppure un'irritante in­ dicazione sbagliata, a seconda della propria concezione della meccanica quantistica. All'epoca era ormai chiaro che l'onda di Schrodinger per un elettrone in un atomo rappresenta la pro-

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babilità che l'elettrone si trovi su una qualche orbita intorno al nucleo - se mai uno decidesse di condurre un esperimento per cercarlo. Ma non equivale affatto, sosterrebbero i seguaci del pensiero di Copenaghen, a dire che l'elettrone è in un qualche senso letterale un po' qui e un po' li allo stesso tempo . Nello stesso modo, direbbero, quando Schrodinger parla di un gatto mezzo morto e mezzo vivo, fa un cattivo uso del linguaggio. La descrizione quantistica è un resoconto di quel che si vedrà aprendo la scatola: il gatto sarà morto o vivo, con pari probabi­ lità. Ciò non significa che possa letteralmente esistere un gatto mezzo morto e mezzo vivo. Il problema, come sempre, sta nel tradurre una descrizione quantistica delle possibilità in una descrizione classica dei ri­ sultati. Sin dalla lezione tenuta all'incontro di Como, Bohr con­ veniva che l'osservatore ha una certa libertà nel decidere come fare quella traduzione, però sosteneva che l'esperienza e il buon senso fornivano una guida pratica. Intendendo, in questo ca­ so, che non era illecito descrivere un gatto intero in termini quantistici, ma che certo non era molto utile né sensato . Per­ ché qualcuno dovrebbe essere interessato a farlo ? L' argomen­ to di Bohr, in sostanza, era che gli scienziati sanno per espe­ rienza che gli elettroni misurati sono in un posto o in un altro e che i gatti osservati sono morti oppure vivi. E allora, qual era il problema ? Che scopo aveva usare un linguaggio incoerente per descrivere lo stato fisicamente impossibile di un gatto che non si è osservato ? Per Einstein e Schrodinger, naturalmente, era Bohr quello che non capiva il nocciolo della questione. Schrodinger incon­ trò brevemente Bohr a Londra nella primavera del 1 936 e riferi ad Einstein la notizia che Bohr, nel suo stile prudente e affasci­ nante, giudicava « raccapricciante », un caso di « alto tradimen­ to »1\ che certi critici attaccassero tanto strenuamente la mec­ canica quantistica. La sua obiezione era specifica: Einstein e Schrodinger, disse Bohr, stavano cercando di imporre la loro volontà sulla meccanica quantistica, invece di ascoltare che co­ sa aveva da dire. In un' altra occasione, Bohr espresse in modo

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molto efficace il concetto: « È sbagliato pensare che il compito della fisica sia scoprire com'è la natura. La fisica si occupa di ciò che possiamo dire della natura»15• Non è poi tanto lontana dal­ la famosa affermazione alla fine del Tractatus Logico-Philosophi­ cus di Wittgenstein - « su ciò di cui non si può parlare si deve tacere » - anche se non ci sono prove del fatto che Bohr abbia mai affrontato l'incisivo e aforistico volume di Wittgenstein. I miagolii lamentosi del gatto di Schrodinger, a dire il vero, rivolsero l' attenzione dei fisici su una certa questione cruciale. Come fa uno stato quantico incerto a dare una risposta precisa a una domanda classica ? Una delle soluzioni proposte tirava in ballo la necessità dell'intervento umano: solo quando viene esa­ minato da un osservatore, il gatto è obbligato a diventare chia­ ramente morto o vivo. Questa interpretazione stranamente po­ polare degli eventi quantistici non ha mai avuto possibilità di successo. I salti degli elettroni negli atomi e il decadimento di nuclei radioattivi sono due processi, governati dall'incertezza quantistica, che vanno avanti indipendentemente dal fatto che qualche osservatore vi presti attenzione. Secondo Bohr, come sempre, preoccuparsi di questioni si­ mili è fondamentalmente privo di senso. Grazie alla loro gran­ de esperienza, i fisici sanno perfettamente quando è avvenuta una misurazione. Parlando in termini pratici, il gatto rimane fuori dalla scena. Per la maggior parte dei fisici, che preferiva­ no non scavare troppo a fondo, era sufficiente. All'inizio degli anni Trenta, Heisenberg disse a Bohr: « ho rinunciato a occu­ parmi di questioni fondamentali, troppo difficili per me »16• E in una serie di conferenze tenute nel 1 955 all'Università di St. Andrews, in Scozia, Heisenberg sottoscrisse in gran parte la raccomandazione di Bohr e dichiarò fermamente : « non possia­ mo né dovremmo sostituire questi concetti con altri »17• Per molti anni l'atteggiamento di Heisenberg fu la norma tra i fisici. Preoccuparsi delle questioni metafisiche e interpretati­ ve sollevate dalla meccanica quantistica era considerata un' oc­ cupazione sconveniente e poco onorevole. Ma nel 1 964 il fisi­ co John Beli escogitò un modo ingegnosamente semplice per tra-

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sformare l' argomento EPR in un esperimento realizzabile, sep­ pur difficile8• Test ripetuti su coppie di particelle predisposte nel modo opportuno, mostrò Beli, avrebbero prodotto una dif­ ferenza misurabile tra quanto decretato dalla meccanica quan­ tistica e ciò che sarebbe derivato se la definizione EPR di « ele­ menti della realtà fisica» fosse stata corretta. Una ventina d'an­ ni dopo, quando vennero realizzati questi test tecnicamente molto difficili, la meccanica quantistica si dimostrò totalmente corretta. La sensazione interiore di Einstein riguardo alla for­ ma della realtà fisica lo aveva condotto sulla strada sbagliata. Ma questo non risolve completamente la disputa. L' argo­ mento di Bohr in definitiva era che parlare di un gatto quanti­ stico, uno strano animale mezzo morto e mezzo vivo, è sempli­ cemente sciocco. Schrodinger, tuttavia, con l'approvazione di Einstein, sosteneva che nella teoria quantistica formale nulla impedisce di pensare a gatti quantistici, se si desidera farlo, e che si può sostenere di capire come funziona la meccanica quan­ tistica solo se si capisce cosa accade in questi casi. Non si può semplicemente decretare che queste difficoltà non vanno con­ siderate, come sembrava desiderare Bohr. Alcuni recenti progressi, teorici e sperimentali, hanno get­ tato un po' di luce su questo enigma. Un gatto, a differenza di un elettrone, non è una particella elementare. I suoi numerosi atomi ed elettroni non se ne rimangono tranquilli in un certo stato quantico, ma rimbalzano qua e là e interagiscono, come sapevano benissimo gli scienziati che nel secolo precedente ave­ vano proposto la teoria cinetica dei gas . Da un punto di vista teorico, parlare dello stato quantico di un gatto significa speci­ ficare esattamente che cosa fa in un momento preciso ogni sin­ golo atomo e ogni singolo elettrone - e questo stato cambia con una rapidità inimmaginabile da un istante all' altro . Lo stato quantico di un gatto, perciò, è qualcosa di variabile ed elusivo. Nel frattempo, sul versante degli esperimenti, i fisici di la­ boratorio hanno ideato metodi per trattenere un insieme di ato­ mi in un autentico stato quantico, fisso e costante, ma solo con una manciata di atomi e solo per un brevissimo intervallo. Que-

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sti stati, per l'intervallo di tempo in cui si riesce a non farli cam­ biare, mostrano un comportamento quantistico genuino . La conclusione è che, secondo il pensiero moderno, le affer­ mazioni di Schrodinger sullo stato quantico di un gatto erano troppo superficiali. Se fosse possibile mantenere tutti gli atomi di un gatto in un unico stato quantico fisso, allora sarebbe pos­ sibile parlare di gatti quantistici mezzo morti e mezzo vivi. Ma nella realtà l'interazione continua e straordinariamente com­ plessa degli atomi del gatto è sufficiente a garantire che un ta­ le stato quantico non può esistere, se non per un istante fuga­ ce e non catturabile. Piuttosto, le caratteristiche di un gatto che noi possiamo osservare sono solo quelle proprietà che rimango­ no costanti mentre lo stato quantico interno cambia continua­ mente. E quelle proprietà costanti, prosegue il ragionamento, sono esattamente quelle che consideriamo attributi "classici" di un gatto - il suo essere vivo o morto, ad esempio. Ma se Schrodinger sbagliava a credere che fosse sensato par­ lare dello stato quantico di un gatto, altrettanto in errore era Bohr pensando che fosse possibile, ma che sarebbe stato assur­ do. In verità, lo stato quantico di un gatto è un concetto piu sottile di quanto riuscissero a capire l'uno e l'altro. Forse, tut­ tavia, Bohr era piu vicino alla verità nella sua sensazione intui­ tiva che i gatti reali non hanno un comportamento quantistico, anche se - tipicamente - non sapeva fornire un argomento mol­ to convincente del perché dovesse essere cosi. In ogni caso, la probabilità non è scomparsa e il gatto di Schrodinger ha ancora una possibilità su due di essere vivo quan­ do la scatola viene aperta. Al di là di ciò, non si può dire altro. Questo, in definitiva, era ciò che affliggeva tanto Einstein - l'i­ dea che i risultati fisici sono davvero imprevedibili. Oggi i fisi­ ci che condividono la sua preoccupazione non possono scrollar­ si di dosso la sensazione che manchi qualcosa, che la meccanica quantistica sia necessariamente, come affermarono Einstein, Po­ dolsky e Rosen, incompleta. D 'altro canto, finora nessun espe­ rimento ha individuato qualche difetto nella meccanica quanti­ stica, e nessun teorico ha prodotto una teoria migliore.

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1 Citato in P. Frank, Einstein, Mach, e ilpositivismo logico, in P. A. Schilpp (a cura di), Al­ bert Einstein cit. Il testo tedesco della conferenza di Einstein, On the Method o/ Theoretical Physics (Clarendon Press, Oxford 1933), è pubblicato in A. Einstein, Mein Weltbild, Querido, Amsterdam 1934 [trad. it. Come io vedo il mondo, Newton Compton, Roma 1 975]. 2 Rosenfeld in S . Rozental (a cura di) , Niels Bohr: His Li/e cit . , p. r r 7 . ' A. Einstein, B . Podolsky e N. Rosen, Can Quantum-Mechanical Description o/ Physical Reality Be Considered Complete?, in « Physical Review », XLVII ( 1 935), p. 777 [trad. it . A. Ein­ stein, Opere scelte, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pp. 3 74-82]; l'articolo è stato pubblicato anche in S. Toulmin (a cura di) , Physical Reality : Philosophical Essays on Twentieth-Century Physics, Harper & Row, New York 1 970. • Rosenfeld in S . Rozental (a cura di), Niels Bohr: His Li/e ci t . , p. r 28. 1 P. A. Schilpp (a cura di), Albert Einstein cit . , p. 232 [trad. it. p. r 8 r ] . 6 Lettera d i Pauli a Heisenberg, 1 5 giugno 1 9 3 5 , W. Pauli, Wissenschaftlicher Briefwechsel cit . , vol. I . 7 E . U. Condon, citato i n « New York Times », 4 maggio I 9 3 5 · • Intervista a Bohr, AHQP. ' Rosenfeld in S. Rozental (a cura di) , Niels Bohr: His Li/e cit . , p. 1 29. 10 Questa osservazione di Bohr e le seguenti sono tratte dalla sua replica all'articolo EPR, in « Physical Review», XLVIII ( 1 935), p. 696. 11 P. A. Schilpp (a cura di) , Alhert Einstein cit . , p. 2 3 4 [trad. it. p. r 83]. 1 2 Replica di Bohr all'articolo EPR, in « Physical Review», XLVIII ( 1 935), p. 696 . " P. A. Schilpp (a cura di), Albert Einstein cit . , p. 6 7 4 [trad. i t . p. 6 r 9]. 14 Da una lettera di Schriidinger ad Einstein del 23 marzo 1 936, citata in W. Moore, Schrii­ dinger: Li/e cit . , p. 3 1 4 . 11 A. Petersen, The Philosophy of Nie/s Bohr, in « Bulletin of the Atomic Scientists », set­ tembre 1 963 , p. 8 . 16 Da una lettera di Heisenberg a Bohr del 2 7 luglio 1 93 1 , citata in D. C. Cassidy, Uncer­ tainty cit . , p. 290 [trad. it. p. 3 1 5] . 17 W. Heisenberg, Physics and Philosophy cit. " L'articolo in cui Beli presentò il suo famoso teorema, pubblicato originariamente nel 1 964, è il secondo in ]. S. Beli, Speakable and Unspeakable in Quantum Mechanics, Cambridge University Press, Cambridge 1987.

C apitolo diciassettesimo La terra di nessuno tra logica e fisica

La filosofia, osservò una volta Paul Dirac, « è solp un modo di parlare delle scoperte che sono già state fatte »'. E una frase che illustra chiaramente l'ostilità della maggior parte dei fisici, che non la prendono bene quando si sentono spiegare dai filo­ sofi che cosa significano le teorie, e ancor meno quando qual­ cuno osa suggerire come dovrebbero gestire la loro attività. Ep­ pure Heisenberg, in tarda età, çommentò che in fondo Bohr piu che un fisico era un filosofo2 • E difficile dire se fosse una criti­ ca o una semplice osservazione. Lo stesso Heisenberg, una vol­ ta superata la passione giovanile per le gite antologiche con i suoi fratelli del Pfadfinder, manifestò scarso interesse per i ten­ tativi di costruire una filosofia utile del mondo quantistico. Ma Bohr era un fisico particolare. Non portato a ragionare in termini matematici, procedeva su una ragnatela di concetti, principi ed enigmi che, per il fisico normale, sapevano di filo­ sofia. Nel discorso che pronunciò alla cerimonia di conferimen­ to del premio Nobel, Heisenberg rese omaggio al suo mentore dicendo apertamente che la meccanica quantistica era nata « dal tentativo di sviluppare il principio di corrispondenza di Bohr, perfezionandone le affermazioni, fino a ottenere un sistema ma­ tematico completo » . La corrispondenza - l'idea che la teoria quantistica debba combaciare gradualmente con la fisica classi­ ca - per Heisenberg era un' affermazione piu che altro filosofi­ ca che aveva bisogno di essere espressa in una forma quantita­ tiva, matematica, per poter produrre una teoria reale. Nello stes­ so modo, per quanto riguardava Heisenberg, l' altro principio importante di Bohr, il principio di complementarità - l'idea che

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il comportamento ondulatorio e il comportamento particellare siano contraddittori e tuttavia ugualmente necessari - era un concetto soprattutto filosofico, che qualche volta gettava luce su un problema fisico. Ma per Bohr, e questo era un suo tratto caratteristico, prima di tutto venivano i principi. La comple­ mentarità, in particolare, divenne la sua idea fissa e Bohr ini­ ziò a vederla dappertutto, in forme sempre piu grandiose. Tra i pionieri della meccanica quantistica in pratica solo Bohr era disposto, anzi ci teneva, a scrivere e parlare del significato piu ampio della probabilità e dell'incertezza e a immaginare co­ me questi cambiamenti del modo di pensare dei fisici avrebbe­ ro potuto finire per influenzare anche altre scienze (quando Ein­ stein scrisse e parlò in pubblico di questi vasti argomenti, fu na­ turalmente nella speranza di diminuirne la pericolosa influenza, non di rafforzarla) . Nel 1 9 3 2 , Bohr parlò di Luce e vita' in un convegno che si tenne a Copenaghen sul tema della terapia della luce per vari problemi medici. Qualche anno dopo, discusse di Biologia e fi­ sica atomica a un convegno commemorativo di Luigi Galvani, lo scienziato italiano che alla fine dell'Ottocento aveva condot­ to esperimenti sulle rane, facendone contrarre i muscoli con l' applicazione di un basso voltaggio elettrico. Nel 1 93 8 , parlò ad antropologi e a etnologi di Filosofia naturale e culture umane. Di solito in queste occasioni esordiva presentando le sue scuse per il fatto che lui, un semplice fisico, si permetteva di parlare di argomenti al di là della sua competenza professionale. Subi­ to dopo, comunque, si lanciava a capofitto nella discussione. Presentava la sua grandiosa idea, la complementarità, spiegan­ do brevemente come avesse risolto il conflitto tra la descrizione ondulatoria e quella particellare della luce. La fisica ora insegna­ va che generi diversi di osservazioni portano a quadri scientifici diversi e anche discordi e Bohr sottolineava al suo pubblico che questo principio era una lezione che tutti gli scienziati avrebbe­ ro dovuto considerare. Parlando della vita, ad esempio, diceva che un organismo si può considerare come una collezione di mo­ lecole collegate in modi intricati, che svolgono i loro compiti mec-

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canici in accordo con le leggi fondamentali della fisica, oppure come un insieme che adempie a una funzione e che è dotato di attributi che chiamiamo volontà e scopo. Sono punti di vista com­ plementari, diceva Bohr, non solo perché offrono prospettive di­ verse, ma perché sono impossibili da confermare contemporanea­ mente. Se si vuole interpretare la vita come un meccanismo in­ tricato, sosteneva Bohr, è necessario smontare un organismo molecola per molecola per vedere come funziona, ma cosf facen­ do si perdono di vista le qualità della vita che derivano dall'or­ ganismo nel suo insieme. Se, d'altro canto, si vuole studiare la vita dalla prospettiva organica, come un insieme, non si può spe­ rare di riuscire a capire il ruolo di ogni singola molecola. Da questa osservazione Bohr saltò alla spettacolare afferma­ zione che « il concetto di scopo, che è estraneo all'analisi mec­ canica, trova una certa applicazione in biologia »4• La comple­ mentarità, sostenne, significa che lo scopo può esistere come proprietà degli organismi nel loro insieme, pur non avendo al­ cun significato al livello della biochimica e dei processi moleco­ lari. Naturalmente, ciò rende impossibile qualsiasi domanda sul­ la possibile origine dello scopo, da un punto di vista scientifi­ co, e questa specie di scantonamento è proprio ciò che Einstein trovava tanto esasperante quando Bohr lo applicava agli inter­ rogativi sulla natura della realtà fisica. Nel settore della psicologia, Bohr trovò illuminante la com­ plementarità in relazione al fatto che siamo creature fatte di ra­ gione e di emozione . Possiamo analizzare con imparzialità e lo­ gica; allo stesso tempo, prendiamo decisioni in base a sensazio­ ni e a sentimenti che non sono spiegabili razionalmente . Lo stesso cervello fa entrambe le cose e Bohr, benché all'epoca non avesse un modello della funzione cerebrale da poter mettere in collegamento con le nostre capacità razionali ed emotive, evi­ dentemente credeva che la complementarità rendesse possibi­ le l'emergere della logica e della mancanza di logica dalla stes­ sa fonte. Se Bohr intendesse questi argomenti alla lettera o metafori­ camente è tutt' altro che chiaro e, se fosse stato costretto a spe-

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cificarlo, forse avrebbe risposto, sorridendo, che il significato e la metafora sono aspetti complementari del linguaggio, che vanno tenuti a mente entrambi in ogni momento. Secondo Ro­ senfeld, una volta Bohr disse: « ogni volta che si fa un' afferma­ zione precisa su una cosa qualsiasi, si sta tradendo la comple­ mentarità»'. Verrebbe da pensare che Bohr stesse facendo del­ l'ironia nei riguardi di sé stesso, ma ahimè non è plausibile. Via via che Bohr parlava in modo sempre piu enigmatico di argomenti di portata sempre piu ampia, la sua determinazione a non dire nulla di chiaro o conciso iniziò a sembrare quasi una fobia, un blocco psicologico. Gli altri fisici per lo piu scuoteva­ no la testa afflitti e sconcertati. Come tutti i grandi scienziati, Bohr si era guadagnato il diritto di essere un po' indulgente con sé stesso. Einstein, che pure ne aveva diritto, per lo meno cer­ cava di attenersi a questioni fisiche specifiche e di chiarire be­ ne le sue obiezioni, anche se erano in pochi a continuare a pren­ derlo sul serio . Bohr viveva in un mondo tutto suo . E pur es­ sendo indubbio che tutti i biologi, gli psicologi, gli antropologi che ascoltarono le conferenze di Bohr si sentirono onorati dal­ la presenza del fisico e favoriti dalle sue profonde osservazio­ ni, non ci sono molte prove di una grande influenza delle con­ cezioni di Bohr al di là del dominio della fisica. Che ai fisici piacesse o meno, i filosofi professionisti non po­ tevano certo fare a meno di notare le strane idee introdotte nel­ la fisica dai pionieri quantistici. L'incertezza entrò nella fisica in un periodo di notevole incertezza tra i filosofi, che si stava­ no dividendo in fazioni diverse con opinioni divergenti riguar­ do al senso dei loro studi. Anche nei confronti della meccanica quantistica in generale e del principio di Heisenberg in parti­ colare avevano atteggiamenti diversi a seconda della posizione ideologica personale. Pur essendo dalla parte dei perdenti nella battaglia sulla realtà degli atomi, il pensiero positivista sopravviveva e di fatto diven­ ne piu ambizioso nella corrente filosofica nota come positivismo

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logico, che si sviluppò negli anni Venti nel circolo di Vienna. I positivisti logici proposero di costruire una sorta di calcolo filo­ sofico per la scienza stessa. Partendo dai dati e dai fatti empiri­ ci, il loro sistema avrebbe mostrato come creare teorie rigoro­ samente fondate in grado di resistere all' analisi filosofica piu se­ vera. Se la scienza si fosse potuta rendere logicamente infallibile, la sua credibilità sarebbe stata indiscutibile. Ernst Mach e i vecchi positivisti erano convinti che le teo­ rie fossero solo sistemi di relazioni quantitative tra fenomeni misurabili; non indicarono la strada verso qualche verità segre­ ta relativa alla natura. I positivisti logici, in generale, condivi­ devano tale convinzione, però sostenevano che se la scienza non poteva aspirare al significato profondo, poteva almeno sperare di diventare attendibile. E ciò significava che il linguaggio del­ la scienza andava scritto in termini di logica pura, verificabile. Le opere dei positivisti di quest'epoca sono incredibilmente pie­ ni di formule della logica simbolica e di equazioni probabilisti­ che, destinate a convincere il lettore che in primo luogo esiste un calcolo per concludere che la teoria A è dell'x per cento piu attendibile della teoria B per quanto riguarda la sua capacità di spiegare i dati a disposizione e, in secondo luogo, che all' arrivo di un eventuale dato nuovo D basterà far girare gli ingranaggi della macchina per verificare se D conferma in maggior misura la teoria A o la teoria B . Com'è ovvio, non h a alcun rapporto con le attività effetti­ vamente svolte dai fisici, ma a quanto pare il punto non è que­ sto. Gli scienziati insistono a inventare teorie e a condurre espe­ rimenti nel loro modo casuale, intuitivo ed euristico, e i filoso­ fi insistono a comportarsi da arbitri. Ma il regolamento degli arbitri non si è dimostrato infallibile come avevano sperato i suoi autori. Cari Hempel, un membro del circolo di Vienna, im­ maginò una situazione difficile. Supponiamo che la nostra teo­ ria sia che tutti i corvi sono neri, disse Hempel. Trovare un cor­ vo di qualsiasi altro colore dimostrerebbe la falsità della teoria, com'è giusto, e trovare un corvo che in effetti è nero equivale a un certo livello di conferma. Ma a questo punto emerge una

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stranezza della logica. L' affermazione che tutti i corvi sono ne­ ri implica necessariamente che qualsiasi cosa che non sia nera non può essere un corvo. Quindi, ragionò Hempel, trovare un oggetto che non è nero e non è un corvo - un elefante bianco, una luna blu, un' aringa rossa - equivale a una minima confer­ ma della teoria dei corvi neri. Può darsi che sia logicamente ine­ vitabile, ma non somiglia neanche alla lontana alla scienza. Altrettanto seriamente, il progetto del positivismo logico, in un certo senso un'applicazione del pensiero deterministico del­ l'Ottocento, prese l'avvio proprio quando i fisici si stavano sba­ razzando del determinismo nel proprio settore. Il principio di in­ certezza arrivò quando l'obiettivo filosofico di ideare un meto­ do scientifico scritto a chiare lettere era alla fine dei suoi giorni. Alcuni filosofi, già convinti che la ricerca di un resoconto oggettivo della natura fosse un'illusione, interpretarono il prin­ cipio di Heisenberg come una prova del fatto che la scienza stes­ sa ora aveva confermato i loro sospetti. Non aveva piu senso, quindi, discutere del significato delle teorie scientifiche in fun­ zione della loro relazione con qualche presunto mondo di fatti. La cosa interessante era invece riflettere su come gli scienziati arrivano a un accordo sulle loro teorie, su quali convinzioni e pregiudizi li guidano, sul modo in cui la comunità scientifica co­ stringe sottilmente a rispettare l'opinione prevalente e cosi via. Questi studi si sono staccati dalla filosofia e oggi vanno sotto il nome di sociologia della scienza. Uno degli esempi di questo pensiero può essere la tesi di Paul Forman che l'incertezza emer­ se come risposta politica alle condizioni della Germania di Wei­ mar e non ebbe quasi alcun collegamento con tediosi problemi della fisica stessa. I filosofi piu tradizionali, d' altro canto, continuavano a es­ sere convinti che una descrizione razionale del mondo fisico non fosse un obiettivo tanto irragionevole . Per questi filosofi, il principio di incertezza fu davvero una brutta notizia. Karl Popper, ne La logica della scoperta scientifica, del 1 9 3 4 , diede con entusiasmo il colpo di grazia al vivo desiderio del positivi­ smo logico di poter dimostrare la verità delle teorie e introdus-

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se il concetto, che ora è un luogo comune, che è possibile sol­ tanto dimostrarne la falsità. Le teorie diventano via via piu cre­ dibili, sostenne, a ogni prova che superano, ma, indipendente­ mente da questi successi, possono sempre essere confutate da qualche nuovo esperimento; non possono mai guadagnarsi una garanzia di correttezza. La scienza costruisce un quadro della natura sempre piu completo, ma anche le piu preziose leggi del­ la scienza continuano a essere soggettè a revoca, se le prove do­ vessero richiederlo . Data l'importanza che attribuiva alla capacità di verificare le teorie, Popper fu obbligato ad affermare che gli esperimenti producono sempre risposte coerenti, oggettivamente attendibi­ li. Forse l'inattendibilità della teoria era inestirpabile, ma la scienza empirica doveva essere assolutamente affidabile . E a questo proposito fini nei guai con il principio di Heisenberg, secondo il quale la somma di tutti i test immaginabili di un cer­ to sistema quantistico non produce necessariamente un insie­ me di risultati coerenti. Affinché la sua analisi filosofica potes­ se funzionare, Popper era convinto di aver bisogno della vec­ chia idea di casualità - una certa azione produce sempre, in un modo totalmente prevedibile, un certo risultato. La risposta di Popper alla meccanica quantistica era semplice. Heisenberg è certamente in errore, disse . O meglio, questo è ciò che scrisse nell'edizione originale te­ desca de La logica della scoperta scientifica . Si scusò un poco per l'audacia di usare metodi filosofici per trattare una questione fisica, ma disse che poiché i fisici erano stati obbligati ad av­ venturarsi nel territorio della filosofia, aveva motivo di crede­ re che fosse possibile trovare una risposta « nella terra di nessu­ no che sta tra la filosofia e la logica»6• Popper fece la dubbia affermazione che la meccanica quan­ tistica poteva essere corretta anche se fosse stato possibile rea­ lizzare un esperimento per confutare il principio di incertezza e descrisse un tale esperimento, di sua invenzione. Questo ac­ cadde un anno prima della pubblicazione dell' articolo EPR . La traduzione inglese de La logica della scoperta scientifica fu pub-

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blicata solo nel 1 95 9 ; nelle appendici era riportata una lettera scritta nientemeno che da Einstein, che, pur condividendo il desiderio di eludere le sgradevoli implicazioni della meccanica quantistica, affermava che l'esperimento proposto da Popper non sarebbe servito allo scopo . Ciò nonostante, Popper aggiun­ se altre appendici in cui continuò a sostenere, per una gran va­ rietà di ragioni, che il principio di incertezza di Heisenberg non poteva affatto essere una regola ferrea come i fisici sembrava­ no credere. Uno dei pochi filosofi contemporanei che presero sul serio le concezioni dei fisici fu Moritz Schlick, che dopo aver conse­ guito un dottorato in fisica sotto la guida di Max Planck era sta­ to uno dei fondatori del circolo di Vienna. Schlick ebbe un'in­ tensa corrispondenza con Heisenberg per scoprire che cosa si­ gnificasse realmente il principio di incertezza e nel 1 93 1 scrisse un saggio illuminante, Causality in Contemporary Physics (''La causalità nella fisica contemporanea")', in cui sostenne che non tutto era perduto. Analizzando nei dettagli il concetto classico di causalità, concluse che si trattava non tanto di un principio logico preciso quanto di una direttiva o una convinzione che gli scienziati usavano come guida nel costruire le teorie. Il significato dell'incertezza, sostenne Schlick, è che distur­ ba solo in parte la capacità dello scienziato di formulare previ­ sioni. Nella meccanica quantistica, un evento può portare a una gran varietà di risultati distinguibili, ciascuno con una proba­ bilità calcolabile . Ciò nondimeno, la fisica consiste ancora di regole relative a sequenze di eventi - accade qualcosa, che pre­ para la scena per qualcos ' altro, poi, a seconda del risultato, en­ trano in gioco altre possibilità. Questo è uno scenario basato su connessioni causali, disse Schlick, a parte il fatto che la casua­ lità è diventata probabilistica. Il fatto che le cose possano av­ venire spontaneamente non significa che in ogni momento pos­ sa accadere qualsiasi cosa. Vi sono ancora regole. La descrizione di Schlick offre una sorta di compromesso fi­ losofico affine per significato allo spirito di Copenaghen pro­ mosso da Bohr. La forza dell' analisi di Schlick stava nel fatto

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che offriva un vago principio per capire come avrebbe potuto continuare a funzionare la fisica. Per la maggior parte dei filosofi, però, la vaghezza è inaccet­ tabile. Al giorno d'oggi, i filosofi che si avventurano a scrive­ re su questioni tecniche della meccanica quantistica in genera­ le sembrano voler far sparire l'interpretazione di Copenaghen, che è volutamente equivoca. Mostrano invece una notevole sim­ patia per un'interpretazione alternativa della meccanica quan­ tistica elaborata negli anni Cinquanta da David Bohm, secon­ do la quale il determinismo viene ristabilito per mezzo delle co­ siddette variabili nascoste8• Le variabili nascoste trasmettono altre informazioni sulle particelle quantistiche e, in esempi qua­ li l'esperimento mentale EPR , determinano in anticipo quale sarà il risultato delle misurazioni. Il problema è che le variabili na­ scoste rimangono, appunto, nascoste. Il sistema di Bohm cela volutamente il determinismo in modo tale che nessun esperi­ mento possa sconfiggere il principio di incertezza o comunque far ricavare l'informazione extra che consentirebbe a un osser­ vatore di venire a sapere piu di quanto permetta la meccanica quantistica standard. Certi filosofi dichiarano di trovarla mol­ to soddisfacente, anche se (come per Bohr e la complementa­ rità) hanno difficoltà a spiegare perché . Einstein, tra gli altri, non rimase favorevolmente colpito dalla natura artificiosa del­ la rielaborazione di Bohm della meccanica quantistica. « Mi sembra una soluzione troppo a buon mercato »9, scrisse a Max Born. Nel corso dei decenni, un gran numero di filosofi, storici e sociologi ha scritto diffusamente sulla meccanica quantistica, e in particolare sull'incertezza, tuttavia la stragrande maggioran­ za di queste opere manca il bersaglio . Gli storici e i sociologi per lo piu amano scrivere sulle origini cospirative dell'interpre­ tazione di Copenaghen, sul modo in cui Bohr e i suoi lacchè im­ posero un'idea incomprensibile a un pubblico scientifico in­ fluenzabile. Pochi filosofi, nel frattempo, hanno seguito l'esem­ pio di Schlick cercando di prendere per vera l'interpretazione di Copenaghen in modo da valutarne i meriti e le difficoltà.

La terra di nessuno tra logica e fisica

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Sembrano considerarla evidentemente assurda e si lanciano a cercare qualche alternativa. Nel frattempo i fisici, nella loro beata ignoranza, vanno avan­ ti usando e applicando la meccanica quantistica con risultati molto positivi. Alcuni, senza dubbio, continuano a percorrere la strada di Einstein e sostengono che una teoria della natura che in fondo è probabilistica non può essere l'ultima parola. Tuttavia questi scienziati di solito non cercano nuove interpre­ tazioni della versione standard della meccanica quantistica, ma vogliono modificare la teoria in modo da rimediare a quelle che ai loro occhi appaiono come mancanze e imperfezioni. I giudi­ zi filosofici non hanno un ruolo importante in questi tentativi, al di là della considerazione elementare che la fisica dovrebbe avere qualcosa del realismo dei vecchi tempi. Come accade dagli anni Venti del Novecento, per la grande maggioranza silenziosa dei fisici che nelle loro imprese applica­ no la meccanica quantistica le questioni interpretative e filoso­ fiche, molto semplicemente, non si presentano neanche . Alla fine dell'Ottocento, specie tra gli scienziati educati nella tradi­ zione tedesca, c'era la sensazione che di pari passo con il pro­ gredire della fisica teorica si sarebbe dovuta sviluppare anche una filosofia. Oggi, per lo piu, i fisici sono educati nello stile anglosassone, si tengono alla larga da Platone e da Kant e sono bellicosamente disinteressati al giudizio dei filosofi sulle loro teorie. 1 Intervista a Dirac, AHQP. ' Heisenberg in S. Rozental (a cura di) , Niels Bohr: His Li/e cit . , p. 95 · ' Questa conferenza e quelle citate in seguito sono tutte pubblicate in N. Bohr, Atomic Physics ci t . • Dalla conferenza intitolata Luce e vita. ' Intervista a Rosenfeld, AHQP. ' K. Popper, The Logic of Scientific Discovery, Basic Books, New York 1 958 [trad. it. La logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1 970]. 7 L'articolo di Schlick del 193 1 è pubblicato in S . Toulmin (a cura di) , Physical Reality : Philosophical Essays on Twentieth-Century Physics, Harper & Row, New York 1 970. 8 D . Bohm, in , LXXXV ( 1 95 2 ) , pp. 1 66, 1 80. Per una presentazione piu recente, si veda D. Bohm e B. J. Hiley, The Undivided Universe, Routledge, New York

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I 993 · Mara Beller sembra suggerire piu di una volta che giudica la versione di Bohm superio­ re all'interpretazione di Copenaghen (M. Beller, Quantum Dialogue cit.), mentre Sheldon Gold­ stein pone l'adesione all'interpretazione di Copenaghen sullo stesso piano dell'approvazione dell'irrazionalità e dell'antiscientismo: P. Gross, N. Levitt e M. Lewis (a cura di), The Flight /rom Science and Reason, New Y ork Academy of Sciences, New York I 996, p. I I 9 . Nel mio libro Where Does the Weirdness Go ? (Basic Books, New York I 996, pp. I I I - 2 1 ) , presento al­ cuni motivi per cui neanche la teoria di Bohm è poi tanto pregevole. ' Lettera di Einstein a Born, I 2 maggio I 95 2 , M. Born, H. Born e A. Einstein, Briefwe­ chsel ci t.

C apitolo diciottesimo Di nuovo anarchia

Se il misterioso principio di complementarità di Bohr non riusci a conquistare la fisica ed ebbe a stento qualche effetto al di là dei confini della scienza, il principio di Heisenberg, con la sua paradossale precisione, ha raggiunto un notevole livello di celebrità intellettuale . Nel caos seguito nel 2 0 0 3 al rovescia­ mento di Saddam Hussein, un estroso editorialista invocò Hei­ senberg per spiegare perché i reporter stavano fraintendendo la situazione reale . I giornalisti aggregati all'esercito, scrisse, com'era naturale facevano attenzione a tutti i problemi che os­ servavano intorno a loro - un carro armato in avaria, carenza di cibo e di carburante, antagonismo con i locali, mancanza di comunicazione con i militari - e da queste difficoltà immedia­ te deducevano che l'operazione nel suo complesso stava fallen­ do. Ma una versione del principio di incertezza, scrisse il com­ mentatore, sancisce che « maggiore è la precisione con cui i me­ dia misurano i singoli eventi in una guerra, piu confusa appare la guerra all'osservatore »1• Piu ci si concentra sui dettagli. , in al­ tre parole, meno si riesce a vedere il quadro generale (si avvici­ na di piu alla complementarità che all'incertezza, ma non im­ porta) . Ma abbiamo davvero bisogno di Heisenberg per capire che le cronache quotidiane, specie se arrivano da una zona di com­ battimenti, tendono a essere frammentarie, incomplete e incoe­ renti e che i temi piu ampi possono andare persi nei dettagli ? Esistono almeno due venerandi cliché che paiono applicarsi al­ trettanto bene a questo caso: uno sostiene che il giornalismo è il primo abbozzo di storia e l' altro che a volte se guardi gli al-

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beri non riesci a vedere il bosco. La meccanica quantistica non c'entra. Anche il decostruzionismo letterario ha fatto del principio di incertezza un feticcio e sostiene fermamente che un testo non ha un significato assoluto o intrinseco, ma lo acquisisce solo at­ traverso l'atto di essere letto - e quindi può assumere significa­ ti diversi a seconda del lettore . Proprio come nella meccanica quantistica i risultati vengono prodotti attraverso un'interazio­ ne fra l'osservatore e l'oggetto osservato, cosi anche il signifi­ cato di un testo letterario, ci invitano a credere i decostruzio­ nisti, emerge attraverso l'interazione tra lettore e testo (eviden­ temente questa equazione fa piazza pulita degli autori) . In un articolo comparso nel 1 976 sulla « New York Review of Books », Gore Vidal derise i teorici della letteratura che fan­ no ricorso a « formule e diagrammi; senza dubbio una conse­ guenza del fatto che insegnano in aule dotate di lavagne e ges­ si. Invidiosi dei teoremi mezzo cancellati - i prestigiosi segni dei fisici, gli insegnanti di inglese oggi fanno a gara a scrivere sulla lavagna teoremi e teorie di loro ideazione »2 • In particola­ re, raccontò di come i critici di un certo genere intellettuale ami­ no addurre il « celebre e culturalmente sconvolgepte principio » di Heisenberg a giustificazione dei loro assiomi. E come se i cri­ tici letterari avessero cercato tardivamente di realizzare una ver­ sione di ciò che i positivisti logici non erano riusciti a ottenere mezzo secolo prima. I positivisti volevano rendere scientifica la filosofia della scienza. I critici volevano trasformare l'attività presumibilmente estetica di giudicare la letteratura in un eser­ cizio formalmente analitico. L'espressione « culturalmente sconvolgente » usata da Vidal per il principio di incertezza provocò il commento di un letto­ re bene informato nel campo della fisica, che protestò sostenen­ do che l' affermazione di Heisenberg era un teorema scientifi­ co sulla realizzazione di certi tipi di misurazioni e che qualsia­ si applicazione al di là di quelle prescritte era assurda. Ma Vidal aveva ragione. Che ai fisici piaccia o meno, il principio di Hei­ senberg ha avuto un'enorme diffusione e ha provocato uno -

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sconvolgimento della cultura. Questo non ha nulla a che fare con la questione se l'incertezza della meccanica quantistica ab­ bia un vero significato in varie regioni remote degli studi intel­ lettuali. Piuttosto, è in relazione con il modo in cui il principio di Heisenberg è diventato una pietra di paragone, un distinti­ vo di autorità, per una certa classe di idee e di speculazioni. La serie televisiva The West Wing presenta una spettacolare ricostruzione dei discorsi scaltri e ingannatori e della velocità di pensiero degli agenti segreti che popolano i livelli piu alti del­ la scena politica di Washington. In un episodio, questi perso­ naggi immaginari vengono inseguiti da una troupe di cineope­ ratori ancora piu immaginari (metaimmaginari ?) che filma ma­ teriale per un documentario sulla vita alla C asa Bianca'. Lo si può definire un esercizio apprezzabilmente postmoderno: una troupe cinematografica reale che filma le attività di una finta troupe cinematografica, che registra le azioni di personaggi im­ maginari allo scopo di realizzare quello che, nel mondo della fic­ tion, è un vero documentario. A un certo punto della storia, il regista, che non si vede, sta aspettando insieme a Claudia Jean Cregg, la segretaria addetta ai rapporti tra la C asa Bianca e la stampa, il momento opportu­ no per intrufolarsi in una riunione di alto livello cui partecipa il presidente e il capo dell'Fbi. Il regista chiede alla Cregg se la giornata, fino a quel momento, sia stata come tutte le altre. - Si e no, - risponde la Cregg. - Perché ci siamo noi ? - Non devo certo ricordarle il principio di Heisenberg. - L'atto di osservare un fenomeno lo cambia ? - Si, - risponde la Cregg, e insieme si intrufolano in tutta fretta nella sala della riunione. Dall'inizio alla fine dell'episodio, i personaggi non fanno al­ tro che bisbigliare tra loro, allontanarsi furtivamente dalle ci­ neprese e consultarsi in qualche angolo tranquillo - tutto per �vitare l'influenza perturbatrice degli aspiranti documentaristi. E difficile ordire un intrigo politico quando si è osservati. Ma questo è facile da capire. Appena si piazza una cinepresa nel bel

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mezzo di una situazione privata tesa, le persone iniziano a com­ portarsi in modo strano. Chiunque abbia scattato fotografie a un matrimonio o abbia cercato di realizzare un filmino di una riunione di famiglia non se ne stupisce. Perché tirare in ballo Heisenberg ? L'elemento comune a questi èsempi è l'idea che la verità as­ soluta non esiste, che quel che vedi varia a seconda di quel che cerchi, che la storia non dipende solo da chi agisce e da chi par­ la, ma anche da chi ascolta o guarda. Vi è quanto meno una con­ nessione metaforica con le affermazioni di Heisenberg riguar­ do alla realizzazione delle misurazioni. In questo senso, se pro­ prio dobbiamo rimproverare qualcuno per la maledizione del relativismo che per supposizione affligge il pensiero moderno (nessuna descrizione è "privilegiata" , come amano dire i socio­ logi, rispetto alle altre; tutti i punti di vista sono altrettanto va­ lidi) , probabilmente dovremmo prendercela con Heisenberg piu che con Einstein. Infatti la relatività - ossia la teoria scientifi­ ca dello spazio-tempo - pur affermando che osservatori diver­ si vedranno gli eventi in modi diversi, offre una cornice di ri­ ferimento che permette di conciliare i diversi punti di vista in un resoconto coerente e oggettivo. La relatività non nega l'esi­ stenza di fatti assoluti; a negarla è il principio di incertezza. Va detto, però, che neanche nella fisica il principio di incer­ tezza è sempre pertinente. Il programma di complementarità di Bohr aveva proprio l'obiettivo di aiutare i fisici a trattare il fat­ to evidente che il mondo reale, il mondo delle osservazioni e dei fenomeni in cui viviamo, sembra piuttosto solido nonostan­ te il fatto che alla base di tutto sta la strana indeterminazione della meccanica quantistica. Se il principio di Heisenberg non entra tanto frequentemente nei ragionamenti del fisico medio, come può essere importante nel giornalismo, nella teoria della critica letteraria, o nelle sceneggiature per la televisione ? Sappiamo già che le persone sono imbarazzate di fronte a una cinepresa, che non raccontano la loro storia a un cronista nello stesso modo in cui la racconterebbero a un amico . Sappiamo che un antropologo che si inserisce in un villaggio di una cultura di-

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stante diventa il centro dell' attenzione e difficilmente vedrà le persone comportarsi come farebbero normalmente. Sappiamo che una poesia o un romanzo o un pezzo musicale non signifi­ ca la stessa cosa per tutti i lettori o gli ascoltatori. Invocare il nome di Heisenberg non rende piu facile capire queste idee poco originali, per la semplice ragione che sono idee facilissime da capire. Quel che ci affascina, evidentemente, è la parvenza di una connessione, di una comunanza di base, tra la scienza e altre forme di conoscenza. Torniamo, in questo modo indiretto, al sarcasmo di Lawrence nei confronti della relatività e della teoria quantistica - alla sua dichiarazione che le amava proprio perché sembravano smussare il bordo affilato della verità e dell'oggettività della scienza. Non è necessario essere intellet­ tualmente filistei come Lawrence per capire il fascino di questo aspetto. Forse il modo scientifico di pervenire alla conoscenza, dopo Heisenberg, non è minaccioso come sembrava un tempo. Fu il sogno classico della conoscenza scientifica perfetta, del determinismo rigoroso e della causalità assoluta, che provocò al­ larme una volta estrapolato al di là dei confini della scienza. L'i­ deale di Laplace della prevedibilità perfetta - la possibilità di prevedere completamente il futuro avendo la conoscenza per­ fetta del presente - trasformava gli esseri umani, cosi sembra­ va, in automi impotenti. Pensiamo a Marx e a Engels e al socia­ lismo scientifico, all'affermazione che la storia umana si svilup­ pa in base a leggi inesorabili. Pensiamo al movimento eugenetico e alle sue studiate dichiarazioni su come si potrebbero migliora­ re gli esseri umani con una selezione forzata anziché naturale. Può darsi che la ribellione di pensatori diversi quali Spengler e Lawrence contro il sogno tecnocratico non sia sempre stata ben ponderata, però derivava da un forte timore, per nulla irragio­ nevole, che la scienza si spingesse troppo in là. Ma, come si è visto, anche al suo apogeo il determinismo scientifico non fu mai un vincitore assoluto come sembrava. Il ragionamento statistico, introdotto nella fisica molto prima del­ la nascita di Heisenberg, rendeva irrealizzabile la prevedibilità perfetta. In merito a questo punto, Henry Adams, il nostro sa-

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gace osservatore, iniziò a preoccuparsi che il recentissimo pote­ re della scienza, che considerava tanto imponente quanto spa­ ventoso, potesse sbriciolarsi. « Si trovò », scrive Adams verso la fine de L 'educazione di Henry Adams, « in una terra dove nessu­ no era mai penetrato prima; dove l'ordine era un rapporto acci­ dentale, estraneo alla natura; una costruzione artificiale impo­ sta al moto; contro cui ogni libera energia dell'universo si ribel­ lava; e che, essendo puramente occasionale, finiva col risolversi di nuovo in anarchia »4• In questo conflitto intellettuale, l'emergere del principio di incertezza della meccanica quantistica, un paio di decenni do­ po il completamento delle memorie di Adams, offriva un pizzi­ co di rassicurazione a entrambe le parti . Poneva una lapide fu­ neraria sopra il rigido determinismo classico e allo stesso tem­ po insidiava la scienza in un modo che non aveva pesanti conseguenze . Suggeriva che la scienza, nonostante il suo scopo e tutto il suo meraviglioso potere, aveva dei limiti . La fredda razionalità, alla fin fine, non avrebbe soppiantato tutte le altre forme di conoscenza. E qui sta il fascino metaforico del principio di incertezza. Non rende scientifici il giornalismo, l'antropologia o la critica letteraria. Piuttosto, rivela che la conoscenza scientifica, al pa­ ri della nostra comprensione generale, informale, del mondo quotidiano in cui viviamo, può essere al contempo razionale e accidentale, piena di significato e contingente. La verità scien­ tifica è potente, ma non onnipotente. La paura dell'anarchia di Adams era esagerata. Pragmatica­ mente, i fisici continuano a fare fisica senza provare un grande disagio metafisica per la contaminazione della loro disciplina da parte della probabilità e dell'incertezza. Per lo piu, si tengono alla larga dagli interrogativi profondi sul significato della mec­ canica quantistica. Il concetto è stato espresso in modo effica­ ce da John Beli e dal suo collega Michael Nauenberg : « di soli­ to il fisico pensa che [queste questioni] siano state risolte tanto tempo fa e che capirà perfettamente come appena avrà venti minuti per occuparsene »5 •

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Bohr si raccomandava innanzitutto di non pensarci troppo . Sosteneva che è insensato domandarsi che aspetto abbia in realtà il mondo quantistico, poiché qualsiasi tentativo di que­ sto genere conduce inevitabilmente a cercare di descrivere il mondo quantistico in termini familiari, vale a dire classici, e co­ si non si ottiene altro che una riformulazione della domanda originaria. Esprimere le verità quantistiche nel linguaggio clas­ sico è necessariamente un tentativo già compromesso in parten­ za, ma, secondo Bohr, è il meglio che si possa fare. Non è necessario essere Einstein per giudicarlo non solo in­ soddisfacente, ma antitetico al vero spirito della scienza. Dove sta scritto che esistono domande che non si devono porre, ar­ gomenti che non si devono affrontare ? Di fatto, negli ultimi due secoli il progresso della scienza ha visto la sua inesorabile espansione in settori che in precedenza si consideravano interdetti ai filosofi naturali. Prima della se­ conda metà dell'Ottocento, le questioni legate all'origine del Sole e della Terra erano di competenza dei teologi. Ma poi gli scienziati, armati della loro nuova conoscenza dell'energia e del­ la termodinamica, si appropriarono rapidamente di questo ter­ ritorio . Oggi i fisici scrivono articoli difficili e carichi di conte­ nuti sull'origine dell'universo stesso. Occupandosi di questo evento cardinale, i fisici devono lottare allo stesso tempo con la gravità, la fisica delle particelle e la meccanica quantistica ­ anche se, finora, non hanno una teoria unificante che permet­ ta di affrontare le difficoltà che incontrano . La gravità, sotto la forma della relatività generale, rimane essenzialmente di forma classica, presupponendo gradualità, continuità e causalità nel­ lo spazio e nel tempo, fino a scale infinitamente piccole. La mec­ canica quantistica procede dalla discretezza e dalla discontinuità all'incertezza, e nel Big Bang queste due modalità di pensiero entrano in collisione . I fisici non hanno ancora una teoria quantistica della gravità che li guidi nei loro tentativi di ricostruire l'inizio dell'universo. Ciò nondimeno, sembra che l'inevitabile conclusione sia che la nascita dell'universo è stata un evento quantistico e quindi, in

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definitiva, la nostra stessa esistenza dipende dalla delicata que­ stione di come le elusive trasformazioni quantistiche possano ge­ nerare i fenomeni solidi e tangibili che possiamo osservare. Se la tesi di Bohr è che tali questioni non si potranno mai formulare in modo soddisfacente, né tanto meno risolvere, equi­ vale all' affermazione che indagare la nascita del cosmo è al di là della sfera della scienza. Questo, per i fisici di oggi, è sempli­ cemente inaccettabile. Le piu importanti riviste di fisica teorica sono piene di ten­ tativi di coniugare la meccanica quantistica e la gravità. Sono state proposte arcane teorie basate sulla supergravità, le super­ stringhe, dimensioni spaziotemporali extra e molto altro anco­ ra. Oggi non si parla altro che di teoria M e brane, terrificanti strutture matematiche che pochi capiscono, la cui esistenza non è del tutto garantita, e che in ogni caso devono ancora dimo­ strare di potere svolgere il compito richiesto. Per lo piu, questi tentativi si sono concentrati sull' aspetto microscopico del problema. In altre parole, i fisici vogliono ot­ tenere una teoria che descriva in modo quantistico l'interazio­ ne gravitazionale tra due particelle elementari. Ma la relatività generale non è solo una teoria della gravità. E anche una teoria dello spazio e del tempo e della causalità. Comprende la clau­ sola - per Einstein un principio fondamentale - che le influen­ ze gravitazionali, come tutti gli altri effetti fisici, non possono spo�tarsi a una velocità superiore a quella della luce. E per questo motivo che Einstein stabili che gli esperimen­ ti di tipo EPR costituivano una profonda indicazione del fatto che la meccanica quantistica non può essere corretta - poiché in tali situazioni sembra che qualche influenza elusiva, ma istan­ tanea, colleghi il comportamento quantistico di due particelle indipendentemente dalla distanza che le separa. Questo irritan­ te collegamento a lunga distanza, come molte altre stranezze della meccanica quantistica, si presenta a causa dell'inevitabi­ lità dell'incertezza. Poiché il risultato di una misurazione su una particella non può essere previsto completamente, sembra che la seconda particella debba rimanere collegata in qualche modo

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affinché le sue misurazioni rimangano coerenti con le osserva­ zioni della prima particella. Quindi l'incertezza sconvolge il vecchio ordine non solo al­ le scale piu piccole, come possiamo scoprire in relazione alle sin­ gole particelle elementari, ma anche alla scala cosmica, in fun­ zione di come si collegano causalità e probabilità alle grandi di­ stanze. Una vera teoria quantistica della gravità chiarirebbe ­ presumibilmente - il significato di tutte queste difficoltà. Ma non pare certo probabile, in questa fase della partita, che in una teoria quantistica della gravità l'incertezza possa s�om­ parire. Tutte le prove indicano che non se ne andrà mai. E im­ possibile tornare indietro ai vecchi tempi del determinismo as­ soluto, quando, come sperava il marchese de Laplace, la cono­ scenza del presente consentiva la conoscenza completa del passato e del futuro . Per quanto riguarda il cosmo, potrebbe essere una buona co­ sa. L'universo laplaciano non può avere un momento di nasci­ ta, poiché qualsiasi insieme di condizioni fisiche deve nascere, logicamente e inevitabilmente, da qualche situazione preceden­ te, e cosi via all'infinito. Non può accadere nulla che non ab­ bia una causa. Ma l'universo quantistico è diverso. Dai tempi in cui Marie Curie si meravigliava della spontaneità del decadimento radioat­ tivo, dai tempi in cui Rutherford domandava a Bohr che cosa fosse a far saltare un elettrone da una parte all' altra dell' atomo, è gradualmente cresciuta la consapevolezza che, in definitiva, gli eventi quantistici accadono senza una ragione . Siamo quindi a un punto morto . La fisica classica non sa di­ re perché è nato l'universo, poiché nulla può accadere a meno che qualche evento precedente non lo faccia accadere. La fisi­ ca quantistica non sa dire perché è nato l'universo e afferma soltanto che lo ha fatto, spontaneamente, piu per una questio­ ne di probabilità che di certezza. Einstein aveva ragione, in al­ tre parole, quando si lamentava che la meccanica quantistica poteva offrire solo un quadro incompleto del mondo fisico. Ma forse Bohr aveva ancora piu ragione a credere che questa in-

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completezza non fosse soltanto inevitabile, ma realmente ne­ cessaria. Arriviamo a un paradosso che sarebbe piaciuto a Bohr: è solo grazie a un inesplicabile atto iniziale di incertezza quan­ tistica che ha avuto origine il nostro universo, dando il via a una catena di eventi che hanno portato alla comparsa sulla sce­ na di noi che ci domandiamo quale impulso originario abbia por­ tato alla nostra esistenza. 1

Tony Blankley, « Washington Times », 3 aprile 2003. Si veda l'articolo di Gore Vidal pubblicato da , 1 5 lu­ glio 1 976 e gli interventi in replica sul numero del 1 8 ottobre 1 976. ' The West Wing, Stagione V, episodio 1 8 , "Accesso" . ' H . Adams, The Education of Henry Adams, Houghton Mifflin, Boston 1 96 1 , pp. 457-58 [trad. i t. L 'educazione di Henry Adams, Adelphi, Milano 1 964, p. 542]. ' Si veda l' articolo di Beli e Nauenberg pubblicato in J . S . Beli, Speakable cit . , p. 28, nota 8 . 2

Poscritto

Nel I 95 4 , l' anno prima di morire, Einstein ricevette una vi­ sita di Heisenberg, che si fermò a Princeton solo per qualche ora. Le condizioni del vecchio scienziato stavano chiaramente peggiorando . Aveva settantacinque anni e sapeva da qualche anno che un aneurisma addominale stava crescendo lentamen­ te dentro di lui. Un intervento chirurgico sarebbe stato rischio­ so e Einstein non vedeva ragione per cercare di ritardare l'ine­ vitabile . Era stato colpito da una forma acuta di anemia, ma si era ripreso . Quando arrivò Heisenberg, parlarono educatamen­ te di questioni di poco conto. Per nulla della guerra e non mol­ to della meccanica quantistica. « Non mi piace il suo tipo di fi­ sica », disse Einstein al visitatore, « c 'è coerenza, ma non mi piace »1• La guerra aveva reso ancora piu tesa una relazione già piut­ tosto fredda. Einstein, naturalmente, firmò la famosa lettera al presidente Roosevelt che delineava la possibilità di una bomba atomica, ma non partecipò né alla sua progettazione né alla sua costruzione. Bohr rimase a Copenaghen, occupata dai tedeschi, fino a quando poté e alla fine fu portato via in gran segreto, quasi con conseguenze fatali, dalla Royal Air Force . Anche se aveva scritto sulla fisica della fissione, Bohr ebbe solo un ruo­ lo indiretto nel progetto Manhattan. Heisenberg, nel frattempo, era rimasto in Germania. La sua disastrosa visita a Bohr nel I 9 4 I , che aveva interrotto quel che ancor restava dell' amicizia tra i due, è il perno di Copenaghen, l'intensa e melanconica pièce teatrale di Michael Frayn. Esi­ steva un progetto tedesco di qualche genere per utilizzare l'e-

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nergia nucleare; Heisenberg era coinvolto e cercò - forse di capire le opinioni di Bohr su alcuni aspetti della fisica per­ tinente . La moglie di Bohr disse che c'era sempre stata una certa fred­ dezza, un distacco, nelle relazioni di Heisenberg. Suo marito aveva avuto momenti difficili con Heisenberg, raccontò, ma « a parte questi momenti, era un uomo gradevole [ ] Era quel che si dice una persona educata. Voglio dire che era di buone ma­ niere e in quel senso era una persona gradevole. Ma c'erano dif­ ficoltà con Heisenberg »2 • Era sempre stato un uomo timido, ri­ servato e formale, che non manifestava mai grande simpatia agli altri. Dirac, neanche lui un tipo molto socievole, trovava che Bohr fosse una persona con cui era facile andare d' accordo, giu­ dicava assolutamente gradevole il bisbetico Pauli, ma si senti­ va un po' a disagio vicino a Heisenberg. Ciò che realizzò, o tentò di realizzare, il programma nuclea­ re tedesco del tempo di guerra non è mai stato chiarito del tut­ to . Il paese era privo di risorse, comprese le risorse intellettua­ li, poiché molti degli scienziati che si erano formati in Germa­ nia erano stati scacciati . Heisenberg, senza dubbio uno dei grandi innovatori e concettualizzatori nel campo della fisica teorica, non era l'uomo adatto per realizzare un progetto di ingegneria o fisica nucleare . A quanto pare, non riusci mai a capire bene come avrebbe funzionato una bomba e pensava che fosse necessaria una tonnellata di uranio . In seguito, que­ sta incapacità si trasformò, in maniera molto sgradevole, nel­ la storia che i tedeschi, ossia in particolare Heisenberg, erano stati respinti dalla ripugnanza morale di costruire armi atomi­ che, o che addirittura avevano deliberatamente indotto in er­ rore i loro superiori politici in merito alla fattibilità del pro­ getto . Heisenberg non lo affermò mai in modo preciso. E nean­ che lo negò mai. Dopo la guerra, molti fisici evitarono Heisenberg. Bohr cercò di essere quanto meno cordiale . Lentamente, Heisenberg riu­ sci a rientrare nella comunità scientifica, diventando infine di­ rettore dell'Istituto Max Planck di Monaco . Einstein a quel .

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punto era scomparso da tempo. Pauli mori all'improvviso nel 1 95 8 , Bohr nel 1 962 . Heisenberg mori a Monaco nel 1 976. 1 Intervista a Heisenberg, AHQP. Intervista a Margrethe Bohr, AHQP.

2

Ringraziamenti

Ho un grosso debito nei confronti dei molti autori che nel corso degli anni hanno scrupolosamente analizzato la storia della meccanica quantisti­ ca molto piu nei dettagli di quanto avrei potuto fare io; per redigere il mio resoconto mi sono basato in gran parte sulle loro opere. Desidero in parti­ colare manifestare il mio apprezzamento per i lavori di Abraham Pais e Da­ vid Cassidy. Naturalmente, né loro né altri vanno considerati responsabili di qualsiasi errore o stranezza nella mia versione della storia. Non avrei potuto raccogliere le informazioni necessarie per questo libro senza frequentare la Niels Bohr Library del Center for History of Physics, all'American Institute of Physics di College Park, nel Maryland. Ringrazio tutto il personale per la sua disponibilità. Sono anche grato per il facile ac­ cesso e la preziosa assistenza che mi sono stati offerti dalla Library of Con­ gress, dalle biblioteche dell'Università del Maryland e dell'Università George Mason e dalla Smithsonian's Dibner Library of the History of Science and Technology del National Museum of American History (e grazie a Mary Jo Lazun per avermi segnalato quest'ultima) . Con Abner Shimony dell'Università di Boston ho avuto una conversa­ zione piacevole e illuminante sull'articolo EPR. Ralph C ahn mi ha dato una mano con alcune traduzioni dal tedesco . La mia agente, Susan Rabiner, mi ha incoraggiato (potrei anche dire che mi ha spinto) a mettere piu a fuoco l'argomento di questo libro prima di ini­ ziare a scriverlo; senza il suo aiuto, come sempre, il progetto non avrebbe mai decollato. La sagacia editoriale di Charlie Conrad della Doubleday ha reso il libro piu snello, piu acuto e piu significativo di quanto sarebbe stato altrimenti. Molte grazie a entrambi. Per il sostegno morale, in particolare nelle prime, incerte fasi dell'elabo­ razione del progetto, ringrazio Peggy Dillon.

Riferimenti bibliografici

Della vasta letteratura sulla teoria quantistica e sulla sua storia ho letto solo una piccola parte e questo elenco comprende soltanto l'insieme ancora piu piccolo di testi che ho trovato particolarmente illuminanti. Adams, H . , The Education o/Henry Adams, Houghton Mifflin, Boston I 9 6 I [trad. it . L 'educazione di Henry Adams, Adelphi, Milano I 964] . Beli, J . S . , Speakable and Unspeakable in Quantum Mechanics, Cambridge University Press, Cambridge (UK) I 98 7 . Beller, M . , Quantum Dialogue : The Making o/ a Revolution, University of Chicago Press, Chicago I 999· Bohr, N., Atomic Physics and Human Knowledge, Science Editions, New York I 9 6 1 [trad. it. Teoria dell'atomo e conoscenza umana , Boringhieri, Torino 1 96 1 ] ; comprende " Discussion with Einstein on Epistemologica! Problems in Atomic Physics" , da P. A. Schilpp (a cura di) , Albert Ein­ stein: Philosopher-Scientist, Library of Living Philosophers, Evanston (111.) I 949 [trad. it . Autobiografia scientifica, Bollati Boringhieri, Torino 1 986] .

- Collected Works, a cura di L. Rosenfeld, I I voli. , North-Holland, Amster­ dam I 97 2 - 8 7 . Born, M . , My Life andMy Views, Charles Scribner' s Sons, New York I 968.

- My Li/e : Recollections o/ a Nobel Laureate, Charles Scribner's Sons, New York 1 978 [trad. it. Autobiografia di unfisico, Editori Riuniti, Roma I 98 1 , 2005]. Born, M., Born, H. e Einstein, A., Brie/wechsel, 1916-1 955 . Kommentiert von Max Born, Nymphenburger, Miinchen I 969 [trad. ingl. The Corre­

spondence Between Albert Einstein and Max and Hedwig Born, 1916-1955, with Commentaries by Max Born, Walker, New York I 97 1 ; trad . it. Scien­ za e vita . Lettere 1916-1955, Einaudi, Torino 1 97 3 ] . Cassidy, D . C . , Answer to the Question : When Did the Indeterminacy Princi­ ple Become the Uncertainty Principle?, in « American Journal of Physics », LXVI ( I 998), p . 2 7 8 .

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