Il tramonto della realtà. Come i media stanno trasformando le nostre vite 9788843093403

Se ci guardiamo intorno, in qualsiasi città del mondo, ovunque vediamo persone con la testa bassa rivolta allo schermo d

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Italian Pages 123 [112] Year 2018

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Il tramonto della realtà. Come i media stanno trasformando le nostre vite
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Vanni Codeluppi

Il tram.onta della realtà Come i media stanno trasfarmando le nostre vite

Carocci editore @ Sfere extra

ristampa, dicembre 2020 edizione, settembre 2018 ~ copyright 2018 by Carocci editore S.p.A., Roma

2' 1'

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel dicembre 2020 da Grafiche VD, Città di Castello (PG)

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/ caroccieditore www.twitter.com/ caroccieditore

Indice

Prologo

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I.

I media e il "tramonto della realtà"

13

2.

Entrare nello spettacolo

21

3.

Dai marziani di Orson Welles alla postverità

29

4.

Transtelevisione: lo spettatore va in scena

41

5.

Lo schermo e il tatto: fusione con i media

49

6.

Verso media biologici

ss

Vedersi nello schermo: fotografie liquide e selfie

61

Dominare lo spazio: il mito della realtà aumentata

69

Il tempo sospeso dei media

75

\"àso l'oblio digitale

81

~-

--

5

II.

Vita da socia!

87

12.

Un capitale sociale virtuale

93

13.

Il potere della pubblicità sui media

97

14.

I media-zombi: fusione con il soprannaturale

103

Epilogo

109

Opere di riferimento

115

Prologo La retina e lo schermo finiranno per fondersi. Lev Manovich

Basta guardarsi attorno in un qualunque luogo pubblico di una qualsiasi città del mondo: troveremo gli adolescenti con la testa china e impegnati a fissare il piccolo schermo di uno smartphone. Visto che i giovanissimi, come si suole dire, rappresentano la società del domani, è lecito supporre che stiamo progressi,·amente andando verso un futuro in cui non sarà possibile rinunciare a un contatto pressoché costante con gli strumenti di comunicazione e con i messaggi ~he tali strumenti propongono. Eppure, a tutt'oggi, ia gran parte della società sembra essere poco con~pevole del ruolo sempre più centrale rivestito dai :-:iedia, probabilmente a causa della notevole capacità ~i questi di entrare in sintonia con il corpo umano, ~..mzionando come protesi, cioè come strumenti tec:-:ologici o artificiali in grado di estendere le facoltà ~nsoriali. I media, infatti, sono sempre stati utilizzati ~~li esseri umani per interagire con l'ambiente e, in ~~anco tali, essi hanno prodotto effetti sugli stessi ~:-:si del corpo, determinando, di conseguenza, una =--~tormazione delle modalità adoperate dagli indi-. ~~ui per percepire e pensare la realtà culturale e so7

ciale che li ci~conda. Pertanto, la principale funzione svolta dai media nella società dev, essere considerata non quella che concerne la trasmissione delle informazioni, dei suoni e delle immagini, ma qudla che tende a modificare il modo di sentire, il gusto personale ecc. Vale a dire che appare ancora più evidente quello che già Marshall McLuhan sosteneva negli anni Sessanta all'interno del celebre volume Gli strumenti del comunicare, e cioè che ogni medium esercita nella società degli effetti che derivano principalmente dal suo specifico funzionamento e sono scarsamente dipendenti dai contenuti dei messaggi che esso di volta in volta veicola. Effetti legati soprattutto al fatto che i media, proprio perché sono protesi che estendono e trasferiscono all'esterno funzioni svolte da organi di senso del corpo umano, sottraggono tali funzioni al corpo umano stesso, che viene dunque in qualche . " ,, misura amputato . Ciò vale per i media in generale, ma vale in particolare per i mezzi di comunicazione elettronici. Non è un caso che lo stesso McLuhan considerasse la televisione come un mezzo di comunicazione particolarmente potente e, tuttavia, essendo scomparso nel 1980, egli non ha potuto assistere al manifestarsi di quell'intenso processo di crescita che ha riguardato i media negli ultimi decenni, in seguito alle importanti innovazioni realizzate nell'ambito delle tecnologie elettroniche. Tali innovazioni hanno portato allo sviluppo e all'utilizzo di strumenti che non sono semplicemente dei media, ovvero dei "mediatori" tra gli 8

esseri umani e la realtà sociale, ma tendono piuttosto ad assumere un ruolo chiave nella società. Quindi, se ai tempi di McLuhan si poteva già sostenere che i media modificano il modo di pensare e di vivere la realtà delle persone, a maggior ragione lo si può dire oggi. Ciò del resto è stato ampiamente dimostrato da parte di numerose ricerche empiriche condotte negli ultimi decenni in tutto il mondo, le quali hanno evidenziato come i media producano degli effetti reali sulle persone e sulla società e come a volte tali effetti possano anche essere estremamente potenti. Tra gli effetti più significativi c'è quello che possiamo chiamare "tramonto della realtà". I media contemporanei, infatti, devono gran parte del loro successo alla capacità di confezionare un mondo più piacevole e convincente di quello vero. Un mondo, ~ioè, privo di difetti e problemi. E se il mondo che ~ttrae le persone è quello sugli schermi, la necessità ~i vivere direttamente le proprie esperienze tende a ,omparire. Così, nel tempo, la realtà fisica viene so~~iruita da quella artificiale prodotta dai media. La _:: 5tanza tra gli esseri umani e i media si annulla. E gli ~:-.2iYidui in carne e ossa vengono progressivamente :-_:::piazzati da simulacri che li. rappresentano all' in:=~o dell'esperienza mediatica. Ci troviamo, dunque, in misura sempre maggiore, ~ :ronte al moltiplicarsi del numero di persone che --. ~~~ontentano di ciò che compare sullo schermo, o ;è:- ~:1é hanno paura di realizzare esperienze reali o :è:non vogliono correre il rischio di rimanere de-

~r:é

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lusi dalla realtà, lontana da quel mondo perfetto che incontrano attraverso i media. Perfetto in quanto si presenta come privo d'inconvenienti e promette di farsi totalmente controllare. In realtà, questa è un' illusione, perché chi controlla effettivamente i media non sta da questa parte dello schermo, ma dall'altra. E, soprattutto, la vera realtà sociale rimane ancora là fuori, con i suoi momenti spesso drammatici e la sua imprevedibilità. Alla fine degli anni Novanta, il politologo Giovanni Sartori ha sostenuto, nel volume Homo videns, che la televisione stava radicalmente modificando l'apparato cognitivo del tradizionale homo sapiens. Questi infatti, a suo avviso, andava sempre più abbandonando il linguaggio scritto e la capacità di tale linguaggio di consentire la comprensione della realtà. Sartori ha, cioè, affermato che la forza delle immagini televisive «porta a un vedere senza capire» (p. xv). Oggi siamo andati addirittura oltre, poiché la crescente diffusione delle tecnologie digitali ha intensificato le possibilità comunicative dei media, i quali non si limitano più a sollecitare la sola vista, ma inviano una quantità via via superiore di stimoli a tutti i sensi del corpo. Si sta pertanto sviluppando un rapporto fisico molto stretto tra le interfacce mediatiche, come lo smartphone o il tablet, e le nostre mani. Più in generale, quello che accade è che il sistema mediatico tende man mano a fondersi con i corpi degli esseri umani, dando origine, come vedremo in seguito, a veri e propri "media biologici': e diventando pane IO

integrante della nostra vita quotidiana e del nostro mondo emozionale. Oggi diversi studiosi parlano di "postmedialità", ossia di scomparsa dei media così come li conoscevamo. Ma è vero semmai il contrario: siamo più che mai costretti ad avere a che fare con diversi strumenti di comunicazione. I media tradizionali continuano a svolgere un ruolo fondamentale nella società e a essi si sono affiancati anche i nuovi media digitali, i quali sono in grado di esercitare un'influenza ancora maggiore, perché si presentano attraverso l'apparente oggettività dei loro motori di ricerca e dei loro programmi informatici. Le persone, infatti, si fidano ?atesse avere un buon successo. I sedici testi letterari .:he aveva messo precedentemente in scena non ave...-ano ottenuto grandi risultati e Welles puntava molto hl questo per risollevare gli ascolti. Si spiega così ?èrché nei giorni precedenti la messa in onda fosse ~a.nicolarmente ansioso. Aveva infatti paura di dover ;._,dare incontro a un altro insuccesso. Dopo ciò che ~ accaduto la sera del 30 ottobre 1938, ha dichiarato ;:u volte ai giornalisti che non si aspettava una simile ~ione da parte del pubblico, ma si trattava pro='""'°ilmente di una tattica che ha consapevolmente .:ottato per "sgonfiare" il caso ed evitare di subire :.~:ie conseguenze di tipo legale. Lo conferma indi~ente una testimonianza dello sceneggiatore ~:..:h, il quale durante la fase di riscrittura di Wells •_ =:--a reso conto che il testo era difficile da tradurre :e:- i· ascolto radiofonico e aveva chiesto a Welles il :è:::iesso di sostituirlo con un altro. Questi però gli z- :...-a fatto sapere, tramite il suo coproduttore, John _-:,:,·..:...~man, che ciò non era possibile perché consi:c·:-~.-a La guerra dei mondi il testo più importante .:~ :..,tera sene. ?-!:- comprendere appieno l'effetto sulla società :-:~,J:to dalla trasmissione mandata in onda dalla ! ~. ~ necessario considerare anche l'importante ,. _~~ ~i \\'dles di adattare il testo letterario al mezzo ~J:1ico utilizzando il particolare linguaggio che -·--c::~_ :.zza i notiziari giornalistici, lo stesso che userà 1

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nel 1941, all'interno del suo primo film, Quarto potere, per raccontare la vita del magnate dei media, Charles Poster Kane. Welles ha scelto di immergere il testo di Wells all'interno di una copia quasi perfetta di un' edizione straordinaria di un giornale radio dell'epoca. È soprattutto questa intuizione che ha reso possibile, per la prima volta nella storia dei media, che un'opera di finzione narrativa mentisse esplicitamente ai suoi spettatori. Dunque, Welles ha mostrato con estrema chiarezza come con i media sia possibile portare avanti un inganno; sino a quel momento, infatti, per quanto le truffe e le menzogne fossero, com'è ovvio, ampiamente diffuse nella società, esse venivano raramente associate ai media. Fino a quella sera del 1938, il confine tra realtà e finzione nei media era molto chiaro, mentre Welles mescolava adesso il linguaggio dell'informazione e quello della narrazione. Con il passare del tempo, il livello di alfabetizzazione, anche rispetto alle modalità di funzionamento dei media, è cresciuto, e le persone hanno imparato a individuare il confine esistente tra realtà e fiction. Da parte sua, pure il sistema dei media ha fatto notevoli passi in avanti, da questo punto di vista: sono comparsi nuovi strumenti di comunicazione e le tecniche di manipolazione dei contenuti mediatici sono diventate più sofisticate e complesse. Di conseguenza, è ancor~ difficile per gli spettatori riuscire a riconoscere il confine esistente tra la realtà e la rappresentazione che ne viene fornita da parte dei media. Non a caso, quanàc il 30 ottobre 1994 la CBS, diventata nel frattemp,: 32

:.m'importante rete televisiva, ha pensato di celebrare ~·anniversario del suo celebre programma radiofonico :nandando in onda una fiction che raccontava di un' in~,-asione della California da parte degli alieni, decine di ::1igliaia di persone hanno telefonato alla sua sede cen::-ale assai allarmate e molte sono salite su.li' automobile :~n la propria famiglia per fuggire il più lontano possi:'~e. E tutto ciò nonostante la comparsa sugli schermi :ievisivi, a intervalli regolari, della scritta « Nulla di 2•0 che vedete sta realmente accadendo» e la presenza, .:.:·:ne per ogni programma, delle interruzioni determi-.zè dai messaggi pubblicitari. \-a certo rimarcato che la CBS ha realizzato questa ·: ~:a un programma televisivo e che il suo effetto :-,:-:tYa beneficiare della imponente forza espressiva :-,:-;.~dura dalle immagini, dato che la televisione è _:_-_ :-:-iedium fondamentalmente visivo. Ciò è risul~ ~- evidente già nei primi anni della diffusione di ~~ ::1ezzo. A tale proposito, Umberto Eco e Aldo ~~~~hanno effettuato nel 1969 un importante espe- -~-~=---::o: il primo ha scritto una sceneggiatura che il ~.: : :-:io ha utilizzato per ricavarne il programma tele_-. -. :- Fi.zmme a Vaduz, che raccontava, mediante un -~: ~=~ linguaggio giornalistico, una serie di violenti ~~ :.- ::-: a\"-venuti a Vaduz, capitale del Liechtenstein, =--~ -. : -~esi e gli anabattisti. Tale programma è stato :- ~:-~ntato in tre diverse versioni a tre gruppi di -~-~ :·-:-: di differente livello culturale. Il risultato _ < ~:-endente dell'esperimento è stato che, come _ '--=- ::: Eco in Dalla periferia dell'impero, «la stra33

grande maggioranza dei soggetti (compresi alcuni che avevano già visitato il Liechtenstein) non ha messo in dubbio la veridicità del racconto» (p. 286). Dunque, l'esperimento condotto da Eco e Grasso ha mostrato come la televisione, se viene utilizzata sfruttando al meglio il suo linguaggio visivo, sia in grado di essere molto convincente, anche se riporta qualcosa che in realtà non è mai avvenuto. Ciò è reso possibile dal fatto che, nel linguaggio televisivo, l'immagine prevale sulle parole, le quali si limitano solitamente a svolgere una funzione di rapido commento. Siamo, pertanto, di fronte a una forma di comunicazione basata su un flusso d'immagini veloci, dai ritmi intensi, e su una continua variazione dei soggetti presentati. Le immagini tendono perciò a sostituirsi alle spiegazioni e ai concetti astratti, generando così un indebolimento della capacità degli spettatori di produrre ragionamenti razionali, che richiedono necessariamente tempo. Questa la tesi che è stata sostenuta in Homo videns da Giovanni Sartori, per il quale nella televisione « il linguaggio concettuale (astratto) è sostituito da un linguaggio percettivo (concreto) che è infinitamente più povero: più povero non soltanto di parole (nel numero di parole) ma soprattutto di ricchezza di significato, di capacità connotativa» (p. 23). A causa della lunga esposizione alle immagini televisive, gli spettatori perdono dunque progressivamente la loro capacità di distinguere tra quello che è vero e quello che è falso. Ciò non significa che la televisione tenda a mentire più degli strumenti di co34

::mnicazione che l'hanno preceduta, ma da essi si dif~erenzia perché è estremamente complicato smentirla. ~e immagini che presenta s'impongono, di fatto, con ~a verità della loro evidenza. Va inoltre considerato che, come accade per tutti i :nedia, nella televisione sono presenti anche pratiche di vera e propria manipolazione dei significati. Ciò che arriva allo spettatore è un insieme complesso di suoni e immagini che qualcuno ha realizzato secondo le sue particolari intenzioni comunicative. D'altronde, il linguaggio televisivo si pone da sempre innanzitutto l' obiettivo di colpire emozionalmente lo spettatore. A tale scopo, la televisione sfrutta intensamente la drammatizzazione: presenta dei fatti drammatici e li racconta evidenziandone l'elemento personale e doloroso che è in grado di coinvolgere e commuovere lo spettatore. Oggigiorno, la televisione è affiancata in questo ruolo anche dai media digitali, la cui intensa diffusione, a partire dagli anni Settanta, ha comportato lo sviluppo di un processo di digitalizzazione della società. Dato che le informazioni digitali possono essere prodotte, compresse, conservate, replicate e trasmesse con una notevole facilità e a costi estremamente contenuti, sono cresciute in maniera esponenziale sia la loro quantità sia la velocità con la quale è necessario sostituirle. Ne è però derivato un calo della qualità delle informazioni che si producono e si diffondono. Nel contempo, si sono moltiplicati i soggetti che rispondono alla necessità dei media di disporre di sempre nuovi contenuti, offrendo loro informazioni 35

rapide, attuali e già confezionate. Sono i professionisti delle relazioni pubbliche e gli addetti stampa - che ovviamente sfruttano a proprio yantaggio la confusa situazione che si è determinata, proponendo ai media un'informazione esplicitamente di parte, in quanto influenzata dagli int~ressi dei loro clienti -, a cui vanno aggiunte pure molte altre persone che hanno imparato a produrre informazioni dotate di un certo carattere professionale. La sempre più ampia disponibilità di programmi informatici di facile utilizzo ha infatti democratizzato la possibilità di modificare e rielaborare immagini e informazioni. È molto diffusa, ormai, la figura dell"'amatore': in grado di realizzare contenuti mediatici dotati di un livello qualitativo molto vicino a quello professionale. Da tutto ciò, ne è scaturita anche una conseguenza imprevista, ossia un aumento esponenziale delle truffe perpetrate: un gran numero di persone ha iniziato a manipolare le rappresentazioni della realtà, giacché non è più necessario avere grandi risorse per poter elaborare efficacemente i contenuti dei messaggi trasmessi dai media. In sostanza, grazie alla disponibilità dei nuovi strumenti digitali, chiunque può produrre con facilità notizie false e diffonderle in maniera estremamente veloce attraverso i social media. Non a caso oggi si parla spesso di "postverità~. soprattutto dopo l'incisivo ruolo che molti falsi messaggi hanno esercitato nel 2016 nel condizionare l'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. La campagna per le presidenziali americane ha reso.

.:iiatti, particolarmente evidente come i socia! media, :Jali Facebook e Twitter, consentano di costruire e _::yulgare agevolmente notizie fasulle. L'americano Paul Horner, ad esempio, ha fatto cre.:.ère a milioni di suoi concittadini che Obama stesse .:-~-rruendo con i suoi soldi un museo per i musulmani : ..:ne Trump volesse invece schedare tutti i seguaci di -'•liometto, obbligandoli a indossare un'apposita me-: ~lia di riconoscimento. Nessuna sorpresa, allora, , :ma sera di fine 2016 il giovane Edgar Maddison -X-~ich, armato di un fucile da guerra e di una pistola ~~ro 38, è andato dal North Carolina a Washington, :c.-è è entrato nella pizzeria Cornee Ping Pong e ha ter-~ :--..z:zato i presenti per 45 minuti. D'altronde, come .::L 62% di americani che, secondo uno studio del :~- Research Center, s'informa principalmente sui . ~\~ media, Welch credeva semplicemente a quello -~~ .i,·eva letto online e cioè che quel locale fosse la ..c..:-= 2i una rete internazionale di pedofilia riconduci:-·•_c i.l'avversaria di Trump: Hillary Clinton. : ~ial media, a causa della loro natura economica -- ~ ~:a sulla necessità di avere flussi di comunica~e circolano rapidamente e senza incontrare ,~~ ~:i. sono probabilmente molto adatti a diffon~~ ...i poscverità. Infatti, più attirano l'attenzione, ~ _ -_.~ono a generare traffico e quindi profitti. Quel _- ~ .: ~ :::a non è, dunque, tanto la verità, quanto la ca~~=~ ~: .. monetizzare" la quantità di click prodotta ~- --=~~ti. ~[a il problema delle "bufale" è da sempre . ---=~: ·:rmente connesso con il mondo dei media -

,:- 1-~

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digitali. Umberto Eco, nel suo Trattato di semiotica generale, sosteneva, d'altro canto, che in genere la comunicazione dev'essere considerata una forma di menzogna, perché, « Se qualcosa non può essere usato per mentire, allora non può neppure essere usato per dire la verità: di fatto non può essere usato per dire nulla» (p. 17). Ne deriva che tutti i media devono essere visti come strumenti particolarmente efficaci a esercitare l'arte della menzogna. D'altronde, persino all'interno del tradizionalmente rigoroso ambito scientifico è stata registrata negli ultimi decenni un'enorme crescita del numero delle truffe. I risultati di uno studio dello statunitense Office of Research lntegrity mostrano che nel 1990 i casi di manipolazione delle immagini utilizzate nelle ricerche scientifiche erano solamente il 3% del totale, mentre nel 2008 erano arrivati a sfiorare il 70%. Ciò è particolarmente grave se si considera che, nell'ambiente digitale contemporaneo, un' informazione distorta o menzognera, una volta prodotta (anche da parte di un singolo individuo), può diffondersi attraverso modalità assai veloci, giungere facilmente a enormi quantità di persone e condizionarne i comport~menti. E se anche non ne venissero direttamente influenzate, esse vedrebbero, comunque, progressivamente ridursi le proprie capacità di distinguere notizie provenienti da autorità attendibili da quelle del tutto inattendibili. Se consideriamo, poi, che il numero d' informazioni disponibili aumenta ogni giorno, ne consegue che le persone tendono in

maniera crescente a perdersi all'interno di un'ampia massa di dati, che appaiono loro come sempre più indifferenziati e confusi. Si pensi, ad esempio, che una ricerca condotta nel 2016 dallo Stanford History Education Group dell'Università di Stanford ha evidenziato come più dell'8o% dei giovanissimi non sia in grado di distinguere la pubblicità redazionale presente nel web dai contenuti giornalistici. Si conferma dunque, ancora una volta, la genialità dell'intuizione di Orson Welles, il quale, una sera di tanti anni fa, ha mostrato come sia possibile utilizzare un semplice programma radiofonico per evidenziare la capacità dei media di sfruttare sino in fondo le difficoltà che gli esseri umani incontrano nel valutare l' autenticità dei messaggi che ricevono. Ossia, la capacità dei media di mentire e di dar vita a vere e proprie beffe.

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Transtelevisione: lo spettatore va in scena La televisione si è diffusa in Italia a partire dalla metà degli anni Cinquanta e continua a rivestire un posto centrale nelle abitudini quotidiane: è ancora in grado, cioè, di presentarsi come un importante strumento che detta agli attori sociali i ritmi e le tematiche primarie della vita collettiva. La retorica sui new media sviluppatasi in questi ultimi anni ha in parte oscurato il suo fondamentale ruolo sociale, ma va considerato che i vecchi media come la televisione non sono scomparsi. Di fronte al sopraggiungere di tecnologie di comunicazione innovative, hanno semplicemente modificato la loro natura e inglobato parte di tali tecnologie all'interno dei loro contenuti e delle loro ca. ' comun1cat1ve. . . pac1ta Certo, negli ultimi anni la sua egemonia si è affievolita e la televisione non ha più quella posizione di tipo monopolistico che deteneva in precedenza. Ciò è dovuto in particolare all'avvento e al graduale imporsi di Internet. Non c'è però ragione di supporre che nei prossimi anni la televisione verrà completamente sostituita dal web, pur non potendo raggiungere· i suoi elevati livelli d'interattività e di partecipazione. Poiché offrono qualcosa di differente, televisione e Internet possono, difatti, agevolmente convivere. 41

Il mezzo televisivo ha comunque dovuto modificare la sua natura, adattandosi in misura crescente all'emergente contesto mediatico: ha assunto, ad esempio, caratteristiche inedite in conseguenza di fenomeni quali la nascita dei nuovi canali digitali e il diffondersi del nuovo modello produttivo basato sul format, vale a dire l'acquisto da parte delle reti televisive di programmi realizzati da società specializzate esterne; e di conseguenza ha variato anche i propri contenuti. D'altronde, già negli anni Ottanta, come ha osservato Umberto Eco, in un capitolo del suo libro Sette anni di desiderio, la televisione era passata dal modello comunicativo della «Paleotelevisione» a quello della «Neotelevisione». Il primo è quello fortemente pedagogico e tipico delle origini, nel quale lo spettatore svolge un ruolo sostanzialmente passivo: si siede davanti allo schermo e accetta di vedere tutto quello che viene trasmesso. Pertanto, lo spettatore rimane all'esterno del mondo nello schermo, ed è ammesso a farvi parte solamente quando dimostra di possedere competenze o qualità eccezionali, come nel caso dei concorrenti dei programmi a quiz di Mike Bongiorno. Successivamente, l'affermarsi negli anni Ottanta dell'universo delle televisioni commerciali, ha fatto emergere il modello della Neotelevisione, il quale ha risposto prima di tutto alla necessità di soddisfare i bisogni d'evasione dello spettatore. Si sono così moltiplicati i programmi di varietà e le fiction. In particolare, ciò che caratterizzava la Neotelevisione era il nuovo ruolo assunto dallo spettatore, sempre più 42

coinvolto all'interno dei programmi televisivi. Naturalmente, questi rimaneva comunque isolato, ancora nel suo mondo domestico, mal' illusione di coinvolgimento funzionava, anche grazie alla diffusione di un nuovo strumento che offriva la sensazione di avere un grande potere: il telecomando. Lo spettatore poteva inoltre partecìpare attivamente ad alcune trasmissioni, in un primo momento mediante le telefonate effettuate in diretta da casa propria e, successivamente, svolgendo un certo ruolo attraverso qualcuno che lo rappresentava in studio, e che non aveva più una particolare competenza culturale o professionale, ma soltanto la volontà di condividere con altri esperienze personali ed emozioni che aveva vissuto. Dopo la Neotelevisione, è arrivata per la TV una fase ancora più innovativa: quella basata sul modello dei cosiddetti "reality show", che ha portato persone comuni al centro della scena televisiva e ha stimolato una massiccia partecipazione degli spettatori attraverso le nuove tecnologie della comunicazione. Un modello che è divenuto negli ultimi anni quello di riferimento per tutto il mondo della televisione: merita, perciò, di essere analizzato per comprendere meglio le conseguenze culturali e sociali che ha prodotto e sta tuttora producendo. Il modello dei reality show ha fortemente contribuito a popolare l'immaginario televisivo di personaggi scarsamente dotati di competenze o capacità particolari, e che sognavano di diventare celebri grazie a una qualche partecipazione televisiva. Esso rappre43

senta, in qualche misura, la realizzazione di un desiderio che nelle società contemporanee è considerato estremamente importante: poter essere inquadrati da una telecamera, provare la soddisfazione di sentirsi "dentro" uno dei numerosi schermi elettronici che si hanno ogni giorno davanti agli occhi. Così, di fronte alla comparsa e al crescente successo di Internet, la televisione si è fatta Transtelevisione. La televisione tende, cioè, ad adottare quelle modalità reticolari e "liquide" di funzionamento che caratterizzano specificamente l'identità del web. Frammenti dell' esperienza quotidiana individuale sono divenuti l'ossatura di numerosi programmi televisivi e il contatto tra lo spettatore e il medium è diventato sempre più il tema al centro dei contenuti del medium stesso. La realtà sociale si è, dunque, massicciamente trasferita all' interno dello schermo, confondendosi con le sue forme di rappresentazione. Nel modello del reality è fondamentale che il pubblico sia incluso nella rappresentazione. Esso è, in sostanza, presente sulla scena attraverso quella persona che gli rassomiglia: si sente, quindi, anche giudicato da coloro che partecipano al gioco e che si trovano dietro lo schermo. Di conseguenza, tra lo spettatore e la realtà rappresentata si ricostruisce, seppure filtrato attraverso lo schermo, quel rapporto basato sulla reciprocità che, come sosteneva il sociologo Georg Simmel, è alla base della vita sociale. Ciò rappresenta, con grande probabilità, una delle ragioni del successo ottenuto oggi dal genere reality. Se, infatti, nelle so44

cietà contemporanee le persone cercano di combattere la solitudine condividendo varie situazioni sociali, grazie ai reality esse riescono a dare vita a nuove forme di comunità, seppure per un tempo limitato e su un piano sostanzialmente virtuale. I processi d'identificazione tra lo spettatore e la rappresentazione che viene messa in scena sono rintracciabili, in realtà, in tutte le forme di spettacolo, ma il reality show li intensifica poiché il suo obiettivo primario è proprio di ridurre quella sensazione di distanza prodotta dal mezzo televisivo quando è impiegato secondo i modelli comunicativi tradizionali, quei modelli che si rifanno allo spettacolo classico e alla sua rimozione della sensorialità del corpo (immobile e al buio) per favorire un processo d'identificazione unicamente mentale, che passa per il canale della visione. Nella Transtelevisione e nel reality lo spettacolo non è scomparso, ma al suo interno sono presenti, anziché dei professionisti, gli stessi spettatori, naturalmente attraverso dei loro credibili rappresentanti. Nel modello del reality, dunque, il principale oggetto d'interesse è rappresentato dagli spettatori, i quali si trovano davanti e dietro lo schermo, nello stesso tempo. Ciò accade anche perché spettatori e concorrenti hanno in comune il possesso di un medesimo corpo biologico e, nei reality, è necessario soprattutto saper comunicare con un linguaggio diretto come quello del corpo. Pertanto, quando lo spettatore vota per eliminare un concorrente, in realtà elimina pure sé stesso, giacché quel concorrente gli assomiglia 45

molto. Il modello del reality funziona, difatti, al meglio se tra gli spettatori e i protagonisti del programma c'è una notevole somiglianza. Anzi, il messaggio del reality è così efficace proprio perché sotto i suoi riflettori non ci sono il divo costruito a tavolino, il presentatore professionale o l'esperto altezzoso, ma persone ordinarie, che, come lo spettatore, non sono dotate di particolari qualità e competenze, e con le quali è più facile identificarsi - anche perché esse utilizzano un linguaggio comune, che viene considerato garanzia di sincerità e verità. La televisione diventa in tal modo una sorta di specchio grazie al quale, simbolicamente, non è più essa che parla allo spettatore, ma quest'ultimo che parla a sé stesso e di sé stesso. Per capire il motivo del successo dei reality show va sottolineato anche il fatto che tra il flusso della vita quotidiana e il flusso televisivo esiste una naturale affinità: entrambi si basano sull'idea di contemporaneità, di evento che si attua proprio nel momento in cui lo si sta vivendo o guardando. Il reality riprende e rafforza quella che è sempre stata una delle caratteristiche fondamentali del linguaggio televisivo: la capacità di catturare e restituire allo spettatore la realtà durante il suo svolgimento. Non è un caso, perciò, che molto spesso le regole a cui devono attenersi i partecipanti al programma non siano del tutto stabilite sin dall'inizio, ma vengano cambiate e ridefinite nel corso del tempo, e parte del piacere dello spettatore risiede proprio nello scoprirle progressivamente, nel godere di una sensazione di imprevedibilità molto vicina a quella speri-

mentata ogni giorno nella vita quotidiana. Inoltre, chi guarda un reality prova ancora più piacere perché ha l'impressione di sperimentare un certo controllo su tale imprevedibilità, controllo che l'individuo generalmente non ha più la possibilità di sperimentare nella vita reale. In realtà, si tratta anch'essa di un'illusione, poiché il vero potere di controllo resta saldamente nelle mani di chi ha costruito la trasmissione, ne ha scelto i protagonisti e lo svolgimento e la gestisce. Lo spettatore è affascinato anche dalla promessa, insita nel reality show e soprattutto nel modello similare del talent show (Amici, X-Factor, Italia's Got Talent,Masterchej), che una persona sconosciuta come lui possa ottenere un elevato livello di celebrità, possa, ad esempio, diventare un cantante di successo o un celebrato cuoco. Nella società domina, infatti, il mito del successo facile, ottenuto senza sforzi e senza necessariamente possedere particolari competenze. Chi invece partecipa al programma deve dimostrare di essere il più bravo nella competizione televisiva, nel gestire pubblicamente la sua immagine, nel trasformare la sua vita in spettacolo, il che lo fa sentire appieno parte di una realtà sociale come quella contemporanea, dove gli viene chiesto in continuazione di costruirsi un' identità che sia adatta alle situazioni pubbliche che affronta e dove ha la necessità di difendersi dall' invadenza del prossimo. E non importa se alla fine dello show non vince, o viene escluso. Ciò che conta è riuscire a raggiungere la popolarità, avere la propria parte di applausi, anche se per un tempo limitato. 47

s Lo schermo e il tatto: fusione con i media Nel film Minority Report, diretto nel 2002 da Steven Spielberg, si formulava l'ipotesi che nel lontano 2054 le persone avrebbero impiegato dei sofisticati strumenti tattili. Tuttavia, sono bastati pochissimi anni perché le imprese mettessero a disposizione delle interfacce tattili di semplice utilizzo. Ed è evidente dalla comparsa nel 2007 di Appie iPhone che tali interfacce stanno significativamente contribuendo a spostare l'esistenza umana dentro gli schermi dei media. L'esperienza che gli individui possono fare della realtà in cui vivono passa infatti sempre più frequentemente attraverso un qualche schermo, che si tratti dei grandi schermi televisivi "piatti" che invadono gli spazi domestici o di quelli "minimi" dei tablet, dei telefonini e degli orologi digitali. Insieme ai contenuti del web, questi vengono riempiti dal cinema, dalle serie televisive e dalle numerose altre componenti dei flussi della comunicazione. Quello che appare realmente importante, però, è che tutto ciò sta portando verso un processo di fusione progressiva tra il corpo umano e i media. D'altronde, gli sviluppi fatti registrare dalla tecnologia hanno assecondato tale processo, grazie alla progressiva riduzione dello spazio occupato dalla componente hard degli apparecchi elettronici. Gli strumenti digitali e gli schermi diventano via via più 49

piccoli, leggeri e facilmente utilizzabili in ogni ambito della vita quotidiana. E, probabilmente, in futuro annulleranno la propria natura fisica per diventare pure immagini vaganti nello spazio sociale. Più o meno come è stato mostrato in Minority Report, si creerà forse uno spazio saturo non di oggetti, ma di stimoli sensoriali con cui le persone dovranno necessariamente imparare a interagire. I media non spariranno, ma modificheranno le loro interfacce, ridotte ai minimi termini per tentare di fondersi quanto più possibile con il corpo dell'utente. Nell'antichità, ovviamente, gli strumenti utilizzati per comunicare erano molto diversi da quelli che possiamo osservare oggi. Gli esseri umani adoperavano dei supporti fissi che consentivano la permanenza nel tempo della scrittura. Il tutto si svolgeva sulla superficie di tali supporti e i messaggi erano strettamente legati al materiale che veniva di volta in volta impiegato (come, ad esempio, la pietra o il legno). Con l' arrivo della stampa, si sono fatti notevoli passi avanti dal punto di vista della leggerezza e della trasportabilità, ma la rigidità del legame esistente tra il messaggio e il supporto che lo veicola è rimasta sostanzialmente immutata. E così è stato anche con la nascita della fotografia e del cinema, strumenti che possono solo fissare nel tempo eventi già accaduti, rendendoli disponibili per successive visioni ripetute. Il moderno schermo elettronico permette, invece, di accedere a qualcosa che scompare rapidamente, qualcosa che, non soltanto viene frammentato in

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più finestre, ma tende a mutare in continuazione. Ne consegue che il messaggio non è più costretto ad aderire completamente alla superficie del supporto che lo contiene e diventa estremamente libero. Nel contempo, però, lo schermo perde in parte la capacità tipica dei supporti fissi del passato di conservare e stabilizzare la memoria degli eventi. Tuttavia, visto che quel che importa oggi è fare circolare il flusso della comunicazione, da questo punto di vista lo schermo elettronico rappresenta lo strumento ideale. I tanti supporti differenti dei molteplici mezzi (libri, dischi, film, giornali ecc.) si unificano tra di loro e lo schermo tende a operare come un semplice canale di passaggio che consente la fusione di linguaggi di varia natura e quella graduale convergenza tra media diversi che è uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti lo scenario mediatico contemporaneo. Le attuali tecnologie della comunicazione sono in grado di fare percepire ancora più intensamente agli spettatori le sensazioni legate ai movimenti che avvengono all'interno degli schermi. Viene così progressivamente superata quella barriera fisica tra l 'osservatore e la scena che il tradizionale schermo del ·cinema ancora rappresentava e che gli schermi elettronici dei media odierni mostrano invece di poter mandare per sempre in frantumi. Lo spettatore rimane comunque all'esterno dello schermo, ma si può . s1nton1a . . con esso e non e' p1u . ' costretto a muovere 1n rimanere immobile dentro lo spazio, come accadeva con le forme precedenti di schermo, quale ad esempio SI

quella propria della televisione tradizionale. Egli ha in tal modo l'impressione di essere costantemente in contatto con lo schermo e di poter esercitare un controllo su quella realtà a cui lo schermo stesso gli permette di accedere. È dunque l'idea di potersi collegare attraverso uno schermo al mondo intero che si presenta come estremamente gratificante e coinvolgente per gli individui contemporanei, idea rafforzata dal fatto che gli schermi tattili contenuti in molti degli odierni strumenti di comunicazione sono in grado di dare vita a una sensazione di fusione fra tali strumenti e il corpo dell'utente, il che accresce notevolmente in quest'ultimo la suddetta convinzione di poter disporre di un elevato potere nei confronti della realtà sociale in cui opera. Lo schermo, insomma, è in apparenza un mezzo per controllare la realtà, in quanto questa è ridotta e semplificata alle dimensioni di qualcosa che può essere tenuto in mano, toccato e manipolato con estrema facilità. In realtà, lo spettatore è irresistibilmente attratto all'interno dello schermo, il quale non opera come una scena spettacolare tradizionale, ma come il suo esatto contrario. Tende infatti ad annullare la distanza tra lo spettacolo che rappresenta e il soggetto che guarda, produce, insomma, un effetto di fusione con il corpo dello spettatore. L'utilizzo crescente nei computer e nei telefonini dei "touchscreen" chiama direttamente in causa il corpo dell'utente attraverso l'interazione fra tali schermi e la pelle. Si genera così un'estensione cor52

porea della propria sensibilità fisica e mentale. Le dita della mano sembrano rendersi autonome rispetto all'individuo e al suo corpo. Solitamente, esse sfiorano appena lo schermo invece di toccarlo, perché la reazione dell'essere umano rispetto alla tecnologia dev'essere estremamente veloce. Siamo dunque di fronte a una forma di sensorialità dove il coinvolgimento mentale è minimo e anche quello dell' individuo, il quale, per sentirsi partecipe di una situazione ha di solito la necessità di afferrare pienamente ogni cosa con la mano, primario strumento d'interazione con l'ambiente, in stretta connessione con il cervello, al quale manda gli stimoli che riceve. Con gli schermi touch, invece, il contatto è "soft" e perciò il cervello interagisce, ma non percepisce, non elabora e quindi non sviluppa una riflessione approfondita. Mentre il dito diviene un'entità che forma un tutt'uno con lo strumento tecnologico per la comunicazione e opera in gran parte attraverso automatismi che sono imposti dallo strumento stesso e indipendenti dalla sog. . ' umana. gett1v1ta Walter Benjamin sosteneva che il cinema consente di effettuare un'esperienza che è fondamentalmente di natura tattile quando parlava, nel saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita tecnica, dello "choc" causato nello spettatore dall'esposizione al linguaggio cinematografico. Quello choc che il cinema produce, attraverso il mutamento dei luoghi dell'azione e delle inquadrature, scagliandosi violentemente, come un proiettile, contro l'individuo posto davanti al 53

suo schermo, e determinando così anche effetti di ordine fisico e tattile e dando vita a un immaginario che è insieme reale e fantastico. · In seguito, negli Strumenti del comunicare, Marshall McLuhan ha trasferito quest'idea dell'esperienza tattile suscitata dalla visione delle immagini alla televisione e al suo schermo elettronico. E la tattilità, per lo studioso canadese, non costituiva un senso simile a tutti gli altri, tant'è che lo considerava decisamente il più importante: esso svolge, difatti, un ruolo chiave, in quanto è in grado di mettersi in relazione con tutti gli altri sensi e di coordinarli, ossia di armonizzare l'esperienza del mondo degli individui. È probabile, allora, che sia proprio il tatto a consentire oggi agli individui di tenere insieme tutte le diverse esperienze frammentarie accumulate nei diversi schermi frequentati ogni giorno.

6 Verso media biologici

Nelle società contemporanee sono presenti molti "dispositivi". Con questo termine si possono intendere, in realtà, oggetti di natura differente: ad esempio, un semplice artefatto fisico (la moka per il caffè), un artefatto fisico dotato di un programma informatico (il navigatore satellitare) oppure uno strumento di tipo puramente immateriale, ma in grado comunque di produrre effetti materiali (le leggi dello Stato). Ma il concetto di dispositivo può essere soprattutto associato nell'esperienza quotidiana degli individui al mondo dei media. Il filosofo Giorgio Agamben ha sostenuto in Che cos'e un dispositivo? che nell'universo esistono due grandi gruppi o classi: gli esseri viventi e i dispositivi. I soggetti hanno origine dal confronto tra tali gruppi. Essi sono, cioè, il risultato della relazione dialettica che si instaura tra gli esseri viventi e i dispositivi. Dunque, per Agamben ogni dispositivo implica una soggettivazione, ossia un processo in grado di dare vita a un soggetto. Sempre secondo Agamben, però, nell'attuale fase sociale i dispositivi hanno smesso di produrre dei soggetti: «Colui che si lascia catturare nel dispositivo "telefono cellulare", qualunque sia l' intensità del desiderio che lo ha spinto, non acquista, per questo, una nuova soggettività, ma soltanto un numero attraverso cui può essere, eventualmente con-

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crollato; lo spettatore che passa le sue serate davanti alla televisione non riceve in cambio della sua desoggetrivazione che la maschera frustrante dello zappeur o l'inclusione nel calcolo di un indice di ascolto» (p. 31). È quindi possibile parlare, come fa Agamben, di «desoggettivazione», ovvero della creazione di veri e propri soggetti "spettrali". Sono probabilmente state interpretazi~ni come questa, che attribuisce ai soggetti che interagiscono con i media un'identità estremamente debole, a stimolare la letteratura e il cinema di fantascienza a immaginare dei veri e propri "media biologici", vale a dire degli strumenti di comunicazione direttamente innestati nei cervelli e nei corpi degli esseri umani, divenuti in tal modo dei cyborg, cioè degli esseri ibridi che assommano in sé l'umano e il tecnologico. I progressi della tecnologia consentono, però, di vedere realizzate già oggi tali fantasie e la cultura sociale sembra poterle accettare senza alcuna difficoltà. Ad esempio, a Stoccolma, l'azienda Epicenter, specializzata nella creazione e nello sviluppo di società startup, offre da tempo ai suoi duemila dipendenti la possibilità di farsi impiantare sotto la pelle di una mano un microchip in vetro biocompatibile, che contiene i dati identificativi della persona e che trasmette tali dati a tutti i dispositivi abilitati a leggerlo. La disponibilità degli impiegati verso tale operazione è buona, soprattutto grazie ai vantaggi di tipo pratico che offre: aprire le porte delle stanze, accendere computer e stampanti, acquistare snack ai distribu56

tori automatici ecc. Il corpo biologico comunica così direttamente con dei computer e vengono messe da parte conoscenze e consapevolezza che rendono cale un essere umano. Il quale si fa, dunque, esso stesso oggetto. Qualcosa di simile avviene, in realtà, pur senza doversi far impiantare un microchip sotto la pelle. Sempre più frequentemente, difatti, gli smartphone si attivano autonomamente mediante il riconoscimento dell'impronta digitale o del volto dell'utente - in questo modo si possono effettuare anche pagamenti. Grazie ai programmi d'intelligenza artificiale che contengono, essi sono poi in grado di eseguire compiti impartiti vocalmente, di dialogare alla pari con gli esseri umani e persino d'imparare autonomamente, senza bisogno di un intervento umano. Ne . . . . . sono un esempio programmi oggi gia ampiamente utilizzati, come Siri di Apple, Coreana di Microsoft, Assistant di Google o Alexa di Amazon. Questo scenario si amplierà ulteriormente con la connessione degli oggetti, oltre che con gli esseri umani, pure con altri oggetti: è il cosiddetto "Internet delle · cose", di cui si sta parlando già da diversi anni. Un network che sfrutta la tendenza degli oggetti, grazie al processo di digitalizzazione in corso, a comportarsi come gli uomini, generando e condividendo dati e nozioni. Lavatrici, frigoriferi e automobili, ma anche cancelli, pneumatici e strade sono sempre più in grado di elaborare informazioni e di trasferirle ad altri apparecchi. \

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Tutto ciò reca, indubbiamente, enormi vantaggi alle nostre società, sia sul piano dell'efficienza del sistema economico (riduce tempi e costi), sia sul piano delle prestazioni a disposizione del singolo per rendere più confortevole la sua vita. Il processo è ormai inarrestabile e, con molta probabilità, in futuro indosseremo abiti connessi a Internet -o saliremo su automobili intelligenti, capaci di portarci da sole a destinazione, e scegliendo per giunta la strada migliore. Collegare enormi quantità di intelligenze consente, inoltre, di poter sfruttare le possibilità offerte da quell' "intelligenza collettiva" che inevitabilmente si genera, un'intelligenza che può offrire nuove soluzioni per i numerosi problemi che le società contemporanee sono costrette ad affrontare ogni giorno. Tuttavia, va considerato che già oggi gli esseri umani sono connessi molto al di là delle loro reali necessità, oltre, cioè, le loro capacità di coltivare delle relazioni soddisfacenti. Per essere tali esse infatti richiedono così tanto impegno e tempo da rendere impossibile coltivarne diverse centinaia, come abitualmente succede all'interno dei principali socia! network. Per di più, il mondo digitale si basa su un evidente paradosso: mentre chiede alle persone di poter sempre più accedere alla loro esperienza di vita, ossia cerca di avere informazioni sulla loro vita privata per essere in grado di offrire dei servizi migliori, selezionati e costruiti "su misura': questa apertura del mondo privato genera nel contempo conseguenze sul piano della privacy, impossibile da tutelare adeguata58

mente qualora ogni dato venga registrato e condiviso, e produce inevitabilmente abusi e uno sfruttamento intensivo delle informazioni personali. Gli hacker hanno già dimostrato di poter entrare in tutto quello che è connesso: nei sistemi frenanti delle automobili, così come nelle apparecchiature sanitarie (pacemaker, defibrillatori ecc.) e tali incursioni si moltiplicheranno via via che il web diverrà un universo connesso, via via che persone, organizzazioni e oggetti si collegheranno tra di loro, mettendo di conseguenza in comune dati e informazioni. Si fa più forte anche l'idea che le "macchine" possano essere totalmente autonome e connettersi solo tra di loro, senza preoccuparsi degli esseri umani, i quali, tutto sommato, possono essere considerati inutili fardelli, con le loro lentezze mentali e, soprattutto, con le loro limitazioni morali. Ma le macchine sono ben diverse dal genere umano. Come ha affermato la psicologa statunitense Sherry Turkle, in un'intervista rilasciata al giornalista Samuel Greengard, e pubblicata nel libro Internet delle cose, non va dimenticato, ad esempio, che «Quando pensiamo di affidare la cura dei bambini a un robot, ci imbarchiamo in un "esperimento proibito". Lo sviluppo sano di un bambino dipende dall'essere esposto alla piena gamma delle espressioni e delle inflessioni vocali umane. Le future capacità del bambino di dare amore e cure dipendono dal modo in cui il bambino percepisce l'amore e la cura da parte di una persona. Nulla di tutto ciò può venire da un robot. E i nostri 59

anziani - e un giorno tutti noi saremo come loro vogliono parlare del senso della loro vita con coloro che capiscono cosa sia una vita e quali siano le cose che hanno significato per l'essere umano: i ricordi della nascita di un figlio, di un matrimonio, della perdita di un coniuge. I robot non possono capire nulla di tutto questo» (p. 128).

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Vedersi nello schermo:

fotografie liquide e selfie L'immagine è nata probabilmente con le prime forme di civiltà umana, con la capacità degli individui di trasformare in simboli gli elementi presenti nell'ambiente circostante. Una capacità che già si esprime nei grossolani disegni tracciati sulle pareti di roccia, all'interno di antiche grotte. Ma l'immagine non opera soltanto quando dà vita a una riproduzione della realtà, anzi essa può presentarsi anche come un qualcosa dotato di una esistenza autonoma. Ha affermato lo storico dell'arte tedesco Horst Bredekamp, nel volume Immagini che ci guardano: «Mentre la lingua parlata è propria dell'uomo, le immagini gli vengono incontro sotto il segno di una corporeità aliena» (pp. 9-10). Vale a dire che le immagini sembrano ricavare, dal fatto di godere di un'apparente . autonomia rispetto agli esseri umani, una notevole capacità di suscitare sensazioni ed emozioni. Il che appare evidente soprattutto con alcune determinate immagini, che riescono a imporsi nella cultura collettiva e che possono essere definite "iconiche': in quanto particolarmente intense e in grado di fissarsi nella memoria di tutti, influenzando così fenomeni sociali, comportamenti e relazioni. In realtà, tutte le immagini devono essere considerate altamente efficaci dal punto di vista espressivo. 61

Nell'Ottocento, con la comparsa della fotografia, esse hanno potuto ancora rafforzare questa loro capacità. È stato però soprattutto con il recente passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale che il mezzo fotografico ha sviluppato-appieno le sue risorse espressive. Certo, non c'è stata una vera e propria rivoluzione linguistica, come quella che la fotografia ha vissuto alla fine dell'Ottocento - con l'invenzione delle lastre in gelatina al bromuro d'argento e la conseguente possibilità di ridurre il tempo di posa per produrre quelle immagini istantanee che hanno consentito la nascita del fotogiornalismo e della fotografia di famiglia -, ma la fotografia digitale ha saputo comunque imporre un nuovo format comunicativo. La fotografia digitale ha conservato la capacità di funzionare come tutte le altre fotografie e cioè come un documento o come una prova dell'esistenza umana. Le immagini fotografiche sono ormai composte di pixel, eppure le persone continuano ad avere fiducia nella loro verità. Va sottolineato, però, che la fotografia digitale è anche qualcosa di vivo, un' immagine non più generata a partire dalla riproduzione diretta della realtà fisica, ma composta di dati elaborati da un algoritmo informatico. Può pertanto essere facilmente modificata. Se con la fotografia analogica la manipolazione dell'immagine ( il ritocco) rappresentava un'eccezione, con quella digitale tale manipolazione si trasforma in una prassi pressoché abituale e il dubbio tende a diventare una presenza costante.

Eppure tutto ciò non spaventa le persone, che sono rassicurate proprio dalle caratteristiche d'instabilità e d'incertezza dell'immagine digitale, le quali inducono a pensare che sia sempre possibile intervenirvi per effettuare correzioni e rimediare agli errori compiuti. Se, dunque, la realtà sta tramontando, è anche perché si è progressivamente accettata l'idea della sua manipolazione. Oggi è possibile disporre di vere e proprie "fotografie liquide': ossia immagini liberamente modificabili, e questo sta via via trasformando la percezione umana della realtà. La liquidità che le caratterizza consente, però, a tali immagini una notevole circolazione e diffusione nella società, da cui discendono una elevata appropriabilità da parte di chiunque desideri utilizzarle e l'idea che l'immagine sia proprietà comune, oggetto condivisibile e, proprio per questo, manipolabile attraverso diverse pratiche (remix, parodia, satira ecc.). Prima dell'avvento della fotografia digitale le immagini si dividevano nettamente tra pubbliche e private, ovvero tra scatti istituzionali e non appropriabili, da un lato, e scatti familiari e poco visibili, perché ·confinati in un ambito personale, dall'altro. Ora, invece, la fluidità del digitale consente l'instaurarsi di un processo di crescente "livellamento,,· tra le immagini, perché le fotografie pubbliche possono essere facilmente riprese e rielaborate da chiunque, mentre quelle personali possono diffondersi oltre l'ambito privato. Il che non annulla totalmente le differenze

esistenti in precedenza. I media d'informazione, infatti, hanno dato spazio negli ultimi anni anche alle immagini prodotte dai non professionisti, ma questo spazio è rimasto comunque limitato e decisamente minoritario rispetto a quello tradizionalmente occupato dagli scatti di origine professionale. Le fotografie digitali hanno saputo conquistarsi un proprio ambito sociale operando in una maniera profondamente diversa: invece che strumenti di documentazione o di tipo espressivo, sono mezzi per sviluppare conversazioni e consentire a ciascuno .di essere connesso con altri. Si tratta di vere e proprie "immagini conversazionali': che le persone creano e diffondono fondamentalmente per incrementare il proprio patrimonio di relazioni sociali. In quanto tali, esse sono spesso registrazioni di eventi quotidiani o semplici rielaborazioni di contenuti già presenti nei media principali. Sulla base di queste fotog:fafie si sviluppano così delle conversazioni, non diversamente da quanto accadeva nel corso del Novecento, quando ci si spediva reciprocamente cartoline illustrate, solitamente dai luoghi di vacanza. Queste conversazioni esprimono di solito un gusto popolare e la maggior parte delle fotografie sono scattate velocemente, con scarsa attenzione, e ritraggono soggetti decisamente banali come gatti, piedi, cibo ecc. Più in generale, si può dire che con il passaggio al digitale il mondo della fotografia si è sempre più esteso ed è diventato un vero e proprio luogo di esperienza di vita. Mostra, cioè, con chiarezza di possedere quella capacità che molti studiosi hanno attribuito ai media

contemporanei: la capacità di operare come un ambiente sociale, nel quale è possibile sviluppare e intrattenere delle relazioni. Non a caso, la fotografia ha progressivamente dilatato la propria esistenza, in quanto è passata dal semplice scatto a un'articolata successione di fasi: la cattura, l'editing, la condivisione, l'interazione. In più, la facilità di scatto che la caratterizza consente di viverla come continuativa, come una specie di sequenza infinita d'immagini. D'altronde, se ne produce un'enorme quantità: si stima che ogni giorno se ne realizzino più di tre miliardi. L'ambiente digitale, inoltre, consente a chi scatta fotografie di rafforzare il proprio _ruolo al suo interno. Ciò è reso possibile dalla grande facilità di accesso e impiego degli apparecchi digitali, ma anche dal fascino della fotografia stessa, che permette di documentare situazioni ed eventi e il fatto di esservi presenti. Così oggi, ad esempio, è diventata una vera e propria moda di massa la pratica di produrre dei selfie, cioè fotografie di sé stessi, mediante uno smartphone, il che rende possibile diffondere in tempi rapidissimi i propri scatti attraverso i vari socia! network. Tale pratica oggi viene spesso demonizzata, ma il selfie è uno ~trumento di grande successo perché consente alle persone di comunicare facilmente quello che fanno e sentono, di costruire e alimentare la propria identità. I selfie veicolano subito agli altri la propria unicità e il proprio stato interiore, proprio come cercano di fare solitamente gli esseri umani attraverso l'uso dei media digitali. 65

Se, come si è detto, con la fotografia digitale le persone pensano di poter manipolare senza sforzo l'intera realtà che li circonda, ciò si verifica pure per il corpo umano. Il che è sorprendente perché, in passato, nella cultura occidentale, il corpo rappresentava una dimensione particolarmente stabile dell'identità personale. La sua natura biologica l'ha fatto percepire, infatti, per lungo tempo come un soggetto dotato di una identità solida e fisicamente sperimentabile. Il progressivo trasferimento, però, di tutte le esperienze. umane nel mondo finzionale cui i media danno vita incoraggia ciascuno a considerare perfino il proprio corpo come appartenente a quel mondo. Dunque, anche il corpo tende ad assumere ai nostri occhi le stesse caratteristiche proprie dei soggetti riprodotti dalle immagini digitali: l'instabilità, la fluidità e la facilità di rielaborazione. Se il corpo, una volta mediatizzato, è percepito come fluido e modificabile alla stregua delle fotografie digitali, non deve sorprendere che sempre più persone individuino dei modelli provenienti dai media e cerchino di farvi corrispondere il più possibile il proprio aspetto fisico. È il caso, ad esempio, della modella inglese Alida Douvall, la quale si è sottoposta nel corso della sua vita a circa quattrocento interventi di chirurgia estetica, sedici dei quali solo per aumentare il seno, e ha speso a tale scopo più di un milione di euro. Simile la vicenda di Valeria Lukyanova, una giovane modella ucraina che ha speso più di ottocentomila dollari per assomigliare alla Barbie e, attraverso nume66

rose operazioni e una rigida dieta alimentare, è arrivata a essere molto simile alla celebre bambola della Matte!. Un ragazzo di Los Angeles invece, Bryan Ray, ha subito ben novanta interventi per poter assomigliare alla sua beniamina, la cantante Britney Spears. Siamo senza dubbio di fronte a casi estremi, anche se non unici. Ancora più dirompente è un fenomeno che va sempre più diffondendosi all'interno delle società avanzate: la cosiddetta "selfie surgery". Vale a dire, la tendenza di molti giovanissimi a sottoporsi a trattamenti invasivi e a interventi di chirurgia plastica per rassomigliare non al divo di Hollywood preferito, ma al proprio "io digitale" ritoccato. Si ricorre al chirurgo per poter avvicinare il proprio aspetto fisico a quello che mostrano le fotografie postate sui socia! network, modificate utilizzando i diffusissimi filtri digitali. Oppure, perché non ci si piace nelle foto digitali, giacché spesso l'obiettivo grandangolare dello smartphone e la breve distanza da cui si scatta deformano il volto, ingigantendo ad esempio il naso - insomma, per poter essere più belli nei selfie. Abituati ormai a osservare il proprio corpo non più in uno specchio, ma all' interno di uno schermo digitale, è alla fin fine questa l'immagine che si considera normale. Ci si preoccupa, dunque, più che di essere attraenti dal vero, di risul. tare attraenti all'interno dei socia!, in una rappresentazione, cioè, che non corrisponde alla realtà.

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Dominare lo spazio: il mito della realtà aumentata ~on sappiamo ancora se nel 2045, come ha immagi::aro il regista Steven Spielberg nel film Ready Player ·Jne del 2018, tutte le persone saranno collegate tra::iite apparecchi per la realtà virtuale ad affascinanti ~miversi totalmente artificiali. È certo, però, che già •Jggi gli schermi televisivi stanno diventando sempre ?iÙ coinvolgenti: hanno dimensioni che crescono e, a volte, sono curvi e avvolgenti; trasmettono immagini a una definizione assai elevata e in costante miglioramento. Si moltiplicano le formule commerciali con cui le aziende li promuovono (HD, Full HD, Ultra HD ecc.), ma la promessa fatta ai consumatori rimane la stessa: offrire la possibilità di vivere un mondo diverso e migliore rispetto alla realtà quotidiana. Quello che promettono, ad esempio, anche i numerosi caschi, visori e occhiali 3D che cominciano a diffondersi, ossia sostituire un'altra realtà a quella abituale. Persino Jean Baudrillard, intellettuale fortemente critico nei confronti della natura menzognera e ingannevole dei simulacri e del virtuale, è stato "virtualizzato" da Microsoft dieci anni dopo la sua scomparsa e reso visibile, mediante un apposito casco, alle persone convenute per Baudrillard Street One, la festa tenutasi a Parigi in suo onore nel corso dell'estate del 2017.

La diffusione di questi apparecchi è_ sintomatica dell'esistenza di una progressiva tendenza a cercare di sostituire e migliorare la realtà spaziale in cui si vive, sebbene sia probabile che essi non incontreranno in futuro il successo auspicato dalle numerose aziende produttrici. Se non per particolari applicazioni, legate all'ambito chirurgico e a quello dei videogiochi, i caschi per la realtà virtuale sono problematici da impiegare nella vita quotidiana, perché implicano la necessità di distaccarsi del tutto dalla realtà e creano notevoli difficoltà a mantenere una relazione con il contesto in cui si vive. Potrebbe forse funzionare una soluzione di compromesso come quella rappresentata dagli occhiali di Google, quei Google Glass dotati di microcomputer, piccolo visore trasparente e minitelecamera, sebbene oggi non siano più presenti sul mercato, oppure quella costituita dagli Spectacles, gli occhiali da sole lanciati da Snapchat, un socia! network molto amato dagli utenti più giovani del web perché ha introdotto la possibilità di scambiarsi contenuti multimediali che si autodistruggono in poche ore. Con gli occhiali Spectacles è possibile girare brevi video e metterli istantaneamente online. Si tratta, cioè, di strumenti che permettono di mantenere un contatto con la realtà, ma nel contempo anche di riprodurla, riuscendo altresì ad arricchirla e migliorarla. Al di là dello strumento, quello che conta sono difatti i contenuti: e contenuti che sembrano essere in grado di perfezionare e migliorare la realtà sono deci70

samente allettanti. Non a caso, nel mondo mediatico e nell'esperienza di vita delle persone, si sta sempre più diffondendo la cosiddetta "realtà aumentata': che "aggiunge" altri contenuti a ciò che si vede sugli schermi. Si tratta, appunto, di informazioni, grafici, oggetti che si vanno a sovrapporre al contenuto delle immagini. La realtà, così, non è più solo "filtrata" dalle immagini digitali, ma di fatto viene "filtrata" una seconda volta dallo strato della realtà aumentata che vi si antepone. Un esempio ne è il videogioco Pokémon Go, che ha avuto negli anni scorsi un enorme successo in tutto il mondo e nel quale, a seconda dei luoghi inquadrati tramite l'obiettivo dello smartphone, compaiono magicamente sullo schermo i vari personaggi del gioco. Realtà aumentata è anche quella delle cosiddette "maschere", presentate da Snapchat nel 2017: in sostanza, filtri digitali che si possono applicare sia ai volti degli utenti inquadrati per scattare un selfie, sia a qualunque immagine fissa o video, e permettono di distorcere l'immagine o di far assumere ai soggetti l' aspetto di animali, oggetti o prodotti commerciali. Ad esempio, la catena statunitense di fast food Taco Bell ha voluto un filtro personalizzato da offrire ai propri · clienti e in grado di trasformare le loro facce in tortillas messicane. Si tratta di una forma di pubblicità in cui ogni cliente si trasforma in vero e proprio testimonial delle aziende, perché queste riescono a sfruttare a proprio vantaggio il piacere che si prova ad aggiungere un elemento allegro e sorprendente all'immagine da inviare agli amici. Il piacere, cioè, di trasformar71

si, di diventare metà uomo e metà animale oppure metà uomo e metà frutto. Non a caso, concorrenti come Facebook, lnstagram e WhatsApp hanno prontamente introdotto qualcosa di simile per i loro utenti. Nella realtà aumentata, il mondo non è sostituito o mascherato, è soltanto abbellito, amplificato e portato all'eccesso. Ma in questa "esagerazione" della realtà si insinua comunque un processo di cambiamento che modifica la percezione che gli individui hanno della realtà stessa. Se Georg Simmel, già alla fine dell'Ottocento, parlava della condizione di coloro che vivevano nelle metropoli come di una condizione caratterizzata da un eccessivo bombardamento di stimoli mentali e analizzava le strategie di "raffreddamento" dei rapporti sociali conseguentemente adottate dai cittadini per proteggersi, a maggior ragione oggi si devono considerare gli effetti dei processi d'intensificazione delle stimolazioni nervose determinate nei cervelli degli individui dai messaggi generati dai media. Ad esempio, il sempre maggiore utilizzo nelle società contemporanee dei media - poiché questi possiedono la capacità di avvicinare quello che si trova distante produce inevitabilmente un indebolimento della dimensione spaziale. Vale a dire che accorciare troppo le distanze tende a produrre un processo di neutralizzazione delle stesse, che rende estremamente difficoltoso per gli individui orientarsi nello spazio in cui vivono. Secondo l'urbanista Paul Virilio, ciò è risultato evidente già con la comparsa nella storia delle prime "macchine di visione" e, in particolare, con i numerosi

strumenti ottici che sono stati ideati nel corso del Rinascimento: lenti, microscopi, cannocchiali astronomici ecc. Egli ha scritto infatti qualche anno fa, nel libro La macchina che vede, che «Proprio nel momento in cui pretendevamo di procurarci i mezzi necessari per vedere più e meglio il non-visto dell'universo, stavamo per perdere la nostra debole capacità di immaginarlo» (p. 18). Tali mezzi hanno radicalmente trasformato il modo di vedere il mondo circostante e di muoversi in esso. Si è presentata, così, quella che Virilio stesso ha definito la «logistica della percezione», vale a dire un intenso processo di accelerazione che modifica la percezione umana dello spazio, distruggendo progressivamente la conoscenza e la consapevolezza delle distanze e delle dimensioni. Un processo che oggi, con i media elettronici, tende a intensificarsi e comporta, come ha affermato Marshall McLuhan nel volume postumo, scritto insieme a Bruce R. Powers, Il villaggio globale, che l'essere umano «perde il senso della propria individualità in quanto le percezioni elettroniche non sono legate a un luogo fisso» (p. 129). Molte aziende stanno lavorando oggi anche su quella che chiamano Mixed reality o X-Reality, resa possibile da apparecchi come HoloLens di Microsoft o Magie Leap One di Magie Leap. Si tratta di occhiali · che, invece di aggiungere informazioni a quello che la persona vede, proiettano degli ologrammi direttamente nell'ambiente fisico, attraverso piccoli proiettori laser, mescolando, così, immagini artificiali alla realtà. Su queste basi, alcune aziende pensano persino 73

di sostituire i propri addetti alle vendite con ologrammi tridimensionali. Forse avremo presto cassiere dei supermercati o impiegati bancari totalmente virtuali. Più in generale, ci troviamo oggi all'interno di una situazione paradossale: ciò che ci viene promesso in continuazione dai media è un vero e proprio eccesso di realtà, una "super-realtà': intensa e particolarmente coinvolgente, mentre quello che accade è che la realtà tende, di fatto, progressivamente a tramontare. Non è un caso, perciò, che nella cultura contemporanea ci si chieda insistentemente se la realtà esiste ancora, se si sta sognando o se ci si trova in un mondo che ha un carattere reale.

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Il tempo sospeso dei media

La concezione che la cultura moderna aveva del tempo si è profondamente modificata negli ultimi decenni e i media ne sono in gran parte responsabili. Le so. ' contemporanee sono sempre p1u . ' orientate, . . cieca infatti, verso il presente, un presente autonomo e autosufficiente, perché indipendente dal passato e dal futuro. Se gli individui che vivevano nelle società primitive fondamentalmente reiteravano in continuazione il proprio passato, la comparsa delle religioni organizzate ha contribuito in maniera rilevante ad attribuire un valore temporale alla vita umana, mettendo quest'ultima in relazione con Dio. In seguito, con lo sviluppo del processo d'industrializzazione e l'avvento delle società moderne, il futuro è diventato il polo verso cui indirizzare l'intero sistema sociale. Come ha scritto il filosofo Giorgio Agamben, nel suo lavoro Infanzia e storia, «La concezione del tempo dell'età moderna è una laicizzazione del tempo cristiano rettilineo e svuotato di ogni altro senso che _non sia quello di un processo strutturato secondo il prima e il poi. Questa rappresentazione del tempo come omogeneo, rettilineo e vuoto nasce dall 'esperienza del lavoro nelle manifatture e viene sanzionata dalla meccanica moderna che stabilisce la primarietà del moto rettilineo uniforme rispetto a quello cir75

colare» (p. 97 ). Ma, oggi, questa concezione tende via via a essere sostituita da un orientamento verso il presente e, dunque, da un annullamento di quell'idea di tempo che era stata specificamente sviluppata dalla cultura moderna. Tutto dev'essere in tempo reale e quello che non sta accadendo al momento viene progressivamente ridimensionato. Alle spalle dell'attuale concezione temporale del presente autonomo, si colloca il crescente prevalere, nella cultura sociale, di quel modello della rete e del flusso che caratterizza i media contemporanei. Il sociologo Manuel Castells ha individuato, nel volume La nascita della societa in rete, il concetto di «timeless time» (tempo senza tempo) per indicare quell'esperienza temporale prodotta dalla tendenza a comprimere il tempo e a rendere confusa la sua sequenza cronologica che caratterizza le società contemporanee. Si tratta di un tempo sospeso tipico della condizione attuale dei mercati capitalistici (dominati dalla libera circolazione su scala planetaria di beni e messaggi), dei capitali finanziari (che operano in tutto il mondo 24 ore su 24) e della continua interazione su scala mondiale resa possibile dalla comunicazione che avviene attraverso il web. Un tempo denso e stratificato, in cui si possono fare molteplici operazioni, perfino simultaneamente e in maniera indipendente dal luogo in cui ci si trova. Di tutto questo, i media, come è evidente, hanno grandi responsabilità, se si considera anche la spinta da questi esercitata verso una progressiva accettazione

della nuova concezione di sospensione del tempo. Inoltre, come ha sostenuto lo storico dell'arte Jonachan Crary nel libro 24/7, stanno svolgendo, nel contempo, un'operazione di giustificazione di tale concezione e puntano a far percepire come superflua la necessità di soddisfare il bisogno di sognare, che era resa possibile dall'alternanza tra la veglia e il sonno. Così, sembra che le persone vogliano dormire sempre di meno e che non sentano più la necessità dei sogni e dei desideri profondi che essi incarnano. Ci pensano i media a presentare sogni già "confezionati". Come ha scritto in merito lo stesso Crary, «Durante le ore di veglia, i reality e i siti web raccontano con dovizia di particolari e con la massima indifferenza ogni possibile relazione "proibità' o antagonismo fra i conviventi, mentre la pornografia in rete e i videogiochi violenti soddisfano pure quei desideri che un tempo era impossibile anche soltanto nominare» (p. 113). Se, come si diceva, i media contemporanei hanno un'elevata responsabilità nella radicale mutazione che sta subendo il concetto di tempo, ciò è dovuto anche al fatto che essi consentono di registrare e di mandare in onda numerose volte quello che si vuole. Le tecnologie di registrazione permettono, infatti, di andare oltre il senso del tempo, di vedere e ascoltare, come se fossero vive, persone che non esistono più da parecchi anni; di passare rapidamente da un'epoca all'altra o di rivivere delle esperienze e ritornare alla propria gioventù. Ne deriva che eventi di periodi diversi convivono senza problemi l'uno accanto all'altro, perché 77

nulla appare come completamente nuovo o completamente superato. La televisione è il medium che ha introdotto, per la prima volta nella storia, la possibilità che la giovinezza di una generazione, anziché scomparire, venisse trasmessa alle generazioni successive, presso le quali continua ad esistere. Ciò può spiegare perché oggi sono pressoché scomparsi i conflitti intergenerazionali di qualche decennio fa, mentre i miti di una determinata generazione vengono condivisi da quelle seguenti - e perché, ad esempio, alcuni gruppi musicali emersi negli anni Sessanta e Settanta, non si ritirano dalle scene giacché continuano ad avere un notevole seguito anche tra i ragazzi di questi anni. Il processo di digitalizzazione della cultura ha intensificato questo fenomeno e ha enormemente ampliato la quantità di materiali che, a tal proposito, possono essere utilizzati. È nato così il vintage, una sorta di abituale forma surrogata di esperienza: qualcosa che si consuma al posto dell'oggetto del passato, ma che contiene comunque il senso di tale oggetto. Si pensi, ad esempio, a una serie televisiva di successo quale Mad Men, che ha dettagliatamente raccontato il mondo delle agenzie pubblicitarie americane degli anni Sessanta e ha cercato non di ricostruire un passato autentico, ma di dare vita a un passato immaginario credibile a partire da materiali autentici. Particolarmente interessante è che tutti i media devono essere considerati, rispetto alla percezione individuale e sociale del tempo, come strumenti che

determinano un effetto di natura paradossale: in apparenza promettono, infatti, ai loro utenti di poter beneficiare della simultaneità e dell'istantaneità ma, in realtà, poiché mutano costantemente, essi li proiettano inevitabilmente in una dimensione che è quella del già avvenuto. Ali' interno, cioè, di immagini relative a fatti verificatisi qualche momento prima. Il profilo Facebook di ognuno, ad esempio, non è vero presente, ma un insieme di momenti bloccati nel tempo, di istanti già accaduti. I media, dunque, regalano una seducente promessa d'istantaneità e, di conseguenza, gli individui cercano di tenere il passo del loro vorticoso ritmo di cambiamento. Ma la mente umana è lenta e non riesce mai effettivamente a sintonizzarsi con tale ritmo. A questo risultato contribuiscono a loro volta gli stessi media, i quali moltiplicano ininterrottamente la quantità dei messaggi che rendono disponibili, impedendo una vera "digestione" dei contenuti. Essi devono, tuttavia, cercare di evitare che l'impossibilità di avvicinarsi al loro ritmo di cambiamento si trasformi in un angosciante senso di frustrazione e perseguono quest'obiettivo stimolando la nascita di un sentimento di nostalgia nei confronti di ciò che è passato. Il tempo cui i media danno vita oggi è quindi un _tempo necessariamente nostalgico. Ma, a causa del loro sforzo di registrare costantemente gli avvenimenti della nostra vita, i media ci stanno anche spingendo ad avere un problematico rapporto con il tempo. Ricordi pericolosi, l'ultimo episodio della prima stagione 79

della serie televisiva britannica di fantascienza Black Mirror, ha mostrato le conseguenze nella vita delle persone di uno speciale "registratore" che, installato sotto la pelle, dietro l'orecchio, documentava ogni momento, consentendo pure di ritornare con un telecomando su ciò che si era già vissuto. Sembra la soluzione ideale per avere il controllo totale della realtà, per non farsi scappare nulla, e invece, come ci hanno mostrato nel prosieguo della storia, essa diviene solo fonte di preoccupazioni e sofferenze. È noto, infatti, come di solito il cervello umano non memorizzi tutto e selezioni soltanto quello di cui ha davvero necessità, tendendo ad allontanare il ricordo delle esperienze inutili e negative. Funziona, in sostanza, come una specie di "balsamo miracoloso" per i problemi quotidiani delle persone. Beneficio che il registratore di Black Mirror annullava completamente.

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IO

Verso l'oblio digitale

L'orologio analogico rappresentava metaforicamente con il movimento circolare delle sue lancette il succedersi lineare dei vari momenti della giornata. L' orologio digitale, invece, non presenta parti che si muovono come le lancette e mostra semplicemente un numero che, pur modificando la quantità indicata, rimane fermo nello spazio. Ma è sempre presente, immediatamente disponibile. Vivere ali' interno di quell'immediatezza che caratterizza il mondo digitale comporta, però, anche la necessità di reagire in tempo reale, di prendere delle decisioni senza poter disporre di tutto il tempo che serve per riflettere. Senza, cioè, avere il rassicurante conforto che viene offerto dal confronto con le esperienze passate. D'altronde, la memoria viene oggi percepita come lenta e ingombrante, un peso al quale si deve necessariamente rinunciare qualora si voglia essere pienamente sintonizzati con la velocità propria della rete e non si voglia perdere una delle tante nuove occasioni che possono presentarsi. Se la memoria è vissuta come una specie di zavorra, non è solo per la pesantezza che le . deriva dall'enorme quantità di materiali che contiene, ma pure per le regole e le norme sociali che sono trasmesse e mantenute in vita proprio da tali materiali. Vincoli, dunque, di cui è meglio liberarsi. Tanto tutto 81

è lì davanti, nel web, immediatamente disponibile quando se ne potrà avere la necessità. Com'è noto, il filosofo Platone era preoccupato dalla possibilità che la comparsa della scrittura potesse comportare un impoverimento culturale rispetto alla precedente epoca dell'oralità, perché a suo avviso le persone, spostando la propria memoria interna nei testi scritti, non avrebbero più memorizzato le cose dentro di loro. In realtà non è andata proprio in questo modo. Certo, i singoli individui hanno ricordato di meno, ma la disponibilità della scrittura ha consentito lo sviluppo di un processo di oggettivazione del pensiero umano grazie al quale è stato reso possibile lo scambio e la moltiplicazione di un patrimonio condiviso di conoscenze, narrazioni e miti che hanno fatto crescere molto velocemente sia la cultura sociale sia quella individuale. Se, quindi, è andata progressivamente indebolendosi la memoria del singolo, nel contempo si è enormemente rafforzata la memoria collettiva, in conseguenza della capacità della scrittura di fissare la memoria nei testi e, per di più, di tradurre gli specifici ricordi di ogni individuo in ricordi fruibili da tutti. Ogni generazione ha potuto trasmettere così le sue esperienze più significative a quella successiva, senza che questa dovesse necessariamente ripeterle a sua volta. Il che ha permesso all'umanità di effettuare dei notevoli progressi sul piano culturale e sociale. Questo processo continua a svilupparsi nell' attuale epoca digitale e, anzi, si rafforza, perché gli strumenti elettronici consentono di mettere facilmente

in comune informazioni e storie di vario genere e di

tar crescere rapidamente la cultura sociale, grazie soprattutto alla loro velocità di funzionamento e alle enormi quantità di interconnessioni rese possibili dal web. Oggi, però, sta accadendo anche qualcosa di diverso, perché non si assiste più a una libera crescita della cultura collettiva, piuttosto a una progressiva appropriazione da parte di privati di tale cultura. La memoria viene portata fuori dai corpi biologici, come accadeva pure all'epoca della scrittura tradizionale, ma, anziché fissarsi in testi condivisi come i libri, viene spesso registrata in un cloud o in una banca dati di qualche impresa e, in questa nuova condizione, è solo parzialmente disponibile per la collettività. Non solo, dunque, la nostra memoria viene portata fuori dal nostro corpo, ma la sua proprietà cambia, in quanto è resa pubblica e privata al tempo stesso. In sostanza, non siamo più noi a controllarla. E non è detto che possa essere immediatamente disponibile quando se ne avrà bisogno: occorrerà probabilmente avere le necessarie risorse economiche da versare alle imprese proprietarie. E andrà inoltre messo in conto che a volte queste potranno scomparire, travolte da difficoltà di mercato, con la conseguenza che con esse scomparirà quel pezzo di memoria collettiva che possedevano. Siamo di fronte allo sviluppo di quello che può éssere chiamato "oblio digitale". Si vive ali' interno di una specie di eterno presente e tutto quello che proviene dal passato, se non è reso accettabile dal fatto di essere trasformato in vintage, è considerato anacro-

nistico. Tuttavia, ciò ci consente di liberare la mente, di depositare da qualche parte immagini, testi, comportamenti che in precedenza ci appartenevano, ma anche, nel contempo, di poter usufruire al bisogno di grandi quantità di conoscenza e di poterci muovere liberamente e senza problemi in molteplici direzioni. Si tratta, certo, di un notevole vantaggio, che però, nel contempo, ci priva di punti di riferimento indispensabili quando si devono fare dei confronti e prendere delle decisioni efficaci. E, dato che non si possiedono neppure dei punti di vista, non si può sviluppare una visione critica della realtà. In poche parole, si perde la capacità di comprendere il mondo sociale in cui si vive. Come è già stato dimostrato negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento da diversi psicologi statunitensi, la mente umana ha la capacità di attivare simultaneamente, nei confronti dei messaggi dei media, ma anche di tutto ciò che sperimenta ogni giorno, tre specifici meccanismi di selezione: l'esposizione selettiva, la percezione selettiva, la memorizzazione selettiva. Ciascuno di essi svolge una funzione protettiva della mente rispetto ai numerosi messaggi provenienti dall'ambiente esterno, e insieme consente all'individuo di esprimere la propria soggettività, ossia la sua natura di essere umano specifico. Se questi meccanismi, come accade sempre più frequentemente oggi, vengono delegati ali'esterno, l'essere umano rinuncia a una sua peculiare capacità. Se, cioè, la memorizzazione non è più un processo che ogni cervello effettua in maniera particolare e personale, ma una procedura stan-

dardizzata che hard disk e software applicano sistematicamente attraverso modalità oggettive, la memoria umana non solo viene a essere delegata all'esterno, ma tende anche a modificare la propria natura. E l'essere umano non può più essere considerato tale se rinuncia totalmente alla sua funzione di memorizzazione. Per indicare l'hard disk di un qualsiasi apparecchio elettronico si impiega abitualmente il termine "memoria", ma è evidente che questa è un'altra cosa. Come ha messo in luce Lev Manovich nel volume Il linguaggio dei nuovi media, memorizzare, nell'era digitale, comporta un'operazione di accumulazione, ovverosia di attribuzione a tutto dello stesso peso. Un tweet recente e scritto molto rapidamente è posto sullo stesso piano di uno studio importante, frutto di anni e anni di accurate ricerche accademiche. Certo, le quantità d' informazioni che oggi possono essere accumulate in un database sono enormi, ma viene progressivamente a indebolirsi la possibilità di dare vita a delle interpretazioni, di consentire all'essere umano di esprimere la sua soggettività e la sua originalità.

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II

Vita da socia!

I media hanno in genere operato utilizzando reti in grado di fare circolare dei messaggi. Hanno creato e sfruttato delle reti sin dalla comparsa, alla fine del Settecento, del telegrafo ottico. Paradossalmente, però, il risultato è stato che la socialità si è via via indebolita. Strumenti pensati e realizzati per consentire agli individui di connettersi meglio tra di loro hanno determinato una riduzione della qualità delle relazioni. Con grande probabilità, ciò è avvenuto perché la possibilità consentita dal mezzo di collegarsi agli altri dal proprio spazio privato ha gradualmente indotto le persone a delegare il contatto esterno diretto al mezzo stesso. Questo ha, dunque, assorbito la funzione relazionale svolta dall'essere umano, il quale si è invece sempre più isolato. Come se i media, man mano che assorbivano al loro interno l'attività sociale presente nella rete delle relazioni umane, avessero parallelamente sottratto a tale rete parte della sua efficacia. Va detto, inoltre, che i mezzi di comunicazione, nel corso del processo di diffusione che hanno intrapreso a partire dall'Ottocento, hanno progressivamente indebolito lo spazio sociale collocato esternamente a ciascuno di essi. Vale a dire che se il giornale ha consentito la nascita dell'opinione pubblica e di

uno spazio di confronto sociale, in seguito anche il cinema, la radio e la televisione hanno vissuto, alla loro comparsa, una fase intensamente sociale per quanto riguarda la loro fruizione. Negli ultimi decenni, però, tutti questi mezzi hanno a poco a poco individualizzato il loro processo di fruizione e ridotto il ruolo rivestito in tale processo dalla socialità. Nel contempo, si è rafforzata, all'interno di ciascun mezzo, la presenza di una socialità "simulata", vale a dire una socialità messa in scena dentro il mezzo che prevede pure la presenza dello spettatore, mediante un suo presunto rappresentante. I media creano nelle persone anche l'illusione di sentirsi parte di una grande comunità, che sta condividendo nello stesso momento il medesimo evento. Ciascuno è isolato nel suo spazio privato, ma, poiché sta fruendo degli stessi messaggi di cui fruiscono gli altri, sente di essere parte integrante di quelle «comunità immaginate» che sono state descritte dall'antropologo Benedict Anderson nel libro omonimo. Da questo punto di vista, la radio e la televisione devono essere considerate dei media esemplari, in quanto sono appunto in grado di creare nei loro utenti quella sensazione potente di essere all'interno di un ampio gruppo sociale attivo nello stesso momento. Ma si tratta appunto di un'illusione. In realtà, molti vivono oggi in una condizione di profonda solitudine, determinatasi in gran parte, come abbiamo detto, per effetto del ruolo di tipo sostitutivo esercitato da parte dei media nei confronti della vita sociale delle persone. 88

Anche Internet opera attraverso le stesse modalità. Gli individui si espongono quotidianamente nelle vetrine digitali dei socia! network perché queste sono gratificanti, in quanto consentono di sentirsi al centro della scena, davanti agli altri. Sebbene molti di coloro che a centinaia si qualificano come "amici" siano solo degli sconosciuti, l'impressione è comunque quella di trovarsi davanti a una platea costantemente in ascolto e ciò produce sensazioni estremamente rassicuranti in quelle persone che si trovano a vivere una condizione sociale caratterizzata da un'elevata incertezza. Ed è senza dubbio rassicurante pure un'altra promessa che proviene dalle vetrine digitali: poter attribuire una stabilità temporale alla propria identità, crearsi, cioè, una specie d' "immortalità virtuale". In cambio di ciò, Facebook e gli altri socia! network chiedono oggi alle persone di essere fiduciose e trasparenti e di affidare loro senza remore le informazioni che riguardano la propria vita privata. Questo spiega perché l'ideologia del web sia fondata sul mito della trasparenza, un mito che era già presente alle origini della cultura moderna. Essa ha nel frattempo vissuto il traumatico passaggio dalla condizione comunitaria a quella della realtà urbana, dall'esistenza in un ambiente sociale nel quale tutti si conoscevano e si fidavano reciprocamente a una nella quale l'altro è un perfetto sconosciuto e pertanto, per potersi fidare, è necessario che diventi "trasparente". Non è un caso, infatti, che in Europa, a partire dalla seconda metà del Settecento, ci sia stata una notevole espan-

sione della cultura illuministica. Cioè un'espansione dell'idea che fosse necessario "illuminare" il mondo, grazie alle capacità della ragione umana. Anche in seguito, le società moderne hanno continuato a perseguire il mito della trasparenza: l'hanno fatto attraverso i media tradizionali e continuano a farlo con quelli digitali. Così, negli ultimi anni, si è intensificato il bisogno di trasparenza, sino a trasformarsi in una specie di ossessione sociale. Oggi, infatti, le persone ritengono di avere un valore nella società solamente quando sono connesse alle altre attraverso il web e si sottopongono, perciò, senza problemi e in continuazione allo sguardo di altri occhi. Ma gli individui, anziché sentirsi indifesi, hanno l'impressione di essere in maggior misura al sicuro, perché si sentono strettamente connessi con quella ricca umanità che vive nello spazio urbano. La trasparenza non dà, però, vita a una vera condizione comunitaria, quindi essi non sentono un obbligo di aiuto reciproco derivante dal legame esistente, come avveniva all'interno delle comunità tradizionali. È una rete sociale semplice, che lascia maggiormente libere le persone, ma è improbabile che si renda disponibile nel caso che si abbia realmente bisogno di aiuto. Serve più che altro a condividere dei momenti piacevoli. Insomma, quello che accade oggi è che si è circondati in apparenza da tanti amici, ma in realtà si tratta di veri e propri "fantasmi digitali". Non va dimenticato che la trasparenza, generalmente vissuta come uno strumento di miglioramento 90

della qualità della vita sociale, se spinta all'eccesso, può rivelarsi tute' altra cosa. Può determinare, infatti, la nascita di nuove forme di coercizione nei confronti dell'individuo. L'ha efficacemente mostrato lo scrittore statunitense Dave Eggers nel suo romanzo Il cerchio, da cui emerge chiaramente come la promessa di rendere le persone più umane e sicure attraverso la trasparenza tanto caldeggiata dalle grandi imprese del web comporti anche una maggiore esposizione ed elevati rischi di manipolazione e controllo. Il filosofo francese Régis Debray ha sostenuto, nel volume Il nuovo potere. Macron, il neo-protestantesimo e la mediologia, che ciò è il risultato del progressivo imporsi in tutto l'Occidente di un modello etico e culturale di carattere «neo-protestante»: sviluppatosi nei paesi del Nord Europa, legato a un tipo di società rigorosa ed efficiente, si sta gradualmente diffondendo nell'intera cultura occidentale, Italia compresa. Esso trae sostanza direttamente dall'etica protestante, secondo la quale la responsabilità della salvezza dell'anima è del fedele. Questi deve farsi carico dell'interpretazione del testo biblico e dell' applicazione dei suoi precetti. Passato negli Stati Uniti, tale modello si è trasformato nell'individualismo del "do it yourself" ed è alla base di quella che qualche anno fa è stata chiamata l' « ideologia californiana», che ha portato al successo le potenti techno-corporations del mondo digitale contemporaneo; e che ora fa ritorno in Europa, dopo essersi rivitalizzato e rinnovato. È questo per Debray il « nuovo potere», che sta pene91

trando con forza anche in un paese storicamente a prevalenza cattolica come la Francia. Il diffondersi del «nuovo potere» può erodere la concezione della privacy esistente in Europa, tradizionalmente molto diversa rispetto a quella statunitense. Debray non a caso cita Eric Schmidt, CEO di Google, secondo il quale « solo le persone che hanno qualcosa da rimproverarsi si preoccupano dei loro dati personali» (p. 34). Secondo questa visione, un buon protestante non ha nulla da nascondere agli altri. Si tratta piuttosto di un alibi, perché le techno-corporations, dietro un'immagine di apparente trasparenza, portano a conoscenza dei loro fruitori solo ciò che corrisponde alla loro visione della realtà, arrogandosi il diritto di decidere per l'intera società quello che dev 'essere escluso e quello che, invece, il loro puritanesimo politically correct può ammettere. E intanto i loro utenti sono sottoposti all'obbligo morale di non nascondere nulla. Anche perché i dati che producono con i loro comportamenti sono preziosi per le aziende, come hanno dimostrato vari scandali, a cominciare da quello che ha visto coinvolte Cambridge Analytica e Facebook.

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Un capitale sociale virtuale

Il concetto di « capitale sociale» è particolarmente rilevante ali' interno della sociologia economica ed è stato affrontato da numerosi autori. Tra essi spicca il contributo di Pierre Bourdieu, il quale ha affermato, nel volume La distinzione, che le scelte effettuate dagli individui sono generalmente influenzate da tre fondamentali tipi di risorse: il «capitale economico» (connesso alla ricchezza posseduta e alla professione praticata), il «capitale culturale» (legato al livello di istruzione, derivante a sua volta dalla cultura trasmessa dalla famiglia e dalla scuola) e il « capitale sociale» (collegato alle relazioni personali a disposizione di ogni persona per perseguire i suoi fini e migliorare il suo status sociale). Secondo Bourdieu, ciascun individuo occupa nella società una posizione che è direttamente dipendente dalle quantità di capitale economico, culturale e sociale di cui può disporre. Il capitale sociale sembra, però, essere sottoposto oggi a un intenso processo di cambiamento, dovuto soprattutto all'avvento di Internet. Grazie alla mancanza di un contatto diretto "faccia a faccià', questo strumento consente alle persone di esprimersi ma, nello stesso tempo, di rimanere in una situazione di isolamento, evitando così i possibili problemi derivanti dalle relazioni sociali. Probabilmente, il notevole successo 93

che sta ottenendo dipende proprio da questo. Come ha sostenuto la psicologa Sherry Turkle, nel volume Insieme ma soli, gli esseri umani oggi tendono in maniera crescente a preferire il rassicurante dialogo con i computer a quello imprevedibile e molto meno controllabile con i loro simili. Ciò verso cui ci stiamo progressivamente muovendo è, insomma, lo sviluppo di un "capitale sociale virtuale". Ossia, un capitale sociale che sembra essere molto simile a quello tradizionale, ma che in realtà si presenta come assai diverso. L'ha dimostrato, ad esempio, la Primavera araba del 2010-11, durante la quale i movimenti sociali giovanili, ribellatisi ai propri governi autoritari, hanno fatto massicciamente ricorso ai socia! network per aggregarsi e comunicare. Essi hanno ottenuto anche risultati concreti quali le piazze affollate di manifestanti e persino le dimissioni dei capi di Stato contestati, ma in seguito si sono rapidamente dissolti. Forse perché la socialità praticata mediante i socia! network è "di facciata': in quanto viene prodotta dall'aggregazione di individui isolati che riescono solo momentaneamente a mettere assieme i loro desideri e le loro spinte ideali, ma che non hanno la possibilità e il tempo di consolidare i loro legami interpersonali. I socia!, cioè, favoriscono e accelerano la mobilitazione delle persone, senza avere la capacità di attribuire stabilità alle relazioni. Del resto, è evidente che, grazie ai nuovi strumenti di comunicazione, le connessioni tra le persone si vanno moltiplicando, ma anche che, quanto più tali 94

connessioni crescono, tanto più i singoli legami sociali s'indeboliscono. Si tratta di una legge fisica alla quale non si può sfuggire, perché, al crescere della quantità delle relazioni, le ore che ogni individuo può dedicare a ciascuna di esse necessariamente si riducono, in quanto il tempo a disposizione costituisce una risorsa limitata. In sostanza, il processo di moltiplicazione in corso nelle società contemporanee per le connessioni mediatiche determina inevitabilmente un indebolimento dei legami sociali. Non a caso una ricerca condotta nel 2013 dall'Università di Stanford su un campione di bambine comprese tra gli 8 e i 12 anni ha mostrato che queste, più utilizzano Facebook e gli altri socia! network, più sentono di essere isolate socialmente e infelici.L'impiego dei socia!, difatti, riduce il tempo che è possibile dedicare ai contatti diretti con le persone e alle capacità relazionali che tali contatti consentono di sviluppare. Analogamente, un'altra indagine, che viene realizzata periodicamente negli Stati Uniti a partire dal 1975 - il Monitoring the Future del National Institute on Drug Abuse -, ha rilevato che nel 2015 i 13-14enni che trascorrevano dieci o più ore alla settimana sui socia! network avevano il 56% di probabilità in più di sentirsi "non felici': mentre quelli che ne facevano un uso intenso aumentavano il loro rischio di essere depressi del 27%. La stessa indagine ha messo in evidenza come tutte le attività condotte su un qualche schermo digitale da parte dei giovanissimi sono sensibilmente correlate con l'infelicità. Un'altra ricerca, del 2014, questa volta ad opera dell'ISTAT e re9S

lativa all'Italia, ha asserito, invece, che i socia! network come Facebook e Twitter determinano una riduzione della fiducia posseduta dagli individui nei confronti del prossimo (dell' 8%, se confrontata con il dato relativo ai non utenti). Del resto, le relazioni online tendono più facilmente di quelle in presenza a generare fenomeni d'incomprensione e di aggressività. Insomma, la promessa dei social network di offrire a tutti una vita interamente sociale sembra potersi difficilmente avverare. Al contrario, essi spingono la società verso un'esistenza fortemente individualistica. D'altronde, il modello portato avanti dalle maggiori imprese che operano nel web è solitamente un modello di tipo neoliberista, che ha alla base la visione di una società frammentata e costituita da individui isolati, i quali non possono più contare su tutele collettive come quelle garantite in passato dagli Stati moderni e devono fare affidamento solo su sé stessi e sulle proprie capacità. Ciò che ottengono dipende da loro e persino la salute personale è vista come una variabile condizionata non più dallo Stato e da chi lo governa, ma dai comportamenti individuali.

13 Il potere della pubblicità sui media

Se gli esseri umani si stanno fondendo con i media, è pure per la spinta determinante che viene a tale proposito dalla pubblicità. Questa infatti fornisce da tempo un sostegno economico fondamentale al sistema dei media: a partire dai quotidiani popolari dell'Ottocento, mette a disposizione ingenti risorse economiche che consentono ai mezzi di comunicazione di funzionare al meglio e dunque anche di divenire strumenti d'espressione fondamentali per lo sviluppo di quei confronti d'idee di cui l'opinione pubblica delle società moderne non può fare a meno. In cambio, però, la pubblicità pretende generalmente dai media di conoscere con chiarezza le caratteristiche dei pubblici a cui si rivolgono, in modo da indirizzare i suoi messaggi con la massima precisione possibile, ma anche da spingere gli stessi media a produrre contenuti in grado di soddisfare in maggior misura i loro interlocutori ed' incrementare così il loro numero. Questo risultato veniva ottenuto in passato tramite vaste ricerche statistiche che esploravano in profondità alcuni campioni rappresentativi della popolazione, ma la diffusione dei media digitali ha consentito di estendere tale lavoro di ricognizione a tutti gli utenti. Dalle ricerche su Google al pagamento di un biglietto ferroviario, ogni singola azione è diven97

tata registrabile, archiviabile e sfruttabile allo scopo di costruire proposte pubblicitarie "su misura" per il singolo individuo. Nulla sfugge all'occhio vigile della pubblicità e tutto viene fissato e analizzato: le conversazioni interpersonali che avvengono su Facebook e WhatsApp o i selfie postati su lnstagram. Persino le conversazioni della vita quotidiana vengono intercettate e registrate - l'app di Facebook è, infatti, in grado di farlo tramite i microfoni degli smartphone e quando la si installa chiede automaticamente l'apposita autorizzazione agli utenti. E anche i dispositivi domestici tuttofare che si vanno diffondendo, come Echo di Amazon o Home di Google, registrano quello che le persone dicono all'interno delle proprie abitazioni. Non è un caso che delle registrazioni di Echo siano già state richieste dalla polizia dell'Arkansas come prove processuali a carico di un imputato accusato di omicidio. Ma le aziende che operano nel web come utilizzano i numerosi dati che raccolgono? Essendosi trovate in difficoltà nell'interpretare le rilevanti differenze esistenti tra quello che gli utenti dicono di sé stessi e dei propri comportamenti e le azioni che essi realmente compiono, hanno deciso di fare ricorso semplicemente alla raccolta delle numerose tracce che vengono lasciate dagli utenti in rete e di non tentare d'interpretare tali tracce. I dati si accumulano automaticamente, anche grazie al processo di digitalizzazione in corso nella società, e, una volta raccolti ed elaborati mediante opportuni algoritmi, possono

lare vita a dei "metadati". Producono, cioè, ulteriori :nformazioni. Ad esempio, conoscendo i movimenti etfettuati e le persone frequentate da un individuo, si può sapere molto sul suo stato di salute o sulla sua vita privata. Come è stato riportato dal giornalista Paolo Pagliaro nel libro Punto, una ricerca condotta dall' Università di Cambridge in collaborazione con Microsoft su cinquantottomila americani ha mostrato come gli utenti, attraverso i loro "mi piace" su Facebook, forniscono informazioni molto precise della propria personalità. I ricercatori, difatti, hanno individuato con una accuratezza dell' 85% dei casi le preferenze politiche e con una dell' 88% la condizione di gay (pp. 18-9 ). Si potrebbe dire, addirittura, che i cosiddetti "big data" rendono probabilmente intellegibili molti dei nostri desideri più profondi, dei quali noi stessi non siamo pienamente consapevoli. Tutto ciò ha messo in difficoltà una lunga tradizione di analisi statistica basata sulla messa a punto di categorie descrittive del mondo sociale. Come appare d'altronde evidente in diversi ambiti, tra cui quello politico, oggigiorno le persone comuni nutrono spesso un intenso sentimento di diffidenza verso politici, giornalisti o esperti vari, perché non si riconoscono più nelle categorie interpretative che cercano di comprenderli. Così, come ha sostenuto con chiarezza il sociologo inglese William Davies nell'articolo La fine dei fatti, pubblicato dalla rivista "Internazionale", quello che succede oggi è che «Non solo le statistiche sono considerate inattendibili, ma sembra quasi che 99

abbiano qualcosa di offensivo e di arrogante. Ridurre le questioni sociali ed economiche ad aggregati numerici o medie appare un insulto alla dignità politica delle persone» (p. 39). Il potente processo d, individualizzazione che è in corso da diversi decenni all' interno delle società occidentali avanzate spiega forse perché gli individui siano sempre più difficilmente riconducibili a quelle categorie che in passato permettevano di aggregarli, e ciò rende la società e i fenomeni sociali "oggetti" difficoltosi da comprendere. Se, infatti, in precedenza si poteva suddividere la società in gruppi che la rendevano più semplice da interpretare, oggi questo non è più possibile: ci si può solo limitare a considerarla come un insieme eterogeneo d'individui. Tuttavia, anche comprendere la singola persona comporta diverse difficoltà. Come detto, possono nascere dei dubbi sull'attendibilità del profilo che i dati digitali raccolti consentono di tracciare, dato che la modalità solitamente seguita nell'elaborare questi dati prescinde da un modello interpretativo ed è il risultato di correlazioni effettuate a posteriori tra le azioni registrate, che possono anche non essere significative; inoltre, i comportamenti umani che vengono utilizzati come base delle elaborazioni algoritmiche riguardano solamente i soggetti attivi ed è stato ampiamente dimostrato da diverse ricerche che nel web tali soggetti sono da considerare una ridotta minoranza della popolazione presente. Addirittura, secondo alcuni studi, poco più del 10% della popola100

zione produce attivamente dei contenuti. Si aggiunga che spesso le informazioni raccolte per essere elaborate sono poco accurate e male organizzate, frangente in cui diventa arduo il confronto tra dati di origine differente, e che, in alcuni casi, si potrebbero avere a disposizione dati certamente falsi, perché rappresentano il prodotto dell'azione di veri e propri "robot cliccanti': cioè programmi d'intelligenza artificiale che sono in grado di comportarsi in maniera simile agli esseri umani. Tenuto conto di tutto ciò, è verosimile che i profili degli utenti che vengono tracciati non siano così accurati come pretendono di essere. D'altronde, quante volte è capitato a ognuno di noi di sentirsi proporre un prodotto che cercava molti giorni addietro e che ha già acquistato o a cui non è più interessato? Questo significa che, con tutta probabilità, anche se viviamo in una società che sta implacabilmente tentando di registrare tutte le azioni che compiamo ogni giorno, è ancora possibile riuscire a sfuggire a una fotografia accurata della nostra vita privata.

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I media-zombi: fusione con il soprannaturale La fusione progressiva tra gli esseri umani e i media si sta verificando non solo sul piano fisico, ma pure sul piano mentale, influenzando, ad esempio, la percezione delle coordinate spaziali e temporali. Sta avvenendo, però, anche su un piano non spiegabile razionalmente, ma che fa parte appieno della nostra cultura, come quello del soprannaturale. È quello che ha affermato Federico Boni nel volume The watching dead: di solito «I media abitano una dimensione che si pone tra la vita e la morte» (p. 74). D'altronde, McLuhan aveva ben compreso negli anni Sessanta la natura sostanzialmente "aliena" dei media rispetto al contesto quotidiano in cui vivono le persone. Sosteneva, infatti, che a esercitare degli effetti sulla cultura sociale, più che il contenuto dei messaggi trasmessi dai media, fosse soprattutto la semplice presenza degli stessi media all'interno delle abitazioni private. Presenza che consentiva loro di manifestarsi attraverso la propria specifica tecnologia e le proprie particolari modalità di funzionamento. Proprio il possesso di una natura aliena permette ai media di collocarsi in un territorio di confine e di fare pertanto da tramite rispetto a tutto ciò che non appartiene al mondo della quotidianità. Grazie ai media, dunque, gli spazi sociali da essi occupati si mettono in 103

collegamento con altri luoghi, lontani nello spazio e nel tempo. Non è un caso perciò che le nuove tecnologie della comunicazione siano spesso apparse, alla loro nascita, alla stregua di virus, in grado di "infettare" inspiegabilmente l'intera società. E gli stessi inventori dei media hanno di frequente avuto contatti con la dimensione del soprannaturale. Ad esempio, l'inventore del telefono - Alexander Graham Beli - aveva come assistente un "medium" e lui stesso ha partecipato a diverse sedute spiritiche. Mentre Thomas Alva Edison e Guglielmo Marconi hanno tentato di realizzare un canale di trasmissione specificamente dedicato alla comunicazione con i morti. Va detto, poi, che il telegrafo, alla sua comparsa, è stato considerato come l'unione della comunicazione elettromagnetica e di quella "spiriticà'. E anche la fotografia è stata utilizzata, già poco dopo la sua invenzione nel 1839, per tentare di documentare la presenza degli spettri durante le sedute spiritiche, per catturare, cioè, quel mondo invisibile che gli occhi degli esseri umani non erano in grado di vedere. Analogamente, le trasmissioni radiofoniche sono a volte apparse ai loro ascoltatori come occupate da voci sorprendenti perché "provenienti dal nulla': dunque voci di morti. E, allo stesso modo, persino le immagini televisive talora hanno dato l'impressione di trasmettere ai vivi il mondo dei morti, come se portassero all'interno delle abitazioni private veri e propri fantasmi. È comprensibile, perciò, perché Boni abbia utilizzato la metafora del morto vivente per tentare di 104

spiegare il funzionamento dei media: essi devono essere considerati come zombi perché condividono con queste spaventose figure dell'immaginario collettivo l'appartenenza a una dimensione liminale. Sono, difatti, anch'essi perennemente sulla soglia, sospesi all'interno di uno spazio indefinito tra la vita e la morte e, proprio per questo, inquietante. Si spiega così anche la grande attenzione che i contenuti dei media hanno da tempo nei confronti del mondo degli zombi - il primo film sui morti viventi è uscito già nel 1932 e si intitolava L'isola degli zombies. Negli ultimi decenni queste figure hanno visto una fascinazione sempre crescente nei loro confronti, grazie alla moltiplicazione delle serie televisive che vi sono state dedicate. Tale fascinazione è stata, però, alimentata soprattutto dai diversi film realizzati dal regista George A. Romero. Non è un caso, forse, che il primo - il celebre La notte dei morti viventi - sia uscito nel 1968, cioè soltanto quattro anni dopo la pubblicazione negli Stati Uniti del fondamentale testo Gli strumenti del comunicare di McLuhan. D'altro canto, i media hanno da tempo una grande confidenza pure con altri "non vivi e non morti". Ad esempio con i fantasmi, che nella tradizione occidentale sono anime già staccatesi dal corpo, ma che non hanno ancora portato a termine il proprio viaggio e continuano, perciò, a "disturbare" i viventi. Oppure con i vampiri, morti che possono continuare a vivere solo a costo di "rubare la vita" mediante il sangue, che ne rappresenta il simbolo. O, anche, con i cosiddetti 105

"post-vampirf', ossia vampiri in un certo senso "addomesticati" e "normalizzati': come i giovani che sono protagonisti delle serie televisive 'Jhe Vampire Diaries o True Blood e quelli della saga cinematografica di grande successo Twilight. Sono tutte figure che incarnano l'altra faccia della cultura di massa contemporanea, il suo versante più oscuro. Quello che colpisce è che in società razionali come quelle odierne, che pretendono di essere efficienti e in grado di controllare tutto perfettamente, tali entità non siano scomparse, ma anzi si siano ulteriormente moltiplicate e diffuse. A ben vedere, infatti, proprio quando nell'Ottocento, con la seconda rivoluzione industriale, le società occidentali hanno intensificato i loro processi di sviluppo economico e sociale, delle figure mostruose hanno cominciato a occupare uno spazio importante e stabile all'interno dell'immaginario collettivo, grazie soprattutto al lavoro creativo esercitato dalla letteratura e dal cinema. Probabilmente esse costituiscono la dimensione tenebrosa e inquietante della cultura moderna, nella quale è stato collocato tutto ciò che ci si rifiuta di vedere, un qualcosa che non è scomparso e, anzi, continua a manifestarsi con forza. Le forme di questo suo manifestarsi sono legate ai momenti di crescita o di rallentamento delle società. È proprio durante le fasi di passaggio che i "mostri" sembrano acquistare vigore e vanno a occupare uno spazio maggiormente visibile nell'immaginario collettivo: forse perché il cambiamento indebolisce la 106

compattezza del tessuto culturale preesistente, lasciando che queste spaventose entità emergano con più facilità. La considerevole importanza che i "non vivi e non morti" rivestono nella cultura contemporanea dipende, in buona misura, anche dalle sempre maggiori difficoltà che tale cultura incontra nella sua relazione con la morte. Questa infatti viene costantemente negata da molteplici messaggi mediatici tesi a enfatizzare la giovinezza e la felicità, ma la sua realtà, nonostante i progressi fatti registrare dalla medicina, è ancora ineliminabile. I tradizionali rituali funebri, intanto, riescono sempre meno ad aiutare le persone a sviluppare un rapporto equilibrato e sereno con la morte e, proprio per questo, la cultura mediatica si fa carico, in maniera crescente, di aiutare le persone a rielaborare mentalmente un'esperienza considerata negativa come la morte, d'insegnare loro a convivere con il mondo soprannaturale.

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Epilogo

La natura progressivamente più invasiva che il sistema dei media tende ad assumere nelle società contemporanee sta probabilmente mettendo in discussione la centralità del ruolo che è stato tradizionalmente svolto dalla cultura umana e dagli individui. Questi, con le loro imperfezioni, sembrano infatti non essere più adeguati a svolgere i compiti che gli competono. Il loro cervello, lento e impreciso, viene considerato una specie di "computer obsoleto". In realtà, è sempre stata proprio questa sua limitatezza a costituire un punto di forza, a costringerlo a seguire la via dell' intuizione e dell'immaginazione. Perché l'errore per gli esseri umani è fertile, consente la creatività e l' apprendimento, mentre gli strumenti elettronici, rigidi e scarsamente flessibili, non sono in grado di accettarlo. È un dato di fatto, però, che oggi i media stanno via via esautorando gli esseri umani, sostituendoli in molte delle loro funzioni. Le persone cercano goffamente di rincorrerli, rinunciando alle loro peculiari caratteristiche. Esternalizzano così, ad esempio, la loro memoria negli hard disk dei computer, ma, allo stesso tempo, anche la loro capacità di selezionare e di conservare quello di cui hanno la necessità. Perché è stato dimostrato che la memoria umana funziona in questo modo: non solo registra, ma sceglie e rielabora atti109

vamente per i propri scopi. E la stessa funzione attiva può essere attribuita a numerose altre azioni svolte dal cervello. Occorre chiedersi allora se esiste la possibilità di attribuire nuovamente un ruolo importante all'essere umano. Se, cioè, si possono porre dei limiti ai problematici effetti sociali generati oggi dai media. In particolare, al successo ottenuto da quel modello aperto e relativistico che caratterizza la cultura postmoderna, la quale ha avuto negli ultimi decenni un'elevata diffusione soprattutto perché ha saputo operare come un'ideologia in grado di legittimare e supportare efficacemente l'impetuoso sviluppo parallelamente registrato dal pensiero neoliberista. Se quest'ultimo ha agito, infatti, negli ambiti dell'economia e della politica, imponendo principalmente l'idea che lo Stato dev'essere smantellato a favore del mercato, il modello postmoderno ha svolto lo stesso ruolo all'interno dello spazio culturale. Il neoliberismo e il postmoderno hanno in comune la promessa di rendere più libero l'individuo, mentre in realtà hanno ridotto progressivamente il potere di cui quest'ultimo disponeva in precedenza. Se tutto diventa relativo, se tutte le posizioni possono avere un valore, come sostengono i fautori del postmoderno, alla fine nulla ha più valore - mentre, nel frattempo, il potere continua a rimanere ben saldo, e anzi ad accrescersi, nelle mani di chi l'ha sempre detenuto (l'élite politica, il capitale economico e finanziario, le lobby ecc.). E tende a imporre gradualmente alle persone un unico modello culturale, ossia 110

un punto di vista dominante attraverso il quale vedere e interpretare la realtà sociale, che è quello che viene generalmente presentato dai media. Cosa si può fare, allora, nei loro confronti? La tradizione di pensiero della modernità ha mostrato in che modo la cultura mediatica possa essere affrontata attribuendo un ruolo critico al soggetto umano. Roland Barthes, ad esempio, già negli anni Cinquanta, nel celebre testo Miti d'oggi, ha indicato come criticare i miti della cultura di massa. Ha mostrato per quali vie si possa tentare di "demistificare" i messaggi dei media e dell'industria culturale. A dire il vero, prima ancora di Barthes, già nel 1951, con il volume La sposa meccanica, McLuhan aveva sostenuto che questi messaggi potevano essere trattati esattamente allo stesso modo dei testi letterari e, dunque, sottoposti a una rigorosa analisi critica. E dopo McLuhan e Barthes, pure Umberto Eco e altri intellettuali hanno provato come sia possibile effettuare un'analisi critica della cultura di massa. L'approccio sviluppato da Barthes ha influenzato anche l'attività di ricerca portata avanti dalla cosiddetta "Scuola di Birmingham': da cui, com'è noto, è derivato negli ultimi decenni il ricco filone di ricerca dei cultura/ studies, che continua a porsi il problema di un esame approfondito degli oggetti della cultura di massa, sebbene abbia generalmente rinunciato ad adottare nei confronti di tale cultura un proprio punto di vista. Del resto, la straordinaria affermazione sul piano sociale della cultura postmoderna, caratterizIII

zata da un profondo relativismo nel quale tutto si mescola, al punto che si annullano i criteri di valutazione, sembra aver definitivamente messo in crisi il soggetto critico della modernità. Vi hanno contribuito anche Internet e le tecnologie elettroniche oggi disponibili, con le loro crescenti possibilità espressive. Si è imposta, infatti, l'idea che ogni messaggio della cultura mediatica dev'essere considerato non come già dotato di significati stabiliti, ma come una proposta per un destinatario al quale è lasciato il compito di definirne il senso finale. Gli individui sono così spinti verso lo sviluppo di forme personali d'espressione e la società tende, di conseguenza, a mitizzarne il ruolo, mentre viene meno la necessità sociale dei tradizionali intermediari culturali (critici letterari, cinematografici, musicali, gastronomici ecc.), in passato in grado di distinguere e riconoscere l'affidabilità di chi diffondeva un messaggio. Ne è derivato, pertanto, un terreno estremamente vischioso nel quale è sempre più difficoltoso valutare l'operato delle singole persone e la qualità delle forme espressive circolanti. Quale strategia allora è possibile impiegare per confrontarsi alla pari con la cultura mediatica nel momento in cui il soggetto critico della modernità non possiede più la forza di un tempo e l'approccio postmoderno ha dimostrato di non essere in grado di prenderne il posto? Le strade possibili sono diverse. Una prima strada percorribile è quella che è stata indicata dall'artista Andy Warhol: consapevole dell'e112

sistenza di un processo di "tramonto della realtà': egli cercava di combatterlo registrando ossessivamente tutto quanto gli accadeva nella vita quotidiana. Soprattutto, con la registrazione di ciò che veniva trasmesso dalla televisione e dagli altri media cercava di fare ricorso a un paradossale "effetto omeopatico", in quanto, a suo avviso, come ha scritto Anna Luigia De Simone nel libro Andy Warhol's TV, «l'immagine registrata prende il posto della realtà ma, allo stesso tempo, cela l'ultima possibilità rimasta di entrare in contatto con il reale: probabilmente è l'unica apparizione capace di scuotere dal sonno della realtà indotto dai media» (p. 57 ). La soluzione di Warhol, però, è di fatto perdente, giacché costringe a inseguire in continuazione un flusso sovrabbondante di linguaggi che è fuori dalla portata delle limitate capacità cognitive e mentali dell'essere umano. Una strategia alternativa è stata proposta da tempo da parte di Walter Benjamin, il quale ha sostanzialmente indicato la possibilità di sostituire la tradizionale prospettiva esplicitamente critica con un metodo "dialettico". Benjamin pensava, difatti, che la critica più radicale potesse essere esercitata da ciascuno cercando di penetrare ali' interno di ciò che più lo affascina. Ossia, attraverso un attento lavoro di selezione e accumulo di materiali espressivi, Benjamin riteneva di poter far emergere dalle immagini stesse, quasi in maniera automatica, un punto di discontinuità. Un riferimento, cioè, in grado di far sì che l'individuo diventi pienamente consapevole di sé e possa far fronte 113

alle immagini di quella cultura mediatica che lo sommerge quotidianamente. Infine, va tenuto presente quello che ha suggerito il filosofo Bernard Stiegler nel volume Il chiaroscuro della rete: è necessario considerare ogni dispositivo tecnologico, mediatico e non, come un vero e proprio pharmakon per l'intelligenza umana. In quanto tale, esso opera simultaneamente come veleno e come rimedio, come dipendenza e come autonomia, come passività e come creatività. Per Stiegler, dunque, gli esseri umani possono arrivare a esercitare su di esso un certo controllo, attraverso lo sviluppo di un'apposita terapia farmacologica "positiva".

Opere di riferimento

Data la vastità dei temi che affronta, questo libro si appoggia a una letteratura scientifica particolarmente corposa. Ma per non appesantirne la lettura si è deciso di limitare al massimo la citazione dei riferimenti bibliografici. Nelle pagine che seguono, pertanto, verranno offerte le informazioni bibliografiche relative ai principali libri e articoli che sono stati esplicitamente citati o consultati nella stesura dei vari capitoli.

Prologo La frase in esergo proviene dal libro di Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano 2002, p. 153, che si può ormai considerare un classico degli studi sui media digitali. Il testo che è stato maggiormente considerato per il Prologo è il fondamentale lavoro di Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1967. Un'efficace sintesi del pensiero di McLuhan si può rintracciare nel suo libro Intervista a

Playboy. Un dialogo diretto con ilgran sacerdote della cultura pop e il metafisico dei media, FrancoAngeli, Milano 2013. I principali risultati delle ricerche condotte a livello internazionale sugli effetti sociali prodotti dai media sono stati sintetizzati nel primo capitolo del mio volume / media siamo noi. La societa trasformata dai mezzi di comunicazione, FrancoAngeli, Milano 2014. Il concetto di "tramonto della realtà" è influenzato dal classico lavoro dello storico tedesco Oswald Spengler, Il tramonto

dell'Occidente. Lineamenti di una moifologia della storia mondiale, Longanesi, Milano 2008. 115

Il politologo Giovanni Sartori ha suscitato molte discussioni con un libro che proponeva una posizione critica nei confronti del linguaggio televisivo: Homo videns. Televisione epost-pensiero, Laterza, Roma-Bari 2000. Questo volume è stato tenuto presente per cercare di capire come le riflessioni in esso contenute dovessero essere modificate alla luce del crescente diffondersi dei media digitali. Tra i numerosi autori favorevoli all'idea che nelle società avanzate sia in corso un passaggio a una condizione di "postmedialità", si può consultare l'agile volumetto di Ruggero Eugeni, La condizione postmediale. Media, linguaggi e narrazioni, La Scuola, Brescia 2015.

I

I media e il "tramonto della realtà" Il breve racconto di Jorge Luis Borges, Del rigore della scienza, proviene dal volume Storia universale dell'infamia, Adelphi, Milano 1997. In questo capitolo si è fatto riferimento anche al testo di Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale, Longanesi, Milano 2008. Le riflessioni svolte sull'evoluzione del concetto di opinione pubblica hanno tenuto presente il classico lavoro di Jiirgen Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, RomaBari 2002. Sul cambiamento del concetto di opinione pubblica alla luce dell'evoluzione del mondo dei media si può consultare anche il manuale di Alberto Abruzzese e Paolo Mancini, Sociologi-e della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 2007. Sulla concezione del rapporto tra realtà e rappresentazione presente in Platone cfr. Il Sofista, Bompiani, Milano 1992. Sul concetto di simulacro può utilmente essere consultato anche un lavoro di sintesi sviluppato da Mario Perniola, La societa dei simulacri, Cappelli, Bologna 1983, ripubblicato sulla rivista "Agalma" nel numero dell'ottobre-aprile 2010-11. 116

Il tema della scomparsa della realtà è stato affrontato più volte da Jean Baudrillard. In questa sede di tale autore ho tenuto presenti soprattutto Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli, Bologna 1980 e il volumetto postumo Perché non egia tutto scomparso?, Castelvecchi, Roma 2013. 2

Entrare nello spettacolo Ho tentato di analizzare i travolgenti processi di cambiamento che hanno preso il via in Occidente nella seconda metà degli anni Settanta all'interno del secondo capitolo del volume L'era dello schermo. Convivere con l'invadenza mediatica, FrancoAngeli, Milano 2013. L'orientamento narcisistico della cultura contemporanea è stato messo in luce soprattutto dallo storico statunitense Cristopher Lasch nel libro La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1981.

Il concetto di «opera aperta» è stato proposto da Umberto Eco nel volume Opera aperta, Bompiani, Milano 1962. Le principali riflessioni di Guy Debord sono contenute in La societa dello spettacolo. Commentari sulla societa dello spettacolo, Baldini & Castaldi, Milano 1997.

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Dai marziani di Orson Welles alla postverità Il testo completo del celebre programma radiofonico di Orson Welles sui marziani è presentato all'interno del volume da me curato È tutto vero. Marziani, astronavi e beffe mediatiche, FrancoAngeli, Milano 2016, che analizza anche le conseguenze sociali e mediatiche di tale programma. 117

Orson Welles ha tratto il suo programma dal romanzo pubblicato nel 1898 dallo scrittore Herbert George Wells, La guerra dei mondi, Fanucci, Roma 2017. Umberto Eco ha raccontato l'esperimento che ha condotto con il programma televisivo sugli scontri di Vaduz in un capitolo del libro Dalla periferia dell'impero. Cronache da un nuovo medioevo, Bompiani, Milano 1991. Il sociologo francese Patrice Flichy ha dettagliatamente analizzato la figura dell' "amatore" all'interno del libro La societa

degli amatori. Sociologi.a delle passioni ordinarie nell'era digitale, Liguori, Napoli 2014. Il tema della "postverità" è stato esplorato da Maurizio Ferraris in Postverita e altri enigmi, il Mulino, Bologna 2017, mentre le riflessioni di Eco sulla menzogna sono contenute nel Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1975. La natura contemporanea della menzogna è stata analizzata anche da Charles Seife nel testo Le menzogne del Web. Internet e il lato sbagliato dell'informazione, Bollati Boringhieri, Torino 2015.

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Transtelevisione: lo spettatore va in scena La distinzione di Umberto Eco tra «Paleotelevisione» e «Neotelevisione » è contenuta in un capitolo del testo Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 1983. All'interno della vasta letteratura esistente sul linguaggio televisivo si possono consultare, oltre al già citato lavoro di Sartori Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza, Roma-Bari 2000, anche altri testi: Pierre Bourdieu, Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997; Jean-Louis Missika, La fine della televisione, Lupetti, Milano 2007; Tito Vagni, Abitare la TV. Teorie, immagi.nari, reality show, FrancoAngeli, Milano 2017. Ho proposto per la prima volta il concetto di « Transtelevisione » e una dettagliata analisi della natura dei reality show all'interno del volume Stanno uccidendo la TV, Bollati Boringhie118

ri, Torino 2011. Interessanti anche i risultati della ricerca empirica condotta da Letteria G. Fassari sui partecipanti al programma televisivo Grande Fratello, contenuti in Poplife. Il realitysmo tra mimetismo e chance sociale, Carocci, Roma 2014. Le riflessioni di Georg Simmel sulla natura della vita sociale sono presenti, tra l'altro, in Forme e giochi di societa. Problemi fondamentali della sociologia, Feltrinelli, Milano 1983.

s Lo schermo e il tatto: fusione con i media Ho analizzato il succedersi storico dei diversi modelli di schermo anche nel primo capitolo del volume L'era dello schermo. Convivere con l'invadenza mediatica, FrancoAngeli, Milano 2013. Le conseguenze culturali determinate dall'avvento del digitale sono state esplorate soprattutto da Nicholas Carr in Il lato oscuro della rete. Liberta, sicurezza, privacy, Rizzoli-Etas, Milano 2008, Raffaele Simone in Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Garzanti, Milano 2012 e Manfred Spitzer in Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, Milano 2013. Sull'argomento cfr. anche Luciano Floridi, La quarta rivoluzione. Come l'infosfera sta trasformando il mondo, Cortina, Milano 2017. Sull'esperienza tattile resa possibile dall'impiego dei media si possono consultare Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita tecnica, Einaudi, Torino 1966 e il già citato Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1967.

6 Verso media biologici Il concetto di dispositivo è stato affrontato da Giorgio Agamben in Che cos'e un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006. Sull' argomen119

si può vedere anche il sintetico lavoro di Fulvio Carmagnola~ Dispositivo. Da Foucault algadget, Mimesis, Milano-Udine 2015. Il libro di Samuel Greengard, Internet delle cose, è stato pubblicato da il Mulino, Bologna 2017. to,

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Vedersi nello schermo: fotografie liquide e selfìe Per analizzare il fondamentale ruolo svolto nella società dalle immagini ci siamo riferiti soprattutto all'approfondito lavoro di Horst Bredekamp, Immagini che ci guardano. Teoria dell'atto iconico, Cortina, Milano 2015. Per un'introduzione all' argomento è possibile consultare anche il testo di Nicholas Mirzoeff, Come vedere il mondo. Un'introduzione alle immagini: dal/ 'autoritratto al selfie, dalle mappe aifilm {e altro ancora),Johan & Levi, Monza 2017. La fotografia digitale e il selfìe sono stati da me analizzati in Mi metto in vetrina. Selfie, Facebook, Appie, Hello Kitty, Renzi e altre "vetrinizzazioni", Mimesis, Milano-Udine 2015. Sulla natura del selfìe cfr. pure Giuseppe Riva, Selfie. Narcisismo e identita, il Mulino, Bologna 2016. Sulla fotografia digitale esiste ormai una notevole letteratura; si possono consultare tra gli altri i lavori di André Gunthert, L'immagine condivisa. La fotografia digitale, Contrasto, Roma 2016 e di Joan Fontcuberta, La furia delle immagini. Note sulla postfotografia, Einaudi, Torino 2018.

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Dominare lo spazio: il mito della realtà aumentata I cambiamenti intervenuti nei processi di percezione dello spazio da parte degli esseri umani sono stati analizzati soprattutto da 120

Georg Simmel in Le metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma 1995; Paul Virilio in La macchina che vede. L'automazione della percezione, SugarCo, Milano 1989 e Marshall McLuhan nel volume postumo curato da Bruce R. Powers, Il villaggio globale. XXI secolo: trasformazioni nella vita e nei media, SugarCo, Milano 1992.

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Il tempo sospeso dei media Giorgio Agamben ha analizzato l'evoluzione del ruolo sociale del tempo in Infanzia e storia. Distruzione dell'esperienza e origi,ne della storia, Einaudi, Torino 1978. Il concetto di «timeless time» è stato sviluppato da Manuel Castells nel suo lavoro La nascita della societa in rete, EgeaUniversità Bocconi, Milano 2002. È particolarmente interessante anche l'analisi condotta da Jonathan Crary in 24/7. Il capitalismo all'assalto del sonno, Einaudi, Torino 2015, su come il capitalismo stia mettendo in crisi oggi il nostro rapporto con il sonno. Ho parlato del ruolo esercitato dai media nella costruzione di un rapporto nostalgico con il tempo anche nel già citato I

media siamo noi. La societa trasformata dai mezzi di comunicazione, FrancoAngeli, Milano 2014. IO

Verso l'oblio digitale Lo studioso statunitense Douglas Rushkoffha dettagliatamente analizzato come si stia radicalmente modificando la nostra concezione del tempo nel libro Presente continuo. Quando tutto accade ora, Codice, Torino 2014. Sul legame tra media e memoria cfr. il già citato testo di Lev Manovich, Il linguaggi,o dei nuovi media, Olivares, Milano 2002. 121

II

Vita da socia! L'antropologo Benedice Anderson ha sviluppato il concetto di «comunità immaginate» nel libro omonimo Comunita immaginate. Origini e diffusione del nazionalismo, manifestolibri, Roma 1996.

Il concetto di trasparenza è stato oggetto di un'approfondita riflessione da parte dei filosofìJacques Derrida e Maurizio Ferraris nel volume Il gusto del segreto, Laterza, Roma-Bari 1997. Zygmunt Bauman ha analizzato le conseguenze comportate dall'indebolirsi odierno dei legami sociali soprattutto nel testo Amore liquido. Sullafragilita dei legami affettivi, Laterza, RomaBari 2004. I rischi implicati dal modello economico-sociale portato avanti dalle techno-corporations californiane sono stati effìcacemen te illustrati dallo scrittore Dave Eggers nel romanzo Il cerchio, Mondadori, Milano 2014. Régis Debray ha scritto del crescente imporsi del modello «neo-protestante» nel volume Il nuovo potere. Macron, il neoprotestantesimo e la mediologia, FrancoAngeli, Milano 2018. 12

Un capitale sociale virtuale Il voluminoso lavoro di Pierre Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, è stato pubblicato da il Mulino, Bologna 1983. L'influenza delle tecnologie comunicative sulle relazioni sociali è stata analizzata da Sherry Turkle in Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre piu dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice, Torino 2012.

13 Il potere della pubblicità sui media La ricerca dell'Università di Cambridge sulle preferenze degli utenti di Facebook è stata riportata da Paolo Pagliaro in Punto. Fermiamo il declino dell'informazione, il Mulino, Bologna 2017. 122

L'articolo di William Davies, Lafine deifotti, sulla crisi della statistica e delle scienze sociali nell'interpretare la società, è stato pubblicato su "Internazionale" del 10 marzo 2017, pp. 39-43.

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I media-zombi: fusione con il soprannaturale L'interpretazione dei media come zombi è stata proposta da Federico Boni in The watching dead. I media dei morti viventi, Mimesis, Milano-Udine 2016. Ho raccolto nel volume Mostri. Dracula, King Kong, Alien, Twilight e altre figure dell'immaginario, FrancoAngeli, Milano 2013, saggi di vari autori sul versante più mostruoso e inquietante della cultura di massa contemporanea. Per un'analisi dell'immaginario collettivo occidentale cfr. l'insuperato volume di Alberto Abruzzese, La grande scimmia. Mostri, vampiri, automi, mutanti. L 'immagi.nario collettivo dalla. letteratura al cinema e all'infomzazione, Sossella, Roma 2007.

Epilogo I primi tentativi di analisi critica della cultura di massa si devono a Marshall McLuhan con La sposa meccanica. Ilfolclore dell'uomo industriale, SugarCo, Milano 1984 e a Roland Barthes con Miti d'oggi, Einaudi, Torino 1974. Un'agile introduzione alle ricerche condotte in passato dalla scuola di Birmingham si trova nel volume di James Procter, Stuart Hall e gli studi culturali, Cortina, Milano 2007. Le direzioni qui proposte per poter affrontare criticamente la cultura mediatica contemporanea sono indicate nei testi di Anna Luigia De Simone, Andy Warhol's TV. Dall'arte alla televisione, Mimesis, Milano-Udine 2017; Walter Benjamin,Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1982 e Bernard Stiegler, Il chiaroscuro della rete, a cura di P. Vignola, Kain6s-Youcanprint, Tricase (LE) 2014. 123