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Italian Pages 301 Year 2017
Giuseppe Cantillo Il tormento della moden1ità Religione, etica,filosofia della storia Studi Sll Ernst- Troeltscli a cur(I di Anna Doni.se
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Prefazione di Anna Donise
Il nome di Troeltsch l'ho sentito pronunciare per la prima volta ormai più di venticinque anni fa da Giuseppe Cantillo, durante una delle sue affollate lezioni: un nome difficile che a noi matricole restituiva tutto il senso della nostra inadeguatezza, ma allo stesso tempo ci sfidava e ci incuriosiva. Il tema della lezione, era il rapporto tra apriori e storia, e T roeltsch era il pensatore che metteva a confronto la pretesa di una normatività assoluta con ciò che è storicamente relativo. Io all'epoca non potevo saperlo, ma durante quelle lezioni noi studenti eravamo condotti all'interno di un vero e proprio laboratorio teorico che in quegli anni Cantillo dedicava al tema. Il nostro era un osservatorio privilegiato che ci consentiva, nel progredire delle lezioni, di comprendere gli autori (insieme a Troeltsch, nel tempo, anche Kant, Husserl, Bloch, Jaspers e soprattutto Hegel), imparando a leggere i classici, ma anche a inquadrare i problemi. Parte di quei problemi riecheggiano nelle pagine di questo libro, anche se ad una prima lettura il filo conduttore del lavoro è senz'altro il Cristianesimo e la riflessione sul religioso come tale. Del resto, il percorso teoretico di T roeltsch ha origine da una indagine sulla religione e sin dallo scritto sull'Autonomia
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della religione (1895-6) viene delineata una Religionswissenschaft che deve articolarsi in un'analisi dell'esperienza relig.iosa (o psicologia della religione) e in una storia della religione. Ma già con il saggio del 1902, L'assolutea.a del Cristianesimo, emerge l'esigenza di rispondere al problema se sia possibile affermare che il Cristianesimo sia la forma relativamente più compiuta di relig.ione. Nel riflettere sul diritto che ha il Cristianesimo di pretendere una "validità assoluta ed esclusiva" Troeltsch «ha dovuto necessariamente pervenire al confronto tra lo storicamente relativo e l'oggettivamente (sachlich) assoluto» (infra, p. 19). Da questo necessario confronto Cantillo fa derivare le due linee fondamentali del pensiero troeltschiano: «la relazione tra Cristianesimo e storia, più in generale tra Cristianesimo e modernità, e la questione dello storicismo, vale a dire l'esigenza di porre un argine ali'esito relativistico e nichilistico del pensiero storico, o, come anche si può dire, la questione della relazione tra apriori e storia» (infra, p. 18).
È di qui che emerge la ricerca di un apriori relig.ioso che costituirà uno dei tratti salienti del pensiero troeltschiano, ma che diventa ancora più esplicito nella fase in cui si avvicina al neocriticismo, e in particolare alle riflessioni di Heinrich Rickert 1 • La scienza della relig.ione - che aspira a essere universalmente valida e necessaria - riesce a costituirsi solo se il molteplice materiale dei dati psicologici, cosl come quello storico, relativo alle concrete relig.ioni, perviene, come scrive Cantillo, a «riconoscere un principio formale di organizzazione dell'esperienza universalmente valido, un'evidenza ultima della ragio-
1. Il riferimento di Troeltsch è in particolare alle Grenzen cli Rickert. Cfr. H. Rickert, Die Grenzen Jer naturwissenschaftlichen Begriffibi/Jung. Eine logische Einleitung in Jie historischen Wissenscha/ten, Mohr, Tubingen und Leipzig 1902 {tr. it. I limiti Jell'elabora:done concelluale scientifox,-naturale. Una introduzione logica alle scienze storiche, a cura di M. Catarzi, Liguori editore, Napoli 2002).
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ne, un apriori che definisca strutturalmente e trascendentalmente l'ambito dei fenomeni religiosi» (infra, p. 163).
È proprio in questa tensione tra la ricerca di nonne universalmente valide e il rispetto del dato storico ed empirico che si può individuare il vero centro nevralgico del lavoro di Cantillo che - come tutti i veri interpreti - usa i suoi autori per rispondere ai suoi problemi teorici. E se da un lato il Cristianesimo diventa il simbolo della ricerca dell'universale, dall'altro è lo storicismo a rappresentare le istanze del divenire nel quale siamo calati. Nell'opera Lo storicismo e suoi problemi, in cui rielabora i saggi sulla filosofia della storia pubblicati tra il 1916 e il 1922, Troeltsch - scrive Cantillo - ha visto «i vantaggi dello storicismo», ma contemporaneamente ha denunciato apertamente i suoi "svantaggi", i suoi limiti e pericoli (infra, p. 279): pensare la storicità come nozione fondante ed assoluta dell'uomo significa fare i conti in primis con il problema classico del rapporto tra storia, vita e valori, che ha nel Nietzsche della seconda Inattuale il suo migliore e più frequentato interprete. Il pensiero storico nato dal senso della mobilità e "creatività della vita" è destinato, come ogni forma culturale, a riti.rarsi dalla vita limitandosi a una contemplazione delle infinite individualità storiche. Inoltre, portando alle estreme conseguenze le sue premesse, si vede costretto a riconoscere la relatività di ogni nonna, valore e ideale. Se tutto è storia, e solo la storia insegna, ci si consegna ad un relativismo che rischia di essere senza sbocchi. La storia, più di ogni altro sapere, parla degli uomini nella loro individualità e irripetibilità; e il problema, almeno nella prospettiva di uno storicismo etico2, consiste allora nel riflettere 2. Cfr. F. Tessitore, T,oeltsch e le storicismo etico, in F. Tessitore, Dimensioni dello storicismo, Guida, Napoli 1971, pp. 115-137.
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sulla possibilità di riconoscere e formalizzare nonne, regole e "leggi" anche di queste individualità. Non a caso il pensiero di T roeltsch è caratterizzato da una forte tensione etica, oltre che teorica, giacché è soprattutto sul piano etico che uno storicismo relativista rischia di risultare insoddisfacente. Come uscire dall'impasse che viene a costituirsi tra la mutevole relatività del flusso vitale e l'assolutezza della nonna etica? La soluzione di T roeltsch consiste- come emerge chiaramente dall'analisi di Cantillo- nel proporre un'etica che, pur avendo a suo fondamento il Cristianesimo, aspira ad essere universale. L'etica deve essere tratta fuori dal flusso della vita naturale e storica, ma non può pretendere di essere assoluta, e deve cercare di collegare l'aspirazione ideale razionale alle concrete situazioni empiriche, alla storicità dell'esistere umano. La storia è, per Troeltsch, il luogo del "compromesso" dove nasce e si istituisce l'etica, il luogo in cui si realizza quell'idea di "sintesi culturale" che rappresenta il punto culminante della sua concezione etica. In questo quadro, la relazione tra storia e principi, nonne o valori è duplice: da un lato la storia deve individuare dei valori che permettano, nella molteplicità, di selezionare gli eventi; dall'altro - e questo è il punto più problematico per una filosofia storicista - deve chiedersi se sia possibile costruire, a partire non da un appello ad una qualche trascendenza, ma dalla storia stessa, un sistema di nonne e valori che guidino l'azione umana. In questo senso la riflessione sulla storia è sempre intrecciata a quella sulla religione; e anche qui la storia è il luogo del compromesso tra fini religiosi e fini intramondani. Ma importa sottolineare un punto: il compromesso non è mai, per Troeltsch, accettazione dell'esistente, ma sempre attiva trasformazione, affinché servire Dio sia anche trasformare il mondo. Il concetto di "compromesso" è quindi alla base dell'idea troeltschiana di un'etica della situazione, un'etica che sia capace
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di tenere insieme sia il principio dell'individualità, che fonda la propria vita spirituale sulla libertà, sull'autonomia, sulla decisione personale che caratterizza l'etica moderna, sia i valori intersoggettivamente validi, che siano oggetto di un dovere condiviso. :E: proprio qui che, come Cantillo mette in rilievo, Troeltsch avverte «il tormento del mondo moderno», che «conosce solo soluzioni individuali, che giocano l'una accanto all'altra», ma manca di una vera sintesi sovraindividuale che possa essere una guida. Il mondo moderno emancipatosi da autorità confessionali o politiche con l'affermazione dei principi del liberalismo, per il ripresentarsi dell'aspirazione umana ali'assoluto, rischia di riproporre «la prevalenza di atteggiamenti confessionali, autoritari, fondamentalisti» (infra p. 285). Per fronteggiare questo rischio, l'obiettivo della riflessione su etica e filosofia della storia che costituisce il tema degli ultimi scritti troeltschiani - è quello di cercare o ritrovare le vie per pervenire alla formazione di uno spirito comune. Mostrandoci ancora una volta la questione teorica che guida la sua lettura, Cantillo ci invita a cercare una "traccia" di ciò che potrebbe essere il contenuto di questo spirito comune; e la individua nella riflessione troeltschiana sull'Europa e sul futuro della Germania. L'Europa stessa deve essere il frutto di una "sintesi culturale" tra la cultura e la politica dell'Europa centrale in particolare tedesche con la cultura e la politica dell'Europa occidentale. E proprio attraverso l'indagine sull'etica sociale cristiana e sulla sua storia T roeltsch perviene a riflettere su una teoria giusnaturalistica cristiana e moderna dei diritti umani, incentrati sull'idea di personalità e sull' affermazione della democrazia come "principio etico". Questa teoria aveva portato T roeltsch soprattutto negli anni della fine della Grande Guerra, a sottolineare la necessità in Germania di una «trasformazione dell'ordine sociale», che implicava la considerazione delle giuste rivendicazioni dei «ceti più deboli e poveri». Il che significò concretamente la sua adesione «sin-
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cera e senza riserve» alla Repubblica di Weimar e la proposta politica di un compromesso tra borghesia e classe operaia. Ed è proprio qui che il diritto naturale non può fare a meno - nell'interpretazione di Cantillo - di congiungersi al pensiero utopico e divenire uno strumento per un importante ripensamento complessivo del «pensiero etico, politico e storico tedesco». Nell'idea dei diritti umani che non vengono concessi dallo Stato, ma al contrario sono "naturali" e perciò servono allo Stato come "presupposti ideali", scrive Troeltsch nel saggio su Diritto naturale e umanità del 1922, c'è un «nucleo di verità e di esigenze dell'ethos europeo che non deve essere trascurato». Ed è allora nell'incontro tra storicismo, giusnaturalismo e pensiero utopico' che Cantillo ci indica la traccia contenutistica di quello spirito comune che deve servire a «trasformare il presente e a costruire il futuro» (infra, p. 294). Napoli, 15 ottobre 2016
3. Sul tema, sviluppato anche in relazione a Emst Bloch, si veda G.Cantillo, Libertà e giustizia. Storicismo, giusnaturalismo, pensiero utopico, in Filosofia interculturale, a cura di S. Achella e R. Diana, Mimesis, Milano 2011, pp. 263-275.
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Introduzione
Quando si ripercorre la vasta e variegata produzione di Ernst T roeltsch - in cui si rispecchia la nervosa sensibilità moderna della sua personalità, su cui richiamò l'attenzione Friedrich Meinecke - seguendola nelle diverse regioni delle scienze dello spirito (dalla teologia alla Geistes-und Ku/turgeschichte, dalla filosofia della religione alla filosofia della storia, dalle indagini sociologiche a quelle etico-politiche fino alle riflessioni sull'arte), si può certo provare alla fine un'impressione di dispersione in una massa di frammenti, che sembrano sfuggire alla ricomposizione del pensiero..E ciò non solo per la plut.Abbreviazioni: Sovallehren, GS I = E. Troeltsch, Gesammelte Schri/ten, Bd. I: Die Sozia/lehren Jer christ/ichen Kirchen und Gruppen, Neudr. 2. Aufl. {Mohr. Tiibingen 1922), Scientia Verlag, Aalen 1965 (1. Aufl. 1912) - tr. it. di G. Sanna: Le dottrine soda/; delle chiese e dei gruppi cristiani, La Nuova Italia, Firenze, voi. I, 1941, voi. Il, 1964; GS Il= E. Troeltsch, Gesammelte Schn'/ten, Bd. Il: Zur reugiosen I..age, Reugionsphi/osophie undEthik, Neudr. 2. Aufl. {Mohr, Tiibingen 1922), Sdentia Verlag, Aalen 1962 (1. Aufl. 1913]; Historismus, GS III = E. Troeltsch, GesammelteSchri/ten, Bd. III: Der Historismus und seine Probleme, Neudr. Ausgabe Mohr, Tiibingen 1922, Scientia Verlag, Aalen 1961 - tr. it.: Lo storicismo e i suoi problem4 a cura di G. Cantillo e F. Tessitore, Guida Editori, Napoli, voi. I, 1985, voi. II, 1989, voi. III, 1993); GS IV = E. Troeltsch, Gesammelte Schri/ten, Bd. IV: Au/siit7.e zur
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ralità e lo specialismo dei diversi ambiti disciplinari in cui la ricerca si è esercitata, tematizzandone ad un tempo oggetti e metodi, e profili storici, ma anche per la inquietudine che la ricerca rivela in ogni territorio in forza della sua peculiare connessione di intenzione storica e teorica, che tanto la provoca a rimettere sempre in questione i propri risultati, ad affrontare il problema da punti di vista nuovi o differenti, quanto la spinge sovente fino al limite di un dispersivo eccesso di sapere storico•. Eppure, a ben guardare, in questa pluralità di interessi, emergono con evidenza sostanzialmente due linee di ricerca dominanti: la relazione tra Cristianesimo e storia, più in generale tra Cristianesimo e modernità, e la questione dello storicismo, vale a dire l'esigenza di porre un argine ali'esito relativistico e nichilistico del pensiero storico, o, come anche si può dire la questione della relazione tra apriori e storia.
In Meine Biicher del 1922, che è l'autopresentazione dell'itinerario del proprio pensiero attraverso l'analisi dei propri scritti, dopo aver indicato il contenuto e il senso dei saggi raccolti nel primo volume di Der Historismus und seine Probleme (pubblicato nello stesso anno), Troeltsch - riferendosi a Die
Geistesgeschichte und Religionssoz.iologie, hrsg. v. H. Baron, Neudr. Ausgabe Mohr, Tiibingen 1925, Scientia Verlag, Aalen 1966; KGA, 8 = E. Troeltsch, Kritische Ausgabe, Bd. 8: Schri/ten v,r Bedeutung des Protestantismus /iir die modeme Welt, hrsg. v. T. Rendtorff u. S. Pautler, De Gruyter, Berlin-New York, 2001; KGA, 17 = E. Troeltsch, Kritische Gesamtsausgabe, Band 17: Fun/Vortriige 7.11 Religion und Geschichtsphilosophie/iir England und Schottland, hrgs. v. G. Hiibinger u. A. Terwey, de Gruyter, Berlin-New York 2006. 1. Su questi aspetti della personalità e della produzione di Troelisch ho richiamato l'attenzione nel saggio Leben und Formen. Bemerkungen uber Emst Troeltsch und die Kultur seiner Zeit, «Troelisch-Studien»,Bd. 4: Umslriltene Modeme. Die Zukun/t der Neu:r.eit im Urteil der Epoche Emsl Troeltschs, hrsg. v. H. Renz u. Fr. W. Graf, Giitersloher Verlagshaus G. Mohn, Giitersloh 1987, pp. 67-72.
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Absolutheit des Christentums und die Religionsgeschichte, lo serino del 1902 che a ragione egli considera come «il nucleo di tutto il seguito» - afferma che questo studio è nato dalla esigenza di rispondere al problema del diritto che ha il Cristianesimo di pretendere una «validità assoluta ed esclusiva e perciò ha dovuto necessariamente pervenire al confronto tra e !'oggettivamente (sachlich) assoluto» e con ciò «alla domanda fondamentale (Grundfrage) di tutta la filosofia della storia>>2: una domanda che viene in primo piano sia quando, come in Moderne Geschichtsphilcsophie, del 1903 o in Der Historismus, che raccoglie e rielabora saggi compresi tra il 1916 e il 1922, Troeltsch si chiede come sia possibile ricavare norme e valori dalla storia, sia quando, come ancora in Der Historismus o nella prima conferenza su «Ethik und Geschichtsphilcsophie» si chiede come sia possibile mediare la «vita» con le «forme», dare senso al B.uire della vita storica, cogliere nel divenire il permanente, nel transeunte l'eterno. Questa «domanda fondamentale» può essere considerata come il filo conduttore, l'elemento di continuità della ricerca di Troeltsch, il quale, infatti, in Meine Biicher, riferendosi ai saggi di filosofia della storia raccolti in Der Historismus, afferma: «Essi erano inseriti intrinsecamente nella direzione dei miei interessi originari. La mia filosofia della religione aveva innanzi tutto bisogno di chiarire il problema dell'essenza e dei principi dello sviluppo storico della religione. Il tentativo di sviluppare in modo concreto e in uno spazio determinato questa idea mi fece immergere nel problema sociologico. E una volta sospinto, al di là della sfera religiosa, nell'intero ambito della cultura, mi vidi condotto, proprio come a suo tempo Schleiermacher, ad uno stretto legame di filosofia della storia ed etica. Da tutti questi punti emerse come problema
2. E. Troeltsch, Meine Biiche,, GS IV, p. 9.
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essenziale della mia situazione presente l'aspetto teorico e filosofico della storia, il suo rapporto con la indagine empirica da un lato, con una teoria dei valori culturali o etica dall'altro. È il problema che avevo sollevato e a cui avevo cominciato a rispondere in numerosi saggi ora raccolti nel secondo volume delle mie opere»'.
«Der Historismus und seine Probleme» è allora non solo il titolo dell'opera più significativa, per quanto incompiuta, di Ernst Troeltsch, ma ben di più è il titolo sono cui si raccoglie la «domanda fondamentale» del suo pensiero che si ritrova già alle origini della sua ricerca e, con maggiore o minore evidenza, l'accompagna e l'orienta nel suo intero sviluppo. E proprio in quanto riBessione sul Historismus, essa è anche un tentativo di una «visione d'insieme» del «mondo moderno», di comprensione della sua «essenza» e del suo «sviluppo», di interrogazione sulla sua crisi e sul suo destino, che sono poi la crisi e il destino dell'umanità e della cultura europea. Ciò che è in gioco nel problema del Historismus, infatti, non è semplicemente il rapporto Cristianesimo/storia e più in generale la sopravvivenza del Cristianesimo nel mondo moderno, ma più radicalmente, è in gioco il rapporto tra il «mondo moderno» e la tradizione cristiano-platonica nel cui orizzonte esso è sorto: «la gravità della situazione - scrive T roeltsch in Das Neunzehnte Jahrhundert -non riguarda soltanto il destino futuro del Cristianesimo, ma il destino futuro dei fondamenti religiosi, metafisici ed etici della nostra cultura»4• La riBessione sul Historismus si scopre intimamente connessa con quella sul «nichilismo europeo», sul «maggiore degli avvenimenti più recenti - che "Dio è morto", che la fede nel Dio cristiano 3. Meine Bucher, GS IV, p. U . 4. E. Troehsch, Das Neum:ehnte Jahrhundert, in GS IV, p. 649 (tr. it. di G. Cantillo in E. Troeltsch, L'essen211 del mondo moderno, a cura di G.Cantillo, Bibliopolis, Napoli 1977, pp. 343-344).
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è divenuta inaccettabile»: un avvenimento che «comincia già a gettare le sue prime ombre sull'Europa», come annunciava Nietzsche sulla soglia del «fine secolo»5•
A questo avvenimento e alle sue ombre, nel frattempo divenute più spesse, si è ben presto rivolto il pensiero di T roeltsch, che ha riconosciuto il carattere radicale e decisivo dei problemi posti da Nietzsche. Egli non ha aggirato le ombre, anzi vi si è addentrato, e, riconoscendo il nichilismo come un fenomeno essenziale nello sviluppo del mondo moderno, ha cercato di comprenderlo e di prendere posizione di fronte ad esso. Così come, all'indomani della catastrofe della "grande guerra" ha sentito il bisogno di avviare una riflessione critica sul senso dell'Europa nella speranza di riconciliare la cultura e la politica dell'Europa centrale e specificamente tedesche con la cultura e la politica dell'Europa occidentale, di conciliare le ragioni dello storicismo («lo spirito tedesco») e quelle del giusnaturalismo («l'Europa occidentale»), come mostra l'unportante conferenza Natu"echt und Humanitiit in der Weltpolitik tenuta alla "deutschen Hochschule fiir Politik" nel 1922. Nell'articolata posizione della «domanda fondamentale» - qui appena delineata - si lascia scorgere poi, nel suo strato più profondo, come ha riconosciuto Friedrich Meinecke, > dell'«universale validità del giudizio morale espresso e l'agire conformemente al dovere interiormente sentito». Ma questo concetto, secondo Troeltsch, non si può esprimere soltanto nell'etica della legge incondizionata, ma implica anche il concetto di un fine etico, che lo stesso Kant aveva «incidentalmente messo in rilievo» e che Herrmann ha «posto esplicitamente in luogo del semplice concetto di legge>>: «il fine della formazione della personalità, in quanto la personalità designa il nucleo di una superiore vita interiore - sovraordinata ed opposta alla semplice natura psichica, alla mera individualità e soggettività - che scaturisce dalla subordinazione al fine assolutamente necessario»H.
.36.lvi, p. 616 (tr. it. cit., p. 11.3); cfr. pp. 576-77, 579 (tr. it. cit., pp. 65-66, 69); W. Hernnann, op. cii., pp. 29-3 I. .37. Grundprobleme der Ethik, GS II, p. 617 (tr. it. cit., pp. 11.3-114). «La personalità - scrive Herrmann è l'unica cosa che possiamo pensare come fine in sé, come fine ultimo a cui ogni altra cosa è subordinata comemC220» (Ethik, cit., pp. 50-51). La fonte tanto per Hernnann, quanto per Troeltsch è Kant, che nella Critica della ragion pratica, ponendo la domanda intorno alla «radice> del «dovere», afferma che questa radice non può che essere «la personalità e l'indipendenza nei confronti del meccanismo dell'intera natura, considerata tuttavia contemporaneamente come facoltà di un essere sottostante a leggi pure pratiche, che la sua stessa ragione gli fornisce; pertanto la persona, in quanto appartenente al mondo sensibile, è sottoposta alla propria personalità perché appartiene nello stesso tempo al mondo intellegibile» e per questo aspetto «l'uomo[...) è/ine in se stesso,, (I. Kant, Crih'cadella ragion pratica, tr. it. cit., pp. 229-30; cfr. p. 31.3: «l'io invisibile»).
45 Intorno al concetto del fine della formazione della personalità si costituisce l'etica soggettiva ovvero la moralità, «l'etica delle determinazioni - necessarie, ma assolutamente soggettive - del volere per mezzo della pura ragion pratica»'8, articolandosi secondo la duplice esplicazione di esso nel fine individuale della «pro-duzione del valore della propria personalità» e nel fine sociale della «reciprocità nel riconoscersi e nel promuovere il valore della personalità di ognuno»'9• In questa fondazione e delineazione dell'etica soggettiva la posizione di T roeltsch concorda con quella di Herrmann, che sotto il titolo di «moralità» intende parimenti «un comportamento in cui la vita umana supera la sua forma data dalla natura e attinge un livello più elevato», nel senso che «in luogo del precedente isolamento entra l'esigenza di una comunità interpersonale e in luogo del dominio degli impulsi naturali una vita personale che a sé li assoggetta»40 • L'adesione di Troeltsch all'etica herrmanniana e alla sua ispirazione kantiana si ferma a questo punto. Egli non condivide infatti il contenuto esclusivamente soggettivo del concetto dell'etico, la restrizione del carattere formale dell'etico soltanto alle «finalità soggettive riguardanti il rapporto del soggetto con se stesso o con l'analogo rapporto di altri con se stessi, mentre sarebbe completamente escluso che anche dei fini. obiettivi pos38. Grundproblemeder Ethik, GS Il, p.564 (tr. it. cit., p. 51). 39. lvi, p. 617 (tr. it. c:it., p. 114). «Moralità inclividuale»e «moralità sociale» sono correlate come i due aspetti dell'etica della personalità, della Gewissensmoral (morale dell'intenzione), le cui virtù, suggerisce Troeltsch, sono, dal lato del fine individuale, la sincerità, il valore, la serietà, la prudenza, l'autocontrollo, il pudore, l'ordine, la coscienziosità (e simili) e, dal lato del fine sociale, l'amore del prossimo, la giustizia, la pazienza, l'indulgenza, la gratitudine, la pietà, la fedeltà (e simili): virtù«analitiche», owerodeducibili dal fine della formazione della personalità propria e da quello del riconoscimento della personalità altrui e della sua promozione. 40. W.Herrmann, op. cii., p. 60.
46 sano avere il carattere della necessità formale ed oggettiva»41 , cioè una validità intersoggettiva, universalmente riconosciuta. In questa prospettiva, che scaturisce dalla fondazione trascendentale dell'etico, «ogni cosa», ogni contenuto psicologico e storico dell'esperienza, viene considerata come «materia moralmente del tutto indifferente per l'autolegislazione che deve agire su di essa», e «il valore morale» scaturisce soltanto dal «giudizio morale» di volta in volta espresso sulla «necessità dell'azione», senza mai potersi fondare «sulla necessità universalmente riconosciuta di un oggetto»42 • Troeltsch ritiene, invece, che la relazione tra il «carattere apriorico della necessità» e l'«esperienza» sia «diversa e più complessa di quella dedotta dall'etica kantiana, con il suo semplice riferimento dell'apriorica necessità morale alla materia dell'esperienza moralmente indifferente». La considerazione fenomenologica della vita etica rivela, infatti, chiaramente la distinzione tra i valori soggettivi, relativi al comportamento del soggetto verso se stesso e verso gli altri, e i valori oggettivi «della famiglia, dello Stato, della società, della scienza, dell'arte e della religione», cui l'uomo ha il dovere di tendere. Questi beni (o valori) non esprimono una mera soddisfazione di bisogni, ma la loro validità si impone alla coscienza morale in forza di una «necessità oggettiva» che li rende partecipi «del carattere formale dell'etico, cioè del carattere della necessità in sé»: sono, si potrebbe dire, degli >. Essi «si sviluppano a partire da basi naturali, psicologiche, e si devono organizzare in un sistema muovendo da un centro unitario»60 • Solo realizzando questi beni e valori culturali - osserva Troeltsch nel corso del 1911/12 - «l'etica formale della legge morale si riempie di un contenuto concreto e la personalità etica acquista la vera e propria materia della sua attività»61• È qui inevitabilmente in gioco una «decisione», una scelta esistenziale, dal momento che «le idee sul bene predominante sono molto diverse. Per molti è la famiglia lo scopo vitale principale, per altri è la vita politica; più raramente anche la scienza, la ricerca della verità o l'arte. Così anche la religione può essere un bene
58. E. Troeltsch, Das Historische in Kants Re/igionsphilosophie, in «KantStudien», 9 (1904), pp. 21-154 (tr. it. di S. Sorrentino in E. Troeltsch, Religione Storia Metafisica, a cura di S. Sorrentino, presentazione di G. Cantillo, Libreria Dante&Descartes, Napoli 1997, pp. 1n-345). 59. Ethik05I06, p. 74; cfr. Ethik 11112, pp. 133-134. 60. Ethik05/06, p. 74. 61. Ethik 11112, pp. 133-134.
54 singolo, unico»62 • In ultima istanza tale decisione o scelta non può che rinviare ad una fondazione metafisica in una intuizione universale del mondo6'. Queste considerazioni vengono riprese in Ethik und Geschichtsphil-Osophie, anche se l'interesse che orienta le conferenze preparate per il seminario londinese è differente: non più il problema della definizione dell'ethos cristiano all'interno di una teoria moderna dell'eticità, ma la riflessione - peraltro già accennata nel saggio del 1902 - sul rapporto tra etica e storia, al fine di evitare le conseguenze relativistiche della storicizzazione dell'etica e di corrispondere all'esigenza di fondare teoricamente una «sintesi culturale del presente», in grado di rimediare alla «catastrofe» della prima guerra mondiale. Anche in Ethik und Geschichtsphil-Osophie il fine che immediatamente si presenta alla «coscienza morale» come suo oggetto aprioricamente correlato è quello dell'«acquisizione ed affermazione della personalità libera, unitaria e fondata in se stessa». Il «dovere» che qualifica l'agire morale consiste appunto nel formare «dal flusso e dal disordine della vita naturale impulsiva l'unità e la compiutezza della personalità», che non è un attributo naturale, bensl il risultato dell'attività della ragione, della mediazione dell'immediatezza naturale: «Nessuno nasce come personalità, ognuno deve trasformarsi in personalità obbedendo ad un impulso che porta ad unità e sintesi»64• L'uomo è un essere storico, «non è naturalmente
62.Ethik05/06,p. 76. 6J. Cfr. Ethik I I/12, p. 1J4: «La validità di questo scopo supremo a sua volta è fondabile in ultima istanza solo in termini metafisici, attraverso l'universale intuizione del mondo (durch die allgemeine Welteinsicht)».
64.Ethik und Geschichtsphilosophie, cit., p. 9 (tr. it. cit., p. 129) [KGA, 17, p. 7J].
55 ciò che dev'essere», ma è un divenire-se-stesso6\ sorretto dalla «obbedienza e dedizione ad una tendenza alla liberazione dalla motivazione meramente naturale e contingente, ad una tenden1,a al dovere, che è analoga alla tendenza alla verità e come questa emerge da strati spirituali profondi del nostro essere»66 • In questa definizione della personalità è indicata l'essenza dell'eticità in generale, in quanto movimento di negazione dell'immediatezza della vita naturale e sua mediazione e trasformazione razionale, da cui si origina parimenti l'eticità dei valori culturali, in quanto forme di mediazione della ragione con la natura. Tuttavia, malgrado la comune radice nel movimento di emersione dello spirito dalle limitazioni naturali, Gewissensmoral e Kulturethik si distinguono, in primo luogo perché, mentre la Gewissensmoral, «in forza della sua formalità porta fuori della storia in ciò che è intemporalmente valido», la Kulturethik, invece, «riporta nella storia e nello sviluppo, soprattutto nel regno dell'individuale»67 • Un altro elemento di differenziazione tra le due forme di etica è dato dal rapporto con la struttura-di-base naturale. Nel caso della morale della coscien1,a è un rapporto di «completa e netta opposizione», in quanto «al contingente e al mutevole», che caratterizzano la vita naturale, «si contrappongono la necessità e l'unità», che caratterizzano la vita personale, «all'eudemo-
65. Cfr. G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, tr. it. di G. Calogero e C. Fatta, voi. I, La Nuova Italia, Firenze 1963, pp. 41-42. ll riferimento a Hegel va poi fatto più in generale per la distinzione tra morale della coscienza e etica dei valori culturali, che pur se trasposta in una differente concezione della teoria della storia e dell'etica in generale, richiama certamente la distinzione hegeliana di "moralità" e "eticità". 66. Ethik und Geschichtsphilcsophie, cit., pp. 9-10 (tr. it. cit., pp. 129-130) [KGA,17, pp. 73-74]. Cfr. E. Mazzarella, Eticità e storia in Emst Troeltsch, "Rassegna di Teologia",1976, pp. 510-522. 67. Cfr. ivi, pp. 29-30 (tr. it. cit., p. 144) [KGA,17, p. 85].
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rustico sentimento del piacere [si contrappone] il sentimento di una obbligazione, all'arbitrio soggettivistico [si contrappone] un contenuto oggettivo e universale»68• Diversamente si pone il rapporto nel caso dell'etica culturale: i valori culturali non sono posizioni immediate del «pensiero etico», ma sono posizioni che scaturiscono dalla «base naturale degli istinti» al di sopra di cui si innalzano e ne conservano in sé la determinazione; essi sono originariamente «mediazioni», «potenze» attraverso cui la ragione penetra nella struttura naturale e questa primieramente si umanizza e si fa, da mera vita psichica e animale, storia, Umwelt umana. L'etica dei valori culturali è perciò radicalmente storica e connessa con la situazione già-data, la cui trasformazione - negazione e conservazione insieme (Aufhebung) - è la storia. Da ciò deriva la difficoltà di costruire un «sistema» di valori culturali, di beni oggettivi: costruzione che esigerebbe una «radice unica» e un «fine unico» e quindi una «formazione pratica unitaria». Essendo l'etica culturale intimamente connessa «con i diversi territori reali della vita», sul suo piano si può solo produrre una sintesi di valori all'interno di una data cerchia culturale. Questa produzione originariamente non accade «mediante una prassi consapevole e una costruzione vera e propria», ma si realizza piuttosto «nella sfera dell'inconscio», attraverso un sotterraneo «impulso della ragione, che si eleva sulla natura e la organizza». Si forma così «il sistema dei valori come puro fatto, non generato dal pensiero e non diretto dalla volontà»69 • Senonché nel dinamismo della storia, di tanto in tanto, entra in crisi il fisiologico rapporto tra l'inconscio fondamento comunitario e le autocoscienze individuali, si spezza l'esserci immediato dello «spirito comune» e allora diventa necessa-
68. Ivi, pp. .30-.31 (tr. it. cit., pp. 144-145) [KGA,17, p. 85). 69. lvi, pp. .37-.38 (tr.it. cit., pp. 149-150) [KGA, 17, pp. 89-90).
57 ria «una sintesi consapevole» risultante da una progettata costruzione. Ma questa «costruzione» non è deducibile apriori, tale, cioè, che possa essere ricavata dall'essenza della ragione o in base ad una legge naturale; essa è aposteriori, tale che per pensarla e realizzarla «si devono conoscere i presupposti del proprio presente, la storia e il destino della cerchia culturale a cui si appartiene», così come «le condizioni geografiche e biologiche del proprio ambito di vita, la interna logica dello sviluppo già awiato, l'azione reciproca degli aspetti necessari e contingenti»70• Da questo punto di vista ogni tentativo di produrre una nuova sintesi culturale, un nuovo sistema di valori, trova già tracciati - come degli apriori storici - determinati sentieri in cui si definiscono i confini della propria cerchia culturale, la sua «individualità storica». D'altra parte, per la costruzione del sistema di valori è necessario un «valore centrale>>, che non si dà in modo oggettivo, ma sia la scelta di questo valore centrale, sia il modo in cui intorno ad esso si raccolgono gli altri valori dipendono dalla posizione personale. come nell'applicazione della Gewissensmora/ ai complessi rapporti della realtà, quel che qui decide sono «l'azione creativa e la coscienza responsabile»71 • La «coscienza personale» deve anche produrre responsabilmente, autonomamente, il nesso tra «sistema dei valori culturali» e «morale della coscienza». Anche questo legame non consente un «sistema apriori», anch'esso è affidato all'energia della decisione personale, dello spirito che agisce e forma arrischiando un atto di vita storico «fondato sulla comprensione dello sviluppo che conduce fino a noi e sul coraggio di trasformarlo e di farlo proseguire>>. Chi nell'agire storico ritiene di cogliere la verità, chi ha questo «coraggio» di proporre una
70. Ivi,p. 39 (tr. it. cit., pp. 150-151) [KGA,17, p. 90). 71. Cfr. ivi, pp. 39-40 (tr. it. cit., p. 151) [KGA,17, p. 91).
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nuova «sintesi culturale», non può che invitare gli altri a seguirlo: ma che egli sia un uomo della verità, in modo da poter invitare gli altri ad ascoltare la sua voce, questo può essere soltanto oggetto della sua fede e, in ultima istanza, può «convalidare» questa sua fede solo «impegnandovi la sua stessa vita»72 • Il concetto della Ku/tursynthese rappresenta il punto culminante dell'etica generale7', e il valore centrale intorno a cui essa si organizza è sempre un valore storicamente condizionato, relativo ad una cerchia di cultura e alla sua storia, ad un particolare spirito comune in cui e di cui vive l'individualità personale e senza di cui «non è possibile in generale alcuna formazione etica [...] della corrente della vita»: la stessa «idea della personalità, che è determinante come libertà nella Gewissensmora/, come contenuto e valore oggettivo (Sachgeha/t) nella Giitermora/, è una fede del mondo occidentale, che in questa forma il lontano Oriente non conosce, e che, soprattutto, costituisce il nostro individuale destino europeo». Ma questa consapevolezza della relatività del valore della personalità, in quanto relativo alla tradizione europea, non modifica la nostra convinzione per cui «non possiamo fare a meno di credere, in rapporto a tutta la nostra storia, che essa sia la verità per noi»74•
72. Cfr. ivi, p. 40 (tr. it. cit., pp. 151-152) [KGA,17, p. 91]. 73. CTr. H. Benckert, Ernst Troeltsch und das ethische Problem, cit., pp. 79 ss. 74.Ethik und Geschichtsphi/osophie, cit., p. 41 (tr. it. cit., p. 152) [KGA, 17, p. 92]. Sull'etica di Troeltsch si vedano, tra gli scritti più recenti, l'introduzione di Marion Marquardt alla riedizione di Ethik und Geschichtsphi/osophie (Beltz/Atheniium, Landsberg 1995), il saggio di Friedrich Lohmann, Emst Troeltschs Oberlegungen zur Grundlegung der Ethik, in «Mitteilungen der Emst-Troeltsch-Gesellschaft», Bd. 14, 2001, pp. 1-Jl; la Presenta-rione di Fulvio Tessitore («Una nota sull'etica "storicisticamente orientata" di Emst Troeltsch») a E. Troeltsch, I problemi fondamentali dell'etica, tr. it. cit., pp. 7-13.
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6. Etica ateistica ed etica cristiana L'ideadell'autonomia dell'etica rispetto alla religione e insieme la convinzione di un intimo rapporto tra esperienza morale ed esperienza religiosa erano già presenti in uno dei primi scritti troeltschlani sull'etica, vale a dire il saggio Atheistische Ethik del 1895n, sollecitato da un articolo su "Ateismo e idealismo" apparso sui «Preussische Jahrbiicher», in cui si sosteneva la modernità dell'etica ateistica eia sua superiorità rispetto all'etica cristiana e più in generale ali'etica religiosa. T roeltsch vi riconosce la serietà della posizione di quanti si sono proposti e si propongono un'etica ateistica fondata esclusivamente sugli ideali della ragione, anche se non può non rilevare che essi hanno un'idea molto riduttiva della religione e dell'etica fondata sulla religione. L'idea portante espressa nell'articolo da cui prende spunto il saggio è che l'ateismo costituisce il risultato dello sviluppo culturale moderno e il principio dello sviluppo futuro76 nel quadro di una ottimistica fede nel progresso. Non si può negare, osserva Troeltsch, che la religione, e nella nostra cerchla culturale il Cristianesimo, nelle sue varie confessioni, stia attraversando «una profonda crisi»; questo, però, non comporta di per sé che l'ateismo sia diventato l'atteggiamento dominante. Una grande impressione ha certamente prodotto l'annuncio nietzscheano della "morte di Dio", ma da tale annuncio, se, come fa Nietzsche, si traggono coerentemente le conseguenze, esse vanno in una direzione opposta all'etica ateistica del positivismo, cioè l'etica dell'altruismo, del benessere del maggior numero possibili di uomini o dello sviluppo della specie. Esse, infatti, portano piuttosto «alla eliminazione di ogni vincolo 75. In «PreussischeJahrbiicher», Bd. 82, 1895, H. 2, pp.19.3-217, poi in GS II, pp. 525-551 (da cui si cita). 76. Cfr.Atbeistische Etbik, GS Il, pp. 528-529.
60 sopraindividuale e spingono verso un mondo oscuro dove dominerebbe l'enorme accrescimento dell'esserci puramente .individuale»n. Tuttavia, su una via completamente diversa da quella dell'«oltreuomo», vi è un nucleo di assoluto valore nell'etica ateistica, che scaturisce dalla «rinuncia ad ogni autorità e legittimazione divina della legge morale e alla forza motivazionale che ne consegue», sicché «la legge morale viene fondata .interamente su se stessa e il bene comune viene voluto per se stesso»: si tratta .insomma del riconoscimento dell'autonomia della moralità che si esprime .in «un'etica dell'amore per l'umanità fondata puramente su se stessa»78• Un'etica fondata .in una fede «eroica» - e decisamente «ottimistica» - nel senso di «dignità» e di «responsabilità» degli uomini; un'etica che «.in opposizione alla trascendenza cristiana e alla svalutazione cri-
77. lvi, p. 5.30. Questa osservazione viene ripresa all'inizio di Grundprobleme Jer Ethik (GS II, pp. 552-55.3, tr. it. cit., pp. .37-.38). Troeltsch muove dall'affermazione che «l'etica, in quanto teoria dei fini e degli scopi ultimi dell'esistenza umana, non può sussistere senza confrontarsi con le grandi intuizioni del mondo da cui soltanto si origina la valutazione dell'esistenza [... ] o senza di cui una talevalutazione sarebbe privata di ogni stabile sostegno». Ora, contro tale sostegno si è riproposta con maggiore forza «I'antica opposizione naturalistica e relativistica verso ogni forma di pensiero metafisico-religioso», ma soprattutto si è levata la critica radicale di Nietzsche che da essa ha tratto le estreme conseguenze, in forza di cui «I'etica positivistica dell'altruismo laico mostra tinte sempre più sbiadite». Anzi, continua Troeltsch,l'irnpatto dell'opera di Nietzsche rappresenta per essa «in misura sempre maggiore una crisi disgregatrice»». «La rimozione dal mondo, e quindi anche dal)'etica, di Dio e di ogni ordinamento spirituale sovra empirico e sovra individuale» comporta «l'idea di uno sviluppo che tutto dissolve» e la percezione della «naturalistica insensatezza di tutte le cose», sicché quel che resta non può essere altro che «I' accrescimento dell'individuo fino ad un'altezza misurabile e valutabile solo da se stesso». 78. Atheistische Ethik, GS II, p. 5.3.3.
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stiana della vita» afferma «la santa maestà della vita»79 ed esige dall'individuo il massimo impegno delle proprie forze vitali. T roeltsch riconosce la validità di questi principi, si spinge, anzi, perfino a considerare una possibile superiorità dell'etica ateistica nella sua forma più rigorosa, ma, al tempo stesso, osserva che essa certamente non si adatta alla maggior parte degli uomini, e soprattutto, contesta l'immagine che dell'etica cristiana viene assunta polemicamente dai sostenitori dell'etica ateistica. L'etica cristiana, infatti, nella sua forma autentica, corrispondente alla sua essenza, poggia proprio sull'idea della interiorità della legge divina nella coscienza umana, sul sentimento dell'intima unione dell'anima con Dio, per cui è completamente errato ritenere che essa ponga il proprio fondamento in un'autorità esteriore. Inoltre Troeltsch acutamente fa notare come l'etica ateistica, perdendo il riferimento al fondamento divino, indebolisca di fatto la legge morale, in quanto la inserisce «come un corpo estraneo in un mondo puramente meccanicistico, privo di vita e fatto di individui assolutamente equivalenti»ro. Fermo restando il valore del nucleo essenziale di un'etica puramente umanistica -1'etica della responsabilità e, in termini kantiani, del dovere per il dovere - T roeltsch sottolinea come «la fede, se è autentica, con i suoi sentimenti di timore e riconoscenza verso Dio, non può che rafforzare l'energia dell'agire morale». Soprattutto può soccorrere la fragilità degli uomini, che difficilmente possono attuare «Ja purezza rigorosa della legge morale dell'etica ateistica». In realtà l'ateismo solo in particolarissime personalità raggiunge la sua forma più elevata di etica, mentre per lo più porta a forme di scetticismo o di indifferenza, come dimostra, secondo Troeltsch, «la gioventù [del
79. Ivi,p. 534. 80. Cfr. ivi, pp. 535-536.
62 suo tempo, che] è incline all'ateismo», ma da questo ateismo non produce «un rafforzamento dell'energia morale», ma per lo più «l'atteggiamento[ ... ] di un lasciar andare le cose, cercando solo la soddisfazione dei propri impulsi individuali»81 • Quanto alla sua forma più elevata Troeltsch osserva ancora che essa ha comunque bisogno «di una fede nella potenza e nel progresso del bene», una fede in inevitabili presupposti metafisici, «che la portano non lontano dalla fede religiosa»: si deve presupporre infatti «una connessione razionale che trascende i singoli fenomeni [ ...], una teleologia immanente del progresso e dello sviluppo>>-82: una fede che, specialmente nell'ambito della cultura tedesca, si esercita prevalentemente nella polemica con l'etica cristiana e «non si interroga troppo sui suoi presupposti», limitandosi «con leggerezza a collegare le dottrine scientifico-naturali e materialistiche con residui dell'eredità dell'Idealismo classico» 8'. C'è, infine, un'altra importante osservazione che va messa in rilievo nel saggio del 1895 ed è che, contrariamente a quanto pensano i positivisti e più in generale i sostenitori dell'etica ateistica,la connessione dell'etica con la religione non si esaurisce nell'aggiunta di un fondamento esteriore, di una legittimazione da parte di un'autorità esteriore della legge morale, ma investe e qualifica il contenuto stesso dell'etica. Non si tratta di sottomettere la propria volontà alla legge morale imposta da Dio, ma questa legge è «un impulso dello spirito nei cuori» e orienta intimamente la volontà a realizzare «una vivificante comunione con Dio», che costituisce il modello di ogni rapporto con il prossimo che non può porsi che come «un rapporto d' amore»84• 81. CTr. ivi, pp. 536-537. 82. CTr. ivi, p. 540. 83. lvi, p. 543. 84. Cfr. ivi, pp. 545-546.
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In conclusione, pur apprezzando l'etica ateistica nella misura in cui pone come suo fondamento il genere umano e come suo fine il bene comune, T roeltsch non ritiene che essa possa pretendere una superiorità sull'etica cristiana, specialmente se si tiene presente la straordinaria ricchezza di contenuto di quest'ultima: «si pensi solo a Paolo e Agostino, a San Francesco, a Tommaso da Kempen, a Milton, a Bunyan, a Kant e a Schleiermacher. Quale tenerezza e profondità di interiore vita spirituale e quale ricchezza di scopi personali, quale pienezza di beni morali nella comunione con Dio dei cuori e quale potente effetto sulla vita comunitaria degli uomini!»~. Rispetto a questa profondità di vita spirituale, che sa prendere su di sé anche le sofferenze che le strutture esteriori della società e il lavoro in esse comportano, l'etica ateistica con il suo calcolo del benessere del genere appare «fredda e seriosa», «lontana dalle aspirazioni e dalle attese» della vita personale86• Certamente l'etica cristiana implica la fede, la convinzione che la realtà naturale, «il mondo sensibile non è tutto», che «nella vita di questo mondo l'anima si prepara ad una più alta esistenza» nell' al di là, perché «l'attuazione del regno di Dio», dell'ideale di una comunità d'amore fondata sull'amore di Dio, è sempre parziale e rinvia sempre oltre, verso la fine dei tempi 87• 85. Ivi, p. 548.
86. Ibidem. 87. Cfr. ivi, p. 550. Un accenno ad Atheistische Ethik si trova in una nota del libro di H.-G. Drescher, EmstTroe/Jsch. Leben und Werk, Vandenhoeck und Ruprecht, Gottingen 1991, nota 148 a p. }01, nell'ambito della trattazione di Grundprobleme der Ethik. Drescher osserva che prima del saggio-recensione all' Ethik di Hemnann Troeltsch aveva trattato di questioni etiche solo in Atheistische Ethik (in realtà, come si è visto, l'etica era stata trattata ampiamente in Die christliche We/Janschauung und ihre Gegnstromungen) che egli considera riduttivamente solo come «un prudente scritto apologetico», in quanto fa vedere i presupposti e le conseguenze dell'etica ateistica, mostrando come anche «dal punto di vista di una teleologia idealistica "non vi sono impossibilità" nei principi metafìsico-religiosi». In effetti quello che a
64 E ancora oggi per fronteggiare il dominante nichilismo non v'è dubbio che l'etica cristiana dell'eguaglianza, della giustizia e dell'amore, che scaturisce dalla comune filiazione da Dio, può riscaldare i cuori molto di più del pur apprezzabile altruismo ricavabile dalle varie declinazioni dell'utilitarismo delle etiche naturalistiche. Nella profonda crisi del senso della vita umana che caratterizza i nostri giorni, proprio dalla variegata eredità del Cristianesimo sembra poter venire, almeno nell'ambito della nostra cerchia culturale, una possibilità di salvezza e di orientamenti per il futuro. I valori della persona (irriducibile non solo a Korper ma altrettanto a Leib), della giustizia, della solidarietà, della speranza in un mondo diverso, più rispettoso del divino che è nell'umano, sembrano poter costituire un patrimonio accomunante su cui costruire un nuovo progetto di convivenza sociale fondato sul rispetto degli universali diritti umani e in grado di fare incontrare e interagire culture diverse.
7. L'etica cristiana: dall'origine religiosa alla sua dimensione sociale Secondo Troeltsch l'etica cristiana, presa per sé, è un'etica specificamente religiosa, perché la predicazione di Gesù ha un contenuto puramente religioso, dominato dagli ideali della personalità interamente consacrata a Dio e all'amore fraterno in Dio, e parimenti dall'idea del regno di Dio che sta per venire. L'attesa dell'imminente regno di Dio non comporta una negazione del mondo, ma certamente una sua relativizzazione, una "indifferenza" verso di esso: perciò la predicazione di Gesù e la fede della prima comunità cristiana non presentano una vera e propria etica sociale, né un programma di riforma sociale. Al loro posto c'è l'appello a vivere con gli lui interessa è solo «conquistare un luogo teoretico-sistematico in cui situare la decisione per la fede. ll resto è solo questione di convinzione personale».
65 altri credenti nel Dio di Gesù in un rapporto fraterno, ovvero «nella comunione puramente religiosa dell'amore». Essi devono agire dentro gli ordinamenti terreni preesistenti e durevoli conformemente alla volontà santa di Dio, seguendo gli ideali eroici del discorso della montagna, al fine di prepararsi con la santificazione personale, che impegna parimenti l'amore del prossimo, all'avvento del regno. Quest'ultimo - osserva Troeltsch - non è però pensabile secondo i modelli storici di dominazione, ma «crea sulla terra un ordine nuovo, che [ ...] non ha nulla in comune con lo Stato, la società, la famiglia» e solo Dio può sapere, nella sua imperscrutabile volontà, quale figura avrà88• I tratti fondamentali dell'originaria etica cristiana risultano essere allora da un lato «l'individualismo illimitato e incondizionato», ovvero la personale decisione per la santificazione di sé nella comunione con Dio e nel servizio di Dio, dall'altro lato l'idea della «comunione d'amore», ovvero «il fatto che coloro che si santificano per Dio s'incontrano nel medesimo fine» e sono chiamati ad attuare «la volontà divina d'amore», non solo all'interno della comunità dei credenti, ma anche «verso gli estranei e i neroici»89 • L'amore del prossimo, l'amore fraterno, non indica, quindi, soltanto una disposizione soggettiva alla bontà e alla carità, alla comprensione e al rispetto dell'altro, ma ad un tempo un reale «collegamento» tra quanti sono «uniti in Dio», collegamento che tende ad espandersi universalmente. Certo il «comunismo religioso dell'amore» che nasceva dalla predicazione di Gesù non trasferiva l'eguaglianza dal piano religioso a quello sociale ed economico, né implicava l'idea di una proprietà collettiva, ma riguardava unicamente il consumo, la volontaria messa in comune dei beni per la loro
88. Sovalleh,en, GS I, pp. 49-51 (tr. it. cit., voi. I, pp. 65-66). 89. Cfr. ivi, pp. 34-35, 39-41, 48-49 (tr. it. cit., I, pp. 45-46, 50-53, 63-64).
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utilizzazione, mentre ammetteva, anzi, «il guadagno privato continuativo come condizione della possibilità di donare e di sacrificarsi». Tuttavia - osserva Troeltsch - esso costituisce un ideale essenziale dell'ethos cristiano originario dal quale successivamente sono state tratte le conseguenze sociali più radicali: «il monachesimo, i moti comunistici del Medioevo, gli Anabattisti, gli entusiasti ed idealisti: tutti hanno seguito questa traccia» ed «anche la Chiesa ha avvertito e riconosciuto molto bene questa coerenza logica», solo che nella teoria del diritto naturale assoluto ha spostato la «comunità d'amore» nel paradiso perduto90• Se la predicazione di Gesù è indifferente verso il mondo e le sue strutture, specialmente con l'affievolirsi dell'attesa dell'imminente avvento del regno e con l'affermarsi dell'organizzazione istituzionale della comunione dei credenti nella Chiesa si modifica l'atteggiamento del Cristianesimo verso il mondo, che tende a porsi nei termini di un compromesso. Già nella comunità riunita nel ricordo di Gesù comincia a delinearsi un minimo di organizzazione interna, per l'esercizio della carità, della beneficenza. Tuttavia non siamo ancora di fronte alla Chiesa come tipo definito di formazione sociologica, la quale implica l'assestarsi del culto del Cristo, crocefisso e risorto, e le operazioni sacramentali quali il battesimo e l'eucaristia, che determinano l'oggettiva partecipazione alla grazia di Dio e alle conseguenze salvifiche della morte e della Resurrezione del Cristo91 : «la Chiesa -scrive Troeltsch - è un istituto di salvezza, un'opera di Dio, non dell'uomo, una istituzione miracolosa, dotata di verità e di forze soteriologiche divine». Rispetto all'originario carattere individuale e personale del rapporto con Gesù e con il Dio di Gesù, la Chiesa in qualche
90. Cfr. ivi, pp. 49-51 (tr. it. cit., I, pp. 65-66). 91. Cfr. ivi, pp. 48-49, 58-60 (tr. it. cit., I, pp. 63-64, 76-78).
67 modo «depersonalizza» la relaz.ione religiosa e «pone al posto della prestazione personale la santificaz.ione oggettiva»92 •
Lo schema sociologico predominante che, soprattutto a partire da Paolo, la Chiesa antica cominciò a delineare (senza peraltro elaborare ancora una teoria generale della società), è indicato da Troeltsch come «il tipo del patriarcalismo cristiano», che, affermando l'ideale religioso dell'eguaglianza, riconosce però le differenze sociali esistenti e intende superarle esclusivamente su un piano etico-religioso personale. Da ciò deriva che il Cristianesimo assume per lo più un atteggiamento «conservatore» verso le strutture politiche e le articolazioni sociali esistenti. Anche se egli non manca di sottolineare adeguatamente che resta altrettanto operante la tendenza radicale e rivoluzionaria, che scaturisce dagli ideali del discorso della montagna e che, sia pure indirettamente e talora sotterraneamente, finisce per incidere profondamente sul destino delle stesse formazioni sociali e politiche mondane. «L'atteggiamento prescritto dal paolinismo - scrive Troeltsch - è di riconoscere le formazioni sociali e servirsene in quanto divenute non senza la volontà di Dio e contenenti un certo elemento di bene, ma nello stesso tempo di rifiutarle e mantenerle indipendenti in quanto esse appartengono a un mondo tramontante e sono intrecciate dappertutto col paganesimo>/'. Dall'insegnamento di Paolo derivano la concez.ione organicistica della società e dello Stato e l'orientamento a conservare l'ordine sociale nelle sue differenz.iazioni. Nell'epistola ai romani 12,4-6 Paolo delinea la concez.ione della Chiesa come un solo corpo in Cristo e più in generale la comunità come
92. E. Troeltsch, DieSo:dalpbilosophie des Cbristentums, Klotz, Gotha 1922, pp. 16-17. 93. Sova/lehren, GS I, p. 73 (tr. it. cit., I, p. 96); cfr. pp. 60-62, 67-68, 73-74 (tr. it. cit., I, pp. 78-79, 88-89, 96-97).
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organismo: «Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, cosl anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri». E vi delinea anche il carattere di vocazione che ha ciascuna funzione e il dovere di conformarsi a questa funzione - il futuro concetto di Beruf: «Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l'insegnamento, all'insegnamento; chi l'esortazione all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia». E successivamente, in 13, 1-7, Paolo afferma chiaramente il principio della derivazione del potere delle autorità costituite da Dio e quindi il dovere di sottomettersi ai pubblici poteri: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio [ ... ] . Vuoi non aver timore da temere l'autorità. Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male». Sicché il rispetto delle autorità costituite non nasce solo per il timore della pena, ma «anche per ragioni di coscienza», perché sia mantenuto !'«ordine stabilito da Dio». Di qui la conclusione di Paolo: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto. A chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto». Si tratta certo di un insegnamento che dà fondamento a un «diritto naturale relativo moderatamente conservatore» come suggerisce Troeltsch, anche se non va trascurato che il mantenimento dell' «ordine stabilito» e il rispetto delle autorità costituite si fondano in ultima istanza su un principio etico-religioso a suo modo rivoluzionario, per il quale il precetto fon-
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damentale dell'essere cristiani è l'amore in quanto è «il pieno compimento della legge»94 • Nel comandamento dell'«amore vicendevole», afferma Paolo, si riassumono tutti gli altri comandamenti: «Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stessa» (13,8-10)9.5. Un precetto che si iscrive nella convinzione apocalittico-escatologica dell'imminente avvento del regno di Dio, cioè della finale salvezza: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (13, 11-12). Sicché- ammonisce Paolo - «comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie». E da questo punto di vista, come suggerisce Taubes96, anche la sottomissione alle autorità costituite, il conservatorismo politico, si potrebbe spiegare con la fede nell'imminente salvezza, quindi nella prospettiva apocalittico-escatologica.
94. Si vedano in questo senso le acute osservazioni di Jacob Taubes: «Dai Vangeli sappiamo del doppio precetto. A Gesù viene chiesto: qual è il precetto più importante? Ed egli risponde: devi amare il Signore con le tue forze e la tua anima [ ... ); poi aggiunge: ama il prossimo tuo come te stesso. Paolo non esprime un doppio precetto[ ...] il fulcro del discorso è l'amore non già verso il Signore, ma verso il prossimo. Non vi è alcun doppio precetto, ma un unico precetto. A mio giudizio si tratta di una scelta assolutamente rivoluzionaria» Q. Taubes, I.A teologia politica di San Paolo, tr. it. di P. Dal Santo, Adelphi, Milano 1997, 21 ediz. pp. 101-102).
95. Sull'importanza decisiva di questa seconda parte del cap. 13 insiste Taubes che la interpreta nel senso «del credo apocalitti~catologico», che per lui resta immutato nel pensiero paolino dal tempo di T essalonica «fino alla Lei/era ai Romani» (I.A teologia politica diSan Paolo, cit., p. 102). 96. Ivi,p. 10.3.
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Questa originaria ispirazione duplice e contraddittoria, difficilmente componibile in una dottrina, non verrà mai del tutto meno nella storia dei rapporti tra Cristianesimo e mondo, cosi come nella stessa storia dell'autoconfigurazione delle comunità cristiane. Tuttavia questa situazione contraddittoria esige sempre una risoluzione, specialmente per motivi pratici. E quando la Chiesa antica si trovò di fronte ai nuovi e difficili problemi posti dall'enorme espansione della cristianità, dal suo progressivo inserimento nelle articolazioni della società e dello Stato, dal mutamento stesso della composizione sociale delle comunità ecclesiastiche, non poté fare a meno di cercare una via di uscita e di elaborare una concezione sociologica generale. Questa via d'uscita fu trovata nell'assimilazione e nella cristianizzazione della dottrina stoica del diritto naturale, che presentava notevoli punti di contatto e di affinità con le idee cristiane. Si realizzò cosi un compromesso con il mondo riducendo la distanza tra il piano naturale e razionale e quello soprannaturale e religioso: «L'attesa della Civitas Dei, della Gerusalemme celeste resta, e il mondo resta un regno del peccato e delle tenebre. Ma in questo regno delle tenebre si fa ancora strada un residuo della luminosità del Paradiso, la ragione naturale che promana da Dio e forma gli ordinamenti sociali razionali come basi e integrazioni degli ordinamenti della Chiesa e del loro supremo ideale, che ora si rifugia nell' ascesi»97 • Se si tiene presente l'intera storia dell'etica sociale cristiana come T roeltsch ha fatto analiticamente nelle Sozial/ehren - si può affermare che la filosofia sociale del Cristianesimo «è il diritto naturale cristiano con un'applicazione ora più conservatrice, ora più radicale»98 • Questa diversità di applicazione è connessa con le varie forme di comunità prodotte dal Cristia-
97. DieSovalphilcsophie des Chmtentums, cir., p. 9.
98. lvi, pp. 13-14.
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nesimo e rinvia quindi alla tipologia delle autoconfigurazioni sociologiche dell'idea cristiana proposta da Troeltsch. Accanto al tipo della chiesa, che è stato certamente dominante, si è presentato .fin dall'inizio (e anzi racchiude in sé le prime comunità dei discepoli e seguaci di Gesù) il tipo della setta, cioè di una comunità ristretta di credenti in Gesù e nella sua predicazione, i quali vogliono seguire in modo radicale ed entusiastico i principi della santificazione personale e dell'amore. Mentre la chiesa ha carattere prevalentemente oggettivo ed istituzionale, «la setta è invece la comunione della volontarietà e dell'adesione cosciente. Tutto vi dipende dall'effettiva azione e partecipazione personale» e la comunità non è sorretta «dal patrimonio comune», ma «si attua immediatamente in una relazione personale di vita». La setta risale direttamente alla predicazione di Gesù, al rigorismo del discorso della montagna, «raduna gli eletti della vocazione e li contrappone recisamente al mondo»99 • Questi due tipi ideali, che sono entrambi «impliciti nella consequenzialità logica del Vangelo e che soltanto presi insieme esauriscono l'ambito dei suoi effetti sociologici»100, si distinguono, proprio in coMessione con il diverso principio sociologico, sul piano della dogmatica e della morale, e in particolare sul piano dell'etica sociale per il diverso riferimento al diritto naturale. Furono dapprima i Padri della Chiesa nel contesto culturale della tarda Antichità e poi il Cattolicesimo medievale a sviluppare la dottrina cristiana del diritto naturale, distinguendo, come già aveva fatto lo Stoicismo, tra diritto naturale assoluto e relativo. Per l'etica stoica il diritto naturale assoluto riguarda uno stato ideale presente nella condizione originaria dell'umanità dominata dalla ragione e dall'idea di una comunità di
Sovallehren, GS I, pp. 372-TJ (tr. it. cit., I, pp. 481-82). 100. Ivi, p. 375 (tr. it. cit., I, p. 484).
99.
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uomini liberi, senza autorità, senza differenze sociali, senza proprietà privata. Il diritto naturale relativo riguarda invece l'umanità storica, uscita dall'età dell'oro in un'epoca e in un mondo in cui la ragione è costretta a lottare con le passioni - con l'egoismo, la sete di potere, la violenza - e perciò ad introdurre lo Stato, il sistema giuridico coercitivo, il matrimonio, la proprietà, un sistema di regole per attenuare le diseguaglianze sociali. La Chiesa antica, assimilando la dottrina stoica per l'esigenza di trovare un compromesso con il mondo le cui strutture sociali e politiche apparivano immutabili, identificò il diritto naturale assoluto con l'ideale della libertà dei figli di Dio e della comunione fondata sull'amore - ideale realizzato soltanto in Paradiso - e si richiamò al diritto naturale relativo come al diritto adeguato allo stato di peccato e concepito ad un tempo come pena e rimedio del peccato. Il diritto naturale relativo, al quale doveva commisurarsi il diritto positivo, fu, indubbiamente, lo strumento con cui la Chiesa ha realizzato l'integrazione con il mondo, ha riconosciuto e legittimato le istituzioni e le formazioni economicosociali esistenti; ma al tempo stesso, come T roeltsch giustamente osserva, mediante il diritto naturale relativo la Chiesa ha anche potuto regolare, giudicare e condannare tali istituzioni e formazioni. Questa duplicità di funzione si può scorgere tanto nel diritto naturale relativo elaborato nel modo più sistematico e compiuto nell'ambito della Chiesa cattolica e specialmente con il tomismo, quanto anche nel riferimento ad esso presente sia nel Luteranesimo che nel Calvinismo. Anche se in quest'ultimo viene messo in primo piano, piuttosto che il carattere di rimedio allo stato di peccato, quello della sua razionalità. Calvino, infatti, si proponeva di realizzare una società cristiana, e ciò comportava un reciproco avvicinamento tra diritto naturale e ideale cristiano e un superamento della separazione luterana tra «Cristianesimo del cuore» e «morale dell'ufficio e della vocazione professionale». Con ciò egli avviò un processo di enfatizzazione degli aspetti ideali ed as-
73 soluti del diritto naturale rispetto a quelli relativi allo stato di peccato e rese possibile il successivo avvicinamento tra il diritto naturale cristiano del Calvinismo anglo-sassone e il giusnaturalismo moderno razionalistico e liberal-democratico1°1• Per questo aspetto il Calvinismo assimila elementi del tipo della setta. Le sette, infatti, aspirando a realizzare piccole comunità di credenti che perseguono la santità e non avendo alcun interesse a realizzare compromessi con il mondo, si richiamano direttamente al diritto naturale assoluto identificato con la legge dell'amore predicata e testimoniata da Gesù Cristo e raccolta nel discorso della montagna. Nel tipo della setta, tuttavia, Troeltsch distingue due tendenze fondamentali: la setta che si mantiene fedele all'ispirazione puramente religiosa del discorso della montagna ed è orientata a sopportare con pazienza le sofferenze e i mali del mondo, rinviando il trionfo della legge naturale assoluta alla fine dei tempi, e la setta combattiva e riformatrice che si ricollega, oltre che al discorso della montagna, al pensiero del regno di Dio e della sua realizzazione che comincia già nel mondo 102• Sul terreno della setta paziente e sofferente si compie prevalentemente, come nel caso dei Fratelli moravi, «il ritiro dei veri cristiani dal mondo pieno di pericoli per restringersi in una comunione fraterna», e il ritorno quindi all'ideale sociale del Cristianesimo antico, che si esprimeva nella «rinuncia al mondo» e nell' «astensione dal diritto, dal giuramento, dalla proprietà, dalla guerra, dal potere» e nella pratica del servizio e della carità10'.
101. Cfr. Das stoisch-christliche Natu"echt und das modeme profane Naturrecht, GS IV, pp. 169-184 (tr. it. cit., pp. 106-117); Sovallehren, GS I, pp. 158 ss. 172-174, 260 ss. (tr. it. cit., I, pp. 205 ss. 223-26, JJ2 ss.). 102. Cfr. Das stoisch-christliche Natu"echt und das modeme profane Naturrecht, GS IV, pp. 184-185 (tr. it. cit., p. 118). 103. Cfr. Sovallehren, GS I, pp. 407-408, 363,367-368, 373-374, 379 (tr. it. cit., I, pp. 526-527, 469,474, 482,489-490).
74 Sul terreno della setta combattiva, in particolare, si formano le idee democratiche e comuniste più radicali, alle quali si possono ricondurre indirettamente gli ideali del socialismo moderno laico e si richiamano direttamente le posizioni del socialismo cristiano che, pur respingendo la lotta di classe, «si rifiuta - scrive T roeltsch - di divinizzare l'ordine borghese vigente» sulla base del diritto naturale relativo e riconquista per l'etica cristiana «il suo carattere utopistico e rivoluzionario». La setta combattiva - ammette T roeltsch - è fedele «all'interpretazione letterale del Vangelo» che essa vuole attuare «anche nelle sue conseguenze sociali dell'individualismo radicale e dell'amore del prossimo» senza arrestarsi «dinanzi a nessuno dei beni della civiltà». Il suo dramma, però, è che essa può instaurare il suo principio del diritto naturale assoluto solo ricorrendo a ciò che contrasta proprio con le stesse norme evangeliche, vale a dire ricorrendo alla forza e alla violenza o alla potenza dello Stato. Altrimenti non le resta che rifugiarsi nell' escatologia104. Perciò Troeltsch, convinto che «la rivoluzione sociale non scorre nel sangue del Cristianesimo»•~, che per lui non s'identifica soltanto con il Vangelo, si sente certamente più vicino alla religiosità della setta paziente e sofferente, che si avvicina a quella della mistica e dello spiritualismo. Pochi legami con il diritto naturale cristiano ha, invece, il terzo tipo di autoconfigurazione sociologica indicato da Troeltsch come comunità mistica o spiritualistica. «Il misticismo [die Mystik]» non ha una propria, autonoma etica sociale cristiana; esso, infatti, è «la riduzione a interiorità e immediatezza del mondo di idee consolidatesi nel culto e nella dottrina, che diventa possesso puramente interiore e personale dell'anima, 104. Cfr. Das sloisch-d,ris1/iche Natu"echt und das moderne profane Naturrechl, GS IV, p. 185 (tr. it. cit., p. 119); Sozia/khren, GS I, pp. 843-846, 424 (tr. it. cit., II, pp. 523-27; I, p. 549).
105.Sovalkhren, GS I, p. 961 (tr. it. cit., II, p. 675).
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intorno a cui possono formarsi soltanto gruppi Huidi e determinati affatto personalmente», mentre tendono a scomparire le forme esteriori del culto, i dogmi e i legami con la tradizione106. I tre tipi fondamentali di auto-configurazione sociologica dell'idea cristiana sono sorti fin dall'inizio come possibili soluzioni dei problemi sollevati dal contrasto tra i principi ideali e le leggi sociologiche e psicologiche naturali sia all'interno della stessa formazione comunitaria cristiana, sia nel rapporto con altre formazioni sociali religiose e specialmente mondane. Essi, essendo tipi ideal11 m, non trovano una realizzazione pura 106. Ivi, p. 967 {tr. it. cit., II, p. 684). Awerto che Sanna traduce con «misticismo» «Mystik» {«mistica») che è il termine impiegato da Troeltsch nelle Sovallehren. In altri saggi Troehsch adopera oltre che Mystik anche Mystivsmus.
107. Si può adoperare certamente anche per T roeltsch il concetto introdotto da Max Weber. Sul rapporto di amicizia e di coUaborazione, con Max Weber, cosl come suU'inJluenza di Webcr sui suoi studi, si veda il Necrologio per Max W eber pubblicato da Troeltsch suUa «Frankfurter Zeitung» il 20 giugno dd 1920 /Nachru/ au/ Max Weber) ora in Deutscher Geist und W.-. steuropa, hrsg. von H. Baron, Mohr, Tiibingen 1925; Neudr. Scientia Verlag, Aalen 1966, pp.247-252 (tr. iL di A. Carcagni in E. Troeltsch, I.a democrazia improvvisata. I.a Germania dal 1918 al 1922, a cura di F. Tessitore, Guida editori, Napoli 1977, pp. .39.3-.398). Si veda inoltre la recensione polemica di T roeltsch al saggio dd 1909 Calvinismus und Kapitalismus di Felix Rachfahl {«lntemationale Wochenschrift», IV, 1910, ora in GS IV, pp. 78.3 ss.), nella quale difende la tesi weberiana suUa influenza dd Calvinismo nelle origini dd capitalismo moderno. Su Troeltsch e Weber cfr. W. Bodenstein, Neige des Historismus. Emst T,oelnchs Entwicklungsgang. Gerd Mohn, Giitersloh 1959, pp. 101-109, in particolare le pp. 105-109; W. Pauck, Hamack and T,oe/Jsch. Two Historica/ Theologians, Oxford University Prcss, New York 1968, pp. 69-76; H.-G. Drescher, EmstTroe/Jsch. Leben und Werk, cit., pp. 209-215 (in particolare suUa loro amicizia); M. Miegge, Troelnch e W eber, in Emst Troe/Jsch. Religione, Chiese, Modernità, a cura di E. Pace e M. Piccinini, «Humanitas», LXXI, n. 2, 2016, pp. 278-286. Una precisa, equilibrata, analisi delle reciproche influenze e della concreta cooperazione scientifica tra Weber e Troeltsch è quella presentata da Fr. W. Graf, Max Weber und
76 e compiuta nella storia effettiva della cristianità, e tuttavia ognuno di essi si può riconoscere come prevalente in una determinata epoca storica, per la maggiore corrispondenza a una determinata «situazione spintuale», «per la consonanza con le altre tendenze generali e fondamentali della situazione storica del momento». Cosi, se l'Antichità e il Medioevo hanno richiesto il tipo della Chiesa con la sua forte tendenza organizzatrice e la capacità di rivolgersi alle masse e di produrre una complessiva civiltà cristiana unitaria, «la maturazione dell'individualismo tardo-medievale e le crisi sociali dell'epoca, lo sviluppo della civiltà cittadina, artigianale, commerciale» costituivano «un terreno fecondo» per lo sviluppo delle sette e delle loro idee giusnaturalistiche radicali108• die protestan#sche Theologie seiner Zeit, «Zeitschrih f. Rdigions- und Geistesgeschichte»,Jg. .39, 1987,pp. 125, 1.33-1.37; sempre di Friedrich Wilhdrn Graf è da vedere il saggio Friendship between Experts: Notes on Wekr and Troeltsch, in Max Wekr and his contemporaries, edited by W. J. Mommsen andJ. Osterhammd, The Gennan Historical lnstitute, Unwin Hyman, London 1987, pp. 215-23.3. Per un confronto tra Troehsche Weber in rdazione al problema dellostoricismo rinvio al saggio di F. Tessitore, Troeltsch, Weber e il des#no del/e storicismo (1993 ), in F. Tessitore, Contribu# alla storia e alla teoria del/e storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1998, voi. IV, pp. 149-158. In rdazione alla sociologia della religione cfr. P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, cit., pp. 415-422 e Id. lntrodu:u'one a Lo storicismo tedesco, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1977, pp. 44-47. 108. Nella concettualizzazione dd tipo della setta Trodtsch ha presente, com'egli stesso ricorda, l'daborazione di Max Weber. Cfr. M. Weber, L'elica protestante e lo spirito del capitalismo, tr. it. in M. Weber, Sociologia della religione. I. Protestantesimo e spirito del capitalismo, a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Torino 2002, pp. 112-11.3: qui Weber fa vedere come dall'applicazione dell'«idea [calvinista] della necessità della con/erma della fede nella vita professionale mondana», e della conseguente «ascesi», si sia formata la coscienza di un'«aristocrazia spirituale» che si riteneva predestinata da Dio alla santità e quindi «separata dal resto dell'umanità dannata ab aeterno» e perciò da disprezzare e odiare: «questo modo di sentire poteva essere talmente forte da sfociare, in certe circostanze, nella formazione di selle», come nd caso degli «indirizzi "indipendentistici" dd secolo XVII»;
77 Parimenti, se nell'età degli Stati moderni nazionali e dell'assolutismo le Chiese riformate e la Chiesa cattolica della Controriforma riaffermarono il tipo della Chiesa e rinnovarono la filosofia sociale cristiana, poi con il progressivo movimento di emancipazione politico-culturale ed etico-religioso della società europea dal dominio della civiltà ecclesiastica e dall'assolutismo, l'esperienza religiosa si è concentrata nell'interiorità spirituale e nell'intenzione etica, e si è prodotta una «modernit:1.azione delle idee mistico-religiose» in uno spiritualismo cristiano che separa la religione da ogni elemento politico e pp. 139-142: a proposito dd «movimento ba1tistico con le sette che ne derivarono nd corso dei secoli XVI e XVII [... ] ossia i Battisti, i Mennoniti e soprattutto i Quaccheri», Weber osserva che si tratta di «comunità religiose la cui etica riposa su un fondamento eterogeneo, in linea di principio, rispetto alla dottrina riformata», vale a dire l'idea della «chiesa dei credenti (belivers' Church )», vale a dire una «chiesa visibile» concepita non più come «un'utituvone comprendente necessariamente i giusti e gli ingiusti [...] ma esclusivamente come una comunità degli individui personalmente credenti e rinati, e soltanto di questi; in altre parole non come una "chiesa• ma come una "setta"». In una integrazione alla nota 179, inserita nell'edizione dd 1920 de L'etica protestante e le spirito del capitalismo, compresa nel I volume dei Gesammelte Au/siitze zur Religionssovolcgie, Weber rinvia al «saggio successivo», cioè al saggio dd 1906 Chiese e sette nel Nord-America, nella versione ampliata e modificata, pubblicata nello stesso I volume, con il titolo Le sette protestanti e le spirito del capitalismo, e aggiunge: «il concetto di "setta" qui impiegato è stato usato contemporaneamente e-suppongo-indipendentemente da me anche da F. Kattenbusch nella Realen:r:yklepiidiefii, protestantische Theolegie (alla voce "Sekte"). EmstTrodtsch lo accetta e ne parla diffusamente nelle sue Soziallehren der chmtlichen Kirchen und Gruppen». Come suggerito da Weber, cfr. anche Le sette protestanti e le spirito del capitalismo, tr. it. cit., pp. 189-2.30. Per una precisa determinazione della ricerca weberiana sul rapporto tra etica protestante e capitalismo moderno cfr. P. Rossi, Introduzione a M. Weber, Sociolegia della religione. I. Protestantesimo upirito de/capitalismo, tr.it. cit., pp. VII-XI, XVII, XXXIV-XXXVI. Tematicamente al concetto di setta in Weber e T rodtsch è dedicato il saggio di Robert E. Lerner, Wa/Jenser, Lolla,dene und Taboriten. Zum Sektenbegri/1 bei Weber undT,oe/Jsch, in Max Webers Sicht des okzidentalen Chmtentums, hrsg. von W.Schluchter, Suhrkamp,Frankfurt a.M. 1988, pp. .326-354.
78 sociale, fondandola con una moderna teologia in una regione autonoma della vita spirituale. :È questo il terreno del misticismo e delle sue molteplici e variegate forme di piccole aggregazioni sociali, che prendono le distanze, già prima dell'epoca della Riforma, anche dalle sette, spesso caratterizzate da un rigido ordinamento comunitario109• Certamente non mancano nelle sette disposizioni e forme di entusiasmo mistico, ma «mentre le sette fondano oggettivamente la loro comunione sulla rivelazione biblica, sulla legge di Dio, sull'adempimento di essa controllato dalla comunità, la mistica, in generale, in sé non contiene alcun principio comunitario e conosce la comunione solo come incontro di compagni nel modo di sentire»110 • Anche in queste conventicole si avvertono spesso le spinte ad una più determinata regolamentazione sociale, ma allora finiscono per assumere i caratteri della setta. Il misticismo - suggerisce T roeltsch nelle Soziallehren alla fine della trattazione del Cattolicesimo medievale- si inserisce come un terzo tipo nei contrasti tra ecclesiasticismo e settarismo, come un «individualismo religioso privo di org11nizzazione»111 • Anticipando gli svolgimenti successivi, Troeltsch descrive già qui la difficile situazione in cui «le teorie sociali cristiane si trovano nel mondo moderno», in cui l'orientamento «verso la convinzione soggettiva, la spontaneità, la viva affermazione etica», in breve la tendenza alla individualità e all'autonomia della coscienza, anche di quella religiosa, mette in crisi sia l'istituzione ecclesiastica sia la setta con il suo rigido senso della comunità «aderente alla interpretazione letterale del
109. Cfr. E. Troehsch, Die Sovalphilosophie des Christentums, cit., pp. 2.325. 110.Sova/lehren, GS I, pp. .382-.383 (tr. it. cit., I, p. 494). 111. lvi, p. 424 (tr. it. cit., I, p. 549).
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Vangelo»112 • Il misticismo appare perciò più adeguato allo spirito moderno. Nel Cristianesimo primitivo non mancano, certo, estasi, visioni, attestazioni della presenza dello spirito, entusiasmi per la sua discesa in mezzo ai credenti. In effetti, il misticismo ha attraversato tutta la storia del Cristianesimo e rimanda al Cristianesimo originario, rimanda a Paolo per il quale «la cena del Signore, il centro del nuovo culto, [diviene] cibo e bevanda mistici, unificazione sostanziale» e l'unione con Cristo, con il Figlio e tramite suo con il Padre si trasforma in una concreta vita spirituale, in una concreta comunione: «Cristo [diviene] una sfera reale di vita di natw'a soprasensibile, nella quale il credente vive, sente e pensa, e diventa nuova essenza "pneumatica"» 1•>. Ma nel mondo moderno, riflesso in sé, il misticismo si rende autonomo dalla istituzione ecclesiastica, cosl come dalla setta rigorosamente vincolata alla legge, e, proiettandosi anche al di fuori della tradizione cristiana, si avverte come «un principio religioso autonomo, anzi come il vero nucleo universale di ogni processo religioso, di cui le varie manifestazioni mistiche sono soltanto il rivestimento»114• La sua dimensione è la riflessione filosofico-religiosa e in questo senso, secondo T roeltsch, si deve parlare di misticismo «in senso stretto e tecnico» 115• I suoi caratteri, che si riconoscono altrettanto nel misticismo cristiano, sono l'instaurazione di una immediata unione con la divinità, che è indipendente rispetto ad ogni religione positiva, anche se ne costituisce il centro; il rinnegamento di sé del credente, della propria egoità, e la sua ascesi verso Dio per unirsi a Lui, per farsi una sola cosa con Lui. La mistica è un itinerarium in Deum, che è un ritorno dei molti all'Uno, degli individui finiti all'Infinito: dove si avverte 112. Ibidem.
113. Ivi, p. 852 (tr. it. cit., II, p. 534). 114. Ivi, p. 854 (tr. it. cit., II, pp. 535-536). 115. Ivi, p. 853 (tr. it. cit., II, pp. 536-537).
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chiaramente la presenza della tradizione neoplatonica rispetto alla quale Dionigi l'Areopagita - scrive Troeltsch - «costituisce, se non l'unico, certo il più ragguardevole tramite di collegamanto [con la tradizione ebraico-cristiana]», anche se vi hanno contribuito i teologi alessandrini e lo stesso Agostino116• In questa prospettiva filosofico-religiosa l'esperienza religiosa si presenta, quindi, come essenzialmente mistica. Essa la si ritrova nel misticismo speculativo brahmanico117 , o in quello volontaristico buddista, o nel misticismo domenicano della conoscenza o in quello francescano della volontà e dell'amore 18• T roeltsch nell'ambito della mistica cristiana ripercorre le varie correnti e le varie personalità, ricordando Bernardo e i Vittorini, il misticismo tedesco precedente alla Riforma, lo stesso Lutero e i mistici della Riforma, e a questo riguardo afferma: «soltanto sulla base dell'individualismo e del paolinismo protestanti lo specifico misticismo cristiano potè giungere a un nuovo svolgimento creatore ed autonomo, destinato ad avere profonda efficacia sul Protestantesimo ecclesiastico, e a rimaner tuttavia da esso separato»119, quale si è espresso nelle personalità più profonde dello spiritualismo protestante, daSebastian Francka Valentin Weigel,a DirckCoomheert120•
116. Ivi, p. 857 {tr. it. cit., II, 540). 117.Si può pensare,in particolare, alla Bhagavadgrta (per es. Ottavo Discorso, 12-13,14, Diciottenmo Discorso, 51, 52,53, cfr. Bhagavadgrta {con il commento di Sri-Sankilraclrya}, tr. it. di G. Marano, Luni editrice, Milano 2016. 118. Cfr. Sovalkhren, GS I, p. 856 {tr. it. cit., II, pp. 538-539). Come risulta esemplarmente in San Bonaventura, nell'esperienza mistica «è sempre l'iniziativa divina a rendere possibile, nelle sue diverse fasi, il cammino dell'uomo verso Dio» (L. Mauro, lntroduvone, in Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario dell'anima a Dio, testo latino a fronte, tr. it. a cura di L. Mauro, Bompiani, Milano 2002, p. 28, dr. Itinerario dell'anima a Dio, pp. 142-145). 119.Sovalkhren, GS I, p. 861 (tr. it. cir., II, 545). 120. Cfr. ivi, p. 862 {tr. it. cit., II, p. 546).
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Proprio dall'ambito di questo rinnovato misticismo e spiritualismo cristiano provengono, secondo Troeltsch, le più vitali idee religiose e morali che possiede lo spirito del mondo moderno. In particolare essi hanno profondamente influenzato la formazione del «Prostestantesimo ascetico» che ha fatto scaturire dal concetto protestante di fede le conseguenze che portano alla concezione religiosa moderna fondata non più sulla «rivelazione oggettiva esteriore», ma sulla rivelazione «interiore e soggettiva» e quindi sulla «convinzione della coscienza personale»121 • Nel Protestantesimo ascetico Troeltsch, collegandosi alle ricerche di Max Weber, individua una formazione religiosa unitaria in cui si raccolgono «il Calvinismo e il complesso delle sette battistiche, metodistiche, salutistiche» e, attraverso il pietismo, anche il neo-luteranesimo. Esso costituisce «un grande tipo sociologico complessivo dell'idea cristiana» diffuso specialmente nel mondo anglo-sassone e nelle regioni influenzate dal Calvinismo, ma operante anche nei paesi di tradizione luterana122• Le idee confluite nel Protestantesimo ascetico hanno costituito le «radici» della cultura e della coscienza moderne: la separazione di Chiesa e Stato, la sovranità popolare, la tolleranza religiosa, la formazione volontaria delle comunità ecclesiali, la libertà di opinione, la riflessione morale autonoma, il principio dell'autonomia individuale. Quanto al carattere sociologico della mistica e dello spiritualismo, esso non tende al rapporto tra uomo e uomo, ma diretta-
121. Sul concetto di "chiese libere" si veda il discorso accademico tenuto da Troehsch il 22 novembre 1906, Die Trennung von Staat und Kirche, der staatliche Religionsunlerricht und die theolcgischen Fakultaten (UniversitiitsBuchdruckerei von J. Homing, Heidelberg 1906, pp. 5-6, 17). 122. Cfr. Sovallehren, GS I, pp. 792, 984-86 (tr. it. cit., II, pp. 459, 707-709. Acute osservazioni sul ruolo del Protestantesimo in rapporto alla modernità si trovano in C. Prandi, Emsl Troeltsch. Il modelle triangolare, la modemità, in Emsl Troeltsch. Religioni, chiese, modemità, cit., pp. 349-.350.
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mente al rapporto con Dio, è cioè - afferma qui più nettamente T roeltsch- un individualismo molto più radicale di quello della setta, che come comunità resta attiva nel proprio presente, in particolare nel caso della «setta combattiva». Tuttavia una qualche forma di "comunione" si realizza anche nell'ambito del misticismo e dello spiritualismo, e si esprime nell'idea della "chiesa invisibile", dal momento che in ciascuna coscienza religiosa individuale opera lo spirito, l'incontro con Diom. Ma, osserva Troeltsch, questa libertà e questa tolleranza che nasce dall'assoluto prevalere della dimensione soggettiva, personale, interiore dell'esperienza religiosa, vanno incontro alla perdita dell'identità cristiana, più in generale della stessa dimensione religiosa, dal momento che viene meno qualsiasi forma di «organizzazione comunitaria» e di «culto», che sono essenziali per l'insedirsi della religione nelle condizioni reali della vita e la cui mancanza ha come «conseguenza soltanto l'evaporazione e l'infiacchimento del tutto». D'altra parte T roeltsch, anche se non intende rinunciare completamente al significato e alla funzione del tipo della Chiesa, è convinto che nella complessa articolazione sociale e culturale del mondo moderno le chiese non hanno più la possibilità di produrre una «sintesi culturale»: «le anime dei popoli - egli scrive nella Conclusione delle Dottrine sociAli - sfuggono alle Chiese, e buona parte delle funzioni di esse è passata alla scuola, alla letteratura, allo Stato, alle associazioni»124 • Ma anche le sette, come si è già accennato, non riescono a corrispondere alle esigenze dello spirito del mondo moderno. Perciò la possibilità per il Cristianesimo di trovare una nuova configurazione adeguata alla realtà presente si trova proprio sviluppando i caratteri del Pro-
123. Ivi, pp. 866-867 (tr. it. cit., II, pp. 552-553). 124. Ivi, p. 982 (tr. it. cit., II, p. 704). Cfr. E. Pace, Organi=re il regno tra setta, chiesa e misticismo, in Emst Troellsch. Religioni, chiese, moJemità, cit.,
pp. 237-238.
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testantesimo ascetico, vale a dire realizzando «una reciproca compenetrazione delle tre forme sociologiche fondamentali» al fine di rendere possibile la conciliazione di un "minimo di Chiesa" con la più ampia libertà di coscienza. Una prospettiva che Troeltsch aveva già espresso nel saggio del 1910 Die Zu-
kunftsmoglichkeit des Christentums im Verhà"ltnis 7.ur modernen Philcsophie, dove, in maniera molto problematica, ma ad un tempo appassionata, sostiene la possibilità (e la speranza) che, malgrado la crescente secolarizzazione e mondanizzazione, si affenni un «Cristianesimo moderno» o, com'egli preferisce dire, un «Cristianesimo libero», in grado di mediare le forze religiose provenienti dal passato con le forze sociali, intellettuali e morali della modemità» 1~. Proprio questa prospettiva di un nuovo radicamento del Cristianesimo nella modernità contribuisce a fare in modo che il riconoscimento dell'estrema difficoltà di elaborare una nuova filosofia sociale cristiana nella situazione del presente, in cui sempre di più tendono a separarsi l'elemento religioso e quello economico-politico, non comporti per T roeltsch una rassegnata rinuncia a infondere nell'agire sociale e politico gli ideali dell'etica cristiana con il suo specifico orientamento escatologico. «Il pensiero del futuro regno di Dio - egli scrive nelle Soziallehren - [...) non toglie già valore, come ritengono avversari di corta vista, al mondo e alla vita del mondo, ma rinvigorisce le forze e [ ...) rende forte l'anima nella sua certezza di un ultimo assoluto senso e fine futuro del lavoro umano»126•
125. Cfr. E. Troeltsch, Die Zukun/tsmòglichkeit des Christentums im Verhiillnis zur modemen Philcsophie (1910), in GSII, pp. 837-862. 126. Ivi, p. 979 (tr. it. cit., Il, p. 700). Sulla funzione sociale e umana della religione cfr. P. Gisel, lntroduction, in E. Troeltsch, Histoiredes Religions et destin de la Théolcgie, Cerf, Paris 1996, pp. XXXVI-XXXVIl.
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Questo orientamento, però, appare molto indebolito dopo le drammatiche vicende della guerra e dei primi anni di Weimar. Nello scritto del 1922 Die Sozialphilosophie des Christentums T roeltsch accentua fortemente il pensiero della distinzione tra religione, economia e politica, e la convinzione che i problemi sociali e politici debbano essere affrontati con una mentalità assolutamente laica ed esigano «soprattutto conoscenze specifiche e forza di volontà». Al tempo stesso non manca di osservare che «problemi di così grande portata non si lasciano risolvere senza un approfondimento e un rinnovamento etico, senza avere il senso del bene e della giustizia, senza disponibilità al sacrificio e alla solidarietà, senza una visione del mondo e della vita sostenuta profondamente dalla fede» e in questo modo afferma l'inBuenza indiretta dell'etica cristiana e più in generale della religione sulla politica: «lo spirito che la religione può risvegliare con la sua stessa presenza gioverà ad una ricostruzione sociale e politica»127•
127. E. Troeltsch, DieSozialphilosophie des Christentums, cit., pp. 33-34.
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II Religione e modernità
1. Modernità, Rinascimento, Riforma
In Medioevo e Rinascimento Eugenio Garin ha individuato il motivo primario del ripensamento della «cultura umanisticorinascimentale» nel «bisogno di renderci conto fino in fondo delle linee orientatrici essenziali della nostra cultura»•. Con ciò Garin ha messo in evidenza il nesso che lega la riflessione sulla cultura umanistico-rinascimentale con quella sulle origini del mondo moderno e il suo sviluppo fin nella situazione del presente. Questo nesso è anche alla radice delle considerazioni svolte da T roeltsch su Rinascimento e Riforma lungo l'intero arco dei suoi studi di teologia, di filosofia e sociologia della religione, di filosofia della storia, di etica, di storia della cultura. L'interesse di T roeltsch per la comprensione della modernità, della «situazione moderna» e della sua «genesi», risale al suo primitivo progetto di ricerca che intendeva affrontare il «sovraumano» problema (com'egli stesso lo definisce nell'autobiografia) di «una storia universale dello sviluppo della men-
1. Cfr. E. Garin, Medioevo e Rinascimento (1950), Laten:a, Bari 1961, pp. 90-91.
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talità religiosa» e della «particolare posizione e valutazione del Cristianesimo» al suo internd. Questo progetto, però, sono l'impulso dell'acuta percezione della grave crisi religiosa del proprio tempo, si era poi ristretto al tema del confronto tra Cristianesimo e mondo moderno'. La crisi religiosa di "fine secolo", infatti, come si è accennato, aveva avuto certamente la propria più recente e sconcertante espressione nell'annuncio nietzscheano della "morte di Dio" e nelle conseguenze relativistiche e nichilistiche del pensiero storico, ma le sue cause erano insite, secondo Troeltsch, nell'intero svolgimento della vicenda del mondo moderno. Già in Die christliche Weltanschauung und ihre Gegenstromungen, Troeltsch indica le origini e il senso della crisi nella nascita della modernità: «Da quando la nuova scienza, dopo la fme delle guerre di religione, ha conquistato gli animi turbati dalle Ione confessionali ed è iniziatala grande trasformazione culturale dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, si sono formate grandi correnti spirituali che hanno prodotto nuovi fatti e nuove concezioni e hanno posto la fede cristiana di fronte ad una massa di problemi nuovi che minaccia di soffocarla. È cominciata allora la grave, inquietante crisi religiosa in mezzo alla quale ci troviamo e di cui non siamo in grado di dire quale possa essere l'esito [ . ..]. Da allora siamo stati privati dell'unità della nostra vita spirituale che ancora possedevano le generazioni precedenti e si esprimeva nell'armonia tra scienza e fede»◄. Comprendere questa crisi significa, perciò, in primo luogo comprendere !'«essenza dello spirito moderno», produrre una «visione d'insieme» dei caratteri dominanti, delle forze e degli ideali che hanno contribuito alla sua formazione e che
2. Cfr. Meine Buche,, GS IV, pp. 6-7. 3.Cfr. ivi, p. 7. 4. Die christliche We"4nschauung, GS II, pp. 229-230.
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agiscono nel suo sviluppo fino al presente e, a partire da questa comprensione, porre il problema della possibilità del Cristianesimo di costituire ancora una forza viva nel presente. Si tratta di una ricerca che si situa al punto di interferenza tra la Historie come indagine storica empirica e la filosofia della storia che Troeltsch in Der Historismus und seine Probleme definirà «materiale», ovvero la costruzione di una immagine della storia universale in cui è sempre coinvolta la posizione del soggetto della conoscenza, il punto di vista dell'osservatore. Come T roeltsch chiarisce nel saggio-recensione del 1903 al libro di Hamack sull'essenza del Cristianesimo, il concetto di "essenza" costituisce «la specifica astrazione della storiografia, in forza di cui l'intero ambito delle formazioni interdipendenti, conosciuto e indagato nei particolari, viene compreso in base all'idea motrice fondamentale e al suo sviluppo»5 • La sua determinazione, implicando la connessione tra l'idea motrice fondamentale o anche originaria e le figure in cui si attua e si sviluppa, esige appunto una «visione d'insieme» dell'intero fenomeno storico indagato. E questo vale tanto per un fenomeno spirituale determinato quale il Cristianesimo quanto per una determinata epoca storica6• Comprendere l'essenza del mon-
5. E. Troehsch, Was heissl -Wesen des Christentums•?(l903), GS Il, p. 393 (tr. it. Che sil!,nifica "essenvz del Cristianesimo"? in E. Troeltsch, Etica, religione, /ilosoJia della storia, a cura di G . Cantillo, Guida, Napoli 1974, p. 270). Cfr. A. Hamack,Das Wesendes Christenlums,J. C. Hinrichs,Leip:dg 1900 (tr. it. di A. Bongioanni, Bocca, Torino 1903, 19238) . 6. «L'analisi e la visione d'insieme del contenuto spirituale di un'epoca scrive Troeltsch in Das Wesen des modemen Geistes (1907) - costituiscono il compito in cui coincidono l'indagine empirico-critica dello storico e la immaginazione costruttiva del filosofo, dove quindi lo storico deve farsi filosofo e il filosofo storico. Per lo storico esso rappresenta la conclusione e il culmine della sua esplorazione delle grandi formazioni storiche, per il filosofo la base e il presupposto della sua formazione di norme e giudizi di valore, con cui deve definire unitariamente l'agire di un'epoca in base a questo stesso agire»(E. Troeltsch, Das Wesendes modemen Geistes (1907),
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do moderno è però un compito estremamente complesso. In primo luogo perché si tratta di un'epoca non compiuta nel cui svolgimento sono immersi il nostro presente e il nostro futuro, e la cui interpretazione, a cominciare dall'individuazione delle sue origini, è perciò condizionata, più di quella di ogni altra epoca, dallo Standort, dalla posizione e dal punto di vista del soggetto conoscente, dalla prospettiva ch'egli ha sul presente e sulle linee di sviluppo che da questo gli appaiono spingersi verso l'avvenire. In secondo luogo perché il mondo moderno non presenta un'«unità spirituale», un principio in grado di ordinare in un sistema di idee e di valori, in una trama omogenea di vita e di pensiero, le molteplici, differenti o anche contrastanti formazioni nei diversi livelli della realtà storica. «Il mondo moderno - scrive T roeltsch nelle pagine conclusive di Das Wesen des modernen Geistes -non è un principio unitario; è una quantità di vicende e svolgimenti convergenti, ma anche contrastanti, che sono stati resi possibili dall'esaurimento del vecchio mondo. L'impressione di unità dipende prevalentemente proprio dalla opposizione al vecchio mondo, mentre positivamente esso si sfalda nelle più diverse tendenze [. ..] . In conclusione tutte le costruzioni unitarie del mondo moderno che muovono da un unico aspetto - sia questo l'opposizione al Cristianesimo, l'individualismo, la mondanità e l'immanenza, o anche il puro progresso o il processo di disgregazione di culture invecchiate - sono egualmente impossibili»7•
GS IV, p. 297 {tr. it. L'essenza dello spirito moderno, in E. Troeltsch, L'essenza del mondo moderno, cit., p. 127). 7.Das Weundes modemen Geistes, GS IV,pp. 334,336 {tr. it. cit., pp. 167, 169). Sulla opportuna insistenza cli Troeltsch sulla «compl=ità» dell'=enza della modernità, irriducibile «ad ogni visione astrattamente unitaria» ha richiamato l'attenzione Giuseppe Cacciatore nd saggio Historismus e mondo moderno. Di/Jhey e Troe/Jsch {«Giornale critico della filosofia italiana», LXXl{LXX), Fase.I, genn.-aprile 1992, pp. 15 ss.), al quale rinvio anche per un confronto tra le interpretazioni dei due pensatori dd Historismus. Sulla
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In modo esemplare questa valutazione viene ribadita nell'articolo del 1917 Luther und Protestantismus: proprio nella «mancanza di unità ed omogeneità» spirituale - che lo caratterizza malgrado il sussistere di comuni idee e costituisce «il tormento» degli spiriti «più maturi e più grandi» - risiede la differenza principale tra il mondo moderno e «le altre due forme dell'esistenza dell'umanità europea, l'Antike e il mondo ecclesiastico-medioevale», nelle quali «dominava una cultura unitaria fondata su pochi aspetti fondamentali e [ ... ] legata con una organizzazione parimenti unitaria della società»8 • Una maggiore omogeneità, certamente, si può ritrovare sul piano delle strutture economiche e sociali. Già in Das Wesen des modernen Geistes T roeltsch osserva che «i lineamenti più forti e più salcl.i» del mondo moderno si devono cercare «nella sfera pratica e istituzionale, nelle formazioni politiche, sociali ed economiche»: lo Stato moderno e il capitalismo «costituiscono i pilastri della nostra esistenza, le basi su cui, lo si voglia o no, si muove tutto il nostro vivere e creare»9 • Ancor di più negli scritti intorno al 1910, legati alla svolta verso gli studi di sociologia della religione e verso una concezione della storia più attenta alla problematica marxiana del rapporto UnterbauOberbau, T roeltsch riconosce con sempre maggiore chiarezza che il carattere unitario del mondo moderno si può trovare, sia pure come tendenza fondamentale e, certo, non senza contraddizioni, nello «sviluppo della struttura economica e problematica indicata dal titolo religione e modernità si devono tener presente i saggi di Domenico Venturelli, Cristianesimo e •mondo modemo• in Emst T,oeltsch, in«Il pensiero. Il tempo», I, 1979, pp. 108 ss. e di Giovanni Moretto, Religione e modemità in Emst T,oeltsch, «Hwnanitas», 6, 1994, pp. 894-927. 8. Cfr. E. Troeltsch, Luthe, und Protestantismus, «Die neue Rundschau», XXVIIl, 1917, H . 10,p. 1298. 9. Cfr. Das Wesen des modemen Geistes, GS IV, pp. 301,311 (tr. it. cit., pp. Dl, 142).
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politica»10• Permane tuttavia la convinzione della mancanza di unità spirituale e da essa deriva una interpretazione del mondo moderno che muove fondamentalmente dalla sua opposizione alla cultura ecclesiastica. «La cultura moderna - scrive T roeltsch nel Vortrag del 1906 su Die Bedeutung des Protestantismus in der Entstehung der modernen Welt - considerata nella sua connessione più immediata, è nata sullo sfondo della grande età della cultura ecclesiastica, che si fondava sulla fede nell'assoluta e immediata rivelazione divina e sull'ordinarsi di essa rivelazione nell'istituto redentore ed educativo della Chiesa[ ...]. Nell'opporsi a questo mondo culturale viene appunto alla luce l'essenza della civiltà moderna»11 • Da questa prevalente caratterizzazione per via oppositiva deriva anche la collocazione delle sue origini in un'epoca di aperta e dispiegata rottura con la cultura ecclesiastica e di consapevolezza teorica intorno ali' opposizione ad essa, vale a dire nell' età dell'Aujklarung. È questa la tesi che Troeltsch presenta in una formulazione ancora eccessivamente rigida nella voce Aujklarung della Realencyclopadie far protestantische Theologie und Kirche, del 1897, e nel saggio Geschichte und Metaphysik del 1898, ma che in forme più articolate - più attente agli aspetti di continuità del processo storico, così come alle sue molteplici dimensioni e ai loro differenti ritmi di sviluppo - resta un punto fondamentale della sua interpretazione del mondo moderno. Agli occhi di T roeltsch, soprattutto per chi guarda alla modernità dal punto di vista della storia della
10. Cfr. E. Troeltsch, Das Neunzehnte Jah,hundert (191.3), GS IV, pp. 61(,. 617 (tr. it. Il secolo diciannovesimo, in E. Troeltsch, L'esse,ey:zdel mondo moderno, cit., pp. .307-308). 11. Cfr. E.Troeltsch, Die Bedeutung des Protestanlismus fii, die Entstehung der modemen Welt (1906), Oldenbourg, Miinchen u. Berlin, 1911, pp. 9, 12 (tr. it. di G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1929, rist. 1974, pp. 6, 9). Abbreviazione: Die Bedeutung des Protestanlismus.
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religione e della teologia cosl come della storia della filosofia e della scienza12, soltanto con l'Aufkliirung - che «non è affatto un movimento puramente e prevalentemente scientifico, bensl una vera e propria rivoluzione in tutti i campi della vita» - si verificano una reale cesura nello sviluppo della cultura europea e l'irruzione dei «tratti fondamentali» della cultura moderna: «L'illuminismo è l'inizio e il fondamento del periodo propriamente moderno della cultura e della storia europea, in opposizione alla cultura determinata in senso teologico ed ecclesiastico, fino ad allora dominante» 0 . Rispetto ad esso, il tardo Medioevo, la Riforma e il Rinascimento costituiscono soltanto i "presuppostin, che preparano appunto la trasformazione e il tramonto della "cultura ecclesiastican che era sorta dalla dissoluzione dell'Antilce e si fondava sulla @ctrina christiana della Chiesa. Come Troeltsch chiarisce in un saggio del 1903, Religionswissenschaft und Theologie des 18. Jahrhunderts, se con "Età modernan e "Medioevon si intendono due tipi di cultura e di sistema di valori, due formazioni della vita e del pensiero dell'umanità europea, e in questo senso due epoche della storia, allora «l'Età moderna ha una data di nascita relativamente recente» 14• La sua origine si trova infatti nell'epoca in cui si dispiega «una cultura fondata sulla libera, autonoma formazione
12. «Chi si rifa alla storia della religione, dell'etica e della scien2a non può sottrarsi all'impressione che soltanto la grande lotta combattuta alla fine del secolo diciassettesimo e nel secolo diciottesimo abbia posto radicalmente fine al Medioevo» (Cfr. Die Bedeutung des Protestantismus, pp. 44-45; tr. it. cit., p. 45). 13. Cfr.E. Troeltsch,Die Aujk/;irung(1897), GS IV, pp. 338-339 (tr. it. L'//,. luminismo, in E. Troeltsch, L'essen:u:, del mondo modemo, cit., pp. ln-178). 14. Cfr. Religionswissenscha/t und Theologiedes 18. Jahrhunderts (1903), GS IV, pp. 834-835 (tr. it. in E. Troeltsch,L'essen:u, del mondo modemo, cit., pp. 220-221). Abbreviazione: Religionswissenscha/t undTheologie.
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degli scopi umani della vita, indipendente in linea di principio da vincoli ecclesiastici» 1~ ed implica perciò il completo esaurimento, la completa disgregazione del mondo medioevale e della cultura ecclesiastica. Questo avviene precisamente con l'Aufkliirung e con i fenomeni che l'hanno immediatamente preceduta. In particolare con la rottura dell'unità della cristianità nelle guerre di religione, che, perciò, appaiono a T roeltsch come un fattore determinante per la genesi della vera e propria modernità e specialmente per l'affermazione dei nuovi valori mondani dell'arte e della scienza: «Nelle guerre di religione egli scrive - si era avvertito ormai come insopportabile il peso delle Chiese esi era cominciato ad apprezzare l'aria libera della bellezza e della scienza»16• Riguardo al rapporto tra Rinascimento, Riforma e Aufkliirung, nel testo del 1903 sopra ricordato Troeltsch osserva che Rinascimento e Riforma, generalmente considerati come "i punti di partenza" dell'età moderna, in realtà non rappresentano ancora una generalizzata e completa rottura con la cultura teologico-ecclesiastica. Certo, il Rinascimento ha anticipato idee e tendenze fondamentali del mondo moderno - l'individualismo, l'immanentismo, la rivalutazione della vita mondana, il razionalismo- e ha spezzato in più punti la compattezza della cultura ecclesiastica. Infatti ha affermato «un individualismo quasi anarchico», ha «ravvivato l'Antichità», ha sviluppato «la critica filologica» e una filosofia che «con un impeto faustiano di conoscenza ha scandagliato tutte le profondità del pen-
15. lvi, p. 8.35 (tr. it. pp. 220-221). 16.Das Wesen des modemen Geistes, GS N, pp. 333-334 (tr. it. cit., p. 167). Cfr. Religion:rwissenscha/t und Theologie, GS N, pp. 841-84.3, dove vengono illustrati i nuovi impulsi religiosi suscitati dall'età delle guerre di religione, riportabili al «carattere comune di una interiorizzazione e individualizzazione della religione ovvero di una sua soggettivazione ed emancipazione dalla istituzionalità ecclesiastica».
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siero». Soprattutto, ha insegnato alle diplomazie e alle dinastie europee il realismo della «politica di potenza» svincolata da ogni principio etico o religioso e «ha creato un'arte intimamente e profondamente in contrasto con lo spirito cristiano, un'arte che ha esaltato con un culto quasi pagano la figura umana» 17• Tuttavia, malgrado tutto il nuovo che vi si è espresso, il Rinascimento - afferma Troeltsch, che ribadirà questa valutazione in modo netto anche un decennio più tardi nella importante recensione al libro di Paul Wenùe del 1912 su Renaissance und Reformation - non inaugura un'epoca storica radicalmente nuova. In effetti anche Burckhardt ha esagerato il suo significato per la nascita della modernità, dal momento che soltanto «in un ambito sociale limitato il Rinascimento è stato un principio creativo di una nuova vita e di un nuovo pensiero». A causa della sua tendenza aristocratica e del suo ideale culturale individualistico - per giunta fondato sulla imitazione del mondo antico, cioè di una cultura sostanzialmente estranea all'uomo moderno che non può essere sradicato dal terreno della tradizione cristiana - il Rinascimento non ha elaborato sul piano delle condizioni di vita di massa «un principio di vita realmente originario» in grado di produrre una nuova «sintesi culturale» al posto della cultura ecclesiastica. Non ha prodotto, né ha avuto l'intenzione di produrre «un intimo rinnovamento dell'intero», dei rapporti sociali e politici esistenti, e ha lasciato immutati - a livello di massa - «la ristrettezza degli antichi rapporti, e specialmente il dominio della Chiesa»18• La Riforma d'altro canto - continua T roeltsch in Religionswissenschaft und Theologiedes 18. Jahrhunderts- pur costituendo «un poderoso movimento religioso e morale, dotato di positi-
17. Religionswissenscha/t undTheologie, GS IV, p. 835 (tr. it. cit., p. 221). 18. Ibidem.
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ve, originali forze di rinnovamento dell'intera vita del popolo, che sono completamente mancate al Rinascimento», ha avuto come Y3 • A questa svolta fondamentale si collega anche il principio del sacerdozio universale. «Ognuno - commenta Troeltsch - è sacerdote per se stesso, e ognuno sta dinanzi al proprio Dio senza alcun'altra mediazione se non quella delle forze storiche che ci trasmettono la conoscenza di Dio. Tradizione storica e trasferimento della religione nel-
re con crescenti compromessi con il mondo». La fede nella predestinazione è centrale, invece, nel Puritanesimo; essa conferisce la certezza dell'agire conformemente alla volontà di Dio, la «conferma quotidiana della virtù» che garantisce «la certitudo salutis» (M. Weher, Economia e società, tr. it. con introduzione di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Milano 1974, voi. I, pp.
564-565). 52. Luther und die moderne Welt, loc. cit., 53. Cfr. ivi, p. 72.
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la vita, l'affermazione dell'idea religiosa nelle certezze e nelle azioni personali, questo è tutto e non c'è bisogno di altro>>54. È questo il principio dell'individualismo religioso, anche se Lutero, a differenza di Calvino, non ha mancato di porre in evidenza il legame con la tradizione che è a fondamento della fede individuale, la quale perciò non è uno stare del soggetto immediatamente dinanzi a Dio, ma implica la mediazione della storia". Indubbiamente il principio individualistico anche in Lutero comporta l'opposizione al dogma e ali'autorità della Chiesa. E questo atteggiamento si riflette anche sull'etica, che sul piano individuale si presenta come un'etica della convinzione e dell'intenzione (Gesinnungsethik). In linea di diritto, ogni volta la coscienza morale fondata sulla fede trova in assoluta libertà la sua applicazione al singolo caso e non v'è nessun sistema di leggi e di norme: «Il devoto riceve la legge da se stesso dalla sua intenzione rivolta all'idea di Dio, egli l'applica secondo la propria libera convinzione al singolo caso>y6, indipendentemente da ogni pensiero relativo a un premio o a un castigo. Tuttavia anche qui non si tratta di soggettivismo, né di individualismo nel senso moderno del termine: c'è infatti la limitazione costituita dal decalogo e dalla legge naturale con cui esso coincide; e soprattutto c'è la limitazione costituita dal contenuto etico-religioso del Vangelo, dalla legge dell'amore predicata da Gesù e riassunta nel sermone della montagna~. Il contenuto dell'etica non è infatti l'affermazione del mondo e della vita, ma l'antico spirito ascetico. I suoi punti cardinali sono: la sofferenza e la consolazione; la negazione di sé, dell'interesse particolare e il sacrificio e il dono di sé in
54.lbidem. 55. Cfr. ivi, p. TJ. 56. CTr. ivi, pp. TJ-75. 57. CTr. Sovallehren, GS, I, p. 441 (tr. it. cit., voi. II, p. 19).
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nome dell'amore; l'umiltà e la dedizione dell'anima alla vita della comunità e al suo fondatore, al Figlio cli Dio; infine il lavoro professionale, a cui ognuno è chiamato per attuare gli ordinamenti che Dio stesso impone al mondo, al fine cli porre rimedio al peccato e ai mali del mondo. Conformemente a un tratto originario della predicazione evangelica, solo per l'obbedienza a Dio e per l'amore del prossimo il cristiano accetta cli impegnarsi nel mondo, dal quale interiormente aspira a separarsi: «Come persona, vale a dire come cristiano, egli soffre, si consola, ama e si dona nel senso e nello spirito del sermone della montagna; come titolare cli un ufficio e cli una professione egli lavora, compera e vende, esercitail potere, fa la guerra, punisce, serve»58• L'apertura al mondo comporta che si debba operare nel mondo senza però aderire alle motivazioni e agli interessi del mondo, anzi superando il mondo pur stando in mezzo al mondo. Nel servizio reciproco che gli uomini si rendono nella vita mondana si manifesta l'amore cristiano e la ripartizione delle professioni che scaturisce dalla legge naturale è l'attuazione dell'ordinamento voluto da Dio nel mondo. Legge naturale e volontà divina coincidono nella "vocatio" su cui si fonda «la moralità professionale intramondana», che «è senza dubbio un'affermazione del mondo, ma fatta per obbedienza e devozione». Si delinea cosl la peculiare «ascesi intramondana» che caratterizza l'etica protestante, che comporta il paradosso del «superamento del mondo nel mondo»59• 58. Lutherundder Proteslanlismus, cit., p. 1317. 59. Cfr. Sovallehren, GS I, pp. 442-444 (tr. it. cit., voi. Il, pp. 21-23 ). Max Webes-, ricostruendo la genesi della determinazione dd concetto di Beruf come «professione», cioè come un lavoro quotidiano mondano che ha però in sé un significato religioso, osserva ne L'elica protestante e le spirito del capitalismo (1904) che l'introduzione di questo significato di Beru/si ha proprio nella traduzione che Lutero dà di Siracide, 11,20: «beharre in deinern Beruf» o «bleibe in deinem Beruf» - «persevera nella tua professione» o
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L'etica calvinista della razionalità, metodicità e costanza del lavoro, ancor più di quella luterana, è un'etica ascetica e rigorosa che separa nettamente compiti e professioni assimilabili con l'intenzione cristiana da quelli ostili ad essa, aspetti del "mondo" che il cristiano può assumere - senza peraltro porre in essi il fine ultimo della propria azione - ed aspetti che devono essere respinti. Al suo centro c'è il principio della sottomissione all'assoluta sovranità di Dio che opera l'elezione del credente predestinato a salvarsi~. Proprio grazie alle idee dell'assoluta sovranità di Dio e dell'elezione in essa - osserva Troeltsch che non solo accoglie la tesi weberiana ma la difende in più
«rimani nella tua professione». Nd testo dd 1904 Weber accenna anche a una possibile inlluenza di Taulero in cui compare un'anticipazione di questo significato. La novità apportata dalla Riforma - afferma Weber - consiste ndla «valutazione del!'adempimento dd proprio dovere nel!' ambito delle professioni mondane come il contenuto più devato che l'attività etica può assumere[ ... ) Nd concetto di "professione• si esprime quindi quel dogma centrale di tutte le denominazioni protestanti che [diversamente dal Cattolicesimo) conosce come unico mezzo per vivere in maniera grata a Dio non già un superamento dell'eticità intra-mondana da parte dell'ascesi monastica, ma esclusivamente l'adempimento dei doveri intra-mondani, quali risultano dalla posizione di ciascuno nella vita, che con ciò diventa appunto la sua "professione•». Si afferma quindi con la Riforma, a partire da Lutero, «la qualificazione etica della vita professionale». Il che però non consente, per quanto riguarda Lutero in particolare, che si possa stabilire una diretta connessione con la "mentalità capitalistica"; in realtà come mostra efficacemente Weber (confermando in questo modo le osservazioni di Trodtsch sulla posizione di Lutero rispetto alla modernità) «in Lutero il concetto di professione rimase vincolato a un senso tradizionalistico», in quanto «la professione è ciò che l'uomo deve accettare come disposizione divina, ciò a cui deve "adattarsi" [e) questa intonazione pone in ombra l'altro concetto, pur presente, che il lavoro professionale è un compito, o piuttosto il compito assegnato da Dio. E lo sviluppo dd Luteranesimo ortodosso accentuò ulteriormente questo tratto» (M. Webe>, cli cercare «la legge apriorica della coscienza, che si esprime nella effettività della vita religiosa»1~. Il principio della sintesi cli empirico e razionale, che è al centro del pensiero kantiano, non è stato attuato costantemente e coerentemente da Kant, specialmente sul piano della ragione pratica. Qui, infatti, nei campi dell'etica, dell'estetica, della religione, Kant, secondo Troeltsch, ha da un lato sottolineato egualmente «il carattere formale» dei principi, delle leggi, delle strutture aprioriche, ma ha poi perduto cli vista «la realtà psicologica», che dovrebbe fornire il contenuto, e ha trasformato le «vuote forme» in «astratte verità razionali», che dovrebbero prendere il posto delle «confusioni della coscienza ordinaria». Sul piano della filosofia della religione questo significa produrre una concezione puramente razionale, «normativa» della religione, ridurre la religione «alla fede razionale in un ordinamento morale del mondo», escludendo tutta la molteplicità e varietà della realtà psicologica e storica. Con ciò va perduta l'originaria funzione dell'«apriori religioso», che dovrebbe «servire soltanto a fissare l'elemento cli necessità del fenomeno empirico», senza eliminarne la varietà, la molteplicità, l'individualità. Si tratta cli una funzione dell'apriori religioso che, peraltro, lo stesso Kant non ha mancato cli esercitare, spingendosi anche a concepire «la religione empirica oggetto della psicologia» come una forma cli «simbolizzazione» necessaria all'«attualizzazione» dello stesso apriori religioso196•
195. E. Troeltsch, Ps-ycholcgie und Erkenntnistheorie in der Religionswisswnscha/t, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1905,2• ed., 1922, pp. 22-2.3, 25, 26-27. 196. Ivi, pp. 44-45.
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Questa problematicità della posizione kantiana verso la filosofia della religione, che nel testo della conferenza su Psycholcgie und Erkenntnistheorie in der Religionswissenschaft, tenuta nel 1904 al Congresso internazionale di arti e scienze di St. Louis, costituisce il punto di partenza per la delineazione dell'idea troeltsch.iana di filosofia della religione come integrazione di psicologia, teoria della conoscenza e storia della religione, rappresenta il filo conduttore dell'ampia indagine sulla filosofia della religione e sulla filosofia della storia di Kant condotta da T roeltsch nello serino pubblicato nello stesso 1904 su Das Hi-
storische in Kants Religionsphilcsophie (Zugleich ein Beitrag zu den Untersuchungen iiber Kants Philcsophie der Geschichte). La questione che è al centro dello serino, come si può arguire già dal titolo, è la determinazione del posto e della funzione che Kant assegna all'elemento empirico, psicologico e storico, all'interno della sua filosofia della religione. Il punto di riferimento principale dell'analisi troeltsch.iana è costituito dallo serino kantiano del 1793 Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft, nel quale T roeltsch, al di là delle peculiari ambiguità derivanti dal rapporto di Kant con la censura, vede realizzato un tentativo di «compromesso» e di «coalizione» tra pura religione razionale e religione rivelata cristiana, tra filosofia della religione e teologia biblica. Più in profondità nello serino si esprime una tendenza alla sintesi tra elemento razionale ed elemento empirico, psicologico e storico, che, nella interpretazione troeltsch.iana, sembra essere presente, sia pure in modo contraddittorio, nella concezione kantiana della religione. Indubbiamente - osserva Troeltsch - la filosofia della religione di Kant, come tutto il suo pensiero, è caratterizzata in primo luogo dall'«orientamento al normativo», dalla messa in evidenza del «contenuto razionale a priori della ragione»
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come sua «verità e validità»197• Questo orientamento al normativo pregiudica la valutazione dell'elemento storico, psicologico, empirico, che si presenta come non essenziale rispetto al valore di verità dell'esperienza religiosa, come un elemento «puramente fattuale», «contingente», aggiuntivo. Senonché questo stesso elemento si rivela per nulla «irrilevante» o sulla religione. In essa il ruolo svolto dall'elemento psicologico-storico non è affatto secondario. Kant, infatti, scorge nella natura umana «un bisogno di traduzione sensibile della ragione», di simbolizzazione delle idee religiose razionali, da cui deriva «uno "schematismo dell'analogia", che illustra le idee religiose mediante la loro analogia con la vita umana e che, per la diversità con cui si presenta negli individui, produce l'infinita molteplicità di idee religiose antropomorfiche nell'ambito cristiano e non cristiano». Questo stesso bisogno di rendere visibili, oggettive, le idee religiose razionali porta alla creazione di «formazioni comunitarie religiose owero di istituzioni ecclesiastiche», le quali riuniscono i credenti intorno a un comune patrimonio di tradizioni, di dottrine, di miti e leggende, di dogmi, raccolto in propri «libri sacri»2118• Tanto più necessaria è questa formazione di una comunità religiosa empirica, di una «chiesa visibile», nel caso di una religione morale, qual è quella cristiana, in cui, a causa della debolezza degli uomini, l'impegno a rispettare la legge morale e ad operare la conversione interiore, che deve portare alla restaurazione della disposizione naturale verso il Bene, ha bisogno di potenziare la volontà nella sorializzazione, nella creazione di una «volontà generale». Ma la creazione di questa "volontà generale" e della comunità effettiva dei
207. Cfr. Das Historische in Kants Religionsphilosophie, cit., p. 138.
2os.
a •.ivi, PP· 96-97.
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credenti esige il potere della «simbolizzazione», il «veicolo», appwito, che traduce nell'immaginazione, nel sentimento, nell'affettività, le idee religiose pure. Indubbiamente, proprio qui si annida il «rischio» della riduzione della religione a semplice culto esteriore, il rischio del soprannaturalismo, del fanatismo, della superstizione. Ma è Wl rischio inevitabile, perché «senza veicolo non si dà alcuna comwiità» e «senza comwiità organizzata non si dà alcuna durata e alcwia vitalità della religione pura». Ed è per questo che, secondo T roeltsch, la filosofia della religione, nella impostazione kantiana, non può fare a meno della storia della religione, ovvero non può fare a meno di rendere oggetto della propria indagine «i diversi veicoli, le diverse chiese, i diversi libri sacri e le diverse, pretese rivelazioni»209, al fine di accertare quale «veicolo» sia più adatto ad esprimere le idee religiose pure, a tradurre sensibilmente «la religione che opera la rinascita e il regno della virtù>>-'210• Questo compito esige, poi, wia storia della religione che non si limiti soltanto a raccogliere dati sulle varie religioni storiche, ma sia in grado di cogliere il senso della storia, il te!-Os che la sorregge; vale a dire wia «storia sistematica» o wia filosofia della storia della religione, che veda in essa wia evoluzione, che proceda dall'iniziale prevalere, nelle religioni positive, della «sensibilità» ad un graduale affermarsi della «ragione»211 • Da questo punto di vista il Cristianesimo è la religione positiva che più di ogni altra si è «avvicinata» all'«ideale» della religione razionale; anzi «questa approssimazione ha avuto luogo in modo decisivo, chiaro ed efficace solo nel Cristianesimo»212 •
209. Ivi, p. 143. 210. Ivi, p. 344. 211. Ivi, pp. 106-107. 212. Ivi, p. 128.
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La Bibbia, certamente, contiene in sé anche «materiali in larga parte mitici e statutari», ma «nella predicazione di Gesù presenta le verità fondamentali della religione pura, espresse in modo incomparabilmente chiaro»21'. Ovviamente, anche il Cristianesimo «non è eterno», ma è una «incarnazione della religione razionale», in cui soltanto risiede «l'elemento immutabile e normativo»: una incarnazione in linea di principio provvisoria, che potrebbe essere superata o dalla religione razionale completamente purificata da ogni "veicolo" o da una nuova religione più vicina all'"ideale". Senonché - osserva T roeltsch - da un lato per Kant la ragione è sempre legata «con mezzi di realizzazione sensibili e psicologici», e dal]'altro lato, anche quando parla della «pura religione razionale del futuro», sembra pensare per lo più ad una forma di Cristianesimo «defmitivamente razionalizzato». In effetti Kant si è allontanato dallo schema deistico, perché a causa della consapevolezza della «costituzione psicologica fattuale dell'uomo», ha affermato «la necessità del veicolo della religione positiva»214• Il riconoscimento della necessità del veicolo della religione positiva determina, secondo Troeltsch, la specificità della posizione kantiana, il suo «razionalismo formale», per cui la religione nel suo «contenuto di verità» è assolutamente indipendente dall'esperienza psicologica e storica, ma «non ha mai una realtà effettiva puramente razionale, indipendente da ogni sensibilità e densità psicologica»215 , cos1 come da ogni incarnazione storica. Perciò Kant non si propone di elaborare «una religione sulla base della pura ragione», ma «una rettifica della
213. Ivi, p. 97. 214. Ivi, p. 137. 215. Ivi, p. 140.
174 religione positiva mediante la religione razionale»216• Questa "rettifica" può riguardare però solo il Cristianesimo, che ha già in sé un «contenuto razionale morale». Scrive Kant ne La Religione nei limiti della semplice ragione: «Se si vuole eliminare ogni illusione religiosa, o prevenirla, la regola fondamentale della religione ecclesiastica deve far sl che la fede comporti, insieme ai dogmi statutari momentaneamente indispensabili, anche un principio che faccia della religione della buona condotta il fine autentico che deve proporsi di realizzare, per potere un giorno fare a meno dei dogmi stessi»217• La "rettifica", cioè, non può mai significare la soppressione del "veicolo", dell'"involucro" sensibile, immaginativo, simbolico, né della comunità religiosa. La religione, quindi, non può vivere senza storia, anche se la sua validità non deriva dalla storia, ma è fondata in un apriori della ragione. In questo senso, è vero che, in teoria, per riprendere la frase di Kant citata da Troeltsch, «l'elemento storico serve solo come illustrazione, non come dimostrazione»218, ma è anche vero che, di fatto, costituisce qualcosa di più di una semplice illustrazione. Vi sono, infatti, fondati motivi per dire che il ruolo della "storia" nella dottrina della religione di Kant si può verificare anche nell'ambito dello stesso contenuto della religione razionale. Troeltsch ricorda che già Schweitzer nella sua monografia sulla "filosofia della religione di Kant" aveva visto un superamento della prospettiva puramente «trascendentale» e l'introduzione di un riferimento al «mutamento» e alla «storia» a proposito del rapporto tra le idee fondamentali della teoria kantiana del «male radicale» e della «rinasci216. Ivi, p. 130. 217. I. Kant, La Religione nei limiti della semplice ragione, tr. it. cit., p. 505. Sul dovere della "buona condotta" come principio della religione razionale pura cfr. ivi, p. 500. 218. Das Historische in K.ants Religionsphilosophie, cit., p. 151.
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ta», ovvero della «restaurazione della disposizione innata al bene». Inoltre - aggiunge T roeltsch - il riconoscimento della necessità della comunità etico-religiosa implica egualmente una «rottura» del principio della «rigorosa immanenza nella coscienza» e l'apertura alla dimensione della storia219 • Come ha scritto lo stesso Kant nel secondo abbozzo della Vorrede (riportato da Dilthey in Der Sreit Kants mit der Zensur iiber das
Recht /reier Religions/orschung), La religione nei limiti della semplice ragione costituisce il luogo teorico in cui la filosofia riflette sul «passaggio dall'ambito delle pure idee pratiche al terreno su cui devono (sollen) essere attuate», e, nel far questo, non supera i propri con.fini se prende in considerazione quella «religione positiva» in cui ritiene che si presentino «nel modo
219. Sulla interpretazionetroeltschiana del rapporto tra "religione e storia" in Kant si sofferma J. Bohatec nel Vorwort al suo ampio studio sulla filosofia della religione di Kant [Die Religionsphilosophie Kants in der "Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vemunft" (1938), OLns, Hildesheim 19662, pp.8-11.) Bohatec sottolinea la connessione indicata da Troeltsch nella filosofia della religione kantiana tra la considerazione antropologicocausafe, la storia sistematica o filoso/io della storia e la storia della religione e in particolare del Cristianesimo, e il richiamo ad uno sfondo metafisico, che rende verosimile una comune radice di sensibilità e intelletto e consente a Kant di vedere insieme l'elemento intelligibile e quello psicologico, quindi di non separare nettamente «la psicologia della religione dall'essenza della religione assicurata dal punto di vista gnoseologico». E Bohatec aggiunge: «Resta un merito di Troeltsch aver mostrato che Kant, malgrado i principi apriorici della sua critica, non può venire a capo, senzal'ausilio psicologico, del fatto che l'idea e la storia, la fede ra:zionale e la fede ecclesiastica non siano da concepire come un'assoluta opposi:uone, e che il principio dello sviluppo, che sorregge e muove la storia, domini anche sul terreno della storia della religione» (p. 11). Tra le critiche di Bohatec va segnalata quella relativa all'opinione di Troeltsch secondo cui Kant non avrebbe avuto dimestichezza con la letteratura teologica (p. 25), mentre Bohatec porta numerose testimonianze sulle conoscenze teologiche di Kant. D'altra parte Bohatec ritiene importante che Troeltsch abbia richiamato il contesto del deismo razionalistico moderno.
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migliore [. .. ] le condizioni sono le quali soltanto può essere realizzata l'idea di una religione» 220•
220. Cfr. W. Dilthey, De, Sreit Kants mii der Zensur iiber das Recht /reier Religicns/orschung. in W. Dilthey, Gesammelte Schri/ten, Bel. N, hrsg. v. H. Nohl, Vandenhoeek und Ruprecht 1968, p. .306. - Sulla religione in Kant mi sia consentito rinviare al mio saggio Religione nel volume L'universo kantiano. Filosofia, sa"enze, sapere, a cura di S. Besoli, C. La Rocca, R Martinelli, Quodlibet Studio, Macerata 2010, pp. 4.37-464, di cui qui ho tenute presenti le pp. 460-464.
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III Il messianico. Pro/etismo ebraico e chiesa antica
l. Il pathos del messianiro «Ecco il mio servo, che io sorreggo, /il mio eletto, in cui l'anima mia si compiace./ Ho posto su di lui il mio spirito, /egli porterà il diritto tra le genti.// Non griderà e non farà clamore/ non farà udire in piazza la sua voce/ non spezzerà la canna rotta/ né spegnerà il lucignolo fumigante;/ ma con fermezza promuoverà il diritto/ senza cedere, né lasciarsi abbattere, finché abbia stabilito il diritto sulla terra// [ ...] Io il Signore, ti ho chiamato nella giustizia/ e ti ho preso per mano;/ ti ho formato e stabilito alleanza del popolo/ luce delle nazioni/ perché tu apra gli occhi dei ciechi/ liberi i prigionieri dal carcere/ dalla prigione gli abitanti delle tenebre» (Isaia, 42,1).
In questo passo di Isaia, per riprendere un'espressione di Ernst Bloch, si manifesta «il pathos messianico», che dal profetismo ebraico si è trasmesso nel Cristianesimo e in varie forme della cultura occidentale. Il passo di Isaia è emblematico perché in esso, al di là della missione interna al popolo d'Israele, si fa chiaramente riferimento alla missione universale, alla prospettiva messianica che riguarda l'intera umanità, la storia universale, attraverso un'opera di illuminazione ed emancipazione
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delle coscienze, «per accendere dovunque le scintille della speranza nella giustizia, nella libertà, nella democrazia», come ha scritto Jiirgen Moltmann, il quale ha fatto osservare che «la raccapricciante autodistruzione dell'Europa nella prima guerra mondiale indusse molti pensatori ebrei in Germania [tra cui Emst Bloch] a ritornare con straordinaria intensità al loro Giudaismo e in particolare alla sua componente messianica», e «dalle rovine della ragione storica essi hanno salvato la speranza come categoria teologica»1 • Da un altro versante, nel prendere coscienza di questa situazione di crisi, T roeltsch ricorre alla tradizione del diritto naturale, le cui radici si spingono fino al profetismo ebraico e al messianismo, su cui egli scrive proprio negli anni della guerra tra il 1916 e il 1917. Considerando la storia dell'etica sociale cristiana, che ha ricostruito nei suoi scritti e specialmente nelle Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, T roeltsch può affermare che essa si identifica con il diritto naturale cristiano interpretato e applicato in una forma «ora più conservatrice, ora più radicale>>2, vale a dire come diritto naturale relativo o come diritto naturale assoluto. Per quanto Troeltsch, a differenza di Bloch, inclini per il diritto naturale relativo, specialmente nello sviluppo in senso democratico-riformatore che ha avuto nel "Protestantesimo ascetico", anch'egli riconosce che l'eredità del diritto naturale assoluto come utopia sociale ha continuato a vivere nel Cristianesimo, ad animarne la presenza storica come messaggio di fede e di speranza in un mondo più giusto, in un mondo di uomini liberi, in un mondo di pace.
1.J. Mohmann, Ernst Blcch e la rinascita della speran'QJ messianica, in Attualità e prospettive del "Principio speran'QJ•, a cura di G. Cunico, La Città del Sole, Napoli 1998, pp. 17-18.
2.DieSo:dalphilosophie des Christentums, eit., pp. 13-14.
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2. Fede ed ethos dei profeti ebraici Nella sua opera principale di sociologia della religione, Die Sozialleheren der christlichen Kirchen und Gruppen, Troeltsch, anche se non affronta direttamente il tema del messianismo, ne tratta implicitamente esponendo le varie configurazioni delle relazioni tra Cristianesimo e questione sociale, in primo luogo riflettendo sulla predicazione di Gesù e sulla chiesa antica. T roeltsch afferma immediatamente e nettamente che che le idee predicate nel vangelo di Gesù «non furono affatto il prodotto di un moto sociale», non derivarono da una lotta di classe, né «si collegano», più in generale, «ai rivolgimenti sociali della società antica>~. La loro origine è «meramente religiosa>>4 e culminano nell'ideale messianico: «Malgrado tutta l'incertezza della tradizione, il pensiero fondamentale della predicazione di Gesù è tuttavia facilmente riconoscibile. È l'annunzio della grande decisione finale, dell' awento del regno di Dio in cui si compie in terra la volontà divina, come ora si compie solamente in cielo, senza peccato, senza dolore o sofferenza, in cui i veri valori dello spirito e della volontà pura risplenderanno in tutta la maestà loro spettante>Y. Sulla natura del regno, sul quando e il come si attuerà, la predicazione di Gesù - osserva T roeltsch - non dà indicazioni precise, ma quel che è importante «è la preparazione per il regno di Dio, ed essa può esser portata cosl a fondo, che la medesima comunità aspettante il regno di Dio può esser chiamata in precedenza regno di Dio» e la sua missione è di indicare «a quanti più è possibile la via che conduce alla salvezza, la salda roccia su cui essi debbono edificare la loro casa>>6•
3. Sovalkh,en, GS I, pp. 15-16 (tr. it. cit., p. 21). 4. Ivi, p. 34 (tr. it. cit., p. 44). 5. Ibidem (tr. it. cit., p. 45). 6. Ivi, p. 35 (tr. it. cit., p. 46).
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Al centro dell'etica religiosa di Gesù vi è il riferimento «alla presenza di Dio», che ispira e guida «ogni volontà morale»7: «il Dio che scruta cuori e reni, che scorge tutto fino nei più intimi penetrali e nei più sottili inganni di se stesso, e che al tempo stesso è volontà viva e operosa alla maniera del profetismo»8• PerTroeltsch, quindi, nell'idea della preparazione all'avvento del regno di Dio è racchiuso il nucleo dell'etica di Gesù fondata sul pensiero di Dio, e da questo punto di vista non ha neppure importanza «la questione della novità rispetto ali'ambiente giudaico»9• Qualche anno dopo la pubblicazione delle Soziallehren, in un momento storico drammatico qual è stata la prima guerra mondiale, che aveva posto fine, nel mondo tedesco, alla quiete apparente dell'"età guglielmina", Troeltsch, tra il 1916 e il 1917, pubblica due saggi, Glaube und ethos der ebrà"ischen Propheten e Die alte Kirche, nei quali è coinvolta la riflessione sul messianico all'interno di un più ampio progetto di ricerca sulle forme di vita religiosa nella storia della cultura occidentale. Particolarmente significativo è il saggio su fede ed ethos dei profeti ebraici, dal momento che si inserisce in un dibattito sul carattere del profetismo ebraico, in cui sono coinvolte da un lato le tendenze antisemitiche presenti nel mondo germanico, dal]'altro il rapporto tra la teologia cristiana, protestante in particolare, e la teologia ebraica, quest'ultima a sua volta divisa tra le tendenze riportantesi al sionismo e la teologia giudaico-liberale. Il punto centrale della discussione, talora dello scontro, è il carattere particolaristico e nazionalistico oppure universalistico e umanistico dell'ethos del profetismo ebraico,
7. lvi, pp. 36-37 (tr. it. cit., pp. 47-48). 8. Ivi, p. 37 (tr. it. cit., p. 48). 9. lvi, p. 35 (tr. it. cit., p. 46).
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la sua possibilità o meno di essere ricondotto nei termini del razionalismo moderno. Certamente, lo studio di Troeltsch, per quanto non vi faccia riferimento esplicito, ha come una sua contraparte argomentativa la prospettiva di Cohen10• E in effetti il suo saggio assume una valenza polemica nei confronti di un pensiero fondamentale della interpretazione di Cohen del profetismo, vale a dire la sua concezione come espressione di principi razionali universalmente validi e fondanti anche per una giusta organizzazione della società. Mentre T roeltsch, legando il profetismo alla situazione storica, ne scorge prevalentemente il carattere religioso e, come sottolinea Wendell S. Dietrich, di utopia politica 11 • A parte altre motivazioni di ordine culturale e politico, legati alle vicende della prima guerra mondiale, il motivo principale del contrasto emerge nella convinzione di T roeltsch che gli aspetti più significativi ed essenziali del profetismo ebraico trovino la loro attuazione soltanto nella predicazione di Gesù e nello sviluppo del Cristianesimo12, in cui assumono un significato e un valore universalmente umano.
10. Si deve tener presente il libro del 1929 di Hermann Cohen Religion der Vemun/t aus den Quellen des Judentums (H. Cohen, Religione della ragione dalle fonti de/J'ebraismo, edizione italiana a cura di A. Poma, tr. e note di Pf. Fiorato, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, in particolare il cap. XIII: L'idea del Messia e l'Umanità, pp. 358-400; e il cap. XIV: I passi messianici neiprofeti, pp. 401-433. Cfr. U. Sieg, De, S1,ei1 um das •Ethos der ebriiischen Prophelen", «Mitteilungen der Emst-Trodtsch-Gesellschaft», Bd. 15, pp. 1-20, qui pp. 8-9. 11. Cfr. W.S. Dietrich, Cohen und Troeksch. Ethical Monolheistic Religion and Theoryof Culture, Brown Judaic Studies, 120, Atlanta 1986, pp. 1-2. 12. Per una esposizione accurata della polemica rinvio al saggio di Ulrich Sieg sopra citato, che richiama l'attenzione sulle critiche rivolte a Trodtsch da esponenti del "Giudaismo liberale" come il rabbino berlinese Benzion Kellermann, allievo di Cohen, che contesta sia il metodo che il contenuto delle analisi troeltschiane (pp. 11-13). Trodtsch ritenne del tutto insussistenti le critiche di Kellermann. D'altra parte la polemica si inseriva nel con-
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Nella sua analisi dei caratteri del profetismo Troeltsch comincia con l'affermare che la profezia non ha niente da fare con la speculazione, ma opera con visioni, oracoli, rivelazioni. Essa si fonda sulla volontà di mantenere pura la religione di Jahvè da ogni mescolanza con altre religioni, con altre divinità. I messaggi profetici sollecitano la fedeltà assoluta a Jahvè, condannano tutte le deviazioni, giustificano le sofferenze, le sconfitte, le distruzioni cui va incontro Israele con l'infedeltà, i peccati e la giusta punizione di Jahvè. Cosl l'intero Antico T estamento può essere considerato come una grande teodicea suscitata dalla percezione della colpa; ma l'intenzione dei profeti non era tanto quella di spiegare un destino, quanto di provocare una decisione pratica: la teologia politica del profetismo ha al suo centro la certezza della indistruttibilità d 'Israele se essa si manterrà fedele a Jahvè 1>. Il centro dell'interesse è originariamente di natura politica, mirando a difendere l'identità del popolo ebraico attraverso la fedeltà a Jahvè. Certo, una volta costituito come signore e guida dei popoli, come signore della storia,Jahvè dovette diventare anche il signore della natura, il creatore e reggitore dell'intero universo. Ma resta inamovibile la relazione esclusiva tra l'unico Dio e il suo popolo eletto. Anche se, osserva T roeltsch, da dove nasca questa fede nell'unico Dio, questa fede esclusiva, resta non spiegato, «uno di quei mondi immediatamente, spontaneamente percepiti (eine der unmittelbaren spontanen Empftndungswelten)», che si posso-
trasto tra le due scuole neokantiane, del Baden e di Marburgo, contrasto che contribuiva certamente a rendere difficili i rapporti tra Troeltsch e Cohen, malgrado i tentativi di mediazione di Cassirer. Nello specifico il punto centrale nelle critiche di Cohen è il disconoscimento da parte di Troeltsch dell'universalismo del profetismo, che rende impossibile «un avvicinamento tra Giudaismo e Cristianesimo» (p. 14), 13. E. Troeltsch, Glaube und Ethos der ebraischen Propheten (1916), in GS II, pp. .34-65, qui p. 44.
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no solo «comprendere», ma non «spiegare» derivandoli da qualche altra cosa14• Questo nucleo della profezia proveniente dalla più remota tradizione non è però immodificabile, al contrario nel corso delle vicende storiche conflittuali, spesso catastrofiche, si è venuto trasformando, nel senso che la relazione tra Dio e popolo ha assunto un carattere di maggiore interiorità, di personale relazione reciproca di fede e fedeltà, che ha comportato anche il sorgere di nuovi sentimenti e nuovi pensieri religiosi. L'angusto legame di comunità tra stirpe e divinità, si è trasformato nella scelta che per grazia Dio fa del suo popolo, nella chiamata del Signore del mondo, a cui si può rispondere solo con l'umiltà, l'obbedienza, la fedeltà. T roeltsch ricorda i profeti della maestà e della santità di Dio, Amos e Isaia, che, si deve aggiungere, sono anche i profeti del Dio della giustizia e del valore dell'Alleanza, e Isaia in particolare è il profeta che più d'ogni altro ha annunciato il Messia. Essi - sottolinea giustamente T roeltsch - annunciano una religione della dedizione personale, dell'intenzione, dell'interiorità, e non del sacrificio e del culto esteriori. Nuovi sentimenti e nuovi pensieri si trovano testimoniati nei profeti dell'amore e dell'intimità sentimentale come Osea e Geremia, che presentano l'amore di Dio come un amore paterno. O ancora in Geremia e nel Deutero-lsaia si presenta «la religione del sacrificio e della sofferenza, dove la sofferenza del profeta per il suo popolo è soltanto la piena conferma della comunità con Jahvè e il mezzo per la conversione dei membri del popolo non credenti»11• Questi nuovi sentimenti e questi nuovi pensieri di una religiosità più intima, più personale, si riconducono però ancor sempre ad una fede
14. Cfr. ivi, p. 45. 15. Ivi,p. 46.
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che ha il suo centro nel rapporto di comunità di Jahvè con il suo popolo16• L'annuncio di salvezza dei profeti riguarda in particolare quel «resto di Israele» che si è salvato dalle catastrofi e che «vedrà la signoria messianica». E già essi stessi sono parte di questo «resto», sono «il nucleo di una nuova Israele, come testimoni, che comprendono e sono capaci di trarre dagli eventi le giuste conseguenze», in primo luogo la convinzione che «il timore del Signore è l'inizio della saggezza e che soltanto la fedeltà può contare sul dono di Jahvè»17• Ma solo più tardi questo «resto» diventerà realmente «una comunità (Gemeinde) in cui dominano la rigorosa purezza e l'esclusione d'ogni elemento pagano, la fedeltà a Dio e l'umiltà». Sarà allora attuato «il regno di Dio, il nuovo regno di Davide>> annunciato dai profeti. Si apre qui la speranza escatologica di «una nuova alleanza, in cui ognuno, ispirato da Jahvè nel suo cuore, con gioia cambierà sorretto da tutta la forza e la virtù della fede interiore>>. Un pensiero nuovo che è anche al «cuore della predicazione di Gesù». Si viene delineando, quindi, una nuova visione del futuro della storia universale, con l'idea di un fine unitario che abbraccia tutti i popoli: «una teodicea pratica che fa superare le miserie del presente mediante lo splendore del futuro e la forza educatrice della sofferenza, in un'alleanza tra Dio e l'anima per cui alla sofferenza come pena fa riscontro come premio lo splendore del giorno del giudizio»18• Sono nuovi pensieri religiosi che però rinviano ai presupposti del profetismo. E, continua Troeltsch, si afferma una nuova concezione del tempo, che si contrappone all'idea dell'eterno ritorno del processo naturale: l'idea di uno sviluppo verso un fine ultimo
16. Ivi, p. 47. 17.lbidem. 18. lvi, p. 48.
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assoluto, verso una redenzione divina, come più tardi sarà formulata da Agostino. Che questo processo di redenzione possa compiersi, esige però una condizione: che Israele, cosl come è caduto in disgrazia a causa dei suoi peccati, con la sua purificazione ristabilisca l'alleanza con Jahvè, rispettando i suoi comandamenti, che in parte sono precetti religiosi, riguardano il culto e si riassumono nell'esclusione di ogni elemento di paganesimo, in parte sono regole morali e giuridiche provenienti dagli antichi costumi d'Israele. Da questo punto di vista il Dio dell'alleanza appare come il reggitore dell'ordine etico: «Israele è il popolo in cui devono risiedere diritto e giustizia» ed è eletto e formato per costituire il modello etico dell'umanità19• In questo modo, osserva T roeltsch, polemizzando probabilmente con Cohen, si è vista nel profetismo una tendenza a fare di Dio il principio dell'etica, a fondare una specie di filosofia della religione kantiana prima di Kant e prima dello stoicismo, che avrebbe bisogno soltanto di perdere il legame tra Dio e il popolo ebreo, per essere concepita come «la pura religione etica dell'umanità»20 • Una simile interpretazione sarebbe «un fraintendimento dei profeti», del loro stesso modo di concepire l'eticità. L'etica dei profeti è un'etica religiosa, e non un'etica razionalistica; questo vale ancora per Gesù e per i primi cristiani. Condividendo indicazioni di Weber, Troeltsch sostiene che si tratta di un'etica che ha i caratteri prevalentemente di una società contadina e artigiana e mantiene ancora le tracce di una società nomade, che ha un atteggiamento ostile verso le attività commerciali, verso la cultura, la burocrazia e l'economia monetaria cittadina, che condanna il lusso e il potere delle grandi potenze mondiali. Anche l'analisi più dettagliata dei contenuti in essa prevalenti dimostra che l'etica dei profeti non ha nulla a che fare con il diritto razionale né 19. Ivi,p. 49. 20. Ivi,p. 50.
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con un annuncio cli eticità sociale, ma neppure con l'idea cli Humanitiit, né con la libertà o con la democrazia e, mancando un condizionamento cli classe, è ben lontana dal socialismo nel senso moderno. Il sentimento cli solidarietà verso i poveri ha una particolare tonalità religiosa, quella stessa per cui l'ideale dell'uomo è segnato non dalla ricchezza e dall'onore dinanzi al mondo, ma dalla giustizia e dalla umiltà cli fronte a J ahvè21• D'altra parte, questa morale religiosa profetica non deriva dal risentimento dei deboli verso i forti o degli schiavi verso i signori come vuole Nietzsche, ma «proviene in verità e in primo luogo dalla incorruttibilità della fede in Jahvè e da una contrapposizione del mondo interiore verso il potere del mondo esterno»22• Questa sua profonda religiosità contrasta con le condizioni della società del loro tempo- con i regni, gli eserciti, la cultura cittadina dominante, i commerci - per cui difficilmente poteva essere accolta, né c'erano le condizioni per sostenere le profonde trasformazioni sociali che avrebbe richiesto. Perciò apparve come un'utopia e in essa venne in primo piano la dimensione del messianico, che appare in modo speciale nella figura del «resto», che si presenterà come «un ideale cli perfezione religiosa e morale», una condizione che per l'azione miracolosa cli Jahvè non prevede guerre né sofferenze2). Allora, nel regno messianico, com'è detto in Isaia 2, 4, «Egli [il Signore] sarà giudice fra le genti, e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci», e ancora in Isaia 11,6: «il lupo dimorerà con l'agnello/ la pantera si sdraierà accanto al capretto; /il vitello e il leoncello pascoleranno insieme/ e un fanciullo li guiderà». Allora Jahvè farà piovere cli primavera e d'inverno, anzi farà
21. lvi, pp. 51-55. 22. lvi, pp. 55-56. 23. Ivi, p. 58.
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sgorgare miracolosamente sorgenti nel deserto; in modo tale che ognuno possa sedersi sotto il suo fico e sotto la sua vite, e i figli d'Israele abiteranno intorno al loro tempio dove tutti i pagani andranno in pellegrinaggio, per sottomettersi a Jahvè, al Dio d'Israele. Certamente questa profezia non si sarebbe avverata, e tuttavia la volontà di un mondo più giusto non viene meno. Particolare rilievo Troeltsch dà al «programma per il futuro» contenuto in Ezechiele, che egli cosl riassume: nuova divisione delle terre tra coloro che non possiedono terra; cura e sostentamento di poveri e sacerdoti (che non hanno terra); centralizzazione del culto e della legislazione morale e dell'amministrazione della giustizia in Gerusalemme nel nuovo tempio (il progetto della cui costruzione è minuziosamente dettato da Jahvè al profeta: "La nuova Gerusalemme", Ezech. 40-48); una vita purificata attraverso la penitenza, l'umiltà, l'amore e la bontà; la rigorosa corrispondenza tra merito e premio, tra pena e peccato anche nel destino individuale. Questo - osserva T roeltsch - non è il progetto di «uno stato sacerdotale o ecclesiastico, ma un'utopia, un contrappasso profetico-orientale della repubblica platonica; non un parallelo delle contemporanee legislazioni delle città-stato greche razionalizzanti, che misuravano gli eventi con la ragione etica, ma piuttosto un sogno messianico proprio di una religione orientale»24• E qui si presenta una delle tesi interpretative più interessanti di T roeltsch, vale a dire la tesi che le utopie messianiche appartengono ali'essenza del profetismo, non sono un'eccedenza rispetto ai messaggi profetici. Le idee morali e politiche dei profeti si configurano come «un'etica religiosa» caratterizzata dal teismo e da un orientamento volontaristico e finalistico. Le sono estranei sia la dimensione mistica e contemplativa
24. lvi, p. 60.
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accompagnata dal sentimento della fmitezza, sia un atteggiamento realistico rivolto alla soluzione dei problemi della vita quotidiana e all'organizzazione della società. Soprattutto, in perfetta antitesi con l'eticità greca e romana che nascono sulla base della polis, all'etica profetica «manca ogni idea di Stato e di ciò che gli appartiene»2:5. Né vi si può rintracciare il carattere dell'ascesi mondana perché «anche il lavoro e l'attività formativa sono intimamente dipendenti dalla bontà di Dio e dalla sua presenza nel mondo da lui creato». Più in generale la religione e l'etica del profetismo hanno un orientamento di indifferenza verso le forme della cultura mondana, più in generale di opposizione verso il mondo, le cui strutture vengono subite con sofferenza, e que.sto comporta una volontà di distanziamento dal mondo, di immaginazione di un mondo diverso per il futuro, e quindi la formulazione di un pensiero utopico. «Il profetismo - scrive ancora Troeltsch - è la religione di un Dio volitivo, personale, trascendente il mondo, e della personalità umana che si forma nella comunità con lui [. ..) Perciò è un'etica dell'attività e della tensione volontaristica nell'uomo, un'etica che ha il suo modello nella creazione da parte di Dio [. . .) Ogni sentimento etico naturale del valore dell'uomo e della comunità umana viene completamente assorbito in questi unici valori veri che sono relativi al rapporto con Dio»26: una visione del mondo religiosa che raggiunse la sua massima efficacia storico-universale solo con il Cristianesimo, dopo che un vero e proprio risveglio e rinnovamento del profetismo si realizzò nella predicazione di Gesù.
25. lvi, pp. 60-61. 26. Ivi, p. 61.
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3. lA Chiesa antica Proprio la relazione tra Cristianesimo e profetismo ebraico, mediata dalla comune aspettativa messianica, compare all'inizio della riflessione di T roeltsch sulla Chiesa antica. Secondo Troeltsch l'impulso originario alla formazione della Chiesa si riconduce senza dubbio alla persona di Gesù e al suo inserimento di un elemento di profonda umanità e interiorità nel profetismo ebraico, un elemento originale, irriducibile nei termini della cultura religiosa ellenistica. Il confronto con le religioni ellenistiche hanno semmai condotto ad un risveglio dell'Ebraismo della sua tensione apocalittica e della sua avversione verso il mondo. Attraverso queste condizioni il genio religioso di Gesù è diventato il Messia, o già in forza della sua stessa consapevolezza o per la coscienza dei suoi fedeli, cosa questa che è difficile accertare: «Ma è sicuro - scrive T roeltsch - che il mondo ideale messianico è il primo impulso alla comunità dei discepoli e quindi alla Chiesa»27• È nella figura messianica di Gesù che è il cuore della Chiesa. Ed è in questo centro che ha le sue radici «una fede in Dio, che è la fede irrazionale, vivente, dei profeti e che ha poco a che fare con i concetti greci di unità e di legge come altrettanto con le fantasie dualistiche di un orientalismo gnostico»28• Nasce da questo terreno l'esperienza di una comunità che traduce in realtà l'idea del popolo di Dio, del popolo eletto e governato da Dio, che costituisce, osserva T roeltsch, un ideale sociologico di tipo completamente diverso da quello delle città greche protette dagli dei o dell'impero governato dal dio-imperatore, ma diverso anche dai tipi razionalmente deducibili su un piano puramente umano-mondano, cioè di formazioni comunitarie scaturite
27. E. Troeltsch, Die alteKi,che {1916-1917), GS II, pp. 65-121, qui p. 71. 28. Ivi,p. 71.
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dalla violenza o dalla guerra o anche fondate sulla base di una ragione universale identica in ogni individuo. Nel rinnovamento del messianismo si trovano inoltre «le radici dell'ottimismo escatologico che nella variegata esperienza cristiana si presenta sotto forma di utopia, di chiliasmo», o anche tradotto nella più storicistica idea del «progresso, [che] come speranza di un futuro compiuto eccita (erregt) dall'interno e lancia in alto l'intero mondo europeo, il suo lavoro, quella fondamentale tendenza che distingue l'Occidente da tutto il resto del mondo»29• In particolare, T roeltsch sottolinea il fatto che proprio il rinnovamento della tradizione profetica contribuisce a distinguere la cultura europeo-occidentale anche dalla stessa Grecità, per la quale la verità consiste nella conoscenza dell'essere statico, immobile, che «dal processo cosmico, che sempre di nuovo si ripete, lascia emergere sempre di nuovo la ragione verso uguali scopi della conoscenza e non sa nulla dello scopo dell'assoluto compimento di una storia dell'umanità irripetibile)).l 0• La stessa etica dominante nella cerchia culturale europeooccidentale, grazie alla valorizzazione dell'uomo presente nel Giudaismo, si avvicina sì all'umanesimo greco, ma non è propriamente un umanesimo, perché al suo centro restano il pensiero profondamente religioso della filiazione da Dio, accompagnata dalla negazione del soggetto empirico naturale, e il comandamento dell'amore del prossimo sul fondamento dell'amore di Dio che tutti unisce. Pensieri da cui procede certamente una spinta a raggiungere le più alte finalità umane, che però non provengono da una ragione autosufficiente, ma hanno bisogno della grazia divina. Un'etica che si trova quindi sempre problematicamente divisa e oscillante tra la prevalenza
29.Ibidem. 30.lbidem.
dei valori religiosi e trascendenti e i valori mondani, storicoculturali, tra le istituzioni ecclesiali e sociali e quelle politiche. Al centro dell'etica cristiana - osserva ancora Troeltsch in un passaggio molto suggestivo - c'è «il grande pensiero profetico di un radicale ribaltamento della volontà e della trasposizione della volontà finita nella volontà imperscrutabile e incognita di Dio, in cui tramonta il dominio di sé della creatura e le volontà singole si mescolano, ma in cui, in ogni momento, la fiducia che nasce dalla fede ci avvolge con così tanta luce che noi possiamo dedicarci incondizionatamente ai fini universali [che la parola di Dio ci indica]>~•.
È questa l'origine dell'idea di personalità, che si fonda proprio sul distacco dalla totalità naturale, dall'immediatezza della vita naturale in forza della sua dedizione a Dio, e con l'idea di personalità si lega intimamente l'idea dell'amore come ricerca e rispetto nell'altro della personalità. La tesi forte di Troeltsch è che non c'è nulla della cultura greca, né di quella ellenistica, né vi sono elementi di gnosticismo-orientale in questa originaria etica cristiana: essa è esclusivamente di derivazione profetica ed è opera originale di Gesù. Rispetto a questa originaria formulazione della religione e dell'etica evangeliche, va però considerata come altrettanto fondamentale per la genesi della Chiesa la fede nella resu"ezione di Gesù, che per la sua soprannaturalità diviene l'oggetto di un nuovo culto, il centro di una nuova religione, che è anche qualcosa di nuovo rispetto alla stessa predicazione di Gesù. E si pone, con il carattere soprannaturale di Gesù, il problema della conciliazione di questa fede con il rigoroso monoteismo ebraico; di qui la dottrina della trinità. I credenti di questa nuova religione si trovavano anche dinanzi al problema posto da un Messia sconfitto e da una natura umano-divina che va incontro alla morte. Dall'av-
31. Ivi,p. 72.
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vertimento di questi problemi «nacque quell'idea della sofferenza come prova dell'amore vicario e come precondizione di ogni signoria celeste, che già apprezzata dai Profeti, diede ora una più profonda e durevole espressione al pensiero di una organica solidarietà, interdipendenza e vincolatezza dell'umanità>J2 • E sofferenza ed amore si coniugano con un altro carattere che segna profondamente il cristianesimo della chiesa antica nel suo distaccarsi dal mondo antico, che è la centralità dell'esperienza e dell'idea dell'ascesi".
32. lvi, p. 73. 33. lvi, p. 96.
Parte seconda Religione e filosofia della storia
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I Esistenza e storia. Troeltsch e Kierkegaard tra teologia e filosofia
1. Cristianesimo e cultura Come ha fatto osservare Hans-Georg Drescher, è piuttosto sorprendente che Troeltsch, quando nel 1891, dopo l'abilitazione conseguita a Gottinga, presenta il proprio curriculum per l'Anstellungsprufung nella chiesa bavarese, riferendosi ai teologi e ai pensatori che lo hanno influenzato nomina, assieme a Rothe e Hamack, Kierkegaard1• Sorprendente, perché il pensiero kierkegaardiano qualche decennio più tardi sarebbe divenuto il punto di riferimento della corrente teologica che ha contestato la teologia liberale o moderna di cui T roeltsch è uno dei maggiori interpreti, vale a dire la teologia dialettica, da Karl Barth a Friedrich Gogarten: il pensiero teologico di quest'ultimo, in particolare, viene definito da T roeltsch come «un frutto dell'albero di Kierkegaard»2 • Ma sorprendente an1. Cfr. H.-G. Drescher, Entwicklungsdenken und Glaubensentscheidung. Troe/Jschs Kierkegaardsverstàndnis und die Kontrovene T roe/Jsch-Gogarten, «Zeitschrift fur Theologie und Kirche», Bd. 79, 1982, p. 80. Sulla prove dell'esame di assunzione si veda H.-G. Drescher, Emsl Troe/Jsch. Leben und Werk, cit., pp. 77-80. 2. E. Troeltsch, Ein Ap/el vom Baume Kierkegaards («Christliche Welt», Jg. 35, 1921, n. 11, Sp.186-189), in An/àngederdialektischen Theologie, Bd. II,
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che perché una conoscenza più approfondita di Kierkegaard lo stesso T roeltsch la situa nel corso del periodo di Heidelberg', dove ha tenuto corsi su scritti di Kierkegaard nel Wintersemester 1912113 enelSommersemester 19144 • Tuttavia, oggettivamente, il richiamo kierkegaardiano a una più autentica coscienza cristiana può avere impressionato il giovane teologo e la sua iniziale riflessione, nella situazione culturale caratterizzata, alla svolta dal XIX al XX secolo, dal declino della metafisica e dell'etica platonico-cristiana; una situazione che
cit., pp. 134-140.
3. Quando Troeltsch nel 1913 ripubblica il saggio del 1893-1894 Die christlicheWeltanschauung und ihre Gegenstròmungen nel secondo volume delle Gesammelte Schri/ten, in una nota a proposito del confronto tra visione del mondo cristiana e visione del mondo umanistica osserva che a quel tempo conosceva molto poco cli Kierkegaard, la cui opera «nel frattempo», quindi negli anni cli Heidelberg, ha conosciuto «approfonditamente» (grundlich). Cfr.GS II, p. 293, nota 17. Mark Chapmann nel suo saggioEmsl Troeltsch: Kie,kegaard, Compromise and Diakchcai Theolcgy ricorda i riferimenti a Kierkegaard che si trovano in due recensioni cli T roeltsch nel«Theologischer Jahresbericht» del 1897 e del 1899, rispettivamente dedicate alla monografia cli H. Hoffding Soren Kierkegaard als Philcsoph del 1896 e all'articolo cli P. Graue Soren Kierkegaard's Angri/I au/ die Christenheit del 1898, dove Kierkegaard viene presentato da Troeltsch come una personalità «melanconica» impegnata a sostenere la netta opposizione del Cristianesimo verso il mondo e quindi nella contestazione, spesso accompagnata da una sottile ironia, dei compromessi della cristianità con la cultura moderna. Cfr. M. Chapmann, Ernst Troellsch: Kierkegaard, Compromise and Diakctical Theolcgy, in Kierkegaard's in/luence on Theolcgy: German Protestant Theolcgy, a cura cliJ.B. Stewart, Ashgate, Burlington 2012, pp. 3n ss. 4. Cfr. Emsl Troellschs HeidelbergerSeminarberichte. Neuentdeckte Quellen xu seiner Lehrtotigkeit, hrsg. von K.-H. Fix und Ch. Nees, in Mitteilungen der Emst-Troeltsch-Gesellscha/t, VD, Augsburg 1993, pp. 62-64. Nell'avviso per il semestre estivo del 1914 sono indicati anche gli argomenti trattati e i relativi scritti: teologia ed etica cli Kierkegaard attraverso l'analisi cli 1) Einubung in das Christentum e 2) Stad;en au/ dem Lebensweg. Invece il resoconto per il WS 12/13 indica genericamente «opere cli Kierkegaard e Tolstoj».
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si riflette nella teologia contemporanea, specialmente protestante, come smarrimento cli fronte ai segni cli esaurimento cli un "mondo" in cui sembrava radicata la certezza della conciliazione tra Cristianesimo e cultura. In pari tempo, nell'ambito della teologia protestante della fine dell'Ottocento, ad approfondire la crisi interviene «la scoperta che l'escatologia ha una rilevanza centrale per il messaggio cli Gesù e cosi pure per il Cristianesimo primitivo». Come ha osservato Moltmann, questa scoperta ha avuto un effetto sconvolgente e ha scosso come un terremoto non soltanto le fondamenta della scienza teologica, ma anche quelle della Chiesa, della pietà e della fede. «Molto prima che le guerre mondiali e le rivoluzioni avessero provato in occidente la consapevolezza cli una crisi- egli scrive - T roeltsch aveva l'impressione, allora quasi inconcepibile, che "tutto [vacillasse]". La scoperta del carattere escatologico del Cristianesimo primitivo mostrava come l'armoniosa sintesi cli Cristianesimo e cultura, da tutti accettata come ovvia, fosse invece una menzogna». Il riferimento è qui alla critica cli Franz Overbeck alla teologia moderna'.
In effetti, mentre una vasta area della teologia tedesca protestante, che alla fine del secolo si ricollegava, in forme diverse, alla V ermittlungstheo/.ogie di Albrecht Ritschl, era convinta della possibilità cli «essere cristiani anche nel mondo contemporaneo pieno cli realismo, cli naturalismo e cli critica storica» attraverso l'accentuazione della «fede pratica»6 , Overbeck sostiene con forza l'orientamento assolutamente escatologico del Cristianesimo delle origini e trae cli qui la conclusione della opposizione radicale della fede cristiana verso il mondo e la scienza: della impossibilità, quindi, cli armonizzare Cri5. J. Moltmann, Teolcgia della speran111, tr. it. A. Comba, Queriniana, Brescia 1970, p. 3.
6. H. Stephan-M. Schmidt, Geschichte der deutschen evangelischen Theologie seit dem deutschen ldealismus, Topelmann, Berlin 1960, p. 252.
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stianesimo e cultura, a meno di non produrre una progressiva, inevitabile autodissoluzione del Cristianesimo. Destino questo che si è deciso, secondo Overbeck, fin dal sorgere di una teologia cristiana come teoria in cui rifugiarsi dinanzi alla «lotta tra la determinazione ascetico-cristiana e quella criticoculturale della vita»7 • Nel Cristianesimo moderno - a partire dalla Riforma - si compie la fine del Cristianesimo: la cristianizzazione del mondo non è tanto la via della «sdivinizzazione del mondo», come apparirà più tardi a Hcidegger, quanto quella della «mondanizzazione del Cristianesimo», quindi del tramonto della sua originaria verità e forza religiosa: «la semplice fede nella redenzione ad opera di Cristo»8 • T roeltsch, da parte sua, pur riconoscendo la gravità della crisi9 , non rinuncia però a riprendere il problema della conciliazione di Cristianesimo e cultura, di fede e scienza. Proprio nell'affrontare il tema della scissione che si è prodotta nella seconda metà dell'Ottocento tra , nel senso che è scandaloso sia che un singolo uomo si presenti come Dio, sia che Dio si abbassi a soffrire come un uomo umiliatoJ0 • Aut-aut: o la fede o lo scandalo: «La possibilità dello scandalo - scrive Kierkegaard ne L'esercizio del Cristianesimo - è una specie di bivio owero è ciò che pone davanti al bivio. Da questa possibilità si partono due vie, l'una porta allo scandalo e l'altra alla fede, ma non si giunge mai alla fede senza passare attraverso la possibilità dello scandalo»H. Un'affermazione che solo parzialmente potrebbe essere condivisa da Troeltsch, che certamente awerte l'inquietudine del dubbio, ma ritiene che la fede possa trovare nella rivelazione un fondamento conciliabile con la ragione, dal momento che la ragione umana partecipa della ragione divma.
30. CTr. S. IGerkegaard, Esercizio del Cristianesimo, tr. it. in Opere, a cura di C. Fabro,Sansoni, Firen2e 1972, p. 731, a-b. 31. lvi, p. 730b.
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Nel quadro del rinnovamento della teologia a partire dalla seconda metà del XIX secolo Troeltsch, nel saggio del 1903 Die theologische und religiose l.Age der Gegenwart, si sofferma sul pensiero del suo maestro di Gottinga Albrecht Ritschl, intorno a cui si è costituita «una nuova grande scuola teologica, [appunto] la scuola di Gottinga, che si assunse l'onere di questi dubbi», cioè dei dubbi, dei problemi, suscitati dalla >, al giudiz.io di Dio e alla condanna del proprio sé: «In conclusione egli aveva soltanto più aspetti polemici e niente di positivo, rivolgendo a se stesso soltanto la condanna di sé che scaturisce dalla "situazione assoluta" di fronte a Dio»61 • Un giudiz.io che sostanz.ialmente anticipa quello espresso su Gogarten. Certo, T roeltsch si rende conto che nel mondo moderno è sempre più difficile compiere le necessarie mediazioni che la Chiesa cattolica e le stesse Chiese protestanti hanno realizzato e il Cristianesimo è stato sempre di più portato a misurarsi con i problemi sociali, con la politica, con l'economia, con la scienza moderna, specialmente con il principio che sta alla base della cultura moderna: il principio dell'autonomia umana e della capacità di istituire un regnum hominis. Sicché di fronte all'esigenza di sempre nuove mediazioni, è comprensibile che si possa avvertire, come fa Gogarten, «la perdita dell'aut-aut radicale, del radicale dualismo cristiano», e si possa giungere a sciogliere, «proprio analogamente a Kierkegaard, il nodo al quale, per buoni motivi, millenni si erano annodati, che comunque nel mondo moderno è diventato aggrovigliato e al quale troppi, con mani oneste ma fragili, si sono annodati senza il presentimento della pericolosità e della difficoltà»62 •
60. Ivi,p. 137. 61. lbidem. 62. Cfr. Ivi, pp. 137-138.
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6. Esistenza e storia Una trattazione specifica della filosofia di Kierkegaard viene presentata da Troeltsch in Der Historismus und seine Probleme all'interno dell'amplissimo capitolo dedicato al «concetto di sviluppo storico» e alla «storia universale» e precisamente nel terzo paragrafo che tratta dell' «organologia della scuola storica tedesca». Assieme alle teorie di storici come von Humboldt, Savigny, Boeckh, Droysen viene ampiamente trattata la filosofia di Schelling come nucleo fondamentale del pensiero della Romantik e, come controcanto all'organologia e al Romanticismo vengono presentate le filosofie di Schopenhauer e di Kierkegaard. Scrive T roeltsch: «Per la comprensione del significato e la funzione del Romanticismo e dell'organologia per il pensiero storico, non è però sufficiente caratterizzarne i principali esponenti e mostrare l'influenza che hanno esercitato fino ad oggi. Per una completa comprensione [ ... ] è necessario tener conto anche dei due maggiori awersari di questo modo di pensare: Schopenhauer e Kierkegaard» 6>. Entrambi, pur essendo radicati nella cultura romantica, per vie diverse si propongono di imboccare «una via d'uscita [ ...] dalla situazione romantica e dal suo storicismo intonato in senso estetico-panteistico»64 • Della mentalità romantica Kierkegaard condivideva «la [ ...] volontà di comprendere e sperimentare nella sua variegata ricchezza la vita spirituale», la disposizione a «descrivere e interpretare con finezza le situazioni psicologiche ed esistenziali [. .. ] ad awertire l'infinita mobilità della vita, per quanto si sia poco immerso nell'ampia dimensione della storia»61.
63. Historismus, GS UI, p. 307 (tr. it. cit., voi. II, p. 94). 64. Ivi, p. 311 (tr. it. cit., voi. II, p. 98). 65.lbidem.
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L'interesse per la mentalità romantica - ricorda Troeltsch - si manifesta nella sua stessa tesi di dottorato dedicata appunto al concetto di ironia e in tutto «il primo periodo della sua vita [che] egli stesso ha definito come estetico, cioè romantico». Egli però per la sua educazione familiare di carattere religioso era portato a trascendere il piano dell'estetica e a cercare la verità e l'assoluto. Perciò in lui «l'idea metafisica romantica dell'individualità» si è trasformata nell' «interiorità radicalmente personale, che in un modo tutto proprio si spinge fino all' assoluto»66• E l'assoluto può essere raggiunto non mediante l'osservazione empirica e la scienza, e neppure mediante l'arte o l'esercizio della ragione, ma «soltanto per mezzo di un salto e di un ano della volontà, che richiede un'assoluta ed esclusiva dedizione»67• Poiché l'assoluto si lascia intuire nella storia, si può dire che anche Kierkegaard «resta ancora nel quadro dello storicismo»68• Ma una forma di storicismo che si distingue dalla filosofia della storia romantica, tanto dalla dialettica, quanto dall'organologia, cioè da ogni forma di pensiero che riporti l'individuale all'universale, l'esistenza all'essenza. Al contrario l'incontro con l'Assoluto, il salto, è l'atto di una decisione personale, che accade nell'attimo e che determina «la reale "esistenza"»: «si tratta di una creazione ex novo e di una posizione effettiva concreta, di una decisione del momento, a cui tutto è sempre rimesso di fronte all'universale»69 • La pecularietà e la forza del pensiero di Kierkegaard stanno proprio nella rottura dello «sfondo panteistico del Romanticismo», nel dissolversi della metafisica di Dio «nell'irrazionalismo della decisione parados-
66. Ibidem (tr. it. cit., p. 99). 67. lvi,p. .312 (tr. it. cit., p. 99).
68. Ibidem. 69. Ibidem.
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sale e della rivelazione che emergono dalle profondità della vita». E «questo - aggiunge Troeltsch - non era stato fatto neppure dall'ultimo Schelling, malgrado tutto il teismo che lo caratterizza». Si potrebbe pensare piuttosto «alla successiva idea di Bergson di una evoluzione creatrice, salvo che la creazione secondo Kierkegaard si deve spingere ad un più alto grado di irruzione verso l'interiorità dello spirito e dell'amore e ha il suo fondamento ultimo in un movimento della volontà divina d'amore che le viene incontro»70 • La teoria della storia può certamente avvalersi della esperienza filosofica e teologica di Kierkegaard proprio in quanto le sue idee del «salto» e dell'immissione nella storia della «corrente tempestosa delle iniziative e creazioni personali ed irrazionali» richiamano l'attenzione su certe debolezze di ogni organologia e dei suoi effetti, educando «all'esistenziale e al realismo»71 • Infine - come T roeltsch acutamente suggerisce riflettendo nel secondo capitolo di Der Historismus und seine Probleme sul concetto della sintesi culturale del presente - Kierkegaard, contestando P.
25. lvi, pp. 712,694,711 (tr. it. cit., pp. 375,357,374).
233
2. Il soggettivismo teoretico-conoscitivo e la visione del monda storica In Die Grenzen, nell'ultimo capitolo, Rickert discute ampiamente la possibilità di una considerazione scientifico-naturale del corso storico, specialmente attraverso l'ipotesi di applicare alla storia la teoria dell'evoluzione. La conclusione della sua articolata argomentazione è che se «le leggi generali dell'evoluzione sono realmente leggi di natura [ . ..] non possono essere punti di vista che orientano la selezione della materia nella rappresentazione di serie evolutive particolari». Per poter orientare tale selezione dovrebbero essere effettivi «principi di valore», ma allora non sarebbero leggi di natura, cioè non sarebbero affatto leggi, ma rientrerebbero nell'ambito di ciò che è storico26• Infatti una legge generale dell'evoluzione non può essere il criterio per distinguere l'essenziale e il non essenziale nei fatti storici individuali. Altrettanto se si considera l'evoluzione come perfezionamento, come progresso, il suo carattere di legge natu.rale non potrebbe in nessun modo riconoscere il valore dei «diversi stadi dell'evoluzione, che diverrebbero esemplari di genere di una serie di concetti generali, ordinati secondo il principio di un adattamento sempre maggiore, e non resterebbe nulla della loro peculiarità di individui storici». Perché le leggi dell'evoluzione possano essere considerate come principi di valore, come «valori naturali», si dovrebbe provare che «l'adattamento naturale sia anche un perfezionamento»27• Una ipotesi che Rickert ritiene insostenibile proprio dal punto di vista scientifico-naturale che non ammette l'orientamento teleologico che è implicito nel concetto di perfezionamento. In realtà, conclude Rickert, «ogni fede 26. Cfr. H. Rickert, Die Grenxen, l ' ed., cit., pp. 612-613 (tr. it. cit., pp. .325-326). Per le citazioni da Die Grenzen ho seguito l'ottima traduzione di Catarzi, salvo qualche piccola modifica. 27. Cfr. ivi, pp. 615-616 (tr. it. cit., p. 327).
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in un "progresso naturale" e nei "valori naturali" si fonda su di un antropomorfismo che, dal punto di vista scientifico-naturale, è del tutto ingiusti.6.cato»28• Il principio della selezione naturale non può essere scambiato per un principio di valore. Anche se ci spostiamo dal modello biologico a quello psicologico o a quello sociologico, l'atteggiamento naturalistico non appare in grado di produrre una filosofia della storia, una visione d'insieme del processo storico. Il discrimine tra storia e scienza della natura è non tanto l'orientamento idiografico dell'una e nomotetico dell'altra, quanto il riferimento a valori che è essenziale per la storia, mentre non ha posto nelle scienze naturali. Rickert afferma nettamente che la scienza della natura costituisce oggetti che sono esemplari di concetti generali, tra loro equivalenti e sostituibili, mentre la storia ha bisogno di valori per distinguere ciò che è essenziale da ciò che è inessenziale. La natura di cui parla Goethe è certamente altra cosa, è piena di valore, ma si tratta della risonanza della natura nella sensibilità umana, è la natura in relazione all'uomo, ai suoi sentimenti. «Noi sosteniamo quindi che solo il concetto di natura elaborato dalla scienza moderna debba essere pensato come totalmente privo di valori, e vogliamo dire che la concezione della realtà come un ritmo conforme alla legge naturale è connessa con la rinuncia ad ogni tentativo di determinare il senso dell'evoluzione unica[, individuale, irripetibile]. Il mondo come natura diviene una ciclicità priva di senso. Cosl, con l'idea di una filosofia naturalistica della storia si ripresentano a noi i limiti dell'elaborazione concettuale scienti.6.conaturale. Il concetto di natura esclude quello di sviluppo storico, e non solo una storiografia scientifico-naturale, ma anche una filosofia naturalistica della storia è [come] un ferro di legno>>29. Ma proprio perché l'atteggiamento scienti.6.co-natu28. lvi, p. 619 (tr. it. cit., p. 329). 29. lvi, pp. 62.3-624 (tr. it. cit., p. .3.31).
235 rale non ammette riferimenti a valori, il punto di vista scientifico-naturale non ha nessuna legittimazione a negare la validità scientifica di altri ambiti della conoscenza, come per esempio la storia. «Dal punto di vista scientifico-naturale, non si può legittimare l'oggettività scientifica della storia, ma neppure sollevare fondate obiezioni contro di essa»'0• Se si assume il punto di vista della «pura esperienza» si vede che sono gli atteggiamenti del soggetto conoscente che decidono ciò che è essenziale o non essenziale in un ambito di oggetti, nella natura o nella storia. Per quanto riguarda la storia, «una rappresentazione storica puramente scientifica» è quella che pone i propri oggetti in relazione a valori culturali, in cui si esprime una concezione della realtà condivisa da tutti i possibili partecipanti a una cerchia o comunità la più ampia possibile e tuttavia mai coincidente con l'universalità". Da un certo punto di vista si può dire che proprio la storia sia «la vera scienza di esperienza», perché i suoi concetti individuali e i criteri della loro elaborazione, i valori, sono più vicini alla realtà, ali'esperienza vissuta; ma si tratta, appunto, di esperienza vissuta, non di empirismo. Non vi può essere infatti gene,ralizzazione, astrazione, costruzione di concetti di legge: «chi vuol conoscere il passato nel suo svolgimento unico e individuale, può coglierlo solo in concetti con contenuto individuale, i cui elementi si compongono in una unità teleologica rispetto a un valore», procedendo nel senso di una specifica elaborazione scientifica, la cui «oggettività [. .. ] l'empirismo non può confutare»' 2 • Rickert, d'altra parte, critica anche una prospettiva gnoseologica puramente descrittiva che pretenderebbe di afferrare la realtà nella pura esperienza, al di qua di ogni mediazione o trasformazione concettuale; così come una prospet.30. Ivi,p. 626 (tr. it. cit., p. .3.32). .31. Cfr. ivi, p. 634 Anmerkung (tr. it. cit., p. .3.37, nota). .32. Ivi,p. 636 (tr. it. cit., p. .3.38).
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tiva metafisica che pretenderebbe di conoscere la realtà in sé: «bisogna abbandonare definitivamente il concetto di un'oggettività scientifica che si fondi sulla riproduzione della "vera realtà". Questo ideale è per principio irraggiungibile e può condurre solo allo scetticismo>i>3• La validità della scienza, sia della scienza naturale sia della storia, non può dipendere quindi che dall'attività del soggetto conoscente che conferisce una forma alla materia, al molteplice eterogeneo. Si può indicare perciò come soggettivismo teoretico-conoscitivo la prospettiva che secondo Rickert garantisce la validità dell'oggettività scientifica sia nell'ambito delle scienze naturali che in quello della storia. Il mondo fenomenico che si presenta al soggetto psicologico si svela come il mondo dell'"essere assoluto" in quanto oggetto della coscienza in generale, del soggetto trascendentale, che, però, non è solo soggetto sovraindividuale della rappresentazione, ma è anche soggetto sovraindividuale che giudica e valuta. Senza il riconoscimento del valore di verità, ovvero senza il sentimento dell'evidenzal 4 che fonda il giudizio di verità, non vi sarebbe nessuna oggettività scientifica. La verità è altrettanto un valore quanto il bene o il bello o il sacro. Il soggetto teoretico-conoscitivo è insieme un soggetto che valuta, e questo valutare scaturisce dalla volontà che avverte il dovere di aderire ai valori che le si presentano con assoluta evidenza e imperatività. Di qui il primato della volontà: «solo nella volontà che riconosce il dovere (Sollen) come fine a se stesso possiamo cogliere il fondamento ultimo della conoscenza, per il quale non è più possibile una fondazione». Questo vuol dire che «la volontà cosciente del dovere, e quindi "pratica", precede concettualmente la volontà logica, ossia
33. lvi, p. 660 (tr. it. cit., p. 350). 34. Sul "sentimento dell'evidenza• si veda H. Rickert, Der Gegenstand der Erkennlnis, cit., pp. 110-116.
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la volontà di verità»". Affermando il primato della volontà "pratica", Rickert pone la volontà autonoma che vuole il dovere come il valore assoluto, fondamento e generatore d'ogni altro valore: «Non è [ ...] il valore della verità che fonda il valore della coscienza del dovere, ma al contrario il valore della verità è fondato sul dovere - sulla volontà che riconosce il dovere, il dover essere, e tutto il pensiero logico è sorretto da una volontà sovra-logica»>6• Si tratta in effetti di un ultimo fondamento ontologico-formale in cui sono fondati tutti i valori normativamente universali, tanto teoretici che ateoretici, tutti i valori culturali, che solo la storia, anzi - adoperando un concetto di Troeltsch-una «filosofia materiale della storia», può definire dal punto di vista dei contenuti. Di fronte all'incombente nichilismo, alla crisi di valori determinata dalla pretesa assoluta del punto di vista scientificonaturale privo di valori, con Rickert si può quindi affermare che nella nostra finitezza di uomini «noi non sappiamo quale senso, determinato nei contenuti, abbia l'evoluzione della vita culturale dell'uomo, e forse non lo sapremo mai. Ma che essa in generale abbia un senso, ci è garantito, con estrema certezza, dal valore assoluto della volontà cosciente del dovere, perché questo valore è anche il presupposto della conoscenza. Quindi, per quanto questa certezza possa essere solo formale, è tuttavia sufficiente a farci ritenere la concezione storica del mondo altrettanto necessaria di quella scientifico-naturale»>7• La visione del mondo storica è costruita sulla base della messa in evidenza di oggetti dotati di senso e significato e perciò comprensibili, che scaturiscono dal riferimento a valori e sono gli oggetti costituenti il mondo della cultura o mondo storico.
.35. H. Rickert, Die Grenr.en, 1•ed., cit., p. 698 (tr. it. cit., p . .370). .36. Ivi,p. 700 (tr. it. cit., p. .371). .37. Ivi,p. 70.3 (tr. it. cit., p. .373).
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Mentre gli oggetti che sono immediatamente privi di senso e di significato, puramente percettibili e non comprensibili costituiscono il mondo della natura: in sé privi di riferimenti a valori acquistano significato solo in quanto elaborati dalle categorie della conoscenza scientifico-naturale, a cui fondamento vi è il riferimento al valore della verità.
3. Il regno dei valori
In Grundprobleme der Philosophie del 1934 Rickert, ponendo la domanda intorno all'ente, la domanda ontologica, muove dalla immediata esperienza della distinzione tra l'essere corporeo e l'essere psichico e rivendica l'autonomia della vita psichica rispetto al riduzionismo meccanicistico e organicistico. Mette poi in evidenza che oltre i due regni del corpo e dell'anima, della res extensa e della res cogitans, si dà nell'esperienza un terzo regno, che abitualmente viene indicato come la dimensione dello spirito. Ma Rickert preferisce non adoperare il termine spirito, che include in sé già un concetto di valore, indicando una dimensione superiore della vita, mentre l'ontologia dev'essere il più possibile descrittiva, non valutativa. Questa terza dimensione dell'essere può essere invece definita proprio come la dimensione dei valori, il regno dei valori. Questa dimensione dell'essere o, come Rickert dice, il terzo tipo di ente (Seienden)' 8, si lascia identificare in primo luogo attraverso l'esperienza del senso e del significato, che
38. Cfr. H. Rickert, Grundprobleme der Philosophie. Methodologie - Ontologie - Anthropologie, Mohr, Tubingen 1934, pp. 77-78. Sul concetto di valore in Rickert si veda il saggio di Anna Donise, Fenomenologia e genesi del conce/lo di valore, in Metodologia, teoria della conoscenz.a, filosofia dei valori: Rickert e il suo tempo, cit., pp. 27-48. Sulla teoria del soggetto in Rickert cfr. A. Donise, Il soggetto e l'evidenz.a. Saggio su Heinrich Rickert, Loffredo, Napoli 2002.
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si presentano già nell'analisi del mondo sensibile distinto in mondo corporeo e in mondo psichico: vi sono stati dell'uno e dell'altro tipo di ente che hanno senso o significato. Una dimensione che si manifesta nel linguaggio, anzi nei vari tipi di linguaggio, di espressione, e che si può indicare come la dimensione dell'essere comprensibile, non solo percepibile o rappresentabile, ma oggetto di comprensione, di riferimento a un centro unificante dentro un circolo che stringe assieme le parti e l'intero. Una prima determinazione dell'essere comprensibile è di carattere negativo. Tutto l'essere corporeo e psichico noi - scrive Rickert - lo definiamo come «sensibile», e parliamo di un «mondo sensibile», separando anche un «senso esterno» da un «senso interno», cioè la vita dei corpi dalla vita psichica, includendo nel senso interno anche i sentimenti, le volizioni. Rispetto a questa dimensione, dichiariamo invece come non sensibili (unsinnlich) i significati, gli oggetti della nostra comprensione, ed anche il senso delle nostre azioni, dei nostri atteggiamenti che afferriamo nel verstehen)9• Si tratta della distinzione platonica dell'aisthet6n dal noet6n, della messa in luce di una terza dimensione oltre quella sensibile corporea e sensibile psichica, che può essere indicata come «mundus intelligibilis»40, che non è sottoposto al mutamento, non scorre nel tempo: «il significato della parola "verde" non si muta mai in quello della parola "marrone". Quel che noi intendiamo con le due parole resta separato e immutato». E questo, osserva Rickert, è valido anche se la parola riceve un nuovo significato, che si aggiunge, ma non modifica il precedente41 •
.39. Cfr. ivi, p. 81. 40. Contrapponendolo al mondo sensibile fisico e psichico, Rickert parla del «dualismo del mondo dell'esperienza», cfr. ivi, pp. 92 ss. 41. Cfr. ivi, pp. 80-82.
240 Tuttavia va considerato che in concreto il significato di una parola, il suo senso, cosl come il senso di una proposizione, o di un insieme di proposizioni si definiscono in relazione con altre parole, con altre proposizioni, cioè in relazione con l'intero. La dimensione del mundus intelligibilis è caratterizzato infatti dalla relazione intero-parti, proprio come accade nel linguaggio. Gli oggetti della comprensione non sono mai atomi,ma sempre «membri» (G/ieder), parti viventi nel tutto. E inoltre essi non nascono, non sorgono, e non passano: «È impossibile, scrive Rickert, dire di un intelligibile che esso è sorto una volta nel tempo e una volta di nuovo passerà. Questo modo di essere sussiste solo per la proposizione esteriore percepibile, attraverso cui l'intelligibile, il senso, viene espresso, e per l'atto psichico con il quale esso viene compreso, non perla formazione-di-senso in quanto tale [ ... ] una verità non cessa di essere vera e intemporale, per il fatto che non venga appresa»42• Una caratteristica fondamentale del mundus intel/igibi/is è il riferimento al valore, il legame tra il senso teoretico, conoscitivo, e il valore. In che modo si presenta questo legame che fa emergere la presenza ontologica del valore? Gli uomini - osserva Rickert - aspirano a comprendere il senso delle cose, a conoscere la verità, e al tempo stesso a non cadere nell'errore, a non incorrere nella falsità. Ma perché cerchiamo la verità o qualsiasi altro bene? evidentemente perché essa ha per noi un valore, e al contrario vogliamo evitare il falso perché è per noi un disvalore. «Da ciò risulta chiaramente quanto segue: verità e falsità sono per gli scienziati una coppia di valori, anzi una opposizione di valori, cosl come per altri uomini lo sono per es. piacere e dolore, bene e male, bello e brutto. In tutti questi casi si presenta un lato che deve-essere (Jein sol!) perché ha
42. Ivi, p. 84.
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un valore positivo, mentre l'altro lato non deve essere perché è nemico del valore, è il contrario del valore»43 • E Rickert aggiunge a questo punto una precisazione importante che conferma la dimensione ontologica del valore, dei valori: «Con le formazioni di senso teoreticamente comprese noi non solo perveniamo nel territorio di ciò che non è sensibile ed è intemporale, ma ad un tempo ci imbattiamo in un ente, in un essere, che si distingue da ogni realtà semplicemente psico-fisica anche mediante il suo carattere di valore e l'opposizione di valore/disvalore ad esso congiunta»◄◄• C'è quindi, congiunta con quella teoretica, una dimensione ontologica in cui il valore è in sé indipendentemente dall'ano del soggetto, dell'individualità che valuta, una dimensione che si costituisce in un vero e proprio sistema di valori, che si manifesta nel mondo della cultura. Anche nei valori culturali emerge l'autonomia del mundus intelligibilis; nella massima misura questo accade con il valore della verità: «In altri casi si può dubitare del valere del valore posto in se stesso, indipendentemente dalla valutazione del soggetto, ma sul terreno teoretico il valore di verità, che compone unificandoli gli elementi di una totalità di senso, esclude ogni dubbio, e ci autorizza a parlare di un "mondo" teoreticamente comprensibile, che come totalità suprema rende tutti i suoi componenti dei "membri"»◄j. E - credo senza allontanarsi troppo dal dettato rickertiano - si può aggiungere che ciò accade perché il mondo intelligibile è in rapporto non al soggetto empirico o psicologico, ma al soggetto teoretico-conoscitivo o trascendentale, e quest'ultimo si relaziona non solo con l'ambito teoretico, conoscitivo, dell'esperienza, ma con le varie regioni di essa, dove sono ali'opera i valori del bello, del bene, del sacro, che sembrano attraversare tutte le culture, ma 43. Ivi,p. 86. 44. Ibidem.
45. Cfr. ivi, p. 87.
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anche tutti i valori culturali che trovano in essi il loro fondamento. In questo senso si potrebbe pensare a un mondo dei valori che ontologicamente si affianca al mondo della realtà e per quanto possibile lo pervade nel mondo storico-culturale. «Cosl- scrive Rickert- ci troviamo dinanzi al compito di gettare luce sull'universo dei valori che sono a fondamento della totalità di senso che costituisce il mondo intelligibile, e la dottrina dell'essere comprensibile sfocia necessariamente in una filosofia dei valori»: il che comporta appunto la ricerca di un sistema di tutti i valori, che, al di là della frontiera che restringe il mondo intelligibile al territorio teoretico, si apre, come si è accennato, alla totalità dell'esperienza della coscienza. Questa conclusione di Rickert sarebbe stata condivisa da T roeltsch, se fosse stato possibile passare - per usare una terminologia diltheyana - dal principio dell'immanenza della coscienza al principio dell'Erlebnir, se cioè nell'esperienza della coscienza si fosse riconosciuto l'Erlebnis del rapporto del soggetto con altri soggetti come rapporto tra "esistenze" che non si risolvono semplicemente nell'"essere-per-altro", nell'"essere per una coscienza", ma sono ognuna un "essereper-sé", che come tale si manifesta nelle sue azioni. Ma per Rickert, secondo Troeltsch, questo non è possibile. In Moderne GeschichtsphikJsophie T roeltsch scrive: «Indubbiamente si deve riconoscere che rispetto al mondo fisico è possibile soltanto il punto di vista dell'immanenza della coscienza [. . .) Ma le cose stanno diversamente rispetto ad un'altra vita spirituale[ . ..] Noi, infatti, non interpretiamo queste esperienze [di un'altra vita spirituale] soltanto a partire da noi stessi, ma al contrario molto spesso interpretiamo noi stessi a partire da queste esperienze. Inoltre, per quanto ciò possa essere incomprensibile, nel rapporto tra uomo e uomo si presuppone che lo stimolo e l'azione provenienti dall'altro costituiscano di fatto la manifestazione di una entità che non coincide con l'esperienza, si riconosce [. ..] una realtà che non è semplicemente
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esperienza». J;Erlebnis dell'altro ci attesta che l'altro non si risolve in un contenuto di esperienza della coscienza che lo intenziona, ma che è per se stesso ed opera come una forza indipendente. «Questa visione - osserva T roeltsch- toglie alla storia quell'apparenza di un mondo di fantasmi che conserva anche in Rickert nella prospettiva della pura immanenza della coscienza»46• Altrettanto venti anni dopo, in Der Historismus und seine Probleme, osserva che per Rickert «ogni tentativo di raccogliere in un'unica visione essere e valore, sviluppo e realizzazione di senso, condurrebbe ai metodi intuitivi assolutamente antiscientifici e alla fusione di entrambi nell'oscuro concetto di vita[. ..] Per Rickert, il concetto della vita è soltanto cattiva metafisica, che confonde quelle differenze»47 • Ma con l'eliminazione del concetto di vita, cosl come con la chiusura verso ogni forma di metafisica e verso la psicologia, si elimina anche il concetto di sviluppo che per Troeltsch è essenziale per la comprensione della storia, sicché non c'è da meravigliarsi se «con il concetto di sviluppo, manchi anche ogni accenno del suo risultato naturale, ogni immagine del processo storico-universale. C'è un sistema universale di valori, ma non una storia universale»48 • Nella recensione alla Psicologia delle visioni del mond-0 diJaspers Rickert in un passo riportato da Troeltsch scrive: «Si può in generale "comprendere" il reale, se il comprendere è contrapposto allo "spiegare"? Noi non comprendiamo piuttosto solo formazioni i"eali di valore e di senso?»49• Alla i"ealtà del "regno dei valori", Troeltsch contrappone la realtà del mondo storico nelle cui formazioni si dispiega il regno dei valori. Replicando alla critica dello stori46. 47. 48. 49.
ModemeGeschichtsphilosophie, GS II, p. 725 {tr. it. cit., p. 389). Historismus, GS lii, pp. 563-564 {tr. it. cir., voi. II, p. 333).
lvi,p. 564 {tr. ir. cir., p. 333). H. Rickert, Ps-ychologie der Weltanschauungen und Philosophie der Werte, «Logos», IX, p. 38, cir., in Historismus, GS III, p. 564, nota 307.
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cismo di Simmel, Troeltsch ne delinea il significato per lui autentico: «l'allargamento dell'esercizio storico ad uno sguardo comparativo, che abbraccia la storia, e la fondazione di tutte le istituzioni e di tutti i valori su un contenuto razionale presente nel divenire concreto»~0 •
50. Hi.storismus, GS III, pp. 581-582 (tr.it. cit., voi. II, p. 350). Sul rapporto Troeltsch-Rickert, in relazione all'idea di storia universale, si veda l'analitica trattazione di Domenico Conte nel capitolo dedicato a Troeltsch in Storicismo e storia universale. Unee di una interpretazione, Liguori Editore 2000, pp.18-37. Cfr. A. Giugliano, Filosofia trascendentale dei valori, Lebensphilosophie e Hi.storismus nel pensiero di H. Rickert, in Rickerl tra storicismo e ontologia, a cura di M. Signore, Franco Angeli, Milano 1989.
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III Il tempo della storiografia nella tradizione storicistica. Croce, Troeltsch, Droysen
1. La contemporaneità della storia nello storicismo di Benedetto Croce Nel fondamentale libro del 1938, La storia come pensiero e come azione•, e in particolare nei primi capitoli della prima sezione, La storicità di un libro di storia e La verità di un libro di storia, Benedetto Croce si chiede come debba essere giudicato un libro di storia. Croce vi sostiene che, proprio essendo la storia la vera conoscenza, il libro di storia non deve essere per forza serino bene dal punto di vista letterario. Se lo è, tanto meglio; ma non è questo che lo caratterizza come libro di storia. Non appartiene al compito precipuo della storia suscitare commozione, sentimenti, immaginazioni, com'è proprio dei drammi e dei romanzi. Un libro di storia può essere «freddo, difficile e faticoso», perfino «noioso»2 • Altrettanto il libro di storia non può essere giudicato con il parametro della verità come riconduzione del particolare a leggi generali, cioè con il parametro della verità astratta, che non è realmente verità. Né
1. B. Croce, LA storia come pensiero e comeaJ';Ìone ,3•ed., Latera, Bari 1939.
2. lvi, p.3.
246 lo si può giudicare «secondo la maggiore o minore copia ed esattezza delle notizie che offre»'. Per quanto l'esattezza sia «un dovere morale», e certamente sia preferibile che le notizie riportate in un libro di storia siano esatte, non è questo l'elemento specifico del conoscere storico e Croce distingue qui nettamente la storia dalla cronaca e dalla filologia: al «rame dei cronachisti» o al rame «ben lucidato dei filologi» egli contrappone l' «oro degli storici», sempre preferibile anche quando sia «avvolto in iscorie». Perché quel che conta, dal punto di vista del «pensiero storico», è che «il libro di storia [sia] la risposta ad un problema». È questa la tesi di fondo di Croce: il libro di storia rappresenta l'evidenziazione di un problema, di una connessione di problemi posti dalla realtà; è la risposta non immediata, ma conoscitiva a un bisogno, ad una serie di bisogni avvertiti dal soggetto concreto o meglio da una pluralità di soggetti concreti, da una comunità vivente, in un determinato momento, in una determinata situazione, in un determinato "presente". Il conoscere storico è intimamente legato alla prassi da cui viene richiesto e a cui si rivolge per prepararne lo svolgimento ulteriore. Un'idea che era stata espressa efficacemente da T roeltsch nello scritto sull'essenza del Cristianesimo degli inizi del secolo: «Il senso della storia non consiste mai nel riprodurre un mondo passato semplicemente nel ricordo. Giacché, a parte che non sarebbe possibile, questa rievocazione sarebbe anche vuota ed inutile. La comprensione del presente in base al suo esser-divenuto; la visione d'insieme dell'esperienza del genere umano (o almeno della nostra area culturale o del nostro popolo) ancora attingibile da noi e colta nella sua struttura complessiva; l'educazione storica del nostro pensiero che da essa si sviluppa e le linee direttive per il futuro che grazie ad essa si possono tracciare: è questo il senso della
3. lvi, p. 2.
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storia»4 • Questo stesso atteggiamento verso il pensiero storico che unisce la considerazione del costitutivo nesso della conoscenza storica con l'azione, con la vita storica, e il riferimento originario di esso al presente, ai problemi del presente nel suo spingersi nel futuro, nelle res gerendae, si trova al cuore delle pagine crociane, a testimoniare uno storicismo che nella sua essenza più profonda e più vera non si lascia ingabbiare in una costruzione sistematica o in una teleologia obiettiva del processo storico. Uno storicismo che non vuole correre il rischio di un'assoluta relativizzazione, che si spinge fino «a negare la distinzione delle categorie del giudizio», a negare cioè le categorie come principi del mutamento stesso, in cui si esprime la storicità del reale e delle forme che di volta in volta, di tempo in tempo, le categorie stesse vengono assumendo. Le categorie nella loro materialità formale «non cangiano e neppure di quel cangiamento che si chiama arricchimento». Esse, consentendo l'attuarsi del giudizio, della distinzione - per cui un atto di vita viene qualificato, distinto e quindi conosciuto come un «atto di verità» o «di bellezza» o come un «atto di accorgimento politico», o «di sacrificio morale» - corrispondono ali'«esigenza di mantener saldo nel flusso della realtà il criterio dei valori spirituali>Y. Uno storicismo inoltre che non intende farsi attivismo e irrazionalismo, altrettanto quanto non intende farsi filosofia o metafisica della storia. Perciò la considerazione della genesi della conoscenza storica dalla prassi e del suo essere destinato all'orientamento della prassi non intende annullare la distinzione tra conoscenza ed azione, tra pensiero e volontà, ma vuole mantener viva la coscienza della loro intima relazione nella circolarità della vita dello spirito: «Identificato con la
4. E. Troeltsch, War heisst "We.en de. Christentums"?, GS II, p. 425 (tr. it. cit., pp. .30.3-.304).Cfr. P.Colonnello, Croce, Troe/Jschela "concordiadiscors• dellostoru:ismo, "NordeSud",1985, n. .3, pp. 72-7.3. 5. B. Croce, LA storia come pensiero e come azione, cit. , pp. 24-25.
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volontà e coi fini della volontà, il pensiero cesserebbe di essere creatore di verità e, facendosi tendenzioso, decadrebbe a menzogna; e la volontà e l'azione, non più rischiarata dalla verità, si abbasserebbe a spasimo e furore passionale e patologico»6• La tesi della circolarità di teoria e prassi richiama più in generale la circolarità della vita dello spirito e della sua scansione temporale. Essa si lega immediatamente con l'altra tesi fondamentale della contemporaneità della storia. La storia è sempre storia contemporanea. Infatti, se la conoscenza storica è quella conoscenza che nasce da problemi, da interpretazioni dei bisogni, delle inquietudini, delle difficoltà suscitate dalla vita, e se la vita è sempre in un atto di vita, in un presente, allora la storia nasce necessariamente nel presente ed è la risposta a problemi del presente. Sicché non ci rivolgiamo al passato per conoscere il passato in quanto tale, ma ci rivolgiamo al passato per comprendere meglio il presente, il suo essere-divenuto. Croce non lo dice, ma qui l'interlocutore dovrebbe essere Nietzsche. Nietzsche aveva scritto nel 1874 uno dei saggi più belli di filosofia che siano mai apparsi, intitolato Sull'utilità e il danno della storia per la vita. E un testo compreso nelle Considerazioni inattuali, e non è un caso che proprio nel 1874 Nietzsche scriva questo saggio dedicato alla storia. Infatti dopo il grande periodo creativo del Romanticismo e dell'Idealismo, la cultura tedesca si era in qualche modo ripiegata su stessa, dedicandosi soprattutto all'indagine storica, alla filologia. È il grande momento della storia e la sua pervasività dà l'impressione a Nietzsche di un'atmosfera soffocante. La storia è come un macigno che pesa su di noi e blocca ogni creatività; la vita non si sviluppa più perché sommersa dall'umanità passata. E questa è quella che Nietzsche chiama la «malattia storica»: quando la storia non serve più la vita, ma l'intristisce,
6. Ivi, p. 28.
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e lo storico diventa come una persona che si aggira nel suo giardino e non fa nulla, sta solo a curare questi suoi fiori che sono le descrizioni di epoche passate7• Questa forte polemica contro l'eccesso di storia riecheggia nell'argomentare di Croce, allorché, nel capitolo VIII della prima sezione della Storia come pensiero e come azione - corrispondendo di fatto all'altro pensiero di Nietzsche per il quale la storia serve alla vita- sostiene che è proprio la storiografia a liberarci dalla storia, cioè dal peso del passato. La conoscenza storica - e con essa lo storicismo, come consapevolezza della storicità del pensiero - non costituisce, come si è voluto far credere, una santificazione del passato, non porta a soffocare la vita presente sono il peso del passato, ma anzi è l'unica «via d'uscita» dal fatto che «noi siamo prodotto del passato, e viviamo immersi nel passato, che tutt'intorno ci preme», perché attraverso la conoscenza del passato noi possiamo liberarci dall'immediato condizionamento che esso esercita su di noi, possiamo metterlo a distanza, riducendolo «a problema mentale», risolvendolo «in una proposizione di verità» che potrà diventare «l'ideale premessa per la nostra nuova azione e nuova vita»8 •
In effetti, essendo noi dei soggetti storici, la nostra cultura, la nostra esistenza, senza che noi ce ne rendiamo conto, è intessuta di eventi che non sono stati prodotti da noi, per cui ci troviamo ad essere costruiti dal passato: nel nostro agire spesso siamo guidati dal passato senza rendercene conto. La storiografia, invece, ci fa capire com'è divenuto il presente e che cosa è accaduto prima, per cui ne prendiamo coscienza 7. Cfr. Fr. Niet2sche, Su/J'utilità e il danno della storia per la vita. Ccnsideravoni inattuali II, tr. it. di S. Giametta, in Opere di Friedrich Nietzsche, edizione italiana diretta da G. Colli e M. Montinari, voi. III, tomo I, Adelphi, Milano 1972, pp. 259,264,345,350.
8. B. Croce, La storia come pensiero eoomeavone, cit., p. 31.
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e quindi siamo in grado di dominare quello che è il risultato del processo. Ed allora la storia invece di essere qualcosa che soffoca la vita rende possibile l'azione, perché ci fa capire cosa rappresenta la situazione nella quale siamo stati gettati e dove stiamo andando, dove possiamo andare. In questo modo la conoscenza storica spinge il passato nella vita del presente, fa della sua eccedenza l'elemento costitutivo del novum. Mentre nel vivere senza consapevolezza storica siamo, in qualche modo, gettati nel processo o almeno portati dall'onda del processo, tramite la storiografia, invece, prendiamo coscienza di noi stessi e possiamo orientare il nostro agire, finalizzarlo a scopi consapevolmente posti, agire - per riprendere una efficace espressione di Husserl - mediante atti razionali. A questo punto, possiamo dire che dal discorso di Croce sono emersi per noi due concetti di storicità. Uno di essi è rappresentato dall'invasione, dallo spingersi del passato nel presente, che è un processo oggettivo, per cui la storia è produttiva in quanto il presente è il prodotto, il risultato del divenire. L'altro, che è quello più rilevante e intrinseco al costituirsi del pensiero storico, dello storicismo, è il concetto di storicità a livello della coscienza: il prender coscienza di questo processo, e quindi la tensione del pensiero per sapere da dove possiamo ripartire, da dove e come possiamo aprirci un varco tra il presente ed il passato, aprirci un varco oltre il già-stato verso il non-ancora, verso il novum. La storia è contemporanea in quanto è al servizio della vita, del presente. «Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella qua-
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le quei fatti propagano le loro vibrazion.i»9• Solo se si riferisce al nesso tra passato e presente un libro di storia può trovare la propria unità, che si manifesta nella centralità di un problema o di una costellazione di problemi ed essere quindi veramente un libro di storia, e non soltanto una cronaca o una narrazione o un insieme di documenti.
2. Tempo storico e sviluppo nella teoria della storia di Troeltsch Nella teoria della storia di T roeltsch il concetto di sviluppo costituisce, dopo quello di totalità individuale, il secondo «concetto fondamentale», e proprio in rapporto a tale concetto la logica della storia si differenzia da quella delle scienze naturali anche per la specificità del concetto di tempo, che esige come fondamento della distinzione tra «divenire storico» e «divenire naturale» già defin.ita da Hegel10• La nozione ordinaria di tempo e parimenti quella delle scienze naturali riducono il tempo allo spazio e al movimento spaziale, disgregandolo in una successione di istanti, di singoli punti o di singoli tratti finiti, in cui sono «posti» gli eventi o i complessi di eventi. Il tempo storico è invece legato alla memoria, che «pone il contenuto spaziale e non spaziale al servizio dell'orientamento nel presente e nel futuro». Analogamente alla coscienza vissuta del tempo, il concetto del tempo storico è un concetto qualitativo ed indica «un flusso, in cui niente è isolato e separato, ma ogni cosa passa nell'altra; passato e futuro si compenetrano; ogni presente porta in sé, in modo produttivo, ad un tempo passato e futuro, e non è possibile in generale una misurazione, ma sono possibili soltanto cesure, che vengono ordinate
9. Ivi, p. 5. 10. Cfr. G. W. F. Hegel, Levoni sulla filosofia della storia, tr. it. cit., voi. I, pp. 14 ss. 150 ss.
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più o meno arbitrariamente secondo connessioni e grandi trasformazioni di senso»11 • Anche per questo aspetto, in cui Troeltsch si ricollega specialmente a Bergson12, si conferma la sua concezione antimonistica, pluralistica del reale e della logica che vi corrisponde. Mentre per la determinazione dei concetti di individualità e di novità, essenziali per la conoscenza storica, è poi importante il rilievo dato al concetto del contingente come ineliminabile alterità dell'attività apriorica della ragione. Il riconoscimento della contingenza si impone dinanzi al «problema della individuazione», dinanzi al fatto che all'interno anche della più completa trama di leggi razionali si afferma sempre qualcosa di individuale, che non può essere esaustivamente dedotto da quelle leggi, ma è qualcosa di particolare e di irripetibile 0 . Dalla irruzione del contingente dipende anche la possibilità della storia come il luogo delle decisioni e delle scelte, come la scena di un dramma etico in cui gli esistenti si sperimentano come persone. La logica formale della storia ha mostrato come non sia più possibile concepire una filosofia della storia come «una sistematica del processo storico, una costruzione teleologica della
11. Historismus, GS III, pp. 56-57 (tr. it. cit., voi. I, p. 1()()). 12. Cfr. ivi, pp. 57, nota 2J; 643-644 (tr. it. voi. I, pp. 100-101, nota 27; voi. Il, pp. 408-409). «Secondo Bergson- ha scritto esemplarmente Aldo Masullo- sotto l'usuale trama dd tempo "spazializ:i:arto", divisibile e misurabile, della conoscenza fisica funge il tempo autentico. Esso è l'ininterrotto Busso dd divenire, la •durata reale", ossia il moto profondo delle cose, sperimentato nella sua metafìsica continuità, "vissuto dall'interno", nella sua "indivisibilità", onde il passato fa corpo col presente, e la realtà cresce su stessa» (A. Masullo, Il tempo e la gra:da. Per un'etica attiva della salvezza, Donzelli Editore,Roma 1995, pp. 22-2J). lJ. Cfr. E. Trodtsch, Die Bedeutung des Begriffi der Kontingeni (1910), GS Il, pp. 773-75.
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graduale realizzazione di un fine della storia»14• Ad un tempo però essa ha posto l'esigenza di una costruzione del senso complessivo dello sviluppo storico, che può scaturire soltanto dalla comparazione tra le «totalità individuali» di cui si costituisce la storia, dal ritrovare in esse delle comuni tendenze che si prolungano fin dentro la situazione del presente. Infatti non solo la storia non esclude principi normativi e valori, ma non potrebbe neppur costituirsi come «comprensione» e «rivivimento» delle formazioni storiche del passato se non includesse già il riferimento a valori e norme ancora percepibili nel presente, intorno a cui organizzare i molteplici frammenti della memoria: «Se soltanto un'idea di senso e di valore conduce alla costituzione dell'oggetto storico e se questa idea a sua volta viene ali'esistenza soltanto attraverso una entropatia ipotetica di unità di senso passate in fona di un sistema di possibilità e di valori ancora presenti, alk>ra è anche k>gicamen-
te impossibile non procedere da quel regno di possibilità che si anima e si dischiude storicamente ad una propria, personale formazione di senso e non valutare e vak>rizzare l'intuizione storica per una propria decisione e creazione,>1' . Questo comporta evidentemente una concezione anti-contemplativa della storia e più in generale un rinnovato legame tra teoria e prassi: «Non si dà alcuna scienza puramente contemplativa, - scrive Troeltsch in Der Historismus - né nella natura né nella storia, né nella motivazione né nel risultato [. ..]. Cos1 non si dà neppure alcuna storia puramente contemplativa che non sfoci in una comprensione del presente e del futuro. E ciò sia nella motivazione che nei risultati»16• Questa
14. Historismus, GS Ili, p. 111 (tr. it. cit., voi. I, p. 149). 15. Ivi,p. 69, cors. ns. (tr. it. cit., voi. I, p. 112). 16. Ivi, p. 70 (tr. it. cit., voi. I, p. 112); cfr. pp. 113-117 (tr. it.. cit., voi. I, pp. 150-154). Alberto Caracciolo ha sottolineato il «carattere non [. ..) contem-
254 consapevolezza del nesso tra storia e presente costituisce uno degli esiti più significativi della storia della riBessione sulla storia tra Ottocento e Novecento che Troeltsch sviluppa nel lunghissimo terzo capitolo di Der Historismus und seine Probleme. In particolare essa appare a T roeltsch come uno dei risultati più importanti della «istorica» di Croce con «la definizione e considerazione della storia come storia contemporanea, cioè connessa con la propria vita» e con «la trasposizione dell'universale e della storia universale nel momentaneo, cioè nell'ambito di volta in volta messo a fuoco dal punto di vista dell'osservatore»17• Proprio in questa direzione, cioè nella direzione del pensiero del presente e del suo protendersi verso il futuro, si muove il «superamento» del «mero Historismus» in Troeltsch: «presente e futuro devono potersi annodare nella visione storica e dove non si possa parlare di un tale nesso, là manca ogni interesse per la storia - l'unità della connessione vivente, da cui soltanto possiamo infondere al passato il sangue di una vitalità quanto meno storica. Adesione o opposizione verso il nostro presente e la nostra figurazione del futuro: questo è sempre [ ...) il medio, sia pure inconsapevole, dell'interpretazione storica»18• Il pensiero del presente e del futuro, quindi la destinazione etica dello storicismo, sono all'origine della filosofia materiale della storia, che è «la costruzione del processo storicouniversale dal punto di vista dell'osservatore» - non il puro disinteressato «soggetto epistemico» o «trascendentale», ma il
plativo, ma prospettico», che ha la storia secondo Troehsch (lntrodu:tione alla traduzione italiana di Absolutheit, eit., p. XV). 17. Hùtorismus, GS III, p. 629 (tt. it. cit., voi. II, p. .395). 18. Ivi, pp. 69-70 (tr. it. cit., voi. I, pp. 112-11.3). Cfr. Was heùsl "Wesen des Christenlums"i>, GS II, pp. 424-425 (tt. it. cit., pp. .30.3-.304).
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soggetto vivente nella sua interezza, che entra con i suoi valori, le sue idee, le sue scelte nella configurazione stessa dell'iinmagine dello sviluppo: «la materialità di questa costruzione consiste nella positiva e personale valutazione dei contenuti di senso, che si danno nell'intuizione storica, dal punto di vista della loro visione d'insieme in un processo unitario»19• Finché la storia - o un tratto di essa, un'epoca, una cultura non è ancora giunta alla fine, la filosofia della storia non può indicare una ◄• Nell'Erlebnis del
.32. Ivi,p. 19 (tr. it. cit., p. 20). :n. W. Dilthey, Einleitung in die Geisteswissenschaten, Gesammelte Schri/ten, Bd. I, hrsg, v. B. Grocthuyscn, Vandcnhoeck & Ruprecht, Goningcn 1966, XVIl-XVIIl (tr. it. di De Toni, La Nuova Italia Firenze 1974, pp.8-9). .34. W. Dilthey, Pian der Fortsetvmg, in W. Dilthey, Der Au/bau der geschichtlichen Well in den Geisteswissenscha/ten, hrsg, v. M. Riedel, Suhrkamp Ver-
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tempo «il tempo viene esperito come l'incessante procedere del presente», il fluire della vita '. Il presente è il continuo divenire del «rapporto delle parti con il tutto», della «connessione>> della vita in base ad un significato unitario che ne lega ogni volta le parti in un intero. Il presente indica cosl la connessione reale che la vita ogni volta è: ciò che in esso è dato è sempre già il ricordo di ciò che era presente, o è il desiderio, il timore, la speranza di ciò che non è ancora, la rappresentazione di uno scopo della volontà. Il tempo della vita umana e storica non èil mero succedersi di istanti, di punti-ora omogenei e indifferenti, ma è la connessione di presenti che racchiudono in sé «la rappresentazione del passato nella memoria e la rappresentazione del futuro nella fantasia»: «cosl il presente è pieno di passato e reca in sé il futuro» e «questo è il senso del termine sviluppo nelle scienze dello spirito>i>6• Si riannoda a questo significato della vivente presenzialità il concetto di contemporaneità. E, richiamando alla mente l'immagine crociana della storia come «il Dioniso dei misteri e il "Christus patiens" del peccato e della redenzione>:.'7, mi sembra di poter affermare che la contemporaneità della storia resti un'indicazione estremamente valida ancora oggi e possa costituire un'àncora di salvezza nel mare tempestoso del "nichilismo moderno". Infatti, come suggerisce Giuseppe Galasso - uno storico particolarmente attento alle istanze dell'"umanesimo civile" -gli eventi emergenti dall'intersecarsi dei processi storici sono il segno della libertà, sia pur finita,
lag, Frankfurt a.M. 1970, p. 283; tr. it. in W. Dilthey, Critica della ragione storica, a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino 1954, pp. .33.3-.334. 35. lvi, p. 237 (tr. it. cit., p. 295). 36. Ivi, pp. 287-288 (tr. it. cit., pp. 337-3.38). 37. B. Croce, La storia come pensiero e come ,uione, cit., p. 17.
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dell'uomo, e l'ambizioso sforzo della storiografia, che corrisponde tanto a un desiderio di conoscenza quanto a un'esigenza morale e civile, si propone proprio di scoprire e salvaguardare «con una profezia ex post facto, il respiro e il senso di quella libertà e di quella forza creatrice»'8• Storia, etica e politica si mostrano cosl intimamente legate, e dal loro alimentarsi e fondarsi reciproco può nascere anche la speranza di una «città nuova» più moderna e più umana insieme. In questo senso è forse possibile contrapporre alla perdita di storia, cioè alla frattura nella continuità, l'eccedenza del passato che si fa futuro. Come ha serino Jom Riisen: «Con la forza della memoria il pensiero storico fa apparire nello status quo delle condizioni e dei rapporti di vita dati un'immagine della loro trasformazione nel passato, con la quale esso può rompere l'incantesimo dell'essere-cosl-e-non-altrimenti [ ...]. Il pensiero storico trasforma il presente nel suo proprio passato e fa che nel suo riflesso si manifesti un futuro che può essere atteso e prospettato»'9 •
38. G. Galasso, Nient'altro che storia. Saggi di teoria e ,netodclogia della stria, D Mulino,Bologna 2000, p. 243. 39. J. Riiscn, Storia viva. Uneamenti di un'istorica, tr. ir. a cura di B. May, Aletheia, Firenze 2001, voi. III (Fomze e /unzioni del sapere storico), p. 137.
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N Storia e metafisica dello spirito
1. L'autoll()mia della vita spirituale
In Meine Biicher, l'autobiografia intellettuale del 1922, Troeltsch ricorda che già negli anni della sua formazione universitaria, a Erlangen e a Gottinga, si pose chiaramente per lui il problema fondamentale e pregiudiziale di giustificare il diritto di un orientamento religioso della vita di fronte al naturalismo moderno in cui tutto sembrava naufragare•. Questa giustificazione esigeva in primo luogo la riaffermazione dell'autonomia della vita spirituale attraverso la critica del materialismo, che si presentava come la conseguenza rigorosa dell'applicazione dei principi della moderna scienza della natura all'intera realtà, e la dimostrazione razionale, criticamente condotta, della possibilità di un ambito della realtà di principio indipendente dal meccanicismo e dal determinismo dei fenomeni naturali. Da questa esigenza scaturì, sulla traccia dell'insegnamento filosofico del suo maestro di Erlangen, Gustav Class2, lo studio 1. Meine Buche,, GS IV, p. 5.
2. Nel suo insegnamento Gustav Class, influenzato da Steffensen, si richiamava all'Idealismo tedesco e a Leibniz, sforzandosi, attraverso una fenomenologia e ontologia dello spirito, di garantire criticamente l'autonomia della
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accurato degli scritti di Hermann Lotze, che divenne in quegli anni il suo "spirito-guida", inducendolo al confronto diretto con le opere di Kant, Fichte e Schleiermacher. Dalla stessa esigenza scaturi successivamente il vivo interesse per la "nuova psicologia" di Dilthey, che «si awicinava alle idee dell'individuale e della creatività della vita psichica già messe in rilievo anche da Lotze»'. In questo quadro si inseriscono gli scritti filosofici e teologici del primo periodo dello sviluppo del suo pensiero, nell'ultimo decennio dell'Ottocento, nei quali riteneva di avere acquisito una visione della realtà e una teoria psicologica fondamentale, che «garantivano l'essenza della vita spirituale di fronte al mondo fisico» e «rendevano di principio indipendente da ogni naturalismo l'immediata autocoscienza dell'Erleben»4• Il telos che muove questi scritti è la dimostrazione, sul fondamento del pensiero moderno, dell'autonomia dell'esperien:r.a religiosa e all'interno del fenomeno religioso la rivendicazione del Cristianesimo come forma storicamente più elevata di visione religiosa del mondd. In ordine a questo telos il punto di partenza è costituito dalla riaffermazione dell'autonomia della vita spirituale e della irriducibilità dello spirito ad oggetto di una scienza costruita sul modello delle
vita spirituale e all'interno cli questa uno spazio per la religione. Le sue opere principali sono: Untersuchungen .,,, Phiinomenolcgie und Ontolcgie des
menschlichen Geistesdel 1896eDieReolità~ derGottesideedd 1904 (Cfr.H. Stephan-M. Schmidt, Geschichte der deutschen evangelischen Theolcgie sei/ dem deutschen Ideolismus, cit., p. 208). 3. Meine Biicher, GS IV, pp. 5-6.
4. lvi, p. 6. 5. Nd saggio su Geschichte und Metaphysik, dd 1898, Trodtsch si chiede «se il Cristianesimo possa adattarsi ali'enorme trasformazione dell'epoca moderna» e in particolare alla contestazione scientifica dd «soprannaturalismo», «e [se) possa dispiegare nuove forze in questa nuova situazione, oppure no» (E. Trodtsch, Geschichte und Metaphysik, cit., p. 39; tr. it. cit., p.109).
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scienze naturali. Secondo T roeltsch, la considerazione del fondamento filosofico della scienza moderna - quale si presenta nella svolta cartesiana verso la "filosofia della coscienza" e riceve la sua più rigorosa formulazione nella teoria della conoscenza kantiana - dimostra che «la interpretazione materialistica dei fatti definiti dalle scienze della natura non soltanto è evitabile, ma è del tutto impossibile»6• La natura oggetto delle scienze naturali è, infatti, il sistema delle rappresentazioni, dei fenomeni, organizzati in base a leggi generali della coscienza; è il mondo come «rappresentazione»: «La natura come noi la conosciamo esiste unicamente nel nostro spirito e in certo senso è addirittura un prodotto dello spirito, della sua rappresentazione»7• Perciò, di fronte al naturalismo8 non solo è dimostrabile l'autonomia dello spirito, ma si deve anzi affermare che «lo spirito è sotto ogni aspetto il prius dell'intera realtà che viene alla coscienza dell'uomo»9, divenendo il possibile oggetto della conoscenza scienti.fica. L'analisi della vita spirituale mostra due ambiti di esperienza. Un primo ambito è costituito dal presentarsi alla coscienza di oggetti che provengono dall'esperienza sensibile: «oggetti di quel mondo corporeo [. .. ] abitato dai suoni e percorso dalla luce, che i nostri sensi ci mostrano». Un secondo ambito è costituito dalle «idee del bello, del bene e del divino che danno senso e sostegno alla vita interiore e che, pur afferendo solo al
6. Die christ/iche Weltansch411ung, GS II, p. 242.
7. Ibidem. 8. Sotto il titolo di "naturalismo" Troeltsch intende qui le posizioni filosofiche moderne che negano o rendono problematica l'autonomia della vita spirituale (Die chnstliche Weltansch411ung, GS II, pp.231-232, 235-236, 241). Successivamente il naturalismo - accanto allo storicismo - indicherà una delle due tendenze fondamentali del pensiero moderno (cfr. Historismus, GS III, p. 104; tr. it. cit., voi. I, p. 1429). 9. Die christliche Weltansch411ung, GS II, p. 242.
mondo sensibile e destinate solo in lui ad avere effetto, sono tuttavia chiaramente distinte da esso e conducono un'esistenza autonoma»10• Ora, vi sono teorie, filosofie, di tipo empiristico, che ritengono che la sfera delle idee derivi dall' esperienza sensibile. Esse negano la realtà autonoma dello spirito, lo ignorano del tutto, mentre, in realtà, «lo spirito [...] costituisce la premessa anche per la teoria dell'esperienza fenomenica e di una sua generale ricezione e conoscibilità»11• La dimensione dell'esperienza fenomenica è correlativa allo spirito come percezione e sentimento e, «in funzione della universale unifonnità e interpretabilità della percezione», assume la configurazione di una realtà oggettiva, distinta dall'esperienza vissuta del soggetto, come accade nelle scienze della natura. Viceversa, nella dimensione dell'esperienza interiore, "non-sensibile", gli oggetti intenzionati sono oggetti ideali o sentimenti di valore o anche volizioni: «qui - scrive Troeltsch - non abbiamo da fare con un mondo naturale meramente fenomenico ed estraneo al nucleo interiore dell'essere dell'uomo, ma con il pieno contenuto dello spirito, che accerta se stesso e conferisce all'esistenza un senso e un valore intrinseco immediatamente percepibili»12• Per il mondo fenomenico sensibile, dal momento che «le rappresentazioni possono essere disgiunte quasi totalmente dalla loro concomitanza emotiva»1' , c'è il vantaggio di una conoscibilità garantita da regolarità ed evidenze più sicure, generalizzabili; invece, per il mondo delle idee si è rinviati al vissuto personale e perciò è più difficile pervenire a conoscenze oggettive, universalmente valide. D'altra parte, però, il mondo fenomenico rinvia ad una realtà estranea, irraggiungibile, in sé non conoscibile; mentre nell'ambito delle idee 10. DieSelbstiindigkeit der Religion (1895), cit., p. 387 (tr. it. cit., p. 84). 11. lvi, p. 388 (tr. it. cit., p. 85). 12. lvi, p. 390 (tr. it. cit., p. 87).
13. Ibidem (tr. it. cit., p. 88).
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si ha a che fare direttamente con la realtà della vita spirituale, «con la vita autentica dello spirito stesso, intellegibile senza mediazioni, e in grado di determinare il valore della nostra esistenza»14• Tuttavia, per T roeltsch, la vita dello spirito non è chiusa in se stessa, nella sfera della interiorità. Infatti, nel momento in cui applichiamo il principio di causalità alla sfera dei fenomeni spazio-temporali, costituiti, quanto al contenuto, dal molteplice sensibile, cioè da una quantità di dati della coscienza, non è possibile non pensare ad una fonte di tali sensazioni e percezioni, cioè ad «una interazione tra il soggetto e gli in.flussi del mondo esterno»•$. Sicché dall'analisi della coscienza emerge secondo Troeltsch l'esigenza razionale di ammettere «l'esistenza di un mondo trans-soggettivo e di un rapporto in linea di principio, in esso e in noi, tra lo spirito e il mondo sensibile della natura»16• Il cuore della vita spirituale si trova, secondo Troeltsch, nella volontà: è l'impulso, anzi una varietà di impulsi che sono alla base della nostra esperienza religiosa, morale, estetica etc. Quanto all'esperienza religiosa v'è nello spirito umano un impulso a cercare un punto fermo, un sostegno, un aspirare ad un fondamento, un desiderio di Dio. Agostino - ricorda Troeltsch - esprimeva questo desiderio e questa ricerca affermando: «Cor nostrum inquietum est, donec requiescat in Te». In questo senso si può parlare di un originario «impulso religioso». Ma tutta la vita spirituale trae il suo dinamismo, la sua inquietudine dall'impulso che muove la volontà, il che implica un qualcosa di altro dal soggetto che ecciti il sentimento, lavolontà. Non solo a livello di coscienza; perché «l'impulso opera nelle profondità inconsce dell'anima e costituisce lo sfondo
14. lvi,p. .391 (tr. ir. dr., p. 89). 15. DieSelbsta'ndigkeit der Religion (1896), cir., p. 90 (tr. ir. cit., p. 151). 16. Ivi,p. 92 (tr. ir. dr., p. 15.3).
270 della vita spirituale»17• La vita spirituale si dispiega attraverso una «connessione organica e teleologica [ ...] con il mondo circostante» che accade originariamente inconsciamente. Proprio da questa connessione sorgono «gli impulsi e gli orientamenti di scopo che precedono la piena determinazione della coscienza e che sollecitano l'uomo ad un cosciente interrogarsi su quegli oggetti, obbligandolo a un conseguimento chiaramente cosciente di quegli scopi» 18• L'impulso religioso è «!'"affezione" dell'anima, presente in ogni coscienza, e generata dal fondamento divino della vita»19• Troeltsch ritiene che nella coscienza vi siano principi a priori che rivelano la presenza del divino nello spirito umano: «una legge del dovere, un ordinamento morale, giuridico o sociale, un ideale che determina la vita e da realizzarsi in virtù della volontà o del senso divino del mondo»20 • Ed è proprio la percezione di questa presenza del divino nella coscienza che dà ali'anima la consapevolezza del suo distanziarsi e distinguersi dall'immediatezza della vita naturale e affermarsi come vita specificamente umana, come vita spirituale. Questa consapevolezza emerge con evidenza nel Cristianesimo. Qui l'anima «muovendo dalla comunione con Dio [ ...] conduce una lotta instancabile con gli impulsi dell'egoismo e del peccato» 21• Più in generale dalla separazione di Dio e natura, Dio e mondo, e dalla partecipazione dell'anima ali'essenza divina, scaturisce un'antropologia dualistica, segnata dalla distanza tra anima e corpo, tra spirito e natura, e dalla lotta che l'aspirazione dello spirito all'universale e al bene comune ingaggia costantemente con l'impulso naturale alla chiusura singolaristica, all'egoismo, all'amore del 17. Ivi, p. 97 (tr. it. cit., p. 158). 18. lbidem. 19. lbidem. 20. lvi, p. 188 (tr. it. cit., p. I 90). 21. lvi, p. 202 (tr. it. cit., p. 204).
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mondo, perseguendo il fine, morale e religioso insieme, della formazione della personalità, che nella città di Dio si scopre intimamente legata a tutte le altre personalità.
2. Coscien1,a critica e metafisica delw spirito Tornando all'analisi della vita spirituale come vita del soggetto, anche Troeltsch, come Dilthey, si propone il superamento del «fenomenalismo», ma, condizionato dalla interpretazione intellettualistica del «principio di fenomenalità», scorge l'unica via per questo superamento in «una ontologia o metafisica critica» che, pur muovendo dal punto di vista della «coscienza critica», riproponga la domanda intorno all'essenza delle cose e rielabori «i fatti definiti dalla scienza della natura nel quadro di un'adeguata teoria del rapporto tra natura e spirito»22• Proprio in questo punto si rivela, secondo Troeltsch, l'insufficienza del pensiero contemporaneo, approdante nel suo insieme ad «uno scetticismo di origine gnoseologica, che nella natura e nella vita spirituale si arresta ai fenomeni dati e rinuncia ad andare oltre essi e a svelare l'essere che è a loro fondamento>>-2'. T roeltsch però non elabora un proprio tentativo di soluzione, ma, dichiarandosi in questo campo «riconoscente allievo dei filosofi» si ricollega, come si è già ricordato, a quei pensatori che dal terreno dell'analisi della coscienza e delle considerazioni gnoseologiche «hanno tratto inferenze ontologiche sull'universale essenza delle cose», ovvero una metafisica «inferenziale» dello spirito e della vita, e in modo particolare si ricollega a Lotze che gli suggerisce le argomentazioni decisive24 • Se «la natura come noi la percepiamo esiste 22. Diechristliche Wellanschauung, GS Il, pp. 242-243. 23. Ivi,p. 235. 24. Ivi, pp. 245-246. Cfr. H. Lotte, Mikrokosmos, Bd. 3, Hirw, Leipzig 1864, pp. 522-576. Su Lotte cfr. Historismus, GS III, pp. 24-25, 4724n (tr.
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indubbiamente nel nostro spirito», si deve però riconoscere che «questa immagine sorge nello spirito in interazione con delle realtà transubiettive, che in questa interazione costringono lo spirito a reagire ai loro stimoli conformemente alle leggi della sua essenza»25 • Anche per Kant «l'effetto sulla capacità di rappresentazione, prodotto da un oggetto, in quanto noi siamo modificati da quest'ultimo, è sensazione» e questa costituisce «la materia», il «molteplice dato» su cui si esercitano le funzioni unificatrici dell'intuizione e dell'intelletto, che rendono possibile l'esperienza26• Ma la domanda circa la realtà in sé di quest'oggetto delle apparenze - «l'oggetto non empirico, cioè trascendentale(=x)»27 - è per Kant improponibile28 • Troeltsch con la sua spiegazione della genesi reale dell'esperienza con i concetti di >"'. Il Cristianesimo è, per Troeltsch, la forma relativamente più compiuta, «il culmine dello sviluppo religioso che si è avuto finora»; ma che sia «il compimento perfetto della religione», la meta finale dello sviluppo, può essere solo oggetto di fede, ma non può essere speculativamente dimostrato'~. Tuttavia la visione storico-evolutiva della filosofia della religione presuppone una «metafisica» o una «ontologia dello spirito umano», vale a dire una «visione d'essenza» dello spirito umano, che si lascia cogliere dalla fenomenologia dell'accadere storico, in cui si manifesta la tendenza all'unità e alla realizzazione di sé dello spirito. Quindi non una «metafisica dell'Assoluto», alla maniera di Hegel, ma una «metafisica della storia owero dello spirito umano» che si esprime nella «convinzione[...] che lo spirito umano sia un'unità in sé coerente» e «racchiuda in sé disposizioni e tendenze unitarie»)6. Qui l' attenzione di T roeltsch si rivolge sia allo spirito individuale che
.3.3. Geschichteund Metaphysik, p . .34 (tr. it. cit., p. 103). .34. lvi,p. .37 (tr. it. cit., p. 107).
.35. lvi, p. 35 (tr. it. cit., p. 104). Su questo tema, owiamente, è da vedere il già citato saggio dd 1902, Die Absolutheit des Christentums und die Religiomgeschichte (tr. it. L'asso/u/e7;/;J del cristianesimo e la storia delle religioni, cit.,) . .36. Geschichte und Metaphysik, p. 42 (tr. it. cit., p. 112). Circa il rapporto con il pensiero hegdiano T roeltsch osserva che «se [ha] fatto riferimento a Hegd e [ai] filosofi hegdiani della religione, ciò facendo [ha] dichiarato esplicitamente che ciò non [è awenuto] a motivo della metafisica hegdiana dell'Assoluto, bensl a motivo di quei momenti dd concetto di sviluppo che nessuno ha anafuzato cosl acutamente e lucidamente quanto lui, e che sono diventati un patrimonio comune» (lvi, p. 43; tr. it. cit., p. 11.3).
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a quello collettivo, sia alle dimensioni dello spirito soggettivo che a quelle dello spirito oggettivo. Si tratta di comprendere come le disposizioni originarie dello spirito umano e le «forze ideali» della vita interiore si realizzino nell'interazione «con le condizioni fisiche della vita, con quelle etno-antropologiche, geografiche, tecniche economiche etc.>~7 ; così come si tratta di descrivere e comprendere le relazioni tra l'individuo e la comunità, tra le personalità e la massa, tra i gruppi sociali e l'intero della vita di un popolo. Malgrado la cautela critica circa la possibilità di una conoscenza metafisica della realtà, quindi di una metafisica della natura e di una fondazione metafisica del rapporto tra natura e spirito, le domande intorno a questi problemi non possono essere in ultima istanza aggirati: «il rapporto ontologico della natura con la vita spirituale che da essa prorompe e la questione della correlazione teleologica di quella con questa sono e rimangono indirettamente anche per il nostro scopo [la filosofia della religione] problemi estremamente importanti»". La metafisica, osserva acutamente Troeltsch, procede per cerchi concentrici; il cerchio su cui è possibile sviluppare una comprensione e una conoscenza più diretta è quello più interno, più prossimo al Sé, vale a dire la vita spirituale, mentre più difficile è la conoscenza che si può acquisire sui cerchi più lontani, quello della natura, e ancor di più quello della realtà nella sua totalità. Lo spirito è la nostra vita quale si presenta alla coscienza: i suoi momenti, i suoi movimenti, ci sono immediatamente dati nell'esperienza vissuta39• La considerazione dello spirito come «unità in sé coerente», che si manifesta in una molteplicità di fenomeni, sviluppando quindi in forme diverse un nucleo germinale unitario, porta alla definizione 37.lbùlem. 38. lvi, p. 44 (tr. it. cit., p. 114).
39. CTr. ivi, p. 45 (tr. it. cit., p. 115).
di una nozione fondamentale sia per la comprensione dei fenomeni religiosi, sia più in generale per la comprensione dei fenomeni storici, vale a dire la nozione di «principio» (o anche di «essenza»), al punto tale chele due nozioni sono interscambiabili; basta qualche esempio: «principio del Cristianesimo» o «spirito del Cristianesimo», «principio del mondo moderno» o «spirito del mondo moderno», e cos1 via. «Col termine "principio" va denotato ciò che dà a un grande insieme di fenomeni storici l'unità interna che trascende i singoli momenti, ciò che contiene in sé la forza evolutiva che spinge in avanti e si esplica nel movimento di adattamento e di effetto risultante, ossia il mistero di fondo della vita spirituale; in esso si trova la ragione per cui il grande contesto storico di un ambito di vita, nonostante tutta la sua molteplicità, può essere considerato come unità in sé coerente e come guidato da una forza germinale che lo spinge a venire fuori»"°. Se riflettiamo su questa determinazione di teoria della conoscenza della storia vi ravvisiamo la specularità con la ontologia dello spirito, e vi possiamo ricavare le principali categorie dello spirito: la vita come dialettica di identità e distinzione, di unità e molteplicità, la forza vitale originaria, l'espressione, il significato, il fine. Altrettanto in esso è compresa la dialettica di individuale e universale, di individuo e comunità, di agire individuale e valori comunitari: «i contenuti della vita spirituale [ ...], benché agiscano soltanto in individui, tuttavia in questi prorompono come una potenza reale dotata di autorità ideale che li sovrasta»41 • Anche nella Glaubenslehre, sul piano della riflessione teologica, lo spirito si presenta come un principio, come un centro di forze, che si dispiega nel tempo assumendo figure sempre
40. Ivi,p. 56 (tr. it. cit., p. 129). 41. Ivi,p. 57 (tr. it. cit., p. 129).
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nuove. Con la morte sulla croce lo spirito cli Cristo, lo spirito che procede dal Padre e dal Figlio, si è svincolato dall'apparizione storica in cui si era incarnato, e diviene la forza animatrice della comunità, che conserva nella comunità dei credenti i pensieri, gli insegnamenti cli Gesù, e ne assicura la presenza nelle sempre nuove situazioni della storia. Lo spirito santo comunica in forme sempre nuove il principio cristiano, «rende il Cristo presente e lo mostra come una forza del divenire e del perfezionamento, dove i semplici pensieri principali religiosi del Vangelo diventano capaci cli una sempre nuova, liberamente vivente applicazione»42 • Lo spirito, che vive nelle comunità cristiane, presenzializza l'azione redentrice cli Cristo, unificando storia e presente, il Gesù storico e il Cristo della fede. 42. Glaubenslehre, cit., p. 348. - «ll nostro vangdo [ ... ) non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo», cosl affenna San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi, e nella prima lettera ai Corinzi scrive: «E la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza [ ... ) Sta scritto: "Quelle cose che occhio non vide, n~ orecchio udl, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano•. Ma a noi Dio le ha rivdate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conoscei segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Cosl anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuto conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito dd mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali». Cfr. S.Paolo, Prima Leueraai Tessalcnicesi, 1, 5 (La Bibbia. Nuovo Testamento, versione a cura della C.E.I. La Biblioteca di Repubblica, Roma 2005, p. 2814; Prima Lei/era ai Connz.i, 2,.3- 4; 9-13 (op. a't., pp. 2824-2825). Sul termine "spirito" e sulla dottrina dello Spirito Santo nell'Antico e nd Nuovo Testamento si veda Y. Congar, Credo nelle Spirito Santo, tr. it. di P. Crespi, Queriniana, Brescia 1999, Tomo I, Parte Prima (Le scritture canoniche). In relazione a Troeltsch si vedano anche i capitoli 7. (Gioacchino da Fiore. Fortuna Je/ gioachinismo) e 8. /J'neumatolcgia nella storia Je/ Protestantesimo) della Parte Seconda.
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L'unificazione, nello spirito, della storia e del presente e la sua apertura al futuro sono anche i caratteri della metafisica dello spirito umano o della storia, in forza di cui è possibile, secondo Troeltsch, porre un argine al «nichilismo europeo», all'illimitato relativismo, che appare come il pericolo estremo dinanzi a cui conducono lo storicismo del pensiero moderno e la sua opposizione al soprannaturalismo. L'atteggiamento ambivalente di Troeltsch verso lo storicismo, che appare già delineato nel saggio del 1897 sull'AujkL:i"rung, viene formulato più compiutamente nel saggio dell'anno seguente Geschichte und Metaphysik, con un riferimento allo schema della seconda considerazione inattuale di Nietzsche su "utilità e danno della storia per la vita". Troeltsch riconosce apertamente che nella situazione del pensiero moderno «non ci si può liberare daccapo delk> storicismo e ripristinare il soprannaturalismo». E procede ad enumerare i vantaggi dello storicismo: «Una conoscenza straordinariamente estesa eintensilìcata del passato, quale non si era mai avuta precedentemente; un'analisi estremamente raffinata [ ...] sorretta da un mirabile tatto nell'intendimento; una comprensione simpatetica dell'alterità che si spinge fino all'oblio di sé; la risoluzione di tutto quello che sembra stabile nel flusso del divenire: sono questi i pregi di tale situazione scientifica, mediante cui da tutti i punti di vista si è straordinariamente ampliata la nostra conoscenza della effettiva situazione reale»4' . Ad un tempo, però, denuncia apertamente i suoi svantaggi, i suoi "difetti": «il relativismo estetizzante, per cui ogni cosa diviene e tramonta, è relativa e condizionata; l'intellettualistico e camaleontico estraneamento di ogni convinzione personale; la inibizione di ogni produttività e di ogni robusta forza della semplice fede in norme di validità universale; il frammentarsi della scienza nella generazione di infinite imitazioni di ciò che è già stato; l'assuefarsi 43. Geschichte und Metaphysik, p. 68 (tr. it. cit., p. 143).
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alla mera routine dello specialismo storiografico: sono questi i gravi difetti del Historismus»44• Di qui derivano i «pericoli della situazione presente», i quali però devono essere affrontati ormai dal terreno stesso del pensiero storico e della filosofia moderna scaturita dalla cartesiana teoria della coscienza, e «possono essere superati soltanto per mezzo di una metafisica della storia, che sia in grado di far emergere il semplice, il permanente, il vero dello sviluppo storico come suo nucleo e, sul fondamento della fiducia nella ra.zionalità della storia umana, sappia servire la fede»45 • L'esigenza di una "metafisica dello spirito" si ripropone nel pensiero di Troeltsch anche quando la sua riflessione si concentra sulla logica della storia, a partire da un confronto con la teoria della storia di Rickert e da un "avvicinamento" alla filosofia dei valori windelbandiano-rickertiana. Come aveva indicato Rickert, gli oggetti storici si costituiscono come individuali totalità di valore, connessioni di eventi organizzati in base ad una «Beziehung auf Werte»◄'. In Der Historismus und seine Probleme T roeltsch chiarisce che si danno valutazioni di primo e di secondo grado. Le individualità storiche in base al loro «riferimento a valori» sono innanzi tutto valutate per se stesse, «oggettivamente» (critica immanente); ma poi esse vengono considerate nei loro rapporti nell'insieme dello sviluppo
44. lvi, pp. 68-69 (tr. it. cit., p. 143). 45. lvi, p. 69 (tr. it. cit., p. 144). 46. Cfr. H . Rickert, Die Gren7.en der naturwùsenscha/tlichen Begriffibildung, cit., pp. ))9-)59; Id. Kulturwissenscha/t und Naturwissenscha/t. 4. e 5. edizionemigliorata,Mohr, Tiibingen 1921, pp. 21-22;M. Weber,I.:«oggettività» conoscitiva della sciem'IJ sociale e della politica sociale (1904), tr. it. in Il metodo delle scienze storico-socia/i, a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino 1958, pp. 86ss.
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storico e vengono perciò valutate anche in base ai criteri di valutazione del presente47 • La ricerca dei valori in vista del nostro agire ci orienta necessariamente verso «il campo dell'irripetibile e del particolare», quindi verso la storia, e ciò è possibile perché tra le «individualità» storiche, lungo la linea dello sviluppo, vi è originariamente una «comunanza» che attraversa i «differenti»48• Emerge qui il riferimento alla vita spirituale che stringe assieme individui e comunità, il riferimento quindi ad uno «spirito comune», che contrassegna le individualità storiche tanto singole che collettive e che è alla base dello sviluppo storico.
3. «Il tormento del mondo moderno». Individualità e spirito comune Il tema dello "spirito comune" si presenta nella sua forma più articolata e problematica nella riflessione che Troeltsch svolge sulla situazione dell'etica nel mondo moderno, in rapporto alla teoria della storia, nel testo, già ricordato, delle tre conferenze preparate per un seminario su "Etica e filosofia della storia" che avrebbe dovuto tenere all'Università di Londra nel marzo del 1923 (la terza reca proprio il titolo "Der Gemeingeist"). L'obiettivo del seminario è quello di sviluppare un'analisi della coscienza morale al fine di rispondere alla domanda di come sia possibile che, nonostante «la complessità e la condizionatezza storica delle nonne», in ogni presente sia «concepita una posizione normativa»49, in grado di corrispondere al «bisogno
47. Cfr. Historismus, GS III, pp. 172,177 (tr.it. cit., voi. I,pp. 201-202, 206). 48. Cfr.Modeme Geschichtsphilosophie, GS Il, p. 724 (tr. it. cit., p . .388). 49. E. Troeltsch, Ethik und Geschichtsphilosophie, KGA, 17, p. 71 (tr. it. cit., p. 127).
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dello spirito umano di dare forma e porre un limite tramite salde nonne alla corrente della vita storica»~. Il dato che immediatamente emerge dall' autoriflessione della coscienza morale (Gewissen) e dalla considerazione delle forme storiche in cui si è oggettivata è la sua peculiare «complessità», per cui si presenta scissa nella sfera delle virtù e dei doveri e in quella dei beni oggettivi, dei valori culturali. Da questa scissione si originano due forme di etica, «la morale della coscienza e della personalità» e l' «etica del valori culturali». La Gewissensmoral ha il suo valore o fine fondamentale nella formazione della personalità che si attua nell'esercizio da parte del soggetto delle virtù e dei doveri sia verso se stesso che verso gli altri, virtù e doveri che implicano una costante lotta tra l'elemento spirituale e quello naturale, tra la ragione e la sensibilità, tra la volontà e l'istinto. Per il carattere finito dell'uomo la personalità è essenzialmente un compito che si attua attraverso «l'obbedienza e la dedizione ad una tendenza verso il dovere (Sollen), che è analoga alla tendenza verso la verità e l'esattezza logica e, come questa, proviene dagli strati spirituali più profondi del nostro essere>>' 1•
In relazione al comportamento verso se stessi, il comportamento morale si determina nelle «esigenze puramente formali» della «veridicità e della coerenza», dell'«intenzione di un orientamento verso i valori morali interiori», del «rigore>> e della «tenacia nella coerente formazione di sé»: virtù e doveri riassumibili sotto l'unico dovere di acquistare ed affermare la «dignità etica» ovvero «la dignità umana». In relazione al comportamento verso gli altri la celebre formulazione kantiana dell'imperativo categorico contiene «tutto l'essenziale>> e, l'agire morale si determina come «comprensione e conside-
50. lvi, p. 68 (tr. it. cit., p. 12.3). 51. lvi, p. 7.3 (tr. it. cit., p. 129).
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razione dell'altro non semplicemente come mezzo, ma ad un tempo come fine in sé, che, altrettanto quanto noi, possiede dignità umana o a questa è chiamata>>n. Questi principi e valori della coscienza morale attengono anche alle comunità in cui egualmente la vita spirituale deve affermarsi sulle tendenze naturali, dando vita a una «morale della solidarietà», e nei rapporti tra le comunità, tra i gruppi, tra gli Stati, devono valere le stesse «esigenze di giustizia e di bontà, di riconoscimento e di educazione, di rispetto e di promozione». Si viene così configurando «l'ideale dell'umanità e della comunità umana», rispetto al quale si affermano «le dottrine [ . ..] della giustizia internazionale, dei diritti umani e del progresso»'>. L'attuazione nella realtà effettiva, nella storia, di queste esigenze morali universalmente valide è estremamente difficile, perché lo spirito umano trova sempre la resistenza e il contrasto delle tendenze naturali. «Il conflitto tra natura e morale, tra esigenze dell'autoconservazione e della formazione della personalità non si può mai completamente comporre [ ...] l'uomo è e resta, allo stesso tempo, essenza naturale ed essenza razionale>~. Perciò la regolazione della vita storica attraverso la morale della coscienza o morale soggettiva è sempre problematica e affidata al «compromesso>Y', alla mediazione, che ogni personalità riesce ogni volta ad attuare: «è un atto 52. Ivi,p. 74 (tr. it. cit.,pp.130-131). 53. Ivi,pp. 75-76 (tr. it. cit., p. 132). 54. Ivi,p. 78 (tr. it. cit., pp. 135-136). 55. Sul complesso concetto di "Kompromiss" il cui significato, fondato sul piano dell'ontologia dello spirito, si declina nell'ambito della filosofia della religione e della filosofia della storia, e nell'ambito etico-politico, si veda l'importante studio, già ricordato, di Genevi~e Médevielle, L'Absolu au coueur de l'histoire. La notion de compromis chei. Emst Troeltsch. Si veda anche M. Piccinini, Teologico e sociologico in Troeksch. Ancora sulla nozione
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relativo, che realizza norme assolute secondo la possibilità e porta in sé la sua sua stessa assolutezza come decisione e determinazione della personale coscienza»56• Nel suo concreto esercizio la Gewissensmoral diviene perciò etica della responsabilità e della decisione, o, come pur si potrebbe dire, etica della situazione". Il carettere problematico dell'etica moderna deriva dal suo principio e valore fondamentale, che è il principio dell'individualità, che fonda la propria vita spirituale sulla libertà, sull'autonomia, sulla decisione personale. Sicché ogni volta l'unificazione tra morale della coscienza e etica dei valori culturali o dei beni è il risultato di un compromesso realizzato dal soggetto individuale nella sua autonomia. Senonché una vita etica effettiva richiede che i valori che orientano l'agire siano non meramente soggettivi e individuali, ma siano intersoggettivamente validi, e costituiscano quindi l'oggetto di un dovere condiviso. Il che significa che è necessario il formarsi di uno spirito comune. «Ogni soluzione reale esige convinzioni di massa, spirito comune [ ...] pubblica opinione»58• Proprio in relazione a questa situazione, acutamente Troeltsch scrive: «appunto ciò sembra essere soprattutto la maledizione e il tormento del mondo moderno, il fatto che esso conosce solo soluzioni individuali che giocano l'una accanto all'altra, ma nessuno spirito comune, nessuna autorità, nessuna tradizione, nessuna realtà sovraindividuale di forze spirituali che possano fungere da guida»59• Certo, l'emancipazione da autorità con-
dicompromesso, in Emst Troeltsch. Religion~ chiese, modemità, cit.,pp. 309, 313-315,327-329. 56. Ethik und Geschichuphilosophie, KGA, 17, p. 79 (tr. it. cit., p. 137). 57. CTr. cap. I, pp. 54 ss. 58. Ethik und Geschichtsphilosophie, KGA, 17, p. 94 (tr. it. cit., p. 155). 59. lbidem, cors. ns.
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fessionali o politiche con l'affermazione dei principi del liberalismo costituisce un valore fondamentale del mondomodemo, e tuttavia la tendenza ad un illimitato relativismo o politeismo dei valori rischia di riproporre la prevalenza di atteggiamenti confessionali, autoritari, fondamentalisti.
In realtà, secondo T roeltsch, si può contrastare «l'anarchia dei valori», solo prendendo coscienza della pluralità di sistemi culturali, di posizioni etico-politiche, e dispiegando quindi la volontà di costruire uno "spirito comune" per ogni cerchia culturale, per ogni ambito sociale e politico più o meno ampio. La presenza ricorrente di concetti e valori morali universali come quelli di dignità umana e giustizia, purezza e bontà fanno pensare ad uno spirito comune universale, ma la concreta realtà della vita storica si svolge «in una pluralità di cerchie, delle quali ciascuna ha un proprio spirito etico comune»60• Lo spirito comune universale, l'idea della comune umanità, è come «un'atmosfera che ci avvolge e perciò inafferrabile», ma nella effettiva vita storica si mostra «una pluralità di spiriti comuni o di cerchie comunitarie con basi spirituali ogni volta diverse» che, nel caso della storia europeo-americana, vanno dalla cerchia amplissima dell'umanità alla cerchia della cultura occidentale, alle varie nazioni, alle classi sociali, alle famiglie, alle confessioni religiose, alle associazioni della società civile, fino alle scuole di pensiero61 • È quindi impossibile costruire una comunità universale unitaria e un corrispondente spirito comune universale, specialmente sul piano delle convinzioni religiose e dei sistemi filosofici. L'unificazione più che nelle idee, negli elementi ideologici e sovrastrutturali, si può trovare nelle strutture economico-sociali; qui gli interessi comuni o anche le situazioni di crisi e di pericolo favoriscono la
60. Ivi,p. 99 (tr. it. cit., pp. 160-161). 61. Ibidem (tr. it. cit., p. 161).
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creazione di uno spirito comune: «Sotto la spinta di interessi materiali per lo più abbastanza chiari e in momenti di pericolo reale o presunto i gruppi crescono insieme fino a diventare spiriti comuni»62 • Si tratta di prendere atto di questa pluralità e di riservare alla comunità più ampia, quella universale dell'umanità, uno spazio libero per sviluppare un atteggiamento di comprensione e tolleranza reciproca tra i vari spiriti comuni. All'interno di questi ultimi vanno rafforzati, secondo la loro ampiezza, i possibili elementi di comunanza, senza pretendere impossibili assolute identità. Il che può accadere, secondo T roeltsch, in primo luogo nell'ambito della società civile, accanto o indipendentemente dalle Chiese, attraverso l'incontro tra personalità moralmente motivate, mosse dal desiderio di «allargare in comunità di persone, fondate su sentimenti di amore, quel che nella sintesi individuale è stato colto come universale e necessario»6'. Il difficile rapporto tra storia e norme, tra la molteplice e diveniente corrente della vita e le forme, le sue stabilizzazioni e configurazioni di senso, non trova più «una Chiesa unita» in grado di imporre uno spirito comune unitario, e il compito di cercare di produrre questa unione «è toccato a una pluralità di Chiese e accanto ad esse ad associazioni e unioni personali [ ...]. Non c'è una soluzione radicale e assoluta, ci sono solo soluzioni parziali, in lotta tra loro»64 • Solo volgendo lo sguardo al di là della storia è possibile anticipare una soluzione degli enigmi e dei disordini, delle contraddizioni e delle lotte che la costituiscono, «in quella terra ignota, alla quale alludono tante cose nella storica lotta dello spirito per innalzarsi fino ad essa,
62. lvi, p. 100 (tr. it. cit., p. 162). 6J. lvi, p. 102 (tr. it. cit., p. 165). 64. lvi, p. lOJ (tr. it. cit., pp. 166).
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e che tuttavia essa stessa non diventa mai visibile»6' . Ma, volendo restare nell'ambito della storia, non si può andare oltre la costruzione di «una storia universale [. . .] organizzata a partire da una sintesi culturale del presente»66, che scaturisce da una ricognizione empirica, il più possibile obiettiva della storia e dalla presa di posizione personale in base ai valori morali avvertiti nella propria coscienza, e la decisione di agire in vista della comunicazione di questa sintesi e del coinvolgimento di altri intorno ad essa 67 •
65. Ivi,p. 104 (tr. ir. cir., p. 167). 66. Der Historismus und seine Probleme, GS III, p. 692 (tr. ir. cit., voi. Il, p. 454). 67. Cfr. lvi, pp. 692-693 (tr. it. cir., voi. Il, pp. 454-455).
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V Una possibile sintesi culturale. La costruzione del!'idea di Europa e il destino della Germania
1. Il diritto naturale e il riesame di sé dello storicismo Nella sua critica della dottrina del diritto naturale Hans Kelsen, a proposito della teoria del diritto naturale della Chiesa, osserva conclusivamente che "come lo Stoa anche la religione cristiana con la sua contraddittoria teoria di un duplice diritto naturale mira essenzialmente ad una giustificazione conservatrice del diritto positivo» 1, e in nota rinvia al saggio di Troeltsch, del 1911, Das stoisch-christliche Naturrecht und das
moderne profane Naturrecht.
In questo saggio, come nella più ampia trattazione del diritto naturale nell'ambito delle Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, Troeltsch ricostruisce la storia del diritto naturale dalla sua originaria delineazione nello stoicismo alla recezione di questa nel pensiero cristiano, fino alla sua versione secolarizzata nel pensiero laico giuridico ed etico-politico moderno, sia empiristico che razionalistico.
1. H . Kelsen, Il problema della giustizia, tr.it. a cura di M. G. Losano, Einaudi, Torino 1975, p.117.
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Come si è già ricordato, T roeltsch distingue - come fa poi anche Kelsen - tra diritto naturale assoluto e relativo, e si sofferma ampiamente sul diritto naturale relativo delle Chiese, osservando che esso, specialmente nell'ambito della Chiesa cattolica e di quella luterana, ha svolto, come ribadisce Kelsen, una funzione prevalentemente conservatrice. Tuttavia Troeltsch, a differenza di Kelsen, rivolge la sua attenzione anche alla storia del diritto naturale assoluto, che ha continuato ad operare sia pure in forma minoritaria nelle stesse Chiese e si è espresso soprattutto nell'ambito delle sette da lui definite "combattive" e "riformatrici". Inoltre, ritiene che nel Calvinismo e nel Protestantesimo ascetico anche il diritto naturale relativo, assumendo in sé aspetti del diritto naturale assoluto, ha avuto una funzione riformatrice e determinante per la formazione del pensiero liberale e democratico moderno. Ancor più in generale, T roeltsch, sulla base anche della ricostruzione storica proposta da Otto von Gierke (Das deutsche
Genossenschaftsrecht e Johannes Althusius und die Entwicklung der natu"echtlichen Staatstheorien), ritiene che lo stesso diritto naturale relativo della Chiesa antica e medievale, così come delle Chiese luterane, ha esercitato una duplice funzione. Da un lato, per lo più e in superficie, il diritto naturale relativo è servito a giustificare «il processo storico in cui l'ordinamento giuridico si è formato come indiretta istituzione divina», a «divinizzare» quindi 2. Dall'altro lato, però, «questo stesso diritto naturale relativo si trasforma sottomano in un principio radicale e perfino rivoluzionario di critica verso tutti i poteri, le forme del diritto e gli
2. E. Troeltsch, Il dirillo noturole sloico-crisliano e il moderno dirillo noturole profano, tr. it. in E. Troeltsch, L'essenzp del monda moderno, cit., p. 11 1.
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ordinamenti che non adempiono più allo scopo razionale della disciplina, dell'ordine e dell'armonia, ovvero intralciano l'opera salvifica del regno della grazia, cioè della Chiesa»'. In altri termini, malgrado la sua relatività allo stato di peccato, il diritto naturale continua a funzionare, secondo T roeltsch, come criterio di valutazione rispetto al diritto positivo, mentre da Kelsen il diritto naturale relativo viene completamente assimilato al diritto positivo e considerato perciò come una nozione contraddittoria, che infirma l'intera teoria del diritto naturale. Proprio poggiando sulla valenza ideale e normativa del diritto naturale, anche di quello relativo, Troeltsch, all'indomani della "catastrofe" della prima guerra mondiale, ha manifestato l'esigenza di ripensare la tradizione del diritto naturale sia per tentare sul piano etico-politico di ricostruire una comunicazione tra i popoli europei, sia per porre sul piano teorico e ideale le basi per una nuova «sintesi culturale», in grado di fornire criteri ultimi di valutazione universalmente validi (almeno nell'ambito della cerchia culturale europeo-americana).
In particolare, mi riferisco al testo della conferenza tenuta da Troeltsch nel 1922 all'Istituto superiore tedesco di politica intitolata "Diritto naturale e umanità nella politica mondiale" 4
.3. Ivi, p. 112 4. E. Troeltscb, Natu"echt und Hu11t11miiit in der Weltpo/itik. Vortn1g in der deutschen Hochschule /ur Politik (1922), «Weltwirtschatliches Archiv», Bd. 18, H . .3, pp. 485-501, ripreso in E. Troeltscb, Deutscher Geist und Westeurope. Gesammelte kulturphilosophische Au/siit:r.e und Reden, hrsg. von H. Baron, Nachdruck der Ausgabe, Tiibingen 1925, Scientia Verlag Aalen 1966, pp. .3-27 (tr. it. di A. lt Carcagni, Dirillo naturale e u11t11nità nella politica mondiale, in Appendice al volume che comprende la traduzione italiana degli Spektator-Brie/e (Le lettere dello spettatore): E. Troeltscb, 1A democrazia improvvisata. 1A Ger11t11nia dal 1918 al 1922, a cura di F. Tessitore, cit., pp. .371-.391. Per una ricostruzione e valutazione del pensiero politico di Troeltscb rinvio in primo luogo a W. Kohler, Emst Troeltsch, cit., pp. 292-.3.30, F. Meinecke, Introdu-.,Jone a Le lettere dello spellatore, tr. it.
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che prendeva le mosse dalla distinzione tra due "mentalità", quella "europeo-occidentale" e quella "tedesca", a cui sul piano politico corrispondono due distinte e spesso opposte concezioni della società e dello Stato: quella democratica e progressista e quella conservatrice d'impianto storicistico e organicistico. La distinzione è nata, secondo Troeltsch, dal fatto che la Germania si è progressivamente distaccata dalle idee di diritto naturale e di umanità, che costituiscono il fondamento della mentalità europea quale si è venuta edificando a partire dall'età ellenistica e cristiana. Nel pensiero etico-politico europeo-occidentale - argomenta T roeltsch - ha dominato l'idea di «un eterno ordine razionale conforme alla legge divina, che fonda insieme morale e diritto», mentre nel pensiero tedesco ha prevalso l'idea di «una incarnazione individuale, sempre nuova e vivente dello spirito
in E. Troeltsch, LA democrazia improvvisata, cit., pp. 15-19 e F. Tessitore, Troeltsch politiCQ, in F. Tessitore, Storicismo e pensiero politico, Ricciardi, Milano-Napoli 1974, pp.185-241. Cfr. inoltre: G. Schmidt, Deutscher Historismus und der Uebergang wr parlamentarischen Demokratie. Untersuchungen VI den politischen Gedonken von Meinecke-Troeltsch-Weber, Matthiesen Verlag, Liibeck/Hamburg 1964; F. Tessitore, LA svolta dello storicismo negli anni di Weimar, in «Rivista storica italiana», XCI, 1979, 4, pp. 591-616; G. Cantillo, Religione, etica e politica nel pensiero di Emst Troeltsch, in «Archivio di storia della cultura», 1994, pp. 115-140; G. Cantillo, Introduvone a Troeltsch, cit., pp. 51-59- alla Introduvone rinvio per una visione d'insieme del pensiero di T roeltsch e per la storia della critica e la bibliografia (curate da Fiorella Battaglia); J. Leonhard, «Ober Nacht sind wir wr radikalsten Demokrotie Europas geworden». Emsl Troeltsch und die geschichtspolilische Oberwindung der Ideen von 1914, in «Geschichte durch Geschichte iiberwinden». Emsl Troeltsch in Ber/in, hrsg. v. Fr. W. Graf, Giitersloher Verlagshaus, Giitersloh 2006, pp. 205-230; L. Dumont, L'idéologie allemande. France-Allemagne et retour, Gallimard, Paris 1991: L'idée allemande de liberté se/on Emst Troeltsch, pp. 59-74; M. Martirano, «Anni simbolici». Le idee inlomoal 1914 di Emsl Troeltsch, in «Archivio di storia della cultura», XXIX, 2016, pp. 615-630; in appendice la traduzione italiana de Le idee del 1914 di Emst Troeltsch, pp. 631-653.
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storicamente produttivo>/. Ora, se è vero che la concezione della realtà fondata sull'individualità, intesa sia come singola che come collettiva, ha reso possibile la comprensione della storia e della vita umana come vita storica (ed è questo- osserva T roeltsch - il grande merito del pensiero tedesco, e anche il suo progresso rispetto all'Illuminismo e al suo erede, il Positivismo), è altrettanto innegabile che l'idea di individualità ha avuto anche «conseguenze assai scabrose» 6• Infatti, mentre il pensiero romantico e la filosofia classica, ovvero l'Idealismo tedesco, avevano ancora un orizzonte storico-universale, una fùosofia della storia, lo sviluppo della ricerca in senso particolaristico - con il suo svincolarsi non solo dalla filosofia della storia allora dominante, ma in generale dalla filosofia, e il suo tramutarsi e disperdersi nell'erudizione - «ha in gran parte devitalizzato e reso completamente relativistica la storiografia [tedesca)»7• Per fronteggiare quest'ultima tendenza, Troeltsch ritiene necessario «un ritorno al pensare storico-universale e al sentimento della vita». In questa prospettiva è decisivo riconoscere che «nell'idea dei diritti dell'uomo, che non vengono concessi dallo Stato ma servono allo Stato e ad ogni società come presupposti ideali, è insito un nucleo di verità e di esigenze dell'ethos europeo che non deve essere trascurato, ma dev' essere inserito [nelle) idee [del pensiero storico)»8 • Al di là della validità e del rispetto dell'idea di individualità, tanto singolare, quanto nazionale, al di là del carattere individuale di ogni
5. Ivi, p. 7 (tr. it. cit., p. 374). 6. Ivi, pp. 21-22(tr. it. cit., pp. 386-387).«A lungo andare - continua Trodtsch - soprattutto la visione storico-universale è stata dissolta, frantumata, rdativizzata e trasferita nd particolarismo metodicamente garantito oppure nell'autonoma visione meramente nazionale». 7. Ivi, p. 22 (tr. it. cit., p. 387). 8. Ivi, pp. 24-25 (tr. it. cit., p. 389).
comunità, deve persistere «l'orizzonte del cosmopolitismo e della comunità umana», come «un'esigenza e un presupposto morali», come «un ideale a cui non si rinuncia»1. Da questo punto di vista Troeltsch riconosce la validità dell'idea di una Società delle nazioni, cosl come di ogni forma di organizzazione internazionale o anche statale intesa a vincere e limitare l'egoismo, le forze distruttrici, la violenza. Nelle idee che portano ali'affermazione di diritti umani universali c'è «un nucleo morale che non si può perdere»: anche se queste idee trovano difficoltà a realizzarsi, anche se vengono stravolte e strumentalizzate, anche se di esse si è fatto un abuso, non possono essere abbandonate. Qui, oggettivamente, il diritto naturale si congiunge con il pensiero utopico, un pensiero necessario a controllare e trasformare il presente a e costruire il futuro. Di ciò era ben consapevole T roeltsch, che perciò nella ripresa cosl configurata degli ideali giusnaturalistici scorgeva non tanto, o non soltanto, una delle forme del «riesame di sé» dello storicismo, quanto più in generale un aspetto essenziale del «programma del ripiegamento su di sé del pensiero etico, politico e storico tedesco» in opposizione alle «conclusioni scettiche, amoralistiche, pessimistiche, di politica violenta, e ciniche dell'estetismo e dell'individualismo romantici» che si presentavano in modo paradigmatico in un libro di ispirazione nietzscheana qual era Il tramonto dell'Occidente spengleriano10.
9. Ivi, p. 25 (tr. it. cit., ibidem). 10. Ibidem (tr. it. cit., p. .390). Su Troehsch e Spengler si vedano le acute osservazioni di Domenico Conte in Storicismo e storia universale, cit., pp. 59-68.
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2. La «costruzione della storia della cultura europea» e la scelta per la democrazia L'attuazione di questo programma di riesame di sé del pensiero etico, politico e storico tedesco dovrebbe portare alla elaborazione di una nuova «sintesi culturale» che esige in primo luogo, secondo Troeltsch, una «costruzione» dell'idea di Europa fondata sulla comprensione della genesi e dello sviluppo del mondo moderno. L'Europa moderna, «il mondo che noi ancora oggi siamo - dice T roeltsch - all'interno del quale ogni cosa può esserci facilmente familiare e comprensibile», è una realtà molto differenziata e complessa, che ha «un contenuto spirituale straordinariamente ricco e variegato, che non proviene soltanto da se stessa, ma in gran parte da tutta la nostra storia a partire dai Greci»11 • Di questo contenuto T roeltsch intende mettere in risalto gli elementi fondamentali, ovvero «le forze o potenze fondamentali» che hanno contribuito alla elaborazione delle «stratificazioni» della «cerchia culturale» europea. Premesso che nella «Grecità» sono stati assorbiti e trasfigurati anche la maggior parte degli apporti che sono venuti dall'Oriente, la prima potenza fondamentale è costituita dall'unico elemento dell'Oriente che ha ancora importanza autonoma anche per la civiltà europeo-occidentale, vale a dire «il profetismo ebraico e la Bibbia ebraica»12• La seconda potenza fondamentale è la «Grecità classica», la civiltà della polis, «luogo sorgivo della libera educazione artistica e scientifica>>0 . La terza potenza fondamentale è «il mondo dell'imperialismo antico, la monarchia ellenistico-romana, che con costruzioni, strade, diritto, amministrazione, lingua e tecnica, costituisce, nel senso più letterale, il
11. Historismus, GS III, p. 765 (tr. it. cit., III, p. 88). 12. Ibidem (tr. it. cit., III, p. 89). 13. Ivi,p. 766 (tr. it. cit., III, p. 89).
296 fondamento dei popoli romano-germanici»14• A questa potenza si collegano due idee principali della civiltà europea: l'idea dello Stato burocratico-militare e l'idea di una religione universale. Da quest'ultima idea è nata la Chiesa che «in quanto ultima forma di vita dell'Antichità ha portato Stato e diritto, cultura e scienza ai barbari»1' . La quarta potenza fondamentale è costituita per Troeltsch dal «Medioevo occidentale», in cui sono confluite le culture della Chiesa, del mondo bizantino, degli Arabi. È questa potenza, la civiltà medievale, secondo Troeltsch, «l'autentico grembo materno» di tutto ciò che forma «l'essenza» dell'Europa moderna. Anche se la maggior parte degli europei non ne ha coscienza, in essa hanno le loro «radici» non solo «le nostre istituzioni politiche e sociali», ma anche le forme della nostra vita spirituale e quell'elemento che caratterizza l'europeismo e lo distingue da altre civiltà, e che è costituito dal sentimento dell'interiorità e dalla tensione verso 1,.m finito16. L 'approfondimento della storia dello spirito europeo attraverso le quattro potenze fondamentali indicate deve costituire, secondo T roeltsch, la cornice ideologica in cui deve inserirsi la «sintesi culturale del presente», che nella sua concreta determinazione deve attenersi invece più strettamente alla storia del mondo moderno a partire dall'epoca di transizione del XVI secolo e ad un'analisi precisa «del presente ordinamento sociale della vita, delle sue forze che si spingono in avanti, di quelle che si inaridiscono e di quelle che persistono»17• La «costruzione della storia della cultura europea», con cui si conclude it primo libro di Der Historismus può costituire «la
14. Ibidem (tr. it. cit., III, p. 90). 15. Ivi, p. 767 (tr. it. cit., ibidem). 16. lbidem. 17. Ivi, p. 771 (tr. it. cit., III, p. 95).
297
piattaforma» su cui fondare «una nuova creazione», cioè la sintesi culturale del presente, di cui il secondo libro avrebbe dovuto delineare i contenuti. Purtroppo l'immatura scomparsa di T roeltsch non ha reso possibile l'attuazione del progetto di cui peraltro egli ben riconosceva la estrema difficoltà e problematicità. Un siffatto progetto - scrive T roeltsch alla fine di Der Historismus - «è l'azione creativa e la rischiosa impresa di coloro i quali credono nel futuro [.. .], di uomini credenti e coraggiosi, non scettici e mistici, non fanatici razionalisti e uomini storicamente onniscienti». Inoltre «non può essere l'opera di un singolo», ma di molte individualità, che dapprima lo portano innanzi nella propria silenziosa ricerca personale e poi lo partecipano a cerchie più ampie18• Da parte sua, circa il contenuto della sintesi culturale, una traccia T roeltsch l'ha lasciata. Scavalcando «le idee del '14», a cui pur aveva dato il suo contributo, già negli anni della guerra, a partire dal 1916, Troeltsch, come Meinecke e Weber, si esprime in favore di una «democratizzazione» della vita politica del Reich e di una «forma costituzionale» che, come ha osservato Schmidt, «confermando la dottrina della ragion di Stato faccia partecipare però i partiti, in quanto organi di integrazione sociale, alla formazione della volontà dello Stato». Poi con la fine tragica della guerra e l'avvio dell'esperienza repubblicana di Weimar, Troeltsch si schiera nettamente per la democrazia19• Come ha scritto efficacemente Fulvio Tessitore, l'evoluzione catastrofica della guerra segna «la crisi della illusoria, pericolosa conciliazione di spirito e potenza su cui poggiava la valutazione positiva dello Stato bismarckiano» e questo poneva T roeltsch, «l'intellettuale deluso che non aveva voluto unire la
18. Ibidem. 19. Cfr. G. Schmidt, Deutscher Historismus und der Obergang zur parlamentarischen Demokratie, cit., pp. 26-28, .36-.37, 192-194, 197.
298
sua voce ai canti sfrenati del nazionalismo», di fronte ad una drastica alternativa: «abbracciare - contraddicendo se stesso - il revanscismo degli intellettuali borghesi sempre più reazionari, oppure aderire senza riserve, col cuore e con la ragione [con una espressione di Meinecke] alla democrazia uscita dal crollo della monarchia militaristica e imperialistica. È questa la scelta di T roeltsch»~ >26• Al di là della situazione contingente della Germania, la democrazia costituisce per T roeltsch «la conseguenza naturale» dei processi economici, sociali, politici e culturali del mondo moderno. Non solo, ma a suo fondamento vi è la teoria giusnaturalistica cristiana e moderna dei diritti umani fondata sulla concezione dell'uomo come personalità. Come Troeltsch ha sostenuto fin dal 1904, nel primo importante scritto dedicato alla politica, Politische Ethik und Christentum, l'idea della democrazia è «un principio puramente etico» che trova una esemplare espressione nel kantiano "regno dei fini" e nel diritto di ogni uomo di essere considerato come valore e "fine in sé". Da questo principio etico scaturiscono conseguenze politiche e sociali di grande portata, perché - scrive T roeltsch democratica» negli anni cli Weimar. La democrazia della repubblica cli Weimar secondo Rusconi può essere definita come «democrazia contrattata», che riproduce i «compromessi o patti che si stringono nelle settimane del crollo dell'Impero, nel dima della sconfitta, tra le forze del vecchio potere (élite burocratico-ministeriale, padronato privato, vertici militari) e i rappresentanti delle organizzazioni operaie maggioritarie» (p. 43). In questo orizzonte storico-politico, che trova espressione nella Costituzione del 1919, si inserisce anche l'idea troeltschiana dell'alleanza tra borghesia e movimento operaio. 24. Cfr. A. Rosenberg, Storia della repubblica di Wei1111Jr, tr. it. cli L. Paggi, Sansoni, Firenze 1972, p. 5. 25. Leleueredello spella/ore, tr. it. cit., p. 30.
26. Ibidem.
300
- «questo diritto vale per ognuno che abbia un volto umano [. . .) anche per gli innumerevoli figli della massa oscura» sul cui lavoro si fondano la cultura e la vita sociale nelle sue varie istitizioni27• Grazie a queste sue conseguenze sociali e politiche il principio democratico ha guidato l'intero processo di emancipazione umana nel mondo moderno, sconfiggendo atavici pregiudizi, come mostra specialmente l'emancipazione femminile, e provocando rivoluzionari mutamenti nell'ordinamento della società28 • Certamente non sfuggono a Troeltsch le difficoltà che insorgono nell'attuazione delle finalità del principio democratico, specialmente di quelle relative ali'eguaglianza sociale, alla distribuzione delle ricchezze, tuttavia il principio democratico non può non mantenere fermo come dovere e come telos «l'ideale di una giustizia non invidiosa e di una ripartizione dei beni il più possibile corrispondente alla effettiva prestazione dei singoli»29•
In questa prospettiva la democrazia è più che una forma di governo, è una vera e propria concezione della vita sociale e politica, che per quanto secolarizzata nella modernità, conserva profondi legami con la concezione della democrazia sorta sul terreno delle Chiese e delle sette, come si può vedere specialmente nella democrazia anglo-americana, che ha conservato uno stretto legame con le sue origini cristiane>0• Nel saggio del 1904 si trova anche già delineata quella concezione della democrazia che successivamente T roeltsch caratterizzerà come "democrazia conservatrice", in riferimento
27. E. Troeltsch, Politische Etbik und Cbristentum, Gottingen 1904, dattiloscrino, Wissenschaftlich-Theologisches Seminar der Universitiit Heidelberg, p. 13. 28. CTr. ivi, pp. 13-14. 29. lvi, p. 14. 30. Cfr. ivi, p.4.
301
al calvinismo e specialmente alla democrazia americana. Troeltsch, accanto al riferimento primario al principio democratico, ritiene, infatti, che un'organizzazione sociale e politica ispirata dall'etica cristiana debba tenere conto anche del principio del conservatorismo, al fine di assicurare la sottomissione dei singoli alle autorità e alle istituzioni che provengono dall'ordine naturale voluto da Dio al fine di tenere a freno l'egoismo e la violenza e realizzare il bene comuneJt. Questa idea della integrazione tra i due principi ritorna nelle riflessioni sulla democrazia nello Spektalor-Brie/e, nella confusa situazione in cui si svolge l'esperienza della inedita "democrazia tedesca" all'indomani della improvvisa proclamazione della Repubblica. Ma vi ritorna con un significato diverso. Ora il richiamo alla conservazione è interno alla democrazia e si riferisce alla salvezza dell'ordinamento istituzionale di fronte al pericolo di una sua degenerazione nell'anarchia o nella dittatura del proletariatoJ2• Seguendo le indicazioni della classica analisi di Tocqueville sulla democrazia in America, T roeltsch la considera indubbiamente come un fenomeno complesso in cui vi sono luci ed ombre, vantaggi e svantaggi, ma ritiene tuttavia che per la sua inarrestabilità e per la sua corrispondenza alla società moderna, dev'essere accolta, mettendone in risalto soprattutto «gli aspetti grandi e nobili»: «La democrazia - afferma T roeltsch nell'articolo sulla "democrazia tedesca" del 16novembre 1918 - può raccogliere grandi e larghe cerchie del popolo rendendole straordinariamente produttive, può essere fondamento di amore e di dedizione verso lo Stato comune, può valorizzare al massimo la dignità umana e la personalità di ogni cittadino, può inserire nelle singole volontà responsabilità e iniziativa,
.31. Cfr. ivi, p . .31. .32. Cfr. in questo senso F. Tessitore, Troe/Jsch politico, cit., pp. 1.32-1.3.3.
.302
operare una utile selezione di nuovi e freschi talenti e volontà: chiaramente, tutte cose del massimo valore etico e del più profondo significato politico». Con ciò T roeltsch non si nasconde i pericoli della democrazia. Non solo quelli già indicati da Tocqueville -1'anarchia, il livellamento, le miserevoli lotte d'interesse, il corporativismo - ma anche quelli determinati dalle lotte tra le correnti dei partiti e dalla loro influenza sul governo, cioè i danni prodotti dalla degenerazione dei partiti, sperimentati in quei primi anni della Repubblica: partiti, che tuttavia egli considera come organi insostituibili in quanto corrispondenti a «raggruppamenti naturali della società>,)>. Tornando alla situazione del presente in Germania, Troeltsch ammette che la democrazia è «un meccanismo politico, che ha i suoi difetti, come tutti i meccanismi del genere», ma ribadisce che nella situazione del momento ha il «vantaggio» di assicurare alla Germania l'«esistenza» nello scenario internazionale e, all'interno, di «corrispondere alle esigenze di giustizia delle masse», sicché non può trattarsi soltanto di una «democrazia formale», ma deve comportare «una trasformazione dell'ordine sociale» accogliendo le giuste rivendicazioni dei ceti più deboli e poveri. Dev'essere una «democrazia sociale», distinta però dalla socialdemocrazia, perché fondata sulla «giustizia verso tutte le classi», sul Kompromiss tra borghesia e movimento operaio - un sistema politico democratico-parlamentare, in cui possa farsi partecipe della gestione dello Stato l'insieme delle forze produttive e delle forze sociali politicamente espresse e organizzate>4• Se questo ideale, esemplifica-
33. Le lettere dello spettatore, tr. it. cit., pp. 113-114. 34. Com'è stato osservato soprattutto da Schmidt il concetto cli Kompromiss, che si lega a quello cli Kultursynthese, esprime la tendenza fondamentale dell'atteggiamento e dd pensiero politico cli Trodtsch (G. Schmidt,
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to dalla democrazia americana, «potrà» realizzarsi nel nuovo Stato tedesco, congiungendo anche qui passato e presente, tradizione e innovazione, questo «è affidato alla responsabilità e all'impegno della volontà operante». Per quanto riguarda Troeltsch, egli ancora nell'articolo del 7 ottobre del 1922, in una situazione estremamente difficile profondamente segnata dall'assassinio di Rathenau, fa la sua professione di fede nella repubblica democratica nella sua forma di "democrazia conservatrice": «Dobbiamo dire di sì interiormente alla repubblica, non all'attuale costituzione nei suoi particolari, ma alla repubblica democratica come principio. Solo aderendovi sinceramente e senza riserve, si può pensare a darle la collaborazione e il contrappeso dei pesi aristocratici e conservatori (indispensabili in ogni società), senza essere sospettati di voler dissolvere il sistema stesso, che ha salvato l'esistenza del Reich e da cui questa esistenza continua a dipendere>Y1 .
Emst Troe/Jsch, in M.VV. Deutsche Historiker, hrsg. v. H. U. Wehler, Bd. III, p. 94.)-Sulla posizione di Troeltsch verso la repubblica di Weimar e in particolare sull'assassinio di Walter Rathenau si vedano le osservazioni di M. Cacciari in W Rathenau e il suo amhiente, De Donato, Bari 1979, p. 70 ss. Un'accurata analisi dgli scritti politici di Troeltsch tra il 1914 e il 1922 si trova in A. Rapp, Il problema della Germania negli scritti politici di E. Troe/Jsch (1914-1922), Giuffrè, Milano 1978 (cfr. specialmente la parte II). 35. Le lettere dello spettatore, tr. it. cit., pp. 262-263.
305
Nota Bibliografica
Si indicano qui cli seguito per ogni capitolo i saggi che, nella complessiva rielaborazione, sono stati ripresi integralmente (anche se modificati) o solo parzialmente.
Parte Prima Capitolo Primo: Etica generale ed etica cristiana nel pensiero di Ernst Troeltsch, in Etica trascendentale e intersoggettività, a cura cli C. Vigna, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp.141-162; Etica e storia. Introduzione a E.Troeltsch, Problemifondamentali dell'etica, a cura cli G. Cantillo, presentazione cli F. Tessitore, Alfredo Guida Editore, Napoli 2007, pp. 15-36; Morale
della coscien1,a ed etica dei valori culturali nelpensiero di Ernst Troeltsch, in Pensare altrimenti. In dialogo con Francesca Brezzi, Babelonline/print, 16-17, 2014, pp. 61-69. Etica ed etica sociale cristiana, in Ernst Troeltsch. Religioni, Chiese, Modernità, a cura cli E. Pace e M. Piccinini, "Humanitas", N. S. LXXI, 2, marzo-aprile 2016, pp. 239-264. Il §7 (Etica ateistica ed etica cristiana) è inedito.
306
Capitolo Secondo: Rinascimento e Riforma nella interpretazione troeltschiana delle origini del mondo moderno, in "Bollettino filosofico", n . 15: Studi in onore di Franco Crispini, Edizioni Brenner, Cosenza 1999, pp. 75-93; Luteranesimo e mondo moderno in Ernst Troeltsch, in Lutero e i linguaggi dell'Oca~ dente, a cura di G. Beschin, F. Cambi, L. Cristellon, Morcdliana, Brescia 2002, pp. 423-438; Troeltsch e Kant: "Apriori" e "storia" nella filosofia della religione, in Lo storicismo e la sua storia.Temi, problemi, prospettive, a cura di G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa, Guerini, Milano 1997, pp. 334-342; Il Gesù di Troeltsch, in I volti moderni di Gesù. Arte, filosofia, storia, a cura di I. Adinol.fi e G. Goisis, Quodlibet, Macerata 2013, pp. 273-289. Capitolo Terzo: Il Messianico tra neokantismo e storicismo. Cohen e Troeltsch, in Filosofia dell'avvenire. L'evento e il messianico, a cura di G. Mascia, A. Nasone e G. Pintus, Inschibboleth Edizioni, Roma 2015, §2 Troeltsch: Fede ed ethos dei profeti ebraici. La chiesa antica, pp. 84-98.
Parte Seconda Capitolo Primo: Esistenza e storia. Troeltsch e Kierkegaard tra teo/.ogia e filosofia, in «Notabene. Quaderni di studi kierkegaardiani», voi. 9: Kierkegaard duecento anni dopo, Il Nuovo Mdangolo, Genova, 2014. Capitolo Secondo: Etica e storia. Troeltsch e Rickert, in Meto-
do/.ogia, teoria della conoscenza, filosofia dei val.ori: Heinrich Rickert e il suo tempo, a cura di A. Donise, A. Giugliano, E. Massimilla,Liguori Editore, Napoli 2015, pp. 129-143. Capitolo Terzo: Il Geist nel Historismus. Di/they.Troeltsch, in Lo spirito. Percorsi nella filosofia e nelle culture, a cura di M. Pagano, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2011, §2: Storici-
307
smo e metafisica dello spirito nel pensiero filosofico-teologico di Ernst Troeltsch, pp. 439-455. Capitolo Quarto: LA storia e il presente. Brevi note in margine a La storia come pensiero e come azione, in Croce Filosofo, Tomo I, a cura di G. Cacciatore, G. Cotroneo, R Viti Cavaliere, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, pp. 145-152; LA presenzialità del passato: la storia tra memoria e aspettativa, in Natura, storia, società. Studi in onore di Mario A/caro, a cura di R Bufalo, G. Cantarano, P. Colonnello, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2010, pp. 599-612. Capitolo Quinto: LA concezione della democrazia in Ernst Troeltsch, in Neokantismo, diritto e sociologi4, a cura di A. Catania e MP.Fimiani, ESI, Napoli 1995, pp. 7-32 [pp.29-32); Cristianesimo, monde moderno, idea di Europa, in Il Mediterraneo. Incontro di culture, a cura di F. Cacciatore e A. Niger, Aracne Editrice, Roma 2007, pp. 53-80 [pp. 75-80). Si ringraziano vivamente gli Editori, i Curatori dei volumi, i Direttori di collana, i Direttori delle riviste.
.308
Indice dei nomi A Achclla, S. 16n. 135n Adinolfi, I . .306 Agostino d'lppona, 37n, 6.3, 80, 185,269 Aguti, A. 155n Amos, 183 Antiseri, D. 159n Anzalone, M. 24 Apfelbacher, K.-E. 127n Apollo, 100n Aristotele, 94
B Baron, H. 18n, 75n, 291n Barth, K. 195 Baur, F. C. 209 Benckcrt,H. 280,.35,580 Bergson,H. 221,252 Bernardo di Chiaravalle, 80 Beschin, G. 306 Bloch, E. 11, 16n, 177, 178 Bodenstcin, W. 75n, 161n Boeckh, A. 219 Bonaventura da Bagnoregio, 80n
Boogioanni,A. 87n Bonito Oliva, R 2.30, 273n Bosco,D. 136n Bousset, W. 199,200 Bufalo, R. 307 Bultmann, R. 146, 160n Bunyan,J. 63 Burckhardt,J. 9.3, 98, 99, 102n Burdach, K. 102n
e Cacciari, M. 303n Cacciatore, F. 307 Cacciatore, G. 880, 306, .307 Caianicllo, S. 259n Calogero, G. 55n Calvino, G. 72, 110 Cambi, F. .306 Cantarano, G. 307 Caracciolo, A. 136n, 143n, 16ln,253n Carcagoi, A. R. 75n, 291n Cassandro, G. 130n Cassirer, E. 115, 1160, 119, 182n Catania, A. .307 Catarzi, M. 12n, 23.3n Chapmann,M. 196n Chastel, A. 100n Chevallerie, E. von la 28n Ciafardone, R. 136n Chiodi, P. 34n, 12.3n Ciliberto, M. 102n dass,G. 265 Coffele, G. 128n Coben, H. 181, 1820, 185 Colli, G. 21n, 1980, 249n, 272n Colonnello, P. 307,2470 Comba, A. 197n Congar, Y. 278n Conte, D. 244n, 294n Coomheert, D. 80 Cotrooeo, G. 307 Crespi, P. 278n Cristcllon, L. 306 Croce, B. 13 ln, 1330, 245-250, 254,257,2620,307 Cusano, N. 119
309
D
Fort, G. von le, 28n, 155n Francesco d'Assisi, 63, 207 Franck, S. 80,207
DeToni, G.A. 261n De Wette, W.M. L. 40 Deutero-Isaia, 183 Diana, R 16n. Dietrich, W. S. 181 Dilthey, W. 22n, 880, 116n, 121-123,175, 176n, 223, 242,256n,261,266,271, 306 Dionigi l'Aeropagita, 80 Donadio, F. 27n Donise, A. 23n, 24, 225n, 229n, 238n,306 Drescher, H. G. 63n, 75n, 162n,195,200n,204n, 205,217n, 272n Drehsen. V. 165n Droysen,J. G. 219,245, 257260 Dwnont, L. 292n
G
Dahlmann, F. C. 257 Dal Santo, P. 69n DeFidio, P. 37n
E Einstein, A. 255n Emery, L. 259D Erasmo da Rotterdam, 100n Ezechide, 187
F Fabro, C. 208n Fatta, C. 55n Ferguson, W. K. 116n Feuerbach, L. 160 Fichte, J . G. 266 Fimiani,MP. 307 Fix, K.-H. 196n
Gaeta, G. 146n Galasso, G. 262 Garaventa, R. 128n, 135n, 136n, 155n Garin,E. 85 Gentile, L. 136n Geremia, 183 Gesù/Cristo 29-31, 43, 48, 64-73,79,lOOn, 104, 105, 108, 110, 125, 126, 138-159, 173, 179-185, 189-192, 197, 198,202, 205-210, 212-218, 278, 306 Gherardini, B. 126n, 210n Ghia, F. 121n, 140n, 207n, 213D Giametta, S. 249n Gierke, O. von, 290 Gilbert, F. 258n Gisel, P. 83n, 165n Giovanni l'Evangdista, 212 Giugliano,.A. 229n, 244n, 306 Goethe,J. W. 115,234 Gogarten, F, 160n, 161n, 195, 215-217,219 Goisis,G. 306 Goldstein, E. 37n Graf, F. W. 18n, 28n, 30n, 75n, 76n,292n Graue, P. 196n Groethuysen, B. 261n
310
H
Haroack,A. 75n,87, 144,195 Hegel, G. W. F. 11, 23n, 40,41, 55n,126n,130, 133,135, 162,198,209,210,251, 257,275 Heidegger, M. 23n, 198 HcrbcrtofChcrbury,E. 121n Hcrder,J. G. 125, 130 Herrmann, W. 28, 35, 36, 4248, 63n, 150, 153 Heuss, A. 258n Hintze, O. 255n Hoffding, H. 196n Hiibinger, G. 18n Hiibncr,R. 257n, 259n Hiigcl,F. von, 27n, 127n Humboldt, W. von, 219,259 Husserl, E. 11, 22, 46n, 250
I Isaia, 177, 183, 186
J
Jacini, S. (Junior), 127n James, W. 164 Jaspers, K. 11,243
202, 204-208, 210-222, 306 Kohlcr, W. 124n, 291n Korsch, D. 165n Koselleck, R. 258n Kuiper, A. 112n
L
Laurenzi, M.C. 160n Leyh, P. 259n Leibniz, G. W. von, 22n, 23n, 115,116, 123,265n, 273n Lconhard,J. 292n Lemcr,R.E. 77n Lessing, E. 124n Lcssing, G. E. 115,116,123 Lockc, J. 39, 121n Lehmann, H. 165n Lissa, G. 306 Lohmann, F. 58n Losano,M.G. 289n Lotze, H . 266,271, 272 Lowith, K. 198n Lutero, M. 80, 105-1120, 115, 202,306
M K Kant, I. 11, 23, 30-35, 39-62, 115, 119-125,165-175, 176n,182n, 185,210, 224,225,228,266,267, 272,282,299,306,307 Kattenbusch,F. 77n Kellermann, B. 181n Kelscn, H . 289-291 Kessel, E. 21n Kicrkcgaard, S. 160, 195, 196,
Malcbranchc, N. 22n Marano, G. 80n Marini, G. 40n Marquardt, M. 58n Martirano, M. 292n Mascia, G. 306 Massimilla, E. 229n, 306 Masullo, A. 46n, 252n Mauro, L. 80n May,B. 263n Mazzarclla, E. 55n
311
Médevielle, G. 124n, 283n Meinecke,F. 17,21, 130n, 256n,291n,292n,297, 298 Meister Eckhart, 207 Melantone, F. 107 Michelangelo Buonarroti, 99, 100n Miegge, M. 75n Milton, J. 63 Miniati, S. 136n Moltmann, J. 160, 178, 197 Mommsen,W.J . 76n Montinari,M. 2ln,249n Moretto, G. 32n,89n, 127n 260n
N Nasone, A. 306 Necs, C. 196n Neppi Modona, A. 13 ln Neuner, P. 127n Niebergall, F. 141, 143 Nietzsche, F. 13, 21, 59, 60n, 86, 186, 248, 249, 279, 294 Niger, A. 307
o Oestreich, G. 256n Osea, 183 Osterbammel, J. 76n Overbeck, F. 197, 198
p Pace, E. 75n, 82n, 305 Pagano, M. 306 Paggi, L. 299n Pannenberg, W. 159n
Panzieri, P. 212n Paolo di Tarso, 30, 63, 67-69, 79,156, 217,278n Pauck, W. 75n Pautler, S. 18n, 136n Piccinini, M. 75n, 283n, 305 Pintus, G. 306 Piovani, P. 223n, 257n Poma, A. 123n, 181n Prandi, A. 116n Prandi, C. 81n Pugliese Carratelli, F. 130n
R Rachfahl, F. 75n Raffaello Sanzio, 100n Ranke, L . von, 130-134, 137 Rapp, A. 303n Rathenau, W. 303 Rendtorff, T. 18n, 136n, 165n Renz,H. 18n Rickert, H. 12,23n, 51,163, 223-244,280, 306 Riconda, G. 123n Riedel, M . 261n Ritschl, A. 124-127, 132n, 135, 138, 150, 153, 197,201, 208-210 Rodin, A. 100n Rosenberg, A. 299n Rossi, P. 22n, 23n, 76n, 77n, 97n, 109n,255n,261n, 280n Rothe, R. 195 Rousseau,J.-J. 39 Ruoppo, A. 23n Rusconi, G. E. 298n, 299n Russo, A. 128n Riisen, J. 263
312
s
Sanna, G. 17n, 75n, 90n Savigny, F. C. von, 219 Schelling, F. W. J . 130, 219,221 Schlciermacher, F. D. E. 19, 30, 31, 35, 40- 43, 47, 63, 107n, 124-129, 150, 153, 154, 161, 162,266 Schluchter,W. 77n Schmidt, G. 292n,297, 302n Schmidt, M. 197n, 198n, 266n Schopenhauer,A. 220 Schwcitzer,A. 174 Shaftesbury (A. Ashley-Cooper), 39 Siebeck, H . 120 Sieg, U. 181n Simmel, G. 100n, 244 Sorrentino, S. 53n, 150n Spranger, E. 256n Steffcnsen, K. 265 Stephan,H. 197n, 198n, 266n Stewart,J.B. 196,n Strauss, F. D . 150
T
Tanner, K. 35n Tarizzo,D. 212n Taubes,J. 69 Terwey,A. 18n Tessitore, F. 13n, 17n, 24, 36n, 37n,58n, 75n,76n, 131n, 133n, 136n, 257n, 260n, 291n,292n, 297,298n, 301n,305 Tiemann, H . H. 107n Tocqueville,A. de, 301,302 Tolstoj, L. 196n, 207 Tommaso da Kempcn, 63
Troeltsch, Marta 155 Tuozzolo, C. 136n
V Valdés,J. de, 100n Valera, G. 130n Vasoli, C. 117n Vattimo, G. 41n Ventura, L. 24 Venturclli, D. 89n Vermeil, E. 165n Verra, V. 257n Villari,L. 298n Viti Cavaliere, R. 307
w Weber, M . 75n, 76n, 77n, 81, 108n, 109n, llln, 112n, 114,185,223,2290, 280n, 292n, 297 Weigel, V. 80 Werckshagen, C. 22n Wehler, H .V. 303n Wernle, P. 93,96,97,98n Wiesenberg,W. 48n Windelband, W. 163,225n, 228,280 Wismann, H. 165n Wolff, C. 121n Nell'indice non sono registrate le occorrenze relative a Troeltsch e all'autore.
313
Indice
Prefazione di Anna Donise
Introduzione
p. 9
p. 17
Parte prima Etica e religione
p. 25
Capitolo primo
Etica generale ed etica cristiana l. La riflessione sull'etica 2. Fenomenologia dell'esperienza morale; etica e religione 3. Per la storia dell'etica cristiana 4. Il confronto con l'etica di Wilhelm Herrmann 5. Etica oggettiva e storia 6. Etica ateistica ed etica cristiana 7. L'etica cristiana: dall'origine religiosa alla sua dimensione sociale
p. 27 p. 32 p. 35 p. 42 p. 50 p. 59 p. 64
314
Capitolo secondo
Religione e modernità 1. Modernità, Rinascimento, Riforma 2. L'autonomia della religione e l'eredità kantiana 3. Cristianesimo e storia 4. La figura di Gesù 5 . Il progetto di una filosofia della religione 6. Apriori e storia: la riflessione sulla filosofia della religione di Kant
p. 85 p. 119 p. 124 p. 139 p. 159 p. 165
Capitolo terzo
Il messianico. Profetismo ebraico e Chiesa antica 1. Il pathos del messianico 2. Fede ed ethos dei profeti ebraici 3. La Chiesa antica
Parte seconda Religione e filosofia della storia
p. 177 p. 179 p. 189
p. 193
Capitolo primo
Esistenza e storia. Troeltsch e Kierkegaard tra teologia e filosofia 1. Cristianesimo e cultura 2. Un «netto aut-aut» 3. La fedeltà di Kierkegaard al messaggio evangelico 4. Vino nuovo nelle vecchie botti 5. Un frutto dell'albero di Kierkegaard 6. Esistenza e storia
p. 195 p.201 p.206 p.213 p.215 p.220
315
Capitolo secondo
Troeltsch e Rickert. Una modernafil-Osofia della storia 1. La fondazione trascendentale della conoscenza storica 2. Il soggettivismo teoretico-conoscitivo e la visione del mondo storica 3 Il regno dei valori
p.223 p.233 p.238
Capitolo terzo
Il tempo della storiografia nella tradizione storicistica. Croce, Troeltsch, Droysen 1. La contemporaneità della storia nello storicismo di Benedetto Croce 2. Tempo storico e sviluppo nella teoria della storia di T roeltsch 3. Alle origini della tradizione storicistica: Il tempo storico in Johann Gustav Droysen
p.245 p.251 p.257
Capitolo quarto
Storia e metafisica dello spirito 1. L'autonomia della vita spirituale 2. Coscienza critica e metafisica dello spirito 3. «Il tormento del mondo moderno». Individualità e spirito comune
p.265 p.271 p.281
Capitolo quinto
Una possibile sintesi culturale. LA costruzione dell'idea di Europa e il destino della Germania 1. Il diritto naturale e il riesame di sé dello storicismo 2. La «costruzione della storia della cultura europea» e la scelta per la democrazia
Nota Bibliografica
p.289 p. 295 p.305