Hegel e l'antichità classica

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Indice

Introduzione

Paradigmatidtà e storidtà del pensiero greco. Klaus Diising lettore di Hegel

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di Massimiliano Biscuso Awertenza

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Prefazione

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I.

LA DIALETTICA NEL PARMENIDE DI PLATONE E L'INTERPREfAZIONE HEGELIANA

1. L'esercizio dialettico nel Parmenide di Platone 2. L'interpretazione hegeliana della dialettica nel Parmenide di Platone

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26 32

Il.

m.

ONTOLOGIA E DIALETI1CA NEL SOFISTA DI PLATONE E NELL'INTERPRETAZIONE SPECULATIVA HEGELIANA

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1. Ontologia e dialettica nel Sofista 2. L'interpretazione speculativa hegeliana e la prosecuzione del Sofista

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TIPI FONDAMENTALI DELL'ONTOLOGIA IN ARISTOTELE E HEGEL

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1. L'ontologia aristotelica dell'ousia 2. L'interpretazione speculativa hegeliana dell'ontologia di Aristotele

58

49

67

IV. NOESIS NOESEill E SOGGETI1VITÀ ASSOLlITA.

V.

LA TEOLOGIA DI ARISTOTELE E LA 'fRASFORMAZIONE HEGELIANA

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1. La teologia filosofica di Aristotele 2. La trasformazione hegeliana della noesis noeseos in soggettività assoluta

76 83

COMPIMENTO E FINE DELL'ARTE CLASSICA. L'ESTETICA DI HEGEL

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1. La determinazione hegeliana dell'arte 2. L'arte classica dei Greci

91 97

CONCLUSIONE

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Bibliografia

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Postfazione

Dalla fenomenologia idealistica ai modelli dell'autocoscienza. L'itinerario di Klaus Dusing verso una teoria della soggettività concreta di Salvatore Giammusso

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Introduzione Massimiliano Biscuso

Paradigmaticità e storidtà del pensiero greco. Klaus Dusing lettore di Hegel

A venti anni dalla sua prima pubblicazione, nella collana "Studi sul pensiero di Hegel" della casa editrice La Città del Sole, si può senz'altro sostenere che Hegel e l'antichità classica di Klaus Diising si sia affermato come un classico della letteratura interpretativa hegeliana. Proporne oggi la ripubblicazione non significa quindi soltanto riconoscere l'importanza che lo studioso tedesco ha avuto nella storia dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - Diising è stato infatti protagonista di numerosi interventi in convegni e seminari, organizzati per lo più nelle Università tedesche ma anche a Napoli, che sono stati accolti in diverse pubblicazioni promosse dall'Istituto-, ma soprattutto mettere di nuovo a disposizione dei lettori un testo che costituisce un punto di riferimento per chi si accosti al tema, ricchissimo e affascinante, del rapporto di Hegel con il mondo classico e, in particolar modo, con i vertici speculativi della filosofia greca. Hegel e l'antichità classica raccoglie cinque lezioni che Diising tenne all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 23

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al 27 febbraio 1998, dedicate rispettivamente alla interpretazione hegeliana del Parmenide edel Sofista di Platone, dell'ontologia edella teologia di Aristotele, e infine dell'arte greca classica. Lo studioso tedesco mostra in queste lezioni una piena padronanza non solo del pensiero di Hegel ma anche di quello di Platone e di Aristotele. Infatti, le prime quattro lezioni hanno una struttura bipartita: nella prima parte Diising ricostruisce il tema trattato affrontando direttamente i testi classici, ma tenendo anche nel debito conto la (allora) più aggiornata letteratura critica; nella seconda propone la sua lettura dell'interpretazione hegeliana, discutendone con altri studiosi. L'ultima lezione è invece dedicata all'arte classica; si tratta di una scelta originale, motivata dalla necessità di mostrare, da un lato, l'esemplarità e insieme la distanza storica che ci separa dal mondo greco e dalle sue produzioni spirituali, dall'altro, l'emergere in esso della soggettività autocosciente. Come l'ideale estetico si trova realizzato in senso compiuto solo nell'arte classica, soprattutto nella statuaria e nella tragedia, così la filosofi.a di Platone e di Aristotele presenta «opere compiute dello spirito di validità e verità paradigmatica>>'. Diising è tuttavia ben attento a non attribuire a Hegel un improprio classicismo: il mondo greco appartiene a un'epoca storica diversa dalla nostra, perché nei «begli individui divini» dell'arte classica si presenta !'«autocoscienza spirituale», ma «finita», e la dottrina aristotelica di dio come noesis noeseos è soltanto la «prefigurazione della teoria della soggettività infinita e divina>>2. Il risultato del percorso compiuto nel seminario è così sintetizzato dallo studioso tedesco: «Hegel riprende dall'antichità motivi della comprensione dell'autocoscienza ontologicamente fondati e li sviluppa su una nuova base nella sua teoria della soggettività speculativa che unifica le contraddizioni contemporanee». Questa teoria della soggettività «presenta dunque l'orizzonte all'interno del quale Hegel interpreta e rende produttiva l'antichità classica>>3. A differenza di altri grandi interpreti del pensiero di Hegel, quali ad es. sono statiHeidegger e Gadamer, Diising ritiene dunque Cfr. infra, p. 107. Cfr. infra, p. 108. ' Cfr. ibidem. 1

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che il filosofo tedesco abbia affermato l'emergere della soggettività autocosciente nel pensiero antico. Il tema della soggettività è, d'altronde, l'argomento su cui si è maggiormente incentrato il lavoro filosofico di Diising: il lettore può ritrovarne una sintetica ricostruzione nella Postfazione del curatore della prima edizione di queste lezioni, Salvatore Giammusso, riproposta in appendice. Taie ricostruzione permette di contestualizzare efficacemente lo sforzo ermeneutico compiuto da Diising nei confronti del pensiero greco, dell'interpretazione che Hegel ne diede e dell'uso che ne fece per elaborare la propria proposta speculativa; e a quelle pagine quindi rimandiamo. In questa breve Introduzione sarà invece opportuno soffermarsi sul contributo cheHegel e l'antichità classica ha dato alla comprensione dell'interpretazione hegeliana del pensiero antico, considerando anche il fatto che si tratta dell'esposizione più ampia e articolata offertaci dallo studioso tedesco sull'argomento. La storia della filosofia, ad avviso di chi scrive, ha ricevuto negli ultimi decenni un'attenzione da parte degli studiosi hegeliani decisamente inferiore alla rilevanza che essa ha avuto agli occhi dello stesso Hegel, il quale infatti vi aveva dedicato ben nove corsi universitari (uno aJena, due a Heidelberg e sei a Berlino), oltre a intessere le opere sistematiche di numerosi riferimenti al pensiero filosofico del passato - per tacere degli effetti che ha prodotto nella ricerca storico-filosofica coeva e successiva. Evidentemente questa affermazione è ancora più vera se non identifichiamo la "storia della filosofia" hegeliana con la sola ricostruzione storiografica del pensiero passato compiuta nelle Lta,ioni sulla storia della filosofia -la quale è certamente lontana dai nostri criteri di scientificità, orientata com'è in senso fortemente speculativo -, ma ne estendiamo il significato, come fa appunto Diising, al più generale confronto con la tradizione filosofica che Hegelconduce anche in altre opere come la Fenomenologia dello spirito, La scien7_a della logica e l'Enciclopedia delk scienze filosofiche in compendio. Lo studio del pensiero passato, moderno ma soprattutto antico (si ricordi che alla ricostruzione del pensiero greco è dedicata la parte più ampia delle Lezioni sulla storia della filosofia), assume infatti agli occhi di Hegel non solo un valore storico, consistente nella comprensione di come il pensiero filosofico abbia potuto compiere il percorso che lo ha condotto sino

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INTRODUZIONE

all'autocomprensione speculativa della presente scienza filosofica (che è lo scopo precipuo delle Lezioni), ma anche un valore paradigmatico, in quanto i momenti più alti della storia della filosofia rappresentano posizioni di pensiero esemplari, con le quali la ragione filosofica deve misurarsi: si pensi, a solo titolo di esempio, al confronto con la aristotelica dottrina dell'anima nell'antropologia o con la filosofia pratica kantiana nella moralità. In questo senso, la storia della filosofia, proprio come la logica, è una parte del sistema coestensiva all'intero sistema, perché non c'è momento di questo che possa esimersi dal confronto dialettico (nel significato aristotelico del termine) con la tradizione per acquisire una dimensione speculativa adeguata al concetto di scienza. Storicità e paradigmaticità del pensiero filoso.fico del passato sono appunto gli aspetti messi in evidenza da Diising non solo nel seminario napoletano ma anche nella fondamentale monografia Hegel und die Geschichte der Philosophie apparsa quindici anni prima4• Come recita il sottotitolo di questo lavoro, l'ontologia e la dialettica sono al centro dell'attenzione di Diising, proprio come lo saranno in Hegel e l'antichità classica. Hegel und die Geschichte der Philosophie non intende ricostruire tutto il percorso storico tracciato da Hegel nelle Lezioni sulla storia della filosofia, ma metterne in rilievo i momenti culminanti e al tempo stesso più importanti per la stessa formazione del pensiero hegeliano: «Hegel non solo spiega le passate dottrine filosofiche sulla base delle sue premesse speculative, ma anche che egli è debitore nei loro confronti di nozioni decisive per lo sviluppo della sua dialettica e di diverse categorie fondamentali>>5. Quelle dei Presocratici, di Platone, di Aristotele e del neoplatonismo - gli autori e gli indirizzi su cui Diising si sofferma nella trattazione del pensiero antico -, sono, in senso forte, filosofie classiche, cioè filosofie dotate di duratura efficacia, operanti anche nel pensiero hegeliano. Viene in questo modo confermato il carattere fondamentale della comprensione hegeliana della storia della filosofia: quello di presentare non soltanto lo sviluppo storico 4 K. Diising, Hegel und die Gescbicbte der Philosophie. Ontologie und Dialektik in Antike und Neuzeit, Wissenscha&liche Buchgesellschaft, Darmstadt 1983. 'lvi, p. 3.

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delle dottrine .filosofiche, che sappiamo essere teleologicamente orientato e compiersi nel sistema hegeliano medesimo, ma anche di metterne in rilievo e utilizzare produttivamente i momenti più alti e speculativamente significativi. Non possiamo qui soffermarci sulla concezione hegeliana della storia della .filosofia e sulle sue difficoltà, che Diising espone nelle pagine iniziali di Hegel und die Geschichte der Philosophie6 e nel successivo saggio Dialektik und Geschichtsmetaphysik in Hegels Konzeption philosophiegeschichtlicher Entwicklung7. Basti qui ricordare che, secondo Diising, la storia della .filosofia hegeliana assume il suo volto grazie a un duplice intento sistematico, che la connette, da un lato, alla successione atemporale delle determinazioni logiche (è la celebre tesi del "parallelismo" tra principi delle .filosofie che si affermano nella storia e progressione delle categorie del puro pensiero), per cui logica e storia della filosofia procedono di pari passo, dall'astratto al concreto8 ; dall'altro, alla «metafisica universalistica dello spirito reale nella storia»9 , per cui la storia della filosofia diventa parte della storia dello spirito del mondo e della sua teodicea. Identificando i principi delle filosofie precedenti, in particolar modo quelle dei più antichi pensatori, con le categorie della propria logica; ponendo la dialettica, cioè il proprio metodo speculativo, come criterio per la comprensione della connessione tra principi.filosofici affermatisi nella storia e categorie sviluppantesi nel puro pensiero; e concependo infine uno scopo, che è insieme la fine, dello sviluppo storico, la storia della filosofia hegeliana rimane perciò sostanzialmente astorica10•

lvi, pp. 7-39. K. Diising, Dialektik und Geschichtsmetapbysik in Hegels Konz.eption philosophiegeschichtlicherEntwicklung, in H.-Ch. Lucas, G. Planty-Bonjour (Hrsg.), Logik und Geschichte in Hegels System, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1989, pp. 127-145. 8 Certamente c'è anche differenza fra le categorie logiche e le posizioni storiche. Soprattutto nell'ultimo periodo Hegel riconosce alla casualità un ruolo più ampio nel campo dell'esteriorità inessenziale. Sul tema cfr. K. Diising, Hegel und die Geschichte der Philosophie, cit., pp. 30-31. 9 lvi, p. 31. 10 K. Diising, Dialektik und Geschichtsmetapbysik, cit., pp. 136-137. 6

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Questi limiti, tuttavia, non impediscono di apprezzare il valore delle interpretazioni che Hegel ha avanzato delle .filosofie del passato, specialmente dell'antichità classica e in particolar modo di Platone e Aristotele, su cui lo studioso tedesco è tornato più volte11• Il grande merito di Hegel e l'antichità classica è quello di permettere al lettore di cogliere, da un lato, l'importanza intrinseca e insieme il rilievo storico delle interpretazioni hegeliane delle dottrine platoniche e aristoteliche, interpretazioni che meglio si apprezzano grazie al confronto sia con le ricerche contemporanee sia con quelle a Hegel coeve: se infatti molti degli specifici contributi esegetici hegeliani appaiono oggi discutibili o superati alla luce dei progressi che la storiografia .filoso.fica ha compiuto nella comprensione della .filosofia antica, la lettura che Hegel nefa, caratterizzata dal costante richiamo al suo valore speculativo, ha prodotto storicamente un significativo progresso negli studi12 e costituisce ancora oggi un

Id., Ontologie und DialekJik bei Plato und Hegel, «Hegel-Studien», 15 (1980), pp. 95-150; Id., Lineamenti di ontologia e teologia in Aristotele e Hegel, «II Pensiero», 23 (1982), pp. 5-32; Id., Hegel und die Geschichte der Philosophie, cit., pp. 55-96 (Platone), 97-132 (Aristotele); Id., Formender Dialektikbei Plato und Hegel, in M. Riedel (Hrsg.}, Hegel und die antike Dialektik, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1990, pp. 169-191 (si tratta della pubblicazione degli atti del convegno Hegel und die antike Dialektik organizzato dall'Institut fiir Philosophie der Friedrich-Alexander-Universitiit in collaborazione con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Erlangen-Numberg, 3-10 maggio 1986); Id., Ontologie bei Aristoteles und Hegel, «Hegel-Studien», 32 (1997), pp. 61-92; Id., Noesis noeseos und absoluterGeist in Hegels Bestimmungder "Philosophie",in H.-Ch.Lucas, B. Tuschling, U. Vogd (Hrsg.), Hegels enzyklopiidisches System, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2004, pp. 443458; Id., Hegel und die klassische griechische Philosophie (Platon, Aristo/e/es), in D.H. Heidemann, C. Krijnen (Hrsg.), Hegel und die Geschichte der Philosophie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2007, pp. 46-69. 12 Si pensi alla "riscoperta" del significato autenticamente filosofico dei dialoghi dialettici di Platone, e in particolare del Parmenide, che gli storici della filosofia del tempo, come Tiedemann e T ennemann, leggevano invece come «semplice gioco ironico e pieno di ingegno artistico» (infra, p. 33). Dieterich Tiedemann (1748-1803) e Wilhelm Gottlieb Tennemann (1761-1819) furono due importanti storici della filosofia tedeschi, il primo di ispirazione illuminista, il secondo kantiana, autori rispettivamente di un Geist der spekulativen Philosophie von Thales his Berkeley in sei volumi e di una Geschichte der Philosophie in undici volumi. Hegel si avvalse ampiamente, anche se spesso in modo critico, di questi lavori. 11

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potente stimolo a una comprensione filosoficamente più adeguata del pensiero classico. Dall'altro lato, Hegel e l'antichità classica espone con grande incisività e chiarezza il significato che la filosofia di Platone e Aristotele ebbe per l'elaborazione della dialettica speculativa, dell'ontologia e della teologia hegeliane. Già nella Postfazione Salvatore Giammusso ha offerto un quadro sintetico di queste lezioni, in particolare delle prime quattra13 ; ragion per cui non appare opportuno tornarci sopra, se non per il fatto, già sopra menzionato, che il seminario si chiude con una lezione dedicata all'arte classica. Il pensiero filosofico, infatti, è solo un momento, per quanto eminente, della più complessa produzione spirituale di un'epoca storica; perciò, nel mondo greco il concetto speculativo di dio come noesis noeseos non esaurisce affatto la comprensione del divino e il vivente rapporto con esso di un popolo, quello greco, che rappresentò i propri dei in forma sensibile, umana. Per questo l'arte classica è intesa da Hegel come «religione dell'arte» e in quanto tale il filosofo tedesco vi scorge, come nella filosofia greca, «forme preparatorie o addirittura prime figure di autocoscienza e soggettività»'4• In pagine concettualmente dense e insieme limpide, Diising mostra come secondo la matura concezione hegeliana il bello sia l'ideale estetico, l'idea che appare nel sensibile in una forma adeguata alla sua essenza. Ciò si realizza in modo compiuto solo nell'arte classica. «Il bello, che acquista forma individuale nell'opera d'arte, è idea realizzata nell'individuale, ossia perHegel "soggettività concreta"; questo si riferiscenell'esposizione intuitiva soprattutto agli dei greci rappresentati artisticamente, che Per quanto riguarda le esposizioni del pensiero di Platone, cfr. D. Tiedemann, Geist der spekulativen Philosophie von Thales bis Berkeley, voi. 2, Welchervon Sokrates bis Cameades geht, in der Akademischen Buchhandlung, Marburg 1791, pp. 63-198; e W.G. T ennemann, Geschichte der Philosophie, voi. 2, bei Johann Ambrosius Barth, Leipzig 1799, pp. 188-528. Oppure al merito che Hegel ebbe nell'~5• Diising legge così l'arte classica nel suo dispiegarsi storico tramite la scultura, la tragedia .fino alla sua dissoluzione nella satira romana, alla quale succede una nuova forma artistica, l'arte romantica, legata alla nuova religione cristiana. Ma al tempo stesso egli non manca di ricordare come per Hegel l'arte classica assuma un valore paradigmatico, sulla base del quale giudicare forme d'arte e singole opere d'arte, perché è in essa che «l'ideale estetico [...] viene realizzato in senso compiuto»16 • Non molto differentemente, in fondo, da quanto avviene per le filosofie di Platone e Aristotele, che in più di un caso egli è portato a giudicare quali modelli di autentica speculazione razionale, di contro alle derive soggettivistiche e all'impostazione sostanzialmente riflessiva della modernità e delle sue .filosofie. Si può aggiungere che l'interpretazione di Diising - secondo la quale nel pensiero greco si sviluppano l'autocoscienza e la soggettività, e si prefigura in alcuni suoi vertici, come la concezione aristotelica di dio quale noesis noeseos, la soggettività assoluta - risulta convincente anche se si getta lo sguardo immediatamente prima e dopo le filosofie di Platone e Aristotele, per come Hegel le ha comprese ed esposte. Ebbene, è noto come nella Fenomenologia dello spirito, stoicismo e scetticismo siano presentate quali figure della libertà dell'autocoscienza, che precedono la coscienza infelice. Sebbene non si possa attribuire al "momento" fenomenologico dell'Autocoscienza un esplicito sviluppo storico, tuttavia è indubbio che la successione di queste tre figure già assuma anche una connotazione storica e non soltanto ideale, come mostrano i chiari rinvii all'epoca imperiale romana (i riferimenti a Marco Aurelio e a Epitteto) e al cristianesimo tardoanticoe altomedievale. La Fenomenologia enfatizza il fatto che lo scetticismo è espressione di una soggettività certa di se stessa e libera da ogni contenuto. L'autocoscienza scettica è «la certezza di se stessa immutabile e veritiera» (TW 3, 161), che ha ottenuto la sua libertà mediante la negazione di ogni contenuto percepito o pen" Cfr. infra, p. 'll. 16 Cfr. infra, p. 105.

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sato: la sua è la «modalità negativa di dirigersi verso l'essere-altro», siano questo "altro" «le leggi etiche come comandi della signoria» oppure i «concetti della scienza» quali «determinazioni insite nel pensiero astratto» (TW 3, 160). D'altra parte, questa caratterizzazione del pensiero scettico quale affermazione della soggettività, sia pure finita perché non genera da sé il proprio contenuto ma lo accoglie dalla percezione sensibile, dal pensiero intellettuale e dai costumi, si ritrova ampiamente esposta nelle Lezioni sulla storia della filosofia, dove ai tropi recenti, cioè alla scepsi di Agrippa e Sesto Empirico, viene riconosciuta la funzione di negare le determinazioni fisse dell'intelletto: essi infatti si volgono «contro la riflessione, cioè contro una coscienza che si riferisce all'intelletto colto, contro categorie scientifiche, contro l'essere pensato del sensibile, contro la determinazione di esso per opera di concetti» (TW 19, 374-375Y7. Essi quindi «contengono la dialettica, che il concetto determinato ha in sé» (TW 19, 386), svolgendo dunque quella funzione che, nel modo più pregnante, è realizzata dalla dialettica negativa del Parmenide. Ma, oltre il significato paradigmatico della scepsi antica, le Lezioni ci permettono anche di cogliere il significato storico complessivo delle filosofie postaristoteliche e il loro rapporto con il mondo antico e romano in particolare. Esso consiste nel ritirarsi dell'individuo nella propria interiorità e cercare nel proprio pensiero quell'appagamento che la realtà non gli permetteva più di ottenere: l'individuo «è dovuto fuggire nell'astrazione del pensiero, in questa astrazione del soggetto meramente esistente [existierendes], cioè in questa libertà interiore del soggetto come tale» (TW 19, 255). Nel mondo romano, infatti, predominano l'astrazione e la lacerazione (il rapporto signore-sudditi è un rapporto di puro dominio, la vivente eticità è ridotta a patriottismo formale e sistema giuridico); e la filosofia, che è «strettamente connessa» con il proprio mondo, cerca di superare la scissione nel pensiero, ma vi trova «solo una conciliazione formale, soggettiva» (TW 19, 252-253). Se il rapporto tra la filosofia postaristotelica e il mondo romano avviene nel segno della "connessione", il rapporto dell'«illuminismo 17 Tutte le traduzioni dalle Lezioni sulla storia della filosofia (TW 18 e 19) di Hegel sono mie.

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greco» (TW 18, 410), cioè del razionalismo sofistico e socratico, con la polis si svolge nel segno della "corruzione". Infatti, i sofisti inaugurano la riflessione soggettiva eia dottrina secondo cui ciascuno deve agire secondo il suo personale punto di vista. Una volta subentrata la riflessione, «all'uomo non basta più obbedire alle leggi come a una autorità e necessità esteriori, ma vuole essere soddisfatto in se stesso e con la propria riflessione convincersi di ciò che l'obbliga» (TW 18, 418). Socrate approfondisce e intende universalisticamente questa posizione di pensiero, dissolvendo le convinzioni irriflesse dei suoi interlocutori tramite l'ironia e l'esercizio della dialettica negativa, e portando dinanzi al tribunale del proprio Gewiften, della propria coscienza morale (TW 18,510), l'eticità sostanziale del popolo ateniese. È in questo senso che i sofisti e Socrate appaiono i corruttori del mondo della polis. Di questa corruzione partecipa anche chi vi si oppone, come Aristofane, perché l'illuminismo è per Hegel non tanto un movimento specifico di pensiero, quanto la condizione spirituale di un'epoca. È particolarmente significativo chela commedia antica sia interpretata come un ulteriore sintomo della decadenza della polis: nelle Nuvole, ad es., Aristofane non riesce davvero a far trionfare le buone ragioni dell'eticità tradizionale, del Discorso forte sul Discorso debole, il quale difende le cattive ragioni del relativismo morale e dell'empia ricerca naturalistica, perché li fa confrontare in una disputa dialettica che è appunto il contrassegno di quella cultura che voleva combattere. Non solo: la commedia genera non afflizione, bensì ilarità, perché- come si legge nell'Estetica -è comica «la soggettività che porta in contraddizione e dissolve da se stessa il suo agire, ma rimane parimenti in quiete e certa di sé» (TW 15, 552), non contenendo i suoi fini nulla di sostanziale. Insomma, come si legge nella pagina delle Lezioni sulla storia della filosofia che apre la trattazione della filosofia dai sofisti ai socratici, in questo periodo «il pensiero è colto come il principio», e dato che esso si manifesta come attività soggettiva, questa è l'epoca della riflessione, in cui «l'assoluto è posto come soggetto. Il principio dell'epoca moderna comincia in questo periodo, - con la dissoluzione della Grecia nella guerra del Peloponneso» (TW 18,404). La ricostruzione offertaci da Diising in queste lezioni dell'interpretazione che Hegel diede della dialettica e dell'ontologia di

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INTRODUZIONE

Platone e dell'ontoteologia di Aristotele va quindi inserita in questa cornice storica. Il movimento di formazione della soggettività autocosciente appare un movimento che abbraccia gran parte del mondo antico e non solo le sue espressioni schiettamente filosofiche. Al tempo stesso, però, la soggettività che si prefigura nell'ontologia idealistica di Platone e nel dio di Aristotele non è solo una soggettività finita come quella delle "filosofie della crisi", della sofistica, del socratismo o dello scetticismo, perché il nous non riflette su ciò che è già dato, ma genera da sé il proprio contenuto e le proprie determinazioni, prefigurando la soggettività assoluta. Il moderno è già in cammino nella lunga e lenta dissoluzione dell'antico e lo speculativo conobbe già i suoi primi giorni sotto il bel cielo greco. È forse anche per questo che Hegel, introducendo la filosofia greca, affermò che l'uomo colto europeo, al nome «Grecia» si sente a suo agio, come «a casa propria» (TW 18, 17318 •

Febbraio, 2022

18 Desidero ringraziare la dottoressa Lucilla G. Molitemo per l'attenta cura del testo e la competente revisione della Bibliografia.

Avvertenza

Hegel und die klassische Antike è il tema di un corso di lezioni che Klaus Diising svolse nel febbraio del 1998 a Napoli presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Il testo che qui si propone è una versione leggermente rielaborata di quelle lezioni. Il tema trattato, peraltro oggetto di particolare attenzione nella cultura filosofica italiana, il rigore scientifico con cui procede Diising - autore del resto ben noto agli studiosi di Hegel - e, last but not least, la sua impostazione teorica che ricava motivi speculativi di attualità dal confronto con la tradizione dell'idealismo tedesco sono i punti di forza che renderanno interessante questo lavoro per gli studiosi italiani. Ringrazio il prof. Klaus Diising per l'attenzione con cui ha seguito la traduzione e per i numerosi scritti messi gentilmente a disposizione. Devo anche ringraziare la prof.ssa Rossella Bonito Oliva e la dott.ssa Stefania Achella per aver letto il testo ed aver fornito alcuni utili suggerimenti. Intendo ringraziare infine il prof.

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AVVERTENZA

Antonio Gargano, Segretario generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che ha sostenuto generosamente il lavoro.

Salvatore Giammusso Marzo,2001

Prefazione1

L'antichità classica, espressione con cui qui si intende l'antichità greca classica, mostra il suo vivo senso e la sua forza stimolante sempre di nuovo fino alle impostazioni teoriche formulate in un passato recente o a quelle contemporanee. Così Nicolai Hartmann ritomaall'ontologiagreca diPlatone edi Aristotele per acquisire per la propria ontologia un terreno che si trova al di qua della scissione moderna di soggetto ed oggetto, e precede in senso sistematico ogni teoria della soggettività. Heidegger scorge nell'ontologia di Platone ed Aristotele, anzi già nei presocratici, e poi anche nella comprensione dell'essere dell'antica arte greca un modo più originario di cogliere l'ente manifestantesi in virtù dell'aletheia di quello di ogni teoria moderna della soggettività; ed anche Gadamer ritorna ai Greciclassici perchévi trova nel nous o nel logos un'interpretazione del mondo e dell'essere più originaria di quella tipica della teoria 1 Ringrazio il dottor Salvatore Giammusso per aver eseguito la traduzione italiana.

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HEGEL E L'ANTIOIITÀ UASSICA

moderna del soggetto. Nel volgersi all'antichità classica a loro tutti è comune il contrapporsi alla concezione moderna della soggettività. La ricezione ed appropriazione dell'antichità classica operata da Hegel, che segna in modo determinante lo sviluppo e l'elaborazione della sua filosofia, è di tutt'altro tipo. Egli vede nella filosofia di Platone e poi più propriamente in quella di Aristotele un compimento speculativo che da allora - fino alla sua teoria - non è stato più raggiunto; lo stesso vale per l'arte greca classica. Ma nel contempo questo che di compiuto reca il marchio dello spirito degli inizi. Per la verità, Hegel scorge dappertutto nell'antichità tracce di una comprensione, e possiamo ben dire anche di una concezione dell'autocoscienza e della soggettività; ma considerazioni esplicite al riguardo si trovano solo nella filosofia moderna, per il resto chiaramente poco speculativa, owero nell'arte cristiano-romantica ed anche in quella successiva. Nella sua ricezione produttiva dei Greci Hegel non si rivolge affatto contro le teorie moderne della soggettività; in verità, queste sono per lui prowisorie, astratte o unilaterali; si tratta quindi di condurle ad un compimento sul terreno speculativo dell'ontologia e della dialettica antiche. È manifesto che l'interpretazione hegeliana dell'antichità greca classica è caratterizzata dalla propria prospettiva sistematica, anche se lo sviluppo del suo pensiero è sollecitato intensamente dalla stessa antichità classica. Per riconoscere nell'interpretazione hegeliana proprio le trasformazioni ed il loro senso sistematico, è necessaria una breve interpretazione delle teorie di Platone e di Aristotele, indipendente dalle prospettive interpretative hegeliane, che tenga conto dei risultati della ricerca; poi si potrà far emergere il modo in cui Hegel le comprende ed il loro significato per la sua filosofia speculativa. Nella considerazione della teoria hegeliana dell'arte classica si dovrà determinare la ricezione hegeliana del classicismo di Winckelmann, il suo oltrepassamento e la fondazione speculativa di un platonismo estetico. In questo modo nelle cinque conferenze seguenti andranno trattati: I. La dialettica nel Parmenide di Platone e l'interpretazione hegeliana.

PREFAZIONE

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IL Ontologia e dialettica nel Sofista di Platone e nell'interpretazione speculativa hegeliana. III.Tipi fondamentali dell'ontologia in Aristotele e Hegel. N.Noesis noeseos e soggettività assoluta. La teologia di Aristotele e la trasformazione hegeliana. V. Compimento e fine dell'arte classica. L'estetica di Hegel.

I. La dialettica nel Parmenide di Platone e l'interpretazione hegeliana

Diversi tentativi compiuti di recente o anche contemporanei di fondare la dialettica come metodo della filosofia o di una singola scienza dello spirito muovono in modo più o meno marcato dalla concezione hegeliana della dialettica; rappresentano filiazioni e molte volte riduzioni della dialettica di Hegel. Ma questo significa che una chiara determinazione della complessa struttura argomentativa della dialettica hegeliana, delle sue interne variazioni e delle sue implicazioni logiche ed ontologiche può rendere molto più netto o invece illuminare in senso critico il profilo talvolta non preciso di questi moderni concetti di dialettica. L'origine e lo sviluppo della dialettica di Hegel sono strettamente connesse con la sua interpretazione di Platone, in particolare del Parmenide platonico. La dialettica contenuta nella seconda parte di questo dialogo diventa per lui, in una fase decisiva del suo pensiero a Jena,modelloed orientamento per il suoabbozro dell'idea di dialettica. Precisazioni più tarde, parzialmente critiche, sul procedimento dialettico nel Parmenide platonico mostrano come Hegel nella sua dialettica speculativa cerchi di andare oltre, esplorando nuove dimensioni me-

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HF.GEL E L'ANTIOIITÀ Cl.ASSICA

todiche e metafisiche. Per determinati campi ontologici il tardo Hegel si orienta più verso la dialettica del Sofista di Platone. Per valutare più chiaramentele diverse interpretazioni hegeliane della dialettica nel Parmenide platonico, consideriamo innanzitutto la dottrina di Platone ivi esposta.

l. L'esercivo dialettico ne/Parmenide di Platone Il famoso ed enigmatico dialogo classico Parmenide è stato oggetto di vivaci discussioni, specie per quanto riguarda la sua seconda parte, che è quella importante per Hegel. Nel preludio di questo dialogo Platone fa discutere l' eleata Zenone con Socrate e pone il paradosso dei molti. Se gli enti fossero molti, allora secondo Zenone dovrebbero essere simili e dissimili; si intende che dovrebbero avere in sé le determinazioni: simiglianza e dissimiglianza, il che si contraddice, giacché non viene presupposta alcuna differenza di aspetti; dunque i molti non possono essere; solo uno è (cfr. Plat. Parm. 127e). Intorno alla possibilità del collegamento di concetti puri o idee, la disputa del vecchio Parmenide con il giovane ed inesperto Socrate si infiamma riguardo alla supposizione delle idee, delle loro relazioni reciproche e con le cose sensibili. In questo dialogo Parmenide espone argomenti famosi come l'argomento del terzo uomo, e Socrate non trova una risposta soddisfacente. Nel dialogo Parmenide non ritiene affatto confutata la dottrina delle idee, ma spiega che Socrate si sarebbe messo alla prova con essa prima ancora di essersi esercitato in maniera soddisfacente; ed alla domanda di Socrate in che modo, ossia con quale metodo si sarebbe dovuto esercitare, la risposta di Parmenide suona: «quello che hai udito prima da Zenone» (Plat. Parm. 135d); si intende il metodo, già presentato nel preludio del dialogo, della dimostrazione indiretta basata sulla contrapposizione di determinazioni opposte, di una ed una stessa cosa senza differenza di aspetti, oppure sulla dimostrazione di contraddizioni. Per questo tipo di argomentazione già Aristotele indicava l'eleata Zenone quale «inventore della dialettica» (Frammento 65 in Rose). Secondo l'informazione dello stesso Platone, il metodo dell'esercizio dialettico contenuto nella seconda parte del Parmenide è

LA DIALETilCA NEL PARMENIDE DI PLA1DNE E L'INTERPRETAZIONE HEGEUANA

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dunque zenoniano; si deve chiaramente distinguere questa dialettica da altri modelli di dialettica in Platone; essa non corrisponde all'arte della conduzione del discorso, propria di Platone. Inoltre non è una dialectica ascenden.s verso il primo principio né una dialectica descendens dal principio alle idee particolari, come viene accennata nella similitudine della linea, e nemmeno una dialettica intesa come diairesi di idee, come sostiene spesso l'ultimo Platone, né tanto meno una dialettica dei generi supremi come nel Sofista, che non è diairetica. Platone apporta del resto quattro fondamentali correzioni e distinzioni rispetto al metodo zenoniano su schizzato: 1. Al posto del molteplice sensibile devono essere ricercate le relazioni reciproche di idee pure. 2. All'ipotesi da cui muove sempre Zenone, ossia "Se i molti sono", deve essere aggiunto anche il contrario: "Se i molti non sono", e ne devono essere ricavate ugualmente conseguenze paradossali; così questa procedura viene slegata dalla metafisica eleatica dell'uno; infatti devono risultare paradossi anche se i molti non sono, ma se è solo l'uno. 3. Gli aspetti della ricerca vengono sistematizzati. I molti devono essere determinati in modo paradossale in relazione a sé ed al loro opposto, l'uno, e l'uno deve essere determinato in modo paradossale in relazione a se stesso ed al suo contrario, i molti, e ciò sia se i molti sono, sia se i molti non sono. Di qui risulta lo schema architettonico dell'esercizio dialettico in otto serie di dimostrazioni, non nove, come ne contano invece i neoplatonici. 4. Infine Platone pretende un'universalizzazione di questo metodo: esso va messo alla prova in tutte le determinazioni di pensiero fondamentali. Di seguito l'esercizio dialettico viene svolto sull'uno di Parmenide; questo viene però espresso in modo non parmenideo con l'ipotesi: "Se l'uno è"; di carattere non parmenideo in relazione al contenuto semantico è anche il suo opposto: "Se l'uno non è", che Platone discute egualmente. Questa seconda parte del dialogo Parmenide è stata interpretata sin dall'antichità in modo del tutto differente, anzi addirittura opposto. Così il ritorno allo stesso Platone conduce, in questo dialogo enigmatico, ad interpretazioni diverse ed anche divergenti che si possono suddividere in quattro direzioni fondamentali:

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HF.GEL E L'ANilO-IITA a.ASSICA

1. i neoplatonici scorgono nelle ipotesi opposte tra loro e nei procedimenti dimostrativi una metafisica propria, specie una teologia filosofica i cui primi passi si possono seguire .fino all'antica Accademia (Plotino, Proclo, Kriimer, Reale). 2. Parimenti già nell'antichità fu sostenuta l'interpretazione opposta, secondo cui la seconda parte del Parmenide rimarrebbe negativa ed aporetica e conterrebbe solo un'ironia ed una parodia antieleatica (Apelt, Taylor, Calogero, Cherniss). 3. Una nuova direzione interpretativa intraprende una mediazione e ritiene che alcune ipotesi e dimostrazioni corrispondano all' opinione di Platone ed altre invece no (Natorp, Cornford, Berti). 4. Un'altra nuova direzione sostiene l'idea chele dimostrazioni contenute nella seconda parte del Parmenide rimangono negative ed aporetiche, che non rappresentano soltanto un 'ironia antieleatica, ma perseguono invece un'intenzione seria e positiva (Ross, Ryle, Diising); questa può essere indicata come la preparazione di una nuova ontologia delle idee ex negativo. Tutte queste direzioni interpretative sono state sostenute chiaramente sul piano intuitivo e acutamente sul piano discorsivo; la più corrispondente alle espressioni dello stesso Platone, che rimangono negative ed aporetiche, all'apprezzamento confermato per il grande eleata Parmenide ed al carattere esercitativo di questa ricerca, mi sembrala quarta direzione interpretativa. Essa non riconosce nell'esercizio dialettico la metafisica propria di Platone, nemmeno in parte, ma lo considera piuttosto come preparazione di una nuova ontologia delle idee considerata ex negativo, giacché tutte le insidie delle argomentazioni sofistiche, acute obiezioni contro la dottrina delle idee, e le difficoltà metodiche connesse ad un'insufficiente distinzione dei sensi del dire "è", devono essere riconosciute mediante questo esercizio e quindi evitate. Soprattutto il Sofista contiene l'abbozzo della positiva ontologia platonica Lo schema dell'esercizio dialettico si presenta, secondo le discusse considerazioni metodiche di Platone, nel modo seguente1:

1 Cfr. A.E. Taylor, Plato. The Man and bis Work (1926), Routledge, London 1971; G. Calogero,Studi su/l'eleatismo, Tipografia del Senato, Roma 1932.


>5; "lo stesso motivo" per entrambi viene trasformato da Hegel in "uno e lo stesso aspetto". La soluzione platonica delle contraddizioni eleatiche nel Sofista riguardo alla partecipazione dei generi tra loro viene così trasformata da Hegel in contraddizioni di significato speculativo in conformità alla sua propria dialettica; ed in questo modo Hegel crede di scorgere nel Sofista l'unità di tali contraddizioni di determinazioni ontologiche fondamentali.Per questo motivo Hegel vi trova la «determinazione fondamentale della caratteristica dialettica diPlatone» (1W 19. 75), che poi trasforma nel senso di una dialettica speculativa. Ma Hegel non interpreta solo la dottrina platonica dei generi sommi; gli serve anche come stimolo per un nuovo sviluppo di de' Platon, Platonis philosophi quae exstant, Graece ad editionem Henrici Stephani accurateexpressa cum Marsilii Ficini interpretatione, voi. 2, Biponti 17811786, p. 287.

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HEGEL E L'ANTIOIITÀ Cl.ASSICA

terminate categorie ontologiche nella seconda edizione della Sden'Ql della logica (1831). Proprio qui si riconoscono in modo plastico i punti di contatto e le differenze tra la dialettica ontologica platonica e quella hegeliana. Il discorso si riferisce alla nuova serie di categorie all'interno della logica dell'essere: qualcosa -l'altro -l'altro in se stesso, che Hegel espone soltanto nella seconda edizione. Hegel muove dalla determinazione ontologica: "qualcosa in generale"; questo è per lui Esserci (das Daseiende) qui riprende il genere platonico dell'essere 0n ). Questo, del resto, è per lui non un genere sommo, ma scaturisce da una serie di determinazioni ontologiche, che possono essere viste in generale come fluttuanti maniere d'essere, ancora prima che il "qualcosa" venga dedotto nel corso dello sviluppo, che poi è in tali maniere. Inoltre Hegel pensa il qualcosa, owero l'esserci, come «semplice relazione a sé che è», che per lui - oltre Platone - rappresenta l' «inizio del soggetto» (GW 21, 103); qui si accenna la fondazione hegeliana dell'ontologia nella teoria della soggettività assoluta. Ora, il qualcosa in generale o l'esserci deve essere pensato come categoria determinata; "categoria" non ha qui alcuna componente di logica del giudizio come in Aristotele, ma significa solo pura determinazione concettuale ontologica. La categoria del qualcosa è pensata come determinata secondo il principio universale che ogni determinazione è nel contempo una negazione (omnis determinatio est negatio), se viene distinta da quello che non è, dal non-qualcosa. Giacché questo non-qualcosa è comunque anche un determinato ed appartiene sul piano del contenuto alla sfera generale dell'esserci da cui si sono prese le mosse, quel non-qualcosa che è esso stesso un esserci si mostra come: l'altro. Così il qualcosa determinato e l'altro sono specificamente opposti. Questo corrisponde ai generi platonici dello stesso, dell'identico con sé (tauton) e del diverso (thateron). Così in modo del tutto regolato, cosa che a partire da Trendeleburg è stata spesso messa in dubbio, Hegel conquista l'opposto contrario, pieno sul piano del contenuto, ad una determinazione posta positivamente, qui il non-qualcosa, che è lo stesso esserci, come l'altro. Il qualcosa determinato, che si contrappone ora all'altro è esso stesso un altro in rapporto a questo. Entrambi sono altri tra loro; non rimane alcun semplice qualcosa dietro di loro; il qualcosa si è trasformato in un

ON1DLCX;JA E DIALETTICA NEL SOFL'i'/'A DI PLAlONE

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altro- e tale passaggio è per Hegel il modo specifico della dialettica di determinazioni ontologiche in sé semplici. Di questo altro, se viene pensato come tale, Hegel dice nella Scien7,a del/a, logica (2• edizione) che è «to heteron di Platone, che oppone all'uno come uno dei momenti della totalità e conferisce all'altro in questo modo una proprianatura» (GW21, 106). llcontesto di questopasso si riferisce al Sofista", se qui l'altro (thateron) viene opposto all"'uno", si intende con questo il qualcosa determinato come lo stesso ed identico con sé > (TW 19. 158). A questa sostanza divina va attribuita pura realtà e pura attività, non più frammista alla possibilità; infatti questa sostanza divina è essenzialmente immobile. Hegel interpreta diversamente la sua attività e realtà pura in soggettività assoluta, come in seguito si mostrerà più nei dettagli. Così possibilità e realtà ricevono in Hegel - con determinate variazioni rispetto ad Aristotele - diverse

TIPI FONDAMFNTALI DELL'omDLOGIA IN ARIST01ELE E HF.GEL

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applicazioni ai tre tipi fondamentali di sostanze citate, che vengono distinte di volta in volta da Aristotele e con certe sfumature diverse anche da Hegel. Il rapporto di possibilità e realtà nel movimento dell'ente finito viene però determinato da Hegel - conformemente ad Aristotele in senso teleologico. Hegel riconosce che la teleologia di Aristotele è una componente costitutiva della sua ontologia. Questa teleologia èinoltre in modo manifesto la prima componente teorica che Hegel riprende dalla metafisica di Aristotele già alla fine del suo periodo jenese. Nella prefazione alla Fenomenologia Hegel spiega che Aristotele avrebbe «determinato la natura come un'attività conforme alla finalità» (GW 9, 20). Con questa formulazione Hegel pensa al fatto che nel processo evolutivo di un essere vivente la "natura" a lui immanente è attiva in senso teleologico; in questo sviluppo il vivente tende al suo fine, suo scopo e compimento, cosa che Hegel include poi in una teleologia cosmologica. Anche successivamente Hegel mette in risalto una tale interna finalità come significativa intuizione di Aristotele, che nel meccanicismo dell'età moderna è andata perduta e che Kant ha di nuovo riportato in luce, per la verità solo come modello della capacità del giudizio riflettente; secondo Hegel, però, questa teleologia interna deve essere di nuovo concepita ontologicamente come in Aristotele. Allora si vede che l'eidos immanente all'individuo è di volta in volta telos del suo sviluppo. Ora, per Hegel, come su esposto, l'eidos ha valore di qualcosa che determina se stesso in quanto conferisce forma ed è attività; a volerla intendere in modo più determinato, questa attività deve essere pensata in senso teleologico; lo «scopo è l'autodeterminarsi che si realizza» (TW 19. 153 sgg.). Qui diventa più chiaro perché Hegel trasformi in soggettività l'eidos in quanto universale attivo nell'ente individuale; in questa attività è scopo a se stesso che si riferisce a sé eideticamente, e tale attività intellettiva che si riferisce a sé è in linea di principio soggettività. Questa si mostra per Hegel così come determinazione fondamentale dell'ente. Si vede che Hegel nella sua interpretazione e trasformazione dell'ontologia aristotelica trova punti di appoggio in Aristotele ed il passaggio alla sua propria teoria è così motivato per lo meno in modo oggettivo. Nell'impostazione della sua propria ontologia

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Hegel sostiene nel contempo la concezione pressoché totalmente opposta a quella aristotelica con riferimento ai citati tipi fondamentali. In opposizione all'ontologia aristotelica della sostanza, che su questa base comprende anche il movimento ed il processo, Hegel fonda un'ontologia dell'evento o del processo, che all'interno del movimento e dello sviluppo, da comprendere dialetticamente, è in grado di cogliere anche l'elemento costante e sostanziale. Inoltre Aristotele concepisce un'ontologia della datità, ovvero un'ontologia realistica che intende le determinazioni ontologiche fondamentali come date nell'ente stesso e da questo ricavabili; Hegel invece abbozza un'ontologia idealistica in cui queste caratteristiche dell'essere sono pure determinazioni concettuali della ragione; anzi, oltre a ciò esse sono costituite in modo moderno-idealistico dal puro pensare spontaneo come momenti di se stesso. Infine nella costruzione metodica della sua ontologia Hegel, a differenza di Aristotele e dello sviluppo sistematico di Kant, non collega l'esposizione delle categorie alle funzioni del giudizio; egli sviluppa - in modo simile a Platone, anche se nel tipo di argomentazione distaccandosi chiaramente da lui- le determinazioni concettuali pure dell'ente mediante un metodo proprio, immanente al puro pensare, la dialettica, e sviluppa così un'ontologia dialettica. Ma Hegel concepisce però la relazione determinata, per lui centrale, di ontologia e teologia filoso.fica in modo simile ad Aristotele, nel contesto di un collegamento determinato di ontologia universalistica da un lato, in cui le categorie o determinazioni ontologiche valgono per ogni ente, e di ontologia paradigmatica d'altro lato, in cui le determinazioni d'essere valgono in senso eminente per un ente esemplare o supremo, ed in cui i significati ridotti dell'ente finito e deficitario vengono ordinati per gradi. Questo verrà mostrato più da vicino nell' esposizione seguente dell'interpretazione e trasformazione hegeliana della teologia aristotelica.

IV. Noesis noeseos e soggettività assoluta. La teologia di Aristotele e la trasformazione hegeliana

Per Hegel il compimento della filosofia di Aristotele sta nella sua teologia filosofica. Secondo l'interpretazione hegeliana in essa sfocia l'ontologia, anche se l'ontologia, come s'è mostrato, non è una mera propedeutica alla teologia, ma una scienza indipendente. Ma la teologia è per lui il centro speculativo della filosofia aristotelica. Essa riceve per Hegel questo significato centrale a causa della sua dottrina della noesis noeseos di Dio. In questo riconosce una chiara prefigurazione della sua dottrina del puro pensiero di se stesso, come va attribuito alla soggettività assoluta ed infinita. Per questo Hegel cita alla fine dell'esposizione riassuntiva del suo sistema nell'Enciclopedia il passo decisivo dal libro XII della Metafisica. di Aristotele sulla noesis noeseos. Non ci potrebbe essere più decisa identificazione che una tale citazione in un luogo posto così in risalto come alla fine dell'Enciclopedia. Anche nelle lezioni sulla Storia della filosofia Hegel riconosce ad Aristotele che questi si trova «nella posizione più elevata» (TW 19. 165); «un idealismo più elevato non c'è» (TW 19. 158). Valicando i limiti imposti dalle epoche, Hegel riprende

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questo concetto speculativo del Nous elaborato dalla filosofia classica greca, cioè aristotelica, e lo integra all'interno della sua teoria speculativa della soggettività. Nel contempo egli è dell'idea di non aver abbandonato con ciò il terreno della rappresentazione cristiana di Dio, se questo viene concepito in senso speculativo. Per distinguere l'interpretazione e trasformazione hegeliana dalla dottrina di Aristotele stesso, vogliamo considerare prima quest'ultima in maniera indipendente dalla prospettiva interpretativa di Hegel; poi discuteremo dell'interpretazione, della trasformazione ed integrazione di questa dottrina nella teoria che Hegel elabora, dove si offriranno alcuni spunti riguardo nuove possibilità della teoria contemporanea della soggettività.

l. La teologia filosofica di Aristotele

Aristotele perviene alla dottrina di Dio, che proprio come l'ontologia appartiene alla filosofia prima, attraverso una serie di prove non ontologiche, ma cosmologiche; come mostra in particolare l'esposizione nel libro XII della Metafisica, esse poggiano però sul fondamento di determinazioni e distinzioni ontologiche. In verità, vogliamo qui schizzare in breve il contesto cosmologico che in passato ha goduto di ampia attenzione, dal momento che Hegel lo ha a malapena preso in considerazione. Attraverso molteplici considerazioni Aristotele perviene dall'ente mobile al motore immobile inteso quale fondamento ultimo di ogni movimento. Ogni ente mosso sottostà al tempo; questo è per Aristotele la misura ed il numero del movimento, più precisamente: il numerato del movimento, come spiega in modo dettagliato nella Fisica; così ad esempio il movimento della rotazione della terra intorno al suo asse, come lo intendiamo oggi, dura 24 ore. Per Aristotele il tempo è in sostanza il tempo dell'ora, del momento presente. Giacché ogni momento presente è preceduto da un prima temporale e verrà seguito da un dopo temporale, il tempo del momento stesso è senza inizio e senza fine. Questo vale necessariamente anche per quello che misura, il movimento, specie per il movimento circolare continuo del cielo, come lo intende Aristotele. Ma questo stesso deve essere causato,

NOESIS NOESEill E SOGGETITVITA ASSOUITA

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e cioè da una eterna causa prima del movimento, che non è mossa essa stessa. Considerando da un punto di vista ontologico-modale, ogni ente che è mosso passa dallo stato della possibilità a quello della realtà, che per la verità è sempre frammisto alla possibilità. Alla prima causa del movimento, che non è mossa, va attribuita pura realtà e pura attività (energeia); essa non contiene più alcun residuo di possibilità. Giacché ogni mosso che contiene ancora possibilità è nel contempo determinato da un punto di vista materiale, l'immobile della prima causa, cui va attribuita pura realtà può essere visto come un'entità priva di materia, come puramente spirituale. Questa linea concettuale riceve in Aristotele nel contempo una dimensione di teleologia cosmica. Tutto ciò che si muove dalla possibilità alla sua realtà tende, come mostrato, al suo telos; aspira così anche al suo compimento. Ampliato al cosmo, questo significa che ogni ente mobile aspira al suo compimento, e ad essere infine nella vicinanza essenziale del compiuto. Questo aspirare, che produce il movimento teleologico dell'ente, viene esso stesso prodotto, addirittura causato in senso teleologico dal motore immobile; infatti questo muove «come un amato» (Aristot. Metaph. M 7. 1072b3 ), e come tale viene desiderato nel suo compimento. Questo primo motore, che è esso stesso immoto, puramente reale, privo di materia ed immateriale così come è il compimento supremo, può essere soltanto intellettuale nelle sue determinazioni interne; è il Nous divino 1• Aristotele menziona Anassagora, che aveva posto il Nous divino come primo motore e ragione ordinante del cosmo (cfr. ad es. Aristot. Metaph. M 10. 1075b8 sgg.). Per la verità, Anassagora non lo vedeva frammisto ad altro; ma lo determinava ancora alla stregua di un elemento fisico come essere finissimo e leggerissimo. Questo Nous non pensa ideedeterminate, come obietta

• Cfr. K. Oehler, Der Unbewegte Beweger des Aristoteles, Klostermann, Frankfurt a. M. 1984; L. Elders, Aristotle's Theology, Van Gomun, Assen 1972; E. Berti, Profilo di Aristotele, cit.; Id., La 'metafisica' di Aristotele. "On/o-teologia" o "filosofia prima"?, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 85 (1993), pp. 256-282; T. de Konninck, La "Pensée de la Pensée" chez Aristo/e, in T. de Konninck, G. Planty-Bonjour (éds), La question de Dieu se/on Aristo/e et Hegel, PUF, Paris 1991, pp. 69-151.

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Platone, né viene compreso quale puro atto spirituale, cosa che poi sostengono Platone ed Aristotele. Al primo motore, a cui ha portato la cosmologia e che è in sé realtà puramente intellettuale, va attribuita vita compiuta, cioè vita puramente spirituale; questa è però pura attività del pensiero. Se l'intelletto divino deve essere compiuto in questa attività di pensiero, non può pensare niente di meno compiuto dei suoi contenuti noematici; e nel suo pensare non può subire modificazione; infatti questa sarebbe unindizio diincompiutezza. L'argomento di Aristotele consiste qui nel fatto che nella sequenza ordinativa il pensato, il contenuto noematico precede in quanto eterno ed immutabile; l'oggetto pensato più elevato, il contenuto noematico più elevato è però lo stesso pensare divino (cfr. Aristot. Meta,ph. M 7. 1072622 sgg.). Se questo viene pensato, anche l'attività di pensiero che non si rivolge a qualcosa di altro è la più elevata e la migliore. Il Nous divino compiuto esercita dunque come attività a lui più adeguata la noesis noeseos, il puro pensiero di se stesso, ed è consapevole della sua compiuta attività in continua beatitudine. Questa sequenza argomentativa di Aristotele si dimostrerà significativa rispetto alla interpretazione di Hegel. Al primato del pensato nell'eccellenza del pensiero divino appartiene anche il fatto che Aristotele non attribuisce a questo pensare un'attività produttiva, ma la ricezione degli eterni contenuti di pensiero (cfr. Aristot. Meta,ph. M 7. 1072622); essi non sono prodotti dal pensiero, ma gli sono dati eternamente come oggetti da pensare. Il pensiero divino di se stesso dunque non rimane affatto puramente formale e indeterminato dal punto di vista del contenuto, come si è supposto2; per la verità Aristotele non sviluppa al riguardo una teoria dettagliata; tuttavia accenna al fatto che il Nous divino pensa una serie di determinazioni originariamente positive, ossia ousia semplice, realtà ed attività, il bello ed il compiuto, il fine a se stesso e il migliore (cfr. Aristot. Metaph. M 6. 1072a30 sgg.), ed Aristotele aggiunge ancora vita ottima ed eterna (c&. Aristot. Metaph. M 7. 1072627 sgg.). Queste sono determinazioni concettuali pure

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Cfr. ad esempio D. Ross, Aristotle (1923), Methuen, London 19'17.

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di significato chiaramente ontologico; ossia hanno lo stato di idee platoniche. Non ricevono il loro significato ontologico incorporandosi in un individuo allo stesso tempo materiale; piuttosto come determinazioni del Nous divino sono immateriali ed intellettuali, e non sono affatto atte ad una tale incorporazione. Sono veri contenuti o momenti noematici della noesis noeseos; l'intelletto divino li pensa - così occorre intendere Aristotele - quando pensa se stesso. Più di questi accenni non troviamo in Aristotele; rimane aperto quali determinazioni concettuali ontologiche o idee appartengono ancora al novero dei momenti noematici del Nous divino e mediante quale metodo essi eventualmente possono essere sviluppati completamente. Aristotele accenna solo al fatto che ammette sul pianocosmologico una molteplicità di motori di sfere essi stessi non mossi e che però distingue da questi l'unico Nous divino compiuto in sommo grado, che è il puro pensiero di se stesso. Questo intelletto divino sta anche sullo sfondo della determinazione aristotelica dell'anima pensante umana nel De anima. Il Nous ha valore per lui - come per Platone - come «luogo delle idee» (Aristot. de An. r 3. 429a27 sg.); tuttavia l'intelletto umano contiene in sé le idee per lo più solo secondo la possibilità; non gli si può attribuire realmente alcuna idea prima che la pensi realmente come idea particolare. Come si può aggiungere, l'intelletto divino non sottostà a questa limitazione, giacché esso stesso è puramente reale. Inoltre l'intelletto umano è in sostanza un intelletto passivo, poiché deve ricevere ciò che va pensato come già dato altrove. Quando lo pensa realmente, è attivo in lui nel contempo l'intelletto attivo, che costituisce il principio intellettivo, attivamente operante nell'anima umana. Ma, come Aristotele riprende anche qui da Anassagora, il Nous attivo non è frammisto ad altro ed è impassibile; va oltre l'anima umana, può compiere il suo pensiero anche indipendentemente dal Nous passivo ed in questo è immortale ed eterno. Così lo si può interpretare come il Nous divino; come Aristotele accenna anche nel De anima, in lui il sapere che considera ed il contenuto saputo, ossia il pensante ed il pensato, sono lo stesso. Qui come nella Metafisica rimangono aperte questioni decisive; così non viene spiegato quali idee questo Nous pensi e come vadano sviluppate, quale tipo di rapporto con sé gli vada attribuito, come opera il Nous divino nelle

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anime pensanti umane e se in questo rimanga uno e lo stesso, ed inoltre come in tale immanenza nell'anima umana possa essere nel contempo trascendente. Tutte queste domande aperte chiedono uno svolgimento. Se si collega la dottrina platonica del demiurgo divino, che pensa idee ma non pensa se stesso esplicitamente nelle idee, con la dottrina aristotelica della noesis noeseos divina, in cui è accennato al fatto che il Nous divino pensa idee nel pensiero di se stesso, così risulta la dottrina, proseguita nel medio platonismo e sviluppata teoreticamente nel neoplatonismo, cheil Nous divinopensa sestesso in un contesto delle idee come suoi momenti da sviluppare metodicamente. Così ad esempio Plotino elabora in senso sistematico questa dottrina del Nous. Egli vede nel mondo delle idee quello che costituisce il Nous divino; questo non pensa le idee discorsivamente ed in modo particolare, ma intuitivamente e nel loro complesso e così conosce se stesso. Con questa autoconoscenza intellettuale è - nel senso di Aristotele - unità di pensante e pensato, che risulta nel compimento del pensiero. Plotino si distingue però anche in modo chiaro dalla dottrina aristotelica del Nous divino. A causa di questa pluralità di elementi della pura attività del Nous ed a causa della molteplicità delle idee che pensa quando pensa se stesso, non può essere secondo Plotino il sommo principio, come Aristotele lo intende. Questo consiste piuttosto nell'uno semplice ed originario, che si trova ancora oltre il Nous e perciò esso stesso rimane come tale impensabile ed inconoscibile. Da esso scaturisce- come prima ipostasi - l'intelletto divino con l'unità interna della sua struttura composta da una pluralità di elementi e della molteplicità delle sue idee. Questo Nous divino, cui va attribuito come in Aristotele la noesis noeseos, comprende se stesso secondo Plotino in questa sua unità in ultimo solo rivolgendo lo sguardo all'Uno originario. Plotino riconosce dunque!'autorelazione intellettuale e la sua genesi come un problema. Egli afferma che il Nous pensa se stesso in idee, e precisamente nelle idee somme così come nei generi supremi di cui parla Platone nel Sofista; li pensa come momenti di se stesso ed è la loro unità. Tuttavia anche in Plotino la struttura specifica dell' autorelazione rimane aperta nei dettagli; con la fondazione del Nous nella metafisica neoplatonica dell'uno questo Nous viene

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spiegato con altro che esso stesso non è; nonostante prefiguri teorie successive, non viene pensato ancora - come poi avviene in età moderna e decisamente in Hegel - come soggettività autoctona, che costituisce le sue proprie determinazioni, consapevole di se stessa. Tuttavia si trova in Plotino già quell'obiezione che oggi viene designata come argomento dell'iterazione infinita nell'autorappresentazionedell'io; Plotino traccia il modo in cui esso viene avanzato riguardo al Nous divino. Se si introduce in questo una separazione di considerante e considerato, così diventa possibile il concetto che esso pensa senza essere immediatamente consapevole di se stesso, ossia senza pensarsi; e questo si lascia reiterare; ossia se il Nous tematizza se stesso o pensa espressamente che pensa, precede di nuovo un Nous operante che nel contempo non si pensa e così via all'infinito. Così si origina il concetto di un Nous che pensa che pensa che pensa e così via fino all'infinito (cfr. Plot. II, 9, 1. 33 sgg.; V, 3, 5. 10 sgg.); il Nous non comprende mai realmente se stesso nella sua unità. Quest'obiezione, che Plotino formula in relazione al pensare divino, si può rivolgere allo stesso modo contro l'autocoscienza finita come argomento dell'infinita reiterazione del presupposto dell'io nell'autorappresentazione, come accadeva nell'idealismo e come oggi spesso accade. Plotino per la verità non ritiene plausibile questo argomento; lo confuta in modo metafisico. Se il pensante ed il pensato fossero sempre separati, allora l'unità del Nous divino che coglie immediatamente se stesso non avverrebbe, senonché non avverrebbe neanche la verità di ogni essere ad essa collegata, e nemmeno la conoscenza umana ad essa orientata. Questa è una possibilità di confutazione cui se ne aggiungono altre nell'idealismo ed anche oggi. La dottrina plotiniana del Nous, come si è mostrato, è lo svolgimento riveduto in senso neoplatonico della dottrina aristotelica del Nous divino che pensa se stesso, dottrina quest'ultima rimasta in forma abbreviata, al cui interno Aristotele, come mostrato, utilizza determinazioni platoniche, ad esempio il Nous sarebbe il "luogo" delle idee. Di grande rilevanza per la storia degli effetti è però anche l'ambivalente determinazione sistematica di questa teologia filoso.fica da parte di Aristotele; per lui o è essa stessa la filosofia prima o è

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solo una parte componente della filosofia prima insieme alla dottrina delle determinazioni fondamentali dell'essere in quanto essere, all'ontologia. Vi sta dietro la questione della relazione specifica di ontologia e teologia, che è molto discussa e proprio da Hegel viene ripresa quale questione fondamentale. Le determinazioni divergenti di Aristotele acquistano un profilo comune, se si sottolineano i tipi ontologici da lui posti a fondamento intuitivamente. Un'ontologia che espone le determinazioni fondamentali dell'essere in quanto essere, così come vengono pensate principalmente, anche se non esclusivamente, nelle categorie, è un'ontologia universalistica, le sue determinazioni come ousia, qualità, quantità, relazione e simili valgono per ogni essere, in qualunque modo possa essere determinato più specificamente sul piano del contenuto; se qui devono essere usate alternativamente determinazioni relazionali, allora vale di volta in volta una di queste determinazioni alternative. Questa ontologia universalistica sta a fondamento della teologia filosofica. Va distinta però da questa l'ontologia paradigmatica. Quest'ultima espone determinazioni universali dell'essere orientandosi verso un essere di significato esemplare; in esso è realizzato in modo paradigmatico cosa ad esempio ousia ovvero eidos o energeia possono essere; le determinazioni di ogni altro essere rimangono al confronto deficitarie, ma sono rivolte nei loro gradi di significato ontologico a quell'essere compiuto. Questa ontologia paradigmatica è la dottrina ontologica dell'ente supremo, del Nous divino. Sela filosofia prima è identificata con questa dottrina, viene pensata evidentemente secondo tale tipo di ontologia. Mal'ontologia universalistica non diventa superflua; da un lato essa ha un valore ed una validità autonomi ed indipendenti dalla teologia filosofica, come mostrano lo scritto aristotelico sulle Categorie e la conservazione delle categorie giusto come la supposizione delle determinazioni modali di possibilità e realtà nella Metafisica. D'altro lato, le sue determinazioni possono essere ordinate in gradi sulla base della teologia e della sua ontologia paradigmatica appena questa è sviluppata. Questo rapporto di ontologia e teologia, che in Aristotele è solo delineato in certi ambiti interpretativi, diventa per Hegel un punto d'appoggio decisivo, anzi un modello che egli forma secondo la sua propria concezione in senso speculativo.

NOESIS NOESEill E SOGGETilVITA ASSOUJTA

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2. La trasformazione hegeliana della noesis noeseos in soggettività

assoluta Il centro non solo della filosofia aristotelica, ma della filosofia greca classica è per Hegel la dottrina aristotelica del Nous divino e del suo pensiero di pensiero. Qui la filosofia antica raggiunge il suo punto culminante. Hegel tratta per la prima volta in maniera dettagliata la metafisica di Aristotele verso la fine del suo periodo jenese e così anche la dottrina del Nous divino. Nella prefazione alla Fenomenologia (1807) egli accenna al contesto della teleologia cosmica in cui si trova questa teoria in Aristotele. Quando si accetta la teleologia naturale, allora il fine sarebbe «l'immediato, ciò che è immobile, che muove esso stesso ovvero è soggetto»; nella rielaborazione del 1831 si legge più chiaramente che il fine sarebbe «l'immediato, dò che è immobile, l'immobile che è esso stesso motore-, così è soggetta>> (GW 9, 20). Hegel allude alla dottrina aristotelica del primo motore che in sé rimane immoto, ma muove in modo teleologico "come un amato". Questo è il Nous divino. Hegel aggiunge già qui la sua specifica reinterpretazione designando questo come "soggetto" non soltanto in un senso logico-grammaticale, ma in senso idealistico. Questa reinterpretazione viene svolta in modo pregnante nelle lezioni sulla Storia della filosofia}; essa costituisce chiaramente la base su cui si costruisce l'evidente identificazione di Hegel con la dottrina aristotelica della noesis noeseos posta in conclusione della Endclopedia. In queste lezioni il pensiero originario è per Hegel quello dell'intelletto divino, ossia è in sostanza «pensiero 'W. Kern, Eine Obersetzung Hegels :zu "De anima" III, 4-5, mitgeteilt und erliiutert, «Hegel-Studien», 1 (1961), pp. 49-88; Id., Die Aristotelesdeutung Hegels. Die Aufhebung des Aristotelischen "Nous" in Hegels "Geist", «Philosophisches Jahrbuch», 78 (1971), pp. 237-259; P. Aubenque, Hegel et Aristate, in J. D'Hondt (éd.), Hegel et la pensée grecqu~ PUF, Paris 1974, pp. 97-120; L. Samonà, Dialettica e metafisica. Prospettiva su Hegel e Aristotele, L'Epos, Palermo 1989; K. Diising, Lineamenti di ontologia e teologia in Aristotele e Hegel, «Il Pensiero», 23 (1982), pp. 5-32; Id., Der Begriffder Vernun/t in Hegels Phanomenologie, in D. Kohler, O. Poggeler (Hrsg.), G. W.F. Hegel. Phiinomenologie des Geistes, Akademie Verlag, Berlin 1998, pp. 145-164.

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del pensiero» (1W 19, 163). Nel vero «pensare è presente una vera coincidenza dell'oggettivo e del soggettivo; quello sono io»; non si può «voler conoscere alcunché di più profondo»; questa sarebbe la posizione speculativa di Aristotele (1W 19, 165). Così la noesis noeseos aristotelica viene interpretata tra l'altro secondo lo schema dell'identità soggetto-oggetto prodotta nel puro pensare mediante l'io, da intendere qui non come unilaterale o finito. Hegel riconosce a buon diritto che nel concetto aristotelico della noesis noeseos è già posto il concetto dell'autorelazione intellettuale. La discussione dei problemi relativi all' autorelazione pensante è più antica della teoria della soggettività moderna, specie di quella idealistica. Ma nella sua interpretazione Hegel le attribuisce la propria concezione di un'attività spontanea, produttiva, che genera le determinazioni in cui pensa se stessa. Questa è anche la ragione per cui Hegel commette un significativo errore nella traduzione di un passaggio aristotelico, su cui talvolta si è richiamata l'attenzione nella letteratura critica4 • Come in precedenza esposto, nel determinare la compiutezza del Nous divino Aristotele muove dal contenuto del pensiero o dal pensato; se il contenuto di pensiero o il pensato è il più compiuto, allora lo è anche l'attività del pensiero che si riferisce specificamente ad esso; infatti il Nous è ciò che «riceve»; così per Aristotele «nel senso più pieno è divino come quello, il pensiero, questo, il pensato» (Aristot. Metaph. M 7. 1072b23 ). Ma Hegel "traduce" (in verità secondo un testo dell'edizione erasmiana, che è vicina alla sua versione) che «"quello" (l'agire, l'attività) "è più divino di quello che la ragione pensante (Nous) pensa di avere di divino" (il noeton)» (1W 19, 163). Il sull'oggettività (GW 12, 215 nota). Dall'oggettività viene posta in evidenza nello sviluppo della logica la determinatezza concettuale e poi la soggettività, che pensa e concepisce se stessa in modo da "estendersi" sull'oggettività. Questo si trova per Hegel a fondamento di ogni essere reale; è realizzato in modo adeguato solo in Dio, se viene concepito in maniera razionale. Hegel sostiene qui dunque un'ontologia paradigmatica. A partire dalla teoria della soggettività assoluta che pensa se stessa vengono fondate le determinazioni ontologico-universali dell'essere e dell'essenza e nel

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contempo delimitate nella loro validità; esse valgono solo, come si è mostrato già per la trasformazione hegeliana dei generi sommi platonici, se vengono poste da questa soggettività divina come momenti precedenti, ancora incompleti di se stessa. Hegel interpreta dunque la noesis noeseos aristotelica come soggettività assoluta e la integra nella sua filosofia. Con questa ricezione e trasformazione della teologia filosofica greco-antica Hegel non intende affatto opporsi alla dottrina cristiana di Dio. Piuttosto anche il Dio cristiano viene pensato filosoficamente nelle sue determinazioni pure. Nello sviluppo logico-speculativo delle determinazioni concettuali pure e delle categorie vengono pensati per Hegel i concetti puri di Dio prima della creazione del mondo così come il suo puro autopensarsi in queste determinazioni (cfr. GW 11, 21), ossia considerato in senso trinitaristico: vengono pensati i concetti del padre. Essi devono realizzarsi nel mondo e nella storia e vengono poi intesi dagli uomini come rivelati. Nella religione cristiana storicamente apparsa si rivela Dio come è in se stesso. Hegel sostiene la concezione metafisica che i concetti puri di Dio e le loro realizzazioni storiche possono essere compresi e conosciuti dall'autocoscienza umana filosofica in modo svelato ed adeguato, senza che questa si annulli in modo tragico, come ad esempio Holderlin riteneva fosse inevitabile nell'incontro con un dio antico. Secondo Hegel Dio viene piuttosto colto e compreso nel pensiero; in questo viene elevato al concetto quello che la religione "assoluta" e vera insegna per la rappresentazione. Hegel fonda al termine del suo periodo jenese (1805/1806) questa teoria della religione cristiana vera, storicamente rivelata, a cui in seguito rimane legato, sulla base di ragioni puramente filosofiche, ossia di teoria della soggettività; egli spiega: «la religione assoluta è però il profondo, che è usdto di fronte al giorno - questo profondo è l'io» (GW8,281), ed invero non l'io finito, ma l'io o il Sé divino. Dio non è più solo divinità naturale, e nemmeno solo autocoscienza finita, ma soggettività assoluta. In un'aggiunta dell'Enciclopedia berlinese Hegel afferma che nella religione cristiana «Dio viene saputo come soggettività assoluta» (Enz. 147 Zusatz); il Dio cristiano sarebbe il «Dio che sa se stesso» (Enz. 147 Zusatz). Così nella teoria di Hegel Dio viene pensato e concepito come soggettività spontanea che

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pensa se stessa, che produce e realizza le sue determinazioni, e che è riconosciuta da Hegel anche nella noesis noeseos aristotelica o plotiniana. Il concetto di Dio greco-speculativo e quello cristiano fin da principio vengono interpretati da Hegel dalla prospettiva della propria teoria della soggettività. Questa teoria della soggettività di Hegel è di particolare significato per i tentativi odierni di costruire una nuova teoria della soggettività, anche se si possono sollevare dubbi circa la possibilità di soddisfare le sue elevate pretese conoscitive metafisiche. Qui rinvio solo al fatto che a Hegel è noto, per la verità non nella sua versione e confutazione plotiniana, ma in quella .fichtiana, l'argomento polemico dell'iterazione, oggi così in voga, secondo cui l'io attivo che si vuole comprendere deve già sempre presupporsi nello stesso senso, e che egli lo evita nella sua teoria. Infatti nell'esplicazione delle determinazioni concettuali pure in cui la soggettività si pensa, questo soggetto pensante non è preceduto già sempre da un soggetto pensante nello stesso senso, come spiega l'obiezione; piuttosto precedono determinazioni meno complesse, più semplici e la loro sintesi; senonché quell'obiezione non tiene. L'argomento polemico dell'iterazione presuppone come modello di autocoscienza contro cui si rivolge la relazione simmetrica soggetto-oggetto. Ma Hegel non sostiene una tale concezione. La relazione soggetto-oggetto non rimane in lui statica, come avviene ad esempio in Reinhold o nel neokantismo di Natorp e Rickert, contro cui poi Husserl implicitamente e Heidegger esplicitamente si rivolgono; piuttosto Hegel dinamizza e differenzia questa relazione soggetto-oggetto, come mostrano in particolare la Fenomenologia e poi anche la logica speculativa. Così sviluppa strutture ed atti rappresentativi del Sé che diventano sempre più differenziati e complessi in una sequenza ordinata per gradi, ed il Sé si costituisce così in autocomprensione spontanea, metodica, ossia dialettica. Questo va sicuramente messo a frutto per una nuova teoria di modelli dell'autocoscienza.

V. Compimento e fine dell'arte classica. L'estetica di Hegel

1. La determinazione hegelilJna del'arte

Il campo decisivo in cui si manifesta storicamente lo spirito dell'antichità classica non solo per individui particolari come i filosofi, ma per un intero popolo, è per Hegel l'arte classica dei Greci. Infatti Dio non è presente solo nella speculazione pura come autocoscienza e pensiero puro di se stesso, come qui si è considerato in particolare sulla base della teologia filosofica di Hegel nel suo confronto con Aristotele. Dio è per Hegel altrettanto realtà storica ed è presente sia nella storia dell'arte e nelle sue forme, sia nella storia delle religioni, è presente nello spirito degli uomini, ossia nella loro comprensione di Dio. Questo vale in maniera pregnante secondo Hegel per l'arte classica dei Greci, che egli intende nel contempo come religione dell'arte. In sostanza porta oltre questo piano solo la religione rivelata cristiana e la forma artistica romantica che le appartiene. Questa arte classica dei Greci Hegel non la interpreta affatto contrapponendola alla comprensione moderna della

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soggettività, così come in linea di principio avviene in Heidegger e nei suoi seguaci. Hegel scorge piuttosto nella religione dell'arte classica proprio come nella filosofia greca classica forme preparatorie o addirittura prime figure di autocoscienza e soggettività. Per questa opzione interpretativa di Hegel ci sono ragioni storiche ed oggettive. Nell'arte orientale, secondo Hegel simbolica, che precede l'arte greca classica, il divino non può essere concepito in una forma determinata e limitata in cui troverebbe la sua espressione adeguata; infatti il divino viene qui ancora concepito come potenza numinosa, illimitata, non comprensibile, che rimane estranea al comprendere dell'uomo. Solo nella religione dei Greci il divino riceve un "aspetto umano", appare in forma umana e come autocoscienza spirituale comprensibile e familiare per l'uomo, ossia come è propria dell'uomo. Questo divino in figura umana riceve nella mitologia e nelle singole opere cl' arte dei Greci una forma determinata, con un pro.filo sensibile; e Hegel è dell'idea che queste figure divine furono onorate dai Greci in modo religioso. Ciò che in questo modo viene formato nell'arte ha la qualità estetica del bello divino ed ideale. In questo è presupposto il concetto metafisico di Hegel dell'arte e dell'ideale, che è il criterio soprattutto per la sua determinazione dell'arte classica. Per Hegel, dunque, l'arte rappresenta in sostanza il divino ed appartiene quindi «all'ambito della religione e della filosofia»; infatti essa è una maniera determinata «di portare alla coscienza ed esprimere il divino, i più profondi interessi dell'uomo, le più ampie verità dello spirito» (Asthetik I, 19). Il divino non viene qui inteso in maniera trascendente giacché si trova nei «più profondi interessi dell'uomo» e giacché nell'uomo è la ragione della più profonda venerazione. Un tale divino è anche contenuto dell'arte. Nell'arte il divino è presente come figura sensibile attraverso cui viene portato vicino all'intuizione sensibile ed al sentimento; si manifesta attraverso una tale presentazione estetica nel sensibile. Questa figura sensibile è un'esposizione del divino nella sfera della sua esteriorità. In altro modo la divinità viene concepita nella religione cristiana, ossia nel mondo interno di rappresentazioni concrete; ed ancora in altro modo la divinità viene intesa nella filosofia, ossia mediante un puro pensiero nel concetto. Il comprendere il divino nell'intuizione

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sensibile, sempre esterna, mediante l'arte è per Hegel, per contro, alcunché di meramente immediato e di ancora provvisorio; già la rappresentazione interiore è più adeguata al contenuto essenziale del divino come spirito; il pensiero, però, lo comprende in maniera adeguata. Da queste determinazioni dell'arte che muovono dal contenuto si può già rilevare che l'estetica di Hegel rappresenta il tipo fondamentale di un'estetica del contenuto - a differenza del tipo fondamentale di un'estetica della forma pura, per la quale, come nell'analitica kantiana del bello, il contenuto ed il significato di ciò che si espone intuitivamente non sono essenziali. Il divino come contenuto essenziale dell'arte perviene tuttavia alla sua forma sensibile ed esterna solo mediante la produzione artistica; l'artista gli dà questa forma e figura. L'estetica del contenuto hegeliana non prescinde affatto, dunque, dalla forma artistica; ma questa risulta secondo Hegel proprio dal senso specifico del divino stesso. Forma e figura nell'elemento sensibile ed esterno non vengono né recepite come già date dall'artista né poste da lui come se fosse onnipotente; piuttosto il modo particolare della forma artistica sensibileed esterna e tracciato dalla comprensione del contenuto e dal suo senso. Al divino concepito in questo modo è ancora necessario su un piano immanente uscire nella sfera della forma sensibile ed esterna per apparire in questo nel suo esser altro. L'artista così come il fruitore cui si rivolge l'opera d'arte sono allo stesso modo animati da questa comprensione del divino; in entrambi è presente la stessa mitologia o religione. In questo modo Hegel non segue né in modo unilaterale il tipo fondamentale di un'estetica come estetica del genio o dell'artista né in modo altrettanto unilaterale il tipo fondamentale di un'estetica del giudizio o del gusto; entrambi gli aspetti vengono piuttosto collegati in una comprensione superiore e religiosa dell'arte. Se contenuto e forma corrispondono del tutto tra loro mediante la formazione artistica del divino nella sfera dell'esteriorità sensibile edell'esser altro, se il significato interno del divino trova nella figura sensibile di un'opera cl'arte la sua espressione adeguata, allora sorge il bello puro dell'arte. Se questa bellezza pura viene raggiunta, allora l'arte si compie nella sua possibilità più alta. Hegel riconosce però esplicitamente che tale bellezza non si realizza in ogni arte, che

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ci può essere un'arte densa di significato cui vanno attribuiti altri predicati di valore estetico, anche negativi, come il brutto, bizzarro o grottesco. Proprio perché!'arte presenta i contenuti di significato del divino nel sensibile, non può procedere semplicemente in modo mimetico; essa deve piuttosto modificare e trasformare il sensibile in conformità a quei contenuti di significato. Specie quando forma il divino come bello, deve idealizzare le datità sensibili; essa astrae allora da circostanze naturali ed accidentali prive di significato, dalle proporzioni disarmoniche che disturbano e simili, per far apparire il divino adeguatamente nella forma ideale sensibile che porta i significati. Questo bello in forma idealizzata sensibile è per Hegel il bello ideale o in breve: l'ideale. Ideale significa per Hegel come per Kant un'idea nella sua esistenza individuale; in senso più specifico l'ideale ha però per Hegel come per Schiller un significato essenzialmente estetico; è la bella forma individuale del divino nel sensibile. In questo modo appaiono fondamentali determinazioni filosofiche della teoria hegeliana dell'arte. In una determinazione filosofica il divino che forma l'arte intuitivamente è l'idea. Hegel si collega qui in generale alla dottrina platonica delle idee; più specificamente, la concezione hegeliana - come si deve mostrare - appartiene in determinazioni essenziali ad un platonismo estetico ed alla sua tradizione più recente. Come Hegel sottolinea anche nelle sue lezioni sull'Estetica, l'idea platonica contiene l'universale essenziale e l'essere in sé di qualcosa in pure determinazioni concettuali (cfr. Asth. I, 32 sgg., 146). Ma essa manca del concreto e del particolare. Come discusso, Hegel riconosce ad Aristotele il merito di aver raggiunto questo concreto oltre l'universalità dell'idea platonica; ma in realtà questa concezione secondo cui l'idea in quanto universale debba svilupparsi come concreta e singola corrisponde alla teoria hegeliana del concetto e dell'idea. Dalla sua teoria logico-speculativa deriva anche la concezione usata nell'Estetica secondo cui l'idea non potrebbe rimanere solo concetto e pensiero; piuttosto dovrebbe avere da sé nel contempo una realtà, o oggettività corrispondente al concetto concreto. Come sia fatta più specificamente questa sua realtà o oggettività, la logica speculativa dell'idea non lo esprime,

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ma a esempio l'estetica di Hegel offre al riguardo, determinazioni concrete. L'idea acquista attraverso l'arte realtà nel suo esser altro, ossia nella forma individuale, sensibile ed intuibile; se questa forma individualesensibile porta ad espressione l'idea in maniera adeguata, essa è un ideale estetico. Hegel non entra qui nel merito dell'ascesa verso l'idea del bello nel Simposio di Platone o della determinazione della bellezza nel Fedro platonico, essa esercita un fascino particolare come «ciò che brilla più luminosamente» e «stimola più amore» (Plat. Phaedrus 250d-e); nella sua luce si muove il «coro beato» degli dei che contemplano le idee. Il giovane Hegel, proprio come Holderlin, aveva studiato intensamente il Fedro e sosteneva allora come il suo compagno di gioventù un platonismo estetico in cui l'idea del bello era l'idea più elevata. Nella storia della filosofia il tardo platonismo aveva portato avanti le dottrine di Platone ed anche del Fedro; esso considerava i singoli dei di quel "coro beato" come rappresentazioni di idee determinate; tuttavia l'artista crea con l'occhio rivolto verso queste idee opere d'arte quali loro immagini adeguate in cui esse acquistano forma sensibile individuale, ad esempio immagini di dei. Questo venne sviluppato in determinate manifestazioni del platonismo rinascimentale (Ficino, Leone Ebreo) e determinò in parte le riflessioni estetiche del Rinascimento. Holderlin e Hegel probabilmente non conoscevano questo fatto o per lo meno non nei dettagli; tuttavia conoscevano per esempio le descrizioni e determinazioni di Winckelmann riguardo l'arte antica, che sono sollecitate ed attraversate da un vago platonismo estetico, e questo essi lo mettono in risalto. La tarda teoriahegeliana dell'idea come contenuto dell'arte e dell'ideale estetico come concreta ed individuale forma dell'idea nell'elemento sensibile porta ad espressione concettuale questo tipo di platonismo, che per la verità rimane limitato all'estetica per ciò che riguarda la sua validità all'interno della sua filosofi.a. Hegel comprende questi aspetti dell'opera d'arte, ossia l'idea mediante cui viene concepito in modo filoso.fico il divino, e la forma sensibile in cui viene presentata anche con le determinazioni logico-speculative dell'essenza (Wesen) e dell'apparenza (Schein). Egli afferma: «L'apparenza stessa è essenziale per l'essenza» (.ii.sth. I, 19) e con questo varia evidentemente il verso di Goethe: «Sarebbe

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l'essenza se non apparisse?» (Dienaturliche Tochterv. 1067). L'apparenza, secondo la teoria logico-speculativa di Hegel, è immanente all'essenza stessa come sua interna negatività. L'essenza per Hegel innalza l'esserci (das Daseiende), che è immediatamente e semplicemente qui presente. Ma allo stesso modo esiste solo in tale esserci, che tuttavia in quanto da esso innalzato diventa apparenza.L'essenza si riferisce così necessariamente al suo altro, all'apparenza. Questa si fonda sulla struttura immanente dell'essenza che contiene nel contempo una negazione nei confronti di se stessa. Questa determinazione dell'essenza e dell'apparenza ad essa immanente costituisce il fondamento per comprendere l'apparire sensibile dell'arte. Nell'arte l'essenza sviluppata in sommo grado, l'idea, si manifesta in una forma sensibile-esterna nel suo esser altro, ossia come apparenza. Questa apparenza dell'arte è l'esistenza individuale dell'idea nel sensibile. Già Schiller vedeva nell'arte il regno dell'apparire estetico che forma una sua propria sfera autonoma; questa è superiore alla realtà empirica di tutti i giorni poiché nel suo apparire viene presentato il vero autentico, l'ideale. Hegel lo segue e sviluppa ulteriormente questa concezione in senso speculativo. L'apparenza sensibile dell'arte contiene una verità superiore rispetto al mondo sensibile quotidiano; nell'arte il sensibile naturale «viene elevato» all'apparenza (Asth. I, 48); esso riceve mediante idealizzazione una «realtà superiore, innata allo spirito» (Asth. I, 20), in quanto esprime- e qui si trova l'elemento di prosecuzione l'idea in sé concreta nel senso specifico hegeliano. Se questa forma sensibileidealizzata nel suo contenuto di significato espone l'idea in modo adeguato, allora viene realizzato il bello. Secondo la famosa definizione dell'Estetica questo è «l'apparire sensibile dell'idea» (Asth. I, 117). È la compiuta automanifestazione dell'idea nel suo esser altro, nell'apparenza della forma sensibile-concreta. Meno nota, ma non meno significativa è l'altra determinazione fondamentale del bello ideale, secondo cui «esso va inteso nel suo vero esserci in sostanza come soggettività concreta e così come individualità» (Asth. I, 147). Il bello, che acquista forma individuale nell'opera d'arte, è idea realizzata nell'individuale, ossia per Hegel "soggettività concreta"; questo si riferisce nell'esposizione intuitiva soprattutto agli dei greci rappresentati artisticamente, che secondo

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la religione greca dispongono di autocoscienza spirituale. Hegel interpreta anche l'arte greca dunque nell'orizzonte della sua teoria della soggettività. Queste determinazioni dell'arte sono speculative e, prese in sé, non storiche; esse definiscono cosa in generale è l'arte come modo di autocomprensione dello spirito; le citate realtà storiche sono solo esempi per tale arte. Tuttavia la vera attuazione di quello che l'arte è e può essere in modo esemplare si trova per Hegel solo in una determinata forma d'arte storica, nell'arte classica dei Greci. Così ci si chiede se le determinazioni speculative dell'arte non siano troppo ristrette ovvero se non vengano storicizzate proprio mediante la realizzazione soltanto in una forma d'arte determinata, l'arte classica dei Greci. Nelle considerazioni che seguono deve essere discussa la concezione hegeliana dell'arte greca classica dal punto di vista di questa questione guida, che riguarda il senso speculativo o meramente storico della sua definizione dell'arte.

2. L'arte classica dei Gred Hegel considera l'arte simbolica degli Orientali che precede l'arte classica come un'"aspirare" (ein Erstreben) all'ideale; non le riesce un'adeguata esposizione del divino o dell'idea nell'elemento sensibile. Questo non dipende ad esempio dall'incapacità dei primi artisti, ma - come menzionato - dall'indeterminatezza dell'idea stessa che essi seguono. Al contrario, Hegel ritiene che per l'arte classica il "raggiungere" (das E"eichen) l'ideale sia definitivo. In essa il divino, che viene concepito come idea, è presentato adeguatamente in forme sensibili individuali; il materiale sensibile-esterno viene formato dall'artista così da esprimere in modo adatto il contenuto significativo del divino, ed in questo è un ideale estetico quale attuazione dell'idea. Come Hegel spiega estesamente, questo èrealizzato storicamente nell'arte dell'antichità greca come religione dell'arte. In essa il divino, l'idea, non è più intesa come sostanzialità indeterminata,numinosa, che tutto domina, rimanendo enigmatica ed estranea all'uomo, come nel panteismo orientale (Asth. I, 86), il mondo dei sentimenti religiosi e delle rappresentazioni intuitive ed in generale l'infinità della soggettività concreta che si riferisce a se stessa, la quale è riempita da Dio. Il Dio cristiano è uno, ed è puro spirito, soggettività assoluta, che non si deve più manifestare nell'esteriorità della rappresentazione sensibile, ma è presente nell'interiorità della soggettività umana. L'arte romantica è dunque inerente alla religione cristiana; però non è più assolutamente necessaria per questa in quanto religione dell'interiorità spirituale, come era stata l'arte classica per la religione greca. E tuttavia è ancora vera arte, dal momento che rappresenta il divino nell'elemento sensibile. La rappresentazione non è però più classicamente bella, giacché la forma sensibile ed esterna non è più espressione adeguata del divino che la anima, ma rinvia solo al mondo interno dei sentimenti e delle rappresentazioni intuitive, in cui lo spirito divino è presente. In tale rappresentazione la forma d'arte romantica si avvicina a quella simbolica; essa è capace nel contempo di una più ampia paletta di espressioni e di stili rispetto alla forma cl'arte classica e realizza predicati di valore estetici di ogni tipo, dalla bellezza spirituale ed interiore fino alla bruttezza grandiosa.

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Con la distinzione delle forme d'arte epocali Hegel rende ragione delle differenze storiche fondamentali dell'arte, e tiene anche conto della gamma di molteplici attuazioni di una forma d'arte e delle ulteriori differenze specifiche delle opere d'arte tra loro. Criterio permanente ed astorico per il giudizio delle forme d'arte, arti singole ed opere d'arte, è però per Hegel l'ideale estetico, che viene realizzato in senso compiuto solo nell'arte classica. Su di esso vengono anche misurate le altre forme d'arte; Hegel determina, come mostrato, l'arte simbolica, classica e romantica come un "aspirare", "raggiungere" e "trasgredire" l'ideale. Le determinazioni fondamentali dell'arte nel platonismo estetico, speculativamente fondato, di Hegel, e specialmente le determinazioni dell'ideale estetico non vengono dunque storicizzate, se esse vengono attuate solo nell'arte classica ed in maniera compiuta solo nella scultura classica. Esse caratterizzano piuttosto quello che l'arte è in maniera esemplare. Tuttaviaci sono molte altre forme e raffigurazioni d'arte per le quali Hegel sviluppa un ricco repertorio di determinazioni estetiche; in questo la sua estetica non rimane vincolata al gusto artistico del classicismo. È essenziale per tutte che in qualche modo - dunque anche in senso non classico - in tali opere d'arte si rinvia ad un divino nell'elemento sensibile; il limite e la fine dell'arte, che in questo modo viene concepita essenzialmente da un punto di vista dell'estetica del contenuto, sono raggiunti se il divino, inteso nel senso ampio su caratterizzato, si dilegua dall'arte.

Conclusione

Nell'estetica diHegel appare in maniera più intuibile quello che vale anche per il confronto di Hegel con la filosofi.a dell'antichità classica, specie con l'ontologia, la dialettica e la teologia filosofica in Platone ed Aristotele; egli vi scorge opere compiute dello spirito di validità e verità paradigmatica. Specie nelle sue sculture degli dei, l'arte classica forma l'ideale estetico come criterio valido di quello che l'arte è e può fare. Hegel interpreta quest'arte con determinazioni di un platonismo estetico integrato nella sua teoria e fondato speculativamente. In maniera paragonabile Hegel intende l'ontologia e la dialettica di Platone e l' ontoteologia di Aristotele come teorie classiche i cui contenuti essenziali sono di validità paradigmatica, e li integra nella sua filosofia. In questo, Hegel presta però molta attenzione alla distanza tra le epoche che separa l'antichità classica dalla modernità e dal suo presente. La situazione contemporanea della religione cristiana, l'arte romantica che volge alla fine, da cui il contenuto del divino si indebolisce, e la moderna filosofia della riflessione sono diventate

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nel suo presente documenti dell'opposizione di determinazioni e potenze finite, anzi della lacerazione all'interno dell'individuo e di una società. La rappresentazione ed il pensiero caratterizzati da questo possono però acquisire una dimensione di unità speculativa superiore mediante una appropriazione produttiva della .filosofia e della fantasia artistica dell'antichità classica. Questa appropriazione non deve però avvenire con la forza. L'arte classica presenta ad esempio nei suoi begli individui divini un'autocoscienza spirituale finita in forma sensibile ed esterna; ed in particolare la dottrina aristotelica della noesis noeseos è una prefigurazione della teoria della soggettività infinita e divina. Così Hegel riprende dall'antichità motivi della comprensione dell'autocoscienza ontologicamente fondati e li sviluppa su una nuova base nella sua teoria della soggettività speculativa che unifica le contraddizioni contemporanee. Essa presenta dunque l'orizzonte all'interno del quale Hegel interpreta e rende produttiva l'antichità classica. In tale interpretazione e nei lineamenti del suo svolgimento questa teoria della soggettività di Hegel può essere vista come paradigmatica anche per sforzi odierni nonostante le trasformazioni che diventano necessarie sulla base di nuove ricerche scientifiche specialistiche, di nuove forme d'arte e di nuove teorie .filosofiche. Una nuova teoria moderna della soggettività che presta attenzione anche alle numerose critiche moderne, così come ad esempio ai risultati della ricerca sul cervello, assume un rapporto con la teoria di Hegel simile a quello che egli aveva assunto nei confronti dell'antichità classica.

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