Giovanna Francesca di Chantal. Memoria della vita e delle virtù 8831153692, 9788831153690

Giovanna Francesca di Chantal (1572-1641) all'età di ventuno anni sposa Cristoforo II, barone di Chantal, dal quale

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Italian Pages 448 [443] Year 2010

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Giovanna Francesca di Chantal. Memoria della vita e delle virtù
 8831153692, 9788831153690

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PREMESSA DEL TRADUTTORE

Questa breve premessa vuole essere solo uno strumento ad uso del lettore, grazie al quale egli possa da un lato collocare il testo che si accinge a leggere nel suo tempo e nel suo ambiente, ma anche apprendere quali sono i criteri e le scelte che il traduttore ha inevitabilmente adottato affinché la trasposizione in italiano fosse fruibile per un lettore del XXI secolo. La Madre de Chaugy inizia a scrivere le Mémoires nel 1642, più precisamente il 2 febbraio di quell’anno, giorno della Purificazione della Vergine 1, ma gli anni che il volume descrive sono quelli coperti dalla lunga vita di santa Giovanna Francesca Frémyot de Chantal (15721641), fondatrice, insieme a san Francesco di Sales, dell’Ordine della Visitazione. Dal punto di vista storico, politico e culturale è un periodo tra i più ricchi ed interessanti della storia francese: le lunghe e cruente guerre di religione, che si concluderanno con l’Editto di Nantes promulgato da Enrico IV nel 1598, fanno da sfondo all’infanzia e alla giovinezza della santa; poi il regno di Enrico IV (1589-1610), la reggenza di Maria de’ Medici (1610-1617) ed infine la politica accentratrice del cardinale de Richelieu, ministro di Luigi XIII (1617-1643), condurranno la Francia verso quel regime assolutista che troverà in Luigi XIV la sua incarnazione più completa. Culturalmente parlando siamo negli anni del dibattito religioso vivo e accesissimo tra ugonotti e cattolici, della fondazione di Port-Royal e del diffondersi della corrente giansenista, mentre dal punto di vista letterario si sta preparando per la Francia il suo Grand Siècle: a cavallo tra il XVI e il XVII secolo abbiamo infatti 1 «Ainsi je commence ce jour de la sainte Purification de Notre-Dame, 2 février 1642, dans notre premier monastère d’Annecy». Cf., infra, p. 11.

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il fiorire della cultura barocca che investe teatro, poesia e romanzo e consacra nomi quali Rotrou, Saint-Amant, Desportes (più volte citato dalla Chaugy per la sua traduzione in francese dei salmi che santa Giovanna usava consultare), D’Urfé, Sorel, Desmarets. Ma questi sono gli anni anche in cui nascono, crescono e si formano autori del calibro di Corneille, Racine, Molière, La Fontaine o filosofi della levatura di Cartesio e Pascal. La Francia si prepara ad attraversare uno dei momenti di massimo splendore che vedrà nella magnificenza della corte del Re Sole, nel fervore culturale dell’Académie française e dei grandi autori del Classicismo, nello slancio religioso e nell’entusiasmo di grandi santi, quali Giovanna Francesca di Chantal, Francesco di Sales, Vincenzo de’ Paoli, la sua materializzazione più evidente. È un periodo dunque fatto di chiaroscuri, di luci e di ombre estremamente forti e potenti, come forti e potenti sono la scrittura e le tinte usate dalla Madre de Chaugy per descrivere così a tutto tondo una figlia di questo tempo. Ma chi era Françoise-Madeleine de Chaugy? La Préface 2 all’edizione francese del 1874 delle sue Memorie fornisce diverse informazioni sull’autrice e sul rapporto che la legava alla santa. Innanzitutto si sottolinea come la formazione che aveva ricevuto e la sua innata sensibilità avevano sviluppato in lei un vero talento di scrittrice. Era nata nel 1611 in Borgogna, regione natale anche di Giovanna di Chantal, con la quale condivideva le origini nobili e un legame di parentela: la Fondatrice era infatti la sua prozia. Questi legami di sangue furono ben presto rafforzati dal vincolo ancora più profondo della vita consacrata: zia e nipote vissero infatti diversi anni insieme nel primo monastero di Annecy e, considerate le sue capacità di scrittura, Giovanna Francesca la scelse come sua segretaria personale. In questo modo la Madre de Chaugy si trovò introdotta nella vita più intima della santa. L’attenzione sempre desta grazie ad un’innata curiosità, lo sguardo reso sempre più acuto dalla crescente ammirazione hanno fatto sì che questa testimone così speciale e perspicace cogliesse e comprendesse tutto con quel senso religioso e quella sensibilità che la condivisione della clausura avevano sviluppato in lei. Per quanto riguarda il periodo del quale, per ovvi motivi anagrafici, non poteva rendere testimonianza, lei stessa dichiara di essersi servita, per quanto at2 Mémoires sur la vie et les vertus de sainte Jeanne- Françoise Frémyot de Chantal par la Mère Françoise-Madeleine de Chaugy, Plon, Paris 1874, pp. XVII-XXIII.

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tiene all’infanzia e alla giovinezza della santa, delle informazioni che le famiglie Frémyot, Chantal e Toulonjon potevano fornirle, mentre, per ciò che riguarda la fondazione dell’Ordine e i suoi primi anni di vita, della testimonianza delle prime Madri 3. Fu la Madre de Blonay, Superiora del monastero di Annecy al momento della morte di Giovanna Francesca, ad incaricare suor Françoise-Madeleine di redigere la vita della Fondatrice. Doveva essere un’opera a beneficio delle sorelle della Visitazione, quindi con grande modestia la nipote cominciò a scrivere quanto aveva visto lei stessa o quanto autorevoli testimoni le avevano raccontato. Siamo nel 1642: Luigi XIII morirà l’anno successivo e gli succederà il figlio, Luigi XIV, incarnazione di quello splendore politico-culturale, caratterizzato però, come si è detto, da contraddizioni e chiaroscuri, che la Francia irradia sull’Europa contemporanea. La lingua e lo stile della Chaugy risentono quindi di questo clima: vi sono degli arcaismi che, nel lavoro di traduzione, abbiamo cercato di rispettare o di illustrare in nota, perché anche questi particolari fanno parte della ricchezza e del fascino di quest’opera. In tal senso importanti ed indispensabili strumenti sono stati i dizionari dell’epoca, molti dei quali oggi consultabili in Rete 4. Scrupoloso e attento alla precisione e all’esattezza dei fatti narrati, lo stile della Chaugy talvolta trasuda questa ricchezza e, come quello della Chantal, è a tratti contorto e poco lineare, perché rispecchia una franchezza di spirito, una vivacità intellettuale che le due donne dovevano senz’altro condividere. Il lavoro di traduzione ha cercato quindi, là dove era possibile, di appianare questi nodi, modificando la punteggiatura, spezzando i lunghi periodi che incatenano subordinate a coordinate, facendo talvolta perdere il legame con la principale. Il tutto però sempre nel massimo rispetto del pensiero dell’autrice e ricordando sempre che si tratta di un’opera scritta ben quattro secoli fa e che 3 Cf. «Premessa alle Memorie della Madre de Chaugy», infra, p. 11. 4 Dictionnaire de l’Académie françoise, Veuve de J.B. Coignard, Paris

1694; P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, R. Leers, Rotterdam 1697; A. Furetière, Dictionnaire universel, A. et R. Leers, La Haye et Rotterdam 1690, (SNL, Le Robert, Paris 1978); L. Moréri, Le grand dictionnaire historique, G. Girin et B. Rivière, Lyon 1674; J. Nicot, Thresor de la langue françoyse, tant ancienne que moderne, D. Douceur, Paris 1621; A. Oudin, Curiositéz françoises, pour supplément aux dictionnaires, A. de Sommaville, Paris 1640; P. Richelet, Dictionnaire François, J.H. Widerhold, Genève 1680. Il Dizionario dell’Académie, quello di Bayle, di Moréri e di Nicot sono consultabili sul sito http://humanities.uchicago.edu/orgs/ARTFL/ dell’Università di Chicago.

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anche al lettore contemporaneo deve rendere testimonianza di quell’epoca. In taluni casi abbiamo segnalato anche in nota gli errori ortografici evidentemente presenti nell’autografo della Chaugy e che l’edizione del 1874, nostro testo di partenza, aveva fedelmente conservato 5. Altra questione importante che il lavoro di traduzione ha comportato ha riguardato i riferimenti biblici o agiografici di cui l’opera è imbevuta. La Madre de Chaugy se ne era a tal punto nutrita che essi sgorgano dalla sua penna quasi inconsciamente. Se per le contemporanee – non dimentichiamo che è un testo scritto a beneficio dell’Istituto e che non vuole vantare alcuna velleità letteraria – o anche per le consorelle della Chaugy del XXI secolo molti riferimenti impliciti sono in realtà evidenti perché facevano e fanno ancora oggi parte della loro formazione e della loro vita, non così è per la maggior parte dei lettori comuni del nostro tempo. Ci è sembrato opportuno quindi segnalare in nota, là dove dopo talvolta lunghe ricerche siamo riusciti a comprenderli, i richiami biblici presenti. In altri casi, là dove invece si faceva cenno a santi o sante più o meno noti al vasto pubblico, si sono inserite annotazioni che sinteticamente riassumessero gli elementi salienti di quella vita esemplare. Stesso procedimento per i personaggi storici citati: come già detto, in filigrana dietro le Memorie della Chaugy, scorre una fetta molto importante della storia francese che ha per protagonisti fatti e personaggi molto popolari all’epoca, ma che oggi ai più potrebbero risultare poco noti o addirittura sconosciuti. Altro importante scoglio che il lavoro di traduzione ha dovuto superare ha riguardato il comprendere e l’illustrare al lettore contemporaneo alcuni usi della Visitazione, taluni facenti ormai parte della storia delle origini della Congregazione, altri invece ancora oggi vigenti. In questi casi utile è stato il ricorso alla traduzione italiana ottocentesca 6,

5 L’edizione del 1874 riproduce fedelmente il testo originale. Nella Prefazione si legge infatti: «L’édition que donne aujourd’hui au public le premier monastère de la Visitation d’Annecy a été faite sur l’autographe de la Mère de Chaugy, autographe conservé dans les archives de cette communauté. C’est la première fois que le texte original des Mémoires sur la vie et les vertus de Sainte Chantal est reproduit dans son intégrité et toute sa pureté» (cit., p. XXIII). 6 Memorie intorno alla vita e alle virtù di santa Giovanna Francesca di Chantal, fondatrice dell’Ordine della Visitazione Santa Maria raccolte dalla Madre Francesca Maddalena di Chaugy, sua nipote e segretaria. Pubblicate dall’Abate T.B. Traduzione dal francese, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, Bologna 1856.

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ma soprattutto indispensabile è stato il contributo delle sorelle della Visitazione di Genova Quinto, ed in particolare della per me carissima suor Grazia Francesca, che pazientemente mi ha illustrato molti aspetti della storia delle origini dell’Ordine, aiutandomi a redigere delle note esplicative che potessero chiarirli anche al lettore. L’apparato di note di cui la traduzione è corredata ne vede quindi alcune precedute dalla sigla “Ndt”: si tratta delle note del traduttore, da non confondersi con quelle presenti nell’edizione francese del 1874 e che abbiamo ritenuto ancora utili ed interessanti per il lettore moderno. Voglio concludere questa mia premessa con dei ringraziamenti: il primo è per la protagonista di queste pagine, che ho invocato ogni volta che mi mettevo al lavoro affinché fosse lei a suggerirmi come meglio tradurre il racconto della sua ammirevole vita e della sua notevole personalità. E credo, come già più volte nella mia vita ho avuto modo di sperimentare, che mi abbia ascoltata, perché spesso, nei momenti di difficoltà che questa traduzione non sempre facile ha comportato, ho proprio avuto la sensazione che fosse lei a guidare la mia mente e la mia mano. Poi le sorelle della Visitazione di Genova, per avermi sostenuto in questo lavoro coi consigli e con la preghiera e per avermi ancora una volta dato la possibilità di conoscere meglio la loro Fondatrice e di penetrare, attraverso il racconto della sua vita e la descrizione delle sue virtù, nella saggezza e nella pace della vita claustrale visitandina. Credo quindi di poter dire con certezza che non sia un caso che io abbia concluso e consegnato questo lavoro proprio il giorno della festa della Madre. Genova, 12 dicembre 2008 Festa di santa Giovanna Francesca di Chantal

CHIARA ROLLA

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PREMESSA

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ALLE MEMORIE DELLA MADRE DE CHAUGY

È in presenza di Gesù, Maria e Giuseppe dalla cui bontà imploro soccorso che dichiaro mettere in questi quaderni solo la pura verità così come l’ho appresa sia dalla voce della nostra Beata Madre Giovanna Francesca di Chantal sia da altre persone e principalmente dalle nostre prime Madri Marie-Jacqueline Favre, Jeanne-Charlotte de Bréchard e Péronne-Marie de Châtel, che nel 1636 mi fecero scrivere delle memorie dalle loro relazioni. È da queste memorie che trarrò la maggior parte delle cose che racconterò aggiungendovi ciò che ho appreso in seguito sia grazie alla particolarissima frequentazione che ho avuto con la nostra Beata Madre, avendo avuto la grazia di essere la sua segretaria dal 1632, sia grazie a ciò che apprendo dalla nostra onoratissima Madre Aimée de Blonay, una delle prime figlie e l’ultima Madre Superiora di questa Beata. Così ho cominciato il giorno della Purificazione della Vergine, 2 febbraio 1642, nel nostro primo monastero di Annecy. Dio sia benedetto!

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PARTE PRIMA

GLI ANNI TRASCORSI NEL MONDO

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I.

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LA VIRTÙ DEI SUOI AVI. IL PADRE DELLA NOSTRA BEATA MADRE

Non è per far sfoggio delle cose delle quali il mondo si gloria che vogliamo parlare della nobilissima e venerabile stirpe della nostra Beata Madre Giovanna Francesca Frémyot de Chantal; ma ci sembra ragionevole cercare un po’ prima la radice dell’albero di cui abbiamo gustato il dolce frutto. Questa beatissima Madre discendeva dalla nobile stirpe dei Frémyot e, per parte materna, dall’illustre casa di Berbisey, la quale, da trecento anni, costituisce l’onore della sua provincia, detenendo le cariche principali della magistratura e della milizia e avendo stretto un’alleanza quasi universale con tutti i buoni casati del ducato. Gli antenati paterni della Beata Madre furono tra i primi fondatori del parlamento di Digione, capitale della Borgogna, città antichissima e cattolicissima e fra le prime ad essere illustrate dalla fede del glorioso san Benigno. È in questa bella città che gli antenati della nostra Beata Madre sono stati benedetti di generazione in generazione. Ma per non inoltrarsi in un discorso troppo lungo diremo solo alcune cose su suo nonno e sul suo bisnonno che si chiamavano Jean e René Frémyot, entrambi detentori delle cariche più importanti al parlamento di Digione. Suo bisnonno fu esempio di giustizia e di virtù, padre dei poveri e rifugio per chi era nella sofferenza. Morì a settantatré anni e, dopo una santa morte, lasciò come erede della sua casa e delle sue virtù René Frémyot, nonno di Giovanna Francesca. Quest’ultimo fu giusto, rispettoso della volontà del Signore e proseguì sulla buona via tracciata dal padre. Una delle grandi benedizioni che Dio gli donò furono i suoi due figli, Benigno e Claudio Frémyot, rispettivamente padre e zio della Fondatrice. Questo saggio uomo po-

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litico dedicò una grande cura alla loro buona e devota educazione e poiché a quel tempo Calvino e Lutero, assieme ad altri, tentavano di diffondere le loro dottrine, questo buon padre di famiglia due volte al giorno, al mattino e alla sera, faceva un discorso ai figli e ai domestici che servisse loro da istruzione per conservare la fede cattolica. Non contento di ciò andava tra la gente e riuniva i suoi amici per parlare con zelo e fervore ammirevoli della verità che la Chiesa di Roma insegna e Dio gli fece la grazia che molti lo ascoltassero 1. Questo figlio fedele della santa Chiesa visse santamente e vigorosamente fino all’età di settantacinque o settantasei anni circa. Ebbe la rivelazione del giorno e dell’ora del suo decesso. La vigilia di quel giorno andò a dire addio ai suoi amici e parenti e, con una santa semplicità, disse loro che era sul punto di partire per il viaggio eterno. Quello stesso giorno accadde una cosa meravigliosa: voleva salire sulla sua mula per andare a congedarsi dai suoi amici, ma non ci riuscì a causa della sua debolezza. Come se avesse capito la necessità del suo padrone la bestia stende le quattro zampe, si abbassa fino quasi a toccare terra con il ventre e resta in questa posizione fino a che quel buon vecchio non è ben sistemato sulla sella. A questo punto lentamente si rialza e al ritorno da questo breve viaggio si mise nella stessa posizione per far scendere comodamente il suo padrone. Tutto ciò fu notato da tutti i presenti e considerato come una meraviglia e una ricompensa che Dio offriva a quell’uomo per la sua perfetta sottomissione alla Chiesa di Roma, in quanto dice un santo che le creature irragionevoli si sottomettono all’uomo nella misura in cui l’uomo ragionevole invece si sottomette a Dio. Il nostro pio e venerabile vecchio, dopo essersi congedato, si mise a letto e diede ordine che l’indomani ci fosse un sacerdote pronto a dire messa in una cappellina 1 Ndt: Il testo originale riporta nei confronti delle nuove dottrine protestanti che

allora si stavano diffondendo espressioni forti e polemiche ascrivibili storicamente al clima rovente e cruento di quel periodo che vede la Francia flagellata da una guerra intestina durata parecchi anni (1562-1598) e che si concluderà solo e almeno in apparenza nel 1598 con la promulgazione dell’Editto di Nantes firmato dall’allora sovrano Enrico IV. In considerazione del mutato atteggiamento che provvidenzialmente è invalso e oggi vige nei rapporti tra cristiani di varie Chiese e Comunità ecclesiali e della destinazione divulgativa di questa edizione italiana, abbiamo ritenuto di dover “modificare” tali espressioni, oggi assolutamente superate.

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dalla quale poteva sentirla dal suo letto e disse apertamente che la sua vita sarebbe finita prima che il prete avesse terminato l’ultima abluzione. Passò la notte devotamente, sebbene soffrisse; la mattina successiva si confessò ancora una volta, si comunicò, ricevette l’estrema unzione, chiese che si celebrasse una messa per lui e aggiunse queste belle parole: «Prima che sia fatta l’ultima abluzione devo andare a bere il nettare eterno nel regno del mio Dio». Ascoltò quella messa con ammirevole devozione e, nel momento in cui il sacerdote elevava il calice, questo santo vecchio, con grande ardore di devozione e un viso angelico, alzò gli occhi verso le montagne eterne dicendo in latino questo versetto di Davide: Quando consolaberis me?, «O Dio! Quando mi consolerai?» 2. In quel momento spirò davanti a tutti i presenti, i quali si consolarono della perdita di un uomo così degno solo vedendolo rivivere nei suoi figli e soprattutto in Benigno Frémyot, padre della nostra Beata Madre, che incrementò infinitamente la gloria del suo illustre casato. Si videro in lui, già in gioventù, i frutti della santa semenza che quel buon padre aveva gettato. Racconteremo qui solo questo fatto: era giovane studente a Bourges quando i calvinisti predicavano in quella città. Il giovane non voleva assistere a quei sermoni, ma una volta, costretto dall’insistenza dei suoi compagni, ci andò e all’uscita manifestò a coloro che ce lo avevano condotto tutta la sua contrarietà. In effetti, malgrado le ulteriori e successive insistenze, non volle più ascoltare quei discorsi e cercava di impedire ai suoi compagni di andarci 3. Ritornò a Digione e dopo aver finito i suoi studi diventò avvocato generale, carica che esercitò con tanto giudizio e soddisfazione da far sì che le sue conclusioni fossero sempre seguite dai giudici. Il suo merito gli fece ottenere la carica onorevole di secondo presidente dell’importante parlamento di Digione.

2 3

Ndt: Cf. Sal 118 (119), 82. Quando gli ugonotti arrivarono a Digione, Benigno Frémyot era in carica al Consiglio e fu fra i primi che si oppose a loro. (Dalle deposizioni di contemporanee della santa).

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II.

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LA NASCITA DELLA NOSTRA BEATA MADRE, E LA FEDELTÀ DEL PRESIDENTE FRÉMYOT, SUO PADRE, ALLA CHIESA E AL RE

Legato al mondo da cariche tanto onorevoli, vi si legò ancor più grazie al santo matrimonio con la signorina Marguerite de Berbisey 4, degna compagna della sua virtù. Dio li benedisse con tre figli: Margherita, poi baronessa des Francs, che mise al mondo due valorosissimi 5 uomini che hanno speso la loro vita al servizio del re e Monsignor de Châlons, la cui reputazione di prelato buono e virtuosissimo vive

4 Marguerite de Berbisey apparteneva ad uno dei casati più nobili e antichi di Borgogna, legato alla famiglia di san Bernardo grazie a Perrenot de Berbisey che aveva sposato nel 1378 Oudette de Normand, del casato di questo santo. 5 Ndt: «Très genereux»: la «générosité» è un valore molto caro alla società del XVII secolo, strettamente correlato ad altre qualità altrettanto importanti quali l’onore, il valore, il coraggio, la grandezza d’animo. Caratteristica sia maschile che femminile, questo termine e gli aggettivi ad esso correlati presentano, rispetto all’accezione moderna, un significato molto più ricco e variegato. Jean Rohou (Le XVIIe siècle, une révolution de la condition humaine, Seuil, Paris 2002) ha messo in evidenza l’evoluzione che il significato di questo termine segue a partire dal XVI secolo, epoca durante la quale généreux corrispondeva a magnanime, secondo la tradizione greco-latina e scolastica. All’inizio del XVII secolo la générosité era ancora quella virtù che inglobava tutte le qualità distintive dell’aristocrazia: dal vigore fisico e morale, al coraggio, passando per il desiderio di gloria e di salvaguardia dell’onore. Qualcosa cambia nel corso della prima metà del XVII secolo soprattutto grazie all’influsso della letteratura religiosa e dei moralisti: riducendo la dimensione fisiologica e conciliando l’antico vigore con la nuova civiltà che trova la sua espressione più completa nell’ideale dell’honnête homme, questi autori promuovono una nuova visione della générosité che le permetterà di evolvere verso il suo significato più moderno. Verso il 1650 générosité diventa sinonimo di nobiltà d’animo e généreux è colui che possiede ai massimi livelli quella ragione che permette di avere un controllo sovrano sulle proprie passioni. (Cf. C. Rolla, «Les Femmes illustres»: une fenêtre ouverte sur le XVIIe siècle, in Les Femmes illustres. Hommage à Rosa Galli Pellegrini, Publifarum, 2, 2005).

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ancora oggi; la seconda fu Giovanna Francesca Frémyot, poi baronessa di Chantal e nostra Fondatrice; l’ultimo fu Andrea Frémyot, arcivescovo di Bourges e patriarca d’Aquitania. Quanto alla nostra Beata Madre san Giovanni l’Elemosiniere, ancora più caritatevole in Cielo di quanto non fosse sulla terra, vedendo che il mondo aveva bisogno di una donna forte ottenne da Dio questa grazia alla terra facendo sì che nascesse il giorno in cui la Chiesa lo festeggia, il 23 gennaio. Fu nella città di Digione, tra le sette e le otto del mattino, di martedì, nell’anno 1572 che Giovanna Francesca venne al mondo per esserne un ornamento glorioso. Gregorio XIII, bolognese, occupava allora la Santa Sede apostolica mentre la corona di Francia era portata da Carlo (IX) Massimiliano. La nostra piccolina, subito rigenerata dalle sacre acque del battesimo, fu chiamata Giovanna e alla cresima Francesca. Aveva solo diciotto mesi quando Dio la rese orfana di madre, che morì di parto nel mettere al mondo Mons. André Frémyot, arcivescovo di Bourges. L’orfanella fu comunque cresciuta con grandissima cura, non minore di quella che avrebbe avuto per lei la sua defunta madre. Fin dalla più tenera età si notavano in lei i segni della grazia divina e, tra le tante cose, una grande modestia e un incomparabile ed esclusivo amore per la Chiesa cattolica. Imparava con grande facilità e vivacità di spirito ciò che le veniva insegnato ed era istruita su tutto ciò che conveniva ad una signorina della sua condizione e del suo animo: leggere, scrivere, ballare, suonare, cantare in musica, fare lavori femminili, ecc. E mentre trascorrerà l’adolescenza in queste attività, fermiamoci a considerare le azioni generose di cui si occuperà suo padre, il Presidente Frémyot. Carlo IX aveva appena venticinque anni quando la morte con la sua inesorabile falce che non rispetta nessuno gli tolse lo scettro dalle mani e la corona dalla testa. Enrico III fu consacrato re di Francia e in breve tempo vide il suo regno quasi rivoltarsi contro di lui a causa degli intrighi di qualche principe e signore della sua corte che volevano impadronirsi della corona e rinchiuderlo in un chiostro con un saio da monaco. La Borgogna tra tutte le province della monarchia fu quella più contraria al re a causa di un suo governatore, fratello di uno dei principali ribelli. Sotto questo cattivo capo la città di Digione, come un tempo quella di Gerusalemme sotto Erode, fu sconvolta e 19 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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quasi travolta dal vento di questa tempesta. Il governatore, che aveva dalla sua parte la maggioranza degli ufficiali del parlamento, cercò di attirare nel suo partito il presidente Frémyot, ma invano; al contrario, vedendo che non c’era di meglio da fare, costui convinse una dozzina fra consiglieri, avvocati e cancellieri del parlamento e, abbandonando i suoi beni, la sua casa e persino i suoi figli, li portò e li ospitò a Flavigny e a Semur «per far sì – disse – che ci sia in questa Borgogna un luogo nel quale si faccia giustizia in nome del re». Non contento di ciò, convinse anche la nobiltà locale e, a sue spese, arruolò dei soldati per mantenere le campagne nel partito fedele al re. Fece tutto questo non per pochi mesi, ma per tutti gli anni che durarono quelle guerre civili, senza preoccuparsi di impoverirsi, inculcando a coloro che stavano dalla sua parte che la ricchezza di un uomo politico o di un militare consiste nella gloria di spogliarsi dei suoi beni pur di mantenere fede e servire la propria patria e il suo legittimo sovrano. Durante questi anni il nostro fedele presidente fu più volte attaccato: fu addirittura imprigionato il suo unico figlio maschio e furono così audaci da scrivergli che se non si fosse schierato dalla parte dei rivoltosi gli avrebbero inviato la testa del figlio. Quest’uomo coraggioso, senza smuoversi assolutamente, rispose che si sarebbe ritenuto fortunato di poter immolare a Dio il suo unico figlio per una così nobile causa e che era meglio che egli morisse innocente piuttosto che il padre si rendesse colpevole di una simile perfidia, peccando contro Dio e contro il re. Vedendo ciò i suoi nemici preferirono sporcarsi le mani con le armi piuttosto che col sangue innocente di quel giovane che fu riscattato dal padre per un altissimo prezzo. In mezzo a tutti questi disordini il re Enrico III fu ucciso, con grande gioia dei suoi nemici. Ma il cuore del fedele presidente fu talmente addolorato che una notte divenne tutto bianco dal lato sul quale era coricato. Tuttavia, senza lasciarsi travolgere dai pensieri e dalle inquietudini tipiche di coloro che non adeguano la loro volontà a quella di Dio, con spirito sereno anche se afflitto mandò delle lettere ai nobili del luogo, addestrò nuove truppe per difendere Flavigny e Semur affinché Enrico IV, al quale spettava legittimamente la corona, non appena abbracciata la fede cattolica e dopo la consacrazione a re, trovasse in questo piccolo angolo di Borgogna un esercito fedele. 20 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Dopo la consacrazione di questo grande sovrano e quando i disordini furono pacificati, il presidente Frémyot ritornò vittorioso a Digione senza preoccuparsi né lamentarsi delle perdite e dei danni che i suoi beni e la sua casa avevano subito. Pensava solo a fare del bene alla cosa pubblica attraverso il ristabilirsi dell’ordine. Poco tempo dopo Enrico IV andò a Digione: si complimentò con il fedele presidente Frémyot, confermò e autorizzò tutto ciò che si era deciso nel piccolo parlamento di Flavigny e di Semur e nel contempo dichiarò nullo, senza valore né effetto tutto ciò che si era fatto in sua assenza nel parlamento di Digione e disse: «Signor Frémyot siete stato così felicemente primo presidente a Flavigny che desidero che anche qui voi siate il primo». Il presidente gli rispose: «Sire, Dio non voglia che io debba sostituire mai un uomo ancora in vita; il primo presidente è un buon cattolico e saprà servire bene Vostra Maestà». Il re ammirò questa grande virtù, tuttavia ordinò che tutte le cariche onorassero Frémyot e che tutti i dispacci reali gli fossero recapitati. Usò molto modestamente di questi favori e non aprì mai i pacchi senza il primo presidente, al quale li portava non appena ricevuti. Il re non si limitò a questi favori e sapendo che questo buon presidente aveva intenzione, dopo tante azioni generose in favore del suo principe terreno, di dedicare il resto dei suoi giorni unicamente al servizio del Principe del cielo nello stato ecclesiastico, Sua Maestà gli diede l’arcivescovado di Bourges, la grande abbazia di Saint-Étienne di Digione e dei provvedimenti 6 per il priorato di Nantua. Accadde qualcosa che fece ancor più ammirare la virtù di Frémyot. Un parlamentare, che era stato uno dei suoi principali persecutori durante la Lega (fu proprio lui a rapire suo figlio), fu accusato di numerose perfidie nei confronti del re. Il sovrano disse che gli avrebbe fatto tagliare la testa e chiese al padre della Fondatrice il suo parere. Con grande stupore di tutti i presenti il presidente prese le difese del suo nemico e chiese la grazia al re con tali valide ragioni e tanto zelo che il sovrano, che conosceva ciò che l’accusato aveva fatto

6

Ndt: Nella quarta edizione del Dictionnaire de l’Académie française (1762) abbiamo trovato che, nel linguaggio ecclesiastico, «provision» è termine che descrive il diritto all’assegnazione di un beneficio.

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a Frémyot, si rassegnò e disse: «Presidente, vedo proprio che la mia clemenza deve coniugarsi con la vostra dolcezza: volete la vita del vostro nemico, ebbene ve la concedo». Accadde un’altra cosa degna di attenzione: un giorno, mentre il re si stava riposando con diversi signori e parlava di cose passate, il presidente Frémyot gli disse: «Sire, Vi confesso che se Vostra Maestà non avesse gridato con tutto il suo cuore: Viva la Chiesa di Roma! Io non avrei mai gridato:Viva il re Enrico IV!». Quel grande monarca apprezzò così tanto quella cristiana franchezza che si mise a ridere di cuore e disse ad un maresciallo di Francia, suo favorito: «Se volete fare qualcosa di male, non cercate un complice nel nostro presidente Frémyot». Sua Maestà gli offrì importanti cariche a Parigi, ma a lui stava talmente a cuore il bene della patria che non volle abbandonare il parlamento di Digione. Non poté farsi prete poiché era stato sposato due volte e la seconda moglie era vedova quando la sposò. Non volendo tenere per sé i beni della Chiesa, consegnò tutti i suoi averi a suo figlio, che Dio chiamò allo stato ecclesiastico, mentre egli continuò ad esercitare la sua carica con giustizia e sincerità di coscienza.

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III.

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IL SUO ESSERE FIGLIA E IL MATRIMONIO CON IL BARONE DI CHANTAL

Durante questi disordini la nostra Beata Madre era cresciuta sotto tutti i profili e, sebbene il presidente suo padre si augurasse di tenerla il più possibile con sé, se ne privò per accontentare la figlia maggiore, Margherita Frémyot, moglie del Signor de Neufchèze, barone des Francs, la quale desiderava ardentemente portare con sé la sorella nel Poitou. Dio lo permise per dimostrare la forza e la virtù di quella giovane. Fu qui infatti che la sua innocenza fu seriamente messa in pericolo e che la sua virtù sarebbe stata compromessa se il buon Dio, che l’aveva scelta, non l’avesse assistita con una grazia del tutto particolare. Incontrò una vecchia signorina che lavorava presso il barone des Francs che cercò con tutti gli artifici di far appassire quel bel fiore nascente. Le voleva insegnare a truccarsi e cose anche peggiori. Si sospettava infatti con ogni buona ragione che facesse uso di incantesimi. Poiché vide che quella giovane non voleva affatto aderire a ciò che lei le proponeva e riconoscendo in lei un coraggio altissimo e generosissimo, fece un altro tentativo e le promise che sarebbe riuscita a farle sposare uno dei signori più importanti del Poitou. A questo punto Giovanna Francesca ebbe particolarmente bisogno della grazia celeste. Spesso aveva fatto ricorso alla santissima Vergine che fin da piccola considerava come sua madre e per tutta la vita ha creduto che fosse stato l’aiuto della Madre divina degli orfani ad averle impedito di rimanere intrappolata nella rete di quella malvagia creatura, che aveva in grande avversione la Madonna. Fece così tutto il possibile affinché sua sorella, la baronessa des Francs, la licenziasse. Ma costei conosceva più artifici per restare là di quanta forza avesse la giovane di farla cacciare via. Alla fine però si pentirono di non averle creduto. Quella donna fece una terribile fine, ma solo dopo aver condotto una 23 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vita cattiva e aver nuociuto a molte ragazze che, non essendo sagge come la Fondatrice, si lasciarono incantare da quella cattiva sirena. Un’altra cosa le accadde a casa di suo cognato e in quell’occasione mostrò il suo grande amore per la Chiesa. Si tratta del corteggiamento importuno da parte di un giovane ugonotto, amico giurato del barone des Francs, che credeva con i suoi favori di poter sposare quell’amabile ragazza e siccome la vedeva molto pia e zelante nei confronti della fede finse di essere cattolico per portare a buon fine il suo progetto. Ma la santa Vergine non abbandonò la sua diletta figlia e ottenne per lei da Dio una tale luce che le permise di poter leggere nel cuore di quel gentiluomo che in realtà non professava la fede cattolica. E sebbene fosse di bello e gentile aspetto esteriore non poté avere che dell’avversione per quel corteggiamento, avversione causata dall’intelligenza che Dio le dava del fatto che il cuore di quel pretendente non condivideva la sua stessa fede. Questa contrarietà aumentava quanto più vedeva nel Poitou tanti monasteri, chiese e cappelle in rovina, profanate e bruciate dagli ugonotti. Lei stessa ci ha detto spesso con grande semplicità che provava un tale rimpianto nel vedere le chiese in quello stato pietoso che non poteva fare a meno di piangere e talvolta non osava levarsi il velo per non far capire che aveva pianto. E tutti cercavano di capire perché fosse così infelice a casa di suo cognato. Lei oppose sempre il suo rifiuto categorico a sposare quel giovane dicendo ingenuamente al barone che avrebbe preferito una prigione eterna piuttosto che l’abitazione di un ugonotto e mille morti consecutive piuttosto che essere legata in matrimonio a qualcuno ostile alla Chiesa cattolica. Questa fermezza l’ha fatta molto soffrire, ma sempre con molta prudenza e contegno. Questo giovane infine avendo perso la speranza di poter far vacillare la costanza di quell’amabile ragazza si tolse la maschera dell’ipocrisia e dichiarò apertamente di essere ciò che era e anche tra i più convinti. La nostra Beata Madre non vedeva l’ora di tornare a Digione a causa dei corteggiamenti importuni che doveva subire, i quali erano graditi al barone suo cognato ma non al presidente Frémyot che, per una felice combinazione, la fece rientrare quando meno se lo aspettava. Si separò da sua sorella con grande dispiacere: avevano vissuto insieme in profonda unione ed intelligenza dei cuori, senza mai avere discussioni. Inoltre, essendo la sorella maggiore, Giovanna Francesca le obbediva come 24 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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avrebbe fatto a sua madre. Di ritorno a Digione, in mezzo alle oneste libertà e ai divertimenti concessi alle signorine della sua condizione, fu chiesta più volte in matrimonio; si comportò con saggezza e modestia con i suoi pretendenti e sposò in pieno la volontà di suo padre, nel cui animo era penetrato il barone di Chantal che aveva guadagnato la sua benevolenza e la sua stima fin dai tempi della Lega per il suo valore e la sua fedeltà al re 7. Fu a questo gentiluomo che la nostra Beata Madre fu data in sposa; lei aveva circa vent’anni e il barone ventisette o ventotto e fu uno dei matrimoni meglio riusciti che si siano mai visti, essendo entrambi dotati nel corpo e nello spirito di amabili qualità e di grande nobiltà 8. Lei era alta, con un portamento generoso e maestoso, il viso ornato della grazia di una bellezza tutta naturale, molto attraente, senza artificio né mollezza. L’umore era vivace e gaio, lo spirito pronto e schietto, il giudizio solido. Non vi era nulla in lei di mutevole né di leggero. Insomma era, come fu poi soprannominata, la donna perfetta e fu con grande dispiacere che la si vide lasciare Digione per andare a vivere a Bourbilly 9, dove si trovava la residenza del barone di Chantal. 7 Il padre del barone di Chantal, Guy, era figlio di Christophe de Rabutin, nato agli inizi del XVI secolo, nel 1500 o nel 1501, e morto nel 1569; Christophe fondò la cappella di Bourbilly e fu padre di sei figli. Guy de Rabutin, suo terzo figlio, nato nel 1532, e suocero di santa Giovanna di Chantal, fu il primo della sua famiglia a portare il titolo di barone di Chantal. Era uomo dal carattere audace e molto severo. 8 Christophe de Rabutin-Chantal aveva un carattere calmo e modesto. La sua dolcezza era inalterabile. A Fontaine-Française (1595) si coprì di gloria sotto gli occhi di Enrico IV. In quell’occasione ricevette diverse ferite. La sua abnegazione alla causa del re legittimo lo aveva messo in relazione con Benigno Frémyot, presidente del parlamento di Digione. 9 Il vecchio castello di Bourbilly si trovava nella parrocchia di Vic-Chassenay, tra il borgo di Epoisses e Semur, capitale dell’Auxois. La terra di Bourbilly, rinomata per il suo aspetto ridente e pittoresco e per l’abbondanza dei raccolti, era data ai figli maschi del ramo primogenito dei Rabutin. Essa dipendeva da quella di Époisses, di cui erano proprietari i conti di Guitaut. Bourbilly si trova in un vallone rivestito di prati e circondato da ogni parte da colline coperte di boschi e di vigne. Dalla cima di una roccia un fiumiciattolo (il Senain) precipita con una cascata nel vallone, lo attraversa, vi si divide, diffonde la sua freschezza e con le sue acque limpide alimenta un antico mulino. Il castello, composto di torri e di mura gotiche, formava un quadrato, al cui centro era un grande cortile. In sale immense si vedono ancora antichi camini rivestiti di sculture e soffitti ricchi di pitture semicancellate che rappresentano lo stemma dei Rabutin. Un bel ritratto a olio della signora di Chantal ha resistito ai danni del tempo. L’entrata del castello era chiusa da un ponte levatoio dominato da una torre (M. de Saint-Surin).

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IV.

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LA SUA CASA DI CAMPAGNA E COME SE NE PRENDEVA CURA

Finite le visite e le feste, il barone di Chantal, che aveva offerto tutto il suo cuore alla sua sposa, volle anche incaricarla della cura della sua casa che non era cosa da poco. Lei non ne era molto felice perché conosceva le noie e i problemi solo per sentito dire; inoltre le dispiaceva molto dover sacrificare la sua innocente libertà per curarsi delle incombenze derivanti dalle faccende domestiche. Il barone di Chantal, uomo molto saggio, le disse un giorno molto seriamente che bisognava che lei si adattasse a portare questo fardello, in quanto una buona moglie edifica la sua casa, mentre quelle che la disprezzano rovinano anche le dimore più ricche. Per convincerla a farsene carico le offrì come esempio la defunta baronessa di Chantal, sua madre, donna di incomparabile virtù, costanza e generosità. Era una giovane di ottima famiglia, educata al seguito di una delle prime principesse di Francia e, di conseguenza, abituata a vivere ben lontana dalle incombenze domestiche. Nonostante ciò quando sposò il signore di Chantal, padre del marito di Giovanna Francesca, accorgendosi che stava entrando in una casa non facile da gestire, se ne prese una tale cura che in breve tempo mise ordine ovunque. Questa donna era un modello di virtù che della vita di corte aveva conservato solo l’onore e la civiltà. Volendola Dio rendere un esempio di pazienza, permise che le venisse un cancro al seno così maligno che le divorò tutto il petto, scendendo nel braccio fin sotto le costole. Il rispetto che portava a suo marito fece sì che non parlasse mai del suo male e escogitò, con il pretesto di avere dolore allo stomaco, di portare la notte delle brassières ben strette e allacciate davanti. Ogni mattina la sua domestica le portava dei panni bianchi puliti ma non ritirava mai quelli sporchi, poiché lei, rimasta sola nella sua stanza, si medicava da sola, 26 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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mettendosi di solito delle fettine di carne fresca sul tumore per far sì che fosse divorata quella carne e non la sua. Sopportò quel male per diversi anni con tanta sottomissione alla volontà di Dio e con tale coraggio che nessuno se ne accorse. Spesso si capiva che aveva pianto senza però conoscerne la causa. Un giorno il barone di Chantal suo figlio osò chiederle: «Signora, fino a quando dovrò rattristarmi nel vedervi afflitta senza conoscerne la ragione?». E lei rispose: «Ah, figlio mio, cosa volete che vi dica? Sono una carogna vivente, ma Dio vuole così». Mai più osò interrogarla sulle ragioni della sua tristezza. Infine, vedendo che quel male la stava divorando fino ai fianchi, un giorno che il signore di Chantal era partito per un viaggio, fece venire dei medici e dei chirurghi e rivelò loro quel male che non poteva più nascondere, pregandoli che se avevano un rimedio si sbrigassero ad applicarlo. Si meravigliarono molto della pazienza di quella donna quando videro quel terribile male, la cui cura non vollero intraprendere senza il consenso del marito, che mandarono subito a cercare. Al suo arrivo nessun uomo fu più stupito di lui, né donna più serena di lei: «Signore – gli disse – vi chiedo scusa per avervi celato il mio male; fino ad oggi ho creduto di fare bene praticando la pazienza cristiana e soffrendo in segreto con il mio Dio. Ma ora temo di poter essere accusata di omicidio contro me stessa se non mi lascio curare». Il signore di Chantal, biasimando nelle lacrime il suo silenzio, volle portarla a Parigi per metterla nelle mani dei medici del re. «No, Signore – disse –, bisogna solo che permettiate ai medici di qua di fare ciò che possono, dopo Dio farà ciò che vorrà». Volevano legarla al letto perché i rimedi erano cruenti e dolorosi, ma lei non volle perché diceva che la ragione e il timore di Dio sono i legami più forti che una donna cristiana può avere; non temeva nulla infatti perché era abituata alla sofferenza grazie alla contemplazione del crocifisso. Il chirurgo cominciò a fare il suo lavoro, tagliò via tutta la carne corrotta e marcia arrivando fino alla carne viva. Poi le si applicò ovunque il fuoco. Mentre veniva svolta questa dolorosa operazione quella donna generosa, con gli occhi fissi al cielo, non si ritrasse mai né disse mai una parola che rivelasse il dolore atroce che stava provando. Dopo questa cura la carne ricrebbe e credette di essere completamente guarita. Ma, poiché i chirurghi avevano lasciato un 27 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tumore grosso come mezza nocciola vicino ad una costola che non avevano osato tagliare per timore di offendere le parti interne, quando il resto del male fu guarito quella costola cominciò a putrefarsi e nell’arco di un anno portò quella donna all’altro mondo, molti anni prima che suo figlio si sposasse. La Beata Madre fu toccata a tal punto dal racconto della virtù della suocera che, pur nel rimpianto di non averla conosciuta, decise da quel giorno di farsi sua imitatrice e senza più lamentarsi si fece carico degli affari e della cura della sua casa.

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V.

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COME SI COMPORTAVA CON LA SUA FAMIGLIA E L’ORDINE CHE MISE ALL’INTERNO DELLA SUA CASA

Si cinse i reni di forza e fortificò le sue braccia per assumere il carico della casa, nella quale, come in qualunque dimora retta da un uomo, trovò molto disordine. Bisogna dire infatti che il signore di Chantal padre abitava da solo a Montelon, mentre suo figlio viveva a Bourbilly, sprecando così molti soldi. Quella donna diligente onorò molto suo marito e incominciò con gioia e generosità di occuparsi della casa. La prima cosa che ordinò fu che si dicesse di nuovo la messa tutti i giorni nella cappella del castello. Poi mise ordine nella gestione ordinaria e nei salari dei servitori e delle domestiche con uno spirito tanto ragionevole che accontentò tutti. Ordinò che tutti i fattori, gli esattori e i sottoposti con i quali si doveva trattare si rivolgessero a lei immediatamente e per qualunque cosa 10. Le regole che diede alla sua famiglia le diede pure alla sua persona. Infatti, vivendo in campagna e in una casa con grandi spese, non volle, come le signore mondane, dar sfoggio di oro e di seta, ma, come una donna forte, si accontentò del lino e della lana e non si fece più fare abiti con stoffe preziose. Quando doveva partecipare alle feste indossava i vestiti di quando era ragazza o quelli del corredo. In tutte le altre occasioni portava solo del cammellotto 11 o della stamina, ma sempre con tale proprietà, grazia e buona creanza che sembrava molto più elegante di tante altre donne che rovinano le loro famiglie pur di indossare tanti fronzoli. Dal giorno in cui cominciò ad occuparsi della sua 10

Lavorò incessantemente al pagamento dei creditori, a ricordare ai domestici il timore di Dio, istruendoli lei direttamente e obbligandoli ad assistere alla preghiera della sera e del mattino. (Dalle deposizioni della Madre Madeleine Favre de Charmette). 11 Ndt: «Cammellotto o cambellotto: tessuto di lana» (T. De Mauro, Il Dizionario della lingua italiana).

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casa si abituò ad alzarsi di buon mattino e aveva già messo tutto in ordine e mandato i servi al lavoro quando si alzava suo marito. Tutti i giorni ascoltava la messa con i suoi nella cappella del castello, ma alle feste e alla domenica, per edificare il vicinato, andava in parrocchia, benché fosse abbastanza lontana. Talvolta il Barone di Chantal voleva trattenerla a casa dicendole che adempiva ugualmente al comandamento della Chiesa ascoltando la messa in cappella, ma lei gli rispondeva che la nobiltà deve dare l’esempio ai contadini assistendo al servizio divino; inoltre diceva che provava una grande soddisfazione ad adorare Dio insieme al popolo. In questo modo non solo non si lasciava fuorviare 12, ma persuadeva anche il marito e i loro ospiti ad andare in parrocchia. Quando il signore di Chantal voleva andare a caccia di buon mattino, in estate o nei giorni di festa, stava molto attenta che lui e la sua compagnia sentissero la messa prima di partire. Da sempre aveva avuto questa attenzione a vegliare che nessuno la perdesse, anche nei giorni feriali. A parte ciò non sembrava appartenere alle persone più devote, anzi si lamentava spesso della sua poca devozione che si limitava all’osservanza dei Comandamenti divini e della Chiesa, ad accontentare il marito e a dedicarsi agli affari di famiglia. La sua lettura abituale era La Vita dei Santi e talvolta gli Annali di Francia o altre storie morali. Quanto ai libri cattivi non li lesse mai né li sopportò mai in casa sua, tanto che ne fece bruciare diversi. L’opera di misericordia alla quale fu più attenta durante gli anni del suo matrimonio fu la carità verso i poveri. Una volta in confidenza disse che chiedeva più liberamente per sé al Signore solo dopo aver fatto l’elemosina ad un povero. L’anno della grande carestia la sua umanità raggiunse l’apice, perché tutti i giorni dava in elemosina della minestra e del pane a tutti coloro che si presentavano ed erano sempre tantissimi. I poveri venivano da lontano per cercare il loro pane quotidiano presso questa amorevole signora che lo distribuiva personal-

12 Ndt: «Elle ne se laissait pas divertir»: Nel XVII secolo il significato del termine “divertir” era ancora molto vicino a quello latino, e cioè “divergere, far deviare”. All’inizio del secolo il Thrésor di Nicot (1621) menziona addirittura solo questa definizione, e non registra neanche il lemma “divertissement”: «Divertir aucun et le destourner de son propos ou entreprinse» (Thresor de la langue françoise tant ancienne que moderne [D. Douceur, Paris 1621], Editions A. et J. Picard et Cie, Paris, 1960).

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mente tutti i giorni. E affinché ciò fosse fatto con ordine fece costruire nel cortile un’altra porta per far entrare i poveri dall’una e uscire dall’altra quando avevano ricevuto l’elemosina. Alcuni, dopo averla varcata, facevano il giro del castello e ritornavano alla porta d’entrata riuscendo così a prendere due o tre volte consecutive la porzione. La loro benefattrice conosceva molto bene questa astuzia ma non aveva mai il coraggio di mandarli via e pensava tra sé: «Dio mio, tutti i momenti sono a mendicare alla porta della vostra misericordia; non vorrei esser cacciata alla seconda o alla terza volta. Mille e più volte sopportate benignamente la mia importunità; non dovrei io sopportare quella delle vostre creature?». Prendeva lei stessa le scodelle dei poveri e le riempiva di minestra dando loro al tempo stesso il pane che era tagliato e messo dentro a cesti. Oltre a questa comune e pubblica carità provvide anche alle necessità di tante rispettabili famiglie che si vergognavano di chiedere, inviando loro ogni giorno segretamente un pane intero di una certa grandezza o mezza pagnotta, a seconda del numero dei membri. Quando questa devota nutrice dei poveri ebbe per molto tempo allungato il pane agli affamati e nutrito i piccoli, poiché non aveva che la provvista ordinaria di grano, andò a visitare i suoi granai per vedere se poteva continuare la sua carità. Trovò che non rimaneva che un solo barile di farina di frumento e ben poca segale, molto buona nell’Auxois. Non si stupì affatto ma sentì il desiderio di affidarsi a Dio, il quale provvide ai suoi bisogni e la farina di frumento e la segale si moltiplicarono per i sei mesi che durò ancora la carestia, permettendole così di continuare a fare la carità. E quando Dio ristabilì la buona sorte, i domestici andarono a vedere meravigliati quel mucchietto di grano che nessuno pareva avesse toccato da quando era venuta la loro padrona. Lo abbiamo sentito raccontare da qualcuno di loro come un vero miracolo e avendo scongiurato la nostra Beata Madre di dirci come era accaduto ce lo raccontò così come abbiamo appena fatto, aggiungendo con umiltà che lei aveva sempre attribuito questa grazia alla grande virtù e devozione di una sua domestica chiamata Jeanne, alle cui preghiere lei spesso si affidava 13. 13 Questo altro miracolo pare sia avvenuto in un’occasione diversa: «Fece distri-

buire tutto il grano fino a far scopare il granaio ad una domestica per dare gli ultimi resti ai poveri. Quella serva di Dio ordinò di continuare a fare l’elemosina a due o tre

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Bandiva severamente il vizio dalla sua casa, ma era estremamente benigna verso coloro i cui errori non erano commessi con malizia e aveva un’abilità particolare nell’addolcire l’animo di suo marito quando vedeva che si arrabbiava o voleva punire troppo affrettatamente qualcuno. A questo proposito suo marito le diceva spesso: «Se io sono troppo sollecito voi siete troppo caritatevole». Talvolta faceva mettere dei contadini nella prigione del castello, molto malsana a causa dell’umidità. Se si trattava di soggetti troppo esili aspettava che tutti andassero a dormire, poi faceva uscire il prigioniero e gli dava un letto per dormire. L’indomani di buon mattino, per non dispiacere al marito, lo rimetteva in prigione e, andando a dare il buongiorno al signore di Chantal, gli domandava così amabilmente il permesso di aprire a quella povera gente e di rimetterli in libertà che quasi sempre lo otteneva. Segno della sua prudenza e della sua cortesia è il fatto che in otto anni di matrimonio e nove di vedovanza nel mondo non ha quasi mai cambiato i suoi servitori, eccetto due che licenziò per non poter far loro scontare altrimenti alcuni vizi ai quali si erano dati. Non alzava mai la voce con i domestici, né era scontrosa con loro, ma la sua virtù la faceva temere ed amare. Insomma la sua era la casa della pace, dell’onore, della civiltà, della pietà cristiana e della gioia realmente nobile ed innocente.

poveri che si erano presentati al castello, ma la domestica le disse che era sicura che non c’era più nulla nel granaio. Lei le rispose: “Andate, per amor di Dio” e lei partì subito per obbedirle. Restò estremamente sorpresa quando, volendo aprire la porta del granaio, lo trovò così pieno che fece fatica ad entrare». (Dalle deposizioni della madre Madeleine Favre de Charmette).

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VI.

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COME VIRTUOSAMENTE SI COMPORTAVA IN ASSENZA DI SUO MARITO

La gioia di Giovanna Francesca era spesso interrotta dai lunghi soggiorni che il barone di Chantal faceva a corte e fra le milizie 14. Quando se ne andava, la nostra saggia Laodamia 15 gli permetteva di portare via tutti i suoi piaceri, solo non poteva portare con sé il piacere che gli derivava dalle loro conversazioni: Dio aveva reso il loro rapporto così casto e sincero, così vero e reciproco che non ci furono mai tra loro discussioni né volontà discordanti, come hanno assicurato i domestici e la nostra stessa Beata Madre. Quando l’amato marito era assente, non usciva mai dalla sua casa, né faceva alcuna visita, se non quelle alle vicine più prossime. Non si curava più dell’abbigliamento, né di pettinarsi e sistemarsi come faceva di solito per compiacere il marito; e quando la deridevano per questo diceva: «Non ditemi niente; gli occhi ai quali devo piacere sono lontani da qui. Sarebbe inutile che io mi facessi bella». 14 Furono gli ultimi combattimenti contro la Lega e il trionfo di Enrico IV che strapparono il barone di Chantal al suo focolare. «Si distinse particolarmente nella battaglia di Fontaine-Française, dove fu gravemente ferito. Il modo in cui il re parlò di lui al termine del combattimento gli fece molto onore. A quei tempi queste ricompense onorevoli non erano sempre per i più degni ma solo per gli eccellenti» (BussyRabutin). 15 Ndt: Laodamia: figura femminile della mitologia greca, moglie di Protesilao. Quando il marito partì per la guerra di Troia, il giorno stesso delle nozze, si fece modellare una statua a sua immagine per poterla tenere sempre accanto a sé. Venuta a conoscenza della sua morte, supplicò gli dèi di offrire un conforto alla sua disperazione, concedendole di rivederlo un’ultima volta. Plutone e Proserpina permisero all’anima di Protesilao di risalire dagli Inferi per passare tre ore con la moglie, animando il suo simulacro. Ma le ore volarono, e Laodamia, quando vide il marito morire, si pugnalò fra le sue braccia.

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Bourbilly era un castello con ogni sorta di onesto passatempo: giochi, caccia, passeggiate ed era diventato luogo di appuntamento della nobiltà del vicinato e delle migliori compagnie della città di Semur. Quando il signore di Chantal era assente, a casa sua non si parlava più né di giochi, né di caccia, né di compagnie superflue. Se veniva qualcuno a far visita, Giovanna Francesca lo riceveva con civiltà, ma con tanta modestia e riservatezza, soprattutto se si trattava di giovani e questo bastava a far capire loro che non era luogo per cercare passatempi e divertimenti. All’occorrenza diventava anche saggiamente e santamente incivile. Eccone un esempio: c’era un giovane signore, grande amico del barone di Chantal, follemente innamorato di lei. Costui aveva deciso di non darle tregua, sebbene la rara modestia di quella giovane lo teneva in una tale distanza che osava dichiarare la sua passione insana solo con qualche piccola battuta. Quando il signore di Chantal era a casa, quel giovane era sempre lì col pretesto della caccia. Una volta che il barone partì per un viaggio, questo povero innamorato volle tentare la fortuna e andò a trovare la Fondatrice, che lo ricevette in quanto amico del marito. La sera si avvicinava e vedendo che si era lanciato in discorsi volti ad adularla lei, con grande finezza e senza fargli comprendere che aveva capito la passione che lo animava, gli disse che era dispiaciuta che il barone di Chantal non fosse a casa per intrattenerlo e farlo divertire e che lei, senza il marito, era molto triste e non voleva quindi tediarlo con le sue malinconie. Gli disse poi che doveva andare da una vicina e che gli avrebbe lasciato in casa dei domestici per servirlo. Fu così che montò a cavallo e andò a dormire altrove. Per parte sua il povero gentiluomo se ne andò così confuso e stordito dallo splendore di tanta virtù che non osò mai più avvicinarsi a quella virtuosa donna in assenza del marito. La Beata Madre ha lei stessa detto in confidenza che non appena il signore di Chantal si assentava il suo cuore e tutti i suoi affetti si volgevano verso Dio. Era infatti devotissima: «Quando non vedevo mio marito ero attratta nel mio cuore dal Signore; ma ahimè! Non ne sapevo approfittare, né sapevo riconoscere la grazia che Dio mi offriva e rivolgevo tutti i miei pensieri e le mie preghiere per favorire la salute e il ritorno del barone di Chantal». Quando il marito ritornava la compiacenza perfetta che lei aveva per lui faceva sì che dimenticasse 34 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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le devozioni, dedicando molto meno tempo a Dio e alla preghiera. Gli amici riprendevano a frequentare quella casa e fra queste distrazioni tutto ritornava come prima. Continuò così fino al 1601; quell’anno, in assenza del marito, fece grandi promesse a Dio che anche al suo ritorno sarebbe rimasta fedele alle devozioni. All’inizio del 1601 il signore di Chantal si ritirò dalla corte per non essere costretto ad obbedire a qualcosa che trovava ingiusto. Al momento di partire l’uomo, che aveva un’eccellente vena poetica, scrisse una canzone d’addio alle dame di corte. Nell’ultima strofa affermava che il pensiero della virtù di sua moglie incideva nel suo animo il disprezzo per le vanità della corte. In effetti, se fosse restato, sarebbe stato nominato maresciallo di Francia, in virtù anche della considerazione di cui godeva il presidente Frémyot suo suocero. Ma Dio aveva altri progetti. Rientrò a casa affetto da dissenteria. Colei che tanto lo amava in salute, gli testimoniò altrettanto amore in questa grave malattia. La sua unica passeggiata era dalla cappella al capezzale del malato. Quasi tutti i giorni quelle due anime discorrevano a lungo del disprezzo di questa vita e della grande felicità che deriva dal servire Dio lontani dal rumore del mondo. Il malato, poiché si sentiva più prossimo alla fine e il suo pensiero si rivolgeva spesso all’eternità, volle che si facessero una promessa reciproca. Chi per primo fosse stato reso libero dalla morte dell’altro avrebbe consacrato il resto dei suoi giorni al servizio di Dio. Il cuore di Giovanna Francesca non poteva sentir parlare di divisioni e ogni volta che veniva intavolato il discorso sulla morte cercava di sviarlo. Dopo cinque o sei mesi di letto il barone si riprese. Tornarono l’appetito e il sonno, ma una notte, mentre riposava, sognò che per un incontro inaspettato qualcuno tingesse il suo abito di porpora e si vide vestito come un cardinale. Il mattino raccontò il suo sogno alla Beata Madre aggiungendo, in accordo con il suo spirito militare, che ciò voleva dire che sarebbe stato ferito in battaglia e che il suo sangue avrebbe tinto i suoi abiti. Lei, che aveva lo spirito generoso e ben lontano da quelle fantasie popolari che credono ai sogni, si mise a ridere. «Veramente – disse – io ho sognato che indossavo una grande fascia nera come una vedova; ma credo proprio che ciò sia stato causato dalle preoccupazioni che ho avuto quando eravate malato, ecco perché non do ai segni alcun credito». Il barone, che Dio stava preparando alla sua prossima dipartita da 35 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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questo mondo, le rispose solo con un’occhiata devota rivolta al cielo. La sua salute migliorava di giorno in giorno e, sebbene lo si credesse ben lontano dalla tomba, in realtà, senza saperlo, la stava toccando con la punta delle dita.

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VII.

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COME IL BARONE DI CHANTAL FU FERITO A CACCIA E LA SUA FELICE MORTE

Potremmo quasi dire che la buona salute del barone sia stata la causa della sua morte. Infatti un suo parente e intimo amico lo andò a trovare per felicitarsi con lui della sua ripresa e in quell’occasione lo convinse molto innocentemente ad andare a caccia in un boschetto lì vicino per svagarsi un po’ e prendere dell’aria buona. Il barone, che amava molto l’arte venatoria, si lasciò persuadere molto volentieri. Andarono a piedi a fare quella che in Francia si chiama “la trappola”. Si appostarono in attesa della bestia, avevano gli archibugi carichi e ben stretti e il cane pronto per la punta. Il barone di Chantal disse all’altro che stesse attento ai rami dei cespugli. Ora non si sa se sia stato a causa di una casacca da caccia del colore del pelo di una cerva che portava il barone o se in effetti un ramo fece scattare involontariamente il suo archibugio, fatto sta che un colpo fatale ferì a morte il povero barone, il quale a causa di questo incidente si vide rivestito del suo sangue color porpora. Questo colpo funesto gli spappolò la coscia e gli ficcò dei proiettili e dei pallini nelle anche: «Sono morto, disse, cugino mio e amico mio. Ti perdono per quello che hai fatto, perché è stato un incidente». Dopo questo pacato e generoso perdono inviò quattro servitori in quattro diverse parrocchie affinché, se non avessero trovato il parroco in una lo avrebbero certamente trovato nell’altra: voleva infatti confessarsi e ricevere i sacramenti. Ne inviò un quinto da sua moglie, a cui disse però: «Non fatele capire che sono ferito a morte, ditele solo che sono stato colpito alla coscia». Quel messaggero trovò la baronessa a letto, avendo partorito l’ultima figlia da soli quindici giorni. Non appena le comunicarono quel doloroso messaggio lei esclamò: «Ah, mi stanno indorando la pillola!», e alzandosi velocemente corse verso quel caro ferito che era stato 37 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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trasportato e coricato a letto in una casa del villaggio vicino. Non appena la vide, lui le disse: «Mia cara, la decisione del cielo è giusta: bisogna accettarla, bisogna morire… – No, no disse lei, bisogna cercare di guarire. – Sarebbe inutile, disse il malato». Lei volle pronunciare qualche parola sull’imprudenza di colui che aveva sparato quel colpo funesto: «Ah, – le disse lui – onoriamo la celeste Provvidenza, consideriamo questo colpo da più in alto!…». Quell’uomo generoso, dallo spirito pacato e rassegnato, si informò se il prete fosse arrivato; ne arrivò uno che lo confessò. Che cosa ammirevole la costanza di certi cuori grandi!… Quel malato parlava della ferita e della sua prossima morte come se riguardasse qualcun altro. Da lontano scorse colui che lo aveva ferito, il quale andava avanti e indietro come un disperato. Alzò la voce e gli gridò: «Cugino mio e amico mio caro, questo colpo è partito dal cielo prima che dalla tua mano. Ti prego: non peccare detestandoti per un’azione che non è affatto peccaminosa; ricordati di Dio e che sei cristiano!…». Sicuramente senza quell’incoraggiamento quello sfortunato gentiluomo si sarebbe ucciso conficcandosi la spada nel petto per vendicare tragicamente su se stesso la drammatica morte dell’amico. I medici arrivarono abbastanza rapidamente. La povera baronessa, afflitta, disse loro senza mezzi termini: «Signori, bisogna guarire il barone di Chantal». Il paziente udì quelle parole dal letto e replicò sorridendo: «Se ciò non piace al medico del cielo costoro non potranno nulla». Lo portarono a casa sua dove non si lasciò nulla di intentato per guarirlo. La moglie premeva insistentemente sui medici, i quali, temendo per la vita del barone, non osarono fargli un’incisione sui fianchi per estrarre le pallottole, che, invece, si conficcarono ancora più in profondità e intaccarono degli organi vitali. A quel punto non c’era più alcuna speranza di salvarlo. Il malato si era completamente abbandonato alle mani di Dio e esortava la sua cara sposa a fare la stessa cosa, dicendole spesso che la volontà divina è il solo bene del cristiano e chiedendole di accettare con pace e sottomissione la sua morte. Il dolore di quella donna era talmente grande che non riuscì mai a far pronunciare al suo cuore il sì di quella rassegnazione, ma usciva di nascosto dalla camera del malato e andava a gridare il suo dolore in un luogo appartato: «Signore, prendete tutto quello che ho al mondo, parenti, beni e figli, ma lasciatemi questo diletto sposo che mi avete donato». Offriva a Dio l’accessorio 38 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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e teneva per sé la cosa principale, ma la celeste Provvidenza aveva deciso di fare diversamente. Quel cavaliere coraggioso e virtuoso morì nel fiore degli anni, nove giorni dopo essere stato ferito, dopo aver compiuto tutti gli atti di pietà degni di un religioso e munito di tutti i sacramenti. Pregò più volte che non fosse intrapresa alcuna azione giudiziaria contro chi lo aveva colpito e pronunciò queste belle parole: «Sinceramente lo perdono per questo colpo funesto; io, con la malizia dei miei peccati, ho colpito Gesù Cristo a morte». Esortò di nuovo la sua diletta sposa a frenare i rimpianti e a perdonare il suo assassino innocente 16; inserì nel suo testamento che avrebbe diseredato quello dei suoi figli che avesse voluto vendicare la sua morte 17. Mentre quel gentiluomo coraggioso spirava, suo padre, che era poco lontano da Bourbilly e malato, vide passare nella sua stanza una legione di giovani dall’aria gentile e vestiti angelicamente che stavano conducendo in un posto lontano il barone di Chantal. Quest’ultimo, avvicinandosi a lui, gli diede un colpetto sulla spalla come per dirgli addio. Il vecchio si svegliò piangendo e disse: «Mio figlio è morto». Subito partì uno dei suoi uomini, che ne incontrò un altro lungo il cammino che stava venendo ad annunciare proprio quella notizia. Quando si seppe l’ora del decesso ci si accorse che coincideva con il momento in cui il padre aveva avuto quella visione. Non vogliamo qui far l’eco e ripetere i rimpianti e i sospiri di colei che era rimasta vedova all’età di ventotto anni e dopo solo otto anni di matrimonio. Aveva avuto da lui sei figli, di cui due erano morti alla nascita e quattro ancora molto piccoli. Organizzò la cerimonia funebre con tutti gli onori e dimostrò grande coraggio, ma vi furono 16 Ordinò che il suo perdono fosse scritto sui registri della parrocchia. (Dalle deposizioni della Madre Fr. Madeleine Favre de Charmette). 17 Nelle diverse versioni della Vita di santa Giovanna di Chantal che sono state pubblicate si dice che la morte del marito fu causata dal colore simile al pelo del ventre di una cerva di ciò che indossava. Ecco invece come il conte di Bussy-Rabutin, suo parente prossimo, la racconta nella sua Généalogie manuscrite de la maison de Rabutin: «Era appena guarito con molta difficoltà da una malattia al fegato; quando cominciò a sentirsi meglio riprese ad andare spesso a caccia. Un giorno era con d’Anzely, sieur de Chaselle, suo vicino, parente e buon amico, ognuno col suo archibugio sulla spalla (poiché allora si usavano ancora molto poco i fucili). Il grilletto di de Chaselle scattò e ferì Christophe al ventre. Morì otto giorni dopo mostrando una fermezza e un’accettazione della volontà di Dio degne del marito di una santa». (M. de Saint-Surin).

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fiumi di lacrime incredibili 18. Portò molto austeramente il lutto e riconobbe che quella fascia funebre che aveva sognato non era un semplice sogno, ma un avvertimento celeste per preparare il suo cuore a quella croce, e dico proprio croce, poiché da quel momento in poi fu crocifissa al mondo e il mondo fu a lei crocifisso.

18 Dopo la morte del marito la baronessa di Chantal tenne a battesimo un figlio di colui che l’uccisione di suo marito doveva renderle insopportabile.

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VIII.

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IL GRANDE DOLORE. COME SI COMPORTÒ NELLA VEDOVANZA

Tutte le azioni di quella vedova afflitta gridavano a gran voce: chiamatemi Mara poiché l’Onnipotente ha riempito il mio cuore di amarezza. Le lacrime che scorrevano lungo le sue guance non cadevano a terra, ma salivano al cielo dove erano accolte; Dio si impadronì a tal punto del suo cuore che, nella vedovanza, esso si rivolse totalmente a Dio e gli consacrò tutto il suo amore. Ricevette una luce quasi impercettibile nello spirito che le fece capire che Dio l’aveva ferita solo per guarirla e spesso aveva nel cuore e sulle labbra queste parole: «Dio fa tutto per misericordia». Il suo spirito si era molto rasserenato nell’abbandono alla volontà di Dio e, sebbene la sua amarezza fosse accompagnata dalla pace, le risultava pur sempre amarissima. Trovava un certo appagamento nell’andare a passeggiare da sola in un boschetto vicino a casa sua: lì poteva aprire il suo spirito e lasciar sgorgare le sue lacrime davanti al Signore, che, avendola destinata, come un’altra Giuditta, a tagliare la testa all’Oloferne del mondo, le ispirò sentimenti santi: decise di far voto di castità e pregava più che poteva in segreto il suo Signore. Le nostre prime Madri e sorelle le chiesero più volte che spiegasse loro come Dio fosse riuscito ad attrarla tanto a Lui allontanandola dal mondo. Dopo aver molto insistito soddisfece il loro desiderio di conoscenza e scrisse proprio queste parole: «Quando piacque alla sovrana provvidenza divina di rompere il legame che mi teneva attaccata al mondo, mi mostrò nel contempo il nulla di questa vita e fece nascere in me un desiderio immenso di consacrarmi interamente a Dio. Da allora feci voto di castità. Già qualche tempo prima di rimanere vedova ero stata tanto attirata da Dio a servirlo, sia con i buoni sentimenti, sia con delle tentazioni e delle tribolazioni che mi 41 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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facevano rivolgere a lui. Ora malgrado questo vivevo cristianamente la mia vedovanza, allevando virtuosamente i miei figli. Ma qualche mese dopo, oltre al grande dolore che provai per la vedovanza, piacque a Dio di permettere che il mio spirito fosse agitato da tante diverse e violente tentazioni che, se la sua bontà non avesse avuto pietà di me, sarei senz’altro perita nel furore di quella tempesta che non mi dava tregua e mi prosciugò a tal punto che ero quasi irriconoscibile. In mezzo a tutte queste sofferenze il Signore aumentò in me il desiderio di servirlo. Il fascino che Dio esercitava su di me era così grande che avrei voluto lasciare tutto e andarmene nel deserto, allontanandomi dagli ostacoli esteriori: credo che se il legame con i miei quattro bambini non mi avesse trattenuto per obbligo di coscienza, sarei scappata in incognito in Terrasanta per finire là i miei giorni. Sentivo un desiderio inspiegabile di conoscere la volontà di Dio e di seguirla qualunque cosa dovesse accadere e quel desiderio era talmente grande che mi consumava e mi divorava tutta dentro. Il mio cuore, per un desiderio tutto interiore, richiedeva sempre (in un modo che mi è difficile descrivere) che la volontà di Dio si manifestasse a me totalmente. Tutto ciò non alleviava le tentazioni; al contrario, questa attrazione interiore me le rendeva ancor più insopportabili in quanto mi ero accorta che mi impedivano di amare e di servire il Signore secondo il desiderio pressante e continuo che lui mi faceva provare». Queste sono proprio le parole della nostra Beata Madre. Coloro che le erano vicino, vedendola dimagrire e sempre immersa in una costante solitudine, nel silenzio e nelle lacrime, e non sapendo ciò che stava accadendo dentro di lei, credevano che si trattasse sempre del dolore per la perdita del marito che la manteneva in quello stato. E benché la sofferenza per la vedovanza fosse grande, essa in realtà non era che una minima parte del suo tormento che, poiché solo Dio lo conosceva, non poteva essere alleviato dalle altre creature. Si cercava di non lasciarla mai sola, di parlarle e di farla svagare ma tutto ciò la importunava molto. Le dame del vicinato che l’amavano profondamente si prendevano cura di andarla a trovare; le zie e le cugine di Digione a turno trascorrevano dei periodi con lei a Bourbilly, pensando di fare un’opera buona svagandola, mentre avrebbero fatto meglio a lasciarla sola con il Signore. La sera, quando 42 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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quella casta tortorella 19 si ritirava nella sua camera: «Ahimè! diceva talvolta alle sue figlie, perché non mi lasciano piangere quanto mi pare! Credono di alleviare il mio dolore e in realtà mi martirizzano…». Si metteva in preghiera nel suo oratorio, versava fiumi di lacrime tanto che si dimenticava di coricarsi se le figlie non andavano a chiamarla. Talvolta, quando tutte si erano ritirate, si alzava e passava parte della notte in preghiera. Quando le domestiche se ne accorsero cominciarono a vegliare a turno per far ritornare a letto la loro padrona che non trovava altro piacere sulla terra che quello di gridare a Dio, come una rondine affamata di perfezione, e meditare in sua presenza come una tranquilla colomba.

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Ndt: «Chaste tourterelle»: anche se questo linguaggio appare oggi un po’ ingenuo, riteniamo sia importante rispettarlo, per permettere anche al lettore moderno di gustare una lingua che conserva intatto ancora tutto il suo fascino.

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IX.

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IL GRANDE DESIDERIO CHE AVEVA DI ESSERE GUIDATA SULLA STRADA DELLA PERFEZIONE. LA SUA RICHIESTA A DIO DI UN DIRETTORE SPIRITUALE

Qualche mese dopo la morte del marito, Giovanna Francesca distribuì alle parrocchie vicine tutti gli abiti del barone e anche i propri per essere usati come ornamento dell’altare. Infatti non voleva altra veste nuziale se non quella che è richiesta per entrare al banchetto del cielo e alle nozze dell’Agnello. Congedò con onesti compensi i servitori del marito, mantenendo per sé e i suoi quattro figli una modesta organizzazione conforme alla vedovanza 20 e alla vita che voleva condurre. Riorganizzò anche la sua vita personale: le ore che era solita dedicare, per compiacere il marito, alla caccia, al gioco e alle amicizie le impiegò invece nella preghiera, nella lettura e nelle opere buone. Un giorno, mentre era in preghiera, Dio le fece sentire un desiderio così ardente di avere un direttore spirituale che le insegnasse la perfezione e la volontà di Dio, che iniziò a chiederlo incessantemente. «Ahimè, disse scrivendo alle nostre prime Madri, desideravo una guida e chiedevo quello che non conoscevo. Infatti, benché fossi stata cresciuta da persone virtuose e sebbene i miei discorsi fossero sempre onesti, non avevo mai sentito parlare di direttore, né di maestro spirituale, né di nulla che somigliasse a questo. Ciò nonostante Dio radicò così profondamente nel mio cuore questo desiderio che iniziai a chiederglielo con una forza ed un’insistenza incredibili; parlavo a Dio come se lo stessi vedendo con i miei occhi, tanto la forza di quel desiderio mi dava la speranza che sarei stata ascoltata. Ricordavo a Dio 20 Ndt: «…un petit train modestement vidual» (il corsivo è nostro). Il Dictionnaire de la langue française di Emile Littré (1872-1877) registra l’aggettivo “vidual” come un termine tratto dall’Introduction à la vie dévote di san Francesco di Sales (III, 40).

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la fedeltà delle sue parole che promettono di non offrire una pietra a chi chiede del pane e di aprire a coloro che bussano alla porta della sua misericordia e altre parole simili che non sapevo da dove mi venissero. Sentivo però che era il Signore stesso a suggerirmi i termini con cui lui voleva che io gli domandassi ciò che la sua bontà desiderava donarmi. Andavo a passeggiare da sola e, come trasportata, gli dicevo, per come mi ricordo, ad alta voce queste stesse parole: «Dio mio, vi scongiuro, per la verità e la fedeltà alle vostre promesse, di mandarmi un uomo come guida spirituale, il quale sia veramente santo e vostro servitore, che mi insegni la vostra volontà e mi indichi ciò che voi desiderate da me e io prometto e giuro davanti a voi che farò tutto ciò che lui mi dirà di ispirato da voi». Tutto quello che un cuore ferito e mosso da ardenti desideri può inventare io lo dicevo al Signore per spingerlo a concedermi quello che gli chiedevo, ripetendogli continuamente la mia promessa, e cioè che avrei obbedito a quel sant’uomo che gli stavo chiedendo con tante lacrime ed insistenza». Queste sono proprio le parole della nostra Beata Madre, la quale non solo pregava e digiunava 21, ma faceva pregare i poveri, le vedove e gli orfani ai quali faceva dell’elemosina secondo quell’intenzione.

21 Usava i flagelli e indossava anche il cilicio. (Dalle deposizioni della Madre Madeleine Favre de Charmette).

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X.

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LE DIVERSE VISIONI CHE EBBE, SIA DEL NOSTRO BEATO PADRE SIA DEI PIANI CHE DIO AVEVA SU DI LEI

All’epoca delle sue più ardenti preghiere, un giorno andò in campagna a cavallo, pregando sempre il Signore in fondo al suo cuore affinché le mostrasse quella guida fedele che doveva condurla a lui. Passando per un sentiero largo al di sotto di un prato in una bella e vasta pianura vide ad un tratto ai piedi di una collina non molto lontano da lei un uomo che assomigliava in tutto e per tutto al nostro Beato Padre Francesco di Sales, vescovo di Ginevra. Indossava una sottana nera, il rocchetto e il copricapo, proprio come le si presentò la prima volta che lo vide a Digione, come diremo tra poco. Questa visione diffuse nel suo animo una grande consolazione e la certezza che Dio l’aveva esaudita. Mentre guardava quell’ammirevole prelato, udì una voce che le diceva: «Ecco l’uomo prediletto da Dio e dagli uomini nelle cui mani tu devi riporre la tua coscienza». Ciò detto, la visione scomparve agli occhi, ma rimase talmente impressa in quell’anima santa che, trentacinque anni dopo, disse in confidenza ad una persona che essa era viva nel suo spirito come il giorno in cui ricevette quel favore celeste, favore che fu seguito da altri. Eccone alcuni di cui abbiamo conoscenza: un mattino, mentre era ancora a letto assopita, si vide su un carro con un gruppo di persone che erano in viaggio. A lei sembrò che questo carro passasse davanti ad una chiesa nella quale vide un gran numero di persone che lodavano Dio con grande giubilo e serietà. Raccontando questo fatto disse: «Volli lanciarmi per unirmi a quella moltitudine benedetta ed entrare dal grande portale della chiesa che era aperto. Ma fui spinta indietro e udii distintamente una voce che mi disse: Bisogna passare oltre ed andare più lontano; tu accederai al sacro riposo dei figli di Dio solo passando attraverso la porta di Saint-Claude. Ero così poco 46 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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devota – aggiunse lei – che non avevo mai pensato a quel santo benedetto, la cui devozione si impresse da allora nel mio cuore e quella visione mi diede nuovamente un grande sollievo, tanto che quando i miei desideri e i miei travagli interiori mi torturavano maggiormente dicevo alla mia anima per consolarla: Pazienta, anima mia, Dio ti ha promesso che saresti entrata nel sacro riposo dei suoi figli attraverso la porta di Saint-Claude. Qualche mese dopo quella visione mi accadde un giorno che tutto il mio essere fosse colto da un’attrazione verso il cielo. Rimasi a lungo in questa contemplazione e dopo mi sembrava di essere tornata da un altro mondo nel quale avevo appreso quest’unica parola che Dio aveva rivolto alla mia anima: Come Gesù mio figlio è stato obbediente, anche voi siete destinata ad essere obbediente. Un’altra volta, nel boschetto vicino al castello di mio suocero a Montelon, fui fortemente assalita da un’attrazione interiore; mi misi a pregare, ma non riuscivo a resistere e desideravo ritirarmi in una chiesa che si trovava nelle vicinanze. Là mi fu mostrato che l’amore celeste voleva consumare in me tutto quello che mi era proprio e che avrei avuto molti travagli sia interiori che esteriori. Il mio corpo fremeva e tremava tutto quando ritornai in me, ma il mio cuore rimase in una grande gioia in Dio, in quanto il patire per il Signore mi sembrava il nutrimento dell’amore sulla terra, come il godere di Dio lo è in cielo. Un’altra volta, nella cappella di Bourbilly, Dio mi mostrò una moltitudine di ragazze e di vedove che venivano verso di me e poi mi circondarono. Mi fu detto: Voi e il mio vero servitore avrete questa discendenza; SARÀ UNA SCHIERA ELETTA, MA VOGLIO CHE SIA SANTA 22. Non sapevo cosa ciò significasse, poiché da quando Dio mi aveva detto che mi destinava ad essere obbediente, non sopportavo più nella mia anima il desiderio di fare una scelta da sola e aspettavo sempre che Lui mi inviasse il sant’uomo che mi aveva fatto vedere, risoluta a fare tutto quello che mi avesse ordinato». Questi favori divini ebbero fine, ma le tentazioni continuavano ad attraversare l’anima della Fondatrice, la quale si spingeva verso il desiderio di perfezione senza altra

22

Ndt: Il corsivo e il maiuscoletto sono dell’originale.

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guida che Dio, poiché viveva in campagna e non poteva parlare con nessuno, né dei suoi beni né dei suoi mali interiori. Bisogna rilevare che se da un lato il Signore, attraverso quelle sante visioni, mostrava alla sua serva fedele colui che aveva destinato a diventare la sua guida, dall’altro rivelava al nostro Beato Padre, in un momento di estasi, nella cappella del castello di Sales, i principi della nostra congregazione e gli fece vedere in spirito colei che aveva scelto come prima pietra fondamentale di quell’edificio. Fu così che quelle due anime sante quando si videro per la prima volta a Digione si riconobbero, come racconteremo a breve.

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XI.

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SI POSE SOTTO LA DIREZIONE DI UNA PERSONA CHE NON ERA COLUI CHE DIO AVEVA SCELTO PER LEI

Il presidente Frémyot, pensando di far piacere alla figlia, non appena trascorse il primo anno di lutto la mandò a prendere per riportarla a Digione. Giovanna Francesca cominciò a versare di nuovo fiumi di lacrime sulle ginocchia di quel buon padre, al quale non osava rivelare la causa principale dei suoi pianti e cioè quella potente avversione per il mondo e quel desiderio cocente di Dio e di obbedienza con cui desiderava dirigere la sua vita. Lo svago principale che cercò a Digione fu quello di visitare i numerosissimi luoghi di devozione in città e fuori. Ovunque domandava a Dio quel sant’uomo che doveva guidare la sua anima. Un giorno andò a Notre-Dame-de-l’Étang, una chiesa di grande devozione poco distante da Digione, e lì vi trovò un religioso e qualche anima devota. Si avvicinò loro ed essi mostrarono grande piacere, poiché lei già godeva di una virtuosa reputazione. Queste persone, figli spirituali di quel buon padre, la invitarono insistentemente ad aprirgli il suo cuore. Accondiscese e si stupì che lui si offrisse a lei come direttore spirituale. «Vedevo chiaramente – disse – che non era colui che mi era stato mostrato; ciò nonostante, spinta dalla necessità di trovare un aiuto contro le mie tentazioni e persuasa da chi mi circondava, mi lasciai convincere, anche se mi sorsero molti timori di essermi sbagliata e che la mia visione non fosse stata che un’immaginazione». Così la Beata Madre come un’umile pecorella e credendo che fosse la volontà del suo Signore, si lasciò trascinare da quel pastore il quale, ben felice di avere tra le mani una simile anima, la legò a sé con quattro voti: primo, che gli avrebbe obbedito; secondo, che non lo avrebbe mai sostituito; terzo, di mantenere il segreto su ciò che lui le avrebbe detto; quarto, di aprire il suo cuore solo a lui. Con questi vincoli Gio49 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vanna Francesca non si trovò legata al dolce giogo soave del Signore, ma anzi essi erano come le maglie di una rete fastidiosa che tenevano la sua anima in trappola, privandola della libertà. Trovava grande difficoltà nel seguire quel buon padre e sentiva un’intima avversione che non l’abbandonava mai e che era causata dal pensiero costante che non era colui che Dio le aveva mostrato. Il suo spirito, che aveva ricevuto da Dio il dono del sentimento della verità, non poteva accettare quella delusione e, spinta dal grande desiderio di trovare una direzione, si era persuasa che quel disgusto provenisse dalla sua poca virtù. La sua anima era più disturbata che diretta dalla voce di quel pastore, il quale, sebbene dotto e virtuoso, non aveva riconosciuto i progetti che il Signore aveva su di lei. Così, volendola dirigere sulle sue vie, la teneva in costante ansietà e le faceva bere l’amara acqua di Mara senza avere l’accortezza di gettarvi dentro la dolcezza che deriva dalla cordiale ed intima devozione e facendola camminare attraverso un arido deserto senza darle la possibilità di cogliervi la manna interiore. Cosa ammirevole! Quel modello di obbedienza era come una statua tra le mani di quel direttore, senza resistenza, né volontà. Non trascurava nessuno dei suoi consigli, sebbene li sentisse contrari ai desideri e alle disposizioni del suo cuore. Quell’uomo oppresse il suo spirito con molte preghiere, meditazioni, speculazioni, azioni, metodi, pratiche e osservanze diverse, con considerazioni ed elucubrazioni estremamente laboriose. Le impose la preghiera nel cuore della notte, dei digiuni e molte altre dure discipline. Era così sottomessa e rispettosa nei riguardi di quel buon padre che non voleva mancare una virgola di tutto ciò che le ordinava e visse in questo martirio per due anni e qualche mese, languendo sempre in quell’ardente desiderio di Dio che però non riusciva a trovare perché non era quella la giusta direzione per far entrare la sua anima in contatto con Lui. Da ciò ella apprese, come confessò poi, quanto è necessario che coloro che dirigono le anime siano capaci di condurle sulle vie del Signore e non su quelle dell’uomo, seguendo quindi la luce dello spirito di Dio e non l’oscura chiarezza dell’intelletto umano; e infine che sappiano comprendere che le vie progettate dal Signore sono tanto diverse per le anime quanto diversi sono i progetti per le creature.

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XII.

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L’AMMIREVOLE PAZIENZA CHE PRATICAVA A CASA DI SUO SUOCERO

Il soggiorno della nostra Beata Madre a Digione non poté essere lungo quanto lei desiderava, poiché dovette rientrare per badare agli interessi dei suoi figli. Ritornò dunque a Bourbilly dove, non appena arrivò, suo suocero, uomo di quasi 75 anni dal carattere severo e malinconico, le scrisse che voleva che lei andasse a vivere con lui, altrimenti si sarebbe risposato e avrebbe diseredato i suoi figli. Giovanna Francesca obbedì all’ordine del suocero aggiungendo così anche quella croce al suo cuore. Andò ad abitare da lui con i suoi quattro figli, vivendo un vero purgatorio di circa sette anni e mezzo 23. Lei, che aveva una rara disposizione innata per dirigere una casa e gli affari ad essa connessi, là non gestiva nulla. Teneva per sé solo ciò che le serviva per vivere molto modestamente, le spese di manutenzione erano tratte dalle rendite di Bourbilly. Quel buon vecchio aveva una domestica alla quale aveva affidato interamente la gestione della sua casa e dei suoi beni. E poiché nulla è più insopportabile di una serva che diventa padrona quella donna era così altezzosa 24 e piena di sé che l’umile nuora non avrebbe mai 23

«Prima di lasciare Bourbilly, dove non tornò se non di passaggio, la serva di Dio fece distribuire ai poveri molte cose che erano nel castello. In quel periodo tre ragazze orfane del villaggio di Corcelles, chiamate le Fondardes, venute a trovare quella donna per ricevere un po’ di elemosina, restarono bloccate lungo il cammino a causa del maltempo. Avendolo saputo mandò qualcuno a cercarle ed ebbe cura di sistemarle. Una la fece salire sulla sua carrozza. Quando quella donna usciva vi era una moltitudine di poveri, vedove, orfani ed altri che piangevano e gemevano pietosamente inseguendo la sua carrozza e dicendo che stavano perdendo la loro buona Madre». (Deposizione di Jeanne Poutiot). 24 Ndt: Per tradurre l’espressione «Cette femme ici était haute à la main» ci siamo serviti dell’edizione del 1694 del Dictionnaire de l’Académie, che registra alla

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osato offrire un bicchiere di vino ad un messaggero senza il suo consenso. La Fondatrice dovette sopportare che quella domestica tenesse a pigione in quella casa cinque dei suoi figli che vivevano al pari di quelli della beata. Sovente quella serva fomentava lo spirito del suocero contro la nuora. Arrivò persino ai rimproveri e alle ingiurie, di cui, per vincere il male con il bene, quella fedele serva del Signore non si lamentava mai 25; e per vendicarsi alla maniera evangelica non perdeva occasione per rendere dei buoni servigi a colei che gliene offriva di così malvagi. Fece anche da maestra e da serva ai figli di quella domestica, insegnando loro a leggere, talvolta pettinandoli e vestendoli con le sue mani. Per Giovanna Francesca era difficile da sopportare la vista di quella donna che dissipava i beni della casa, facendo sprechi incredibili e comportandosi da padrona assoluta. Tentò di porre rimedio a quella situazione, ma vide che ciò provocava nuovi problemi e irritava suo suocero che voleva avere un alto tenore di vita e che tutto fosse gestito da quella serva. Decise di adottare un atteggiamento di profonda pazienza, grazie alla quale teneva a bada il suo animo; in quella casa si riservò un’unica autorità: servire i poveri. A questo scopo tenne per sé una cameretta in disparte allestita come un negozio nella quale teneva acque, unguenti e rimedi per i poveri e i malati che ricorrevano a lei da ogni parte. Dopo aver reso a suo suocero il rispetto e i doveri filiali evitava il più possibile le compagnie e le contrarietà dedicandosi ai suoi figli, alla loro istruzione, alle opere per la chiesa o per i poveri, avendo promesso che tutto il suo impegno sarebbe stato devoluto a quei due fini. Si impegnava in questo con molto rigore tanto che se doveva fare qualcosa per sé o per i suoi figli assegnava quei compiti alla sua domestica per consacrare a Dio tutti i momenti della sua vita. Da che era rimasta vedova la si trovava sempre impegnata a fare qualcosa: anche quando voce «main»: «On dit aussi, qu’un homme est haut à la main, pour dire, qu’il est altier». 25 Giovanna Francesca, sebbene per natura pungente ed altera, malgrado fosse così trattata, mostrò sempre grande pazienza, sia nei confronti del barone suo suocero, che troppo dava ascolto alle maldicenze di quella serva al riguardo della nuora, sia verso quella stessa domestica, alla quale continuava a far del bene nonostante il male che da lei riceveva. (Deposizione di suor F.B. d’Orlier de Saint Innocent).

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intratteneva gli ospiti che spesso venivano a trovare suo suocero aveva sempre il lavoro in mano. La sua cameriera la pregò una volta di allentare un po’ la sua assiduità al lavoro, ma lei le rispose: «Se perdessi il tempo inutilmente, mi sembrerebbe di rubare alla Chiesa e ai poveri ai quali io l’ho destinato». Con la prudenza e la dolcezza che la contraddistinguevano ottenne dal suocero che per quanto possibile ci fosse tutti i giorni la messa a Montelon, trasferendovi quella fondata 26 a Bourbilly, dove non rimanevano che degli intendenti. Da che era rimasta vedova, quando non andava a Digione per la Quaresima, si alzava di buon mattino, saliva a cavallo per andare ad ascoltare il sermone a Autun, poco distante da Montelon. Appena finito, risaliva a cavallo e correva via a digiuno per arrivare a tempo per mettersi a tavola col suocero, cercando di non far trapelare nulla. Per non essere vista né fermata aveva scoperto alcune stradine segrete e spesso se ne tornava dalla città senza aver parlato a nessuno, contenta di aver ascoltato la parola di Dio e di nasconderla nel suo cuore per tradurla in pratica 27.

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Ndt: La prima edizione del Dictionnaire de l’Académie (1694, cit.) spiega che il termine “fondation” significa anche: «Un fonds legué pour des œuvres de pieté, ou pour quelque autre usage louable: Des revenus qui sont de l’ancienne fidation d’un Monastere. Il a tant laissé pour la fondation d’une Messe à perpetuité» (il corsivo è nostro). 27 La sua virtù fece all’epoca talmente scalpore che i reverendi Padri cappuccini si onorarono di affiliarla al loro ordine, come si desume dall’atto di affiliazione datato Lione, 6 aprile 1603. Alcuni storici si sono sbagliati credendo che con quest’atto la santa divenisse membro del Terz’Ordine di San Francesco. Fu invece un semplice atto di aggregazione che permetteva alla signora di Chantal di partecipare alle buone opere dell’Ordine serafico. Tutti gli ordini religiosi rilasciano simili lettere come segno di riconoscenza o di stima alle persone che dimostrano una pietà eccezionale nei confronti del monastero.

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XIII.

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I PRIMI COLLOQUI CHE EBBE CON IL NOSTRO BEATO PADRE E COME QUELLE DUE SANTE ANIME SI RICONOBBERO SENZA ESSERSI MAI VISTE

Quell’anima benedetta era nella silenziosa attesa che Dio la soccorresse nei suoi travagli interiori, quando la divina bontà cominciò a far apparire l’astro che doveva illuminarla in mezzo a tanta oscurità. Nel 1604 i magistrati della città di Digione supplicarono Francesco di Sales di onorare la loro città predicandovi la Quaresima. Lui accettò, sebbene sembrasse che il mondo e l’inferno si fossero impegnati per impedirglielo. Scrisse che la sua anima si sentiva segretamente obbligata ad impegnarsi in quel viaggio tanto che non riusciva a guardare le cose in maniera naturale. Frémyot invitò la figlia a venire a passare la Quaresima a casa sua per ascoltare i sermoni del Vescovo di Ginevra. Accettò molto volentieri e con il consenso del suocero arrivò a Digione il primo venerdì di Quaresima 28, giorno nel quale vide per la prima volta quel sant’uomo e, fin dal primo sguardo, riconobbe colui che Dio le aveva indicato come direttore spirituale. Ogni giorno metteva la sua sedia di fronte al pulpito del predicatore per vederlo ed ascoltarlo meglio 29. Da parte sua il vescovo, sebbene concentrato nel suo discorso, notava quella vedova più che tutte le altre donne presenti e aveva un dolce ricordo della visione al castello di Sales. L’attenzione al sermone lo rendeva quasi insensibile, ma, poiché aveva

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Santa Giovanna di Chantal non dimenticò mai quella felice giornata (5 marzo 1604) e la Madre de Chaugy assicura che ogni anno commemorava devotamente quel primo incontro, ripercorrendo davanti a Dio con molta riconoscenza tutti i benefici che aveva ricevuto da Lui grazie al ministero del suo Beato Direttore. (Année Sainte, terzo volume). 29 Ndt: «…pour le voir et ouïr plus à souhait». L’espressione “à souhait” significa letteralmente “a volontà”.

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riconosciuto colei che Dio gli aveva mostrato una volta, provò una santa curiosità nel sapere chi era. Lo chiese al Vescovo di Bourges dicendogli: «Ditemi, vi supplico, chi è quella giovane donna bruna 30 vestita come una vedova che si siede proprio di fronte al pulpito ascoltando così attentamente le parole di verità?». Alla sua risposta Francesco di Sales fu ben lieto di sapere che era la sorella del Vescovo di Bourges: i due erano infatti legati da una grande e santa amicizia. Il Beato Padre andava spesso a mangiare a casa del presidente Frémyot o da Monsignor di Bourges. Giovanna Francesca lo seguiva ovunque poteva e provava una tale stima per quel sant’uomo che disse: «Ammiravo tutto quello che faceva e diceva e lo guardavo come un angelo del Signore; ma mi sentivo ancora così strettamente legata alla disciplina del mio primo direttore che non confidavo a nessuno le mie cose interiori se non con grande timore, sebbene la bonarietà di quel beato m’invitasse talvolta a farlo, anche perché ne morivo dalla voglia». Malgrado all’inizio per eccesso di disciplina non osasse aprirgli la sua anima, era però talmente portata ad obbedirgli che cercava tutte le occasioni possibili. Dio gliene fornì alcune non molto considerevoli, ma sicuramente a nostro parere molto edificanti. Un giorno il Fondatore le domandò se avesse intenzione di risposarsi e lei gli rispose di no. «Bene – replicò lui – bisognerebbe allora eliminare qualche vezzo». Capì bene che si riferiva al fatto che portava ancora alcuni gioielli e ornamenti concessi alle grandi dame dopo il secondo lutto. L’indomani tolse tutte quelle cose, duttilità che piacque molto a Francesco di Sales, il quale, cenando, notò ancora qualche pizzetto di seta sul capo. Le disse: «Signora se quei merletti non ci fossero non sareste ordinata ugualmente?». Detto fatto: la sera stessa, spogliandosi, li scucì lei stessa. Un’altra volta, vedendo dei fiocchi a forma di ghianda 31 attaccati al cordone del suo 30

Ndt: «…cette jeune dame, claire-brune…»: dalla prima edizione del Dictionnaire de l’Académie (1694, cit.) apprendiamo che l’espressione «clair-brun» indica un particolare colore di capelli di un bruno molto luminoso: «On appelle, Clair brun, un certain brun esclatant, tel que celuy de beaux cheveux bruns. Il a les cheveux d’un beau clair brun. Et on dit d’une fille qui a les cheveux de cette sorte, que C’est une claire brune». 31 Ndt: «…voyant des glands au cordon de son collet…» (il corsivo è nostro). Il Dictionnaire de l’Académie (1694, cit.) spiega che si tratta di manufatti usati dalle dame per decorare i colletti: «On appelle fig. Gland, certain ouvrage de fil, qui a esté fait

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colletto le disse con santa soavità: «Signora, il vostro colletto sarebbe ugualmente ben attaccato anche senza quegli oggetti in fondo al cordone?». Prese subito le forbici e tagliò via quei fiocchi. Il suo direttore spirituale temeva che qualcuno potesse portargli via quella bella anima, tanto che, essendo andato per affari fuori Digione, la fece sorvegliare da una delle sue figlie spirituali, alla quale aveva ordinato, per obbedienza, di non lasciarla mai. Tutto ciò fece provare a Giovanna Francesca un forte senso di costrizione se non fosse stato che il timore di venir meno agli impegni presi non l’avesse preoccupata più che tutto il resto. Il Signore, che voleva liberare quell’anima, il mercoledì santo le mandò una così forte tentazione che, essendo il suo direttore assente, fu obbligata a trovar pace presso Francesco di Sales. Si inventò così qualcosa per far allontanare la sua sorvegliante. Il Vescovo di Bourges controllava la porta della sala affinché nessuno potesse entrare mentre la sorella rivelava la sua anima al Fondatore. Uscì da quel colloquio talmente rasserenata come se un angelo le avesse parlato. «Ciò nonostante – disse – lo scrupolo del voto che avevo fatto di rivelare il mio animo solo al mio primo direttore mi attanagliava così fortemente che parlai solo a metà con il Beato Padre». L’indomani, giovedì santo, il Fondatore, che aveva assistito il Vescovo di Bourges alla sua prima messa, cenò a casa di quel Monsignore; Giovanna Francesca era seduta a tavola vicino a lui e sentì che lei stava dicendo a una signora di voler andare a Saint-Claude. Il Beato Padre si voltò e le disse che, se lo avesse avvertito per tempo, avrebbe fatto in modo di esserci con sua madre, che doveva recarsi là per sciogliere un voto. La Fondatrice provò una grande gioia nel nutrire quella speranza. La settimana dopo Pasqua disse al Vescovo di Ginevra che desiderava grandemente ricevere da lui i Sacramenti. Per metterla alla prova lui oppose un po’ di resistenza quanto alla confessione, dicendole che le donne hanno spesso delle curiosità inutili. Malgrado ciò accondiscese e Dio gli offrì attraverso quella confessione tali sentid’abord en forme de gland, pendant au bout de deux petits cordons de fil, avec quoy on attache les collets, ou que l’on met au coin des mouchoirs par ornement. Glands de Hollande. Glands à graine d’espinars. Les glands d’un collet. Il ne porte point de glands».

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menti e illuminazioni per il bene e la direzione della sua penitente e sentì albergare così intimamente quell’anima nella sua che lui stesso ne concepì una grande considerazione, così come disse più tardi. Per parte sua lei si calmò molto e divenne desiderosa di seguire i suoi consigli «senza tuttavia – disse – che osassi pensare di abbandonare il mio primo direttore, sotto la cui guida quel beato sembrò volermi consolidare, dicendomi che si sarebbero loro due messi d’accordo per provvedere ad una cosa così importante quali la mia vita e la direzione della mia anima. Per questo motivo io non ebbi più scrupoli nel prendere e seguire i consigli di quel sant’uomo, perché ciò non offendeva il mio direttore, al quale ero legata da molti voti».

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XIV.

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COME LA FONDATRICE FU CONSOLATA DA DUE GRANDI SERVITORI DI DIO E DELLA PENA CHE LE DERIVAVA DAL DOVER CAMBIARE DIRETTORE SPIRITUALE

Il lunedì dopo la domenica in Albis il Fondatore si congedò e lasciò Digione. Dopo alcune sante e cordiali parole dette a quella vedova aggiunse: «Signora, Dio mi obbliga a parlarvi in confidenza. La sua bontà mi ha fatto la grazia che quando ho il viso rivolto all’altare per celebrare la santa messa non provo più alcuna distrazione; ma da qualche tempo voi mi venite sempre in mente, ma non per distrarmi, bensì per unirmi ancor più a Dio. Non so cosa voglia farmi intendere con questi fatti». Le disse molte altre cose sempre devotamente e seriamente e alla prima sosta che fece dopo la partenza da Digione le scrisse un biglietto di questo tenore: «Mi sembra che Dio mi abbia donato a voi, ne sono sempre più sicuro. È la sola cosa che posso dirvi. Raccomandatemi al vostro angelo». Ricevette con piacere quel biglietto e conservava, rimuginava e considerava tutte quelle cose nel suo cuore con grande pace e desiderio di abbandonarsi totalmente a Dio, nelle cui mani incessantemente si consegnava per compiere la sua santa volontà. La vigilia di Pentecoste, quaranta giorni dopo la partenza del nostro Beato Padre, si trovò ad un tratto colta da una nuova tempesta ed afflizione spirituali a causa della lotta che si stava svolgendo nella sua anima tra un potente desiderio di porsi totalmente sotto la guida del santo Vescovo di Ginevra e un forte timore di abbandonare il suo primo direttore. Così lei stessa descrisse la sua pena: «Temevo spaventosamente di mancare di fedeltà alla divina volontà che volevo seguire ad ogni costo e, non sapendo da quale parte fosse maggiormente, soffrivo un martirio che durò all’incirca trentasei ore, durante le quali non presi sonno né mangiai e in quel tempo fui liberata da tutte le mie altre tentazioni e vedevo con grande chiarezza tutte le cose rela58 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tive alla santa fede, cosa di cui mi meravigliai molto perché era una delle mie pene più grandi. Ora, spinta da quell’angoscia, non facevo che pregare il Signore, affinché mi facesse conoscere chiaramente la sua santa volontà, affermando che non volevo far altro che seguirla e obbedirgli fedelmente. Sentivo che la mia anima non voleva che questo e non aveva altra catena che il volere divino». Il giorno di Pentecoste, verso sera, fece venire a casa sua il Padre de Villars, rettore dei Gesuiti e suo confessore, perché non ne poteva più da tanto il suo spirito era agitato. Gli raccontò tutta la sua pena e che il desiderio di conoscere la volontà di Dio e di seguirla era così pressante che non appena pronunciava le parole VOLONTÀ DI DIO 32 sentiva come un tizzone che infiammava la sua anima e, non sapendo dove fosse quella volontà, entrava in un tormento inspiegabile. «Quel buon Padre, uomo di scienza, profondo e dotato di una pietà e religiosità eminenti, avendo ascoltato il racconto delle convulsioni del mio spirito, mi rispose seriamente e dimostrando dei sentimenti divini straordinari: Dio vuole che vi poniate sotto la guida del Vescovo di Ginevra. Vi è più congeniale di quella che state seguendo ora: possiede lo spirito di Dio e della Chiesa e la divina Provvidenza vuole qualcosa di grande da voi, avendovi dato per guida quel Serafino terrestre». Quali ammirevoli effetti operano i consigli delle buone anime, che, in modo del tutto disinteressato, cercano solo di far conoscere la volontà del Maestro! Non appena il Padre de Villars ebbe concluso quel discorso, Giovanna Francesca sentì la sua anima quietarsi: «Era come se mi avessero tolto una montagna da sopra il cuore, che lo opprimeva e lo schiacciava, e provai una grande pace, chiarezza e sicurezza che ciò che mi stava dicendo era la volontà di Dio e tutto ciò raddoppiava il mio coraggio e i miei desideri». D’altra parte il Signore mostrava così chiaramente al Padre de Villars che la sua bontà voleva che quella grande anima fosse sotto la guida del nostro Beato Padre, che gli scrisse, dopo la nostra costituzione, queste parole (come si può leggere nella lettera fedelmente riportata nella fondazione di questo monastero): «Sappiate, Monsignore, che Dio mi suggeriva di rassicurare la signora di Chantal che la sua divina bontà voleva offrirle l’ac-

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Ndt: Il maiuscoletto è dell’originale.

59 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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qua della samaritana attraverso le vostre labbra e che se gli angeli fossero venuti per dissuadermi di ciò, non penso che ci sarebbero riusciti, perché la mia convinzione proveniva dal Re degli Angeli». Intanto il suo primo direttore, che era stato assente fino ad allora, ritornò e apprese subito che la sua virtuosa discepola aveva dialogato con il Vescovo di Ginevra. Lei provò un grande scrupolo a causa del voto che aveva fatto, ma glielo confessò molto candidamente. Lui le fece provare dei grandi rimorsi di coscienza tanto da farle sentire nuovamente una grande afflizione interiore e, benché lei si facesse un’estrema violenza per sottomettersi ai consigli di quella guida, il suo spirito non riusciva a trovarvi né sicurezza né alcuna corrispondenza interiore, provando anche una strana perplessità. Il Padre de Villars la rassicurava sulla volontà di Dio, consigliandole di mettersi completamente sotto la guida del Fondatore. Ma gli obblighi e i doveri pretesi da quel primo padre spirituale la tenevano in una grande confusione interiore. Non sapendo più che fare, decise di scrivere al Vescovo di Ginevra per raccontargli quanto stava accadendo tra lei e il suo direttore spirituale, le inquietudini della sua coscienza e la calma che invece il Padre rettore era in grado di trasmettere alla sua anima. Peccato aver perso tutte le lettere che scrisse al Beato Padre, il quale le aveva tutte numerate di suo pugno affinché un giorno potessero essere utili alla vita di lei. Ma dopo la morte del Beato quell’anima veramente umile, recuperate tutte le sue lettere dalle mani del fu Vescovo di Ginevra, successore del Fondatore, le bruciò. Ci resta però la consolazione che, grazie alla data delle lettere che lui le scriveva in risposta alle sue, comprendiamo l’evoluzione del suo stato interiore e possiamo giudicare il male dalla medicina e comprendere la causa dall’effetto. Nella prima lettera che quel santo prelato scrisse alla sua diletta figlia spirituale in risposta alla sua le diceva che bisognava prendersi del tempo per pregare Dio e capire se era sua volontà che lui si incaricasse della cura della sua anima. Voleva infatti soltanto che fosse il volere divino a prendere questa decisione. Si pregò molto secondo quell’intenzione: lei lo chiedeva a tutte le persone che credeva potessero avere credito presso Dio; fra i tanti, fece ricorso a un padre cappuccino, stimato per essere un sant’uomo. Un giorno, mentre questo sacerdote offriva a Dio il santo sacrificio della messa per quell’inten60 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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zione, ebbe una visione nella quale il Signore gli mostrò i disegni che aveva su di lei. Dopo la messa le rivolse queste parole: «Signora, non tardate ulteriormente: mettetevi sotto la guida del Vescovo di Ginevra. Se Dio vi inviasse in modo miracoloso il suo spirito per guidarvi, lo farebbe proprio per mezzo di quel degnissimo prelato. Possiede la pienezza dello spirito di Dio grazie ad una partecipazione e una comunione straordinaria che Dio ha con lui». Un’altra volta quello stesso padre cappuccino le disse ancora: «Signora, da quando Dio mi ha fatto conoscere la felicità alla quale vi ha destinata sotto la guida del Vescovo di Ginevra vi onoro e vi amo teneramente». Queste rassicurazioni davano una grande pace a Giovanna Francesca, ma restava molto poco in questa condizione a causa dei dispiaceri che le procurava il suo primo direttore, il quale, essendosi accorto che quell’anima sarebbe sfuggita al suo dominio, voleva evitare questo e le ordinò di rinnovare il voto che aveva fatto di restare sotto la sua direzione. Lei lo fece per obbedienza, ma avvertì subito il nostro Beato Padre che le rispose, il 24 giugno 1604, dicendole che era vero che si deve avere una sola guida, ma che la fedeltà a un padre spirituale non può escludere la fiducia in un altro: «Non preoccupatevi del posto che io occupo – disse –, ma abbiate sempre presente la mia anima nel vostro cuore, così come io ho la vostra nel mio. So che conoscete il mio affetto per voi: sappiate anche che provo una viva e straordinaria volontà di servire il vostro spirito con tutte le mie forze. Non saprei esprimervi né il candore, né la qualità di questo affetto che nutro per servirvi spiritualmente, ma posso dirvi che proviene da Dio e che perciò lo nutrirò teneramente poiché ogni giorno lo vedo crescere e aumentare considerevolmente. Ora, Signora, avete chiaro quanto e come potete servirvi di me. Sfruttate tutto quello che Dio mi ha offerto per il servizio del vostro spirito, senz’altro obbligo che quello della carità e dell’amicizia cristiana. Obbedite al vostro primo direttore in modo filiale e liberamente e servitevi di me con carità e franchezza. Mi avete detto che avete avuto degli scrupoli e il timore di cadere nella doppiezza avendomi chiesto dei consigli. Mi consola sapere che aborriate l’astuzia e la doppiezza, vizi contrari al benessere dello spirito; ma se anche fosse stata doppiezza – poiché sbagliavate nel farvi scrupolo ad aprirmi il vostro cuore – voi quel peccato lo avete 61 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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subito cancellato. Lodo il vostro candore, ma un’altra volta tenete segreto ciò che è coperto dal velo sacramentale. Dio sia benedetto! Preferisco che voi eccediate nell’ingenuità piuttosto che ne manchiate. Ho ripreso in mano la penna più di dodici volte per scrivervi questo e sembrava quasi che il nemico mi procurasse delle distrazioni per impedirmi di farlo. Lodo la bontà divina per il religioso rispetto che portate alla vostra guida; se ve lo permette scrivetemi ogni tanto». Mi sono un po’ dilungata a riportare le parole del nostro Beato Padre perché esse fanno vedere quanto si muovesse saggiamente e, se mi è concesso dire, lentamente, per meglio conoscere la volontà di Dio prima di farsi carico della guida di quella grande anima, la quale di nuovo si trovava a passare un momento di confusione interiore di cui, per la seconda volta, parlò al Padre de Villars. Costui le rispose in quell’occasione con grande autorità e fermezza: «Non solo vi dico che dovete liberarvi dal vostro primo direttore e che dovete mettervi totalmente sotto la guida del Vescovo di Ginevra, ma da parte di Dio vi dico che, se non lo fate, opponete resistenza allo Spirito Santo». Prese quelle parole del suo confessore come fossero un comandamento del cielo e ancora una volta esse calmarono il suo animo e diedero sollievo al suo travaglio interiore. Scrisse subito al Fondatore che le rispose che bisognava pregare molto e che dovevano assolutamente vedersi, prima di decidere se avrebbe assunto la sua direzione spirituale. Le diede appuntamento a Thonon o a Gex ma Dio, come vedremo, dispose diversamente.

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XV.

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IL VIAGGIO A SAINT-CLAUDE, DOVE IL BEATO PADRE ACCETTÒ LA DIREZIONE SPIRITUALE DELLA SUA ANIMA

Quando fu pronta a partire per Thonon ricevette un biglietto da Francesco di Sales con il quale le dava appuntamento a Saint-Claude 33. La vigilia della sua partenza andò alla chiesa di San Bernardo, per il quale aveva una devozione tutta particolare, a raccomandargli il suo viaggio. Appena arrivata le ritornò chiaramente alla mente, procurandole una straordinaria consolazione, la visione che ebbe della porta di Saint-Claude. Partì dunque con una grande felicità interiore. Nel 1604, il giorno di San Bartolomeo, si incontrò a Saint-Claude una nobile compagnia proveniente dalla Savoia e da Digione 34. Dopo essersi salutati il Beato Padre lasciò madame de Boisy, sua madre, con madame Bruslart, moglie del Presidente. Quanto a lui prese la sua diletta figlia spirituale e le fece raccontare tutto quello che in lei era accaduto. Lo fece con tale chiarezza, semplicità e candore che non dimenticò nulla. Il Vescovo di Ginevra la ascoltò attentamente senza pronunciare una parola e poi si separarono. L’indomani di buon’ora andò a trovarla. Sembrava stanco e abbattuto: «Sediamoci – le disse – sono sfinito e non ho per nulla dormito; ho lavorato tutta la notte alla vostra causa. È proprio vero: la volontà di Dio vuole che io mi faccia carico della vostra direzione spirituale e che voi seguiate i miei consigli». Detto ciò quel sant’uomo restò per un po’ in silenzio, poi gettando gli 33

Ndt: Saint-Claude si trova nella regione Franche-Comté ed è il capoluogo del dipartimento del Jura. Già nel Medioevo era celebre per i pellegrinaggi alla tomba di san Claudio, vescovo di Besançon (607-699ca). 34 San Francesco di Sales era accompagnato da madame de Boisy, sua madre, e dalla giovane sorella Giovanna di Sales. La nostra Beata Madre era accompagnata da madame Bruslart, moglie del Presidente, e dalla badessa di Puy d’Orbe. (Come provato dalle lettere del santo).

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occhi al cielo disse: «Signora, debbo dirvelo? Bisogna che lo dica perché è la volontà di Dio: i quattro voti precedenti servono solo a distruggere la pace di una coscienza; non stupitevi se ho aspettato tanto a prendere una decisione, ma volevo proprio conoscere la volontà di Dio e che in questa faccenda non ci fosse nulla che la sua mano non farebbe». «Lo ascoltavo – raccontò poi la Fondatrice – come se mi avesse parlato una voce del cielo; sembrava essere rapito, tanto era raccolto e soppesava le sue parole una dopo l’altra, come se facesse fatica a parlare». Quella mattina stessa si confessò con lui, il quale, dopo, le diede un biglietto firmato di suo pugno con su scritte queste parole: «Accetto in nome di Dio l’incarico della vostra direzione spirituale alla quale dedicherò tutta la cura e la fedeltà che mi saranno possibili fintanto che le mie qualità e i miei doveri precedenti me lo permetteranno». Tutti sanno con quale fedeltà e utilità quel Beato ha adempiuto alla sua promessa e con quale obbedienza, sottomissione e perseveranza quella degna Madre ha seguito la sua direzione 35. Fece voto di ob-

35 La stima e la venerazione che la nostra santa madre aveva già a Digione concepito per la sua guida angelica erano sempre crescenti. «Posso assicurare – confessò più tardi – che non appena ebbi l’onore di conoscerlo, diciotto mesi circa dopo la sua consacrazione, concepii una così alta stima della sua virtù e della sua pietà che dicevo spesso: “Quell’uomo non ha nulla di umano”. Non potevo che guardarlo con ammirazione, soprattutto il suo contegno e la saggezza delle sue parole, brevi e sante, ma così sostanziali e risolutive che soddisfaceva anche gli spiriti più penetranti. Senza dubbio già a partire da quell’epoca accoglievo con un rispetto senza uguali le parole che mi diceva. Non potevo distogliere i miei occhi da lui tanto le sue parole e le sue sante azioni mi portavano all’ammirazione e nessun’altra felicità poteva essere paragonabile a quella di essere vicino a lui, per osservare le sue azioni e udire le parole di sapienza che uscivano dalla sua bocca. Se la mia condizione me lo avesse permesso, mi sarei ritenuta troppo fortunata di essere anche la più piccola delle sue domestiche, purché avessi potuto continuare ad ascoltare le sue sante parole. Quella stima crebbe sempre più, tanto che non riuscivo a non chiamarlo SANTO, ma lui me lo proibì. Quando ricevevo le sue lettere le baciavo con grande rispetto e spesso le leggevo in ginocchio, ricevendo ciò che lui mi diceva come emanato dallo spirito di Dio. Nessuna sillaba che lui pronunciava io potevo perdere. Quella stima è rimasta sempre tale ed occupava un tale grado nel mio spirito che tutto quello che dico o potrei dire in lode di quel Beato e delle sue virtù eccellenti di cui Dio aveva colmato la sua anima, non mi soddisfa, poiché ciò che di lui ho conosciuto, ho visto e sentito è assolutamente al di sopra di quanto sono in grado di esprimere e credo che nessuna creatura al mondo ne possa parlare avvicinandosi a ciò che Dio aveva messo in lui». (Parole della santa citate dalla Madre de Marigny).

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bedirgli e glielo inviò per scritto come diremo tra poco. Francesco di Sales le scrisse di suo pugno un nuovo metodo per passare devotamente la giornata, scritto che costituisce un abbozzo del Direttorio spirituale che il Beato Padre ha tracciato per la nostra congregazione. Le illustrò anche un metodo per vivere ogni giorno della settimana in una delle sante piaghe di Nostro Signore. Modificò il suo modo di pregare, che era forzato e confuso, e la mise nella libertà di seguire la brama di Dio. «O Dio! – disse lei una volta – quanto felice fu per me quel giorno! Fu come se la mia anima cambiasse volto e uscisse da una cattività interiore nella quale i consigli della mia prima guida mi avevano tenuto fino ad allora». Da allora, era il giorno di San Luigi, cominciò a gustare il vero riposo dei figli di Dio, vivendo una grande libertà interiore. Fu attratta da un tipo di preghiera cordiale e intima, che implica una familiarità santa e rispettosa con lo Sposo celeste e che le permetteva di dire: «Ho trovato colui che la mia anima ha tanto desiderato; mi riposo alla sua ombra e il suo frutto è dolce alla mia bocca». Il Fondatore venne a sapere casualmente che la cameriera di Giovanna Francesca raccontava che a qualunque ora della notte si svegliasse, si vestiva per poter essere più velocemente pronta quando la sua padrona, che si svegliava di buon mattino per pregare, l’avrebbe chiamata. Lui la riprese fortemente e le fornì diverse piccole pratiche interiori di mortificazione, dicendole poi: «Bisogna avere una devozione così dolce verso Dio e così benevola verso il prossimo che nessuno deve essere importunato né scomodato. È meglio che, poiché volete cercare Dio nella preghiera, vi alziate da sola per trovarlo meglio, senza dare del fastidio inutile a coloro che vi servono». Osservò fedelmente quel consiglio e da allora tutte le mattine si alzava sola, in inverno accendeva il lume per fare la sua meditazione, dopo la quale svegliava le sue figlie. Avendo amorevolmente inciso nel suo cuore i consigli di quel santo e nuovo direttore spirituale e avendoli legati alle dita per praticarli costantemente, il 28 agosto Giovanna Francesca ritornò a Digione, mentre il Vescovo di Ginevra rientrò in Savoia.

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XVI.

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IL VOTO DI OBBEDIENZA AL NOSTRO BEATO PADRE. LE SUE TENTAZIONI

Mai una casta ed innocente ape tornò così contenta al suo alveare dopo aver colto la rugiada del cielo sui fiori quanto quella vedova rientrò da quel viaggio benedetto. Il giorno dopo il suo arrivo andò a renderne grazie alla Vergine nella chiesa di Notre Dame de l’Étang. Là scrisse e firmò di suo pugno i suoi voti: «Signore onnipotente ed eterno, io, Giovanna Francesca Frémyot, benché indegnissima della vostra divina presenza, affidandomi tuttavia alla vostra bontà e misericordia infinita, faccio voto, davanti alla vostra Divina Maestà, alla presenza della gloriosa Vergine Maria e di tutta la corte celeste e trionfante, di perpetua castità ed obbedienza al Vescovo di Ginevra, fatta salva l’autorità dei legittimi superiori. Supplicando molto umilmente la vostra bontà e clemenza, per il prezioso sangue di Gesù Cristo, vi piaccia ricevere questo olocausto soave e come vi è piaciuto darmi la grazia di desiderarlo e offrirlo, così datemela abbondante per compierlo. Amen. Scritto a Notre Dame de l’Étang, il 2 settembre 1604». Dopo aver nominato la santissima Vergine protettrice e guardiana del suo voto, lo inviò al nostro Beato Padre. Nel contempo gli scrisse anche di nuove tentazioni che stavano assalendo la sua anima e della visione di un leone ruggente che continuava a girarle intorno per sorprenderla, sferrarle nuovi attacchi e insinuarle dubbi sia circa la scelta del suo direttore spirituale sia contro la santa fede. A questa lettera Francesco di Sales rispose il 14 ottobre di quello stesso anno: «La scelta che avete fatto della mia persona porta le tracce di una valutazione legittima e buona; di ciò non dubitate più. Quel grande impulso interiore che vi ha spinto e quasi forzata a farlo; la riflessione che ho fatto prima di acconsentire; il fatto che né io né voi ci siamo fidati di noi stessi, ma abbiamo ascoltato il giudizio del vostro confessore – buono, 66 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dotto e pio –; il fatto che abbiamo lasciato il tempo alle prime agitazioni della vostra coscienza di calmarsi; le preghiere, non di un giorno, ma di diversi mesi, sono segni infallibili che era la volontà di Dio». E più avanti aggiunse: «Fermatevi, vi supplico, e non litigate più con il nemico su questo argomento, ditegli con coraggio che è Dio che lo ha voluto e che l’ha fatto. Mi chiedete dei rimedi contro le tentazioni che vi logorano: non questionate più, fate come i figli di Israele che non tentavano di rompere l’osso dell’agnello pasquale, ma anzi lo gettavano nel fuoco». Con questo e molti altri consigli, benché violentemente travagliata dalle tentazioni, Giovanna Francesca fece finta di non vedere più il suo nemico e, sdegnando le sue suggestioni, non gli rispondeva, come se neanche lo sentisse. La tentazione della fede continuava ad attaccare la sua mente per portarla alla disputa. Ma ben istruita in quella guerra spirituale dal suo santo direttore, mentre il suo avversario si divertiva a voler scalare il suo intelletto, lei usciva dalla porta della volontà e prendeva del vantaggio su di lui. Poi si gettava ai piedi del Signore senza poter proferire una sola parola, ma sicura che la Sua bontà udiva la sua richiesta di soccorso. «Oh! – le scrisse il Beato Padre – mia cara sorella, è un ottimo segno che il nemico gridi così tanto da fuori! Questo significa che non è dentro». Oltre agli esercizi spirituali che il Vescovo di Ginevra aveva preparato per lei a Saint-Claude, desiderò che lui le indicasse come impiegare tutte le ore del giorno; così lui aggiunse in fondo alla lettera: «Ecco la regola generale della nostra obbedienza: bisogna fare tutto per amore e nulla per forza; bisogna amare maggiormente l’obbedienza che temere la disobbedienza. Vi lascio la libertà di spirito e voglio che, se vi si presenta un’occasione giusta e caritatevole per lasciare gli esercizi spirituali, questo sia per voi una sorta di obbedienza e che quell’assenza sia sostituita dall’amore. Ricordatevi del giorno di San Luigi, giorno in cui, a Saint-Claude, toglieste di nuovo la corona al vostro cuore per metterla ai piedi del Re Gesù; giorno in cui rinnovaste la vostra giovinezza come l’aquila tuffandovi nel mare della penitenza; giorno foriero dell’eterno giorno per la vostra anima. Ricordatevi ancora che sulle grandi risoluzioni che prendeste – di essere tutta di Dio, in cuore, anima e spirito – io dissi Amen da parte della Chiesa, nostra Madre, e nel contempo la Vergine e gli angeli tutti fecero risuonare in cielo il loro Alleluia». Più avanti il Fondatore aggiunse: 67 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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«Vi prego di benedire con me Dio per i frutti di quel viaggio a SaintClaude; non posso elencarveli, ma sappiate che sono grandi». L’anno 1604 terminò, ma con esso non finirono le pene e le tentazioni per la nostra Beata Madre. Al contrario, sembrava che esse ricominciassero con il 1605, soprattutto quelle riguardanti la fede, seguite da un’altra e cioè che la sua anima, vedendo la bellezza della vita perfetta, provò una moltitudine di desideri che la confondevano. Nel vedere la bellezza, la chiarezza e l’eccellenza delle risoluzioni prese in vista della perfezione, correva verso la sua preda con troppo ardore e desiderio. La vicinanza del bene gliene stimolava l’appetito e l’appetito suscitava il fervore, ma verso il nulla, poiché il maestro la teneva come attaccata ad una pertica, impedendole per il momento l’uso delle sue ali spirituali. Lei però dimagriva e perdeva le forze fisiche a causa di una continua agitazione e palpitazione del cuore: Francesco di Sales allora le diede molti ammirevoli consigli e così concluse: «Voi mi ricordate quel sant’uomo di Mosè che vide ma non entrò mai nella Terra promessa. Suvvia, si può morire senza bere l’acqua della Samaritana, a condizione che alla vostra anima sia permesso bere alla sorgente eterna della vita». Parlando della sua pena, la Fondatrice così si esprimeva: «Quando credevo di aver trovato un po’ di pace, d’un tratto una nuova battaglia veniva sferrata contro di me e mi sentivo soffocata da afflizioni interiori. Le mie forze e facoltà erano private di tutto quello che poteva alleviarmi e oppresse dall’immagine viva di ciò che accresceva il mio travaglio, a tal punto che senza difficoltà dicevo: la mia anima è triste fino alla morte. Talvolta pronunciavo anche queste parole: Padre mio, che questo calice passi, ma non appena avevo così parlato sentivo un desiderio ardente di berlo fino all’ultima goccia e tornavo a dire al Signore: Dio mio, fatemi la misericordia che questo calice non passi finché io non l’abbia bevuto». Dopo diverse lettere che lei e il Fondatore si scambiarono all’inizio del 1605, si decise che avrebbe dovuto seguire l’ispirazione che Dio le dava di compiere un viaggio in Savoia per conferire con il suo direttore, il quale le diede appuntamento a Sales per la Pentecoste 36. Con difficoltà ottenne dal padre e 36 Il castello di Sales era situato a tre leghe da Annecy. Era una sorta di fortezza formata da tre corpi di edificio fiancheggiati da sei alte torri e tre torrette. Non si co-

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dal suocero il permesso e prima di partire andò a prendere la benedizione dal Vescovo di Autun e il premesso di avvalersi in Savoia delle indulgenze.

nosce l’epoca in cui fu costruito. Si sa solo che esisteva nell’anno 1000 sotto Gerardo, signore di Sales. Di questo castello oggi non resta che la camera dove è nato san Francesco di Sales, trasformata in cappella.

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XVII.

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IL PRIMO VIAGGIO IN SAVOIA E LA CONFESSIONE GENERALE AL NOSTRO BEATO PADRE

Arrivò a Sales il 21 maggio e vi trovò il Vescovo di Ginevra. Là quelle due grandi anime conferirono insieme a piacere delle cose che potevano far avanzare il regno di Dio in loro. La nostra degnissima Madre rifece una confessione generale accompagnata da una relazione esattissima di tutta la sua vita, con tali illuminazioni e sentimenti straordinari di Dio che il Fondatore ne fu rapito dalla gioia. Una volta, durante i loro colloqui, quel Beato, vedendo con gli occhi del cuore che quell’anima era non solo lavata con l’issopo e più bianca della neve, ma che il fiume impetuosamente dolce della grazia la percorreva, le disse: «Figlia mia, figlia mia, sgorga proprio tanta acqua», riferendosi a quella della grazia. Giovanna Francesca, inebriata dal vino dello Sposo celeste, non avendo visto che il tempo era sereno e credendo stesse piovendo, rispose: «Lasciamo che piova, Padre mio, lasciamo che piova». Il Vescovo di Ginevra sorrise senza che lei se ne accorgesse. Rinnovò i suoi voti e si scambiarono ancora queste parole: «È proprio vero – chiese lui – che volete servire Gesù Cristo? – Proprio così – disse lei. – Dunque vi dedicherete interamente all’amore puro. – Interamente – rispose lei – affinché mi consumi e mi trasformi in lui. – Senza riserve intendete consacrarvi a lui? – Sì, senza riserve. – E continuò: Disprezzate dunque il mondo intero come sterco e spazzatura, al fine di possedere Gesù Cristo e la sua grazia? – Lo disprezzo, disse, con tutta la mia anima e ne ho orrore. – In conclusione, figlia mia, voi non volete che Dio? – Voglio solo Lui per l’eternità, rispose lei». La voce di quella giovane vedova fu senza dubbio molto gradita alle orecchie dello Sposo divino, il quale, a partire da quel momento, la fece penetrare sempre più nei meandri della vita interiore perfetta. 70 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Il Fondatore le disse che aveva previsto il suo arrivo durante le tre ore in cui era rimasto solo in un fienile dove si era ritirato ed è per questo che le era andato incontro. Poi aggiunse ancora: «Qualche tempo fa Dio mi ha rivelato qualcosa, ma non voglio dirvi nulla prima di un anno». Non gli chiese mai cosa questo volesse dire. Un giorno soltanto, parlandogli del desiderio ardente che provava di servire Dio senza impedimenti, gli disse: «Dio mio! Padre mio! Non mi strapperete mica al mondo e a me stessa?». Aspettò un po’ a risponderle, poi seriamente e gravemente le disse: «Sì, un giorno lascerete ogni cosa, verrete a me e vi metterò in una totale spoliazione e nudità per Dio». Una volta, parlando di quel viaggio, Giovanna Francesca disse queste parole: «I pochi giorni che restai con quell’uomo di Dio furono una grande benedizione. Sebbene provassi il desiderio di abbandonare il mondo, mi congedò raccomandandomi di rimanere nella mia condizione di vedovanza. Tuttavia la mia anima nel suo intimo aspirava soltanto ad obbedire alla volontà di Dio, che volevo conoscere attraverso la voce dell’uomo che mi era stato donato come guida. Tra tutte le tentazioni di cui ero vittima, Dio mi lasciava una piccola soddisfazione interiore, di sentire cioè il mio cuore fortemente legato ai consigli del mio santo direttore. E quando mi sembrava che il Signore mi punisse o mi abbandonasse gli dicevo prontamente: Mio Sovrano, non merito che mi parliate, ma credo fermamente che ascoltando il Vostro servo ascolto Voi e che quindi siete Voi a parlarmi attraverso di lui». Un’altra volta, parlando della stima per il nostro Beato Padre che Dio le imprimeva nel cuore, disse queste parole: «Vedevo che Dio abitava in quell’uomo con una tale pienezza che solo a guardarlo percepivo la divina presenza e sarei stata felicissima di lasciare questo mondo per essere la più umile domestica a servizio nella sua casa e dissetare la mia anima alle parole di vita che pronunciava». Da quella profonda stima nasceva una grandissima obbedienza per tutto quello che il Vescovo di Ginevra le ordinava; addirittura, per non dimenticarlo, lo scriveva lei stessa o lo faceva scrivere da lui su un libretto di carta bianca che aveva fatto rilegare apposta 37. 37 La Madre de Marigny assicura di averle sentito dire che, quando lei era ancora

secolare, il Fondatore la mortificava su delle piccole cose in apparenza, ma che in realtà le costavano molto. Una volta erano a tavola e, pur sapendo che lei non amava le olive,

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Dopo aver soggiornato dieci giorni a Sales, ritornò a Montelon, in Borgogna, dove, malgrado i numerosi problemi che dovette affrontare riguardo ai beni dei suoi figli, si vide brillare in lei una libertà di spirito del tutto nuova, accompagnata da molte altre cose soavi. Le sue devozioni non erano più noiose per nessuno e tutti rendevano grazie al Vescovo di Ginevra per aver reso la preghiera piacevole e accessibile a tutti. I suoi domestici dicevano tra loro proverbialmente: «Il primo direttore della signora la faceva pregare solo tre volte al giorno e tutti ci annoiavamo molto; Francesco di Sales la fa pregare ad ogni ora del giorno e questo non infastidisce nessuno». Si erano accorti infatti che lei aspirava sinceramente a Dio e ad un vero raccoglimento interiore. Due giorni dopo il suo arrivo a casa del suocero, Giovanna Francesca cominciò a organizzare i suoi esercizi di devozione secondo quanto il suo santo direttore le aveva ordinato. Per prima cosa si svegliava alle cinque e d’estate ancora prima. Si alzava prontamente al suono della sveglia, se ne aveva bisogno accendeva il lume, entrava nell’oratorio e faceva un’ora di preghiera. Poi andava a pettinarsi e a vestirsi da sola, senza accendere il fuoco, anche se in inverno. Quando i suoi figli erano in piedi insegnava loro a pregare Dio, faceva recitare a loro e ai domestici l’esercizio del mattino come le aveva insegnato il Fondatore. Andava a dare il buongiorno al suocero e lo serviva, aiutandolo a vestirsi quando lui lo accettava, dato che non era sempre di buon umore. Ascoltava ogni giorno la messa e tutti i sabati ne faceva dire una espressamente dedicata alla Madonna. A tavola voleva che si parlasse solo di cose buone e virtuose. Qualunque ospite fosse presente, si faceva portare sempre il suo lavoro. Ogni giorno dedicava del tempo all’istruzione dei suoi figli e anche a quelli della domestica di cui abbiamo già parlato. Insegnava catechismo anche ai camerieri. Mezz’ora al giorno era dedicata alla lettura. Prima della cena meditava gliene servì con l’esplicita volontà che le mangiasse. Giovanna Francesca le mangiò, ma con grande ripugnanza. Un’altra volta fece la stessa cosa con delle lumache in fricassea, provocandole un rivolgimento di stomaco. Diceva ancora: «Quando avevo l’onore di mangiare alla sua tavola, lui, che conosceva le mie avversioni per certe carni, mi chiedeva con semplicità di mangiarne, come se non lo sapesse. Io gli rispondevo: Monsignore, non ne ho mai mangiato. E lui me le serviva immediatamente». (Deposizione della Madre L.D. de Marigny).

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su una delle piaghe del Signore, poi diceva il rosario, secondo il voto che aveva fatto di recitarlo per tutta la vita. Dopo cena, se non c’erano ospiti e se il suocero lo gradiva, radunava la famiglia e leggeva qualcosa sulla buona osservanza dei Comandamenti di Dio e della Chiesa, o sulla pratica dei buoni costumi e della pietà cristiana. Quando si ritirava nella sua camera recitava, con i figli e il suo piccolo seguito, le litanie alla Madonna e un De profundis per il marito. Poi ognuno faceva l’esame di coscienza, prendeva la benedizione del buon angelo, pronunciava ad alta voce e con gli altri l’In manus tuas. Con dell’acqua benedetta aspergeva i suoi figli e li metteva a letto. Restava ancora una mezz’ora in preghiera e prima di coricarsi leggeva sempre alcuni consigli che la sua santa guida spirituale le aveva scritto e l’argomento della meditazione per l’indomani. In quel periodo meditava in particolare su Dio fatto uomo e, a forza di restare accanto al divino Salvatore, apprese, come disse il Beato Padre, l’imitazione delle divine virtù. Si presentava davanti al Padre Eterno supportata dai meriti dell’amatissimo Figlio, con il quale cominciava e concludeva qualunque sua preghiera. Ogni mattina recitava un’orazione particolare per visitare spiritualmente tutta la santa Chiesa, Sposa di Cristo, di cui una parte è trionfante in cielo. Poi pregava per la Chiesa militante sulla terra, supplicando lo Sposo di renderla vittoriosa sui nemici, di accrescere il numero dei fedeli e di farle la grazia di morire come una buona figlia di tale santa Madre. Per la terza parte, che è in purgatorio, applicava i suffragi, le preghiere e le indulgenze. Come ritiro spirituale aveva le piaghe di Cristo. La domenica si ritirava nella piaga del costato; il lunedì in quella del piede sinistro; il martedì in quella del piede destro; il mercoledì in quella della mano sinistra; il giovedì in quella della mano destra; il venerdì nelle cicatrici del capo; il sabato ritornava a quella del costato per concludere la settimana da dove era cominciata 38. Come disse lei stessa, fu grazie a questo esercizio delle piaghe del Salvatore, che ricevette in dono la capacità di vedere Dio in tutte le cose. Il Signore teneva la sua anima in una divina indifferenza, che le faceva trovare il suo unico bene nella diversità delle creature, delle cose e degli avvenimenti.

38 Parrebbe

proprio l’aurora della devozione al Cuore di Gesù.

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Per meglio far proprie le massime del Vangelo leggeva quotidianamente il commento ai Vangeli del padre Ludolphe, conosciuto come la Grand Vita Christi 39. Il suo svago più caro era intonare canti spirituali: amava soprattutto i Salmi di Davide messi in versi da Philippe Desportes, abbé de Tiron 40. Portava sempre con sé quel libro, anche quando andava a passeggio in campagna. Lo metteva in un sacchetto che appendeva alla sella per poter cantare e lodare Dio lungo il cammino.

39 In seguito san Francesco di Sales regalò quell’opera al primo monastero della Visitazione in Annecy dove è ancora conservato preziosamente. 40 Quel volume è conservato come una reliquia nel primo monastero della Visitazione di Annecy.

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XVIII.

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LA REGOLA CHE OSSERVAVA PERSONALMENTE E LA CARITÀ CHE PRATICAVA

Quella giovane innamorata non si accontentava di seguire il suo Amato nella dolcezza degli incensi della vita spirituale e dei suoi esercizi, senza aver prima con lui mietuto la mirra della mortificazione di cui le sue mani profumavano a tal punto che tutto in lei emanava quella fragranza 41. Il suo aspetto era molto austero e concedeva al suo corpo solo quello che la discrezione le imponeva; alla sua persona provvedeva da sola e alle cameriere non era neppure concesso di farle il letto o di aiutarla a vestirsi. Riordinava il suo studio e aveva ridotto il suo abbigliamento alla massima semplicità. Si tagliò i bellissimi capelli e, poiché un tempo li aveva molto curati, li gettò nel fuoco per vendicarsi della sua vanità. Si fece una pettinatura molto semplice, retta da una fascia di crêpe e da una cuffia di taffetas nero; portava intorno al collo un colletto piccolissimo di tela spessa non inamidata e dei polsini larghi due dita. Il suo abito era di semplice flanella senza neppure un gallone, la gonna di saia leggera e non volle mai indossare calze di seta. La mortificazione del suo abbigliamento era a immagine del suo stile di vita. Non amava mangiare molta carne e, poiché il suo organismo delicato le impediva di fare grandi digiuni, come invece avrebbe desiderato, ordinò ad una onestissima signora che si occupava dei suoi figli 41 Ndt: Il linguaggio sinestetico, amoroso ed ascetico, usato dalla Chaugy in questo passaggio è talmente forte ed efficace che, in questo caso, abbiamo optato per una traduzione più letterale che offre, anche al lettore italiano contemporaneo, uno spaccato di sensibilità religiosa seicentesca che conserva ancora tutto il suo fascino.

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di servirla a tavola. Quella buona donna cucinava secondo i suoi gusti e Dio fece sì che fossero le cose che più la sua padrona aveva in avversione. Giovanna Francesca non le disse mai niente e mangiò sempre tutto quello che le veniva messo davanti, praticando in questo modo al più alto livello la santa astinenza che il Signore ha raccomandato ai suoi discepoli e mortificando quotidianamente i suoi gusti. Dissimulava benissimo e con grande semplicità, tanto che coloro che sedevano con lei a tavola non se ne accorsero mai: una delle sue cameriere le cambiava di tanto in tanto il piatto e metteva da parte per i poveri la selvaggina e il pollame che la sua padrona non riusciva a mangiare. Di solito digiunava il venerdì e il sabato, usava frequentemente il flagello e la cintura, soprattutto quando era incalzata dalle tentazioni. Le altre mortificazioni dei sensi sono niente davanti al grande dominio delle passioni che la Fondatrice aveva acquisito. Praticava quotidianamente la lotta del bene contro il male, opponendo la dolcezza all’acidità di quella domestica, che continuava a farle mille dispetti. Alcune persone dissero una volta che, non appena morto il signore di Chantal, avrebbero tagliato il naso a quella serva e l’avrebbero trascinata negli abissi. Giovanna Francesca rispose: «No, la difenderei io. Se Dio si serve di lei per impormi una croce, perché mai dovrei volerle male?». Non permetteva ai suoi figli, né a coloro che erano al suo servizio di raccontarle ciò che quella domestica faceva e diceva contro di lei e quando le si voleva far ammettere che non era bene che quella donna avesse in mano la guida della casa e degli affari di suo suocero lei rispondeva: «Dio comanda questo per il mio bene, affinché io abbia il tempo per occuparmi delle opere di pietà». A ciò infatti dedicava il suo tempo: in questo modo donò tutto il suo cuore al Signore per amarlo ardentemente e offrì tutta se stessa al prossimo per servirlo nella carità. A partire dal secondo anno di vedovanza e fino alla fondazione della nostra congregazione Giovanna Francesca divenne proprio la serva dei poveri e nessuno potrebbe descrivere neanche la millesima parte di quella sua attività. La mano del Signore compì un profondo cambiamento nel cuore di quella giovane e delicata vedova: cominciò ad avere in avversione ciò che il mondo ama e a stimare soltanto ciò che il mondo odia e ripudia. Tutte le sue cose più belle erano messe a servizio dei poveri, dei malati e dei lebbrosi. I suoi profumi 42 erano diventati vasetti di 76 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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unguenti che preparava lei stessa con cura, consapevole che servendo i poveri serviva Gesù Cristo. Spesso ripeteva a se stessa queste parole: «Ero malato e mi avete soccorso…». Come abbiamo già detto aveva una cameretta nella quale teneva tutto quello che le serviva per alleviare le sofferenze dei poveri e per servirli. Tutto era così pulito e ordinato che nei paesi limitrofi si diceva proverbialmente per lodare la pulizia di una casa: “È pulita e ordinata come la stanza della signora di Chantal”. I malati e tutti coloro che avevano anche delle semplici piaghe venivano da lei pure da lontano ed erano ricevuti con cordialità e serviti con ogni cura, come lei stessa confessò una volta. Le giornate per lei più lunghe e noiose erano quelle in cui le si presentavano meno occasioni di esercitare la carità verso i poveri. Lavava le piaghe con le sue stesse mani, toglieva il pus e la carne putrefatta, poi sistemava la lesione con cura e devozione, talvolta mettendosi in ginocchio. Alcuni suoi domestici hanno testimoniato di averla vista spesso baciare le ferite dei poveri e appoggiare le sue labbra su piaghe così orribili che tremavano solo a guardarle. Ogni giorno andava a fare il letto e a pulire i malati del paese più vicino al luogo dove abitava. La gente cominciò a biasimare fortemente il suo comportamento dicendo che avrebbe fatto meglio ad occuparsi di suo suocero. Umilmente rispondeva che non toglieva nulla al tempo che legittimamente doveva al padre di suo marito, aggiungendo anche: «Lui ha domestici e domestiche che lo servono, mentre quel povero Gesù non avrà nessuno se io lo abbandono». Detto ciò, con umiltà e incurante del disprezzo che la gente le manifestava, perseguiva con coraggio il suo progetto. Sia col caldo estivo che negli estremi rigori dell’inverno tutte le domeniche e le feste, poco dopo la cena, si congedava dal suocero e andava, con due domestiche, per le case della parrocchia a visitare i malati. Per questa ragione Giovanna Francesca fu sempre ammirata per la sua perseveranza in qualunque cosa intraprendesse. 42

Ndt: «I suoi profumi»: l’originale parla di «Ses muscs et civettes…» e nel Dizionario dell’Académie (ed. cit., 1694) abbiamo trovato che queste particolari e raffinatissime essenze erano di origine animale: «MUSC. s. m. Sorte d’animal de la grandeur d’un chevreüil; & qui a vers le nombril une vessie pleine d’un amas de sang dont l’odeur est exquise. [...] On appelle aussi, Musc, la liqueur qui sort de cet animal, & dont on fait un parfum. [...]». «On appelle CIVETTE le parfum qui se fait des excréments de la civette».

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Partendo per andare a visitare i malati diceva alla servitù: «Andiamo a fare un piccolo pellegrinaggio, andiamo a visitare Nostro Signore sul Monte Calvario, nell’Orto degli Ulivi o al Sepolcro». In questo modo diversificava le stazioni e gli argomenti su cui intrattenersi spiritualmente. Di solito camminava in silenzio o al massimo leggendo e cantando qualche salmo di Davide, nella versione dell’abbé de Tiron, Philippe Desportes 43. Quando arrivava a casa dei contadini consolava le loro anime con sante parole e alleviava i loro corpi con rimedi e cose buone che portava con sé. Prima di andarsene li asciugava, se sudavano per la febbre, o faceva loro il letto. Non appena qualcuno si ammalava nei pressi di casa sua lei voleva essere subito avvertita, poiché conosceva tutti gli infermi e le caratteristiche delle loro malattie alle quali cercava di apportare i rimedi migliori. Il coraggio caritatevole di Tobia sembrava essere rinato in quella donna generosa e coraggiosa. Con le sue stesse mani lavava e seppelliva i corpi di coloro che morivano nella sua parrocchia; restava, finché era possibile, al capezzale dei moribondi, ma quando morivano in sua assenza si andava subito a cercarla. Nessuno avrebbe osato seppellire un defunto senza di lei e si diceva per rispetto: è un diritto della signora baronessa, che aveva chiesto loro quella grazia in cambio delle cure che lei offriva ai malati. Per concludere il discorso sui servizi quotidiani e generosi che quella vedova rendeva ai poveri bisogna dire ancora una cosa: teneva degli abiti da parte per gli indigenti e quando andavano da lei logori, cenciosi e pieni di parassiti glieli faceva indossare. Prendeva poi gli stracci che avevano lasciato, li faceva bollire nell’acqua per togliere i parassiti e con le sue mani li ricuciva e rappezzava. Quando non erano infetti, ma erano soltanto strappati, si metteva delle soprammaniche e un grembiule bianco, stendeva gli abiti sul tavolo e li spazzolava, ripetendo ancora quel gesto dopo averli accomodati affinché diventassero più dignitosi.

43 Ndt: Philippe Desportes, nato a Chartres nel 1546 e morto all’Abbazia di Notre-Dame de Bonport il 5 ottobre 1606, è un poeta barocco francese. Fu abate di Tiron e consigliere di Stato. Curò un’edizione dei salmi di Davide (Les 150 psaumes de David) pubblicata tra il 1603 e il 1605.

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XIX.

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DUE ESEMPI NOTEVOLI DELLA SUA IMPAREGGIABILE CARITÀ NEL SERVIRE I MALATI

Non solo quella Tabita 44 dei nostri giorni aveva ordinato che la si avvertisse ogni volta che qualcuno si ammalava in una casa, ma aveva disposto espressamente che le si conducessero i poveri trovati per la strada o tra i cespugli. Aveva infatti una compassione tutta particolare per quelle creature abbandonate di cui la miseria si prende gioco. I contadini osservavano quell’obbligo fedelmente e quando trovavano qualche povero miserabile, glielo portavano così come avrebbero ricondotto un figlio al proprio padre. Lei li riceveva con una gioia ancora più vera di quella che un avaro dimostra davanti al suo tesoro, perché la vera ricchezza per lei consisteva nel servire Dio nelle cose più ripugnanti della natura. Una volta un contadino, di ritorno dal mercato di Autun, trovò vicino ad un cespuglio un povero ragazzo tutto pieno di lebbra e di tigna e per ciò abbandonato da tutti. Il buonuomo scese e lo caricò sul cavallo per farne un regalo alla baronessa, la quale, con una gioia straordinaria, mise quel povero ragazzo in un letto che aveva sempre pronto per i poveri e, dopo aver raccolto i suoi stracci per pulirli e togliervi i parassiti, prese delle forbici e con le sue stesse mani tagliò e ripulì quella testa piena di tigna, gli mise un berretto bianco e bruciò lei stessa quei capelli, perché non voleva che nessuna delle sue domestiche li toccasse. Il lungo digiuno obbligato di quel ragazzo fece sì che bisognasse dargli da mangiare poco e spesso. Lo medicava con le sue mani e andava a visitarlo tre o quattro volte al giorno, ungendo la sua testa tignosa e pulendo le piaghe della lebbra. 44 Ndt: Santa Tabita, cristiana di Joppe, fu risuscitata da san Pietro. La sua storia è contenuta negli Atti degli Apostoli (At 9, 36-41).

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Se accadeva che il dovere la trattenesse vicino a suo suocero o che dovesse occuparsi di accogliere degli ospiti, mandava una delle sue cameriere a portare il pasto a quel povero ragazzo. La giovane, che non era avvezza alla mortificazione come la sua padrona, posava velocemente quello che aveva portato e si ritirava di corsa tappandosi il naso. Lo abbiamo saputo dalla bocca di quella stessa ragazza, la quale ci ha detto che quel poveraccio si metteva a piangere e diceva: «La Signora quando viene non si tappa mai il naso, anzi si siede vicino a me e mi parla della mia salvezza; ma quando non può venire, gli altri mi abbandonano». Dopo che la Fondatrice ebbe soccorso e curato per diversi mesi quel povero piacque a Dio di chiamarlo a sé. Lo vegliò per delle notti intere e gli fece ricevere i sacramenti. Quando spirò, si girò verso di lei con le mani giunte chiedendole la sua benedizione. Lei gliela diede, lo abbracciò e pronunciò queste parole: «Va’, figlio mio, con la fiducia in Dio: ancor meglio che Lazzaro, sarai portato dalle mani degli angeli nel luogo del riposo eterno». Non contenta di averlo servito in vita si sentì in dovere di lavarlo e seppellirlo; vedendo ciò, un cugino del Signore di Chantal volle impedirglielo e le disse, fra l’altro, che, secondo l’antica Legge, colui che toccava un lebbroso diventava immondo; aggiunse anche parole di collera e di disprezzo nel vederle compiere quell’azione. Fece finta di non sentire quell’aspro rimprovero, ma anzi gli rispose che da quando aveva letto nella Scrittura che Nostro Signore fu trattato come un lebbroso durante la sua Passione, l’unico orrore che provava era quello per la lebbra del peccato, il quale non ha altro rimedio se non l’applicazione del sangue del Salvatore. Dopo questa saggia risposta e senza dunque lasciarsi distrarre 45 dal suo proposito, continuò a lavare quel povero corpo, assistette alle esequie, lo seppellì e fece pregare per il riposo di quell’anima. In quell’occasione le ritornò in mente e ripeté più volte il versetto di Davide: Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo 46. Non appena Giovanna Francesca ebbe reso gli ultimi servizi cristiani a quel pover’uomo, Dio le offrì un’altra occasione di esercitare la sua carità longanime. Vicino a Montelon viveva una donna molto 45 46

Vedi, sopra, nota 12. Ndt: Sal 112 (113), 7-8.

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graziosa ed onesta che per compiacere al marito si era tagliata una verruca che aveva sul naso. Purtroppo la asportò così male che le venne un tumore che, in breve tempo, le mangiò il naso e la rese così brutta che il marito, infrangendo le promesse coniugali, divorziò da lei. Sola e abbandonata ricorse a colei che offriva a tutti i miserabili un rifugio caritatevole. La baronessa cominciò subito a medicare quel tumore che stava divorando quel povero viso. Andava tre volte al giorno a trovarla, ma, poiché il tumore era maligno, non poté impedire che, essendo arrivato alle gote e alla fronte, deturpasse talmente quel viso da renderlo impossibile a vedersi e insopportabile l’odore. La povera donna era segregata in una cameretta nella quale nessuno voleva entrare, tranne la baronessa, che la servì quotidianamente per tre anni e mezzo durante i quali il male, dopo aver scarnificato le guance, i denti, le mascelle, salì fino alle orecchie e scese fin sotto il mento, divorandole il collo. Il suo viso non aveva più sembianze umane; gli occhi poi, roteando, la rendevano ancor più spaventosa. I parenti del fu barone di Chantal cercarono in tutti i modi di allontanare la Fondatrice da lei, ma non ci riuscirono. Avvertirono di ciò il presidente Frémyot suo padre che, se di solito aveva mostrato bonarietà nei confronti di quella figlia, questa volta le scrisse una lettera molto severa nella quale le diceva che il suo atteggiamento non solo era indiscreto, ma disonorevole per i suoi parenti e compromettente per i suoi figli e concludeva con queste parole: «In virtù dell’autorità e del potere che un padre ha su una figlia, vi proibisco di toccare quella donna piena di piaghe. Se non vi importa nulla di voi stessa, abbiate pietà dei quattro figli che Dio vi ha donato e dei quali vi chiederà di rendere conto». Rimase profondamente scossa e così, come aveva servito per lungo tempo quella povera creatura per vera devozione e non per ostinazione, smise per abnegazione e obbedienza filiale. Ciò nonostante non trascurava mai di preparare tre volte al giorno ciò che occorreva per medicare la malata, glielo portava personalmente, evitando soltanto di toccarla, poiché suo padre le aveva proibito solo questo. Quella povera donna, da che Giovanna Francesca non si occupò più di lei personalmente, visse solo tre settimane. È vero che non avrebbe potuto sopravvivere oltre, dato che il suo male ormai le aveva corroso le mascelle e fatto un buco nella gola attraverso il quale assu81 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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meva il cibo che la Beata Madre le distillava direttamente nello stomaco con un biberon. Non riusciva più a parlare: la sua voce infatti fuoriusciva da quel buco producendo un verso penoso. Ci voleva una forza sovrumana per continuare a servire quella povera creatura che, vedendosi morire, provava l’immenso dolore di non potersi comunicare. La baronessa di Chantal, già caritatevole nei confronti del suo corpo, lo fu ancor più della sua anima, ottenendo dal curato che le inserisse attraverso quel buco nella gola e grazie a delle pinzette d’argento che aveva fatto fare espressamente, una piccolissima ostia. La donna morì così serenamente e cristianamente un quarto d’ora dopo aver ricevuto l’Eucaristia. Non appena fu sepolta fu condotto dalla nostra Beata Madre un povero vecchio tutto coperto di scabbia e di foruncoli che medicò per dieci mesi e infine seppellì con le sue mani. Bisogna sottolineare che per otto anni interi, cioè a partire dalla fine del suo primo anno di vedovanza fino al suo ingresso nella nostra congregazione, oltre ai poveri che venivano a cercarla per essere medicati e a quelli che lei andava a cercare nelle case, ne ospitava sempre uno nel suo appartamento presso il suocero per esercitare continuamente la carità. Non si può descrivere il tenero amore che testimoniava agli indigenti a partire dal giorno della Santissima Trinità del 1604, quando, passeggiando alla sera nei pressi del castello, le si avvicinarono tre giovanotti alti e di bell’aspetto e le chiesero l’elemosina per amore di Dio. Non avendo con sé nulla da poter offrire loro se non un anellino che aveva tolto dal mignolo del barone di Chantal suo marito alla sua morte e al quale lei teneva molto, se ne privò e lo offrì al primo di quei pover’uomini, dicendogli che era per tutti e tre. Le risposero che, essendo buoni amici, erano ben lieti di condividere quell’offerta. Mentre parlavano percepì fortemente la presenza divina e gettandosi ai loro piedi li baciò. La lasciarono fare; quando si alzò si congedarono da lei senza che vedesse dove andarono. Nacque così il suo amore per i poveri; giurò di non rifiutare mai l’elemosina chiesta per amore di Dio, la cui infinita bontà, attraverso quei tre poveri giovani, potrebbe aver fatto a quella sua devota serva lo stesso dono che fece ad Abramo quando incontrò tre uomini nella valle di Mamre 47.

47

Ndt: Cf. Gen 18.

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XX.

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COME, PER ONORARLO, VOLLE FILARE LA LANA PER GLI ABITI DEL NOSTRO BEATO PADRE E COME GUARÌ DA UNA MALATTIA

Giovanna Francesca non solo si occupava di cose alte e importanti, ma sapeva anche filare molto bene. Così, oltre all’impegno dei poveri e al tempo che dedicava ad ornare gli altari delle chiese vicine, le venne l’ispirazione di confezionare, con una pezza di sargia, un abito per il Beato Padre con la speranza di potergli in futuro tessere tutti gli abiti. Nel 1606 gli regalò una stoffa che aveva filato e fatto tingere di viola con la preghiera che offrisse ai poveri il valore del suo lavoro. Francesco di Sales le rispose: «Mia carissima figlia, approvo che voi lavoriate con le vostre mani quando non avete qualcosa di più importante a cui dedicarvi e approvo anche che il vostro lavoro sia destinato agli altari o ai poveri, ma non dovete sentirvi obbligata, se fate qualcosa per voi o per i vostri cari, a darne il corrispettivo ai poveri, poiché bisogna che la libertà di spirito regni ovunque. Orsù, ho riso di buon cuore davanti alla vostra richiesta che offra ai poveri il valore della tela che mi avete donato: chi potrà stimarne il giusto prezzo? Io non ne sono capace, ve lo assicuro. Nessun abito mi ha mai tenuto così caldo: il suo calore va dritto al cuore e non mi sembra viola, ma porpora e scarlatto, perché pare tinto dei colori della carità. Dunque, una volta va bene: sappiate infatti che non mi faccio ogni anno degli abiti, ma solo secondo necessità. Per i prossimi anni troveremo modo allora di utilizzare il vostro lavoro secondo i vostri desideri». Il Vescovo di Ginevra insegnò a quell’operaia a lavorare alla mistica conocchia, ponendole, come alla santa pastorella del Cantico, la croce di Cristo sul lato sinistro e facendole considerare preziosamente legata la lana dell’Agnello innocente Gesù, vale a dire i suoi meriti, gli esempi e i misteri della santa croce. Filava continuamente a quella 83 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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santa conocchia attraverso considerazioni, aspirazioni, buoni esercizi e grazie ad una fedele imitazione del Figlio di Dio. Traeva dal fuso del suo cuore una lana bianca e delicata e, come il Fondatore le aveva predetto, se ne fece un drappo che la coprì e protesse dal freddo e dalla brina, dalle mille tentazioni della vita e dalla confusione nel giorno della morte. «Filate, filate – le scriveva la sua guida spirituale – non con grossi fusi, poiché le vostre dita non saprebbero maneggiarli, ma sceglieteli alla vostra portata: la pazienza, la dolcezza del cuore, la rassegnazione, la semplicità, la carità verso i poveri malati, il sostegno agli infelici». Vedendola così presa da quel mistico lavoro, il Beato Padre le permise anche di nutrirsi più spesso del cibo divino, autorizzandola, a partire proprio dal 1606, a comunicarsi tutti i giovedì, oltre che alla domenica e alle feste comandate. Arrivato il tempo della raccolta dell’uva, Giovanna Francesca si ritirò al castello di Bourbilly. La dissenteria però imperversava per le case; decise allora di affidare la vendemmia ai suoi contadini, riservandosi solo la raccolta dell’uva di Cipro 48. Andava a cercare Gesù nelle case dei poveri malati ed era felicissima. Mai sorella in ospedale fu più santamente impegnata. Ogni mattina, prima dell’aurora e dopo aver fatto un’ora di preghiera mentale, andava a portare nelle case del villaggio ciò che necessitava ai malati e raccoglieva i loro rifiuti. Ascoltava la messa, mangiava qualcosa, poi andava a servire e a consolare gli infermi delle case più lontane. La sera si recava di nuovo a visitare i malati del villaggio. A casa ascoltava poi il resoconto che colui che era incaricato di gestire i suoi affari le faceva. Riusciva a vigilare su tutto e la sua devozione non la distraeva dalla cura dei beni dei suoi figli. In quel periodo accadeva spesso che la si venisse a chiamare alla sera, quando lei si era già ritirata nel suo oratorio, per andare ad assistere dei moribondi. Passava allora una parte della notte in ginocchio vicino al loro letto, o pregando per loro, o esortandoli e servendoli. Ci è stato raccontato che in sette settimane di soggiorno a Bourbilly non passava giorno che non lavasse e seppellisse due, talvolta tre o quattro 48 Ndt: «Raisin cyprin»: nel Libro V, cap. II del Traité de l’amour de Dieu di Francesco di Sales troviamo l’aggettivo “cyprin” che rimanda a un “profumo sublime”, con un chiaro riferimento al Cantico dei Cantici (1, 14): «Il mio diletto è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engaddi».

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cadaveri, in quanto la dissenteria ne uccideva molti e in tempi rapidissimi. Lo spirito della signora di Chantal era pronto, ma la sua carne debole e malata. Fu così che, dopo aver servito gli altri, dovette soccombere lei stessa alla malattia: fu infatti colpita dalla dissenteria e da una febbre così persistente che credette di morire. Con quella convinzione scrisse al suocero per chiedergli scusa e raccomandargli i suoi figli. Il povero vecchio si intristì molto davanti a quella notizia e tutta la famiglia e i domestici cominciarono a piangere quella eventuale perdita. In effetti Giovanna Francesca soffriva molto nella casa del suocero solo a causa di una persona; tutti gli altri la ammiravano come una santa. Ma la divina Provvidenza permette sempre che ci sia un Simei 49 pronto a perseguitare coloro che sono secondo il suo cuore. Una notte, sentendosi giunta alla fine dei suoi giorni, fece un voto alla Vergine. La mattina seguente era perfettamente guarita e, dopo aver riordinato le sue cose, salì a cavallo e se ne andò a Montelon per rassicurare il suocero e i suoi figli. Fu ricevuta con grande gioia e guardata come una resuscitata. Andando da Bourbilly a Montelon aveva incontrato una povera ragazza che, con il figlio già grandicello, chiedeva l’elemosina. Li condusse con sé e chiese il permesso al suocero di poterli ospitare. Glielo concesse come sempre faceva in quelle occasioni, anche se talvolta, a seconda della disposizione d’animo in cui quella domestica aveva messo il suo spirito, accompagnava quel permesso con parole spiacevoli. Sistemò quella povera ragazza e la dissuase dall’abbandonare la fede in cui era cresciuta. Ottenne pure di tenere in casa il bambino.

49

Ndt: Cf. Esd 10, 23, 33 e 38.

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XXI.

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IL SECONDO VIAGGIO IN SAVOIA DOVE IL NOSTRO BEATO PADRE LE RIVELÒ IL PROGETTO DI VITA AL QUALE DIO LA DESTINAVA

Sebbene quella fedele serva del Signore non cessasse di prodigarsi per Dio e per il prossimo, a lei tutto sembrava nulla senza il dono totale a Dio, attraverso una vita ritirata e lontana dal mondo. E poiché il Fondatore le aveva ordinato di vivere santamente nella sua condizione di vedova, rimproverava a se stessa di pensare e desiderare continuamente la vita religiosa. Lo scrisse al Vescovo di Ginevra aggiungendo queste parole: «Padre mio, non pensate che io un giorno possa lasciare le cose di questo mondo per seguire il buon Dio? Non nascondetemelo, o per lo meno, lasciatemi questa speranza». Il prelato le rispose così: «Siete talmente immersa nella speranza di intraprendere un giorno la vita religiosa, che avete temuto di aver peccato contro l’obbedienza. Ma non è così: io non vi avevo detto di non nutrire alcuna speranza, né di non pensarci affatto, bensì che voi non vi dilettaste in questo pensiero. Infatti, non vi è nulla che impedisca di più di perfezionare la nostra vocazione quanto l’aspirare ad un’altra. I figli di Israele non poterono cantare a Babilonia perché pensavano alla loro terra. Io invece vorrei che cantassimo ovunque. Noto che il vostro desiderio di essere religiosa è sempre più grande. O dolce Gesù! Che posso dirvi, diletta figlia mia? La sua bontà sa quanto ho pregato. E che cosa ho imparato fino ad oggi? Che un giorno, figlia mia, dovremo lasciare tutto, vale a dire che un giorno dovrò consigliarvi di abbandonare tutto, proprio tutto e che questo avvenga per diventare religiosa è una cosa magnifica. Non ho ancora condiviso con nessuno questo pensiero. Sappiate però che mai come per questa situazione ho messo a tacere le mie opinioni personali per cercare solo la volontà di Dio. Tuttavia non ho mai percepito un sì nel mio cuore, mentre il no vi è sempre più radicato. Ciò nonostante, essendo la cosa molto impor86 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tante, datemi il tempo per pregare e far pregare, ma sicuramente avrò bisogno di parlare con voi, prima di decidere». La Beata Madre, confidando queste parole del nostro santo Fondatore, disse: «La speranza che mi diede che un giorno avrei potuto abbandonare il mondo mi consolò moltissimo e cercai meglio che potevo di disporre il mio cuore secondo i suoi santi consigli, sebbene le tentazioni non fossero affatto passate. Come la mia santa guida mi aveva suggerito, diventai docile nelle mani di Dio, offrendogli la mia vita e sforzandomi di non pensare alla tranquillità, al gusto e al merito della vita religiosa. Cercavo di offrigli il mio cuore libero da altri affetti e pieno solo di obbedienza e del suo amore casto e puro». Poiché il Vescovo di Ginevra le aveva scritto che dovevano ancora incontrarsi prima di prendere una decisione definitiva, in prossimità della Pentecoste del 1607 andò ad Annecy per ricevere lo Spirito Santo della sua guida. Parlando di questo viaggio disse: «Andai a trovare Francesco di Sales senz’altro desiderio che quello di abbracciare fedelmente quello che Dio mi avrebbe ordinato di fare per suo tramite, con la ferma fiducia che tutto sarebbe stato secondo la volontà divina, alla quale unicamente rivolgevo il mio amore. Arrivai da quel Padre quattro o cinque giorni prima della Pentecoste. Parlammo molto insieme durante quei giorni, mi fece prendere coscienza di tutto ciò che era accaduto e che stava accadendo nella mia anima, senza nulla rivelarmi dei suoi progetti, ma dicendomi soltanto di pregare Dio e di rimettermi interamente fra le sue mani benedette». Il giorno successivo alla Pentecoste, vedendo il cuore della nostra Fondatrice libero da lungo tempo da qualunque altro desiderio che non fosse quello di appartenere tutta a Dio, il Beato Padre le disse: «Bene! Figlia mia, ho deciso quello che intendo fare di voi. – E io, disse lei, sono decisa ad obbedire». Si mise in ginocchio mentre il vescovo rimase in piedi a due passi da lei: «Ma sì!, le rispose, allora bisogna entrare in clausura. – Padre mio, disse lei, sono prontissima. – No, disse lui, non siete abbastanza robusta, bisogna che entriate fra le sorelle dell’ospedale di Beaune 50. – Farò tutto ciò che vorrete. Sono

50 Ndt: Nicolas Rolin, cancelliere del duca di Borgogna Philippe Le Bon, e sua moglie Guigone de Salins fondarono a Beaune nel 1443 l’Hôtel-Dieu, un’opera di ca-

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pronta ad obbedire», rispose lei. Le fece varie proposte e si accorse che quella donna era come cera fusa dal calore divino e disposta a fare propria qualunque forma di vita religiosa che lui le avesse imposto. Le disse infine che non era in quegli stili di vita che Dio la voleva e le disvelò ampiamente il progetto che aveva del nostro Istituto. «Davanti a quella proposta – raccontò poi Giovanna Francesca – provai subito una grande gioia interiore, una dolce soddisfazione e intravidi una luce che mi assicurò che quella era la volontà di Dio. Non avevo mai provato quella sensazione!». Il Beato Padre era fermissimo in quel progetto di costituzione della nostra piccola congregazione: la sua decisione era inamovibile perché era certo che quella era proprio la volontà del Signore. Diceva alla Fondatrice: «Figlia mia, coraggio! Ogni cosa concorre a rafforzare questo progetto nella mia anima. Vedo grandi difficoltà per portarlo a termine e non so come si risolveranno, ma sono sicuro che la divina Provvidenza lo farà attraverso dei mezzi sconosciuti a noi creature». Due cose al Vescovo di Ginevra parevano difficili più di qualunque altra: la prima era staccare la signora di Chantal dai suoi legami affettivi: un padre e un suocero piuttosto anziani e quattro figli ancora giovani. L’altra era il desiderio di costruire la prima casa dell’Istituto in Annecy. «Certo – disse Giovanna Francesca – ero d’accordo con il nostro Fondatore quando diceva che avrei faticato a staccarmi dai miei cari, ma capivo la necessità che questa nuova vigna, piantata nel territorio della Chiesa, fosse vicina a colui che l’aveva seminata, affinché la sua mano attenta potesse ogni giorno venire a piantare e ad estirpare ciò che il Padre gli avrebbe chiesto. Mi disse un giorno: “Figlia mia, più ci penso e più sono convinto. Bisogna porre nella nostra piccola Annecy il germe della nostra congregazione, poiché diventerà un albero che stenderà i suoi rami in tutto il mondo. È bene che la sua radice sia piantata proprio ai piedi delle nostre montagne”».

rità finalizzata alla cura dei malati e degli indigenti. Ad accogliere gli infermi c’erano delle suore (sœurs hospitalières) incaricate anche di distribuire il pane ai poveri che, in quegli anni di carestie, bussavano numerosi alla porta di quell’istituzione. L’ospedale è rimasto in funzione fino al 1971.

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Egli aveva grandi progetti, ma ne affidò la cura alla celeste Provvidenza, che intervenne con un espediente umanamente non prevedibile, come vedremo nel capitolo seguente.

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XXII.

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PROPOSTA DI MATRIMONIO TRA LA SIGNORINA DI CHANTAL E IL BARONE DI THORENS E MORTE DELLA GIOVANE SORELLA DEL NOSTRO BEATO PADRE

I nostri santi Fondatori pensavano che il progetto del nostro Istituto avrebbe richiesto almeno sei o sette anni a causa della giovane età delle tre figlie della baronessa di Chantal. Accadde invece che il giorno del Corpus Domini quella vedova, di ritorno dalla processione ed essendo molto stanca, volle salire nella sua camera per riposarsi un po’ in attesa che il Vescovo di Ginevra, che aveva portato il Santissimo per la città, fosse pronto per la cena. Quando la videro salire le scale, diversi gentiluomini si fecero avanti per aiutarla. Li ringraziò, ma vedendo che il Barone di Thorens, fratello del nostro Beato Padre, non smetteva di seguirla gli disse sorridendo: «Sarei proprio onorata se costui facesse parte dei miei eredi». Lo disse con semplicità e senz’altro fine che la stima che provava per tutti coloro che appartenevano alla famiglia dei Sales. Tuttavia quelle parole furono raccolte e riportate alla signora di Boisy, madre del Fondatore, la quale istantaneamente pregò il figlio di chiedere spiegazioni alla baronessa e si concentrò così tanto sull’idea che il barone di Thorens suo figlio sposasse la figlia maggiore della signora di Chantal, da ordinare che dopo i pasti fossero lasciati loro tre da soli per poter affrontare il discorso. Il Fondatore odiava parlare di simili cose, ma contraddire sua madre avrebbe significato metterla in agitazione. Cominciò allora cercando di spiegare le ragioni alla base di questo forte desiderio che la sua genitrice nutriva. La Fondatrice affermò: «Davanti a quella proposta provai un’emozione come non avevo mai sentito e subito si presentarono alla mia mente tutte le difficoltà che questo matrimonio avrebbe comportato». Non fece però trasparire questo suo sentimento; al contrario diede prova di gratitudine e riconoscenza alla signora di Boisy, la quale volle subito impegnarla con le parole. Lei invece mantenne un atteggiamento umil90 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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mente prudente poiché prevedeva quanto sarebbe dispiaciuto ai due nonni di quella ragazza vederla lasciare la Francia. Durante il soggiorno che Giovanna Francesca fece presso il vescovo molte donne e sue figlie spirituali vennero a trovarla, tornando da quegli incontri molto edificate. Altre venivano per pura curiosità, sapendo che era una donna di alto rango. Verso queste ultime manteneva un maggiore riserbo e parlava molto incisivamente dei mali a cui la mondanità conduce, tanto che molte, all’uscita da quei colloqui, andavano a vestirsi con maggiore decenza e modestia e cambiavano radicalmente stile di vita. Altre si toglievano per sempre gli orecchini e abbiamo persino appreso che alcune di loro non permisero neanche alle loro figlie di portarli e vietarono loro di incipriarsi i capelli e di andare ai balli, tanto i discorsi di quella vedova le avevano efficacemente e profondamente cambiate. Quel viaggio fu più lungo degli altri e pure più utile e di grandissima consolazione. Ripartì dopo l’ottava del Santissimo Sacramento, felice di aver conosciuto a quale vocazione il cielo la destinava. Intendeva prendere con sé la più giovane delle sorelle del Beato Padre che era a Puy d’Orbe 51, ma non poté farlo e anzi dovette aspettare ancora qualche mese. Tutto ciò inquietò molto la signora di Boisy, la quale desiderava ardentemente che sua figlia si unisse alla baronessa di Chantal. La raggiunse infine, ma dopo qualche mese morì. Quella giovane era molto bella sia nel corpo che nello spirito. Fu la prima creatura battezzata dal nostro Fondatore, che era il suo padre spirituale e l’amava in modo speciale: diceva infatti che sperava di fare di lei qualcosa di particolarmente buono per il servizio di Dio. Tutto ciò la rendeva molto cara alla nostra Madre, che la onorava come una sorella e l’amava come una figlia. Dio, che si compiace di mortificare per vivificare, colpì quella giovane con febbre e dissenteria. Sarebbe superfluo dire con quale cura Giovanna Francesca la fece servire e come la servì lei stessa, diventandone l’infermiera personale. Morì l’8 ottobre 1607, all’età di circa quindici anni. Con quella morte, che l’aveva profondamente colpita, Dio le ispirò un voto: offrire una delle sue figlie alla casa di Sales al fine di col51 Ndt: Puy (o Puits) d’Orbe, Svizzera, cantone di Vaud. Sede di un’importante abbazia benedettina dove era educanda la sorella minore di san Francesco di Sales.

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mare il vuoto lasciato dalla defunta, davanti al cui corpo, in ginocchio, pronunciò quella promessa. «Mentre dicevo quelle parole, disse, la divina bontà mi consolò e mi fece vedere che offrire una delle mie figlie alla casa di Sales era il mezzo che la Provvidenza aveva scelto per facilitare il mio ritiro sulla Sua via». Lavò il corpo innocente di quella giovane con le sue lacrime e, dopo averle reso gli ultimi omaggi, avvertì il fratello di quella morte. Lui le rispose con una bellissima lettera, riprendendola, tra l’altro, di aver offerto a Dio la sua vita e quella di uno dei suoi figli in cambio di quella della sorella defunta. «Figlia mia, le disse, non bisogna solo gradire che Dio ci colpisca, ma bisogna accertarsi che sia quello il mezzo che a lui piace. David offrì la sua vita per Assalonne, che moriva perduto per essersi ribellato al padre 52. Voglio vedere il vostro cuore vigoroso che ama e desidera fortemente, perché a nulla servono i cuori mezzi morti. Bisogna che una volta alla settimana facciate l’esercizio di amare la volontà di Dio più di ogni altra cosa, non solo nelle occasioni sopportabili, ma soprattutto nelle più insopportabili». Si scrisse queste parole su un libricino per leggerle tutti i giorni, mattino e sera e da quel momento intraprese l’esercizio dell’amore della volontà divina: «O Signore Gesù! Non voglio più scegliere, toccate la corda del mio liuto che più gradite e per sempre non suonerà che quella melodia. Sì, Signore! Senza se, senza ma e senza eccezioni sia fatta la vostra volontà su mio padre, sui miei figli, su qualunque cosa e su me stessa». Ora, poiché aveva capito che era la volontà di Dio che offrisse una delle sue figlie alla casa di Sales, lo comunicò tempestivamente ai suoi parenti e andò personalmente a Digione per esprimere a suo padre, con affetto filiale, il dolore estremo che aveva provato alla morte della signorina di Sales e il voto che aveva pronunciato di offrire una delle sue figlie a quella famiglia. «Mio padre, disse, fu molto sorpreso da quella notizia e cercò tutti i modi per dissuadermi. Tuttavia Dio mi fece la grazia di tenere così fermo il mio proposito che alla fine fu d’accordo con me e rilevò l’onore e la felicità che sarebbero derivati al nostro casato dall’alleanza con quello del Vescovo di Ginevra, che onorava come un vero uomo di Dio». Quella donna tanto prudente

52

Ndt: Cf. 2 Sam 19.

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fece ancora meglio e di più: convinse suo padre a scrivere una lettera al prelato con la quale testimoniava quanto era contento del voto pronunciato dalla figlia, aggiungendo al termine queste parole: «Bisogna però che confessi, Monsignore, che solo la forza che Dio ha dato a mia figlia è riuscita a portar via dalle mie ginocchia, dalle mie braccia e dai miei occhi quella nipote tanto amata». Aver convinto il presidente Frémyot non voleva dire aver risolto la questione. Fu ancora più difficile persuadere i parenti del ramo paterno, in quanto non conoscevano il Beato Padre e rifiutavano l’idea di mandare quella ragazza in Savoia e ancor più di stringere un’alleanza con un casato così lontano. Dio però rese talmente efficaci le parole della sua serva fedele che poco a poco e con pazienza li convinse tutti. Sottolineo con pazienza, dato che trascorsero quasi due anni per le trattative di quel matrimonio. È vero anche che si attendeva che la figlia compisse undici anni per farla sposare. Questa attesa era molto penosa per la signora di Boisy, tanto che Francesco di Sales scrisse una volta alla nostra Fondatrice: «Mia madre è talmente impaziente di diventare la madre della figlia che voi le avete offerto, che è con me tanto insistente da innervosirmi, se non fosse per il mio impegno costante nella ricerca della pace interiore. Dio mi è testimone di quanto anch’io desideri quella cognata e di quanto mi sarà cara. Anzi, non la considererò affatto una cognata, ma sarà per me più che una sorella e una figlia. Però mi chiedo: perché bisogna agitarsi tanto?». Nell’ottobre 1608 il Fondatore e il signore di Thorens andarono in Borgogna per conoscere la signorina di Chantal e incontrare i parenti, i quali, tutti, furono felici di quell’alleanza. A febbraio fu firmato il contratto di matrimonio con grande gioia della Beata Madre. Ma Dio volle che tutti questi dolci piaceri fossero mescolati ad un po’ di amarezza: fu infatti vittima di violente tentazioni contro la scelta che il santo vescovo aveva fatto della sua vocazione. «O Dio – disse una volta – quanto quel colpo fu duro per me. L’unico rimedio era prendere la croce di Cristo e dicevo a me stessa: Figlia di poca fede, che cosa temi? Se cammino sui venti e sui flutti è solo grazie a Gesù». Scrisse di questa sua pena al Fondatore il quale le rispose di non temere, poiché finché teneva così tra le braccia la croce, il nemico non poteva che essere sotto i suoi piedi.

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XXIII.

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IL TERZO VIAGGIO IN SAVOIA. IL SUO RIFIUTO A SPOSARSI DI NUOVO

Accade spesso che, grazie alla malizia dei perversi, la bontà dei giusti sia meglio riconosciuta. La domestica del suocero di cui abbiamo parlato si indispettì molto del fatto che sposasse la figlia maggiore così giovane, perché non poteva tener fede alla promessa che aveva fatto ad un gentiluomo di favorirlo agli occhi del nonno della ragazza. Una volta firmato il contratto di matrimonio con il signore di Thorens, per vendicarsi, rigirò contro la nuora l’animo del vecchio. Quest’ultimo inviò a Digione un uomo per lamentarsi con il presidente Frémyot, il quale, parlandone con la figlia, ricevette da lei la confessione di tutte le pene che da sette anni stava patendo in quella casa. Suo padre fu talmente colpito dalla virtù della figlia che non aveva mai accennato con lui di quella sofferenza, che passò la notte insonne e all’alba inviò da lei un uomo con una lettera nella quale le esprimeva tutto il suo amore paterno, la rimproverava di avergli celato quel dolore e le comunicava che era determinato a portarla via da là. Lei si scusò, ma colse l’occasione per ottenere il permesso, sia dal padre che dal suocero, di poter andare ad Annecy per la Quaresima, prendendo come pretesto l’ardente desiderio che la signora di Boisy aveva di incontrare la figlia promessa al barone di Thorens. È vero però che la sua principale intenzione era di concludere la nostra fondazione e udire i sermoni del Beato Padre, che predicava in quella città. Arrivò in Savoia la prima settimana della Quaresima 1609, portando con sé la figlia maggiore promessa al barone di Thorens e la seconda. Erano così amabili e così modeste che la gente faceva di tutto per vederle. Soprattutto la signora di Boisy era così invaghita della futura nuora che avrebbe voluto tenerla già con sé, ma ciò non era possibile. Quel soggiorno ad Annecy la fece ancor più conoscere dalla 94 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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gente e fu molto utile alle figlie spirituali del Vescovo di Ginevra. Assisteva assiduamente a tutte le cerimonie in cattedrale e, come una nuova santa Monica, avrebbe voluto essere sempre nella chiesa dove si trovava quel novello sant’Ambrogio 53. Sarebbe superfluo dire che non perdeva neanche uno dei sermoni pubblici che teneva. Allo stesso modo frequentava assiduamente gli esercizi e le devozioni delle numerosissime confraternite di quella città. Il Giovedì Santo si vestì di bianco e si coprì il viso con un velo come le sorelle penitenti della Santa Croce. Assistette alla grande processione che percorre tutte le chiese della città per visitare il Santissimo Sacramento ivi esposto e che inizia verso le dieci di sera dopo un sermone. Per seguire il Salvatore in quella notte dolorosa, con fatica e devozione e indossando il suo abito da penitente, percorse a piedi nudi tutta la città. L’indomani riconfermò i suoi voti tra le mani di Francesco di Sales e scrisse: «Nel giorno della morte del mio Salvatore rinnovo i miei voti, animata da nuovo e impareggiabile amore, dal desiderio di morire a me stessa e a qualunque altra cosa, per vivere nell’obbedienza alla divina volontà, alla quale mi consacro completamente e senza riserve per obbedirle nella persona del Vescovo di Ginevra, mio buonissimo padre spirituale. Voglia Gesù aiutarmi con la sua grazia e ricevermi, come io mi offro a lui con tutto il mio cuore. Amen. Giovanna Francesca Frémyot». Una volta trascorse le feste pasquali, fatto tesoro dei doni offerti dalla predicazione di Francesco di Sales e prese tutte le decisioni per il matrimonio della signorina di Chantal e per la nostra fondazione, dovette tornare in Borgogna e salutare la cara signora di Boisy che morì poco tempo dopo, senza poter assistere a quel matrimonio che tanto aveva desiderato. A Digione fu ricevuta con gioia indescrivibile dal padre, il quale, onorando il nostro Fondatore come un santo, non si stancava mai di sentirne parlare. Così gli scrisse un giorno: «Mi piace così tanto conversare con mia figlia, poiché lei nutre la mia anima del miele celeste che ha colto presso di voi». Si fermò alcuni mesi in Borgogna dimostrando una tale virtù da convertire molte persone. Gli unici affari tem-

53 Ndt: Santa Monica conobbe sant’Ambrogio, Vescovo di Milano, la cui catechesi favorì la conversione del figlio, sant’Agostino.

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porali di cui si occupava erano quelli dei suoi figli e della povera gente, per la cui tutela molto si prodigava. Portava con sé i documenti di quei contadini per farli vedere al padre, il quale li leggeva con grande disponibilità. Questo periodo di serenità nella casa paterna non durò a lungo, poiché tutti i parenti, sia suoi che del suo defunto marito, cominciarono a importunarla suggerendole un nuovo matrimonio con un gentiluomo, che lei più volte aveva liquidato, ma che ora, facendo leva sull’autorità dei suoi genitori, si riproponeva a lei. Era un gran signore, molto ricco e vedovo. Si pensava di far sposare i suoi figli con quelli della Beata Madre per unire le ricchezze delle due famiglie. Coloro ai quali l’oro e la mondanità accecano gli occhi, vedendo che quella vedova rifiutava tutte quelle proposte dicendo che aveva giurato di divorziare dal mondo, la biasimavano fortemente dicendo che era impertinente e sprovveduta nei confronti dei suoi figli e aggiungendo altre calunnie e malizie con le quali non voglio imbrattare questo foglio. Dico solo che Francesca di Chantal, con umile disprezzo, scrisse al Vescovo di Ginevra della persecuzione che doveva sopportare. Lui le rispose: «Figlia mia, chi sono quei temerari che vogliono spezzare la bianca colonna dell’amore per la vedovanza? Non temono i cherubini che la sorreggono all’ombra delle loro ali? Ahimè! Vi tormentano, dite, pensando di accontentare vostro padre. Orsù, lasciate fare e vedrete che Dio custodirà il padre senza perdere la figlia. Sant’Agata, santa Tecla e sant’Agnese hanno patito la morte piuttosto che perdere la loro castità. Vogliono spaventarvi con dei fantasmi, ma tutto ciò non deve intimidire il vostro fermo coraggio». La Fondatrice, riferendosi a quel periodo, disse: «Vedendo quel gentiluomo così ostinato nei suoi desideri, soffrivo un martirio così forte poiché era grande amico di mio padre, il quale ad ogni mio rifiuto si offendeva profondamente. Avrei preferito essere da mio suocero: tutte le sofferenze che là avevo patito mi sembravano rose rispetto alle spine che ora mi ferivano. Mi tenevo più che potevo stretta all’albero della santa Croce, col timore che tutte quelle voci adulanti potessero addormentare il mio cuore nel compiacimento mondano». Per più di otto anni il nemico, con mille malizie, aveva tenuto l’assedio di quella ferma torre di David. Sentendosi infatti sostenuto dai parenti, raddoppiò gli assalti e le tentazioni divennero così furiose che il cuore di quella vedova pensò di perdere quella dura battaglia. 96 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Ma come una generosa Sulamita che vuole scacciare il nemico, elevò un segno meraviglioso sul torrione della sua fortezza. Con la sua stessa mano incise il nome di Gesù sul suo cuore 54. Non sappiamo con quale strumento, ma la cucitura, spessa come una moneta da un testone 55, vi è rimasta tutta la vita. Era così profonda che non poteva tamponare il sangue che fuoriusciva da quella piaga d’amore. Con quel sangue scrisse nuove promesse a Dio, consacrandosi unicamente al suo amore 56. Fu così che quella vedova, al culmine delle sue tentazioni, scrisse sulla sua stessa carne il nome del suo solo amore, Gesù, e il suo cuore, con quel sigillo divino, trovò una nuova forza per resistere alle tentazioni del mondo e dell’inferno. Francesco di Sales le scriveva spesso e, a proposito delle sofferenze che si trovava a patire, le diceva tra l’altro: «Figlia mia, la vita che abbiamo scelto mi sembra sempre più auspicabile. Il Signore ne trarrà un grande beneficio! Vedo grandi difficoltà, ma, sapendo che questa è la volontà di Dio, non temo nulla. Lasciate pure che il mondo vi tenti, io non temo nulla per voi, perché avete una fede forte, come quella di Bila sulle ginocchia della bella Rachele 57. La Madonna avrà cura di voi».

54 Incise quel nome all’altezza del cuore. La scritta era alta un pollice, tutta chiara, tranne la lettera S. La croce era in basso. (Lettera della Madre di Musy, scritta dal monastero di Moulins, il 10 gennaio 1642). 55 Ndt: Il testone è un’antica moneta d’argento. «On appelloit ainsi il y a quelque temps une pièce de monuoye d’argent, qui n’a plus maintenant de cours et qui valoit six demiers moins que le quart d’escu, qui avoit la teste du Roy empreinte d’un costé, et les armes de France de l’autre» (Dictionnaire de l’Académie, 1694, cit.). 56 La santa incise il nome di Gesù sul suo cuore davanti ad un grande crocifisso che poi portò alla Visitazione e fu esposto sull’altare del noviziato. Verso il 1614, la venerabile sorella Anne-Marie Rosset, appoggiando le labbra su quella santa immagine, fu graziata della prima visione del Sacro Cuore di Gesù. Dalle indicazioni contenute nell’inventario dei mobili del primo monastero di Annecy, pare che quel crocifisso sia quello che si trova sull’altare del Capitolo di quello stesso monastero. 57 Ndt: Cf. Gen 30, 1-5.

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XXIV.

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COME COMUNICÒ A SUO PADRE LA DECISIONE DI ABBANDONARE IL MONDO

Come una fedele israelita aveva come unica aspirazione quella di uscire dall’Egitto, così Giovanna Francesca desiderava solo lasciare quel mondo che continuava a tiranneggiarla. Aspettava il momento migliore per poter rivelare al padre il suo progetto. San Giovanni le offrì l’occasione il giorno della sua festa; la casa era infatti deserta perché tutti erano andati a vedere la banda e i fuochi che in quel giorno rallegrano la città. «Quando vidi mio padre solo – disse – provai una sofferenza grandissima ad entrare nella sua stanza, perchè sapevo il dolore che gli avrei dato rivelandogli i miei progetti. Mi misi in ginocchio e invocai con tutto il cuore l’aiuto divino». Entrò e cominciò con calma a preparare l’animo di quel buon padre, dicendogli come prima cosa che le dispiaceva molto di dover crescere le sue figlie a casa di suo suocero, poiché quella casa non era organizzata così come lei avrebbe voluto. Il saggio presidente Frémyot le rispose che non doveva preoccuparsi: la figlia maggiore, una volta sposata con il barone di Thorens, sarebbe stata affidata alla signora di Boisy che tanto lo desiderava; le due figlie più piccole era sua intenzione di metterle dalle Orsoline per preparare loro una vita religiosa, se quella era la volontà di Dio. Infine le disse che del barone di Chantal suo figlio se ne sarebbe occupato personalmente. «La Provvidenza celeste – disse – avendo messo quelle parole sulla bocca di mio padre mi fece allora dire con un gran batticuore: Mio buonissimo padre non biasimatemi se vi dico che, considerate queste vostre disposizioni, mi sento allora libera di rispondere alla chiamata divina a ritirami dal mondo e consacrarmi interamente al servizio divino». Quel venerabile vecchio, che all’epoca aveva più di settantuno anni, appena udì quelle parole si mise a piangere e con tenerezza pa98 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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terna cercò di dissuadere la figlia dai suoi propositi. Il suo coraggio rimase fermo solo grazie all’aiuto di Dio, perché vedere suo padre soffrire così tanto era per lei un vero martirio. Per calmare quel dolore gli disse che il progetto, seppure ispirato da Dio, non si era ancora concretizzato. In coscienza si era sentita obbligata di rivelare a coloro che meglio potevano consigliarla le cose più intime che provava nel suo cuore. Il padre si tranquillizzò. Gli rivelò anche che aveva parlato di questo suo desiderio con il Vescovo di Ginevra, il quale le aveva svelato che si trattava di un’ispirazione che veniva dall’alto. A questo punto il presidente Frémyot disse alla figlia: «Bisogna ammettere che quel prelato possiede lo spirito di Dio. Di una cosa sola vi prego: non prendete alcuna decisione prima che io gli abbia parlato». Giovanna Francesca glielo promise e, vista la sua totale fiducia in Dio, gli assicurò che avrebbe ascoltato solo gli ordini suoi e del Vescovo di Ginevra e messo a tacere invece i suoi sentimenti. Questo atteggiamento piacque molto a suo padre. Fu molto soddisfatta di quel colloquio e dispose il suo rientro a casa del suocero, a Montelon, dove, con un atteggiamento di santa e caritatevole prudenza, cominciò a guadagnarsi il consenso e l’appoggio di coloro che maggiormente avrebbero potuto opporsi ai suoi desideri. Mise ordine nei suoi affari e si impegnò fortemente a risolvere le dispute, pagare i debiti e gestire i beni dei figli. Ospitava spesso delle aspiranti carmelitane e sorprendentemente, già a partire dal 1607, la Madre Jeanne-Charlotte de Bréchard era spesso con lei. Dal suo ritorno da quell’ultimo viaggio in Savoia si abituò, con le sue devote figlie, agli esercizi religiosi, come il silenzio, la salmodia e altre cose simili. Faceva pregare chiunque e dovunque affinché Nostro Signore permettesse che i suoi parenti gradissero il suo ritiro dal mondo. Sapendo che suo padre e l’Arcivescovo di Bourges suo fratello sarebbero andati a trascorrere le vacanze a Totes, un loro possedimento nella zona dell’Auxois, decise di andarli a trovare. Il fratello, che l’amava profondamente, le disse senza preamboli che mai e poi mai avrebbe dovuto allontanarsi da loro. Suo padre, con un’indescrivibile tenerezza paterna, le disse che aveva riflettuto molto sulla proposta che gli aveva fatto: secondo lui doveva rimanere nella condizione in cui era, accontentandosi della libertà di vivere devotamente il suo stato di vedova. Ascoltò le loro ragioni senza mostrare né stupore né avventatezza, di99 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cendo soltanto al padre, con umile sottomissione, che in tutto ciò lei cercava solo l’obbedienza e che intendeva soltanto esporre i suoi desideri a coloro che dovevano giudicarli ed eventualmente aiutarla a realizzarli. Di quel giorno la Fondatrice disse: «L’amore che mio padre mi dimostrava era per me un grande ostacolo, come anche la premura con cui cercava di dissuadermi attraverso delle motivazioni tratte dalla Scrittura che però piegava alle sue intenzioni. Pregai ancora più fortemente il Signore affinché mantenesse fermi i miei propositi e un mattino piacque alla sua bontà farmi conoscere, attraverso una luce soprannaturale, che la malizia diabolica stava servendosi della bontà del mio genitore. Il diavolo si era immischiato in quest’affare e aveva dato a mio padre una tenerezza e delle parole così affettuose nei miei confronti come mai aveva avuto e a me un grande affetto per lui e per i miei figli. Dio però mise sulle mie labbra queste parole come un’arma di difesa: Se piacessi agli uomini, non sarei serva di Cristo. Piuttosto che rinunciare a servire Gesù, avrei preferito perdere il cielo, la terra, gli uomini, gli angeli, me stessa e qualunque altra cosa tanto era ardente il mio desiderio di Dio. E quell’aspirazione a compiere la Sua volontà si era talmente impossessata della mia anima che non potevo più nasconderla. Mio padre, essendosi accorto di ciò, ordinò a mio fratello di cercare di distogliermi da quei pensieri. Lui ci provò, ma potendogli parlare da sorella e non da figlia gli dissi apertamente che non potevo tradire la mia anima e che quello che provavo non era frutto della mia immaginazione, ma proveniva direttamente da Dio. Non potevo aver scambiato la voce del Pastore per quella di un mercenario. In fondo cercavo solo la volontà di Dio e, sebbene io desiderassi ritirarmi dal mondo, se il Vescovo di Ginevra mi avesse ordinato di rimanere nella condizione di vedova io l’avrei fatto. Anche se mi avesse chiesto di passare la mia vita attaccata ad una colonna come Simeone lo Stilita ne sarei stata contenta. Cercavo soltanto di obbedire alla volontà di Dio. Queste parole toccarono profondamente il Vescovo di Bourges: le riferì a mio padre e lui rivide la sua posizione. Né l’uno né l’altro affrontarono più questo discorso, né io lo intavolai più. Ognuno di noi, per parte sua, attendeva l’imminente arrivo del nostro Beato Padre».

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XXV.

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COME IL NOSTRO BEATO PADRE BENEDISSE IL MATRIMONIO TRA IL BARONE DI THORENS E LA SIGNORINA DI CHANTAL E CONQUISTÒ IL CONSENSO DEI PARENTI DELLA FONDATRICE AFFINCHÉ LEI POTESSE RITIRARSI DAL MONDO

Il 13 ottobre 1609 si riunirono tutti a Montelon. Arrivò il Vescovo di Ginevra che benedisse le nozze tra il barone di Thorens, suo fratello, e la signorina di Chantal, che aveva undici o dodici anni. Sua madre, che ardeva dal desiderio di congiungersi con lo Sposo eterno, fece in modo che l’indomani Francesco di Sales, suo padre e il Vescovo di Bourges fossero lasciati soli, affinché potessero parlare della sua vocazione. Durante quelle ore lei si ritirò in preghiera e pregò fino alle lacrime, implorando Dio di rendere i cuori di suo padre e di suo fratello sensibili alle ragioni che il Vescovo di Ginevra avrebbe presentato. La sua preghiera fu esaudita: la fecero chiamare e lei con coraggio stette davanti a coloro che dovevano decidere del suo destino. Il padre e il fratello le posero molte domande e le fecero molte obiezioni. La sicurezza con cui lei rispose li convinse definitivamente. Disse tra l’altro che, se avessero guardato solo e profondamente in Dio, avrebbero trovato quantità di ragioni per approvare il suo progetto. Descrisse poi ampiamente il desiderio che Dio aveva messo nel suo cuore per quella vita fin dal primo giorno di vedovanza. Mentre lei proferiva quelle parole il Fondatore restò in silenzio, ammirando la saggezza e la generosità di quella donna, la quale, dopo aver risposto a tutte le obiezioni che le venivano mosse, raccontò come aveva sistemato i beni dei figli e di come li avrebbe lasciati senza cause pendenti, litigi, o debiti. In più la figlia maggiore era ormai sposata da due giorni. Il Presidente Frémyot, udendo ciò, non poté trattenersi dal dire: «Questa donna ha proprio pensato a tutto e non si è dimenticata di nulla». Il Vescovo di Bourges non sapeva cosa rispondere; entrambi conclusero che era opera divina e non si opposero mai più. Francesco di Sales, ben felice di vedere gli effetti della 101 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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grazia su quei due cuori desiderosi di conformarsi alla volontà di Dio, non disse una parola mentre conferivano tra di loro. Rimaneva un’ultima non piccola difficoltà da affrontare: in che luogo e in quale città quella santa vedova avrebbe fondato la sua congregazione? Il padre voleva che fosse a Digione, il fratello avrebbe voluto Autun, per rimanere più vicina ai beni dei suoi figli, o Bourges. A questo punto lei prese la parola e disse che, essendo la piccola baronessa appena sposata e ancora molto giovane, avrebbe voluto andare ad Annecy per esserle vicino ed aiutarla ad organizzare la sua casa. Del resto il tipo di vita che avrebbe intrapreso le avrebbe concesso sufficiente libertà per curare i beni dei figli e crescere le due figlie più giovani vicino a lei. Il padre e il fratello gradirono molto questa sua proposta e il Beato Padre illustrò il progetto della nostra congregazione e promise loro che colei che stavano offrendo a Dio e che ne sarebbe diventata la prima Madre, sarebbe potuta rientrare in Borgogna se necessario per il bene dei suoi figli. Questo li rasserenò molto e vedendo che quel santo uomo di Dio stava seguendo le orme del Signore e disponendo ogni cosa con generosità e soavità, diedero il loro totale consenso e si lasciarono ringraziando e benedicendo il Signore per quella santa impresa. L’indomani Giovanna Francesca volle battere il ferro finché era caldo: chiese che fosse fissato il giorno in cui il suo desiderio si sarebbe realizzato. Le fu detto tra sei settimane, massimo due mesi visto che i suoi affari erano tutti in ordine. Ne fu felicissima e pregò il padre di riferirlo a suo suocero. Quel buon vecchio, che aveva più di ottant’anni, si lamentò e pianse a lungo, tanto che il Presidente Frémyot ne rimase colpito e disse alla figlia che bisognava assolutamente ritardare di un anno o due la sua partenza perché non poteva vedere soffrire così tanto quell’uomo. Gli ripose: «Mio carissimo padre, le decisioni prese per il servizio e la gloria di Dio non possono essere ritardate. Mi occuperò io di convincere mio suocero». La domenica fece in modo che il Fondatore celebrasse la messa parrocchiale; ordinò poi che tutti si confessassero con lui e si comunicassero prendendo l’ostia dalle sue mani. Al termine della messa pronunciò un discorso che procurò la conversione di un giovane considerato ateo e che poi diventò cappuccino. Quello stesso giorno la nostra sorella e Madre Jeanne-Charlotte de Bréchard, vicina della Beata Madre e madrina 102 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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della sua ultima figlia, parlò al Vescovo di Ginevra del suo grande desiderio di essere religiosa e della delusione che provò quando non poté entrare nelle Carmelitane. Gli raccontò anche due sogni misteriosi che aveva fatto dai quali il Fondatore capì che il Signore le aveva mostrato l’idea di congregazione che lui avrebbe voluto fondare. Così, dopo averla confessata, le disse: «Figlia mia, vi piacerebbe percorrere la stessa strada della baronessa di Chantal?». Rapita di gioia gli rispose che era il suo più grande desiderio e da quel momento la considerò sua figlia spirituale e la Fondatrice la guardò sempre come la fedele compagna della sua felicità. Francesco di Sales partì da Montelon per tornare in Savoia raccomandando a Giovanna Francesca soltanto la perfetta umiltà. Quella doveva essere la prima pietra fondamentale del loro nuovo edificio affinché potesse ergersi in altezza e in una fermezza durevole nei secoli. Le ripeté più volte che voleva che lei si offrisse a Dio per le necessità della Chiesa ed avendo come unica pretesa la glorificazione di Dio attraverso l’umiltà.

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XXVI.

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COME DIO CHIAMÒ LE PRIME MADRI E SORELLE. ALCUNI FATTI RELATIVI ALLA FONDAZIONE DEL NOSTRO ISTITUTO

La fondazione del nostro istituto ha parecchie analogie con quella della Compagnia di Gesù, poiché, come in quel caso, il Signore scelse le persone da luoghi diversi per unirle nello stesso stile di vita e avere un cuore ed un’anima congiunti a Lui. La prima figlia che Dio destinò alla nostra congregazione, dopo la Fondatrice, fu la Madre Marie-Jacqueline Favre. Dio la guardò mentre danzava durante una festa a Chambéry, con l’attenzione di tutti puntata su di lei. In quel momento le aprì gli occhi sulla vanità della sua vita e sulla confusione che le sarebbe derivata nell’ora della sua morte. Faticò a rimanere fino alla fine di quella festa da ballo; allontanando però il suo sguardo dalla vanità, riuscì a trasformare quella sala in un luogo di preghiera e, da quel giorno, cominciò a odiare il mondo, promettendo a Dio di allontanarsene. Di ritorno ad Annecy si mise sotto la guida del Beato Padre, lasciando a lui la scelta della sua vita e offrendo se stessa a Dio per il resto dei suoi giorni. Mentre la celeste Provvidenza era impegnata con lei in Savoia, in Francia ne chiamò contemporaneamente un’altra per esserle compagna. Si tratta della Madre Jeanne-Charlotte de Bréchard, signorina di buona famiglia, alla quale Dio mostrò, come abbiamo raccontato nelle pagine dedicate alla sua vita 58, un’immagine appena abbozzata del nostro istituto 59. Vide, tra l’altro, all’angolo dell’altare di una cap58 Ndt: Il riferimento è a Les Vies de IX religieuses de l’ordre de la Visitation Sainte-

Marie. Par la Mère Françoise-Madeleine de Chaugy, J. Clerc, Annecy 1659. Due copie originali di quest’opera, più volte riedita nel corso degli anni, sono custodite alla Bibliothèque Nationale de France a Parigi. 59 Ndt: «Crayon» in questo caso significa letteralmente «abbozzo, schizzo».

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pellina, la Fondatrice che cantava le lodi di Dio con un’aria e delle cerimonie veramente straordinarie. Le sembrava infatti che stesse suonando una trombetta o un corno da caccia per riunire le sue figlie da ogni parte della terra. Girandosi verso di lei le disse: «Volete anche voi farne parte?». Lei rispose di sì e subito la Madre le mise in mano uno stelo di fiori blu, come segno della sua accoglienza all’interno della congregazione. La Madre Jeanne-Charlotte era in Borgogna, mentre la Madre Péronne-Marie de Châtel, signorina savoiarda, era in Germania dove ricevette una chiamata tutta particolare, come si racconta nelle pagine dedicate alla sua vita. Offrì alla Madonna, nella celebre cappella di Notre-Dame-des-Ermites, un anello che le era carissimo affinché la Madre del Cielo la sposasse a suo figlio. Dopo fu la volta della Sorella Marie-Adrienne Fichet, signorina di Faucigny in Savoia. Anche lei fu chiamata in un modo tutto particolare: Dio le fece vedere tre stelle, di cui una, quella al vertice del triangolo, era molto più grossa e luminosa delle altre due e tutte e tre erano sopra la città di Annecy. Le sembrò anche di vedere un cammino stellato che arrivava fino a lei per invitarla ad unirsi a quelle stelle sopra la città di Annecy. Quando udì parlare della fondazione della nostra congregazione capì che era Dio che le aveva mostrato dove voleva che lei lo servisse. La madre Marie-Aimée de Blonay viveva nello Chablais 60, dove, ben due anni prima della fondazione della nostra congregazione, aveva già rivelato al Vescovo di Ginevra la chiamata di Dio che aveva sentito nel suo cuore e, poiché conosceva solo le Clarisse, aspirava ad entrare in quell’Ordine. Francesco di Sales le proibì di parlarne a chiunque, cosa che lei fece. Scrisse a Giovanna Francesca: «La signorina Favre è pronta per il nostro progetto e la signorina di Blonay, attualmente nello Chablais, è anch’ella destinata da Dio alla congregazione. Le ho detto di mantenere il segreto e lei si è abbandonata alla mia guida». In un’altra lettera disse: «Dio ci ha donato la figlia del signore di Blonay. Vedrete quanto vi piacerà quando la co-

60 Ndt: Territorio al confine tra la Savoia francese e la Svizzera, sulle sponde del lago di Ginevra.

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noscerete. Dio la dispone a fare qualcosa di veramente grande e buono all’interno del nostro progetto». All’inizio del 1610, sapendo che la congregazione doveva iniziare il suo cammino, quel santo vescovo chiamò la Madre di Blonay, che però dovette ritardare la sua entrata a causa della morte del fratello. Ma la Provvidenza non lo abbandonò e gli fornì persino una suora portinaia nella persona della sorella Anne-Jacqueline Coste, santa contadina e sua figlia spirituale. Come suo confessore gli aveva rivelato che da diversi anni sentiva il desiderio di far parte di una famiglia religiosa, cosa di cui lui fu felicissimo e che comunicò subito alla Beata Madre: Dio stava mandando loro una vera santa e lo stesso Vescovo di Ginevra si impegnava a farsi carico della sua istruzione. Il Signore però decise di ritardare la fondazione della congregazione. Si pensava infatti di poter cominciare a Natale 1609 e il Presidente Frémyot ottenne che si potesse arrivare alla primavera 1610. Questo posticipo permise però che la notizia della fondazione si divulgasse in tutta la Francia. Ognuno diceva la sua: i benevoli la lodavano e l’approvavano e le notizie arrivarono anche a Corte, dove viveva il padre Jacques de Bonivard, gesuita, uomo santo, che aveva avuto la grazia di vedere il suo angelo custode. Era legato da una forte amicizia a Francesco di Sales che, quando gli rivelò il progetto che aveva in mente, capì che l’amico sapeva già tutto. I Padri de Villars e Fournier, entrambi gesuiti, erano anch’essi al corrente di quanto stava accadendo. Anche una carmelitana, la Madre della Trinità, oggi considerata una santa, ebbe delle visioni relative alla fondazione della nostra congregazione ben quattro anni prima che ciò avvenisse. Quando Giovanna Francesca le disse che talvolta le veniva il desiderio di diventare carmelitana lei le rispose: «Signora, quando avrete soddisfatto ciò che il Signore vi chiede, penseremo a rispondere ai vostri desideri». Un’altra volta, a proposito del medesimo argomento, le disse: «No, no, Signora, santa Teresa non vi avrà come figlia. Dio vi vuole madre di tante ragazze che vi saranno compagne». Un padre gesuita un giorno, durante l’omelia, ci ha raccontato che san Gioacchino abate 61, che ha profetizzato tutti gli Ordini religiosi 61 Ndt: Gioacchino era nativo di Celico, vicino a Cosenza in Calabria. Indossò l’abito cistercense nel monastero di Corazzo e ne divenne priore e abate. Lasciò l’abbazia

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della Chiesa, ha parlato in questi termini: «Si ergerà un uomo, grande e fedele servitore di Dio. Radunerà un popolo di donne, che renderà forti in Dio. Quel popolo sarà pieno di luce e avrà una totale devozione per la Santissima Trinità. Per il Padre, con un rispetto e una fiducia filiali; per il Figlio, con una santa imitazione delle sue sante virtù, quali l’umiltà, la benevolenza, la carità e la dilezione; per lo Spirito Santo, con un ampio possesso dei suoi doni. Questo popolo volgerà interamente alla Vergine il suo cuore, camminerà sotto la sua protezione, vivrà e otterrà il Regno dei Cieli. Servirà Dio con cuore leale e fedele, praticherà l’obbedienza perfetta, la mistica povertà, la purezza angelica, la semplicità, la dolcezza cordiale, la profonda umiltà, fondata sulla coscienza della propria debolezza, l’ammirevole forza d’animo, la carità altissima, sia verso Dio sia verso l’umanità. Quella comunità camminerà alla presenza di Dio, aspirerà alla propria crocifissione e a salire sul monte Calvario, dove acquisirà la perfezione e l’unione con Dio e il prossimo. Sarà condotto sulla via dell’amore e della sopportazione attraverso la ragione e la discrezione. Non rifiuterà i deboli e gli infermi, ma accoglierà tutti. Quell’uomo compirà cose molto più grandi di quanto lui stesso avesse pensato». Ecco la profezia che il Padre Petit riferì durante un sermone, che ho voluto riportare per esteso perché è una sintesi di ciò che dobbiamo essere e di come era colei che Dio aveva scelto come prima Madre e guida di quel nuovo popolo. Qualche anno prima della fondazione del nostro istituto a Grenoble vi era un santo abate, chiamato di sant’Antonio. Era cieco e tuttavia si diceva vedesse le vanità e le superficialità di tutti, rivelandole agli interessati. Predicava soprattutto contro le nuove tendenze della moda femminile. Diceva spesso alle signorine: «Non voglio invitarvi ad abbandonare il mondo, ma il tempo in cui Dio donerà alla sua Chiesa un esempio di vita perfetta si avvicina». Faceva pregare molto i suoi figli spirituali affinché Dio facesse sorgere un ordine religioso nel quale fossero accolte anche le ragazze di costituzione più delicata. col permesso di papa Lucio III e andò a vivere a Fiore, dove fondò una celebre abbazia di cui fu il primo abate. Da lui dipesero molti monasteri che governò sempre con saggezza, facendo fiorire all’interno del suo Ordine la pietà e la regola. Morì nel 1202 all’età di 72 anni lasciando molte opere e alcune profezie che fecero molto scalpore.

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XXVII.

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LA MORTE DELLA FIGLIA PIÙ GIOVANE DELLA FONDATRICE. COME LASCIÒ LA CASA DI SUO SUOCERO

All’inizio del 1610 il desiderio della Fondatrice di ritirarsi dal mondo il più presto possibile era sempre più forte. In Savoia vi era un gentiluomo molto virtuoso che aveva sentito parlare della nostra congregazione; poiché voleva entrare nei Cappuccini e sua moglie diventare religiosa, desiderava che quest’ultima facesse qualche pia fondazione ad Annecy. Pregò Francesco di Sales affinché coniugasse il desiderio di sua moglie con il progetto della baronessa di Chantal. Il vescovo accettò ma con qualche difficoltà; tuttavia intravedeva in quella proposta un aiuto materiale che Dio gli stava offrendo e permise perciò a quell’uomo di acquistare una casa e di intraprendere qualche preparativo. Dio però gli fece capire che quei disegni non erano suoi e quindi si dissolsero in breve tempo. Francesco di Sales stava preparando la parte spirituale del suo progetto: fondare una congregazione nella quale donne e ragazze vivessero insieme regolate da pie costituzioni; essa doveva essere un dolce rifugio anche per le più deboli, dove, senza molte austerità corporali, fossero praticate le virtù essenziali della devozione. A questo proposito si legga la lettera che il Beato Padre scrisse su questo argomento a un Padre della Compagnia di Gesù che così termina: «Come vi ha detto il Padre Rettore, la pietra fondamentale che Dio ci offre per questo edificio è un’anima di virtù e pietà eccelse; questo mi permette di credere che la cosa avrà un buon esito». Verso la fine del mese di gennaio il Signore chiamò a sé la più giovane delle figlie della baronessa di Chantal: Carlotta. Fu un dolore grandissimo, poiché l’amava profondamente essendo una ra108 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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gazza dotata di rare qualità e di un’attitudine del tutto naturale per la pietà, tanto che sua madre sperava diventasse la sua Eustochia 62. Appena asciugate quelle lacrime ricevette la notizia della morte della signora di Boisy, madre del Beato Padre. Fu un duro colpo per lei poiché pensò anche alla sua giovane baronessina di Thorens privata della guida di una suocera così virtuosa. Capì però che fu una saggia decisione della Provvidenza, che in questo modo mise a tacere quelle persone che trovavano da dire sulla scelta di Giovanna Francesca di ritirarsi in convento, poiché compresero finalmente che quella giovane aveva più che mai bisogno in quel momento della vicinanza di sua madre. Lasciò Montelon la prima domenica di Quaresima. La venne a prendere il genero, il barone di Thorens, e tutto il vicinato si riunì attorno a lei per salutarla. I poveri soprattutto erano i più afflitti, perchè stavano perdendo la loro madre caritatevole. I loro lamenti erano così forti che dei cappuccini non riuscivano, malgrado i numerosi tentativi, a farli tacere. Si fece avanti il figlio di un povero che, piangendo, disse a tutti coloro che avevano osteggiato la Madre: «Ci stanno togliendo la Luce, ma siete voi che avete voluto spegnerla! Pentitevi di ciò che avete fatto!». Ciò che però commosse maggiormente la folla fu il povero suocero, che venne a salutarla profondamente addolorato. La nuora si gettò ai suoi piedi, gli chiese perdono dei dispiaceri che poteva avergli arrecato e con un viso sereno, raccomandò a lui il giovane barone suo figlio. Quel buon vecchio, che aveva più di ottant’anni, le rispose solo con dei lamenti che colpirono profondamente tutti i presenti. La baronessa di Chantal li accarezzò tutti uno ad uno, ricordando loro il timore di Dio. Abbracciò in modo particolare i poveri, raccomandandosi alle loro preghiere, poi salì in carrozza e andò a cenare a Autun, dove fu accolta da una grande folla. Chiese ad un religioso del Terz’Ordine francescano di restare vicino a suo suocero fino alla morte e di occuparsi della salvezza della sua anima. Prima di partire da Autun andò a far visita a tutti i luoghi di devozione: quella città ne conta moltissimi, perché ha avuto la grazia di 62 Ndt: Sant’Eustochia (368-419ca) figlia di santa Paola e discepola di san Gero-

lamo. Con la madre e sotto la guida di san Gerolamo fondò a Betlemme quattro monasteri.

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essere stata bagnata dal sangue di numerosi martiri. Si congedò dai padri Cappuccini e andò a fare visita all’ospedale lasciando delle offerte. Infine partì e in due giorni arrivò a Digione.

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XXVIII.

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CON QUALE GENEROSITÀ LA NOSTRA BEATA MADRE LASCIÒ IL SUO PAESE E I SUOI PARENTI PER ANDARE DOVE DIO LA CHIAMAVA

Ormai intrapresa quella strada, Giovanna Francesca non aveva più alcuna intenzione di tornare indietro. Arrivata al suo paese natale per congedarsi dalla sua famiglia, per prima cosa volle comunicarsi, affinché Lui le desse la forza di raggiungere le belle montagne della Savoia. Rimase diversi giorni con i suoi cari, perché l’amore reciproco che la legava a loro era così forte da rendere tanto difficile il distacco. Visitò tutti i luoghi di devozione intorno a Digione e fece dei voti a san Bernardo e a Notre-Dame-de-l’Étang, le due chiese dove amava di più ritirarsi. Il 29 marzo, giorno fissato per la sua partenza, molte persone si radunarono a casa del presidente Frémyot: piangevano tutti, ma nessun dolore poteva eguagliare quello provato da suo padre. Si ritirò nel suo studio per timore che le sue lacrime, che non riusciva a trattenere, potessero scatenare reazioni troppo forti presso gli altri. L’unica a non piangere era Giovanna Francesca, autentica Paola 63 dei nostri giorni: li abbracciò tutti, uno ad uno, con una costanza degna della sua virtù generosa, senza dar cenno mai di alcun cedimento, sebbene i suoi occhi fossero gonfi di lacrime. Per ultimo salutò suo figlio, il giovane barone di appena quindici anni, che amava di un amore profondissimo, il quale si gettò ai suoi piedi suscitando la pietà dei presenti. Fece un discorso molto toccante e quella santa madre gli rispose con un’ammirevole forza, tanto che tutti si commossero ulteriormente davanti a quella testimonianza di amore filiale e di tenerezza materna. Il ragazzo andò a

63 Ndt: Santa Paola (nata verso il 347 e morta nel 406), madre di sant’Eustochia (cf. nota 62 del cap. XXVII) e anch’essa discepola di san Gerolamo.

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sdraiarsi davanti alla soglia della porta e disse: «Ebbene, madre mia, sono troppo debole e sfortunato per potervi trattenere, ma per lo meno si dirà che siete passata sopra vostro figlio!». Pur commossa davanti a quel gesto si ricordò del consiglio di san Gerolamo e gli passò proprio sopra. Padre Robert, ecclesiastico dotto e virtuoso, precettore dei signori des Francs, suoi nipoti, e vicario del vescovado di Châlons, ammirando la sua costanza e magnanimità le si avvicinò e le chiese: «Signora, le lacrime di questo ragazzo potrebbero abbattere la vostra costanza? – Affatto – rispose lei sorridendo – ma, che volete… sono madre!». Fu molto soddisfatta della risposta che diede a quell’uomo e, con ancor più grande fervore, cominciò ad invocare l’aiuto del cielo perché vedeva avvicinarsi a lei suo padre, il cui aspetto e il cui pianto suscitavano in lei una grande pietà. Conversarono a lungo fra le lacrime dell’uno e dell’altra, infine si mise in ginocchio per ricevere la benedizione paterna. Il Presidente Frémyot alzò le mani, gli occhi e il cuore al Cielo e pronunciò queste parole: «Non spetta a me, Dio mio, giudicare ciò che la divina Provvidenza ha decretato; lo accetto con tutto il mio cuore e, con le mie stesse mani, consacro sull’altare della vostra volontà questa figlia che mi è cara quanto Isacco lo era al vostro servitore Abramo». Fece allora alzare la figlia e baciandola le disse: «Andate, figlia mia, dove Dio vi chiama e smettiamo entrambi di piangere al fine di rendere onore alla divina volontà e affinché nessuno possa dire che la nostra costanza sia stata scossa». Con questo consiglio e la benedizione paterna si mise serenamente in cammino, tanto che uscendo da Digione si mise a cantare con la Madre di Bréchard i salmi Lœtatus sum in his e Quam dilecta tabernacula 64. Ripeterono diverse volte quei versetti nei quali il salmista paragona la sua libertà a quella di un uccello sfuggito alle trappole dei cacciatori: Anima nostra sicut passer. Quando arrivava ad un villaggio si informava subito se c’erano dei malati e andava a servirli, a consolarli e a ripulirli; il mattino, prima di ripartire, andava a far loro il letto e si raccomandava alle loro preghiere. Dovettero passare da Ginevra. Siccome un parente del barone di Chantal, suo defunto marito, aveva reso dei favori a persone di quella

64

Ndt: Si tratta rispettivamente dei salmi 121 (122) e 83 (84).

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città, Giovanna Francesca temette che se avesse pronunciato il suo nome le avrebbero riservato degli onori particolari, come già era capitato a dei suoi familiari. Per questa ragione non volle che fosse detto che era la baronessa di Chantal e si presentò con un altro nome. Il Beato Padre e altre venticinque persone circa, sia uomini che donne, salirono a cavallo per andare incontro a colei che veniva in nome del Signore. Entrò ad Annecy con grande solennità il giorno delle Palme 65. Con lei c’erano la signora di Thorens e la sua seconda figlia, la signorina di Chantal, che intendeva far crescere insieme a lei. La Settimana Santa trascorse fra devozioni e sante conferenze. La Madre Marie-Jacqueline Favre, che conosceva già bene Giovanna Francesca, si donò a lei e da quel giorno non si lasciarono mai più. Erano sempre insieme e s’incoraggiavano vicendevolmente a perseverare nella loro impresa. La Beata Madre aiutò la figlia, la signora di Thorens, a gestire la sua casa e dimorò con lei qualche tempo. Poiché era molto giovane la circondò di persone che potessero aiutarla.

65

Era il 4 aprile 1610.

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XXIX.

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ULTIME RISOLUZIONI E ASSEGNAZIONI PRIMA DI INIZIARE LA FONDAZIONE DEL NOSTRO ISTITUTO

Si stava avvicinando la Pentecoste e il Fondatore desiderava dare inizio alla nostra congregazione proprio in occasione di quella festività «affinché le nostre figlie, come in un piccolo cenacolo, ricevano lo Spirito Santo, si inebrino di quel mosto divino che permetterà loro di parlare una nuova lingua e di vivere una nuova vita». Dio, tuttavia, aveva deciso che fosse in un altro giorno. La moglie del gentiluomo di cui abbiamo parlato e che aveva acquistato una casa volle sciogliere tutti i propositi fatti. Probabilmente si spaventò davanti all’importanza di quella scelta o, come è più verosimile, il Signore non l’aveva destinata a quella vita 66. Ciò causò molte dicerie, di cui i nostri Fondatori non si stupirono affatto, anzi, benedirono il Signore che in questo modo lasciava loro più libertà perché potevano iniziare la congregazione in una totale povertà e semplicità. Il Vescovo di Ginevra entrò in trattativa per quella casa, che si trovava fuori città nel quartiere della Perrière. Si impegnò in tutti i modi e, di ritorno dalla stipula del contratto, disse soddisfatto: «Mai sono stato più felice di adesso, ora che ho trovato un alveare per le mie api, o forse è meglio dire una gabbietta per le mie piccole colombe». Cominciarono così i preparativi per allestire la casa e un piccolo oratorio. Il Beato Padre disponeva anche le prime regole spirituali: era quello a cui teneva di più e ciò a cui Giovanna Francesca pensava maggiormente. Parlando della no66 Secondo il Padre Ménétrier si tratterebbe della baronessa di Cusy; in una lettera del 2 maggio 1610, Francesco di Sales la prega di valutare bene se possiede abbastanza amore, forza e coraggio per abbracciare in modo così totale Gesù crocifisso e dire addio al mondo.

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stra fondazione era solito dire che la Provvidenza celeste dal nulla aveva creato un piccolo universo. Le Madri Favre e de Bréchard aspettavano con ansia il giorno in cui avrebbero potuto ritirarsi dal mondo; non pensavano però ad attirare altre compagne fino al giorno in cui la Bontà divina portò in quella città la Madre Péronne-Marie de Châtel e la baronessa de Villette, le quali, come altre signore del vicinato, erano venute a trovare la Beata Madre prima che si ritirasse nel chiostro. La Madre de Châtel, che aveva chiesto alla Vergine che le mostrasse il luogo dove voleva che servisse il suo Figlio divino, non appena vide Giovanna Francesca capì che era colei che la Madonna le donava come madre. L’indomani si confessò con il Vescovo di Ginevra e gli aprì il suo cuore. Le trovò subito un posto all’interno della congregazione e la offrì come figlia alla baronessa di Chantal che l’accettò con grandissimo affetto. Il nemico della nostra felicità, vedendo che tutti i suoi sforzi erano vani e che la sua potenza infernale era travolta dalla grazia divina che stava annientando qualunque ostacolo potesse opporsi alla fondazione, volle scagliare un ultimo assalto contro la nostra Fondatrice. La vigilia della SS. Trinità assediò il suo cuore con una tentazione fortissima, tale da farle pronunciare poi queste parole: «La mia anima era nell’angoscia e nell’affanno della morte. Mi sentivo accerchiata e non sapevo come uscirne. In un attimo fui privata della gioia del vivere lontano dal mondo, che era sempre stata il mio sollievo in altri momenti travagliati. La ferma costanza che mi aveva sempre sorretto pareva essersi frantumata in mille pezzi. Mi sembrava di vedere mio padre e mio suocero, addolorati ed invecchiati, che, con i miei figli, gridavano vendetta davanti a Dio contro di me. Delle voci mi rimproveravano l’errore che avevo fatto e, cosa ancor più dolorosa, quel rimprovero veniva dalle sacre Scritture. Mi dicevano che per la Chiesa sarei stata un’infedele perché avevo abbandonato i miei figli e avevo deluso quel santo vescovo. Di conseguenza il consiglio che mi aveva dato di lasciare i miei cari era contro la volontà di Dio. Se avessi creduto a ciò e fossi tornata a casa si sarebbero presentati davanti a me degli ottimi espedienti per concretizzare quella decisione». Quel martirio durò circa tre ore e solo coloro che hanno provato questo genere di travaglio interiore possono capirlo. Era talmente soffocata dalla violenza di quella tentazione che più volte si alzò per far chiamare il 115 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Fondatore, ma il silenzio della notte la trattenne. In segno di fedeltà mise la mano sul nome di Gesù che si era incisa sul cuore e la sua anima cominciò a rischiararsi. Si gettò in ginocchio e disse al suo grande nemico: «Non ti posso vincere con la ragione, perché non sai cos’è». Poi, dopo aver recitato tre volte il Deus in adjutorium, fece un atto di abbandono totale di sé e di ogni cosa nelle mani di Dio. Ricordando quei momenti disse una volta: «Mi ricordo benissimo che uscii da quella tentazione pronunciando queste parole: Dio mio, gettate il vostro sguardo su questo nulla, mi abbandono per sempre alla vostra Provvidenza. Possa io morire, con i miei parenti e i miei figli, se è questo quello che volete; non mi importa più nulla, se non obbedire e servire la vostra Maestà». Dopo aver proferito queste parole con cuore sincero e amorevole Giovanna Francesca ritrovò la tranquillità con una gioia e una forza completamente nuove: era come Giosuè, forte, valorosa e pronta a condurre il suo piccolo popolo nella terra promessa che un nuovo Mosè le aveva mostrato. Qui finisce il racconto della prima parte della vita della nostra Fondatrice che si conclude con l’entrata nella sua terra promessa e l’abbandono definitivo del mondo. Fine della prima parte

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PARTE SECONDA

LA VITA RELIGIOSA

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I.

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GLI INIZI DELLA VISITAZIONE

Le fondamenta erano state poste, la pietra angolare tagliata dalle stesse mani di Dio, il materiale era pronto. Non restava altro da fare che cominciare a edificare la nostra piccola congregazione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il 6 giugno, festa della SS. Trinità e di San Claudio, il Beato Padre comunicò alla Fondatrice e alle sue due prime figlie di rendere grazie al Signore perché era il giorno designato per il loro ritiro dal mondo. Con grande fervore, impiegarono quella giornata nella visita alle chiese della città, accompagnate dalle figlie spirituali di Francesco di Sales che si erano strette attorno a loro. Verso le sette o le otto di sera la nostra Madre e le sue due compagne andarono a prendere la benedizione del Vescovo di Ginevra che, vedendole con l’abito nuziale e le lampade accese per recarsi dallo Sposo alle nozze del banchetto evangelico, disse loro: «Rallegratevi: il Signore vi ha salvate. Abbiate sempre grande ed umile coraggio, Dio sarà sempre il vostro Dio e, nella sua forza divina, camminerete vittoriose anche contro i vostri nemici». Ciò detto, consegnò nelle mani di Giovanna Francesca una sintesi delle nostre costituzioni scritte di suo pugno. «Mia diletta figlia, seguite questo cammino e mostratelo a coloro che il Cielo ha stabilito debbano seguire le vostre orme». Poi, alzando gli occhi al cielo, le benedisse tutte e tre nel nome del Padre onnipotente che le aveva chiamate, del Figlio, saggezza eterna che le sosteneva, e dello Spirito Santo che le animava con le sue fiamme d’amore. Sebbene si fosse cercato di mantenere segreti il giorno e l’ora in cui avrebbero abbandonato il mondo, quando, illuminate dalla gioia e dall’allegria, uscirono dalla casa del Beato Padre, la gente era già tutta per strada. Il barone di Thorens accompagnava la suocera; il si119 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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gnore di Boisy, degno successore del fratello alla guida di quel vescovado, accompagnava la Madre Favre, mentre la Madre de Bréchard era accompagnata dal signore de la Thuille, oggi conte di Sales. Tutti e tre erano fratelli del nostro Fondatore. Dietro seguiva il resto della nobiltà e il popolo: vi era talmente tanta gente che era difficile farsi strada tra la folla. Nell’aria risuonavano le lodi che tutti, bambini compresi, rivolgevano a Dio e alle sue serve fedeli le quali, a fatica, riuscirono ad entrare nella cappellina dove diverse signore si erano radunate per riuscire ad abbracciarle un’ultima volta. Le nostre Madri non vedevano l’ora che la gente se ne andasse e finalmente, a notte fatta, entrarono nella loro povera ma amabilissima e agognatissima casa. «Ecco il nostro luogo di delizia e di riposo», disse Giovanna Francesca. La prima cosa che fecero fu mettersi in ginocchio per ringraziare Dio: dissero tre Gloria Patri e chiesero al Signore la grazia di aiutarle a realizzare il Suo progetto su di loro. Poi si abbracciarono cordialmente. Le Madri Favre e de Bréchard promisero alla nostra Fondatrice la loro obbedienza filiale e di amarsi di una santa ed eterna dilezione. Abbracciarono la sorella portinaia Anne-Jacqueline Coste. Erano solo in tre perché il Signore volle che le Madri de Châtel e de Blonay fossero trattenute dalle loro famiglie. La prima cosa che Giovanna Francesca fece fu leggere le regole che il nostro Beato Padre le aveva consegnato, dicendo a quelle sue figlie che, per quanto la riguardava, prometteva a Dio di osservarle fedelmente. Da quel giorno, infatti, tenne quel volumetto sempre in tasca. Lo meditava amorevolmente al fine di osservarlo e farlo osservare puntualmente. Poiché era tardi fecero l’esame di coscienza e recitarono le Litanie alla Madonna, pregandola di custodirle nella sua materna protezione. Non si può dire con quale consolazione si tolsero l’abito modesto che avevano per indossarne uno ancora più semplice. La Madre de Bréchard, dopo essersi tolta il vestito che aveva indosso, lo calpestò. Da quella sera cominciarono ad osservare un grande silenzio; raccontarono poi che mai avevano sperimentato un riposo così dolce, soave e calmo come quello della loro prima notte in clausura. Quanto a Giovanna Francesca, il suo cuore era talmente preso durante quella notte dalla presenza divina e da una profonda riconoscenza nei confronti della bontà celeste e della grazia che aveva ricevuto che dormì pochissimo. Satana, che da sempre la perseguita120 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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va, volle farle sentire di nuovo la sua presenza e farle capire che poteva entrare anche nella solitudine del chiostro. Verso le due di notte, quando aveva appena preso sonno, la svegliò bruscamente e, come aveva fatto già altre volte, fece invadere il suo animo dalle tenebre, presentandole le mille difficoltà che avrebbero ostacolato la realizzazione del suo progetto. Fu tormentata da questi pensieri per circa due ore, durante le quali cercò di resistere con atti di abbandono totale nelle mani di Dio. Vedendosi disprezzato e inascoltato Satana partì da lei. Il cuore di quella sposa fedele rimase nella gioia e nella pace amorosa di Dio e intuì quanto il progetto della nostra congregazione fosse proprio nei disegni della divina Provvidenza. Quella mattina si abbandonò fiduciosa nelle Sue braccia paterne e onorò, con le sue sorelle, la celeste Provvidenza con un totale affidamento filiale. Arrivate le cinque la Beata Madre si alzò per prima e andò a svegliare le altre due Madri. Indossarono l’abito del noviziato: il Beato Padre, infatti, non aveva voluto alcuna cerimonia, perché quel vestito non era religioso, ma comune, modesto e umile. Felici di vedersi con quei semplici panni indosso, si scambiarono il bacio della pace e andarono nel coro a fare la preghiera mentale. Erano come delle spose adorne per il loro sposo. La Bontà divina fece loro capire che avevano trovato grazia presso Dio e le colmò di una grande gioia interiore e di un coraggio incredibile per perseguire nel loro progetto di vita. Verso le otto il Beato Padre venne a dire messa e a somministrare l’Eucaristia. Poi ordinò loro di osservare la clausura per tutto il primo anno di noviziato. Abbandonarono il loro nome e qualunque legame col mondo. Le prime due sorelle diedero alla nostra Fondatrice il nome di Madre e loro assunsero quello di Sorelle. Da quel giorno cominciarono a studiare il Piccolo Ufficio della Beata Vergine Maria, che, dopo qualche giorno, cominciarono a recitare in pubblico. Giovanna Francesca aveva una grande difficoltà col latino, perché non riusciva a pronunciarlo bene. Il signore di Boisy, fratello di Francesco di Sales, all’epoca cantore nella cattedrale di Ginevra di cui poi diverrà vescovo, veniva tutti i giorni ad insegnare alla Madre e alle sue Sorelle il rituale dell’Ufficio divino che recitiamo ancora oggi, al quale la Fondatrice teneva molto.

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II.

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IL FERVORE E LA CRESCITA DELLA PICCOLA CONGREGAZIONE

Il Signore, che voleva al tempo stesso possedere ed essere posseduto da quelle sue caste spose, volle che abbandonassero i beni del mondo. Il Vescovo di Ginevra ordinò alla Fondatrice di non portare con sé né i suoi beni né meno che mai quelli dei suoi figli. Volle che accettasse un vitalizio che il Vescovo di Bourges suo fratello le aveva offerto e che continuò a versarle finché visse 1. La ricchezza di quella comunità consisteva nell’amore cordiale che regnava in mezzo a quella santa povertà. Tutte e tre avevano il cuore lontano dalle preoccupazioni della vita e dalle comodità: si ritirarono nella loro casa senza aver fatto provvista né di pane, né di vino, né di qualunque altra cosa. Se fosse accaduto loro qualcosa di notte non avevano neanche un mozzicone di candela da accendere. Fu loro regalato un barilotto di vino che durò dal 6 giugno 1610 fino alla vendemmia dell’anno successivo. La nostra Beata Madre ricordava con tenerezza la grande povertà che regnava ovunque in quel periodo: in refettorio, negli abiti e persino in chiesa. Bisogna dire però che, essendosi affidata completamente a Dio, a quella piccola comunità non mancò mai né l’olio, né la farina necessari ai bisogni di quella famiglia. Giovanna Francesca era completamente sottomessa al nostro Beato Padre, il quale diceva che «se qualcuno avesse voluto dipingere la vera povertà evangelica, il distacco totale dalle cose della terra e la protezione tangibile della celeste Provvidenza, avrebbe dovuto visitare la prima casa della Visitazione Santa Maria». 1 Giovanna Francesca, lasciando i suoi figli, aveva portato con sé solo lo stretto necessario: trenta scudi per il viaggio, un po’ di biancheria e il materasso del letto da campo usato da suo marito, il barone di Chantal, quando era nell’esercito. (Deposizione tratta dal processo di canonizzazione della santa).

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Giunse finalmente l’ora in cui Dio volle accrescere il numero delle sue spose: ispirò alcune giovani che, attratte dalla virtù di quelle tre religiose, decisero di unirsi a loro. Dopo sei settimane la sorella Claude-Françoise Roget fu accolta in quella comunità: era una ragazza molto virtuosa, appartenente ad una delle famiglie più importanti ed onorate della zona, un’anima innocente che il Signore ritirò dal mondo prima che la malizia di quest’ultimo potesse intaccare il suo cuore puro e verginale. Tre giorni dopo, festa di Sant’Anna, fu accolta la Madre Péronne-Marie de Châtel, seguita dalla sorella Marie-Marguerite Milletot, figlia di un consigliere di Digione e dalla sorella MarieAdrienne Fichet, signorina savoiarda chiamata a far parte della nostra congregazione, come si è già detto, con una vocazione del tutto straordinaria. Da Chambéry giunse la sorella Claude-Marie Thiollier, poi arrivò suor Claude-Agnès de la Roche, seguita immediatamente dalla Madre Marie-Aimée de Blonay, entrambe della Savoia, una di Ginevra e l’altra dello Chablais. Quest’ultima fu la decima ad entrare nel nostro primo monastero e tuttora ne è la Madre Superiora. La gente cominciò però a vociferare perché, di quelle dieci prime sorelle, solo due non erano di costituzione debole o inferme. A ciò il nostro Beato Padre, con la sua solita benevolenza, rispose: «Che volete? In fondo io sto dalla parte dei malati». Il reverendo padre Ignace Armand, gesuita, a questo proposito scrisse una volta al Vescovo di Ginevra queste parole: «Monsignore, molte persone parlano del vostro progetto e poiché volete conoscere la mia opinione vi dimostrerò quanto sono obbediente ed a voi affezionato. Si dice che edificherete un ospedale più che un ordine religioso, ma io, come voi, rido di questa opinione della gente. Mi permetto di fare mie le parole del Salvatore: “A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto! È venuto infatti Giovanni che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” 2. 2 Ndt: Lc 7, 31-34. Questa medesima citazione si trova anche nella Parte quarta, cap. 1 dell’Introduction à la vie dévote di san Francesco di Sales (1619).

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In zona ci sono conventi nei quali le religiose conducono una vita molto austera e che sono costretti a rifiutare le ragazze inferme e di debole costituzione. La gente si lamenta di questo criterio di scelta e li accusa di eccessivo rigore. Voi, Monsignore, avete iniziato ad edificare un ordine di imitatrici speciali della benignità del Verbo fattosi uomo, il quale non rifiutava nessuno; ma la gente questo non lo accetta e sostiene che stiate piuttosto fondando un ospedale dove il rigore non è sufficiente. Cervelli vuoti degli insegnamenti della croce, che non sanno quanto costano invece queste parole: morire a se stessi per vivere in Dio, rinunciare a se stessi per portare la sua croce. Lasciatemi dirvi una cosa: edificando quest’edificio per le deboli voi fate come il Signore quando diceva riguardo ai bambini: Lasciate venire a me questi malati e questi infermi, perché ad essi appartiene il Regno dei Cieli. Chi non avrà pietà di una vergine che, con la lampada ardente in mano e piena d’olio, non può neanche entrare in un chiostro perché non ha le spalle abbastanza forti per portare un vestito di peli di cammello come quello del Battista, né ha lo stomaco abbastanza robusto per digiunare sei mesi all’anno e digerire radici? Quanto a me, Monsignore, credo che le vostre figlie saranno vere spose di Cristo, che non indossava tessuti raffinati come i re della terra, ma un abito senza cuciture a significare che esso non doveva ferire. Il Signore viveva a casa di santa Marta e non rifiutava di andare alle feste. Il vostro ordine è ad imitazione della vita nascosta, contemplativa e benevola di Gesù. Nel vostro progetto albergano la povertà e le mortificazioni di Betlemme, le comodità ragionevoli di Nazareth, la solitudine del deserto e la dolce conversazione di Betania. Nel viso della vostra prima figlia, la signora di Chantal, si legge il suo desiderio di seguire il Salvatore, povero, dolce, amorevole, cordiale, nascosto, ritirato, orante, amante della solitudine, desideroso di servire il prossimo, in altre parole Gesù glorificato sul monte Tabor e crocifisso sul Calvario». Ecco fedelmente riportate le parole del padre Ignace Armand, grande servitore di Dio e della Compagnia di Gesù, di cui è stato provinciale, uomo molto stimato sia in vita che dopo la morte.

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III.

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LA PREPARAZIONE E L’AMORE CHE LA FONDATRICE E LE SUE COMPAGNE PROFUSERO NEL PREPARARE LA LORO PROFESSIONE RELIGIOSA

Satana, vedendo i felici progressi che la nostra congregazione stava compiendo e vergognandosi di non essere riuscito in nove anni a sconfiggere la tenacia e la resistenza della nostra Fondatrice, decise di metterla alla prova attraverso le sofferenze del suo corpo, credendo in questo modo di interrompere o comunque di affievolire il suo anelito verso Dio. Fu colpita da una violenta malattia per guarire la quale le somministrarono, nonostante la sua debole costituzione, dei rimedi così potenti che pensò di morire. Queste sofferenze fisiche iniziarono l’anno del suo noviziato e durarono diversi anni, come diremo a breve. Trascorso il tempo del loro noviziato Giovanna Francesca avvertì le sue due sorelle che a Dio poteva essere offerta solo purezza: cominciarono a lavorare molto a questo scopo, con un fervore sempre nuovo. Per poter frequentare assiduamente gli esercizi spirituali e prepararsi convenientemente, Dio diede nuovamente un po’ di salute alla Fondatrice. Nell’attesa della sua professione, viveva un grandissimo ardore spirituale; così scriveva in quei giorni al Beato Padre: «Quando arriverà il felice giorno in cui farò l’irrevocabile offerta di me stessa a Dio? La sua bontà mi ha riempita di un sentimento talmente straordinario e di un desiderio così potente di appartenergli totalmente, che se questo stato perdura mi consumerà. Non ho mai desiderato così tanto la perfezione evangelica; mi è impossibile esprimere ciò che sento, né immaginare la grandezza della perfezione a cui Dio ci chiama. Purtroppo, quanto più mi misuro con l’amore del Salvatore, tanto più mi sembra impossibile che io possa corrispondergli degnamente. Quanto è doloroso in amore rendersi conto della nostra impotenza! Ma che cosa dico? Forse sto svilendo con le mie parole il 125 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dono di Dio e non riesco ad esprimere il sentimento che mi spinge a vivere la perfetta povertà, l’umile obbedienza e la purezza incontaminata». Francesco di Sales venne ad esaminare quelle tre novizie e le trovò non solo pronte per l’oblazione 3, ma già nella condizione di perfezione che quello stato presuppone. Poi si misero a discutere del velo che quelle professe avrebbero dovuto indossare. Gli venne proposto del tessuto di crêpe, ma per lui era troppo ricco per le figlie della Visitazione, che dovevano fare voto di semplicità e povertà. Decise che fosse di stamina e così, servendosi delle stoffe che la Beata Madre aveva portato con sé, provvidero immediatamente. I nostri Fondatori misero il velo sulla testa di una sorella per vedere come sistemarlo e trovarono che il modo come noi ancora oggi lo indossiamo era il più semplice e il meno ricercato. Poi le nostre sorelle cominciarono a pensare a come ornare l’altare per il giorno della loro professione. Il presidente Favre aveva promesso alla figlia un regalo, ma, non avendolo ancora fatto, le sorelle Favre e de Bréchard, sapendo che in un cofanetto c’erano quattro o cinque monete d’oro che il Beato Padre aveva lasciato per le necessità e il sollievo dei malati, cercarono di convincere Giovanna Francesca dicendole che non sarebbe stata una disobbedienza prendere quel denaro per comprare dei paramenti, anche perché, non appena il presidente Favre avesse fatto il suo dono, lo avrebbero subito restituito. Furono così insistenti che la Beata Madre accondiscese. La sua coscienza però non era in pace e volle quindi quella sera stessa avvertire il Vescovo di Ginevra, il quale, non conoscendo le ragioni di quelle sue figlie né l’insistenza che avevano usato per convincere la Fondatrice, si dispiacque molto per quel gesto e l’indomani mattina si recò al monastero. Al suo arrivo Giovanna Francesca si gettò ai suoi piedi in lacrime accusandosi di quell’errore. Il Beato Padre le disse severamente e con voce ferma: «Figlia mia, ecco la vostra prima disobbedienza. Non sono riuscito neanche a dormire tanto il dispiacere era grande». La baronessa di Chantal si disperò talmente che si faticò molto a consolarla e ci ha poi confessato che, 3

Ndt: All’inizio e ancora all’epoca in cui la Madre de Chaugy scrive le sue Memorie le professe esprimevano i loro voti sotto la forma dell’oblazione. Non si trattava in pratica di voti solenni, ma di un impegno che poteva essere sciolto dal vescovo.

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anche a distanza di anni, il solo ricordo di quel fatto le faceva venire le lacrime agli occhi. La vigilia della loro oblazione, il 5 giugno 1611, il Beato Padre venne a confessare le sue tre figlie. In quell’occasione Giovanna Francesca rinnovò i suoi voti pronunciando queste parole che abbiamo trovato scritte di suo pugno: «Rinnovo e riconfermo i voti di castità perpetua e di obbedienza alla vostra divina Maestà nella persona di Monsignor Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, mio unico signore e carissimo Padre in questo mondo. Dio mio, mio Salvatore, mi abbandono irrevocabilmente e senza riserve alla vostra divina volontà e alla Provvidenza. Conducetemi e usatemi come meglio credete servendovi di questo Padre della mia anima che mi avete donato e concedetemi la grazia dell’amore perfetto verso l’obbedienza». Poi, per intercessione di alcuni santi fra cui il santo padre Abramo, invocò l’aiuto del cielo sulla sua debolezza. L’indomani, San Claudio, il nostro Beato Padre ricevette l’oblazione delle nostre prime tre Madri. Erano dei voti semplici, perché il Vescovo di Ginevra voleva che l’amore per lo Sposo fosse il solo legame per le figlie della Visitazione; voleva che rispettassero l’obbedienza, la povertà e la purezza come fossero state obbligate da voti solenni; infine desiderava che la loro professione fosse come quella di san Pietro, quando il Signore gli fece pronunciare le tre dichiarazioni d’amore. Credo aver parlato ampiamente nella nostra Fondazione della cerimonia che si tenne in occasione di quelle professioni e di come la chiesa fosse adornata solo da tovaglie e drappi bianchissimi e da fiori di campo. Senza alcuna preparazione, dopo la professione, la nostra Fondatrice intonò per tre volte questo versetto: Haec requies mea, in sœculum sœculi 4, e il coro le andò dietro. Da qui deriva l’uso di cantarlo ancora oggi durante le nostre professioni. Quel giorno Giovanna Francesca aveva un viso radioso e maestoso; è per questo che Francesco di Sales disse ai presenti: «Andiamo via e lasciamo che queste spose gustino nel silenzio il dono di Dio».

4 Ndt: si tratta del Salmo 131 che al versetto 14, riferendosi a Sion, cita: «Questo è il mio riposo per sempre; qui abiterò perché l’ho desiderato».

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IV.

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LA MORTE DEL PRESIDENTE FRÉMYOT; IL VIAGGIO DELLA NOSTRA FONDATRICE A DIGIONE E ALCUNE GRAZIE CHE RICEVETTE LUNGO LA STRADA

La divina Provvidenza, che voleva dare occasione alla Beata Madre di mettere in pratica le sue sante decisioni, si portò via suo padre, il presidente Frémyot, all’età di circa settantatré anni. Francesco di Sales le portò quella notizia che fu da lei accolta con molta rassegnazione, poiché Giovanna Francesca volle sapere solo come quella morte era avvenuta. Conosceva le virtù di suo padre e sapeva che il Vescovo di Bourges, suo padre spirituale, lo aveva accompagnato negli ultimi momenti della sua vita terrena. Questo la rasserenò molto, malgrado il dolore fosse decisamente grande. Ma Satana, che non perdeva occasione per dare battaglia a quell’anima forte, cominciò a torturarla con brutti pensieri legati a quella morte. Cominciò a pensare che il suo essersi ritirata in convento avesse accelerato la fine di suo padre e che se avesse almeno atteso un anno avrebbe potuto essergli vicina negli ultimi istanti di vita. Pensava inoltre a suo figlio e a cosa avrebbe fatto ora che era morto colui che ne aveva la tutela. Uscì da quella crisi grazie al solito rimedio: l’abbandono totale di se stessa e di qualunque cosa nelle mani di Dio. Decise di partire per la Borgogna per andare a verificare di persona la situazione dei suoi figli. Partì sei settimane dopo l’oblazione nella quale le nostre prime Madri non avevano ancora espresso il voto di povertà. Giovanna Francesca pronunciò quel voto davanti al Fondatore prima di partire per Digione. Così scriveva: «Oggi, 22 agosto 1611, io, Giovanna Francesca Frémyot, dopo aver rinnovato i voti di obbedienza e di castità e spinta dal desiderio di una vita perfetta, faccio voto di povertà e dispongo che il Vescovo di Ginevra, Francesco di Sales, mio unico padre, gestisca tutti i miei beni attuali e futuri, non solo quanto all’uso e all’usufrutto, ma anche quanto alla proprietà 128 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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e alla disposizione, per vivere in autentica povertà evangelica. Offro ciò al Padre, in nome di Gesù Cristo suo figlio, mio unico Signore e Salvatore, attraverso lo Spirito Santo, in presenza della Vergine Maria, madre del mio Signore, di san Giuseppe, del mio angelo custode, del padre Abramo, dei santi Apostoli, di santa Maddalena, di san Bernardo e di tutta la Corte celeste. Amen». Dopo aver fatto e rinnovato questi voti e aver accolto l’Oblazione delle sorelle Roget e de Châtel, partì per Digione, accompagnata dalla Madre Marie-Jacqueline Favre e dal genero, il barone di Thorens. Sarebbe superfluo dire quale consolazione fu quella visita per i suoi familiari. Incontrò a casa sua quasi l’intera cittadinanza, poiché lei usciva solo per necessità o per andare in chiesa. Rimase quattro mesi, dividendosi tra Digione, Montelon e Bourbilly; mise ordine negli affari di casa sua, consolò suo suocero e edificò tutti coloro che la incontrarono. I parenti di suo marito radunarono intorno a lei dei dotti, religiosi e non, per persuaderla, anche con ragioni dottrinali e di coscienza, che doveva rimanere nel suo paese natale per provvedere ai suoi figli, in quanto non era monaca di clausura. Dicevano che doveva accontentarsi di vivere tra i suoi familiari come fanno le donne del Terz’Ordine francescano. La nostra Beata Madre era troppo ferma nelle sue scelte per lasciarsi sviare dalla folle saggezza del mondo. Una sua parente, vedendo la sua costanza, chiese che si usasse con lei l’autorità e la violenza e le disse adirata che era una vergogna vederla nascosta dietro un velo e che anzi quel velo doveva essere fatto in mille pezzi. Giovanna Francesca le rispose sorridendo: «Colui che ama di più la corona della sua testa, non potrà perdere l’una senza perdere anche l’altra». Con ciò intendeva dire che quel velo era per lei una corona e che preferiva il suo stato di religiosa che la sua stessa vita. Il signore di Thorens ammirava la saggezza del suo comportamento, delle sue parole e la sua capacità di ben gestire gli affari. Giovanna Francesca decise però di tornarsene nella sua cara Savoia: si sentiva infatti straniera fra la sua gente, poiché riconosceva come sua solo la città del Cielo e aveva nostalgia della sua piccola Visitazione. I suoi parenti insistettero molto affinché lei si fermasse un anno intero, ma lei non volle sentire ragione. Dio le aveva fatto capire che quello era uno stratagemma di Satana, il quale voleva frenare la crescita della Visitazione, non essendo riuscito ad impedirne la nascita. Dopo 129 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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essersi assicurata di aver fatto tutto quanto era veramente necessario per il bene dei suoi figli, predispose la sua partenza. Questa seconda separazione fu dolorosa quanto la prima per i suoi familiari, ma nulla poteva smuovere quella donna. Lo Sposo divino la confortò molto durante quel viaggio. Entrò in una cappellina per ascoltare la messa. Non appena si mise in ginocchio fu rapita in un’estasi tale che perse l’uso dei sensi e non si accorse della presenza del sacerdote all’altare. Dopo un po’ il barone di Thorens, vedendola ancora in preghiera, andò a predisporre per la cena e, poiché stava facendosi tardi, chiese alla sorella Favre se la Beata Madre intendesse pregare ancora a lungo. La sorella gli rispose che non l’aveva più vista muoversi e che non osava rivolgerle la parola. Il barone prese coraggio e andò a svegliare quella Sposa che rimase molto sorpresa. Le fu necessario del tempo per ritornare in sé e subito chiese di poter ascoltare la messa; le risposero che la messa era già finita da un po’. Non disse nulla, se ne andò ed era talmente assorta che non sapeva cosa faceva, né chiese di cenare. Giovanna Francesca confidò la grazia che aveva ricevuto in quella chiesetta al padre Granger, gesuita, dicendo che era una delle più grandi che Dio le avesse mai accordato. Nel 1635, parlando di quel viaggio con le Madri Favre e de Châtel, disse che la luce principale che ricevette in quell’occasione da Dio derivò dal piacere che il Signore prende nell’anima pura e perfetta. Aveva promesso allora che, qualora lo avesse intuito, avrebbe fatto sempre e solo ciò che sarebbe piaciuto di più a Dio. Ottenuto il consenso dal Fondatore espresse proprio questo voto, come diremo nel prossimo capitolo.

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V.

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LA SUA IMPAREGGIABILE CARITÀ A SERVIZIO DEI MALATI

Tornò proprio la vigilia di Natale e si recò subito dal nostro Beato Padre, al quale raccontò il successo di quel viaggio; poi andò dalle sue figlie e venne a sapere che durante la sua assenza erano state più volte colpite da malattie corporali, ma anche colmate di grazie soprannaturali. Mai feste natalizie furono trascorse con una gioia più santa e devota. Sebbene la Fondatrice tornasse da un lungo viaggio a cavallo durante la stagione fredda e fosse molto stanca, chiese di poter assistere all’ufficio notturno. I giorni di Natale e Santo Stefano ebbe la possibilità di parlare al Beato Padre e gli rivelò il voto che aveva fatto, di compiere cioè solo quello che sarebbe stato più gradito a Dio. Il Vescovo di Ginevra trovò tutto ciò buono: l’indomani, festa di San Giovanni Evangelista, venne a dire la messa in comunità e Giovanna Francesca, in quell’occasione, pronunciò quel voto di eccellente perfezione. Il 31 dicembre 1611 la Beata Madre cominciò il capitolo annuale, nominò le nuove incaricate per i lavori della casa, proprio come ancora oggi si fa. Una volta operati questi cambiamenti la Madre Favre si mise in ginocchio e disse: «Madre, chiediamo di poter visitare i malati». Tutto accadde come abbiamo raccontato nel libro della Fondazione: l’indomani, primo gennaio 1612, la Fondatrice, accompagnata dalla Madre Favre, uscì per la prima volta per andare in città a servire i poveri e a consolare i malati. Quella degna Madre era sempre tra le prime a compiere quei servizi caritatevoli: il suo atteggiamento verso gli infermi era molto amorevole. Per quanto gravi fossero le loro malattie, la sua carità era sempre più grande 5. Andava per la città con il velo abbassato sugli 5 Ndt: Nella nota posta a questo punto nell’edizione delle Mémoires della Madre di Chaugy edita a Parigi nel 1874 si legge: «Quest’uso ha causato non pochi malintesi

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occhi accompagnata sempre da una religiosa. Nessuna di loro usciva mai da sola. Talvolta trovava delle povere creature sdraiate per terra nei granai, sepolte nella loro miseria e nella loro sporcizia, poiché non c’era nessuno che tendesse loro la mano per soccorrerle. Li ripuliva senza esibire alcuna ripugnanza, anzi mostrava loro un viso dolce, affabile e gioioso. Una volta una delle religiose che era solita accompagnarla in quelle opere di carità le chiese come faceva a non dare mai segno di repulsione davanti a simili situazioni; lei le rispose: «Mia cara figlia, non ho mai pensato di essere utile a delle creature, ma sono convinta che curare le piaghe di quei poveri sia come medicare quelle di Cristo, che si è fatto carico di tutti i nostri peccati». Era molto edificante vedere passare quella santa donna per le vie della città con una o due religiose: con il viso coperto, una portava ai malati della minestra, del brodo, dell’orzo, l’altra cuscini, coperte, drappi bianchi, vale a dire tutto ciò che era necessario a dare un po’ di sollievo ai poveri. Li faceva anche visitare dal medico, seguendo le sue indicazioni per quanto poteva. Segno dell’assistenza divina fu che, malgrado la povertà della nostra piccola congregazione nascente, durante tutti quegli anni non è mai mancato nulla del necessario ad circa l’interpretazione del pensiero dei nostri santi Fondatori. Si è voluto credere che essi avessero avuto l’intenzione di creare una sorta di Congregazione di Sorelle della Carità; ma le costituzioni che lo stesso san Francesco di Sales donò alle sue figlie provano che la carità verso i malati era uno scopo secondario. “Questa Congregazione – afferma il Salesio – è stata eretta in modo che possa accogliere anche le sorelle inferme e le malate”. Ecco dunque il suo vero fine: accogliere al banchetto del Padre, nell’unione più intima con Lui, le anime fedeli e generose, ma di debole costituzione. La Madre de Chaugy assicura: “La Beata Madre profondeva tutte le sue energie nella cura della vera vita interiore delle sue figlie. Esse dimostravano di esservi protese, poiché cercavano solo la mortificazione, il silenzio e il raccoglimento in Dio”. Lo scopo del Fondatore fu compreso anche dalla gente, come testimoniano alcuni memoriali dell’epoca. Il padre Armand, gesuita, in risposta al Vescovo di Ginevra che gli aveva chiesto la sua opinione sulla congregazione che aveva fondato con la baronessa di Chantal, scriveva: “La Vostra Congregazione è ad imitazione della vita nascosta, contemplativa e benevola di Gesù…”. Non faceva conoscere le opere di carità perché sapeva che la visita ai malati era una pratica accessoria e non uno dei fini della congregazione. Ne è prova il fatto che due sole sorelle al mese facevano quel servizio e quindi ad ognuna toccava una sola volta all’anno. In questo modo la comunità era unicamente impegnata nell’esercizio della vita interiore e contemplativa. Non si possono dunque paragonare la nascente Visitazione con le congregazioni sorte per educare la gioventù o con quelle di carità che stanno quotidianamente a contatto con i poveri di Gesù Cristo».

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espletare quelle opere di carità. Quando la Beata Madre era malata o impegnata in altre cose, due fra le sorelle più anziane, dopo aver preso la sua benedizione, andavano a compiere quei gesti di misericordia. So bene che sarebbe un discorso lunghissimo intraprendere la descrizione dettagliata delle pratiche di grande mortificazione che la nostra Fondatrice compiva in quell’esercizio di carità, che la occupava quotidianamente, e del fervore che vi profondeva. Era l’amore per Gesù che la spingeva al servizio dei poveri. Mi accontenterò allora di raccontare solo due esempi emblematici. In un sobborgo di Annecy viveva una povera donna gravemente ammalata di dissenteria. Non poteva alzarsi da letto, né era in grado di muoversi da sola. Tutte le mattine Giovanna Francesca andava ad accudirla: la sua compagna sollevava quella creatura e la teneva tra le sue braccia, mentre la Beata Madre le cambiava la biancheria che portava via per lavarla. Questa situazione durò quattro o cinque mesi finché quella povera donna guarì. Non appena si riprese fu però colpita da un’altra malattia: ogni mattina la Fondatrice la trovava tutta bagnata, tanto che doveva togliere le lenzuola e asciugarle vicino al fuoco. Ordinava poi alla sua compagna di voltarsi per non sentire l’odore puzzolente che fuoriusciva da quei drappi; lei, invece, non si girava affatto e quando glielo si faceva notare rispondeva: «Ci sono abituata». Accadde che una povera ragazza, malata di cancro e di sifilide, fosse abbandonata da tutti così come lei aveva abbandonato Dio. Alcune signore, incaricate di avvertire la baronessa di Chantal sulla situazione dei malati, le descrissero quella creatura che si trovava in un granaio e aggiunsero: «A che serve andare a servire quella donna che ha fatto tanto male!». «Al contrario – disse la Beata Madre – non bisogna abbandonarla e proprio perché ha molto peccato bisogna aiutarla a ritrovare la strada del bene». Andò a cercarla e la trovò in una condizione spaventosamente miserevole. Il tumore era ovunque ed era piena di parassiti da fare pietà. Aveva la febbre alta e un forte raffreddore, ma, poiché era molto indebolita, non riusciva ad espettorare. La nostra Madre caritatevole con un panno bianco le toglieva il flemma 6 dalla bocca 6 Ndt: Termine appartenente al vocabolario medico antico: «Uno dei quattro costituenti fondamentali degli organismi (detto anche pituita) secondo la concezione

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senza preoccuparsi del pericolo di contagio che correva. Le tagliò i capelli con le sue stesse mani, la pettinò per toglierle i parassiti, come faceva a tutti coloro che assisteva, e infine la servì caritatevolmente, tanto che riuscì a guarirla sia nel corpo che nell’anima, lasciando stupita ed edificata l’intera cittadinanza. Una povera donna straniera, non sapendo dove rifugiarsi, si gettò in una stalla dietro le bestie e partorì da sola senza nessun aiuto. Dio ebbe pietà di lei e l’indomani mattina suggerì a Giovanna Francesca di andare proprio in quella stalla un po’ in disparte perché là avrebbe trovato una persona bisognosa. Trovò quella povera donna con il suo bambino molto sofferenti: prese il bimbo tra le braccia e, messasi in ginocchio, lo battezzò per paura che morisse. Poi soccorse la madre, le fece portare un letto, la ripulì e la guarì da una malattia da cui era affetta. Attraverso quella pratica di carità il Signore offrì alla sua serva fedele un’immagine della sua nascita in una stalla; la Fondatrice diceva infatti che non poteva guardare quel ricovero per animali senza provare una grande devozione e riconoscenza per il dono che Dio in quell’occasione le aveva fatto. Poneva grande attenzione alla cura della coscienza dei poveri che serviva: voleva che si confessassero e, quando si accorgeva che la malattia volgeva al peggio, faceva ricevere loro i sacramenti. Portava e faceva portare delle lenzuola bianche da mettere sui loro letti o nelle greppie, quando stavano nelle stalle o nei granai. In estate metteva dei fiori nei luoghi dove portava il Santissimo Sacramento, che accompagnava lei stessa con grande devozione. Quando qualcuno dei suoi poveri moriva lo lavava e lo seppelliva.

ippocratea» (G. Devoto - G.C. Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1990, p. 754).

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VI.

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LA SEMPLICITÀ E L’UMILTÀ DELLE NOSTRE PRIME MADRI

La nostra piccola Visitazione cresceva di giorno in giorno come una vigna nuova, procurando grande gioia al nostro Fondatore, che era il confessore di quella comunità. La Beata Madre ne era la superiora e la maestra delle novizie fino al giorno in cui il numero delle aspiranti divenne così alto che non poté più assolvere a entrambi i compiti. In mezzo a tutte queste occupazioni provava una gioia senza eguali che così descriveva: «Non meritavo la grazia di vivere tra anime così pure e buone: tra loro non vi era invidia, ma solo desiderio di servire umilmente. Da nessun’altra parte ho mai trovato una semplicità più perfetta di quella praticata da quelle creature, né un amore più sincero per la mortificazione. Il loro parlare era veramente devoto, innocente, esatto, sincero e senza secondi fini. Il loro agire era attento ai minimi dettagli 7».

7

Riferendosi alla sincerità delle nostre prime sorelle santa Giovanna Francesca disse: «Facevo la stessa cosa quando il Beato Padre veniva a trovarci; dopo avergli parlato della congregazione, gli raccontavo di me. Accadde però una volta che, dopo avergli esposto ciò che mi tormentava, non fossi soddisfatta come al solito della sua risposta. Dio, infatti, non voleva che cercassi nel Vescovo di Ginevra ciò che dovevo trovare in Lui. Quella volta, nonostante avessimo parlato a lungo, non riuscì a trovare le parole per sollevare il mio spirito. Mi lasciò così nella mia pena e se ne andò. Non sapendo che fare e vedendo che quel santo non era riuscito a guarirmi, mi prostrai davanti al divino Sacramento cercando nel Signore il rimedio ai miei mali. Là appresi quello che ancora non avevo capito, e cioè che non dovevo attendere la consolazione dalle creature, ma da Dio e che il vero mezzo per guarire era abbandonarsi e affidarsi totalmente e senza riserve alla misericordia divina. L’indomani il beato mi scrisse per sapere come avevo passato la notte, perché sapeva che quando ero in quello stato non riuscivo a dormire e lui aveva tanta carità da stare in pena per me. Gli risposi che ero stata guarita dal Signore». (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa).

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Per esercitare l’umiltà e affinché non ci fossero differenze tra loro, il Beato Padre desiderava che a turno e per una settimana le sorelle si occupassero della cucina e dei servizi domestici. Giovanna Francesca non era dispensata da quei compiti, se non in caso di malattia, e diceva che quella settimana di servizio alle consorelle era la migliore; cercava di sbrigare in anticipo le altre cose, affinché in quei giorni potesse dedicarsi interamente al servizio della comunità. Poiché la casa in cui fu fondato il nostro Istituto aveva un grande frutteto e siccome si aveva spesso bisogno di latte per i bimbi poveri, Giovanna Francesca volle allevare una mucca dentro il recinto. A turno le sorelle la sorvegliavano perché non volevano che rovinasse gli alberi. La nostra Madre dedicava il suo tempo a questi umili compiti con grande fervore e dedizione quando non doveva occuparsi della formazione spirituale delle sue sorelle e delle novizie o all’assistenza dei poveri. Sua principale cura era però la formazione alla vera vita interiore delle sue figlie, verso la quale tutte erano attratte: di fatto cercavano la mortificazione, il silenzio e il raccoglimento in Dio la cui bontà gratificava quelle anime di grandi gioie soprannaturali. Per grazia divina molte di loro provarono in breve tempo la pace e la quiete che derivano dalla preghiera e dall’unione altissima col Signore. Altre furono illuminate sui misteri divini da cui erano totalmente e santamente assorbite; altre ancora avevano frequenti estasi, ma tutte erano rapite in Dio, da cui ricevevano doni grandissimi e grazie. Francesco di Sales, nella prefazione all’Amour de Dieu 8, afferma che quel libro è una trascrizione dei discorsi che ha tenuto alle nostre prime madri e sorelle, la cui pietà e purezza l’hanno obbligato ad affrontare alcuni punti delicatissimi di spiritualità, che superano quello che aveva già detto a Filotea 9. La nostra Beata Madre, parlando delle grazie di quegli inizi, disse un giorno queste parole: «Vedendo quelle carissime anime così gratificate da Dio ed essendomi accorta che ciò suscitava ammirazione, chiesi al Signore che ci conservasse nella nostra semplicità e ripetevo

8

Ndt: Si tratta del Traité de l’amour de Dieu, una delle opere maggiori di san Francesco di Sales, pubblicata nel 1616 (Pierre Rigaud, Lyon). 9 Ndt: Si tratta dell’Introduction à la vie dévote (1619), altra opera fondamentale del Vescovo di Ginevra, dedicata genericamente a Filotea, nome attraverso il quale il santo intendeva rivolgersi a tutte le “innamorate” di Dio.

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dentro di me giorno e notte queste parole: La vostra vita è nascosta con Gesù in Dio. Francesco di Sales mi disse che voleva aggiungere quella frase al cerimoniale della professione che stava iniziando a redigere. Ruminavo quelle parole provando nel cuore un grande amore; parlai al Beato Padre e, per ordine suo, al padre gesuita Jacques de Bonivard dei sentimenti che mi avevano portata a chiedere al Signore di farci vivere nascostamente con Gesù, Suo Figlio crocifisso. Entrambi trovarono ciò buono e dissero due messe secondo quell’intenzione. Partecipai a quella del Vescovo di Ginevra e feci il mio ringraziamento dopo la Comunione mentre il padre de Bonivard celebrava la sua. E mentre quel buon servo di Dio distribuiva l’Eucaristia ebbi un’illuminazione grandissima e la certezza interiore che la Santissima Trinità aveva ascoltato le preghiere di Francesco di Sales, del padre de Bonivard e le mie più indegne e che la sua divina Bontà gradiva la nostra richiesta e accordava al nostro istituto un grande dono di vita interiore, nascosta e amorevolmente sofferente con Gesù sulla croce. La sua immensa liberalità non avrebbe risparmiato alcuna delle grazie riservate alle anime che le sarebbero state fedeli all’interno di questa congregazione, grazie elargite dal Figlio di Dio, nascoste in Dio e manifeste per l’eternità. Se qualche anima avesse fatto trapelare qualcosa causando negli altri meraviglia, sarebbe stato un omaggio alla trasfigurazione e alle opere miracolose del nostro Salvatore Gesù Cristo. Ciò che in questa visione interiore mi consolò maggiormente fu sapere che il Vescovo di Ginevra, il padre de Bonivard ed io avemmo le stesse sensazioni e concludemmo che Dio voleva che le figlie di questa congregazione fossero adoratrici e imitatrici anche delle cose più piccole del Figlio di Dio e della sua vita perfetta e che essa fosse interiormente nascosta in Dio e tutta comune agli occhi del mondo. Rendemmo grazie alla Bontà divina per questo immenso dono».

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VII.

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LE DIVERSE MALATTIE DELLA BEATA MADRE, LA SUA RASSEGNAZIONE E IL SUO ABBANDONO ALLA SOFFERENZA

La volontà di Dio chiedeva che quel piccolo Istituto fosse destinato alle deboli e alle inferme. Ecco perché ci donò una Madre che seppe comprendere 10, poiché le conosceva personalmente, le nostre infermità, e consolarci di conseguenza. I primi anni di vita religiosa di Giovanna Francesca trascorsero con continui fastidi e spesso ci diceva che senza quei disturbi la moderazione che Francesco di Sales aveva raccomandato al nostro Istituto l’avrebbe disturbata molto, in quanto lei era molto incline alle penitenze e alle mortificazioni corporali. I suoi disturbi iniziarono l’anno del suo noviziato. Alternava periodi buoni e altri in cui non stava bene. Ciò nonostante non abbandonava gli esercizi religiosi e le sue funzioni caritatevoli. Anche quando era ammalata appariva comunque forte, poiché in lei operava in tutto e per tutto la grazia divina. Talvolta era vittima di attacchi così violenti che sembrava stesse per morire. Il suo viso era dolce, tranquillo e sereno, ma il suo corpo privo di forze. Altre volte si gonfiava a vista d’occhio e non riusciva più a parlare. Si correva subito a chiamare il Beato Padre e non appena lui iniziava a parlarle di Dio lei tornava in sé e il gonfiore spariva. Tutto ciò mi ricordava un’altra santa donna e grande serva del Signore: santa Caterina da Genova, che, durante gli impetuosi assalti d’amore divino che la trasformavano in una martire delle sofferenze amorose, trovava sollievo e quiete nell’ascolto della Parola divina. Così, in quei momenti straordinari, l’unico rimedio e conforto per Giovanna Francesca era la presenza del Fondatore, il quale, a proposito di quei tormenti, disse queste parole: «Raccoman10 Ndt: Letteralmente dovrebbe essere “compatire” poiché il verbo “compatir à” usato dalla Chaugy significa proprio “soffrire con”.

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do alle vostre preghiere la salute della vostra Madre 11: è molto malata! E il dottor Grandis, sebbene sia uno dei migliori medici che io conosca, non trova alcun rimedio contro questo male, che, a suo avviso, ha una causa sconosciuta alla medicina moderna. Non so se il diavolo ci vuole spaventare in questo modo, so solo che l’unico rimedio per lei è esporsi alla giustizia del Signore». Un giorno, durante un attacco violentissimo, Francesco di Sales le disse con viso tranquillo e raccolto: «Forse, figlia mia, a Dio basta il nostro tentativo e il desiderio che abbiamo avuto di erigere questa piccola congregazione così come si accontentò della volontà di Abramo di sacrificargli suo figlio. Se così fosse, facciamo un passo indietro affinché la sua volontà sia fatta. – Sì, rispose la malata, sia fatta la sua volontà nel tempo e nell’eternità. – Se Dio non vuole che andiamo avanti nel nostro progetto, aggiunse il Fondatore, la sua bontà avrà almeno visto la buona volontà che ci abbiamo messo per realizzare l’opera che Lui ci aveva ispirato». Quelle due anime sante esprimevano così tutta la loro rassegnazione. Il male oscuro della Madre aumentava tuttavia di giorno in giorno e i medici di quella città chiesero un consulto. Tra tutti coloro che furono convocati venne anche un medico di Ginevra. Francesco di Sales, come un vigile pastore, si comportò in modo da riportare quella sua pecorella sulla strada della fede cattolica 12; gli parlò in presenza di Giovanna Francesca e lei provò una tale gioia che subito guarì dai suoi mali. Durante quel consulto i medici non riuscirono a trovare la causa di quei disturbi. Uno di loro disse che secondo lui era malata di amore divino e le cause, dunque, non erano fisiologiche. Le fecero solo delle raccomandazioni inerenti la sua alimentazione e da quel giorno la Fondatrice non chiese più alcun rimedio per la sua guarigione. Esortava soltanto le sue figlie a sostenerla con le loro buone azioni compiute nella perfetta osservanza e a svagarla attraverso l’af11

Ndt: Riportiamo, per dovere di fedeltà e soprattutto per permettere al lettore moderno di gustare i piaceri della prosa della Madre de Chaugy, l’espressione originale in cui ritorna quell’immagine, cara al Salesio, che paragona l’Istituto appena fondato ad un alveare e le sorelle a umili e laboriosissime api: «Je recommande à vos prières la santé de la mère abeille de notre nouvelle ruche» («Raccomando alle vostre preghiere la salute della madre ape del nostro nuovo alveare», il corsivo è nostro). 12 Ndt: Evidentemente si tratta di un medico ugonotto.

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fetto fervente per il servizio divino. Non chiedeva mai di alleviare le sue sofferenze poiché non intendeva più curarsi della sua salute e della sua vita, avendole ormai affidate a Dio. Soffriva di frequenti attacchi di febbre, accompagnata da convulsioni e per lungo tempo sopportò uno stato febbrile intermittente, per il quale il medico le prescrisse un digiuno serale che la indebolì estremamente. «Conoscevo bene il mio stato di salute – disse una volta –, ma evitavo di pensarci, essendomi offerta totalmente a Dio e all’obbedienza. Avrei infatti preferito morire a causa di questa mia sottomissione piuttosto che vivere per aver avuto cura di me stessa». Un’altra volta raccontò che i mali di cui aveva sofferto nei suoi primi anni di vita consacrata non le avevano tolta alcuna libertà nella sua vita spirituale, che anzi si era molto fortificata proprio grazie a quelle infermità, «durante le quali – aggiunse – soffrivo nel sentirmi trattata diversamente dalla Comunità e per la sofferenza che leggevo sul volto del nostro Beato Padre e delle nostre sorelle, le quali, grazie a Dio, continuavo a servire nel mio piccolo». Un giorno ebbe un altro violentissimo attacco e il Vescovo di Ginevra colse il pretesto per chiamare un’altra volta quel medico ginevrino che già l’aveva visitata. Di ritorno da quel consulto disse che non riusciva proprio a trovare né la causa né il rimedio per quel male e che in verità, viste le grandi virtù di quella donna, credeva che fosse proprio il Cielo a volerla tenere in quel genere di sofferenza. Le infermiere che la assistevano la sentivano talvolta dire, credendo di non esser udita da nessuno: «Sì, mio Signore, fate soffrire questa natura troppo vivace affinché apprenda fino a che punto bisogna preoccuparsi delle proprie malattie esteriori». La gente comune, sentendo parlare di queste sue frequenti malattie, vociferava che forse i progetti di Francesco di Sales sarebbero saltati. Lui, per parte sua, praticava una grande pazienza e diceva che se Dio avesse voluto portare a sé la prima pietra angolare di quelle fondamenta 13, ciò avrebbe significato che la sua Provvidenza sapeva già ciò che avrebbe fatto del resto dell’edificio. Così tranquillo e fiducioso andava a trovarla spesso, come san Gerolamo con santa Paola, e le scriveva talvolta dei bigliettini di devozione. Ne conser13

Ndt: Vale a dire la Madre di Chantal.

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viamo ancora uno scritto di suo pugno nel quale la scongiura di moderare il suo ardore nel seguire gli esercizi comuni per conservarsi per la sua cara congregazione, «poiché vedete, figlia mia cara, voi per me in questa impresa siete il coraggio del mio cuore e il cuore del mio coraggio».

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VIII.

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LA MORTE DEL SUOCERO. IL VIAGGIO A MONTELON. LA GRANDE PAZIENZA 14 E LA BENEVOLENZA CHE MOSTRAVA NELLA GESTIONE DEGLI AFFARI DELLA SUA FAMIGLIA

Come abbiamo già detto i mali e le infermità di Giovanna Francesca non le impedivano però di occuparsi della gestione della sua casa. Dio infatti le aveva dato una doppia forza d’animo, una la sosteneva nella malattia, l’altra l’aiutava ad agire per il bene, sia materiale che interiore, della sua comunità, la quale cresceva così tanto che quella casetta era diventata troppo stretta per contenerla. Bisognò allora pensare a costruire un monastero e a spostarsi in città e ciò comportò non poche difficoltà, le quali, però, furono superate per grazia divina. La comunità si trasferì la vigilia della festa di Ognissanti e l’indomani il Santissimo Sacramento vi fu esposto. Correva l’anno 1612. Terminato il trasloco, la sorella Claude-Françoise Roget, la prima ad essere accolta nella congregazione dopo le tre prime Madri, cominciò a stare male. Fu curata con molta carità e grande riguardo tanto che la tisi di cui soffriva fin dall’infanzia apparve solo nella primavera dell’anno seguente. Morì nel mese di giugno, nell’ottava del Santissimo Sacramento. Giovanna Francesca si occupò amorevolmente di lei durante la sua malattia, l’assistette nell’estremo passaggio, la lavò con le sue stesse mani e la pianse come solo una madre può fare. Poiché non c’era ancora un luogo dove seppellire le sorelle, il suo corpo fu portato dai padri domenicani. La Beata Madre e le sorelle, non essendoci an14

Ndt: Il testo del 1874 a cui si riferisce la nostra traduzione riporta il termine “fatience”. Non avendo trovato alcun riscontro di tale parola né nei dizionari dell’epoca né nei più recenti, riteniamo si tratti di una trascrizione errata dal testo originale della parola “patience”, dovuta probabilmente alla difficoltà che l’interpretazione dei caratteri tipografici seicenteschi talvolta comporta.

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cora la clausura, assistettero alla sua sepoltura. Quella cara sorella aveva solo circa diciotto anni ed era una vera colomba purissima che ora volava tra le braccia di Dio per riposarvisi eternamente 15. Terminato quel funerale Giovanna Francesca dovette organizzare un’altra cerimonia funebre per il suocero, deceduto all’età di ottantaquattro anni. Francesco di Sales giudicò necessario che si recasse in Borgogna, cosa che lei fece per dovere di obbedienza. Fu accompagnata dalla Madre Péronne-Marie de Châtel e dai baroni di Thorens e di Chantal. Arrivò a Montelon dove dimostrò un cuore dolce e comprensivo verso tutti coloro che tanto l’avevano contrastata. Accolse così benevolmente la domestica del suocero e i suoi figli tanto che tutti rimasero stupiti da quell’atteggiamento e benedicevano il Signore. Si accorse poi che gli affari del defunto erano stati molto mal gestiti: le rendite erano scadute da diversi anni e nessuno si era occupato della loro riscossione; il nome di coloro che avevano pagato non era neppure stato registrato. Giovanna Francesca dedicò molto tempo a rimettere ordine tra i conti e gli affari del suocero. Fin dal mattino, dopo gli esercizi spirituali, restava in una sala circondata da carte e da contadini. Manteneva il suo aspetto dolce e forte al contempo, senza turbarsi, né farsi troppo coinvolgere e senza sopraffare chi le stava di fronte. Questo è quello che hanno testimoniato coloro che erano presenti e che hanno ammirato la grande saggezza, giustizia e moderazione di quella santa donna. Un contadino un po’ più arrogante degli altri alzò la voce pronunciando male parole: era infatti un amico di quella domestica, la quale gli aveva promesso che non avrebbe preteso nulla da lui. Si arrabbiò molto con Giovanna Francesca, accusandola di aver strappato il foglio con quella promessa. Vedendolo così in collera contro di lei fermò il barone di Thorens che stava per picchiarlo con un bastone e chiese alla Madre de Châtel di pregare per quel pover’uomo. Gli si avvicinò, lo prese per i capelli e gli fece sulla fronte il segno della croce. All’istante il suo atteggiamento cambiò, si mise in ginocchio e rivelò a tutti la sua colpa, chiedendo perdono e misericordia. La ba15 Le nostre prime sorelle gettarono sul suo corpo dei fiori per paura del cattivo odore. Ma poiché lo fecero senza averne il permesso, la nostra santa Madre le riprese e le fece mangiare in refettorio al suo posto, mentre lei consumò il suo pasto ai loro piedi. (Archivi della Visitazione di Annecy).

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ronessa di Chantal glieli accordò entrambi e graziò anche altri che avrebbero avuto difficoltà a saldare il loro debito. Visitò tutte le terre e i possedimenti dei suoi figli, si occupò dei contratti e dei libri mastri, insomma di tutto ciò che era necessario per rimettere ordine. Scelse dei mezzadri per i poderi e mise dei fattori e degli esattori nei castelli. In una giornata percorreva a cavallo la strada da Montelon a Bourbilly, che distano circa dieci o dodici leghe 16. Poiché il barone suo figlio era ancora giovane e impegnato a corte, fece vendere una parte dei mobili che potevano rovinarsi, lasciando solo alcune stanze arredate. Prima di partire, dimostrando grande carità, ebbe cura di sistemare la domestica del suo defunto suocero e i suoi figli, ricompensandola del male che aveva ricevuto come se fossero stati suoi grandi benefattori e non volle più parlare delle cose passate 17. Permetteva a quella donna di mangiare con lei e si intrattenevano parlando del suo defunto suocero e della felice morte che Dio gli aveva concesso. Questo suo atteggiamento colpì molto la gente. Quando si occupava degli affari di famiglia non metteva mai avanti i suoi interessi, sentendosi ormai estranea al mondo, ma diceva: «Dovete ai miei figli tale cosa o tal’altra». Al ritorno da quel viaggio, durato appena sei settimane, passò a Digione: là edificò molte persone, senza fermarsi in nessun luogo più di quanto era necessario. Il padre Mathias de Dôle, cappuccino di grande virtù e reputazione che aveva spesso frequentato la Madre prima che lei si ritirasse dal mondo, le andò a far visita diverse volte durante questa sua per16 Ndt: Antica misura di distanza che corrisponde a circa 4 km. 17 Giovanna Francesca amò teneramente i suoi nemici (come attesta la deposizione

della Sorella Marie-Joseph de Musy, professa del secondo Monastero della Visitazione di Annecy); faceva loro del bene anche quando le si rivolgevano con parole spiacevoli. Così si comportò nei confronti della domestica del suocero, beneficandola in diverse maniere e occupandosi, fra l’altro, di una delle sue figlie che portò con sè da Montelon a Annecy, dove le procurò un buon matrimonio. La testimone ne è a conoscenza per averlo sentito dire dalle religiose più anziane.(Processo di canonizzazione). La Sorella M.-Jeanne Grandis testimoniò la stessa cosa, aggiungendo anche che la Madre, alla morte del suocero, accolse con gentilezza quell’ingrata e condusse con sè in Savoia una delle sue figlie, che unì in matrimonio con un uomo di famiglia onesta. La testimone è a conoscenza di ciò perché ha assistito direttamente ai fatti. (Processo di canonizzazione).

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manenza in Borgogna, essendo lui guardiano del convento dei cappuccini di Autun. Scrisse al Beato Padre queste parole: «La nostra signora di Chantal non è più una Giuditta, ma è una santa Paola. Ogni sua azione rivela l’opera di Dio nella sua anima e le tracce della vostra direzione. Non è più una baronessa, è una Sulamita 18. Ovunque lei passi rimane l’aroma delle sue dolci virtù. Le religiose di Digione, come già le figlie di Sion, la chiamano beata e tutte le dame della regione la lodano grandemente».

18

Ndt: La donna del Cantico dei Cantici è chiamata Sulamita (cf. Ct 7, 1).

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IX.

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LA NOSTRA DEVOTA MADRE FONDA UNA CASA DEL NOSTRO ISTITUTO A LIONE E RICEVE ALCUNE GRAZIE MIRACOLOSE

Quando tornò da quel viaggio l’anno 1613 volgeva al termine. Quegli ultimi mesi e tutto il 1614 furono adoperati per iniziare un nuovo monastero, così come abbiamo ampiamente descritto nel libro dedicato alla nostra fondazione, dove abbiamo anche parlato degli ostacoli che si presentarono e delle grandi virtù che i nostri Fondatori in quell’occasione dimostrarono. Dio benediceva talmente i loro progetti che, malgrado tutte le difficoltà e senza mai perdere la pace e la tranquillità, quell’impresa procedeva felicemente. Mentre la costruzione di quel primo monastero procedeva, il Signore predisponeva gli elementi temporali e spirituali per iniziare una seconda casa della congregazione. Come un saggio padre di famiglia che non accende la candela per nasconderla sotto il moggio, il Signore non volle più tenere nascosta la nostra degnissima Madre, la quale era una fiaccola di tutte le virtù, visibile anche da quel cantuccio dove la sua umiltà amava nascondersi. Madame de Gouffier, religiosa al monastero del Paracleto del Saintonge 19, avendo letto l’Introduction à la vie dévote e avendo saputo che l’autore di quel libro aveva fondato una congregazione alla quale aveva dato delle regole ancora più perfette e spirituali di quelle che aveva apprezzato in quel libro, promise di cercare in tutti i modi di raggiungere la Savoia per conoscere quel santo prelato e la sua congregazione. A Lione incontrò madame d’Auxerre, la quale provava il suo stesso desiderio. Era una donna di grande qualità e di notevoli possibilità, che da vent’anni, da che cioè era rimasta vedova, aspirava 19 Ndt: Il Saintonge è un’antica provincia al confine tra l’Aquitania, il Poitou e l’Anjou.

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ad una vita perfetta e ritirata. Aveva cercato quella pace in diverse case religiose senza mai entrarvi, perché non aveva ancora trovato quello che stava cercando. Venne ad Annecy con la signora de Gouffier dopo la Pasqua del 1613 e fin dal primo momento in cui vide la nostra Madre con la sua piccola congregazione sentì nell’anima quella pace che aveva finora cercato senza mai trovarla e disse: «Ecco veramente la vita che Dio da sempre mi ha fatto desiderare pur senza conoscerla». Ritornò a Lione decisa ad organizzare la costruzione di una casa Santa Maria come quella che aveva visto ad Annecy. Ottenne facilmente il permesso da monsignor Denis de Marquemont, ma purtroppo Satana, nemico di tutte le buone opere, intervenne e sovvertì quel progetto, come abbiamo narrato nelle pagine dedicate alla vita di quella cara sorella e in quelle in cui si descrive la fondazione di Lione. Sorse un po’ di invidia nei confronti della Congregazione della Visitazione e si volle fondare a Lione una Congregazione della Presentazione. La signora di Auxerre fu per Lione quello che la Madre di Chantal fu per Annecy: fondatrice e superiora di quella casa. Sebbene quella buona anima amasse solo la piccola Visitazione che aveva visto ad Annecy dovette cedere alle pressioni dall’alto. Presero il velo alcune ragazze e questa notizia giunse ad Annecy dove invece si credeva che alcune sorelle dovessero andare a Lione per fondare una nuova casa. Giovanna Francesca non si arrabbiò affatto, al contrario ringraziò Dio dicendo alle nostre sorelle «che ciò doveva insegnare a tutte che bisogna radicarsi nell’umiltà e che Dio si sarebbe curato di far crescere i rami del nostro Istituto». Ha conservato questa massima per tutta la vita, avendo cura di fondare il suo Ordine sulle virtù salde piuttosto che preoccuparsi del numero delle sue case. Ora se non è il Signore ad edificare la casa, invano lavorano gli uomini. Lo spirito dell’uomo aveva iniziato quella nuova Congregazione della Presentazione e lo stesso spirito umano la distrusse. La confusione delle lingue pervase quelle congregate, intendo dire che si verificarono tra loro tanti fraintendimenti che non riuscirono a vivere insieme più di sei settimane, sebbene fossero tutte delle buonissime anime. Ma Dio non voleva benedire quell’assemblea a tal punto che, in fretta e furia, fu scritto ai nostri Fondatori che era necessario che le figlie della Visitazione Santa Maria andassero a fondare a Lione. Il cardinale Denis de Marquemont, arcivescovo di quella città, inviò 147 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il signor Mesnard, sacrestano a Saint-Nisier, a prendere le sorelle. Giovanna Francesca partì da Annecy il giorno della conversione di san Paolo 20 del 1615 insieme alle Madri Marie-Jacqueline Favre, Péronne-Marie de Châtel, Marie-Aimée de Blonay e madame de Gouffier che svolgeva tutte le funzioni delle religiose. La nostra Madre andò a Lione molto malata nel corpo, ma infinitamente gioiosa nell’anima perché sapeva di andare a lavorare per la gloria di Dio. Avvicinandosi a Lione sentiva gli angeli del regno di Francia che la accoglievano; ebbe la certezza interiore del successo e dei frutti che quell’Istituto avrebbe portato alla Francia e che tutto ciò avrebbe generato una nuova gioia tra gli angeli. Prima che arrivassero a Lione vollero verificare le lettere patenti reali ottenute per l’altra istituzione, con l’intenzione di sostituire la parola “Presentazione” con “Visitazione”. Per fare ciò bisognava ritardare un po’ i tempi e fare diversi viaggi. Ci pensò il Signore a mettere ordine: all’apertura di quelle lettere ci si rese conto che quella parola era miracolosamente diversa e che là dove gli uomini avevano voluto Congrégation de la Présentation, c’era invece scritto a caratteri chiari: Congrégation de la Visitation Sainte-Marie. Tutti rimasero profondamente colpiti da quella meraviglia e da quel momento il nostro Istituto fu ancor più tenuto in considerazione. Coloro che erano stati contrari alla nostra fondazione dissero allora: «La mano di Dio è dalla parte di quelle religiose». La vigilia della festa della Purificazione 21 la Madre e le sue figlie arrivarono felicemente e furono gioiosamente accolte dalle consorelle e da madame Auxerre la quale, aspirando da sempre alla perfezione dell’umiltà, si dimise dalla carica che le era stata affidata all’interno di quella casa, consegnò le chiavi a Giovanna Francesca, ma soprattutto le offrì il suo cuore e la sua volontà, come fecero anche le sue due compagne, in quanto la quarta le aveva lasciate prima dell’arrivo delle nostre sorelle. L’indomani, giorno della Purificazione della Vergine, monsignor de Marquemont procedette con grande solennità alla fondazione delle piccole figlie di Santa Maria della Visitazione, testi20 Ndt: La conversione di san Paolo si festeggia il 25 gennaio. 21 Ndt: 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al tempio, anche detta della

Purificazione di Maria.

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moniando anche grande stima e rispetto per la virtù della nostra Madre 22. Quello stesso giorno la signora di Auxerre e le sue due compagne cambiarono d’abito e presero quello delle novizie. Prese il nome di Marie-Renée e fu fondatrice temporale di quella casa, come è detto nella fondazione e nelle pagine dedicate alla vita di quella onoratissima sorella che era un vero sole di virtù e fra tutte eccelleva nell’umiltà. La Fondatrice ci disse che non guardò mai quella sorella senza provare nell’anima l’emozione di inchinarsi davanti a Dio, sull’esempio dell’annichilimento e della prostrazione che brillavano in quella virtuosa novizia la quale, per parte sua, si riteneva così indegna della compagnia di quella Madre che non osava quasi avvicinarsi a lei. Diceva che Dio aveva rivelato al suo cuore queste parole quando Giovanna Francesca era entrata nella loro casa: «Vi do come guida una delle più grandi ancelle che abbia in questo momento sulla terra e questo come testimonianza del mio amore per voi». Queste parole rimasero talmente impresse nel suo cuore che a malapena osava guardare il viso di Giovanna Francesca e quando parlava alle sue due compagne o alle novizie entrate dopo di lei le incitava sempre a godere e a trarre profitto dal comportamento di quell’unica Beata Madre. Nell’eccesso del suo fervore e credendo di essere sola la si è talvolta udita dire a se stessa: «Sai chi sei Marie-Renée? Tu sei un atomo di spazzatura davanti a questa montagna di perfezione». Poi, rivolgendosi al Signore: «Ah!, Dio mio, permettetemi di farvi una richiesta: vi supplico che la morte chiuda i miei occhi; mi basta, perché ho potuto vedere una casa di Santa Maria in Francia; mettetemi in purgatorio affinché io possa purgare i miei peccati e lasciatemi godere solo della felicità di dimorare con la vostra santa». Ecco come i giusti si riconoscono vicendevolmente. Quella buona serva del Signore fu ascoltata dal Cielo: non riuscì infatti a portare a termine il suo novi22 Monsignor de Marquemont ammirò molto la santità di quella Madre venerabile, a tal punto che durante un incontro gridò: «Che diremo all’orecchio di colei a cui Dio parla direttamente al cuore!». La fama di quella serva di Dio era già pure arrivata a Roma: a madame de Gouffier, che in quel periodo stava sollecitando le dispense a lei necessarie per poter passare dall’Ordine del Paracleto alla Visitazione, il cardinale Bandiné disse: «Sarete ben lieta di poter divenire figlia del Vescovo di Ginevra e di quella perla di donna che è la Madre di Chantal». (Deposizioni della Madre Françoise-Madeleine Favre de Charmette).

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ziato e passò alla vita eterna ottenendo la grazia a cui la sua umiltà le impediva di aspirare: Giovanna Francesca le chiuse gli occhi e la assistette nei suoi ultimi istanti di vita, vissuti tanto santamente quanto fu grande la sua perseveranza nella virtù e nella vera devozione. Sebbene la sorella di Auxerre avesse offerto molti beni per la fondazione, all’inizio ci furono molta povertà e disagio, anche perché i suoi parenti, che non erano contenti della buona opera che lei stava compiendo, le portarono via molte cose e la ostacolarono a tal punto che la Beata Madre dovette adoperarsi molto e con grande umiltà per rimettere in pace ogni cosa. Durante queste controversie Giovanna Francesca gustava la soavità dei frutti interiori della povertà estrema in cui si trovava il monastero. Una volta, non sapendo più dove rivolgersi per trovare da nutrire la sua comunità, confidò questa sua pena alla divina Provvidenza. Ed ecco che uno sconosciuto suonò alla porta e disse alla portinaia: «Mandatemi a chiamare la Madre di Chantal». Quando lei arrivò le mise in mano un foglio di carta senza dirle di cosa si trattava, ma le disse soltanto: «Signora, colui che vi manda questa elemosina vi chiede di pregare per lui», e se ne andò così come era venuto. La Fondatrice tornò in comunità, perché era il momento della ricreazione. Non aveva ancora aperto il foglio; lo fece davanti a tutte le sorelle e vi trovò ottanta scudi 23. Le vennero le lacrime agli occhi, provò un’umilissima riconoscenza per la Bontà divina e condusse tutte le sue figlie a ringraziare l’autore di ogni bene. Qualche tempo dopo, non avendo denaro per comprare una teca d’argento per il Santissimo Sacramento e dispiaciuta di doverlo lasciare dentro ad una custodia di stagno, pregò il Salvatore affinché lui, che tanto si prende cura delle sue spose, si prendesse cura anche di se stesso. Cosa che fece e quando meno ci si pensava una persona sconosciuta venne a suonare alla porta e, senza dire il suo nome, offrì una teca d’argento con la preghiera che se ne servissero il più presto possibile. La nostra Beata Madre restò nove mesi a Lione, ricevette sette religiose, sopportò parecchi disagi da cui i nuovi Istituti non sono mai esenti e lasciò come superiora la Madre Marie-Jacqueline Favre; as23 Ndt: Il testo parla di “écus au soleil”: si tratta dell’unità monetaria in corso in Francia a partire dal 1484, così chiamata perché lo scudo era sormontato da un piccolo sole.

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sistente e direttrice era la Madre Marie-Aimée de Blonay. Lei rientrò accompagnata dalla sorella Marie-Hélène Darères, detta allora madame de Vars, vedova di grande pietà e virtù e figlia spirituale del nostro Beato Padre.

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X.

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LA BEATA MADRE FONDA UNA CASA A MOULINS; LA SUA FERMEZZA DAVANTI ALLA MORTE DELLA FIGLIA; LE PENE SPIRITUALI PER IL BATTESIMO DEL NIPOTE

Di ritorno da Lione la Madre apprese che, sull’onda della fama della sua virtù, non solo molte ragazze, ma città intere chiedevano la fondazione di case delle Figlie di Santa Maria. Se ci fosse stato un numero sufficiente di religiose se ne sarebbero già fondate diverse, che invece hanno dovuto aspettare parecchi anni per essere istituite. Alcune non lo sono ancora oggi. Abbiamo trovato un biglietto scritto dalla santa mano del nostro Fondatore che reca queste parole: «La messe è proprio abbondante, bisogna confidare che Dio manderà delle operaie. Ecco Tolosa che vuole delle figlie di Santa Maria, Moulins, Riom, Montbrison, Reims e dappertutto vogliono la Madre di Chantal». E in un altro biglietto indirizzato a Giovanna Francesca il Vescovo di Ginevra scrive: «Oh, mia carissima Madre, anzi, mia unica Madre, quanto siamo in debito con il Signore! E quanta fiducia dobbiamo avere che ciò che la sua misericordia ha iniziato in noi sarà da lei portato avanti e incrementerà così tanto la poca buona volontà che noi abbiamo, che saremo ricompensati con molte altre fondazioni». Giovanna Francesca, come la pia vedova che obbediva all’uomo di Dio, si nascondeva agli occhi del mondo, chiudendosi nella sua umiltà, con il cuore preso dalla divina Bontà e attento alla stretta osservanza. Così si concluse l’anno 1615 e all’inizio del 1616 la Madre di Chantal fu colpita da mali fisici e irrimediabili languori che le erano causati, almeno così si diceva, dal fatto che non si era rimessa completamente da una gravissima malattia che aveva contratto a Lione durante i nove mesi del suo soggiorno. Arrivata la primavera, la città di Moulins continuava ad insistere per avere delle sorelle e fare una fondazione. Nel libro della fondazione di quella casa si possono trovare diverse lettere a questo pro152 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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posito scritte al nostro Beato Padre dall’Arcivescovo di Lione, che allora amministrava anche il vescovado di Autun, da cui dipende Moulins. Quel grande cardinale faceva forti pressioni affinché Giovanna Francesca andasse a Moulins ad erigere una casa simile a quella di Lione. Diceva infatti di ricevere da quell’istituto una gioia senza eguali e tutta la provincia traeva da quell’esempio un grande beneficio. Il Maresciallo di Saint-Géran, governatore del Bourbonnais, i sindaci e i procuratori, il Decano di Notre-Dame e il Padre rettore dei Gesuiti di Moulins scrissero a Francesco di Sales sia per chiedere la fondazione sia per pregarlo di inviarvi la Madre di Chantal. Il Signore però non le concesse né forza né salute per compiere quella missione e fu così che, per non dilazionarla ulteriormente, il 16 luglio 1616 la Madre Jeanne-Charlotte de Bréchard partì con quattro compagne per andare a fondare in quella città. Il fatto che quella terza Madre dell’Istituto diventasse superiora di quella terza casa come le due prime Madri erano superiore delle due prime case – Annecy e Lione – fu un’altra concessione della divina Provvidenza. Poco tempo dopo la partenza delle nostre care sorelle per Moulins, Giovanna Francesca cominciò a sentirsi meglio. In quel periodo era molto impegnata sia sul fronte dell’avanzamento della costruzione del monastero di cui lei era responsabile, sia nell’educazione alle vere virtù religiose di molte ragazze che venivano accolte e che, quasi tutte, hanno poi reso in luoghi diversi molti favori all’Istituto, rendendo onore alla mano che le aveva istruite. Sembrava che la divina Provvidenza desse salute e forza alla nostra Beata Madre solo affinché offrisse se stessa e il suo stesso sangue in sacrificio. Con lei in Savoia c’era la sua diletta figlia, la baronessa di Thorens, una fra le dame più a modo che si fosse mai vista. Era nel fiore degli anni e possedeva una bellezza perfetta, un corpo aggraziato ed una sincera purezza di cuore e pietà nelle sue azioni, regolate sulla base degli insegnamenti della vita devota verso la quale si era interamente disposta. Il nostro Beato Padre non era soltanto suo cognato, ma anche suo confessore e padre spirituale e Giovanna Francesca non era solo sua madre, ma anche la guida della sua anima. Quando suo marito non c’era e se non aveva impegni familiari, si ritirava nel monastero dove era sua madre per rinfrancarsi nella pietà e negli esercizi di devozione. 153 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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All’inizio del 1617 il barone di Thorens dovette condurre un reggimento in Piemonte. Poco dopo il suo arrivo si ammalò e morì santamente tra i soldati fra i quali, come disse Francesco di Sales, «ci sono così pochi santi». Questa morte provocò un dolore ineguagliabile alla signora di Chantal che amava quel cavaliere come se fosse stato suo figlio. Sopportò quel colpo con quella grande forza d’animo e la rassegnazione alla volontà divina, che riluceva in lei come un sacro fuoco nella notte delle molte afflizioni da cui la sua vita è stata contraddistinta. La giovane vedova di quel valoroso barone era al monastero 24 accanto a sua madre quando ricevette quella terribile notizia. Rimase molto composta, malgrado un dolore che non si poteva esprimere. Era da poco incinta e se non fosse stato per la gravidanza avrebbe preso immediatamente l’abito di Santa Maria dalle mani di sua madre, presso la quale si fermò per circa cinque mesi. Una notte, quando meno ce lo si aspettava, iniziarono le doglie. L’imminente pericolo di vita in cui si trovava fece sì che non la si trasportò nella casa in città che era stata preparata per il parto. Il Fondatore infatti non voleva e così fece venire molte donne di rango e amiche di sua madre. La povera vedova partorì un maschio che ebbe la grazia che Giobbe aveva chiesto, di passare cioè dal grembo materno direttamente a quello della terra. Quel piccolino visse solo il breve tempo del momento del battesimo, che, per la gravità della situazione, gli fu amministrato dalla nonna che lo vide spirare tra le sue braccia. Ammirevole fu la rassegnazione, la forza e la tranquillità del suo animo in un momento così doloroso per il cuore di una madre, il quale, secondo le parole del nostro Beato Padre, «amava potentemente e soffriva ardentemente». La puerpera era cosciente che avrebbe seguito a breve il suo bambino nell’altro mondo e poiché ci siamo già troppo dilungati sulla vita di questa ragazza, sorta di ramoscello d’oro uscito da un albero meraviglioso, non racconteremo qui della sua santa morte, ma diremo solamente che ricevette l’abito da novizia, fece la professione e morì tra le braccia del nostro Beato Padre e della nostra Beata Madre, la quale 24

Non c’era ancora la clausura che impedisse l’entrata e la permanenza di persone esterne nel monastero. Questo spiega il perché la figlia della baronessa di Chantal si trovasse nel monastero con la madre.

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ebbe il coraggio di chiuderle gli occhi. Fu la prima ad essere sepolta nella chiesa di quel monastero, come una vera figlia della congregazione, vale a dire con il nostro abito. Dopo la sua sepoltura, Satana, geloso della costanza della Madre di Chantal e stizzito per il fatto che, malgrado la morte della figlia, lei continuasse a benedire Dio, cominciò a tormentarla. Le mise in cuore il pensiero che non avesse asperto d’acqua il nipote durante il battesimo e che non avesse pronunciato bene le parole necessarie a battezzarlo. Di conseguenza la sua imprudenza e la sua fretta avrebbero per sempre impedito a quella piccola anima la visione di Dio causandole un’eterna sofferenza di cui si sarebbe eternamente lamentata presso Dio contro la nonna. Quella pena offuscò a tal punto la sua memoria che Giovanna Francesca non riusciva in nessun modo a ricordarsi cosa avesse fatto in quel momento e credeva a ciò che quella tentazione le suggeriva. Mandò a chiamare Francesco di Sales e gettandosi ai suoi piedi in lacrime chiese perdono per quella colpa che credeva di aver commesso e ripeteva queste parole: «Proprio io, Monsignore, devo essere causa che un’anima non veda Dio per l’eternità, proprio io!». Il Beato Padre le disse: «Madre mia, da dove viene questo interesse per voi stessa?». A quelle parole capì che la violenza di quella tentazione proveniva dallo sguardo e dal ripiegamento su se stessa che aveva avuto. La memoria le ritornò ridonandole la libertà e sia lei che le sorelle che erano presenti si ricordarono benissimo che aveva gettato dell’acqua benedetta sul piccolo e aveva pronunciato con grandissimo fervore le sacre parole stabilite dalla santa Chiesa. Quando diversi anni dopo la Beata Madre ci parlava dell’imperfezione della contrizione e del dolore delle colpe, portava talvolta questo esempio e diceva che Francesco di Sales le aveva insegnato che nel rimpianto per il male fatto bisogna guardare in Dio e vedere contro chi è stato commesso. In quello sguardo di un Dio buono, misericordioso e offeso, la contrizione è più viva, l’anima più pura, lo spirito più illuminato e il nemico ha meno presa sul nostro cuore. La Fondatrice ci disse che «da quel giorno l’insegnamento del nostro Padre le era servito da metodo per tutti i suoi atti di contrizione».

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XI.

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LA NOSTRA BEATA MADRE GUARISCE MIRACOLOSAMENTE DA UNA GRAVE MALATTIA. FONDA DUE CASE: A GRENOBLE E A BOURGES

Alcune settimane dopo il funerale di sua figlia sembrava si dovesse fare quello della Beata Madre. Era stata colpita infatti da una grande febbre continua. Fin dall’inizio di quella malattia ordinò alla sua infermiera di farle fare tutti i giorni il suo esame di coscienza e di dirle sinceramente le colpe che avesse commesso. Le ordinò anche di non somministrarle alcun medicinale troppo costoso; disse infatti che provava orrore per tutto ciò che le ricordava le delicatezze e le superfluità mondane. Si faceva leggere il discorso di san Bernardo ai religiosi malati del Monte di Dio 25 e diceva alla sua infermiera, la Madre Péronne-Marie de Châtel, che sebbene i consigli di quel santo non fossero fedelmente seguiti a quell’epoca a causa della debolezza della nostra natura, ciò nonostante tutte le persone religiose dovrebbero averli sotto gli occhi durante le loro infermità, per trarne materia di umiliazione e ragioni d’amore per la sofferenza e per rendersi conto che, per quanto male esse stiano o siano male accudite, si trovano sicuramente in una situazione migliore di quella in cui si trovavano quelle sante persone. Questo amore per la povertà e per la sofferenza era accompagnato da un’obbedienza così fedele che assumeva e faceva tutto quello che il medico le prescriveva. Piacque a Dio di condurla fin davanti alle porte della morte per salvarla in extremis. Ricevette i sacramenti in una tale condizione da far credere di essere nell’estrema agonia. Il Fondatore a quel punto ebbe un’ispirazione: portarle le reliquie di san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, al

25 Ndt: Si tratta probabilmente della Pistola di S. Bernardo a’ frati del Monte di Dio di san Bernardo di Chiaravalle.

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quale fece un voto. Non appena le ebbe offerte alla malata, lei fece un grande sospiro come fosse l’ultimo; poi però, aprendo gli occhi, disse al Beato Padre: «Padre mio, non morirò. – No, figlia mia – replicò lui – vivrete per l’eternità grazie alla divina misericordia. – Ho capito che sono guarita – disse la convalescente – e che mi sento molto bene grazie a Dio e al suo santo». A quelle parole il Vescovo di Ginevra, circondato da tutta la comunità delle sue figlie, intonò un ringraziamento a Dio e tutte gli andarono dietro con gioia. In pochi giorni Giovanna Francesca recuperò tutte le forze e la malattia non le lasciò alcuno strascico, come invece tutte le altre volte era capitato. Il medico che l’aveva curata, vale a dire il Signore, non somministra mai rimedi imperfetti. Se Dio però ridonò la salute e la vita alla sua serva fedele, lei la impiegò immediatamente, come la suocera di san Pietro 26, per il servizio della Maestà divina. Questa guarigione avvenne ai primi di febbraio dell’anno 1618. Pochi giorni dopo il Fondatore partì per andare a predicare la Quaresima a Grenoble, dove era già stato una volta. Appena arrivato gli fu subito chiesto di portare in quella città alcune sue figlie della Visitazione Santa Maria. Per facilitare quella fondazione già quattro signorine erano venute ad Annecy a prendere il nostro abito. Francesco di Sales scrisse allora alla Madre di Chantal di andarlo a trovare a Grenoble portandosi dietro delle sorelle per procedere alla fondazione e poter accogliere quelle quattro novizie. Arrivarono il 7 di aprile 1618, vigilia della domenica delle Palme. Monsignor de Calcédoine 27, coadiutore della diocesi di Grenoble, ricevette con molto onore la nostra Madre e, con i suoi collaboratori, le offrì ogni tipo di assistenza. Rimase così edificato che l’indomani desiderò confessare Giovanna Francesca e le sue figlie, ricevendone una tale soddisfazione che disse di non aver mai incontrato simili coscienze. Distribuì le palme alle sorelle, disse la santa Messa, diede la comunione alla comunità ed espose il Santissimo. Quel giorno segna la data di quella fondazione. La nostra Madre rimase a Grenoble per circa sei settimane, durante le quali visitò diverse case per acquistarne una e, non trovandola, decise che avrebbero comprato un terreno 26 Ndt: Cf. Mc 1, 29-31. 27 Monseigneur de la Croix

de Chevrière.

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chiamato Chalemont, luogo appartato, montuoso, lontano dal centro, sebbene all’interno delle mura. Disse che le difficoltà che avrebbero incontrato per edificare in quel luogo sarebbero state ricompensate dalla tranquillità della quale avrebbero goduto. Accolse alcune ragazze e nominò superiora la Madre Péronne-Marie de Châtel; poi tornò ad Annecy, accompagnata dalla Madre Claude-Agnès de la Roche. Erano trascorsi appena quindici giorni dal suo ritorno quando ricevette alcune lettere che la invitavano ad andare a Bourges per fondare una nuova casa. Partì immediatamente con alcune sorelle 28, passò dalle case di Lione e di Moulins e arrivò finalmente a Bourges dove fu ricevuta solennemente nella grande chiesa. Il Vicario salì sul pulpito, si congratulò per l’arrivo di quella santa donna che era stato annunciato, due giorni prima del suo arrivo, da una splendida cometa apparsa nei cieli di quella città. Quell’astro aveva annunciato loro una benedizione: l’arrivo di una grande ancella del Signore. La fondazione si fece con grande approvazione popolare e Giovanna Francesca rimase sei mesi in quella nuova casa, vivendo in grande povertà, sebbene l’Arcivescovo suo fratello avesse ordinato a delle persone di aver cura che non mancasse nulla al monastero. Dio però permise più volte che la negligenza di quegli incaricati facesse esercitare la povertà a quelle sorelle. Talvolta non avevano neppure il pane per la cena; la Madre di Chantal esortava le compagne ad andare in refettorio nell’ora stabilita dalla regola e di accontentarsi di mangiare la minestra di verdure. È accaduto due o tre volte che, appena terminata la recita del Benedicite, qualcuno suonava alla porta e, pur ignorando la miseria in cui la Comunità si trovava, lasciava un pane bianco fresco per ogni sorella. Giovanna Francesca non voleva che si avvertisse il Vescovo di Bourges della negligenza dei suoi incaricati, sia per non importunarlo, 28

Fu proprio nel 1618, prima della partenza della santa per Bourges, che san Francesco di Sales, conformemente alla bolla di Paolo V, eresse ad ordine religioso la Congregazione della Visitazione, conferendole i voti solenni e l’obbligo della clausura. «Il nostro Beato Padre – scrisse la santa – venne a portarci quella bolla che noi accettammo di gran cuore, poiché Dio ci aveva gratificate con lo spirito di una totale sottomissione alla sua volontà. Inoltre la sua divina bontà ci dà una disposizione e un’attrattiva interiore per vivere nell’assoluta clausura ricevendo una profonda consolazione delle nostre anime». Quella cerimonia si svolse il 16 ottobre 1618. (Archivi della Visitazione di Annecy).

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sia per aver sempre qualcosa per cui patire in nome del Signore; di fatto mal accettava l’organizzazione che suo fratello aveva messo in piedi per il periodo che lei sarebbe rimasta a Bourges. Lo scrisse al Fondatore che le rispose di agire con libertà di spirito e senza farsi scrupolo, pur sapendo però che ciò che si sopporta per obbedienza e accondiscendenza, sebbene ci sia sgradevole, non può che essere per il bene. Quindi doveva servirsi di ciò che il Vescovo di Bourges le avrebbe inviato. Durante il tempo che soggiornò in quella nuova casa cercò di renderla il più possibile confortevole; accolse diverse ragazze insegnando loro l’osservanza e il fervore. Il nostro Beato Padre era allora a Parigi e le chiese di andarlo a trovare, in quanto anche là c’era da soddisfare il desiderio di molte buone anime che vagheggiavano la fondazione di una Visitazione. Le disse che ci sarebbero state molte difficoltà, ma Dio poteva vincere tutto. «Con questo pensiero, mia cara Madre – diceva il Salesio –, prendiamo nuovamente coraggio o meglio rinnoviamo quello che già possediamo per compiere meraviglie al servizio di Dio e della nostra beneamata piccola congregazione che è tutta sua». Quando il Vescovo di Bourges, che sperava poter trattenere con sé qualche anno la sorella, capì che lei stava organizzandosi per andare a Parigi, si oppose fermamente a quel viaggio. Lei gli fece diverse amorevoli rimostranze, ma non lo convinse. Finalmente, il giorno stabilito per la sua partenza, il fratello le disse che aveva vietato ovunque e a chiunque di fornire loro i mezzi per partire. Allora lei prese coraggio e gli disse: «Monsignore, poco importa se non abbiamo mezzi, l’obbedienza ha buone gambe, andremo dunque a piedi». Quella determinazione toccò quel prelato che decise allora di prestarle la sua carrozza fino a Parigi. Lasciò come superiora a Bourges la sorella Anne-Marie Rosset e s’incamminò verso la capitale con quattro professe e una novizia, che aveva fatto venire espressamente dal monastero di Moulins. Era contentissima di partire per servire Dio e aveva una grande fiducia nell’obbedienza. Infatti lasciava Bourges per andare a fondare a Parigi senz’altra ricchezza che i diciannove testoni 29, sen-

29 Moneta d’argento coniata in Francia sotto il regno di Luigi XII, sulla quale era incisa la testa del re.

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z’altra preoccupazione che obbedire e, durante il cammino, esortava le compagne all’amore per la sofferenza e al totale abbandono di ogni cosa in Dio e nella sua Provvidenza. Non voleva far trapelare la sua preoccupazione per la fondazione di Parigi. Glielo aveva chiesto il Fondatore e in ciò si rallegrava e trovava grande coraggio.

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XII.

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LA BEATA MADRE FONDA UNA CASA A PARIGI. L’UMILTÀ E LA PAZIENZA NELLE DIFFICOLTÀ CHE INCONTRA

La vigilia della domenica in Albis del 1619 Giovanna Francesca e le sue figlie arrivarono a Parigi dove le sue attese non furono affatto deluse: vi erano là infatti molte croci da portare. Dio aveva predisposto molti ostacoli alla fondazione di quel monastero perché lo voleva arricchire di ogni sorta di benedizioni, come in effetti è accaduto per grazia divina. Il nostro modo di vivere fu duramente criticato, non solo dai laici, ma anche dai religiosi e dalle persone di grande pietà e merito. Per sminuire il lustro che il nostro Istituto avrebbe avuto a Parigi, qualora vi ci fossimo stabilite, fu deciso che saremmo state accolte solo per gestire le Andriettes e le figlie di Sainte-Madeleine, cioè le ravvedute 30. Un religioso, morto qualche anno fa, disse alla Madre di Chantal che non si voleva che fondassimo una nostra casa a Parigi, ma che ci occupassimo di quelle congregazioni che non erano ben gestite. Se non avessimo accettato era meglio tornare da dove eravamo venute. Lei gli rispose con grande forza ed umiltà: «Ebbene, mio caro Padre, ce ne andremo, piuttosto che venir meno alla regola del nostro Istituto. Noi vogliamo solo compiere la volontà di Dio: è Lui che ci ha portate fino a qui. Se Lui vuole che noi torniamo indietro gli obbediremo di cuore, così come abbiamo fatto venendo qui». Questo modo di parlare toccò così profondamente quel Padre facendogli anche capire che lo spirito di Gesù era con la Congregazione di Santa Maria, che da quel giorno cambiò atteggiamento e cominciò ad impegnarsi per la nostra fondazione (alle condizioni richieste) con lo ze-

30 Ndt: Les repenties erano le ragazze pentite della loro condotta e ritiratesi in convento. Il corsivo non è nostro, ma del testo del 1874.

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lo con cui prima aveva cercato di ostacolarla. Fu un gran bene: quel Padre era talmente potente e stimato per la sua virtù che il suo consenso ne trascinò con sé altri. Diceva a chiare lettere che lo spirito divino era con la Madre di Chantal, che era Dio che l’aveva condotta a Parigi per la salvezza di molte anime. Così, poco a poco, gli ostacoli scomparvero e il Beato Padre fissò il giorno per la fondazione. Da casa sua scrisse alla Fondatrice: «Mia cara Madre, quanto è ammirevole la prudenza umana! Ci credereste se vi dico che molti uomini e donne di Dio continuano a dirmi che la dolcezza e la pietà del nostro Istituto piacciono talmente ai francesi che pare che voi stiate togliendo lustro agli altri ordini religiosi. Chi ha conosciuto la Signora di Chantal non riesce a vedere altro. Orsù allora, questo è ancora niente: Dio, il quale sa che non andiamo a Parigi per metterci in mostra, ma per far conoscere la sua Bontà a molte anime affinché possano incamminarsi in purezza al suo servizio, ci aiuterà sicuramente. Rispondo della sincerità delle vostre intenzioni come fossero mie, ammesso che possa dirsi “tuo” e “mio” tra le nostre due anime che Dio ha unito per servirlo». Il giorno dei santi Giacomo e Filippo, primo maggio 1619, Francesco di Sales venne a dire messa nella cappella della piccola casa dove le nostre sorelle si erano ritirate, fece un’esortazione ed espose il Santissimo. Quel giorno fu considerato quello della fondazione. Le sorelle alloggiavano nel quartiere di Saint Michel, in una casetta poco confortevole, perché si trovava tra due bische e giorno e notte si sentiva il baccano dei giocatori. Là trovarono due ragazze che desideravano diventare religiose, ma non avevano avuto il coraggio della perseveranza. Avevano allestito qualche mobile e dei letti per le nostre sorelle, che dovettero pagare. Pareva che Dio si divertisse a lasciare la nostra Fondatrice nella povertà, pur in mezzo all’abbondanza che regnava in quella grande città. Non aveva neanche la biancheria da cambiare. Le sorelle che aveva condotto con sé si ammalarono; restarono in piedi per cantare l’Ufficio, servire le ammalate, rispondere alla porta e servire in sacrestia solo la Madre e due giovani novizie. Giovanna Francesca si occupava di tutto: la cucina, l’infermeria, cantava l’Ufficio con le due novizie con una voce talmente forte da far credere che il coro fosse composto da molte persone. Restarono circa tre mesi in quella casetta scomodissima; poi si pensò a cambiare perché molte 162 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ragazze avevano chiesto di essere accolte. Il cambio si fece con non poche difficoltà, tuttavia il Signore assistette anche in questo la sua serva, come del resto aveva sempre fatto, e, dopo averle fatto esercitare la pazienza per diversi mesi, la aiutò inviandole delle brave ragazze di buona famiglia che portarono con sé dei beni con cui sistemare la casa. Poiché si era a buon punto, Dio permise che la peste scoppiasse furiosa a Parigi. La corte con tutti i suoi membri scapparono: quella città così popolosa diventò praticamente un deserto e l’erba crebbe alta in mezzo alle strade. La nostra casa era ancora ai suoi esordi e rimase priva di qualunque assistenza. La Madre di Chantal ci ha detto che, non sapendo più che fare, né avendo più di che nutrire le sorelle, andava davanti al Santissimo a dire il Padre Nostro per chiedere al Padre celeste il pane quotidiano per le sue figlie. Un’altra volta, parlandoci delle difficoltà che avevano incontrato sia per acquistare il terreno che per edificarlo, disse che la casa di Parigi l’aveva acquistata più con le lacrime e le preghiere che col denaro. Dio le inviò grandi benedizioni, fra le quali l’arrivo della sorella Hélène-Angélique Lhuillier, che la Provvidenza portò là attraverso una vocazione straordinaria. Divenne fondatrice, cedendo però i privilegi a madame de Villeneuve, sua sorella. Furono acquistate così le scuderie del palazzo di Zamet, che la nostra Beata Madre fece sistemare per farvi alloggiare le sue religiose. Le grandi dame e le principesse cominciarono a rendere visita e ad affezionarsi così tanto a Giovanna Francesca che molte, dopo averle parlato, seguivano i suoi consigli e le affidavano le loro anime. La contessa di Saint-Paul, virtuosissima principessa, volle delle nostre sorelle per fare una fondazione a Orléans. Si tratta della nona: la settima e l’ottava erano state fatte a Montferrand e a Nevers ad opera delle case di Lione e di Moulins. La cara Madre Marie-Jacqueline Favre andò a fondare a Montferrand, lasciando come superiora a Lione la Madre de Blonay; la sorella Paule-Jéronime de Monthouz, professa di Annecy, andò a fondare Nevers, prendendo con sé delle sorelle da Moulins. Il Beato Padre mandò a Parigi la carissima Madre Claude-Agnès de la Roche, con quattro compagne, per la fondazione di Orléans. La Fondatrice affidò loro qualche novizia di Parigi assieme alla loro dote. Così si procedette alla fondazione di Orléans e poi163 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ché la carissima sorella de la Roche era stata la nona figlia dell’Istituto, per puro caso e non intenzionalmente, diventò la prima Madre della nona casa. Tra gli esercizi di pazienza che Giovanna Francesca dovette sopportare a Parigi, vi furono le provocazioni, durate diversi mesi, di una donna, che in principio si era prestata per assisterla 31. Se la prese perché la Beata Madre non volle concederle delle libertà che erano assolutamente contro la condotta e la buona creanza di una casa religiosa. Coglieva qualunque occasione per trovare da ridire e per disapprovare ciò che faceva la Fondatrice. Dissuadeva le ragazze a venire da noi e, se la nostra onoratissima sorella Hélène-Angélique Lhuillier non avesse avuto una virtù fermissima, avrebbe fatto perdere pure a lei la vocazione. Talvolta la sua rabbia scoppiava e arrivava ai rimproveri e alle accuse di ingratitudine nei confronti della Fondatrice: in quei momenti diceva tutto quello che i suoi sentimenti le suggerivano, ma Giovanna Francesca riusciva a risponderle solo con umiltà e dolcezza. All’uscita dal parlatorio diceva alla sorella che l’aveva assistita: «Andiamo a raccomandare quella cara anima a Dio», e non aggiungeva altro né diceva nulla sul male che pativa nel sentirsi trattata così. Quando si ammalò la fece visitare e servire come fosse stata una delle migliori amiche del monastero. Sul finire del 1621 la Madre di Chantal, vedendo che la casa di Parigi era in un ottimo stato sia materiale che spirituale, pensò di partire per andare a lavorare altrove. Ma il Signore la bloccò a letto per una malattia che durò circa tre mesi. Non appena guarita dispose l’elezione di una Madre Superiora per poter così partire. La sorte scelse la sorella Anne-Catherine de Beaumont, alla quale fu affidata una comunità di trentaquattro religiose, tutte degnissime della loro vocazione. La maggior parte di esse hanno reso importanti servizi al nostro Istituto, dirigendo e fondando diverse case. Quando capirono che la Fondatrice voleva lasciare Parigi, cercarono in tutti i modi di trattenerla, ma invano. Infatti, benché molte persone si affezionassero a lei e a fatica rinunciassero alla sua presenza e al suo esempio,

31 Sembra certo che si tratti di madame de Gouffier, che morì nel 1621. Per maggiori riscontri si leggano attentamente le lettere di santa Giovanna Francesca di Chantal.

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lei invece non si attaccava a nulla perché voleva solo compiere nel modo più accurato l’opera che Dio le aveva affidato, per la Sua sola gloria e senza pretendere altra soddisfazione che quella di appagare il suo Signore.

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XIII.

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LA NOSTRA BEATA MADRE VISITA DIVERSE CASE RELIGIOSE E SI RECA PRESSO LE FONDAZIONI DI ORLÉANS, BOURGES, NEVERS E MOULINS. LUNGO IL CAMMINO SI FERMA A CASA DELLA FIGLIA, MADAME DE TOULONJON, DA DOVE PARTE PER PROCEDERE ALLA FONDAZIONE DI DIGIONE

Svincolata da tutto e da tutti, si congedò da Parigi e, nonostante i rigori del freddo, partì il 21 febbraio 1622, accompagnata dalla sorella Gasparde d’Avise, madame de Port-Royal, anima di insigne e straordinaria virtù, figlia spirituale del Beato Padre, il quale di lei diceva che non aveva né il cuore, né il coraggio, né lo spirito di una donna, talmente la sua anima era generosa e rivolta al servizio divino. Quella signora virtuosa aveva desiderato ardentemente diventare figlia della Visitazione, ma essendo fin da giovane legata ad un’altra congregazione, i nostri Fondatori misero in pratica un grande spirito di abnegazione. San Francesco di Sales scrisse una volta al padre Binet della Compagnia di Gesù: «Né io né la Madre di Chantal chiederemmo di far uscire una religiosa da un’altra congregazione, anche se sapessimo che la santificazione della sua anima è nella Visitazione». Così madame de Port-Royal rimase nel suo monastero, cambiò il suo nome, assunse il ruolo di badessa e attribuì a questa carica una durata triennale. Uscendo da Parigi andò a prendere la Madre per condurla a Maubuisson, abbazia che avrebbe riformato. La trattenne quattro giorni affinché potesse parlare a tutte le religiose e desse loro dei buoni consigli per riformare e regolamentare gli esercizi religiosi. La Madre aveva problemi di circolazione, così madame de Port-Royal le applicò dei salassi con le sue stesse mani e asciugò con delle pezzuole il suo sangue; ad ogni pasto le cambiava il tovagliolo che conservava come una reliquia. Se la volontà di Dio non avesse voluto diversamente, madame de Port-Royal avrebbe seguito Giovanna Francesca, la quale, partita da Maubuisson andò a Pontoise dove fu ricevuta dalle Carmelitane con una tale grande cordialità che alla Superiora di Parigi 166 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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scrisse che tra quelle buone ancelle del Signore si sentiva la stessa sincerità ed unione che avrebbe trovato in una nostra comunità. Per parte loro quelle sorelle scrissero che pareva loro di avere con sé santa Teresa di Gesù. Molte di loro si confidarono con lei. Lei visitò con grande devozione la tomba della beata suor Maria dell’Incarnazione 32 e, congedatasi da quelle religiose andò nella nostra casa di Orléans dove si consolò molto per l’eccellente condotta della carissima sorella e Madre Claude-Agnès de la Roche. Visitò una casa religiosa di San Benedetto che da tempo la aspettava: le fecero trascorrere quasi tutta la notte in piedi per aprirle i loro cuori e apprendere da lei le vere regole religiose alle quali intendevano conformarsi. Mentre alcune parlavano alla Beata Madre, le novizie discorrevano con due nostre sorelle. Da Orléans andò a Bourges per eleggere la cara sorella FrançoiseGabrielle Bally alla carica di superiora. Era infatti necessario che la Madre Anne-Marie Rosset andasse a Digione per aiutare quella fondazione. Di ritorno passò da Nevers e da Moulins 33, consolidando sempre più le nostre sorelle nella perfetta osservanza. Da là, su ordine del Beato Padre, andò ad Allonne a casa di madame de Toulonjon, sua figlia, dove si fermò qualche giorno per attendere le sorelle che il Vescovo di Ginevra doveva inviarle per la fondazione di Digione. 32 La beata suor Maria dell’Incarnazione, fondatrice delle Carmelitane scalze in Francia, nacque a Parigi il 1° febbraio 1565. Era l’unica figlia di Nicolas Avrillat, signore di Champlatreux e di Marie Lhuillier. Sposò Pierre Acarie all’età di 18 anni. Alla morte del marito fece professione al convento delle Carmelitane di Amiens in qualità di suora conversa e morì nel monastero di Pontoise il 18 aprile 1618. Da allora la sua tomba è divenuta celebre per i miracoli di cui Dio la onorò. Pio VI beatificò la Madre dell’Incarnazione il 29 maggio 1791. Le reliquie, sfuggite alle profanazioni della Rivoluzione francese, furono solennemente reintegrate nel 1822 nella cappella delle Carmelitane di Pontoise. 33 Durante uno di quei viaggi, la santa si fermò in un castello fra i più importanti della provincia. Passeggiando in giardino con la signora del luogo e parlandole con dolcezza le disse: «Mia cara baronessa, che cosa vi rende triste? – Le rispose: Madre mia, sono sette anni che ho l’onore di vivere qui ma se non avrò un figlio presto non sarò più ben accetta». Allora la santa alzando gli occhi e il cuore al Signore fece un piccolo segno di croce sulla fronte della donna dicendo: «Confido nel Signore che ne avrete, ve lo prometto da parte Sua». Poco tempo dopo, infatti, rimase incinta ed ebbe quattordici figli; due delle sue figlie entrarono nell’Ordine della Visitazione. (Archivi della città di Annecy).

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Il soggiorno presso madame de Toulonjon non fu infruttuoso: diverse donne e signorine dei dintorni vennero a far visita alla Madre di Chantal e rimasero da lei molto edificate. Una religiosa di un ordine non riformato che aveva parlato allora con lei disse qualche anno più tardi che non dimenticò mai gli insegnamenti che ne aveva ricevuto e che portò sempre nell’anima il grande rimpianto di non poter essere figlia di una così degna madre. Quanto a madame de Toulonjon, figlia sua carissima sposata da pochi anni, non si può dire con quale consolazione e beneficio ricevette e accolse sua madre. Sebbene incinta all’ottavo mese, nessuno riuscì ad impedirle di trascinarsi in ginocchio davanti a lei. Nei due anni precedenti aveva partorito già due figli prima del termine: il primo visse solo tre settimane, l’altro quindici giorni e tutti temevano che ciò potesse ripetersi. Accadde invece proprio il contrario: partorì felicemente una bella bambina che è ancora in vita 34, ma perse in seguito altri tre bambini. Così, quando quella vedova virtuosa ritornò da Pinerolo con il figlio che aveva solo sei settimane, durante i quattro mesi che rimase qui ad Annecy fece ricevere spesso al bambino la benedizione di quella santa nonna, affinché diceva «colei che ha custodito mia figlia, custodisca anche questo mio figlio», cosa che a tutt’oggi è accaduto per grazia del Signore. Le sorelle che la Madre di Chantal attendeva ad Allonne erano nel frattempo arrivate e così lei partì per Digione. Arrivò là nel mese di aprile e fu ricevuta con una gioia straordinaria, tanto che alcuni membri del Parlamento, che avevano cercato di ostacolare la nostra fondazione, ne furono meravigliati; infatti il popolo altre volte aveva accolto simili presenze religiose con maledizioni e proteste. In questa occasione, invece, i mercanti e gli artigiani di loro spontanea volontà chiusero le loro botteghe e si buttarono per le strade ad acclamare la Beata Madre. Vi era un tale frastuono che le sorelle che erano con lei assicurano che non si riusciva neanche a sentire il rumore della carrozza e sembrava che quella gente la stesse portando a braccia. Ci misero molto tempo per fare un breve tratto di strada, tanto era diffi-

34 Si tratta di Gabrielle che sposò poi il conte di Bussy-Rabutin. Si veda la vita della loro figlia, la sorella J.-Th. de Bussy-Rabutin, nel primo volume dell’Année sainte.

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coltoso farsi largo tra la folla. La sera, dopo aver ricevuto l’omaggio dalla gente di quella città, arrivarono più di duecento persone dalle campagne intorno a Digione per dare il benvenuto alla Madre di Chantal, la quale gradì così tanto la loro semplicità che fece entrare le nostre sorelle in un grande cortile e fece loro alzare il velo 35 affinché accogliessero ancor più cordialmente quelle persone. Trattò con grande gentilezza quella buona gente e dopo aver detto loro molte sante parole per esortarle a vivere nel timore di Dio e guadagnarsi il cielo lavorando in questo mondo le rimandò indietro dopo aver impartito la sua benedizione, poiché loro si erano inginocchiati e non volevano andarsene finché non la avessero ricevuta. L’indomani, 8 maggio 1622, il grande vicario di Monsignor de Langres, che era assente, con grande solennità procedette alla fondazione. Poco tempo dopo, il 6 giugno 1622, prese l’abito la cara sorella Claire-Marie Parise, colei che aveva procurato la fondazione. L’accoglienza di quella ragazza suscitò molte altre chiamate di giovani che nei giorni successivi si presentarono per essere accolte. Fra costoro fu condotta da Dio sotto una così alta guida e per una grazia speciale madame Legrand, che aveva settancinque o settantasei anni. Giovanna Francesca onorò come una madre colei che si mise in ginocchio davanti a lei chiedendole in tutta umiltà di poter essere sua figlia e sua novizia. La Madre di Chantal la accolse con grande riconoscenza verso Dio che aveva voluto donare all’Istituto un’anima veramente virtuosa che, entrando in monastero, si dimenticò completamente ciò che era stata nel mondo: aveva chiesto di occuparsi del giardino, viveva nella mortificazione, non permettendo a nessuno neanche che le si facesse il letto. Voleva essere trattata come una qualunque altra sorella e diceva alle nostre sorelle che si sentiva indegna di slegare persino la stringa delle scarpe della Beata Madre. Quella sorella è morta santamente nel nostro monastero di Digione a più di ottant’anni di età. Alcuni mesi dopo la fondazione di Digione, il Vescovo di Langres, come un buon pastore che cerca la più alta perfezione per le sue pecorelle, chiese a Giovanna Francesca, per la quale nutriva una stima

35 Ndt: Questo gesto corrisponde all’abitudine delle prime Figlie della Visitazione di portare un coprivelo calato sugli occhi durante i viaggi.

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ineguagliabile, di occuparsi della riforma delle Bernardine di Tart. Persuase allora una di quelle monache ad andare a vivere qualche tempo con lei. La Madre di Chantal, esperta nel discernimento delle anime, trovò in quella donna tante qualità utili al servizio di Dio e decise di avviarla alla vera devozione. Fu così che cominciò a pensare alla riforma del suo convento, riforma che intraprese con la coadiutrice del monastero di Tart e che arrivò in breve tempo a compimento. Fecero venire diverse loro religiose che vissero con le nostre sorelle per imparare le pratiche monastiche e per sette o otto mesi rimasero sempre a Tart, per ordine della Beata Madre, due nostre sorelle per aiutarle a realizzare il loro scopo. Consigliò loro di prendere come modello la riforma di madame de Port-Royal 36, cosa che fecero e nella quale perseverarono. Giovanna Francesca rimase sei mesi a Digione, dove comprò una bella casa per alloggiare le sue figlie. Accolse molte brave ragazze, le educò all’osservanza e scelse come superiora la Madre Marie-Jacqueline Favre, che il beato Padre aveva apposta richiamato da Montferrand. Partì da Digione lasciando un grande ricordo di sé e della sua virtù; lei, per parte sua, era rassicurata per aver visto una casa del suo ordine così felicemente fondata nella sua città natale.

36 Ndt: Si tratta della Mère Angélique Arnauld, la riformatrice di Port-Royal, che in quel periodo si era posta sotto la guida di san Francesco di Sales.

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XIV.

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A LIONE LA BEATA MADRE E IL VESCOVO DI GINEVRA SI INCONTRANO. LEI VA A GRENOBLE DOVE RICEVE LA NOTIZIA DELLA SUA MORTE. LA SUA GRANDE RASSEGNAZIONE ALLA VOLONTÀ DI DIO

L’obbedienza la portò a Lione verso la fine del mese di ottobre e là trovò di passaggio il Beato Padre, che stava accompagnando il cardinale di Savoia ad Avignone. Di fatto non ebbero molto tempo per parlarsi. Il Vescovo di Ginevra le ordinò di andare a visitare le case di Montferrand e di Saint-Étienne, dove lei si prese il tempo per fare gli esercizi spirituali annuali. All’inizio di dicembre ritornò a Lione dove era già Francesco di Sales. Vi erano anche il re e le due regine e il cardinale di Savoia. Un gran numero di principi e principesse, di signori e gran dame avevano fatto ricorso al Salesio come ad un oracolo. Quel sant’uomo non disponeva neanche di un quarto d’ora per parlare con calma alla Beata Madre, la quale, per parte sua, aveva una voglia incredibile di incontrarlo per rimettere la sua anima nelle mani di quella guida. Non si vedevano infatti da circa tre anni e mezzo e il suo cuore aveva molte cose da raccontargli e da chiedergli, riguardanti soprattutto l’osservanza, le cerimonie e il bene dell’istituto. Un giorno il Vescovo di Ginevra, dopo essersi svincolato da tutti i suoi impegni, venne in parlatorio a trovare la Fondatrice e le disse: «Madre mia, abbiamo a disposizione qualche ora: chi di noi due comincerà a parlare?». Giovanna Francesca, che aveva cura della sua anima più di qualunque altra cosa, rispose prontamente: «Io, per favore, Padre mio, il mio cuore ha bisogno di incontrarsi con voi». Quel beato che non voleva e non desiderava più nulla poiché si sentiva alla fine del suo cammino terreno, scorgendo in colei che voleva tutta perfetta della sollecitudine spirituale le disse soavemente ma al contempo con grande serietà: «Come! Madre mia, avete ancora delle ansie, mentre io credevo di trovarvi angelica e serena!». Poi, sapendo bene che 171 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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quella Madre apparteneva a quelle anime perfette di cui parla san Bernardo, le quali non hanno bisogno di guida poiché è Dio stesso la loro guida, disse: «Madre mia, parleremo di noi quando saremo ad Annecy, ora occupiamoci della nostra congregazione. Oh – aggiunse – quanto amo il nostro piccolo Istituto, perché là il nostro Dio è molto amato!». La Madre di Chantal, senza replicare, strinse tra le mani il memoriale che aveva preparato nei tre anni e mezzo in cui era stata lontana da lui. Tirò fuori quello che riguardava invece gli affari dell’Istituto e per quattro lunghe ore quelle due anime sante discussero e risolsero diversi problemi inerenti la congregazione e che dovevano essere posti nel Costumiere. In modo particolare il Fondatore affermò che più pregava, più Dio gli faceva intendere che era la sua volontà che l’istituto rimanesse solo ed unicamente sotto la guida della Santa Sede e dei vescovi delle diocesi di appartenenza, «perché, vedete, le nostre figlie sono figlie del clero». Dopo questo lungo incontro Francesco di Sales ordinò alla Madre di Chantal di recarsi a Grenoble per andare a trovare le nostre sorelle e, se le fosse stato possibile, anche a Valence e a Belley, al fine di visitare tutte le case che erano state fino a quel momento fondate. Le raccomandò anche di passare da Chambéry per visionare una casa per un’eventuale fondazione, e da Rumilly per visitare le Bernardine che, sotto la guida del Fondatore, stavano intraprendendo la loro riforma. Partì così da Lione per Grenoble con la benedizione di quel prelato che sperava di rivedere presto ad Annecy. Lungo il cammino fu colta da una profonda tristezza e sentì una stretta al cuore per non aver potuto parlare al beato Padre della sua anima. Ma, per non pensare troppo a se stessa né perdersi in vane riflessioni sulle decisioni prese dalla sua guida, fece un atto di totale abbandono alla divina volontà e, prendendo il libro dei Salmi, si mise a cantare il Salmo 26: Dominus illuminatio mea, ripetendo diverse volte questo versetto: Quoniam pater meus et mater mea dereliquerunt me, Dominus autem assumpsit me 37. Fu grazie a quel rimedio, da lei sempre usato come deterrente contro i suoi tormenti interiori, che riuscì a guarire la sua anima.

37

«Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha rac-

colto».

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Arrivò nel nostro monastero di Grenoble per farvi un po’ di ritiro poco prima di Natale, festa che trascorse proprio là. Il giorno dei Santi Innocenti 38, mentre pregava il Signore per il Beato Padre, udì una voce indistinta che le disse: Non c’è più. «No, Dio mio – disse lei – non c’è più, non vive più, ma voi, mio Signore, vivete in lui!». Pensava che quella frase – Non c’è più – si riferisse alla perfetta trasformazione in Dio alla quale quel sant’uomo era giunto, mentre, in verità, era l’avvertimento che non era più di questo mondo. L’indomani verso sera Michel Favre, elemosiniere del Vescovo di Ginevra e confessore di quel monastero, ricevette la notizia della morte di san Francesco di Sales. A Giovanna Francesca, riflettendo sulle parole che aveva sentito, venne il sospetto che fossero un avvertimento di morte, ma, poiché non vogliamo accettare le cose che più temiamo, scacciò via quel pensiero e partì felice da Grenoble, nel cui monastero, guidato allora dalla Madre Péronne-Marie de Châtel, aveva trovato grandi motivi di consolazione. Michel Favre ebbe cura che durante il cammino la Madre di Chantal non ricevesse lettere, né parlasse con qualcuno che le potesse comunicare la tremenda notizia della morte del Fondatore. Arrivò a Belley due giorni prima dell’Epifania; là la comunità sapeva della morte del Vescovo di Ginevra, ma la sorella Marie-Madeleine de Mouxy, allora superiora, aveva chiesto alle sue figlie di non manifestare il loro dolore davanti alla Fondatrice, la quale trascorse felicemente quella giornata e la successiva. Il giorno dell’Epifania alcuni padri cappuccini vennero a farle visita. Dopo aver parlato della festa che in quel giorno si celebrava, espresse loro la sua preoccupazione per non aver ricevuto più notizie del Vescovo di Ginevra. Michel Favre le disse che aveva saputo che era caduto a Lione e lei espresse il desiderio di ripartire per quella città l’indomani. Il Padre Favre, confessore di quella degnissima Madre da ormai undici o dodici anni, sapeva che era in grado di accettare con serenità anche le cose più amare se le fossero state presentate come volontà di Dio. Così le disse: «Madre mia, bisogna desiderare ciò che Dio vuole; tenete, leggete questa lettera», e le mise in mano quella scrittagli dal 38

San Francesco di Sales morì di apoplessia a Lione il 28 dicembre, festa dei Martiri Innocenti, del 1622, all’età di 56 anni e nel ventunesimo anno del suo episcopato.

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fratello del Vescovo di Ginevra, suo successore. Trovò in quelle parole come Dio aveva chiamato a sé quel santo prelato e non potrei descrivere meglio la solida virtù con cui ricevette quel colpo mortale se non riportando ciò che lei stessa scrisse a una delle nostre Madri superiori. Ecco le sue parole: «Quando Michel Favre mi mise tra le mani la lettera del fratello del beato Padre il cuore mi batteva forsennatamente. Mi raccolsi tutta in Dio e nella sua volontà, temendo fortemente di leggere qualcosa di doloroso. In quel breve tempo capii le parole che avevo udito a Grenoble – Non c’è più – e quella lettera mi illuminò su quella verità. Mi gettai in ginocchio per adorare la divina Provvidenza e abbracciare meglio che potevo la volontà di Dio e, in quella, il mio estremo dolore. Piansi tutto il giorno e tutta la notte fino a che non presi la Comunione, dopo la quale fui invasa dolcemente da una grande pace e tranquillità interiore che derivava dall’abbandono alla volontà di Dio e dalla contemplazione della gloria di cui quel Padre godeva. Il Signore mi donò il sentimento luminoso dei doni e delle grazie che aveva conferito al nostro Fondatore e il desiderio di vivere da ora in poi secondo quanto avevo ricevuto da quell’uomo di Dio. Ecco ciò che la vostra bontà, cara figlia mia, ha voluto apprendere della mia miseria». Un Padre venutola a trovare e trovandola in lacrime le disse che la perfetta rassegnazione di un’anima esige la cessazione del pianto. A quelle parole lei rispose: «Padre mio, se sapessi che le mie lacrime sono sgradite a Dio smetterei subito» e da quel momento, dimostrando un grande controllo su se stessa, smise di piangere. Ma la violenza estrema che faceva sulla sua natura fece sì che il suo stomaco si gonfiasse, tanto che Michel Favre le ordinò di dare libero sfogo al suo dolore: «Il padre picchia suo figlio unicamente per fargli sentire il colpo e non chiede altro che egli sia sottomesso alla sua volontà». Il suo stato era di completa sottomissione. La sera in cui ricevette quella terribile notizia andò a dormire senza aver mangiato. La superiora ordinò che le si portasse una fetta di pane tostato con lo zucchero. L’addetta alla dispensa si sbagliò e al posto dello zucchero mise del sale. La Madre ne mangiò metà per accondiscendenza, senza però accorgersi che era sale e non zucchero. Lasciò quella fetta di pane perché non riusciva a mangiare altro. La superiora volle assaggiarla e trovandola salata come la salamoia chiese 174 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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a Giovanna Francesca se non le avesse fatto male. Lei la tranquillizzò, poiché era in uno stato tale per cui l’unica cosa dolce era la volontà di Dio e non vi era nulla di più amaro che il suo profondo dolore. Quella sera trascorse la ricreazione con le sorelle, ma senza proferire una parola. Poi si ritirò, disse il mattutino con la sorella Marie-Gasparde d’Avise, sua compagna, si fece leggere un capitolo dell’Imitazione di Cristo, poi si coricò 39, desiderando rimanere sola per trovare la consolazione in nostro Signore. Poco tempo dopo, però, la sorella Marie-Simplicienne Fardel entrò nella sua camera e passò la notte in ginocchio davanti al suo letto, parlandole dell’ultimo incontro che aveva avuto con il Fondatore e come lei gli avesse predetto la sua morte l’ultima volta che era passato da Belley quando stava accompagnando il cardinale di Savoia ad Avignone, fatto di cui abbiamo parlato nelle pagine dedicate alla sua vita. La mattina, sebbene non avesse chiuso occhio, la Madre di Chantal si alzò con la comunità e, dopo la comunione, con spirito tranquillo ma afflitto, rispose al Vescovo di Ginevra 40, alla sorella Françoise-Marguerite Favrot, allora assistente in quel monastero, e alla Madre de Blonay, all’epoca superiora della casa di Lione, supplicandola di fare qualunque sforzo pur di farsi affidare il corpo del Beato Padre: «Vi scongiuro – le disse – e anzi oso ordinarvelo». Giovanna Francesca fece tutto quello che doveva a Belley, parlò a tutte le sorelle, fece qualche cambiamento negli incarichi all’interno della comunità, ricevette alcune visite, inviò lettere in diversi luoghi tutte piene di devozione e di rassegnazione. Poi, dopo essersi congedata dalle sorelle esortate a 39

L’amore di Dio le fece sopportare il colpo mortale derivatole dalla morte del Beato Padre adorando la volontà divina attraverso il suo dolore, pronunciando parole di sottomissione frammiste a sospiri e a lacrime, assicurando che per nulla al mondo vi avrebbe rinunciato, perché era quella la volontà di Dio che le permetteva ora di dire senza indugio: «Padre nostro che sei nei cieli», perché non ne aveva più su questa terra. La superiora di Belley volle che andasse a riposare, perché la vedeva così afflitta, ma lei la congedò dicendo che quello apparteneva alle donne che vivono nel mondo e non alle religiose… Per un anno intero il suo dolore le strappava le lacrime dagli occhi ogni volta che parlava del Fondatore, ma ciò nonostante il suo spirito rimase sempre rassegnato e abbandonato totalmente a Dio. Non trapelava alcun dispiacere né preoccupazione né dal suo comportamento, né dalle sue parole e quasi continuamente gettava i suoi sospiri nel suo amato Signore. (Deposizioni della sorella F.-A. de la Croix de Fésigny). 40 Si tratta di Gianfrancesco di Sales, fratello di Francesco e a lui succeduto.

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perseguire nello spirito del Fondatore, partì per Chambéry per visitare una casa dove fare una fondazione. Non volle accettare quella della marchesa de la Chambre, perché avrebbe significato entrare in dissidio con il marchese di Aix, suo nipote. «Questa casa – disse – è bella e comoda, ma noi siamo figlie di pace e di umiltà; la nostra piccolezza non ama aver da discutere con i grandi di questo mondo». Andò poi dalle Madri Bernardine di Rumilly che stavano iniziando la loro riforma. Là si fermò cinque o sei giorni, fino a che il Vescovo di Ginevra non le ordinò di partire. Alcune di quelle religiose avrebbero voluto rimanere con noi alcuni giorni per apprendere gli esercizi e le pratiche monastiche, ma il successore di Francesco di Sales e la Madre di Chantal pensarono fosse meglio prestar loro due delle nostre sorelle affinché rimanessero per sei mesi ad aiutarle a delineare la vita spirituale, ma anche le cerimonie, gli uffici e l’aspetto esteriore di una casa religiosa.

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XV.

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IL CORPO DEL SANTO FONDATORE È PORTATO DA LIONE AD ANNECY. LA BEATA MADRE GLI RENDE I SUOI OMAGGI E POI FA UN VIAGGIO A MOULINS

Avvicinandosi ad Annecy diversi amici del monastero andarono incontro alla Beata Madre: si scambiavano solo lacrime o silenzi, o qualche breve parola di adorazione alla volontà di Dio e di sottomissione alla sua divina disposizione. L’arrivo tra le sue dilette figlie non fu come sempre nel segno dell’allegria e del giubilo e, non riuscendo a parlare loro, le condusse a pregare davanti al Santissimo. Il giorno successivo cominciò a preparare le cose necessarie per mandare a prendere il corpo benedetto di quel santo prelato, per organizzare il funerale, raccogliere le sue cose e i suoi scritti. Si cominciò a parlare di scrivere la vita di colui le cui azioni dovrebbero essere impresse nella memoria dei figli di santa Madre Chiesa. Il corpo del nostro santo Fondatore arrivò da Lione e dopo che i signori del capitolo di San Pietro di Annecy gli ebbero reso omaggio nella loro chiesa fu traslato nella nostra e posto per tre mesi vicino alla nostra grata, in attesa di predisporre adeguatamente un luogo dove erigere la sua tomba. Giovanna Francesca restava più che poteva in preghiera davanti a quella bara benedetta e non vanamente cercava fiamme tra le ceneri di quella fenice 41 d’amore, poiché ricevette molte grazie e molta forza per intercessione di colui che adesso era per lei un padre in cielo così come lo era stato su questa terra. Si ricordò in41

Ndt: Riferimento palese al mito dell’Araba Fenice, uccello mitologico noto per la capacità di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Quando sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma, dove si adagiava. Lasciava poi che i raggi del sole l’incendiassero e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza. In letteratura la sua lunga vita e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri sono diventate il simbolo della rinascita spirituale.

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fatti che a Lione il Fondatore le aveva detto che una volta arrivato ad Annecy avrebbero parlato della sua anima. Volle obbedirgli da morto così come faceva quando era in vita: un giorno si mise in ginocchio davanti alla sua bara e gli parlò come se fosse stato davanti ai suoi occhi. Le sue orecchie non udivano la voce del Beato Padre, ma il suo cuore sì e quel grande Elia gettò su di lei il mantello della sua protezione 42 e la sostenne sempre nella cura e nella guida della congregazione, destinata a moltiplicarsi nel giro di pochi anni. La tranquillità e la soavità che la Beata Madre provava quando era vicina a quel corpo santo furono interrotte da un viaggio che fu costretta a compiere presso il nostro monastero di Moulins per porre rimedio a qualche problema che si era creato tra le religiose. Riuscì a calmare quegli animi grazie alla sua prudenza e tornò a Lione, dove venerò il cuore del Fondatore che riposa nella chiesa del nostro monastero di Belle-Cour. Lì rinnovò i suoi voti, fra i quali proprio quello della purezza di cuore, e promise di fare sempre ciò che avrebbe creduto essere più gradito a Dio. Raccontò alla Madre de Blonay quello che era accaduto intorno alla morte del Fondatore e si fece riportare tutto quello che aveva fatto e detto. Ordinò che quelle testimonianze fossero raccolte fedelmente affinché in seguito potessero trovare posto in un corpus unico. Venne a sapere che il Vescovo di Ginevra, nel corso di uno dei suoi ultimi incontri, aveva detto alle nostre sorelle di Lione che, se fosse stato religioso e non sacerdote, non avrebbe chiesto di poter fare la comunione più spesso degli altri e si sarebbe quindi adeguato alla vita della comunità. Giovanna Francesca, di ritorno da quel viaggio, si sentì obbligata ad emulare i sentimenti del Beato Padre e così chiese al Vescovo di Ginevra di permetterle di evitare la comunione quotidiana che faceva dall’età di quattordici anni. Quel prelato non volle però accondiscendere alla sua umiltà, poiché era stato proprio Francesco di Sales, sua guida spirituale, a raccomandarle di accostarsi all’Eucaristia giornalmente. Le disse di rimanere fedele a ciò che il Fondatore aveva disposto per lei in particolare, piuttosto che alle disposizioni generali che aveva elaborato per la congregazione. Lei accettò e continuò quindi a comunicarsi tutti i giorni come aveva sempre fatto.

42

Ndt: Cf. 2 Re 2, 1-18.

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Di ritorno da Lione passò ancora per Chambéry e, dopo aver faticosamente visitato diverse case, ne scelse una nel quartiere di Reclus. Quello stesso anno, il 1623, una volta rientrata ad Annecy, mandò delle sorelle a fondare una casa a Marsiglia, la prima dopo la morte del Fondatore. Fece fare la prima visita canonica in quel monastero, fornendo il metodo da seguire in quelle occasioni ed istruendo le sorelle su come dovevano comportarsi. La Madre di Chantal, dopo tante sante azioni per il nostro bene, ne compì una alla fine dell’anno che rimpiangeremo per sempre. Il Vescovo di Ginevra guardando tra le carte di suo fratello aveva trovato una grande quantità di lettere della Fondatrice e, sapendo che nascondevano i segreti più intimi della sua anima, in segno di rispetto gliele mandò. Lei le bruciò senza che le sorelle potessero impedirglielo. Il defunto Michel Favre, del quale già abbiamo parlato, confessore, elemosiniere, segretario e confidente del Beato Padre ci ha assicurato che quel santo prelato si era curato di mettere da parte le lettere della Madre di Chantal: una gran parte le aveva contrassegnate di suo pugno con delle piccole annotazioni nella speranza, quando non avesse più avuto l’incarico del vescovado come lui tanto desiderava, di scrivere delle memorie su quella santa anima. Dio ci ha privato di tutti quei beni 43.

43

Mentre bruciavano la Beata Madre non poté fare a meno di dire: «Quante belle cose stanno bruciando!». (Deposizioni della sorella F.-A. de la Croix de Fésigny. Processo di canonizzazione).

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XVI.

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LA FONDATRICE LAVORA CON ALTRE MADRI ALLA STESURA DEL NOSTRO COSTUMIERE, SECONDO GLI USI E LE PAROLE DEL SANTO FONDATORE. LA SUA FERMEZZA NEL GESTIRE GLI AFFARI DELL’ISTITUTO

L’anno 1624 iniziò con il proposito della nostra fondazione a Chambéry. Il principe Thomas 44, che ha sempre onorato la Madre di Chantal con un affetto pieno di pietà, andò incontro alla sua carrozza e, per prepararle un’entrata trionfale in città, avrebbe voluto rallentare il suo arrivo per dar modo al clero, alla corte e al senato di organizzare il corteo. Ma lei lo pregò con tale e tanta insistenza di non allestire tutto quell’apparato che la fece entrare con semplicità ed umiltà, e, addirittura, lui si ritirò per non mettere in imbarazzo la modestia della Beata Madre. Fece esporre il Santissimo prima dell’arrivo delle nostre sorelle nella cappella che era stata preparata per loro. «Vedete – disse – la signora di Chantal sarà così lieta di trovare nella sua casa il Signore che la aspetta che nessun’altra cosa che avremmo potuto preparare per lei le recherà maggior gioia». Quel buon principe andò ad attenderla sulla porta di quella cappellina all’interno della quale la accompagnò, ponendo quattro paggi con fiaccole accese davanti a lei. Furono intonati molti bellissimi mottetti; fu impartita la benedizione con il Santissimo Sacramento e si procedette alla fondazione della nostra casa. Era il giorno di Sant’Antonio Abate, per il quale Giovanna Francesca aveva una particolare devozione. Le piacque molto porre quella nuova casa sotto la protezione di un abate così santo e perfetto religioso. Il principe Thomas, per unire i benefici effettivi a quelli affettivi, volle offrire la cena alla Madre e alle sorelle. Inviò loro viveri in tale abbondanza che ne ebbero per otto giorni, condividendone anche una parte con i poveri. Fece loro molti regali per l’altare e in qualun-

44

Ndt: Si tratta del principe Tommaso di Savoia, governatore di quel ducato.

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que occasione ha sempre favorito e protetto la Visitazione. La Fondatrice rimase circa quattro mesi a Chambéry, accolse molte ragazze, alcune delle quali ancora oggi si trovano all’interno della nostra congregazione. Un po’ prima della Pentecoste ritornò ad Annecy per l’assemblea delle Madri dell’Ordine e lasciò come assistente, invece che superiora a Chambéry, la sorella Marie-Adrienne Fichet. Dopo la Pentecoste le Madri arrivarono e furono accolte con grande cordialità ed umiltà. Insieme cominciarono a redigere il Costumiere, il Cerimoniale e il Formulario, assieme ad altre regole utili alla perfetta vita religiosa. Il Beato Padre aveva lasciato delle memorie in latino e in francese e quelle regole venivano già praticate nel monastero di Annecy. Non le aveva però messe per iscritto perché sapeva che la loro semplice raccomandazione si era già trasformata in regola per Giovanna Francesca e le prime Madri. In qualunque occasione la Beata Madre citava il Fondatore e non voleva dire né stabilire nulla nell’Istituto, sebbene le superiore la supplicassero di comportarsi come Madre comune e Fondatrice della congregazione. «No, non voglio – disse – ma, poiché lo desiderate, mi considererò tra voi come la sorella più anziana e quella che ha più di tutte frequentato e parlato al Beato Padre». Per ben redigere quel libro chiamò per un consulto due Padri di Chambéry, Michel Favre, nostro confessore, e il Vescovo di Ginevra, senza la cui autorità non avrebbe deciso nulla. Quando il Costumiere fu ultimato e ben scritto Giovanna Francesca lo prese e con le Madri e le sorelle più anziane lo posò sulla tomba del Fondatore; cominciarono a pregare intensamente e lei, con le lacrime agli occhi, lo supplicò di chiedere a Dio di cancellare anche una sola parola che non fosse stata secondo le sue intenzioni. Il Signore diede a quella Madre e a tutte le sorelle che erano lì convenute il sentimento che tutto quello che era contenuto in quel libro era veramente conforme ai disegni del Beato Padre. Furono tutte molto consolate da questo e si riunì il capitolo per leggere davanti a tutte e interamente il Costumiere. Poi le sorelle fecero un atto capitolare, assicurando che tutto quello che avevano sentito leggere era conforme a quanto Francesco di Sales aveva fatto praticare in quel monastero. Infine la Madre di Chantal pregò il nostro vescovo di dare la sua approvazione, come attesta ancora oggi il nostro Costumiere. Assolto questo compito ogni Madre tornò al suo 181 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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monastero, separandosi dalla Fondatrice con un dispiacere tanto grande quanto era stata la soavità e l’appagamento che avevano provato in sua presenza. A Grenoble intanto, ignorando che il Beato Padre avesse stabilito che le superiore non restassero in carica nello stesso monastero per più di due trienni, il Padre spirituale e le sorelle di quel monastero, poiché amavano profondamente la Madre Péronne-Marie de Châtel, la rielessero ancora una volta, ma suo malgrado, dopo il suo secondo triennio. Non disponendo ancora del Costumiere, non furono ascoltate le ragioni di quella sorella, anche perché attribuite alla sua grande umiltà. Giovanna Francesca decise, nell’assemblea delle Madri, che quell’elezione sarebbe stata considerata nulla, sebbene fosse giustificata dalla non conoscenza delle disposizioni del Salesio. Stabilì inoltre che quell’esempio non doveva essere emulato e non sentì ragione su quel punto, dando invece il permesso alla Madre de Châtel di andare a fondare una nuova casa a Aix en Provence. Ordinò a quattro o cinque Madri superiore che stavano rientrando in Francia di chiedere al Padre spirituale l’annullamento di quell’elezione. Poiché non lo ottennero, la Fondatrice, venutolo a sapere, decise di andare di persona a Grenoble. La Madre Péronne-Marie de Châtel non c’era perché era partita nel mese di agosto per Aix. Giovanna Francesca decise di recarsi là proprio durante quell’assenza e così arrivò a Grenoble nel mese di settembre. Si accorse subito che la direttrice e le novizie erano legate da un affetto troppo forte e avevano chiesto alle loro famiglie, fra le più potenti della città, che le aiutassero a non annullare quell’elezione. Con grande abilità, facendo finta di nulla né percorrendo la strada dell’autorità e della correzione, andò nel noviziato e, trovando la maestra un po’ pallida, la mandò immediatamente in infermeria, ordinando all’infermiera di non farle prendere aria e di occuparsene nel periodo in cui avrebbe assunto lei il ruolo di direttrice. Fu così che quel problema fu risolto dall’interno: parlò direttamente al superiore facendogli capire la necessità che quell’elezione fosse dichiarata nulla. Lui, dopo aver opposto tanta resistenza alle altre, fu talmente conquistato dalla saggezza e dall’umiltà della Beata Madre da dirle che non era nelle sue intenzioni danneggiare l’Istituto e che se lei riteneva pregiudizievole quella scelta, poteva farlo in quanto, come Madre universale, aveva il potere di ordinare per il meglio e per parte 182 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sua non avrebbe avuto problemi ad obbedirle. Giovanna Francesca gli rispose di non avere alcuna autorità, ma che lo pregava comunque, in qualità di superiore di quella casa, di procedere ad una nuova elezione, cosa che fece prontamente. Rimase circa tre settimane a Grenoble 45, dopo di che lasciò quella comunità di figlie virtuosissime, felici e in pace, per ritornare qui ad Annecy dopo però essere passata a visitare le sorelle di Chambéry.

45 Durante uno dei suoi viaggi a Grenoble trovò una sorella che non riusciva più

a mangiare. Le portò una minestra di verdure, lei ne mangiò un po’ e subito guarì. (Deposizione della sorella F.-A. de la Croix de Fésigny).

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XVII.

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CONTINUANO LE FONDAZIONI; GRANDI ONORI E CONSENSI TRIBUTATI ALLA MADRE A BESANÇON

Subito dopo la morte di Francesco di Sales il Signore manifestò la santità di quel suo servo attraverso i miracoli che si compivano, per sua intercessione o per applicazione delle sue reliquie, sia sulla sua tomba che in altri luoghi. Ciò consolò oltremodo Giovanna Francesca, la quale, tra il 1623 e il 1624, aveva fatto in modo che i signori della Camera del Consiglio della città dessero incarico al padre Juste Guérin, barnabita, attualmente nostro onoratissimo e degnissimo vescovo, di andare con il signor Ducret, cancelliere ducale, nello Chablais, nel Ternier 46 e nel Gaillard e in altri luoghi ancor più lontani, per informarsi sulla santità di vita e sui miracoli compiuti dal Fondatore. Questi erano sempre più ammirevoli, tanto che, nel 1625, la Madre di Chantal, che sosteneva tutte le spese per quello scopo, con grande generosità ottenne che l’attuale Vescovo di Ginevra andasse a Roma per provvedere alle pratiche apostoliche e procedere al processo di canonizzazione del Beato Padre. Ciò fatto dispose quanto necessario alla fondazione della casa di Thonon, che si stabilì prima ad Evian da dove fu poi trasferita. Le sorelle vi arrivarono il giorno di Santa Maddalena del 1625; lei vi rimase due o tre settimane poi ripartì, lasciandovi come superiora la sorella Marie-Françoise Humbert. Appena rientrata le fu richiesta una fon46 Ndt: Gex, Ternier-Gaillard e Chablais erano dei baliati (territorio sotto la giu-

risdizione di un balivo) conquistati nel 1536 da Berna e dal Valais, poi restituiti alla Savoia, da Berna nel 1567, in conseguenza dell’applicazione del trattato di Losanna (1564), e dal Valais nel 1569 (parte orientale dello Chablais), in applicazione del trattato di Thonon firmato quello stesso anno. I territori di questi antichi baliati fanno parte oggi dei dipartimenti francesi dell’Ain e della Haute-Savoie, e del cantone svizzero di Ginevra.

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dazione a Rumilly: madame de la Fléchère, santa vedova e figlia spirituale di Francesco di Sales, preparò la casa con una cura e una devozione degne della sua perfetta devozione. Giovanna Francesca andò a prendere a Chambéry la sorella Marie-Adrienne Fichet, per impiegarla in quella nuova casa. A Chambéry fu eletta superiora la sorella Marie-Gasparde d’Avise. La fondazione di Rumilly ebbe luogo il giorno di San Michele di quello stesso anno. La Madre di Chantal vi restò qualche tempo, accolse diverse buone ragazze, poi lasciò come superiora la sorella Marie Adrienne Fichet e rientrò per continuare il lavoro di riordino degli Entretiens e delle predicazioni di Francesco di Sales. Raccolse le lettere che il Beato Padre aveva scritto con lo scopo di stamparle. Le lesse e rilesse infinite volte per togliere ciò che non sarebbe stato conveniente agli occhi del pubblico. Nel mese di aprile 1626 la Fondatrice fu costretta ad andare in Lorena a fondare una casa, promossa dall’onorevolissima signora di Génicourt, vedova di Monsieur de Haraucourt, la quale desiderava che fosse la stessa Giovanna Francesca a dirigere quella scuola di virtù. Persino i principi e le principesse di Lorena le scrissero per sollecitare quel viaggio, dicendo che avevano un grande desiderio di conoscerla e auspicavano che il loro Stato annoverasse tra i suoi abitanti, anche se per breve tempo, una così grande ancella del Signore. Partì il 27 aprile con altre sorelle; passò per Besançon, dove la sorella Madeleine Adlaine, spinta da ispirazione divina, procedette ad una fondazione in quella città, malgrado i numerosi ostacoli che si erano frapposti. Davanti alla Madre si presentarono a Besançon ottanta ragazze che aspiravano ad entrare nella Visitazione: non sapeva come venirne a capo, né riusciva a procedere alla fondazione in quella città imperiale 47. Si erano riunite per testimoniare alla Fondatrice il desiderio che avevano di diventare sue figlie, di prendere la sua benedizione e raccomandarsi alle sue preghiere. Lei sorrise trovandosi assediata da quel piccolo esercito e le esortò tutte al servizio del Signore, alla

47

Ndt: Besançon è definita “ville impériale” perché durante il Rinascimento la Franca Contea – la regione in cui la città si trova – apparteneva all’impero germanico. L’imperatore Carlo V la fortificò tanto da diventare una delle roccaforti del suo impero. Tutta la regione beneficiò dei favori dell’imperatore e Besançon diventò così la quinta città imperiale arricchendosi di importanti monumenti.

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devozione alla Madonna e diede loro la speranza che Dio avrebbe esaudito le loro preghiere per la fondazione di un nostro Istituto nella loro città. Le sistemò poi in una grande sala per dire una parola e donare una carezza a ciascuna di loro; poi, penetrando con la luce divina nel fondo dei loro cuori, le guardò una ad una e ne scelse trentasei, alle quali disse che sarebbero state accolte non appena stabilita la nostra casa a Besançon. Quando ciò avvenne, nessuna di quelle ragazze mancò alla sua professione nel nostro monastero, fondato nel giorno di S. Luigi del 1630. Non appena i canonici del capitolo seppero che la Madre di Chantal era arrivata a Besançon si riunirono e decisero di sottoporle il santo Sudario 48. Lei accolse quella grazia con grande gioia ed umiltà; disse infatti che quella fu per lei una delle consolazioni più grandi che ricevette nella sua vita. Baciò e venerò quella santa reliquia, avvolgendo il suo cuore in quel sacro lenzuolo dove Giuseppe e Nicodemo avevano deposto il corpo del Signore. Ci si stupì che i signori del capitolo avessero deciso di loro spontanea volontà e del tutto straordinariamente di mostrarlo: si tratta infatti di un privilegio che si accorda solo ai principi e alle principesse. Ma Dio favorisce i desideri degli umili e vedendo che la sua serva fedele non osava chiedere quella grazia che tanto ardentemente desiderava, ispirò ai canonici quell’atto di carità: il Signore non voleva nascondere il suo Sudario a quella sua amata, alla quale già spesso aveva svelato i segreti del suo cuore. Gli affari del nostro Istituto la obbligarono a soggiornare tre giorni a Besançon. I signori e le dame del luogo le offrirono i loro alloggi, ma lei rifiutò umilmente, poiché preferiva dimorare con le sue sorelle nella semplicità, piuttosto che vivere nella magnificenza. Il principe e la principessa di Cantecroix la pregarono di venire almeno ad ascoltare la messa nella loro cappella, cosa che lei fece per soddisfare la loro pietà. Avevano preparato per lei dei grandi tappeti e ricchi cuscini sui 48

Ndt: Il Santo Sudario di Besançon presentava l’impronta solo frontale di un uomo nudo e martoriato. In suo onore fu innalzata una cappella all’interno della cattedrale di Santo Stefano, poi, nel 1669, fu trasferito nella nuova cattedrale di San Giovanni. Durante il XVII secolo fu oggetto di un culto molto importante. Allo scoppio della Rivoluzione francese fu inviato a Parigi dove sarà bruciato. Le vetrate della cappella di Pérolles a Friburgo in Svizzera (1520ca) ne riproducono un’immagine, nella quale si vedono i canonici di Besançon che mostrano al popolo il sacro lenzuolo.

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quali inginocchiarsi, ma di cui lei non volle servirsi. Aveva detto infatti a quella principessa: «Non ordinatemi, signora, di mettermi su questo inginocchiatoio, non sarei a mio agio. Una religiosa ha il suo inginocchiatoio sempre pronto in qualunque luogo ed è la terra, che è il pavimento di cui il Signore si servì per pregare nell’orto degli Ulivi e quando passò la notte in preghiera sulla montagna». Questo atteggiamento edificò moltissimo la principessa che non seppe cosa risponderle; la nostra degnissima Madre andò ad inginocchiarsi con le sue otto sorelle: erano con lei infatti, oltre alle sei suore della fondazione, una compagna con cui tornare e una sorella come direttrice per una delle nostre case. Si erano disposte in quella bella cappella, parteciparono alla messa come fossero, né più né meno, in uno dei nostri cori. Tutto ciò rincuorava così tanto il Signore di Cantecroix da fargli dire che gli sembrava di vedere in quelle nove religiose i nove cori degli angeli presenti nella sua cappella; la Madre di Chantal era come un serafino e sembrava espandere un fuoco divino dal suo viso. Non aveva mai visto nulla di simile. Non appena la messa finì e una volta reso il ringraziamento dopo la Comunione, i signori di Cantecroix pregarono insistentemente Giovanna Francesca affinché entrasse nel loro palazzo a vedere le rarità là contenute. Lei si scusò umilmente, dicendo che nulla nella loro dimora poteva eguagliare quello che aveva visto nelle loro persone e nella loro cappella. Vedendo che non era opportuno fare violenza alla sua modestia religiosa fecero chiamare il conte, loro figlio, lo fecero inginocchiare per ricevere la benedizione della Fondatrice, la quale, dopo aver prima rifiutato, acconsentì per non voler apparire più ostinata che umile. Il principe e la principessa l’accompagnarono dove si sarebbe ritirata e le inviarono una cena magnifica. Nei tre giorni che soggiornò a Besançon quei principi le fecero visita tutti i pomeriggi. Durante la giornata due grandi sale erano costantemente affollate di persone che volevano vedere Giovanna Francesca; non appena qualcuno usciva, c’era subito chi chiedeva di entrare: «Per avere tutti la possibilità di vedere quella santa – dicevano – bisogna che ognuno di noi non ci stia troppo tempo». Non voleva impartire la sua benedizione a chi gliela chiedeva, anche se si trattava di persone di alto rango. Diceva alle sorelle: «Per l’amor di Dio, usciamo di qui. Questa gente si sbaglia e non sa chi sono». Passò a casa della signora di Château-Rouleau, a Salins, morta in odore di 187 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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santità; quelle due grandi serve del Signore si parlarono a cuore aperto, con un mutuo scambio di doni interiori. Quando si dovettero separare ognuna chiese all’altra, ritenendola superiore per virtù a se stessa, la sua benedizione. Si benedirono a vicenda nel nome del Signore. Prima di arrivare a Pont-à-Mousson per una fondazione, madame de Génicourt, fondatrice della casa che stava per costituirsi, volle che la Beata Madre alloggiasse da lei. In quella casa fratello e sorella erano fortemente in lite. Giovanna Francesca entrando invocò l’aiuto di Colui che ordinò agli apostoli di annunciare la pace alle case in cui entravano. Pensò di informarsi discretamente e loro le raccontarono tutto, convinti che se Dio l’aveva condotta in quel luogo era per trarne dei frutti. Le fu illustrata la questione e lei mise d’accordo le due parti contendenti con serenità da parte di tutti e da quel giorno vissero in perfetta unione. Il genero di madame de Génicourt, che non voleva che la suocera si facesse promotrice di quella fondazione, fu talmente toccato dalla saggezza e dalla sincerità della Beata Madre da ammettere di aver fatto meglio di Salomone, poiché aveva trovato «la donna perfetta» 49. E da quel giorno quell’uomo volle che la Madre di Chantal lo adottasse e lo considerasse come un figlio; non dissuase più la suocera a fare del bene alla nostra casa, anzi ne fece lui stesso moltissimo. Si procedette a quella fondazione con grande gioia: essa fu favorita in ogni modo dai principi e dalle principesse di Lorena, che spesso andavano a far visita alla Fondatrice o le scrivevano lettere piene di rispetto e di bontà. Il duca di Lorena ha spesso detto alle nostre sorelle che le chiamava “sorelle” a buon diritto, in quanto amava e onorava la Madre di Chantal come fosse stata sua madre e diceva: «È la santa del nostro secolo».

49 Ndt:

Cf. Pr 31, 10.

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XVIII.

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LA MADRE DI CHANTAL È DEPOSTA DALLA CARICA DI SUPERIORA E INTRAPRENDE MOLTI VIAGGI URGENTI

Durante il soggiorno che la Madre fece a Pont-à-Mousson arrivò il momento della sua deposizione. Non volle ritardare e quindi la inviò per iscritto al Vescovo di Ginevra. Quel prelato venne ad annunciarla alla comunità, la quale rimase molto mortificata, vedendo l’effetto dell’umiltà della Fondatrice. Fu eletta la Madre Péronne-Marie de Châtel, che era stata richiamata da Aix en Provence. Giovanna Francesca manifestò una grande gioia al momento della sua deposizione e faceva camminare la sua compagna davanti a lei in osservanza della regola che vuole che le Madri deposte stiano dietro. La cara sorella Anne-Catherine de Beaumont, allora superiora nel nostro monastero parigino di rue Saint-Antoine, sapendo che la Madre di Chantal era in Lorena fece di tutto per farla passare da Parigi. Il Vescovo di Bourges, la signora di Chantal, sua nuora, e molte altre persone insistettero molto per quel viaggio. Lei rispose che non trovava alcuna necessità, né utilità perché lei era inutile ovunque. Rimase in Lorena circa quattro mesi, avviò felicemente quella casa, accolse molte brave ragazze dei migliori casati, lasciò come superiora la sorella Paule-Jéronime Favrot 50, per tornare in questo monastero. Raccontò che mai provò un così grande desiderio di andare via da un luogo come aveva sentito a Pont-à-Mousson, e questo a causa della grande accoglienza che avevano per lei organizzato e delle continue visite che aveva ricevuto, sia da parte di gente della corte, sia da persone del circondario che venivano per consultarla. Tra le tante venne una per50 Per i dettagli di quella fondazione si veda la vita di quella Madre nel quinto volume de l’Année sainte.

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sona di perfetta e profonda vita interiore, che non aveva trovato nessuno che volesse ascoltarla né che fosse stato in grado di rispondere in modo soddisfacente alle sue domande. Attratta dalla reputazione della Fondatrice venne a chiederle consiglio, le parlò a più riprese e per diverse ore di seguito e rimase talmente soddisfatta e illuminata dalle sue parole da dire che fino ad allora aveva sempre vissuto nelle tenebre e nell’ignoranza. La Beata Madre infatti le aveva rivelato i veri sentieri interiori della perfezione e in questo modo Dio le aveva mantenuto la promessa che un giorno le aveva fatto, quando, pregandolo intensamente affinché le indicasse qualcuno che potesse illuminarle il cammino interiore, il Signore le aveva detto: «Preparati, ti manderò la mia serva fedele alla quale ho fatto il dono della luce e della direzione. Lei ti illuminerà». Quella buona anima diceva a chiunque che, come san Paolo diceva che Gesù era venuto al mondo solo per lui, allo stesso modo poteva dire che Dio aveva inviato in Lorena quella Madre solo per lei. Dopo aver girato il contado, tornò indietro passando per il ducato di Borgogna; visitò molte nostre case, passò da madame de Toulonjon, sua figlia, dove erano convenute per incontrarla madame de Coulange e madame de Chantal, sua nuora. In quell’occasione la Madre dimostrò la sua abitudine a mortificare la sua natura anche nelle piccole umane soddisfazioni. Per andare da Autun a casa di madame de Toulonjon volevano che passasse da Montelon, terra del defunto barone di Chantal. Lei non volle, perché disse che per lei sarebbe stato un inutile compiacimento e le avrebbe causato delle distrazioni mondane. Scese dalla carrozza della nuora e salì su un’altra per evitare quella deviazione, sebbene le dispiacesse lasciare quella buonissima e bellissima ragazza che aveva affrontato un lunghissimo viaggio per incontrarla. A quell’epoca la Madre ricevette una consolazione senza pari e molto edificante. Per questa ragione non esiterò a dilungarmi un po’ su questo racconto. Aveva un unico fratello, l’arcivescovo di Bourges, che lei amava profondamente. Sebbene fosse un ottimo prelato e vivesse nel timore di Dio, frequentava la corte e svolgeva una vita mondana; la sorella spesso pregava Dio di cambiare il suo cuore affinché non servisse più due padroni. Fu finalmente esaudita: Dio parlò a quel fratello con l’intenzione di innalzarlo verso mete ben più elevate. 190 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Come a un nuovo Ezechia 51 gli fece capire che doveva rimettere ordine nella sua esistenza perché non gli restavano che due giorni di vita. Appena appresa questa sentenza emessa dai medici cominciò a ripercorrere amaramente nella memoria e davanti a Dio tutti gli anni della sua vita. La bontà divina compì in lui due meraviglie, che racconteremo riportando fedelmente le parole della lettera che scrisse alla Beata Madre dopo la sua guarigione: «Sorella mia, siete la prima a cui scrivo da che sono guarito ed è giusto così, perché dopo il Signore e la Vergine, è a voi che devo la salute e la vita; di conseguenza bisogna che vi racconti quanto mi è accaduto. Al culmine della mia malattia mi fu somministrata l’Unzione degli infermi; restai in uno stato soporoso per ventiquattr’ore tanto che tutti credettero fosse giunta la mia ora. A forza di somministrarmi forti rimedi ripresi un po’ conoscenza e subito appresi dagli amici e dai medici che senza un miracolo non avrei visto sorgere il sole più di due volte. Non risposi nulla; sprofondai invece nel mio letto e cominciai a pensare alla mia coscienza. Mi sembrava che il Signore mi considerasse solo perché ho la grazia di essere vostro fratello e voi di essere la mia unica sorella e, nel suo sdegno, mi diceva che se non stavo attento sarei passato attraverso la sua giustizia, della quale avevo una grande paura perché temevo di essere perduto. Provando un grande dispiacere per la mia vita passata osai pregare Dio con tutto il mio cuore di prolungare i miei giorni promettendogli di impiegare per il suo servizio quelli che avrebbe voluto regalarmi ancora. Espressi quattro voti, non semplici, ma con l’intenzione di renderli fermi e solenni come quelli religiosi. Primo: ribadii il mio voto di castità perpetua; secondo: andare a Nostra Signora di Loreto, un viaggio che mi ero ripromesso di compiere dopo la mia guarigione e che promisi di fare senza chiedere la dispensa; terzo: da Loreto sarei andato a prendere il perdono a Roma e a visitare anche i luoghi santi; quarto: dire tutti i giorni la messa, mancando solo per gravi necessità o impedimenti. Espressi questi voti, rimasi tre ore immobile vicino al Signore, giurandogli di rimettere ordine nella mia vita. Durante quel tempo, senza che me ne accorgessi, sudai incredibilmente e coloro che credevano fossi ormai pronto per essere

51

Ndt: Cf. Is 36ss.

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sepolto, mi trovarono invece sfebbrato e completamente guarito. Da ciò giudicate, mia carissima sorella, quanto posso essere obbligato verso la Maestà divina e verso di voi per la misericordia di cui ho beneficiato». Fin qui le parole di quell’arcivescovo, il quale restò così fedele a quei voti che persino il giorno della sua morte avrebbe voluto dire la messa e il sonno eterno lo colse sull’altare, così come diremo in seguito. Ricordiamo qui solamente che il Signore, come a Ezechia, aggiunse alla sua vita altri quindici anni, tutti impiegati al servizio della Maestà divina, con estrema purezza di coscienza e opere di carità notevoli. Il cambiamento manifestato dal fratello fece esprimere a Giovanna Chantal una grande riconoscenza attraverso preghiere di ringraziamento in tutti i nostri monasteri. A questo scopo faceva tre comunioni all’anno per rendere espressamente grazie alla santissima Trinità per quel dono divino che suo fratello aveva ricevuto, il quale, ben presto, si recò a Loreto e, al ritorno, passò per Annecy dove ebbe occasione di intrattenersi con la sorella che gli consigliò di eliminare dalla sua vita alcune persone superflue. Gli prescrisse degli esercizi scritti di suo pugno e da allora si scambiarono molte lettere nelle quali il Vescovo di Bourges chiamava la Madre «la santa guida della sua anima».

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XIX.

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LA MADRE DI CHANTAL FA RACCOGLIERE INFORMAZIONI SULLA VITA DEL BEATO PADRE; LA SUA AMMIREVOLE FERMEZZA DAVANTI ALLA MORTE DEL FIGLIO

Di ritorno dal suo viaggio in Lorena e varcando la soglia del monastero dove era superiora la buonissima Madre de Châtel di felice memoria, Giovanna Francesca non si dimenticò di fare entrare per prima la sua compagna 52 nonché di mettersi in ginocchio per ricevere la benedizione della superiora, la quale, al contrario, la costrinse amorevolmente ad impartire la sua alla comunità. Restò lì solo qualche giorno, perché il Vescovo di Ginevra, fratello e successore del Beato Padre, le aveva ordinato, su richiesta della Madre de Châtel, di occupare, sia in coro che in refettorio, un posto più in alto e comodo. La Fondatrice seppe che il Padre Don Juste Guérin stava dedicandosi con il signor Ramus, sottodelegato della Santa Sede, alla raccolta di documenti sulla vita e i miracoli di Francesco di Sales. Cominciò a lavorare anche lei, testimoniò lei stessa e dispose che coloro che avevano conosciuto e parlato con lui riferissero quanto sapevano. Fu allora che le si chiese di redigere le Risposte sulle nostre Regole, sulle Costituzioni e sul Costumiere. Finiva l’anno 1626 e iniziava il 1627 quando ottenne, oltre il signor Ramus, altri commissari apostolici. I vescovi di Bourges e di Belley furono nominati da Sua Santità. La Madre insisteva molto presso suo fratello, il Vescovo di Bourges, affinché anche lui collaborasse alla gloria del Fondatore. Al momento di partire per raggiungerla, quell’arcivescovo le scrisse queste parole: «Provo una consolazione senza pari per l’incarico conferitomi da Sua Santità, lavorare cioè alla ricostruzione della vita e dei miracoli di quel grande e santo prelato. Probabilmente il Cielo vuole che svol-

52

Si tratta della sorella Madeleine Élisabeth de Lucinge.

193 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ga questo compito il più degnamente possibile: è per questo che Dio mi fa provare un gusto non comune per il suo amore e un tale disgusto per le cose del mondo, così che averne o non averne mi è assolutamente indifferente. Se Dio mi volesse donare un’altra malattia come quella che ho avuto di recente, con la stessa luce di salvezza che ho visto, l’accetterei di buon cuore. Vi confido i miei pensieri poiché siete la santa guida della mia coscienza e gioisco al pensiero di ascoltare i vostri consigli dalla vostra stessa bocca. Sappiate, sorella mia carissima, che non voglio affatto che il Vescovo di Belley, né io, né i miei domestici costiamo alcunché al vostro convento e quando andremo in campagna offrirò sei o sette scudi al giorno per le spese di coloro che collaboreranno allo svolgimento del nostro compito. Quanto mi rallegra il pensiero di udire tutti i giorni il racconto delle grazie e delle virtù del Santo che il Cielo ci ha donato per essere la fiaccola dei nostri giorni e il modello per la nostra vita!». Riportiamo pure le parole di quel prelato, che rivelano quanto gli siamo debitrici, perché senza il suo aiuto il nostro monastero non avrebbe mai potuto sostenere le spese, se non rovinandosi, per quell’opera benedetta. Quel grande arcivescovo e Monsignor Camus, anziano vescovo di Belley 53, arrivarono nella primavera del 1627 e cominciarono, con tutte le formalità richieste, a raccogliere le deposizioni. Questi incontri avvenivano spesso nel nostro parlatorio e alla presenza della Madre di Chantal, la quale, se nel passato aveva bagnato con le sue lacrime la tomba del Fondatore, ora la ricopriva di fiori e di preghiere di ringraziamento al Signore, così glorificato nei suoi santi. Se aveva seminato nelle lacrime, ora raccoglieva nella gioia e portava lieta la messe sotto il braccio: intendo dire che aveva sempre pronta qualche deposizione relativa alle virtù del nostro santo Fondatore per leggerla non appena aveva un momento libero 54. L’estate trascorse in quella dolce occupazione, ma mentre quella casta ape pensava solo a nutrire la sua anima con il mie-

53 Ndt: Jean-Pierre Camus (1584-1652) fu vescovo di Belley dal 1608 al 1629. Grande amico di Francesco di Sales, il suo nome è famoso anche all’interno del panorama letterario dell’epoca. La critica lo considera infatti uno dei maggiori esponenti della nascente arte narrativa, essendo autore di un gran numero di romanzi e di raccolte di novelle. 54 Durante queste lunghe ricerche in terra romana la santa spesso diceva al Padre Dom Juste: «Mio caro Padre, non risparmiamo nulla, non dimentichiamo niente di

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le delle mille consolazioni che raccoglieva dai fiori delle virtù del Fondatore, piacque al Signore di abbeverarla con il fiele di una terribile afflizione. Aveva un solo figlio maschio che da sempre amava di un amore esclusivo e che per parte sua nutriva per lei sentimenti filiali, teneri e rispettosi come raramente si incontrano. Era un bell’uomo sia nell’aspetto che nell’anima; era apprezzato da tutti, tranne da coloro che guardavano con invidia la sua fortuna. Non fu mai causa di duelli, sebbene si sia battuto molte volte; fu padrino di alcuni suoi amici che l’avevano pregato di farlo. Aveva sposato una nobildonna, ricca e gentile 55, tanto che scrisse alla madre queste parole: «Ringrazio Dio per tutto quello che mi ha dato e per quello che voi, con il vostro amore materno e la vostra ineguagliabile prudenza, avete predisposto per me. Dio infatti mi ha donato con il matrimonio ogni favore che un uomo della mia condizione, della mia età e del mio spirito potesse augurarsi». Essendo molto ben visto a corte, quel giovane godeva di molte amicizie in ambito mondano. Accadde che un grande signore di Francia, suo intimo amico, fu decapitato per ragioni di Stato. Il signore di Chantal rimase molto scosso da quella perdita e cominciò a riflettere sulla fine del suo amico e di coloro che dissipano la loro vita in occupazioni mondane, i quali, il più delle volte, dopo mille fatiche, conquistano un supplizio temporale e un castigo eterno. Alcuni mesi dopo la morte di quell’uomo, il barone di Chantal si sentì una notte, per due o tre volte, sollevato per le spalle come se qualcuno volesse tirarlo giù dal letto. Udì e riconobbe distintamente la voce dell’amico morto che per ben due volte gli disse: «Preparati Chantal, bisogna venire, bisogna venire». Il barone, che amava a tal punto quell’amico da pensare di poterlo far rivivere nella sua memoria, ma non tanto da seguirlo nella tomba, gli rispose: «No, no, non quello che è necessario al nostro fine perché è Dio che lo vuole. Rendiamo questo servizio al beato Padre e lasciamo tutto il resto nelle mani della divina Provvidenza. Per quanto mi riguarda ho deciso di non trascurare nulla, di arrivare anche a vendere tutto, se sarà necessario. Non mi preoccupo affatto delle cose temporali; ho una tale profonda fiducia in Dio che non posso pensare diversamente». (Deposizioni dei contemporanei della santa). 55 Si tratta di Mademoiselle de Coulanges, madre di Marie de Rabutin, che sposò, nel 1644, Henri, il marchese di Sévigné.

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verrò ancora». Quello spirito sferrò un colpo fortissimo vicino al letto, tanto che il valletto di camera, che dormiva lì vicino, fu svegliato. Presa una candela, il barone passò il resto della notte a leggere un libro per distrarsi e calmare l’emozione che lo aveva colto. Il Signore, che voleva preparare il barone a una morte serena, volle che quella visita dall’oltretomba provocasse in lui una riflessione assidua sulla morte. Da quel giorno non amò più la vita di corte come prima ed essendosi presentata l’occasione di servire la Chiesa e il re all’isola di Ré contro gli inglesi 56 lasciò i piaceri del Louvre ai cortigiani per andare a conquistare il Cielo. Prima di andare a combattere si confessò. Il combattimento fu molto sanguinoso e lui si comportò così valorosamente da cambiare tre volte il cavallo. Fu ferito mortalmente e, a mani giunte, implorò la misericordia di Dio e morì gloriosamente. Appresa questa notizia, il Vescovo di Ginevra decise di occuparsi lui di avvertire la madre. Il Vescovo di Bourges, infatti, era anch’egli troppo afflitto per essere in grado di consolare un’altra persona. Dopo la messa, durante la quale Giovanna Francesca si era comunicata, quel monsignore la fece chiamare in parlatorio, avendo prima però, per tramite della suora portinaia, allertato la Madre de Châtel nel caso in cui la Fondatrice si fosse sentita male. Il parlatorio era pieno di funzionari, ecclesiastici e religiosi. Il Vescovo di Ginevra disse: «Madre mia, devo darvi delle notizie sulla guerra: c’è stato un forte combattimento sull’isola di Ré; il barone di Chantal, prima di partire, ha ascoltato la messa, si è confessato e comunicato. – E poi è morto!», disse la Beata Madre. Quel prelato iniziò a piangere e non riusciva a proferire neanche una parola. Tutti nel parlatorio si misero a singhiozzare; solo quella donna fortissima, avendo appreso la verità della perdita del figlio, rimase tranquilla tra tanti gemiti. Si mise in ginocchio con le mani giunte e gli occhi alzati verso il cielo: trafitta da quel tremendo dolore diede libero sfogo alle lacrime e alle parole di accettazione della volontà divina. Ecco le sue stesse parole che conserviamo scritte dalla mano della Madre de Châtel, che essendo al suo fianco le ha immediatamente trascritte: «Signore mio 56 Ndt: L’isola di Ré si trova nell’Oceano Atlantico di fronte a La Rochelle. Nel 1627, durante l’assedio organizzato da Luigi XIII e da Richelieu contro gli ugonotti, l’isola subì l’attacco inglese da parte di George Villiers, Duca di Buckingham.

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e Dio mio, accettate le mie parole affinché io possa sfogare il mio dolore. Che posso dire, mio Signore, se non ringraziarvi per l’onore che avete reso a questo mio unico figlio, morto combattendo per la Chiesa di Roma?». Prese un crocifisso e ne baciò le mani: «Redentore mio – disse – ricevo questo colpo con la piena sottomissione della mia anima e vi prego di ricevere questo figlio tra le braccia della vostra infinita misericordia». Poi pronunciò queste parole: «Caro figlio mio, siate onorato per aver suggellato con il vostro sangue la fedeltà che i vostri antenati hanno sempre dimostrato per la Chiesa romana; per questa ragione mi ritengo fortunata e ringrazio Dio di essere stata vostra madre». Si girò poi verso la Madre de Châtel e insieme recitarono un De profundis. I presenti, vedendo che quella donna riusciva con la sua sola virtù a sostenersi, non dissero una parola, perché il dolore e l’ammirazione impedivano loro di parlare. Si alzò e, piangendo serenamente e senza singhiozzi, disse al Vescovo di Ginevra: «Vi assicuro che da più di diciotto mesi sentivo dentro di me il desiderio di chiedere a Dio la grazia che mio figlio morisse al suo servizio e non in quegli infelici duelli ai quali talvolta gli amici lo obbligavano». Ciò detto, il Vescovo di Bourges, zio del defunto, si avvicinò a lei in lacrime. La Fondatrice lo consolava con celesti parole e lui le rispondeva: «Mia cara sorella, la vostra rassegnazione mi spaventa! Essa è degna solo della vostra altissima virtù e io non riesco affatto a raggiungerla». Poi cominciò dettagliatamente a descrivere i meriti, la perfezione e la buona indole del nipote, dando sollievo in questo modo al suo dolore, ma aumentandolo con quei ricordi che riemergono dolci quando si perde una persona cara. La Madre lo interrompeva di tanto in tanto con parole di devozione. Uscita dal parlatorio si recò davanti al Santissimo e vi restò a lungo in preghiera fino a che la superiora la pregò di andare a mangiare qualcosa. Obbedì, sentendosi ormai completamente in pace e rassegnata. Partecipò agli esercizi religiosi e continuò ad occuparsi degli affari avviati come se nulla fosse stato. Mai l’afflizione o la consolazione la distolsero dai suoi doveri, sebbene durante i primi giorni apparisse molto infelice e addolorata. Alcuni giorni dopo quella terribile notizia Giovanna Francesca scrisse a una delle Madri superiore queste parole: «Vi ringrazio, mia 197 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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diletta figlia, delle preghiere che avete fatto dire per mio figlio. È vero, ho sofferto molto per quella morte, ma non per la morte, ma per la vita di quell’anima. Dio però mi ha dato un sentimento molto dolce e mi ha aperto gli occhi sulla misericordia che ha usato verso di lui. La preoccupazione che avevo di vederlo morire non in grazia di Dio, in mezzo a quei duelli nei quali era talvolta coinvolto, mi stringeva il cuore molto di più di quanto non abbia provato quando ho appreso la notizia della sua morte in nome di Cristo. Ho sofferto molto, ma la consolazione che mi deriva dal fatto che mio figlio ha offerto il suo sangue per la fede va al di là del mio stesso dolore. Inoltre, già da tempo avevo donato qualunque cosa, compreso quel figlio, al Signore: la sua bontà mi ha fatto la grazia di non avere ora più desideri, se non quello che Lui disponga a suo piacimento di qualunque cosa per l’eternità». Ciò che toccava maggiormente la Madre di Chantal in quel momento era il dolore profondo che leggeva nell’animo del Vescovo di Bourges, che amava quel defunto non come un nipote, ma come fosse stato suo figlio. Non riusciva a riprendersi da quella perdita e di conseguenza non poteva più lavorare come prima alla raccolta di informazioni sulla vita del Fondatore. Per Giovanna Francesca qualunque ritardo fatto subire a quella santa opera sarebbe stato molto doloroso, quindi, vedendo che le sue parole non sortivano l’effetto desiderato sul cuore del fratello che non poteva rassegnarsi, decise di ricorrere al Signore. Pregò la Madre de Châtel di offrire con lei tre comunioni per chiedere a Dio la consolazione e la perfetta conformità richieste per quel Monsignore. Alla terza comunione fatta con quell’intenzione, mentre quelle due Madri erano in ginocchio l’una vicina all’altra nel coro per il ringraziamento, Giovanna Francesca si voltò verso la sua compagna e le disse: «Mia cara Madre, diciamo insieme un Laudate Dominum: Dio ci ha esaudite». Così fecero; la Madre di Châtel la pregò poi di dirle come aveva fatto a saperlo. Lei, considerandola la sua Superiora, le raccontò: «All’inizio della messa, mentre chiedevo a Dio l’adesione del Vescovo di Bourges alla volontà divina, la mia anima fu prepotentemente attratta verso quella volontà. Udii una voce che mi chiedeva se ero pronta a soffrire per mio fratello. Risposi che ero pronta a fare la volontà del Signore. Capii allora che il Vescovo di Bourges aveva troppo amato mio figlio secondo il mondo e che dun198 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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que, per punirlo di quel grande amore terreno e per la sua mondanità, Dio gli aveva inflitto quella sofferenza, rendendolo insensibile alle ragioni di rassegnazione che lei gli prospettava. Mi abbandonai allora completamente al divino volere, dichiarando al Signore che se quello era il suo comando, di buon cuore mi sarei privata, per quel fratello che stava dicendo la messa, della tranquillità e della rassegnazione che Lui aveva dato al mio cuore. Rimasi in questo atteggiamento interiore fino a dopo la santa comunione, quando udii una voce dentro di me che mi diceva: Tolgo a voi per dare a lui. Da quel momento sentii che la rassegnazione mi abbandonava e sentii entrare nella mia anima la malinconia e il dolore per la perdita di quel figlio che avevo visto fino a poco prima in mio fratello. Soffrii molto, ma, dopo la messa, ebbi una grande consolazione quando il Vescovo di Bourges mi gridò: “Finalmente, cara sorella, sono riuscito a rimettere la mia volontà nelle mani di Dio e verso la fine della messa mi sono sentito guarito dalla grande inquietudine in cui mi trovavo a causa della perdita di vostro figlio”. Aggiunse anche altre parole di rassegnazione, per le quali benedico Dio con grande riconoscenza per la sua bontà divina. Da quella mattina mio fratello ricominciò a lavorare assiduamente alla vita del Beato Padre». Ecco la dichiarazione che la Fondatrice ha reso a questo proposito e sebbene per la sua carità infinita ora fosse lei a provare il dolore che prima provava il Vescovo di Bourges, non parlava più di quel figlio defunto, come se anch’essa si fosse rassegnata a quella perdita. Se ne parlava era solo per benedire il Signore per la grazia che gli aveva accordato di morire da cavaliere cristiano. Spendeva però poche parole e sempre mostrando una grande rassegnazione. Circa tre mesi dopo quella morte una buona anima disse di averlo visto come in un pozzo profondo: era in stato di grazia, ma sofferente in purgatorio. Disse anche di aver visto in cima a quel pozzo la Beata Madre con una grande croce in mano tesa verso quel figlio sofferente. In quel modo, poco a poco, lo stava tirando fuori da quell’abisso di sofferenza. Il conforto che quella donna riusciva a dare al figlio veniva attribuito alle sofferenze che lei provava e all’offerta che faceva in suo favore dei meriti che derivavano dalla virtù della croce e del sangue di Cristo. La persona che ebbe quella visione rimase talmente sconvolta nel vedere da quali sofferenze quell’anima era tormentata in purgatorio per espiare i vani piaceri di cui aveva goduto durante la vita 199 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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che quasi svenì dopo aver intensamente sudato freddo. Fu necessario soccorrerla e non si riusciva a farla rinvenire. Quella visione portò però molti frutti alla sua anima.

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XX.

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LA BEATA MADRE È ELETTA SUPERIORA AD ORLÉANS; DUE SUOI MIRACOLI E ALCUNE COSE DEGNE DI NOTA ACCADUTE DURANTE IL SUO VIAGGIO

Il giorno dell’Ascensione del 1626, sapendo che Giovanna Francesca era stata deposta, le nostre sorelle di Orléans la scelsero come Superiora. Sebbene lei non potesse accettare un incarico triennale al di fuori della prima casa del nostro Istituto, perché il Fondatore aveva chiesto che lei si occupasse di tutte le case della congregazione senza attaccarsi a una in particolare, fu giudicato necessario un suo viaggio ad Orléans affinché provvedesse ad una nuova elezione. Non partì però prima del mese di settembre e per quel periodo i commissari dovevano ultimare il lavoro inerente la raccolta delle informazioni sulla vita di san Francesco di Sales. Mentre preparava quel viaggio le dame di Crémieux e alcune persone molto in vista di quella città chiesero alla Madre di Chantal che fondasse una sua casa e che vi portasse le sue suore. Si decise allora che sarebbe passata da Crémieux per quella fondazione. Il giorno della sua partenza il signore di Granieu di Grenoble, sofferente da diversi anni di terribili mal di testa, venne a cercare la salute sulla tomba del Fondatore. Arrivò mentre Giovanna Francesca usciva dal monastero. Quel devoto gentiluomo si gettò in ginocchio ai suoi piedi; lei, vedendo che si trattava del figlio della signora de Granieu, una delle sue più care e fedeli amiche spirituali, salutandolo appoggiò la mano sulla sua testa. Si rialzò felice e completamente guarito e, in parlatorio, raccontò come il suo mal di testa fosse scomparso quando la mano della Madre si era appoggiata su di lui. «Ero venuto a cercare la salute presso il santo e l’ho trovata presso questa santa», disse in seguito. La prima sera che la Fondatrice trascorse a Crémieux accadde una cosa che dice molto sull’efficacia delle sue preghiere. Le signore 201 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di Saint-Julien e di Mépieu, che avevano procurato quella fondazione, si erano riunite per poter lasciare a Giovanna Francesca e alle sue sorelle una delle loro case. Accadde che un palafreniere che aveva bevuto un po’ troppo diede fuoco con una candela a della paglia. Risvegliandosi di soprassalto e vedendosi circondato dalle fiamme saltò dalla finestra e scappò via senza pensare a soccorrere gli altri. I numerosi cavalli facevano un grande baccano in quella scuderia tanto da svegliare tutta la casa. La buona e devota signora di Mépieu, vedendo che il fuoco stava divorando la sua casa, fece chiamare la Madre di Chantal, supplicandola di esprimere qualunque voto perché lei lo avrebbe rispettato. Accadde qualcosa di veramente miracoloso e riconosciuto come tale da tutti. Non appena Giovanna Francesca si mise in ginocchio il fuoco si spense come se un diluvio si fosse abbattuto su quella casa. I pavimenti che cominciavano a dare segni di cedimento rimasero stabili; fu trovata della paglia semi bruciata: un potere soprannaturale aveva arrestato quelle fiamme talmente alte che furono trovati morti carbonizzati sotto le greppie molti grossi cavalli da carrozza del valore di cento scudi ognuno. Tutti gridavano: «Miracolo! Miracolo!», ma l’umile serva del Signore non mancò di far rilevare che quel miracolo era dovuto all’intercessione del Fondatore, sulla cui tomba aveva espresso il voto che la signora di Mépieu avrebbe offerto una casa, cosa che puntualmente fece. Sebbene però lei lo negasse, tutti erano concordi nell’attribuire quel miracolo alla Beata Madre e da quel giorno quella città le riserva una devozione tutta speciale. Procedette a quella fondazione fra l’entusiasmo e l’edificazione di tutto il popolo; vi lasciò come Superiora la sorella Marie-Adrienne Fichet e, proseguendo il suo viaggio, arrivò ad Orléans dove ricevette un’accoglienza indescrivibile e grandi consolazioni in quel monastero. Il Signore gratificò quel soggiorno con molti miracoli, grazie all’intercessione e all’applicazione delle sante reliquie del Beato Padre. Rimase tre mesi in quella città e, sebbene avesse rifiutato l’incarico triennale da Superiora, accettò di svolgere tutte le funzioni legate a quella carica con precisione, dolcezza ed umiltà molto edificanti. Parlò poi al capitolo per far comprendere che non avrebbe potuto rimanere ancora a lungo nella loro casa, ma che era stato disposto che lei si fermasse qualche tempo, durante il quale avrebbero dovuto procedere ad una nuova elezione. Così fecero, dimostrando grande mortificazio202 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ne e filiale sottomissione alla Madre, che, molto soddisfatta di quella comunità e su disposizione del Vescovo di Ginevra, andò a Parigi, dove rimase per un certo periodo, visitando sia il monastero della città sia quello di Saint Jacques. Giovanna Francesca, sapendo che presto si sarebbe fondata una casa anche a Torino e credendo che la salute della sorella Anne-Catherine de Beaumont, allora Superiora a Saint Jacques, avrebbe meglio sopportato il clima piemontese, dispose che il Vescovo di Ginevra la richiamasse e inviasse a Saint Jacques come Superiora la Madre Marie-Jacqueline Favre, già richiamata da Digione e all’epoca a Bourg en Bresse, casa che aveva lei stessa fondato. Durante la primavera e l’estate del 1628 la Madre di Chantal visitò molti nostri monasteri. Una malattia le impedì di visitarne alcuni, ma trovò il modo di far arrivare loro delle lettere, nelle quali li esortava alla carità reciproca e all’accettazione della croce con filiale sottomissione. Passò da Allonne da madame de Toulonjon, sua figlia, e vi rimase quattro o cinque giorni per curare alcuni affari 57. Non potendo andare a visitare le sorelle di Autun a causa della peste che imperversava in quella città, decise di scrivere loro. La sorella Marie-Hélène de Chastellux, all’epoca Superiora, sapendo che la Madre sarebbe passata vicino a Autun, ottenne il permesso dai superiori di andarla ad aspettare in mezzo ad un campo per renderle conto, anche se da lontano, della loro casa. Lei infatti era considerata la Madre di tutti i monasteri, e come tale doveva conoscere la situazione di tutte le sue case. Quando Giovanna Francesca la vide così lontana da lei e così desiderosa di parlarle, invocò l’aiuto di Dio e rimase un poco in preghiera. Poi, facendosi il segno della croce, disse: «Avviciniamoci in nome di Dio, lui sarà in mezzo a noi e ci difenderà dal male». Ciò detto si approssimò a grandi passi alla sorella, che invece non osava avvicinarsi; la abbracciò teneramente, la fece salire in carrozza e sedere vicino a lei. Madame de Toulonjon, che accompagnava sua madre, non osò dire una parola, sebbene fosse molto infastidita perché con loro c’era anche la sua unica figlia di appena sei anni. Disse alla compagna della 57

Là incontrò mademoiselle de Chaugy, nipote di suo genero, il conte di Toulonjon. Convinse la ragazza, che usciva da una delusione amorosa, ad accompagnarla in Savoia per distrarsi e non pensare ai suoi dispiaceri e lei accettò volentieri.

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Fondatrice: «Veramente, se non fossi sicura nel mio intimo che mia madre è una santa, morirei per la preoccupazione». Andarono a dormire a casa del barone di Roussillon, che aveva sposato la figlia del conte di Chastellux, sorella della Superiora di Autun. Quando la baronessa di Roussillon vide sua sorella e seppe che quel giorno era uscita da Autun, si gettò in ginocchio davanti alla Fondatrice e le disse: «Signora, se la vostra santità non mi rassicurasse, tremerei e lascerei subito la mia casa a mia sorella. Ma ho fiducia che niente può accadere a chi riceve la vostra benedizione». La Madre di Chantal benedì quella casa e quelle sorelle dormirono insieme senza che nulla sia poi accaduto. L’indomani Giovanna Francesca si separò dalla Madre de Chastellux dopo averla molto consolata e rassicurata sul fatto che il Signore avrebbe preservato la sua casa dal contagio. Accadde infatti proprio così, malgrado tutte le case vicine al monastero fossero invece decimate dalla violenza di quel flagello mortifero. Da lì la Fondatrice si spostò a Digione, dove rimase per tre settimane ad occuparsi sia degli affari dei suoi figli sia di quelli del nostro Istituto. Il Vescovo di Bourges immediatamente si recò là per incontrarla, aprirle il suo cuore e ricevere da lei conforto e profitto spirituale. Il suo soggiorno a Digione fu rallegrato da mille benedizioni e, come le disse una persona di dottrina, poteva proprio dire come Giacobbe di ritorno dalla Mesopotamia: Il Signore mi ha benedetta con due greggi, perché con lei c’erano, da un lato sua figlia e sua nipote, e dall’altro circa quaranta religiose, sei delle quali destinate alla fondazione di Besançon, tutte perfette e dalle virtù eccelse. Da Digione si spostò a Châlons, dove soggiornò qualche giorno a casa del vescovo suo nipote: erano infatti già in trattative per una fondazione e poi quel prelato non voleva permetterle di ripartire prima di quattro o cinque giorni. Durante quel periodo conferì a piacere con lei e accolse i suoi consigli, non solo quelli rivolti a se stesso, ma anche quelli per il bene della sua diocesi. Le Madri Carmelitane e le dame di Lencharre, religiose riformate di san Benedetto, chiesero insistentemente che la Madre di Chantal passasse a visitarle. Lei accettò e si congedò dal vescovo. Le Orsoline di Châlons ottennero che la Beata Madre andasse a cenare nel loro refettorio e assistesse ai loro esercizi al fine di ricevere da lei dei consigli, che furono offerti con grande umiltà e cordialità. Accadde però che quelle religiose le ta204 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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gliassero un pezzo della coda del suo velo, cosa per la quale pianse alla sera quando si spogliò. La mattina pregò il Vescovo di Châlons di lasciarla partire e aggiunse che le religiose e il popolo di quella città avevano di lei una stima irragionevole che lei non poteva sopportare. «Mia cara zia, le rispose, più voi trovate che facciano male, più io penso che invece facciano bene». Si trovavano in una grande sala del vescovado nella quale il nipote voleva che ricevesse tutti quelli che desideravano incontrarla: erano numerosissimi e di ogni stato sociale e condizione. Per impedire che le tagliassero l’abito restò tutto il tempo attaccata a un muro, ma, nonostante ciò, non riuscì ad impedire che le portassero via qualche pezzo o dell’abito o del velo. Partita da Châlons la contessa di Saint-Trivier la supplicò di fermarsi a casa sua; lei accettò e quella donna le aprì il suo cuore e trascrisse i consigli che lei le diede, dicendo che era sua intenzione servirsene per tutta la vita ed imparare così a trarre profitto dalle afflizioni. Quella sera Giovanna Francesca rimase in piedi fino a tardi per dirimere una questione tra due persone e impedì un duello. L’indomani andò a Bourg e lì rimase alcuni giorni con le nostre sorelle. Poi ripassò da Crémieux, dove la contessa di Disimieux, venutala a trovare, fu guarita dall’idropisia, come diremo più avanti. Proseguì il suo viaggio dopo aver incoraggiato le nostre sorelle a perseverare sul cammino della perfezione.

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XXI.

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LA MADRE DI CHANTAL È AD ANNECY DURANTE IL PERIODO DELLA PESTE E LÌ LAVORA PER IL BENE DELL’ISTITUTO

Nel 1628, la vigilia di Ognissanti, la Fondatrice ritornò in questo monastero al rientro dal suo viaggio di Orléans e di Parigi. Arrivò proprio in tempo per far sorteggiare le Beatitudini 58. A lei toccò «Beati i puri di cuore» e questo la fece riflettere a tal punto che riferì alla Madre Péronne-Marie de Châtel che il Signore voleva dirle che doveva fare un esame di coscienza per ripulirla dalle macchie che potrebbe aver accumulato durante il viaggio e a causa delle preoccupazioni degli affari terreni. Non era neanche passata mezz’ora da quando era entrata nel monastero che già la principessa di Carignano era arrivata e cercava di lei. Si chiusero in una stanza e trascorsero con lei più di due ore durante le quali le aprì il suo cuore. Spesso veniva infatti al monastero per quella stessa ragione. Durante l’Avvento la Madre fece un profondo esame di coscienza e rinnovò i suoi voti tra le mani della Madre de Châtel, chiedendole di pregare per lei affinché potesse vivere e morire rimanendo loro fedele. Nei primi mesi del 1629 le sorelle di Grenoble le chiesero di far loro visita perché avevano delle necessità particolari di cui volevano parlarle. Lei, che di solito era sempre pronta a mettersi in viaggio per andare a servire le sue case, avrebbe voluto partire ma era afflitta da un fortissimo raffreddore. Il Vescovo di Ginevra e la Madre de Châtel non le permisero di muoversi e decisero di mandare a Grenoble la sorella Anne-Catherine de Beaumont, che era allora ad Annecy, non essendo ancora giunto il tempo per fondare la casa di Torino. 58 Ndt: Ancora oggi ogni anno le sorelle prendono a sorte dalle mani della Madre

un bigliettino o una immagine dove vi è scritta una Beatitudine e quella resta loro per tutto quell’anno come data da Gesù.

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Giunto il tempo, secondo la regola, della deposizione della Madre de Châtel, il capitolo elesse come superiora Giovanna Francesca, la quale invece avrebbe sperato in qualche anno di riposo senza alcuna carica. Si sottomise però alla volontà divina e accettò quell’incarico. Dio infatti voleva che questo monastero potesse profittare al massimo dei frutti derivati dalla guida della Beata Madre. La peste, che era apparsa in città sporadicamente nel mese di marzo, ora invece infuriava. Si fece tutto quello che umanamente era possibile per convincere la Fondatrice a fuggire quell’aria malsana ed andare in un’altra nostra casa, ma fu invano. Il principe Tommaso e sua moglie, la principessa di Carignano, le scrissero per scongiurarla di ritirarsi in un’altra città. Le ricordarono, dimostrandole in tal modo un grande affetto, che il nostro monastero era molto piccolo e la comunità invece molto grande: se la peste fosse penetrata tra le nostre mura la sua salute sarebbe stata in grave pericolo. Pertanto la pregavano di lasciare Annecy, assicurandole che, ovunque fosse, avrebbero loro stessi provveduto a sostenerla economicamente; se le loro preghiere non fossero state sufficienti a farla partire avrebbero chiesto a Sua Altezza Reale una lettera con la quale l’avrebbe obbligata. Le premure di quel principe e di quella principessa dispiacquero molto alla Beata Madre: la sua umiltà soffriva quando si accorgeva che le persone importanti si interessavano a lei che, invece, non cercava altro che la piccolezza. Rispose loro con tale sottomissione, generosità e saggezza da ottenere che accettassero la sua scelta di rimanere. Si compiacque di questo e disse che se avesse abbandonato questo monastero a cui Dio l’aveva legata come Superiora, le sarebbe sembrato di tradire la volontà divina che voleva invece essere da lei servita in questo luogo. Rimase quindi con noi in quel tempo di calamità universale: frequentava poco il parlatorio e così poteva impiegare il suo tempo al servizio dell’Istituto, cercando, attraverso le sue parole infuocate e piene di fervore, di indirizzarci verso la perfetta osservanza. Mise mano per l’ultima volta alle sue Risposte, rivedendo molte domande che le erano state poste dalle nostre case. Prese grandi precauzioni per evitare a tutte noi il contagio, come si legge nel libro della nostra fondazione, anche se crediamo che la sua più grande prevenzione fosse la sua perfetta fiducia in Dio. Scelse tre camerette che dedicò 207 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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a sant’Anna, a san Sebastiano e la terza a san Rocco: in ogni stanza collocò la loro immagine e ordinò che ogni anno, nei rispettivi giorni di festa, si facesse una processione. Aveva deciso di destinare quelle camere a coloro che fossero state contagiate, se Dio avesse voluto portare quel flagello dentro al monastero. Molte sorelle vi si ritirarono più volte per febbre, piccole ghiandole e altri fastidi del genere di cui Giovanna Francesca non si è mai spaventata, provvedendo sempre a tutto con tranquillità e pace. Il Vescovo di Ginevra – Jean-François de Sales di felice memoria – disse che la generosità perfetta che aveva ammirato in quella santa donna, che non aveva voluto abbandonare il suo piccolo gregge, ma attendere con rassegnazione quello che Dio avrebbe loro inviato, lo aveva convinto a esporre la sua persona, la sua vita e i suoi mezzi per soccorrere ed assistere il suo popolo. In effetti così fece, dimostrando un’ardente devozione e una cura così pastorale da far dire alla Fondatrice che se Francesco di Sales fosse stato ancora in vita, forse non avrebbe fatto nulla di più di quello che il suo degno fratello e successore stava facendo. Ogni mattina, quel buon prelato, prima di visitare gli infermi, veniva a dire messa nella nostra chiesa e a dare il buongiorno alla Beata Madre. Diceva, da uomo umile quale era, che veniva a prendere gli ordini da lei per ciò che doveva fare durante la giornata. Ogni sera veniva poi a renderle conto di ciò che aveva fatto. Le diceva, con lacrime di gioia espressione dell’intima consolazione che sentiva nel suo cuore: «Mia degna Madre! Voi siete il mio Mosè, io sono il vostro Giosuè. Mentre voi tenete le mani alzate verso il cielo, io lotto con la nostra gente contro questa calamità». Il nostro parlatorio era chiuso a tutti tranne che al Monsignore e alle sue persone, ed erano coloro che mettevano maggiormente la nostra vita in pericolo perché stavano tutto il giorno tra gli appestati. Ma per rispetto verso il superiore e per amore di carità Giovanna Francesca non volle mai che opponessimo alcuna difficoltà, tanto più che quelle persone venivano tutti i giorni a prendere le minestre di verdura e altre cose che la Beata Madre faceva preparare per i poveri ed i malati. Il Signore, che si compiaceva della sua carità, le offrì la possibilità di continuare. La carissima sorella e Madre MarieJacqueline Favre, allora Superiora della nostra casa parigina del faubourg Saint-Jacques, mandò espressamente una persona per avere 208 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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notizie della Fondatrice con cento scudi di elemosine. La sorella Hélène-Angélique Lhuillier, all’epoca Superiora del nostro monastero parigino della rue Saint-Antoine, e madame de Villeneuve, sua sorella, inviarono anch’esse cento scudi ciascuna. La Madre de Blonay anche lei fece in modo che il monastero di Lione a Belle-Cour, dove era stata deposta, inviasse alcune cose e cento scudi per soccorrere i poveri. Quei quattrocento scudi servirono per portare avanti la grande carità quotidiana che la Beata Madre faceva fare e la sua generosità fu così grande da spendere una parte di quella somma per delle persone che in altre occasioni l’avevano molto contrastata. Il monastero si trovò completamente privo di grano, non avendone fatto provvista; ciò nonostante Giovanna Francesca non volle che in nessun modo si interrompesse l’elemosina quotidiana e per avere qualcosa di più da dare ai poveri propose alla comunità di mangiare del pane nero: tutte accettarono di buon cuore e la Fondatrice volle essere la prima a cibarsene. Disse che, essendo quel pane condito dalla carità, esso era così saporito da non averne mai assaggiato uno più buono. Le sorelle econome assicurano che per diversi mesi il grano si moltiplicò miracolosamente, sia per i poveri che per la comunità. La Beata Madre profuse il suo impegno in questi esercizi di vera carità tra il 1629 e il 1630, gli anni in cui la peste dilagava. Scrisse a tutte le nostre case una lettera per rendere conto di come si era comportata durante quel tempo di grande afflizione affinché, disse, «mi facciate la carità di dirmi quello in cui possiamo aver mancato». Come ringraziamento al Signore che aveva preservato la nostra casa dalla peste dedicò un oratorio al mistero del sacro monte Calvario e un altro a santa Maddalena e ordinò che tutti gli anni, nelle due feste dedicate alla Santa Croce, in maggio e in settembre 59, si facesse una processione all’oratorio del Calvario, cantando gli inni appropriati e recitando il Respice, quœsumus. Il giorno di Santa Maddalena si doveva fare una processione al suo oratorio, cantando inni e l’antifona dei primi vespri di quella santa con il versetto e l’orazione. Scrisse a

59 Ndt: Il 3 maggio si festeggia l’Invenzione della Croce e il 14 settembre la sua Esaltazione.

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una delle nostre case che aveva fatto questo perché ognuno deve rendere grazie dei benefici personali che ha ricevuto, ma quando si tratta di benefici comuni è giusto stabilire delle devozioni conformi alla nostra osservanza attraverso le quali si possa rendere grazie comunitariamente dei benefici ottenuti 60.

60 Quando nel 1630-1631, la Savoia fu occupata dai francesi, la santa, per riuscire

a mantenere la clausura, diede una grande prova di fermezza. La nuova Governatrice del territorio le mandò un gentiluomo per annunciarle che desiderava trascorrere le prossime feste dentro al monastero. La beata rispose che quel permesso veniva accordato solo alle principesse sovrane. Il messaggero, molto sorpreso per quella risposta, le rispose che quella dama aveva rango di principessa. La santa però rimase salda nel suo rifiuto sebbene quella donna diffuse ovunque il suo malcontento contro il nostro monastero e arrivò fino a calunniare la Fondatrice. (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa).

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XXII.

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LA MADRE DI CHANTAL ASSISTE ALL’APERTURA DELLA TOMBA DI FRANCESCO DI SALES; NUOVE AFFLIZIONI LA ATTENDONO

All’inizio del 1631 le nostre sorelle provenzali insistettero presso il Vescovo di Ginevra affinché permettesse a Giovanna Francesca di andare a visitare la loro provincia dove non era ancora stata. Lei lo avrebbe fatto volentieri, ma poiché i lavori per la causa di canonizzazione del Beato Padre erano ripresi, non poté intraprendere un viaggio così lungo e fu deciso che al suo posto sarebbe stata inviata la Madre de Châtel assieme ad altre dieci sorelle: sei per la fondazione di Montpellier e quattro per le case di Provenza che avevano richiesto alcune professe da Annecy. Prima che partissero la Beata Madre le istruì e le incoraggiò a perseverare nella semplicità dell’osservanza delle regole e, tra le tante cose, disse loro che passando per le nostre case non indugiassero in grandi elogi di quella prima comunità, ma che descrivessero con umiltà il bene che là viene praticato e la ricerca costante della perfezione nella completa osservanza. Se fossero state interrogate sui difetti, non dovevano parlare di quelli individuali, ma dovevano raccontare di aver visto commettere questo o quell’errore e soprattutto la penitenza adeguata che era stata immediatamente inflitta. Ad Annecy non si era infallibili, anzi i rimproveri erano sempre graditi. Le questioni inerenti la beatificazione, che avevano impedito alla Fondatrice di andare in Provenza, furono rinviate al 1632 a causa di una grave malattia che colpì il Vescovo di Bourges. Non appena si sentì meglio si incamminò verso Annecy, spinto sia dall’aspirazione a lavorare alla causa del Beato Padre, sia dal desiderio di rivedere la sua carissima sorella. Quando arrivò in questa città era debolissimo al punto che due servitori dovettero aiutarlo anche solo a salire le scale. Ma, poiché la felicità è spesso una medicina tanto salutare quanto dolce, fin dalla prima sera riprese l’appetito e il sonno e l’indomani si 211 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sentiva così forte e pronto a lavorare a quella santa causa che tutti rimasero stupiti e di questo ringraziavano il Signore. Dopo aver ascoltato per circa due mesi diverse deposizioni, finalmente il 4 agosto fu aperta la tomba del Fondatore. Non si possono descrivere la devozione, la cura e l’ardore con cui Giovanna Francesca aveva provveduto ad organizzare quel momento, né la gioia del suo cuore quando vide quel corpo benedetto perfettamente conservato ed integro. Quando tutti si furono ritirati, verso le nove o le dieci della sera, andò con tutta la comunità a venerare quelle sacre spoglie e rimase a lungo in ginocchio in preghiera davanti a lui: il suo viso era come infiammato, era così estasiata che non si accorse delle suore intorno a lei e della loro agitazione, perché, bisogna ammetterlo, anche l’amore più filiale e più tenero non è mai prudente: ognuna di noi infatti si accalcava e spingeva per poter toccare quel corpo. La Beata Madre ci lasciava fare: era completamente immobile, non muoveva neanche gli occhi. In quell’occasione Giovanna Francesca diede dimostrazione di grande obbedienza: i commissari non volevano che si toccasse quel corpo benedetto, per impedire che fosse asportato qualcosa. La Madre perciò ci vietò di baciargli la mano; dovevamo accontentarci di baciare la sua veste. L’indomani, col nostro superiore, andò a coprire il viso del Fondatore con una tela bianca di taffetas e chiese il permesso di potergli baciare la mano. Abbassò la testa e la mise sotto la mano del beato, il quale, come se fosse ancora in vita, stese la sua mano sulla testa di quella sua unica figlia e la strinse come in una paterna carezza. Sentì distintamente il movimento soprannaturale di quella mano che sembrava ancora animata. Come una doppia reliquia conserviamo ancora il velo che la Madre di Chantal portava in quell’occasione. Le sorelle presenti videro con i loro occhi la mano del Fondatore muoversi e stringere la testa di Giovanna Francesca. Il principe Tommaso e la principessa sua moglie erano arrivati in questa città per assistere all’apertura della tomba. Dei signori di alto rango, provenienti da Parigi, Digione, Grenoble, o altre località più lontane erano qui convenuti per la stessa ragione. E poiché sembrava che Giovanna Francesca facesse da eco e prestasse la sua voce al Fondatore, molte persone chiedevano di incontrarla in parlatorio per poterle aprire il loro cuore. Sebbene si affaticasse molto, cercò di parlare con tutti sempre con grande soavità e forza d’animo. 212 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Una volta che i commissari furono rientrati in Francia, la Beata Madre si incaricò di far trascrivere le deposizioni e preparare le cose necessarie per il viaggio dei Padri, Don Juste e Don Maurice, che dovevano andare a Roma a presentare il loro resoconto alla Santa Sede. La Madre di Chantal chiese ad alcune nostre case di contribuire con i loro beni materiali per onorare colui che ci ha fatto tanti doni spirituali. Tutti i monasteri risposero a quell’appello con affetto filiale e cordiale franchezza, come abbiamo già descritto nel libro della nostra fondazione. Giovanna Francesca si dedicava a quel compito con grande gioia; piacque però al Signore darle un nuovo motivo di dolore: morì infatti in quel periodo Michel Favre, primo confessore della congregazione. Non appena la Fondatrice lo seppe si rivolse al Signore, suo abituale conforto e al termine di quell’intenso momento di preghiera disse: «Ecco una nuova privazione: questo uomo buono s’incammina verso il riposo eterno, verso il suo maestro, il nostro Beato Padre. Era per me una consolazione dolcissima il conferire con lui: in lui trovavo le tracce dello spirito e della solida devozione di Francesco di Sales. Poiché però Dio vuole che muoia, noi non dobbiamo desiderare che viva». Quel buon Padre aveva vissuto tutta la sua vita nel timore di Dio e del suo giudizio estremo. Giovanna Francesca, a cui aveva confidato questa sua ansia, lo raccomandò al Signore, poi gli scrisse un biglietto che conteneva parole di incoraggiamento e di abbandono alla pietà della volontà divina. Il malato ne rimase fortemente colpito, tanto che poco tempo dopo la supplicò di non stare più in pena per lui perché tutti i suoi timori si erano trasformati in una placida fiducia nella misericordia di Dio. Poiché quel virtuoso uomo di Chiesa aveva vissuto lunghi anni al fianco del Fondatore ed era stato confessore della Madre di Chantal e suo accompagnatore nella maggior parte dei suoi viaggi, fu pregato, prima di morire, di esprimere i suoi sentimenti circa le virtù di Giovanna Francesca: «Ahimè! – disse – chi è sul letto di morte è costretto a dire la verità. La mia convinzione più sincera è che la Madre di Chantal è fra le più grandi serve del Signore che sia attualmente a questo mondo. Da ventitré anni ammiro in lei una coscienza purissima, più chiara e trasparente del cristallo. Ho sempre avuto voglia di scrivere qualcosa, ma la mia indegnità mi ha trattenuto dal farlo; inoltre Francesco di Sales mi ha sempre detto che nessuno 213 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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era all’altezza di parlare di quella donna. Così ho taciuto». Quell’uomo di Dio morì il 24 marzo 1633 e nominò la Beata Madre esecutrice del suo testamento. Lei se ne occupò con grande cura e coscienza e, con atteggiamento materno, si incaricò pure dell’educazione e dell’istruzione di un nipotino di quell’uomo, che sistemò nella camera del defunto confessore. Nel mese di agosto di quello stesso anno la Beata Madre ricevette la notizia della morte della baronessa di Chantal, sua nuora, che così lasciava una piccola orfana sia di madre che di padre 61; soffrì molto per quella perdita perché amava quella ragazza come una figlia. Ma, come davanti ad ogni dolore, anche in quell’occasione pronunciò queste parole: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore» 62. Non appena ricevuta quella notizia ecco arrivarne un’altra: anche il signore de Toulonjon, suo genero, era morto. Lo apprese mentre era in parlatorio con il prevosto di Sales 63, il quale le stava leggendo alcune pagine della vita del Fondatore, che stava in quel periodo redigendo. Lei cambiò colore e disse: «Ancora morti»; si riprese subito e, congiungendo le mani, aggiunse: «No, sono pellegrini che hanno fretta di raggiungere la casa del Signore; riceveteli, o Padre celeste, tra le braccia della vostra misericordia». Dopo aver pregato e pianto per quel defunto, chiese al prevosto di continuare la lettura; concluse quello che aveva iniziato con spirito tranquillo e presente a se stesso, sebbene il suo cuore soffrisse profondamente per la perdita di quel suo congiunto, grande cavaliere, uomo pio e di alto rango. Oltre a ciò Giovanna Francesca era afflitta anche dal pensiero del dolore della figlia, che a quell’epoca era a Pinerolo, perché il defunto marito era governatore di quel territorio.

61 62 63

Si tratta di Marie de Rabutin, poi diventata marchesa de Sévigné. Ndt: Cf. Gb 1, 21. Si tratta di Charles-Auguste di Sales (nato nel 1606), nipote del Fondatore. Intorno al 1634 pubblicò la vita dello zio. Si avvalse delle numerosissime testimonianze dei contemporanei, ma le più preziose furono quelle della Madre di Chantal, che esaminò personalmente quell’opera. Proprio a questa supervisione della santa è da attribuire il silenzio su tutto ciò che attiene alla Visitazione e alla sua Fondatrice.

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XXIII.

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LA BEATA MADRE FONDA UN SECONDO MONASTERO AD ANNECY

Michel Favre durante la sua vita aveva spesso manifestato il desiderio di fondare una seconda casa della Visitazione Santa Maria ad Annecy e lo aveva proposto alla Madre di Chantal, che, per parte sua, aveva sempre rifiutato. Bisognava che fosse il Signore a convincerla, come accadde durante le feste pasquali del 1633. Fu chiamata in parlatorio e lì trovò un gran numero di ragazze che si gettarono ai suoi piedi per scongiurarla di accoglierle nella nostra congregazione. All’istante Dio le ispirò la fondazione di una seconda casa in questa città e quel desiderio fu così forte ed intenso che non esitò più. L’indomani si comunicò esprimendo quell’intenzione e sentì a tal punto la conferma che quella era proprio la volontà di Dio che decise di cominciare a lavorare a quel progetto a partire da subito. Ne parlò al Vescovo di Ginevra e al Padre Baytaz de Château-Martin, nostro padre spirituale, ed entrambi lo approvarono. Le prospettarono solo qualche difficoltà di ordine temporale, ma, non appena lei descrisse loro la sua totale fiducia nella Provvidenza, essi non dissero più una parola. Era ben felice di lavorare con il consenso dei superiori, senza il quale non avrebbe mai intrapreso nulla. Non perse tempo e riuscì ad ottenere anche l’approvazione del principe Tommaso, grazie all’intervento del conte di Balbian, uomo virtuosissimo e che molto stimava la Madre di Chantal. Pregò anche il Padre Juste Guérin, nostro attuale vescovo, che stava recandosi a Torino per le questioni relative alla causa di beatificazione del Fondatore, di comunicare il progetto di questa fondazione al re Vittorio Amedeo, aggiungendo anche che avrebbe considerato la volontà del sovrano come un segno certo di quella divina. Alla sola proposta quel grande principe, che gradiva qualunque opera di pietà, accettò e volle che i lavori cominciassero subito. Disse 215 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la Fondatrice: «Trovando tanta sovrana accondiscendenza decisi di mettermi all’opera, sebbene fossi molto combattuta dentro di me, considerando la mia età, la povertà del paese e l’importanza di quel progetto. Non avrei mai avuto però il coraggio di tirarmi indietro, perché sarebbe stato un atto di infedeltà al Signore in un’occasione così importante per la sua gloria e il bene delle anime». Nel mese di ottobre di quello stesso anno Don Juste, ottenute da Sua Altezza Reale le lettere patenti per la fondazione, le inviò alla Beata Madre che le offrì al Signore, raccomandandogli quell’impresa. Volle ritardare la presentazione di quelle autorizzazioni alla città fino al gennaio 1634. Scoppiò una vera persecuzione contro Giovanna Francesca e quella nuova casa: calunnie, minacce, da cui lei non si fece mai scoraggiare e ad una persona di alto rango che era venuta a parlarle lei rispose graziosamente che le minacce degli uomini non l’avrebbero distolta da quell’opera divina; solo la volontà del sovrano o dei suoi superiori avrebbero potuto fermarla. Tuttavia furono scritte al re molte lettere diffamatorie contro di lei e la sua casa, ma lui non le prese neanche in considerazione. Furono perse le lettere di iussione ottenute. Il senato fu inflessibile anche davanti alle ragioni che il principe Tommaso aveva presentato in nostro favore; allo stesso modo il governo della città non volle cedere neanche alla volontà manifestata dalla duchessa di Nemours, allora presente in quella provincia. Insomma, Satana usò ogni mezzo per impedire quella fondazione e vedendo però che non ne veniva a capo e volendosi vendicare di colei che ne aveva avuto l’idea cominciò a tentarla, insinuandole il pensiero che stava andando contro la volontà di Dio nel non voler desistere davanti a qualcosa che tutti ostacolavano; voleva convincerla che la voce del popolo è la voce di Dio e che era da parte sua un grande atto di temerarietà ostinarsi a voler portare avanti quel progetto. La tentazione era così forte che le sembrava di essere colpevole di tutti i peccati che commettevano coloro che stavano ostacolando quella nuova fondazione e questo affliggeva il suo cuore come neanche si può dire. Con quell’angoscia nel cuore andò a piangere davanti al Crocifisso, chiedendo a Dio una chiara percezione della sua volontà e dicendogli che se quella fondazione non era nei suoi disegni, lei avrebbe interrotto immediatamente i lavori così come li aveva iniziati. 216 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Dio non volle consolare direttamente quella sua amata, ma la mandò al tabernacolo dei Pastori. Si rivolse così al nostro padre spirituale, al quale rivelò con semplicità la sua pena e dal quale ricevette delle istruzioni che, ci disse, non dimenticò mai più tanto furono grandi la pace, la serenità e la certezza di compiere la volontà di Dio che esse portarono al suo cuore. Portò avanti quell’impresa nella consapevolezza che quel sollevamento di popolo altro non era che una tentazione che sarebbe svanita col tempo. «Le parole di quel buon servo del Signore mi consolarono molto e mi fecero vedere chiaramente l’impertinenza della tentazione che provavo. Mi diedero coraggio e promisi che, se anche quelle difficoltà fossero durate dieci anni, io avrei portato avanti il mio progetto per mezzo della grazia divina». Sebbene gli ostacoli sembrassero aumentare, Giovanna Francesca, rassicurata dai suoi superiori dei quali si fidava ciecamente, cominciò a preparare il materiale e a fare sopralluoghi per scegliere il posto dove stabilire quella nuova casa. La gente la derideva, ma lei non ci faceva caso, rimanendo ferma nella convinzione che Dio stesso avrebbe rifinito la sua opera, cosa che ben presto si verificò. Il re infatti ribadì la sua volontà e la sua fiducia in ciò che la Madre di Chantal stava facendo; Dio toccò anche il cuore dei senatori della città a tal punto che coloro che avevano più ostacolato quel progetto furono tra coloro che per primi presentarono le loro figlie per essere accolte in quella nuova casa. La Madre ebbe anche altre occasioni – per esempio a casa della duchessa di Nemours – per favorire coloro che in precedenza l’avevano maggiormente ostacolata. Il Signore provvide anche alle difficoltà di ordine materiale ed economico, perché quella casa stava già sostenendo forti spese per la causa di beatificazione del Fondatore. Il commendatore de Sillery, conoscendo l’entità del progetto che la Madre di Chantal stava portando avanti, finanziò la costruzione della chiesa di quella seconda casa e chiese che sulla prima pietra ci fossero scritte queste parole: Dio conosce il nome di colui che fonda questa chiesa. Anche le sorelle di Parigi contribuirono all’edificazione di quel nuovo monastero. La Beata Madre, vedendo che quel progetto procedeva felicemente, accolse nel primo monastero undici pretendenti, che ne sarebbero uscite per cominciare insieme il secondo. Il sabato in cui, secondo il nostro costume, la Fondatrice nominò al capitolo coloro che erano state scelte come Superiora e coadiutrice 217 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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a quel progetto, tenne un discorso molto infervorato nel quale descriveva il suo desiderio fortissimo che quelle due case vivessero in perfetta armonia: avrebbe offerto il suo stesso sangue se fosse servito da cemento per unire i nostri cuori. Qualunque disaccordo tra di noi sarebbe stato per lei fonte di indicibile sofferenza: «Preferirei – disse – distruggere quest’impresa ed esserne condannata: quel dolore non sarebbe niente davanti alla sofferenza provocata dall’eventuale disunione tra queste due case». Il giorno della Santissima Trinità del 1634, dopo cena, e quasi alla stessa ora in cui le nostre prime Madri avevano iniziato la congregazione, le undici pretendenti e le sorelle destinate a quella fondazione entrarono in processione, guidate dalla Beata Madre, in quella nuova casa, che era situata in un edificio appartenuto al presidente Favre de la Valbonne e dove aveva anche alloggiato Francesco di Sales. La folla era immensa, per le strade si riusciva a malapena a farsi largo. Giovanna Francesca rimase là qualche giorno, poi scelse come Superiora la sorella Madelaine-Élisabeth de Lucine. Provvide personalmente ad organizzare tutto il necessario per accogliere le nostre sorelle, redigendo di suo pugno anche delle memorie in merito. L’arredo era semplice ed austero: desiderava riprodurre in quel secondo monastero la santa povertà che aveva contraddistinto gli esordi del nostro Istituto. Per ordine del Vescovo di Ginevra diede lei stessa l’abito alle prime ragazze accolte. Era talmente soddisfatta che diceva che se quella era la volontà di Dio, avrebbe voluto ogni anno soffrire anche pene maggiori e più grandi dolori per erigere una casa nella quale Dio fosse così fedelmente servito e glorificato.

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XXIV.

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DEPOSIZIONE DELLA BEATA MADRE; MORTE DI MONSIGNOR JEAN-FRANÇOIS DE SALES; NUOVO VIAGGIO IN FRANCIA

Il 1635 era l’anno in cui per Giovanna Francesca finiva il suo secondo triennio 64 e per la Madre Péronne-Marie de Châtel il suo a Chambéry. La Beata Madre ottenne dal Vescovo di Ginevra che richiamasse la Madre Favre (deposta nel nostro secondo monastero di Parigi) e che il capitolo di Chambéry aveva istantaneamente richiesto, perché si pensava che l’aria del suo paese natale avrebbe potuto giovare alla sua salute. Quella buona Madre arrivò proprio in tempo per la nostra elezione. Eleggemmo subito la Madre de Châtel, mentre la Madre Favre fu eletta a Chambéry. Che gioia vedere la Fondatrice tra quelle sue due prime figlie! Lei però non volle per nulla al mondo lasciare il suo stato di deposta e prendendo ogni tanto la mano della Madre Favre le diceva: «Figlia mia, andiamo a dire le nostre colpe; fa così bene a noi, che per lungo tempo siamo state Madri, compiere qualche atto di umiltà». La nostra felicità fu però interrotta dalla malattia fulminante del Vescovo di Ginevra, fratello del Fondatore, che in breve tempo lo

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Monsignor Jean-François de Sales accolse la deposizione della santa, che ammise le sue colpe come si usa fare in quell’occorenza: «Monsignore, disse, ammetto umilmente di aver spesso rotto il silenzio, persino quello della sera, e senza vera necessità; di non aver servito le sorelle come avrei dovuto e per questo chiedo loro umilmente scusa e anche a voi, Monsignore, chiedo perdono per gli eventuali dispiaceri che vi ho arrecato». Il Monsignore rispose che non vi era ragione di fare tale ammenda perché, grazie a Dio, si era accorto che tutto nella casa andava bene. Per seguire però gli usi dell’Ordine avrebbe avuto come penitenza tre Pater e Ave. Dopo di che lei si ritirò nell’ultimo posto, dove sostò per sua grande consolazione. E da quel giorno rimase totalmente sottomessa alla sorella assistente. (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa).

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portò alla morte 65. Giovanna Francesca ne fu profondamente colpita: stimava infatti quell’uomo come uno dei pilastri della Chiesa e pianse molto la sua scomparsa, sempre però dimostrando il grande contegno e la profonda rassegnazione che la caratterizzavano in quelle drammatiche occasioni. Quel Monsignore, prima di morire, aveva assicurato a molti prelati e personaggi di rango che la Madre di Chantal avrebbe fato un viaggio in Francia per concludere alcuni affari molto importanti, fra i quali parlare ai Monsignori che erano riuniti a Parigi nella loro assemblea generale. Come si legge nella sua seconda lettera riportata all’inizio del nostro Costumiere, lo scopo principale di coloro che la chiamavano a Parigi – dove lei arrivò nel mese di luglio del 1635 – era vedere se si poteva stabilire un sistema di unione nel nostro Istituto. Pregò in tutta umiltà alcuni di quei prelati di incontrare il commendatore de Sillery. «Furono fatte diverse proposte e discussero lungamente, ma ben presto si accorsero che quelle idee avrebbero stravolto i fondamenti della nostra congregazione, avrebbero peggiorato la situazione e creato inconvenienti peggiori del male che si intendeva evitare. In tutta sincerità dicemmo loro il pensiero e le intenzioni del Fondatore a questo proposito e leggemmo loro le sue parole. Quegli uomini apprezzarono molto la prudenza del Beato Padre. Cosa vogliamo di più? – dissero –; è il Fondatore che parla e che lascia un mezzo di unione, non basato sull’autorità, ma sulla carità, dunque ancora più dolce e solido. Tutti furono d’accordo nel non voler modificare nulla». Ecco le parole stesse della Madre di Chantal, la quale si impegnò a rivedere per la stampa il Costumiere e il Cerimoniale, aggiungendo al primo alcuni punti importantissimi che erano nelle intenzioni del Fondatore. Riordinò anche il libro delle Ore a nostro uso secondo la riforma di papa Urbano VIII. Una volta concluso ciò che doveva fare a Parigi passò dai nostri monasteri di Borgogna, della Linguadoca, del Delfinato e di Provenza, i quali avevano chiesto al nostro Padre spirituale (all’epoca la cattedra del Vescovo di Ginevra era vacante) di poter ricevere la visita della Madre di Chantal. A questa missione dedicò un periodo piuttosto lungo, dall’aprile all’ottobre 1636, quando finalmente rientrò

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Era l’8 giugno 1635.

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in questo monastero. Si affaticò molto durante quel viaggio: lei, che soffriva molto il caldo, passò per la Provenza nei mesi più torridi; ma a lei tutto sembrava insignificante, purchè fosse per il servizio di Dio e dell’Ordine. Il Padre spirituale le aveva ordinato di fermarsi in ogni monastero solo il tempo necessario per svolgere quello che giudicava indispensabile, così lei in ciascuna casa, per obbedienza, non rimase un giorno oltre quelli che riteneva veramente indispensabili. Passando da Autun, dove si fermò solo per dormire, parlò a tutte le sorelle, persino alle portinaie e alle sorelle del piccolo abito 66. Non voleva passare da sua figlia, madame de Toulonjon, sebbene sapesse che il suo unico figlio era gravemente malato. Quella dama assieme all’abate di Saint-Satur, suo cognato, andarono però a cercarla per convincerla a passare da Allonne. Accettò, fece salire sua figlia sulla sua lettiga, lasciò agli altri la carrozza e trascorsero insieme quel breve tempo. Cenò a casa di madame de Toulonjon, ma andò a dormire poco distante da lì, dopo però aver benedetto il nipote, rassicurandoli sulla sua salute, perché non sarebbe morto, come in effetti accadde. Pregò la figlia di non accompagnarla al fine di essere più libera e quindi puntualmente obbediente. Durante quel viaggio capitò spesso che si alzasse alle due del mattino per ascoltare la messa e partire subito dopo; e, nonostante la sua età, dava sovente la sveglia a coloro che erano con lei, sempre con devota e piacevole gaiezza, incoraggiando tutti a sopportare la fatica. La Provvidenza la assistette anche durante il soggiorno in Provenza, perché le regalò sempre il bel tempo, trovando però riparo dal sole durante il giorno e, la notte, protezione dall’umidità. Sembrava che Dio avesse donato, a quella vera israelita, una nube rinfrescante contro il caldo torrido di quella regione. Le nostre sorelle provenzali ci hanno scritto che gli abitanti del luogo dicevano loro che mai, in tutta la loro vita, avevano visto un’estate più benevola: contro ogni consuetudine, due o tre volte alla settimana cadeva una pioggerellina rinfrescante che mitigava il calore bruciante e fertilizzava la terra. La 66 Ndt: Le sorelle del piccolo abito erano giovani al di sotto dei 16 anni che, dopo aver studiato negli educandati, manifestavano inclinazione ed interesse per la vita religiosa. Veniva allora data loro una maestra, affinché potessero vivere almeno parzialmente una vita monastica.

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Beata Madre e la sua compagna ci hanno assicurato che non hanno mai sofferto quel caldo così intenso che tutti attribuiscono alle estati meridionali. A Nîmes preferì alloggiare in una povera piccola bicocca, piuttosto che a casa di certi ugonotti. Quando entrò in quel misero alloggio quella buona gente le disse: «Signora, siamo poveri, ma siamo buoni cattolici». «Il Signore vi benedica – rispose lei –, nella vostra povertà voi siete ricchi della purezza della fede!» e con ardore ed affetto li esortò a rimanere saldi nella santa fede. In quella povera casetta c’era solo un letto, piuttosto misero e sporco. Giovanna Francesca e la sua compagna lo sistemarono e dissero che per loro sarebbe stato comodo. Nel frattempo arrivarono un uomo e una donna di rango che, avendo saputo che la Fondatrice era a Nîmes, andarono a cercarla. Trovandola in una così misera dimora insistettero per portarla via, tanto che alla fine dovette acconsentire; la condussero a casa loro dove fu ricevuta con grandi onori. Prima di lasciare Nîmes ebbe la gioia di incontrare il Padre Fichet, gesuita, che le parlò di una fondazione in quella città. Al che lei, con grande semplicità e dimostrando di avere come unico interesse la gloria di Dio, lo ringraziò ma gli disse che riteneva più utile per quella città, dove gli ugonotti erano così numerosi, una congregazione di suore che si dedicasse all’istruzione dei giovani aprendo, per esempio, dei pensionati. Se poi, in futuro, la divina Provvidenza avesse voluto anche noi, ci saremmo andate. Questa risposta edificò moltissimo quel Padre. Durante quel viaggio in Provenza e in Linguadoca la Madre dovette passare più volte per mare; una mattina, per esempio, dovendo partire dalla nostra casa del Saint-Esprit, le fu consigliato di rinviare il viaggio perché, con quel tempo, sarebbe stato molto rischioso. Giovanna Francesca disse: «Se c’è del pericolo non bisogna tentare Dio; lasciamo però che siano i battellieri a dircelo». Questi ultimi, dopo aver osservato il cielo e le nuvole, dissero che avremmo raggiunto la nostra meta prima dell’arrivo del temporale. «Bene, disse lei, il Beato Padre si sarebbe messo nelle mani della divina Provvidenza fidandosi delle parole di questi battellieri, perché Dio ha dato loro l’intelligenza del loro mestiere». E si imbarcò. Durante quel viaggio le capitò pure di non riuscire a fermarsi per mangiare fino alle tre, quattro del pomeriggio; talvolta nei villaggi tro222 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vava solo del latte, del pane nero e del formaggio, ma ne era così felice che comunicava la sua gioia, la sua pace e la sua allegria a tutti. Ricevette molti onori in tutte le città che visitò, ma, in modo particolare, a Montpellier e ad Arles, dove ricevette gli onori del clero, della nobiltà e dei magistrati. Un deputato di ogni corporazione aveva tenuto un discorso in suo onore, cosa che la mortificò non poco, perché, nello spirito modesto voluto dal Fondatore, avrebbe preferito essere nascosta nell’ultima delle celle, piuttosto che sentire tutte quelle lodi. In Provenza alloggiò a casa di una dama di rango che, per rispetto, volle prepararle personalmente da mangiare. La sera quella donna le disse: «Madre mia, benediciamo il Signore; da tre mesi ogni sera ero colta da un accesso di febbre, ma voi, entrando in casa mia, mi avete ridato la salute ed eccomi finalmente guarita». Le case che la Fondatrice non poté visitare durante quel viaggio, a causa della loro lontananza, inviarono le loro Superiore con una compagna nei monasteri più vicini per poterla incontrare, e renderle conto delle loro case; furono tutte grandemente soddisfatte ed edificate da quegli incontri e la gestione di quei monasteri ne ebbe un grande beneficio. Prima di ritornare in Provenza andò a visitare devotamente la grotta di Sainte-Baume 67. Poi ripartì passando dalle nostre case del Delfinato.

67 Sainte-Baume è il nome di un’ampia e profonda grotta scavata nel fianco di una montagna a picco sul mare. È situata ad eguale distanza (32 km) da Aix en Provence, Marsiglia e Tolone e si dice sia stata abitata per 33 anni da Maria Maddalena, sorella di Lazzaro.

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XXV.

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LA MORTE DELLE PRIME MADRI E LE PENE INTERIORI DELLA FONDATRICE

Come abbiamo già detto, Giovanna Francesca tornò da quel viaggio nel mese di ottobre del 1636. Poco dopo il suo arrivo fece un esame generale della sua coscienza con tale esattezza ed umiltà da stupire profondamente la Madre de Châtel. Come se Dio volesse ricompensarla dei servizi che aveva reso alla Sua Maestà, le sue pene e le sue tentazioni cominciarono ad aumentare a dismisura, mettendola in un lacerante martirio interiore, di cui a breve parleremo. Una sola cosa la consolava: essere deposta dalla carica di Superiora, potendo così far riposare la sua anima tra le mani di una Madre, alla cui guida si affidava con piena fiducia. La Madre de Châtel, che desiderava che si mettesse per scritto tutto ciò che sarebbe potuto servire in avvenire all’Istituto, insisteva presso la Beata Madre affinché parlasse dei nostri esordi, della fondazione delle prime case, della virtù delle prime Madri e sorelle defunte, dando l’incarico di iniziare a scrivere il libro riguardante le vite delle sorelle, quello delle fondazioni e quello delle meditazioni per le nostre solitudini annuali 68. Tutto doveva essere fatto sotto gli occhi, le istruzioni e le correzioni della Fondatrice e lei accondiscendeva per spirito di obbedienza. Così trascorsero la fine del 1636 e l’inizio del 1637, che fu l’anno delle sue grandi spoliazioni. Nel mese di giugno Dio chiamò a sé quella sua prima e fedele compagna, la Madre Favre. Giovanna Francesca per obbedienza si recò a Chambéry dove era deceduta; lì rimase alcune settimane e assistette all’elezione della nuova 68

Ndt: Le “solitudini” sono dieci giorni di esercizi spirituali non predicati che ogni sorella ancora oggi svolge in preparazione alla rinnovazione dei voti che avviene il 21 di novembre.

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Superiora. Di ritorno in questo monastero cominciò a prepararsi alle solitudini con grande impegno e devozione. Vi entrò con la Madre Péronne-Marie de Châtel che, in quel periodo di ritiro, fu colpita dal male che la condusse tra le braccia del Signore. Il cuore della Madre di Chantal sentì da subito che sarebbe morta e quel presentimento le causava una tristezza infinita che le perforava l’anima. Così vedendola ci convincemmo anche noi dell’imminenza di quella perdita, che in effetti avvenne il 22 ottobre, così come abbiamo registrato nella vita di quella cara Madre, dove abbiamo anche ricordato che quella moribonda non cessò di vivere fino a che non ebbe ricevuto la benedizione della Fondatrice. Giovanna Francesca soffrì molto per la sua morte, anche perché era in un momento di grande travaglio interiore durante il quale stava seguendo, con l’umiltà e la semplicità di un bambino, la guida della Madre de Châtel, così come attestano i documenti scritti da quella Madre defunta che lei portava sempre con sé. Con grande cura aveva trascritto tutto quello che la Fondatrice le diceva in quei momenti di bilancio, elementi che emergono anche dalle diverse lettere scritte al Padre de Condren e ad altri prelati, di cui però non parlerò in questa sede. Dovendo procedere all’elezione della nuova Superiora, il Capitolo posò il suo sguardo su Giovanna Francesca, che, come lei stessa ha scritto, accolse quell’incarico tra le lacrime, accettandolo però per obbedienza e perché proveniente dalla mano di Dio. Nel corso di alcuni incontri ci disse che quello sarebbe stato il suo ultimo triennio, che desiderava rafforzare questa casa nel segno dell’osservanza e, soprattutto, che Dio le aveva dato il compito di radicare l’unione tra di noi. Dall’unione dipendeva il bene e la buona conduzione della casa. Queste stesse parole erano state pronunciate da san Giovanni Crisostomo: Se tutti amassero e fossero amati, nessuno farebbe torto all’altro, ogni male sarebbe allontanato, il peccato e il vizio sarebbero sconosciuti. Le fece scrivere affinché potessimo ripeterle spesso e ordinò ad alcune sue figlie di scriverle sui loro libretti personali. Durante quell’ultimo triennio la sua dolcezza fu straordinaria e coinvolgente tanto che sembrava che la divina bontà avesse completamente sommerso la sua indole naturale tendenzialmente forte. Il suo zelo era ardente e più grande che mai, più forte nella dolcezza, pazientemente vittorioso sulle volontà e sugli animi delle sorelle a lei affidate. 225 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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I debiti da cui la nostra casa era afflitta preoccupavano non poco la Beata Madre, che decise però di gettare tutte queste preoccupazioni terrene nelle braccia della Provvidenza celeste, la quale le fece la grazia, prima di concludere il suo triennio, di vedere risolti quei problemi e i debiti saldati. Spesso le abbiamo sentito dire che le figlie della Visitazione devono cercare di evitare l’indebitamento, perché quella preoccupazione tormenta lo spirito e distoglie l’attenzione dalle cose spirituali. Non appena si fu ripresa da quella doppia perdita – le Madri Favre e de Châtel – ricevette la notizia della morte della Madre Jeanne-Charlotte de Bréchard, avvenuta nel nostro monastero di Riom il 18 novembre 1637. Quel rinnovato dolore provocò in lei un distacco progressivo dalla vita presente. Scrisse a una nostra sorella superiora «che la sua misera vecchiaia (così era solita chiamarla) era molto povera perché le sue care prime compagne se ne erano andate lasciandola in questo mondo, così pieno di meschinità. Esse erano i frutti già maturi e pronti per essere serviti sulla tavola del Re dei Cieli, mentre lei era ancora sul ramo perché verde o forse perché guasta e tarlata». Sono proprio le sue parole, che pronunciava con grande umiltà e con le lacrime agli occhi.

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XXVI.

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NUOVA FONDAZIONE A TORINO

Nel 1638 il Signore volle che Giovanna Francesca si mettesse di nuovo in cammino per radicare la nostra congregazione anche in Piemonte. Parleremo diffusamente della fondazione di Torino e di come Dio predispose le cose affinché questa potesse essere portata a compimento. Il Vescovo di Ginevra, allora confessore delle Infanti Reali e di Matilde di Savoia 69, si impegnò molto per organizzare la fondazione torinese, di cui si parlava da almeno vent’anni. Donna Matilde di Savoia ne fu la promotrice, procurò a Roma le carte necessarie per ottenere sia le bolle di fondazione, secondo le norme italiane, sia i permessi indispensabili. Anche Giovanna Francesca stava predisponendo il necessario: Madama Reale 70, l’Arcivescovo di Torino e Donna Matilde desideravano fortemente che lei si recasse personalmente a Torino per procedere a quella fondazione, ma tutti glielo sconsigliavano perché temevano per la sua salute. Con il consenso dei nostri superiori decise di partire: disse che si sentiva ancora abbastanza forte per rendere di nuovo questo servizio al nostro Istituto; se si fossero

69 Ndt: Le spoglie della principessa Matilde di Savoia si trovano attualmente nella cripta della chiesa della Visitazione a Torino retta oggi dai padri della Missione. Essa rappresenta ciò che rimane del primo monastero visitandino torinese fondato dalla Madre di Chantal. 70 Ndt: Si tratta di Maria Cristina di Francia (1606-1663), figlia di Enrico IV e di Maria de’ Medici. Il 10 febbraio 1619 sposò Vittorio Amedeo I di Savoia. Fu chiamata Madama Reale sia perché sorella di Luigi XIII, sia perché, alla morte del marito, nel 1637, divenne reggente in nome prima del figlio Francesco Giacinto e successivamente, deceduto quest’ultimo, dell’altro figlio Carlo Emanuele, che nel 1648 salirà al trono col nome di Carlo Emanuele II di Savoia.

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presentati degli ostacoli, come del resto era prevedibile, era meglio che li avesse affrontati lei piuttosto che un’altra sorella; aveva un forte sentimento interiore che quel viaggio non le sarebbe stato fatale, ma se ciò fosse accaduto, avremmo dovuto, lei e noi, accettare la volontà di Dio. Eravamo tutte molto commosse, e lei con noi, al momento della sua partenza; era sempre così quando intraprendeva un viaggio, tranne che in occasione dell’ultimo, di cui parleremo più avanti: quella volta, infatti, dimostrò una coraggiosissima rassegnazione. Lasciò questo monastero per andare a fondare la settantaseiesima casa del suo Ordine nel settembre del 1638, il giorno della santa Croce. Passò da Chambéry e dalla baronessa de Chivron che la ricevette come una santa. Altrettanto fece l’Arcivescovo di Tarentaise, che le mandò incontro il suo vicario e molti altri uomini di Chiesa. Lui la accolse, insieme alle sue compagne, all’entrata del palazzo episcopale, dove avrebbero alloggiato. Mostrò loro tutte le reliquie e le antichità presenti nella cattedrale. Avrebbe voluto trattenerle ancora un giorno, ma Giovanna Francesca si alzò prima dell’alba; accortosene, l’arcivescovo cercò di convincerla a fermarsi ancora, ma il canonico teologale di Aosta, confessore delle nostre sorelle di quella città, arrivato nel frattempo, l’aveva avvertita che di lì a tre giorni Donna Matilde sarebbe stata in Val d’Aosta. Con grande generosità il vescovo la accompagnò per un lungo tratto, perché le strade di quella regione sono piene di precipizi e quindi molto pericolose. La contessa della Val d’Isère pregò la Beata Madre di andare ad alloggiare a casa sua, dove fu accolta con grande rispetto. L’indomani passò il Colle del Piccolo San Bernardo sotto una pioggia incessante. Entrando in Valle d’Aosta molte donne le andarono incontro. Donna Matilde arrivò lo stesso giorno, ma, a causa dell’estrema fatica, si incontrarono solo il giorno dopo. Non appena scorse la Fondatrice fu colta da una gioia interiore così grande che il suo viso si trasfigurò; raccontò poi che solo guardandola tutti i dispiaceri della sua vita furono cancellati dal suo cuore. La Madre di Chantal non poté evitare che le baciasse la mano, atto che le fece provare nell’anima un sentimento di rispetto paragonabile solo a quello che si prova davanti ai santi. Soggiornò cinque giorni nella casa delle nostre sorelle della Valle d’Aosta da dove ripartì il 26 settembre. Si fermarono a Châtillon; lungo il cammino veniva salutata dai castelli con colpi di cannone e 228 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di artiglieria, un onore tributato anche a Matilde di Savoia che la stava accompagnando con tutto il suo seguito composto da persone di alto rango. Affrontarono dieci giorni durissimi di viaggio lungo cammini impervi che affaticarono moltissimo la Beata Madre. Arrivati in pianura Padana trovarono sollievo presso la marchesa di Borgofranco, che le ricevette con una magnificenza che Giovanna Francesca avrebbe mal tollerato se non fosse stato per la presenza di Donna Matilde, che meritava invece un trattamento da principessa. A Ivrea la Fondatrice aveva già preso un alloggio, quando l’Arcivescovo di quella città, appresa la notizia della sua presenza, sebbene fosse ormai notte, la andò a trovare per chiederle scusa di aver permesso, per un malinteso, di farla alloggiare in una casa così poco degna di lei. Aveva disposto una carrozza per condurla al monastero di Santa Chiara, dove le religiose stavano aspettandola. Quel prelato la accompagnò e disse alle suore che affidava loro il più grande tesoro che vi fosse allora al mondo. In effetti un’anima umile, amorosa e fedele è proprio un tesoro per Dio e per gli uomini! Non può descriversi l’accoglienza che quelle religiose accordarono alla Fondatrice e alle consorelle. Il vescovo aveva organizzato la cena e l’indomani venne a celebrare la messa, che fu accompagnata dalla musica e dalle voci soavi delle Clarisse. Le nostre sorelle cenarono nel refettorio e fecero insieme la ricreazione, durante la quale, per intrattenere santamente la Madre di Chantal, cantarono molti bei mottetti. Ricevettero i suoi consigli con filiale affetto e la costrinsero ad impartire loro la sua materna benedizione. Piansero a calde lacrime al momento della sua partenza. Il Vescovo di Ivrea non poté rifiutare al barone du Perron il piacere che la Beata Madre e le nostre sorelle entrassero nella sua dimora, che assomigliava più al Louvre che al castello di un signore. Fece preparare un magnifico rinfresco al quale però, scusandosi, la Fondatrice, per la sua perfetta modestia, non partecipò. Tutto ciò edificò molto i presenti che la guardavano come una santa. Il barone du Perron ammise che con la presenza della Beata Madre sperava di attirare lo sguardo misericordioso sulla sua casa; credeva infatti che quella santa avrebbe portato con sé un’eterna benedizione. Finalmente il 30 settembre Giovanna Francesca con le altre sorelle si trovarono alle porte di Torino, dove le dame di più alto rango, marchese e contesse, erano convenute per accoglierla e darle il benvenuto. 229 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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In quell’occasione Donna Matilde ricevette una lettera da Madama Reale che le chiedeva di condurre la Madre di Chantal al Valentino, dove suo figlio era in punto di morte. Desiderava infatti che la Fondatrice lo vedesse e pregasse per lui. Questa altissima considerazione la mortificò molto, ma obbedì. Arrivò al castello verso le quattro del pomeriggio; lì Madama Reale la ricevette con grande affetto, testimoniandole una grande stima. La condusse assieme alle nostre sorelle al capezzale del figlio, al quale sussurrò, per rassicurarlo, che la Madre di Chantal aveva molto credito presso il Signore. Tese la mano e la accarezzò, raccomandandosi alle sue preghiere. Aveva un filo di voce che quasi non si sentiva. Giovanna Francesca fu lieta di vederlo così sereno nella sua malattia. Arrivò anche l’Infanta Maria; Madama Reale chiese poi di poter conferire in privato con la Fondatrice e al termine di quell’incontro si congratulò con Donna Matilde per aver provveduto a quella fondazione procurandosi la presenza della Beata Madre. Disse anche che voleva che la città di Torino le fosse riconoscente e di questo se ne sarebbe occupata personalmente presso il Santo Padre. Quella pia principessa, tra le cinque e le sei di sera, volle dire nella sua cappella le Litanie alla Madonna e la terza parte del rosario. Si inginocchiò tra Giovanna Francesca e un recolletto, frate laico, anch’egli in odore di santità. Quei tre formavano un coro e l’assemblea rispondeva con le Litanie o con le Ave Maria. Al termine della preghiera Madama Reale salutò la Madre di Chantal, che le aveva chiesto il permesso di potersi ritirare un po’ in solitudine. Quella principessa pianse poi la morte del figlio e si rammaricò molto di non poter personalmente accompagnare la Beata Madre in città, nella casa predisposta per la fondazione. Durante la preghiera che Madama Reale aveva richiesto per la salute del figlio Giovanna Francesca provò un desiderio così forte di pregare per Carlo Emanuele, oggi duca e secondo figlio di quella principessa, che non riusciva a pensare al malato. Smise di pregare con il sentimento radicatissimo che il Signore volesse che fosse il secondogenito a regnare. Disse a Madama Reale delle parole di consolazione per la morte di quel figlio, mentre le altre cercavano di rincuorarla. Uscì dal Valentino verso le otto di sera; Donna Matilde, sebbene quella notte sia poi tornata a trovare Madama Reale, volle comunque accompagnare Giovanna Francesca e le sue compagne nella casa che aveva fatto allestire per loro. Non è questo il luogo dove raccontare nei dettagli le difficoltà 230 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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che si incontrarono per quella fondazione e per la pubblicazione delle bolle; basti dire che una mano, molto meno accorta di quella della Fondatrice, dovette dipanare quella matassa. Prima che la clausura fosse stabilita, le Infante desiderarono incontrare la Beata Madre a casa loro, dove fu ricevuta con grande gioia e devozione. L’Infanta Caterina, parlandole privatamente, le rivelò il suo desiderio di entrare nella Visitazione e le confessò che finora le erano state opposte le ragioni di Stato. Giovanna Francesca volle anche venerare la sacra Sindone nella chiesa di San Giovanni; se ne occupò di persona Madama Reale, la quale le mostrò anche altre reliquie, quali il legno della Santa Croce e alcune spine della corona indossata da Gesù durante la sua Passione. Davanti a quei tesori divini il cuore della Fondatrice si immerse in una preghiera profonda che avrebbe potuto durare l’intera notte, ma Madama Reale dovette risalire in carrozza per andare a trovare il figlio malato, che aveva raccomandato alle preghiere della Madre di Chantal. Le Carmelitane e le religiose dell’Annunciazione desideravano fortemente incontrarla e quando ciò avvenne le testimoniarono grande stima e affetto. Questi sentimenti erano condivisi da tutti coloro che avevano modo di parlare con lei: ognuno leggeva sul suo viso la santità del suo animo e parlava di lei con onore e venerazione. Le dame piemontesi, finché non fu stabilita la clausura, apprezzarono molto la nostra maniera di vivere; ma di ciò parleremo più diffusamente nel libro di quella fondazione, come anche della bontà del marchese di Pianesse, unico figlio di Donna Matilde, che fu il principale promotore della nostra fondazione e che ha sempre onorato Giovanna Francesca come fosse la sua vera madre. Durante quel soggiorno a Torino il Nunzio Pontificio la onorò della sua visita: fu un grande bene per tutto l’Ordine, poiché in quell’occasione lei gli rivelò la verità su alcune cose che erano state dette contro la nostra congregazione. Quel Monsignore prestò molta fede alle sue parole e le testimoniò grande stima, come fece anche l’Arcivescovo di Torino, che le offrì la sua diletta nipote, la quale fu la prima ad essere accolta in quel monastero. Maria Cristina di Savoia favorì grandemente la nostra fondazione: andava spesso a trovare la Beata Madre e cenava insieme a lei; conversavano per ore e, avendo piena fiducia in lei, sovente le apriva il 231 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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suo cuore. Le sorelle di Torino ci hanno scritto che i sette mesi in cui restò là per occuparsi di quella fondazione sono stati il principio di ogni loro benedizione. Predispose per loro una bella casa, ricevette molte ragazze di buona famiglia e le lasciò tra la benevolenza di tutta la cittadinanza. Procurò loro un virtuosissimo confessore e scelse come Superiora la sorella Madeleine-Élisabeth de Lucinge. Tutte noi, al di qua delle Alpi, credevamo che Madama Reale non avrebbe più lasciato rientrare Giovanna Francesca e questo ci preoccupava molto. Ma Dio provvide diversamente: quando meno ce lo saremmo aspettato il nostro buon vescovo, che era allora a Torino, le comunicò che doveva rientrare perché l’esercito spagnolo era ormai alle porte. La Beata Madre scrisse allora a Maria Cristina di Francia per congedarsi da lei. La principessa salì in carrozza per risponderle di persona: si congedò da lei fra le lacrime. Lasciò le nostre sorelle sgomente per la sua partenza repentina, ma consolate per essere state iniziate da una così degna Madre.

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XXVII.

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LA MADRE DI CHANTAL SI IMPEGNA PER STABILIRE IN SAVOIA I PADRI DELLA MISSIONE

Il 19 aprile 1639 Giovanna Francesca lasciò Torino; il marchese di Pianesse e il marchese di Lulin la scortarono alla carrozza; l’arcivescovo venne per impartirle la sua benedizione. Donna Matilde la accompagnò fuori Torino e la lasciò con un rammarico indicibile. Rimase sotto la protezione del signor Pioton, degnissimo uomo di Chiesa, grande servitore del Signore e amico del nostro Istituto. La Beata Madre lo amava come un fratello e infatti così lo chiamava: fu lui che la aiutò a sbrigare le faccende più complicate e noiose relative alla fondazione torinese. Passò dal nostro monastero di Pinerolo, dove arrivò molto tardi ed affaticata. Ciò nonostante ricevette la visita di numerose persone che volevano incontrarla sia per i suoi meriti e le sue virtù, ma anche in qualità di madre e suocera della loro governatrice e del loro governatore 71. Rimase molto poco tempo tra le nostre sorelle, ma riuscì a parlare ad ognuna di loro personalmente. Premevano così tanto affinché lei lasciasse il Piemonte, che la sera stessa del suo arrivo volevano quasi costringerla a risalire in carrozza e viaggiare tutta la notte. Questa premura non era però senza ragione: quattro giorni dopo la sua partenza da Torino, la città subì un durissimo attacco ad opera dall’esercito spagnolo. Giovanna Francesca rientrò ad Annecy passando per il Delfinato. Da Pinerolo ad Embrun la strada era pericolosissima, disseminata di precipizi che facevano impallidire la sua compagna di viaggio, suor Jeanne-Thérèse Picoteau. La Fondatrice ne sorrideva dicendole di

71

Il conte di Toulonjon al momento della sua morte era governatore di Pinerolo.

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abbandonarsi alla Provvidenza celeste. Verso la fine del mese di maggio finalmente la vedemmo tornare tra di noi e insieme concludemmo quell’anno, il 1639, durante il quale fu afflitta da un tremendo dolore e dalla preoccupazione per le sorelle di Torino, che si trovavano tra gli orrori della guerra, nella povertà e nell’indigenza a cui gli assedi conducono. Quel monastero si trovava infatti proprio tra le due artiglierie, la francese e la spagnola. Satana si stava servendo della materna compassione e del suo amore caritatevole per darle delle preoccupazioni inutili, dei pensieri e dei presagi funesti dei rischi che le nostre sorelle potevano correre sia a causa dell’insolenza dei soldati sia per la crudeltà delle armi. Contro tutto ciò opponeva il suo solito rimedio: gettare tutto in Dio, perché tutto è e avviene per sua volontà e nulla è al di fuori della sua Provvidenza. Cercava con ogni mezzo di scrivere a quelle care sorelle, per incoraggiarle a sopportare la loro tribolazione con generosa virtù, rassicurandole che lei aveva un’enorme speranza che il Signore le avrebbe protette come dei pulcini all’ombra delle ali della sua divina protezione e che dunque non sarebbe accaduto loro nulla di male. E così avvenne e noi non ce ne meravigliammo affatto, come diremo nel libro della nostra fondazione. Le sorelle di Torino lo hanno in parte attribuito proprio all’effetto delle preghiere di Giovanna Francesca. Sapevano infatti che lei pregava incessantemente e le raccomandava anche ai suffragi di tutte le nostre altre case. Al rientro da Torino avevamo trovato la Fondatrice in buona salute, ma molto deperita a causa dell’aria di quel paese e per la fatica; le sue gambe erano molto deboli, ma non così il suo spirito, sempre santamente forte, soave e amabile. Bisogna sottolineare che quando rientrava da un viaggio trovavamo sempre accresciuta la sua perfezione; quando era tra noi ce ne accorgevamo meno, sebbene vedessimo chiaramente che quella Sposa del Signore era incamminata verso virtù sempre più elevate e, come un vero fiore del Paradiso, cresceva costantemente sotto lo sguardo compiaciuto del suo Sole divino. Aveva proprio le mani fatte al tornio 72 e non poteva fare a meno di agire per la gloria di Dio e per il servizio al prossimo. Da diversi anni pro72 Ndt: Il corsivo è dell’originale e fa riferimento al cap. 5, versetto 14 del Cantico dei Cantici.

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vava il desiderio di procurare degli operai che lavorassero all’interno della diocesi di Ginevra, che le era cara in quanto ovile 73 del santo Fondatore. Dopo aver cercato con ogni mezzo di concretizzare questo suo desiderio e aver pregato molto con questo scopo, la Provvidenza le suggerì un’idea molto ardita: chiese al commendatore de Sillery, fondatore del nostro monastero parigino della rue de Saint-Antoine, di portare dei padri missionari nella nostra diocesi. Quell’uomo, che molto stimava la Beata Madre, accondiscese e lei provò una gioia indicibile e cominciò a chiedere dei sacerdoti a Padre Vincenzo 74, fondatore della Congregazione della Missione. Era bellissimo vederla affaccendarsi ai preparativi per l’alloggio, il mobilio, la sacrestia per quei Padri. Desiderava collaborare con le sue stesse mani e diceva: «Mi sento ringiovanire quando penso che questi sacerdoti si ficcheranno nei cespugli e nei gineprai della nostra diocesi per trarre dal vizio e correggere gli errori commessi dalle dilette pecorelle del nostro Beato Padre e Pastore» 75. Quando, a febbraio del 1640, arrivarono questi missionari, testimoniò loro una gioia inesprimibile e, con attenzioni materne, si occupò della loro sistemazione. Quando la suora portinaia, o quelle che si occupavano dei rapporti con l’esterno, venivano a sapere qualcosa sui benefici che questi sacerdoti avevano procurato alle anime, attraverso la predicazione e il catechismo, andavano subito a comunicarlo alla Madre di Chantal, che se ne rallegrava profondamente. Padre Vincenzo ordinò ai suoi sacerdoti di considerarla come la loro Madre e di confidarle tutte le loro difficoltà, cosa che hanno sempre fatto con grande umiltà e bontà. Dedicava loro tutto il tempo che richiedevano e invitava noi ad emulare il loro esempio.

73 Ndt: Manteniamo la traduzione letterale di “bercail”, “ovile” appunto, perché

fedele all’immagine che la Chaugy voleva suggerire, nella quale Francesco di Sales rappresenta il buon pastore e la diocesi l’ovile, il riparo per le pecorelle, vale dire i cari e amati abitanti di quella diocesi. 74 Ndt: Si tratta di san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), sacerdote francese, fondatore, nel 1625, della Congregazione della Missione, che forma sacerdoti specializzati nell’apostolato rurale. 75 Ndt: Anche in questo caso l’immagine è molto bella e vale la pena mantenerla anche in italiano.

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La primavera e l’estate del 1640 furono dedicate alla lettura in sua presenza dei Piccoli Costumi, delle fondazioni, allora scritte solo in parte, e delle vite delle prime Madri, avendo cura di correggere quei testi di suo pugno. Poiché era certa che quello sarebbe stato il suo ultimo triennio preparava la sua deposizione e disponeva l’animo del nostro Monsignore affinché non permettesse che il suo nome fosse inserito tra la rosa delle eleggibili, cosa che ottenne. Provvide anche a far disimpegnare la Madre Marie-Aimée de Blonay, che stava portando a termine il suo triennio nel monastero di Bourg. Già da diversi anni desiderava richiamarla nella casa di Annecy, ma il momento non era mai quello giusto. Il Signore volle che colei che fu chiamata affettuosamente dai Fondatori la figlia minore venisse, per diritto di merito e di successione, a prendere il posto delle sorelle maggiori e diventare Madre di colei che, come Madre di tutte, era a loro inferiore solo per un eccesso della sua umiltà.

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XXVIII.

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LA MORTE DEL VESCOVO DI BOURGES

Non appena il Cardinale di Lione concesse al Vescovo di Ginevra il ritorno ad Annecy della carissima Madre Marie-Aimée de Blonay, Giovanna Francesca provò una gioia fortissima nel suo cuore e cominciò ad organizzare tutto per la sua deposizione e dimissione dalla carica di Superiora. Parlava pochissimo di quella cosa, attendendo il momento migliore per realizzarla. Poiché voleva privarsi di tutto per dedicarsi ancor più completamente alle cose celesti, il Signore contribuì a questo suo desiderio e chiamò a sé Monsignor André Frémyot, Arcivescovo di Bourges e suo unico fratello. Tre mesi prima di quella morte, con grande spirito profetico, lei gli aveva scritto parole forti e tenere al contempo, con le quali lo scongiurava di prepararsi alla sua fine, come del resto anche lei stava facendo, perché sapeva che entrambi avevano ancora poco tempo da trascorrere in questo mondo. Poiché abbiamo già parlato delle grazie e della virtù che quell’uomo di Dio aveva ricevuto dal Signore, spenderemo in questa occasione qualche parola per descrivere la felice conclusione della sua vita terrena. Da circa quindici anni quel buon prelato perseverava nello stato di pietà che Dio gli aveva fatto la grazia di abbracciare a seguito di quella grave malattia di cui abbiamo parlato. La sua bontà e benevolenza erano talmente grandi che il defunto Vescovo di Ginevra, fratello del Beato Padre, diceva che credeva che Dio e gli Angeli si fossero innamorati di quell’anima. Le sue elemosine e i suoi gesti di carità erano innumerevoli; i grandi beni che possedeva li condivideva generosamente e, negli ultimi anni della sua vita, più di duecento, a volte anche trecento poveri, provenienti sia dalla Lorena che da altre regioni, ne hanno beneficiato; li nutriva e offriva loro lavoro nella sua abbazia di Ferrière. Se non fosse stato per questa sua attività caritativa si sarebbe 237 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ritirato presso gli Oratoriani o i Certosini molti anni prima della sua morte. Provava infatti un forte desiderio di allontanarsi dai clamori del mondo. Ecco cosa scriveva a questo proposito alla Beata Madre: «Insomma, mia cara sorella, devo proprio fare a meno del dolce riposo che speravo trovare nella solitudine. Tutti mi mostrano infinite ragioni che vanno contro questo mio desiderio. Questo è per me difficile da sopportare, ve lo assicuro, perché devo vivere a Parigi secondo i costumi parigini, avere un seguito, frequentare le compagnie e tutto ciò mi distoglie dalla vera devozione e dalla meditazione verso la quale ogni giorno che passa mi sento sempre più attratto. Se ascoltassi il mio cuore e osassi andare contro il parere di tutti, andrei a rinchiudermi presso i Certosini o gli Oratoriani, non per entrare nelle loro congregazioni, ma per vivere lontano dal mondo e avere qualcuno a cui affidarsi in quanto superiore, obbedendogli in tutto». Fin qui le parole del Vescovo di Bourges che dimostrano come Dio lo stava predisponendo alla sua dipartita. Si ammalò all’inizio del 1641, ma poi scrisse alla sorella che era completamente guarito. Sorrise davanti al crocifisso che era sul tavolo e ci disse: «È guarito, ma non andrà molto lontano». Gli rispose subito per pregarlo che si preparasse alla morte e gli chiese anche di pregare per lei durante la messa. Non crediamo che lei sapesse che proprio quell’anno doveva essere l’ultimo sia per lui che per se stessa, perché talvolta ci diceva il contrario e cioè che, sebbene sperasse di non superare il suo settantatreesimo anno di vita, si sentiva abbastanza forte per poterlo fare. Monsignor de Châlons, nipote del Vescovo di Bourges, e la signora di Toulonjon, sua nipote e unica figlia della Madre di Chantal, si recarono a Parigi per alcuni affari. Ma quanto è dolce la Provvidenza del Signore, che, in realtà, li volle là per ricevere l’ultimo sospiro dello zio! Due giorni dopo il loro arrivo il Vescovo di Bourges, mentre diceva la messa per i frati Minimi che amava molto, si sentì male sull’altare e riuscì a stento a portare a termine la celebrazione; prese una medicina e tutto sembrava passato. La sera Monsignor de Châlons, l’abate di Saint-Satur e madame de Toulonjon andarono a mangiare da lui. Iniziò mangiando d’appetito, ma verso la fine della cena svenne. Fu messo a letto e gli fu fatto un salasso. Si riprese e, sentendosi meglio, avrebbe voluto l’indomani, giorno dell’Ascensione, dire come d’abitudine la messa. Gli fu impedito e dovette rassegnarsi ad ascol238 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tarla. A mezzogiorno fu colto nuovamente dall’apoplessia e gli fu applicato un altro salasso; si riprese un po’, sebbene fosse rimasto piuttosto intontito. L’indomani, venerdì, ebbe un altro attacco, gli fu fatto un salasso al piede e questo gli permise di avere degli intervalli di lucidità durante i quali gli fu somministrata l’Unzione degli Infermi. Di tanto in tanto pronunciava bellissime parole devote, dimostrando che il suo cuore era perfettamente sereno. Dopo aver ricevuto i sacramenti, impartì la sua benedizione, ma poi cadde in un lungo torpore, dal quale si risvegliava per lanciare delle urla con le quali chiamava il Signore. Questi suoi lamenti gettavano nello sconforto i presenti e soprattutto sua nipote; ciò nonostante i medici sostenevano che non stesse soffrendo e che quelle grida erano conseguenza delle convulsioni. Il sabato ebbe un momento di lucidità e fece la comunione come Viatico dalle mani del parroco di San Paolo. Come estremo rimedio i dottori gli applicarono un salasso alle tempie e, sebbene non fosse cosciente, dovettero tenerlo fermo perché aveva conservato tutta la sua forza. Da quel momento cominciò a gridare parole bellissime al Signore; si muoveva continuamente senza trovare requie; gli salì la febbre che non lo lasciò fino al lunedì seguente, giorno in cui rese la sua anima al Signore. Morì tra le undici e le dodici del 13 maggio, assistito da quei frati Minimi che aveva tanto amato. Così come Francesco di Sales fa notare a Filotea, quando muore qualcuno tutti si preoccupano di seppellire il suo corpo e così fu anche per quel buon arcivescovo. Si parlò di portarlo nella sua abbazia di Ferrière e fu per questa ragione che fu cosparso di profumi; ma l’abate di Saint-Satur disse che doveva essere sepolto presso le suore della Visitazione a Saint-Antoine: aveva infatti consacrato la loro chiesa, era il fratello della Fondatrice di quell’Ordine ed era stato anche commissario per la causa di beatificazione del Fondatore. Madame de Toulonjon insistette affinché lo zio fosse sepolto nella chiesa del nostro monastero e la sorella Hélène-Angélique Lhuillier addusse tali solide ragioni che si decise infine di tumularlo alla Visitazione. Dovettero esporre quel corpo per due giorni perché tutta Parigi era accorsa a vederlo: era più bello che mai e, di fatto, quella breve malattia non lo aveva per nulla segnato. Finalmente con un prestigioso corteo funebre fu portato nella nostra chiesa parigina dove rimase una notte. La chiesa era addobbata di nero, ornata da più di trecento 239 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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scudi delle armi del defunto. Metà della chiesa era occupata dai vescovi e da altre persone di rango; la messa fu officiata dal vescovo di Amiens e da altri quattro prelati, rivestiti di mitrie bianche; Monsignor Pierre Camus, vescovo di Belley, tenne l’orazione funebre, nella quale mise in rilievo il cuore, la dolcezza e la tenerezza che quell’uomo aveva dimostrato nel corso della sua vita verso amici e nemici; era certo che stesse già godendo della felicità eterna. Si stabilì una data per celebrare delle messe presso le nostre sorelle, a Ferrière e a Digione, dove fu portato il suo cuore. Il giorno dopo la sua morte cinquanta chiese e conventi parigini ricevettero dieci scudi per celebrare una messa per il defunto. Molti sacrifici eucaristici furono offerti, a Parigi, a Digione, a Bourges e in tutte le nostre case, per assicurare il riposo eterno a quell’anima che, in vita, tanto bene aveva fatto ai poveri. La Beata Madre apprese la notizia della morte del fratello mentre stava per prendere la santa Comunione; dimostrò da subito la sua usuale grande rassegnazione, perché, dopo aver un po’ pianto, ritornò ai suoi esercizi dando testimonianza di un cuore preda in realtà di una grande gioia. Ci disse che non aspettava altra notizia e che quello che la commuoveva era constatare che, pur essendo più vecchia di quel fratello, rimaneva ancora in questo mondo, forse perché non ancora pronta per raggiungere il Signore. A tutte le case del nostro Ordine, con grande umiltà e servendosi di poche parole, raccomandò l’anima di quel caro defunto e, già da più di un anno, chiedeva anche che pregassero affinché anche lei potesse compiere serenamente quell’ultimo passo.

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XXIX.

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LA BEATA MADRE È DESTITUITA DALLA CARICA DI SUPERIORA. LA SUA PERFETTA UMILTÀ E CARITÀ

Giunto il momento della sua deposizione, Giovanna Francesca rinunciò di cuore e per il resto dei suoi giorni alla carica di Superiora. Durante un capitolo ci convinse a non pensare più al suo nome per quell’incarico così oneroso. Ci mettemmo tutte a piangere: parlava con l’ardore di un serafino e l’umiltà di una vera santa. Chiese perdono a tutte le sorelle, in particolare a quelle che poteva non aver appagato pienamente; assicurò loro che se ciò era accaduto non lo aveva fatto per cattiva volontà e che sempre aveva agito secondo ciò che credeva fosse giusto fare. Poi fece una cosa che non aveva mai fatto durante un capitolo: venne ad abbracciarci maternamente una per una, congedandosi come Superiora, non permettendoci però di dire niente. Con brevi e ferme parole ci parlò delle virtù e delle capacità della Madre Marie-Aimée de Blonay, perché la maggior parte della comunità non l’aveva mai vista. Né gli sforzi delle sorelle consigliere, né le lacrime della comunità poterono impedire che il nome della Madre di Chantal fosse messo nel catalogo delle sorelle eleggibili. Finalmente, il giovedì prima dell’Ascensione del 1641, secondo la regola, fu eletta la carissima Madre Marie-Aimée de Blonay, non solo canonicamente, ma all’unanimità, fatto che procurò una grande gioia alla Fondatrice, che desiderava proprio che quella sorella fosse eletta. Ringraziò la comunità per la fiducia che le aveva dimostrato con quella scelta. In attesa che la neo-eletta arrivasse dal monastero di Bourg, la Beata incontrò per due volte la comunità, istruendola su come ci si doveva comportare nei confronti delle nuove superiore, soprattutto quando vengono in monasteri dove non sono conosciute. Ci raccomandò in particolare di non denigrarci a vicenda davanti a quella nuova Madre, prospettandoci il male gravissimo che compirebbe chiunque 241 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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raccontasse gli errori passati di una sorella. Ci disse che dovevamo fare come il Signore, che dimentica il passato; se lei si fosse accorta di una nostra mancanza in tal senso, avrebbe inflitto sonore penitenze. Aggiunse che una Superiora deve conoscere solo ciò che accade sotto la sua giurisdizione e non ciò che è passato. Se avessimo agito diversamente avremmo peccato contro la carità, a meno che non lo avessimo fatto perché costrette, ma senza passione né interesse. Lei stessa, al momento del passaggio delle consegne, in qualità di precedente Superiora, avrebbe descritto le nostre buone disposizioni, i nostri talenti, le nostre qualità interiori, affinché capisse in che modo guidare al meglio la nostra comunità; qualunque Superiora deposta deve rendere questo servizio alla neo-eletta, evitando però di parlare degli errori passati e ormai cancellati. Talvolta anche lei si stupiva di come esistano delle anime che si dilettano a far riemergere gli errori commessi parecchi anni prima, al fine di gettare dei pregiudizi sul prossimo; disse però che, in questi casi, la punizione divina è durissima. Aggiunse ancora che non ci aveva molto parlato delle virtù della Madre de Blonay prima dell’elezione per paura che pensassimo che lei volesse mostrare la sua propensione per quella sorella: voleva infatti lasciare agire lo Spirito Santo, ma ora era ben lieta di potercene parlare. Scrisse a quella Madre per sollecitare il suo arrivo e si vedeva proprio che non desiderava altro che rimettersi all’obbedienza di qualcuno. Si era occupata personalmente di farle preparare il letto e la camera e in qualunque momento ci invitava ad amarla e ad obbedirle, come anche ad amarci e sopportarci a vicenda. Se ci incontrava all’uscita della ricreazione o di un’assemblea ci diceva con un viso appassionato: «Mie care sorelle, amore, amore, amore!». Il giorno in cui quella cara Madre arrivò, saputo che era alla porta, Giovanna Francesca corse ad accoglierla, la abbracciò e gettandosi in ginocchio ai suoi piedi disse: «Ecco mia Madre, mia figlia, mia sorella, il mio cuore e la mia stessa anima». Si rialzarono e, prima di salutare la comunità, la Fondatrice volle che andassimo tutte insieme a rendere grazie al Signore e a Francesco di Sales per quel felice arrivo e sorridendo disse a una nostra sorella: «Che ci faccio ancora in questo mondo, ora che il monastero di Annecy è provvisto di una Madre come io desideravo?». Disse poi alla Madre di Blonay: «Mia diletta

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Madre, da molti anni avevo voglia di rivedervi in questa casa e da nove mesi vi chiedo a Dio con insistenza». Il giorno dopo il suo arrivo, al mattino, Giovanna Francesca si recò nella stanza della nuova Superiora per darle il buongiorno e informarsi su come aveva trascorso la notte mostrando un atteggiamento di grande rispetto e deferenza. Tuttavia dopo qualche giorno si verificò un dissenso tra di loro: la Madre di Blonay, infatti, non poteva accettare che la nostra santa e venerabile Fondatrice all’età di quasi settant’anni vivesse in un rango modesto, con una sorella del piccolo abito; ma lei amava e difendeva talmente quel suo stato di inferiorità che non accondiscese mai ad assumerne un altro. Quando ne parlava testimoniava sempre il rammarico che provava nel vedere che la Superiora si dispiacesse per quello: si stupiva infatti che le sorelle la credessero in uno stato di umiliazione, perché in realtà per lei non vi era nulla di più onorevole per una religiosa che osservare la sua regola. E quando la Superiora non voleva che lei facesse pubblica ammenda delle sue colpe, o che si mettesse in ginocchio per ricevere i consigli elargiti alla comunità, lei esclamava: «Ahimè! La nostra cara Madre vuole privarmi di tutta la mia gioia». Poiché quella controversia andò avanti, fu necessario chiamare i superiori per dirimerla; la Beata Madre però spiegò loro il suo punto di vista, e loro emisero un giudizio in suo favore. Né il Vescovo di Ginevra, né il nostro Padre spirituale vollero sentire altra ragione: nessuno poteva obbligare la Fondatrice ad assumere un rango diverso da quello che stava occupando, in primo luogo perché nel Regno dei Cieli gli ultimi saranno i primi; poi perché bisogna far godere a quella Madre il riposo e la serenità della semplicità e, in ultima analisi, anche Gesù Cristo, fondatore del mondo e della Chiesa, ha voluto essere l’ultimo degli ultimi e prima di affrontare la sua Passione si inginocchiò ai piedi dei suoi discepoli. Questa conclusione consolò molto Giovanna Francesca la quale si sentì in dovere di confessare una sua colpa e cioè di aver fatto fare qualcosa ad una consorella senza aver prima chiesto il permesso. In alcune lettere ad altre superiore deposte comunicò loro la gioia di sentirsi in uguale condizione e le incoraggiava a profittare nella maniera migliore di quel tempo. Ricordava loro che, una volta deposte da quella carica, non dovevano avere più alcuna pretesa di autorità né di guida; diceva infatti che “deposta” significa “tolta” e, quindi, intera243 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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mente destituita dall’incarico; sarebbe infatti ipocrita, precisava, dimettersi da quella carica e conservare le abitudini e il comportamento di chi governa la comunità 76; sarebbe stato fare come Rachele, che uscì dal suo paese portandosi però dietro l’idolo 77. Pregò la Madre di Blonay di farsi carico della sua direzione, servendosi della mortificazione e facendole la grazia di non parlarle più di cose contingenti; grazie a Dio la casa era in buone condizioni e lei non voleva più occuparsene, perché le cose terrene erano per lei un fardello troppo pesante. Chiedeva solo la libertà di poter vedere le lettere che i monasteri le scrivevano e di disporre di alcune sorelle che potessero aiutarla a rispondere. Da che fu deposta il suo carattere diventò ancor più dolce ed amabile; era sempre intenta ad occuparsi delle cose di Dio, tanto che alcune di noi temevano che quella fiamma divina stesse elargendo i suoi ultimi bagliori di luce. Talvolta ci diceva che provava una grande gioia nel vedere quanto la nostra comunità amasse la sua Madre Superiora; provava per noi un affetto tenerissimo, paragonabile a quello delle vecchie nonne per i nipotini; spesso si serviva di similitudini dolci come questa che avevano sempre lo scopo, mortificandola, di invitarci alla stima e alla fiducia verso la superiora, all’unione tra noi, che, con tutto il cuore, speravamo conservare ancora a lungo e in salute quella vera e degna Madre dei nostri cuori.

76 Disse un giorno la Fondatrice: «Per quanto mi riguarda, quando sarò deposta, rimarrò fedele al mio dovere e non mi immischierò di nulla. Se vorranno parlarmi dei problemi della casa, li ascolterò; se non me ne parleranno, io non chiederò nulla, né me ne preoccuperò, ma ne lascerò la cura a chi ne sarà incaricata. Non ho fatto forse proprio così quando la sorella Péronne-Marie de Châtel era Superiora? Certo, lei si occupava di tutto senza raccontarmi nulla; accoglieva le ragazze, gestiva le loro doti, si occupava delle cose pratiche senza farne parola con me, ma neanch’io le chiedevo nulla. Spero di riuscire a comportarmi ancora così quando sarò deposta e, se piacerà a Dio cercherò di essere un esempio in tal senso. C’è ancora una cosa che mi dispiace grandemente: qualcuna di noi si offende se per sei anni consecutivi non è eletta Superiora. Lo si percepisce come un disonore e un torto personale e si fa fatica ad accettarlo. Quanto queste vanità sono lontane dallo spirito della Visitazione! A me provocano solo un grande dispiacere!». (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa). 77 Ndt: Cf. Gen 31.

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XXX.

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LA SUA ELEZIONE A MOULINS E IL SUO ULTIMO ADDIO AL PRIMO MONASTERO DI ANNECY

Da più di diciotto mesi i monasteri di Parigi e di Moulins chiedevano che la Beata Madre compisse ancora un viaggio in Francia; come al solito, sottomise la sua decisione alla volontà del Vescovo di Ginevra, il quale già più volte aveva detto e scritto che non voleva che la Fondatrice lasciasse più Annecy. Ma le sorelle di Moulins decisero unanimemente di eleggere la Madre di Chantal sebbene non fosse nel loro catalogo. Quando lei lo apprese disse: «Rinuncio a qualunque carica», e scrisse alla Madre deposta e alle sorelle per dire loro che quella elezione sarebbe stata per loro inutile; solo su ordine dei suoi superiori avrebbe accettato la carica di superiora e sperava proprio che non glielo ordinassero; riteneva più opportuno impiegare il poco tempo che le restava da vivere nell’obbedienza. La signora di Montmorency, vedendosi rifiutare quel viaggio per la seconda volta, scrisse alla Beata Madre una lettera nella quale le diceva: «Mia cara Madre, tutti questi rifiuti non mi scoraggiano; voi verrete e Dio provvederà a ciò che gli uomini non vogliono fare». Quando ad Annecy compresero che la Francia voleva ancora rivedere Giovanna Francesca, i cittadini più in vista cercarono in tutti i modi di impedire quel viaggio: temevano infatti che, considerata la sua età, se fosse morta fuori dalla Savoia non avrebbero mai riavuto il suo corpo. Il signor Barfelly scrisse a Sua Eccellenza affinché lui o Madama Reale scrivessero una lettera con la quale impedire alla Fondatrice di lasciare quello Stato. Nel frattempo Dio concesse a madame de Montmorency ciò che finora le era stato negato: il Vescovo di Autun, dopo aver scritto al Vescovo di Ginevra, ordinò alla Beata Madre di dirgli se lei giudicava necessario quel viaggio. Per obbedienza lei gli rispose che riteneva che se lui glielo avesse ordinato avrebbe com245 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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piuto la volontà di Dio. Quel degnissimo prelato disse che se quella Beata non gli avesse parlato in quel modo, non avrebbe dato il suo permesso, come invece fece. La Madre di Blonay e il nostro capitolo, considerando i sentimenti di Giovanna Francesca e il desiderio della signora di Montmorency, non vollero opporsi. Non appena questa decisone fu presa la Fondatrice manifestò visibilmente la gioia di poter compiere un ultimo sforzo per il bene dell’Istituto e poter così concludere la sua vita al servizio dell’Ordine. Il suo viso cambiò, sprizzava allegria e parlò alle sorelle con materna bontà. Contrariamente alle sue abitudini mandò a chiamare gli amici del monastero per congedarsi da loro. A un uomo virtuosissimo di questa città rispose a proposito del timore che molti nutrivano che lei potesse non tornare più: «Rassicuratevi: viva o morta ritornerò qui!». E al signor Piolon, che da una ventina d’anni considerava come un fratello spirituale, disse che partiva felice per quel viaggio, perché era convinta che fosse la volontà di Dio; con ammirevole ardore aggiunse poi: «Vedete, mio carissimo fratello, io voglio solo compiere la volontà del Signore e se venissi a sapere che Lui vuole che io affoghi, correrei senza indugio a buttarmi nel lago». Fece scrivere a quasi tutte le nostre case per congedarsi e per chiedere che pregassero affinché Dio benedisse quel viaggio. Lasciò molti altri fogli in bianco firmati perché la suora che scriveva per lei li redigesse e li inviasse a suo nome dopo la sua partenza. Ad alcune Superiore diceva che mai aveva intrapreso più gioiosamente un viaggio: prevedeva infatti di ricevere con quell’occasione grandi benefici per alcune sue case e per la sua anima; aveva proprio voglia di parlare della sua vita interiore con l’Arcivescovo di Sens e con Padre Vincenzo. Questa casa in fondo era così ben avviata e dotata di una Madre così buona che era necessario che lei andasse a prestare il suo servizio altrove. Inoltre era molto serena, perché ad Annecy lasciava l’onoratissima Madre Marie-Aimée de Blonay. Dopo aver parlato in privato ad ogni sorella volle parlare alla comunità per esortarla all’amore vicendevole, nel quale è racchiusa la vera felicità. Voleva che sapessimo che l’avremmo sempre trovata ai piedi della croce, alla quale, con l’aiuto di Dio, si sarebbe aggrappata. Aggiunse che dovevamo essere grate per la Madre che ci era stata donata: quel pensiero le consentiva di partire serena, perché lasciava 246 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Annecy in ottime mani. Ci fece poi disporre ordinatamente all’interno della stanza delle assemblee e, senza permetterci di metterci in ginocchio, ci abbracciò tutte, una dopo l’altra, sussurrando all’orecchio di ognuna parole conformi alle nostre necessità interiori; poi impartì a tutte la sua benedizione. La Madre de Blonay, in principio assente perché si stava sciogliendo in lacrime, ci raggiunse poco dopo. Rimasero sole e nel corso di quel colloquio chiese a Giovanna Francesca dei suggerimenti per la sua vita spirituale e di consigliarle una pratica interiore che avrebbe seguito durante la sua assenza; la pregò anche di darle un libro da leggere. La Fondatrice fece quanto le aveva richiesto più per obbedienza che per volontà di guidarla. Una sorella, avendo visto che la Madre di Chantal si stava congedando in maniera così solenne e con tanta gaiezza, lei che invece di solito quando ci lasciava mescolava le sue lacrime alle nostre, le disse: «Madre mia, non ci rivedremo più. – Può darsi, figlia mia, le rispose serenamente. – Riprese la sorella: chiedetelo al Signore. – No, rispose lei, sia fatta la Sua volontà; ci rivedremo in questa o nell’altra vita». Finalmente il 28 luglio 1641 la Beata Madre uscì da questa casa. Fuori dal portone del monastero c’era una folla immensa che la aspettava; molte persone si erano disposte lungo le strade per poterla salutare. Lei fece una cosa che non aveva mai fatto: fece sollevare la sua lettiga e offriva le sue mani da un lato e dall’altro alla gente, salutandola. Anche i malati si erano fatti portare alle finestre per vederla passare. Ahimè! Non pensavamo affatto che quel saluto fosse definitivo, perché la Madre in quel periodo era in buona salute e in forze tanto che speravamo, supportate dal parere del nostro medico, che vivesse ancora almeno una quindicina d’anni. Incontrò le sorelle di Rumilly, Belley e Montluel e ovunque la sua persona diffondeva un profumo di santità che stupiva coloro che la incontravano. Rimase nel nostro monastero di Lione, a Belle-Cour, per quattro giorni ; parlò a tutte le sorelle e tenne delle assemblee generali piene di ardore e di santo zelo; il suo fervore e la sua gioia erano accresciuti dalla venerazione per il cuore del Beato Padre. Proseguì il suo viaggio passando da Moulins, dimostrando una gioia capace di contagiare chiunque stesse con lei. Madame de Montmorency, conoscendo il giorno in cui la Fondatrice sarebbe passata da Moulins, fece affiggere un avviso che potesse essere letto da tutte le sorelle. Non è 247 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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certo necessario descrivere l’accoglienza che Giovanna Francesca ricevette in quella città, soprattutto da parte di quella gran dama. In tutte quelle occasioni non volle mai sedersi al posto della Superiora, mantenendosi sempre defilata e incaricando l’assistente di svolgere quel compito di guida. Nessuno riuscì mai a convincerla ad impartire la benedizione della Compieta, anzi si inchinava come le altre per riceverla. Subito si mise a lavorare per la casa di Moulins: parlò a tutte le sorelle, fece eleggere una Superiora, ne inviò una a Vannes e quella deposta a Moulins fu destinata a Semur. Ma chi può descrivere le gioie reciproche che madame de Montmorency e la Madre di Chantal si offrirono reciprocamente! Certo, è meglio tacere, perché la cosa è indescrivibile. Vi era una tale e profonda unione di cuori tra quelle due anime del Signore che la stessa Beata Madre diceva che il suo era inseparabile dal cuore di quella signora. Ma quella gioia fu di breve durata perché Giovanna Francesca dovette ripartire per Parigi. La regina 78 attendeva il suo arrivo e così il nostro vescovo dovette sollecitare la partenza della Beata Madre per la capitale. La regina aveva disposto di mandarle incontro una delle sue lettighe. La Fondatrice passò per Nevers, dove il vescovo sperava di trattenerla un giorno in più; lei gli rispose: «Monsignore, poiché me l’ordinate lo farò, ma sappiate che dovrò togliere quella giornata a mia figlia, madame de Toulonjon». E così fu: rimase una notte sola a Saint-Satur con la figlia, rinviando il loro incontro al suo ritorno da Parigi. Arrivata nella capitale la regina volle che passasse da Saint-Germain, dove si trovava Sua Maestà. Quella grande principessa dimostrò di provare un grande desiderio di incontrarla e il giorno fissato per il suo arrivo si informò più volte se era arrivata oppure no. Le andò incontro assieme al Delfino 79 e al Duca d’Angiò; la condusse nel suo studio dove si intrattennero per due ore e in quell’occasione le chiese di lasciarle qualcosa di suo per poterlo custodire gelosamente. La trattò con grande onore, come si addiceva alla grandezza e alla pietà di quella serva del Signore.

78 Ndt: Si tratta di Anna d’Austria (1601-1666), moglie di Luigi XIII (1601-1643). 79 Ndt: Si tratta del futuro re Luigi XIV (1638-1715).

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XXXI.

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IL SUO ULTIMO SOGGIORNO A PARIGI, A NEVERS E A MOULINS

Non diremo con quale gioia e onore fu ricevuta nei nostri monasteri parigini e negli altri presso i quali si fermò durante quel viaggio; è sufficiente dire che ovunque la sua persona diffondeva il profumo della sua profonda umiltà e la soavità della sua santa dolcezza: i cuori restavano rapiti dallo zelo e dall’impegno che profondeva nell’osservanza. Durante quel soggiorno non sconfessò la definizione di Parigi come “città di mondo”, perché dovette affrontare un mondo di questioni e di persone 80 che, da ogni parte della Francia, erano venute per incontrarla. Per soddisfare tutta quella gente era costretta talvolta ad alzarsi alle tre o alle quattro del mattino per pregare e avere così poi il tempo per dedicarsi alla risoluzione delle altre questioni. In questo modo dava equamente a Dio quello che è di Dio e al prossimo quello che gli spetta. Le nostre sorelle parigine ci scrissero che erano estasiate nel vedere l’incredibile equilibrio con cui la Madre di Chantal curava i suoi obblighi di preghiera e la gestione degli affari terreni. Un giorno, avendo dormito pochissimo ed essendosi alzata di buon mattino, si assopì durante la preghiera. Non appena se ne accorse si alzò in piedi di scatto e continuò la meditazione in quella postura; aveva un viso così infiammato di devozione che pareva un angelo. Madame de Port-Royal e le Madri carmelitane desideravano fortemente che visitasse i loro monasteri; lei accettò benevolmente e con 80 Ndt: La frase in francese contiene un sottile gioco di parole intorno alla parola

“monde”, che, anche se parzialmente, abbiamo voluto mantenere in italiano. “Monde”, nella lingua della Chaugy, può definire infatti sia la mondanità, sia una quantità indefinita ma cospicua (corrispondente all’espressione italiana “un mondo di…”), sia una moltitudine di persone (il y a beaucoup de monde = c’è molta gente).

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grande accondiscendenza perché non sapeva rifiutare nulla al prossimo di ciò che legittimamente le chiedeva. In quel periodo il suo viso era come trasfigurato dalla virtù: le nostre sorelle di Parigi avevano un gran daffare per riuscire a soddisfare tutte le persone che chiedevano di incontrarla, vederla o avvicinarla anche solo per farle sfiorare i loro rosari o altri oggetti. Eppure, colei che sembrava l’aurora di un giorno splendente era invece, dal punto di vista terreno, molto vicina al tramonto dei suoi giorni. Prima di lasciare Parigi volle ricevere la benedizione del Cardinale de La Rochefoucault e si raccomandò alle sue preghiere. Quel venerabilissimo prelato, testimoniando così l’alta stima che nutriva per lei, le rispose che era lui ad aver bisogno della sua benedizione e delle sue preghiere. Durante quel soggiorno nella capitale piacque al Signore di operare due guarigioni miracolose per intercessione di Giovanna Francesca. La regina, sapendo che stava per partire, le chiese di ripassare da Saint-Germain, ma poiché la Fondatrice sapeva che sarebbe stato presente anche il re, si scusò adducendo ragionevoli motivi religiosi che la regina accettò. Alla partenza da Parigi la sua salute sembrava buona; in realtà erano lo zelo e il fervore a sostenere la debolezza del suo fisico. Non rifiutava nessun impegno e diceva sempre che il Padre dei Cieli le aveva dato uno stomaco fortissimo per sopportare anche ciò che era per lei più pesante e noioso. Ottenne la grazia, che intensamente aveva chiesto al Signore, di poter incontrare e conferire a piacere con il Vescovo di Sens, ricevendo da lui tanto bene e sollievo spirituale; Dio volle infatti che la sua vita, percorsa da tante sofferenze e travagli interiori, si concludesse invece con una sensazione di amorevole pace. Come se avesse previsto il momento imminente della sua morte, si fece consigliare dall’Arcivescovo di Sens il modo migliore per disporsi a quell’estremo passaggio: per cominciare fece un esame generale di tutta la sua vita e della sua anima davanti a quel sacerdote che tanto stimava. Non ne parleremo in questa sede, perché la testimonianza più ricca e fedele di quel colloquio si trova nel racconto che lo stesso Vescovo di Sens ha scritto alla Madre de Blonay 81. 81 Ecco un frammento importante di quelle Deposizioni: «Mi è difficile esprimere

la dolcezza, la tranquillità, l’amore di Dio e il desiderio di unione a Lui che ho letto in quell’anima, che si offriva a Dio in olocausto profumando di incenso, di mirra e delle

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Arrivò nel nostro monastero di Nevers. Il 24 e il 25 novembre stette molto male tanto che i medici pensarono fosse un presagio di una fine imminente; malgrado ciò non si prese neanche un giorno di riposo: il 26 si alzò alle cinque e mezza del mattino per andare in coro a pregare con la comunità. Davanti alla preoccupazione delle sorelle lei rispose: «Figlie mie, bisogna sempre desiderare ciò che Dio vuole e morire quando a lui piacerà». Aggiunse poi che non gradiva che si premurassero troppo di servirla e che non accettava affatto le delicatezze e le squisitezze che volevano prepararle. Ripeteva infatti: «Povertà, umiltà, semplicità: ecco le nostre regole». Tornava da Saint-Germain, dove aveva ricevuto tanti favori dalla regina; da Parigi, dove era stata onorata come una santa, ma di tutto ciò non faceva parola. Se la si interrogava a questo proposito mostrava indifferenza, come se quasi lo avesse dimenticato; si animava solo quando parlava della perfetta osservanza, dell’amore reciproco e dello spirito di umiltà. Testimoniò alle sorelle di Nevers la sua disapprovazione per la loro abitudine a cantare le litanie in coro a quattro voci, perché l’ammirazione che quel canto suscitava presso la gente era un peccato contro l’umiltà delle altre figlie della Visitazione. Sempre a quelle sorelle – che ce lo hanno riferito con santa sincerità – manifestò il suo rammarico per aver visto un portale troppo bello sulla facciata della loro chiesa e le invitò a scrivere a tutte le case dell’Ordine ammettendo il loro errore, affinché nessun altro le imitasse in futuro. Diceva loro sovente: «Con il nostro Fondatore, bisogna amare la povertà e la semplicità di vita! L’apparenza è contro queste virtù benedette». E aggiungeva anche: «Se trovaste qualcuno che vuole acquistare quel portale, dovreste venderglielo». In quel monastero incontrò una nostra

migliori essenze. Anche quando ci separammo, mi prese da parte per domandarmi: “Ripetetemi ancora, Padre mio, in quale disposizione devo pormi davanti alla morte, perché non voglio per nulla al mondo dimenticarla”». Dopo la morte della Fondatrice quell’illustre prelato rese ancora questa testimonianza: «Se dovessi parlare di tutte le virtù che ho visto in lei direi che l’obbedienza era ad altissimo livello, come anche la carità sia verso Dio che verso il prossimo, specialmente all’interno del suo Ordine, al quale testimoniava un amore simile a quello descritto da san Paolo quando dice Vorrei […] essere io stesso anatema […] a vantaggio dei miei fratelli (Ndt: Cf. Rm 9, 3). Dio per lei era tutto e perciò non si compiaceva neanche delle grazie che da Lui riceveva, ma pensava piuttosto all’uso che doveva farne».

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suora che era stata richiamata dalla nostra casa di La Châtre, perché là non poteva servire adeguatamente la congregazione essendo completamente paralizzata. La Beata Madre, come racconteremo altrove, la guarì e sebbene avesse cercato di tenere nascosto quel miracolo fu inevitabile che si rivelasse agli occhi di tutti. La Superiora di Nevers, congedandosi da lei, le disse: «O Dio! Devo forse pensare, Madre mia, che non vi rivedrò più in questa vita?». E, riprendendola, le rispose che bisognava servire il Signore con generosità, senza porre limiti alle nostre spoliazioni. «Figlia mia, le disse ancora, voi mi avete rivolto parole di tenerezza; ma mi ricordo che il Fondatore, quando dovevamo separarci per lunghi periodi, non voleva che io gli dicessi che il non vederlo per molto tempo mi addolorava. Anzi mi diceva: Madre mia, bisogna amare le decisioni che Dio prende per noi e andare dove ci chiama, desiderando solo la realizzazione della sua volontà».

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XXXII.

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LA SUA FELICE MORTE

Nulla di ciò che è sotto il sole è eterno e le anime più belle incontrano la morte quando meno ce lo aspettiamo. La Beata Madre appena arrivata a Moulins da Parigi cominciò a non sentirsi molto bene e capì che la sua fine era prossima. La attendeva da più di quarant’anni, praticando accuratamente tutte le virtù, ma volle ancor meglio predisporvisi. Per questa ragione sabato 7 dicembre, vigilia dell’Immacolata, sebbene si sentisse molto stanca e fiacca, andò in refettorio, si mise in ginocchio con le braccia aperte a croce come l’ardente Apostolo delle Indie 82 e ripeté due volte queste parole: O Mater Dei! memento meî 83; poi aggiunse in francese: «Santissima Madre! Per la vostra Immacolata Concezione ricordatevi di assistermi sempre, ma soprattutto nell’ora della mia morte». Passò una parte della ricreazione serale parlando con la duchessa di Montmorency di cose sante ed utili. La sera, verso le nove, avrebbe voluto attraversare il grande cortile che separava la sua camera dall’infermeria per andare a consolare una sorella malata che temeva di morire, ma poiché glielo impedirono decise di inviare la Superiora alla quale affidò parole di fiducia in Dio; poi, tirando un profondo sospiro, disse: «Ahimè! Quante cose si devono fare al momento della nostra morte, e a me toccherà per prima!». L’indomani come al solito fu tra le prime ad alzarsi; era sempre la più sollecita nella ricerca dello Sposo nella preghiera, ma quella 82 Ndt: Si tratta di san Francesco Saverio (1506-1552), chiamato l’Apostolo delle Indie perché fu inviato da papa Paolo III ad evangelizzare i popoli delle Indie Orientali. 83 O Madre di Dio! Ricordatevi di me.

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mattina, non appena iniziò a pregare, fu colta dalla febbre. Non sospese la meditazione e dopo l’ora Prima andò in infermeria a trovare la sorella malata, con la quale si intrattenne a lungo, sebbene i brividi della febbre si facessero sempre più sentire. Volevano che si sdraiasse o almeno che prendesse la comunione prima della comunità, per evitare che prendesse freddo. «No, no – disse lei gentilmente – ho bisogno solo di restare qui vicino a Dio, in raccoglimento e tenendo il mio libretto in mano». (Si tratta di una raccolta, redatta da lei stessa, delle regole principali che il Beato Padre le aveva dato per la sua vita interiore). Poi aggiunse: «Lasciatemi ancora la gioia di potermi comunicare insieme alla comunità; oggi è un giorno particolare, perché trentun’anni fa il nostro Beato Padre mi concesse la grazia di potermi avvicinare all’Eucaristia quotidianamente, malgrado la mia indegnità». Partecipò al sacro banchetto con la comunità, ma appena finì la Messa fu necessario portarla a letto. Fu chiamato subito il medico della duchessa di Montmorency che pensò fosse solo un problema di raffreddore e di febbre. Ma verso le quattro del pomeriggio capì che quel rialzo termico poteva essere molto pericoloso perché era causato da un’infiammazione al petto. Sarebbe dar spazio al superfluo, cosa che vogliamo assolutamente evitare, se dicessimo che tutto ciò che si poteva fare fu fatto per cercare di dare sollievo a quella malata tanto preziosa: qualunque rimedio conosciuto le fu applicato e la signora di Montmorency arrivò persino ad offrire la sua stessa vita per salvare quella della Madre di Chantal. La Madre di Musy, allora Superiora, offrì anche lei la sua e, con il loro consenso, anche quella di tutte le sue figlie. Ma la volontà di Dio è imperscrutabile e appartiene a Lui solo. Fu esposto il Santissimo nel nostro monastero per le quarant’ore. Tutte le case religiose di Moulins si misero in preghiera. Elemosine, voti, messe furono offerti e Dio volle che le ali di quella colomba che stavano spiccando il volo verso l’eternità fossero più forti di tutte le potenze che volevano trattenerla sulla terra; il suo male aumentava e lei si sentiva sempre più vicina al suo vero Bene. Il martedì mattina disse a suor JeanneThérèse, che le era accanto, che voleva comunicarsi per abbandonarsi alla volontà di Dio. La sorella capì che stavano per separarsi. Il quarto giorno, all’una di notte, il male aumentò a tal punto che il medico disse che non c’erano più speranze e ordinò che le fosse dato 254 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il Viatico. Madame de Montmorency, che praticamente non lasciava mai la stanza dove si trovava la Fondatrice, si mise a piangere e la scongiurò di farsi portare le reliquie del Beato Padre. Lei le rispose: «Signora, io lo voglio perché voi lo volete». Con grande deferenza si avvicinò a quelle sante reliquie, che tanti malati avevano guarito e con le mani giunte disse a gran voce: «Dio mio, se questa è la vostra volontà e la vostra gloria, per la consolazione di questa cara signora fatemi guarire per intercessione del nostro Beato Padre». Poi aggiunse: «Io non credo però che voglia che io guarisca». Accorgendosi che tutta l’assemblea all’udire quelle parole si stava commuovendo disse ancora: «Dobbiamo continuare a sperare che il Beato Padre faccia qualcosa per la cara signora di Montmorency», testimoniando così anche la sua assoluta indifferenza per il suo destino. Verso le quattro del mattino fece un esame di coscienza e si confessò con il Padre de Lingendes, gesuita, che l’assistette durante questo estremo passaggio, proprio come Francesco di Sales che fu accompagnato negli ultimi istanti della sua vita da un Padre della Compagnia di Gesù. Dopo l’esame di coscienza fece chiamare il nostro confessore, che era venuto con lei da Annecy, e la sua compagna di viaggio: parlò loro per l’ultima volta e li incaricò di scrivere un suo ultimo saluto al suo caro Annecy, lettera nella quale raccomandava a noi di vivere in perfetta unione e amore reciproco, conservando la sincerità e la semplicità insite nello spirito dell’Istituto. Dovevamo soprattutto tenerci lontano dall’ambizione perché in Dio soltanto dobbiamo trovare il nostro appagamento. Colei che tanto aveva amato l’ordine e le regole nelle nostre case non volle che le fosse portato il Santissimo prima che tutta la comunità si fosse alzata. Quando sentì suonare la sveglia, con grande umiltà si predispose a riceverlo, chiedendo perdono alla comunità per averla così poco edificata e non aver osservato perfettamente le regole. Davanti al Santissimo l’ardente fiamma del suo amore fece un estremo sforzo, malgrado il dolore al petto e la debolezza causata dalla continua febbre, e con voce salda e forte disse: «Credo fermamente che il mio Signore sia presente nel Santissimo Sacramento dell’altare; l’ho sempre creduto, lo adoro e lo riconosco come mio solo ed unico Dio, mio Creatore, mio Salvatore e Redentore, il quale mi ha riscattata con il suo sangue prezioso. Offrirei la mia vita per testimoniare questo, ma non ne sono degna. Attendo la mia salvezza solo dalla sua infinita mi255 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sericordia». Dopo la comunione disse con grande fervore: «Padre mio, finché riesco ancora a ragionare, vi chiedo l’olio santo, supplicandovi di darmelo quando sarà giunto il momento». Quello stesso giorno, durante la mattinata, si intrattenne con il Padre de Lingendes a proposito dell’ultima lettera che desiderava scrivere a tutta la nostra congregazione. Il Padre ammirò molto la sua grande presenza di spirito e la fermezza del suo giudizio, malgrado la febbre alta e il dolore. Le parlò a lungo di come l’anima deve sottomettersi alla volontà di Dio e a queste parole lei contribuiva con la sua testimonianza. Vedendola molto debole, la sera, dopo la mezzanotte, la supplicarono di fare di nuovo la Comunione. Rispose che non era necessario portare tutto quello scompiglio di notte: in fondo, aveva ricevuto il Viatico e poi si sentiva così indegna di quella grazia che le era stata accordata dal Beato Padre, di potersi cioè avvicinare ai sacramenti tutti i giorni. Quel giovedì, quinto giorno della sua sofferenza, si privò dunque dell’Eucaristia per sottomettersi umilmente a Dio, alla sua malattia e alla tranquillità della notte e del silenzio monastico. Il medico le somministrò alcuni rimedi molto potenti e lei riuscì, per obbedienza e nonostante i forti dolori, a rimanere immobile per due ore. In quella posizione il male aumentò e ci si chiedeva se non era il caso di darle l’Estrema Unzione: «No, non ancora – disse lei – non c’è fretta, sono ancora abbastanza forte per aspettare». Verso le due del pomeriggio si sedette sul letto e con viso sereno, sguardo fermo e voce forte, che avrebbero potuto dare qualche speranza di guarigione, fece scrivere il suo addio a tutte le nostre case, aggiungendo sante istruzioni di umiltà, semplicità, osservanza e perfetta unione che sono diventate per noi come un materno testamento. Dopo aver trascritto questa lettera la firmò e disse che la sua coscienza era completamente in pace e che a quel punto non aveva più niente da dire. Il suo spirito era sempre ardente e pronto, ma il suo fisico invece sempre più debole. Si assopì un po’, poi si risvegliò di soprassalto credendo di aver parlato nel sonno. Si rivolse a Madame de Montmorency, pensando che, come al solito, fosse al capezzale del suo letto: «Signora, mi avete udita?», le risposero che non c’era perché era andata a cenare in refettorio. «Lasciatela stare – rispose lei – volevo solo descriverle il riposo che ho trovato in Dio». Approfittando di quell’assenza parlò alle nostre sorelle della riconoscenza che dovevano 256 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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avere verso Dio per aver chiamato tra loro quella virtuosissima principessa, che dovevano onorare e amare teneramente. In quel momento arrivò la signora di Montmorency dal refettorio e la malata le disse: «Mia cara signora, domani, Dio piacendo, vi racconterò molte cose spirituali». La sera in effetti era sempre più affaticata e dolorante. Quella notte, l’ultima della sua vita terrena, non riuscendo a riposare, si fece leggere l’epitaffio di san Gerolamo sulla morte di santa Paola. Era attentissima ad ogni parola e ripeté più volte: «Chi siamo noi? Siamo solo degli atomi davanti a simili grandi santi». Si fece anche leggere il capitolo nel quale si narrava la morte del nostro Beato Padre, per conformarsi a lui anche nell’estremo passaggio. Madame de Montmorency le era vicina quando le lessero il capitolo del libro IX del Trattato dell’Amor di Dio 84, nel quale Francesco di Sales dice: «Io o la mia Madre, perché siamo un tutt’uno, siamo malati, devo essere indifferente nella volontà di Dio, che il male superi i rimedi o, viceversa, i rimedi superino la malattia». Guardò benignamente quella signora che stava piangendo accorata e stringendole la mano le disse: «Ecco, questo è per voi» e aggiunse altre parole per avviarla verso la perfetta rassegnazione. Ammise che Dio l’aveva talmente unita al suo cuore che, malgrado la grande attrazione che sentiva per la morte, avrebbe volentieri accettato di vivere ancora un po’ per rendere felice quell’anima, perché il dolore che leggeva nei suoi occhi al pensiero della loro separazione la faceva soffrire ancor più che il suo male. Durante quella notte si fece ancora leggere, dalle Confessioni di sant’Agostino, l’episodio in cui si narra della morte di santa Monica e arrivata al punto in cui il figlio racconta che alla madre non importava morire lontana dal suo paese natale, lei disse: «Ecco, questo va bene per me», ammettendo così che le era indifferente il fatto di morire lontana dal monastero dove aveva fatto la sua professione. Verso le quattro del mattino le fu chiesto come si sentiva e lei rispose: «La natura sta portando avanti la sua battaglia e lo spirito soffre». Pochi istanti dopo, per mantener fede alla sua promessa, si intrattenne in privato con la duchessa per circa un’ora e mezza; per

84

Ndt: St. François de Sales, Traicté de l’Amour de Dieu (Pierre Rigaud, Lyon

1616).

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obbedienza impartì la sua benedizione a tutte le sue figlie, presenti ed assenti, con un pensiero particolare per la comunità di Annecy. Durante il tempo della sua malattia rispettò con grande rigore la regola del non domandare né rifiutare nulla, obbedendo in tutto e per tutto a ciò che il medico le diceva di fare. Poiché lui se ne stupì molto, lei gli rispose: «Mio signore, siamo obbligate ad obbedire al medico». Verso le otto del mattino del venerdì chiese del Padre de Lingendes, da cui voleva essere accompagnata in quest’ultimo importante passaggio della sua vita terrena. Rimasero da soli a lungo: lei gli raccontò la sua vita, soffermandosi soprattutto sul suo stato presente e chiedendogli se doveva cambiare qualcosa per disporsi al meglio alla morte. Gli disse che Dio l’aveva posta in uno stato di quiete, di semplicità e di completa fiducia nella Sua bontà tale da farle desiderare solo di aderire al Suo volere. Era stato il Beato Padre assieme ad altri sacerdoti a confermarla su quella strada. Quel buon Padre gesuita consolidò il suo stato di pace; volle poi rivelargli il contenuto del sacchettino che portava appeso al collo, supplicandolo di metterglielo tra le mani al momento dell’agonia e di seppellirlo con lei. Sentendosi venir meno gli chiese l’Estrema Unzione, che ricevette con fervore, rispondendo a tutte le orazioni; alla fine il Padre si mise in ginocchio e la supplicò di impartire la sua benedizione a lui e a tutte le figlie dell’Istituto. Lei se ne scusò, chiedendo anzi a lui che la benedicesse, cosa che fece, ma, con la forza dell’obbedienza, riuscì a costringere la sua umiltà e così, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo disse: «Mie care figlie: questa è l’ultima volta che vi parlo, perché questa è la volontà di Dio. Con tutto il cuore vi raccomando di rispettare le Superiore, vedendo in loro il Signore; siate sempre perfettamente unite, ma unite nella vera unione dei cuori», e queste ultime parole le ripeté più volte. «Vivete in semplicità e conservate sempre l’integrità della perfetta osservanza; in questo modo attirerete su di voi la benedizione della misericordia divina che io supplico di volersi posare su tutte le figlie della Visitazione». Dopo aver impartito la benedizione disse ancora alla comunità: «Figlie mie: non date eccessivo peso alle cose terrene; ricordatevi spesso che un giorno vi troverete anche voi nella situazione in cui io ora mi trovo: a quel punto dovrete rendere conto a Dio dei vostri pensieri, delle vostre parole e delle vostre azioni. Considerate solo ciò che può servire alla vostra salvezza e alla vostra 258 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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perfezione». Il Padre Rettore, vedendo le lacrime negli occhi delle nostre sorelle, fu colto anche lui dalla stessa tristezza; credendo che la malata si sarebbe troppo indebolita se avesse continuato a parlare, chiese alle sorelle di ritirarsi». È giunta l’ora di separarsi, figlie mie – disse lei – e di dirsi addio». Tutte ordinatamente si avvicinarono per baciarle la mano mentre lei le guardava con occhi veramente materni e sussurrava ad ognuna parole di perfezione. Dopo aver parlato ad ogni sorella il Padre Rettore la supplicò di dire anche a lui qualcosa: lei, con grande umiltà, ringraziò la Compagnia e lui in particolare per la pena che si era dato nell’assisterla fino all’ultimo. Lui si mise in ginocchio e le baciò la mano manifestandole tutta la stima per la sua santità che da sempre nutriva. Da quel momento quella moribonda non fece altro che parlare di Dio, pensare alla sua bontà, non staccando mai lo sguardo dal crocifisso e dall’immagine della Madonna della Pietà che le era vicina. Di tanto in tanto il Padre le parlava o pregava e lei rispondeva a quelle preghiere. Con grande attenzione ascoltò la lettura in francese della Passione di Gesù e la professione di fede secondo il Concilio di Trento, al termine della quale ribadì con forza che credeva così fermamente in quelle parole che sarebbe morta per sostenerle. Ogni tanto diceva Maria Mater gratiæ… 85. Supplicò il Padre di pregare per lei e gli predisse che avrebbe dovuto ripetere più volte le orazioni. La sua agonia fu infatti lunghissima e ad un certo punto, mentre il Padre ripeteva le formule in francese, lei esclamò: «Oh Gesù! Quanto sono belle queste preghiere!». Chiese di restare un po’ da sola per potersi riposare, ma fece subito richiamare il sacerdote per dirgli: «Padre mio! Quanto è spaventoso il giudizio del Signore!». Le chiese se ne era preoccupata e lei rispose: «No, ma vi assicuro, il giudizio di Dio è proprio tremendo…!». Alla sera passò il medico a vederla; lei lo ringraziò per le cure e le attenzioni che le aveva prestato, ma gli disse che ora aveva solo bi-

85

O Maria, Madre di grazia, Maria, mater gratiæ, Madre di misericordia, Mater misericordiæ, Difendici dai nostri nemici, Tu nos ab hoste protege, E accoglici nell’ora della nostra morte. Et hora mortis suscipe. (Strofa tratta da un inno dell’Ufficio della Beata Vergine Maria).

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sogno delle sue preghiere. Volle farle assumere una medicina, ma lei, scusandosi, disse che era inutile e che non sarebbe servito a nulla. Chiese però consiglio al Padre Rettore, il quale le rispose che era giusto prolungare la sua vita per quanto era possibile e sfruttarne ogni istante per glorificare Dio. Da quel momento prese tutto quello che le veniva offerto senza proferire parola. Le disse ancora che come il Signore aveva infuso in noi lo spirito della vita, così al momento della nostra morte sarebbe venuto a riprenderselo. Questo la rasserenò molto e disse: «Com’è dolce questo pensiero per me!». Le chiese se sperava di essere accolta dal Beato Padre e dalle Madri e sorelle defunte e lei rispose con grande fermezza: «Ne sono certa, il Fondatore me lo ha promesso». Rinnovò poi solennemente i suoi voti secondo il formulario delle nostre professioni e subito il suo viso si infiammò e le sue membra cominciarono ad agitarsi. Il Padre le chiese se voleva che le fosse portata la mitria di Francesco di Sales che ancora oggi è custodita come una preziosa reliquia nel nostro monastero di Moulins; «No, rispose, se lo fate per la mia salute e per darmi sollievo». Ma il Padre le disse: «Lo si fa affinché possa compiersi la volontà di Dio». Allora lei la baciò con deferenza assieme ad un’immagine della Madonna di Montaigu 86. Da quel momento le sue preoccupazioni scomparvero e la febbre salì di colpo. Fu fatta rientrare la comunità per pregare per la sua anima. Lei prese il crocifisso nella mano destra e nella sinistra il cero benedetto e così voleva presentarsi davanti al Signore. Il Padre de Lingendes le disse che quei dolori che sentiva erano i clamori che precedono l’arrivo dello Sposo, che stava venendo, si stava avvicinando. Le chiese se non desiderava incontrarlo; al che lei rispose distintamente: «Oh sì, Padre mio, me ne vado. Gesù, Gesù, Gesù!». Con queste tre parole e tre amorosi sospiri spirò, per iniziare a vivere la vera vita, quella con Gesù nella gloria eterna. Spirò mentre il Padre Rettore stava recitando questa preghiera: Subvenite, sancti… Era il 13 dicembre 1641, tra le sei e le sette della sera; aveva circa settant’anni, nove dei quali erano stati vissuti in stato di vedovanza e trentuno di vita monastica, nella quale è morta, in condizione

86 Ndt: Il santuario di Notre-Dame de Montaigu si trova in Belgio nei pressi di Lovanio.

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di semplice sorella, senza ricoprire alcuna carica, ultima tra le ultime, così come lei desiderava. E con questo concludiamo dicendo che lei è grande nel Regno dei Cieli.

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XXXIII.

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GLI ONORI RESI ALLA SUA MEMORIA

L’anima di quella ancella del Signore era entrata nella gioia del suo Dio e ci aveva lasciate con un dolore ancora oggi troppo forte. Quel corpo benedetto era bellissimo anche senza vita e non ci stancavamo di contemplarlo. La morte non aveva modificato il suo viso, che aveva mantenuto quella serenità che lo aveva caratterizzato per tutta la vita. Tutte le sorelle, una dopo l’altra, vennero a baciare il nome di Gesù che aveva inciso sul cuore. Era alto un pollice, molto ben fatto, ad eccezione della “S”. La croce era nella parte bassa a significare probabilmente che si era crocifissa a tutte le cose del mondo. Il Padre trovò il sacchettino che lei gli aveva raccomandato: era molto ben rifinito e presentava l’immagine della Vergine con il suo divin Figlio. All’interno c’era il suo solenne atto di fede scritto di suo pugno e firmato col suo sangue, poi c’erano i suoi voti, le preghiere e un atto di abbandono nelle mani di Dio. Tutto fu ricopiato, poi il sacchettino fu ricollocato sul suo petto, secondo il suo desiderio, assieme a qualche reliquia. La mattina successiva, secondo il nostro costume, quel corpo benedetto fu esposto nel coro e tutta la città accorse a venerarlo, testimoniando la fama di santità di cui godeva. Per accontentare tutti fu necessario avvicinare il corpo alla griglia così che tutti potessero vederla e poggiare i loro oggetti sui suoi vestiti. Tutte le congregazioni religiose e le parrocchie della città si diressero, in diversi momenti della giornata, al nostro monastero per recitare il De profundis e il Libera nella nostra chiesa. I canonici della collegiata di Notre-Dame portarono la loro musica. I padri gesuiti coprirono i loro altari di nero e dissero molte messe per la defunta. Una voce comune si era innalzata da quella città: era morta una santa nel monastero di Santa Maria. 262 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Madame de Montmorency volle mantenere la promessa di restituirci il corpo di colei che era partita da Annecy ancora viva. Diede ordine di imbalsamare la salma e in quell’occasione si scoprì la causa della sua morte: il polmone era in stato di necrosi e nella parte destra era pieno di sangue marcio e purulento; il fegato, il cuore e gli altri organi vitali erano ancora sani e i chirurghi attestarono di non aver mai visto un cervello in così buono stato. Non ci si doveva dunque meravigliare se fino all’ultimo fosse rimasta lucidissima e composta. Il corpo fu imbalsamato e la signora di Montmorency, malgrado desiderasse tenerlo a Moulins, mantenne fede alla sua promessa e si incaricò lei stessa di inviare quelle care spoglie ad Annecy. Lo collocò in una teca di piombo, questa fu chiusa dentro ad un’altra di abete, ornata di ferro per essere più facilmente trasportabile. La pose su una carrozza coperta da un grande drappo funebre. Il Padre Marcher, nostro confessore, e il Padre Aviat, confessore di Moulins, assieme ad alcuni ufficiali della duchessa l’accompagnarono: non si era tranquilli finché quel corpo era in Francia e quindi si cercò di tenere il suo passaggio il più segreto e il più nascosto possibile per evitare qualunque blocco. Questo fu causa di grande dispiacere per le sorelle di Lione, soprattutto quando appresero che quella salma benedetta era passata dalla loro città proprio nel giorno di Natale. Si fermarono a Montluel, cittadina nella quale le nostre sorelle di Saint-Amour si sono rifugiate da che le guerre le hanno cacciate dalla loro casa. Tutta la cittadinanza accorse numerosa e le sorelle passarono la notte accanto a quella teca, convinte che lì non avevano nulla da temere. Il Padre Marcher avvertì le sorelle di Belley: la preziosa reliquia avrebbe riposato nella loro casa. Non appena quella voce si diffuse in città, la gente uscì dalle case e si riversò nel nostro monastero, portando con sé ceri e flambeaux per accenderli al cospetto di quel venerabile corpo. In meno di due ore la chiesa fu tutta addobbata con drappi neri e la pietà del Vescovo di Belley fu talmente grande che, come sant’Epifanio, uscì vestito pontificalmente accompagnato dal clero e da una musica solenne per ricevere nella sua città quella novella Paola, a cui rese onori e testimonianze di stima degni della santità di colei che stava venerando. Quel corpo, magnificamente condotto presso le nostre sorelle, fu circondato da tantissime luci da far credere ci fosse più di una camera ardente. Lo vegliarono fino all’indomani quando ritornò il vescovo con 263 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il suo teologale che tenne un bellissimo e dottissimo discorso sulle virtù della Beata Madre. Fu celebrata una messa solenne e infine tutti osservarono con grande rimpianto uscire dalla loro città quel tesoro che non potevano trattenere e che fu accolto poi a Saint-Rambert, Seyssel e Rumilly con la stessa reverenza e devozione. A Seyssel riposò nella chiesa delle Bernardine, dove la cara Madre de Ballon, prima superiora di quella riforma, dimostrò con tutta la sua comunità la grande devozione che nutriva per la Madre di Chantal, con la quale era stata in profonda unione di cuori. Le nostre sorelle di Rumilly, con devozione filiale, passarono la notte ai piedi di quella teca e avevano addobbato la loro chiesa con drappi neri decorati con lacrime bianche 87. Finalmente il 30 dicembre quel corpo benedetto arrivò in questa città. Fu collocato nella chiesa del Santo Sepolcro dove il decano con i canonici della sua collegiata andarono a prenderlo. Accompagnato da una grande folla arrivò finalmente nel nostro monastero. Nel medesimo istante in cui quella salma entrò nella nostra casa i nostri poveri cuori che, dal giorno in cui avevamo appreso la notizia della sua morte erano stati oppressi dal dolore, furono tutti colti da un’immensa gioia interiore e dalla certezza della gloria dell’anima di colei che stava restituendo il suo corpo. Cessammo di piangere e riuscimmo a dire solo queste parole: «Lei ci ha solo precedute in cielo e siamo fortunate ad avere una simile avvocatessa al cospetto di Dio!». Quel sentimento non fu esclusivo della nostra comunità, ma comune a tutte quelle del nostro Istituto e dalle lettere che riceviamo dagli altri monasteri apprendiamo che alla notizia della sua morte i loro cuori erano tutti ugualmente addolorati, ma nel contempo invasi da un sentimento di fiducia per la gloria di quell’anima beata e per la cura che avrebbe profuso davanti a Dio per le sue figlie e tutti i suoi devoti. Non è necessario dire che le abbiamo reso gli onori che si meritava come nostra prima Madre, con le orazioni funebri, una messa solenne e molte altre testimonianze della nostra stima, sempre nei limiti della semplicità che deve caratterizzare tutte le nostre azioni. Così fecero quasi tutte le nostre case, come è testimoniato dal gran numero di orazioni, veri e propri panegirici, che ci sono stati inviati sia stampati che sotto forma mano87 Ndt: Secondo il Dizionario dell’Académie (1694, cit.) le «larmes» sono decorazioni a forma di lacrima, tipiche appunto dei drappi mortuari.

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scritta 88. Sappiamo per certo che due dei grandi santi servi di Dio che siano attualmente al mondo l’hanno vista salire in gloria: uno l’ha vista come un’umile sposa che si presenta con la croce in mano per essere accolta dal suo Amato al banchetto nuziale; l’altro l’ha vista come un globo luminoso che si univa ad un altro globo (il Beato Padre) e così insieme entravano e si inabissavano nel grande globo dell’eternità 89. Con la stessa certezza sappiamo che altre tre anime degne di fede hanno visto il suo spirito in stato di gloria: è accaduto il giorno della sua morte, di cui loro non erano a conoscenza perché si trovavano molto distanti dal luogo dove accadde. 88 Il corpo della Beata Madre arrivò ad Annecy il 30 dicembre 1641; fu portato nella chiesa del primo monastero dell’Ordine e deposto nell’oratorio del Fondatore finché non fosse tutto pronto nella suddetta chiesa per la sepoltura, che fu fatta molto solennemente. Alla fine dell’anno successivo fu celebrato un anniversario ed eravamo talmente convinte della beatitudine di cui quell’anima santa stava godendo che non volemmo nessun ornamento funebre; la chiesa in cui riposava il suo corpo fu addobbata di bianco e decorata come per un giorno di festa. La celebrazione di quell’anniversario cominciò l’11 dicembre e continuò anche il 12 e il 13; ogni giorno l’ufficio era celebrato solennemente e il panegirico di quella Serva di Dio fu pronunciato da Charles-Auguste de Sales, poi vescovo di Ginevra. 89 Quest’ultimo è san Vincenzo de’ Paoli di cui riportiamo l’incredibile deposizione: «Io, Vincenzo de’ Paoli, Superiore generale della Congregazione della Missione, attestiamo che circa vent’anni fa Dio ci ha fatto la grazia di conoscere la degnissima Madre di Chantal, fondatrice dell’Ordine della Visitazione Santa Maria. Durante i frequenti colloqui e gli scambi epistolari che abbiamo avuto la fortuna di avere con lei, sia durante il suo primo viaggio a Parigi che fece circa vent’anni fa, sia durante i successivi, lei mi ha sempre onorato della fiducia di farmi partecipe della sua vita interiore. Da ciò posso dire con certezza che tutte le virtù erano in lei, ma soprattutto era piena di fede, sebbene per tutta la vita sia stata tentata da pensieri contrari; aveva inoltre una grande fiducia in Dio e un amore sovrano per la sua divina bontà; il suo spirito era giusto, prudente e forte; l’umiltà, la mortificazione, l’obbedienza, lo zelo per la santificazione del suo Ordine santo e della salvezza delle anime erano in lei al più alto livello, in una parola: non ho mai notato in lei alcuna imperfezione, ma al contrario un esercizio continuo della virtù. Sebbene in apparenza sembra aver goduto della pace e della tranquillità di spirito di cui beneficiano le anime giunte ad un alto grado di virtù, in realtà ha patito grandi pene interiori di cui tante volte mi ha scritto e parlato. Quelle tentazioni erano così forti che il suo unico e continuo esercizio era quello di cercare di distogliere lo sguardo dalla sua interiorità, perché non sopportava più la vista della sua anima così piena di orrori da somigliare all’inferno. Malgrado quelle sofferenze il suo viso non ha mai perso la serenità, né lei si è mai distaccata dalla fedeltà che Dio le chiedeva nell’esercizio delle virtù cristiane e religiose, nella sollecitudine prodigiosa che aveva per il suo Ordine. Da ciò deriva la mia convinzione che si tratti

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Non solo noi, subito dopo la sua morte, attribuimmo alla Madre di Chantal il titolo di beata, ma ciò provenne soprattutto dal popolo. Le persone di grande dottrina e dignità ci hanno molto incoraggiato, dicendoci che non dovevamo temere nulla e che se qualcuno ci avesse criticato non dovevamo smettere di venerare colei che Dio aveva tanto onorato e che ha onorato il Signore attraverso la sua lunghissima e santissima vita. È stata per noi una grande consolazione sentire lodare la Fondatrice piuttosto dall’esterno che dall’interno della nostra congregazione ed eviteremo qui di riportare tutti gli elogi e le magnificazioni che le sono stati tributati. Conserviamo le lettere di molti vescovi, abati,

di una delle anime più sante che io abbia mai conosciuto sulla terra e che ora sia beata in cielo. Non dubito che Dio un giorno non manifesti la sua santità come ha già fatto in molti altri luoghi di questo regno. Ecco ciò che è accaduto ad una persona degna di fede e che preferirebbe morire piuttosto che mentire. Quella persona mi ha detto che, ricevuta la notizia della fine imminente di quella Madre, si mise in ginocchio per pregare Dio per lei. Il primo pensiero che le venne in mente fu fare un atto di contrizione per i peccati che aveva commesso e che commetteva di solito. Subito le apparve un piccolo globo come di fuoco che si alzava da terra e si andava ad unire con un altro globo più grande e più luminoso. I due, uniti, salirono ancora più in alto, entrarono e si inabissarono in un altro globo infinitamente più grande e ancor più risplendente. Sentì una voce che diceva che il globo più piccolo era l’anima della Madre di Chantal, il secondo quello del Fondatore e l’unione dei due tendeva verso Dio, loro principio supremo. Dice ancora che durante la celebrazione della santa Messa per la Fondatrice, non appena apprese la notizia della sua felice morte ed essendo al secondo Memento nel quale si prega per i morti, pensò che avrebbe fatto bene a pregare perché avrebbe potuto essere in Purgatorio a causa di certe parole che aveva detto qualche tempo prima e che parevano appartenere al dominio dei peccati veniali. In quel momento riebbe la medesima visione, gli stessi globi e la loro unione e provò l’intima certezza che quell’anima era beata e non aveva bisogno di preghiere. Tutto ciò è rimasto impresso in modo indelebile nello spirito di quell’uomo a tal punto che la rivede in quello stato tutte le volte che pensa a lei. L’unica cosa che può far dubitare di quella visione è che la persona che l’ha avuta ha una tale considerazione della santità di quell’anima beata che ogni volta che rilegge i suoi scritti non può far a meno di piangere per la certezza evidente che sia stato proprio Dio ad aver ispirato a quella beata quelle parole. Si potrebbe pensare che quella visione sia l’effetto della sua immaginazione, ma ciò che invece fa credere che si tratti di una vera visione è che quella persona non è solita averne e, anzi, quella è la sola che abbia mai avuto. In fede sottoscrivo di mio pugno e suggello con il nostro sigillo, Vincenzo de’ Paoli». L’umiltà di quel santo gli ha fatto raccontare la sua visone alla terza persona, ma le riflessioni che chiudono il racconto, ispirate da un’umiltà ancora più grande, bastano da sole a tradire il suo segreto. Del resto tutti gli autori contemporanei concordano nell’attribuirgli quell’esperienza.

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provinciali dell’Ordine, superiori, religiosi, uomini della giustizia, grandi servi di Dio: tutti la chiamano beata, richiedono delle sue reliquie e invocano il suo soccorso. Dirò qui un fatto accaduto a un grandissimo e buon servo del Signore: durante la messa invocò il Beato Padre, ma ad un certo punto si dovette fermare perché non riusciva ad andare avanti. Il Signore allora gli disse: «Perché non invochi la mia serva fedele?». In questo modo gli ha fatto intendere che quando si invoca il Fondatore bisogna di conseguenza invocare anche la Madre di Chantal, perché quelle due anime continuano nell’eternità, dove arde la carità perfetta, ad essere unite, così come lo erano in questo mondo per opera di Dio. Dopo quella visione tutta la comunità in cui risiede quella santa persona si è posta sotto la protezione dei Fondatori e, sul loro esempio, molte altre persone fecero la stessa cosa. Notiamo infatti che coloro che fanno dire delle messe nella nostra chiesa ne ordinano una a Francesco di Sales e una a Giovanna Francesca o sennò ai due insieme. Il corpo della Beata Madre riposa attualmente in una piccola tomba provvisoria in attesa che Dio ci fornisca i mezzi per costruire la nostra chiesa e due cappelle per quei due santi. Si trova lungo la nostra grata, proprio di fronte alla tomba del Fondatore, che è dall’altra parte dell’altare, ornato di quei due preziosi corpi come l’arca lo era di due serafini di oro purissimo 90. Per questa ragione il decano di Notre-Dame, nostro Padre spirituale, ha voluto affiggere alla nostra chiesa i seguenti versi: Posta a fianco del grande uomo di Dio Che, grazie alle sue cure, l’ha resa a lui simile, Tu vedi passando in questo luogo augusto Del nostro tempo la seconda meraviglia. ALTRI Dell’istituto che fa professione Di liberare l’anima dalla passione Sebbene in debole corpo chiusa Il Padre là e la Madre qui riposa 91. 90 91

Ndt: Cf. Es 37, 6-9. Ndt: Il testo originale presenta la prima strofa in rima alterna e la seconda invece in rima baciata.

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Sappiamo che Dio ha già manifestato la gloria della sua umile serva attraverso grazie miracolose, ma lasciamo che sia il tempo a far scoprire queste meraviglie e concludiamo questa seconda parte delle nostre Memorie con una cosa degna di essere lasciata nel nostro Istituto per i posteri a dimostrazione che non vi è legame più forte tra i cuori di quello della carità. Non appena la notizia della morte della Beata Madre si diffuse tra le nostre case, venne subito smentito il giudizio umano: molti credevano infatti che con la sua scomparsa quella grande unione di carità purissima e di amicizia cordiale che aveva tenuto uniti i nostri monasteri si sarebbe dissolta. Al contrario dopo aver reso tutti gli onori dovuti a quella santa Madre e per mostrare che i suoi intenti erano ben vivi e radicati nel suo Istituto, quasi tutti i monasteri, le superiore e le comunità hanno inviato qui dei loro messaggeri per rinnovare e rinsaldare la loro unione con noi e ribadendo anche la loro volontà di mantenere in questo monastero, custode dei corpi dei Fondatori e delle loro intenzioni, la loro risorsa, la loro fiducia, la loro unione, la loro comunicazione e la loro deferenza. Tutto questo ci ha molto commosso e dato occasione di benedire Dio che, quando decide di chiamare a sé gli operai, fa sussistere le sue opere con la sua sola grazia. Ci dà anche grande speranza nella sua bontà la quale, come la carità, è la virtù permanente nell’eternità: il nostro piccolo Istituto infatti è stato fondato dalla grande carità che unì divinamente le anime dei nostri Fondatori a beneficio dei deboli e degli infermi, in nome della dolcezza della carità, nella carità della comunicazione e attraverso un’umile cordialità disinteressata. Questa stessa santa carità ci sosterrà nelle nostre comuni osservanze e ci sospingerà nelle braccia di Colui che è l’eterno ed essenziale Amore e dove noi crediamo vivano in perfetta unità il Beato Padre e la Beata Madre. Non ci resta ora che vedere ciò che della Fondatrice deve continuare a vivere nella nostra memoria e nell’emulazione quotidiana, in altre parole, la pratica delle virtù sante.

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PARTE TERZA

LA PRATICA DELLE SUE VIRTÙ EROICHE

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I.

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LA FEDE DELLA NOSTRA BEATA MADRE

Avendo appreso da un grande, dotto e pio cardinale che la fede è il fondamento dell’edificio spirituale, la speranza costituisce le mura e la carità il tetto, ci sembra giusto iniziare il racconto delle virtù della Beata Madre partendo proprio dalla saldezza della sua fede e questo ci permetterà di giudicare poi più facilmente la solidità di tutto l’edificio. Andremo forse noi a cercare la grandezza della fede dei suoi avi, sia paterni che materni, che l’hanno sostenuta con le loro spade, con le loro fatiche e con i loro beni? Alcuni hanno preferito perdere la vita piuttosto che deviare seppur di poco dalla fede e dal suo sostegno e Giovanna Francesca ringraziava ogni giorno il Signore del fatto che nessuno della sua stirpe, per quanto lei sapesse, fosse stato meno che un buon cattolico. Nei capitoli precedenti abbiamo mostrato come Dio avesse infuso il sacro dono della Fede nell’anima della Madre di Chantal: fin dalla prima infanzia ebbe un’innata ed istintiva paura e diffidenza verso coloro che potessero insidiare le sue convinzioni. Un giorno uno dei più grandi signori di Francia si recò a far visita al Presidente Frémyot per parlare di affari di Stato. Dai discorsi politici passarono a quelli spirituali e i loro animi si scaldarono intorno ad importanti controversie. Quel grande signore era diventato ugonotto da pochissimo tempo e sosteneva che ciò che apprezzava maggiormente della sua religione era il fatto che negava la realtà del Santissimo Sacramento. La piccola Giovanna Francesca, che non aveva più di quattro o cinque anni, si allontanò dalla governante che la stava trastullando in un angolo del salone dove i due uomini si trovavano e corse verso quel signore per dirgli: «Mio Signore, bisogna credere che Gesù è nel 271 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Santissimo, perché è lui che lo ha detto. Se voi mettete in dubbio le sue parole allora lo accusate di essere un bugiardo». Quell’uomo fu profondamente toccato dai discorsi di quella bambina e volle soffermarsi a ragionare con lei a lungo. Forniva sempre delle risposte che stupivano i presenti. Diventata grande abbiamo già raccontato che preferì cadere in disgrazia presso il barone, suo cognato, piuttosto che sposare un uomo che aveva abbandonato la Chiesa cattolica e affermò che avrebbe preferito trascorrere il resto della sua vita in un’oscura prigione anziché condividere la casa con un marito con cui non poteva condividere la fede cattolica. Fin dalla sua più tenera età possedeva una capacità molto penetrante di leggere nei cuori delle persone e distingueva subito un credente da un miscredente. Quante volte ci ha raccontato la fatica che faceva a trattenere le lacrime quando vedeva nel Poitou i monasteri e le chiese che gli ugonotti avevano distrutto e bruciato! Ci disse una volta che quando sentiva cantare il versetto di Geremia Viae Sion lugent… 1, ripensava sempre alle sofferenze che aveva provato davanti ai monasteri e alle chiese dai quali l’esercizio della santa fede era stato bandito e che nessuno più frequentava. Nei suoi ultimi anni di vita ci fece comporre un cantico su quelle parole di Geremia e diceva: «Se avessi avuto questo canto quando ero giovane lo avrei intonato tutti i giorni». Quando, prima da sposa e poi da vedova, dimorava in campagna aveva predisposto che i servitori più intonati imparassero il canto del Credo affinché potessero aiutare a cantarlo più solennemente durante la Messa parrocchiale. Da religiosa poi lo faceva qualche volta intonare durante la ricreazione e il suo viso si illuminava tutto cantando ed ascoltando quelle sante parole. Aveva una devozione speciale per i santi martiri, che hanno offerto il loro sangue per la fede, e per i santi dei primi secoli, perché hanno sostenuto la santa fede con i loro scritti e le loro opere e quando ricorrevano le feste di quelle sante figure si diceva tra di noi proverbialmente: È uno dei santi della Madre di Chantal. Non si accontentava di sentir leggere la loro vita a tavola e di parlarne durante le conversazioni, ma talvolta si faceva portare il

1 «Le

strade di Sion sono in lutto…» (Lam 1, 4).

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libro in stanza per rileggerlo con calma. Nei suoi ultimi anni di vita fece acquistare la Vita dei Santi in due volumi, per tenerla nella sua camera e poter così leggere con grande devozione e ammirare le vite di quei primi pilastri della Chiesa. Aveva una devozione speciale per san Spiridione 2 che con il simbolo della fede assoggettò la ragione di un arguto filosofo. Sapeva a memoria l’inno Adoro te devote 3 di san Tommaso e lo recitava spesso, tanto che lo fece imparare e trascrivere da alcune religiose a cui confidò che ripeteva due o tre volte al giorno sempre con profondo amore queste parole: Credo tutto ciò che dice la suprema verità, e all’inizio della sua vedovanza, quando fece ancor più sue le pratiche di devozione, provava un grande piacere nel convincere il suo intelletto dicendo con fede salda: «Vedo il succo dell’uva e credo che è il sangue dell’Agnello divino; gusto il pane e credo che è la vera carne del mio Salvatore». Quando fu poi sotto la direzione del Beato Padre, egli le insegnò a rendere più naturale la sua fede e a trarne atti ferventi, brevi e semplici ed imparò così che la fede più pura ed umile è di conseguenza la più amorevole e solida. Tutti i giorni, al termine della lettura del Vangelo durante la Messa, la Beata Madre diceva col cuore e con la bocca il Credo e il Confiteor, insegnando anche a noi a fare la stessa cosa. «O Dio! Quanti motivi abbiamo di umiliarci per non essere giudicate degne di confessare la nostra fede davanti a tutti i tiranni della terra!». Quando Giovanna Francesca fece adornare con sentenze la sua camera, dove poi si è fatto il noviziato, volle scrivere di suo pugno sul muro, nel punto in cui arrivavano i piedi del suo crocifisso, questo passo del cantico: Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato 4 . Una sorella la pregò di dirle perché voleva collocare quella sentenza proprio in quel punto. «Per poter compiere, disse, frequenti atti di fede puri e semplici, perché la fede, sebbene sia di per sé luce, è invece ombra per la ragione umana e io voglio in2 Ndt:

San Spiridione (270-344), vescovo della città cipriota di Trimithonte. Secondo alcune fonti avrebbe partecipato al Concilio di Nicea del 325 e in quell’occasione avrebbe convertito un filosofo pagano alla fede cristiana. 3 Ndt: Ti adoro devotamente… L’Adoro te devote è uno dei cinque inni, scritti da san Tommaso d’Aquino in occasione dell’introduzione della solennità del Corpus Domini nel 1264, su commissione di papa Urbano IV. 4 Ndt: Ct 2, 3.

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vece che il mio ragionamento riposi all’ombra della fede che mi fa credere che Colui che, con molti supplizi, fu inchiodato su questa croce è il vero Figlio di Dio». Un’altra volta disse che desiderava che ogni volta che avesse contemplato il crocifisso il suo sguardo fosse un atto di fede simile a quello del Centurione il quale, battendosi il petto, diceva: Veramente tu sei il Figlio di Dio! In confidenza ad una persona disse anche che, quando era ancora nel mondo, Dio le diede un giorno una grande intelligenza della purezza della fede e le fece vedere che la perfezione del nostro intelletto in questa vita consiste nella sua perfetta prigionia ed assoggettamento ai misteri della nostra fede; esso sarebbe stato illuminato dalla beatitudine in proporzione a quanto si sarà umilmente sottomesso a quei misteri. Aggiunse poi che aveva sempre avuto una profonda avversione per quei discorsi in cui si vuole provare, attraverso ragioni naturali, il mistero della Santissima Trinità o altri argomenti di fede: l’anima fedele non deve cercare altre spiegazioni al di fuori della sovrana ragione universale, e cioè Dio che ha rivelato queste cose alla sua Chiesa. Non si curava mai di ascoltare la lettura di miracoli né di rivelazioni fatti per confermare la nostra fede e di solito li ometteva quando in refettorio si leggevano le vite dei santi o i discorsi sulle feste o i misteri del Signore e della Vergine. Ci diceva talvolta: «A cosa ci servono queste prove, questi miracoli, queste rivelazioni se non a benedire Dio che li ha compiuti in favore di qualche anima che ne aveva bisogno? Dio ha rivelato alla sua Chiesa tutto quello che ci occorre sapere». Talvolta le abbiamo sentito dire, con grandissimo fervore, che credeva mille volte di più a tutti gli articoli della nostra fede, che alla certezza di avere due occhi. Quando la Beata Madre fece comporre le Meditazioni per le nostre solitudini 5, tratte dagli scritti di Francesco di Sales, ne volle per sé una tutta particolare riguardante la grazia incomparabile che abbiamo di essere figlie della santissima Chiesa. Se la fece scrivere su un foglietto a parte e raccontò poi che i primi due giorni della sua solitudine aveva meditato solo su quella e che aveva sofferto molto pensando a quante anime profittano poco e poco riconoscono il do-

5 Ndt:

Cf. nota 67 nella Parte seconda.

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no che Dio ci ha fatto, quello cioè della fede e di essere figli della Chiesa. Abbiamo scoperto, in molte brevi preghiere, che Giovanna Francesca invocava spesso il patriarca Abramo, padre dei credenti, e aveva per lui una devozione del tutto speciale. Leggeva la Sacra Scrittura per ordine dei suoi superiori, ma tra tutti i libri che compongono quel sacro volume amava gli Atti degli Apostoli e non si può dire quante volte li ha letti e riletti, raccontandoceli poi durante le conversazioni con sempre rinnovato fervore e a noi sembrava che, ogni volta che ci parlava della Chiesa primitiva, ci fosse sempre qualcosa di nuovo che non avevamo mai notato. Da diversi anni portava sul cuore quella grande dichiarazione di fede scritta di suo pugno e firmata col suo stesso sangue. Satana, che sapeva quanto fosse grande la fede di quella santa donna, le ha teso terribili agguati, così come diremo parlando delle sue tentazioni e pene interiori. Come ha devotamente e santamente sottolineato il Vescovo di Puy, la Madre di Chantal può essere chiamata martire della fede, perché, quando era combattuta da fortissime tentazioni contro questa santa virtù, ne ha innalzato lo stendardo incidendo col ferro e col fuoco il nome di Gesù sul suo cuore.

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II.

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LA SUA SPERANZA

La Beata Madre ci disse una volta che invocava sempre, assieme ai suoi santi protettori, il patriarca Abramo, non solo per l’ammirazione per la sua grande fede, ma perché riusciva a sperare contro ogni speranza. Di lei possiamo ben dire che, come vera figlia di Abramo, ha sperato contro ogni speranza ed apparenza umana e Dio ha benedetto e moltiplicato la sua progenie secondo quanto aveva promesso. Aveva così fermamente gettato l’ancora della sua fiducia in Dio, che nulla riusciva a rimuoverla da quel punto cardinale di beatitudine, così come ha dimostrato quando abbandonò il suo paese senz’altra certezza né appoggio che quella viva speranza in Dio, che le ordinava di uscire dalla sua terra, spogliandosi totalmente della prudenza umana per abbandonarsi pienamente alla guida di Dio, con la solida fiducia che avrebbe disposto di lei secondo la sua santa volontà. Quante cose Giovanna Francesca ha intrapreso per il servizio del Signore, senz’avere altra certezza che la ferma ed immobile speranza che colui per il quale stava dando se stessa le avrebbe fornito il necessario. Quando fu a Parigi, all’epoca della fondazione del nostro monastero della Rue Saint-Antoine, scrisse alla Madre Péronne-Marie de Châtel le seguenti parole: «Mi chiedete, figlia mia cara, se noi siamo povere: sì ve lo assicuro e se quasi non ci penso è perché so che il cielo e la terra possono crollare, ma la parola di Dio rimane eternamente. Come fondamento della nostra speranza ha detto che se cerchiamo il suo regno e la sua giustizia, lui ci fornirà il resto. Io lo credo e a lui mi affido. La grande povertà in cui ci troviamo talvolta ci offre grandi lezioni della perfezione della santa fiducia in Dio e in verità noi sappiamo già quanto sia positivo stringersi a Dio e sperare in lui contro ogni umana speranza. La nostra fondazione infatti è stata pos276 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sibile per grazia del Signore e si è compiuta mille volte meglio di quanto potessimo sperare». In un’occasione molto importante e che le stava molto a cuore disse a proposito delle difficoltà che le venivano prospettate: «Non c’è bisogno che io guardi le apparenze o gli appoggi umani. È sufficiente credere e sperare che la parola di Dio non può restare priva di effetto». Aveva catalogato molti salmi dedicati alla speranza e spesso li cantava. Fra tutti questo le era più familiare: A te Signore, elevo l’anima mia, Dio mio, in te confido: non sia confuso! Non trionfino su di me i miei nemici! Chiunque spera in te non resti deluso 6. Tutta la sua speranza per il bene eterno era fondata sui meriti di Gesù, sull’amore che porta dall’eternità per le sue creature e sull’amorevole desiderio che ha di conservare l’opera delle sue mani e dare la vita eterna a chi collabora alle sue grazie. «Questi tre punti, diceva, sono la pietra angolare sulla quale deve fondarsi la solida dimora della nostra speranza». Una volta, parlando ad una virtuosissima e devota persona che viveva in un grande ed imperfetto timore del giudizio di Dio, gli disse per consolarlo queste parole, raccolte fedelmente dalla sorella che l’assisteva: «Vi assicuro, mio caro Padre, che quando vedo il Salvatore che muore per amore sulla croce, penso sempre che Lui ci farà vivere d’amore nella sua gloria. Quando guardo me stessa, in me stessa fremo e riconosco che senza quel sostegno merito l’inferno; ma quando mi guardo ai piedi della croce e abbraccio quel simbolo della nostra salvezza, la speranza del cielo si fa così viva che dimentico l’inferno e raramente ci penso. Tra tutti i vizi per i quali, grazie a Dio, provo grande orrore vi è la disperazione, proprio perché è una mancanza di fede insopportabile». Quell’uomo devoto addusse quantità di ragioni per appoggiare e sostenere i suoi timori, ma la Beata Madre 6 Ndt: Sal 24 (25), 1-3. Il testo in francese riporta la versione del salmo tradotta da Desportes che qui riproduciamo: «En vous mon âme, ô Dieu, s’adresse, En Vous ma fiance j’ai mis; La peur de rougir ne m’oppresse, Ni le ris de mes ennemis. Qui met en vous sa confiance, Ne manque jamais d’assistance».

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gli disse che, per le anime già avanti nella vita devota, l’eccessiva paura rappresenta una barriera per la speranza e un raffreddamento per la carità; al contrario, l’umile speranza in Gesù è invece uno stimolo per l’amore. «Quanto a me, aggiunse poi, fin dall’inizio ho stabilito nella mia mente due massime, una di Davide e l’altra del nostro Beato Padre. La prima è: Opera bene e spera in Dio; la seconda: Dio vuole che la nostra miseria serva da trono alla sua misericordia. Con questi due grandi pensieri fedelmente messi in pratica vi consiglio, diceva, di non guardare mai il cielo senza sperare». Amava anche molto queste parole di Giobbe: Se anche egli mi uccidesse, io spererò in lui 7 e disse che vi era stato un tempo in cui le ripeteva spesso trovandovi molto conforto durante i suoi travagli interiori. Una volta, una persona che voleva farla parlare le chiese se sperava nei beni e nelle gioie della vita eterna. Con grande umiltà lei rispose: «So bene che per i meriti del Salvatore si devono sperare, ma la mia speranza non contempla questo; desidero e spero solo che Dio compia la sua volontà in me e che Lui ne sia glorificato per sempre. Non vorrei mai che la mia speranza tendesse verso il mio profitto personale, ma alla gloria eterna del mio Dio». Un’altra volta le fu chiesto se nei momenti di pericolo che aveva corso durante i suoi viaggi, come precipitare negli abissi o nei fiumi, avesse sempre sperato che Dio l’avrebbe soccorsa; lei rispose di no, ma che aveva sempre sperato che Dio avrebbe disposto di lei secondo la sua maggior gloria, salvandola dal pericolo o facendole terminare la sua vita; in quella speranza il suo cuore era tranquillo e in pace per quanto Dio avrebbe voluto. Un giorno d’estate in cui faceva un gran caldo Giovanna Francesca, tornando dal giardino, si sedette su una scala di pietra dove spirava un gradevole venticello. Ad un certo punto si alzò di scatto dicendo: «La natura qui ha troppi benefici». Sedutasi altrove rimase a lungo in silenzio pizzicandosi la pelle delle mani. Udì una sorella dire ad un’altra: «Vorrei proprio sapere a cosa sta pensando la Madre, ma non oso chiederglielo». Giovanna Francesca, girandosi verso quelle sorelle, disse con bontà tutta materna: «Figlie mie care, penso che la carne, che non è che terra, vuole trascinare lo spirito a terra, ma lo

7 Ndt:

Cf. Gb 13, 15.

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spirito, aiutato dallo Spirito Santo, porterà invece la carne verso il cielo, quando questo corpo corruttibile sarà coperto d’incorruttibilità». E di nuovo, stringendosi la mano, diceva con un fervore ammirevole: «In questa carne io risusciterò ed essa darà gloria alla sacra umanità del mio Redentore; questa è la speranza riposta dentro di me».

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III.

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IL SUO AMORE VERSO DIO

Questa diletta del Signore, avendo abbandonato per Lui la sua casa e tutti i suoi beni, stimò che quell’amore sovrano che l’aveva portata a lasciare tutto non era nulla di fronte a quello che la spingeva costantemente a sacrificare a Dio la sua persona e la sua vita, mettendo da parte se stessa per essere ancora più perfettamente dello Sposo celeste e morendo a se stessa per far vivere in lei il suo amore sovrano. Quell’amore santo, geloso di quel cuore degno, seppe bene scacciare qualunque altro affetto che avrebbe potuto impedire la perfetta sovranità e soavità dei suoi effetti divini! Chi è sposato ha ancora il cuore diviso. Lo Sposo divino, poiché desiderava che Giovanna Francesca cercasse con un cuore completamente sgombro il suo solo ed unico amore, le portò via il barone di Chantal, suo diletto marito, che lei amava teneramente. Le portò via il suo sposo affinché diventasse con assoluta perfezione la sua sposa fedele e da che rimase vedova s’impadronì con tale potenza e dolce autorità del cuore e degli affetti di quella donna che mai, a partire da allora, l’amore per una creatura poté rivaleggiare, nella sua volontà, con l’amore per il suo Creatore, che la fece sua a tal punto che lei si consacrò immediatamente a Lui, il quale, essendosi appropriato di quell’anima benedetta, esercitò su di lei e attraverso di lei il suo dominio. Docilmente accettò la sua guida, lasciandosi condurre lungo sentieri erti e stretti che avrebbero spaventato chi non è abituato a lasciarsi guidare dall’amore. Il primo sacrificio che la Beata Madre offrì fu la sua stessa volontà; esso si manifestò attraverso un fortissimo desiderio di obbedienza, tanto che aspirava solo ad essere condotta sulle vie del Signore. Il piacere immenso che quell’amore le faceva assaporare le fece provare disgusto per le cose terrene, tanto che, come ha raccontato lei stessa e 280 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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come noi abbiamo testimoniato nelle pagine precedenti, volle abbandonare padre, figli, paese natale e qualunque altra cosa per andare a vivere nel fondo di un deserto e godere della presenza del suo Amato. E poiché è un segno d’amore il compiacersi nella conversazione con la persona amata, Giovanna Francesca, da che rimase vedova, amava la solitudine, perché solo così poteva restare col suo unico amore. Abbandonò le conversazioni mondane ed inutili e rimaneva in compagnia solo quando il dovere, la carità o la buona creanza lo richiedevano. Ogni giorno l’amore divino la purificava, la richiamava al bene, la spronava, la correggeva, la istruiva e la separava da tutto. Infine la imprigionò gloriosamente quando lei decise di ritirarsi in una piccola casetta di un sobborgo di questa città per fondare la nostra congregazione. Fu proprio qui che quell’amore vittorioso si rese ancor più infaticabile ed insaziabile nella pratica di ogni virtù; qui la Beata Madre ricevette non solo la grazia sovrabbondante di credere e di amare, ma anche quella di poter fare e soffrire molto per il suo Amato. I medici, come anche Francesco di Sales, hanno attribuito alle dolci violenze dell’amore celeste i mali sconosciuti ed irrimediabili di cui la Madre di Chantal ha sofferto durante i suoi primi anni di vita religiosa e il Beato Padre diceva, come si legge in una lettera, che l’amore divino voleva proprio rendere Giovanna Francesca simile a sant’Angela, a santa Caterina e ad altre simili sante, cosa a cui lei ha corrisposto con ammirevole fedeltà. Il suo amore, sebbene avesse gustato grandi soavità celesti, era forte, generoso, distaccato, indipendente dai gusti, dai sentimenti e dai piaceri spirituali, un amore coraggioso che intraprese grandi cose per la gloria di Dio, un amore costante nella sofferenza, forte nelle difficoltà, sottomesso nelle contrarietà, desideroso di aderire alla volontà divina, un amore saggio e discreto, disinteressato, che le permetteva di vivere completamente abbandonata alla Provvidenza del suo Amato; un amore fatto di semplice fiducia, un amore di sposa e di figlia al contempo che sussisteva saldissimo e purissimo con un timore casto e filiale; un amore umile che la portava fino al totale annientamento di sé per esaltare l’Amato, un amore che l’aveva fatta morire a se stessa grazie al continuo richiamo del suo Dio; un amore di conformità che l’ha fatta gioire per aver potuto seguire Cristo nuda come lui era nudo, per aver vissuto le angosce del Calvario e la solitudine della Croce, dove ha gustato nel suo 281 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cuore solo fiele e aceto ed esteriormente talvolta disprezzo e contraddizioni. Insomma, questo santo amore l’ha fatta perseverare fino alla fine con una fedeltà sempre crescente al servizio di Dio, fedeltà ammirevole e che solo in cielo potremo pienamente conoscere, poiché essa si è mantenuta non solo nella dolcezza della pace esteriore, ma anche nel freddo, nell’orrore, nella violenza e nella lunghezza del suo travaglio spirituale, così come diremo altrove. Il Padre Jean Bertrand, vice rettore della Compagnia di Gesù, dotto e virtuoso sacerdote con cui Giovanna Francesca si era confidata, disse un giorno alla Madre Péronne-Marie de Châtel che chi avesse voluto imparare come si deve praticare il primo e più grande comandamento, vale a dire amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e il prossimo come se stessi, avrebbe dovuto guardare alla Beata Madre. Sapeva infatti che ella aveva ricevuto dall’alto un’ammirevole intelligenza di quel primo comandamento e di lei diceva: «Non so se l’amore divino abbia mai avuto un dominio più completo ed assoluto su un’anima e se sulla terra si potrà mai trovarne una che si abbandoni di più al suo Signore». La Fondatrice amava non solo con le parole, ma con le opere e la verità. Il Cardinale de Bérulle, fondatore dei Padri dell’Oratorio, morto in reputazione di santità, nel comunicare Giovanna Francesca a Digione dopo che rimase vedova, conobbe, grazie ad un’illuminazione soprannaturale, che quell’anima era guidata interiormente per una via straordinaria. Dopo la Messa chiese chi fosse quella vedova e disse proprio queste parole: «Il cuore di quella donna è un altare sul quale il fuoco dell’amore non si spegne mai; esso diventerà così forte che non solo consumerà i sacrifici, ma anche l’altare stesso». E tutto ciò si verificò in modo assolutamente inesplicabile. Quando la Fondatrice si stava occupando della fondazione della nostra prima casa a Parigi, quel cardinale andò a trovarla e al ritorno disse alla contessa di Saint-Paul, principessa di nobile virtù che in quel momento stava sperimentando una forte sofferenza interiore, che aveva incontrato una delle più grandi innamorate che Dio avesse sulla terra. Convinse molte altre signore ad aprire il loro cuore alla Madre di Chantal, descrivendola come l’amorosa Sulamita destinata a condurre le sue compagne sulla via dell’amore celeste attraverso i deserti e i sentieri più pericolosi. 282 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Il giorno di San Basilio dell’anno 1632 Giovanna Francesca subì un tale assalto da parte dell’amore divino che durante la ricreazione non riusciva neanche a parlare. Rimase con gli occhi chiusi e un viso ardente; cercava di distrarsi continuando a filare alla sua conocchia, ma a metà del lavoro non riuscì più a proseguire. Quando capì che non poteva fare altrimenti fece cantare e cercò lei stessa di cantare quel cantico che si era fatta comporre dalla Madre de Bréchard: Perché dare alla mia anima Dei pensieri e delle pene, Quando l’amore che l’infiamma Non lo permette? Solo lui mi muove e mi governa Secondo il suo piacere e il suo desiderio E io non ho altro scopo né fine Se non il suo celeste piacere. Il mio cuore si compiace Solo della compagnia Di quell’essenza divina, Unico oggetto dei Beati 8. Quel canto la distrasse un po’ e, per nascondere la grazia ricevuta, tentò di parlarci. Quelle parole di fuoco furono fedelmente raccolte all’istante: «Mie carissime figlie, per quale motivo secondo voi san Basilio e la maggior parte dei santi e padri della Chiesa non sono stati martirizzati?». Ognuna dette la sua risposta e poi lei aggiunse: «Io credo che sia perché esiste un martirio che si chiama martirio d’amore nel quale Dio, sostenendo in vita i suoi servi e le sue serve per farli soffrire in nome della sua gloria, li rende martiri e confessori al tempo stesso. So che questo è il martirio a cui sono chiamate le figlie della Visitazione e Dio lo farà patire a coloro che saranno così fortunate da 8 Ndt: Il testo francese presenta tre quartine composte da due ottonari e due set-

tenari alternati. La rima è alterna. Come già altrove, però, abbiamo preferito nella traduzione salvaguardare il senso, piuttosto che la metrica.

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desiderarlo». Una sorella le chiese come poteva avvenire tale martirio e lei le rispose: «Date il vostro consenso assoluto a Dio e poi lo sentirete. Il divino amore, continuò, fa passare la sua spada nelle parti più segrete ed intime delle nostre anime e ci separa da noi stesse. So di un’anima che l’amore ha separato dalle cose che le erano più care meglio di quanto avrebbero potuto fare dei tiranni che avessero voluto separare col filo delle loro lame il suo corpo dalla sua anima». Sappiamo bene che stava parlando di se stessa. Una sorella le chiese quanto durasse questo martirio: «Dal momento in cui senza riserve ci siamo consegnate a Dio fino al giorno della nostra morte; questo però si intende per i cuori generosi e fedeli all’amore, poiché Dio non si cura di martirizzare i cuori deboli, poco amorevoli e di scarsa costanza. Anzi lascia loro vivere la loro modesta esistenza perché non vuole mai far violenza al loro libero arbitrio». Le chiesero se quel martirio d’amore potesse eguagliare quello corporale: «Non cerchiamo, rispose lei, l’equivalenza, anche se io penso che l’uno non abbia nulla da invidiare all’altro, poiché forte come la morte è l’amore 9 e i martiri per amore soffrono mille volte di più conservando la loro vita per fare la volontà di Dio che se dovessero dare mille vite per testimoniare la loro fede, il loro amore e la loro fedeltà». Un’altra volta, dopo che si era letta la vita di san Giacomo martire che fu tagliato a pezzi, la Beata Madre disse che aveva pensato che quel martirio era il vero ritratto del martirio d’amore; l’unica differenza era nella durata, perché quello per amore è più lungo e poi ogni giorno la spada dell’amore taglia e recide qualcosa ad un’anima veramente fedele. Di fatto le sofferenze segrete dell’anima che non pone limiti all’azione dell’amore sono inimmaginabili. Quando la Madre de Châtel fu eletta Superiora qui ad Annecy nel 1635 trovando in un volume, nel quale una sorella stava registrando alcuni avvenimenti e cose particolari inerenti la Madre di Chantal, quanto abbiamo appena raccontato del giorno di san Basilio, la pregò molto insistentemente di dirle ciò che era accaduto nella sua anima quel giorno. Giovanna Francesca obbediente le rispose: «Mia cara Madre, è vero, Dio in quel giorno mi fece vedere, pensando a san Ba-

9 Ndt:

Ct 8, 6.

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silio, un martirio d’amore per il quale vuole che passino le figlie di questa piccola congregazione, intendo dire coloro che vorranno interamente abbandonarsi all’amore; quel giorno, dopo la Comunione, ebbi un’illuminazione che mi fece capire che la vita delle vere figlie di quest’Istituto deve essere una morte quotidiana per poter vivere in questo mondo secondo il Vangelo. Il loro compito deve essere di inabissarsi in Dio per perdere in quell’oceano di bontà quanto è loro proprio, per fare e soffrire quanto piacerà all’amore. Ma, mia cara Madre – aggiunse con le lacrime agli occhi – non bisogna dare molto credito ai miei pensieri, perché la mia infedeltà mi priva dei loro frutti: ho parlato e spinto le nostre sorelle verso il fervore dell’amore e sono caduta in una deplorevole freddezza». Parlava così perché il giorno dopo San Basilio nel 1632, quando Dio le aveva mostrato la perfezione del martirio d’amore, piombò di nuovo in un sacro supplizio e la sua anima benedetta fu tormentata da forti travagli interiori, tentazioni, sofferenze, tenebre e sensazione di abbandono che non riconosceva più se stessa. In questo stato è rimasta per il resto della sua vita, sebbene con gradazioni diverse, talvolta più forte, altre meno. In mezzo a tante spine quella rosa di carità si è sempre conservata fresca e profumata grazie alla forza del suo amore operoso, capace di fare e di sopportare tutto per amore di Colui che la affliggeva.

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IV.

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ANCORA DEL SUO AMORE VERSO DIO

L’ardente amore per il Signore aveva portato la Beata Madre a un tale e veemente desiderio di piacere a Colui che amava che si obbligò per voto a fare sempre quanto sarebbe stato più gradito e più perfetto agli occhi di Dio. Come le scrisse Francesco di Sales, il suo cuore, amorevolmente attento a compiacere l’Amante celeste, non aveva tempo di pensare a se stesso perché l’amore portava e volgeva continuamente la sua anima verso l’amato bene. Sempre in quello scritto il Fondatore le disse che la cura che aveva nel mantenere pura la sua anima la faceva somigliare alle colombe innamorate che si lavano, si specchiano lungo i ruscelli e si sistemano non per essere belle, ma per piacere all’amato. Non era forse quello un amore purissimo e semplicissimo, visto che si purificava non per essere pura, si adornava delle virtù non per abbellirsi, ma soltanto per piacere all’Amante divino, al quale, se fosse piaciuta allo stesso modo la bruttezza, la avrebbe anche lei parimenti amata? L’amore di Giovanna Francesca non mirava affatto alla ricompensa né al godimento: non parlava quasi mai delle soavità dell’amore, ma sempre dei suoi interventi. Una volta, poiché si diceva che una sorella aveva grandi consolazioni interiori e che amava molto il Signore, la Madre di Chantal, da persona esperta dell’amore vero, rispose: «Il vero amore di Dio non consiste nell’assaporare le sue soavità, bensì nell’umiliarsi, nel soffrire le ingiurie, nel rispettare esattamente la sua regola, nel morire a se stessi, nel vivere senza interesse, nel desiderare di essere conosciuta solo da Dio. Questo è il vero amore, questi sono i segni infallibili dell’amore». A questo proposito una volta scrisse ad una Superiora della nostra congregazione le seguenti parole: «Quanto a quella buona figlia che si crede così elevata nell’amore, ma non lo è 286 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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nelle virtù, credo che gli ardori e gli assalti che sente sono piuttosto opera della natura e dell’amor proprio, perché, figlia mia cara, bisogna farle sapere che l’amore divino innalza l’anima non tanto verso alti pensieri, quanto piuttosto verso una fedele pratica della regola e verso le sante virtù dell’abnegazione, della dimenticanza di sé, della pazienza che tutto sopporta. Figlia mia! Dio ci preservi da quell’amore sensibile che ci lascia vivere a noi stesse, perché esso conduce alla morte. Auguro a tutte noi invece di essere ben possedute da quell’amore divino che, portandoci alla morte di noi stesse, ci farà giungere a vivere in Dio! Le anime che avranno un vero amore operativo non mancheranno prima o poi di provare l’effetto degli interventi dell’amore divino in loro stesse». Il Padre Binet, provinciale della Compagnia di Gesù per la provincia di Parigi, disse una volta alla sorella Anne-Catherine de Beaumont, che era allora Superiora: «L’amore ha talmente chiuso l’occhio del proprio interesse alla Madre di Chantal che essa non ha più né vista né amore di speranza, sebbene possieda quella virtù ad un livello altissimo. Quando però l’ho interrogata per conoscere un po’ il suo intimo, mi ha detto che poiché la grazia e la gloria si trovano in Dio lei tutto spera senza pensare ad altra cosa che a Lui e se la gloria e la felicità potessero separarsi da Dio, non compirebbe neanche un passo per conquistarle, perché aspira solo a Dio. Quella purezza d’amore – aggiunse il Padre – mi colpì profondamente». La Beata Madre aveva delle massime e dei principi di virtù scritti di suo pugno e tratti dalla Scrittura. In primo luogo questo: Dio ci ha amati con carità eterna. Diceva che questo doveva condurre l’anima verso un desiderio eterno d’amore. In secondo luogo: Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico figlio 10. L’anima deve corrispondere a quest’amore in modo da potersi dire che ha tanto amato Dio da offrirgli totalmente il suo unico e libero arbitrio e la sua volontà e come il mondo ha trattato duramente il Figlio di Dio senza che Egli abbia potuto resistere più che un agnello condotto al macello, allo stesso modo faccia Dio con noi, di noi e per lui solo tutto ciò che gli piacerà senza che noi gli opponiamo resistenza. In terzo luogo aveva

10 Ndt:

Cf. Gv 3, 16.

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scritto, ma più sul cuore che sulla carta, queste parole: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama 11. Ripeteva spesso questa frase e le abbiamo sentito dire con grande sentimento «che l’amore è ingrato, misero e indegno di quel nome, se non è fedele nell’eseguire la volontà di Dio». Una volta disse ad una aspirante ad entrare nel nostro Ordine che doveva purificare grandemente la sua intenzione perché sarebbe stato un amore avaro lasciare il mondo, che è nulla, per possedere Dio che è tutto. «No, figlia mia, aggiunse, l’anima fedele deve abbandonare tutto affinché, libera da tutto, non possieda, né sia posseduta da nulla, ma resti nel possesso assoluto dell’amore divino affinché Lui faccia di lei ciò che meglio gli piacerà». Trovandosi in una delle più grandi città di Francia, la Superiora di un monastero, anima di virtù eminenti e molto graziata da Dio, desiderò fortemente parlare della sua vita interiore con la Beata Madre, che ne fu molto contenta. Rivelandosi vicendevolmente gli stati per i quali Dio le faceva passare, quella buona Madre disse a Giovanna Francesca che già da qualche tempo viveva un travaglio interiore così forte da trovarsi talvolta in uno stato di abbandono così estremo che le permetteva solo di riconoscere che Dio è Dio, senza osare però nominarlo, né pensare che fosse il suo Signore. Al che la Fondatrice le rispose graziosamente: «Mia cara Madre, lascio a voi questo atteggiamento perché io non praticherò mai una simile abnegazione; quand’anche la mia anima si è trovata in uno stato di afflizione e di angoscia, non è mai giunta al punto di impedirmi di dire: Dio mio, voi siete il mio Dio e il Dio del mio cuore. Poiché se la fede m’insegna che è Dio, il battesimo che ho ricevuto mi fa capire che è il mio Dio». Quella grande religiosa le replicò che le pareva che pronunciando quelle parole, mio Dio, non si giungesse ancora alla perfetta spoliazione interiore. La Beata Madre rispose allora che il nostro abbandonarsi al Signore non può giungere ai vertici cui è giunto il Figlio di Dio, il quale, nell’abbandono più estremo che umanamente possa immaginarsi, giunse a dire: Dio mio! Dio mio! Perché mi hai abbandonato? Poi le disse anche queste parole: «Spesso ho detto al Signore, nel massimo delle sofferenze interiori, che se gli fosse piaciuto

11 Ndt:

Cf. Gv 14, 21.

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di destinarmi come dimora l’inferno, purché ciò fosse senza arrecargli alcuna offesa e che il mio tormento eterno andasse a gloria sua, sarei stata contenta ed egli sarebbe sempre rimasto il mio Dio». Diede poi a quella virtuosa religiosa questa strofa dicendole che si dilettava molto a cantarla quando era in preda ai suoi travagli interiori: Come un cuoio essiccato Si ritira per azione del calore, Così sono io per il dolore, Ma custodisco sempre le vostre leggi nel mio cuore Senza badare al mio martirio; Nulla in questo luogo mi consola Se non sapere che Dio è il mio Dio 12. La buona religiosa ringraziò molto la Beata Madre per la luce che le aveva offerto e cominciò a dire che Giovanna Francesca era molto più esperta di lei nell’amore divino e che non avrebbe mai scordato le sue massime, e cioè che la somma perfezione di vita spirituale consiste nel seguire l’esempio che il Padre ci ha voluto offrire attraverso il suo Figlio unigenito. Giovanna Francesca disse alla carissima sorella Anne-Catherine de Beaumont che aveva più volte rivissuto nel suo cuore l’incontro che aveva avuto con quella virtuosissima religiosa e che trovava insopportabile l’incapacità di pronunciare le parole Mio Dio; se Dio avesse dato anche a lei quelle sensazioni il suo cuore si sarebbe annientato e disfatto dal dolore. Aggiunse: «Sopporterei volentieri la privazione dei sentimenti e dell’esperienza di quella dolce verità che Dio è il mio Dio, ma preferirei privarmi mille volte della vita piuttosto che perderne la fede e la fiducia». Una volta ad alcune sorelle che le dicevano che la Madre de Châtel portava sempre con sé il Cantico dei Cantici e che esso rappresentava l’intrattenimento più caro dei suoi pensieri, lei rispose: «Era ciò che la affascinava di più e lo meritava, perché era una sposa fedelis12 Ndt: Il testo francese presenta una sestina composta da quattro versi in rima incrociata (ABBA) e due in rima baciata (AABB). Come già altrove, però, abbiamo preferito nella traduzione salvaguardare il senso, piuttosto che la metrica.

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sima ed innamorata; quanto a me mi sono servita solo di quattro o cinque versetti del Cantico, perché preferisco soffermarmi sulle massime evangeliche. Il Beato Padre mi aveva assegnato queste parole della sposa: Il mio amato mi baci con i baci della sua bocca 13 e io me ne sono servita per il Santissimo Sacramento, ma mai fuori da quel tempo, perché sarebbe chiedere i favori e le carezze dovute a quella pura sposa e non ad una misera serva». L’amore puro e forte della Fondatrice le fece gradire che per tutto il corso della sua vita lo Sposo celeste la tenesse come una raccoglitrice di mirra, sempre intenta a mortificarsi e sempre accesa dal desiderio di crescere nell’amore santo; non faceva caso all’amore per la dolcezza se raffrontato all’amore del dolore e della profonda umiltà. Sul muro del viale più frequentato del monastero fece scrivere tutte le ammirevoli qualità che san Paolo attribuisce alla carità: è benigna, paziente, dolce, tutto crede, tutto soffre… Chiamava quella sentenza lo specchio del monastero e a volte ordinava alle sorelle che avevano ammesso delle colpe contro la carità di andare a leggere quelle frasi e lei andava con loro, gustando e facendoci riflettere su quelle parole: Se anche parlassi le lingue degli angeli ma non avessi la carità, non sono nulla […] e se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova 14». Parlava abbastanza spesso dell’onore che bisogna portare ai comandamenti di Dio, dimostrandoci che per noi doveva rappresentare l’obbligo degli obblighi. In particolare si soffermava molto di frequente sul primo comandamento e, negli ultimi due anni della sua vita, aveva imparato a cantare i comandamenti divini come lo si fa fare ai bambini alla fine del catechismo. Possiamo proprio dire che amava Dio con tutta la sua anima, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze e tutta la sua mente e che il suo essere era interamente sacrificato all’amore e al suo servizio.

13 Ndt: 14 Ndt:

Ct 1, 2. 1 Cor 13, 1-3.

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V.

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IL SUO AMORE E LA SUA CARITÀ VERSO IL PROSSIMO

Avendo lo Spirito Santo unito in un unico comandamento l’amore di Dio e quello per il prossimo, non bisogna parlarne separatamente; infatti, se l’amore per il prossimo era un albero fiorito e carico di frutti d’immortalità per il cuore di Giovanna Francesca, l’amore di Dio ne costituiva la radice purissima e preziosissima. Ci disse una volta che il suo primo direttore spirituale le aveva insegnato ad amare il suo prossimo in Dio attraverso alcune pratiche di immaginazioni devote che però non si confacevano al suo spirito. Quando lo raccontò a Francesco di Sales lui le rispose che doveva amare e benedire Dio in tutte le sue creature e che, se si dovevano guardare le creature in se stesse, questo doveva sempre essere fatto in Dio. Da allora si era sempre attenuta a questa pratica. Amava i suoi parenti di un amore purissimo e perfetto, ma soave, dolce e grazioso che ben si conciliava con il loro affetto e dimostrando loro il suo attraverso un profondo desiderio del loro bene spirituale. Tutte le lettere che scriveva loro riguardavano o gli affari di famiglia o il bene delle loro anime. Sull’esempio del Signore amava profondamente coloro che l’amavano e corrispondeva cordialmente all’affetto di quelle anime che vedeva rivolgersi a lei con sincerità; non voleva però che le si affezionassero, né che dimostrassero eccessiva tenerezza o sollecitudine nei suoi confronti. La naturale simpatia e il compiacimento erano stati in lei annientati e tutto era predisposto in funzione della legge dell’amore puro. Chiunque ponesse la sua fiducia nella Beata Madre poteva ben dire di aver trovato l’amica fedele e una fonte di vita e di consolazione per il proprio cuore. Non si accontentava di amare coloro che l’amavano, ma, salendo più in alto, amava ed abbracciava caritatevolmente anche coloro che sapeva nutrivano per lei avversione o cattive intenzioni. 291 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Aveva scritto di suo pugno molte sentenze tratte dalle Sacre Scritture riguardanti l’amore per il prossimo; la prima era: Fare del bene agli ingrati per imitare la benignità del Padre celeste. La seconda: Gesù Cristo ci ha amati e lavati col suo sangue. A questo proposito fece scrivere un giorno queste parole ad una religiosa che manifestava alcune difficoltà a praticare la carità verso il prossimo: «Mia cara figlia, considerate spesso queste parole: Gesù ci ha amati e lavati col suo sangue. Perché ci ha amati, sebbene siamo creature immonde e vili? Ci ha amati per un eccesso di carità, perché ci voleva lavare nel suo sangue e non ha atteso che fossimo puri per amarci. Credetemi, figlia mia, amiamo il prossimo senza troppo pensarci su, anche se è povero o deforme, amiamolo così com’è; e se fosse possibile lavare col nostro sangue le sue imperfezioni, dovremmo desiderare di offrirlo fino all’ultima goccia». Disse una volta che non aveva trovato nella Scrittura nulla che le avesse dato tanto da pensare all’amore per il prossimo quanto queste parole di Gesù agli Apostoli: Ecco il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati 15. A tutti disse: Amate il vostro prossimo come voi stessi 16; ma agli Apostoli e alle anime religiose: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati e come il Padre ha amato me. «Questo, continuava, deve aprire davanti a noi abissi di carità per il prossimo, perché il Padre e il Figlio si sono amati, si amano e si ameranno di un amore eterno, di un amore di comunicazione, di uguaglianza e di unità inseparabili e il Vangelo dice che il Signore ha amato i suoi fino alla fine». Quando la Fondatrice si metteva a parlare con noi dell’amore per il prossimo, le sue parole erano così piene di riferimenti alla Scrittura, così infiammate e così eloquenti che se il tempo dei nostri esercizi non fosse stato ben determinato non so proprio quando avrebbe finito. Ci amava veramente più di quanto amava se stessa, perché si è offerta per il nostro bene e per il cammino di salvezza tracciato dalla nostra piccola congregazione. Ci ha amate di un amore comunicativo e non volle serbare per sé neanche i più segreti consigli che il Beato Padre le aveva dato per la sua vita interiore, ma anzi li ha messi in comune per il no15 Ndt: 16 Ndt:

Gv 15, 12. Lc 12, 31.

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stro bene e una volta ci disse molto graziosamente: «Non ho quasi nulla di segreto per le nostre sorelle, poiché loro sanno per quale cammino il Signore mi conduce». Aveva un libretto scritto da lei a mano con i consigli che il Fondatore le aveva dato, sia riguardanti la preghiera che le tentazioni di cui era talvolta vittima e un altro quadernino, scritto dal Beato Padre e in parte da lei che conteneva delle domande inerenti le sue difficoltà interiori più intime. Prestava abbastanza spesso alle sorelle quei due libricini, secondo le loro necessità, indicando loro il punto che pensava potesse essere loro utile. Ad alcune, quando le raccontavano le loro pene interiori, diceva: «Ho avuto anch’io questa tentazione una volta e il Beato Padre mi diede questo consiglio, oppure ho letto questa cosa che mi fortificò molto. Vedete se può esservi utile». Insomma Giovanna Francesca poteva proprio dire alle sue figlie: vi ho comunicato tutto quello che ho ricevuto dal Beato Padre. Ci amava con amore di obbedienza, non solo attraverso il raro esempio che lei ci ha dato di quella virtù, ma con la violenza che ha fatto a se stessa per acquisire una certa compiacenza di carità verso il prossimo, che noi abbiamo avuto occasione di vedere ed ammirare mille e più volte, ma che non sapremmo esprimere. Un giorno disse che stava attenta a conoscere i desideri e le inclinazioni virtuose che le sorelle avevano, sia che facesse o che non facesse qualcosa per obbedienza o per carità. Ci amava con un amore di uguaglianza, donandosi tutta a tutte e benché stesse tra noi, senza che se ne accorgesse, con una maestà da santa che la rendeva venerabile ai nostri occhi, il suo modo di essere possedeva la dolcezza di una colomba che ci invitava ad accostarci a lei. Stava tra noi come una di noi e una volta in parlatorio a un Padre che per carità lei voleva distogliere da un atteggiamento troppo austero disse: «Voi mi vedete alla mia età e nello stato interiore nel quale Dio mi tiene, in mezzo a tanti problemi, senza alcuna voglia di ridere né di parlare; ma se mi vedeste in mezzo alle nostre giovani che sono sempre allegre, io parlo, le ascolto, rido senza provare allegria per ciò che mi dicono e dare loro la libertà di divertirsi poiché lo svago è loro necessario». Ci amava con amore di unione e un giorno in cui le si stava parlando di una sorella che credeva di non essere amata da lei disse: «Quella cara anima mi fa un grande torto perché vi assicuro che non 293 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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esiste figlia della Visitazione, qualunque sia e ovunque si trovi, che sia inseparabile dal mio cuore». Diceva pure che il monastero di Annecy era proprio al centro del suo cuore e tutti gli altri erano disposti attorno a lui; ne nominò alcuni nei quali aveva notato una virtù più perfetta e un più grande zelo per l’osservanza, per la modestia e l’umiltà. Sentiva che quei monasteri erano nel suo cuore i più vicini ad Annecy. Non si può esprimere l’attenzione che aveva per far fiorire in questa casa e in tutte le altre dell’Istituto la reciproca carità, l’amicizia santa e l’unità di spirito. Quando venivano fatte delle fondazioni era uno dei primi consigli che dava o che scriveva a coloro che erano destinate a diventarne le superiore: procurare soprattutto una grande e santa unione tra le loro figlie. Quando scriveva ad una comunità o alle sorelle del noviziato di una delle nostre case non dimenticava mai di raccomandare la santa e vicendevole amicizia e di conseguenza la cordiale stima reciproca. Spesso con sentimento e le lacrime agli occhi diceva che sarebbe morta di rammarico, che il cuore le si sarebbe seccato dal dolore e che le avrebbero tolto dei giorni di vita se non avesse visto la santa unione del cuore e dello spirito in una comunità nella quale si temeva che non regnasse perfettamente. Insomma, possiamo dire che ci ha amate fino alla fine e in quest’ultimo triennio in cui si è conclusa la sua vita terrena non so dire se sia trascorsa una ricreazione o un’assemblea o tenuto un capitolo senza che ci abbia santamente stimolate e spinte alla stima e all’amore reciproco. All’avvicinarsi del termine del suo triennio volle leggerci durante il capitolo il trattato che il Padre Rodriguez ha scritto sull’unione religiosa e pregò una sorella di sottolinearne gli stralci più belli per leggerli. Le disse: «In questi ultimi atti di superiorità che farò nella mia vita voglio parlare alle nostre sorelle solo di carità e d’amore, perché le cose dette per ultime restano meglio incise nel cuore. Questa carità e questo amore reciproco sono il dolce ricordo che desidero lasciare a questa comunità». Prima di essere deposta da quel suo ultimo triennio si intrattenne due volte con la comunità sul tema dell’amore verso il prossimo; ne era talmente entusiasta che, passando tra le sorelle si voltava graziosamente verso ciascuna e chinando un poco la testa diceva: «Amore! Amore! Amore! Figlie mie, non so più altro». Una sorella alla quale faceva scrivere lettere da parte della comunità le disse: «Madre mia, metterò in questa lettera che Vostra Ca294 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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rità, in vecchiaia, è come il nostro patrono san Giovanni, perché ci parlate solo d’amore». La Beata Madre riprese: «Figlia mia, non fate questo paragone: non bisogna profanare i santi confrontandoli con i miseri peccatori; ma mi farete un grande piacere se scriverete a quelle figlie che più di due anni fa vi ho detto che se credessi nel mio coraggio, se seguissi la mia inclinazione e se non temessi di annoiare le nostre sorelle, non parlerei d’altro che della carità e vi assicuro, aggiunse con bontà ed innocenza ammirevole, che ogni volta che apro la bocca per parlare di cose buone sento il desiderio di dire: Amerai il Signore con tutto il cuore e il prossimo come te stesso». Se avesse capito che tra alcune sue figlie poteva esserci malcontento o freddezza non si dava pace finché non aveva riunito i loro animi ed esagerava con parole forti il peccato che si compie nel dare adito all’inaridimento della carità. Infinite volte ci ha ripetuto questo passo di Salomone: Sei cose odia il Signore, anzi sette gli sono in abominio: […] chi provoca litigi tra fratelli 17. Disse una volta con grande zelo che, se si volesse fare giustizia, bisognerebbe tagliare la lingua a colei che semina parole che creano divisione e aggiunse con intenso fervore che avrebbe voluto con tutto il cuore che le si tagliasse la lingua, cosa che avrebbe sopportato soavemente, se con ciò avesse potuto eliminare da tutte le case religiose, dagli uomini e dalle donne, i seminatori e le seminatrici di parole di disunione. Nessun difetto era ripreso con uguale incisività, né punito con simile facilità quanto le mancanze contro la carità e l’unione. Ci parlava spesso della delicatezza di coscienza che bisogna avere nel parlare soltanto in positivo del prossimo; se ci fosse sfuggita qualche parola, anche piccola, contro l’unione, avremmo dovuto subito confessarci ben chiaramente e distintamente, e non in generale, perché ci diceva che non potremmo mai capire quanto sia facile offendere gravemente il Signore parlando del prossimo, soprattutto se lo si vuole anche minimamente denigrare. Prima di essere deposta dalla carica di Superiora, al termine del suo ultimo triennio, si intrattenne per ben due volte con la comunità,

17 Ndt:

Pr 6, 16.19.

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come abbiamo già detto, sui temi della carità e dell’unione reciproca. Fra le tante cose ci disse che, se all’arrivo della Madre Superiora, Marie-Aimée de Blonay, si fosse accorta che una di noi fosse andata a parlarle degli errori passati commessi dalle sorelle, avrebbe supplicato il Monsignore d’imporre una penitenza esemplare. «Mie care sorelle, ci diceva, abbiate grande e reciproca cura di entrare nella stima della vostra Superiora. Per quale ragione dovreste voi ricordare i difetti già cancellati delle vostre sorelle, se non per gettare dell’ombra sulla loro virtù? Così facendo commettereste un grave peccato e colei che penserà che in questo modo diminuirà la stima della sorella, in realtà annienterà la sua. Io stessa, che conosco tutte le vostre mancanze, mi guarderò bene dal riferirle alla Madre e parlerò solo delle vostre buone inclinazioni naturali e delle vostre doti interiori. Non dirò dunque nulla dei vostri errori passati: se farete qualche errore durante il suo mandato, sarà lei stessa a correggerli». All’arrivo della Madre de Blonay Giovanna Francesca le riferì davanti a tutta la comunità del divieto che aveva imposto di parlare delle mancanze passate. La Madre Superiora le rispose che le aveva reso un grande favore anche perché, fatta eccezione per i casi in cui la carità e la necessità, in accordo con la regola, lo impongono, le dava di norma fastidio sentir parlare dei difetti altrui. La Fondatrice la abbracciò teneramente e le disse con il volto sorridente: «Mia cara Madre, possa Dio colmarvi di tutte le sue benedizioni; vi amo ancor più di prima». Giovanna Francesca, parlando in privato con la Superiora per riferirle della comunità, prese il foglio sul quale sono scritti in ordine i nomi delle sorelle e le parlò bene di tutte. Aggiunse poi: «Mia cara Madre, quando si verificherà qualche mancanza vi dirò qualcosa di più». Disse poi alla sorella che scriveva per lei, di inserire, tra gli appunti che stava prendendo per redigere una lettera a tutta la congregazione, che bisognava ricordarsi di dire alle diverse case che quando cambiava la Superiora si commettevano gravi mancanze contro la carità e l’unione. In una lettera indirizzata alle Superiore elette e deposte in quell’anno scrisse queste parole: «Mie care figlie, i vostri buoni cuori saranno lieti che io condivida con loro una luce che Dio mi ha dato e che, se Lui me ne dà il tempo, voglio comunicare a tutti i nostri monasteri. Quando si elegge una Superiora non bisogna affatto, con la scusa della fiducia e senza una necessità assoluta, parlarle degli er296 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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rori passati delle sorelle. Ciò servirebbe solo a gettare ombra e a formulare illazioni, che sono peccati gravissimi. Abbiamo eletto qui la Madre de Blonay; sapete che è un’anima di totale fiducia, ciò nonostante per consolidare qui questa pratica e potendo anche all’interno della congregazione, non voglio affatto che le sorelle le parlino né io lo farò, degli errori commessi dalle consorelle prima che lei arrivasse. Fate lo stesso anche tra voi, mie carissime figlie, e vedrete che questa pratica di carità universale attirerà su di voi benedizioni celesti grandissime. Ahimè, figlie mie! Tutto il bene del nostro caro Istituto dipende dalla reciproca unione dei cuori». Alla porta della stanza adibita alle assemblee aveva fatto scrivere sul muro questi versi che le piacevano molto e che qualche volta cantava: Oh, come è appagante Vedere i fratelli che vivono insieme Uniti da un amore costante! Poiché dove la concordia è perseguita Il Signore dona in abbondanza a quel luogo La pace, il riposo e la vita. Come durante la vita la Beata Madre ci ha inculcato l’amore per il prossimo, così fece anche al momento della sua morte: oltre a ciò che scrisse a questo proposito nella lettera generale a tutta la congregazione, lo fece scrivere in particolare alle sorelle di questa comunità.

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VI.

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ANCORA DEL SUO AMORE E DELLA SUA CARITÀ VERSO IL PROSSIMO

Poiché amava tanto fortemente la fraternità, non mancava mai di fare del bene al prossimo. Non si accontentava dell’amore affettivo, ma a quello aggiungeva l’effettivo e faceva del bene a tutti secondo le sue facoltà. Manifestava uno zelo straordinario per la salvezza delle anime e soppesava continuamente questa frase della Scrittura: Dio ha incaricato ognuno di noi dell’anima del suo prossimo. Questo suo desiderio di salvezza delle anime fece sì che, grazie all’impegno e allo zelo che spese in favore di quella causa, fosse fondata in questa diocesi una casa di Missionari di San Vincenzo de’ Paoli per l’istruzione dei poveri contadini. Quando ricevette la risposta del commendatore de Sillery, nella quale le diceva che accettava l’ispirazione che Dio le aveva dato di stabilire alcuni missionari in questa diocesi come l’avesse ricevuta lui stesso e che se ne faceva il promotore in prima persona, la gioia della Beata Madre fu inesprimibile e ringraziò infinite volte sia il Signore che gli uomini. Volle che questo monastero si prendesse cura di far preparare la casa per accogliere quei Padri, allestendo il mobilio e fornendo la biancheria per la sacrestia, il dormitorio e il refettorio. Voleva cucirla lei stessa e diceva con grande dolcezza e allegria: «Quando penso che questi missionari vengono per istruire le pecorelle del nostro Beato Padre, non so cosa non farei per loro». Il miglior modo per rallegrarla era raccontarle i frutti che le prediche di quei Padri producevano nelle parrocchie e spesso, quando la sorella portinaia veniva in ricreazione, le chiedeva se aveva qualche novità da comunicarle. Abbiamo trovato scritte di sua mano dietro ad una lettera queste parole: «Ricordati di pregare il Vescovo di Ginevra che insegni alla gente come ascoltare devotamente la santa Mes298 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sa e offrire a Dio al mattino le azioni di tutta la giornata». Ha sempre conservato questa pratica di carità e di umile confidenza verso i prelati di questa diocesi: diceva loro ciò che aveva in mente per il bene del loro gregge o, se vedeva o sentiva dire dai canonici o altri ecclesiastici qualcosa che doveva essere corretto, non esitava ad avvertire il vescovo. Diceva che come l’anima è la parte principale dell’uomo, allo stesso modo la migliore e più importante parte della carità deve esercitarsi verso l’anima e per i beni futuri. Soffriva molto se non poteva far emendare il prossimo dei difetti che era incaricata di riprendere e passava sopra qualunque umana considerazione per procurare la correzione, servendosi del rigore o della dolcezza di cui era capace. Sapeva essere amabile o estremamente dura a seconda dei casi, ma sempre con carità e nel desiderio di trarre il maggior profitto per le anime. Una volta, per correggere alcune imperfezioni del suo prossimo, fece qualcosa che sapeva sarebbe dispiaciuta molto ad una persona di grande considerazione. Dimostrò quanto le rincresceva il doverlo fare, ma disse anche che non poteva sopportare più di vedere quell’anima rimanere nell’errore e che preferiva dispiacere a qualcuno piuttosto che tradire le anime a lei affidate. Più volte ha detto che se avesse avuto mille vite le avrebbe offerte tutte, una dopo l’altra, per il bene e la salvezza del prossimo. Ora parleremo della sua carità verso i bisognosi, anche se, per descriverla nel dettaglio, bisognerebbe scrivere dei volumi espressamente dedicati ad essa. Coloro che hanno avuto gli incarichi di portinaia e di economa testimoniano che quando le chiedevano di fare del bene ai poveri lei provava una grandissima felicità. Non è certo necessario ricordare qui la carità ammirevole che la portò, nei migliori anni della sua vita, a sacrificare vita e libertà per servire i poveri nel corpo e nello spirito. Aveva insegnato ad una portinaia che quando voleva chiederle il permesso di fare qualche elemosina le dicesse: «Madre mia, piace a Vostra Carità che si dia la tal cosa in nome di Nostro Signore?». E lei rispondeva con attenzione, devozione e testimoniando una felicità senza eguali: «Sì, figlia mia, date l’elemosina al Signore e per amor suo». Parlava lei stessa alle sorelle addette al servizio esterno affinché andassero ad informarsi su chi avesse maggiormente bisogno e si occupava personalmente di preparare brodi, pancotti e altre simili cose 299 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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per i malati. La si è vista talvolta andare in dispensa o dalla suora economa a chiedere qualcosa per i poveri dicendo: «Figlia mia, in nome di Nostro Signore datemi questa cosa per i poveri» e tutta allegra la portava alla portinaia dicendole felicemente: «Sono migliore questuante di voi; vedete a me hanno dato questo e questo». Spesso le abbiamo sentito dire di non gradire che i nostri monasteri facessero delle regalie alle persone ricche, tranne nei casi in cui si fosse in obbligo per qualche motivo. Bisognava invece risparmiare i beni che Dio ci mandava, non per arricchirci, ma per poter fare la carità ai poveri. L’abbiamo vista per diverse settimane incaricarsi di verificare, mattina e sera, che le porzioni di un Padre cappuccino malato fossero buone e ben preparate. Quando vi erano dei Cappuccini malati nel convento di questa città, voleva sempre che la nostra casa provvedesse loro il cibo. Con il Padre Guardiano aveva fatto un accordo e cioè che, in caso di necessità e se non avessero trovato altrove altro aiuto, la nostra casa doveva diventare il loro rifugio. E se dei Padri forestieri fossero venuti al nostro monastero a bussare per chiedere del cibo, sarebbe scesa lei stessa e sarebbe andata dalla dispensiera a dirle: «Figlia mia cara, potreste farci la carità per i nostri buoni Padri cappuccini?». Quando la guerra costrinse molte persone della contea di Borgogna a rifugiarsi in questa città, non si possono descrivere le caritatevoli premure che Giovanna Francesca offrì a quei poveri profughi: dava loro una certa quantità di pane a settimana assieme a molti altri gesti di carità. Quando qualcuno si stupiva della grande quantità di pane che riusciva a dare, malgrado la provvista di grano fosse sempre la stessa, lei diceva: «Date coraggiosamente, figlie mie, nel nome del Signore e vedrete che alla fine dell’anno la vostra spesa non sarà maggiore del solito». Il che fu così vero che quando i superiori visionarono i nostri conti si stupirono del fatto che una comunità così grande consumasse così poco grano. L’abbiamo vista soffrire molto quando non poteva assistere il prossimo secondo i suoi bisogni e una volta, davanti ad un povero gentiluomo rovinato dalla guerra e che non sapeva dove ricoverarsi, ci disse con grande compassione: «Vi assicuro che se il commendatore de Sillery fosse ancora vivo gli chiederei un’elemosina di 1.000 o 2.000 scudi per costruire una piccola casa dove ricoverare i poveri abbandonati». 300 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Chiunque le chiedesse istruzione o conforto non veniva da lei rifiutato. Andava a far visita, a parlare e a consolare i poveri con una felicità tutta particolare, non lamentandosi mai del tempo che impiegava. Diceva infatti che con quelle persone si praticano contemporaneamente tutti gli aspetti della carità: si consolano gli afflitti, si istruiscono gli ignoranti, mostrando loro il frutto che devono trarre dalle loro sofferenze e si apprendono dalla loro stessa voce i loro bisogni per potervi così provvedere. Aveva ordinato alla suora guardarobiera di metterle da parte per i poveri le camicie rotte e di prepararle i pezzi di stoffa per rammendarle lei stessa. Se la avessero lasciata fare avrebbe anche voluto insegnare alle sorelle che si occupano delle scarpe ad aggiustare le vecchie per darle ai bisognosi. La carità della Fondatrice non era né indiscreta né prodiga. Non avrebbe mai fatto elemosina togliendo qualcosa alla comunità, se non quando il prossimo si trovava in assoluta e totale necessità, come avvenne un anno, nel quale chiese alle sorelle se sarebbero state contente di continuare la Quaresima anche qualche settimana dopo Pasqua, o almeno di mangiare di magro per alcuni giorni alla settimana per avere di che assistere i poveri. Durante la peste ottenne il consenso della comunità per fare mangiare del pane nero alla tavola comune e poter così continuare ad assistere i bisognosi. Nel libro dei conti si possono vedere le carità che quasi ogni anno la Beata Madre faceva ora a questo ora a quell’altro nostro monastero e vedendo che questa casa non poteva provvedere a tutti i bisogni delle altre, chiedeva aiuto a quelle che pensava fossero in grado di aiutarla e spesso scriveva quelle lettere di suo pugno perché diceva che erano per la carità. L’abbiamo vista piangere di gioia e di consolazione leggendo una lettera della superiora di Rouen, Anne-Thérèse de Préchonnet, nella quale le comunicava che un buon numero di novizie del suo monastero aveva messo insieme molte cose di loro proprietà, ma che non facevano parte della loro dote, per farne un piccolo fondo con il quale assistere i monasteri più poveri. «Vedete, diceva lei, questa invenzione caritatevole mi strugge il cuore di riconoscenza verso quella Madre e le sue figlie». Scrisse loro una lettera di ringraziamento nella quale usò i termini più dolci che potesse trovare. 301 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Una volta, la nostra cara sorella Anne-Élisabeth Perrin, superiora di Puy, le scrisse di aver sentito dire che diverse nostre case si trovavano nell’indigenza e che ciò le dispiaceva a tal punto da aver deciso, e con lei la sua comunità, di digiunare e risparmiare per poter soccorrere i monasteri più bisognosi. Giovanna Francesca si consolò tanto leggendo quelle parole di carità che baciò amorevolmente quella lettera e ci disse: «Vedete quello che è uscito dal cuore e dalla mano di una vera figlia della Visitazione». Per due giorni la portò per devozione alla cintura e quando le chiedemmo il perché ci rispose: «Per offrire a Dio quelle buone e caritatevoli figlie e perché la Sua bontà mi benedica insieme a loro». Quando non sapeva più dove prendere o chiedere aiuto per assistere i monasteri più poveri, si premurava di consolarli e li incoraggiava, attraverso le sue lettere, ad arricchirsi di tesori spirituali in mezzo alla penuria temporale. Ci diceva anche che, non potendo apportare alle nostre sorelle beni maggiori, doveva almeno soddisfarle attraverso le sue lettere. Si struggeva il cuore se notava alcune case meno disposte ad aiutare le altre e diceva che niente la affliggeva di più che vedere, tra le figlie della Visitazione, poca reciproca carità. Potremmo terminare il racconto della caritatevole bontà che la Fondatrice praticava verso gli estranei e verso le case più povere del nostro Istituto senza dire nulla di quella che esercitava all’interno della sua comunità? È molto più facile ammirarla che descriverla. Molte volte ha detto che tutte le sue sofferenze le avevano insegnato a sopportare e compatire le inferme e che senza le continue malattie con cui il Signore la graziò (erano proprio le sue parole) all’inizio, avrebbe mal sopportato che il Beato Padre avesse fondato un Ordine di simile dolcezza. Dio le aveva insegnato che nulla può eguagliare la grandezza della carità. Conosceva tutte le necessità delle sue figlie, ma soprattutto quelle delle malate, avendo scritto di sua propria mano che dove vedeva una necessità avrebbe preferito annientarsi pur di recarle sollievo. Quando c’erano delle malate, la sua prima occupazione uscendo dopo Prima era di andarle a visitare e poi tornava da loro una o due volte nella giornata. Quando vi erano delle gravi malattie, per quanto occupata fosse, trovava il tempo per andare a servirle e a dar loro da mangiare. Aveva ordinato espressamente alle infermiere di chiamarla nelle ore più co302 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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mode per le malate e che in qualunque momento della notte esse chiedessero di lei, andassero senza timore a svegliarla, perché il suo più grande riposo era nel servizio alle sorelle. Disse una volta: «Quando vedo che Dio mi dona una vecchiaia così sana credo che con questo voglia farmi capire che devo impiegarla al servizio delle nostre inferme ed è per questo motivo che frequento più che posso le nostre infermerie». Talvolta la si vedeva sostenere a lungo la testa delle febbricitanti in preda all’ardore della febbre e quando qualcuno le diceva che così si stancava troppo rispondeva: «Proprio il contrario: in infermeria io mi ricreo e mi riposo». Raccomandava le ammalate all’infermiera con parole che manifestavano chiaramente la carità universale del suo cuore e ancora durante il suo ultimo triennio, durante l’agonia di una nostra novizia che poi morì, pregò la sorella infermiera di servirla con cura e di darle tutto ciò che le occorreva come fosse stata una delle più importanti religiose dell’Ordine. Con nessun’altra inferma la Beata Madre aveva dimostrato una simile assiduità nel servirla e nel porgerle il cibo. Non solo si curava delle malate, ma anche delle infermiere e voleva che al mattino prendessero qualcosa per premunirsi contro gli aliti cattivi; durante il giorno voleva che si riposassero per recuperare il sonno perduto. A volte diceva alla sorella infermiera che ringraziava Dio, come fosse un grande beneficio, dell’affetto che le aveva dato per servire le inferme e che, se avesse avuto l’età e la forza, non avrebbe desiderato nessun altro impiego all’interno dell’Ordine se non quello di occuparsi dell’infermeria. Una sorella malata una volta le disse che le dispiaceva molto essere un peso per il monastero, ora che non poteva fare più nulla, essendo anche stata accolta senza dote. Giovanna Francesca le rispose: «Mia cara figlia, non dite così, voi siete per noi più preziosa di una montagna d’oro. È un grande tesoro per la casa di Dio avere delle anime che soffrono con pazienza come fate voi e persone che esercitano la santa carità». Un’altra volta, mentre faceva prendere alcuni rimedi ad una sorella disse: «Ho un grande desiderio di fare tutto il bene possibile alle nostre sorelle, secondo la mia regola, perché fuori da essa non voglio né posso nulla».

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VII.

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LA SUA PAZIENTE CARITÀ NEL SOPPORTARE IL PROSSIMO

Dall’amore benefico della Beata Madre bisogna ora passare all’amore tollerante. Dio ha permesso per la sua santificazione che le occasioni di praticarlo non le siano mai mancate come l’aria che ha respirato; di suo pugno si era scritta queste parole del Signore: Se salutate i vostri fratelli, cosa fate più dei pagani? Amate i vostri nemici, beneficate quelli che vi odiano 18. Disse una volta in cui era stata obbligata a parlare, che, dopo essersi sacrificata al servizio divino, non aveva mai avuto desiderio di rendere male al male, ma di aver sempre avuto la volontà di vincere il male col bene. In un altro incontro, parlando della vendetta, disse queste parole: «Ho un tale orrore per quel vizio che se mi fosse capitato di fare qualcosa per vendetta credo che ne sarei morta di dolore. Non vi è nulla che mi stupisca di più che pensare come possa un cuore cristiano lasciarsi trasportare da desideri e da azioni di vendetta, pur essendo cose molto lontane dalle massime del Figlio di Dio». Una persona di bassa condizione, non comprendendo le ragioni che avevano obbligato Giovanna Francesca in coscienza a compiere determinate azioni, si lasciò trasportare dall’ira e le disse parole molto stravaganti ed offensive, accusandola d’ingiustizia e di falsa carità. La Beata Madre la ascoltò con un viso dolce, umile e devoto e quando quella persona ebbe finito di parlare le rispose soltanto: «Dio vi benedica, figlia mia». Poi, volgendosi verso le sorelle che le erano vicine: «Vedete come il nostro caro prossimo si altera? Esso è creato ad immagine e somiglianza di Dio, perciò bisogna amarlo con tutto il nostro cuore. Andiamo a pregare per lui». 18

Ndt: Cf. Lc 6, 27ss.

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Un’altra persona, non meno trasportata dalle passioni ed indiscreta di colei di cui abbiamo appena parlato, venne un giorno in parlatorio e coprì di improperi la Fondatrice. La sorella che la assisteva disse: «Veramente, Madre, non è intenzione di Monsignore (allora era il Beato Padre) che vostra Carità sopporti simili insulti». Lei sorrise e le disse: «Perdonatemi, figlia mia cara, Monsignore mi ha insegnato che dobbiamo seguire questo documento di san Paolo che dice: Miei carissimi, non vi vendicate né difendete; soffrite piuttosto di essere maltrattati ed ingiuriati». Il giorno successivo, un parente stretto di quella persona sconsiderata andò a lamentarsi fortemente della nostra Fondatrice con il principe di Nemours, che allora si trovava ad Annecy. Il signor de la Roche d’Allery venne ad avvertire Giovanna Francesca affinché qualcuno parlasse al principe. Ma lei gli rispose graziosamente: «Mio caro fratello (lo chiamava così per l’amicizia santa che li legava; era infatti un gentiluomo di grande virtù), bisogna pur soffrire per qualcosa. Se il nostro prossimo non ci facesse mai del male, in che cosa lo sopporteremmo? Provo una grande consolazione, essendo spose di Cristo, ad essere come lui accusate davanti a dei principi. L’unica cosa che farò sarà comunicarmi per il nostro accusatore». Un gentiluomo, molto in collera perché sua sorella entrava religiosa in uno dei nostri monasteri, dopo aver fatto il possibile per dissuaderla, non riuscendo a venirne a capo, se la prese con la Beata Madre e le disse parole molto offensive, alle quali lei oppose solo una religiosa modestia e soavità. Questo atteggiamento però inasprì ancora più quell’uomo e lei, vedendo che non riusciva ad addolcirlo con il miele delle sue parole, decise di avvalersi dei suoi beni e dispose che la pretendente lasciasse una cospicua parte di quanto possedeva al fratello, dicendo che non bisognava risparmiare nulla per ricondurre il prossimo nella dolce e cristiana carità. Convinse anche la pretendente a far dono al fratello di una collana di perle che voleva regalare al monastero dicendole: «Figlia mia cara, date le perle del mondo al mondo per ricondurre alla santissima carità l’anima di vostro fratello che è il prezioso gioiello di Gesù Cristo». All’epoca della costruzione di questo monastero, come si è detto nella nostra fondazione, vi furono grossi problemi e si arrivò fino a cacciare a pietrate gli operai. Una delle persone che maggiormente si opponeva a questa impresa si ammalò e la Beata Madre si vendicò 305 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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alla maniera dei santi, beneficandola enormemente, preparandole ogni giorno brodi, orzate e altre cose per alleviarla. Diceva alle sorelle: «Vedete, sorelle mie, questo buon uomo merita la nostra compassione. Prova una tale avversione nei nostri confronti che potrà guarire solo grazie alla nostra dolcezza verso di lui». Un giovane, molto irritato perché colei che aveva scelto come sposa voleva entrare come religiosa in uno dei monasteri che Giovanna Francesca aveva fondato, si lasciò trasportare dalla passione: venne al monastero e chiese della Beata Madre alla quale consegnò un testo che conteneva una satira. Lei cominciò a leggerlo, poi gettandolo a terra gli disse: «Signore, credo che vi siate sbagliato: questa carta non è a noi indirizzata». Le rispose che era per lei e che voleva spiegargliela e cominciò a dirle le cose più umilianti che si possano immaginare. Uscendo dal parlatorio disse alla sorella che l’assisteva: «Vi assicuro che non ho mai sentito un discorso che mi sia piaciuto di più di quello che questo giovane ha fatto; tuttavia mi dà molta pena vederlo nel peccato e bisogna che ci impegniamo molto presso il Signore affinché ci dia quest’anima». Pregò Dio con tale fervore che esaudì la sua richiesta: quel giovane si convertì, le chiese in lacrime perdono, si fece religioso e, ancora oggi, è un sacerdote virtuosissimo e un grande predicatore. Una persona che aveva scritto una lettera diffamatoria al suo principe contro Giovanna Francesca si trovò nella necessità di ricorrere a lei. Lei andò a parlargli con tanta pace e tranquillità, come se fosse uno dei migliori amici della nostra casa, non trascurò nulla di quanto richiedeva e non gli parlò affatto di ciò che aveva fatto contro di lei e contro il monastero. Una sorella le disse: «Madre mia, bisogna dire la verità, voi soffrite troppo». «Figlia mia – rispose lei – venite a vedere la nostra bella sentenza: La carità tutto soffre, la carità tutto sopporta» 19. Alcune persone, dimentiche del loro dovere, le hanno rimproverato, tra altre cose, d’avere fatto più male che bene all’Istituto. Lei, conservando la sua usuale dolcezza, rispose che poteva anche essere vero, ma che se così era stato, era stato contro la sua volontà e cognizione. Poco prima che partisse da questo monastero una persona scon19

Ndt: Cf. 1 Cor 13.

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tenta le scrisse una lettera così arrogante, biasimandola per diverse cose che non le appartenevano affatto, tanto che ci faceva orrore leggerla. Lei invece ci pregò di non omettere una parola e di leggere tutto e, per timore che qualcosa passasse sotto silenzio, ci fece ricominciare la lettura, ascoltandola con viso così raccolto e devoto che ogni momento sospendevo di leggere per guardarla. Quando la lettera fu finita ci disse: «Bisogna cercare il modo per guadagnare quest’anima: non so se nel nostro Istituto ve n’è una, per il bene della quale io darei più volentieri i miei occhi e la mia stessa vita». Fece scrivere diverse lettere per cercare di soddisfare quella persona e tenne per sé quella per rileggere, crediamo, in solitudine, i biasimi che essa conteneva. Sebbene in quel periodo faticasse molto a scrivere, volle redigere di suo pugno un biglietto a quella persona «affinché veda meglio quanto io l’amo». La Beata Madre ci ripeteva spesso le parole di san Paolo: Portate i pesi gli uni degli altri 20, aggiungendo che non vi era peso più gravoso del sopportare il prossimo con i suoi difetti e con ciò che più ci infastidisce. Di questa virtù ci dava un ammirevole esempio e possiamo proprio dire che a vista d’occhio la vedevamo crescere in lei. Un giorno le fu portata una canzone scritta contro di lei nella quale si biasimava la sua condotta. Ce la fece leggere in sua presenza, mentre lei la ascoltava come fosse un cantico soave. Poi ci disse: «Che faremo ora? Far conoscere a questa persona il suo errore non è il modo migliore per guadagnarla. Sarà dunque meglio che io sopporti e mi sarà facile come coricarmi (stava per andare a letto). Oppure possiamo fare ricorso a Dio: domani mi comunicherò per quest’anima e voi, per parte vostra, invocate qualche santo». Aveva una particolare attitudine a coprire e sopportare gli errori altrui, soprattutto quando erano commessi contro di lei. In occasione di una grave contestazione, una sorella le disse: «Madre mia, ecco dei bocconi adatti allo stomaco dei santi perché hanno il calore della carità per digerirli». Al che lei rispose: «Figlia mia, non dite così, non sono degna di ricevere i bocconi dei santi; ma Dio permette, per mia umiliazione, che provi queste cose. Lui vede il mio cuore e non voglio altra difesa; la sua bontà sa bene che sacrificherei la mia vita per il bene di qualunque anima». 20 Ndt:

Cf. Gal 6, 2.

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In un’altra circostanza disse: «Sono tre mesi che paziento, che soffro e aspetto l’occasione per entrare in quel cuore; ma tutte le mie cure vengono interpretate in modo sbagliato. Eppure non voglio desistere, perché sono ancora ben lungi dall’aver perdonato settanta volte sette 21». Scrivendo alla nostra onoratissima Madre de Blonay a proposito di una certa cosa per la quale si era dispiaciuta non poco, disse queste precise parole: «Pensate, mia cara Madre, se questa mortificazione può avermi mortificato. Ma, oh Dio! Mia amatissima Madre, dobbiamo abituarci a sopportare i dardi che quelle mani ci lanciano, nascondiamo quelle frecce nel nostro cuore e non rimandiamole indietro, ma rispondiamo invece al male con il bene». Non voleva affatto che si conservasse memoria dei dispiaceri ricevuti dal prossimo e non trascurava nulla per portare le persone verso la dimenticanza dei torti subiti. Una religiosa una volta le scrisse che un’altra mostrava verso di lei grande freddezza da ghiacciarle il cuore. Giovanna Francesca le rispose: «Mia cara figlia, la carità non vuole che ci lasciamo vincere dal male; esercitatevi, vi supplico, a seguire esattamente i precetti dettati dal Figlio di Dio e vedrete che il calore della vostra carità cordiale scioglierà la freddezza presente nel cuore della vostra sorella». Un’altra volta una sorella le disse che aveva sentito che un’altra parlava di un errore da lei commesso qualche anno prima. La Beata Madre le chiese quale atteggiamento avesse deciso di assumere e lei le rispose: «Cercare, per amore di Dio, di coprire il più possibile gli errori di coloro che cercano di rivelare i miei per far sì che quella persona non abbia in me fiducia». «Ah, figlia mia, disse la Fondatrice, voi mi fate ringiovanire!». E, abbracciandola teneramente: «Piaccia a Dio che queste decisioni non abbandonino mai la vostra anima. Sa-

21

«Durante un simile incontro le ho sentito dire con grande zelo, a proposito del timore che si nutriva per l’anima di una persona che credeva di non essere amata dalla Beata Madre, che avrebbe di buon cuore dato uno dei suoi occhi, addirittura tutti e due, per la salvezza di quell’anima. E che se fosse stato necessario spargere il suo sangue a tal fine, lo avrebbe fatto altrettanto volentieri. Diceva questo con le lacrime agli occhi, tanto il suo cuore era provato dalla sofferenza di quella persona». (Dalla deposizione di una contemporanea della santa).

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rei felice di morire per scolpirle nel cuore di tutte le figlie della Visitazione». Poi aggiunse ancora: «Non bisogna mai temere se non ci si vendica del prossimo, in quanto Dio sta dalla parte di coloro che tacciono per paura di nuocere a coloro che compiono il male e tutto va a maggior gloria dei primi 22». Ad una persona, che una volta volle chiederle perdono per molte parole che un tempo aveva pronunciato contro di lei, Giovanna Francesca rispose: «No, vi supplico, non ricordatevelo; io non me ne ricordo più e per grazia di Dio non ho memoria di ciò che è stato fatto contro di me. Quando le cose si sono sofferte una volta per Dio, a che giova pensarci ancora?». Una nostra sorella le scrisse una volta che voleva cambiare dimora perché non se la sentiva di restare con persone che l’avevano umiliata e contrariata. La Beata Madre le diede questa risposta: «Oh, Signore Gesù! Figlia mia cara, in quale scuola siete stata allevata, visto che non avete ancora imparato a tollerare il vostro prossimo? Con chi stava Gesù? Non stava forse con un ladrone, che adulava la sua divina persona umiliandolo a tal punto da fargli dire in pubblico che tutto ciò che si faceva per lui era perduto? Non stava forse con un traditore che lo vendette per pochissimi soldi? Oh, figlia mia, quanto siamo ignoranti nella scienza relativa alla tolleranza del prossimo! Ahimè! Col pretesto del disprezzo e delle contraddizioni arriveremo a dimostrare la nostra poca carità. Mia cara figlia, credetemi, servitevi di questo mio consiglio. Dove volete abitare per l’eternità? Probabilmente pretendete di andare in cielo; l’anima con la quale vi siete scontrata, sicuramente ci andrà. Ditemi, figlia mia cara, come potete pretendere che Dio vi unisca eternamente in una stessa dimora, se voi non riuscite, per amor suo, a restare insieme nel breve spazio della vita mortale? Credetemi, non pensate mai a separarvi dal prossimo perché non riuscite a sopportarlo, perché in questo modo vi separereste da Dio». Un’altra religiosa fece dire alla Fondatrice da qualcuno di fiducia che era solita incontrarla, che non riusciva più a stare con una persona che lei amava, ma alla quale non sapeva più come parlare. Giovanna

22 Dalla vita della Madre Françoise-Madeleine de Chaugy si desume che anche lei aveva fatto proprio questo atteggiamento caritatevole tanto lodato dalla santa.

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Francesca le rispose: «A questa figlia non voglio dare altra risposta se non che voi le diciate da parte mia che se non si abitua a sopportare con dolcezza il prossimo, quando verrà l’ora della sua morte il Signore le dirà: Vi ho amata con carità eterna e vi amo ancora perché siete opera delle mie mani, ma non posso né vedervi né parlarvi, perciò è meglio se ci separiamo: allontanatevi da me». Poiché quell’anima era molto buona, queste parole ebbero su di lei un effetto positivo. Non posso concludere questi capitoli dedicati alla carità della Beata Madre senza ricordare che era proprio paziente e tollerante verso tutti e se non precisassi che questo amore di tolleranza era comunque sempre accompagnato dall’amore per la correzione: era precisissima e talvolta appariva anche un po’ severa quando si trattava di correggere e infliggere penitenze. Ciò che veniva fatto direttamente contro di lei, all’insaputa di qualunque altra persona, lo soffriva e lo sopportava, cercando di correggere attraverso la dolcezza; ma quando vi erano testimoni, senza badare al riguardo umano, cercava solo il bene comune, tanto che le abbiamo visto imporre delle penitenze piangendo e dicendo dal profondo del cuore: «Piacesse a Dio che potessi subire io questa stessa penitenza, senza che la mia tolleranza nuocesse alle mie sorelle!». Scrisse una volta a una delle nostre superiore: «È vero, figlia mia, mi piace molto quanto mi disse il Beato Padre e cioè che bisogna sopportare il prossimo fin nelle cose minime e, poiché volete che ve lo spieghi, vi dirò semplicemente come voglio comportarmi io. Bisogna sopportare i malumori, certe piccole cose che ci infastidiscono, alcune debolezze o cose poco ragionevoli, certe sconsideratezze, certe mancanze contro noi stesse. Ma, oh Dio! Figlia mia cara, il Fondatore non ci ha insegnato a sopportare ciò che non edifica le sorelle, le cose che celano malizia, le ostinazioni, ma voleva che cercassimo tutte le strade possibili della dolcezza e del rigore per correggerle. È vero: io sono molto ferma su questi punti, perché questa casa è tenuta a dare delle figlie alle altre e quest’anno ne abbiamo date quattro. Non voglio che si dica che la Madre di Annecy sopporta tutto, soffre tutto, perché questo non sarebbe di buon esempio per gli altri monasteri. Noi Superiore dobbiamo sopportare le nostre figlie, in modo però che questa tolleranza non ci impedisca di andare in paradiso».

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VIII.

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COME PRATICÒ LE QUATTRO VIRTÙ CARDINALI

Se paragoniamo il cuore di Giovanna Francesca al carro dell’amore, possiamo dire che queste erano le quattro ruote su cui girava: prudenza, temperanza, giustizia e fortezza. La sua prudenza era soprannaturale e più che prudenza dovremmo chiamarla saggezza tanto la aveva divinizzata. Odiava il vizio della doppiezza e dell’artificio, tanto che il solo nome, lei stessa lo diceva, le faceva orrore. Una volta una sorella, parlando contro la prudenza, pensò di lodare la semplicità, ma la Fondatrice le disse: «Distinguete la prudenza umana, perché la santa Madre Chiesa vuole che noi chiediamo a Dio che ci insegni le vie della sua prudenza». E una volta, scrivendo a una delle nostre superiore, le disse: «Figlia mia cara, le buone Superiore di Santa Maria devono essere come colombe prudenti che sanno mescolare un’oncia di prudenza con dieci libbre di semplicità. Le virtù sono una catena d’onore e la prudenza è uno degli anelli che la compongono: se lo si toglie, la catena diventa difettosa in quel punto». Diceva anche: «Molti biasimano la prudenza e altri la praticano senza misura: ebbene sia gli uni che gli altri agiscono male». Poiché biasimava questi estremi, allo stesso modo accuratamente li fuggiva: la sua prudenza era misurata come la sua semplicità era unica. Il Beato Padre, parlando dell’ordine che aveva messo nei suoi affari per potersi ritirare dal mondo, disse: «Lo ha fatto con ammirevole prudenza tanto che la sapienza temeraria del mondo non potrebbe trovarvi nulla da censurare e le persone sagge invece vi trovano molto da lodare». Da ciò che è stato finora detto e da quanto si dirà poi si può arguire quanto la prudenza di Giovanna Francesca fosse perfetta, capace di sistemare gli affari più diversi e di sapersi rapportare con le persone di qualsiasi condizione. 311 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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È sempre stata così moderata e la sua vita è stata comunque e dovunque una perpetua temperanza. Ci disse una volta che in qualunque luogo si trovasse e qualunque sorta di cibo le fosse offerto ne mangiava solo uno o due tipi per evitare di dare nell’occhio. E quando era in viaggio e i monasteri le volevano riservare un trattamento diverso rispetto alla comunità, non poteva sopportare gli eccessi e pregava le Superiore di farle preparare la sua piccola porzione. Quando era qui, negli ultimi anni della sua vita, mangiava pochissimo: la sua porzione era fra le più piccole e sebbene si cercasse di darle cose sostanziose e nutrienti, lei non poteva sopportare qualunque delicatezza. Potremmo dire che mangiava solo per sostentarsi e talvolta ci diceva: «Non potete capire quanto il mangiare e il bere mi infastidiscano e sarebbero per me una noia ancora più grande se non mangiassi solo per obbedire a Dio, anche se senza gusto e senza appetito» 23. La giustizia e l’equità le erano connaturali; in tutta la sua vita, sia nel mondo che nel chiostro, ha sempre voluto che si rendesse a ciascuno ciò che gli era dovuto e una volta ci disse, ridendo innocentemente con noi, che quando era a casa impegnata nelle faccende domestiche

23

Una contemporanea della santa ha deposto quanto segue: «Alcune volte ho visto la dispensiera o l’economa chiederle, alzandosi da tavola, se ciò che aveva mangiato era ben cotto o mal preparato. “Certo, rispondeva lei, anche se non so cosa ho mangiato”, dimostrando in questo modo che non prestava alcuna cura a ciò che le veniva servito in refettorio. Aggiungeva anche: “Le figlie della Visitazione devono essere a tavola solo con il corpo, mentre lo spirito è in Dio o nella lettura che si sta facendo secondo la nostra santa regola. Perciò è bene durante i pasti, intingere la propria pietanza nel sangue del Salvatore che cadeva sul monte Calvario perché questo sortisce due effetti: da un lato rende eccellente ciò che ci ripugna, dall’altro impedisce il piacere che potremmo trovare nel cibo, cosa indegna di un cuore religioso”. Un’altra volta, parlando ad un religioso a cui i medici avevano detto che l’aria di un certo posto non era buona, gli disse: “Anche a me hanno sempre assicurato che l’aria di questa città non è buona per la mia salute a causa della sua umidità, ma non me ne do grande pena. Che mi faccia bene o che mi faccia male per me è lo stesso perché Dio vuole che io stia qui. Che importa alle persone religiose, che hanno offerto il loro corpo e la loro salute a Dio, di essere malati o sani, purché nell’uno o nell’altro stato esse compiano la volontà di Dio. A mio avviso, per lo spirito deve essere assolutamente indifferente essere in salute o malato”. Quel buon religioso le rispose che per lui era molto difficile e che solo lei poteva riuscirci. Ma lei rispose che non era vero e che credeva invece che qualunque buon religioso potesse arrivare a quell’atteggiamento». (Dalle deposizioni di contemporanee).

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conosceva praticamente solo questa sentenza della Sacra Scrittura: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio 24. Agli inizi del nostro Istituto la Madre di Chantal, trattando con una signora di rango di certi affari, rimase molto ferma nelle sue intenzioni e per questa sua tenacia fu ripresa dal Fondatore. Al che lei rispose: «Monsignore, dove vedo giustizia io non posso cedere e quand’anche fosse a mio danno rimarrei inamovibile». Francesco di Sales replicò: «Madre mia, Madre mia, voi siete più giusta che buona. Non voglio affatto che voi siate così giusta, bisogna che voi diventiate più buona che giusta». Queste parole rimasero talmente impresse nell’animo di Giovanna Francesca che ne fece l’oggetto della sua meditazione per lungo tempo e l’abbiamo vista spesso esercitarsi nel metterle in pratica nel tentativo di abbinare alla sua giustizia altrettanta bontà, tanto che negli ultimi anni della sua vita vi era in lei una giusta ed amabile benignità. Quando bisognava affrontare qualche affare intricato o si doveva discutere per qualcosa con qualcuno, la Madre di Chantal pregava le sorelle che si occupavano delle cose temporali di stare molto attente affinché tutto procedesse con caritatevole equità. Quando le veniva raccontato qualcosa del prossimo, lei esaminava attentamente le due parti; una volta, dopo un profondo sospiro, disse: «Dio ci liberi da quelle Superiore che con leggerezza credono ad ogni cosa, poiché si renderanno responsabili di molte piccole ingiustizie. Ma Dio ci preservi ancora di più dalle sorelle ingiuste». In alcune situazioni in cui si voleva che lei si mostrasse più severa di quanto lei ritenesse giusto, Giovanna Francesca cercava qualunque strategia per fare in modo che tutti fossero contenti e diceva: «Vedete, sorelle, per giustizia gli anziani avrebbero lapidato la povera adultera, ma per bontà Gesù la liberò 25. Il Salvatore è venuto sulla terra per associare la giustizia alla pace: imitiamolo!». Quante cose le abbiamo visto cedere e accordare per bontà, cose che per giustizia avrebbe potuto esigere o negare! Una volta una persona esterna aveva derubato il monastero di qualcosa; la Fondatrice fu subito avvertita per verificare se si trattasse di un’elemosina da lei fatta o invece proprio di un furto. E lei così ri24 Ndt: 25 Ndt:

Mc 12, 17. Cf. Gv 8, 1-11.

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spose: «Un furto, ma pensate davvero che quella persona possa aver fatto questo? Bisogna essere più giusti nei propri giudizi!». Così fece in modo di cambiare discorso; poi fece chiamare in segreto la persona che aveva rubato e le disse: «Prendete esempio da noi: per giustizia potremmo chiedervi di restituire ciò che avete portato via, ma per misericordia ci accontentiamo di dirvi di andare a confessare questo peccato. Vi regaliamo dunque ciò che ci avete tolto, a condizione che vi serva da memento per non recare mai più danno al vostro prossimo». I muratori che stavano costruendo il nostro secondo monastero, accusati di aver commesso degli errori nel loro lavoro, furono condannati a ripararli a loro spese. Erano stati richiesti altri operai e questo avrebbe fortemente nuociuto alla reputazione di quei primi lavoratori. La Beata Madre non poté sopportare quella giustizia così rigorosa e disse che in coscienza un simile comportamento le sembrava ingiusto da parte di serve del Signore, le quali devono possedere e praticare tutte le virtù con una purezza e una delicatezza al di sopra del comune. Convocò quei muratori, li convinse a concludere il loro lavoro in modo leale ed equo, fece loro riparare i danni che avevano commessi e, per non gravare eccessivamente su di loro, volle che questo monastero donasse loro una somma di denaro. La Madre de Châtel, che si trovava con lei in parlatorio, uscendo si recò nella cella della sorella che scriveva per lei e le fece annotare quest’atto di virtù, facendole porre all’inizio della memoria: «Dio sia benedetto per averci dato una Madre così degnamente giusta e santamente buona». Giovanna Francesca sosteneva che la vera regola della giustizia cristiana si trova in queste parole: «Fa’ al tuo prossimo ciò che vorresti che egli facesse a te. Chi non vive secondo questa massima, non vive giustamente e reca gran danno alla sua anima, perché Dio dimora nell’anima del giusto». Il Beato Padre, parlando una volta al Padre d’Abondance disse: «Ho trovato a Digione ciò che Salomone stentava a trovare a Gerusalemme». Quel Padre gli chiese di cosa si trattasse: «Ho trovato la donna forte 26 nella signora di Chantal», rispose lui. Ci vorrebbe un intero volume per parlare della forza della Fondatrice, perché per tutta la sua vita, come chi l’ha conosciuta rende testi-

26 Ndt:

Cf. Pr 31.

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monianza, è così apparsa. Non vogliamo ricordare la forza con la quale si separò dalla sua famiglia, che le ha permesso di passare sul corpo del proprio figlio pur di obbedire a Dio, che l’aveva ispirata ad uscire dalla sua terra. La perfezione della sua fortezza si può giudicare dalla guerra costante che il nemico le ha fatto durante tutta la sua vita, senza mai averla vinta su di lei. Era come una roccia forte e salda, che vedeva infrangersi ai suoi piedi le diverse avversità come un atto di omaggio alla sua costanza. Quando appariva più debole, in realtà era, per grazia di Dio, più forte: forte nella prosperità, non perdendosi nella compiacenza e nella vanità; forte nelle avversità, senza perdersi d’animo; forte nel sostenere e tollerare il prossimo; forte nella capacità di abbassarsi ed umiliarsi; forte nel sopportare i biasimi e le contraddizioni; forte nel non desistere mai davanti alle cose intraprese per le fondazioni o per il bene dell’Ordine, contro qualunque minaccia e opposizione, dicendo a questo proposito in un’occasione: «Contro di noi non ci sono che gli uomini, ma quand’anche l’inferno si alleasse a loro, noi non desisteremmo dalla volontà di portare a termine l’opera di Dio». Era capace di sopportare addirittura serenamente una grande quantità di problemi diversi, insomma era forte nel patire, nell’agire e nel gioire e questo all’inizio, durante e alla fine. Possiamo anche dire che la debolezza dell’età avanzata faceva risplendere ancora di più la santa fortezza del suo cuore, del suo spirito e del suo amore, a tal punto che, senza pensare a se stessa, nessuna impresa nella quale vedeva la volontà di Dio e l’obbedienza poteva spaventarla. Il Signore era la sua forza, pertanto lei poteva tutto in Colui che la confortava e la rafforzava a resistere a tutto ciò che è male e perseguire tutto ciò che è bene.

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IX.

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LA SUA PIETÀ E IL SUO ZELO PER IL CULTO DIVINO

Da quanto si è finora detto si è potuto capire che la Fondatrice, fin dalla più tenera età, era stata dotata dal cielo di una grande pietà verso Dio e verso il prossimo. In questa sede però vogliamo parlare solo di ciò che concerne le cose sante, per le quali aveva un sommo rispetto e uno zelo inesprimibile: in tutto ciò che atteneva al culto e al servizio di Dio esprimeva la sua pietà e traeva profitto da tutto ciò che poteva farla progredire in questo felice cammino. Celebrava le feste del Signore e quelle della Madonna con un’attenzione speciale e grande devozione. Durante l’Avvento e la Quaresima di solito al capitolo parlava dell’annientamento del Verbo divino nel grembo di Maria e della Passione. In quei due tempi liturgici forti voleva che si prestasse una particolare attenzione a fare le ricreazioni in maniera più devota e talvolta ci diceva, con grande soavità, che ci concedeva mezz’ora di ricreazione per svagarci innocentemente, ma che l’altra mezz’ora dovevamo donargliela per intrattenerci devotamente e seriamente. Durante le feste natalizie era un piacere vedere con quale devozione andava lei stessa a fasciare il piccolo Gesù per metterlo nel presepio che siamo solite fare e ogni giorno restava là un po’ di tempo in adorazione. Provava gran piacere se si cantavano, durante la ricreazione, canti natalizi composti dalle sorelle. Non si curava che la rima fosse ben fatta purché fossero pieni di devozione. Amava anche quelli più semplici che erano inframmezzati da elementi più innocenti e dilettevoli. Fin dagli esordi dell’Istituto aveva stabilito, per ordine di Francesco di Sales, l’uso di intonare canti natalizi in coro dal giorno della Natività fino all’Epifania. E per quanto indaffarata fosse, trovava il tempo per ascoltare quei canti e giudicare se erano adatti. Una volta, 316 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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accortasi che una sorella aveva difficoltà a cantare una certa melodia perché la trovava faticosa, Giovanna Francesca ne fu molto dispiaciuta e disse di cuore: «Oh quanto siamo poco devote! Vediamo il Signore piangere per noi e a noi dispiace soffrire un po’ per cantare per lui». Le stava molto a cuore che si celebrasse devotamente la festa dell’Epifania e voleva che la Comunione in quel giorno fosse applicata in ringraziamento a Gesù per essersi rivelato ai gentili. Nel giorno di Pasqua, quando poteva, andava con la comunità a fare le sette stazioni in onore delle sette apparizioni e per lucrare le indulgenze. Il giorno dell’Ascensione non mancava di recarsi in coro con la comunità qualche minuto prima di mezzogiorno per accompagnare, con l’adorazione, il Signore che sale trionfante in cielo, tanto che questo è diventato un uso nelle nostre case. Quando, nel giorno di Pentecoste, aveva con le altre sorelle estratto i doni dello Spirito Santo, si faceva cercare in qualche libro spirituale la spiegazione del dono che le era toccato in sorte 27 ed essendole per due anni consecutivi toccato il dono della pietà, ne mostrò una grande gioia, dicendo che con questo Dio le chiedeva di diventare molto devota e che noi non saremmo buone religiose se non fossimo veramente devote. All’inizio di ogni anno si preoccupava di mettere nel suo libro delle Costituzioni il biglietto del santo protettore che le era capitato in sorte e toglieva quello dell’anno precedente. E quando le chiedevano perché lo facesse rispondeva: «Affinché tutti i giorni, aprendo le Costituzioni, onori il mio santo protettore, baciando il suo nome e pregandolo di proteggermi». Era ammirevole vedere come trovasse il tempo per svolgere tutte le azioni di pietà, anche quelle che non erano d’obbligo. L’abbiamo vista venire in noviziato in compagnia di molte giovani sorelle per cantare quotidianamente, durante le ottave della Vergine, il Magnificat davanti al quadro che la raffigura. Per quanto poteva non perdeva una processione né una preghiera, anche quelle di più semplice devozione e, sia nelle azioni di pietà obbligatorie che in quelle volontarie, non voleva 27 Il mattino del giorno di Pentecoste del 1631 la Madre si trovava così assorta in Dio che esclamò a gran voce, senza pensare che era in coro con tutta la comunità: Vieni Santo Spirito! Le sorelle rimasero ad un tempo stupite e consolate. Michel Favre le chiese poi: «Madre mia, a cosa stavate pensando?». «Oh, Padre mio – disse lei – non pensavo di essere nel coro, pensavo di chiamare lo Spirito Santo. E così l’ho fatto in francese!». (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa).

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affatto che esse fossero compiute con leggerezza e frequentemente diceva che bisogna servire Dio seriamente e come a Dio si deve. All’avvicinarsi delle feste solenni e all’inizio dell’anno non mancava mai di proporci delle sfide atte a perfezionare la pratica di qualche virtù o esercizio spirituale, assoggettandosi lei stessa a rilevare i suoi errori e a dirne ad alta voce il numero, quando ce ne rendevamo conto. Faceva scrivere la sfida del nuovo anno nella stanza delle assemblee per timore che venisse dimenticata e, dopo averci detto più volte che non eravamo abbastanza diligenti nel rispondere a quella sfida, trovò giusto e necessario farci riprendere anche dal Padre spirituale durante la sua visita annuale. Non trascurava nulla di ciò che poteva contribuire a far progredire la sua anima e quella delle sue figlie nella pietà e nella devozione e possiamo ben dire che lo zelo della casa di Dio la divorava 28. Soffriva in modo incredibile se veniva a sapere che in un monastero la devozione non era lo studio principale e una volta disse che avrebbe impiegato tutte le sue forze affinché le sorelle che sono qua dentro si fossero applicate alla devozione in modo che tutto profumasse di pietà e preghiera. Che zelo profondeva per la celebrazione degli Uffici divini! Sorvegliava tutto e ci riprendeva anche per il più piccolo errore; curava anche i minimi dettagli e, in età avanzata, vedendo che le parole nell’Ufficio si tiravano troppo alle lunghe, si sforzava di sostenere il coro per trarci da quell’errore. Quante volte ha radunato nella sua camera le giovani sorelle! Oppure andava in noviziato e ci faceva cantare davanti a lei e insieme a lei, riprendendoci e istruendoci senza risparmiare tempo, come se non avesse avuto altro da fare. Quando passava per i monasteri la prima cosa che osservava era se l’Ufficio divino fosse celebrato con l’esatta osservanza del cerimoniale, non curandosi della fatica di cantare e parlare molto per ben istruire le sue figlie. Ci ha raccontato che agli esordi del nostro Istituto il Beato Padre l’aveva corretta per qualche difetto di pronuncia che aveva notato in lei durante l’Ufficio; avendo lei molta difficoltà a pronunciare in modo diverso, aveva passato alcune notti insonne per il desiderio ardente che provava di dire bene l’Ufficio e si era esercitata talmente tante volte a pronunciare le parole in cui aveva difficoltà, che alla fine ci riuscì. 28 Ndt:

Sal 119 (118), 139.

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Fino al compimento dei settant’anni, quando Dio la chiamò a cantare in cielo le lodi della sua Maestà divina, non ha mancato l’Ufficio delle feste solenni dedicate al Signore, alla Madonna, a san Giuseppe, a sant’Agostino, alla Dedicazione della chiesa e nei tre giorni delle Tenebre, eccetto quando era la malattia ad impedirglielo o se vi era un’altra superiora; in quest’ultimo caso se ne stava nel suo cantuccio di Madre deposta. Persino durante gli ultimi mesi della sua vita ufficiò nel nostro monastero di Moulins in qualità di sorella più anziana della casa e come viene prescritto dal Costumiere quando si ha una buona voce. Giovanna Francesca l’aveva così melodiosa che il solo sentirla cantare ispirava devozione. Sebbene l’azione della lavanda dei piedi sia molto faticosa nelle comunità numerose, poiché ci si deve mettere più volte in ginocchio e rialzarsi, la Fondatrice non se ne dispensava neppure nella sua età avanzata e lavava e baciava i piedi delle sorelle con una devozione che le si leggeva sul volto. Questa stessa devozione e deferenza si manifestavano in lei in tutte le più piccole azioni di pietà, come quando faceva delle penitenze in refettorio, dove, di solito, alla vigilia delle grandi festività, recitava una preghiera ad alta voce con le braccia in croce, pregando il Signore, per i meriti del mistero che la Chiesa celebrava, di perdonare i peccati del suo popolo, di avere di lui misericordia e di concederci la grazia di essere fedeli al suo santo amore e alle nostre osservanze. Faceva altre simili richieste, con poche parole che erano però ferventi, umili e devote. Mostrava anche uno zelo particolare per l’ornamento degli altari e della chiesa: sorvegliava attentamente le azioni della sacrestana. Spesso si occupava di preparare veli da calice o merletti per le nostre case che lo desideravano e ce ne sono rimasti parecchi. Durante un’estate, nonostante tutti i suoi impegni, fece un velo per coprire il tabernacolo, un pallio 29 da altare con la credenza 30 che ricoprì di lana e seta. Si tolse la mezz’ora di riposo dopo mezzogiorno, che la regola ci concede 29 Ndt: «Nella liturgia cattolica, fascia circolare di lana bianca ornata di sei piccole croci e dotata di un pendente anteriore e di uno posteriore tenuti tesi da lastrine di piombo, che si fa passare intorno al collo» (T. De Mauro, Il Dizionario della lingua italiana). 30 Ndt: «Tavolino posto nel presbiterio su cui si collocano gli oggetti necessari alla celebrazione della Messa» (T. De Mauro, Il Dizionario della lingua italiana).

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in quella stagione, perché desiderava che in un’ottava della Vergine Maria l’altare fosse ornato con i suoi lavori. Quel paramento era molto semplice ma grazioso, così ne preparò un altro con le cortine e il baldacchino per ornare il sepolcro del Beato Padre e con grande umiltà disse: «Ho avuto l’onore di filare gli abiti di questo Beato mentre era in vita e ho anche la consolazione di lavorare per adornare il suo sepolcro». Filò della serge 31 viola per fare un paramento per la tomba del Fondatore e un ornamento per il suo oratorio. Non solo aveva cura della nostra chiesa, ma anche delle parrocchie dei villaggi: quando sapeva che si trovavano in necessità, faceva fare dei corporali e alcune scatolette per custodire il Santissimo Sacramento.

31

Ndt: «Tessuto leggero di lana pettinata usato per confezionare abiti, con armatura garzata caratterizzata da coste inclinate rispetto alla trama» (T. De Mauro, Il Dizionario della lingua italiana).

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X.

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LA SUA DEVOZIONE PER IL SANTISSIMO SACRAMENTO, NELLA MESSA E NELL’EUCARISTIA

Non si può esprimere la devozione che la Fondatrice aveva per il Santissimo Sacramento dell’altare. Portava sempre indosso, scritto di suo pugno, un atto di ringraziamento al Signore per averle concesso di poter ricevere quotidianamente il suo Sacratissimo Corpo. Per trentun’anni continuò a comunicarsi ogni giorno così come le era stato ordinato da Francesco di Sales e sebbene talvolta l’abitudine ingenera negligenza, familiarità e persino disprezzo, al contrario in lei la sua attenzione, il suo amore e la sua devozione crescevano ogni giorno di più. Un giorno alla Madre de Blonay disse che desiderava chiederle il permesso, per purificarsi, di potersi confessare quotidianamente, in quanto ogni giorno lei si accostava alla Tavola degli Angeli. Finora non lo aveva chiesto perché il Fondatore la faceva comunicare ogni giorno, ma non le aveva prescritto di confessarsi più di due volte alla settimana. La pregò quindi, in qualità di sua Superiora, di ordinarle se doveva confessarsi quotidianamente o no e poiché le rispose che riteneva giusto che lei restasse fedele al metodo suggeritole dal Beato Padre, Giovanna Francesca si attenne a tale consiglio. Fin dagli inizi mostrava una grande cura nel disporsi con attenzione e preparazione alla santa Comunione; in seguito il Beato Padre le insegnò un metodo particolare, grazie al quale la sua anima si predisponeva e purificava con maggiore facilità. Le assegnò pure per la Comunione l’esercizio che abbiamo nel nostro Direttorio Spirituale: così finalmente l’amore unico che unisce arrivò a non aver bisogno più di alcun metodo, in quanto la sola fede le era sufficiente. Mostrava un’ineguagliabile devozione quando assisteva al santo sacrificio della Messa e bisognava proprio che avesse degli affari impellenti da sbrigare per rinunciare ad ascoltarne due nei giorni festivi, 321 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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e questo sia in inverno che in estate. Avendo saputo che una delle nostre case si trovava in una tale povertà che le sorelle, per non dover pagare il sacerdote, ascoltavano la Messa solo nei giorni di festa, Giovanna Francesca si addolorò molto e inviò loro quanto occorreva per poterla celebrare quotidianamente e per un anno intero, pregandole di avvertirla l’anno successivo se si fossero trovate ancora in quella necessità perché avrebbe provveduto a mandar loro dell’altro denaro. Disse che nessun’altra necessità di nessun altro nostro monastero l’aveva così commossa e che era per lei un grande dolore sapere che delle figlie della Visitazione erano private della possibilità di assistere ogni giorno a quel sacrificio di vita e di amore. Ad una sorella che andava a fondare una nostra casa scrisse queste parole: «Vi supplico, mia carissima figlia: la prima cosa che metterete in ordine non appena sarete arrivata sarà la cappella, affinché possa esserci la Messa tutti i giorni. Se non potrete farlo, andate ad ascoltarla con grande modestia nella chiesa più vicina. L’essersi accostati alla mattina al proprio Salvatore, che è realmente presente nel divino sacrificio, rappresenta per l’anima un grande sostentamento che dura per tutto il resto della giornata». Scrivendo ad una direttrice diceva: «Al di sopra di ogni altra cosa, mia carissima figlia, la vostra cura principale deve consistere nell’insegnare alle vostre novizie a partecipare alla santa Messa e a fare la Comunione nel modo più puro e perfetto possibile. Queste due azioni, infatti, sono le più sante che possiamo compiere. Fate loro capire che chiedendo di essere accolte hanno chiesto di abitare nella casa del Signore, cioè nella stessa casa ove riposa il Santissimo Sacramento. Questa sacra presenza rende i monasteri case di Dio: fate loro pesare questa grazia. Che meditino frequentemente sopra il divinissimo Sacramento, affinché, a imitazione del buon Salvatore, imparino ad annientarsi totalmente e a voler vivere nascoste come Lui. Fate in modo infine che si accendano di amore per Lui e, vi supplico, conducetele una volta davanti al Santissimo Sacramento per adorarlo per me e per chiedergli perdono del cattivo uso che ne faccio». Aveva un’altissima considerazione per le preghiere che i sacerdoti offrono per il prossimo durante la Messa tanto che non scriveva mai a nessuno di loro senza pregarlo di ricordarsi di lei durante il santo Sacrificio. Una volta, a un Padre dell’Oratorio che le scrisse che os322 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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servava fedelmente l’impegno di ricordarsi di lei ogni giorno nella Messa, rispose con grande affetto che quella promessa le era più cara che se tutti i re della terra le promettessero d’incoronarla e di renderla sovrana del mondo intero. Onorava sommamente i sacerdoti e ne parlava sempre con grande rispetto; spesso le veniva richiesto di impartire la sua benedizione, ma se era presente un sacerdote si rifiutava, a meno che non fosse lui stesso a chiederglielo. Costui però doveva un po’ allontanarsi, perché Giovanna Francesca sosteneva che, in presenza di un prete, il benedire non poteva che appartenere a lui in ragione della sua dignità. Un giorno, ad un giovane che le rivelava il suo desiderio di diventare sacerdote, disse: «Ecco il progetto più grande e più degno che voi possiate realizzare. Decidete però fermamente di non vivere più da uomo se volete esercitare un ministero più sublime di quello degli angeli. Non si può, senza rischio di perdersi, servire al tempo stesso il mondo e l’altare». Quando le veniva riferita qualche mancanza commessa nel coro, come ad esempio l’aver fatto troppo rumore, ci ricordava i sentimenti che dobbiamo manifestare in presenza del Santissimo Sacramento. Desiderava che tenessimo un comportamento molto rispettoso quando eravamo davanti a Lui e per un certo periodo aveva ordinato il silenzio davanti alla porta del coro affinché maggiore fosse l’attenzione. Nell’ottava del Santissimo Sacramento e ogni volta che Esso era esposto, Giovanna Francesca stava quanto più poteva nel coro e la Madre de Blonay, la quale giunse in questo monastero nel 1641 proprio durante quel periodo, stupita di vederla così assiduamente nel coro, le disse: «Madre mia, io mi stanco solo a vedervi stare così tanto in ginocchio»; al che lei gentilmente rispose: «Madre mia, di certo voi vi stancate per carità, ma sappiate che io non mi stanco affatto, perché la mia gioia in questa vita consiste nel poter stare un po’ davanti al SS. Sacramento». La Madre de Blonay si meravigliava anche che la Fondatrice, sebbene avesse lo stomaco debole e malato, cantava sempre col coro alla Comunione e alla benedizione, prevedendo anticipatamente ciò che si sarebbe cantato, per non dovere, durante l’ufficio, voltare le pagine e in questo modo seguire l’osservanza. Provava un grande piacere nel rispondere alle litanie del Santissimo Sacramento e ci disse una volta che avrebbe desiderato che, alla sua morte, le avessimo cantate ai pie323 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di del suo letto, facendole ripetere più volte questi due versetti: Mysterium fidei e Manna absconditum 32 . Le premeva molto che in giardino vi fossero bei fiori e che si conservassero per metterli sull’altare. Tutte le domeniche e le feste le sorelle giardiniere erano solite offrirle un mazzetto da tenere in mano pensando con ciò di farle piacere, ma lei faceva sempre chiamare la sagrestana e la mandava a porlo sull’altare in un vasetto pieno d’acqua, e se gliene veniva offerto un altro inviava anche quello davanti al Santissimo, facendosi riportare il primo che poneva ai piedi del suo crocifisso nella sua cella. Quando era tutto appassito lo chiudeva in un cassetto e quando ne aveva riuniti un po’ li faceva bruciare per rispetto e per timore che fossero gettati in un luogo indegno. Era solita portare con sé alcuni di questi mazzetti seccati davanti al SS. Sacramento; una sorella un giorno osò chiedergliene il motivo e lei rispose: «I miei pensieri non meritano di essere detti». La sorella insistette e allora lei disse: «Figlia mia, il colore e il profumo sono la vita di questi fiori. Io li mando davanti al SS. Sacramento dove, a poco a poco, appassiscono e muoiono; io desidero essere come loro e che la mia vita lentamente si consumi davanti a Dio onorando il mistero della santissima Chiesa». Un’altra volta a quella stessa sorella, travagliata da pene interiori, la Beata Madre offrì la metà del mazzetto appassito sopra l’altare e le disse: «Figlia mia, ponetelo in un pezzo di carta e mettetelo sul vostro cuore in segno di rispetto per il SS. Sacramento: talvolta questo rimedio ha alleviato le mie sofferenze». Faceva spesso ripetere durante le ricreazioni un cantico sulle litanie al SS. Sacramento; ne fece copiare tre strofe su un pezzo di carta per impararle a memoria e disse che in quella notte si era svegliata cinque volte piena di dolore e aveva ripetuto questa strofa: Ah, suprema bontà! Questo cibo amoroso Mi deve consumare, Ma ancora non lo sono!

32 Ndt:

Si tratta di due versetti tratti dalle Litanie al Santissimo Sacramento.

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E aggiunse che era una gran confusione per la sua anima il ricevere così spesso il suo Dio, non riuscendo però a vivere in modo conforme a quel cibo divino di cui si era nutrita. Ci esortava spesso a trarre profitto dalla Comunione e non approvava che nelle comunità le comunioni offerte secondo l’intenzione della Madre superiora si moltiplicassero in ragione delle diverse disposizioni interiori di ogni sorella.

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XI.

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LA SUA DEVOZIONE E LA SUA FIDUCIA NELLA VERGINE

Giovanna Francesca non aveva conosciuto altra madre che la Madonna poiché, rimasta orfana in culla, non appena ebbe l’uso della ragione si affidò come una figlia a Maria e la scelse come madre. Ogni giorno la ringraziava dell’assistenza e dei favori che aveva ricevuto in gioventù, avendola guidata, tolta da molti pericoli e avendole fatto evitare molte occasioni di perdersi. Quando si sposò la sua devozione consisteva per lo più nel raccomandare se stessa, la sua casa e i suoi affari alla Vergine e, dopo il timor di Dio, non vi era nulla che aveva tanto a cuore quanto l’educare i suoi figli nella devozione e nella fiducia verso la Madre divina. Quando rimase vedova, non potendo subito farsi religiosa perché obbligata a prendersi cura dei suoi bambini, costruì nel suo cuore un monastero di cui la Madonna era la badessa; la onorava, la ascoltava e seguiva la sua direzione e Francesco di Sales, come si desume da diverse sue lettere, le raccomandava di rimanere vicina a quella Madre sul monte Calvario: «Custodite, figlia mia cara, la clausura del vostro convento e non uscitene senza il permesso della vostra santa badessa; obbeditele in tutto perché non vuole altro da voi che facciate ciò che suo Figlio vi dirà». Per avere un segno della sua perpetua assoggettazione a Maria, la Fondatrice si obbligò con un voto a recitare ogni giorno il rosario, cioè la corona di sei decine, promessa alla quale è rimasta fedele per tutta la vita, impiegandovi una buona mezz’ora quotidiana. Durante una grave malattia, a causa della quale non riusciva neanche a recitare l’Ufficio, pregò sei delle sue figlie affinché, dopo aver detto il rosario, aggiungessero ancora una decina secondo le sue 326 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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intenzioni così che, o da lei o da qualcun altro, quella corona fosse offerta tutti i giorni alla Regina del Cielo. Recitava anche quotidianamente la piccola corona delle dodici Ave Maria e diede licenza generale a coloro che volevano dirla, a condizione che ciò fosse fatto senza obbligo e senza farsi scrupolo se fosse capitato di non riuscire a farlo. Quando il Fondatore le ebbe manifestato l’intenzione che aveva di impiegarla nella fondazione della nostra congregazione, le disse che aveva pensato di chiamarla la Congregazione di Santa Maria e quando le scriveva diceva: «Santa Maria, la nostra cara Patrona». Sebbene lei avesse una grande devozione per quella santa albergatrice di Cristo, il suo cuore provava un po’ di resistenza nel non essere interamente sotto la protezione della Vergine. Non ne fece però mai parola, attenendosi all’obbedienza e non palesando i suoi pensieri. Pregò però il Signore di rivelare al Beato Padre la sua volontà a questo proposito. Così una mattina, quando lei meno se lo aspettava, il Vescovo di Ginevra venne a dirle con volto raggiante che Dio gli aveva fatto cambiare idea e che ci saremmo chiamate Figlie della Visitazione. Sceglieva questo mistero perché, essendo nascosto e non celebrato solennemente nella Chiesa, lo sarebbe stato all’interno della nostra congregazione. La Madre di Chantal fu molto felice ed inculcò a tal punto la devozione alla Madonna nelle nostre prime sorelle e ne parlava così tanto ai malati che andava a visitare e a servire che, per un istinto comune dei bambini e del popolo, cominciarono a chiamarci le religiose di santa Maria, nome che da allora ci è rimasto. Quando si avvicinavano le feste della Madonna Giovanna Francesca, sia nel capitolo che durante le ricreazioni, ci invitava a celebrarle devotamente. Raramente accadeva che durante quelle feste non facesse cantare, alla ricreazione, dei cantici in suo onore. Spesso, durante quelle solennità, si univa alle novizie e alle altre sorelle per andare a cantare davanti a un quadro della Vergine il Magnificat o l’Ave maris stella, del quale ripeteva tre volte il versetto Monstra te esse matrem. Per le necessità pubbliche o per altri bisogni faceva fare volentieri delle novene e delle processioni in onore della Madonna e raccomandava alle direttrici di radicare profondamente nelle novizie la devozione per la Madre di Dio. 327 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Tra tutte le feste dedicate a Maria ha sempre mostrato un particolare affetto per l’Immacolata Concezione 33 e ha testimoniato uno zelo straordinario per far sì che anche il Vescovo di Ginevra la facesse osservare nella sua diocesi. Gliene parlò più volte e gliene fece parlare da persone che sapeva vantavano un certo credito presso di lui, ma vedendo che il suo progetto non giungeva a buon fine pregò il nostro Padre spirituale, decano della chiesa di Notre-Dame, affinché facesse celebrare quella festa solennemente nella sua chiesa. Quando lui glielo promise lei ci disse con grande gioia: «Quel buon Padre mi ha resa felice perché mi ha detto che, quand’anche dovesse andare lui a suonare la campana grande di Notre-Dame, farà in modo che si suoni per la festa dell’Immacolata come in occasione delle altre grandi feste». La lettera ad un abate terminava con queste parole: «Del resto, mio carissimo fratello, ho da chiedervi una grazia, che mi accordiate cioè che nella vostra abbazia e nei priorati che da essa dipendono facciate celebrare la festa dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio con la stessa solennità che si osserva durante le altre feste della Madonna e che vi sia una predica che spinga il popolo a onorare questo grande mistero. Mi riterrei felice se potessi offrire la mia vita per sostenerla». Ad una sorella che le aveva chiesto il permesso di poter recitare la coroncina della Concezione nove giorni prima e nove dopo quella festività, la Beata Madre rispose che anche lei avrebbe recitato quelle due novene e, aggiunse, «talvolta anche nelle feste, qualora ne avrò il tempo». Spesso, in occasione di calamità naturali o eventi drammatici, Giovanna Francesca diceva: «Ricorriamo a Maria!». E nella sua solitudine del 1640 fece scrivere una preghiera alla Vergine per chiederle soccorso nelle sue pene interiori e, in ginocchio davanti al crocifisso, dettò ad una suora proprio queste parole: «Ricordatevi, o piissima Vergine, che nessuno ha mai fatto ricorso a voi senza provare gli effetti della vostra bontà. Con questa fiducia, o Vergine delle vergini, mi presento davanti 33 Ndt: In Europa, nel Seicento, era già vivo il dibattito intorno all’Immacolata Concezione (la solennità era stata inserita nel calendario romano a partire dal 1476). Sebbene la Chiesa non si fosse ancora pronunciata (il dogma risale infatti al 1854), in molte congregazioni e nel cuore di alcuni uomini di fede era già molto viva la devozione, come ad esempio traspare con molta evidenza dai sermoni di san Francesco di Sales tenuti in occasione di quella festa.

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a voi con il fortissimo desiderio che vi degniate di gettare uno sguardo sulla mia intima miseria e, con questo sguardo, o Vergine pietosa, usate della vostra autorità materna presso il vostro Figlio divino e fate che mi conceda non la liberazione dalle mie tribolazioni, se non è la sua volontà, ma la grazia di vivere nel suo santo timore. Faccia di me secondo il suo eterno beneplacito, al quale, tra le vostre mani, mi offro nuovamente in unione con quel sacrificio che faceste di voi stessa nel giorno della vostra Immacolata Concezione, per la quale voglio sempre benedire il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen». Spese molto tempo per far scrivere questa preghiera, poiché voleva che essa non contenesse alcuna parola riconducibile al proprio interesse personale; quando la sorella l’ebbe scritta per bene, Giovanna Francesca se la strinse al seno dicendo: «Ho voglia di recitarla per nove mesi di seguito e ne chiederò la licenza al Padre spirituale non appena lo vedrò». La sorella le chiese se non poteva prendersela da sola quella libertà, ma lei rispose: «Se una sorella volesse recitare alcune preghiere quotidiane me ne chiederebbe il permesso. Allo stesso modo non è giusto che anch’io lo chieda al superiore? Forse che la Vergine non mi ascolterà, non fosse altro perché le parlerò per obbedienza?». Proprio dal Padre spirituale abbiamo saputo che la Beata Madre gliene aveva chiesto licenza, dicendogli, con grande semplicità, che era per alcune sue pene interiori sulle quali lui non volle interrogarla per il grande rispetto che le portava. Una volta, trovandosi la Fondatrice in solitudine, tre sorelle andarono a trovarla insieme per chiederle alcuni permessi. La trovarono con le braccia conserte davanti ad un’immagine della Vergine e, invece di concedere alle sorelle le licenze (le chiedevano di poter praticare alcune austerità corporali), ordinò loro di fare tutti i giorni della loro solitudine un quarto d’ora di preghiera davanti all’immagine di Maria e tirando fuori dalla manica un libretto che aveva scritto di suo pugno, che conteneva le litanie alla Madonna in francese, disse loro: «Vedete, figlie mie, come noi abbiamo tutto in Maria e con quale cura e fiducia dobbiamo ricorrere a lei. Se siamo figli, lei è madre; se siamo deboli, lei è la Vergine potente; se abbiamo bisogno di grazie, lei è la madre della divina grazia; se ci troviamo nell’ignoranza, lei è la sede della sapienza; se siamo tristi, lei è per noi e per tutta la terra motivo di letizia». E così continuò a spiegare tutti i versetti delle litanie, dopo 329 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di che congedò le sorelle chiedendo loro che pregassero molto la Vergine per lei. Una delle sorelle le rispose: «Che preghiera dobbiamo recitare?». «Figlia mia – disse lei – si fa preghiera gradita alla Madonna quando si loda Dio delle grandezze che ha poste in lei e per averla scelta per essere sua degna e vera Madre». Essendo così devota di Maria, lo era altrettanto e di conseguenza del suo casto sposo, il glorioso san Giuseppe. Abbiamo trovato scritto che quando ne parlava al Beato Padre diceva: «Quel caro santo che il nostro cuore ama». Giovanna Francesca entrò e fece entrare pure noi in familiarità con quel santo e si premurava che ogni seconda domenica del mese si facesse la Comunione e la processione in suo onore. Aveva una piccola immagine di Gesù, Maria e Giuseppe che conservava nel suo libro delle Costituzioni e mostrandocela una volta ci disse: «Ogni giorno, quando comincio la nostra lettura, bacio i piedi a Gesù, Maria e Giuseppe, però sulla nostra immagine vi è un piccolo demonio dipinto sotto i loro piedi e non riesco a baciarli senza baciare anche quella brutta bestia: pregherò il nostro padre spirituale di cancellare con un po’ di colore colui che vorrebbe cancellare noi dal libro di Dio». Ogni giorno andava immancabilmente a pregare davanti all’immagine di san Giuseppe che si trova sopra l’altare del capitolo. La vigilia del giorno fissato per la sua partenza per il Piemonte, nel 1638, una sorella andò ad attenderla in capitolo e la pregò di dirle quali preghiere recitasse tutti i giorni davanti a quel quadro, affinché, durante la sua assenza, potesse farle lei in sua vece. La Fondatrice ne mostrò un grande piacere e le disse: «Vi prego, figlia mia, venite qui al posto mio. Io dico un Laudate Dominum, omnes gentes, un’Ave Maria e un Gloria Patri per ringraziare l’eterna Trinità di tutte le grandezze, le grazie, i privilegi concessi alla Trinità terrena. Non che io compia ogni giorno nuovi atti, ma li ho fatti una volta per sempre e anche voi fate la stessa cosa». L’ultima volta che si recò nel nostro monastero di Thonon pregò una sorella di darle una copia di un canto che era stato composto in onore di san Giuseppe e di portarglielo quando fosse salita sulla lettiga. Quando lo ricevette la Beata Madre le disse amabilmente: «Vi ringrazio molto!», aggiungendo poi che desiderava compiere quel viaggio in compagnia di quel grande santo. Una volta, in una lettera 330 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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a tutto l’Istituto che poi non poté scrivere parlò del suo desiderio di pregare tutte le Superiore di fare in modo che ciascuna delle loro figlie avesse un’immagine di Gesù, Maria e Giuseppe e una del nostro Santo Padre perché la tenessero sempre con loro; diceva infatti: «Mi sembra faccia molto bene avere sempre con sé i nostri migliori amici». Un giorno, accostandosi ad uno dei piccoli altari degli oratori della casa e vedendovi un’immagine di san Giuseppe col piccolo Gesù tra le braccia fece portare pure un’immagine della Vergine e disse: «Quando Gesù, Maria e Giuseppe non sono su un altare, io non trovo tutto quello che io là vado a cercare». Ad alcune delle nostre sorelle superiori, che avevano scritto alla Beata Madre per chiederle se potevano prestare la loro chiesa agli associati della Compagnia di San Giuseppe per predicarvi ogni seconda domenica del mese e tenervi le loro funzioni, lei rispose di sì e che dovevano considerare come un privilegio che la loro chiesa fosse scelta per onorare colui che Dio aveva tanto onorato. Dovevano però pregare i priori e le priore dell’associazione a disporre il loro tempo in modo che, qualora fosse stato possibile, si dicesse l’Ufficio nell’ora ordinata dalla Costituzione. Di solito quando si parlava della devozione alla Vergine, a san Giuseppe e ai santi, la Fondatrice ci insegnava che quella che è loro maggiormente accetta consiste nell’imitazione e che la Madonna e i santi gradiscono di più che si compia a loro imitazione un atto di umiltà, di tolleranza del prossimo, di dimenticanza e di rinuncia di se stesso, piuttosto che recitare loro molte preghiere.

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XII.

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LA SUA DEVOZIONE ALL’ANGELO CUSTODE E AI SANTI

Come abbiamo detto più sopra, la Beata Madre aveva una devozione particolare per gli apostoli, i martiri e tutti i santi dei primi secoli che hanno piantato e sostenuto la fede con il loro sangue e le loro fatiche. Aveva fatto comporre delle litanie in onore di questi santi protettori: talvolta li invocava uno dopo l’altro, ma di solito lo faceva in modo più virtuale che formale. Ammetteva di non volere che, col pretesto di unione con Dio, si trascurasse la devozione per i santi, i quali invece bisogna almeno onorare con una generale intenzione e, sebbene vi siano momenti in cui l’anima non può agire, né avere altra memoria che Dio solo, ve ne sono peraltro altri nei quali non solo ha sufficiente libertà, ma anche necessità di ricorrere ai santi e alle sante. Una delle nostre Superiore le scrisse una volta che vi era una novizia talmente attratta dalla semplice ed esclusiva contemplazione di Dio che non riusciva neppure ad invocare i santi nell’esercizio della mattina. Giovanna Francesca le rispose che in ciò vi era l’inganno del demonio e che conveniva esaminare bene quella ragazza ed insegnarle che per quanto si sia fra i favoriti del re, vi sono momenti ed affari per i quali si ha bisogno degli ufficiali della corona. Aggiunse poi: «Abbiamo una sorella condotta lungo una delle vie più semplici, spogliata di ogni sorta di immagini ed atti, ma io non trascuro di farle lucrare le indulgenze e dire alcune preghiere ai santi. E se le avessi detto di recitare ogni mattina la grande preghiera a tutti i santi, lei lo avrebbe fatto senza pregiudizio alcuno. Ordinate qualche volta a questa novizia di recitare le litanie dei santi e se lei dice di non poterlo fare tenetela sotto controllo e affidatela a qualche persona dotta affinché sondi la sua anima in profondità». Questo consiglio fu seguito e si 332 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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constatò che quella novizia, essendosi da poco convertita, era ancora sotto l’influsso del demonio che la teneva in quella finta contemplazione per mantenerla nella convinzione errata che i santi non devono essere invocati. Questa terribile rete fu spezzata dai consigli della Fondatrice che in seguito ci scrisse: «Vi assicuro che volevo solo dire che si sondasse ed interrogasse quella ragazza, anche se sentivo nel mio cuore che quell’anima era ancora sotto l’influsso di coloro che sono contrari alla fede della Chiesa cattolica 34». Si noti che quando la Beata Madre ebbe questa sensazione e proferì quelle parole non sapeva ancora che quella ragazza aveva professato la religione riformata. Ordinò che, nel tempo del suo noviziato, recitasse ogni giorno le litanie dei santi; grazie a questo rimedio mutò completamente le sue convinzioni ed è ora una virtuosissima religiosa. Come abbiamo già detto, nei primi esercizi che Francesco di Sales diede alla Fondatrice le aveva insegnato a visitare ogni mattina la Chiesa Trionfante; conservò questa pratica per tutto il corso della sua vita e ogni giorno, dopo il suo esercizio mattutino, pronunciava questa piccola orazione del breviario: Sancta Maria, et omnes Sancti, intercedite pro nobis ad Dominum, ut nos mereamur ab eo adjuvari, et salvari, qui vivit et regnat in secula seculorum 35. Aveva scritto di suo pugno nel suo libricino delle preghiere a san Giovanni Battista, a san Giovanni Evangelista, a san Francesco d’Assisi e a san Francesco da Paola e una più breve a san Bernardo, che era il suo grande santo del quale amava molto leggere gli scritti dedicati alla Santissima Vergine e i suoi sermoni sul Cantico dei Cantici. Se ne procurò una copia per poterne disporre più facilmente e ordinò che nel capitolo di questo monastero si tenesse sempre il volume in cui sono riunite tutte le opere di san Bernardo affinché, durante le feste o durante il tempo quotidiano dedicato alla lettura, le sorelle che lo desiderassero potessero leggerlo. E aggiunse che sebbene onorasse grandemente tutti i trattati di pietà trovava non di meno un piacere e un’utilità tutti particolari nel leggere o le vite dei santi o le loro opere, poiché 34 Ndt: Sull’atteggiamento e sulle parole che santa Giovanna Francesca di Chantal assume ed usa nei confronti dei fratelli protestanti si veda la nota 1 della Parte prima. 35 «Santa Maria e Santi tutti, intercedete per noi presso Dio, affinché meritiamo da Lui di essere aiutati e salvati, che vive e regna nei secoli dei secoli».

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tale lettura suscita nei cuori il desiderio di imitarli, di invocarli e questa preghiera sollecita i santi ad assisterci. Quando a tavola si leggeva la vita di qualche santo, durante la ricreazione Giovanna Francesca ne parlava con tale venerazione ed affetto che si sarebbe detto essere quello l’unico santo a cui era devota. In quei momenti, con quella confidenza che la sua santa bontà ci ispirava, le dicevamo che di certo lei doveva vantare un grande credito presso la corte celeste perché aveva lì molti conoscenti ed amici; lei però rispondeva sempre con brevi parole tendenti sempre all’umiltà. La devozione che aveva per il suo angelo fece sì che ordinasse che si appendesse sulla porta di ogni cella un’immagine dell’angelo custode affinché le sorelle, entrando ed uscendo si ricordassero di salutarlo. Nelle sue Risposte ci ha insegnato a chiedere spesso consiglio ai nostri angeli custodi su ciò che dobbiamo fare nelle diverse occasioni, chiedendo loro perdono quando abbiamo mancato. Ci disse una volta che dovevamo con la continua presenza di Dio avere questa somiglianza col nostro angelo, la capacità di vedere cioè sempre presente, mediante la fede, il volto del Padre celeste. Durante un viaggio disse alla sua compagna: «Figlia mia, abituiamoci a salutare, entrando nelle nostre case, gli angeli che le custodiscono e, uscendone, a prendere la loro benedizione e a raccomandare loro le nostre care comunità». Cantava spesso questi versetti di Davide tradotti da Desportes che aveva trascritti nel suo libretto: Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno Perché non inciampi nella pietra il tuo piede 36. In altro luogo parleremo dell’impareggiabile devozione che la Fondatrice aveva per il nostro Beato Padre, una devozione affettiva ed effettiva che ha fatto pronunciare al nostro Padre spirituale queste belle parole: la vita di Giovanna Francesca era una copia fedele della vita di san Francesco di Sales.

36 Ndt:

Sal 90 (91), 11-12.

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XIII.

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IL SUO AMORE PER LA POVERTÀ

Parlerò della povertà della Beata Madre dopo aver detto della sua pietà e devozione perché ho appreso da un santo religioso che l’anima che di tutto si spoglia e che non bada alle cose di questo mondo pronuncia una preghiera purissima. Il desiderio di imitare perfettamente il Signore fece sì che Giovanna Francesca abbandonasse la patria, la casa, le sue ricchezze per rendersi povera sull’esempio di Lui e la fondazione della nostra congregazione si fece in una tale spoliazione di qualunque bene terreno da non potersi descrivere. La povertà della Beata Madre era sì d’elezione e volontaria, ma era anche necessaria perché non aveva che quello e, seguendo il sentiero dell’amore, si era volontariamente lasciata condurre in questo stato di vita povera e priva di qualunque agio. Prima che la congregazione pronunciasse i voti solenni, la Fondatrice, come abbiamo già riferito, fece singolarmente voto di povertà fra le mani del Beato Padre; a questo proposito era solita dire che quando pensava a quel voto tremava per lo spavento tanto le pareva facile commettere delle mancanze e aveva tanto timore di cadervi che vegliava continuamente su se stessa. Per un certo periodo conservò un orologio, alcune reliquie ed altre simili cose che legittimamente possono essere tenute da una Superiora, ma ne ebbe poi scrupolo e si disfece di tutto tanto che non lasciò nulla di più nella sua cella di quanto avessero le altre sorelle. Di tanto in tanto si curava di verificare se la sorella, che dormiva nella sua camera per assisterla durante le sue infermità dovute all’età avanzata, non vi tenesse nulla di superfluo e trovando talvolta due fazzoletti bianchi di riserva, che servivano per far fronte ai suoi frequenti raffreddori, ne riportava uno alla sorella guardarobiera dicendole: 335 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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«Suor Jeanne-Thérèse non è contenta se non tiene qualcosa di riserva, mentre io desidero che per me come per le altre si venga a prendere ciò che è necessario». Quella cara sorella teneva alcuni cuscini e asciugamani per la Fondatrice quando non stava bene. Quando se ne accorse fece portare tutto in infermeria perché non voleva simili privilegi, ma desiderava che l’infermiera le desse, come alle altre, solo ciò di cui aveva bisogno. Si accorse anche che c’era una cassa particolare dove venivano conservati i suoi abiti: rimase mortificata di ciò e la fece portare al guardaroba pregando, per amor di Dio e a mani giunte, che le si desse la gioia di mettere tutto in comune. Diceva talvolta che la consolava molto il pensare di essere vestita e nutrita dalle elemosine; in effetti il Vescovo di Bourges suo fratello le dava una pensione vitalizia e i nostri monasteri le inviavano pure una parte dei suoi abiti che amava fossero vecchi e rattoppati, purché, diceva, puliti. Una volta pregò a mani giunte la guardarobiera di lasciarle ancora portare il suo velo sul quale si contavano già quattordici o quindici pezze. Usava le cose finché non erano interamente consumate. Una delle nostre superiore le scrisse una volta per chiederle se si doveva accondiscendere a una sorella che voleva che le fosse fatto un abito invernale ogni due anni col pretesto che tengono più caldo quando sono nuovi. Giovanna Francesca le rispose: «Oh Signore Gesù! Figlia mia cara, ciò che mi dite della nostra sorella N.N. quasi mi scandalizzerebbe. Guardatevi bene, figlia mia cara, dall’accondiscendere a fare abiti nuovi, ma siate inamovibile e se la sorella ha freddo che le sia data una buona tonaca. Vi assicuro che da otto anni porto il mio abito invernale che mi regalarono le nostre sorelle di Digione e non ho ancora pensato che non mi tenga caldo abbastanza e spero proprio che, se Dio mi darà ancora vita, mi possa servire ancora per due o tre inverni. Certo, mi vergogno nel vedere che delle figlie che hanno espresso voto di povertà si diano pensiero del loro abbigliamento. Ahimè! I veri servi e serve del Signore vivono in ben altro modo! Proprio ieri leggevo che il grande san Paolo era felice quando aveva di che saziare la sua fame e di che coprirsi. Ahimè! Quanto siamo lontani da quello spirito di perfetta povertà! Fate in modo di scolpirlo ben profondamente nel cuore delle vostre figlie e non accettate che si occupino troppo di loro stesse né che prevedano ciò che è loro necessario. Tutto ciò è contrario ai voti e alla regola». 336 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Quando vedeva una sorella con gli abiti rattoppati diceva: «Quanto mi piace, perché questo attiene ad una vera religiosa». Nelle sue Risposte ha ordinato alle Superiore di prestare molta attenzione a far ben osservare alle sorelle il voto di povertà e di dare loro occasione di praticarla. Diceva che dovremmo baciare teneramente e per rispetto gli abiti vecchi e rattoppati e noi abbiamo visto che lei stessa osservava questa pratica e per undici anni ha portato lo stesso abito invernale di cui si è parlato e nessuno avrebbe potuto farglielo cambiare se non fosse stata costretta, andando a fondare il nostro monastero a Torino, a prendere un abito della stessa stoffa di quello indossato dalle sorelle della fondazione, affinché tutto fosse uguale. Una volta la sorella guardarobiera, avendo bisogno di un paio di pantofole per una sorella inferma, gliene diede un paio che aveva portato Giovanna Francesca con l’intenzione di farne fare delle nuove per lei. Ma non appena la Fondatrice se ne accorse, se le fece rendere subito e ordinò che fossero fatte nuove per la sorella; disse poi alla guardarobiera: «Figlia mia, è necessario che anch’io osservi quello che insegno alle altre e cioè che bisogna che ognuna di noi consumi quello di cui ha iniziato a servirsi fino alla fine, a meno che la Superiora non ordini diversamente». Fu così che portò quelle pantofole per tutto l’inverno, sebbene ne soffrisse, come poi confessò in seguito, perché le erano troppo piccole. Una sorella guardarobiera le diede per due estati di seguito alcune bende da giorno fra le più strette che poteva trovare, pensando che le fossero più comode, quando invece le erano scomodissime: lei però non disse mai una parola fino al giorno in cui capitò l’occasione di chiedere alla guardarobiera se intendeva darle delle bende piccole. La sorella rispose di sì e le chiese se le fossero scomode. La Beata Madre rispose: «Questo è ciò a cui non dobbiamo neanche pensare, né prendere in considerazione, poiché abbiamo così poche occasioni di praticare l’effettiva povertà nella necessità; quando ciò accade dobbiamo solo gioirne» 37.

37 Una

contemporanea della santa raccontò che una volta fu data alla Beata Madre della biancheria personale un po’ grezza. Quando alcune sorelle se ne accorsero le dissero che probabilmente la sorella addetta alla biancheria si era sbagliata. «Anch’io l’ho pensato – rispose lei con un viso felice – ma che importa! Sarò ben lieta che lei si sbagli un po’ più spesso, perchè può capitare a me come ad un’altra».

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Quando intraprese il suo ultimo viaggio in Francia non volle assolutamente che fossero confezionati per lei abiti nuovi e alla vigilia della sua partenza chiese alla guardarobiera alcune pezze per aggiustare la sua tonaca che era tutta rotta. La imbastì lei stessa; poi andò dalla guardarobiera e la pregò di cucirle, mostrandole come stesse bene quando indossava qualcosa che sentisse di povertà. Durante la fondazione del nostro monastero di Torino, mentre visitava alcune case alla ricerca di quelle per alloggiarvi le sue religiose, il marchese di Lulin disse a Madama Reale che era lì presente che osservasse un po’ lo splendore di quella fondatrice d’Ordine, perché le sue scarpe avevano due o tre pezze davanti ed erano allacciate con strisce di cuoio. Quella grande principessa fu molto edificata da ciò e la stimò ancora di più. In qualunque occasione, piccola o grande, faceva attenzione a praticare la santa povertà; in inverno teneva un fuoco così debole nella sua camera che a stento vi si poteva scaldare. Dico nella sua camera quando ne ebbe una propria che le fece prendere la Madre de Châtel, poiché fino all’età di sessant’anni aveva sempre dormito nel dormitorio in una piccola cella come le altre; solo al mattino, dopo l’Angelus, la sorella che dormiva nella cella più vicina entrava nella sua per aiutarla a fare il letto prima della preghiera. Eccetto quando scriveva alla sera, non voleva che una lampada nella sua camera, nella quale dovevano esserci solo tre fili di cotone, o anche due, quando era un po’ grosso, e diceva: «Mi piace tanto guardare quella piccola luce che sa così tanto di povertà». Fintanto che stette nel dormitorio non accendeva solitamente la lampada della sua camera, ma apriva la porta e si serviva della lampada comune che si accende per evitare alle sorelle di scontrarsi quando escono dal Mattutino. Sua figlia, Madame de Toulonjon, volle farle fare un abito di raz 38 di Milano perché in viaggio ne portava una che era molto pesante. Lei però non volle assolutamente e le disse: «Come mai, figlia mia cara! Se avessi sulle spalle un abito di raz di Milano, per leggera che sia quella stoffa, mi sentirei così appesantita che non avrei riposo finché non me la fossi levata. Bisogna che i poveri profumino di po38 Ndt:

La traduzione italiana delle Memorie della Madre de Chaugy del 1856 (a cura dell’Abate T.B., Tipografia Governativa della Volpe e del Sassi, Bologna) spiega in nota che il «raz» è una «specie di stoffa comune, diversa dal raso» (p. 389).

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vertà, quindi mi sta bene avere un abito pesante quando ne avrei bisogno di uno leggero». Avendo una sorella imparato a fare i salassi, le vollero regalare un astuccio da chirurgo le cui lancette 39 erano decorate con un po’ d’argento. Giovanna Francesca non volle mai che le prendesse e dato che chi gliele offriva era la Superiora di una delle nostre case venuta qui per sua necessità, la Beata Madre colse l’occasione per istruirla, mortificandola in presenza di quella Superiora, dicendole che il desiderio di possedere tali lancette meriterebbe una buona penitenza e pronunciando queste precise parole: «Figlia mia, ricordatevi per tutta la vita di non mettere l’oro dove è sufficiente l’argento, né l’argento dove basta lo stagno, né lo stagno dove può bastare il piombo, perché la vera figlia della Visitazione non deve cercare le cose ricche, belle e ricercate, ma le grossolane, solide ed essenziali».

39 Ndt: «Strumento chirurgico costituito da una lama sottile e acuminata, utilizzato per praticare incisioni nelle vene» (T. De Mauro, Dizionario della lingua italiana).

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XIV.

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ANCORA DEL SUO AMORE PER LA POVERTÀ

Considerava come vera pratica di povertà religiosa il lavoro assiduo, come lei stessa faceva con grande fedeltà, anche in parlatorio, salvo quando le si parlava di cose molto intime: in quel caso smetteva di lavorare per prestare tutta la sua attenzione; ciò accadeva quando parlava a persone che non le erano familiari o che meritavano gran rispetto. Alla fine del mese voleva sempre vedere il lavoro di ogni religiosa oppure che dicesse in che modo aveva impiegato il suo tempo. Aveva una stima particolare delle sorelle che dimostrano grande cura nell’impiegarlo bene e talvolta ci diceva che le signore mondane e i ricchi sono di solito pigri nel lavoro, ma che le serve del Signore devono considerarsi povere nella sua casa e di conseguenza amare il lavoro. L’amore che Giovanna Francesca aveva per la santa povertà religiosa faceva sì che non gradisse affatto che fossero fatti regali importanti alle persone ricche, dicendo che non apparteneva a delle povere piccole religiose il fare dei regali ai grandi del mondo, se non qualche oggetto pio e devoto, che sia pulito e ben fatto, per testimoniare il rispetto che si deve loro; diceva anche che bisogna mantenere e conservare i beni per distribuirli ai poveri secondo le loro necessità. Una volta la Fondatrice venne a sapere che una delle nostre Superiore aveva fatto dei regali di un certo valore ad un vescovo: con il suo zelo abituale le scrisse quanto segue: «Ho saputo, figlia mia cara, che avete fatto un dono raro al vostro prelato; vi confesso in tutta semplicità che mi è dispiaciuto molto, essendo totalmente contrario allo spirito di umiltà e povertà. Non che io disapprovi che si facciano talvolta dei presenti alle persone alle quali dobbiamo essere riconoscenti, ma bisogna che ciò sia conforme a quanto dispone il Costumiere. Se proprio volevate fare un regalo al vostro vescovo, potevate 340 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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offrirgli un bel velo da calice per la sua cappella o una bella mitra; facciamo così noi in questo monastero, ma le rarità da orefice sono certamente regali da principessa, figlia mia cara. Pertanto non fatelo mai più: la vostra casa non ha ancora una sua rendita e ci sono molti poveri nell’Istituto che avrebbero molto bisogno di elemosina. Infine credetemi, cara figlia mia, mortifichiamo bene la natura, che ha avversione per tutto quello che la svilisce; manifestiamo, con la nostra umiltà, che siamo povere e che, di conseguenza, non abbiamo di che fare regali di grande valore ai ricchi, se non qualche oggetto devozionale che deve rappresentare tutta la nostra ricchezza. Per il resto rimaniamo piccole e mangiamo il nostro pane con i poveri di Gesù: sono questi gli amici con cui avremo a che fare nei tabernacoli eterni. Oh, là i poveri veramente saranno ricchi!». Una comunità del nostro Istituto mandò una volta alla Fondatrice un anello da offrire al defunto Vescovo di Ginevra, perché era fratello del nostro Beato Padre. Quell’anello era stato dato da una pretendente e non era stato acquistato con i beni della casa; lei però lo rimandò indietro scusandosi cordialmente se non faceva ciò che le era stato richiesto: disse infatti che credeva che quell’anello fosse un po’ troppo prezioso e temeva quindi di venir meno, offrendo quel regalo, alla povertà e alla semplicità religiosa. Leggeva e scriveva le lettere ai nostri poveri monasteri con premura e allegria particolari e talvolta ci diceva: «Mio Dio, quanto sono felici queste figlie di trovarsi nella situazione di poter praticare effettivamente i loro voti! Mi sembra di notare che i monasteri poveri hanno sempre una ricchezza particolare di devozione, di gioia e di bontà». Li incoraggiava molto con le sue lettere ad arricchirsi del tesoro della povertà e ripeteva loro spesso il consiglio che ha dato nelle sue Risposte e cioè che le Superiore dei monasteri più poveri non parlino che a pochissime persone della loro povertà e soltanto a coloro che potranno porvi rimedio poiché, diceva, «non ci si lamenta di ciò che si ama». Quando vedeva qualche nostra povera casa impegnarsi a non importunare nessuno, ma lavorare per guadagnarsi da vivere, avrebbe voluto mettersele nel cuore e, quando scriveva ad altri nostri monasteri, le citava come esempi e diceva che è bello vedere le spose del Signore che, come vere povere, lavorano, sull’esempio del grande Apostolo, per guadagnarsi di che vivere. Pregava le Superiore dei mo341 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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nasteri più poveri che se si fossero rivolte a qualche altra casa per chiedere soccorso e ne avessero ricevuto un rifiuto, ne avrebbero dovuto avere una doppia gioia, perché essere rifiutate era una conseguenza preziosa della loro povertà. Un po’ prima di partire per il suo ultimo viaggio in Francia scrisse ad una Superiora queste parole: «Vi scongiuro, mia carissima figlia, di corrispondere alla vostra povertà secondo tutta l’estensione di questa grazia; fate in modo che le vostre figlie amino vedere che la loro sacrestia, il loro dormitorio, il loro guardaroba, il loro refettorio risentono della povertà; guardatevi dal fare spese inutili, né abbellimenti nella vostra casa; impiegate umilmente il vostro poco per il mantenimento delle vostre sorelle». La Madre di Chantal ci ha spesso detto che provava consolazione nel desumere dalle lettere che riceveva dalle nostre case che generalmente vigeva la povertà nell’Istituto, non essendovi ancora che uno o due monasteri interamente fabbricati e con rendite. Ci ha detto molte volte quando doveva scrivere ai monasteri più poveri che la premura che le nostre care sorelle di Crémieux si erano data per nascondere la loro povertà agli uomini lavorando diligentemente, unendosi ai disegni divini che le lasciava povere, aveva attirato su di loro le benedizioni del cielo tanto che quel monastero si era rialzato dalla profonda povertà in cui versava. Il loro edificio in parte era stato innalzato perché, avendo cercato prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia 40, tutto il resto era stato dato loro. Ad un Padre gesuita così scrisse una volta: «Noi non ci lamentiamo mai della povertà: essa è il tesoro più prezioso delle serve del Signore». Giudicando che due nostre case, che non sono ancora in grado di fare delle fondazioni, potessero però cominciare a praticare quell’articolo delle Costituzioni che dice che quando il monastero è edificato e ha rendite può iniziare ad accogliere le figlie per carità, si premurò di avvertirle con parole molto efficaci e scrisse pure al Padre spirituale, scongiurandolo di porvi attenzione, perché l’abbondanza dei beni terreni sarebbe molto contraria alla perfezione dello spirito alla quale le figlie della Visitazione sono chiamate. Come ha scritto nelle sue Rispo-

40 Ndt:

Cf. Mt 6, 33.

342 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ste aveva ricevuto una grande consolazione sapendo che su quel punto quella casa aveva prevenuto la regola, avendo essa ricevuto un buon numero di ragazze prive di dote. Mi ricordo che nel 1640 Giovanna Francesca scrisse tre o quattro volte con umilissime istanze alle sorelle di Crémieux per supplicarle di accogliere una virtuosa ragazza della Borgogna, esule, che però non aveva fatto nulla, dicendo loro che le pregava a mani giunte e, se non mi sbaglio, in una delle sue lettere c’erano queste precise parole: «Immaginatevi, figlia mia, che io sia in ginocchio davanti a voi e vi chieda a mani giunte il posto per questa povera figlia». La buona Madre di Crémieux le rispose che la sua umiltà aveva fatto scendere loro le lacrime dagli occhi e che si era tanto adoperata da ottenere il permesso di accogliere quella brava ragazza. La Beata Madre ad alcune sorelle che erano con lei nella stanza testimoniò immediatamente la sua gioia; fece anche scrivere una lettera di ringraziamento contenente parole cordialissime e disse loro che quella povera giovane sarebbe stata fra loro la figlia della Vergine Santissima e una calamita che avrebbe attirato sulla loro casa le benedizioni del cielo. In quell’occasione una sorella le disse che le aveva dato da pensare il fatto che lei avesse tanto premuto presso le sorelle di Crémieux affinché accogliessero quella ragazza senza dote, mentre insisteva tanto per ricevere quella della sorella de Prâ i cui beni erano stati rovinati dalle guerre. La Beata Madre si mise a sorridere benignamente e le rispose che bisognava considerare che la sorella de Prâ aveva dei fondi che la guerra non porta via e che aveva uno zio ricco presso l’abbazia di San Claudio: pertanto non si doveva usare compiacenza verso i ricchi, ma era meglio mantenere la possibilità di fare la carità alle povere ragazze che avevano buoni talenti e buona volontà. Abbiamo già parlato della povertà da lei praticata nelle fondazioni, soprattutto in quella di Bourges e di Parigi e in particolare in quest’ultima. A questo proposito disse che provava grande soavità nel non affaccendarsi e nel manifestare la sua povertà: «Lasciavamo crescere tranquillamente – diceva – queste nuove rose con le spine di molte privazioni che ci pungevano un po’, ma ci davano grandi speranze che i fiori sarebbero stati più belli». Quando era in viaggio ed era costretta ad alloggiare in case secolari, per rispetto le venivano date le stanze più belle. Talvolta le veniva pure detto che avrebbe dormito nella stessa stanza dove era stato il 343 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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re e che avrebbe avuto a disposizione lo stesso mobilio. Tutto ciò le dispiaceva molto e la sera, in quelle camere di parata, con la sua compagna piegava quelle grandi coperte di seta e si copriva con i suoi abiti; altre volte si coricava su un lettino, lasciando il letto grande alla sorella che era con lei a cui diceva: «Per Dio, alziamoci domani di buon mattino e togliamoci da tutte queste mondanità». Era molto più felice di passare la notte in miseri alberghi, sulla paglia o sulle foglie, come talvolta è stata costretta a fare, piuttosto che dormire in grandi camere tappezzate e in morbidi letti. Nonostante l’età e la sua salute delicata, non ha mai permesso che le fosse portato un letto in viaggio, né di avere un cavallo per bagaglio. Aveva solo una piccola cassetta che veniva caricata sulla lettiga dove teneva i suoi libri, le sue carte e un po’ di biancheria per cambiarsi. Diceva infatti che le buone religiose devono, sull’esempio di san Paolo, essere contente comunque si trovino. Spesso ha detto che la più grande pena che abbia avuto nel suo stato religioso è stato il doversi sottomettere all’obbedienza delle Superiore che le riservavano un trattamento particolare a motivo delle sue infermità, della sua salute precaria unita all’età e alla grande fatica che doveva sopportare. Quando cambiava la Superiora, per dimostrare che lei si considerava come una povera e semplice religiosa che non voleva avere nulla senza permesso, mostrava il poco che aveva per suo uso personale e l’ultima volta, quando arrivò la Madre de Blonay, le mostrò persino le carte con le sue dichiarazioni di fede e le preghiere che portava in un sacchettino appeso al collo, chiedendole se volesse vederle e domandandole il permesso di poterle tenere assieme ad un’immaginetta di Gesù, Maria e Giuseppe che conservava dentro le sue Costituzioni. Tirando il cassetto del suo tavolino mostrò che non possedeva che un pezzetto di taffetas verde con cui a volte si asciugava gli occhi. Visitando le nostre case spesso le preparavano nel coro un inginocchiatoio con dei cuscini, ma non se ne volle mai servire: «Toglietelo, sorelle mie, dov’è la povertà?» e si inginocchiava sempre per terra. Due anni prima della sua morte, avendola l’età resa molto pesante tanto che faceva fatica a rialzarsi quando era seduta a terra nel coro, le si volle dare un cuscino di piume che lei non accettò mai, ma accondiscese solo a servirsi di un piccolo cuscino di una brutta tela nera pieno di paglia. 344 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Credo che abbiamo già dimostrato, parlando della sua carità verso il prossimo, come lei non amasse solo la povertà, ma anche i poveri e aveva la pazienza di ascoltare le loro lamentele, facendo loro tutto il bene che poteva, guidata da una carità perfetta e discreta. Quando al termine della stagione andava in guardaroba a verificare gli abiti e le scarpe che le sorelle restituivano, si raccomandava molto di conservare per i poveri tutto quello che si poteva, senza togliere nulla alla Comunità e voleva che le scarpe che si davano ai poveri fossero aggiustate. Se l’avessero lasciata fare, una volta, nel pieno dell’inverno, voleva togliersi la tonaca per offrirla ad una povera donna. Di solito, prima della festa della Presentazione della Beata Vergine Maria 41, giorno in cui rinnoviamo i nostri voti, Giovanna Francesca pregava le sorelle di controllare bene se avessero per loro uso personale qualcosa oltre lo stretto necessario. In quell’occasione visitava tutte le celle delle sorelle per vedere se avevano qualcosa di superfluo. Aborriva a tal punto che coloro che hanno fatto voto di povertà avessero anche la più piccola cosa inutile, che, quando per l’età non poteva più occuparsi del cucito, restituì gli aghi che erano sul suo puntaspilli e sappiamo con certezza che i suoi ultimi scrupoli in punto di morte riguardavano l’aver conservato alcuni spilli inutili proprio nel suo puntaspilli.

41 Ndt: La festa è celebrata il 21 novembre e ricorda la dedicazione che Maria, sotto l’azione dello Spirito Santo, fece di se stessa a Dio fin dall’infanzia.

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XV.

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IL SUO AMORE PER L’OBBEDIENZA

San Giovanni Climaco 42 considerava grande chi rinuncia all’oro e all’argento, ma stimava santo colui che si spogliava della propria volontà. Per questo dobbiamo considerare la nostra Beata Madre grande e santa al contempo, poiché non vi è nulla a cui lei abbia rinunciato così perfettamente, così assolutamente e così pienamente quanto a se stessa e alla sua volontà. Si è potuta osservare questa verità per tutto il corso della sua vita e nelle sue azioni; anche il cielo le fece conoscere, come abbiamo già detto, che la destinava ad essere una vittima sacrificata dalla perfetta obbedienza. Oh, quanto il desiderio di avere un direttore spirituale l’ha fatta sospirare e piangere davanti alla Maestà divina affinché le mandasse una guida! E quando per un inganno innocente si pose sotto la direzione di una persona che non era quella che Dio le aveva destinato, con quale fedeltà gli obbediva contro le sue spinte interiori e i suoi stessi sentimenti! Ma dopo che il cielo l’ebbe posta sotto la direzione del nostro Beato Padre, chi potrebbe esprimere la perfezione della sua obbedienza, che è sempre stata un’obbedienza religiosa perché stretta dai voti! Il Fondatore ha detto che tra tante anime che domandavano la sua direzione e seguivano i suoi consigli, non ne aveva mai trovata una che eguagliasse quella di Giovanna Francesca per la perfezione dell’obbedienza.

42 Ndt: San Giovanni Climaco (579ca-649ca). In greco, “climaco” significa “quello della scala”. Così è soprannominato Giovanni, monaco e abate, perché ha scritto una famosissima guida spirituale in greco: Klimax tou Paradeisou, ossia Scala del Paradiso.

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Credo di essermi dimenticata di dire a suo luogo che durante il secondo viaggio che fece in Savoia, all’epoca della sua vedovanza, per recarsi a parlare della sua anima con il Vescovo di Ginevra, quest’ultimo le aveva indicato il giorno in cui si sarebbe trovato a Sales dove l’avrebbe aspettata. Accadde però che alcuni affari importanti ed urgenti la costrinsero a partire due giorni più tardi; partita a cavallo, viaggiò per giornate intere per recuperare il tempo e resasi conto che non sarebbe riuscita ad arrivare nel giorno convenuto, camminò tutta una notte benché piovesse e tuonasse forte. Il nostro Beato Padre rimase meravigliato di tanta obbedienza e le chiese perché si fosse così tanto affaticata. Lei rispose: «Io non credevo che mi fosse permesso addurre qualunque pretesto per esimermi dall’arrivare oggi così come voi mi avevate ordinato». Francesco di Sales allora le insegnò come volesse che la sua obbedienza fosse libera e come dovesse più amare l’obbedienza che temere la disobbedienza e avere più riguardo alla dolcezza delle sue intenzioni che al rigore delle sue parole in simili situazioni. Una volta, parlando a Giovanna Francesca familiarmente sulla virtù dell’obbedienza, il Fondatore le disse: «Non mi avete mai disobbedito in nulla, se non nel condiscendere alle nostre due prime figlie» (di questo fatto ne abbiamo già parlato 43). Subito si gettò ai suoi piedi e piangendo gli disse che aveva fatto naufragio in porto 44. Il Beato Padre la fece alzare e la consolò, ammirando quanto quell’anima fosse sensibile al dolore anche per la minima mancanza contro l’obbedienza. Non contenta di scrivere sulle tavole del suo cuore i consigli che riceveva dal Fondatore, li metteva anche per scritto e nel suo librettino faceva delle sintesi dei punti principali delle sue lettere per averli sempre sotto gli occhi e regolarsi esternamente ed ancor più internamente secondo l’obbedienza. Sappiamo che per un’obbedienza inaudita pregò Francesco di Sales di comandare al suo intelletto di fermarsi sulla preghiera. Ecco le precise parole, scritte dalla mano dell’uno e dell’altra: «Io non sono padrona del mio intelletto, il quale, senza il mio per-

43 Ndt: Nel cap. III della Parte seconda la Madre de Chaugy racconta di quando,

per poter comprare dei paramenti per ornare l’altare in occasione della loro Professione, le Madri Favre e de Bréchard convinsero la Fondatrice ad usare del denaro che Francesco di Sales aveva lasciato loro per destinarlo alle necessità dei malati. 44 Ndt: L’espressione figurata significa: «fallire nel momento conclusivo».

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messo, vuole vedere e operare tutto; ecco perché chiedo al Signore l’aiuto della santissima obbedienza per fermare questo misero seduttore, perché credo che avrà timore di un comando assoluto». Il Fondatore sullo stesso foglietto le scrisse queste parole: «Caro intelletto, perché nella preghiera volete praticare la parte di Marta, quando Dio invece vi fa intendere che vuole che esercitiate quella di Maria? Vi ordino dunque semplicemente che dimoriate in Dio, o presso Dio, senza fare nulla e senza pretendere da Lui di sapere nulla, se non quello che vi susciterà. Non ripiegatevi in nessun modo su voi stesso, ma restate vicino a Lui». Non è forse questo un modo molto efficace per procedere nell’obbedienza? Bisognerebbe che il buon Angelo di questa santa venisse a dichiararci con quale perfezione ha praticato quel comando. La Beata Madre si è sempre posta non solo nelle mani del Fondatore, ma anche dei suoi altri superiori, come il servo fedele del Vangelo 45, andando e venendo da luoghi diversi secondo quanto l’obbedienza le ordinava e quando gli uomini volevano frapporle degli ostacoli, la forza dell’obbedienza si divertiva ad abbatterli. Una volta, quando si temeva che un’autorità sovrana la stesse trattenendo in un’altra città dove si era recata per la fondazione di una nostra casa, lei disse con grande fermezza che non ci si doveva preoccupare perché nulla poteva trattenerla lontana da Annecy se non l’obbedienza e che quand’anche facessero costruire una torre per tenervela rinchiusa, se il suo superiore le ordinasse di rientrare, Dio le avrebbe dato la forza e l’ingegno per rompere quei muri e obbedire. Tutti i viaggi che ha fatto non li ha mai intrapresi per sua volontà; erano i superiori che glielo ordinavano dopo essersi resi conto della loro necessità; in questo modo né la volontà dei superiori né quella della Beata Madre erano tenute in considerazione. Durante il suo viaggio in Lorena, accorgendosi che erano state scritte delle lettere al Vescovo di Ginevra per farla passare da Parigi e temendo che lasciasse a lei la decisione secondo quanto le fosse sembrato meglio, Giovanna Francesca lo prevenne, scongiurandolo umilmente di ordinarle espressamente ciò che sarebbe piaciuto a lui che lei facesse per non lasciare questa decisione a lei soltanto. Essendo una volta richiesta in un nostro monastero per alcune settimane, il Vescovo di Ginevra le chiese cosa le dicesse il 45 Ndt:

Cf. Mt 25, 21.

348 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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suo cuore di quel viaggio e lei rispose: «Monsignore, io non gliel’ho chiesto e se anche glielo avessi domandato lui mi avrebbe risposto che io devo solo obbedire». Nel corso del suo ultimo viaggio in Francia, durante il quale morì, non si può descrivere con quale rinuncia di sé si è comportata. Scriveva sempre a madame de Montmorency che sarebbe stato per lei un bene e una grande felicità il poterla rivedere, ma a quel proposito non poteva dire nulla, perché avrebbe fatto solo ciò che le sarebbe stato ordinato. E alla carissima sorella Marie-Hélène de Chastellux, allora Superiora a Moulins, che l’aveva pregata di far capire al Vescovo di Ginevra la necessità di quel viaggio, Giovanna Francesca rispose, scusandosi, che non poteva influire sul giudizio dei suoi superiori e aggiunse: «Vi assicuro, mia carissima figlia, che desidero infinitamente che il poco tempo che mi resta da vivere sia interamente speso e diretto verso la santa obbedienza». Quando era in viaggio osservava molto spesso, secondo il caso, le parole con cui era espressa l’obbedienza ricevuta, al fine di attenervisi in tutto e per tutto. Durante quell’ultimo viaggio la sua compagna, la carissima sorella Jeanne-Thérèse Picoteau, scrisse da Parigi alla Madre de Blonay scongiurandola di astenersi nelle sue lettere di chiedere alla Fondatrice di abbreviare il suo viaggio, perché, considerandola come sua Superiora, aveva capito che questo faceva soffrire Giovanna Francesca che temeva così di trattenersi, anche se per poco, contro le sue intenzioni. Nel corso di quello stesso viaggio la Fondatrice scrisse di suo pugno alla nostra onoratissima Madre queste parole: «Mia carissima e buonissima Madre, ditemi chiaramente le vostre intenzioni e credete che se l’obbedienza vuole che io torni ad Annecy, lo farò nonostante l’inverno e anche se l’opera per la quale sono venuta a Parigi non è ancora terminata, perché, grazie a Dio, io non voglio che l’obbedienza». Non si può descrivere l’onore, l’affetto e il rispetto che Giovanna Francesca portava ai suoi superiori. Desiderava ardentemente che l’Istituto portasse un sacro rispetto ai prelati, che sono i nostri veri e legittimi superiori. Per il nostro Padre spirituale aveva un rispetto fatto di sottomissione e fiducia tali che la portava a concedersi la libertà di importunarlo per qualunque minima occasione. Diceva che tra i benefici di cui ringraziava il Signore, vi era quello di averle dato un superiore così buono e così disponibile che poteva ricorrere a lui per 349 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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qualunque cosa e vivere così più serenamente sotto l’egida dell’obbedienza. Il suo religioso rispetto si estendeva anche verso le sue Superiore per le quali aveva la massima deferenza e un rispetto senza eguali, a tal punto che non appena veniva deposta nessuno di lei avrebbe detto che avesse mai comandato, tanto sapeva obbedire perfettamente. Non volendo altra libertà che quella che si trova nella sottomissione dell’obbedienza, domandava diligentemente il permesso per qualunque cosa volesse fare. Quando in questo monastero fu eletta la nostra carissima Madre de Châtel, la Fondatrice la pregò subito di esercitarla nella virtù dell’obbedienza, ricordandole che da lungo tempo comandava alle altre e che per ciò temeva di non avere quella virtù che è propria delle vere religiose. Le disse dunque: «Mia cara Madre, ecco molte lettere alle quali devo rispondere: ordinatemi che risponda oggi a questa e domani a quella e così datemi modo di obbedirvi». Trovava altri piccoli stratagemmi affinché le fossero dati degli ordini e aveva tale considerazione dei consigli della sua Superiora inerenti la sua direzione spirituale, che metteva per scritto ciò che le diceva per la sua anima. Portava sempre con sé alcuni consigli che la Madre de Châtel le aveva dato su sua insistente richiesta. Quando la Madre de Blonay arrivò in questo monastero Giovanna Francesca, dopo averle fatto un fedele resoconto della sua vita interiore e di ciò che era accaduto dopo la morte della Madre de Châtel, la scongiurò a mani giunte di dirigerla secondo quanto la luce divina le avrebbe suggerito. Prima di intraprendere il viaggio per Moulins le riferì brevemente lo stato della sua anima e le sue disposizioni, supplicandola di darle una pratica spirituale a cui attenersi durante il viaggio. La pregò anche di darle il libro che avrebbe ritenuto utile lei leggesse fino al suo ritorno affinché, attraverso quelle pratiche interiori ed esteriori, rimanesse, malgrado la sua assenza, sotto la sua direzione e la sua guida. La Madre de Blonay la accontentò e la Fondatrice le testimoniò grande gratitudine dicendole che tutto ciò corrispondeva ai suoi veri bisogni. Uscendo dal monastero voleva che la Superiora le desse la sua benedizione: la pregò amichevolmente, ma ne ricevette umilmente il rifiuto e così disse: «Ebbene, mia cara Madre, la riceverò in spirito». Desiderava sommamente che la nostra congregazione facesse professione di un’obbedienza perfettissima; parlava spesso di questa virtù 350 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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e raccomandava frequentemente alle Superiore di rendere salde le loro figlie nella pratica dell’obbedienza, secondo quanto la Costituzione stabilisce. Scrisse una volta alla Madre de Blonay: «Procuratevi che le vostre figlie divengano sempre più perfettamente obbedienti; questa deve essere la virtù su cui fondare la formazione delle novizie e credo che se volessi che vadano in cielo, si innalzerebbero così come se volessi che raggiungano il centro della terra, vi sprofonderebbero». Una delle nostre sorelle di Autun scrisse alla Fondatrice che le era dato di scegliere se ritornare alla nostra casa di Moulins, dove aveva fatto professione, o rimanere a Autun; lei però non sapeva che partito prendere, poiché, avendo sacrificato tutta la sua anima all’obbedienza, non aveva più l’intelletto per discernere nulla di ciò che la riguardava; insomma non riusciva a fare alcuna scelta ed era disposta sia ad andare che a restare. Giovanna Francesca baciò due o tre volte quella lettera e disse: «Sia benedetta dal Signore questa figlia che non ha volontà. Se lei facesse ora dei miracoli, facilmente ci crederei». Le scrisse scongiurandola di perseverare in questa rinuncia a se stessa, aggiungendo che chiunque si è consacrato all’ubbidienza e poi si dà pensiero per sé, del suo lavoro, della sua abitazione, della sua direzione, è come se si ritirasse dal suo voto e dopo essere morto per Dio, si lascia miseramente resuscitare dall’amor proprio per vivere in se stesso». La Madre di Chantal poteva finalmente parlare delle sue vittorie 46, poiché è stata obbedientissima in qualunque momento e condizione, secolare, religiosa e da Superiora, in qualità di subalterna, sana o malata, durante i suoi viaggi e a casa, nelle piccole e nelle grandi cose, all’interno e all’esterno, per gli altri e per se stessa, nella vita e nella morte. Quando le fu chiesto ciò che lei desiderava si facesse del suo corpo dopo la sua morte, rispose che non aveva nulla da ordinare in proposito, perché apparteneva all’obbedienza dei suoi superiori e del monastero di Annecy. Diede la stessa risposta quando la duchessa di Montmorency le chiese di lasciare a Moulins la sorella Jeanne-Thérèse, sua compagna: disse infatti che non aveva alcun potere di dare ordini e che doveva rivolgersi ai superiori e alla Superiora di Annecy, dove quella sorella era professa. 46 Ndt: Il corsivo è dell’originale. Si tratta di un versetto tratto dalle Costituzioni della Congregazione dettate da Francesco di Sales.

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XVI.

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IL SUO AMORE PER LA PUREZZA

Su questo terzo voto non so veramente cosa dire, se non quello che Francesco di Sales ha scritto: «La verginità di quella santa vedova, difesa con l’umiltà, era più eccellente di una verginità meno umile: essa merita veramente di essere associata a quell’onorevole gruppo di sante vedove degne di essere onorate come il tempio di Dio». Da ragazza e da sposa, benché possedesse una bellezza e una grazia molto attraenti, la sua innocenza, la sua modestia e la maestà del suo viso facevano contenere anche gli uomini più licenziosi quando erano in sua presenza. Quando rimase vedova il suo cuore divenne un giardino chiuso dal sacro voto della castità: era come circondato da una siepe di spine di mortificazioni e di esercizi di virtù. Il Beato Padre diceva che era una torre d’avorio, tanto era pura e pronta a fare del suo cuore casto il trono del pacifico Salomone. Rimanendo vedova, giovane e bella, rinunciò a tutto quello che lusinga i sensi; solo sentir parlare di seconde nozze le faceva orrore. Tutte le sue amicizie erano schiette, leali, innocenti, sincere, ma sante e senza alcuna familiarità. Aveva profondamente inciso nel suo cuore e lo teneva scritto nel suo librettino, che la Vergine, badessa del suo monastero interiore di cui abbiamo già parlato, aveva temuto quando vide un angelo di forma umana perché la lodava. Sul suo esempio anche lei avrebbe temuto un uomo, sebbene fosse apparso in forma angelica, se l’avesse lodata ed accarezzata. Si era fatta scrivere dal Fondatore i segni che servono a distinguere le buone dalle cattive amicizie e aveva molto a cuore questa sentenza: L’amicizia di questo mondo è nemica di Dio. Parlando una volta in confidenza con la defunta Madre Favre, le disse che non si ricordava di aver mai dovuto dire una parola in confessione riguardante la castità e che da ciò traeva spunto per umiliarsi vedendo la sua debolezza, perché, probabil352 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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mente, se fosse stata forte, Dio avrebbe permesso che fosse stata attaccata anche con quella tentazione, così come era stata tentata su altre cose. Diceva che le facevano compassione quelle anime che ne erano travagliate e che pregava particolarmente per loro affinché il Signore le aiutasse e le consolasse. Confermò la stessa cosa alla Madre de Blonay prima della sua partenza per Moulins, dicendole che era stata assalita da ogni tentazione, tranne da quella contro la purezza. Disse una volta che la cella, il ritiro, la mortificazione e la preghiera sono le guardie dell’anima casta e che una vera religiosa deve guardare ai piaceri del mondo, di qualunque tipo essi siano, solo attraverso la Croce del suo Sposo, cioè con occhio di sdegno. Voleva che le sorelle che erano tentate contro la purezza ne parlassero molto poco e che scendessero nei particolari delle loro pene solo con il confessore e solo quando ne avessero qualche scrupolo. Quando, durante la lettura a tavola, si incontrava qualche consiglio relativo alla castità, lo faceva tralasciare perché diceva che quelle cose non dovevano mai essere lette in comunità, ma in particolare e solo da coloro che ne avessero avuto bisogno. Disse una volta a una sorella che le manifestava alcune pene a questo proposito: «Figlia mia, prendete le ali di colomba e rifugiatevi nei pertugi delle pietre angolari, cioè nelle piaghe di Cristo; rimanete lì tranquilla, senza guardare, discutere e rispondere al vostro nemico». Non parlava mai molto di quelle tentazioni, ma con la sua ammirevole chiarezza di spirito racchiudeva in quattro o cinque parole il consiglio di cui l’anima che le stava parlando aveva bisogno. La perfetta purezza e limpidezza di cuore di Giovanna Francesca si palesavano anche nell’impareggiabile trasparenza che risplendeva in tutto ciò che faceva. Aveva a tal punto bandito dal suo cuore l’amore mondano grazie a quello divino, che quel cuore sembrava essere di natura esclusivamente spirituale, purificato da tutto ciò che non era essenzialmente soprannaturale. E possiamo assicurare di aver visto la Madre di Chantal stare tra noi vivendo e respirando solo per lo Sposo celeste, non solo con ogni onestà e purezza, ma in santità di spirito, di parole, di contegno e di azioni. Tutto questo rendeva la sua conversazione immacolata ed angelica 47. 47 Ndt: Il corsivo è dell’originale. Si tratta di un versetto tratto dalla costituzione relativa alla castità, che si trova all’interno delle altre redatte da Francesco di Sales.

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XVII.

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IL SUO AMORE PER L’UMILTÀ

Il Padre Binet, gesuita, avendo visto nel 1619 a Parigi la Beata Madre sopportare con dolcezza e costanza senza pari un disprezzo ed un’umiliazione di lunga durata, disse che credeva che fosse professa di quattro voti e che il quarto fosse l’umiltà e chiese se si facesse quel voto nella nostra congregazione. Avendo visto infatti il contegno e l’umiliazione della Madre di Chantal in alcune occasioni forti, aveva creduto che l’umiltà fosse il nostro quarto voto. La Fondatrice gli rispose con un dolce sorriso: «Mio caro Padre, desidero che pratichiamo l’umiltà così esattamente come se avessimo espresso quel voto»; ciò sapendo noi uniamo questa preziosa virtù a quelle dei tre voti. Un’anima gratificata da Dio in modo eminente da molti anni e che conduceva una vita conforme a ciò che riceve dalla Maestà divina scrisse una volta alla Madre de Châtel in risposta ad una sua richiesta: «Da che circa vent’anni fa Dio mi ha fatto conoscere la Madre di Chantal, la sua divina bontà mi ha sempre fatto vedere, con lo spirito e con l’esperienza, che l’aveva scelta per essere in questo tempo specchio e candida rappresentazione della vita nascosta di Cristo. E per parlarvi sinceramente, mia carissima Madre (e pregandovi di non nominarmi, essendomi resa indegna di tutte le grazie di Dio), la prima volta che udii parlare dell’Ordine di Santa Maria mi sentii spinta a pregare per il suo progresso e, dopo la santa Comunione, Gesù mi fece vedere che quando pronunciò quelle parole: Imparate da me che sono mite e umile di cuore 48, aveva guardato con uno sguardo d’amore e di elezione la Madre di Chantal, che vidi al-

48 Ndt:

Mt 11, 29.

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lora in spirito con Gesù Cristo umanizzato, in un abisso di umiltà, tutta nascosta in Dio». Vediamo ora come la Fondatrice ha corrisposto a questo sguardo e all’elezione di Dio su di lei per la santissima umiltà. Da dove provenivano quel forte moto di spirito manifesto già da che rimase vedova e quel desiderio incredibile di essere istruita e guidata da un altro nella vita spirituale e nella virtù, se non da una vera e virtuosa diffidenza di se stessa? Ecco le sue stesse parole: «Dopo che Dio mi portò via il barone di Chantal e che mi fui consacrata alla sua bontà, cominciai a concepire nella mia anima, già molto afflitta per la vedovanza, un forte rimpianto per la vanità nella quale avevo trascorso i miei giorni. Mi parve che quella disgrazia mi fosse accaduta perché diventassi padrona delle mie azioni; nell’ardente desiderio di avere una guida spirituale, dicevo al Signore piangendo: Dio mio, questa ignorante sbaglierà se non sarà istruita e la mia anima, più debole della stessa debolezza, cadrà di male in peggio se la vostra Maestà non mi dà un maestro e un sostegno». Siccome la nostra Beata Madre aveva del tutto naturalmente un grande coraggio e, come disse il Fondatore, un carattere imperioso o meglio tendente all’imperiosità, bisognò che la forza della grazia potente abbattesse in lei ciò che vi era per sua natura e, certamente, le costò molto. Dio infatti le insegnò, fin dal primo anno di vedovanza, ad assoggettarsi per amor suo a tutte le sue creature; la ridusse presso il suocero a prendere il titolo di serva della casa, piuttosto che quello di nuora: là era priva di qualunque autorità, le sue azioni erano spiate e censurate, le sue parole travisate e mal interpretate, le sue buone opere controllate e biasimato quanto faceva anche di più indifferente. Insomma, come disse un buon padre cappuccino, il Padre Mathias di Dôle, là fece un noviziato lungo, così umiliante e mortificante che neanche negli ordini più rigorosi della Chiesa avrebbe fatto. Francesco di Sales, da saggio direttore quale era, assecondando i disegni dello Spirito Santo su quella grande anima, la teneva sempre nella pura via dell’umiltà e voleva che la sua attenzione principale consistesse nel radicare bene questa virtù nel suo cuore. Dapprima le insegnò che la vedova cristiana è la piccola violetta del giardino della Chiesa, piccolo fiore che non ha né colore né odore eclatanti. Tutto è dolce, tutto è piccolo, tutto è mediocre: diceva che avendo perduto 355 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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suo marito, aveva perduto la sua corona; che avendo perduto la sua verginità, aveva perduto la gloria, tanto che non le restava altro che la sua piccolezza e la sua abiezione 49. Le ordinò di esercitarsi non nelle virtù splendide ed eclatanti, ma in quelle che convengono al suo stato di vedovanza di cui le fece l’elenco: l’umiltà, il disprezzo per il mondo e per se stessa, la semplicità, l’amore per l’abiezione, il servizio dei poveri e dei malati. Le assegnò come dimora i piedi della croce, scrivendole che la sua gloria sarebbe stata l’essere disprezzata, e la sua corona sarebbero state la miseria, la piccolezza e l’abiezione. Alcune persone di grande profondità mistica, vedendo questa santa vedova con così alte disposizioni per la vita spirituale, volevano che si desse alla vita sopraeminente, ma Francesco di Sales le disse: «No, no continuate a filare il filo delle piccole virtù dell’umiltà, della dolcezza, della mortificazione, della semplicità e le altre che convengono alle vedove. Chi vi dice diversamente inganna ed è ingannato». Il Fondatore voleva che la Madre di Chantal dimostrasse una tale sottomissione a chi la guidava, rinunciando completamente a se stessa, che avendogli scritto una volta a proposito di alcuni suoi desideri un po’ ardenti, lui le rispose che Dio voleva da lei solo sottomissione in tutto: «Lasciatemi – le disse – la guida dei vostri desideri: ve li custodirò diligentemente, voi non datevene alcun pensiero. Peraltro io non ve li restituirò mai, perché non sarebbe opportuno che ve li rendessi. Siate certa che non li userò male, visto che devo renderne conto a Dio». È possibile vedere una discepola più distaccata da sé e più sottomessa, poiché il suo direttore governava i suoi desideri e, come abbiamo appena detto, comandava ai suoi stessi pensieri? Si considerava così piccola e umile come un bambino fragile, stringendo la mano di colui che, da parte di Dio, la guidava, senza nemmeno chiedergli: «Dove mi portate?». Piuttosto, come l’ardente san Paolo, diceva con sottomissione santamente cieca: «Cosa vi piace che io faccia?» Dio aveva guardato l’umiltà della sua serva e l’aveva resa così onorevolmente madre di tante figlie, perciò lei volle apparire piuttosto discepola che maestra in quell’alta lezione di umiltà; così scriveva al Beato Padre: «Chiedo, per onore di Dio, l’aiuto del Signore affinché 49 Ndt: nel linguaggio ascetico «abiezione» significa «avvilimento della propria persona, umiliazione». (T. De Mauro, Dizionario della lingua italiana).

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mi umili. Mi impegno a non dire mai nulla da cui possa scaturire nei miei confronti gloria o stima». Il Fondatore sullo stesso foglietto le rispose con queste parole: «Senza dubbio fa molto bene chi parla poco di sé, poichè sia se parliamo per accusarci, sia per lodarci, sia per disprezzarci, sempre la nostra parola funziona da esca per la vanità». Tutti sanno quanto l’Istituto deve alla Madre di Chantal, certo non meno di quanto un bambino deve alla sua vera e buona madre. Ciò nonostante la Fondatrice ha sempre voluto persuadere che non aveva avuto alcuna parte nel principio e nella fondazione della nostra Congregazione e in diverse occasioni ha detto che era disonorare il nostro Istituto chiamare lei fondatrice e che non vi era che un unico fondatore, vale a dire il Beato Padre. Ovunque lei trovasse la parola fondatrice la cancellava o la tagliava via. Sappiamo che quando hanno avuto luogo le deposizioni per Francesco di Sales, lei si prese la pena di leggerne alcune veramente mal scritte, perché temeva che in esse le fosse attribuito il titolo di fondatrice e là dove lo trovava lo eliminava. Nei contratti e nei processi di beatificazione non ha mai accettato altro titolo che quello di umile e devota Madre. Sebbene il Vescovo di Ginevra le avesse dato pieno ed assoluto potere di stabilire o di abolire nell’Istituto ciò che lei avesse giudicato a proposito, dicendole che era padrona della famiglia e perciò in essa doveva comandare, lei usò quel potere con tale umile modestia da averci detto che non ha mai avuto l’ardire di stabilire alcunché nell’Istituto senza aver ricevuto prima l’ordine e il parere del Fondatore. Per questa ragione portava sempre con sé un libretto sul quale segnava, giorno per giorno, quello che avrebbe dovuto chiedere al Beato Padre. Quando lui morì cominciò a scrivervi anche la più piccola cosa se la sua coscienza non le avesse fatto intendere che quella era la volontà del Fondatore. Quando noi ci meravigliavamo di ciò, lei ci rispondeva: «Ma guarda un po’! Compete forse alle serve il fare in una casa altro, rispetto a quanto ha ordinato il padrone?». In questo modo ci faceva capire che si considerava solo una serva dell’Istituto, cosa che ancora più chiaramente ci disse durante un altro incontro, quando ci raccontò molto ingenuamente un pensiero che aveva maturato durante il raccoglimento. Ci disse che, nei primi anni del nostro Istituto, essendo molto frequenti le fondazioni, era come quelle grosse serve di fatica nel periodo della mietitura, alle quali il padre di famiglia dice: «Venite qui, 357 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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andate là, ritornate in questo campo, andate in quell’altro». Quando però quelle povere contadine sono diventate vecchie, non possono far altro che filare alla loro conocchia e non possono fare a meno di dire ai figli del padre di famiglia al quale sono sopravvissute: «Vostro padre non faceva così, vostro padre voleva che facessimo in questa e in quest’altra maniera». Poi, applicando questo paragone a se stessa, diceva: «All’inizio, come a una serva dell’Istituto, il Beato Padre mi diceva: “Andate a fondare a Lione, a Grenoble, poi ritornate per fondare a Bourges, poi andate a Parigi, poi lasciate Parigi e ritornate a Digione”. In questo modo per molti anni non ho fatto altro che andare e venire, ora in uno ora nell’altro campo di quel caro padre di famiglia; ora sono una povera, debole vecchia di sessantacinque anni (era l’età che aveva allora) e mi sembra di non servire più a nulla nell’Istituto, se non per ricordare le intenzioni del Padre». E aggiunse che non vi era pensiero che le piacesse più di questo. Onorava una per una le nostre Madri e sorelle più anziane e non voleva affatto chiamarle figlie, considerandole invece sue compagne. Il Beato Padre glielo ordinò invece e così Giovanna Francesca, scrivendo a questo proposito alla Sorella Françoise-Marguerite Favrot, pronunciò queste parole: «Ho trovato, sul finire della vostra lettera, i vostri pensieri di gelosia dovuti al fatto che chiamo figlie le Superiore e non voi. Oh, mio Dio! Mia carissima sorella, volete proprio che vi chiami figlia mia? Lo farò senz’altro per ubbidirvi e con un sentimento non meno tenero di quello che ho per tutte le altre. Non lo facevo per rispetto, così come non lo facevo nei confronti delle nostre prime Madri, che però insistettero a tal punto che il Fondatore me l’ordinò. La vostra umiltà nel desiderarlo accrescerà il mio rispetto e chiamandovi figlia mia cara vi onorerò con tutto il mio cuore, considerandovi la mia carissima sorella e la mia onoratissima Madre». Alla Madre Claude-Agnès de la Roche scrisse queste parole: «L’età in cui mi trovo fa che io abbia meno difficoltà che un tempo a chiamare figlie quelle delle quali mi accorgo che non sono né merito di essere Madre. Ma poiché sono la loro sorella primogenita e considerato che sono orfane di padre, vogliono chiamarmi Madre. Oh, mio Dio! Mi considerino pure tale e che non si vergognino di avermi come serva. Certo, figlia mia cara, sarei ben temeraria se, visto il poco frutto che ho prodotto nella Congregazione, volessi avere altra qualità che quella di serva, e pure inutile». 358 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

XVIII.

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ANCORA DEL SUO AMORE PER L’UMILTÀ

Dopo la morte del Beato Padre il capitolo di questa casa di Annecy, temendo che l’umiltà della Madre di Chantal la obbligasse a lasciare la sua guida, la elesse, nel 1623, Superiora generale tra le mani di Monsignor di Sales, cugino germano del Fondatore, Vicario della cattedrale di Ginevra e nostro padre spirituale. Ma Giovanna Francesca in pieno capitolo rinunciò a quella elezione e non volle mai accettarla, affermando che non avrebbe mai svolto la funzione di superiora sotto quel titolo, né accettato l’elezione a Madre perpetua, sebbene le sorelle anziane e il Vicario le avessero assicurato di avere saputo, dalla bocca stessa del Fondatore, che era sua intenzione che, finché lei era in vita, questa casa, che è madre e matrice dell’Istituto, non dovesse avere altra Superiora che lei e che, di conseguenza, diventasse anche la Madre comune di tutte le altre case. Rispose con fermezza che la sua coscienza le dettava che se il Beato fosse stato in vita avrebbe approvato il suo modo di procedere ed avrebbe ottenuto da lui di essere eletta per il triennio. Rimase così ferma in questa posizione con profonda e perseverante umiltà che furono costretti a cederle e l’elezione fu fatta per il triennio. Di conseguenza, alla fine dei suoi tre anni, mandò per scritto la sua deposizione da Pont en Lorraine dove era andata a fondare una delle nostre case e dove ottenne dal fu Monsignore di Ginevra di opporsi con fermezza alla resistenza del nostro capitolo. Si procedette dunque all’elezione di un’altra Superiora nella persona della Madre de Châtel; da allora Giovanna Francesca di triennio in triennio è stata scelta con elezione regolare dalla comunità e non solo non ha voluto rimanere nella carica di Superiora più di quanto il Costumiere permetta, ma, nell’ultima elezione, nonostante potesse ancora essere eletta per tre anni, non volle accon359 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sentire e addusse forti ragioni ai superiori per impedirlo tali che, contro i nostri sentimenti, giunse a convincerli della sua scelta nel senso dell’umiltà. In alcune occasioni ci ha detto che, oltre la sua totale incapacità di governo, era ben lieta di togliere, con questa completa deposizione e al termine dei tre anni, un errore che si era insinuato nella maggior parte delle case dell’Istituto, dove era considerato un disonore rimanere solo tre anni in carica. Non appena veniva deposta, senza volere né libertà né privilegio, si poneva negli ultimi ranghi, si assoggettava a fare gli inchini e a rendere gli altri piccoli onori non solo ai superiori, ma anche alle assistenti, nel periodo in cui erano in carica. Ci teneva molto ad assistere ai capitoli e a dire le sue colpe; per quanto si tentasse di impedirglielo o di fornirle altre occupazioni, trovava sempre modo di sfuggire per umiliarsi; dispiaceva molto alla Madre de Blonay vedere al capitolo quella vera santa stare negli ultimi ranghi e venire ad umiliarsi davanti a lei. Faceva in modo perciò che al momento del capitolo la Fondatrice fosse chiamata in parlatorio, ma lei sapeva velocemente disimpegnarsi. Una volta la Madre, sul finire della ricreazione, se ne andò a tenere il capitolo prima che la Superiora desse le disposizioni giornaliere, pensando così di sorprenderla. Fu però invano perché Giovanna Francesca sospettò qualcosa e congedando la compagnia in parlatorio venne al capitolo. Quando la Madre la vide la pregò di ritirarsi, dicendole che il capitolo era cominciato, che per quella volta non ci sarebbe venuta e che sarebbe stato per il sabato successivo. Lei obbedì e si ritirò, ma con un cuore così addolorato perché non le si lasciava la piena libertà di praticare quegli atti esteriori di umiltà; pianse amaramente e poi se ne andò in infermeria a trovare una malata alla quale raccomandò fortemente che pregasse per lei, aggiungendo che era un effetto della giustizia divina su di lei il toglierle le occasioni di umiliarsi come le altre e che, in quanto indegna di stare con la comunità, ne era separata. Diceva ciò tra lacrime e singhiozzi mai visti, a tal punto che la sorella malata e l’infermiera non poterono fare a meno di piangere con lei. Dopo il capitolo chiese perdono alla Madre, gettandosi in ginocchio davanti a lei, per averle chiesto di avere la libertà di dire la propria colpa, supplicandola di umiliarla e di darle una penitenza per quell’errore. Quella pratica le era famigliare nei confronti delle Superiore 360 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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e posso assicurare di non averla mai vista intenerirsi né piangere caldamente se non in occasioni di lodi, o davanti al rifiuto o alla resistenza che le opponeva alla sua volontà di praticare gli atti di umiltà come fosse l’ultima della casa. Finché le forze glielo hanno permesso ha sempre servito in refettorio come le altre e lavato i piatti. Temendo di essere ingannata e di non essere chiamata, quando era il suo turno stava molto attenta e talvolta vi andava anche se non le toccava. Quanto allo spazzare come le altre (cosa che le era assegnata nelle disposizioni per il buon ordine della casa), non se ne è mai dispensata, tranne quando era malata. Ancora, l’antivigilia della sua partenza per Moulins, cioè del suo ultimo viaggio, spazzò e poi raccolse secondo il suo solito la polvere con un piumino con tale cura e spendendoci tale tempo per farlo accuratamente che una sorella che l’attendeva alla porta per alcune lettere urgenti le disse con lo scopo di sentire cosa avrebbe detto: «Madre mia, sembra che troviate delle perle tanto radunate la polvere con cura». Quella santa le rispose con il viso più sereno e raccolto che si possa immaginare: «Io raduno molto più di questo, figlia mia, e se sapessimo cos’è l’eternità riterremmo ancora più importante raccogliere la polvere nella casa di Dio, che le perle in quelle di questo mondo». La sorella corse immediatamente a scrivere queste parole veramente religiose: temeva infatti di dimenticarne anche solo una sillaba. Non si accontentava di praticare l’umiltà nelle situazioni ordinarie, ma riceveva a braccia aperte le umiliazioni che non le sono mancate e una volta, a proposito di alcune cose accadute, disse che aveva di che rallegrarsi ed umiliarsi non conoscendo nessuna Superiora nell’Ordine che fosse quanto lei censurata. E quando le fu detto che essendo Madre di tutte doveva portare il peso generale lei rispose: «Non l’ho mai preso in questo senso, ma è perché faccio peggio di tutte». Una delle nostre buone Superiore, la cara Madre di Nantes, Marie-Constance Bressand, le scrisse una volta con la sua perfetta confidenza, che vi erano delle persone che censuravano il fatto che lei tollerasse di essere chiamata degna Madre. Ricevette questa informazione con una allegria tutta particolare, dicendo che ne avevano ben ragione: quella parola era proprio degna di essere censurata quando era impiegata nei suoi confronti e in questo modo rispose a quella Madre ringraziandola molto della sua sincerità. Poi, con impareggia361 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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bile semplicità, ci disse, e ci chiese di scriverlo, che non aveva mai fatto attenzione se la chiamavano degna Madre o in altro modo e questo derivava dalla sua grande indifferenza per le cose di questo mondo e dalla sua continua attenzione a Dio. Poche settimane dopo ricevette delle lettere da altre persone che erano tutt’altro che civili, nelle quali le veniva detto che dava scandalo il lasciarsi chiamare degna Madre e che avrebbe dovuto cancellare quella parola dagli scritti dell’Istituto. Quella veramente degna Madre lesse quella lettera con un piacere ancora maggiore di quello che aveva provato per l’altra, perché era molto umiliante e riflettendo bene su questa parola degna Madre fece scrivere a tutte le comunità dell’Istituto per supplicarle di non chiamarla più in quel modo. Si prese anche il tempo e la pena di farsi leggere le vite delle nostre Madri e sorelle defunte così come il libro delle fondazioni, affinché fosse cancellato il termine degna, ordinando espressamente alla sorella che scriveva quelle cose di non usarlo più e facendole presente che la sola ragione glielo avrebbe dovuto vietare «essendo cosa vergognosa chiamare degna colei che era così indegna». Una delle nostre Superiore le scrisse un giorno, con un eccesso di semplicità e confidenza, che aveva pensato che l’età l’aveva un po’ allontanata da quella grande e generale mortificazione che risplendeva in lei un tempo; credeva questo perché, passando per il nostro monastero, la vide staccare la sua piccola manica per prendere un insetto che le stava dando noia e le sembrava che un tempo non lo avrebbe fatto. Giovanna Francesca fece leggere a tre o quattro di noi separatamente quella lettera; lo disse anche alla comunità, affermando che era fin troppo vero, che in effetti aveva allentato l’attenzione su certe piccole mortificazioni; voleva quindi profittare di quel parere ringraziando con tenere parole, piene di amore e di riconoscenza, colei che l’aveva illuminata in tal senso. Delle persone, in alcune occasioni così pungenti che non oso esprimere, avevano diffamato la Madre di Chantal e la sua famiglia: lei fece finta di niente e disse a delle persone di sua fiducia che conoscevano i fatti che quel disprezzo e quell’abiezione le erano stati molto utili per la sua vita interiore e che, se non avesse temuto di offendere e confondere coloro che le avevano reso quel buon servizio, si sarebbe messa in ginocchio a mani giunte per ringraziarli profondamente. Aggiunse an362 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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che – le parole sono proprio le sue – che lo aveva fatto davanti a Dio e di buon cuore aveva detto: «Padre mio, perdonateli perché non sanno quello che fanno. Con queste parole capii che non sapevano il bene che quel lieve disprezzo mi aveva arrecato». In alcune situazioni la si è vista sopportare le ingiurie e i rimproveri senza minimamente scomporsi, né voler far conoscere la sua innocenza e diceva soltanto: «Bisogna benedire Dio di tutto e non scusarsi affatto» 50. Il Signore di Péron, grande servo del Signore, parlandoci della mitezza con cui aveva visto la Fondatrice sopportare un’umiliazione che, considerata nella sua complessità, fu una delle più aspre che abbia mai sofferto, ci riferì che la Beata Madre non disse neppure una parola se non di onore, stima e affetto per le persone che le avevano somministrato quella pillola neppure indorata e che anzi sul suo viso risplendeva un’allegria così straordinaria che non poteva guardarla senza ammirazione. L’amore per il disprezzo era in lei seguito dall’odio mortale per le lodi, alle quali non contrapponeva molte parole di umiltà, ma ne diceva tre o quattro di tale peso che era chiaro provenissero dal più profondo del cuore, mentre i suoi occhi sembravano nuotare nelle lacrime. In questo modo veniva meno il coraggio di proseguire. Disse una volta all’onoratissima Madre de Châtel che, dopo le sue pene interiori, niente sulla terra martirizzava il suo cuore quanto le lodi: infatti solo Dio merita di essere lodato. Diceva spesso che non bisogna affatto lodare una persona in sua presenza, né durante la sua vita, perché non ne conosciamo la fine. Aggiungeva pure con grande sentimento queste parole: Dio si è riservato il giudizio, la gloria e la vendetta. Talvolta ha

50 Giovanna Francesca profittava di qualunque occasione per umiliarsi. Un giorno,

raccomandando un malato alle preghiere delle sorelle, aggiunse: «Raccomando anche me alle vostre preghiere, mie care sorelle: ho una febbre ben più pericolosa che quella del mio amor proprio. Ne ho abbastanza di sentirne il fetore dentro di me». Un’altra volta assicurò che avrebbe voluto essere sconosciuta a tutti: «Senza volermi paragonare a santa Teresa, dico che vorrei trovarmi in qualche luogo sconosciuto, s’intenda in qualche monastero della Visitazione, perché fuori da lì non vorrei certo essere, affinché si sapesse di me solo ciò che sono e mi si lasciasse un po’ in pace». E quando le sorelle le dissero che ciò non era possibile, lei rispose: «Eppure è ciò che io desidererei: essere là una povera sorella affranta, vile e buona a nulla». (Dalle deposizioni delle contemporanee).

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intrattenuto a lungo la comunità su queste parole. Volendo definire cosa significhi essere figlia della Visitazione così scrisse: «Essere vera figlia della Visitazione significa amare il disprezzo e disprezzare l’onore». Diceva che «l’umiltà è la chiave dei tesori di Dio; che se l’anima si presenta davanti a Lui senza quella chiave non avrà nulla di ciò che si trova nei tabernacoli eterni e rimarrà miserabile e povera». Scrisse una volta ad una Superiora del nostro Istituto che, dove l’umiltà non è solida, non vi sono altro che ombre e semplici immagini di virtù. Spesso, nelle sue lettere e nei suoi discorsi, raccomandava l’umiltà, ma quella vera, che fa amare l’essere considerati e trattati per come ci riconosciamo davanti a Dio. Non volle leggere l’orazione funebre del defunto fratello, il Vescovo di Bourges, perché conteneva lodi dei suoi parenti e mi disse: «Se vi trovate qualcosa di devoto, ditemelo quando l’avrete letta; per il resto non voglio neanche sentirne parlare». Durante un altro incontro non volle che le leggessimo una lettera nella quale si parlava degli onori che alcuni grandi avevano reso a quel suo unico fratello né ciò che il re aveva scritto di suo pugno, e non volle neppure che dicessimo nulla alla comunità. Dio, che fa la volontà di coloro che l’amano, ha appagato il desiderio della sua umile serva e ha disposto che morisse nella pura pratica dell’umiltà, non ricoprendo alcuna carica nell’Ordine e occupando l’ultimo rango e l’ultimo posto. Ma tutto quello che potremmo dire dell’umiltà della Madre di Chantal non è paragonabile alla verità che ha compreso il nostro Padre spirituale e che è racchiusa in queste poche parole: l’eccellenza dell’umiltà di quella santa anima consisteva nel nascondere la sua stessa umiltà.

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XIX.

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LA DOLCEZZA E L’UMILTÀ DELLA SUA CONDOTTA

Le due care virtù della dolcezza e dell’umiltà sono stati i cardini sui quali si basò la condotta della Beata Madre. In diverse circostanze ha scritto a delle Superiore nuovamente elette che temevano il peso della superiorità, che, se fossero state umili, sarebbero state abbastanza forti. Fra le altre cose a una di queste sorelle scrisse, negli ultimi mesi della sua vita, che, se un bastone secco avesse il potere di annientarsi e di umiliarsi davanti a Dio e fosse eletto per governare, Dio gli avrebbe dato la capacità di essere sensibile ed intelligibile piuttosto che non governare bene per mezzo di lui e che le Superiore devono sempre verificare di ben verificare di non aver mancato nei confronti dell’umiltà. Quando scriveva alle Superiore e alle sorelle inviate per una fondazione raccomandava loro sempre di basare la loro condotta sull’umiltà e che, come pietre fondamentali, dovevano porsi molto in basso per umiltà, tanto da non ritrovare più se stesse per risalire in alto. «Beate le anime che scendono così profondamente nell’abisso dell’umiltà, tanto da perdere di vista tutta la terra! Dio le benedice in tutte le loro azioni ed imprese». Possiamo dire che la condotta generale e particolare della Fondatrice verso il suo Istituto è stata più improntata alla dolcezza e all’umiltà che all’autorità 51. Non intraprendeva nulla nelle nostre case

51 Diede grande prova di rinuncia a se stessa quando la supplicarono di far stampare il libro delle sue Risposte: infatti lo aveva fatto leggere alla comunità e aveva pregato le sorelle di dirle con molta semplicità ciò che credevano dovesse essere aggiunto o tolto. Chiese anche che queste osservazioni fossero messe per scritto in modo che non le dimenticasse. Fece anche esaminare quel libro dal Padre Juste Guérin. (Dalle deposizioni delle contemporanee).

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se non aveva prima pregato e manifestato un’assoluta deferenza per i prelati e i padri spirituali. Una persona di alto rango la pregò una volta, con molta insistenza, di ordinare a una delle nostre Superiore di fare qualcosa a cui teneva molto. Giovanna Francesca le rispose in questi termini: «Tre cose m’impediscono di dare l’ordine che desiderate: la prima, perché sarebbe ridicolo ordinare dove non si ha altro potere che obbedire (era allora deposta); la seconda che, non avendo io alcun legittimo potere di comandare le nostre sorelle non sarebbero affatto obbligate a obbedirmi; la terza è che, essendo la cosa ragionevole, senz’altro appena lo avremo chiesto alle sorelle, esse saranno accondiscendenti nei confronti del nostro desiderio». Il Padre Binet le scrisse un giorno che correva voce che volesse togliere le nostre sorelle dalla cura della casa parigina che ospitava le donne convertite dopo un passato dissoluto e lei rispose con queste parole: «Quanto alla freddezza che voi mi dite molte persone di rango hanno concepito nei miei confronti pensando che volessi ritirare le nostre sorelle da quell’opera di carità, certo, mio caro Padre, abbraccio questa abiezione con tutto il mio cuore, sebbene in verità non ci avessi pensato. In primo luogo la mia temerità non arriva fino al punto che io presuma di avere l’autorità di fare questo quando lo volessi, e neanche vorrei averla. Quando dunque si chiede la mia opinione cerco di essere più sincera possibile. Se poi non viene ascoltata, mio caro Padre, non mi offendo e avrei torto se lo facessi. Se le nostre sorelle mi scrivono per conoscere i miei pensieri, io li domando al Signore nel modo più sincero che posso e se la sua bontà si degna di ascoltarmi e di darmi la luce della sua santa volontà io lo manifesto secondo quella perfetta unione e confidenza che Dio ha messo tra noi, lasciando loro, come è giusto, l’intera libertà di fare come meglio giudicheranno. Poiché, mio caro Padre, io non tratto, né devo trattare in modo diverso con le nostre case. Se mi comportassi diversamente sarei ripresa dai superiori». Da queste parole traspare il modo ingenuo e fedele con cui Giovanna Francesca si è sempre comportata nei confronti dell’Istituto. Un’altra volta le scrissero che veniva biasimata perché non voleva nominare una Madre Generale che le succedesse, poiché lei stessa esercitava quella funzione. Rispose in questi termini: «Figlia mia cara, 366 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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potete dire a quella persona che vi ho detto che, se nelle mie azioni ho operato da Madre Generale, ciò è solo dovuto al mio orgoglio e alla mia impulsività. Per il resto non ho mai pensato a ricoprire quella carica e se lo pensassi, vorrei essere dappertutto additata come persona vana e priva dello spirito di carità. È vero che l’Istituto si rivolge a me, ma questo è dovuto al fatto che sono stata quasi sempre Superiora di questa casa di Annecy, alla quale tutti i monasteri hanno diritto di rivolgersi come i figli alla casa paterna. Certo, ho sempre cercato di trattare i monasteri che a noi si rivolgono con dolce ed umile carità e senza altro potere se non quello della preghiera» 52. Quando passava per le nostre case non si è mai ottenuto da lei che esercitasse alcun atto di superiorità, nemmeno di porsi nel coro sulla sedia della Superiora, né di dire il Benedicite e le Grazie. Così pure se aveva qualcosa da dire a tutta la comunità, faceva radunare le sorelle ovunque, tranne che nel capitolo, perché non lo voleva mai tenere e non lo ha mai tenuto, tranne quando era Superiora. Negli ultimi mesi della sua vita, trovandosi nel nostro monastero di Moulins, dove non vi era alcuna Superiora eletta perché, come abbiamo già detto, lei non aveva accettato quell’incarico, lasciò svolgere all’assistente tutte le funzioni di Superiora e non volle neanche impartire la benedizione alla fine della Compieta. Al contrario si inchinava per riceverla dall’assistente, la quale però pronunciò le parole ma non osò fare il segno della croce sulle sorelle in sua presenza. Allora lei le disse: «Ma come, figlia mia cara! Mi avete privata dunque di questo bene. Vi supplico, non fatelo più, perché bisogna che ciascuno svolga il suo compito. Tocca a voi e non a me svolgere le mansioni di Superiora».

52 La

Fondatrice disse un giorno alla comunità che aveva fatto in modo, nel suo governo, di accogliere i consigli di tutte le sorelle e di accondiscenderle in tutto ciò che poteva. Ciò nonostante se la sua opinione era diversa dalla loro e se credeva meglio di fare secondo la sua intenzione, lo faceva; a parte questi casi, cercava sempre di adeguarsi all’opinione delle altre. «Sapete, sorelle mie, che dico la verità». Tutto ciò corrisponde a quanto coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerla hanno testimoniato. Per quanto mi riguarda l’ho notato in diverse occasioni, quando per esempio l’ho vista cedere all’opinione delle sorelle con estrema mitezza, come se nulla fosse. (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa).

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Quando in una delle nostre case trovava qualcosa che doveva essere corretto, lo faceva con una franchezza umilmente materna e generosa. Così pure quando la si avvertiva di qualche mancanza, non trascurava di parlarne in qualche lettera cordiale, ma sempre con parole chiare, sincere e senza adulazione, dicendo il male e facendo vedere il bene con semplicità ammirevole, rimettendosi sempre ai superiori con una deferenza rispettosissima e sottomessa. Quando poi le situazioni lo richiedevano, scriveva anche ai Monsignori con filiale confidenza ed umiltà tali, che essi si rimettevano a lei pienamente, lasciandole pieno potere sui monasteri sottoposti alla loro giurisdizione, libertà di cui lei disponeva con deferenza, contegno e modestia. Quanto più avanzava nell’età e nella perfezione, tanto più la sua condotta si addolciva e durante il suo ultimo anno di vita disse alla Madre de Blonay: «Mia carissima Madre, dopo aver considerato le cose sotto tutti gli aspetti che potevo immaginarmi e aver provato tutti i modi per guidare le anime, sono giunta alla conclusione che la guida dolce, umile, sincera e paziente è la migliore ed è quella che le Superiore della Visitazione devono adottare». Ad una Superiora scrisse anche quanto segue: «Figlia mia cara, siate ferma nella vostra osservanza, ma cercate di essere più rigida con voi stessa che con le altre. Non dico solo per le vostre infermità fisiche, perché dovete avere carità e condiscendenza verso voi stessa, altrimenti dareste grandi preoccupazioni alle vostre figlie; mi riferisco invece all’osservanza delle regole e alle piccole miserie dello spirito. Più vado avanti negli anni e più mi accorgo che ci vuole la dolcezza per penetrare nei cuori affinché adempiano i loro doveri verso Dio. Le nostre religiose sono le pecorelle del Signore; ci è permesso, conducendole, toccarle con la verga della correzione, ma non di tosarle e scorticarle o di condurle al macello, perché questo appartiene solo a nostro Signore». Una delle sue grandi massime riguardanti la guida delle sue figlie era quella di non rendere il giogo della religione pesante aggiungendo nuove osservanze e diceva che una religiosa è già abbastanza gravata dal peso della regola; che il giogo della religione è leggero perché Dio lo fa amare, ma poiché è pur sempre un giogo, esso costringe e assoggetta la natura; aggiungeva anche che le Superiore devono conservare le loro figlie nella forza e nel coraggio, affinché lo portino per tutta la vita senza eccessivo peso. Diceva anche che quando una figlia 368 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cammina esattamente nella sua regola, bisogna qualche volta esercitarla per farla avanzare sempre più nella perfezione, senza però asprezza, ma con dolcissimo spirito di carità e amoroso zelo. Per quanto riguarda invece quelle che sbagliano, voleva che fossero portate a chiedere loro stesse la punizione per le loro mancanze e diceva che dovevano essere lievi, quando si umiliavano veramente, perché la penitenza di un cuore contrito è grande quando vede che è trattato con benevolenza. Nelle penitenze o correzioni non usava mai parole di disprezzo o di rimprovero o che mostrassero anche il minimo sdegno. Sapeva perfettamente biasimare l’errore avendo riguardo per la colpevole. Diceva che una delle cose che maggiormente le pesavano nella carica di Superiora era l’obbligo di coscienza di fare la correzione e imporre le penitenze, cosa che però considerava essere una delle parti più importanti per la conservazione dell’Istituto. In un monastero il prelato aveva ordinato a una sorella di bere solo acqua per alcuni giorni, ma Giovanna Francesca, pensando che lo stomaco già debole di quella ragazza ne avrebbe sofferto, ottenne il permesso di mitigare quella penitenza e fece mettere segretamente per qualche giorno del vino bianco nella brocca di quella sorella, affinché la comunità, che conosceva i suoi errori, non si accorgesse che le era stata tolta la penitenza. Aveva un incredibile riguardo per gli spiriti deboli e sarebbe difficile discernere cosa avesse la meglio in lei, se una gravità tutta santa e piena di maestà, che bandiva ogni mollezza, la perdita di tempo, il secondamento dell’amor proprio, o se invece una bontà materna che la rendeva avvicinabile da tutti, amabile e compassionevole verso gli infermi nel corpo e nello spirito, prevenendoli nella carità, ascoltandoli con pazienza, parlando loro con caritatevole dolcezza e assistendoli con umile perseveranza. Diceva che chi è debole di coraggio non bisogna metterlo in prima linea, in testa all’esercito, per non far loro prendere spavento; non bisogna neanche mostrare loro tutte le piaghe, per timore che le credano incurabili; bisogna invece far compiere loro dolcemente i passi sull’esempio del grande Apostolo, che se ne stava tra i suoi figli come una tenera nutrice. Aveva una carità vigorosa e generosa per il sollievo fisico delle sue figlie e delle piccole attenzioni materne che facevano ammirare come riuscisse ad occuparsi di quelle piccole cose in mezzo ai grandi 369 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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affari di cui si doveva occupare. Ma ancor più aveva una cura costante, cordiale, forte e instancabile per il bene spirituale delle sue figlie. Era il suo scopo principale e quando vedeva un’anima avanzare nella solida virtù e nella vita interiore mostrava uno zelo tutto particolare per spingerla al bene e diceva che a quelle figlie di buona volontà non bisognava far altro che illuminare la strada e scaldare i loro affetti e che, per poco che si spingano, vanno molto avanti nella perfezione. Ad una Superiora nuovamente eletta scrisse le seguenti parole: «La vostra carica, figlia mia carissima, è una carica da madre di famiglia; applicatevi con santo zelo al bene della vostra casa che consiste in due parti, il bene temporale e quello spirituale. Che la vostra guida verso il bene temporale sia generosa ed umile, per nulla ristretta né splendida. Guardatevi dall’indebitarvi, perché questo crea grande preoccupazione a chi vi succederà ed è motivo di chiacchiere. Se siete povere, procedete piano e adagio. Quanto al bene spirituale, abbiatene una cura continua, ma dolce; rendete le vostre figlie molto devote, perché da lì dipende il loro bene. Se loro infatti si compiacciono a conversare con Dio, saranno molto ritirate e mortificate. Non siate di quelle madri tenere che non osano castigare i loro figli, né di quelle madri così ardenti che non fanno altro che gridare. Non lusingate l’amor proprio, procurate che le vostre figlie vi affidino la cura di loro stesse. Dovete sapere, mia carissima figlia, che le vostre sorelle non andranno tutte con lo stesso volo verso la perfezione: alcune andranno in alto, altre in basso, altre mediocremente: servite dunque ciascuna secondo la sua capacità. Vi sono alcune buone piccole anime, dalle quali non ci si deve attendere altro che il vederle camminare nell’osservanza, seguendo la loro andatura, senza spingerle troppo, perché cadrebbero e sprofonderebbero nella noia e nel dispiacere. Ce ne sono altre che hanno grande disponibilità verso se stesse e gli altri e queste bisogna farle crescere nel senso della vera virtù, dell’umiltà e della rinuncia a sé, con una costanza tanto dolce quanto forte, senza risparmiarle. Se la vostra guida viene lodata, umiliatevi davanti a Dio, attribuendo a Lui questa gloria a Lui solo dovuta; se invece viene biasimata, umiliatevi, riflettendo su questa verità, e cioè che il nulla non può nulla. Tenete per certo, figlia mia cara, che se siete umile, dolce, generosa e devota, farete meraviglie con la grazia di Dio».

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XX.

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QUANTO DISPREZZASSE TUTTO CIÒ CHE SAPEVA DI MONDANITÀ

Nella vita e nella morte la Fondatrice ci ha raccomandato l’amore per la piccolezza e il fuggire come un veleno mortale tutto quello che sa di mondano e che ci potrebbe far risplendere agli occhi del mondo. Una volta le fu detto che una delle nostre Superiore aveva uno spirito grande e bello, che il suo monastero era più in vista di tutti gli altri della provincia, che si parlava di lei nelle buone compagnie, che quella casa aveva un grande prestigio. Questo discorso toccò profondamente la Beata Madre e diede unicamente questa risposta: «Non ho mai ricevuto dalle nostre case una gioia uguale a quella che ricevo quando mi viene riferito che l’umiltà, la devozione e l’amore per la solitudine vi regnano e che lo spirito che vi domina risplende solo di semplicità, povertà e disprezzo per le cose di questo mondo». Ripeteva più volte che dovevamo mantenerci umili e piccole davanti agli altri ordini religiosi: di questo ne ha parlato con termini pregnanti nelle sue Risposte. Scrivendo ad una Superiora che si lamentava perché alcune altre religiose ci criticavano e tramavano affinché non fossimo accolte in una città perché intendevano stabilirvi una casa del loro Ordine, Giovanna Francesca le disse: «È vero, figlia mia cara, abbiamo notato che ovunque le religiose N.N. cercano di ostacolarci; ma credetemi: opponiamo al potere solo la nostra impotenza. Se vogliono andare a fare una fondazione a N. e là sono desiderate, lasciatele fare, non vi opponete: non è forse ragionevole che ci precedano? Se saremo umili e sottomesse Dio ci procurerà delle fondazioni migliori di quelle che ci sono tolte». Non voleva che facessimo valere l’appoggio che l’Istituto avrebbe potuto pretendere da re, regine, principi, principesse, gran signori e gran dame. Diceva che dovevamo profittare con umile modestia del 371 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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favore dei grandi e della benevolenza con cui ci favoriscono: essi stessi devono vedere che ce ne riteniamo indegne e che non vogliamo affatto importunarli; tutti devono sapere che non ostentiamo il credito che possiamo vantare presso di loro. Una persona di alto rango e verso la quale eravamo molto obbligate venne un giorno a pregare la Fondatrice di scrivere una lettera in suo favore a Madama Reale per fargli avere il posto di capitano fra le sue guardie. Non riuscì mai ad ottenere questo da lei; essa infatti gli diceva sempre, con profonda umiltà, che era ridicolo credere che lei potesse vantare un tale credito. Quindi, sebbene le dispiacesse molto deludere quel gentiluomo, non scrisse mai quella lettera e disse alla suora che l’assisteva che si sarebbe profondamente vergognata se a Corte si fosse detto che quel tale o quella tale ricopriva quella carica per il favore di cui gode la Madre di Chantal. Fece in modo invece che il Vescovo di Ginevra scrivesse a Madama Reale per quel gentiluomo dicendo che, quanto a lei, avrebbe pregato il Signore per lui e che le vere religiose devono ambire soltanto ad essere le favorite presso Dio. Una volta fu avvertita che una Superiora deposta aveva acquisito molto credito e che scriveva molto spesso lettere di raccomandazione per liti o altri affari: Giovanna Francesca cercò l’occasione per avvertirla caritatevolmente, dimostrandole che quanto lei faceva era troppo eclatante rispetto alla nostra piccolezza. Le confessò che, pur avendo lei stessa parentele e conoscenze all’interno del parlamento di Digione, non si ricordava, da che era religiosa, di avere mai scritto lettere di favore se non a un suo cugino germano, a proposito di alcune questioni di pietà e di carità; le disse anche che dovevamo considerarci indegne che i nostri nomi fossero conosciuti o pronunciati nelle corti o nei parlamenti. Non ignorava la stima e l’affetto che la regina aveva per lei e che testimoniava chiedendo spesso sue notizie. Quando il cielo ebbe ascoltato le preghiere della Francia e quella buona regina rimase incinta di quel Delfino tanto desiderato, incaricò il Vescovo di Bourges, andato a congratularsi con lei per quella felice gravidanza, di scrivere alla Madre di Chantal raccomandandosi alle sue preghiere e chiedendole che pure tutto l’Ordine pregasse secondo quell’intenzione. In quell’occasione il Vescovo di Bourges in una lettera la pregò insisten372 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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temente di scrivere alla regina per congratularsi della sua gravidanza, assicurandole che Sua Maestà avrebbe gradito molto. Lei però se ne scusò e lo pregò di assicurare alla regina che aveva scritto a tutte le nostre case affinché pregassero costantemente per Sua Maestà. Noi la pregammo di accondiscendere al Vescovo di Bourges e di scrivere quella lettera di congratulazioni, ma lei ci rispose: «No, veramente non posso: chi sono io per ardire scrivere a quella grande sovrana? Dobbiamo mantenerci umili e nascoste e non cercare mai argomento umano per conservarci nell’affetto dei grandi. Se noi facciamo bene il nostro dovere per loro davanti a Dio, pregandolo per la loro salute, per la loro felicità e soprattutto per la salvezza delle loro anime, Dio ci farà riconoscere da loro quando avremo bisogno della loro protezione e attirerà verso di noi il loro affetto». Diceva anche che i grandi hanno nobili pensieri e perciò noi che siamo piccole non dobbiamo credere che pensino a noi. Una volta disse che credeva non esserci congregazione più amata dai grandi della nostra e che era un dono di Dio che avremmo perso se lo avessimo voluto conservare con stratagemmi umani. Ruppe alcuni affari molto importanti perché ci ponevano in grande autorità e favore mondani e una volta, parlando di questo, si mise la mano sugli occhi con grande grazia e ci disse: «Non appena ho visto quel grande fervore mondano i miei occhi sono rimasti abbagliati e non ho più visto uno spiraglio di luce in quell’affare». Spesso ripeteva queste parole: «Lo splendore delle figlie della Visitazione è di essere senza splendore e la loro gloria è la piccolezza» 53. Le scrissero una volta che le nostre sorelle di Parigi avrebbero potuto avere una forte influenza su un affare anche perché vantavano un notevole credito presso quel Parlamento. Giovanna Francesca ri53 Un’altra

volta, avendo ricevuto notizia di alcune ricchezze avute da una casa del nostro Ordine, disse la sera molto pensierosa: «Sono stata tutto il giorno in pensiero e in ansia, perché temo che col tempo le figlie della Visitazione possano amare lo splendore. Ciò mi addolorerebbe molto. Temo che ci si abbandoni troppo alle piccole gentilezze mondane, le quali rovineranno la nostra umiltà e la nostra semplicità; d’altra parte però ho sentito la speranza che se mai una figlia della Visitazione fosse così temeraria da voler apparire, Dio la inghiottirà fin nell’abisso del suo nulla e la sprofonderà negli abissi della terra. Io la supplico con tutto il mio cuore; sì, è con tutto il mio cuore che la supplico». (Dalle deposizioni delle contemporanee).

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spose loro: «È vero che hanno un grande credito e Dio lo conserva loro perché esse conservino verso Dio la loro semplicità ed umiltà e siano dimentiche del mondo. Posso assicurarvi che queste tre virtù risplendono nella loro comunità e questo costituisce il nostro vero splendore». Quando era in viaggio evitava per quanto poteva che le riservassero delle entrate pompose e cerimoniose. Quando si trovava costretta a ricevere delle arringhe dalle persone di Chiesa o dai magistrati che si recavano a visitarla, lei arrossiva come una ragazzina che viene umiliata e rispondeva loro con poche parole, come se volesse far vedere che non sapeva come replicare a ciò che sentiva la mondanità e il fasto. Una volta una sorella le disse che Madame de Toulonjon, sua figlia, l’aveva incaricata di avvertirla quando lei stava per intraprendere il viaggio in Francia che poi fece nel 1635, affinché potesse andare ad aspettarla lungo il tragitto per accompagnarla. La Fondatrice si voltò con grazia verso la Madre Favre e le disse: «Che ci faremo là? Dio sa quale consolazione sarebbe per me avere mia figlia con me, ma bisognerebbe avere lettiga, carrozza, equipaggiamento e tutto questo mi dispiace grandemente. Quando arriveremo in una città si direbbe: Ecco la Madre di Chantal che va a Santa Maria, e tutto ciò sa di mondano e quindi io lo aborrisco. Mi piace tanto il mio semplice equipaggiamento, la nostra lettiga chiusa, il nostro ecclesiastico e i due mulattieri». Con quale forza la Beata Madre ha resistito affinché cinque o sei sorelle di questo monastero, di nobile famiglia, non accettassero le grandi abbazie che venivano loro offerte dai loro parenti. E quanto fu grata alla nostra sorella Anne-Marie de Lage per la generosa resistenza che oppose spontaneamente al Duca di Puy-Laurent, suo fratello, per un argomento simile. Scrisse alla Madre Marie-Jacqueline Favre: «Del resto, la cara Madre di Poitiers (colei di cui abbiamo appena parlato) è ben felice di aver mostrato tanta virtù e amore alla sua vocazione e così aver dato quell’esempio al suo Istituto, del quale saranno considerate figlie illegittime coloro che non sapranno con sincera volontà preferire la bassezza alla grandezza! Oh Dio! Quanta avversione avrei nel vedere una della nostre sorelle appoggiarsi ad un pastorale e possedere il rango, il nome e il tenore di vita di una dama!». 374 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Nelle sue Risposte ha stabilito, con parole che sembrano esagerate, benché secondo il suo zelo non lo fossero, che non dobbiamo accettare mai, né possedere abbazie o priorati se non per trasformarli interamente in monasteri della Visitazione e ciò con licenza da Roma, e anche in questo voleva che fossimo estremamente riservate. Una figlia, alquanto scontenta, scrisse una volta alla Fondatrice che aveva lasciato un’abbazia e un priorato per essere figlia di Santa Maria e che, avendo rifiutato il pastorale che san Benedetto le presentava, aveva trovato per lei nelle mani del nostro Beato Padre solo una croce. Giovanna Francesca le rispose: «Figlia mia, aver trovato la croce è la vostra fortuna. Il pastorale non aprì mai a nessuno le porte del cielo, la croce invece le apre a tutti. Invano uno viene alla Visitazione se pretende di trovarvi altro che la vita nascosta ed umile della croce, poiché, figlia mia cara, non avete letto che la congregazione stessa è fondata sul Monte Calvario?». Non solo odiava il fasto nelle cose grandi, ma anche nelle piccole. Aborriva i contegni eccessivi, i discorsi studiati, le cortesie affettate, il linguaggio alla moda, le lettere di complimenti e le parole ricercate e quando arrivava una ragazza che parlava con affettazione Giovanna Francesca si premurava di farle cambiare linguaggio, correggendola e facendola leggere in sua presenza per farle pronunciare parole più semplici. Non voleva neanche che, trattando e parlando di cose spirituali, usassimo termini di dottrina molto elevati perché diceva che è contrario all’umiltà e alla semplicità di vita della quale dobbiamo fare assoluta professione. Girando per le nostre case trovava di solito che le erano stati preparati degli inginocchiatoi nel coro, ma non se ne volle mai servire, come anche non acconsentì mai che le mettessero sulla tavola un tappeto anche se piccolo di sargia nera. Diceva: «Siamo noi forse delle dame per adoperare simili cose mondane?». E faceva togliere ogni cosa. Una volta venne in questo monastero una religiosa che aveva un po’ di profumo. La Beata Madre disse che tutte le volte che l’avvicinava, quell’odore le faceva venire mal di testa: «Mi meraviglio perché le principesse vengono qui tutte cosparse di profumo, tanto che tutto quello che toccano resta profumato, ma di quell’odore non mi accorgo neanche. Invece il profumo di questa persona mi fa venire mal di 375 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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testa. Credo che derivi dall’avversione che dobbiamo avere per le cose mondane in quanto persone religiose, le quali non devono indossare un profumo diverso da quello della pietà, umiltà e modestia». Detestava molto i trilli e i gorgheggi del canto e sebbene amasse molto ascoltare le belle voci, le litanie e i bei cantici, voleva che essi fossero semplici e senza artifici. Voleva che non solo nelle nostre persone, ma anche nei nostri edifici tutto respirasse quelll’aria di umile semplicità e disprezzo del mondo. Il Beato Padre, parlando di lei in una lettera a proposito del poco spazio di cui disponiamo in questo primo monastero, disse: «Per quanto riguarda la Madre di Chantal, ha imparato così bene ad abitare sul Monte Calvario, che qualunque abitazione terrena le pare ancora troppo bella». Spesso ci ha detto che le Superiore, quando si edifica, devono stare ben attente che gli architetti non facciano costruire nulla che senta lo splendore; si mortificava tutte le volte che ripensava all’entrata dell’appartamento delle sorelle addette al servizio esterno e dei parlatori nella nostra casa di Tours perché diceva: «Sembra un piccolo castello; però è stato fatto con tanto affetto e tanta buona fede da chi dirigeva quei lavori di costruzione, che questo solo me lo rende sopportabile». Mentre scrivevamo la fondazione del nostro monastero di Troyes, in Champagne, la Fondatrice vi fece aggiungere che vi erano delle cose superflue volute dall’architetto come abbellimenti, alle quali le sorelle non avevano fatto caso perché abitavano lontane dal luogo dove stavano fabbricando. Durante quell’ultimo viaggio riprese le nostre sorelle di Nevers perché vi erano troppi abbellimenti sul portale della loro nuova chiesa e ordinò loro di scrivere a tutti i nostri monasteri che avevano sbagliato, perché temeva che quell’esempio potesse avere delle conseguenze e che altre case volessero fare ciò che avevano visto fare da quelle sorelle.

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XXI.

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IL SUO AMORE PER L’OSSERVANZA DELLE REGOLE

La regola e le azioni della Madre di Chantal erano così perfettamente in accordo tra loro che si può dire che l’una era la giusta misura dell’altra e che aveva, secondo l’insegnamento che ci ha dato negli ultimi anni della sua vita, adattato tutte le sue inclinazioni alla regola e non il contrario. Raccomandava incessantemente l’osservanza puntuale sia nelle sue lettere che nei suoi discorsi, ma doveva essere una puntualità senza affanni e senza costrizioni, una puntualità gaia e amorevole che doveva venire da dentro. Ci ripeteva molto spesso che non dovevamo fermarci al significato letterale, ma che dovevamo coglierne il senso e lo spirito. «È bene osservare la regola che dice che si vada prontamente al suono della campana, ma molto meglio è osservare esattamente quella che ordina la perfetta abnegazione della propria volontà». Ci diceva spesso: «Sorelle mie, ho una gran paura che ci contentiamo dell’osservanza esteriore senza applicarci alle regole che riguardano puramente la perfezione interiore. Noi però dovremo rendere conto più esattamente di queste ultime». Diceva che non conosceva frase di una regola che la stimolasse più di questa: Faranno ogni cosa in spirito di profonda, sincera e schietta umiltà, dove bisognava sottolineare che la regola dice in spirito e non col contegno, con le parole e col bell’aspetto. Raccomandava anche con affetto speciale l’esattezza nelle piccole cose e ripeteva spesso queste parole pronunciate dalla verità eterna: Colui che trasgredirà uno di questi minimi comandamenti e insegnerà agli altri a fare lo stesso, sarà considerato come il più piccolo nel regno dei cieli 54. Questa verità ci porta a credere che la Fondatrice sia ben 54 Ndt:

Mt 5, 19.

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grande nel regno dei cieli, poiché ha osservato e ci ha insegnato ad osservare, con vera fedeltà, anche le minime prescrizioni della regola, cerimonie e piccoli costumi che sono numerosi nelle case religiose, nelle quali tutto si fa con regola e buon ordine. Più avanzava negli anni, più diventava puntuale in queste piccole prescrizioni e pratiche. Non avrebbe voluto essere dispensata dal chinare il capo, da una cerimonia, dal riguardo nell’alzare la veste scendendo una scala. Quando era deposta era fra le prime, l’ultimo giorno dell’anno, a consegnare alla sorella assistente la croce, la corona e le immagini per i cambiamenti 55, che sorteggiava, come le altre sorelle, senza alcuna distinzione. Si metteva in ginocchio davanti alla Superiora per fare gli avvertimenti 56 e se le sorelle o la comunità sapevano di qualche mancanza lei era la prima a mettersi in ginocchio per accusarsene, per poco che credesse di avervi mancato. Non approvava infatti quell’incolparsi alla leggera di qualunque cosa e diceva che era come compiere un’azione tanto venerabile senza applicazione e per abitudine. Ammirevole era la puntualità con cui arrivava a tutti gli Uffici e orazioni anche straordinarie, che sono solo consigliate dalla regola. L’età e la moltitudine degli affari le occupavano il tempo della mattinata, perciò chiese il permesso al defunto Vescovo di Ginevra di esonerarla dalla Terza e dalla Sesta, alle quali assisteva solo durante le feste. Disse anche alla Madre de Châtel di chiedere il permesso al Padre spirituale per una sorella che la aiutava a scrivere e che, per quella ragione, non poteva assistere agli atti comunitari. Quando dovemmo preparare la beatificazione del Salesio, disse al Vescovo di Ginevra che si trattava di una lunga occupazione che, necessariamente, richiedeva alle sorelle di alzarsi un po’ prima alla mattina, essendo d’estate, e di assentarsi dagli Uffici; ci ordinò di stabilire un tempo e il suono di una campana al quale dovevamo essere

55 Ndt: Perché il distacco dalle cose del mondo sia totale e la spoliazione da sé profonda e piena, le sorelle della Visitazione l’ultimo giorno dell’anno usano restituire alla comunità quello che era stato loro affidato e che hanno usato lungo tutto il corso dell’anno. Ad ogni sorella, per via di sorteggio, verranno assegnati altri oggetti di cui si servirà fino al successivo capodanno, in cui tutto verrà nuovamente messo in comune. 56 Ndt: Questa prassi è utilizzata oggi molto raramente. Nell’ottica della correzione fraterna, si tratta di una pubblica accusa contro una sorella che si ostina a commettere errori gravi, rendendosi quindi incorreggibile.

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pronte a partire per fare i nostri esercizi, affinché, ciò facendo, rimanessimo sempre nell’osservanza. Quando ordinava alle sorelle di trovarsi per qualche lavoro comune, come portar legna o pietre, il bucato o altre cose, non mancava di trovarvisi lei stessa; anche quando l’età e la sua fragile salute le diminuirono le forze, si proponeva comunque tre pratiche di virtù in onore della Santissima Trinità, o cinque in onore delle cinque piaghe. Poi si ritirava dicendo graziosamente: «Le nostre sorelle offrono al Signore secondo la ricchezza del loro fervore, e io secondo la mia povertà e debolezza». Ciò che le permetteva di disporre sempre di molto tempo da passare in comunità era la capacità di non disperdersi in discorsi inutili. Ascoltava veramente le sorelle secondo i loro bisogni e con amorevole bontà e pazienza; quanto alle cose superflue, però, tagliava corto con tale fermezza che nessuno osava opporsi. Correggeva e faceva avvertire le sorelle se, per non essere riuscite a chiedere il relativo permesso, avessero dovuto parlare durante il silenzio 57. Quanto al parlatorio, aveva una grande capacità a sbrigarsi velocemente; la sua perfetta carità, però, le imponeva di andarci frequentemente e di starci lungamente, magari per consolare qualche anima; anche però in quelle occasioni coglieva l’opportunità di congedarsi non appena suonava l’Ufficio o qualche atto comunitario. Questo ovviamente se si trattava di persone dalle quali poteva disimpegnarsi o se i discorsi non erano poi così importanti. Diceva che la nostra civiltà consiste nel mostrarsi buone religiose ed era molto facile per lei, perché molte persone si consolavano solo a vederla e per rispetto non avrebbero osato trattenerla. Diceva ancora che la religiosa che ama i discorsi inutili non conosce affatto cosa significhi conversare con Dio. Amava molto le sante letture; ciò nonostante nei giorni feriali dedicava a questa attività solo la mezz’ora prescritta dalla regola e quando fu deciso che coloro che non vogliono beneficiare della mezz’ora di riposo pomeridiano durante l’estate devono svolgere i loro lavori, Giovanna Francesca, che fino ad allora era solita dedicare quel tempo alla santa ricreazione del suo spirito leggendo le Sacre Scritture, si 57 Ndt:

Durante il giorno le sorelle devono osservare il silenzio. Possono parlare solo per motivi di carità o per necessità, ma prima devono chiedere il permesso alla Superiora.

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privò completamente di quella libertà e si assoggettò, come le altre, a svolgere i propri compiti, se non andava a riposare. Quando le sorelle la pregavano di mantenere quella mezz’ora di lettura, lei rispondeva: «Bisogna sempre fare ciò che è più conforme alla regola, quando se ne ha la conoscenza». Talvolta tornava dal parlatorio molto stanca e afflitta; se non rimaneva che un quarto d’ora di ricreazione, le sorelle la pregavano, per quel breve tempo, di non riprendere il lavoro. Lei però, sorridendo, diceva gentilmente: «Beh, che ne faremo della regola che ordina che le sorelle durante le ricreazioni svolgano i loro lavori?». Ciò detto, prendeva il suo 58. Ripeteva spesso che nulla era ordinato invano nelle regole e nelle famiglie religiose e aborriva che si facessero commenti e domande che, anche se poco, si allontanassero dalla semplicità e fermezza dell’esatta osservanza; di solito non rispondeva altro che: «Osservate ciò che è scritto e fatelo». Una Superiora le propose un metodo per far rendere conto alle sorelle della loro vita interiore, in modo che lo facessero di tre mesi in tre mesi, mentre negli altri mesi sarebbero andate a dire solo una parola, impiegandovi tra tutte un’ora. La Fondatrice rimase profondamente colpita da quella proposta e rispose un po’ duramente che se avesse saputo che vi erano monasteri in cui la regola era interpretata così liberamente se ne sarebbe lamentata con i superiori. Pregò quella Madre, se aveva commesso quell’errore, di andarlo a confessare e di imporsi lei stessa delle penitenze per ricordarsene per tutta la vita. Quasi contemporaneamente un’altra Superiora le scrisse che faceva rendere conto un mese alle sorelle di un coro e il mese dopo a quelle dell’altro, 58 Un’altra

volta, essendo molto stanca per le molte cose da fare e per la sua salute, cenò molto più tardi rispetto alle altre sorelle. Arrivato il momento della ricreazione, prese velocemente, come era solita fare, il suo lavoro. Una sorella le disse: «Madre mia, voi siete troppo stanca; se non prendete il vostro lavoro, andiamo a suonare subito la fine della ricreazione». Quell’anima purissima rispose: «È vero che sono un po’ stanca, ma dovrei confessarmi se perdessi anche questo poco tempo. Devo dunque impiegarlo, affinché io non debba renderne conto. Finché riesco a stare in piedi, desidero non mangiare invano il pane dell’Ordine, perché né il nostro tempo, né noi apparteniamo più a noi stesse. Vi assicuro che si pecca più in questo modo di quanto non si pensi. Perdere il proprio tempo quando si è religiose è disonesto. Noi apparteniamo a Dio e all’Ordine, sorelle mie. Il corpo porta già via molto allo spirito; facciamo in modo che lo spirito gli strappi via tutto quello che può; per poco che abbia, è già abbastanza». (Dalle deposizioni delle contemporanee).

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questo perché era molto occupata con l’edificazione del monastero e con altri affari. La Madre di Chantal le rispose: «Figlia mia cara, la vostra principale occupazione deve essere osservare la regola, senza omettere una lettera e vedo che voi la infrangete in un punto molto essenziale, vale a dire la direzione spirituale delle sorelle. Ora, vi scongiuro, evitate assolutamente questo errore e chiedete perdono al vostro capitolo del cattivo esempio che gli avete dato con una così distorta interpretazione della regola, affinché non vi siano altre conseguenze. Benedico Dio di trovarmi in quest’ultimo triennio della mia vita senza, a mia memoria, aver mai trascorso un mese senza far rendere conto alle nostre sorelle, tranne quando ero in viaggio e una volta perché ero molto malata». Era così precisa su questo punto che, dovendo per necessità compiere alcuni brevi viaggi presso alcuni nostri monasteri vicini, come Chambéry e Thonon, partiva solo dopo aver fatto rendere conto alle sorelle e ritornava in tempo per ascoltarle nel mese successivo. Le sorelle consigliere di una delle nostre case le scrissero qualche settimana prima della sua partenza per Moulins, suo ultimo viaggio, per supplicarla di permettere che l’ultimo triennio della loro Madre fosse di quattro anni o altrimenti che si potesse ritardare di qualche mese la sua deposizione; chiedevano anche che si lasciasse passare un anno senza alcuna elezione in modo che quella Madre fosse solo nominalmente deposta, mentre di fatto continuava a governare. Dicevano infatti che era loro molto utile per l’edificazione e addussero altre ragioni che Giovanna Francesca definì irragionevoli. Fu così colpita da quella proposta così contraria all’osservanza, che ne pianse e ci disse che se Dio l’abbandonava fino al punto di scrivere o permettere che si scrivano cose contrarie all’osservanza e alle regole, avrebbe voluto che le si inaridisse la mano per dare l’esempio a tutto l’Ordine di fermezza e semplicità nell’osservanza. Aggiunse anche che simili interpretazioni erano per l’Istituto come i Farisei fra i Giudei, che interpretavano falsamente la legge e volevano annullarla con la tradizione. Chiamando poi la cara Madre de Blonay le disse: «Mia cara Madre, che ne pensate di quello che mi hanno scritto? Vi assicuro che se un monastero facesse quello di cui mi hanno parlato e le Superiore non vi volessero rimediare, farei ricorso a Roma, poiché dopo aver fatto un triennio di quattro anni, si dirà che se ne può fare anche uno di cinque e così l’osservanza cadrà a poco a poco. Se non conoscessi l’innocenza delle figlie che mi hanno 381 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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scritto e non fossi sicura che si atterranno a ciò che noi diremo loro, procurerei loro una bella mortificazione dai loro superiori e farei in modo che fossero deposte dal loro incarico di consigliere» 59. Aveva così a cuore l’osservanza che rimaneva ad essa salda anche durante i viaggi: portava con sé un orologio per le preghiere, le letture e per dire l’Ufficio nell’ora in cui la costituzione lo ordina. Portava sempre con sé il libro delle Regole e ogni giorno vi leggeva qualcosa; dopo averlo letto di solito lo baciava e non si accontentava di leggere le Costituzioni una sola volta al mese, come è raccomandato, ma rileggeva spesso alcuni punti che riguardano la perfezione interiore e consigliava alle sorelle di fare la stessa cosa, dicendo che non vi è libro migliore per una religiosa che la propria regola.

59 Temeva molto che l’umana prudenza si insinuasse all’interno dell’Istituto e un

giorno, a proposito di alcune sottili interpretazioni, ispirate dalla saggezza o per meglio dire dallo spirito del mondo, riguardo ad alcuni punti attinenti l’osservanza, la Fondatrice disse che nulla l’avrebbe afflitta maggiormente nella sua vita che vedere la prudenza umana nelle nostre case, la quale ci svia dalla semplice osservanza. «Oh, questa saggezza umana! – esclamò – o piuttosto queste teste deboli che vogliono opporre la loro saggezza e il loro giudizio a quello dello Spirito Santo che ha dettato la loro Regola e il loro Costumiere! Che si allontanino da me, perché, ad essere sincera, non ho abbastanza forza per sopportarle. Voglia Dio che io muoia prima che mettano in pratica le loro interpretazioni. Sono delle tradizioni simili a quelle dei Farisei! Dio ce ne scampi! Se deve esserci del cedimento, della disunione, della critica nei confronti dell’osservanza in quest’Istituto, prego Dio che prenda con sé in paradiso tutte quelle che sono nell’Ordine e che le annienti affinché non sia più questione di altre novità. Preferirei vederne lo sterminio e l’annientamento totale, piuttosto che la dissoluzione, la critica, la disunione e la non osservanza. Sorelle mie, non facciamo le filosofe, seguiamo semplicemente ciò che è scritto e ordinato, glorifichiamo il nostro santo Fondatore e in questo modo nobiliteremo le leggi del suo Istituto, che è ciò che maggiormente gli stava a cuore. Come potremo accrescere la sua gloria se non facciamo ciò che ci ha insegnato? Grido sempre: umiltà, semplicità e Dio voglia che io sia ascoltata, poiché in questo consiste la salvaguardia di questo povero Istituto…». Quando le chiedevamo di dispensarsi da qualche esercizio o osservanza a causa della sua salute, lei rispondeva: «Ahimè! Se volessimo dispensarci da ciò a cui siamo obbligati e da tutto ciò che ci dà fastidio, non osserveremmo mai né la Regola, né le comunità. Non bisogna essere così facilmente disponibili a dispensarsi dal proprio dovere e quand’anche capissimo che per vivere la comunità dovremmo vivere un po’ di meno, a causa dei disagi che dobbiamo affrontare, non dovremmo comunque desistere dal perseguirla. A maggior ragione non bisogna dispensarsi per lievi disagi. Chiunque pensasse che osservare una regola non comporti dei sacrifici, si sbaglierebbe, in quanto non si può fare il bene senza che ci costi sempre qualcosa». (Dalle deposizioni delle contemporanee).

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XXII.

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LA SUA DOLCE CONVERSAZIONE E LA SCRUPOLOSITÀ NELL’OSSERVANZA DEL SILENZIO

Come non poteva essere gradevole la conversazione di colei che in terra non discorreva se non con lo spirito in cielo? Non intendo qui parlare della conversazione di questa santa prima della sua vedovanza, poiché bisognerebbe descrivere le conversazioni di una dama generosa, di buon giudizio, di spirito amabile, dai modi attraenti, ma ingenui, un bel parlare, senza però adulazione e affettazione, sempre modesta, amabile ed amata nel suo paese. Quando rimase vedova modellò le sue conversazioni sulle istruzioni che il Beato Padre diede alla sua cara Filotea. Vi era solo una graziosa serietà, un’amabile e soave pietà, una prudente e devota condiscendenza, senza disagio né costrizione, in accordo con i tempi, i luoghi e le persone. Quando però si ritirò completamente dalle caverne dei leopardi per entrare nei segreti e nei rifugi della vita religiosa, bisogna ammettere che quella santa sposa cominciò a parlare un nuovo linguaggio. Erano solo discorsi da Sulamita, e dalle nostre prime Madri abbiamo appreso che, agli esordi del nostro Istituto, non vi era nulla di più fervente delle conversazioni e delle ricreazioni delle sorelle. Quelle anime benedette erano inebriate da un latte migliore del vino e non potevano dilettarsi né rallegrarsi se non al ricordo delle mammelle del sovrano diletto 60. Parlavano quasi solo del fervore della preghiera e della fedeltà nella mortificazione, dicendosi reciprocamente e con semplicità i loro piccoli beni. La Beata Madre dava loro di questo un esempio così dolce che tutte erano attratte da quel soave profumo. Tutto ciò andò così oltre che il Fondatore ordinò che non 60 Ndt: L’immagine richiama le pagine del Cantico dei Cantici, già evocato con la figura della Sulamita.

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si parlasse più tanto della preghiera durante le ricreazioni e che ci intrattenessimo anche su discorsi meno seri e su cose meno importanti e gravi. Per ben svagarci bisognava che ci fosse la Madre di Chantal e quando mancava alle ricreazioni mancava la parte migliore della gioia e della soavità, perché portava l’una e l’altra dipinte sul volto. Giovanna Francesca si è data grande pensiero, nelle Risposte, di inculcare bene alle Superiore quanto l’esercizio della ricreazione sia necessario alle religiose, soprattutto a quelle che, come noi, fanno professione di grande solitudine, ritiro e vita interiore. Una volta una nostra sorella Superiora le scrisse che le sembrava opportuno che desse qualche consiglio affinché le ricreazioni si facessero con serietà: le dispiaceva molto, infatti, vedere le sue figlie ridere, se pensava soprattutto che san Benedetto non rideva mai. La Madre di Chantal le rispose: «Figlia mia cara, bisogna onorare quello che i santi hanno fatto; se voi foste benedettina avremmo il dovere di spiegarvi questo tratto della vita di san Benedetto, ma poiché siete figlia della Visitazione bisogna comprendere lo spirito del Fondatore, il quale era un santo, ve lo assicuro; eppure la sua santità non gli impediva, durante una santa ricreazione, di farsi portavoce di una gioia gentile che sapeva comunicare agli altri e rideva di buon cuore quando ne aveva motivo. Qualche tempo fa ho letto che Sara, parlando del miracoloso concepimento di suo figlio, diceva: Il Signore mi ha fatto ridere 61. Pensai che lo spirito di Dio porta gioia e che, poiché la Provvidenza ci ha assoggettate al bere, al mangiare, al dormire e ai divertimenti, dobbiamo dire: il Signore mi fa bere, mi fa mangiare, mi fa dormire, mi fa ridere e divertire e così si farà tutto per obbedienza e nel nome del Signore. State attenta, figlia mia cara, a non privare le vostre sorelle della libertà che la regola dà loro e non siate rigida. Siate contenta, purché le ricreazioni si facciano secondo la regola. Vedete, figlia mia, noi Superiore, quando abbiamo passato una parte della giornata negli affari, nel parlare con le sorelle o in parlatorio, trovandoci alle ricreazioni ci pare che quello sia tempo perduto e lo impiegheremmo volentieri per un intero raccoglimento. Ma le sorelle che non si sono mosse dal coro o dalle loro celle hanno bisogno di allentare il loro arco, secondo le parole del Fondatore». 61 Ndt:

Cf. Gen 21, 6.

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È vero che la Madre di Chantal, negli ultimi anni di vita, per la moltitudine di affari da svolgere, per la sua profonda attenzione interiore, per la violenza delle sue pene spirituali, per la noia che le dava il vivere quaggiù e per la debolezza dell’età, non si ricreava più come nei primi anni. Nonostante ciò ci ha sempre lasciato una completa libertà e quando si accorgeva che noi tacevamo per la sua presenza ci pregava di parlare, dicendoci che se non diceva una parola era perché glielo impediva il suo mal di stomaco e, per darci un po’ di confidenza, ci intratteneva talvolta con qualche piccolo racconto da ricreazione. Aveva l’incarico di sorvegliare colei che deve ricordare durante le ricreazioni la divina presenza e spesso lo faceva lei stessa, unendovi alcune parole devote; quando si avvicinava la conclusione della ricreazione introduceva qualche discorso devozionale affinché ce ne andassimo al silenzio con un’affezione tutta spirituale. In Avvento e in Quaresima desiderava che le nostre ricreazioni fossero più devote del solito e talvolta in quei periodi ci diceva (senza però introdurne l’uso, né farlo sempre): «Ricreatevi finché volete per mezz’ora e l’altra mezz’ora me la donerete per parlare del Signore». Mentre impiegavamo la nostra prima mezz’ora, lei se ne stava con gli occhi chiusi filando tranquillamente, quando però arrivava il tempo di parlare di Dio ritrovava la lingua e lo stomaco. Quanto alle sue conversazioni particolari o in parlatorio, erano sagge, sante e molto soavi. Non rimaneva mai inutilmente in parlatorio, non voleva conoscere le notizie del mondo e quando ne apprendeva qualcuna non le portava mai in comunità. Dalla sua amabile conversazione dobbiamo ora passare a parlare della sua grande fedeltà e dell’amore per il silenzio. Quanto a quello del dopo pranzo, poiché è quasi sempre stata Superiora e come tale obbligata a parlare con le sorelle e a trattare di affari, non l’abbiamo mai vista farsene scrupolo. Ma quanto al grande silenzio bisogna ammettere che lo osservava in modo fermo e austero e, senza una vera necessità, non avrebbe pronunciato una sola parola. Riprendeva duramente le sorelle che, in quel momento, venivano a riferirle cose che si potevano dire prima o dopo. Nel nostro monastero di Grenoble la sua esattezza al grande silenzio provocò un buffo equivoco: si era ritirata per recitare il Mattutino nella sua cella e non trovandovi le Ore fece segno alla sua compagna dicendole la mezza parola 385 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Heu 62, al posto di dirle l’intera frase: datemi le Ore. La compagna credette che stesse male, avendo mangiato molto poco a cena e che quindi chiedesse un uovo 63. Andò a cercare la Superiora e quando glielo disse si misero molto in pena per questo, anche perché la Madre di Chantal non faceva mai simili richieste. Il bello fu che non si trovò neanche un uovo fresco in casa e fu necessario mandare la sorella addetta al servizio esterno nella casa accanto a cercarne. Prima che arrivassero e fossero cotti la Beata Madre ebbe un bel po’ da attendere, sola nella sua camera davanti al crocifisso. Finalmente ecco la Superiora, la sua compagna e alcune altre sorelle arrivare con le uova e chiedere alla Madre come stava. Quando capì l’equivoco rise di buon cuore, dicendo che mai nessun uovo le aveva fatto così bene, ma, per rimanere fedele alla sua decisone di non parlare durante il grande silenzio se non per cose necessarie, si accontentò di dire: «Sono le Ore che ho chiesto», e rimandò alla ricreazione dell’indomani i dettagli di questo racconto, salutando la Superiora e le sorelle con un sorriso e un grazioso inchino. Questo equivoco come alcuni altri le diedero motivo di ordinare che, durante il silenzio, fosse meglio scrivere ciò che si voleva dire, oppure pronunciare cinque o sei brevi parole in caso di vera necessità, piuttosto che fare segni poco comprensibili che mettono in ansia o che suscitano le risate. La baronessa di Thorens sua figlia soggiornava spesso nel monastero, dato che, oltre ad essere figlia della Fondatrice, non avevamo ancora la clausura assoluta. Ogni mattina, quell’amabile figlia, quando suonava la preghiera, si metteva sulla soglia della sua camera per dare il buongiorno alla madre, la quale, senza dire una parola, la ricambiava in silenzio con uno sguardo amabile e un piccolo inchino del capo. Giovanna Francesca ci parlava spesso della virtù del silenzio non solo esteriore, ma anche interiore. Di solito non parlava mai dell’uno senza riferirsi anche all’altro e diceva di aver notato, passando per diverse nostre case, che dove il silenzio era meglio osservato le sorelle ricevevano grazie straordinarie. Ci raccomandava costantemente di parlare poco e diceva che, come nelle ricreazioni dobbiamo avere una 62 Ndt: In francese le Ore sono le Heures. 63 Ndt: Il sottile equivoco nasce in francese dalla identica pronuncia della mezza

parola heu [pronuncia: œ] e della parola “uovo”, œuf [pronuncia: œ].

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santa gioia ed allegria, allo stesso modo fuori da quel tempo dobbiamo essere composte per stare seriamente unite al Signore. Ci ripeteva spesso: «Mie dilette figlie, bisogna servire Dio seriamente e dare mostra del sacro lutto: beati infatti coloro che in questo mondo portano il lutto, perché avranno un’eterna consolazione e gioia nell’altro». Da alcuni anni parlava di questo santo lutto e di questa virtuosa tristezza che ci permettono di perseguire la nostra salvezza con timore e tremore e diceva che il silenzio è un mezzo molto efficace. Quando trovava nei libri qualcosa di relativo al troppo parlare o all’utilità del silenzio, ripeteva di solito quella lettura in comunità, testimoniandoci il suo grande desiderio di vederci fedelissime al silenzio. Ci chiedeva anche che, per devozione e desiderio di perfezione, fossimo molto zelanti a evitare qualunque parola inutile, al di fuori del tempo della ricreazione. Quanto a lei diceva sempre molte cose tacendo. La sua mirabile modestia, un cenno dei suoi occhi da colomba, la gravità, la saggezza e la tranquillità delle sue azioni erano più eloquenti della sua lingua. Diceva che «una religiosa che ama molto il silenzio è sempre molto diligente in tutte le piccole pratiche di osservanza e di virtù, perché è molto raccolta in se stessa quando le occasioni si presentano». Desiderava ardentemente che non si trascurasse neanche la cosa apparentemente più piccola e spesso ce ne parlava, facendoci vedere che sembrano piccole, ma che spetta all’amore ingrandirle e lei stessa si applicava molto in questo, tanto da suscitare in noi grande ammirazione.

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XXIII.

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COMINCIAMO A PARLARE DELLA VITA INTERIORE DELLA BEATA MADRE E, PRIMA DI TUTTO, DELL’ONORE E DELL’OBBEDIENZA VERSO IL SUO DIRETTORE

Non è fuori luogo, mi sembra, entrare attraverso la porta del silenzio nella vita interiore della Beata Madre. Non vogliamo certo ricordare qui l’onore e il rispetto che lei rese a quel primo padre spirituale, del quale abbiamo già parlato. Ma questa obbediente Tobia trovò poi l’angelico Anania 64 per condurla sul cammino della perfezione della vita interiore, lo amò come un padre e lo riverì come un angelo. Diceva: «Talvolta non sapevo, quando guardavo quel santo prelato, se dovevo credere che fosse un angelo inviato da Dio per vivere in mezzo agli uomini o se era un uomo trasformato in angelo dalla grazia divina». Si riteneva indegna di filare la lana per i suoi abiti e di aggiustare con le sue mani le piccole cose che gli servivano. Dio le faceva vedere questo suo fedele servitore così elevato nella perfezione, che spesso il suo cuore perdeva la speranza di poterlo raggiungere e talvolta bisognava che incoraggiasse la sua anima con queste parole del Salvatore: Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste 65. Tutte le parole che quel santo vescovo pronunciava per l’istruzione di quella sua figlia erano semi d’amore che sotterrava nella buona terra del suo cuore e li irrigava con un continuo desiderio e una continua fedeltà che producevano effettivamente frutti di ogni virtù. Nel 1604 si impegnò a obbedire a quel santo prelato con un voto espresso con tutto il suo cuore e scritto di suo pugno, come già abbiamo detto. Per parte sua, s’impegnò anch’egli con un voto alla sua guida spirituale. Ecco le esatte parole che la Madre di Chantal portò

64 Ndt: 65 Ndt:

Cf. il Libro di Tobia nell’Antico Testamento. Cf. Mt 5, 48.

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sempre con sé e con le quali desiderò essere sepolta: «Io, Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, accetto da parte di Dio i voti di castità, obbedienza e povertà oggi rinnovati da Giovanna Francesca Frémyot, mia diletta figlia spirituale. Io stesso rinnovo il voto solenne di castità perpetua, da me espresso quando ricevetti il sacro Ordine, che confermo con tutto il mio cuore. Dichiaro e prometto di guidare, aiutare, servire e far crescere la suddetta Giovanna Francesca Frémyot, mia figlia, nel modo più premuroso, fedele e santo che io possa conoscere, nell’amore di Dio e nella perfezione della sua anima, la quale da oggi in poi ricevo e considero come mia, per risponderne davanti a Dio, nostro Salvatore. Faccio voto di ciò al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, unico e vero Dio, al quale sia onore, gloria e benedizione nei secoli dei secoli. Amen. Fatto all’elevazione del Santissimo Sacramento dell’altare, durante la santa Messa, davanti alla Maestà divina, alla Vergine santissima, al mio angelo custode e a quello della suddetta Giovanna Francesca Frémyot, mia carissima figlia, e a tutta la corte celeste. Il 22 agosto, ottava dell’Assunzione della Vergine gloriosa, alla cui protezione raccomando con tutto il mio cuore questo mio voto, affinché sia sempre saldo, fermo ed inviolabile. Amen. Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra». Da questi voti reciproci è derivata quella perfetta amicizia e quella purissima unione di cuori tra quei due santi e quella totale comunicazione dei loro beni interiori tanto che di essi si può dire ciò che diceva san Luca parlando degli esordi della Chiesa: Un cuore solo e un’anima sola 66. Avevano infatti anche lo stesso linguaggio. Dopo la morte del Beato Padre, Giovanna Francesca, sul foglio di quel voto, scrisse di suo pugno le seguenti parole: «Oh adorabile e sovrana Trinità, che da tutta l’eternità con la vostra incomprensibile misericordia su di me, mi avete destinata alla felicità di essere diretta dal vostro umilissimo e santissimo servitore, il Beato Francesco di Sales, mio vero e carissimo Padre; oh dolcissima bontà, che questo voto non si sciolga con il termine della sua vita mortale, ma che continui ad assistermi con le sue cure e la sua direzione spirituale e mi conduca e introduca nei vostri celesti tabernacoli, ai quali aspiro incessantemente

66 Ndt:

Cf. At 4, 32.

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per i meriti della Passione del mio Salvatore! Se questa preghiera non è grata e conveniente alla vostra divina Maestà, desidero non averla neanche fatta, riconfermando oggi, alla presenza del divino Sacramento del vostro vero corpo, i voti che ho espresso alla santissima Trinità tra le mani di quel Padre e la totale spoliazione di me stessa, così come feci senz’alcuna riserva il mercoledì prima della festa dello Spirito Santo del 1616». Dopo di che aggiunse una lunga preghiera scritta sempre di suo pugno, nella quale invitava nuovamente ad osservare tutto quello che aveva appreso da quel beato. Concluse con queste parole: «Oh mio Salvatore! Ho forse io operato contro il rispetto che devo al vostro santo, per avere osato scrivere questo sullo stesso foglio? Ahimè! Se ciò vi dispiace, vi supplico di cancellare tutto e di perdonare me e tutte le offese e le mancanze all’obbedienza e al rispetto che ho commesso, anche se involontariamente, contro il vostro servitore, il mio Beato Padre». È attribuire grande onore e manifestare grande sottomissione a colui che guida il seguirne la direzione così costantemente al punto che neanche la morte può mettervi dei limiti. La Madre di Chantal ha spesso detto che avrebbe preferito piuttosto morire che mancare anche ad una sola delle intenzioni del Beato Padre, sia per quanto riguarda se stessa che l’Istituto. Se lei ha continuato ad obbedirgli è perché lui ha continuato a dirigerla: infatti non solo trovava tutto ciò di cui aveva bisogno nei suoi scritti, ma, come ha rivelato in confidenza, per diversi anni ha avuto di lui delle frequenti visioni intellettuali: stava alla sua destra, come un suo secondo angelo custode e l’aiutava, l’istruiva interiormente e la fortificava nei momenti difficili. Chi non crederà facilmente che quel buon pilota, essendo arrivato ormai in porto, non ritornasse spesso, attraverso un’assistenza invisibile ma altrettanto sensibile allo spirito e nascosta ai sensi, per dirigere colei che si era così assolutamente abbandonata a navigare sotto la sua guida nel mare aperto della perfezione! Come disse il Vescovo di Sens, Giovanna Francesca era così umile che stimava e voleva far credere agli altri che ciò che lei riceveva di straordinario non erano che sogni e semplici pensieri. Con questa scarsa considerazione di se stessa scrisse queste parole: «Dalla sua morte il nostro Beato Padre mi è apparso tre volte in sogno. La prima volta mi ha detto: Figlia mia, Dio mi ha mandato a voi affinché io vi dica che il suo disegno su di voi è che siate estrema390 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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mente umile. La seconda volta invece: Dio mi ha mandato a voi per rendervi una perfetta colomba. La terza: Figlia mia, non lamentatevi mai di alcuna mancanza che si possa fare contro di voi; non irritatevi di quelle che saranno commesse nel monastero, ma dite soltanto: Cosa? Le serve del Signore devono fare simili cose? Non angustiatevi, ma fate tutto in spirito di riposo e tranquillità». Il giorno della festa dei Santi Martiri Innocenti del 1632, durante uno di quei sogni mistici, vide Francesco di Sales vestito in modo pontificale, seduto su una bella sedia con grande maestà e splendore. Lei gli si gettò ai piedi e gli disse: «Padre mio, ditemi ciò che vi piace che io faccia per arrivare alla perfezione alla quale aspiro». Lui le rispose: «Fate sempre bene ciò che avete cominciato a fare bene». «Ma, mio vero Padre – replicò lei – insegnatemi la volontà del mio Dio affinché io possa compierla». Il Fondatore le rispose: «Figlia mia, Dio vuole che portiate a termine con amore e coraggio ciò che l’amore vi ha fatto cominciare». Molte volte le ha fatto visita con odori soavissimi, con parole interiori, con un’assistenza continua. Lei, per parte sua, ha seguito quel buon maestro con perfetta fedeltà, amore costante e vera devozione, tali che in questo mondo difficilmente potrebbero trovarsene di uguali. La cura che ha avuto nel far radunare e stampare tutto quello che ha potuto degli scritti e delle parole di quel beato, il suo impegno continuo e le sue ammirevoli premure per far procedere le informazioni relative alla sua santa vita e ai miracoli, la continua testimonianza che lei dava in qualunque occasione delle parole e delle intenzioni del Fondatore, il suo scrupolo nell’ornare il suo sepolcro e nel provvedere agli ornamenti per la sua beatificazione, la sua devozione nel distribuire sue reliquie: tutto questo e mille altre cose che si potrebbero citare sono prove inconfutabili dell’impareggiabile fedeltà della Madre di Chantal verso quel suo santo e perfetto direttore. La fedele costanza con cui seguiva la sua guida è un segno notevole del grande e felice viaggio che ha compiuto nella vita interiore, poiché mai da quel cammino è stata sviata o tentata a chiedere una strada diversa da quella che il suo Raffaele le mostrava per parte di Dio.

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XXIV.

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LE SUE VIE DI PREGHIERA

Ora cominciamo ad entrare in questa casa di preghiera poiché ne abbiamo trovata la via e il maestro. In ogni tempo Dio diede grande desiderio a quell’anima benedetta di darsi alla preghiera e all’orazione. Ma la compiacenza verso il marito, la cura della casa, l’amore per i suoi figli, lo svago delle amicizie, dividevano quel povero cuore di cui Dio voleva impossessarsi; fu per questo che la separò da qualunque cosa, sia attraverso la morte del barone di Chantal sia grazie all’avversione totale che le suscitò per le cose del mondo. Appena rimasta vedova la sua devozione aumentò e provò una forte attrazione per la vita tutta pura, distaccata e contemplativa, tanto che, come abbiamo raccontato, avrebbe abbandonato il suo paese, se il legame con i figli non l’avesse trattenuta, per andare a vivere un’esistenza ritirata e nascosta agli occhi del mondo. Senza sapere ciò che faceva, né conoscere ciò che Dio operava in lei (non essendo mai stata ancora istruita sulle cose spirituali), avrebbe trascorso le notti in ginocchio in preghiera. Le sue cameriere, una dopo l’altra, vegliavano per invitarla a tornare a letto: si alzava infatti nel cuore della notte per godere più liberamente del suo Dio, attraverso una preghiera tranquilla, favorita dalle tenebre e dalla calma della notte. Quando si pose sotto la guida di quel primo direttore, di cui tanto abbiamo già parlato, costui le fornì dei metodi di preghiera mentale molto faticosi, fatti di lunghe immaginazioni e penose considerazioni, alle quali lei si applicò con tanta fedeltà e diligenza come se provasse grande soavità e sebbene in verità il suo cuore fosse profondamente angustiato e sviato dai suoi più veri desideri. Sotto la guida del nostro Beato Padre, invece, le sembrò di nuotare in mare aperto, grazie a un metodo dolce e soave che derivava dalla meditazione, ma soprattutto 392 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dalla piena libertà che lui le lasciava di seguire i suoi richiami più intimi, insegnandole che, spesso, con la nostra umanità, ci opponiamo allo spirito di Dio e alle azioni della sua grazia nelle nostre anime. Per sette anni interi seguì il metodo della meditazione e della considerazione, ma dopo quel lungo periodo di fedele ma penosa servitù, senza essere né ingannata né illusa, il suo cuore si unì alla bella Rachele 67 della santa contemplazione, alla quale non ha mai preteso di poter arrivare, non essendo mai stata coinvolta in alcun genere di preghiera straordinaria. Eppure più volte, parlando di cose spirituali con una grande serva del Signore che le consigliava di impegnarsi molto in una modalità di preghiera mentale mistica e lontana dalle cose sensibili, la Beata Madre, che non faceva un passo senza la sua guida, ne parlò col Fondatore il quale le scrisse che doveva rimanere ancora nelle valli a raccogliere l’issopo 68, poiché non aveva braccia abbastanza lunghe per arrivare ai cedri del Libano. «Raccogliamo, le disse, i fiorellini ai piedi della croce; accontentiamoci di baciare i piedi del nostro Sposo. Lui conosce bene il momento in cui dovrà chiamarci per baciargli la bocca». Nei sette anni in cui Giovanna Francesca stette nell’orazione attiva, non mancò di ricevere grandi favori dal cielo e di essere spesso rapita fuori di sé dal desiderio divino, come si può desumere da ciò che abbiamo raccontato a proposito di diverse visioni ed estasi. Ma quando quella santa innamorata ebbe lungamente raccolto la mirra, fu introdotta nella cantina e inebriata da quel dolce fascino; si pose in un atteggiamento di preghiera purissimo e separato da qualunque altra azione, se non un semplicissimo abbandono di se stessa alla volontà divina. Siccome aveva l’intelletto pronto e fertile, le parti inferiori della sua anima opposero forti resistenze a cedere a quel riposo pacifico e a quel santo ozio: voleva infatti sempre fare e agire, sebbene il suo desiderio più vero fosse di rimanere totalmente passiva. Francesco di Sales per confermarla in questa via le diceva: «Voi siete come il piccolo san Giovanni: mentre gli altri si nutrono di diverse carni 67 Ndt: Rachele, figlia di Labano, è simbolo della vita contemplativa, mentre Lia, la sorella, è simbolo di quella attiva. 68 Ndt: L’issopo è una pianta ornamentale menzionata più volte nell’Antico Testamento perché usata nei riti purificatori.

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alla mensa del Salvatore, mediante varie considerazioni e pie meditazioni, voi vi riposate con un amoroso sonno sul suo sacro petto. Questo amore fatto di semplice confidenza e questo sonno amoroso tra le braccia del Salvatore comprendono esemplarmente tutto quello che andate cercando qua e là per vostro gusto». Quel buon Padre ed esperto direttore le scrisse un’altra volta: «Mia cara Madre, rimanete in quella pura e semplice confidenza filiale presso il Signore, senza muovervi in nessun modo per compiere azioni sensibili né con l’intelletto, né con la volontà. No, non abbiate alcuna cura di voi stessa, non più di quella che può avere un viaggiatore che si è imbarcato in buona fede su una nave e che non si occupa d’altro se non di viverci e di restarci. Egli infatti si affida alla guida del pilota, alla cui conoscenza dei venti e capacità di tendere le vele e far vogare si rimette. Gesù è il vostro pilota, lasciategli governare la vostra anima e visto che vi vuole oziosa, siatelo per il tempo che lui vorrà». Nelle grandi lotte interiori che le parti inferiori conducevano contro le superiori per toglierla da quel cammino semplice ed epurato da qualunque immagine sensibile, aveva una sollecitudine straordinaria a volersi far bene istruire e tra le tante domande che abbiamo trovato scritte di suo pugno e le risposte datele dal Beato Padre, trovammo queste parole: «Spesso mi sono preoccupata vedendo che tutti i predicatori e i buoni libri insegnano che bisogna considerare e meditare sui benefici di Dio, sulla sua grandezza, sui misteri della Redenzione, soprattutto quando la Chiesa ce li presenta. Tuttavia l’anima, che è in questo stato di semplice sguardo rivolto a Dio e di santo ozio, anche volendolo fare non ci riesce e da qui le deriva una grande pena. Mi sembra però che lo faccia in modo eccellente, attraverso cioè una semplice memoria o una rappresentazione molto delicata del mistero, con affetto dolce e soave. Monsignore capirà meglio di quanto non sia io in grado di fare». Il Fondatore rispose: «L’anima si fermi pure nei Misteri in quel modo di orazione che Dio le ha indicato, perché i predicatori e i libri spirituali non l’intendono diversamente». «Ma allora, disse Giovanna Francesca, l’anima non deve, soprattutto nella preghiera, tentare di evitare ogni tipo di discorso, azione, replica, curiosità e altre cose simili e invece di guardare quello che fa, che ha fatto o che farà, guardare a Dio e così semplificare il suo spirito e vuotarlo di qualunque cura per se stessa, rimanendo in questa semplice 394 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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contemplazione di Dio e del suo nulla, completamente abbandonata alla sua santa volontà, nei cui effetti conviene che rimanga tranquilla e contenta, senza muoversi affatto per non compiere alcuna azione, né con l’intelletto, né con la volontà? Dico anche che mi sembra che nella pratica della virtù, negli errori e nelle cadute non bisogna muoversi di là, perché il Signore mette nell’anima i sentimenti che le servono e la illumina perfettamente mille volte meglio di quanto non potrebbero fare i suoi discorsi e le sue immaginazioni. Mi direte dunque, perché uscite di là? Oh, Dio! Questa è la mia disgrazia e accade mio malgrado, poiché l’esperienza mi ha insegnato che tutto ciò può nuocere molto. Ma io non sono padrona della mia mente, la quale, senza il mio permesso, vuole vedere e coordinare tutto. Ecco perché chiedo al mio carissimo Signore l’aiuto dell’obbedienza per fermare quella miserabile vagabonda, perché credo che temerà un comando assoluto». Il Fondatore le rispose: «Poiché il Signore già da lungo tempo vi ha attratta verso questo tipo di preghiera, avendovi fatto gustare i frutti desiderabilissimi che ne derivano, e conoscere gli effetti negativi del metodo contrario, rimanete ferma e con la massima dolcezza che potrete riconducete il vostro spirito a quell’unità di semplicità, di presenza e di abbandono a Dio. E poiché la vostra mente desidera che io le faccia esercitare l’obbedienza, dico questo: Mia cara mente, perché vuoi praticare la parte di Marta nell’orazione, mentre Dio ti fa intendere che vuole che tu eserciti quella di Maria? Ti ordino dunque che tu dimori semplicemente o in Dio o presso Dio, senza tentare di fare altro e senza voler sapere nulla di lui o di altre cose, se non nella misura in cui lui te lo chiederà. Non ritornare su te stessa, ma rimani presso di lui». Pose ancora una domanda: «Quest’anima, così abbandonata tra le braccia di Dio, deve rimanere senza desideri e senza una propria elezione?». Francesco di Sales le rispose: «Il bambino tra le braccia della madre ha solo bisogno di lasciarla fare e di attaccarsi al suo collo». «Ma – disse lei – il Signore non si cura in modo particolare di predisporre tutto quello che è richiesto e necessario per quell’anima così abbandonata a lui?». Il Fondatore rispose: «Quelle persone gli sono più care della pupilla del suo occhio». Negli ultimi consigli che diede alla Madre di Chantal usò queste precise parole: «Oggi, 6 giugno, giorno dedicato a san Claudio, santificato dall’ottava del Santissimo Sacramento e memorabile per la 395 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vostra congregazione, raccolgo tutti i consigli che vi ho dato fino ad oggi. Siate fedelmente inamovibile nella risoluzione di mantenervi in una semplicissima unità e unica semplicità della presenza di Dio attraverso un abbandono totale di voi stessa alla sua santa volontà. Non abbandonate mai questa vostra via, ricordatevi che la dimora di Dio è nella pace. Seguite la direzione dei suoi movimenti divini, siate docile alla grazia, attiva, passiva o sofferente secondo quanto Dio vorrà o dove vi porterà. Ma di vostra iniziativa non muovetevi mai dal vostro posto, ricordatevi di quanto vi ho detto più volte e di quanto ho messo nel Teotimo 69, che è stato scritto per voi e per quelli come voi. Voi siete la saggia statua e il padrone vi ha messa nella nicchia: uscite di là solo quando lui stesso vi toglierà da essa». Con questi consigli che il Beato Padre le diede si rinsaldò talmente sul suo cammino che appariva immobile e quando ha commesso qualche errore, cioè quando ha voluto agire per la ricerca del suo proprio gusto, l’amore stesso l’ha corretta, così come lei ha scritto in questi termini: «Uscendo dalla santa Comunione, avendo voluto compiere atti più specifici di quelli del mio semplice sguardo e totale abbandono ed inabissamento in Dio, la Sua bontà mi riprese e mi fece intendere che solo per amore di me stessa compivo quelle azioni, con le quali io facevo tanto torto alla mia anima quanto se ne può fare ad una persona debole e spossata alla quale interrompono il primo sonno e poi non riesce più a riprendere il suo riposo».

69 Ndt: Si tratta del Traité de l’Amour de Dieu, scritto da san Francesco di Sales per le figlie della Visitazione, e nel quale l’autore si rivolge a Teotimo.

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XXV.

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ANCORA SULLE SUE VIE DI PREGHIERA

Il cuore di quella Beata Madre era proprio quella casa di preghiera 70 che l’eterna Sapienza ha edificato per sé, nella quale, come ho sentito dire da una persona molto profonda spiritualmente, la divina Sapienza presentava alla sua diletta due tipi diversi di cibo: il primo forte e solido, il secondo liquido e morbido. Quello solido rappresentava la costante e generosa devozione distaccata da qualunque tenerezza, sdolcinatezza e gusto personale, ma, al contrario, applicata alla pratica di ogni virtù, con un’ammirevole attenzione anche per la più piccola. E se il piacere che prendeva nella preghiera non le avesse comportato una perfetta attitudine alla mortificazione e alle azioni virtuose, si sarebbe senz’altro distolta da quella beatitudine. Il cibo liquido era un’effusione della grazia divina nell’anima di quella diletta, conoscenza semplice, tranquilla, dolce e pratica della bontà di Dio e del suo amore puro, ardente e che tutto consuma. La grazia, infusa ed effusa in quel cuore innamorato, faceva sì che l’amore, che richiede la reciprocità, uscisse da quel cuore per perdersi in Dio, con i suoi desideri, con i suoi fervori, con la sua luce e con il suo affetto. In quel sacro silenzio, quell’anima, santamente bambina, traeva dal suo Diletto un latte nutriente che, come un bimbo, faceva crescere il suo cuore nell’amore divino. Vi riceveva un vino delizioso che la riscaldava, la rinvigoriva nei suoi tormenti e la ristorava nei suoi languori. In quel banchetto dello Sposo il miele delle soavità di cui si cibava serviva più per purificare la sua anima che per ricrearla con il sentimento delle sue dolcezze. In quel sacro silenzio, durante il quale 70 Ndt: L’espressione si trova in Is 56, 7, ma è ripresa nei Vangeli di Matteo (21, 13), Marco (11, 17) e Luca (19, 46).

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non pronunciava una parola, sentiva molte cose non solo grazie all’udito del cuore che oltrepassa qualunque umana intelligenza, ma talvolta udiva con le orecchie una voce ben distinta, così come abbiamo già detto e come diremo anche più avanti. In quel silenzio e in quell’amoroso sonno, con gli occhi chiusi, vedeva delle luci chiarissime e un’intelligenza divina le insegnava cose mistiche e segrete. E, non vedendo nulla se non attraverso una fede nuda e semplice, riusciva a gustare esperienze che non possono né toccarsi né vedersi. In quella sacra via, nonostante le sue continue tentazioni, il suo intelletto era completamente annientato: se così possiamo dire, quella sposa fedele si era lasciata bendare gli occhi umani con il velo della fede dalle mani dell’amore, il quale l’ha tratta fuori dai sensi e dalle operazioni dell’intelletto. Lei, con un distacco assoluto da se stessa e dalle cose, spogliatasi di tutto, possedeva al di sopra di qualunque cosa Colui per amore del quale aveva messo sotto i piedi tutto e tutta se stessa. In quello stato passivo continuava però ad agire, sia nei momenti in cui Dio meno operava o quando la esortava; le sue azioni però erano brevi, umili ed amorevoli. Una volta, alla defunta Madre Favre che le aveva chiesto se facesse qualche atto durante la preghiera scrisse: «Sì, mia carissima figlia, sempre, quando Dio lo vuole e me lo fa capire con i movimenti della sua grazia: allora compio qualche azione interiore o pronuncio con la bocca alcune parole, soprattutto per scacciare le tentazioni. Dio non permette che io sia tanto temeraria da presumere di non aver mai bisogno di compiere delle azioni e credo che coloro che affermano di non farne mai, in verità non capiscono. Credo pure che la nostra sorella N.N. in effetti ne compia senza discernerle, almeno io gliene faccio fare certamente». Sapeva bene che in questo mondo non vi è unione così stretta che non abbia bisogno di esserlo ancora di più, né esiste un sonno così tranquillo che talvolta non venga interrotto, anche contro il divieto dello Sposo, né che una colomba, per pura e abile che sia, non necessiti talvolta di spiegare maggiormente le ali. Ecco, questo è quello che faceva Giovanna Francesca con i suoi semplici ritorni in Dio, chiudendo per così dire la porta del suo cuore, così come dice il Vangelo, per rimanere là in segreto, nel silenzio e nel riposo con lo Sposo celeste. E sebbene in quello stato, soprattutto negli ultimi anni della 398 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sua vita, il suo cuore fosse abbastanza spesso nudo, privo di consolazione, come insensibile al bene, incapace di gustare alcun diletto spirituale, senza udito né intelligenza, senza vista né luce, lei comunque non abbandonava mai il suo silenzio. Quella santa statua non si spostava dalla sua nicchia; le bastava che il suo padrone l’avesse messa là e che là la vedesse: riusciva a vedere e a capire quella volontà dell’Artefice solo grazie alla forza suprema dello spirito, nel quale risiedeva la sua fede, sempre salda, sebbene nuda e combattuta. Ciò che le serviva da appoggio era il sapere, grazie ad una capacità che aveva appreso dall’esperienza maturata nella guida delle anime, che quella spoliazione dei sentimenti, sulla via del santo ozio di Maria che vale di più di tutte le sollecitudini di Marta, è una prova che l’amore fa subire all’anima innamorata: attraverso questo cammino essa arriva alla perfetta nudità, povertà, pazienza e rassegnazione dello spirito e in questo modo essa è condotta al superamento della propria volontà e alla perdita di qualunque interesse particolare. In questo stato di amore costante, semplice e nudo, restava a quell’anima la parte migliore di Maria: solo le cose sensibili le erano tolte, perché viveva una vita epurata e più perfetta. Sembrava che in tutte quelle privazioni lo Sposo le dicesse, come a quell’altra amante: «Non mi toccare», e questo amore che divide creava segretamente una mirabile unione di volontà. A questo proposito la Madre di Chantal aveva scritto sul suo libretto questi versi che amava molto: Lo so, caro oggetto del mio amore, che spogliando così la mia anima tu non disprezzi gli ardori che io provo, ma vuoi che, come un’anima più pura, passi al di sopra della natura e impari ad amare senza i sensi 71.

71 Ndt: I versi in francese sono in rima baciata e incrociata. Nella traduzione italiana abbiamo preferito riprodurre fedelmente il senso della preghiera della Madre di Chantal, piuttosto che cercare di ricostruirne le rime, travisandone il senso. Lo riproduciamo qui per chi volesse gustarne la musicalità dell’originale: Je sais, cher objet de ma flamme, (A) Que dépouillant ainsi mon âme, (A)

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Possiamo affermare che la sua preghiera era continua, così come consiglia san Paolo. Nulla rappresenta meglio ai miei occhi la sua attrazione e la sua vita interiore se non dire che essa era una continua e semplice contemplazione di Dio in tutte le cose e di tutte le cose in Dio, una perfetta adesione a Dio, un ininterrotto fiat voluntas 72. Se l’aridità le toglieva la tenerezza e la soavità, non se ne dava pensiero. Se le privazioni più dure o le pene e le tentazioni le dichiaravano guerra, la sua fedeltà era inamovibile, e quella casa di preghiera 73 era inespugnabile. Sia che le mammelle dello Sposo fossero al suo palato migliori del vino 74 o che Egli la nutrisse con il pane della tribolazione e con l’acqua dell’angoscia, la Madre di Chantal non usciva mai dal luogo segreto della sua solitudine interiore per andare a cercare altro nutrimento. Andava dove il Signore la conduceva e il calore del suo amore la sosteneva senza che lei s’indebolisse spiritualmente. Con la sua mano benedetta aveva scritto queste parole a un’anima attratta dalla vita eccellente della santa semplicità: «Se voi seguiste i disegni di Dio su di voi, quand’anche il cielo e la terra crollassero, voi non distogliereste il vostro sguardo da Lui». Faceva proprio parte del suo essere il contemplare Dio senza mai investigare su ciò che lui fa di noi e mantenendosi in una semplice attesa di tutto quello che a Lui potrebbe piacere. Quando le cose si verificavano manifestava un’amorevole accettazione di quello che aveva voluto o permesso. Questa semplicità l’aveva condotta a una grande abitudine alla preghiera, a tal punto che in qualunque luogo lei era in raccoglimento e negli ultimi anni esso era così profondo che in ogni discorso e in qualunque occasione aveva gli occhi chiusi e si vedeva che a stento usciva da quella santa solitudine interiore per attendere alle cose del mondo. Ci diceva che per fare la preghiera non bisogna sempre mettersi in ginocchio;

Tu ne méprises pas les ardeurs que je sens; (B) Mais tu veux que d’âme plus pure, (C) Passant par dessus la nature, (C) J’apprenne à aimer sans les sens. (B) 72 Ndt: Manteniamo il latino, perché il riferimento alla strofa del Padre Nostro è palese. 73 Ndt: Cf., supra, nota 65. 74 Ndt: Cf. Ct 1, 2 e 4.

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poiché lo Sposo ha detto: Io dormo, ma il mio cuore veglia 75, vale a dire il mio cuore prega e ama, una buona religiosa può dire in qualunque occasione: faccio la ricreazione, ma il mio cuore prega; lavoro, ma il mio cuore riposa. Una volta, mentre stavamo parlando di alcuni affari a lei vicini, rimase con gli occhi chiusi; così la Madre de Châtel le disse: «Ditemi, vi prego, Madre mia, ciò che avete appena detto al Signore». E lei le rispose: «Ahimè, mia cara Madre! Sapete bene che io non gli dico nulla, ma desidero proprio che il mio silenzio interiore riverisca e adori continuamente la Parola eterna». Alla cara Madre de Blonay, che una volta le disse di aver letto da qualche parte che tutto quello che si chiede al Signore in certi momenti forti viene accordato, lei rispose: «Per quanto mi riguarda, mia carissima Madre, io non chiedo nulla al Signore». Si accontentava di dire il Padre Nostro per qualunque cosa; altre volte leggeva nel libro delle Ore delle preghiere, come le trenta domande a Gesù per le necessità pubbliche. Tutto questo per onorare la Chiesa che ordina e approva quelle invocazioni. Una volta le chiesero come facesse a mantenere la parola a tante persone che si raccomandavano alle sue preghiere; lei rispose che le poneva nelle sue intenzioni generali, oppure che recitava il Padre Nostro per loro, chiedendo a Dio che la sua volontà fosse fatta e che il suo nome fosse santificato. Tutto questo lavorio interiore le fece trovare quell’invenzione ed intelligenza d’amore. Scrisse di suo pugno e firmò col suo sangue una grande orazione che aveva composto lei stessa contenente azioni di grazie, lodi, preghiere che la sua devozione e i suoi compiti le suggerirono in favore dei benefici generali e particolari, per i suoi parenti e per gli altri, per i vivi e per i morti. Quel pezzo di carta lo portava giorno e notte con sé, appeso al collo, insieme alla sua professione di fede: quell’amoroso accordo lo aveva stretto con il Signore e voleva e intendeva che ogni volta che avesse stretto sul suo cuore quella borsetta – nella quale custodiva quello scritto e che ogni mattina vestendosi metteva dritta sul petto – il suo cuore progettasse di compiere tutti gli atti di fede, di ringraziamento e di preghiera contenuti in quel pezzo di carta. 75 Ndt:

Ct 5, 2.

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In questo modo il suo ritorno in Dio, il suo sguardo unico e il suo contegno devoto erano come una grande e lunga preghiera resa attuale nella sua intenzione, sebbene in effetti la sua anima restasse passiva, calma e silenziosa. Il fatto è che l’amore parla un linguaggio muto, fatto di sguardi o di semplici segni, così come piace all’Amante intendersi in modo diverso con ogni sua innamorata. Altrove parleremo delle massime e dei consigli della Beata Madre a proposito di questo tipo di preghiera, che non è adatta a tutte le anime.

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XXVI.

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LE SUE PENE INTERIORI

Affidarsi a Dio ed essergli fedele nei momenti di dolcezza e di prosperità è molto facile, ma essergli ugualmente fedele in mezzo ai temporali, alle tempeste, ai travagli e allo scoraggiamento è tipico di un cuore veramente innamorato, puro e senza interessi come quello della Madre di Chantal, che possedeva una fedeltà sempre crescente al servizio di Dio, un viso sempre sereno e dolce, una costanza sul suo cammino che non la faceva mai vacillare. Qualcuno dirà forse che il suo desiderio e la sua via, fatti di semplici sguardi, di amoroso riposo, di totale abbandono di se stessa a Dio e di sacro silenzio interiore, abbiano diminuito le sue sofferenze. Invece era proprio il contrario, così come disse proprio lei in confidenza a una delle sue figlie con queste precise parole: «Nelle aridità e privazioni di qualunque grazia sensibile, la mia semplice via consiste in una nuova croce e la mia impotenza ad agire è un’ulteriore privazione. È come quando una persona è afflitta nel corpo da qualche grande sofferenza ed è impossibilita a potersi girare sull’altro fianco, oppure è muta e non può esprimere ciò che sente, o cieca e non riesce a vedere se coloro che si presentano davanti a lei sono dei medici o degli avvelenatori; l’anima, in questa angoscia e privazione, preferisce rimanere sofferente ed impotente». Per quanti anni Giovanna Francesca è rimasta in quello stato e in altri anche peggiori, di cui a breve parleremo? Piangendo a calde lacrime diceva di vedersi senza fede, senza speranza e senza carità verso Colui che credeva, sperava e amava sopra ogni cosa. Il Beato Padre le diceva: «Si tratta di una vera insensibilità che vi priva di tutte le virtù che voi possedete; voi non riuscite a gustarne la dolcezza e così siete come un bambino che ha un tutore che lo priva della possibilità di toccare le sue cose: tutto è suo, ma di fatto 403 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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non tocca nulla e sembra non possedere altro che la propria vita. Insomma, come dice san Paolo: Padrone di tutto senza essere in nulla diverso dal servo 76. Così, figlia mia, Dio non vuole lasciarvi la gestione della vostra fede, della vostra speranza e della vostra carità, come delle altre virtù, né vuole che voi ne godiate se non per la vostra vita interiore e per servirvene in caso di necessità. Oh, quanto siete felice di essere così legata e tenuta stretta da quel celeste Tutore! Continuate a fare quello che fate, cioè adorarlo in silenzio, gettarvi tra le sue braccia e nel suo grembo». Chi potrebbe esprimere il languore e il martirio delle anime innamorate, quando l’Amato se ne va, si nasconde e fa vedere e sentire loro che le tratta come se realmente fossero sue nemiche. Esse si sciolgono in lacrime notte e giorno mentre viene chiesto loro: Dov’è il tuo Dio? Solo sapere che un principe, o una persona molto amata, è presente rende soavi le fatiche e desiderabili i rischi. Ma nulla prova di più la fedeltà né rende più tristi quanto servire un padrone che non ne sa nulla o, se lo sa, fa finta di non sapere e non dimostra gratitudine. Bisogna proprio che l’amore sia potente perché riesca a sostenersi da solo, senza il supporto di alcun piacere, né avanzare alcuna pretesa. In questo stato si trovava Giovanna Francesca quando il Fondatore le scrisse queste parole: «Sto lavorando al vostro nono libro sull’Amore di Dio 77 e oggi, pregando davanti al crocifisso, Dio mi ha fatto vedere la vostra anima e il vostro stato: erano come un musicista eccellente, nato suddito di un principe che lo amava grandemente e che gli aveva testimoniato di compiacersi molto ascoltando la dolce melodia del suo liuto e della sua voce. Questo povero cantore divenne, come voi, sordo e non riusciva più a sentire la sua melodia. Il suo padrone si assentava spesso, ma lui continuava a cantare perché sapeva che era stato assunto per cantare». Questo paragone è dettagliatamente illustrato nel libro dell’Amore di Dio. Il cuore della Madre di Chantal, nelle sue lunghe privazioni, era dunque come quel cantore sordo che non sapeva neanche di cantare; 76 Ndt: Cf. Gal 4, 4. La citazione esatta è: «Per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto». 77 Ndt: Si tratta del Traité de l’Amour de Dieu, che Francesco di Sales iniziò a scrivere nel 1615, dopo l’Introduction à la vie dévote.

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oltre a ciò era oppresso da mille timori, agitazioni, confusioni e noie, dato che il nemico gli suggeriva che forse non era gradito al suo padrone divino, che il suo amore era inutile, addirittura falso e vano. Le sue fatiche le pesavano molto, poiché non riusciva a vedere né i vantaggi che ne derivavano, né l’Amato per il quale stava soffrendo. Ciò che aumentava il suo male, dice il nostro Beato Padre, era che la parte suprema della sua ragione non poteva darle alcun sollievo, perché era talmente circondata dalle suggestioni del maligno e così spaventata che doveva stare molto attenta a non cedere al nemico. Non poteva più, come invece altre volte, uscire dalla porta della volontà per distruggere i nemici che assaltavano il suo intelletto, perché, in questo nuovo tipo di sofferenza, la volontà stessa non poteva uscire per liberare la parte inferiore. Sebbene non avesse perduto il coraggio, era così furiosamente assalita e si sentiva così abbandonata che se era senza colpa, non era però senza pena e, per colmo di angoscia, era privata della generale consolazione che rimane ai più infelici di questo mondo, e cioè il vedere la fine delle loro sofferenze. Francesco di Sales, per consolarla di questa difficoltà a sperare che le sue pene interiori potessero un giorno finire, le scrisse nel suo libretto: «Mia cara Madre, non temete: la fede si trova sempre nella sommità e nel culmine del vostro spirito. Vi assicuro: le vostre agitazioni finiranno e voi godrete del desiderato riposo tra le braccia di Dio. Ma il grande rumore e le forti grida che il nemico fa nel resto della vostra anima e nella sua parte più vile impediscono che i consigli e le rimostranze della fede siano uditi. Con tutto ciò, mia cara Madre, io non mi preoccupo; al contrario, benedico Dio nella notte della vostra sofferenza e rendo grazie a Colui che mostra come si deve soffrire in suo nome». Fra tante tenebre, Giovanna Francesca andava talvolta a cercare la luce in colui al quale Dio l’aveva affidata per essere guidata. Scrisse una volta al Fondatore: «Vi scrivo e non posso fare a meno di farlo, perché questa mattina mi trovo ancor più angustiata del solito. Vedo che barcollo ad ogni proposito nell’angoscia del mio spirito, causatami in parte dalla mia stessa deformità interiore, che è così grande che, vi assicuro, mio buon signore e carissimo Padre, quasi mi perdo in questo abisso di miseria. La presenza del mio Dio, che un tempo mi dava una gioia indicibile, ora mi fa tremare e rabbrividire dallo spa405 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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vento. Dove non vedo errore, l’occhio del mio Dio ne vede un numero incredibile e quasi infinito. Mi sembra che quest’occhio divino, che adoro con tutta la sottomissione del mio cuore, trapassi la mia anima come una spada e guardi con sdegno tutte le mie opere, i miei pensieri e le mie parole. Ciò mi getta in un tale sconforto di spirito che la morte non mi sembra tanto dolorosa da sopportare quanto queste cose. Mi pare che tutto potenzialmente possa nuocermi; tutto mi spaventa: non che io tema che si nuoccia a me stessa, ma temo di dispiacere al mio Dio e che il suo divino sostegno sia ben lontano da me. Per questo ho trascorso la notte in mezzo a grandi amarezze durante le quali non ho fatto che ripetere: Mio Dio, mio Dio, perché mi abbandonate? Sono vostra, fate di me come fareste di una cosa di vostra proprietà. Sul fare del giorno Dio mi ha fatto gustare, sebbene impercettibilmente, una piccola luce nella più alta e suprema parte del mio spirito. Il resto della mia anima rimaneva nell’angoscia. Questo è durato lo spazio di un’Ave Maria, perché poi una nuova tempesta si è scagliata contro di me, ottenebrandomi ed offuscandomi. Nel languore di questo abbandono penoso, dico talvolta al Signore, almeno con la bocca, che tagli, recida e arda, perché io sono tutta sua». Il Fondatore, a proposito di quello stato, dava eccellenti insegnamenti alla sua santa discepola, dicendole che era il momento di servire il Salvatore esclusivamente per amore della sua volontà. Aggiungeva anche: «Senza piacere, ma tra questi diluvi di tristezze, di orrori, di spaventi e di assalti, bisogna fare come la Vergine Maria e san Giovanni nel giorno della Passione: rimasero saldi nell’amore, anche quando il divino Salvatore, avendo ritirato tutta la sua gioia nella parte suprema del suo spirito, non diffondeva né allegria, né consolazione alcuna dal suo volto divino e i suoi occhi, coperti dalle tenebre della morte, gettavano solo sguardi di dolore». Mentre il Beato Padre insegnava queste cose a quell’anima benedetta, l’amore la privava della luce e dei sentimenti affinché Dio solo la possedesse e la unisse a sé, volontà con volontà, cuore a cuore, immediatamente e senza la ricerca di alcun appagamento o consolazione, anche se di carattere spirituale. In questo amore che priva e separa, come un’altra Maddalena, riceveva favori e parole interiori da Dio senza che se ne accorgesse, poiché la grandezza del suo amoroso dolore rendeva il suo Amato irriconoscibile ai suoi occhi. Tra le carte del Fondatore abbiamo trovato 406 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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diversi bigliettini scritti dalla Madre di Chantal scampati al fuoco. In uno di questi diceva: «Credo che non vi vedrò oggi, mio carissimo Padre. Per questo vi chiedo cosa devo fare durante queste feste. Da tre giorni, vale a dire dal giovedì santo, mi vedo sola fra tutte le creature, abbandonata e privata dei meriti della Passione del mio Salvatore. La mia tentazione mi martirizza con tormenti così crudeli che non riesco a trovare le parole per esprimerli». Le sembrava talvolta che tutte le sue facoltà e capacità avessero costituito nel suo cuore una guarnigione ribelle per impedirle l’ingresso in quel sacro e intimo luogo dove un tempo, al culmine dei santi favori, aveva assaporato il cibo e il riposo con lo Sposo celeste. Il Beato Padre la paragonava ad un’ape malata che non trova altro rimedio se non quello di esporsi al sole, non potendo andare a succhiare il nettare dei fiori. La paragonava anche a Davide, quando, sebbene re, uscì fuori dalla sua città piangendo, a piedi nudi, col capo coperto e abbandonato da tutti. Le disse: «Eppure è re e alla fine regnerà e sottometterà tutto alla sua obbedienza. Assalonne 78 è colui che ha turbato il regno e lo ha fatto sollevare contro lo spirito cristiano; lo spirito umano e la parte sensibile si sollevano in voi e così turbano e inquietano lo spirito cristiano e l’anima spirituale». La paragonava ancora ad una nave in alto mare, colpita da molte tempeste. Un’altra volta le disse: «Mi sembra, figlia mia, che la vostra anima sia come quel profeta, che l’angelo prese per un capello e lo portò per aria». Poi aggiunse: «La vostra desolazione assomiglia a quella che il Signore volle provare con la sua Passione, quando la sua anima era triste fino alla morte e totalmente sconfortata. Voi non dovete far altro che continuare tranquillamente con il vostro rimedio, consegnando interamente il vostro spirito tra le mani paterne di Dio». Giovanna Francesca aveva tratto da un bel cantico sull’indifferenza, scritto da un devoto servo del Signore, le seguenti strofe: diceva che sembravano scritte proprio per lei, tanto che credeva che il suo angelo custode le avesse dettate a chi le aveva composte:

78 Ndt:

Assalonne, terzo figlio di re Davide (cf. 2 Sam).

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La mia anima senza conoscenza aderisce intimamente al suo Dio. Sopporterò fedelmente; credere e soffrire sono la mia sapienza. Rit.: Se l’amore è ardente, l’anima ritrova se stessa perdendosi. Questa povera anima è impotente; detesta ogni sua azione, ma sembra che così voglia: questo tormento la divora. Rit. Prova più odio che amore, più sdegno che speranza; si perde cento volte al giorno, e crede di essere senza coscienza. Rit. Oh! Che tormento, che dolore, vivere in questo stato, privata della speranza, dell’amore verso il mio Signore, come un’anima reietta. Rit. In questo stato di angoscia, di travaglio e di abbandono dobbiamo aggiungere una quinta strofa per quell’anima afflitta: Dio la sostenne segretamente, con una fede nuda e semplicissima; essendosi completamente abbandonata, visse una vita nascosta. Ma il suo amore ardente, le permise di ritrovare se stessa perdendosi.

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XXVII.

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LE SUE TENTAZIONI

Se la Beata Madre ha potuto dire che non ha mai dovuto combattere contro la carne ed il sangue, quanto alla tentazione, che talvolta ha sfidato violentemente i più santi tanto che alcuni si sono gettati nelle spine e altri nei ghiacci, possiamo proprio dire che invece ha dovuto lottare contro tutte le malizie spirituali. Così, la vigilia della partenza per il suo ultimo viaggio in Francia, a una delle sue figlie preoccupata per il perseverare di una pena, disse: «Cosa dovrei dire io, allora, figlia mia, che da quarantun’anni sono perseguitata dalle tentazioni: dovrei per questo perdere il coraggio? No, voglio sperare in Dio, anche quando mi avesse uccisa ed annientata per sempre». Fedelissima Israelita, che ha camminato quarantun’anni nel deserto senza mai distogliere il suo cuore dal Signore! Il Fondatore, prima che diventasse religiosa, le scrisse queste parole che lei trascrisse nel suo libricino per averle sempre sotto gli occhi: «Bisogna che vi rassegniate a sentire per quasi tutta la vostra vita le tentazioni, a non cedervi e a non meravigliarvene, perché, chi non è tentato, cosa può sapere? 79». È stato un segno dell’impotenza del nemico l’aver assediato ma mai espugnato quella città di Dio, quella casa di preghiera. Parlando delle sue tentazioni diceva: «La mia anima era come un ferro così arrugginito dai peccati, che ci volle il fuoco della giustizia di Dio per ripulirla un po’». Tutti i travagli, tutte le pene e tutte le tentazioni che la Madre di Chantal ha sofferto da che rimase vedova non le sembravano parago-

79 Ndt: La citazione precisa dal libro del Siracide (34, 10) è la seguente: «Chi non ha avuto delle prove, poco conosce».

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nabili a quelli che ha sopportato durante gli ultimi otto o nove anni della sua vita e il suo tormento era tanto più grande quanto più sottile era la materia, spirituale o divina, su cui era tentata. Diverse volte ad alcune sue figlie ha detto durante gli ultimi anni queste parole: «Vedete, figlia mia cara, nella violenta perseveranza delle mie tentazioni e pene spirituali, sono ridotta al punto che nulla di questo mondo può darmi alcun sollievo, se non la parola morte! E frugo ovunque nella mia mente per vedere quanto mio padre, mio nonno e i miei avi sono vissuti, affinché io possa dare un po’ di sollievo alla mia anima attraverso il pensiero che non mi resterà più molto da vivere. Eppure sono pronta a vivere fin tanto che Dio lo vorrà». Le piacevano molto queste parole pronunciate da una persona molto ricca spiritualmente: Non trovandoci più nelle persecuzioni della Chiesa, bisogna che ora ci sacrifichiamo a vivere come i martiri si sacrificavano a morire. Disse una volta a una delle sue figlie: «Non voglio più pensare a quando morirò; mi sono fatta scrupolo di perdere del tempo nel considerare che mio padre è vissuto solo settantatré anni e che io non vivrò più di lui; questo per me è solo un inutile sollievo». Un’altra volta disse in confidenza che l’orribile e continuo tormento che le tentazioni le facevano patire era così grande che non aveva più fame, né sete e non si ricordava neppure di soddisfare altre sue necessità corporali, se non era qualcun altro a richiamarglielo alla mente. «Sono assalti così furiosi – disse – che non so come proteggere il mio spirito. Mi sembra che mi manchi la pazienza e che io sia pronta a perdere tutto, a lasciare tutto. Quello che dico alle altre a me non serve a nulla. Non parlo affatto delle mie sofferenze, neanche a Dio. Mi basta sapere che la sua bontà sa e vede tutto». Disse pure che più era combattuta interiormente, tanto più vigore e forza fisica aveva e questo costituiva per lei un ulteriore martirio. Una delle sue figlie le chiese se confessasse queste tentazioni e pene interiori. Rispose di no: l’effetto di quelle sofferenze era solo il farla patire. Quando era Superiora non parlava mai delle sue tentazioni se non a certe buone anime, al fine di istruirle e alleviarle. Diceva che aveva fatte sue queste parole della Regola, che, conformemente alle Sacre Scritture, afferma: Chi trascura la sua strada morirà. La sua via era il guardare sempre a Dio e lasciarlo fare, senza vedere né esaminare con curiosità ciò che accadeva in lei. Quando aveva una Supe410 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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riora trovava sollievo nel seguirne la direzione. Al di fuori di questo, cercava ciò di cui aveva bisogno nelle istruzioni datele dal Fondatore. Una volta, con spirito di materna confidenza, disse a una delle sue figlie: «Fin dalla mia infanzia, Dio mi ha dato dei sentimenti così forti verso la fede, che mille volte gli ho offerto il mio sangue e la mia stessa vita per sostenerla. La sua bontà non mi ha trovata degna, ma la sua giustizia ha permesso che entrasse in me un tiranno tentatore così crudele che non vi è ora del giorno che non scambierei volentieri con quella della mia morte. Prima di incontrare il nostro Beato Padre e di pormi sotto la sua direzione credevo che avrei perso la testa, perché, essendo molto in ansia, non bevevo, non mangiavo e non dormivo più». La cara Madre Péronne-Marie de Châtel aveva scritto, in mezzo ad alcune copie di lettere della Fondatrice, queste parole: «Tutte le figlie della Madre di Chantal avrebbero temuto e sofferto tanto se avessero conosciuto il martirio interiore che lei viveva e se avessero saputo che, giorno e notte, nella preghiera come al di fuori di essa, nel lavoro e nel riposo, il suo cuore era sotto il torchio di un tale supplizio che solo la Superiora conosceva e del quale non poteva sentir parlare senza provare una profonda compassione, benché percepisse distintamente il disegno di Dio sull’anima di Giovanna Francesca: farla passare per una porta molto stretta». Trovandosi così fortemente oppressa da tentazioni e da cattivi pensieri ebbe paura che il suo spirito, provato dalla durata di quelle pene, non commettesse qualche errore. Per quella ragione chiese alla Madre de Châtel se trovasse giusto che facesse voto di non fermarsi, né volontariamente né in altro modo, a guardare o a rispondere alle sue tentazioni. La Madre de Châtel lasciò scritto che non volle permetterle di esprimere quel voto per tutta la vita, ma che poteva farlo al mattino per tutta la giornata. Così, cominciò a formularlo nel suo esercizio mattutino. Correva l’anno 1636; non sappiamo però se la Madre di Chantal abbia continuato per tutto il resto della sua vita. Nel 1637, durante l’ottava del Santissimo Sacramento, volle rendere conto della sua anima alla Madre de Châtel; costei, con molta franchezza e perché desiderosa di trarre da quella Madre Beata tutto quello che poteva, le disse: «Madre mia, ora non ho tempo, ma vi prego di scrivermi su un pezzetto di carta in quali disposizioni sia il vostro cuore». Giovanna Francesca obbedì molto semplicemente e sul 411 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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retro di una lettera 80, che conserviamo gelosamente, scrisse queste parole: «Scrivo di Dio e ne parlo come se ne avessi grandi sentimenti: questo perché voglio e credo che quel bene sia superiore alla mia pena e alla mia afflizione. Non desidero altro che il tesoro della fede, della speranza e della carità e di fare tutto quello che capirò Dio vuole da me. Dopo Pasqua questa pena un po’ mi ha lasciata, mi riferisco all’angoscia e ai miei frequenti cattivi pensieri, e ora provo molto più piacere e pace in questa semplice visione di Dio. Quanto alle sofferenze le vedo sempre in me e di quando in quando l’angoscia riappare e il mio spirito resta là, in solitudine, mentre tutto attorno a lui vengono sferzati i colpi, come grandine; ma Dio lo tiene là e gli impedisce di guardare altro che Lui. Egli, per contro, se ne sta quieto, ma stanco; talvolta si spaventa e vuole vedere se può trovare qualche rimedio, ma invano. Finché non si pone in Dio e non si getta nelle sue braccia misericordiose, senza compiere nessun atto, perché non ne può fare. Quello che mi fa soffrire di più è il troncare le riflessioni, fino a che, grazie a qualche piccola luce, il mio spirito si riprende. È un tormento inesplicabile, che però non m’impedisce di concentrarmi, di scrivere, di parlare di affari e di altre cose, malgrado che, quando il male è molto forte, io lo tenga sempre davanti agli occhi. Questo mi porta a desiderare la morte per timore che la lunga durata della pena non mi faccia inciampare e cadere. Vorrei trovarmi in Purgatorio per non offendere Dio e per essere certa di essere eternamente sua. Non assecondo però questo desiderio perché, se Dio non si offende di questo e se a Lui piace che io soffra tutta la vita, io ne sono felice, a condizione che anche io sappia ciò che desidera che io faccia e che io sia a questo fedele. Qualche volta nel mio spirito vi è una grande confusione di tenebre e di impotenza, di pensieri, di dubbi, di rifiuti e di altre simili miserie. Quando il male giunge al suo apice queste sofferenze sono quasi continue e questo mi provoca una pena indicibile e non so neanche cosa fare per essere sollevata da quel tormento. Da un lato la sofferenza mi opprime e dall’altro provo un amore così grande per la santa fede che morirei per essa. Quando vedo che tutti

80 La

lettera porta la data dei primi giorni dell’anno 1637.

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assaporano quella felicità è per me un martirio il vedermene priva; allo stesso modo soffro nel vedermi privata della confidenza e del riposo di cui godevo un tempo in un perfetto abbandono nelle mani di Dio e della sua Provvidenza. Quando considero queste privazioni, anche se per breve tempo, mi sento come in un labirinto: se Dio non mi sostenesse, sarei come sull’orlo della disperazione, senza però poter disperare, né desiderare di essere fuori dal mio tormento, se mi assicurano che Dio mi vuole in esso. Sono pure nell’incapacità di accettare il male che la tentazione mi presenta, sebbene, finché dura il male, io non conosca questa impotenza. Ma dopo che Dio mi ha mantenuta in esso, godo talvolta di una certa pace e soavità interiori molto esili, con ardenti desideri di non offendere Dio e di fare tutto il bene che potrò». Ecco come la Fondatrice si è espressa, sempre con molta semplicità, sia quando parlava delle grazie e dei godimenti, sia quando descriveva le pene e le sofferenze che sono state per lei sempre così grandi e di lunga durata. La cara sorella che dormiva vicino a lei ha detto che, talvolta, sentendola girarsi nel letto e sospirare, andava a vedere se stesse male. «No, per quanto riguarda il corpo – rispondeva lei –, ma pregate Dio per me: sono in un grande travaglio interiore». Perse molte consolazioni, luci e sostegni interiori; le rimase però sempre la dolce passione per la lettura spirituale. Colui però che voleva possedere quell’anima benedetta tutta nuda la spogliò ancora di quella soddisfazione e permise che provasse un grande disgusto ed avversione per la lettura tanto che, in confidenza, ad una delle sue figlie, disse che solo il sentirla a tavola era per lei come tanti dardi che le trapassavano il cuore. Con questa nuova afflizione rimase totalmente priva di qualunque consolazione tanto che disse che la sua anima era come una persona sempre in agonia che non riesce a mangiare nessun tipo di cibo. Quando nel 1641, ultimo suo anno di vita, fece in modo di essere deposta dalla carica di Superiora, una delle sue figlie gliene chiese il motivo. Lei rispose: «Figlia mia, io dirò in generale le ragioni estrinseche; ma eccone una che è particolare e che, per compassione, vi deve far gradire che io sia deposta: il mio spirito si trova in una disposizione così dolorosa e maligna che tutte le tentazioni spirituali e le pene di cui le mie figlie mi parlano subito mi assalgono. Dio mi suggerisce quello che devo dire loro per consolarle, ma io resto nella mia miseria. 413 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Non devo dunque desiderare di pormi tra le mani di una buona Superiora che mi guidi in questo stato di penosissimo accecamento?». Quando la cara Madre Marie-Aimée de Blonay giunse in questo monastero dopo l’elezione, parlando della sua vita interiore alla Fondatrice, accennò ad alcune pene spirituali che un tempo aveva provato. A mani giunte e con le lacrime agli occhi, la Madre di Chantal le disse: «Mia carissima Madre, vi supplico, non andate oltre, perché altrimenti sarei afflitta da quella tentazione; anzi la vedo arrivare, eccola che mi assale». Di sua mano aveva scritto in due luoghi, per poterle leggere più spesso, queste parole del cardinal Bellarmino 81: Non esiste proposito più fermo e sicuro, né maggiore sicurezza della propria salvezza, se non l’esecuzione della volontà di Dio che ci è indicata per tramite dei nostri superiori. Se piace al nostro Creatore e Redentore porci nelle angosce e nei pericoli, chi siamo noi per osargli dire: Perché ci avete trattato così? Giovanna Francesca amava moltissimo quelle parole; della sua fedeltà, senza voler fare alcun paragone, possiamo dire ciò che è stato detto del santo e paziente Giobbe: non offese e non peccò nelle sue afflizioni 82. La Beata Madre fu proprio così: la sua coscienza era purissima, non cedette mai minimamente a nessuna delle sue tentazioni, portava ogni cosa al confessionale, che è il vero luogo della semplicità e della verità.

81 Ndt: Roberto Francesco Romolo Bellarmino (1542-1621), teologo gesuita, ca-

nonizzato nel 1930 e riconosciuto Dottore della Chiesa nel 1931. 82 Ndt: Cf. Gb 29, 30 e 31.

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XXVIII.

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FAVORI E GRAZIE SOPRANNATURALI E STRAORDINARIE CHE LA BEATA MADRE RICEVETTE

Non esiste primavera ridente e fresca che non sia seguita da un’estate ardente, né un piacevole autunno a cui non segua un rigido inverno. Così non credo che esistano anime che per poco che sappiano di spiritualità ignorino che non si può mai essere nella stessa condizione. Giovanna Francesca ne visse di ben diverse e potremmo dire che ha provato grandi beni e grandi mali, ma che tutto le riuscì sempre così bene, perché in tutto ha costantemente amato ed operato. Non vogliamo qui ricordare dettagliatamente le grazie straordinarie che ha ricevuto dalla divina liberalità, come l’estasi durante la quale vide Francesco di Sales; la visione della porta di San Claudio o quella della moltitudine di ragazze e donne che vide venire verso di sé e che Dio pose sotto la sua direzione; o ancora quella dei tre pellegrini che scomparvero dopo che lei donò loro l’anello che conservava per amore del suo defunto marito; o ancora l’estasi nella quale vide il piacere che Dio prova nell’anima pura. Parleremo di alcune altre grazie che non abbiamo inserito nelle pagine che narrano la storia della sua vita: quel dono di contemplazione purissima merita proprio di essere considerato, così come anche quella capacità di arrestare ogni movimento interiore per inabissarsi nella divinità o quel fuoco d’amore che la sostenne tanto da farle dire, in diverse occasioni e a persone di sua confidenza, in particolare alla Madre de Châtel, alla quale parlava come alla sua Superiora, che aveva ricevuto da Dio una grazia che, in mezzo alle debolezze del corpo, la rendeva invece forte nello spirito. Nei primi anni di vita religiosa le sembrava addirittura che il suo corpo fosse come un estraneo a lei unito di cui si sarebbe dimenticata se non fosse stato per una carità che la faceva riflettere sulle sue necessità. Le disse pure che, dal 1615 415 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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fino al 1619, ad ogni quotidiana Comunione provava intorno al cuore un calore interiore così grande che a fatica lo sopportava. La prima volta che ricevette quella grazia fu durante il viaggio da Annecy a Lione, dove andava a fondare la nostra casa: «Allora mi trovavo pienamente nello spirito del mio voto, di fare cioè tutto quello che avrei riconosciuto come più perfetto. Mi sembrava che ad ogni Comunione quel fuoco bruciasse e consumasse qualcosa delle mie imperfezioni interiori». La Madre de Châtel le rispose: «Madre mia, il Signore si comportava con voi come un buon padre di famiglia che dà fuoco al campo per bruciare le spine affinché produca solo buon grano». «È vero – replicò lei – ma con quest’unica differenza, e cioè che le spine scoppiettano e fanno rumore mentre bruciano, mentre il fuoco interiore che sentivo agiva molto tranquillamente e soavemente». Spesso udì, con le orecchie del corpo, una dolce e piacevole voce che con poche parole la istruiva. La prima volta di cui sappiamo fu quando pregò Dio di darle una guida: Perseverate, e io ve la darò, le fu detto. Continuò così a chiederlo con lacrime e ardore e le fu mostrato in visione con queste parole: Ecco l’uomo tra le cui mani tu devi porre la tua coscienza. Un’altra volta durante un’estasi le fu detto: Come il mio Figlio è stato obbediente, così destino te a essere obbediente. Pregando a Grenoble per il Beato Padre (che era già morto, ma lei ancora non lo sapeva), udì una voce che le disse distintamente: Lui non c’è più. L’anno successivo alla morte del Fondatore, pregando sulla sua tomba, la stessa voce le disse: I vostri cuori sono sempre uniti quanto all’oggetto, ma l’uno gode e l’altro deve soffrire. Con ciò le fu data grande intelligenza della gloria e felicità del Beato Padre e la percezione che, quanto a lei, aveva ancora molto da soffrire. Alla fine di una novena che aveva fatto alla Vergine Santissima per la sofferenza che le provocava la sua impotenza interiore ad agire, le fu detto: Non spetta a voi lavorare all’interno della vostra anima, ma dovete lasciarvi operare il Padrone divino, il quale non ha bisogno che voi lo aiutiate. Subito dopo scrisse queste parole: «Oh Dio! Mi abbandono a voi, fate che veramente io possa dire: Non sono più io che opero in me, ma il mio Salvatore, tra le cui mani io mi sono abbandonata». L’8 giugno 1637, mentre pregava nell’oratorio del Fondatore, molto angosciata a causa delle sue tentazioni, udì chiaramente questa 416 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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amabile voce dirle: Guardate a Dio e lasciatelo fare. Tre o quattro giorni dopo, pregando per la stessa causa nello stesso oratorio, la medesima voce le disse: Leggete l’ottavo libro delle Confessioni di sant’Agostino. Lo abbiamo trovato scritto dalla Madre de Châtel, che aggiunse che in quella lettura la Fondatrice trovò la consolazione e il sollievo alle sue pene. Dopo la morte della Madre de Châtel, di cui Giovanna Francesca soffrì molto perché si trovò privata di un appoggio che le era molto caro, una mattina appena sveglia la stessa voce le disse: Leggete il capitolo 37 del terzo libro dell’Imitazione di Cristo. Nelle Memorie della Madre de Châtel abbiamo trovato scritto che il venerdì santo del 1637 la Madre di Chantal pregò molto intensamente affinché, senza contravvenire alla volontà divina, si potesse allontanare da lei il calice delle sue sofferenze interiori. Quella voce le disse fermamente: Cosa? L’uomo dei dolori non è stato esaudito, e voi pretendete di esserlo! Ora di che voce si trattasse, io non sono in grado di dirlo 83. Alcune anime, al momento del loro decesso, sono andate a salutarla. Prima che si sapesse della morte del Commendator de Sillery, Giovanna Francesca ne fu avvertita: per ben due volte infatti sentì una pressione sulle sue labbra e subito capì che era quel buon servo del Signore che veniva a darle il bacio della pace e a dirle addio.

83 In un manoscritto dell’antico monastero della Visitazione di Compiègne si leg-

ge ancora il racconto fatto da lei stessa di questa grazia da lei ricevuta: «Un giorno, dopo la santa Comunione, il Signore mi fece conoscere che se un’anima voleva conservarsi interiormente ed esteriormente per LUI, non vi era altra via che quella della santa pratica della castità. Mi disse ancora che quelle parole erano tutte divine, non vi era nulla di umano, tutto era scaturito dal suo Cuore amorevole. Voglio – mi disse – che le mie spose siano così pure, innocenti ed umili, da non avere altro sguardo che per Me, puramente per Me e non per appagare se stesse. Voglio che siano attaccate tutte nude alla croce, senza altro sostegno che il mio amore purissimo. Vorrei che non rifiutassero alcuna umiliazione, mortificazione o rifiuto, né altra cosa che potesse anche poco avvilirle davanti agli altri. In tutto questo ho grandi progetti per farle progredire nel mio amore e se facessero questo mi accontenterebbero infinitamente e sarei sempre disposto ad accontentarle. Il mio cuore è colmo d’amore per le anime che mi amano e si donano a me in sincerità di spirito e io mi offro a loro con l’abbondanza delle mie grazie che sono per le mie Spose che io amo teneramente».

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XXIX.

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IL SUO ABBANDONO A DIO E ALLA SUA SANTA PROVVIDENZA

Questo grande abbandono di se stessa tra le mani di Dio era il midollo e il succo di tutta la vita interiore della Fondatrice. Fin dagli esordi fu quello il suo interesse principale e fece degli esercizi spirituali volti proprio a compiere quell’intero sacrificio del suo libero arbitrio e spoliazione di sé, di cui aveva fatto solenne oblazione e che, come per altri voti, rinnovava ogni anno, come le aveva consigliato il Beato Padre che così le aveva scritto: «Prima di tutto, devi domandare al tuo Signore se giudicherà bene che tu rinnovi e riconfermi ogni anno i tuoi voti e il tuo abbandono totale tra le sue mani. Che specifichi in particolare ciò che crede ti tocchi di più, per porsi finalmente in quell’abbandono perfetto e senza alcuna eccezione, in modo che tu possa veramente dire: Io vivo, ma non sono io, bensì è Gesù Cristo che vive in me. Per questo il tuo buon Signore non ti risparmi e non permetta che tu ponga alcuna riserva, né piccola, né grande. Che ti indichi gli esercizi e le pratiche giornaliere necessarie affinché veramente e realmente sia compiuto quest’abbandono». In fondo al foglio aggiunse: «Rispondo, a nome del Signore e della Vergine Santissima, che sarà bene, mia carissima figlia, che facciate quel rinnovamento che vi proponevate e che ravviviate il perfetto abbandono di voi stessa nelle mani di Dio. Per questa ragione non vi risparmierò e voi taglierete via tutte le parole superflue che riguardano l’amore, sebbene giusto, per tutte le creature, soprattutto i parenti, la casa e la patria e in particolare il padre, come pure, per quanto sarà possibile, i lunghi pensieri rivolti a quelle cose e persone, salvo nelle occasioni nelle quali il dovere obbliga di operare o procurare i dovuti affari, al fine di praticare perfettamente queste parole: Ascolta, figlia mia, e intendi; porgi il tuo orecchio, dimentica il tuo popolo 418 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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e la casa di tuo padre 84. Prima di pranzo o di cena e la sera andando a dormire, esaminate se, secondo le vostre azioni presenti, potete dire: Io vivo, ma non sono io, bensì è Gesù Cristo che vive in me». Ha fedelmente praticato e continuato questo esercizio ed infine è giunta al punto che il Beato Padre le aveva predetto, vale a dire la perfetta e completa nudità. Dio vi ha posto mano per spogliarla e denudarla di tutto quello che poteva darle soddisfazione e sostegno, sia interiore che esteriore, per permetterle di seguire nuda Gesù Cristo nudo. Più progrediva nella virtù grazie a una pratica fedele e costante, più il Signore la spogliava, in modo che, come se nulla avesse fatto o acquisito, si vedesse sempre povera e nuda e così abbandonasse se stessa e pure la sua perfezione a Dio. Quanto più quell’anima compiva grandi cose per Dio, tanto più la sua bontà permetteva che la sua perfezione risplendesse agli occhi del mondo e tanto più la nascondeva a se stessa così completamente che, mentre ognuno la vedeva e la credeva santa, lei invece si vedeva priva di qualunque virtù e tremava al pensiero del giudizio di Dio, credendosi indegna della sua misericordia. Dio, come un padrone amorevole, per provare l’amore fedele della sua serva, dopo averle offerto molte grazie, gioie e soavità, le tolse tutto, come fosse stata una cattiva donna di casa e anche in questo lei si abbandonò alla sua guida. Abbiamo trovato scritto dalla sua cara mano queste parole: «Dopo la preghiera della sera ho avuto questa visione: Dio si era ripreso tutte le grazie e le virtù che la sua bontà mi aveva un tempo donato e di conseguenza io dovevo raccogliermi in lui». Rimase così, raccolta in Dio, con quel suo modo semplice, costante nel bene e contenta della volontà di Dio, del suo abbandono e della sua rinuncia a tutto. Portava con sé sempre e ha voluto che fossero sepolte con lei queste parole, scritte da lei e firmate col suo sangue: «Vi supplico, o mio eterno Padre, in nome del vostro Figlio Gesù, di prendere tra le vostre mani benedette la mia volontà e il libero arbitrio che mi avete donato, del quale mi spoglio e che rimetto, assieme alla mia volontà, interamente e senza alcuna riserva alla vostra santa disposizione, affinché lo gradiate; e vi supplico, per intercessione del sangue prezioso del vostro Figlio, che non sia mai mia facoltà il compiere

84 Ndt:

Sal 44 (45), 11.

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alcuna cosa contro la vostra volontà. Rinnovo con tutto il cuore il voto di completo abbandono e la totale spoliazione che feci nelle vostre mani benedette di tutto quello che sono e di qualunque cosa, senza riserva alcuna. La vostra Maestà sa, avendolo io tante volte rinnovato e in modo particolare in quest’ultimo venerdì santo del 1637, abbandonando e rimettendo di nuovo, nel seno della vostra divina protezione e nel più profondo della fedeltà al vostro santo amore, il prezioso tesoro di fede, di speranza e di carità che la vostra grazia mi ha conferito, come anche la cura della mia salvezza eterna, della mia vita e della mia morte; o ancora il riposo e la pace interiore della mia anima, le mie consolazioni e soddisfazioni, visioni e riflessioni su ciò che accade dentro di me, o il desiderio di essere liberata dalla mia pena interiore. Insomma tutto, senza alcuna eccezione, desiderando di perdermi e di inabissarmi completamente nel grembo della vostra Provvidenza paterna e di abbandonarmi totalmente alle cure del vostro amore divino; desiderando, per intercessione della vostra santa grazia, di non vedere e non guardare più nulla di ciò che accade dentro di me, ma solo voi, per riposarmi e affidarmi semplicemente. Questa è la santa volontà che mi avete fatto conoscere attraverso le divine attrazioni e i consigli del mio Beato Padre, al quale, per intercessione della vostra santa grazia, sarò fedelmente obbediente. D’ora in poi rimetto alla vostra cura tutto quello che mi accadrà in futuro e da questo momento raccomando alla vostra Provvidenza le cose più scabrose e spaventose, non volendole assolutamente osservare, ma compiendo solo quello che è in mia facoltà e lasciando a voi la cura di tutto, abbandonandomi per il tempo e per l’eternità alla vostra volontà divina. E poiché a voi piace, oh mio Dio!, che io non abbia più braccia per portarmi, né più grembo ove riposarmi se non i vostri e la vostra Provvidenza; guidatemi voi stesso, mio caro Signore, su questo santo cammino. Vogliate per me tutto ciò che vi piacerà e che io muoia a me stessa e a tutte le cose per vivere solo di voi, mia unica via. Adempite in me i vostri disegni eterni, senza che io opponga alcun ostacolo». Questa preghiera è un po’ lunga, ma è così devota che mi sarebbe dispiaciuto ometterla. Il suo abbandono era totale e sincero e il suo amore per la Provvidenza divina reale e saldo: parlare della santa Provvidenza era per lei estremamente dolce. Spesso aveva sulla bocca questa parola della Scrittura: Padre eterno, la vostra Provvidenza governa tutte le cose. Sot420 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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to questa regola se ne stava in pace. Aveva pregato il Padre Bertrand, vice Rettore del collegio della Compagnia di Gesù di Chambéry, di scriverle le principali sentenze sulla Provvidenza che si trovano nelle Sacre Scritture. Di quello scritto Giovanna Francesca redasse un piccolo estratto, perché amava molto le sintesi. Lo concluse con questo pensiero che era a lei molto familiare: «La Provvidenza celeste ci conduce con tutta la sua saggezza, potenza e bontà. Credo dunque che l’anima che si affida a lei interamente non soccomberà mai per debolezza, poiché l’Onnipotente la sostiene; né per ignoranza, poiché l’eterna Saggezza la istruisce; né per malizia, poiché è la stessa Bontà a dirigerla» 85. Non era curiosa di indagare le cose, né di prevedere ciò che sarebbe accaduto e talvolta, quando qualcuno diceva che quella tal cosa poteva accadere, se poi non si realizzava lei diceva graziosamente: «Mi fa piacere vedere che le preveggenze degli uomini sono incerte e che quindi bisogna fidarsi solo di Colui, la cui Provvidenza è infallibile». Da quasi ogni cosa traeva spunto per parlare della santa Provvidenza, per esempio dagli alberi, dall’erba, dai fiori… Al tempo della peste in questa città si vollero estirpare una quantità di gigli bianchi che si trovavano nel giardino del chiostro perché si diceva che l’odore era troppo intenso per dei tempi in cui vi era il sospetto di contagio. Giovanna Francesca pregò che non fossero tutti estirpati, dato che, «quando si passa per il chiostro si prova consolazione nel ricordarsi che la Provvidenza del Padre celeste conserva quei gigli più puliti e meglio composti di quanto non fosse Salomone con tutta la sua splendida corte».

85 Una volta la Fondatrice disse: «La perfezione che Dio chiede alle figlie di questa piccola ed umile congregazione consiste in una totale fedeltà a tutte le osservanze, un abbandono completo tra le mani della divina Provvidenza e un’accettazione assoluta della volontà divina». A proposito di un altro argomento diceva: «Amo solo queste sentenze: Ogni uomo è vanità e menzogna. Oppure quella pronunciata dal predicatore l’altro giorno: Fino a quando, figli dell’uomo, fino a quando correrete dietro la vanità? Fino a quando, mie care sorelle, continueremo a perseguire i nostri interessi e le nostre soddisfazioni? Fino a quando continueremo a desiderare cose al di fuori di Dio? Ah! Ve ne prego, impegnamoci a cercare quei veri beni. Dio vuole trarci a lui e toglierci al mondo». (Dalle deposizioni delle contemporanee della santa).

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Nei momenti felici o in quelli dolorosi, nelle notizie tristi, insomma in qualunque occasione la Madre di Chantal aveva sempre sulle labbra questa frase: Provvidenza, Provvidenza e volontà di Dio. E la ripeteva diverse volte senza aggiungervi null’altro e si vedeva che il cuore si annientava e adorava con profonda sottomissione la divina Provvidenza. Non risparmiava né cure, né pene, né una santa prudenza per evitare il male, i pericoli, le perdite materiali; ma se qualcosa avveniva contro la sua volontà umana, si poneva così assolutamente nella disposizione divina da inabissarvi il suo pensiero. Era una lezione che praticava ed insegnava continuamente: non guardare mai in ciò che accade la causa seconda, ma solo la causa prima ed universale. La nostra cara sorella Madeleine-Élisabeth de Lucinge, Superiora a Torino, che spesso l’ha accompagnata nei suoi viaggi, ci ha scritto che talvolta si meravigliava nel vedere la Fondatrice che non si spaventava mai, neanche su strade pericolose o vicino a precipizi; le diceva: «Madre mia, come fate a non tremare? Io rabbrividisco solo a vedere queste strade». Giovanna Francesca si metteva a sorridere e rispondeva: «Figlia mia, un piccolo passerotto non cade nelle reti del cacciatore senza che la Provvidenza del nostro Padre celeste lo disponga. A maggior ragione una creatura ragionevole non cadrà in un precipizio senza un suo ordine. Se poi lui ha così predisposto, che possiamo dire?» 86. La presenza di Dio in qualunque luogo e la sua Provvidenza sulle sue creature erano nel suo cuore come i due occhi che la orientavano in tutte le sue azioni. Amava profondamente questi due salmi di Davide: Domine, probasti me e Dominus regit me 87 e li recitava per devozione nei giorni 86 Una delle contemporanee della santa testimoniò di averle sentito dire: «Sorelle mie, vi assicuro che l’anima che si appaga di riposarsi in Dio con totale fiducia, non è mai scossa da nulla, tutto le va per il meglio, sia ciò che piace a Dio, sia ciò che piace a lei. L’anima che ha posto tutta la sua fiducia in Dio non ha mai bisogno di nulla, perchè Colui al quale si affida ne ha una tale cura da porre sempre il suo occhio su di lei per cercare il suo bene. Mi spiace constatare che ci appoggiamo troppo sulle creature; le figlie della Visitazione devono affidarsi ed abbandonarsi totalmente a Dio e avere una tale fiducia nel Salvatore che, quand’anche il mondo fosse contro di loro, esse non dovrebbero né preoccuparsi, né affliggersi. Mie care sorelle, io me ne vado, ma Dio resta: il Padre celeste avrà cura di voi, perché allora temere e preoccuparsi? Le creature non possono nulla; il loro servizio è inutile senza il sostegno di Dio». 87 Ndt: Si tratta rispettivamente dei Salmi 23 e 139.

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di festa, qualche volta in latino, durante le Ore, o spesso li cantava in versi secondo la versione di Desportes. Nel suo libricino poi aveva scritto i seguenti versi:

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Con la sua saggia Provvidenza Dio governa l’universo, Per cammini diversi Che superano di molto la nostra intelligenza. A Dio solo spetta stabilire Ciò che conviene alle sue creature Le quali devono però sopportare Tutto ciò che Lui vuole. Tutto il bene della nostra vita Consiste nella volontà divina; E quando si compie totalmente Si realizza la nostra felicità più piena 88. Mi sorge questo pensiero: il cuore della Beata Madre era quella casa che la Sapienza divina aveva edificato per sé, sostenuta da sette colonne, che rappresentano i sette voti che aveva espresso: povertà, castità, obbedienza; obbedienza particolare al Fondatore per quanto atteneva la sua vita interiore; tendere sempre alla perfezione; recitare tutti i giorni il rosario e onorare la Vergine ed infine non cedere, né poco né molto, alle tentazioni.

88 Ndt: I versi francesi sono in rima alternata. Come già altrove, abbiamo preferito nella traduzione rimanere più fedeli al senso che alla metrica.

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XXX.

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QUANTO ERA SALDA ED ILLUMINATA LA DIREZIONE SPIRITUALE DELLE ANIME A LEI AFFIDATE

Dio aveva scelto Giovanna Francesca per essere direttrice di molte anime e condurle sulla via del suo santo amore e della pura vita spirituale. Così, affinché potesse insegnare al meglio, le fece conoscere, con l’esperienza personale, come dovesse istruire gli altri. In questo modo chi si poneva sotto la sua direzione aveva la certezza che chi la guidava era una persona che aveva già percorso quel cammino, e non lo aveva appreso sui libri o su altre carte. Vi sono anime santissime che sono giunte alla perfezione mediante una pura e improvvisa grazia, in modo che, sebbene la posseggano, non sono però adatte a guidare altre anime, così come ho sentito dire dalla Fondatrice. Quelle anime vivono solo per se stesse e per Dio; Giovanna Francesca invece, che era stata destinata al prossimo, passò, per volere del Signore, attraverso quasi tutti gli stati interiori, in modo che non vi fosse via troppo segreta, cammino troppo nascosto, sentiero troppo stretto ed oscuro nella vita interiore che lei non conoscesse perfettamente. Abbiamo saputo da un grande servo del Signore che di qualunque grado di preghiera, o di unione sublime, o di amore puro, o di sofferenza interiore si parlasse alla Madre di Chantal, si capiva subito che l’occhio penetrante del suo spirito illuminato da Dio preveniva quello che si aveva intenzione di dirle perché lei aveva già capito tutto. Così, solitamente, l’anima che le parlava, sentiva, grazie ad una profonda empatia, che non solo lei parlava e dava consigli grazie ad una scienza infusa dal Cielo, ma anche grazie alla sua esperienza personale. Diceva che ci sono due segreti per ben guidare un’anima: il primo consiste nel conoscere bene la tensione verso Dio presente in ognuno di noi; il secondo nell’operare sulle anime solo in funzione dell’interesse di Dio, senza desiderare di far apprezzare le nostre mas424 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sime, stimare il nostro modo di procedere, o stringerci a loro con un affetto particolare. Dio le aveva concesso la grazia di non avere alcuno scopo né desiderio di conquistare l’affetto delle creature, perché ci deve bastare il sapere che Dio ha ordinato a tutti di amare il nostro prossimo. Un giorno, istruendo una delle sue figlie che era stata richiesta come Superiora in uno dei nostri monasteri, la scongiurò in tutti i modi di impegnarsi grandemente, quando sarebbe stata in carica, nella direzione spirituale della sua comunità. «Fuggite – le disse – un difetto che io stessa ho conosciuto. Alcune Superiore vogliono condurre le loro figlie secondo la propria via; così quella che sceglie la strada dei colloqui interiori vuole che anche quelle figlie la percorrano; quella invece che preferisce la semplicità e la nudità interiori, vuole impegnarvi tutte le sue figlie; quelle che vanno per la via della riflessione, vogliono che tutte agiscano e questo più che guidare le anime le distoglie dal vero cammino». In un’altra occasione disse: «Ho conosciuto alcune anime non mortificate e fantasiose che pensano di vivere degli stati in cui invece non si trovano affatto. Non mi faccio alcuno scrupolo di dissuaderle, sebbene mi si voglia far credere che quella è la loro strada. Questo infatti significa allontanarle da loro stesse per portarle a Dio. Allo stesso modo, invece, quando si vede una figlia salda e virtuosa, volerle far cambiare direzione significa sottrarla all’azione di Dio per sottoporla alla propria e ciò facendo le si recherebbe gran danno». Per incoraggiare le anime non dava peso alle cose più straordinarie o sublimi, né dimostrava minore stima per un percorso più umile; diceva infatti che si dimostra molta ignoranza nella guida delle anime quando si esalta una via e se ne denigra un’altra, poiché, secondo lei, l’unico vero stato indegno è quello del peccato e dell’imperfezione. Una volta una sorella le disse che alcune persone dalla vita spirituale molto profonda le avevano consigliato di trascurare un’idea molto buona che aveva avuto per applicarsi più direttamente a Dio. Giovanna Francesca rispose: «Dio perdoni loro questo consiglio. Non bisogna mai darne di simili se non si conoscono bene a fondo le anime. Queste cose non possono essere dette indifferentemente a chiunque, perché facilmente potrebbero essere tratte in inganno. Spetta a Dio il porre le anime negli stati soprannaturali e non agli uomini spingerveli». 425 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Diceva anche: «La via dei buoni pensieri e delle idee sante non è in alcun modo contraria alla preghiera di semplice quiete e riposo. Quando Dio ne fa dono ad un’anima, senza che lei si sforzi a forgiarla, è come se le presentasse un’agevole zattera con cui arrivare al porto del sacro riposo interiore, dove, dopo aver lodato Dio per le sue opere, ci si sofferma sull’Artefice. Chi conosce la via interiore praticata dal Fondatore la riconoscerebbe come la sua: ogni cosa lo portava a Dio e i suoi pensieri santi, nelle diverse occasioni, erano molto frequenti». Ad una delle sue figlie aveva scritto queste parole: «Seguite il vostro cuore senza turargli le orecchie, perché altrimenti gli impedireste di ascoltare la voce soave delle creature ragionevoli, di quelle irragionevoli e di coloro che possiedono soltanto l’essere. Quando udirete il loro linguaggio muto, avvicinate le vostre orecchie: la loro armonia passa, ma l’intelligenza rimane e serve molto ad altre anime». Una cosa che si ammirava molto in quella grande direttrice di anime era che, essendo giunta ad un elevatissimo grado di contemplazione e ad una visione di Dio molto semplice e separata dalle immagini e dalle azioni sensibili, era capace, con la stessa facilità, di dare consigli ai principianti, a coloro che avevano già percorso una parte del cammino, come anche a chi progrediva di perfezione in perfezione. Con grande chiarezza discerneva le vie di Dio su ogni anima ed era in grado di riconoscere se il desiderio veniva da Dio o dall’amor proprio, se la luce che dicevano di ricevere era emanata dall’angelo della luce o da quello delle tenebre. Senza adulazione comunicava alle anime il difetto o l’errore che vedeva in esse e teneva in considerazione solo ciò che produce umiltà nell’anima, rendendola virtuosa e unendola a Dio. Il suo zelo era ardente per il bene e la crescita delle anime, anche se non le caricava di consigli, né le opprimeva. Diceva che talvolta, «se si pesa troppo sui cuori, si finisce con lo schiacciarli sulle loro stesse vie». Un giorno una buona anima disse che, guardando la Beata Madre, alla quale molte persone da ogni luogo si rivolgevano per essere guidate verso la perfezione, le sembrava che fosse come una persona che, dall’alto di una torre, vede da ogni parte arrivare viaggiatori a chiederle la direzione; lei, senza neanche muoversi, risponde loro: «Voi andate verso levante; voi verso ponente; voi altri verso mezzo426 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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giorno». In questo modo Giovanna Francesca, viste le numerose grazie divine ricevute, la fatica e la fedeltà con le quali aveva ad esse corrisposto, era giunta al culmine dell’alta torre della santissima perfezione e da lì, senza muoversi, vedeva, grazie ad una visione molto chiara e distinta, i diversi cammini che coloro che venivano a consultarla dovevano percorrere e a ciascuno rispondeva adeguatamente. Mi ricordo che una volta una persona dalla vita spirituale molto profonda aveva dato ad un’altra da leggere il libricino dell’abnegazione interiore. A questo proposito la Fondatrice ci disse: «Tutto ciò è inopportuno. Nello stato in cui quell’anima si trova quella lettura le arrecherà solo pena e agitazione, perché quei consigli non sono adatti a renderla più salda sulla via verso la quale Dio la sta attirando a sé». E infatti avvenne così come lei aveva detto e quella persona venne a porsi sotto la sua direzione, ricevendo da lei la luce necessaria, perché la Beata Madre aveva ricevuto questo dono da Dio. Si accorgeva subito se una sua figlia si comportava con semplicità o se usava degli artifici. Ne conosco diversi esempi, ma ne racconterò solo alcuni. In un nostro monastero una religiosa fingeva di stare male e diceva che, se non le avessero applicato alcune reliquie, i demoni le avrebbero impedito di mangiare. Giovanna Francesca riconobbe subito l’inganno e disse che voleva applicare lei stessa quelle reliquie: pose pertanto un pezzetto di legno dentro un foglio di carta e lo mise sul capo della ragazza, che fingeva di essere svenuta. Subito rinvenne, dicendo che la reliquia aveva fatto fuggire il demone. Si alzò e mangiò di gusto. Poi la Beata Madre le fece sapere che il suo inganno era stato scoperto e così le fu imposta una penitenza. Entrando una volta in un monastero, una religiosa le disse: «Madre mia, ho visto il vostro buon angelo che mi ha guarita dalla tentazione che io avevo di essere impiegata nelle cariche più alte». All’istante Giovanna Francesca capì che stava parlando con malizia e così le disse: «Figlia mia, seguite dunque la grazia e chiedete alla vostra superiora di attribuirvi solo piccoli impieghi. Sono sicura che ve lo concederà». Questa risposta colpì così profondamente quella figlia, perché dimostrava che la sua umiltà era finta e non santa. Molte volte, soltanto leggendo le lettere di coloro che dicevano di essere tentate o in pena, riconosceva che si trattava di una simulazione e scriveva alle loro Superiore, consigliando loro di metterle bene 427 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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alla prova e di non fidarsi di ciò che avrebbero raccontato. Raccomandava loro soprattutto di sottoporle a diverse domande e di verificare se si offendessero. In questo modo voleva umiliarle e dimostrare che non aveva tempo da perdere dietro a loro. Quante persone ha disingannato, sia per quanto riguarda le grazie che credevano di ricevere, sia per le pene nelle quali fingevano di essere. Le prime, infatti, s’illudevano per ignoranza, le altre per malizia! Quando invece le sofferenze erano vere, dimostrava una premura e una carità inimmaginabili per recare sollievo a quelle anime, anche perché sapeva bene quanto quel carico fosse pesante. In diverse occasioni ha ammesso che quando le anime si rivolgevano a lei Dio le faceva provare verso quelle sincere una certa apertura di cuore, grazie alla quale, più ancora che con le loro parole, capiva lo stato in cui quello spirito si trovava. Quando invece si rivolgevano a lei con artificio e doppiezza, lei lo capiva subito, perché Dio faceva in modo che lei rivolgesse altrove la sua attenzione e non le suggeriva nulla da dire a quelle anime.

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XXXI.

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I SUOI CONSIGLI E LE SUE MASSIME RIGUARDANTI SOPRATTUTTO LA PREGHIERA

Giovanna Francesca, per quanto attiene alla vita spirituale, stimava sopra ogni cosa la virtù salda e diceva: «Ho conosciuto nello spirito umano talmente tanta vanità, sensualità, facilità di immaginazione, debolezza a credere, che non mi emoziono molto davanti alle cose straordinarie, a meno che non vi riconosca una virtù vera e solida». Una Superiora le scrisse una volta un lungo racconto a proposito di alcune grazie straordinarie che una delle sue figlie aveva ricevuto. La Fondatrice le rispose: «Mi avete mandato le foglie dell’albero; mandatemi ora un po’ dei suoi frutti, affinché possa giudicarli. Quanto a me, in effetti, non mi fermo mai alle foglie. Ora, i frutti di un cuore buono che Dio irriga e fa fiorire per mezzo della sua grazia consistono in una dimenticanza totale del proprio interesse, in un amore grande per l’annientamento di se stessi e in una gioia universale per il bene e la felicità del prossimo, senza alcuna eccezione». Un’altra Superiora le scrisse che aveva una novizia che, durante la preghiera, cadeva a terra svenuta, e non riusciva a ricrearsi, né a lavorare a causa della violenza del desiderio che diceva provare. Giovanna Francesca le rispose in questi termini: «Ho appena fatto la comunione per la vostra novizia, mia carissima figlia, e vi dirò sinceramente che quella ragazza s’inganna da sola. Considerate questa massima come inviolabile: le grazie così straordinarie sono delle amorevoli trasformazioni operate da Dio, durante le quali l’anima deve dire: Io vivo, ma non sono io, bensì è Gesù che vive in me. Ora, se Gesù vive nell’anima, vi produce sicuramente semplicità ed umiltà, poiché Egli è Dio e uomo. Come Dio, è un atto purissimo e semplicissimo; come uomo, è solo umiltà e bassezza, e quanto più l’anima si unisce a Lui, tanto più essa appare vile ai suoi occhi e desidera vivere sconosciuta e disprezzata». 429 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Non voleva che nessuna di noi fosse coinvolta in preghiere sovrannaturali e dava eccellenti consigli per riconoscere quando esse provengono da Dio e non dall’amor proprio. Eccone otto, scritti con la sua cara mano ad una religiosa della nostra congregazione: «Sì, di buon grado, mia carissima figlia, cercherò di descrivervi alcuni segni con i quali riconoscerete se il vostro riposo e la vostra quiete provengono da Dio: 1. Osservate, mia carissima figlia, se, sebbene, come la comunità, voi prepariate la vostra preghiera, non potete servirvene, ma sentite che, senza artificio da parte vostra né di coloro che vi dirigono, il vostro cuore, il vostro spirito, la parte più intima della vostra anima sono attratti soavemente verso quel sacro riposo, godendo pacificamente di quello che per grazia divina già da più anni avete desiderato. 2. Se notate che quell’attrazione vi conduce verso la piccolezza e l’avvilimento di voi stessa. 3. Se imparate, tra queste soavità e santo riposo, ad essere solo di Dio, a obbedire a Lui e alle vostre Superiore, senza eccezione alcuna; se imparate a dipendere solo dalla Provvidenza divina e a non desiderare altro che la sua santa volontà. 4. Se questo riposo vi toglie e vi fa lasciare qualunque attaccamento affettivo alle creature e alle cose terrene per unirvi e congiungervi solo all’amore del Creatore, poiché, figlia mia, non è ragionevole che l’anima che si compiace in Dio goda delle cose basse e a Lui inferiori. 5. Se questo vi porta a meglio conoscervi, a essere più semplice, sincera, vera e, insomma, candida come un bambino. 6. Se, nonostante la soavità che ricevete da quel dolce riposo, non siete pronta a ritornare alle immaginazioni, considerazioni, o anche alle aridità quando Dio lo vorrà. 7. Se non siete più paziente ed umile a sopportare le vostre infermità, anche se non desiderate soffrire di più, senza cercare altro sollievo o appagamento che quello di accontentare il vostro Sposo. 8. Osservate brevemente, semplicemente e generalmente se il vostro desiderio e sonno amoroso vi fanno disprezzare maggiormente il mondo, le sue vanità ed interessi; in pratica, se vi sembra che metta il mondo, la sua gloria e voi stessa sotto i piedi, facendovi stimare più che ogni altra cosa il disprezzo, la semplicità, la bassezza, le pene e la croce. 430 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Del resto, mia carissima figlia, ritengo in verità che il vostro desiderio sia buono e che venga da Dio. Non affannatevi per nutrire la vostra anima, perché quel sonno vale molto più che qualunque cibo e vi dico che, sebbene vi sembri che la vostra anima dorma, in realtà non smette mai di nutrirsi e di mangiare anche delle buone e delicatissime carni. Essa è però così attenta all’amoroso Gesù che la festeggia, che non si accorge dei cibi che le vengono serviti. È proprio così che bisogna fare, altrimenti l’anima potrebbe rischiare di perdere il suo posto a quel sacro banchetto». In quasi tutte le circostanze diceva e ripeteva che la presenza di Dio e l’eliminazione di tutti i pensieri inutili possono, in breve tempo, portare un’anima verso la perfezione. Ad una Superiora così scrisse: «Insegnate fedelmente alle vostre figlie la preparazione, la meditazione, gli affetti e le risoluzioni della preghiera, poi lasciate fare a Dio. Se la Sua bontà vuole che imparino altre cose, provvederà lui stesso. Chiunque è fedele nel distogliere i suoi pensieri dalle cose per occuparsi di Dio, stia sicuro che Dio è fedele e che lui stesso provvederà ad occuparlo. Una delle cose che più mi affliggono è il vedere che tante persone parlano della preghiera, delle grazie interiori e straordinarie, ma nessuno parla con altrettanto ardore della virtù pura e della forte mortificazione. L’anima che si impegna più ad elevarsi in alti pensieri e a godere del riposo interiore che ad abbassarsi e ad essere perfettamente obbediente e povera non sa cosa significhi imitare Gesù Cristo. Chi non pratica le virtù nelle diverse occasioni della vita, le annienta in se stesso; chi anche operasse dei miracoli senza però la pratica della virtù non sarebbe una vera serva del Signore. Ho visto diverse persone dalla vita spirituale molto ricca che mi deridevano quando raccomandavo alle nostre sorelle il santo timore di Dio. Invece è una virtù che stimo tantissimo e, se fosse per me, ne parlerei in qualunque occasione e ad ogni anima, per quanto elevata sia nella sua vita spirituale: in effetti, se lei non teme in modo filiale, senz’altro si avvilirà nel peccato». A proposito di alcune lodi disse: «Se sapessi che la vanità entrasse in un monastero, dove si cominciasse a far mostra del potere acquisito presso il mondo e a vantarsi del favore dei nobili, sarei tentata di chiedere a Dio il fuoco dal cielo per bruciare quella casa e purgarne l’Istituto. Si dirà che non so quale spirito mi muova, ma se si conoscesse l’umiltà che Dio chiede alle figlie di questa congregazione e quanto 431 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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coloro che si innalzano e fanno sfoggio di mondanità si oppongano allo spirito di Dio, molti sarebbero della mia idea. Nulla potrebbe maggiorente abbreviare la mia vita quanto il vedere la vanità e la disunione tra le figlie di Santa Maria. Ho sempre notato che Dio non comunica i segreti del cielo, né le delizie del suo amore a quell’anima che si compiace nel conoscere il mondo e si affeziona alle sue creature». Molto spesso parlava di questo passo del Vangelo: La strada che conduce alla vita è stretta; oh, quanto sono pochi quelli che vi entrano 89! Non vi è nulla, diceva, che ci deve rendere più diligenti di questo pensiero e ripeteva e soppesava con grande attenzione queste parole: Oh, quanto sono pochi quelli che vi entrano! Diceva anche: «Da tutte le nostre case si chiedono i miei consigli e i miei desideri. Quanto a me, non so nulla, né ho altro auspicio se non che si rimanga fedeli all’osservanza. È questa la volontà e il disegno di Dio sulle nostre anime. Talvolta mi prende la paura che, con tutte queste case che fondiamo, lo spirito si rilassi a causa dell’assenza di figlie e di Superiore saldamente virtuose. Io però abbandono tutto alla santa Provvidenza. Certo, se non vi si fa attenzione e se non si considera bene se siamo nella condizione giusta per fare delle fondazioni, costruiremo molte colombaie nelle quali le nostre colombe moriranno di fame sia spirituale che materiale. Non ci rallegriamo umanamente per le buone accoglienze che vengono attribuite alla nostra congregazione, ma umiliamoci e glorifichiamo il Signore. Non provo tanto piacere a sentir lodare il Fondatore quanto a vedere delle persone che imitano le sue virtù: le parole volano, ma le opere virtuose rimangono». In occasione dell’elezione di alcune Superiore disse: «Oh Gesù, quanta avversione provo per questa affannosa ricerca che le figlie fanno di madri capaci e fornite di grande esperienza! Vedete: questa falsa convinzione che le Superiore debbano possedere grandi e straordinarie capacità rovina la pura perfezione dell’obbedienza: è facile infatti obbedire ad un angelo, mentre è difficile obbedire ad un essere umano. Non vi è dubbio che bisogna scegliere una buona Superiora, ma lasciare da parte quelle che hanno buoni talenti, per andare a cercarne di migliori altrove è una cosa che mi dispiace molto. Se mi fosse

89 Ndt:

Cf. Lc 13, 22-24.

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data per Superiora la più giovane delle nostre professe, la amerei comunque di cuore». Ad una Superiora scrisse: «Figlia mia cara, abbiate coraggio. Se siete umile e devota Dio compirà meraviglie in voi e nelle vostre figlie. Considerate indispensabili queste tre massime: che gli esercizi spirituali siano osservati fedelmente; che la lettura della regola sia vivificata dallo spirito; quanto alle cose terrene, non siate né cavillosa, né prodiga, ma diligente, discreta e caritatevole nei confronti dei poveri. Quanto alla direzione delle vostre sorelle, siate equa nell’affetto, ma trattate ognuna secondo i doni di natura e le grazie che Dio ha donato loro, impiegandole nelle cariche secondo queste loro doti e non secondo i loro desideri e capricci». Detestava che si desiderasse ambire alle cariche e diceva che «una figlia non saprebbe dare maggiore prova della sua incapacità che col credersi capace di ricoprirle, perché nessuno è degno di servire nella casa di Dio se non è umile, devoto e mortificato. L’umiltà, poi, fa sì che ci consideriamo incapaci a tutto; la devozione ci fa amare le nostre celle e il nostro silenzio; la mortificazione ci fa fuggire il divertimento e il piacere dei sensi. Ho parlato a grandi regine e principesse, grandi signori e gran dame, senza trovarne uno o una che non avesse sotto il suo abito d’oro e d’argento spine pungenti sul cuore, né che godesse di quella assoluta tranquillità e dolcissima pace che trovo di solito nei cuori delle nostre povere piccole religiose. Questa mattina ho pensato che nulla è più felice sotto il sole di una religiosa che ama Dio, la sua Superiora e la sua cella. Le figlie della Visitazione non sbaglieranno mai per mancanza di istruzione, in quanto il Fondatore ha lasciato scritto tutto quello di cui abbiamo bisogno. Egli ha ben equipaggiato la nostra nave, ma se il vento della vanità entra nei nostri spiriti, esso ci farà soccombere. Vorrei poter scrivere con il mio stesso sangue in tutte le nostre case quello che il nostro Padre spirituale ci ha detto e cioè che la MADRE GENERALE del nostro Ordine è l’UMILTÀ 90; che se tutti i monasteri obbediscono a quella Madre, lei manterrà tutto l’Istituto nell’unione e nell’uniformità. L’umiltà è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno. Che importa ad un cuore che ama Dio soffrire o

90 Ndt:

Il maiuscoletto è dell’originale.

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gioire, purché si compia la volontà del Signore? Piacesse a Dio che mi trapassassero le labbra con un ferro rovente e che la bocca delle figlie della Visitazione fosse chiusa per sempre alla minima parola contro la carità, l’unione e la soavità che devono regnare tra di loro». Aveva pure scritto di sua mano una grande quantità di sentenze tratte dalle Scritture, soprattutto dal Nuovo Testamento, quelle che portano l’anima alla seria pratica delle virtù, al timore e alla venerazione del giudizio di Dio, che fanno riflettere sul conto che gli dovrà essere reso e sulla santa Provvidenza. Diceva anche che in qualunque lettura, in qualsiasi discorso noi dobbiamo attaccarci alle cose solide e non alle dolci. I libri del Padre Rodriguez e del Padre Dupont le piacevano moltissimo e ci diceva: «Dopo quelli del Beato Padre e le vite dei santi, questi sono i miei libri preferiti». Faceva ogni cosa nei tempi e nei luoghi giusti. Alcune volte per dodici o quindici giorni di seguito abbiamo visto nella sua camera lettere chiuse inviate da persone a lei carissime o stretti parenti e le chiedevamo perché non le leggesse. «Aspetto – diceva lei – che sia necessario rispondere ad esse. Altrimenti dovrei rileggerle e tutto questo comporterebbe una perdita di tempo e significherebbe indulgere alle proprie soddisfazioni». Diceva anche «che le Superiore devono essere attente a ben coltivare le figlie che hanno dei talenti naturali e di grazia. Dio non compie tutti i giorni dei miracoli e quando con qualcuno è generoso è segno che vuole essere servito in modo particolare da quelle anime e per cose rilevanti. Le figlie di buon giudizio, di buona osservanza e di buona umiltà sono più preziose dell’oro».

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XXXII.

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CONCLUSIONE

Per concludere mi soffermo a considerare nel dettaglio le perfezioni di quella sposa, per dire che era tutta bella 91. Penso non si possa dimenticare quel grande dono di raccoglimento che la teneva sempre raccolta in se stessa, sia che gioisse, sia che soffrisse. Come anche quella sua grande capacità di gestire ogni genere di affare con tale prontezza che talvolta faceva scrivere a tre di noi contemporaneamente tre cose diverse. Dettava lettere importantissime con la stessa facilità con cui parlava di cose di scarso rilievo e poi, se la segretaria aveva anche di poco sbagliato o aggiunto qualcosa di suo, diceva: «Questo non è il mio stile, ma il vostro è migliore». Ha consumato e prodigato la sua vita al servizio di Dio, del prossimo e singolarmente per ogni sua figlia. Non si può dimenticare la sua costanza in qualunque avvenimento, quel volto sempre infiammato, dolce e raccolto, tanto che, per quanto grandi fossero i suoi travagli e le sue pene interiori, nessuno se ne accorgeva, tranne quelle sorelle alle quali, per una santa bontà, ne voleva parlare per la loro istruzione e per il loro bene. Non si può dimenticare quella modestia tipica delle giovani vergini anche durante gli ultimi suoi anni; quel rifuggire e quel disprezzo per le lodi e per gli splendori del mondo; quel grande amore per la povertà, l’umiltà e la semplicità di vita; quell’oblio generale di tutte le cose e di se stessa, grazie al continuo pensiero rivolto a Dio; quella precisione indispensabile a tutte le piccole pratiche di virtù e di osservanza; quella premura nel guidare il suo gregge nelle viscere del deserto della vita 91

Ndt: Il corsivo è dell’originale. Il richiamo implicito ma più che evidente è, passando attraverso la figura della sposa del Cantico dei Cantici, alla Vergine Santissima.

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interiore, come disse il Padre Fichet; quell’unione che ha conservato nell’Ordine e l’umiltà con la quale ha agito e tenuto tutto unito a lei, rimanendo, quanto a lei, distaccata da tutto. Ecco i miracoli operati in lei, vale a dire, insomma, una perfetta virtù. Restano ora da vedere quelli che lei ha operato negli altri e la considerazione e la stima che si sono avute per lei.

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DIO SIA BENENDETTO. GESÙ. MARIA. GIUSEPPE.

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INDICE

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PREMESSA DEL TRADUTTORE (di Chiara Rolla) . . . . . . . pag. PREMESSA. Alle Memorie della Madre de Chaugy . . . .

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II. La nascita della nostra Beata Madre, e la fedeltà del Presidente Frémyot, suo padre, alla Chiesa e al Re. . . . »

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III. Il suo essere figlia e il matrimonio con il barone di Chantal. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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IV. La sua casa di campagna e come se ne prendeva cura .

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V. Come si comportava con la sua famiglia e l’ordine che mise all’interno della sua casa . . . . . . . . . . . . . . .

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VI. Come virtuosamente si comportava in assenza di suo marito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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VII. Come il barone di Chantal fu ferito a caccia e la sua felice morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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PARTE PRIMA GLI ANNI TRASCORSI NEL MONDO I. La virtù dei suoi avi. Il padre della nostra Beata Madre

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VIII. Il grande dolore. Come si comportò nella vedovanza pag.

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IX. Il grande desiderio che aveva di essere guidata sulla strada della perfezione. La sua richiesta a Dio di un direttore spirituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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X. Le diverse visioni che ebbe, sia del nostro Beato Padre sia dei piani che Dio aveva su di lei . . . . . . . . . . .

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XI. Si pose sotto la direzione di una persona che non era colui che Dio aveva scelto per lei . . . . . . . . . . . .

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XII. L’ammirevole pazienza che praticava a casa di suo suocero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XIII. I primi colloqui che ebbe con il nostro Beato Padre e come quelle due sante anime si riconobbero senza essersi mai viste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XIV. Come la Fondatrice fu consolata da due grandi servitori di Dio della pena che le derivava dal dover cambiare direttore spirituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XV. Il viaggio a Saint-Claude, dove il Beato Padre accettò la direzione spirituale della sua anima . . . . . . . . .

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XVI. Il voto di obbedienza al nostro Beato Padre. Le sue tentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XVII. Il primo viaggio in Savoia e la confessione generale al nostro Beato Padre . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XVIII. La regola che osservava personalmente e la carità che praticava . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XIX. Due esempi notevoli della sua impareggiabile carità nel servire i malati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

79

XX. Come, per onorarlo, volle filare la lana per gli abiti del nostro Beato Padre e come guarì da una malattia .

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83

XXI. Il secondo viaggio in Savoia dove il nostro Beato Padre le rivelò il progetto di vita al quale Dio la destinava »

86

XXII. Proposta di matrimonio tra la signorina di Chantal e il barone di Thorens e morte della giovane sorella del nostro Beato Padre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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90

XXIII. Il terzo viaggio in Savoia. Il suo rifiuto a sposarsi di nuovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XXIV. Come comunicò a suo padre la decisione di abbandonare il mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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98

XXV. Come il nostro Beato Padre benedisse il matrimonio tra il barone di Thorens e la signorina di Chantal e conquistò il consenso dei parenti della Fondatrice affinché lei potesse ritirarsi dal mondo . . . . . . . . . . . . . . . .

»

101

XXVI. Come Dio chiamò le prime Madri e sorelle. Alcuni fatti relativi alla fondazione del nostro Istituto . . . . .

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104

XXVII. La morte della figlia più giovane della Fondatrice. Come lasciò la casa di suo suocero . . . . . . . . . . . .

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108

XXVIII. Con quale generosità la nostra Beata Madre lasciò il suo paese e i suoi parenti per andare dove Dio la chiamava . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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111

XXIX. Ultime risoluzioni e assegnazioni prima di iniziare la fondazione del nostro Istituto . . . . . . . . . . . . .

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114

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PARTE SECONDA LA VITA RELIGIOSA

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I. Gli inizi della Visitazione . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119 II. Il fervore e la crescita della piccola congregazione . .

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122

III. La preparazione e l’amore che la Fondatrice e le sue compagne profusero nel preparare la loro professione religiosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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125

IV. La morte del presidente Frémyot; il viaggio della nostra Fondatrice a Digione e alcune grazie che ricevette lungo la strada . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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128

V. La sua impareggiabile carità a servizio dei malati . . .

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131

VI. La semplicità e l’umiltà delle nostre prime Madri

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135

VII. Le diverse malattie della Beata Madre, la sua rassegnazione e il suo abbandono alla sofferenza . . . . . . .

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138

VIII. La morte del suocero. Il viaggio a Montelon. La grande pazienza e la benevolenza che mostrava nella gestione degli affari della sua famiglia . . . . . . . . . . .

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142

IX. La nostra devota Madre fonda una casa del nostro Istituto a Lione e riceve alcune grazie miracolose . . . . . .

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146

X. La Beata Madre fonda una casa a Moulins; la sua fermezza davanti alla morte della figlia; le pene spirituali per il battesimo del nipote . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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152

XI. La nostra Beata Madre guarisce miracolosamente da una grave malattia. Fonda due case: a Grenoble e a Bourges . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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XII. La Beata Madre fonda una casa a Parigi. L’umiltà e la pazienza nelle difficoltà che incontra . . . . . . . . . pag. 161

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XIII. La nostra Beata Madre visita diverse case religiose e si reca presso le fondazioni di Orléans, Bourges, Nevers et Moulins. Lungo il cammino si ferma a casa della figlia, madame de Toulonjon, da dove parte per procedere alla fondazione di Digione . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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166

XIV. A Lione la Beata Madre e il Vescovo di Ginevra si incontrano. Lei va a Grenoble dove riceve la notizia della sua morte. La sua grande rassegnazione alla volontà di Dio »

171

XV. Il corpo del santo Fondatore è portato da Lione ad Annecy. La Beata Madre gli rende i suoi omaggi e poi fa un viaggio a Moulins . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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177

XVI. La Fondatrice lavora con altre Madri alla stesura del nostro Costumiere, secondo gli usi e le parole del santo Fondatore. La sua fermezza nel gestire gli affari dell’Istituto .

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180

XVII. Continuano le fondazioni; grandi onori e consensi tributati alla Madre a Besançon . . . . . . . . . . . . . .

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184

XVIII. La Madre di Chantal è deposta dalla carica di superiora e intraprende molti viaggi urgenti . . . . . . . .

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189

XIX. La Madre di Chantal fa raccogliere informazioni sulla vita del Beato Padre; la sua ammirevole fermezza davanti alla morte del figlio . . . . . . . . . . . . . . . . .

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193

XX. La Beata Madre è eletta superiora ad Orléans; due suoi miracoli e alcune cose degne di nota accadute durante il suo viaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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201

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XXI. La Madre di Chantal è ad Annecy durante il periodo della peste e lì lavora per il bene dell’Istituto . . . . . . . pag. 206 XXII. La Madre di Chantal assiste all’apertura della tomba di Francesco di Sales; nuove afflizioni la attendono . .

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211

XXIII. La Beata Madre fonda un secondo monastero ad Annecy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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215

XXIV. Deposizione della Beata Madre; morte di Monsignor Jean-François de Sales; nuovo viaggio in Francia. .

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219

XXV. La morte delle prime Madri e le pene interiori della Fondatrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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224

XXVI. Nuova fondazione a Torino . . . . . . . . . . . .

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227

XXVII. La Madre di Chantal si impegna per stabilire in Savoia i Padri della Missione . . . . . . . . . . . . . . .

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233

XXVIII. La morte del Vescovo di Bourges . . . . . . . .

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237

XXIX. La Beata Madre è destituita dalla carica di Superiora. La sua perfetta umiltà e carità . . . . . . . . . . .

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241

XXX. La sua elezione a Moulins e il suo ultimo addio al primo monastero di Annecy . . . . . . . . . . . . . . . .

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245

XXXI. Il suo ultimo soggiorno a Parigi, a Nevers e a Moulins . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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249

XXXII. La sua felice morte . . . . . . . . . . . . . . . .

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253

XXXIII. Gli onori resi alla sua memoria . . . . . . . . .

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PARTE TERZA LA PRATICA DELLE SUE VIRTÙ EROICHE

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I. La fede della nostra Beata Madre . . . . . . . . . . . . pag. 271 II. La sua speranza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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276

III. Il suo amore verso Dio . . . . . . . . . . . . . . . .

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280

IV. Ancora del suo amore verso Dio . . . . . . . . . . .

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286

V. Il suo amore e la sua carità verso il prossimo . . . . .

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291

VI. Ancora del suo amore e della sua carità verso il prossimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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298

VII. La sua paziente carità nel sopportare il prossimo . .

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304

VIII. Come praticò le quattro virtù cardinali . . . . . . .

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311

IX. La sua pietà e il suo zelo per il culto divino . . . . .

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316

X. La sua devozione per il Santissimo Sacramento, nella Messa e nell’Eucaristia . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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321

XI. La sua devozione e la sua fiducia nella Vergine . . .

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326

XII. La sua devozione all’angelo custode e ai santi . . . .

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332

XIII. Il suo amore per la povertà . . . . . . . . . . . . .

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335

XIV. Ancora del suo amore per la povertà . . . . . . . .

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340

XV. Il suo amore per l’obbedienza . . . . . . . . . . . .

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346

XVI. Il suo amore per la purezza . . . . . . . . . . . . .

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352

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XVII. Il suo amore per l’umiltà . . . . . . . . . . . . . . pag. 354 XVIII. Ancora del suo amore per l’umiltà . . . . . . . .

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359

XIX. La dolcezza e l’umiltà della sua condotta . . . . .

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365

XX. Quanto disprezzasse tutto ciò che sapeva di mondanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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371

XXI. Il suo amore per l’osservanza delle regole . . . . .

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377

XXII. La sua dolce conversazione e la sua scrupolosità nell’osservanza nel silenzio . . . . . . . . . . . . . . . .

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383

XXIII. Cominciamo a parlare della vita interiore della Beata Madre e, prima di tutto, dell’onore e dell’obbedienza verso il suo Direttore . . . . . . . . . . . . . . . . .

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388

XXIV. Le sue vie di preghiera . . . . . . . . . . . . . .

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392

XXV. Ancora sulle sue vie di preghiera . . . . . . . . .

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397

XXVI. Le sue pene interiori . . . . . . . . . . . . . . .

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403

XXVII. Le sue tentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . .

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409

XXVIII. Favori e grazie soprannaturali e straordinarie che la Beata Madre ricevette . . . . . . . . . . . . . . . . .

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415

XXIX. Il suo abbandono a Dio e alla sua santa Provvidenza »

418

XXX. Quanto era salda ed illuminata la direzione spirituale delle anime a lei affidate . . . . . . . . . . . . . .

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424

XXXI. I suoi consigli e le sue massime riguardanti soprattutto la preghiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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429

XXXII. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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