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Italian Pages 337 Year 2019
PAOLO ERCOLANI FIGLI DI UN IO MINORE DALLA SOCIETÀ APERTA ALLA SOCIETÀ OT TUSA PREFAZIONE DI
LUCIANO CANFORA
Marsilio
ANCORA
Marsilio ANCORA
PAOLO ERCOLANI FIGLI DI UN IO MINORE DALLA SOCIETÀ APERTA ALLA SOCIETÀ OT TUSA PREFAZIONE DI
LUCIANO CANFORA
Marsilio ANCORA
© 2 0 1 9 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: marzo 2 0 1 9 ISBN 97 8-88-3 17-87 1 1-6 www.marsilioeditori.it Realizzazione editoriale: Nicola Giacobbo
Indice
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Prefazione di Luciano Canfora FIGLI DI UN IO MINORE
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Introduzione
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L'uomo senza pensiero
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Il Dio cattivo
125 La gaia incoscienza 159 La notte della democrazia 1 99 I pilastri di un nuovo umanesimo 273
Epilogo. L'uomo davanti alla porta
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Note al testo
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Riferimenti bibliografici
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Indice dei nomi
Prefazione di Luciano Canfora
Il suffragio universale è entrato a far parte dei nostri costumi nonostante tutte le obiezioni di principio che si ha ben il diritto di rivolgere a tale pratica e che non si è esitato a rivolgergli, e nonostante l'esperienza che se n'è fatta. Il fat to è che, una volta introdotto nelle cose umane un procedi mento semplificativo, è difficile poi estrometterlo. Nel caso del suffragio universale, la semplificazione ha avuto come effetto di svilire progressivamente, di fronte al suffragio del numero [cioè di una maggioranza numerica] , ciò che ancora sopravviveva di influenza legale delle antiche fonti dell'autorità sociale; e vi ha sostituito un'unica fonte di potere: soverchiante grazie alla sua apparente grandezza, ras sicurante data l'impossibilità di trovare - dietro di essa diritti più generali che possano cercare di farsi valere con la violenza contro le sue decisioni. Ciò ha munito lo Stato democratico di una maestà incon testabile e ha, inoltre, prevenuto o leviato il fenomeno della sommossa e l'ha rimpiazzata con la scheda elettorale messa nelle mani di ciascun cittadino, foss' anche il più umile. Il che ha consentito al potere esecutivo di far rispettare, nel nome della maggioranza numerica della nazione, le decisioni del suo governo.
Questo scriveva, nell'anno 1 895 , Eugène d'Eichtal ( 1 844 - 1 936) , presidente della Compagnia delle ferrovie del Midi e direttore della parigina École libre des scien-
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ces politiques, nel saggio, molto tocquevilliano, Souve raineté du peuple et gouvernement. Eugène era figlio dell'ebreo convertito, e appassionato seguace di Augu ste Comte, Gustave d'Eichtal ( 1804- 1 886) . È notevole come questa pagina così perplessa e ricca di sfumature costituisca la parte centrale della voce Suf frage della Grande Encyclopédie, monumento del sapere tardo-positivistico nella Francia dei primi del Novecento. In questa pagina molto elaborata - e che il massimo strumento culturale generalista della Francia alla vigilia della Grande Guerra assume come propria presa di posi zione sul delicato tema - confluiscono vari elementi: la ribadita sfiducia rispetto ai non chiari fondamenti logici del suffragio universale; la rassegnazione rispetto alla sua inevitabilità; il riconoscimento, al tempo stesso, del suo valore positivo come calmiere sociale o valvola di sfogo alternativa alla «rivolta» nonché strumento, per i gover ni, quanto mai opportuno per fondare la perentorietà erga omnes dei propri atti. Uno dei sottintesi di questa presa di posizione, di fronte all'irresistibile fenomeno, è la quasi certezza che - ormai messo alla prova - quello strumento (in origine paventato come eversivo) non avrebbe poi dato a una (ipotizzata) maggioranza «rivoluzionaria» (o protesa a mutamenti radicali) la possibilità di prendere il potere per vie legali. Si potrebbe dire, in altri termini, che il suffragio universale è stato, alla fine, man mano conces so (in Italia molto tardi rispetto agli altri paesi d'Euro pa) quando era stata acclarata la sua innocuità. Innocuità derivante da molti fattori: dalla prolifera zione delle classi medie con conseguente fioritura dei partiti moderati e centristi in primo luogo, che è stata non a caso concomitante alla creazione di imperi colo niali alle dipendenze delle nazioni (Francia e Inghilter ra prima, Germania e Italia poi) che da tale moderna forma di «schiavismo» hanno tratto vantaggi materiali
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da condividere (in parte modesta) con 1 nspett1v1 ceti proletari. A tal proposito un notevole studioso italiano di recente scomparso, Domenico Losurdo (di cui l'au tore del presente volume fu discepolo) , ha felicemente parlato di una dialettica storica fra «emancipazione e de-emancipazione», intendendo descrivere con tale espressione fenomeni opposti ma strettamente interdi pendenti, che si alternano nel corso della vicenda uma na. Tale alternanza di momenti di estensione e di con trazione delle libertà concerne la tormentata storia dei circa due secoli di democrazia che abbiamo alle spalle. Oggi, all'indomani della storica sconfitta del sociali smo dopo settant'anni di eroismi, e dopo la creazione di un'Europa sovranazionale e rigorosamente sottoposta al comando del capitale finanziario, questa sembra sto ria antica. L'epoca della democrazia politica, fondata sullo Stato-nazione, è finita. In questo lavoro, l'autore racconta e spiega perché la nostra epoca sta vivendo un radicale processo di regres sione (de-emancipazione) rispetto alle conquiste delle democrazie occidentali come le abbiamo conosciute nel la seconda metà del Novecento. Giungendo a una pro posta solo all'apparenza paradossale: limitare la demo crazia formale (il diritto al voto) per salvare la democra zia sostanziale. Perché vi sono tempi così bui in cui può rivelarsi opportuno (o perfino necessario?) indebolire nella forma ciò che si vuole preservare nel contenuto. Lo scenario che abbiamo di fronte è quello del nuo vo autoritarismo plebiscitario (Usa, Russia) , della lotta di potenza e di classe priva di qualunque fondamento ideologico e morale (com'era invece quando esisteva il socialismo in quanto forza organizzata) . L'interrogativo al quale nessuno, per ora, sa dare una risposta è: quali strumenti sapranno (se lo sapranno) trovare i ceti meno forti e, indipendentemente da loro, i nuovi schiavi per non finire sotto il «tallone di ferro»?
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A Sara, adorata protettrice della mia ottusità
Figli di un Io minore
Ti dico che non c'è per l'uomo preoccupazione più tormentosa che quella di trovare qualcuno al quale restituire, il più presto possibile, quel dono della li bertà che il disgraziato ha avuto al momento di nasce re. Ma si può impadronire della libertà degli uomini solo colui che tranquillizza la loro coscienza. FEDOR DOSTOEVSKIJ 1 879-1880
Gli iGen sembrano così felici in Rete, con le loro espressioni buffe su Snapchat e i sorrisi sulle foto di lnstagram. Ma se si scava più in profondità, la realtà non è così confortante. Questa generazione è sull'orlo della più grave crisi di salute mentale giovanile degli ultimi decenni. In superficie, però, va tutto bene. JEAN MARIE TWENGE 2017
L'uomo si è talmente sviluppato attraverso forme lin guistiche, immagini artistiche, simboli mitici o riti reli giosi, da non riuscire più a conoscere nulla se non per il tramite di questi medium artificiali [ . . . ]. In questo modo egli non vive più in un mondo di fatti concreti, in accordo con i suoi bisogni e desideri più immediati. Egli vive piuttosto immerso in emozioni immaginarie, in speranze e paure, in illusioni e disillusioni, tra le sue fantasie e i suoi sogni. /. Nell'ambito di un'operazione pedagogica di tale por tata, era richiesto che si partisse dalle favole per bam bini e, indirettamente, da una concezione della scuola come luogo deputato a formare non più cittadini demo cratici, forniti di pensiero autonomo e critico, bensì di apprendisti consumatori eterodiretti. Disposti a ricono scere, come nel caso della locomotiva Tootle, la libertà più autentica nel sottomettersi volontariamente alle regole superiori. Tali regole, ai giorni nostri, sono quel le dettate dall'ideologia neoliberista e diffuse attraverso un sistema mediatico mai così potente e pervasivo. Oggi, infatti, insieme al mercato dobbiamo fare i conti con l'altra grande forma della divinità: quella tecnologia digitale che entra non più soltanto nelle case delle per sone, ma nelle menti ( «ricablandole», scrive Manuel Castells) e perfino nell'intimità, fin dalla prima giovinez za. Il potere che essa esercita è quello di riconfigurare il modo di pensare, di costruire la propria identità e le
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relazioni umane e sociali, nonché il modo di informar si e conoscere proprio degli esseri umani8• Come già rilevava David Bolter, pioniere degli studi sui nuovi media negli anni ottanta del secolo scorso, il computer e la tecnologia che ruota attorno ad esso occupano un ruolo così preminente rispetto al nostro paesaggio culturale, che gli esseri umani cominciano a percepire se stessi come elaboratori di informazioni, nonché a pensare all'ambiente che li circonda come a un insieme di informazioni da elaborare. Si giunge così a una sorta di «uomo-computer» che svolge per la tec nologia contemporanea il medesimo ruolo che l' «uomo a orologeria» o la «statua vivente» avevano avuto per quelle precedenti: l'essere umano che diventa tutt'uno con la macchina per paterne eseguire gli ordini in maniera meccanica e irriflessa9• Rispetto al tempo della televisione, oggi questo siste ma dispone di un'ulteriore arma, ben più raffinata: la Rete e il suo potere quanto mai pervasivo, suggestivo e divertente, che sempre più si sta sostituendo alla scuo la come intermediario indispensabile tra i nostri giova ni e la loro esperienza del mondo. Di conseguenza, non possiamo più !imitarci a parlare di apprendisti consu matori plasmati dalla tecnologia, ma va esaminata quel la che risulta essere la formazione di individui entusia sticamente eterodiretti, sempre più incapaci a livello cognitivo ed emotivo di uscire dai binari, per andare verso quei fiori che rappresentano il valore residuale della loro umanità.
BURATTINI TECNOLOGICI
Uno degli errori più grossolani che possiamo com mettere, oltremodo gravido di conseguenze, consiste nel pensare che gli oggetti prodotti dal lavoro della mente
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e delle mani dell'uomo siano meri strumenti al servizio della sua volontà. La tecnica non è neutra e le cose che sono prodotte dall'abilità tecnica dell'uomo presentano sempre importanti effetti di ritorno sul produttore medesimo. Persino un banale martello, ricorda l' esper to americano di nuove tecnologie Nicholas Carr, non si comporta come un passivo esecutore dei comandi che trasmettiamo. Esso, infatti, produce effetti abbastanza evidenti; se non altro quello per cui la nostra mano, nel momento in cui lo impugna, smette di eseguire le atti vità alternative in cui potrebbe prodursi (accarezzare, disegnare, scrivere ecc.) 10. E già Marshall McLuhan, il pioniere degli studi sui media da cui Carr trae ispirazione, metteva in evidenza come «sul piano fisiologico l'uomo è costantemente modificato dall'uso normale della tecnologia (o del pro prio corpo variamente esteso)». Il problema, piuttosto, è che sempre dal punto di vista fisiologico vi sono ragio ni per ritenere che qualsiasi «estensione di noi stessi» determina in noi uno stato di torpore (numbness) , e del resto «l'incoscienza degli effetti esercitati da ciascuna forza si rivela disastrosa, specialmente se si tratta di una forza che noi stessi abbiamo prodotto»1 1. Se questo è vero per un oggetto tanto semplice come un martello, possiamo immaginare l'entità degli effetti prodotti da strumenti assai più complessi quali i mezzi di comuni cazione, e soprattutto i nuovi media digitali che, rispet to ai precedenti, prevedono, e anzi richiedono, un uten te attivo, il quale mette in gioco il corpo e la mente nell'atto di interagire con essi. Siamo all'interno del paradigma prospettato da Mar shall McLuhan, che a proposito delle molteplici inter pretazioni che ignoravano «gli effetti psichici e sociali dei media», e riguardo ai troppi sostenitori della tesi secondo cui l'influenza dei media stessi si rivela positi va o negativa soltanto in base all'uso che ne facciamo,
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parlava di «sonnambulismo» e invitava a riconoscere che «il medium è il messaggio». È il mezzo di comuni cazione stesso, infatti, in quanto estensione del nostro corpo e del sistema nervoso, a modificare la struttura essenziale delle nostre facoltà cognitive, relazionali e pratiche, e tutto ciò a prescindere dai contenuti veico lati attraverso quel mezzo o dall'uso che ne facciamo. Chi, per esempio, pensa che la televisione sia buona o cattiva a seconda che la si usi per guardare un con tenuto elevato o uno di infimo livello, si comporta a tutti gli effetti come colui che McLuhan definiva «idio ta tecnologico», ossia chi neppure immagina di aver subito una profonda e radicale regressione da homo sapiens a homo videns, da uomo che usufruisce di con tenuti mediatici e informativi tenendo attivati dei filtri critici e cognitivi a uomo che, limitandosi all'atto visivo, perde gradualmente la capacità di elaborare quanto vede, di cogliere l'essenza di ciò che c'è dietro a quan to gli si presenta in forma di mera immagine. Il risul tato è che l'individuo si trova a essere plasmato dalla grande forza di banalizzazione e di omologazione insita nel mezzo televisivo12• Secondo McLuhan, ogni invenzione o tecnologia di cui facciamo uso si rivela al tempo stesso come un'e stensione e un' autoamputazione del nostro corpo. In tal modo ogni medium, provocando un'accelerazione della nostra vita sensoriale, influenza contemporaneamente l'intero campo dei sensi. Per paterne fare uso è neces sario, quindi, che l'essere umano si comporti a guisa di servo volontario di queste sue estensioni, «come se fos sero dèi o religioni minori» incalzava McLuhan, così che il mondo delle macchine possa ricambiare l'amore dell'uomo soddisfacendo le sue volontà e i suoi deside ri, in cima ai quali vi è quello della ricchezza. Il problema consiste nel prezzo che l'essere umano deve pagare per la sua - questa volta consapevole - ser-
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vitù al mondo della tecnologia. Tale prezzo ha a che fare con ciò che McLuhan chiamava «principio del tor pore», ossia il fatto che dobbiamo intorpidire il nostro sistema nervoso ogniqualvolta esso viene esteso e sco perto tramite l'utilizzo di una nuova tecnologia più sofi sticata, poiché «quando il fascino di un'invenzione o di un'estensione del nostro corpo è nuovo, si verifica una "narcosi" o un ottundimento dell'area così amplificata». Questo intorpidimento o ipnosi che subiamo al contat to con la tecnologia mediatica ci ha gettato, secondo il sociologo canadese, nell' «era dell'inconscio e dell' apa tia», quella che oggi possiamo definire analfabetismo emotivo e funzionale, una sorta di squilibrio cognitivo, pratico e relazionale che molto ha a che fare con le passioni tristi, con la demenza e con la solitudine digi tale che caratterizzano gli individui del nostro tempo secondo alcuni studiosi contemporanei 13• Tutto questo, a fronte di quella legge generale che riguarda il potere e l'impatto delle tecnologie nell'isolare i sensi e «ipno tizzare la società»14. Se il rapporto fra uomo e tecnologia, e il ruolo inde bolente e diseducativo di quest'ultima, hanno da sempre stimolato la riflessione15, McLuhan segna l'esordio della critica alla tecnologia audiovisiva, i cui prerequisiti di generale intorpidimento avevano portato a un effetto inaudito e più grave: la pastura che assumevano i bambi ni fin dai primissimi anni di scuola, per cui indipenden temente dalle loro facoltà visive tendevano a porsi con il viso a una distanza media di sedici centimetri dalla carta stampata, riproducendo ciò che ormai erano abituati a fare con lo schermo televisivo. Così facendo, secondo McLuhan, si sforzavano di riportare sulla carta stampata quello stesso coinvolgimento di tutti i sensi prodotto dall'immagine televisiva, di cui sono inclini a eseguire gli ordini con perfetta abilità psico-mimetica (cioè unifor mando mente e corpo al mezzo e a ciò che esso veicola) .
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Il risultato è l'insuccesso con cui i bambini si sfor zano di leggere in profondità la carta stampata, cercan do di riversare su di essa tutti i loro sensi ma venendo ne puntualmente respinti, poiché la stampa (a differen za della tv) richiede una facoltà visiva denudata e iso lata, che lasci le sinapsi o facoltà cognitive indipenden ti e libere di funzionare16• Il sonno della ragione e l'u tilizzo del solo senso visivo imposti dalla televisione mal si conciliano con la veglia cognitiva, critica e immagi nativa richiesta dalla comunicazione scritta. Questo, secondo il sociologo canadese, in maniera conseguente alla legge secondo la quale «quando l'attività di ognuno dei sensi venga acutizzata ad un alto livello di intensità, può fungere da anestetico per gli altri sensi». Un po' come avviene con l'ipnosi, che si basa sul medesimo principio di isolare un senso (la vista) allo scopo di ane stetizzare gli altri17. Il salto qualitativo a cui si è assistito con la compar sa della televisione, negli anni cinquanta del secolo scor so, vede nella nostra epoca un'ulteriore spinta in avan ti rispetto agli effetti che la tecnologia mediatica pro duce sugli esseri umani. A partire dal 1 995 il tempo in cui ci troviamo a vivere è quello della Rete e delle tec nologie digitali. Alla televisione si aggiungono altri schermi e coinvolgimenti psico-cognitivi. Gli schermi del mondo digitale, con i sistemi alta mente rinnovati di diffondere le immagini, non si limi tano a indurre i ragazzi ad avvicinare il viso al display. Se «con la tv lo spettatore è lo schermo»18, come scri veva McLuhan, i display dei dispositivi digitali richie dono alle persone di entrarvi con anima, mente e corpo. Fagocitati da una dimensione, quella virtuale, in grado di stravolgere i meccanismi di quella reale. Già nel 2001 un gruppo di scienziati di Harvard pubblicò sulla prestigiosa rivista «Science» il risultato di quattro esperimenti da cui si evinceva che i media
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elettronici hanno un influsso negativo tanto sul pensie ro quanto sulla memoria. Mentre da una ricognizione degli studi condotti fino al 2008 non emergeva alcun miglioramento degli individui rispetto alla caratteristica sulla quale le nuove tecnologie dovrebbero esercitare l'influenza più benefica: la capacità di confrontarsi con le informazioni, di gestirle e di elaborarle19• Altri studi sostengono che i libri di testo digitali han no un effetto didattico ridotto, e che l'apprendimento risulta più scarso quanto più questi libri vengono fruiti in modalità interattiva con le tecnologie mediatiche. Psicologi della Columbia University e di Harvard hanno mostrato che per acquisire conoscenze Google è assai meno efficace di libri e quaderni, mentre Princeton e Silicon Valley, per un altro verso, hanno documentato come la scrittura a mano, stimolando lo sviluppo del cervello, sia molto più efficace di quella su tastiera per fissare nozioni e conoscenze all'interno della memoria a lungo termine20• Dovrebbe indurre a più di una riflessione il fatto che il «New York Times», nel 201 1 , raccontasse di una scuola nella Silicon Valley dove non era ammesso alcun tipo di alta tecnologia o di schermo, a partire dai com puter. Alla base di questo divieto la convinzione che «scuola e computer non dovevano essere mescolati», nella consapevolezza che i computer inibiscono e stra volgono «il pensiero creativo, il movimento, l'interazio ne umana e i tempi di attenzione». Significativamente, questa scuola era frequentata dai figli del capo del set tore tecnologico di eBay, da quelli dei dirigenti e degli impiegati di Google, Appie, Yahoo ! e Hewlett-Packard21 • L e piccole locomotive di chi lavora a stretto contatto con l'alta tecnologia venivano istruite e formate ben distanti dalla tecnologia stessa.
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FIGLI DI UN IO MINORE
Il periodo di maggiore fragilità dell'essere umano coincide con i primi anni della sua esistenza, quando non ha ancora affrontato quelle crisi indispensabili alla formazione di un'identità compiuta, fonte di significato ed esperienza e che lo metta in grado di relazionarsi con sé e con gli altri (l'uomo come creatura psico sociale di cui parlava lo psicologo tedesco Erik Erikson) , di elaborare un pensiero autonomo e critico rispetto alle influenze esterne, nonché di condurre l'esistenza senza l'intermediazione di filtri o tutele superiori (genitori, insegnanti ecc.)22. L'etimologia stessa della parola «crisi» (dal verbo greco krinein: «separare, valutare, scegliere») ci riporta all'idea del bivio decisivo: essa non rappresenta tanto un momento estemporaneo di difficoltà, quanto una tappa fondamentale e imprescindibile da attraversare perché l'individuo ne esca trasformato «sia dando ori gine a una nuova risoluzione, sia andando verso la deca denza»23. Nessun individuo che non abbia fatto i conti con se stesso, elaborando e prendendo coscienza di una pro pria identità indipendente, può interagire con gli altri e con il mondo circostante in maniera equilibrata e costruttiva. Non c'è dubbio che le nuove tecnologie digitali rap presentano una sorta di ospite inquietante che insidia la psiche umana fin dalla giovanissima età, ritagliandosi il ruolo di intermediario pervasivo e irrinunciabile fra la Net generation e tutti gli aspetti della sua esistenza. Il punto fondamentale, però, è che il costante utiliz zo delle nuove tecnologie non può non provocare degli effetti molteplici soprattutto sui giovani e giovanissimi che ne fanno uso. Senza peraltro escludere il mondo degli adulti. Tali effetti sono direttamente proporziona-
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li alla quantità di energie cogmtlve, emotive e relazio nali che i giovani utenti impiegano volontariamente (ed entusiasticamente) nell'utilizzare questi strumenti: alla stregua di una seconda vita, che come nella prima (reale) richiede la messa in gioco di tutte le facoltà umane e, quindi, il coinvolgimento dell'utente in tutti gli aspetti della sua personalità. Basta pensare ai social network per comprendere come nel tempo della Rete i meccanismi di formazione dell'identità individuale vengano stravolti. Si assiste al processo per cui una persona non si costruisce la pro pria identità attraverso un percorso autonomo di espe rienza e introspezione; al contrario, è chiamata a rispon dere e ad adeguarsi a un'identità preconfezionata dall'e sterno secondo le regole e i meccanismi del social network di turno, che al pari di prodotti commerciali in vetrina ci chiede di condividere pubblicamente (ma virtualmente) un nostro essere luminosi e vincenti, incli ni a produrci in pensieri, commenti, fotografie ecc., e il cui valore verrà stabilito dalla logica quantitativa del numero dei like, dei follower e degli amici24• Nessuno spazio per la debolezza, per l'errore, per il disagio insi to nel mestiere di vivere, e soprattutto nessun margine perché la persona possa crescere attraverso una sana presa di coscienza dei propri limiti che, solo se cono sciuti e accettati, consentono di condurre l'esistenza nel modo più armonico possibile. Non v'è margine per questo poiché l'identità che si condivide in Rete non è quella reale, e non è elaborata in uno spazio e in un tempo reali. L'utente del social network, all'interno di un tempo indefinitamente dilata to, ha modo di selezionare cosa omettere, dove tagliare e modificare, come abbellire artificialmente l'immagine di sé da posizionare sulla vetrina del mondo online. In una sorta di delirio in cui l'uomo diventa Dio di se stesso (peraltro fasullo, perché deve rispondere a cri-
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teri stabiliti da altri), finalmente creatore della propria identità e persona senza quelle fastidiose imperfezioni previste dal creatore «originale». Fino al punto di con vincersi, specie se non ancora in possesso di un'identi tà formata, che quella sia la sua effettiva identità, o comunque ciò a cui tendere e aspirare, in un mondo virtuale in cui il tuo valore è misurato dal successo quantitativo dei like. Si tratta di una formidabile evolu zione dell'audience televisiva: non siamo più soltanto semplici numeri che decretano il successo di un pro dotto catodico, ma diventiamo noi stessi quel prodotto, per cui una penuria di audience, o di like, può voler dire la nostra fine, con tanto di estromissione dal palin sesto dell'unica vita che sembra contare nella società ottusa: quella virtuale. Di qui la necessità di sottomet tersi a una sorta di comandamento virtuale che recita: «Non avrai altro Io all'infuori di te ! ». Non è un caso che nell'epoca della Rete si registri l'aumento esponenziale del narcisismo, quella patologia che spinge all'astensione spasmodica di sé e alla ricerca compulsiva di riscontri (notifiche) e gradimenti, come reazione a un irrimediabile senso di inadeguatezza inte riore25. Ricostruendo le implicazioni delle nuove tecno logie sulla personalità umana, la psicologa statunitense Sherry Turkle nel 201 1 ricordava che il termine narci sismo «non indica persone che amano se stesse, bensì delle personalità così fragili da avere bisogno di un sup porto costante» dalle altre persone, intese strumental mente come pubblico26. Il senso di inadeguatezza è presente più o meno in tutti gli adolescenti, e in una certa misura in tutti gli esseri umani, ma risulta molto più forte e castrante in quelle persone che, lungi dall'essersi formate un'identi tà autonoma, autoriflessiva e consapevole (anche dei propri limiti e debolezze, in questo modo metabolizza ti e accettati) , se la sono lasciata plasmare da potenze
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esteriori, meccanismi alienanti che impongono all'indi viduo di seguire schemi e codici di identificazione estra nei all'individuo stesso. Del resto, all'interno di un contesto in cui ognuno è chiamato a condividere esclusivamente il «meglio» di sé, nell'ambito di una logica squisitamente quantitativa e commerciale, soprattutto per le personalità più giova ni è assai facile cadere nella spirale del disagio e dell'in sicurezza patologici, con la convinzione che l'identità (trasformata in profilo) e la vita (trasformata in vetrina) degli altri sia più bella e appagante, costellata da suc cessi e da un numero maggiore di amici, follower e like. Quando in realtà, come scriveva Alexander Lowen: «La comprensione e l'accettazione dei nostri limiti fa di noi delle persone autentiche, e non dei narcisisti»27• Una società che misura il valore delle persone attra verso scale numeriche e impersonali, secondo una logi ca quantitativa che induce gli individui alla competizio ne in ogni luogo e situazione della propria esistenza, non può che produrre quell'ansia da prestazione che genera soggetti agitati e aggressivi. Nella dimensione digitale tutto ciò si traduce, per esempio, nel fenomeno del cyber-bullismo, praticato da soggetti che mostrano un più alto grado di narcisismo e bisogno di conferme, a cui sopperiscono strumenta lizzando quelle vittime che, invece di mascherare e cana lizzare tali sentimenti in forme aggressive, mostrano in maniera evidente angoscia e depressione, nonché una più bassa stima di sé28. La stessa spirale di disagio e insicurezza si ritrova in quella che solo apparentemente sembra l'altra faccia del narcisismo: coloro che non reggono l'ansia del confron to competitivo continuo, della perenne astensione di un sé bello e vincente solo nella misura in cui soddisfa i parametri tecnici e commerciali che caratterizzano la Rete, finiscono per sviluppare svariate forme di perce-
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zione distorta e rifiuto di sé o del proprio corpo, fino al desiderio di sparire. Attraverso l'eliminazione della propria immagine o del profilo sui social network, oppure tramite modalità più gravi. «L'ansia», ha spie gato Sherry Turkle riflettendo sulle modalità più osses sive e compulsive della Rete (essere sempre connessi, in vetrina, interagire con una miriade di dati e persone, svolgere troppe attività contemporaneamente: il cosid detto multitasking), «è parte della nuova connettività. Tuttavia è spesso il termine rimosso quando parliamo della rivoluzione nella comunicazione mobile», poiché «esula dalla narrazione trionfalistica in cui ogni nuova offerta tecnologica incontra un'opportunità, mai una vulnerabilità, mai un' ansietà»29• Per molti versi l'uomo davanti allo schermo subisce una regressione che lo conduce allo «stadio dello spec chio» di cui parlava Lacan. In tale stadio egli si trova a vivere il dramma che consiste nell'assunzione «dell' ar matura di un'identità alienante, che con la sua struttura rigida ne marcherà tutto lo sviluppo mentale»30• La linea che separa l'astensione compulsiva e tor mentata dell'«Ego» dal desiderio di annullarsi e sparire è molto sottile per le persone in possesso di un'identità fragile e distorta. In entrambi i casi siamo nell'ambito di un Io pato logico, gravato da un logos che soffre e patisce l'impo sizione di codici esistenziali e meccanismi di funziona mento non umani31. Una tale trasfigurazione del logos, inteso come discorso interiore con la propria identità, presenta il conto nell'ambito del dia-logos, del discorso esterno con gli altri. Un'identità oberata dal disagio e dall'insicurezza non fa altro che trasferire queste caratteristiche nel campo della relazione con altre identità. Secondo studi recenti è quanto accade in misura sempre maggiore alla gene razione dei nativi digitali. Già confusi e indeboliti nella
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formazione della loro identità, si ritrovano sempre più a conoscere gli altri, a interloquire, perfino ad allaccia re rapporti sentimentali ed erotici, attraverso l'interme diazione di macchine che li conducono a fare tutto ciò secondo il proprio funzionamento. Così, molti giovani preferiscono scambiarsi messaggi ritenendo questa forma di interazione molto più intima ed efficace rispetto agli incontri faccia a faccia. Il filtro dello schermo, e il fatto che si trovino nell'ambiente protetto della propria camera o di un luogo ritenuto sicuro, fa percepire come meno imbarazzante e rischio so l'atto di condividere sentimenti e situazioni persona li con un'altra persona32. Nella confortevole chiusura di una stanza, o comunque all'interno di una dimensione protetta e solipsistica qual è quella tra il proprio volto e lo schermo di vetro, che in realtà si comporta come uno specchio che riflette noi stessi anche quando è acce so, i nativi digitali risultano sempre più ego-riferiti, ego centrici, soli; inclini a considerare in maniera sporadica e strumentale i rapporti con gli altri. Da tutto questo derivano la scarsa propensione al rischio emotivo, la timidezza patologica e la ridotta capacità di empatia, poiché la consuetudine a incontra re e a comunicare con gli altri attraverso la barriera dello schermo o del gioco virtuale, rende problematica e disagevole non soltanto la relazione emotiva e affetti va /ace to /ace, ma anche l'autenticità, la profondità e la capacità di durata dei rapporti. E, come sottolineato dagli psicologi americani Howard Gardner e Katie Davis, «l'assenza di empatia è un tratto distintivo della sociopatia»33• Prendendo a prestito la terminologia freudiana, potremmo dire che la generazione dei nativi digitali vie ne spinta dalle nuove tecnologie ad abbandonare la dimensione antica e noiosa del proprio Io, che si costrui sce faticosamente grazie a un lavoro di introspezione e
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di acquisizione di un'identità autonoma: «L'alternativa è quella patologica di una falsa vita costruita sulle reazioni agli stimoli esterni», scriveva il pediatra e psicoanalista britannico Donald Winnicott negli anni cinquanta del Novecento. Quegli stimoli esterni provengono oggi dai nuovi media e dai social network che bombardano costantemente la Net generation, catturando e frammen tandone le menti impedendole di costruire un Io stabile, definito ed equilibrato34• Questo Io falso e frammentato35 finisce con il consegnarsi entusiasticamente alla servitù nei confronti di un Super-Io che, a differenza di quello definito da Freud, offre un mondo pieno di balocchi e possibilità, ma che impone comunque i suoi dogmi, «il suo dominio sull'"Io" sotto forma di coscienza morale, o forse di inconscio senso di colpa»36• A questi dogmi è necessario attenersi per poter essere accettati nella nuo va civiltà temo-finanziaria. Di che natura è la funzione esercitata da questo nuo vo Super-Io? Non più il reprimere pulsioni ataviche, spingendo al rifiuto di una vita condotta come degli infanti, cioè secondo il principio di piacere, ma stravol gere o addirittura annullare quelle caratteristiche speci fiche che connotano ogni essere umano e ne consento no lo sviluppo a ogni livello. In altre parole, all'uomo viene chiesto non di crescere e regolare la sua esistenza secondo il principio di realtà, come faceva il Super-Io di freudiana memoria, ma di regredire a un ulteriore stadio in cui egli non cede più alle sue pulsioni, bensì realizza quelle che gli sono dettate dalla società misolo ga, conformando la propria vita a una sorta di «princi pio di virtualità»37• Da questo consegnarsi volontario ed entusiastico al Super-Io della Rete e del sistema temo-finanziario nasce il problema di un'intera generazione, quella dei nati a partire dal 1 995 , che insieme a molti adulti si ritrova figlia di un Io minore, di un'identità arida e debole, resa
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incapace di concentrarsi sugli obiettivi intrinseci del vivere umano (trovare un significato all'esistenza, aiuta re gli altri, imparare ecc.), perché ormai programmata per votarsi esclusivamente a quelli estrinseci (accumu lare denaro, fama, curare la propria immagine ecc.) . Grazie alla complicità di una giostra mediatica che, specialmente attraverso la tv e la Rete, espone soprat tutto i più giovani a un numero maggiore di annunci pubblicitari, a modelli di sfavillante e ostentata ricchez za e a minori stimoli intellettuali: «> (Nietzsche 1886: v. VI, n, par. 5). 2 3 Popper 1978: 342. 24 Feuerbach 184 1: 48 e 195-196. 25 , scriveva il filosofo del potere Bertrand de Jouvenel ( 1 972: 550). 26 Piaget 1926: 1 3 1 e 1966: 102. 27 Aristotele, Metafisica: xn, 1074b, 34 e 1075a, 10. 28 D'Holbach 1770: I , XIX e 1773: III, par. 12 ss. 29 Spinoza 1670: v. 3, xx, l, 240-241 . 30 Ercolani 201 1 : I , 2 e 3 , e III, 3 ; ibid.: II, II, l , 2, 3 e 5 . 3 1 Montaigne 1580-1588: 395. 32 Aristotele, Metafisica: v, 9, 1018a, 12-13. 33 Friedman 1999; Martin 2002 e Graeber 2 0 1 1 : 376. 34 Marx 1867-1883: v. l , I , I , 104-105. 35 Ibid. : v. l, I, II, 1 17 - 1 18. 36 Ibid.: v. l , I, v, 2 1 1-212. (Marx 1861-1883 : v. l , I, XIII, 4 14 ) . 37 Locke 1691: v. 4, 42. 38 Marx, Engels 1845- 1 846: v. 5, 72. Il bilancio di Marx è awilente quanto esaustivo, soprattutto se letto con la lente del nostro tempo, in cui è giunta a somma compiutezza l'essenza della sua analisi sulla reificazione dell'uomo: (Marx 1866: v. 10, 42). 3 9 Carr 2014. 40 Boltanski, Chiapello 1999-201 1 : 705 e 707. 41 Pasca! 1669: parr. 213 e 217. 4 2 Debord 1967: parr. 9 e 10. 43 Perniola 2004: 9. 44 Debord 1988: par. 10. 45 Nietzsche 1885-1887: v. VIII, I, par. 7. 46 Che si stia costituendo di fatto un'élite finanziaria è dimostrato per esempio da Thomas Piketty (2013: 478), il quale documenta come le pro-
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fessioni a vario titolo legate alla finanza occupino un posto due volte mag giore rispetto alla media sia nella fascia dei redditi più alti sia all'interno dell'economia nel suo complesso. 47 Wright Milis 1959: 169. 48 Ercolani 2012: cap. 1. 49 Kelly 2010: 194 e 352; Postman 1994: 24. 50 Platone, Sofista: 247d-e. 5 1 Biblia Sacra: Isaia 45, 7 e 45, 15. 52 Hegel 1807: v. l , 153- 162. 53 Horkheimer 1947: 98. 54 Cioran 1949: 5 8 1 . 5 5 Carr 20102: 184 e 189. 56 Gardner, Davis 2013: 97. 57 Carr 20102: 153 -154. 58 Carr 2008: 60; Id. 2010: 118 e 138. 59