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Italian Pages 440 [464] Year 2017
«Il pensiero che vuol essere sempre giusto si paralizza. Il pensiero progredisce quando cammina tra ingiustizie simmetriche, come tra due file di impiccati». «Il reazionario, nell osservare la dissomiglianza degli uomini e la varietà dei loro propositi, ha inventato il dialogo. Il democratico pratica il monologo poiché l’umanità si esprime per bocca sua».
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«Tra poche parole è difficile nascondersi, come tra pochi alberi»: con questa convinzione Gómez Dávila distilla i suoi fulminanti aforismi sulla modernità, sulla democrazia, sul progresso, sull’ugualitarismo, per dare forma a un pensiero che si erga a «rifugio contro l’inclemenza dei tempi». Pubblicati in cinque volumi tra il 1977 e il 1992, gli Escolios sono stati portati all’attenzione del pubblico italiano grazie a Franco Volpi, che nel 2001 e nel 2007 ne ha curato per Adelphi degli assortimenti parziali. Ora l’opera di Gómez Dávila, questa summa del pensiero reazionario, torna alla luce nella sua interezza. Con la traduzione di Loris Pasinato (già traduttore delle Notas) riprende vita la raccolta di sentenze in cui il filosofo colombiano raggiunge vette solcate solo da filosofi del calibro di Platone, Nietzsche e Cioran. Con questo mosaico di aforismi, glosse, scolli, Gómez Dávila ci dona un manuale - a tratti ironico, a tratti mistico - per sopravvivere al mondo moderno.
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Nicolas Gómez Dávila (1913-1994) crebbe con l’idea che «la cultura è tutto ciò che non può insegnare l’università»: così raccolse nella biblioteca della sua casa a Bogotà più di 30 mila volumi, formandosi da autodidatta. Nel 1954 e nel 1959 furono stampati Notas I e Textos I, due raccolte rispettivamente di aforismi e di saggi. Da entrambe emergeva già tutta l’indole del reazionario antimoderno e antiprogressista. Loris Pasinato nasce a Bassano del Grappa nel 1979 e si laurea in filosofia a Padova sotto la direzione del professor Enrico Berti. Nel 2007 cura la traduzione italiana di Struggle, la prima opera filosofica del campione del mondo di scacchi Emanuel Lasker. Nel 2015 ha tradotto Notas di Nicolas Gómez Dávila . Attualmente è impegnato nella traduzione dei monumentali Escolios dello stesso autore.
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Scansione, ocr e conversione a cura di Natjus Ladri di Biblioteche
Conversione pdf: 2020
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gog classici
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Escolios a un texto implicito I © 1996 KAROLINGER VERLAG WEIN 2017 Tutti i diritti sull’edizione italiana sono riservati. isbn 978-88-942787-0-5 prima edizione Progetto grafico e impaginazione di Lorenzo Vitelli
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Nicolas Gómez Dávila
ESCOLIOS A UN TEXTO IMPLÌCITO I versione italiana e note di Loris Pasinato
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INDICE
PREFAZIONE | Un reazionario contro il pensiero unico di Gennaro Malgieri INTRODUZIONE | Retrospettiva futura di Gabriele Zuppa ESCOLIOS I POSTFAZIONE Gómez Dávila e l’ Italia di Antonio Lombardi
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PREFAZIONE | Un reazionario contro il pensiero unico di Gennaro Malgieri
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I folgoranti pensieri di Nicolas Gómez Dávila illuminano la verità nascosta negli anfratti più oscuri della modernità e danno luogo ad un ripensamento della storia dopo le catastrofi originate dalla Riforma luterana, dal razionalismo agnostico, dall’Illuminismo totalizzante. Essi sono, sul sentiero tracciato da Platone, Nietzsche e Heidegger, le indicazioni verso l’approdo di una salvezza individuale possibile, non essendo prevedibile l’evoluzione del declino complessivo dell’umanità. Ed in quanto ermeneutici, prescrittivi fino all’insolenza, assertivi ed elegantemente paradossali, i pensieri del colombiano sono davvero “per tutti e per nessuno”. “Escolios” ha definito i suoi scritti rapsodici: glosse, per essere chiari, non ad un trattato risolto, ma ad un testo che non c’è -un “testo implicito”, appunto - con le quali si può, quasi fossero variopinti mattoni, costruire un edificio teorico, una filosofia morale o addirittura, forse, qualcosa di più ambizioso: un manuale spirituale nel tempo del trionfo dell’empietà e della retorica egualitaria offesa alla dignità dell’uomo e al Creato. Il tempo, cioè, nel quale tutte le gerarchie valoriali sono saltate e anche Dio è stato “addomesticato” da chi dovrebbe rivendicarlo come principio e fine di tutte le cose. Gómez Dávila ha tracciato un percorso verso la riscoperta della verità con un linguaggio essenziale, ma non frammentario piuttosto unitario e coerente, conseguente, insomma, come si conviene ad un mistico, ad un asceta, ad una sorta di certosino che parla poco e ama molto ascoltare 11
(era un tratto che incuriosiva i suoi interlocutori ammirati). Ha evitato di formulare un corpus dottrinario procedendo secondo l’antica prassi ellittica, propria della classicità, con la sua peculiare sobrietà, trasfusa nello stile letterario al solo scopo di ordinare i piani di una “visione del mondo” per la storia che verrà: «Non dobbiamo pensare per il nostro tempo o contro il nostro tempo, ma fuori del nostro tempo. E se fosse impossibile, che importa? È innanzitutto una esigenza di principio e una ragione di metodo». Autore di un solo libro Che Gómez Dávila sia stato anche “esteticamente” al di là del tempo ormai non è più un mistero, né materia per dispute filosofiche o esistenziali. Sostanzialmente autore di un solo libro - la monumentale raccolta degli Escolios (le poche altre opere per così dire successive, per così dire di “contorno”), il cui primo volume, a cui faranno seguito gli altri, compare ora per la prima volta tradotto integralmente in italiano -, lo scrittore non aveva di vista il successo, la grande notorietà, l’affermazione letteraria e accademica, l’ambizione di diventare un maestro o una guida spirituale, men che mai “politica”. Aspirava semplicemente a far arrivare la sua voce oltre le mura della megalopoli intellettuale saccente e corrotta dalla prassi, popolata da mediocri chierici del democratismo totalitario. Già nelle Notas, prime prove della sua capacità di sintesi nelle quali dava conto dei “colloqui” che fin dalla giovinezza aveva intrecciato con gli Immortali, pagani e cristiani, per rinvenire e smascherare le aporie della modernità e scarnificarle fino a demitizzarle ed annichilirle con una logica ora tagliente ora corrosiva, rivelava il suo chiaro obiettivo: «Non è un’opera ciò che intendo lasciare. Le uniche che mi interessano si trovano a una distanza infinita 12
dalle mie mani. Vorrei però lasciare un libriccino che, di tanto in tanto, qualcuno apra. Un’ombra tenue che seduca poche persone. Sì! Affinché una voce inconfondibile e pura attraversi il tempo!». Tra poche parole, come tra pochi alberi, è difficile nascondersi, notava Gómez Dávila: utilizzare soltanto quelle necessarie ed esplicitare attraverso di esse un “pensiero onesto” è stato anche un modo per costringere i lettori ad una riflessione sulla essenzialità che lo scolio per sua natura si rivela come il più articolato aforisma disdegnato, ma non condannato dallo scrittore colombiano che se in apparenza lo rifiutava, nella sostanza, quasi contraddicendosi, lo difendeva: «Accusare l’aforisma di esprimere soltanto parte della verità equivale a supporre che il discorso prolisso possa esprimerla tutta». Ed anche in questo, nell’adozione del testo breve pointilliste avrebbe definito le sue composizioni - si avverte una vibrante polemica contro il suo e il nostro tempo annegato nelle parole paradossalmente insufficienti ed inadeguate ad esprimere i moti dell’anima, non meno che a descrivere le sottili nervature che sottendono i mutamenti della realtà: «Un testo breve - annotava - non è una dichiarazione presuntuosa, ma un gesto che appena abbozzato si dissolve». Giovanni Cantoni - lo studioso cattolico piacentino che ha introdotto per primo in Italia il pensiero e l’opera di Gómez Dávila con saggi e articoli apparsi su “Cristianità” (1999 e 2000), “Secolo d’Italia” (1999), “Percorsi di politica, cultura, economia” (2000), oltre ad aver tradotto una piccola antologia di brevi brani da El reaccionario autentico - ha commentato lo stile gomezdaviliano con parole penetranti e limpide: «Gómez Dávila scrive glosse a margine, che inducono a “sospettare” un’architettura del loro insieme: infatti, se ne deve quasi immaginare una, nonostante tutto, almeno quanto alla prima raccolta, Escolios a un texto 13
implicito». Il riferimento è al “testo breve”, mentre il secondo volume degli Escolios si chiude - dice Cantoni con un’affermazione insieme personale e contenutistica di grande rilievo: «Non appartengo ad un mondo che perisce. Prolungo e trasmetto una verità che non muore». E sempre Cantoni, a sua volta, “glossa” con questa considerazione: «Dall’opera di Gómez Dávila è impossibile ricavare un sistema, rifuggito tematicamente e consapevolmente dall’autore, come pure ricostruire - se non molto approssimativamente - il disegno, dal momento che la tecnica pointilliste consapevolmente utilizzata accompagna spesso al “tocco cromatico” una lettura braille del reale, di cui sono testati i rilievi, i nodi, quindi l’autore è primordialmente più attento alla rugosità della tela e alla tela stessa che ai colori con cui la viene qualificando». Forma e contenuto, dunque, si tengono in un quadro dai toni a volte contrastanti a volte omogenei al punto quasi di sovrapporsi. Ed è così che si articola l’opera complessiva di Gómez Dávila al di là del tempo, lasciando nel lettore una sensazione di eternità promanante da parole che sembrano gettate in uno specchio d’acqua che improvvisamente si mette in movimento e genera onde sia emotive che razionali. Il texto implicito si presenta, dunque, come una montante metafisica antimoderna che si esprime nella demolizione del razionalismo illuminista, del determinismo filosofico, del relativismo morale e culturale, del progressismo volgare, del giacobinismo declinato politicamente e, di conseguenza, esplica l’affermazione di un pensiero religioso spiritualmente fondato che ha il “centro” nell’assoluta fede in Dio correlata ad una necessaria prassi reazionaria e/o conservatrice nella rivalutazione della Tradizione. E così Gómez Dávila si esprime: «Il conservatorismo non pretende che la società viva del passato, ma che non si nutra di frottole», mentre «il reazionario aspira a convincere le maggioranze, il 14
democratico a corromperle con la promessa di beni altrui». E ai rivoluzionari che promettendo consapevolmente ciò non sarà mai possibile mantenere, ricorda che il termine “rivoluzione” connota più che un avvenimento politico «una vertigine, uno spasmo emotivo, l’ubriachezza dell’anima invasa dalla feccia dell’essere». Qualche esempio? «I partiti liberali (girondini, proprietari francesi del ’30, manifatturieri inglesi del ’32, democratici jacksoniani, ottimati creoli, ecc.) si sono distinti per la bella retorica con cui adornavano i loro propositi commerciali. Il marxismo nasce, in parte, da una meditazione sull’eloquenza liberale». La connessione, come la storia del pensiero e le vicende politiche soprattutto della seconda metà del Novecento si sono incaricate di dimostrare («Il Ventesimo secolo è un naufragio che non ha fine»), è tutt’altro che arbitraria, lontana dai pregiudizi ideologici o da sedimentate idiosincrasie intellettuali. La diagnosi, dispiegata in tutta la sua opera da Gómez Dávila è il frutto di una maturazione che dagli anni della prima giovinezza è andata consolidandosi nella sua coscienza con il concorso di una cultura immensa, profonda, che ha contribuito a trasformarlo nel “solitario di Dio”, come pure è stato definito, che tuttavia si è immerso nella contemporaneità senza lasciarsi sopraffare da fattori che potessero distoglierlo dalla sua assorbente riflessione sulla decadenza dovuta all’esplosivo dominio dei vizi della modernità e della secolarizzazione che ha travolto le società affluenti. Il suicidio dell’Occidente Il liberalismo e il marxismo hanno determinato - con i corollari dell’etica relativista della quale si sono serviti per scardinare l’ordine naturale - la progressiva “perdita del 15
Centro”, della quale parlava Hans Sedlmayr riferendosi principalmente all’arte come espressione del degrado e della decadenza spirituale, e arrecato un incommensurabile danno alla ragione oltre che allo spirito provocando la dissoluzione del principio gerarchico e, dunque, favorendo il dominio dell’egualitarismo: «La passione egualitaria è una perversione del senso critico: atrofia della facoltà di distinguere». Nello stesso tempo, la nuova antropologia insediatasi alla guida dei processi di trasformazione dei quali agli inizi degli anni Cinquanta Gómez Dávila era più che consapevole, ha operato la “disumanizzazione” delle comunità organiche al cui interno è cresciuta la “religione democratica” poi penetrata, con grande disappunto del pensatore colombiano, perfino nella Chiesa cattolica della quale si è sempre professato figlio fedele. L’approdo nichilista soprattutto dell’Occidente, “suicidatosi” per smarrimento e viltà, non è tuttavia irreversibile per Gómez Dávila, che a differenza dell’amato Nietzsche e di Emil Cioran, rilancia nelle sue pur amarissime “glosse” alla modernità disfatta sfide di speranza connesse a una redenzione (per quanto dal pensatore mai esplicitata pienamente - implicita, dunque - forse per non apparire un “profeta”…) che può passare soltanto attraverso la messa in discussione della negazione di Dio e la ripresa dell’ordine naturale delle cose, rimettendo in movimento quell’antropologia che non è semplicemente “pagana” o “cristiana”, ma è la sintesi dell’una e dell’altra se la si sa correttamente interpretare alla luce del diritto naturale, principio di ogni cosa come, in un lungo brano dedicato all’origine del mondo, in Textos I, Gómez Dávila ha ampiamente dimostrato. E, dunque, è da Dio che si deve ripartire. «La morte di Dio è una falsa notizia messa in giro dal diavolo che mente sapendo di mentire», osserva sarcasticamente lo scrittore. Ma 16
non basta essere “cristiani” per poter attingere alla verità: «Non è sufficiente un’apologetica del cristianesimo. Neppure un’apologetica della religione. Oggi si ha bisogno di un’introduzione metodica a quella visione del mondo all’infuori della quale il vocabolario religioso è privo di senso. Non parliamo di Dio a chi non ritiene plausibile che si parli degli dèi». E per il semplice motivo che «né il cristianesimo né il paganesimo insegnano etiche altruiste». Tanto la morale dell’uno quanto la morale dell’altro «sono individualismi etici che impongono doveri sociali solo come strumenti della nostra perfezione terrena o della nostra enigmatica salvezza». La secolarizzazione della Chiesa Sarà per questo che Gómez Dávila scrisse uno dei più scintillanti “scolli” per definire se stesso: «Più che un cristiano sono forse un pagano che crede in Cristo». Il che non gli impediva di proclamare orgogliosamente: «Il cattolicesimo è la mia patria». Cattolicesimo in senso più ampio di Chiesa cattolica, come ha notato il compianto Franco Volpi, “scopritore” italiano, insieme con Giovanni Cantoni, di Gómez Dávila, curatore delle due antologie adelphiane In margine a un testo implicito e Tra poche parole. Nel saggio Un angelo prigioniero del tempo, postfazione al primo volume, Volpi acutamente scrive che la polemica gomezdaviliana verso la Chiesa post-conciliare è avvenuta «soprattutto dopo che la secolarizzazione ha spostato il baricentro della trascendenza alla posizione del cristiano nel mondo, ha declinato la verticalità del sacro in un immanentismo umanitario che si serve del vocabolario cristiano a fini sociali, e ha così trasformato l’imitazione di Cristo in una parodia del divino». Altro che Chiesa come “tenda da campo” o qualcosa di molto prossimo ad una 17
“organizzazione non governativa”, secondo la vulgata contemporanea. Gómez Dávila, come si ricava da tutta la sua opera, immaginava una Chiesa ascetica, mistica, monastica, autoritaria, gerarchica. La vera Casa di Dio, insomma, contrapposta al chiassoso arengo di volontari impegnati nella costruzione di una felicità variopinta su questa Terra. «La religione - si legge nei suoi scolli - non è nata dall’esigenza di assicurare solidarietà sociale, come le cattedrali non sono state edificate per incentivare il turismo». Niente, dunque, è più lontano da lui di una Chiesa che preferibilmente pratica un «cattolicesimo elettorale», che incoraggia «l’entusiasmo delle grandi masse alle conversioni intellettuali». La Chiesa che «pensando di aprire le braccia al mondo moderno (…) ha finito per aprirgli le gambe». Gómez Dávila non ha fatto in tempo a vedere la nullificazione del cattolicesimo romano, ma l’aveva prevista scorgendone le origini nel “dialogo” tra comunisti e cattolici «diventato possibile da quando i comunisti falsificano Marx e i cattolici Cristo». La crisi della Chiesa, tuttavia, non ha mai minato le certezze di Gómez Dávila per il quale nel mondo contemporaneo, «tetro e soffocante», soltanto «il chiostro è aperto al sole e all’aria». Il suo “monachesimo” è stato connotato da una vita vissuta formalmente da laico, ma sostanzialmente da benedettino, quasi un oblato o “fratello converso”, immerso nel silenzio, nello studio, nella preghiera. Al riparo, quindi, del mondo nel secolo che vedeva lentamente sprofondare «in un pantano di sperma e di merda». Un’intensa vita sociale 18
Secondo una leggenda che ha preso piede e si è affermata dopo la sua morte, Gómez Dávila non avrebbe avuto una vita sociale, di relazioni, intessuta di interessi ordinari, ma si sarebbe limitato da recluso volontario a leggere, studiare e scrivere senza mai (o quasi) abbandonare la sua casa natale ed in particolare la sua immensa biblioteca dove nascevano i pensieri che fissava costantemente su un quaderno sempre a portata di mano. Non è così. Egli aveva, sia da giovane che nella maturità e poi nella vecchiaia (quando comprensibilmente non cercava più nuovi amici dopo aver visto morire quelli che gli erano stati più cari e lo avevano accompagnato per buona parte della sua esistenza) una intensa frequentazione con intellettuali e gente comune che riceveva nella sua villa o nei circoli ricreativi della buona borghesia della capitale colombiana. È pur vero che alla dilatazione della leggenda hanno contribuito studiosi di prima grandezza di Gómez Dávila, come Franco Volpi sia negli articoli che nei testi a commento delle due opere adelphiane del colombiano, ma soprattutto nella Enciclopedia de obras de la filosofia e Daniel Samper Pizano con il saggio El filosofo de la bistorta que sonréia. Un passo di questo non lascerebbe scampo a chi volesse accreditare un’altra visione della vita di Gómez Dávila: «Praticamente si è chiuso durante quarantacinque anni nella sua biblioteca di 31000 volumi, una delle più grandi della Colombia. Nonostante non abbia mai frequentato l’Università parlava e leggeva una mezza dozzina di lingue, inclusi il greco e il latino. Lasciava la sua reclusione per concedersi un’ora al giorno di cammino, visitare rapidamente i magazzini di tessuti - ereditati dalla famiglia e che gli permettevano una vita agiata - e occasionalmente incontrare vecchi amici con i quali amava conversare di storia, letteratura, religione, filosofia. Alto, elegante, di aspetto inglese, sembrava più un console britannico che il miglior lettore che forse la Colombia ha 19
avuto nella seconda metà del XX secolo». Non manca una nota di costume delle abitudini di don Colacho, come lo chiamavano gli amici: «Tutti i pomeriggi si installava nella sua poltrona con un bel sigaro tra le dita, attorniato da cumuli di libri vari, confortato da una stufa elettrica per difendersi dal freddo delle Ande e si immergeva nella lettura e nei suoi pensieri». Non è lontana dalla verità la descrizione di Pizano, ma incompleta a fronte di più minuziose ricerche e testimonianze sulla singolare esistenza del gran signore colombiano. Uno dei migliori indagatori di Gómez Dávila, lo spagnolo José Miguel Serrano Ruiz-Calderon, docente di Filosofia del diritto, nel saggio - davvero magistrale e senza dubbio il più esaustivo finora apparso in Europa - Democracia y nikilismo. Vida y obra de Nicolas Gómez Dávila , ha rigettato «l’immagine distorta di don Colacho come una persona reclusa, un misantropo in senso radicale, totalmente astratto dalla scena quotidiana, dal mondo che lo circondava». In realtà dedicava moltissimo tempo allo studio, ma non si disinteressava né dei suoi affari familiari, né di quanto accadeva nel mondo circostante. È vero: amava la solitudine ed il silenzio, il “colloquio” con gli antichi, ma non disdegnava di circondarsi dei suoi contemporanei, soprattutto intellettuali e scrittori, non soltanto colombiani. L’isolato bogotano, insomma, giusta la descrizione di Serrano RuizCalderon, esercitava l’amministrazione dei suoi beni, si interessava all’azienda tessile “Nicolas Gómez comparila” ed alla gestione della tenuta agricola fondata dal padre “CanoasGómez” dove spesso trascorreva i fine settimana. Pressoché quotidianamente faceva visita al Jockey Club, uno dei più esclusivi di Bogotà, e specialmente la domenica sera, al ritorno a casa, riceveva gli amici più cari, tra i quali Alberto Lieras, Camargo Mario Laserna, Alvaro Mutis, Alberto Zalamea, Francisco Pizano, Abelardo Forerò Benavides, 20
Hernando Tellez. Sorseggiando solitamente una tazza di caffè, abbondantemente preparato (era quasi un rito) dalla moglie di don Colacho, la nutrita compagnia discuteva per ore di filosofia e di politica, intrecciando considerazioni su Kant e Burckhardt con quelle sulle convulsioni sociali iberoamericane. Una vita intensa, dunque, segnata dallo studio, ma tutt’altro che separata dal mondo quella di Gómez Dávila. La formazione benedettina e “scoperta” dell’amore Il 18 maggio 1913 Rosa Dávila Ordónez, sposata con Nicolás Gómez Saiz, dava alla luce a Bogotà, Nicolás. Era il primo figlio della coppia, ma il padre, che il 24 aprile 1904 aveva contratto un nuovo matrimonio dopo la fine del primo, aveva altri due figli: Hernando e Isabel Gómez Tanco. Al piccolo Nicolás, nipote del generale Juan Manuel Dávila - tra l’altro fondatore della Banca Ipotecaria della Colombia nel 1910 della quale lo scrittore (davvero poliedrico si occuperà, smentendo palesemente il suo scarso senso per gli affari) - in pochi anni, arrivarono a fargli compagnia il fratello Ignacio che molto si sarebbe prodigato per vincere la ritrosia del geniale primogenito a far conoscere la sua opera, e la sorella Teresa. Nel 1920, a sette anni, Nicolás con la famiglia si trasferì a Parigi dove fu allievo di una scuola benedettina nella quale non apprese soltanto il greco ed il latino, ma venne a contatto con una certa idea della religione, intessuta di ascesi e misticismo, che lo avrebbe segnato per tutta la vita e dalla quale non si sarebbe più discostato come attestano le sue opere. La formazione benedettina, sottovaluta da molti studiosi di Gómez Dávila, influì anche sulla formazione del carattere del giovane accentuandone l’inclinazione alla meditazione e all’approfondimento delle ragioni 21
dell’esistenza avviandosi sulla strada di un “monachesimo laico” alla cui interiorizzazione non è stata di certo estranea la Regola di San Benedetto che si apre con le parole: Ausculta fili praecepta magistri. Ed i maestri di Gómez Dávila, al di là di quelli più propriamente religiosi, furono i filosofi classici che imparò a leggere, proprio dai benedettini, nelle lingue originali. Con il fratello Ignacio soggiornò anche in Gran Bretagna dove imparò l’inglese e poi via via le altre lingue, dal francese all’italiano, al tedesco. La sua permanenza in Europa fu funestata dalla polmonite che lo costrinse in casa per circa due anni. Nel 1936 fece ritorno a Bogotà e l’anno successivo sposò la bellissima Emilia Nieto Ramos, appartenente al suo stesso ambiente alto borghese, di poco più grande di lui, con una esperienza matrimoniale alle spalle, annullata canonicamente. Il giovane Nicolas, s’innamorò perdutamente di Emilia frequentando il circolo Country Club dove, nel giro di poche settimane, venne dato l’annuncio del matrimonio che galvanizzò l’interesse di tutta la buona società bogotana tanto che il quotidiano “El Tiempo” dedicò all’evento un articolo assai enfatico soffermandosi sull’avvenenza della giovane donna e sulla non comune cultura del suo sposo «educato in rinomate università europee, la sua esistenza è stata ed è tutta studi e meditazione. Poliglotta ed esperto conoscitore delle scienze, dell’arte, della letteratura… Nicolas Gómez Dávila è già uno dei pochi umanisti di cui riesce a vantarsi questa Repubblica». Francamente eccessivo per un ragazzo di appena ventiquattro anni… Vero è che l’intellettuale e il giovane uomo si tengono quasi per mano, l’uno non soffoca l’altro. Entrambi si perdono in un universo che è di pura intelligenza dell’anima e della carne. Gómez Dávila s’immerge nell’esperienza della ricerca della bellezza del pensiero e dell’erotismo. La fascinazione di Tucidide e quella di Emilia. «Non avremo imparato a godere 22
sensualmente del mondo se non quando il gesto che palpa si prolunga in arabesco dell’intelligenza», si legge nelle Notas, dove pure è sintetizzata la sua attitudine a cogliere ed unificare nella pratica morale e spirituale due elementi decisivi della propria umanità: «Il mio essere si compie solo nell’erta vetta dell’idea o nella valle bassa e soffocante dell’erotismo. La meditazione più astratta sullo spirito, le sue norme, i suoi princìpi, o la tiepida selva dei gesti voluttuosi. Mi emoziona soltanto l’alba livida che mi sorprende disperato di fronte al problema insolubile o al corpo inviolabile che nemmeno la sua complicità riesce a tradire». Commenta Volpi: «La sessualità, forza irresistibile che esercita su tutti gli esseri viventi un’attrazione fatale, diventa il pretesto per un’esaltazione magica, un’occasione di trascendenza». È così che sulla morale cristiana, appresa in famiglia e poi sublimata dai benedettini di Parigi, si forma nel giovane Nicolas una sensibilità pagana che nell’esaltazione della bellezza e nella carnalità come viatico verso la conoscenza trova una strada che percorrerà i sentieri tortuosi della sua anima fino a divenire nietzscheanamente ciò che è: un uomo al di là del bene e del male, al punto di scrivere, non certo pensando al suo riuscitissimo matrimonio che sarebbe durato sessant’anni: «Si è fondato il matrimonio perché l’uomo e la donna possano essere complici illesi e soddisfatti di tutte le meschinità, ingiustizie e viltà, perché siano senza timore avidi, ipocriti ed egoisti». È forse una estrema risorsa della carnalità manifestarsi con tanto vigore poi mitigato da una vita irreprensibile nella quale il posto della bellezza anche coniugale sarebbe stato centrale perfino nella sua monumentale biblioteca, scrigno di un corpo e di una mente mai esauste di conoscenza. Quella conoscenza che gli studi regolari non avrebbero consentito a Gómez Dávila. Infatti non li concluse mai, non si laureò, ebbe dei precettori privati soprattutto durante la 23
malattia, si confrontò con i grandi del passato collezionando volumi in lingua originale senza tregua, foderando letteralmente la sua casa di libri che sua figlia Rosa Emilia Gómez Nieto, nata il 12 ottobre 1938 (poi sarebbero arrivati Nicolas e Juan Ignacio), avrebbe custodito religiosamente. Negli anni Quaranta una caduta da cavallo lo tiene immobilizzato per un certo tempo e ne pregiudica i movimenti. La disgrazia non gli impedisce comunque di ritornare nel 1949 in Europa: sarà l’ultimo suo viaggio non soltanto fuori dalla Colombia, ma lontano dalla sua casabiblioteca e dall’hacienda di famiglia dalle quali non si sarebbe più distaccato, vivendo tuttavia non come un “recluso”. L’Europa che attraversa non è quella che aveva conosciuto da ragazzo. Le rovine lasciate dalla guerra lo intristiscono. Gli suggeriscono pensieri che si tradurranno nel suo esilio progressivo, in un mondo sempre più intessuto di memorie e di parole dal quale trarre linfa per una reazione allo scandalo della modernità e seminare lo scandalo del rifiuto, come un Anarca, per dirla con Ernst Jünger, aprendo varchi agli iconoclasti volenterosi arruolati nella file della reazione che sarebbero venuti dopo di lui. «Stabilitas loci, come la regola benedettina ordina. L’errante sbaglia», avrebbe annotato negli Escolios. E cos’altro avrebbe potuto fare dopo aver visto gli avanzi dell’Europa nella quale era nato il pensiero più luminoso della storia dell’umanità? «Viaggiare in Europa è visitare una casa perché la servitù ci faccia vedere i saloni vuoti dove prima c’erano feste meravigliose». Dopo la decisione di non viaggiare più, disgustato dal mondo che aveva conosciuto e amato, complice la zoppia che la caduta da cavallo gli aveva procurato (secondo la testimonianza della figlia fu causata da una distrazione mentre si copriva, stando a cavallo, con il poncio in una giornata di vento nel tentativo di accendersi un sigaro), don Colacho si rifugia nella sua biblioteca, centro di una casa 24
imponente «ubicata in un’affollata via di Bogotà, in mezzo al traffico e al rumore della strada, come un monumento preistorico che la routine sembra condannare alla dimenticanza nonostante la sua isolata bellezza», secondo la descrizione di Oscar Torres Duque, uno degli studiosi più attenti di Gómez Dávila. La biblioteca come “rifugio” «Il tratto fondamentale della vita di Gómez Dávila - scrive Serrano Ruiz-Calderon nell’opera citata — è la dedizione alla lettura… La sua attività si concentrava nella lettura con annotazioni, unica forma che lui aveva per fare suo quello che aveva letto… La nota a margine, che sarebbe l’origine degli scoli che pubblicava, la componeva in fogli separati dai libri che erano immacolati. Queste note poi le faceva dattiloscrivere in forme molto elaborate… In un certo senso la biblioteca è finita per essere la sua vita e mondò la sua casa in stile Tudor». Sua figlia Rosa, in un’intervista rilasciata a “El Tiempo” nel 2006 ha ricordato: «Le pareti (della loro grande abitazione, ndr) erano coperte di libri: e quando si sono riempiti gli scaffali con due o tre file di libri sovrapposti, mio papà invase altri spazi della casa: prima una stanza, dopo la mansarda. La biblioteca era il suo mondo. Lì viveva, leggeva, scriveva, si riuniva con gli amici. Quando si è ammalato abbiamo messo il suo letto nella biblioteca. È morto tra i suoi libri». Una biblioteca ricchissima. Dall’inventario realizzato dai suoi figli due anni dopo la morte del padre, emergono 143 volumi dell’opera di Goethe, 28 testi di Rousseau in prima edizione, e poi tutte le opere di Aristotele, Platone, Talete, Anassagora, Seneca, San Tommaso d’Aquino, Spinoza, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard (che cominciò a 25
studiare in danese negli ultimi anni della sua vita), Hegel, Engels, Marx e tanti altri, tra i quali i classici russi dell’Ottocento, da Dostoevskij a Tolstoj a Gogol, ma anche Bernanos, Maurras e i classici del pensiero reazionario e controrivoluzionario da De Maistre a Bonald, a Donoso Cortés, a Chateubriand. Halim Badui-Quesada, nel suo Apuntes para una biblioteca immaginaria, tra le molte sorprendenti notizie circa la collezione di Gómez Dávila - le preziose e rare edizioni delle opere di Machiavelli, introvabili pubblicazioni rinascimentali - ce ne sono alcune che ci lasciano ammirati non soltanto per la sconfinata cultura dell’appassionato collezionista, ma anche per la sua capacità di mettere insieme dalla remota Bogota, in anni di diffìcile reperimento sul mercato, volumi talmente rari da essere ritenuti di valore incalcolabile oggi, come vari incunaboli italiani, spagnoli e fiamminghi, una Bibbia in latino del 1551, un’edizione delle opere di Petrarca del 1532. Tuttavia, nonostante l’attività intellettuale lo assorbisse quasi totalmente, Gómez Dávila trovò sempre il modo di interessarsi della vita sociale e politica. Ma respinse sistematicamente le continue e prestigiose offerte di importanti incarichi pubblici autorizzate dalla sua notorietà, soprattutto nei circoli conservatori di Bogotà. Tra i molti, nel 1943 rinunciò ad assumere la carica di membro della Commissione di Difesa economica nazionale. Nel 1958 il presidente della Repubblica Alberto Lieras Camargo, che appoggiò contro la dittatura di Rojas Pinilla, gli propose il posto di primo consigliere, una posizione che lo avrebbe proiettato nelle alte sfere della politica colombiana attraversata da tensioni e da golpe militari che ne avrebbero minato la stabilità. Nel 1974 rinunciò alla nomina ad ambasciatore a Londra e non volle neppure collaborare ai giornali che avrebbero voluto spalancare le porte alla sua collaborazione, prima tra tutti “El Tiempo” appartenente alla 26
famiglia Santos che ha dato di recente alla Colombia un vice presidente e l’attuale presidente della Repubblica. Qualcuno ha parlato anche - ma non fornendo prove - che negli anni Settanta gli sarebbe stata offerta dai conservatori una candidatura alla presidenza colombiana. Qualche incarico politico, marginale comunque, lo accettò più per onorare l’amicizia di chi glielo offriva che per convinzione. «Alla politica militante - si legge nelle Notas -, come alla polemica estetica, non riusciamo a scappare se non quando abbiamo compreso che nessun ideale dura nel tempo, e che non vale la pena, dopo, lottare per così vacillanti vittorie». Insomma, «l’azione politica può giustificarsi quando la necessità degli eventi sembra permettere uno Stato consono al nostro segreto desiderio; ma né la lotta contro l’inevitabile, né lo sforzo per mantenere uno Stato indifferente a tutta la nobiltà, meritano di distrarci dai nostri sicuri piaceri». E sappiamo quali erano: la lettura, la scrittura, la meditazione nel silenzio e nella solitudine. Come definire le “piccole infedeltà” che fece al suo ideale di vita? Con le sue stesse parole: «Vivere è trasgredire e trasgredire è svilirsi». Come accennato, Gómez Dávila si occupò anche di finanza curando gli interessi della Banca fondata dal nonno, nella quale ebbe un ruolo primario, che si chiamò poi Banca delle Ande e si fuse con la Banca di Bogotà della quale don Colacho fece parte del Consiglio d’amministrazione pressoché fino agli ultimi anni della sua vita, occupandosi nel contempo delle molte attività commerciali ereditate dalla sua famiglia, a dimostrazione che si può essere nel mondo senza farsi sopraffare dalla mondanità. Nonostante la sua indiscussa notorietà Gómez Dávila non si fece distrarre dai molti omaggi accademici e culturali che gli vennero attribuiti, smentendo così di essere un “isolato”. O meglio lo era nella misura in cui l’isolamento lo cercava per meglio concentrarsi nel suo lavoro intellettuale, ma era 27
relativo dal momento che partecipava, da quel che se ne sa dagli anni Trenta alla metà degli anni Settanta, insieme con la moglie, ammirata per la sua bellezza e per la sua intelligenza, alla vita sociale della Bogotà che contava, con i balli, le feste e i ricevimenti che si susseguivano. È vero, leggeva poco o niente i giornali, non guardava la televisione, ma non si faceva pregare quando l’invito gli era rivolto da personalità della politica o della finanza che stimava. Un particolare riguardo metteva nelle pratiche religiose, lui cattolico critico, se non proprio sui generis. Andava a Messa tutte le domeniche alla “Porziuncola” dei francescani, leggeva ogni giorno i Vangeli in latino e la Imitazione di Cristo di Tomas de Kempis. Insomma, una vita “normale” per come può esserlo quella di un uomo che ha scelto di vivere sobriamente distaccandosi quanto meno possibile dalla elaborazione di un pensiero che gli era cresciuto tra le mani a contatto con il passato racchiuso in quell’immenso chiostro laico che era la sua biblioteca. Gómez Dávila, ha notato Serrano Ruiz-Calderon, «era un membro importante dell’oligarchia bogotana e nonostante avesse un tratto proprio, conosciuto chiaramente nell’ambiente che frequentava. Questo tratto era composto dalla sua biblioteca, dalla sua enorme cultura, dalla dedizione allo studio. Solo molto tardi si è appreso che aveva prodotto un’opera senza paragoni nel pensiero del XX secolo in spagnolo». La “fortuna” postuma Difatti, come è stato detto tante volte, e noi l’abbiamo sottolineato, Gómez Dávila è autore di un solo libro, quel 28
“testo implicito” mai apparso, ma preconizzato da scoli, glosse o aforismi vergati con assiduità su blocchi di carta sui quali scorreva la sua penna graffiante. E se con la pubblicazione degli Escolios nel 1977 il mondo ibericoamericano ha appreso della sua esistenza di pensatore controcorrente ed estremamente originale, ricordiamo che le Notas (primo ed unico volume) apparvero a Città del Messico, per iniziativa del fratello, nel 1954, un’edizione esplicitamente dedicata agli amici, autoprodotta e fuori commercio; Textos (sempre un solo volume anche se lasciava presagire un secondo) nel 1959; Nuevos Escolios a un texto implicito (2 volumi, come il primo) nel 1986; De iure nel 1988; Sucesivos escolios a un testo implicito nel 1992; El reaccionario autentico, postumo, nel 1995. Soltanto tra 2001 ed il 2005 l’opera completa è stata pubblicata a Bogotà da Villegas Editores. Fuori dalla Colombia e dall’area culturale ibericoamericana, l’opera di Gómez Dávila ha trovato estimatori innanzitutto in Germania negli anni Ottanta del secolo scorso, grazie alla casa editrice viennese Karolinger di orientamento conservatore, trovando un estimatore in Ernst Jünger (che in una lettera, citata da Volpi, definisce la sua opera «una miniera per amanti del conservatorismo»). Il primo europeo che si occupò di Gómez Dávila fu Dietrich von Hildebrand, filosofo e teologo cattolico tedesco, definito da Pio XII «Il dottore della Chiesa del XX secolo», ammirato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI che lo conobbe a Monaco di Baviera quando era un giovane sacerdote. Hildebrand pubblicò nel 1976 una breve nota su una rivista dalla quale prese l’avvio l’interesse per l’opera e le idee del pensatore colombiano nell’area austro-tedesca. Nel 1989 lo studioso conservatore Gera-Klaus Kaltenbrunner, uno dei pensatori più influenti della seconda metà del secolo scorso nel campo anti-progressista, pubblicò un 29
libro imponente, Vom geist Europas, nel quale ricostruiva la formazione della cultura e dello spirito europei, da Esiodo a Gómez Dávila tutt’altro che arbitrariamente inserito tra i pensatori del Vecchio Continente del quale, come è noto, sentiva di appartenere. Riferendosi a lui diffusamente, Kaltenbrunner lo paragonava a Jorge Luis Borges e a Ortega y Gasset, stabilendo delle interessanti connessioni che meriterebbero di essere approfondite sulla crisi della cultura. Nel 2003 Till Kinzel, professore universitario a Berlino, scrisse il primo libro organico sul pensiero di Gómez Dávila. Tra gli altri studiosi tedeschi, Erik von Kuehnelt-Leddihn e Robert Spaemann restano i più notevoli. In Italia, la fortuna di Gómez Dávila si deve soprattutto ai citati Giovanni Cantoni e Franco Volpi, ma anche a Marco Tangheroni autore del pregevole saggio Della storia. In margine ad aforismi di Gómez Dávila; a Gabriele Zuppa che ha scritto, tra l’altro, la scintillante Introduzione a questo primo volume degli Escolios; ad Antonio Lombardi la cui Postfazione a questo volume ci offre un originale rapporto tra il pensatore colombiano e la cultura italiana. In Francia dove le Editions Anatolia hanno pubblicato una silloge degli scoli, con il titolo Les Horreurs de la démocratie, a cura di Samuel Brussell che ha firmato anche la prefazione, e Le Réactionaire autentique con un saggio di Martin Mosebach ed una breve premessa di Alvaro Mutis, comincia appena ad uscire dalla ristretta cerchia degli specialisti e si attendono saggi sul “maurrassismo” del colombiano e sulle coincidenze tra il suo pensiero e la dottrina controrivoluzionaria. Nicolas Gómez Dávila si spense, tra i suoi libri, all’età di ottantuno anni il 17 maggio 1994 nella casa dove aveva sempre vissuto, eccezione fatta per la breve parentesi europea. Si può dire, come certa critica anche di estimatori ha sostenuto, che Gómez Dávila sia stato un “isolato”? Se valgono i parametri accademici e quelli del successo 30
letterario, certamente sì, è stato ai margini del gran mondo universitario ed editoriale. Se invece si tiene conto dell’influenza esercitata, almeno tra l’intellettualità ispanoamericana meno conformista e più incline a confrontarsi con realtà culturali emergenti e non ossequiose nei confronti del “pensiero unico”, a far data dal 1977, si può dire che lo scrittore colombiano - che nulla ha mai fatto per rendersi “gradevole” - ha avuto un’importanza notevole. Gli stessi pensatori che abbiamo citato, a lui interessati in maniera tutt’altro che superficiale, testimoniano una innegabile cittadinanza tra le mura della cultura occidentale che lui stesso ha tentato di ripulire dalle mitologie progressiste, come attesta tutta la sua opera, e in particolare un piccolo libro, El reaccionario autèntico, tratto dai Nuevos escolios, pubblicato per la prima volta nella “Revista de la Universidad de Antioquia”. È in questo testo che Gómez Dávila, polemicamente, dà il meglio di sé come “costruttore” di una indignazione collettiva consapevole che «il vero reazionario di solito scandalizza il progressista». E lo fa con gusto provocatoriamente saccente e comunque sempre elegante perché nulla irrita di più il progressista se non lo “stile” con cui lo si contraddice. La stessa forma letteraria - lo scolio, la glossa, l’aforisma, il testo breve - è un insulto per chi arma il pensiero con le teoretiche menzognere che hanno bisogno di molte parole per essere apparentemente convincenti. «Essere reazionario - sostiene - significa voler estirpare dall’anima perfino le ramificazioni più remote della promessa del serpente», oltre a che «a capire che l’uomo è un problema senza soluzione umana». Per cui il ristabilimento del diritto naturale passa attraverso la consapevolezza “reazionaria” di agire per distruggere quella teologia materialista che si è impossessata dell’anima del mondo. Gómez Dávila ha inaugurato un modo di reagire alla modernità penetrando con la lama della sua intelligenza nel 31
corpo flaccido, gonfio di contraddizioni, di incongruenze, di fallimenti della società degli uguali, la società che ha dichiarato la “morte di Dio” dimenticando di constatarne il decesso. «Dio è l’ingombro dell’uomo moderno», diceva don Colacho, per questo è comodo immaginare che sia morto.
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INTRODUZIONE | Retrospettiva futura di Gabriele Zuppa
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Tutti i sentieri sono ormai intrapresi: non resta che andare fino in fondo. Verso dove? Se nella prima decade del XXI secolo Gómez Dávila è stato introdotto in Italia da Franco Volpi quasi come una curiosità e dall’ intellighenzia per lo più ignorato, relegato ad eccentrico fenomeno letterario, nella seconda decade ci siamo prodigati affinché si iniziasse a vedere nella sua opera la produzione originalissima di uno tra i più grandi filosofi del Novecento, una pietra miliare della storia della filosofia. Lo abbiamo spiegato e ribadito in vari saggi, prefazioni e postfazioni dedicategli nelle traduzioni che sono finora comparse;1 cercherò nondimeno di mostrarlo in actu exercito una volta di più qui, con questa edizione. Con essa possiamo dire che tutti i sentieri siano stati intrapresi: nel 2016 è stato tradotto il primo tentativo gomezdaviliano di esprimersi per aforismi, le Notas, che anticipano l’ opus magnum degli Escolios·, nel 2013 era uscita la traduzione di uno dei dieci Textos, che rappresentano invece il tentativo di formulazione in prosa delle sue meditazioni filosofiche. Tentativo che pure è stato in seguito da lui ripreso con la stesura e la pubblicazione di altri due saggi brevi: El reaccionario autèntico e il De iure. Mentre le traduzioni dei suoi saggi continueranno, qui presentiamo invece la traduzione della prima parte degli Escolios. Perché incominciare col proporre la traduzione corrispondete all’unica parte finora tradotta, quella di Lucio Sessa pubblicata da Adelphi a cura di Franco Volpi? Non solo per completezza, per cominciare dall’inizio nel proporre in 34
tre tappe l’intera traduzione degli Escolios·, ma perché quella prima traduzione, quella del 2001, ancorché ottima, è incompleta. Per ragioni ignote - probabilmente per la sperimentazione editoriale nel pubblicare quella sconosciuta “curiosità” - molti escolios contenuti nell’originale sono stati espunti: non doveva essere un’edizione “scientifica” e quindi si è attinto dall’originale omettendone alcuni parti. La retrospettiva che il titolo di questo saggio annuncia non riguarda però tanto lo stato dell’arte delle pubblicazioni gomez-daviliane, quanto ciò che il pensiero del filosofo colombiano consente di tracciare sul nostro recente passato. È necessaria una reinterpretazione radicale del nostro passato, perché quella oggi invalsa è falsa. Una nuova interpretazione, che non può che essere futura: sia perché ci vorranno anni affinché sia approntata una bozza decente di quel che siamo stati finora, e che al momento non riusciamo nemmeno a intravedere; sia perché solo un’adeguata retrospettiva consentirà di far sì che il futuro non sia una mera prosecuzione della passato, consentirà di sviluppare quelle categorie che, quando ci faranno vedere il passato, saranno con ciò le categorie del futuro che agogniamo. L’avvenire è l’avvenire che uscirà dalla crisi che oggi viviamo. Da un po’ andiamo ormai sostenendo che per uscire da questa endemica crisi dell’Occidente sia ineludibile una svolta radicale dell’orizzonte culturale nel quale viviamo quello postmoderno. E che riflessioni decisive possano essere attinte da Gómez Dávila e dalla tradizione della filosofia italiana.2 Dovremmo - come cercherò di abbozzare qui di seguito - cercare di capire prima e di togliere quindi una contraddizione fondamentale, costituita dalle due anime che albergano in ogni occidentale di questo XXI secolo: lo sguardo soddisfatto del cantore della fine delle ideologie (ennesima versione della fine della filosofia, della tradizione, della metafisica, ecc.) e lo sguardo, che oscilla tra 35
la contrarietà e il disprezzo, del critico della società.3 Iniziamo la nostra esplorazione della contraddizione rammentando qualche dato con cui si presenta la crisi. Il Rapporto 20174 di Oxfam (la confederazione internazionale di organizzazioni no profit impegnate nella riduzione della povertà globale) titola in modo secco e perentorio: «Un’economia per il 99 per cento». Questa è ormai l’economia mondiale: una ricchezza accumulata da pochi. Quindi il sottotitolo del rapporto assevera programmaticamente: «È giunto il momento di costruire un’economia umana a vantaggio di tutti, non solo di pochi privilegiati». I dati ci dicono che la povertà si estende perché la ricchezza si concentra nelle mani di pochi, per i quali è quanto mai opportuno reintrodurre la categoria di privilegio, non in un senso metaforico e parziale, ma nel suo significato reale e brutale: non l’iperbole per indicare la possibilità di beneficiare - più o meno meritatamente - di alcuni beni, ma l’acquisizione di diritti a cui non corrispondono doveri, che esautorano dal loro compimento. Ecco qualche cifra incredibile offerta da Oxfam: «dal 2015 l’1% più ricco dell’umanità possiede più ricchezza netta del resto del pianeta; oggi otto persone possiedono tanto quanto la metà più povera dell’umanità; nei prossimi 20 anni 500 persone trasmetteranno ai propri eredi 2.100 miliardi di dollari: è una somma superiore al Pil dell’India, Paese in cui vivono 1,3 miliardi di persone; tra il 1988 e il 2011 i redditi del 10 per cento più povero dell’umanità sono aumentati di meno di 3 dollari all’anno mentre quelli dell’ 1 per cento più ricco sono aumentati 82 volte tanto; un amministratore delegato di una delle 100 società dell’indice Fise guadagna in un anno tanto quanto 10.000 lavoratori delle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh; negli Stati Uniti, secondo le nuove ricerche condotte dall’economista Thomas Piketty, negli ultimi 30 anni i redditi del 50 per cento più povero sono 36
cresciuti dello 0 per cento, mentre quelli dell’1 per cento più ricco sono aumentati del 300 per cento; in Vietnam la persona più ricca del Paese guadagna in un solo giorno più di quanto la persona più povera guadagna in 10 anni». Se tutto questo sembra ingiusto ed è percepito come un problema, e se nessuno auspica che si continui in siffatta maniera -come mai continua proprio ad essere questa la tendenza invalsa degli ultimi due secoli (con qualche accidentale e congiunturale variazione)? Lo si può capire solo prendendo in considerazione le categorie filosofiche fondamentali che hanno dato forma alla società occidentale: ci si accorgerebbe del perché i concetti di «umano» e di «vantaggio di tutti», invocati da Oxfam, siano divenuti involucri vuoti privi di capacità effettuale di trasformazione. Il modo più semplice per adombrare la plausibilità di questo giudizio è proprio il fatto che, benché da decenni si muovano critiche alla società capitalistica così come essa si sviluppava e continua a svilupparsi, e in nome di «un’economia umana a vantaggio di tutti», il corso del mondo sia lo stesso da due secoli e i risultati che produce sempre più evidenti. Il nodo cruciale sta nella logica filosofica alla base del capitalismo, che è la logica che, assieme al capitalismo, va diffondendosi su scala planetaria; essa ha preso il nome tecnico di nichilismo, si è chiamata col nome più comune di relativismo e si è definitivamente, finalmente compiaciuta, battezzata Postmoderno. È questa logica filosofica, assunta inconsapevolmente, a dettare il destino del mondo. Pochi sono i pensatori la cui disamina è stata in grado di coglierla nella sua complessità e nella profondità nella quale si radica. Pensatori che, per l’appunto, sono scarsamente considerati e studiati, perché incompresi. Come dicevamo, i nomi sono quello di Gómez Dávila e quelli della grande tradizione filosofica italiana. Un abbozzo notevole della questione lo troviamo per esempio nelle parole di Ugo Spirito in La vita 37
come arte: Una volta rigettata ogni istanza metafisica e gnoseologica, la vita non può concepirsi che sul piano dell’immediatezza, ossia dei giudizi di valore non giustificabili in funzione di un criterio sistematico. E allora è chiaro che assumere come valore il bello val quanto assumere l’utile o il buono, e non v’è anzi possibilità alcuna di dare ai concetti di bello, di utile, di buono un fondamento che vada al di là del gusto. La vita è bellezza dirà l’uno, e l’altro risponderà che invece è sacrificio, ma la sua risposta è dogmatica quanto la prima e non ha argomenti di sorta per combatterla e sostituirla. […] Perché l’altruismo possa dirsi veramente moralità, e distinguersi dall’edonismo e dall’estetismo, occorre non porre arbitrariamente l’altro come oggetto del proprio gusto, ma riconoscerlo come valore assoluto, in virtù di una metafisica che consenta di concepirne l’effettiva alterità. Fino a quando questa fondazione metafisica dell’altro e propriamente del significato dell’essere non è compiuta, parlare di moralità è soltanto una ipocrisia da retore.5
Questa la situazione nella quale ci troviamo, questa la logica inconscia che ci guida. Certamente lamentiamo le condizioni nelle quali ci troviamo, ma non per la loro ingiustizia: lamentiamo l’ingiustizia nella misura in cui non ci consente di partecipare al bottino. Qualora vi riuscissimo continueremmo quella tendenza che prima ci aveva reso vittime e poi ci incorona carnefici. Così come finora è avvenuto. O iniziamo a meditare seriamente questa contraddizione o continueremo a viverla ed alimentarla. La realtà che il capitalismo manifesta con sempre più chiarezza non è il prodotto di un certo tipo di capitalismo, né di scellerate politiche o di congiunture impreviste: è la logica stessa del capitalismo che lo fa da sempre essere ciò che oggi si fa più visibile. Contributi di autorevoli economisti sono recentemente stati raccolti per ripensare il capitalismo,6 perché - si afferma - una svolta è necessaria. Ma ciò che oggi non è in luce è che una svolta all’interno del capitalismo è impossibile. Ripensarlo significa quindi comprendere diversamente quel che siamo diventati e come lo siamo diventati, proponendo una visione complessiva che inglobi l’orizzonte filosofico che ha dettato l’inferno della prima metà 38
Novecento e la catastrofe della sua seconda metà. L’analisi economica, benché insufficiente, è però imprescindibile. Vediamo a grandi linee cosa è successo dal secondo Novecento ad oggi. Come sottolineato a più riprese in Ripensare il capitalismo, benché una crescita debole e instabile sia costitutiva del capitalismo occidentale degli ultimi decenni, anche quando la crescita vi è stata, la popolazione non ne ha beneficiato: l’incremento del proprio redditto non ha seguito l’incremento della ricchezza complessiva.7 Nel 2014 il reddito familiare mediano reale negli Stati Uniti era di circa 53mila dollari: pressoché invariato rispetto ai circa 52mila dollari di un quarto di secolo prima, nel 1990; ma in questo periodo il Pil era cresciuto del 78 per centro. Se negli anni ’70, come indicato nei Global Wage Reports dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro), le retribuzioni erano tendenzialmente proporzionali alla produttività, dagli anni ‘80 all’aumento del circa l’85 per centro della produttività del lavoro è seguita una retribuzione solo del 35 per cento circa. Un dato ancor più sorprendente è costituito dalla ripresa nei tre anni successivi al crac del 2007-2008: il 91 per cento dei guadagni di reddito è andato all’ 1 per cento più ricco della popolazione. Ma la tendenza risale a ben prima della crisi: l’Ocse indica che negli ultimi vent’anni i guadagni dell’ 1 per cento più ricco della popolazione sono quintuplicati. Per entrare più nel dettaglio, prendendo come esempio gli Stati Uniti dell’analisi fornita da Piketty e Saez in Income inequality in the United States, tra il 1980 e il 2014, il reddito medio dell’ 1 per cento più ricco della popolazione è cresciuto del 169 per cento; dello 0,1 per cento dei più ricchi è cresciuto perfino di più: del 281 per cento. Le cose sono andate diversamente in questi 34 anni per il reddito familiare 39
mediano: è aumentato dell’11 per cento; ed è aumentato sempre meno: dal 1989 al 2014 è cresciuto solo dello 0,7 per cento. Il confronto degli ultimi 40 anni (1973-2014) con i 25 (1948-1973) successivi al secondo conflitto mondiale all’incirca quelli del boom economico - mostra una tendenza ribaltata: in quel primo periodo del dopoguerra i salari erano cresciuti allo stesso ritmo della produttività ed erano quasi raddoppiati; nel secondo periodo, mentre la produttività è aumentata di oltre il 70 per cento, la retribuzione è aumentata del 9 per cento soltanto. Quei vent’anni non sono la regola del capitalismo, ma un’eccezione nei suoi 200 anni. La comprensione del capitalismo passa necessariamente da qui. Per ora accontentiamoci di scendere uno scalino in più nel particolare, ma per un “dettaglio” non da poco. Di recente, nel luglio scorso, ha creato scandalo l’ennesima buonuscita per un amministratore delegato, questa volta toccata a Flavio Cattaneo da parte del Consiglio di amministrazione di Tim, corrispondente a 25 milioni di euro. L’ennesima, appunto: l’Afl-Cio (l’American federation of labor and congress of industrial organizations, che è la più grande centrale sindacale degli Stati Uniti, formata da oltre 50 sindacati nazionali ed internazionali, che rappresentano oltre 12 milioni di lavoratori) ha rilevato come il rapporto fra il salario di un amministratore delegato e quello del lavoratore medio sia salito da circa 20 a 1 a 354 a 1 nel 2012. Nel 2016, i 500 amministratori delegati più pagati hanno guadagnato mediamente 13 milioni di dollari, mentre il guadagno medio di un lavoratore è stato di 37 mila dollari. Ciò significa che un amministratore delegato guadagna in media 351 volte quel che guadagna un comune lavoratore. Realtà che il presidente dell’Afl-Cio ha commentato senza mezzi termini: «L’ineguaglianza delle entrate che esiste nel nostro Paese è una disgrazia. Dobbiamo fermare gli amministratori delegati 40
di Wall Street dal trarre profitto sulle spalle dei lavoratori».8 Ma chi potrà mai fermare gli amministratori delegati di Wall Street se il sogno più o meno recondito di ogni occidentale postmoderno è quello di fare la propria scalata in questa società e, magari, con successo sostituirvisi? Le critiche alla società capitalistica uniformante e totalizzante sono destinate a rimanere inefficaci, così come si sviluppano negli anni del secondo dopoguerra, nel breve e nel lungo periodo; poiché non sanno indicare le ragioni di un’alternativa. La direzione totalizzante è piuttosto destinata, allora come oggi, ad essere concepita come una progressiva conquista liberatrice dalle concezioni tradizionali, che già da decenni venivano bollate come metafisiche e sarebbero state di lì a poco archiviate come moderne - in contrapposizione al nuovo corso del mondo, che a partire da Lyotard si definisce postmoderno. Lo spaesamento, l’angoscia prodotti da questo passaggio è stato chiamato nichilismo; l’accettazione, la conseguente acquiescenza conseguita è il Postmoderno. In quanto tutta la storia sarebbe una storia di miti e metafisiche cioè di illusioni - la storia di quelle illusioni si esaurirebbe con l’affermarsi di quella mentalità nichilistico-postmoderna, ovvero con il venire meno di qualsiasi altra concezione che le si opponga; si è perfino giunti ad asserire, come è noto, che la storia finirebbe con la caduta del comunismo (Urss).9 Il comunismo, ultima ideologia a determinare una conformazione statale, cade, lasciando posto al capitalismo o, pur mantenendo il nome, si tramuta esso stesso in capitalismo (Cina) - travolto o conformatosi al globale disincanto del mondo.10 Proprio il materialismo storico, ossia il fondamento teorico dell’ideologia comunista e delle sue forme attenuate di socialismo condivide nell’essenziale le basi del nichilismo e del postmoderno. E poiché il nichilismo e il postmoderno, 41
assieme a quell’altra loro potente complementare espressione che è il darwinismo, costituiscono la base su cui si dispiega il capitalismo, allora il comunismo, contro le sue più nobili aspirazioni, non può che risultare in ultima analisi un’apologia del capitalismo.11 Il materialismo storico assevera che saranno le condizioni materiali che andavano sviluppandosi nell’Ottocento a ribaltare il sistema di produzione capitalistico, ovvero la presa di consapevolezza delle classi sfruttate della loro forza - data dal loro numero - che, se differentemente organizzata, consentirebbe il ribaltamento del sistema capitalistico. Il volere di pochi che istituiscono e governano lo Stato capitalistico borghese sottomette e incatena la quasi totalità della popolazione, il proletariato, con un sistema di diritto prodotto da una retorica che maschera il più brutale sfruttamento. La retorica dice merito, onore, democrazia; i fatti mostrano il contrario. Così Labriola nello spiegare le «tre solenni bugie»: La prima è: che padroni tutti di concorrere, il vincere la gara è merito. L’altra è: che l’onor militare sia la misura della virtù delle nazioni. La terza è: nell’elettorato consistere la salvezza dei popoli e il progresso degli Stati. La prima serve a mascherare il capitale spadroneggiante; giova la seconda a mantenere il predominio della forza bruta sul lavoro pacifico; la terza spinge nelle prime linee della vita pubblica i professionisti, gl’intriganti, gl’intraprenditori di popolarità, lusingatori delle masse nei comizii, schiavi poi del capitale e magnificatori del militarismo quando entrino nei parlamenti.12
Ma non sarà e non potrà esser un ideale a guidare il sovvertimento del capitalismo - rimprovera Marx a coloro che apostrofa come socialisti utopisti e agli idealisti di altro genere, come Feuerbach -, né una qualsivoglia verità: il sistema capitalista non è più o meno vero dell’opposto che vuole realizzare, quello comunista. Il materialismo storico di 42
Marx già condivide l’assunto fondamentale delle filosofìe successive: non v’è nulla che trascenda la storia; nulla di più vero o di legittimo di quanto si realizzi. Ciò che esiste si legittima per il solo fatto di esistere. Negli anni ’60 del Novecento è ancora più chiaro - benché non lo si veda - che le condizioni propizie alla rivoluzione proletaria sono dileguate e che l’annuncio scientifico della rivoluzione lascia il posto a utopie velleitarie. La “scientificità” del marxismo deve far retrocedere le previsioni sul futuro a mere preferenze vagheggiate. Il testo che più di ogni altro è manifesto di quegli anni, L’uomo a una dimensione di Marcuse, ha il tono della critica, ma restituisce l’immagine di ciò che più o meno consapevolmente viene desiderato, di ciò che è e sarà inevitabilmente desiderato da una società fiera di sé, di lì a poco definitamente postmoderna. Così sinteticamente ed efficacemente rammenta il relativismo nichilistico che è ancora l’anima del Postmoderno. Se il Buono e il Bello, la Pace e la Giustizia non possono essere derivati né da condizioni ontologiche né da condizioni scientifico-razionali, essi non possono logicamente pretendere ad una validità universale, né ad essere realizzati su scala universale. In termini di ragione scientifica, essi rimangono una questione di preferenza, e nessuna risurrezione di qualche sorta di filosofia aristotelica o tomistica può salvare la situazione, poiché simile filosofia è confutata a priori dalla ragione scientifica. Il carattere ascientifico di tali idee indebolisce fatalmente l’opposizione alla realtà stabilita; le idee diventano puri ideali, ed il loto contenuto concreto e critico svanisce nell’atmosfera etica o metafisica.13
Il proletario, o comunque chiunque sia sfruttato o viva nell’indigenza o goda limitatamente del benessere della società capitalistica, non è colui che sia portatore di diversi ideali, ma colui che (ancora) non ce l’ha fatta. Il proletario aspira ad essere capitalista. Questo è più vero negli anni Sessanta del Novecento che un un secolo prima, perché la sostanza del marxismo, la sostanza del materialismo storico, non era ancora divenuta lo spirito del tempo. La tradizione 43
nelle sue varie declinazioni: platoniche, kantiane, cristiane, ecc. - esercitava ancora la sua influenza, destinata però nel tempo a dileguare. Così, se allora si poteva ritenere di desiderare un altro tipo di società, portatrice di altri ideali più veri, buoni, giusti, ecc. -, ora si reclama soltanto una maggior partecipazione a quegli ideali - profitto, edonismo, libertarismo, ecc. - dai quali si è esclusi. Ma al capitalismo non appartiene come ideale la diffusione della partecipazione, se non come “tornaconto personale”; così che, chi faccia passi in avanti nella scala capitalistica del successo, si disinteresserà di coloro che stanno sotto, del fatto che stiano sotto. La critica al capitalismo è contraddittoria e quindi inefficace, perché lamenta di non raggiungere quella condizione che annulla la logica del lamento. Marcuse esplicita così che l’antagonismo tra capitalismo e proletariato è in realtà svanito. [Sono] le due grandi classi che si fronteggiavano nella società: la borghesia e il proletariato. Nel mondo capitalista esse sono ancora le classi fondamentali; tuttavia lo sviluppo capitalista ha alterato la struttura e la funzione di queste due classi in modo tale che esse non appaiono più essere agenti di trasformazione storica. Un interesse prepotente per la conservazione ed il miglioramento dello status quo istituzionale unisce gli antagonisti d’un tempo nelle aree più avanzate della società contemporanea.14
Se dopo la «morte di Dio» tutto è permesso, rimane ciononostante la possibilità di valutare il percorso che l’incipiente prima e lo sviluppato postmoderno poi hanno imboccato? Secondo la critica degli anni ’60, che «è costretta ad arretrare verso un alto livello di astrazione»,15 o secondo il «pensiero debole»16 degli anni ’80 sì, la valutazione è certamente avanzata, ma è destinata a rimanere inascoltata o ad agire con la forza evocativa di un anacronismo. Le ragioni della critica al capitalismo postmoderno negli anni della Guerra fredda calzano anche per il capitalismo negli anni del Terrorismo del primo ventennio del XXI 44
secolo: L’unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di distruzione; la politica condotta sull’orlo dell’annientamento; la resa del pensiero, della speranza, della paura alle decisioni delle potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza senza precedenti.17
Tutto ciò sarebbe, secondo Marcuse, «irrazionale». Ma la minaccia, che la così descritta intrapresa capitalistica comporta, non è altro dal rischio d’impresa su scala planetaria. Che deve essere rettamente inteso: il rischio d’impresa non è semplicemente il mettere a rischio il proprio capitale per l’aumento dello stesso, bensì il sacrificio di qualsivoglia valore in vista del capitale. Il capitalismo è il mettere a rischio qualsiasi valore perché niente vale come il capitale. Nella logica del capitalismo non è perciò irrazionale la riduzione a povertà del genere umano, se consente l’aumento del proprio capitale; la «resa del pensiero» è la vittoria dell’unica logica invalsa del capitalismo; il rischio politico sul baratro dell’annientamento è il capitalismo che celebra i suoi trionfi. L’individuo che ha dismesso i panni del proletario, che possiede più che la sua prole, non pare nemmeno più alienato: senz’altro non si riconosce come tale. Le persone si riconoscono nelle merci; trovano la loro anima nella loro automobile, nel giradischi ad alta fedeltà, nella casa a due livelli, nell’attrezzatura della cucina.18
Probabilmente non si riconoscono nel lavoro che svolgono, se non in quanto consente loro uno stipendio, un profitto, l’incremento del capitale. Nel proprio lavoro non si riconosce il valore che esso ha se non perché esso genera il proprio capitale. La logica che guida la scelta del lavoro non è il suo valore, ma il capitale che consente di racimolare. Quindi non è il proletario ad essere alienato: o lo sono tutti o non lo è nessuno. Lo sarebbe chi si alienasse i valori diversi dal capitale 45
per il capitale stesso; ma, appunto, il capitalismo non ne riconosce e, quindi, all’interno della logica capitalista non c’è spazio per concepire l’alienazione. Quella analizzata da Marx si è dissolta nello sviluppo del capitalismo. Di nuovo, si vorrà obiettare: non tutti partecipano del benessere capitalistico. Ma la povertà non è un’obiezione al capitalismo poiché, all’interno della sua logica, essa è tutt’al più un segno di incapacità, il fallimento di alcuni individui o di un popolo; non certo il fallimento del capitalismo. Al disgusto pasoliniano per il profilo della società che andava delineandosi, tuona inesorabile la domanda alla quale lo stesso Marcuse non sa rispondere: Se gli individui sono soddisfatti, al punto d’esser felici, dei beni e dei servizi loro offerti dall’amministrazione, perché mai dovrebbero insistere per avere istituzioni differenti capaci di produrre in modo differente beni e servizi differenti?19
Sono soddisfatti, prova ancora a obiettare Marcuse, poiché sono poco consapevoli di ciò che il loro mondo dei balocchi comporta. Questo maggior contesto di esperienza, questo reale mondo empirico, è ancora oggi quello delle camere a gas e dei campi di concentramento, di Hiroshima e Nagasaki, delle Cadillac americane e delle Mercedes tedesche, del Pentagono e del Cremlino, delle città nucleari e delle comuni cinesi, di Cuba, del lavaggio dei cervelli e dei massacri. Ma il reale mondo empirico è anche quello in cui tutte queste cose sono ritenute ovvie, o dimenticate, o represse, o sconosciute, e quello in cui le persone sono libere. E un mondo in cui la scopa all’angolo o il sapore di qualcosa come l’ananas sono cose molto importanti, e in cui il lavoro quotidiano e le comodità quotidiane sono forse gli unici elementi che entrano in ogni esperienza. E questo secondo, limitato universo empirico fa parte del primo; le potenze che governano il primo plasmano anche l’esperienza limitata.20
Dalla seconda metà del XX secolo vi è una voce sopraffina tutt’ora inascoltata - che lancia i suoi strali sulla modernità avanzando un’analisi tanto lucida quanto è radicale la critica che l’accompagna. I suoi dardi filosofici 46
prendono forma definitiva negli escolios, che inizierà a pubblicare a partire dal ’77, ma sono preceduti di vent’anni dalle notas e dai textos che già contengono in modo ampio e articolato la sua prospettiva filosofica nella quale si dipana la fenomenologia e la disamina che offre del suo, del nostro tempo. Criticare il nostro tempo significa, anche per Gómez Dávila, criticare la sua sostanza, la sua cifra peculiare: il capitalismo; nonché ciò che lo alimenta: l’industrializzazione che si fa tecnica, la mercificazione e la commercializzazione dell’esistente che si fa globale. Così, se la sinistra è quella forza che si oppone al capitalismo, che vi riconosce un problema - il problema fondamentale del nostro tempo -, allora in ciò la sinistra non sbaglia; ma la sua analisi è talmente parziale che finisce per alimentare il capitalismo. La tragedia della sinistra è quella di diagnosticare correttamente una malattia, ma di aggravarla con la sua cura.21
La reazione di cui Gómez Dávila si fa portavoce in quanto critica del capitalismo è certamente condivisa con il pensiero di sinistra, ma non può coincidere con esso. Il reazionario è il fomentatore di quella radicale insurrezione contro la società moderna che la sinistra predica ma che meticolosamente elude nelle sue farse rivoluzionarie.22
Le rivoluzioni che la sinistra vagheggia o riesce a compiere sono farse perché gli obiettivi a cui aspira sono gli stessi del capitalismo. La sinistra predica una riforma o una rivoluzione della società che consenta un’estensione della partecipazione alla ricchezza. Ma proprio in questo rivela di essere mossa dalla stessa logica del capitalismo. La distribuzione della ricchezza può essere solo illusoriamente un obiettivo ultimo, l’obiettivo che la sinistra persegue: per poterlo essere realmente, la distribuzione della ricchezza dovrebbe infatti indicare qualcosa d’altro rispetto alla ricchezza, che le sia preferibile. In tal modo la ricchezza e la sua distribuzione 47
sarebbero appunto un mezzo per il fine indicato. Invece la distribuzione della ricchezza ha per scopo la ricchezza stessa, che è l’unico vero fine a cui sia la destra sia la sinistra tendono. Il proletariato non detesta altro nella borghesia che la difficoltà economica di imitarla.23
Così nella retorica rivoluzionaria della sinistra non c’è nulla di autenticamente rivoluzionario e le sue prediche, agli occhi della consapevolezza reazionaria, si rivelano per quello che sono: farse. L’autentico rivoluzionario insorge per abolire la società che odia, mentre il rivoluzionario attuale lo fa per ereditarne una che invidia.24
Non vi è opposizione reale al capitalismo, perché la critica che ad esso si muove lamenta che non tutti partecipano della ricchezza che produce, cioè che non tutti hanno la possibilità di aumentare il proprio capitale. Ma l’essenza del capitalismo è per l’appunto l’accumulo e l’aumento del capitale, così che nessuno arresterà la sua scalata per un obiettivo che è estrinseco al capitalismo - come ad esempio la distribuzione della ricchezza — e per cui il capitalismo non potrà mai essere mezzo, poiché esso è la logica stessa che guida ogni azione politica, anche di quelle che apparentemente ad esso si oppongono; anzi, ogni fine diverso dal capitalismo non può che essere da ultimo mezzo per il capitalismo stesso. Tutto nella logica che informa il Novecento, che è la logica del capitalismo, è destinato a perdere la sua autonomia di ideale, ad asservirsi al capitalismo, a farsi borghese. Perfino gli Stati comunisti. Con l’industrializzazione della società comunista culmina l’egemonia borghese. La borghesia non è tanto una classe sociale, quanto l’ethos della società industriale stessa.25
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L’inesistenza di una logica diversa da quella capitalistica fa sì che la borghesia sia l’unica classe sociale e che si debba ormai distinguere tra borghesi ricchi e borghesi poveri. Il proletariato acquista marxianamente un’identità nella sua aspirazione a sostituirsi alla borghesia, per eliminare - predica il filosofo di Treviri - lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Però ciò a cui il proletariato in realtà aspira è la liberazione dallo sfruttamento che subisce: è questo ciò a cui pensa quando sviluppa la sua retorica; ma ciò di cui si vuole appropriare è ciò in cui la borghesia riesce: l’appropriazione della ricchezza alla quale vuole prendere parte. La logica da cui inconsapevolmente è guidato è sempre quella borghese, sì che una volta liberatosi con qualsivoglia mezzo dallo sfruttamento non si troverà a sua volta con nulla da fare che intraprendere qualche azione capitalistica di sfruttamento. Il proletariato sorge quando il popolo si converte in una classe che adotta i valori della borghesia senza possedere beni borghesi.26
E il compimento del comunismo alla fine non può che essere il compimento della borghesia. Il comunismo non si è rivelato la peripezia finale della Verelendung proletaria, bensì la metamorfosi finale del proletariato in borghesia.27
Gómez Dávila non condanna l’esistenza di un ethos borghese, ma l’appiattimento di ogni altro valore su di esso. Come ethos di una classe media, di una classe fra due classi, l’autentico ethos borghese è uno dei successi indiscutibili dell’umanità occidentale. La calamità presente non proviene dall’esistenza di un ethos borghese, bensì dall’ambizione sociale di un settore della borghesia che si è trasferito ai piani alti dell’edificio senza mutare nell’anima.28
E ciò che precisamente costituisce il problema e il dramma dell’epoca presente è la logica del capitalismo, il riconoscimento della ricchezza come unico fine ultimo a cui 49
nulla è subordinabile. La classe sociale alta è quella per la quale l’attività economica è un mezzo, la classe media quella per la quale è un fine. Il borghese non aspira ad essere ricco, bensì ad essere più ricco.29
Nella società in cui predomini la logica capitalistica propria dell’ethos borghese non potrà comparire una forza sociale rivoluzionaria. Il pessimismo reazionario di Gómez Dávila non è arbitrario: la sua disillusione è piuttosto espressione di una consapevolezza ineguagliata nei decenni seguenti al secondo conflitto mondiale e che dopo di lui è rintracciabile nei lavori di Emanuele Severino, come vedremo. Gómez Dávila capovolge gli auspici e le speranze che ancora chiudono L’uomo a una, dimensione di Marcuse, che così si esprimono: Al di sotto della base popolare conservatrice vi è il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico; la loro presenza prova come non mai quanto immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni ed istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato.30
L’analisi di Marcuse per essere corretta va ribaltata: la loro opposizione non è rivoluzionaria e la loro azione si svuoterà fino a placarsi col crescere della loro coscienza già borghese. Così ogni battaglia per i diritti universali finisce per diventare una richiesta per il miglioramento di una propria posizione nel mondo borghese. E quel che Marcuse descrive non è la scesa in campo di nuovi o rinnovati ideali, ma di disperati che incarnano la stessa mentalità alla quale la loro retorica dice di opporsi. Quando si riuniscono e scendono nelle strade, senza armi, senza protezione, per chiedere i più elementari diritti civili, essi sanno affrontare
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cani, pietre, e bombe, galera, campi di concentramento, persino la morte. La loro forza si avverte dietro ogni dimostrazione politica per le vittime della legge e dell’ordine.31
Se ci fosse ancora bisogno di ribadire che non ci sono figure sociali che si sottraggano alla logica capitalistica, Gómez Dávila così rincara la dose: Tre personaggi del nostro tempo odiano il borghese professionalmente il borghese: l’intellettuale - tipico rappresentante della borghesia; il comunista fedele esecutore di propositi ed ideali borghesi; il sacerdote progressista trionfo ultimo della mente borghese sull’anima cristiana.32
Il capitalismo non è quindi criticabile perché non distribuisca la ricchezza, ovvero produca disuguaglianze; ma per qualcosa di più decisivo, la cui individuazione soltanto permetterebbe che le critiche che la sinistra avanza al capitalismo abbiano un senso e non svaniscano nel vortice della sua logica. Così Gómez Dávila lo esplicita: Non disapproviamo il capitalismo perché fomenta la disuguaglianza, ma perché favorisce l’ascesa di tipi umani inferiori.33
Oppure: La società industriale è l’espressione ed il frutto di anime nelle quali le virtù destinate a servire usurpano il posto di quelle destinate a comandare.34
Le disuguaglianze non si possono estinguere poiché sono costitutive,35 segnatamente sono le differenze in grazia di cui una cosa non è un’altra, non deve essere scambiata con un altra. Ma proprio perché inestinguibili, quando avanza la retorica dell’uguaglianza, bisogna stare in guardia per vedere che cosa voglia livellare, se disuguaglianze fittizie o disuguaglianze reali. La disuguaglianza, la distinzione non deve fondarsi sul capitale; ma la differenza di capitale dovrebbe giustificarsi sulla base di altro. Così, nella società capitalistica, l’invocazione dell’uguaglianza che proviene da chi è ai margini del successo capitalistico non esprime il 51
riconoscimento di una Giustizia che regoli le differenziazioni, che promuova l’uguaglianza ove vi sia una disuguaglianza ingiusta; ma la richiesta di partecipare alla ricchezza. L’egualitarismo non è un tributo ai diritti di coloro che ci succedono, bensì intolleranza dei diritti di coloro che ci precedono.36
Quella dell’uguaglianza è la retorica di chi aspira a beneficiare della ricchezza prodotta dalla disuguaglianza capitalista e di chi non è disposto a rinunciare alle proprie conquiste per promuoverla, perché non si trova al servizio di un ideale, ma invoca ideali fittizi per promuovere la propria posizione sociale, che, nella società capitalista, significa il proprio livello di ricchezza. Gli uomini si distinguono fra coloro che insistono nell’approfittare delle ingiustizie di oggi e coloro che bramano approfittare di quelle di domani.737
Infatti, nonostante la perdurante denuncia delle ingiustizie sociali, della disuguaglianza, della violazione dei diritti, cosa si è andato accumulando degli anni se non esattamente il contrario? La corruzione è aumentata al punto di perdere il pudore, il divario tra ricchi è poveri è cresciuto vertiginosamente, la previdenza sociale è andata volatilizzandosi. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ha preso altre strade, mascherate dall’impostura più grande, che si ammanta del nome più bello: la libertà. Con questo risultato: Sono due secoli che il popolo ha sulle proprie spalle non solo i suoi sfruttatori, bensì anche i suoi liberatori. La sua schiena è ricurva di un peso doppio.38
In che cosa sono consistite tutte le liberazioni della modernità? Quale il loro risultato notevole? Una catastrofe: la perdita della civiltà.
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L’uomo moderno non sfugge alla tentazione di identificare ciò che è permesso con ciò che è possibile.39
La modernità vede in ogni imposizione un limite alla libertà e in questa falsa contrapposizione, elidendo uno dei due termini, crede di ottenere l’altro. È nell’essenza dell’uomo quello di valicare i confini che si ritrova imposti, di metterli alla prova, di saggiarli; ma la caratteristica peculiare alla modernità è l’emancipazione da qualsiasi limite. L’uomo è propenso ad usare tutti i propri poteri. L’impossibile gli sembra l’unico limite legittimo. Tuttavia, civilizzato è colui che per ragioni diverse si rifiuta di fare ciò che può.40
Quel che al moderno viene sempre più mancando, e specie nel punto più alto finora raggiunto - quello postmoderno -, sono le ragioni per non fare tutto ciò che la tecnica l’ha messo nelle condizioni di fare. Ciò che l’uomo può fare è non solo la realizzazione di quei desideri che voglia soddisfare, ma soprattutto l’aumento della stessa possibilità d’azione, che la ricchezza e la tecnica capitaliste gli forniscono - primo e ultimo scopo della logica che lo muove. Eppure dovrebbe essere abbastanza evidente che nel soddisfare un desiderio un altro debba rimanere non soddisfatto; che, nel mentre si realizza qualcosa, qualcos’altro deve venire tralasciato. E, se questo venisse riconosciuto, ciò che senz’altro non è più in vista - e non ritornerà facilmente ad esserlo - è l’affermazione di quei grandi scopi che richiedono grandi rinunce. La realizzazione di grandi scopi di quegli scopi la scoperta della cui durata e intensità richiedono sforzo, addestramento, educazione - è preclusa alla logica capitalista che non sa vederli e concepisce la realizzazione come produttività, innovazione, esibizione, ecc. 53
La nozione di progresso scientifico è chiara e indiscutibile. La nozione di progresso tecnico, al contrario, è confusa e discutibile. La nozione di progresso scientifico è chiara e indiscutibile perché l’impulso stesso del progresso scientifico è il criterio del suo progresso. La nozione di progresso, detto altrimenti, fa parte in maniera univoca della definizione stessa della scienza. Il processo scientifico consta in effetti di una falsificazione successiva di ipotesi, e il progresso scientifico consta ugualmente della stessa attività di falsificazione. La nozione di progresso tecnico, al contrario, è confusa e discutibile, poiché la finalità del processo tecnico è esterna allo stesso processo. In effetti, solo la norma estrinseca che avvalora i fini realizzati dal processo può decidere che il processo tecnico sia progresso. Per asserire che oggi esiste un progresso tecnico si richiede di provare previamente che gli aneliti, le avidità e gli appetiti colmati dalla tecnica moderna siano valori giustificati da un’indagine assiologica autonoma.41
Il denaro oggi può tutto, almeno tutto ciò che non è importante. Esempi eclatanti recenti non mancano, ma la storia pullula di casi da cui attingere. Si affittano uteri, ma non solo: del proprio corpo si possono fare e si fanno da tempo tanti usi. Di recente possiamo far nascere in provetta, ma da sempre segregare in casa, rinchiudere in una cella, ecc. Possiamo venderci e svenderci, comprare e affittare: con i corpi tutto è possibile. Non con l’anima. Svenderla, svilirla è possibile; comprarla, affittarla non lo è: semmai la si edifica negli anni, nel corso di una vita - essa è la vita che si realizza. La mera esistenza è un’altra cosa: un’esistenza qualsiasi infatti non ci va bene - vogliamo vivere! Così diciamo. Eppure facciamo il contrario. La società non riconosce che trionfi comprati da una moneta che l’anima lucida e nobile disprezza.42
Recentemente in parlamento e in tutta Italia si è discussa l’opportunità di sopprimere «l’obbligo reciproco di fedeltà dei coniugi»; non si è proposto, ma si soddisferà (comunque) il desiderio individuale di figli di un certo corredo genetico (il proprio, al momento). Così, pare di primo acchito, si avranno 54
più diritti: quello di essere cornuti e quello di essere privi di un genitore (poiché il figlio che produciamo all’interno di una coppia omosessuale avrà il proprio corredo genetico in parte costituito anche dal corredo genetico di una persona che non conoscerà mai o che comunque non lo crescerà e non gli farà da genitore). Fuor d’ironia: avremo meno doveri, ma più diritti no. Cioè potremo fare un po’ di più quel che ci pare, ma a questo non corrisponderà che otterremo di più. Quel che non pretendiamo più dagli altri non lo potremo più pretendere per noi. Se abbassiamo l’asticella dei nostri doveri, abbassiamo anche quella dei nostri diritti. Se pare bene che non si pretenda nulla da noi stessi, pure non potremo avanzare nessuna pretesa. Esigere meno da noi stessi non ci farà ottenere di più. Sarà più facile, facile facile magari. Ma alla fine ci basterà quel poco, quella pochezza della quale ci saremo circondati? Se non facciamo promessa di fedeltà alla persona con la quale programmiamo il futuro della nostra vita, a chi la faremo? A chi saremo fedeli, di chi avremo fiducia? Chi crederà in noi? Che senso avrebbe la parola data se ci credessimo giustificati dal cambiarla da noi, quando non ci siano più le condizioni “opportune”? Che cos’è un uomo la cui parola non conta niente, che cos’è un uomo il cui significare in gesti e opere si annulla? L’onestà è il fondamento assoluto di tutti i valori43; senza, la nostra esistenza si svaluta e si annulla nella contraddizione. Nondimeno, la pratica della maternità surrogata - e la conseguente fecondazione eterologa - è contraddittoria. Che non si scelga di amare un bambino già dato alla luce da altri (in una usuale adozione) non può che essere dovuto al valore che si attribuisce al proprio corredo genetico. Ma se si riconosce valore al corredo genetico, lo si riconoscerà proprio per questa attribuzione - anche per il nascituro, a cui però evidentemente viene negato un genitore con parte del 55
suo corredo genetico: l’ovulo o lo spermatozoo lo riceverà da una persona esterna alla coppia. Si fantastica che questo sia amore: se lo è, tutt’al più lo è nelle intenzioni. Smettiamo così di pretendere la fedeltà nei nostri confronti, sposiamo la facilità di tradire gli impegni presi - esultiamo per non dover essere nessuno. Ci prendiamo quel che desideriamo senza intravvedere che l’oggetto del desiderio contraddice il desiderio stesso. Desideriamo a caso e non sappiamo cosa dovremmo volere, perché non sappiamo più: e cosa ci sarebbe da sapere se tutto è relativo, non c’è una verità, tutto è permesso, anche rispetto ad una “unica” persona? Le teorie postmoderne hanno preparato il terreno non perché fioriscano personalità, ma perché si frammentino le persone. È l’epoca della schizofrenia nichilistica. Il nichilismo - quella forma più radicale di relativismo della storia dell’Occidente, che ora prende il nome edulcorato di Postmoderno - non riconosce alcuna possibilità di ricerca assiologica: l’etica, la morale o comunque qualsiasi giudizio di valore sono ormai da tempo relegati alla sfera delle idiosincrasie personali che non hanno diritto di pretendere di valere oltre al soggetto che le formula. Secondo la mentalità postmoderna invalsa ogni valutazione è di per sé già un abuso, un’usurpazione. Pretendere che un valore si presenti come verità è considerato un’aberrazione: ci sarebbe così «qualcuno che in nome della verità mi vuole far fare ciò che non voglio»,44 come asserisce Vattimo; perciò l’unanime sollevazione postmoderna è contro un idolo ormai decomposto da due secoli di nichilismo, «contro l’etica della verità»,45 per dirla con Zagrebelsky. Questi epigoni celebrano compiaciuti un funerale officiato più di un secolo fa da Nietzsche. Il mondo che in qualche modo ci interessa è falso, ossia non è una realtà, bensì un’invenzione e un arrotondamento di una magra somma di osservazioni; esso è «fluido», come qualcosa che diviene, come una falsità che
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si sposta sempre di nuovo e che non si avvicina mai alla verità, perché - non c’è una verità.46
Ma se la filastrocca dell’inesistenza della verità - assoluta, aggiungono i più timorosi delle conseguenze - non fosse stata ancora pronunciata da tutti negli ultimi decenni, negli ultimi mesi si è affacciato sulla scena come una moda il termine postverità. È il culmine del Postmoderno. Una qualche anche insufficiente ricostruzione della sua genesi è qui impossibile, ma un cenno deve essere tentato per dare uno sfondo al dipinto gomezdaviliano. Nel nostro animo ancora riecheggiano due alternative: il coro dei maestri del sospetto (Marx, Nietzsche, Freud, ecc.); il coro dei maestri della dialettica (Platone, Hegel, Gentile, ecc.). Queste voci parlano più o meno confusamente dentro di noi e all’Occidente tutto. Il prevalere dell’uno indirizzo o dell’altro costituisce l’altalena della nostra esistenza, che, incalzata dalle circostanze, può trovarsi a splendere o a inabissarsi. L’una ci mette in guardia avvertendoci che nelle ideologie, nella tradizione, nella coscienza morale si esprime la voce di chi ha potere, di chi vuole mantenerlo o acquisirne ancora più - questi intendono imporci la loro volontà e lo fanno imponendoci quella loro visione del mondo che ci opprime. Quei maestri hanno inteso smascherare la menzogna che può nascondersi dietro a quanto è ritenuto illustre e sacro. L’altra ci invita a badare per bene che non sia forse la nostra visione del mondo ad essere presuntuosamente e pretestuosamente la scorciatoia per non dover prestare ascolto e mettere alla prova i maestri della tradizione, che avanzano la pretesa di avere qualcosa di importante da esprimere. Fidarsi è bene, non fidarsi è certamente meglio, ma proprio per poter iniziare a farlo bisogna imparare a conoscere l’altro da noi, colui che appare distante: come possiamo sapere che cosa è l’altro, se non ne approfondiamo la conoscenza? Se 57
invece presupponiamo che l’altro è proprio altro da noi, irriducibilmente - perché mai prenderlo sul serio? Perché fare fatica e fare i conti con ciò che è presupposto essere fondamentalmente estraneo, quindi un ostacolo? Così si esprime Freud nel Disagio della civiltà (1929): Lo scopo della vita umana è […] diventare e rimanere felici. […] Il programma del principio di piacere stabilisce lo scopo della vita. Questo principio domina l’operare dell’apparato psichico fin dall’inizio; non può sussistere dubbio sulla sua efficacia, eppure il suo programma è in conflitto con il mondo intero, tanto con il macrocosmo che con il microcosmo.47
Ma, si badi - ciò che si vuole non comporta proprio una parola e un pensiero che sappiano indicare cosa vogliamo? Non comporta un sapere che (ancora) non possediamo, estraneo, che richiede fatica per appropriarcene? O forse si ritiene così ingenuamente che il contenuto di ogni nostro desiderio e di ogni nostra volontà sia quello vero, quello che proprio desideravamo e volevamo? Basta avere la sensazione di qualcosa per sapere di quella cosa? Ogni nostra credenza, ogni nostro sentire si equivale? Se così fosse, perché mai cambieremmo opinione, perché avremmo sentimenti ambivalenti? E l’opinione più vera, che in futuro magari abbracceremo, non è l’opinione ora di qualcun altro, che ci appare altra perché non ci siamo elevati ad essa, a tale conoscenza? Allora, se superiamo quella ingenuità, si inizierà a scorgere che ciò gli altri pensano non è così altro da noi; che anzi è l’unico mezzo non per fare ciò che arbitrariamente ci va, ma per conoscere ciò che vogliamo. Il monito che Nietzsche ci ha lasciato nell’aforisma 335 della Gaia scienza (1882), rimarrà sempre prezioso e autentica iniziazione alla filosofia: Ma il fatto che tu ascolti come parola della tua coscienza questo o quel giudizio, quindi il fatto che tu senta qualcosa come giusto, può avere la sua causa nella circostanza che non hai mai meditato su te stesso, e hai sempre
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ciecamente accettato quel che ti è stato designato fin dall’infanzia come giusto.48
Ma il Super-io che in noi parla minaccioso, l’autorità che non capiamo e male sopportiamo, la tradizione nella quale ci ritroviamo - sono, solo perché incomprese, qualcosa di cui disfarci, da saltare a piè pari? Se con il sospetto inizia la filosofia, un attimo dopo, con l’ignorare, con la trascuratezza essa finisce. La voce del sospetto ci dice che l’altro vuole imporci il suo volere anche perché nella modernità divenuta postmoderna l’altro è concepito a noi equivalente, non è migliore e più vero: è solo diverso, perché - si dice - non c’è una verità. Senza una verità da ricercare, di cui l’altro (sia esso vicino, lontano, passato, futuro) possa essere depositario; senza una verità che l’altro possa avere più di noi compreso, quest’altro non può che essere condannato a rimanere estraneo. E con lui la verità. L’individuo postmoderno, solo e benestante, è descritto da Platone nell’VIII libro della Repubblica: Un tipo siffatto passerebbe la sua vita togliendosi soddisfazioni a seconda del desiderio che prevale; talora nell’ebrezza o fra suoni di flauto, tal altra fra digiuni e brindisi d’acqua; talvolta passando il tempo in esercizi ginnici, tal altra nell’ozio più assoluto e qualche volta addirittura avendo l’aria di darsi alla filosofia. Spesso poi si atteggerebbe a uomo politico, e allora lo vedresti saltare su nell’assemblea a dire e fare quel che gli passa per la mente; e quando gli venisse la voglia di emulare i militari, sarebbe tutto dalla loro parte, e lo stesso farebbe a riguardo degli uomini d’affari. E così il suo modo di vivere non ha né un criterio né una legge, ma chiamando la sua bella vita, spensierata e dolce, la consuma tutta in tale maniera.49
Così, quando le cose sembrano sfuggire di mano, quando una nuova minaccia sembra incombere, quando la piena della povertà ci travolge, quando l’eco del terrore ci fa sentire insicuri - ecco che percepiamo che qualcosa non va, ma non possiamo coglierlo con lucidità. Perché a riemergere sarà quel nuovo Super-io che abbiamo interiorizzato, quello del sospetto, che dubita - anzi ne è ormai convinto! - che oltre al 59
presente non ci sia la promessa di qualcosa di migliore qualcosa di vero, buono, bello - che vada oltre al relativistico e solipsistico piacere o sollievo del momento. Il discorso veritativo […] quello non l’accoglie né lo fa entrare nella sua fortezza; anzi, se qualcuno gli ricordasse che certi piaceri vengono da desideri buoni e leciti, e altri da desideri illeciti, e che i primi vanno coltivati e tenuti in pregio, mentre i secondi vanno repressi e tenuti a freno, egli a ognuna di queste considerazioni risponderebbe con un cenno di diniego, affermando che tutti i desideri sono uguali e degni di uguale considerazione.50
Se non siamo consapevoli che il confronto con l’altro è ciò che ci consente di avvicinarci a noi stessi, il confronto non lo inizieremo mai e lo invocheremo come presagio di qualcosa di necessario, ma senza sapere come e perché. Il dialogo con gli altri e con le altre culture potrà autenticamente accadere solo nel nome della verità e per mezzo della fatica che richiede. Così nelle parole di Gómez Dávila: Il reazionario, nell’osservare la dissomiglianza degli uomini e la varietà dei loro propositi, ha inventato il dialogo. Il democratico pratica il monologo poiché l’umanità si esprime per bocca sua.51
Il dialogo, senza una verità da conoscere, diventa una sovrapposizione o una contrapposizione di monologhi, l’obiettivo dei quali non è la scoperta che nasce dal confronto di ricerca, ma la persuasione dell’avversario: così che l’obiettivo sarà il convincerlo con qualsiasi mezzo. Il dialogo che si tramuta in monologo è propaganda. Gómez Dávila impiega, proprio come Platone, negativamente il termine democrazia, intendendo la forma politica in cui si esprime l’arbitrio, il capriccio, l’idiosincrasia della maggioranza. Una maggioranza fittizia, perché, appunto, giustapposizione di individui, che si appoggiano o si servono degli altri, quando non riescano a soverchiarli o a sfruttarli.
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Il suffragio universale non pretende che gli interessi della maggioranza trionfino, bensì che la maggioranza lo creda.52
Difatti, le procedure democratiche sono immerse nella stessa logica del capitalismo sin qui descritta: I partiti liberali promettono da partiti popolari e mantengono da partiti borghesi.53
Il populismo non è una deriva accidentale di una congiuntura degli ultimi anni, ma congenito alla logica capitalistica. Il democraticismo populista cerca di assecondare i desideri del suo elettorato per acquisire quel potere che gli permetta quanto più possibile di soddisfare i propri: e le procedure democraticistiche non sono altro che l’espressione del relativismo postmoderno. L’individualismo postmoderno, sbarazzandosi di ogni teoria e tradizione, che ha imparato a considerare come complotto di volontà esterne alla sua, dichiara che ciò che trascende la sovranità assoluta dell’individuo è ideologia. Ma, naturalmente: “La fine delle ideologie” è il nome con il quale viene celebrato il trionfo di una certa ideologia.54
Che Gómez Dávila spiega in questo modo: L’antropologia democratica definisce l’uomo come volontà. Affinché l’uomo sia dio, è necessario attribuirgli la volontà come essenza, riconoscere nella volontà il principio e la materia stessa del suo essere. La volontà essenziale, in effetti, è sufficienza pura. La volontà essenziale è attributo tautologico dell’autonomia assoluta. Se l’essenza di un essere non è la sua volontà, l’essere non è causa di se stesso, bensì effetto dell’essere che determina la sua essenza. Se l’essenza umana eccede la volontà dell’uomo, quell’eccedente lo assoggetta ad una volontà esterna. L’uomo democratico non ha natura, ma storia: volontà inviolabile che la sua avventura terrestre maschera, ma non altera.55
Così, privato della possibilità di considerare le opzioni altrui come opzioni universali che lo riguardino, ma alla 61
meglio come compromessi che lo compromettono, la postverità del postmoderno getta in questo scenario ontico: Il democratico individualista non può dichiarare che una norma è falsa, ma che ne desidera un’altra; né che una legge non è giusta, ma che ne vuole un’altra; né che un prezzo è assurdo, ma che gliene conviene un altro. La giustizia, in una democrazia individualista e liberale, è ciò che esiste in qualunque momento. La sua struttura normativa è configurazione di volontà, la sua struttura giuridica somma di decisioni positive e la sua struttura economica complesso di atti compiuti.56
La giustizia, ormai frammentata in opzioni ritenute incommensurabili, tante quante gli individui, non è che ciò che l’individuo forte vuole, ciò che egli realizza: la volontà che si afferma può legittimamente riempirsi la bocca del termine giustizia; le sollevazioni che gridano ingiustizia sono anacronismi velleitari che testimoniano solo dei fallimenti. Ogni ragione si dissolve nella coincidenza con l’immediato successo; l’immediatezza del fatto è l’esclusiva fonte di legittimità. Quando è sconfitto da una maggioranza, il vero democratico non deve dichiararsi semplicemente vinto, bensì confessare inoltre che non aveva ragione.57
Ciò che Gómez Dávila descrive è quanto già aveva raccontato Platone e quanto i nostri giorni confermano. Il democratico rifugge il peso del passato e non accetta il rischio del futuro. La sua volontà pretende di espungere la storia passata e plasmare senza intralcio la storia ventura. Incapace di lealtà ad un’impresa consegnata dagli anni, il suo presente non si appoggia sullo spessore del tempo; i suoi giorni aspirano alla discontinuità di un pendolo sinistro.58
Così, ognuno, legittimate le sue volizioni momentanee, i suoi desideri più estemporanei, è consegnato dalla ideologia postmoderna a quanto in lui vi è di elementare, alla sua animalità. L’uomo, fino a ieri, non meritava che lo chiamassero animale razionale.
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La definizione è stata inesatta fintantoché inventava, preferentemente, attitudini religiose e comportamenti etici, compiti estetici e meditazioni filosofiche. Oggi, al contrario, l’uomo si limita ad essere animale razionale, cioè inventore di ricette pratiche al servizio della propria animalità.59
Un’animalità sempre presente, che in passato era compito dell’uomo educare, perché da essa fiorisse qualcosa di nobile. Ora l’uomo è dimentico del proprio potenziale e accetta le sue bassezze senza pudore. Non sarà facile presenziare senza nausea a questa “fine delle ideologie” che ci viene annunciata con giubilo. Rinunciare ad una ideologia conduce la maggioranza della gente soltanto a perdere il proprio pudore.60
Come se non bastasse, per cacciare i dubbi che affiorano dalle profondità nobili e inesplorate del suo animo, inventa formule che possano acquietare i sussulti della sua coscienza. “Avere l’ardimento di accettare se stessi” è una delle varie formule moderne che pretendono di nascondere la viltà dell’uomo definendo difficile ciò che è facile. L’uomo moderno assevera che nulla costa più lavoro all’uomo come cedere alla propria animalità.61
Ecco che ne è stato degli ideali moderni nella parabola che ha condotto al postmoderno. Liberté, égalité, fraternité. Il programma democratico si realizza in tre tappe: la tappa liberale, fondata dalla società borghese, sulla cui indole ci rimettiamo ai socialisti; la tappa ugualitaria, fondata dalla società sovietica, sulla cui indole ci rimettiamo alla nuova sinistra; e la tappa fraterna, alla quale preludono i drogati che si accoppiano in resse collettive.62
Al di fuori di questo orizzonte, l’uomo postmoderno non vede più. Avarizia, stupidità, crudeltà - l’uomo è sempre stato vittima dei propri difetti.
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Ma solo la società industriale poteva renderlo vittima delle proprie virtù.63 Nichilismo, cinismo e idiozia sono le alternative politiche del nostro tempo.64
Nel passato l’uomo non era certamente un campione di virtù, ma qualcosa di notevole lo differenzia dal suo successore postmoderno. Quandanche il peccato collabori all’edificazione di qualsiasi società, la società moderna è la figlia prediletta dei peccati capitali.65
Il postmoderno si compiace dei suoi vizi, che ormai non considera neppure più come tali: ciò che persegue con soddisfazione era infatti chiamato vizio dalle ideologie che ha abbandonato. Ecco la cifra del postmoderno: l’ignoranza di un mondo valoriale superiore che trascende la povertà di quello momentaneo, conosciuto da una volontà triviale. Così, il reazionario, non desidera il passato, come se fosse l’ideale a cui ritornare, ma la differenza specifica in cui consta la differenza rispetto al presente. Il passato che il reazionario encomia non è un’epoca storica, bensì una norma concreta. Ciò che il reazionario ammira di altre epoche non è la loro realtà sempre miserabile, bensì la norma peculiare a cui disobbedivano.66
O detto altrimenti: Tutte le epoche manifestano gli stessi vizi, ma non tutte presentano le stesse virtù. In ogni tempo ci sono tuguri, ma solo a volte ci sono palazzi.67
Tutto il discorso finora svolto può trovare sintesi in questo escolio: Le opinioni liberali, democratiche e progressiste sfrecciano attraverso la storia lasciando una scia di civiltà bruciate.68
Ma, si badi bene, la catastrofe, che minaccia di continuare ad espandersi e di fagocitarsi il XXI secolo, non è tale solo per 64
il reazionario, cioè prospetticamente solo per chi veda le possibilità inespresse, per chi veda l’anima informe e deforme. Il reazionario vede con lucidità inedita quel accade, ma chi non sappia capire quel che lo circonda non ne rimane certo immune: ne è vittima. E, ancora, alcuni dati eclatanti sono sotto gli occhi del mondo, che, però, cieco della sua cecità concettuale, non sa comprendere. Dopo il secondo conflitto mondiale, nel corso degli anni ’50 e degli anni ’60, va dissolvendosi il binomio permesso-vietato che è simbolicamente compiuto nel motto vietato vietare del ’68. Se negli anni ’40 la depressione è stata patologia di scarso rilievo sociale, una malattia mentale tra le altre, negli anni ’70 «la psichiatria dimostra invece, cifre alla mano, che la depressione è il disturbo psichico più diffuso al mondo»69. Nel 1969 si è ormai preso a vivere in un mondo nuovo, che ha chiuso i conti con la tradizione; sempre più si attende ad una nuova vita in un brave new world, dopo che si è andato compiendosi per le masse quanto cinquant’anni prima aveva lucidamente indicato Max Weber: La conformità a un’unica norma viene progressivamente sostituita da una pluralizzazione dei valori e da una eterogeneizzazione dei modi di vita.70
Così, via via, la piena nichilistica si fa costume planetario e il suo successo globale, che ha vinto il passato, è finalmente postmoderno. Il XX secolo è un naufragio che non finisce.71
Ma dove tutto si equivale, ogni cosa finisce presto o tardi per divenire indifferente. Se ogni risultato è solo diverso da quello seguente, perché ciò che segue dovrebbe essere ottenuto attraverso la fatica? Perché esso dovrebbe essere faticosamente costruito? Ecco che l’individuo che avrebbe dovuto costruirsi da sé, si trova bensì da sé, ma privatosi del senso della costruzione di un alcunché. L’accidentalità dei 65
momenti della sua vita non gli restituiscono la sovranità dell’Individuum, ma il suo contrario: la sovranità del dividuum; scisso tra molteplici possibilità, abitato da inconciliabili desideri e privato della capacità di scegliere. L’uso di droghe e di psicofarmaci indicano la nostalgia del soggetto perduto. Se Dio non esiste non dobbiamo concludere che tutto è permesso, bensì che niente ha importanza. Quando i significati si annullano i permessi diventano irrisori.72
Nella società postmoderna il problema non consiste nel peso della responsabilità, come invocava Nietzsche e predicava l’esistenzialismo, ma nella deresponsabilizzazione costitutiva. Aspetto fondamentale che neppure Ehrenberg, nel descrivere il passaggio secolare che si estende dalla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento, coglie; e la cifra del Postmoderno, che è dilagato fino a permeare sempre più la nostra intima quotidianità, rimane occultata. L’emancipazione ci ha forse affrancato dai drammi del senso di colpa e dello spirito d’obbedienza, ma ci ha innegabilmente condannato a quelli della responsabilità e dell’azione. È così che la tattica depressiva ha preso il sopravvento sull’angoscia nevrotica.73
Il depresso ha dismesso la vita, la dismesso l’azione, perché ritiene di non potercela più fare, perché non sa che cosa fare. Ma non sa cosa fare perché gli è stata sottratta la logica entro cui il fare ha senso: quella della costruzione, della formazione di sé, della Bildung, della cultura. La malattia non nasce dalla responsabilità - dall’essere chiamati a rispondere, a sapere quel che si fa -, ma dall’irresponsabilità: se non c’è più l’altro a cui dover rendere conto, a chi si dovrà mai rispondere? La “cultura” postmoderna ha disabituato e disabilitato al dare ragione, al tendere al sapere che giustifica; si è ridotta tutt’al più al giustificarsi o al silenzio assoluto del «non giudicare», quel silenzio che è da ultimo compiuto nella depressione. 66
Non giudicare! è l’onnipresente quanto assurdo ritornello del nostro tempo: scritto nei cartelloni delle aule scolastiche, proferito come intercalare nelle discussioni quotidiane. Ma quale grande errore commettiamo quando, per scongiurare giudizi affrettati e sbrigativi, esortiamo a non giudicare! Sì, perché il solo mezzo che abbiamo per comprendere è giudicare. Giudicare bene significa finalmente conoscere, giudicare male significa avere approfondito poco, non giudicare equivale a non approfondire. Ma non è possibile non farsi un’idea: si può tutt’al più non esplicitarla, si può evitare di rendersi consapevoli di ciò che inevitabilmente si pensa e quindi di come si giudica. Ma ignorare i propri pregiudizi non è certo il modo per superarli! Eppure, quando la nostra capacità di giudicare sia allenata e sviluppata - quando quindi iniziamo a renderci conto della complessità delle esperienze, allora impariamo la cautela nel giudicare. La complessità della situazione diventa la potenza del giudizio, sempre pronto ad accogliere a sé il nuovo, il non ancora calcolato - in una parola: a potenziarsi ulteriormente. Così, da ultimo, giungiamo alla consapevolezza più grande: giudichiamo sempre e non giudichiamo mai il caso specifico. Giudichiamo perché ci rivolgiamo agli elementi peculiari di caso, i rapporti che tra essi intercorrono e che abbiamo visto intercorrere in molti altri casi analoghi; ma non giudichiamo mai quel caso: perché l’analisi di quel caso specifico è inesauribile come la sua complessità, così diverso irriducibile - a tutti gli altri casi passati e futuri. Ogni nuovo caso è assieme qualcosa di già visto e una sorpresa. Non giudichiamo mai la realtà che riteniamo ci stia davanti, perché essa trascende sempre il nostro giudizio attuale. Sempre giudichiamo dei modelli che inevitabilmente omettono - del caso che viene considerato - delle variabili imponderabili. Modelli che consentono la nostra comprensione della realtà, ma che non la esauriscono. Quindi 67
l’appropriata esortazione in merito al giudicare non è di astenervisi, ma non presumere che il caso che abbiamo innanzi si esaurisca nel nostro modello, che la sua complessità sia riducibile alla nostra ignoranza. Ogni modello è un’astrazione e noi non possiamo che lavorare per astrazioni, poiché la conoscenza perfetta di ogni caso implica quella concretezza che coincide con l’onniscienza. Per esempio, tradire il proprio partner è sbagliato, vero? Vero, per una serie di ragioni che abbiamo abbozzato di recente. Una vita ben riuscita richiede un’educazione, delle condizioni che comportino onestà, lealtà, fedeltà, ecc. Ma cosa dire a chi sia cresciuto vedendosi negare quelle condizioni - come giudicare lui e la sua situazione? Non dovremmo per nulla giudicare la sua disonestà o la sua infedeltà? Dovremmo eccome! Sapendo però che l’ideale di onestà e fedeltà a cui noi l’esortiamo non è raggiungibile dall’oggi al domani, ma richiede quella fatica, quella crescita, quella realizzazione di sé che ora è lontana dal compiersi. Ora non è capace di essere onesto, ma deve essere onesto, come la sua possibilità da preferirsi. Così, per continuare nel nostro caso, violare la promessa fatta potrebbe presentarsi l’unica via di fuga - la sola possibilità di salvezza. Così sia allora. Ma non dovremmo deprecare quelle condizioni affinché non si ripresentino, non dovremmo scongiurare quella estrema possibilità? Lasciare un marito violento e depresso, perché non comprometta il resto della famiglia - la giudicheremo certo come la soluzione preferibile, ma non come la situazione che avremmo auspicato si realizzasse. E poi, potremmo noi sapere fino in fondo se il padre sia così e la madre colà, perché siano giunti ad essere in tal modo e a generare quella situazione? Potremmo noi sapere fino in fondo del loro animo ineffabile? No, non potremmo. Per questo, dicevamo, lavoriamo per modelli: analizzando e combinando le variabili che 68
riteniamo comporre il mosaico delle nostre esperienze. Che da ultimo la nostra analisi colga il caso specifico non è dato sapersi e, in ultima analisi, è poco importante. Quel che è certo ed importante è che tanto più avremo giudicato e imparato a giudicare, tanto meno ci troveremo in situazioni inattese e indesiderate. Chi siamo noi per giudicare? Siamo quegli esseri che sempre e inevitabilmente sono chiamati a farlo, per comprendere e per comprendersi. Il nostro giudizio (per modelli, inevitabilmente astratto) non esaurisce la realtà, ma è il solo modo per corrispondere al suo appello e per renderle giustizia. Così Gómez Dávila: Esigere dall’intelligenza che si astenga dal giudicare mutila la sua facoltà di comprendere. È nel giudizio di valore che culmina la comprensione.74
Precisamente, il Postmoderno ha perduto la capacità di valutare, capace ormai di esprimere solo preferenze estemporanee. Il lavoro della ragione si insinua fra il giudizio di preferenza e il giudizio di valore.75
Il reazionario non solo, come dicevamo, non ricava ricette pronte dal passato, ma è colui che come nessun altro prende sul serio il confronto. Davanti a un pensiero avverso, il pensiero reazionario non si paralizza in un rifiuto indignato. Tenta, al contrario, di assimilarlo, sapendo di essere capace di alimentarsi di succhi velenosi.76
Ma ostile è il pensiero che si presenti come tale, che preventivamente pretenda di sottrarsi al dialogo, perché intriso di quell’ideologia della non verità che tramuta la possibilità del confronto in scontro, la partecipazione inclusiva in competizione esclusiva, la fiducia in sospetto. 69
Per il pensiero reazionario, la verità non è oggetto che una mano consegni ad un’altra mano, bensì conclusione di un processo che nessuna impazienza precipita. L’insegnamento reazionario non è esposizione dialettica dell’universo, bensì dialogo tra amici, appello di una libertà desta a una libertà assopita.77
La dialettica intesa socraticamente e platonicamente è l’ideale del reazionario. Così da poter asserire laconicamente: In ogni reazionario Platone risuscita.78
E complementariamente, essendo la società postmoderna eretta sul contrario di quell’ideale: Il mondo moderno è un’insurrezione contro Platone.79
Benché la terminologia impiegata suggerisca il contrario, l’Ottocento in alcune sue figure straordinarie riesce a scorgere nella partecipazione dialogica il compimento della comunità politica: la democrazia. Ma non ci sarà il tempo per comprendere che Platone impiega il termine democrazia nel significato che il nichilismo prima e il postmoderno poi andrà attribuendogli: il contrario del significato che democrazia va assumendo nelle grandi teorizzazioni di Mazzini, Mill, Croce, Gentile. Quando questi pensatori pensano il fondamento della politica si collocano nell’alveo della riflessione inaugurata da Platone e proseguita fino a Gómez Dávila, che, quando si esprime contro la democrazia, la intende nel significato del termine attribuito da Platone: demagogico e populista, che si spinge fino alla democrazia diretta. Niente di più lontano dagli autori classici, come proveremo qui solamente ad accennare. L’idea di democrazia è intimamente legata al concetto di partecipazione. Così fin dalle sue prime grandi teorizzazioni, le quali, contrariamente a quel che comunemente si ritiene, sono quelle di Platone ed Aristotele. L’immagine di Socrate, che importuna i cittadini di Atene perché rendano conto del 70
loro sapere, spiega il concetto platonico di dialettica: solo nel confronto - nel dialogo serrato, non nella chiacchiera - può emergere la verità. Partecipazione che va estesa a tutti: più povero sarà il confronto meno sarà data la possibilità della verità. La democrazia quindi consiste nella creazione delle condizioni perché ci si confronti. Così si esprime Aristotele nel III libro della Politica: Essendo in molti, ciascuno ha la sua parte di virtù e di saggezza, sicché dalla loro unione si ottiene una specie di uomo solo dotato di molti piedi, di molte mani e capace di ricevere molte sensazioni; che da ciò avrebbe innegabili vantaggi anche nel comportamento e nell’intelligenza.80
Non solo nel confronto si mette in comune il proprio sapere, ma lo si aumenta; si tratta di una ricerca vera e propria. Peraltro, dove non ci fossero condizioni democratiche, comunque il sapere dei singoli sarebbe, anche quello, nato dal confronto - o con la loro cerchia familiare o con gli autori dei libri che hanno letto. Perché allora non estenderlo per potenziarlo? Se la democrazia consistesse solo nel momento decisionale, nel momento delle elezioni; se tutti votassero su tutto, ma il confronto fosse minimo - sarebbe chiaro che una tale presunta democrazia sarebbe una catastrofe non preferibile a nessun’altra organizzazione politica. Si avrebbe una massa di ignoranti, artefice del proprio destino, artefice della propria disfatta. Con impareggiata lucidità lo aveva spiegato Taine in Le origini della Francia contemporanea (1875), commentando le derive a cui la sua Francia era andata incontro nell’ultimo secolo. Derive che oggi chiamiamo populiste. Ecco il populismo spiegato in un periodo: Domandare l’opinione del proprietario, sottomettere cioè al popolo francese i progetti della sua futura abitazione, era troppo visibilmente una
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finzione o un inganno: in casi del genere la domanda determina sempre la risposta e, d’altronde, anche se questa risposta fosse stata libera, la Francia non era certo più di me in grado di darla; dieci milioni di ignoranti non fanno un sapiente.81
A che servono le elezioni allora? Non costituiscono certamente l’essenza della democrazia, anzi la loro sola presenza non garantisce la democrazia, ma piuttosto il suo contrario. Esse costituiscono però uno strumento di controllo, un momento in cui la comunità politica si prende il tempo di guardare complessivamente all’operato svolto, valutarlo, quindi di scegliere come e con chi procedere. Lo stesso avviene nella vita di tutti i giorni, quando decidiamo di essa: ci rivolgiamo a degli esperti (medici, pasticcieri, giornalisti, ecc.), perché da soli saremmo perduti. Ma siamo noi a valutare di volta in volta, in base ai risultati che otteniamo, a chi affidarci. E la nostra possibilità di cambiare è altresì un monito per gli esperti, che sono tenuti a dimostrare costantemente di essere tali; poiché il loro riconoscimento come esperti non è né per sempre né a priori. Noi li eleggiamo: una garanzia per noi, una motivazione per loro. L’idea di una democrazia razionale non è che il popolo stesso governi, ma che esso abbia garanzia di buon governo. Questa garanzia non si può avere con altro mezzo che conservando nelle proprie mani il controllo ultimo. Se si rinuncia a questo, ci si consegna alla tirannia.82
A distanza di quarantanni, la situazione è la stessa descritta da Gómez Dávila, peggiorata al punto che è sempre più evidente anche ad uno sguardo meno acuto. Non constatiamo una partecipazione elettorale in caduta libera, perché le differenze tra le forze politiche sono di fatto pressoché scomparse e perché la scelta dell’una o dell’altra lascia non determina il corso degli eventi? Nelle democrazie si suol chiamare classe dirigente quella classe che il voto popolare non lascia dirigere niente.83
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Accanto al termine postverità, non è populismo il sostantivo inflazionato per descrivere la misera propaganda politica, e populista l’epiteto accusatorio per eccellenza? La democrazia postmoderna infatti, come dicevamo, esautorato ogni criterio veritativo, non dispone che del plauso per comprovare la “bontà” del suo operato. Il democratico non rispetta altro che l’opinione applaudita da un coro numeroso.84
Così - si dice - si parla alla pancia dell’elettorato, e involontariamente si esplicita quel che, anche a un minimo di riflessione, appare come un’evidenza. Questo: La strategia elettorale del democratico ha alla base una nozione spregiativa dell’uomo totalmente contraria alla nozione lusinghiera che trasmette nei suoi discorsi.85
La combinazione dell’impotenza dell’elettore democratico e della scomposta, sempre più volgare baraonda politica, costituisce l’efficacia e il successo di un nuovo subdolo dispotismo: Al fine di distrarre il popolo mentre lo si sfrutta, i dispotismi sciocchi favoriscono le lotte da circo e il dispotismo astuto sceglie le lotte elettorali.86
Ma non solo l’azione politica è una propaganda che si abbassa al livello di coloro a cui parla o, addirittura, ne abbassa il livello; ma anche la comunicazione cerca il proprio consenso, il proprio successo popolare, abbassando il livello dei contenuti, ridotti a becera polemica e a gossip. La tirannide è oggi uno stato di servitù manifesta e la libertà uno stato di servitù clandestina. Nella prima è la forza ad opprimere l’individuo, nella seconda lo opprime l’opinione.87
Questa escalation al ribasso legittima, come ha affermato Umberto Eco in una sua celebra uscita, qualsivoglia sparata 73
e tanto più con la diffusione del social network -, con questo risultato: I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.88
Già molto prima della diffusione del computer Gómez Dávila segnalava: Il maggior trionfo della scienza sembra essere costituito dalla velocità crescente con la quale il tonto può spostare la sua ottusità da un posto all’altro.89
Ed ecco che ritorniamo così all’inizio del nostro percorso: quella di Gómez Dávila non è una critica solitaria negli anni ‘70, neppure nei toni impiegati. Per esempio, Pasolini, il 24 giugno 1974 sul «Corriere della Sera», scrive: Oggi - quasi di colpo, in una specie di Avvento - distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. Scrivo “Potere” con la P maiuscola - cosa che Maurizio Ferrara accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) - solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale). Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare. L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una
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ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre.90
Gòmez Dâvila nondimeno asserisce: L’uomo moderno ha timore della capacità distruttiva della tecnica, quando è invece la sua capacità costruttiva ciò che è minaccioso.91 L’uomo alla fine si eliminerà; se non accantona la sua ambizione di realizzare tutto ciò che può.92 Società totalitaria è il nome volgare della specie sociale la cui denominazione scientifica è società industriale. L’attuale embrione permette di prevedere la fierezza dell’animale adulto.93 Per castigare l’ambizione di un potere titanico, è bastato a Dio il concederlo. La saggezza oggi non sta nel rinunciare a ciò che non possiamo raggiungere, bensì a ciò che invece possiamo.94
«Dio» non sta a significare un anacronismo conservatore, un freno arbitrario al nuovo potere dispotico che avanza, ma quella dimensione della verità, del buono, del bello, del giusto, senza la quale ogni critica diventa sterile, perché preferenza tra preferenza, che non sa esibire il proprio valore. Nel 1977 Gómez Dávila affida alla forma aforistica degli Escolios quanto solo due anni più tardi troverà chiarezza cristallina nella disamina di Severino. I valori tradizionali, che in Italia sono stati difesi anche dalla DC, vengono indubbiamente spinti al tramonto dall’organizzazione tecnologica dell’esistenza umana - e il consumismo è il modo in cui questa organizzazione si configura attualmente nelle società industriali avanzate. Ma la civiltà della
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tecnica spinge al tramonto anche le grandi ideologie, come il cristianesimo e il marxismo, e quindi anche quel tipo di «umanesimo» al cui interno si mantiene tutto il discorso di Pasolini.95
Ventitré anni dopo, scrivendo la Prefazione alla nuova edizione del suo saggio, sottolineerà: Col tramonto della verità definitiva e incontrovertibile perseguita dalla tradizione dell’Occidente, tramonta anche la distinzione tra «scienza» e «filosofia», perché questa distinzione ha senso quando la scienza ha il compito di manifestare la verità delle cose, e la tecnica ha il compito di applicarla nelle diverse procedure dell’agire umano.96
E cosa scriveva Gómez Dávila nel ’77? La tecnica non è un’applicazione della scienza. La scienza è una teoria delia tecnica.97
La scienza, così come si sviluppa negli ultimi secoli, si concepisce sempre in modo tale che essa si debba spogliare della pretesa conoscitiva che era stata propria della tradizione; segnatamente, man mano che la filosofia si fa nichilismo prima e postmoderno poi. La scienza si presenta nel suo ultimo splendore con l’Illuminismo, con il quale le sue pretese universalistiche si estendono a tutto l’esistente: dalla capacità conoscitiva della natura alla capacità di indicare il bene dell’umanità al di là di ogni passata superstizione. Ma ad ogni nuova sua dichiarazione di superiorità conoscitiva rispetto alle altre forme di sapere, lascia cadere le sue pretese passate, sempre più intrisa di scetticismo. Accade prima col Positivismo ottocentesco e successivamente con il Neopositivismo novecentesco. E ogni volta, al sempre maggior riduzionismo, che confina la complessità del mondo umano a epifenomeno illusorio, segue una reazione: all’Illuminismo segue il Romanticismo; al Positivismo le prime forme di nichilismo: dalla formulazione nietzscheana, all’estetismo, al decadentismo; al Neopositivismo l’ulteriore sviluppo del nichilismo che prende forma 76
nell’Esistenzialismo. Fino alla “consapevolezza” finale dell’impossibilità di qualsiasi universale, di qualsiasi pretesa non soggettivistica: il Postmoderno. Così, magistralmente, Gómez Dávila delinea la parabola che dall’Illuminismo conduce al Postmoderno: Gli arcangeli dell’idealismo tedesco fecero precipitare il demone Aufklärung nel Tartaro, ma si scordarono di sigillarne le porte di bronzo. Oggi la Aufklärung usurpa nuovamente il trono del mondo. Malgrado la sua prepotenza, la Aufklärung deve tuttavia celare le sue ali spezzate. Non esibisce più agli esperti i titoli con i quali pretendeva di giustificare i propri attacchi. Solo di fronte alle moltitudini ignoranti si arrischia ancora a fingere maniere da monarca legittimo.98
La logica dell’Illuminismo ha condotto al Postmoderno: essa conteneva le contraddizioni che l’avrebbero annullata, consegnando il mondo al relativismo contemporaneo. Tesi già avanzata nel 1944 da Horkheimer e Adorno in Dialettica dell’illuminismo, dove ciò che è tematizzato è precisamente «l’autodistruzione dell’illuminismo»99, attraverso i suoi sviluppi positivistici. La scienza positivista ha, da un lato, deposto le sue pretese conoscitive, consapevole che ogni sua pretesa ricade in un prospettivismo soggettivistico e, in quanto tale, incommensurabile; così, tra gli altri, hanno creduto insegnare alcuni nomi tra i più noti: Kuhn, Feyerabend, Rorty. Dall’altro essa ritiene di essersi liberata di qualsiasi ideologia. Lo scientismo positivista riconosciutosi soggettivismo nel Postmoderno è compiuto. La principale battaglia di Gómez Dávila è rivolta contro quella povertà a cui si è ridotto il Postmoderno, così miope a quella complessità costitutiva dell’uomo, a quella dimensione che trascenda l’immediatezza della sua animalità. Anche Horkheimer denuncia l’ideologia che si cela dietro la presunta assenza di ideologia. 77
Che la fabbrica igienica e tutto ciò che vi si riconnette, utilitaria e palazzo dello sport, liquidino ottusamente la metafisica, sarebbe ancora indifferente; ma che diventino essi, nella totalità sociale, a loro volta metafisica, una cortina ideologica dietro cui si addensa il malanno reale, questo non è indifferente.100
Per Gómez Dávila, quindi, l’Illuminismo ha le «ali spezzate» perché non ha più pretese universalistiche e da tempo ha dichiarato e dimostrato la sua impotenza. Così, oggi, invocare la scienza come fonte di legittimità è da «ignoranti» per due motivi: innanzitutto perché viene invocata allo stesso modo della fede che si vorrebbe superare, ovvero per sentito dire, senza conoscere le ragioni che renderebbero scientifica una posizione; perché essa sa realizzare quanto richiesto, ma non sa se quanto richiesto sia buono o cattivo, giusto o ingiusto - quindi non legittima nulla. Trova la sua legittimità fittizia nel suo potere realizzativo, così come il democraticismo nel suo consenso. Ma il poter fare qualcosa non è una ragione per farlo, così come l’essere approvato da molti non è garanzia di ragione. Gómez Dávila ironicamente sentenzia; Dopo aver dialogato con qualcuno di “ben moderno” ci rendiamo conto che l’umanità è evasa dai “secoli della fede” per sprofondare in quelli della credulità.101
Così, riprendiamo, la dialettica dell’illuminismo perderà il suo slancio divenendo la logica del nichilismo, ovvero la logica della potenza astratta: quella del capitale. Nella modernità si sviluppa in senso nichilistico la concezione del rapporto tra mezzi e fini, segnando una svolta ulteriore rispetto a quella precedente attribuita a Machiavelli. Quei trent’anni di gestazione degli Escolios si inseriscono proprio tra la pubblicazione di due opere che hanno descritto l’eclissi della ragione (illuministica) e il suo trasformarsi in tecnica (nichilistica). Horkheimer in Eclisse della ragione descrive come le contraddizioni dell’Illuminismo conducano al mondo compiuto della tecnica, la cui origine e la 78
sua essenza è «violenza». La disamina severiniana porta il titolo Téchne mentre il sottotitolo inequivocabilmente assevera: Le radici della violenza. L’industrializzazione tecnica, che si potenzia man mano che la ragione si eclissa, è intrinsecamente violenza, sopruso che si espande indefinitivamente verso il suo intrinseco totalitarismo. Così nell’usuale sintesi degli Escolios: Quando gli incaricati dei fini vacillano mentre gli incaricati dei mezzi operano, i mezzi diventano fini. E così l’umanità non ha altro fine che quello di accumulare mezzi.102
Ciò che Gómez Dávila richiede è l’uscita dall’appiattimento a cui ci siamo confinati. La «filosofia dopo la filosofia» è una filosofia povera, che getta nella miseria l’umanità. L’ultimo uomo non vuole essere infastidito, disturbato, chiamato a pensare: «chi sente diversamente va da sé al manicomio» spiega Nietzsche nel Prologo di Così parlò Zarathustra. Nondimeno la democrazia di oggi ritiene equivalenti tutte le opinioni, non preliminarmente come ipotesi da verificare, ma aprioristicamente come posizioni che non devono rendere conto a nessuno. Così la democrazia postmoderna consente di disubbidire all’autorità prestabilita, non in quanto prestabilita, ma in quanto autorità. In questo modo rimane l’irriflessa adesione ad un pregiudizio che per questo - perché proviene da se stessi - non è certo più autorevole. Si sta verificando quanto Tocqueville scongiurava nel suo lavoro su La democrazia in America, come ricorda J.S. Mill commentandolo: Ciò di cui Tocqueville ha timore è la tirannia esercitata sulle opinioni, più che sulle persone. Egli paventa che tutta l’individualità di carattere, e l’indipendenza di pensiero e di sentimento, siano messe in ginocchio di fronte al giogo dispotico della pubblica opinione.103
Così il democratico postmoderno credendo di non dover obbedire a niente diventa con ciò l’emblema dell’ubbidienza. 79
Un’ubbidienza inconsapevole che si manifesta nella presunzione di essere libera. Da cosa si riconosce l’ubbidiente democratico? Dal suo trattare con sufficienza e scandalo tutto quanto sia diverso da se stesso. Come sottolinea Gómez Dávila già nelle Notas: L’intelligenza non si manifesta con un gesto di accoglienza e di affetto. L’intelligenza è perfida e traditrice, sospettosa e diffidente, comincia sempre col respingere e ribattere, rifiuta sempre e sempre protesta.104
Ma la critica, affinché non sia sterile opposizione, un ostacolo al pensiero, deve saper pensare la tesi opposta, deve saper pensare con il proprio avversario. Questa capacità di coinvolgimento è la stessa autorevolezza del pensare. Altrimenti lo scontro tra pregiudizi non potrà che abbandonare all’ubbidienza del proprio arbitrario democraticistico capriccio. La patetica deriva a cui siamo giunti non smette di essere di essere raccontata da angolazioni diverse, talvolta agli antipodi: ma la lontananza di approccio conduce a una vicinanza di risultati. Tra i più recenti possiamo qui menzionare il testo di Enzo Pennetta, Liultimo uomo, che racconta una storia sommersa dell’Europa novecentesca, mostrandoci quanto vi sia ancora da meditare e riscrivere; nonché il testo di Luigi Iannone, Liubbidiente democratico, che racconta la cronaca risaputa dei nostri giorni, restituendoci la percezione della palude nostrana nella quale siamo inermi: fermi alla polemica quotidiana non siamo abituati ad avere innanzi un quadro che chiunque riconoscerà come grottesco. In questo suo lavoro i personaggetti sfilano innanzi come pezzi di un puzzle che restituiranno l’immagine finale: Al cittadino pare evidente che il suo consenso non risulti più funzionale alla circolazione di idee e alla rappresentazione di interessi, quanto piuttosto ad una logica di scambio e di avvicendamento di gruppi all’interno di élite, in genere economico-finanziarie. Egli ha una funzione fondamentale solo nel
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momento in cui svolge il ruolo di consumatore e parzialmente quando vota.105
Da tempo si va denunciando che non si vedono progetti politici di ampio respiro, e che le vecchie ideologie della destra e della sinistra sono residuati evanescenti di narrazioni ormai ritenute fantasiose, di ideali oltrepassati da quelli che vengono chiamati fatti concreti, problemi reali - quelli economici. Poveri o benestanti, non saremmo quasi tutti disposti a vendere - a svendere - qualsiasi nostra idea per qualche euro in più? Forse perché, appunto, non abbiamo idee che valgano qualcosa; perché non riconosciamo valori altri dalla ricchezza? E se ci si concedesse il lusso di iniziare a pensare in grande stile, allora a placare quelle velleità interverrebbero le incombenze che, paradossalmente, benché presentati come fatti eccezionali, determinano le nostre vite come fatti ordinari. Ragioniamo solo per un attimo sui fatti più rilevanti degli ultimi due decenni: vale a dire, la lotta al terrorismo globale e la crisi economica. Essi stanno proprio lì a dimostrare che le procedure democratiche vengono sempre esautorate di fronte allo stato di necessità, per far posto ad uno schmittiano stato d’eccezione che è rappresentato da quei poteri che detengono forti interessi nei processi di globalizzazione.106
Ma non è che la situazione sia questa perché siamo appunto inconsapevoli dei presupposti, sempre meno indagati e meditati, che la determinano? La mancanza di prospettiva sul futuro non è magari data dalla nostra ignoranza del passato? Per questo il sottotitolo de L’ ultimo uomo recita: Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista. Non perché si intenda - come facilmente accuserebbe l’ubbidiente democratico - imputare Darwin di darwinismo sociale o adombrare sbrigative tesi complottistiche, ma perché si esprime l’esigenza che per iniziare a capire chi siamo e cosa fare - posto che si voglia andare oltre questo nostro presente 81
dobbiamo ripensare e riscrivere il nostro passato prossimo, nella sua complessità antropologica, ovvero a partire dalla concezione dell’uomo nell’universo. Lyotard nel 1979 ha inaugurato il Postmoderno annunciando e auspicando la fine delle grandi narrazioni, non avvedendosi che la sua, così come quelle scritte e riscritte poi dagli stessi postmoderni, fossero delle enormi inconsapevoli narrazioni. Allora poteva sembrare un sofisma, ma, oggi che la storia è andata avanti benché secondo Fukuyama sarebbe dovuta finire -, si fa sempre più chiaro che l’ubbidiente democratico ha poco a che fare con la democrazia e che dove la storia andrà a finire (perseverando in questa direzione) non ci soddisfa affatto, anche se - ignari di noi stessi - inesorabilmente contribuiamo a quella destinazione. Non si ha almeno l’impressione che la liberazione dell’uomo moderno l’abbia spesso costretto ad altre schiavitù? Libero, egli si è trovato soggiogato da un’ignoranza uguale e contraria: dalla fame alla gola, dall’astinenza alla pornografia, dal dogmatismo religioso al dogmatismo scientista, dal populismo antidemocratico al populismo democraticistico, dalla donna come oggetto (in casa) alla donna oggetto (nell’immaginario). Siamo certi che la storia finisca, compiendosi - sic! -, con questa rivoluzione sessuale, con la rivoluzione psichedelica, con il superamento delle ideologie in un’unica ideologia democraticistica? L’alternativa alla società tradizionale è e soltanto può essere la società liquida? Senz’altro non dobbiamo eludere questa considerazione: L’ultimo uomo è il risultato antropologico della fine delle grandi narrazioni e degli stimoli di una sola, capillare ideologia.107
Ma che ne sarà di noi? Che fare? Sembra altrettanto certo che, se vogliamo fare la storia, e non credere che sia finita, dobbiamo tornare a riscriverla: in grande stile. Solo da questo tentativo di riscrittura potranno 82
nascere nuove più consapevoli grandi narrazioni, nuovi orizzonti in cui scorgere il futuro. È quanto mai necessaria una retrospettiva futura, che, rivedendo radicalmente il processo storico-filosofico degli ultimi due secoli, consenta una diversa autocomprensione e un futuro inaudito. Se per un attimo non si volesse concentrare lo sguardo sul costante impoverimento della maggioranza della popolazione occidentale negli ultimi cinquant’anni, dopo il boom economico; e non si volessero scomodare le due catastrofi mondiali, allora, dopo questa operazione cecità, non dovremmo forse asserire che tutto sommato si sta meglio in questo Postmoderno che in qualsiasi altra epoca storica? Per controbattere a questa domanda retorica -con la quale abitualmente si esprime l’apologia dell’esistente - la brevità trova questa formulazione: La democrazia festeggia il culto all’umanità sopra una piramide di crani.108
Gli effetti del colonialismo, l’assalto neocoloniale e l’apoteosi della globalizzazione hanno generato miseria e morte fuori dell’Occidente. Anche nella storia a noi più prossima e nota si è ripetuto quel che è quell’atroce spettacolo in scena fin dall’Ottocento. Fatto salvo per i fascismi, l’origine dei massacri negli anni non è mutato; il copione, diversamente declinato, è il medesimo: salvare gli oppressi dagli oppressori; in nome di un ideale: i diritti naturali, il comunismo, la democrazia. Nondimeno ogni volta l’esito politico - oltre la carneficina - ha assunto la forma di un regime dittatoriale: Robespierre e Napoleone con la Rivoluzione francese; Lenin e Stalin con la Rivoluzione russa; una rinnovata caotica costellazione di dittature mediorientali con le guerre innescate nel 2001 e nel 2003 dall’attacco all’Afghanistan e all’Iraq. Cosa hanno creduto di fare les bleus prima, i rossi poi, quindi i bianchi? Hanno inteso portare la giustizia con la 83
vendetta, la pace con il terrore, la civiltà con la barbarie. Così, in nome della giustizia, della pace e della civiltà sono stati portabandiera sanguinari, terroristici e ignobili. Qualche oppresso si è trasformato in oppressore, qualche oppressore in oppresso per tramite di innumerevoli vittime; ma la vendetta non ha fecondato la giustizia, né il terrore la pace, né l’ignoranza la civiltà. Possibile che tre secoli siano stati inaugurati alla stessa maniera?109 Vediamo il prezzo che la Casa Bianca ha fatto pagare alle scorribande mediorientali, secondo i dati forniti dalla Brown University, a partire dai conflitti in Afghanistan e in Iraq e includendo le violenze connesse in Siria e in Pakistan. Sono morti: 6.900 soldati americani; 7.000 collaboratori delle attività militari; 15.000 soldati tra afgani, pakistani e siriani; 110.000 combattenti non appartenenti alle istituzioni; 217.000 civili (morti nelle loro abitazioni, al mercato o per strada). Ma non si tratta solo della tragicità delle morti: ogni perdita devasta una famiglia e debilita una comunità. Siamo ad un totale di oltre 350.000 vittime. Ma di vittime causate direttamente dalla guerra. Se si calcolano anche quelle prodotte non dalle azioni dirette, ma dalle condizioni complessive del territorio causate dalla guerra, il numero si moltiplica. Sono le persone morte di fame, di malattia, o in seguito a ferite provocate dai danni subiti dall’ambiente circostante. Una stima indica che ad ogni vittima diretta della guerra ne corrispondano almeno quattro prodotte indirettamente: il totale quindi è senz’altro superiore alle 850.000 unità. Oltre la follia, i paradossi che seguono. Se si fosse capito cosa significhino i diritti naturali, ovvero l’illegittimità che da essi discende della proprietà privata capitalistica, nonché la democrazia, la quale ha il suo fondamento non nel relativismo - come oggi per lo più si ritiene - ma nella verità, ecco che proprio in nome della verità, la quale sa di essere un 84
lungo processo di educazione che non può essere imposto senza fallire, ci si sarebbero risparmiate quelle giustificazioni inconsistenti che accompagnano le stragi criminali che abbiamo qui ricordato, peraltro attingendo da una collezione molto più ampia. Ma il paradosso non si limita a questo: esso ne ha partorito un altro. Per scongiurare le violenze perpetrate in nome della presunta verità si è creduto di negare l’esistenza delle verità: sì che, nessuno essendone depositario, nessuno - si è poco più che fantasticato - si sarebbe arrogato quella presunzione che genera violenza. Invece, senza verità su cui ricercare, su cui confrontarsi, davanti alla quale arrestarsi, grazie alla quale si può essere smentiti, accade che qualsiasi cosa vada bene o, alla meglio, che dopo i primi fallimenti di confronto la si sbrighi con un sonoro “tanto sono solo interpretazioni”. Il bello dipende dal gusto, il bene è soggettivo e la verità non esiste: ecco il Postmoderno, ora perfino più di prima sdoganato con la demenziale e tanto alla moda postverità. Certo possiamo ignorare la verità, ma le centinaia di migliaia di vittime ci sono; possiamo ignorare che non solo non abbiamo esportato la democrazia, ma che forse non avevamo nulla da esportare che si meritasse quel nome - ma è proprio quel che abbiamo inteso fare. Se ne potrà magari discutere più estesamente, posto che tale asseverazione non sia solo un’interpretazione, come (dello stesso valore di) quelle che dicano il contrario. La serie di paradossi culmina in questo scenario con le “prove” dell’esistenza di armi di distruzione di massa - mai trovate, ma che il regime iracheno di Saddam Hussein avrebbe posseduto -, con le quali si è giustificato l’attacco all’Iraq in quell’infausto 2003. Una menzogna necessaria per dare un fondamento giuridico e morale all’invasione e alla distruzione dell’Iraq. Azione che ha favorito la disgregazione del Medio Oriente che ancora un mondo in preda al 85
terrorismo paga. Quella “verità di comodo” che già allora sembrava tale è stata certificata dalla commissione d’inchiesta, l’Iraq Inquiry,110 sulla partecipazione del Regno Unito. L’inchiesta è stata voluta dall’ex primo ministro laburista Gordon Brown nel 2009, con lo scopo di ricostruire gli scenari e l’origine del coinvolgimento dell’esercito di Londra in Iraq. Nel luglio scorso, dopo sette anni di lavori, la commissione, che ha esaminato 150mila documenti e ascoltato più di cento testimoni, ha spiegato come l’attività di intelligence svolta in vista dell’operazione abbia fornito dati fallaci e nessuno si sia preoccupato di vagliarli. L’intervento armato non era affatto l’unica risorsa a cui ricorrere: altri rimedi alternativi e pacifici per raggiungere il disarmo avrebbero potuto essere adottati. Era senz’altro possibile una strategia di contenimento e il prosieguo delle ispezioni, visto che nel 2003 Saddam non rappresentava una minaccia immediata per l’Occidente. Invece, da allora, l’Occidente è ancor più minacciato; ma, come allora, soprattutto da se stesso. Quel che è fondamentale capire lo mette in luce ormai da decenni Severino: Larghi strati della nostra cultura si trovano ancora nella situazione patetica di voler dar vita, insieme, a una raffinata coscienza del carattere problematico di ogni sapere umano, e una condanna morale del nazismo - o dello sfruttamento capitalistico, o della dittatura sovietica.111
A questo punto le «folle ignoranti» e gli intellettuali «patetici» raccapricciano: il nazismo paragonato al comunismo e - perfino! - al capitalismo? Sì, perché la logica che li guida è la medesima che, declinata in luoghi e momenti storici differenti, ha realizzato sistemi politici diversi, ma la cui sostanza è la stessa, la quale sempre tenderà al totalitarismo, alla sopraffazione, allo sfruttamento; e con i 86
mezzi che glielo consentano: populismo, militarismo, corruzione, simulazione, ecc. Le obiezioni che venivano mosse allora non sono diverse da quelle mosse oggi: Ma chi non preferisce il modo di vivere delle democrazie a quello consentito dalle dittature? Chi non preferisce la libertà di pensare, di esprimere la propria opinione e di renderla operante mediante il sistema parlamentare, nonostante i difetti di esso e il condizionamento capitalistico delle forme democratiche?112
Obiezioni che sono avanzate solo da chi non riconosca la medesima logica che muove fascismo, comunismo e capitalismo, che è appunto la logica capitalistica del nichilismo, dell’accumulo di potenza per la realizzazione di fini che sono preferenze soggettive e, perciò, equivalenti nella loro legittimità. A fare la differenza sarà solo la capacità di quelle volontà di imporsi: chi vince e resiste - ed esiste mostra con ciò la sua “ragione”. Nella sintensi gomezdaviliana: Se essere è la gran superiorità, tutto ciò che è abietto è permesso.113
Sintesi che è in questo modo è svolta da Severino, la quale ci riconduce all’incipit di questo saggio, con la questione fondamentale indicata da Marcuse, e alla stessa terminologia impiegata da Gómez Dávila: Queste domande non sono un’obbiezione a quanto si è detto, giacché in esse si parla appunto di «preferenza», ossia di volontà che la vita sia vissuta in un modo piuttosto che in un altro. Le libertà democratiche sono state certamente «preferite» dalle classi che sono riuscite ad emanciparsi dalle vecchie classi dominanti. Ma il valore di tali libertà non è dato dalla loro «verità» o «giustizia»: esse hanno assunto queste caratteristiche quando la borghesia ha avuto la forza di distruggere lo Stato assolutista. La libertà di espressione è divenuta un «principio» delle democrazia, perché le vecchie classi dominanti non hanno più avuto la forza di far tacere il dissenso.114
Non solo, approfondendo la sua disamina, fornisce delle indicazioni preziose. Il darwinismo e la sua interpretazione della lotta per l’esistenza si sovrappone e si confonde con la 87
logica stessa dell’Occidente nichilistico. Nell’orizzonte della cultura occidentale, la legge suprema rimane la lotta per l’esistenza. Può essere espressa nel modo seguente: razionale (= vero, bello, giusto, ecc.) è ciò che di fatto esiste, ossia ha avuto la forza di effettuarsi - e quindi è l’insieme dei sistemi politico-sociali di fatto esistenti. Irrazionale è tutto ciò (e quindi anche il sistema sociale) che non ha la forza di diventare o di restare un fatto. È inutile che la cultura cerchi ancora dei valori diversi dalla forza; ed è inevitabile che la scienza e la tecnica, come supremi produttrici della forza, divengano la guida del mondo. Esiste un’alternativa alla cultura occidentale? Ha senso cercarla?115
L’alternativa è possibile: gli escolios di Gómez Dávila costituiscono una poderosa reazione a questa deriva. Ma non, come si è creduto, come una tra le due classiche opzioni che si contrappongono, tra conservatori e progressisti. Esse non appartengono all’avvenire e la lettura che fanno del passato è quella che ci ha condotto a questo presente di crisi. Le gradazioni tra i due estremi - tra l’essere Conservatori e l’essere Progressisti - possono facilmente moltiplicarsi a piacimento e facilmente presentarsi con nomi differenti, a seconda delle diverse fasi con cui si declina la Modernità, verso il suo inesorabile destino. Si potrebbe elencarne alcune, prendendole tali e quali si trovano ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte di Marx: alla fine del Settecento si discende dall’alto della tirannide di Luigi XVI, ovvero dai resti della monarchia assoluta si passa a quella costituzionale, quindi giù dai girondini ai giacobini; nella metà dell’Ottocento si risale dal partito proletario al partito democratico piccolo-borghese, dal partito repubblicano borghese al partito dell’ordine, fino di nuovo su alla vetta della tirannide di Luigi Bonaparte, alias Napoleone III. La tirannide - chiamiamola così in omaggio ad una delle prime e più lucide denunce, quella dell’Alfieri nel trattato Sulla tirannide (1777) - è il leitmotiv di quegli ultimi due secoli di cui è intrisa la nostra quotidianità. Essa si fonda sul pensiero proprio di tutto l’Occidente, l’inconscio venuto a 88
coscienza con la «morte di Dio»: che il vantaggio proprio consista nello svantaggio altrui; che quel che io prenda per me, lo tolga a te; insomma che il bene mio sia il male dell’altro. Così, la contrapposizione tra Conservatori e Progressisti, tra Destra e Sinistra - ci si perdonino qui le non perfette simmetrie - non è più che una disputa e uno scontro tra come suddividersi l’utilità e gli utili della vita in comune: una lotta per il privilegio, insomma. Quando dalla vetta della tirannide si scende fino alla palude democratica lo si chiama diritto. Ma, come già allertava Mazzini, i doveri si sono eclissati, la morale volatizzata e appena sarà possibile il padrone ritornerà tale o, mutate le condizioni, i servi di un tempo saranno nuovi padroni: infatti, se si può avere di più, perché non pretenderlo, perché non prenderselo? Insomma, un privilegio esteso - fosse pure a tutti - non fa un diritto; sì che appena possibile la retorica del diritto si mostra per quel che è: una menzogna, un’astuta arma della simulazione. Il dilagare dei privilegi mostra che ancora non abbiamo colto l’essenza del diritto - posto che il diritto abbia un’essenza diversa dal privilegio - o, almeno, che certamente non riteniamo che nel diritto - qualunque cosa confusa si pensi con esso - consista il nostro bene. Così, qui e là, i mezzi dello scontro hanno reso possibile un maggior bilanciamento tra le potenze rivali, ma non una diversa conquista concettuale e una conseguente sensibilità. Qualcuno è disposto a riconoscere che, a distanza di due secoli, dai versi sdegnati di Leopardi qualcosa sia cambiato, o ancora per lo più ci troviamo a denunciare che nessuno «fuori di se stesso, altri non cura»116? Che «più de’ carmi, il computar s’ascolta»?117 Che «di riposo paghi viviamo, e scorti da mediocrità»?118 Così di nuovo ovunque vediamo crescere le disuguaglianze, 89
non perché l’uomo sia malvagio o simili, ma perché non ha mai ritenuto nient’altro che la sua libertà finisca dove inizia quella dell’altro. Allora, perché mai far iniziare quella dell’altro e far finire la propria - più o meno consciamente si conclude? Perché svantaggiarsi se si può avvantaggiarsi, perché dare all’altro per togliere a se stessi? A guardarlo con occhi diversi dai quali ci siamo abituarti a considerarlo, l’oscurantismo cristiano seppe infondere una luce dai secoli bui del Medioevo, la quale giunge però fioca ai secoli delle «magnifiche sorti e progressive»119. Luce descritta da Taine nel suo capolavoro Le origini della Francia contemporanea: In un mondo fondato sulla conquista, duro e freddo come una macchina d’acciaio, condannato per la sua stessa struttura a distruggere negli uomini assoggettati il coraggio di agire e la voglia di vivere, aveva annunziato “la buona novella”, promesso il “regno di Dio”, predicato la tenera rassegnazione nelle mani del Padre celeste, ispirato la pazienza, la dolcezza, l’umiltà, l’abnegazione, la carità, aperto le sole vie per le quali l’uomo soffocato nell’ergastolo romano potesse ancora respirare e percepire la luce: ecco la religione.120
Ma Dio e il suo Regno oggi sono considerati morti e lo spirito instillato dal Cristianesimo si è sempre più allontanato. Il baldanzoso arrivista che ogni postmoderno vorrebbe essere, talvolta -dispensando rovine, sfasciando famiglie, vilipendendo figli, falcidiando amicizie, dispensando meschinità - si troverà e si è trovato nella situazione del «Germano convertito», che ha paura come davanti a uno stregone. Nelle ore calme, dopo la caccia o l’ebbrezza, l’intuizione vaga di un al di là misterioso e grandioso, il sentimento oscuro di una giustizia sconosciuta, i rudimenti di coscienza che già possedeva nelle sue foreste d’oltre Reno, si risvegliano in lui sotto forma di allarmi improvvisi, di oscure visioni minacciose. Al momento di violare un santuario, egli si chiede se non cadrà sulla soglia, colpito dalla vertigine e col collo torto. Convinto dal proprio turbamento, si ferma, risparmia la terra, il villaggio, la città che vive sotto la protezione del prete.
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Se la foga animalesca della collera o degli appetiti primitivi lo ha spinto al delitto e alla rapina, più tardi, passato lo sfogo, nei giorni di disgrazia o di malattia, dietro il consiglio della concubina o della moglie, si pente, restituisce il doppio, il decuplo, il centuplo, prodiga donazioni e immunità.1121
La coscienza rimasta al postmoderno sembra così spesso ridursi a quella ragione calcolatrice dell’utile economico dicasi egli conservatore o progressista, di destra o di sinistra, si senta borghese o proletario, liberale o democratico. In ogni caso, v’è poco da conservare, perché ognuno di quei poli opposti ha condotto allo stesso destino che ora accomuna l’Occidente e l’intero pianeta. Di questi secoli appena trascorsi dobbiamo perciò salvare innanzitutto quei pochi momenti a cui possiamo rivolgerci per potenziare quei «rudimenti di coscienza» che qui e là indubbiamente riconosciamo e che possediamo, benché assopiti o rimossi. Da recuperare è quello spirito filosofico, critico e appassionato, idealissimo e concretissimo, che è stato anima e linfa dei cambiamenti e degli sconvolgimenti degli ultimi due secoli, ma che ora non sa più indicare il da farsi, moribondo e ristagnante nella palude accademica, travolto dalla fiumana di un progresso sclerotizzato ed univoco, traboccante di denari e tecnologia, ma sempre più mediocre. Reagire significa oggi salvare dall’oblio più profondo, far tornare a nuova vita quella cultura in grande stile della quale al momento siamo orfani. Oltre le categorie consunte che siamo andati richiamando brillano costellazioni concettuali possibili, che abbiamo intravisto nel lavoro di questi anni,122 che si è avvalso del genio di Gómez Dávila. Abbiamo inoltre a disposizione una schiera di grandi pensatori che abbiamo abbandonato, dei quali non si è più saputo continuare l’opera. Per stare all’Italia,123 chi sa di Rosmini, Leopardi, Mazzini, Spaventa, Labriola, Croce, Gentile, Bontadini - tanto per citare solo qualche nome? Qualcuno a scuola ha avuto notizia della grandezza del loro pensiero? Qualcuno se ne occupa al di là di 91
qualche specialista accademico che arreca più danno che vantaggio alla loro fama? Il grande pensiero sta come la bellezza nella nostra Italia: ovunque, ma muto. Di questo sordo presente c’è poco da conservare, ma ostinatamente vale la pena perseverare e ripeterci ed incitarci più e più volte: Questo secol di fango o vita agogni E sorga ad atti illustri, o si vergogni.124
1/ Da ultimo si veda Antonio Lombardi, Gabriele Zuppa, Nicolas Gómez Dávila e la modernità, Limina Mentis, Villasanta (MB) 2015;G. Zuppa, Un fiore della ragione nel deserto del nichilismo, in Nicolás Gómez Dávila, Notas, tr. it. di L. Pasinato, Circolo Proudhon, Roma 2016, pp. 5-28; A. Lombardi, Conocimiento. Dios. Eros. Fondamenti dell’ontologia e della metafisica gomezdaviliane nelle Notas, in A. Abad (a cura di), Entre fragmentes. Interpretaciones gomezdavilianas, Casa de Asterión, Pereira (Colombia) 2017, pp. 153-175. 2/ In particolare si veda Antonio Lombardi, Il volto epistemico della filosofia italiana, AM edizioni, 2017. 3/ La contraddizione può essere altrimenti formulata come l’affermazione della storicità, della regionalità - insomma della relatività - di ogni valore, assieme all’affermazione dell’esistenza di diritti universali. 4/ Disponibile all’indirizzo: https://www.oxfamitalia.org/wpcontent$1ploads/2017/01/Rapporto-Uneconomia-per-il-99-percento_gennaio2017.pdf (ultimo accesso 14 agosto 2017). 5/ Ugo Spirito, La vita come arte, Sansoni, Firenze 1941, pp. 282-283. 6/ Mariana Mazzucato, Michael Jacobs (a cura di), Ripensare il capitalismo, Laterza, Roma-Bari 2017. 7/ I dati che seguono si trovano raccolti nella collettanea di Mazzucato e Jacobs appena menzionata, in particolare nei saggi di M. Mazzucato, Ripensare il capitalismo: un’introduzione, pp. 3-45, e di J.E. Stiglitz, Disuguaglianza e crescita economica, pp. 216-248. 8/ https://www.theguardian.com/us-news/2016/may/17/ceo-pay-ratio-average worker-afl-cio (ultimo accesso 14 agosto 2017). 9/ L’espressione fine della storia, divenuta celebre, è di Francis Fukuyama, trivializzata dalla vulgata, ma problematizzata e argomentata con ampiezza di riferimenti - in seguito al primo articolo The End of History apparso in «The National Interest», 16 (Summer 1989), pp. 3-18-nel saggio The End of History and the Last Man del 1992, tr. it. La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 2009.
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10/ Per una disamina accurata della parabola del comunismo si veda Domenico Losurdo, Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza, Roma-Bari 2017. 11/ Per un’analisi di questi aspetti rimando al mio Gli strani casi del Dr. Darwin e di Mr. Marx, Circolo Proudhon, Roma 2015. 12/ Arturo Labriola, Del socialismo (1889), in Tutti gli scritti filosofici, Bompiani, Milano 2014, p. 1100. 13/ Herbert. Marcuse, L’uomo a una dimensione (1964), tr. it. Einaudi, Torino 1999, p. 156. 14/ Ivi, p. 7. 15/ Ibidem. 16/ Pier Aldo Rovatti, Gianni Vattimo, Il pensiero debole (1983), Feltrinelli, Milano 2010. 17/ Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., p. 7. 18/ Ivi, p. 23. 19/ Ivi, p. 63. 20/ Ivi, p. 187. Ma la veridicità di quest’analisi si basa su un errore millenario: il ritenere che si possa vedere che cosa è bene e ciononostante perseguire il male. Dunque la stessa analisi è un enorme errore. 21/ Infra, p. 402. 22/ Infra, p. 196. 23/ Infra, p. 227. 24/ Infra, p. 234. 25/ Infra, p. 260. 26/ Infra, p. 287. 27/ Infra, p. 401. 28/ Infra, p. 390. 29/ Infra, p. 310. 30/ Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., p. 259. 31/ Ibidem. 32/ Infra, p. 355. 33/ Infra, p. 179. 34/ Infra, p. 254. 35/ Peraltro anche Marx scrive nella Critica del programma di Gotha (1875) che «questo diritto uguale è un diritto disuguale, per lavoro disuguale. Esso non riconosce nessuna distinzione di classe, perché ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente l’ineguale attitudine individuale e quindi la capacità di rendimento con privilegi naturali. Esso è perciò, pel suo contenuto, un diritto della disuguaglianza, come ogni diritto» (Karl Marx, Opere, tr. it. Newton Compton, Roma 2011, p. 927). 36/ Infra, p. 337.
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37/ Infra, p. 364. 38/ Infra, p. 377. 39/ Infra, p. 198. 40/ Infra, p. 225. 41/ Infra, pp. 358. 42/ Nicoläs Gómez Dávila, Notas, tr. it. Circolo Proudhon, Roma 2016, p. 561. 43/ Per un approfondimento rimando al mio Fondazione dell’anima e della democrazia nella loro legislazione universale, Limina Mentis, Villasanta (MB) 2014. 44/ Gianni Vattimo, «Le ragioni etico-politiche dell’ermeneutica», in AA.VV., Il bello del relativismo. Quel che resta della filosofia nel xxi secolo, Marsilio, Venezia 2005, p. 82. 45/ Gustavo Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Laterza, Roma-Bari 2008. 46/ Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, 85-87, Adelphi, Milano 1990, pp. 101-102. 47/ Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2016, p. 211. Corsivo N.d.r. 48/ Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, tr. it. Adelphi, Milano 1995, p. 239. 49/ Platone, Repubblica, 561 c-d, tr. it. Bompiani, Milano 2010, pp. 881-883 50/ Ibidem, 561 b-c. 51/ Infra, p. 363. 52/ Infra, p. 229. 53/ Infra, p. 222. Cfr. infra, p. 221: «Il popolo sopporta che lo derubino, purché lo si aduli». 54/ Infra, p. 404. 55/ Nicoläs. Gómez Dávila, Textos I (1959), Villegas Editores, Bogotà 2002, pp. 64-65. 56/ Ivi, pp. 70-71. 57/ Infra, p. 249. 58/ Ibidem. 59/ Infra, p. 413. 60/ Infra, p. 349. 61/ Infra, p. 354. 62/ Infra, p. 187. 63/ Infra, p. 187. 64/ Infra, p. 192. 65/ Infra, p. 207. 66/ Infra, p. 201. 67/ Infra, p. 297. 68/ Infra, p. 197. 69/ Alain Ehrenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e società (1998), tr. it. Einaudi, Torino 2019, p. 4. 70/ Ιvi,ρ. 152. Cfr. Max Weber, Lascienza come professione (1919), tr. it.
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Armando, Roma 1997, p. 72: «Senza alcun dubbio, il presupposto che vi sto prospettando deriva da un dato di fatto fondamentale, cioè che la vita, fin quando si basa su se stessa e viene capita in se stessa, conosce solo il conflitto perenne tra quegli dèi. Detto senza metafore: l’inconciliabilità e l’insolubilità del conflitto tra gli atteggiamenti ultimi generalmente possibili nei confronti della vita». Corsivo N.d.r. 71/ Infra, p. 231. 72/ Infra, p. 166. 73/ Alain Ehrenberg, La fatica di essere se stessi, cit., p. 313. 74/ Nicolás Gómez Dávila, Nuevos escolios (1986), Villegas Editores, Bogota 2005, p. 31. 75/ Infra, p. 190. 76/ Infra, p. 393. 77/ Nicolàs Gómez Dávila, Textos I, cit., p. 55. 78/ Infra, p. 212. 79/ Infra, p. 255. 80/ Aristotele, Politica, 1281b, tr. it. BUR, Milano 2003, p. 273. 81/ Hippolyte Taine, Le origini della Francia contemporanea (1876), tr. it. Adelphi, Milano 2008, p. 46. 82/ John Stuart Mill, SU La democrazia in America di Tocqueville (1835-1840), tr. it. Bompiani, Milano 2005, p. 257. 83/ Infra, p. 244. 84/ Ibidem 85/ Infra, p. 248. 86/ Infra, p. 244. 87/ Infra, p. 244. 88/ http://www.lastampa.it/2015/06/10/cultura/eco-con-i-parola-a-legioni-diimbecilli-XJrvezBN4XOoyoOh98EfiJ/pagina.html (ultimo accesso 27 agosto 2017). 89/ Infra, p. 195. 90/ Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti 1975, pp. 40-41. 91/ Infra, p. 411. 92/ Infra, p. 374. 93/ Infra, p. 255. 94/ Infra, ρ. 380. 95/ Emanuele Severino, Téchne. Le radici della violenza (1979), BUR, Milano 2010, p. 65. 96/ Ivi, p. 10. 97/ Infra, p. 293. 98/ Infra, p. 346. 99/ Max Horkheimer, Theodore W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1944), tr. it. Einaudi, Torino 2010, p. 5.
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100/ Ivi, p. 7. 101/ Infra, p. 410. 102/ Infra, p. 259. 103/ John Stuart Mill, SU La democrazia in America di Tocqueville, cit., p. 285. 104/ Nicoläs Gómez Dávila, Notas, cit. Circolo Proudhon, Roma 2016, p. 49. 105/ Luigi Iannone, L’ubbidiente democratico, Idrovolante Edizioni, Roma 2016, p. 101. 106/ Ivi, p. 125. 107/ Enzo Pennetta, L’ultimo uomo. Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista, Circolo Proudhon, Roma 2016, p. 175. 108/ Infra, p. 248. 109/ Ci concediamo questa schematizzazione per limitarci a quanto appartiene alla vulgata diffusa. Non ci dilunghiamo qui ad elencare le interminabili violenze perpetrate nel corso degli ultimi secoli dai governi di tutto il mondo in nome del liberalismo, della democrazia, del comunismo. 110/ Disponibile su http://www.iraqinquiry.org.uk (ultimo accesso 27 agosto 2017). 111/ Emanuele Severino, Téchne. Le radici della violenza, cit., p. 82. 112/ Ibidem. 113/ Nicolás Gómez Dávila, Notas, cit., p. 439. 114/ Emanuele Severino, Téchne. Le radici della violenza, cit., p. 82. 115/ Ivi, pp. 82-83. 116/ Giacomo Leopardi, Ad Angelo Mai, v. 143, in Canti, Rizzoli, Milano 1994, p. 47. 117/ Ibidem, v. 149. 118/ Ivi, vv. 171-173, p. 48. 119/ Giacomo Leopardi, La ginestra, v. 51, in Canti, cit., p. 166. 120/ Hyppolite Taine, Le origini della Francia contemporanea, cit., pp. 55-56 121/ Ivi, p. 57. 122/ Ricorderò qui solo l’ultimo, il mio Platone democratico. Trasvalutazione reazionaria di tutti i valori, Circolo Porudhon, Roma 2016. 123/ Si veda Antonio Lombardi, Il volto epistemico della filosofia italiana. La neoclassica di Gustavo Bontadini, AM Edizioni, 2017. 124/ Giacomo Leopardi, Ad Angelo Mai, vv. 179-180 in Canti, cit., p. 48.
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ESCOLIOS I
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Quel fanatisme! Exclama le pharmacien, en se penchant vers le notaire. ¡Oh! Pues si no me entienden respondió Sancho - no es maravilla que mis sentencias sean tenidas por disparates.
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ολιγόστιχα μεν δυνάμεως δέ μεστά DIOGENE LAERZIO, De clarorum philosophorum vitis, VII, 165 A hand, afoot, a leg, a head, Stood for the whole to he imagined. WILLIAM SHAKESPEARE, THE RAPE OF LUCRECE, VV. 1427-28 Aux meilleurs esprits Que d’erreurs promises! Ni vu ni connu, Le temps d’un sein nu Entre deux chemises! PAUL VALÉRY, LE SYLPHE, VV. 10-14 Dass es sich hier um die lange Logik einer ganz bestimmten philosophischen Sensibilität handelt und nicht um ein Durcheinander von hundert beliebigen Paradoxien und Heterodoxien, ich glaube, davon ist auch meinen wohlwollendsten Lesern nichts aufgegangen. FRIEDRICH NIETZSCHE, lettera a Georg Brandes, 8 gennaio
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lettera a Georg Brandes, 8 gennaio 1888, Nizza Et miraris quod paucis placeo, cui cum paucis convenit, cui omnia fere aliter videntur ac vulgo a quo semper quod longissime abest id penitus rectum iter censeo. FRANCESCO PETRARCA, Epistolae rerum familiarium, XIX, 7
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Un testo breve non è un discorso presuntuoso, ma un gesto che si dissipa appena viene abbozzato. Il pensiero che vuol essere sempre giusto si paralizza. Il pensiero progredisce quando cammina tra ingiustizie simmetriche, come tra due file di impiccati. Gli uomini cambiano meno di idee che le idee di costume. Lungo i secoli conversano le stesse voci. Il lettore non troverà aforismi in queste pagine. Le mie brevi frasi sono i tocchi cromatici di una composizione pointilliste. Limitare il nostro uditorio limita le nostre claudicazioni. Il solo arbitro incorruttibile è la solitudine. I significati si carpiscono in un atto garantito soltanto dalla nitida gioia che ci colma. Il significato è gesto dell’oggetto che ordina di arrischiare l’intelligenza e la vita. Non importa in quale sordida penombra organica nasca 101
l’idea; importa la sua dura punta di diamante. A volte l’originalità di un’opera dipende da quello che il suo autore non sa fare. Esiste un’impotenza creatrice. Il filosofo ambisce a riunire sotto lo stesso giogo due tendenze divergenti dello spirito: la sua fuga verso il concetto e la sua avidità di concreto. Il grado in cui ci riesce misura il rango di una filosofia. È facile credere di partecipare di certe virtù quando condividiamo i difetti che da esse scaturiscono. L’uomo intelligente non vive in ambienti mediocri, mai. Un ambiente è mediocre proprio perché non ci sono uomini intelligenti. Coloro che piangono per la ristrettezza di mezzi in cui vivono pretendono che gli avvenimenti, i vicini, il paesaggio diano loro la sensibilità e l’intelligenza che la natura gli ha negato. In questo secolo qualsiasi impresa collettiva innalza prigioni. Solo l’egoismo ci impedisce di collaborare alla viltà. Oggigiorno i partecipanti finiscono per essere dei complici. Adattarsi significa sacrificare un bene remoto ad un’urgenza immediata. La maturità dello spirito inizia quando smettiamo di 102
sentirci responsabili del mondo. Dopo aver definito l’uomo, dobbiamo modificare subito la nostra definizione perché la coscienza di quella definizione lo trasfigura. L’opera d’arte e la vita del suo autore non sono traduzioni reciproche ed obbligate. La loro incongruenza non compromette l’autenticità parallela che possiedono. L’autore è simultaneamente il perfido personaggio della propria biografia e il nobile prosatore dei propri testi. Durante le ore tediose dell’intelligenza maturano le sue prossime primavere. Solo lo scrittore paziente e laborioso serve pietanze succulente al suo lettore. Niente suol essere più difficile del non fingere di comprendere. La quantità di applausi non misura il valore di un’idea. La dottrina imperante può essere una pomposa sciocchezza. Tuttavia, allo spettatore intimorito una così banale osservazione suole sfuggire. L’amore è l’organo con il quale percepiamo l’inconfondibile individualità degli esseri. La verità si perverte quando dimentica il processo concreto in cui è nata. 103
Una moltitudine omogenea non chiede libertà. La società gerarchizzata non è meramente l’unica dove l’uomo può essere libero, ma anche l’unica dove l’uomo ha l’urgenza di esserlo. La libertà non è fine, ma mezzo. Coloro che la prendono come un fine, quando la ottengono non sanno che farne. Soddisfare l’orgoglio dell’uomo è forse più facile di quanto il nostro orgoglio si immagini. Quando la scienza ostenta pretensioni filosofiche, l’epistemologia le ricorda i suoi postulati. Contro le sue pretensioni di impero, l’epistemologia le esibisce la sua origine servile. Extra epistemologian nulla salus. 1 L’individuo è l’impedimento alle filosofie della storia. Ci sono mille verità, l’errore è solo uno. La bevanda degli dèi è fatta del sapore inconfondibile degli esseri. La nostra ultima speranza è riposta nell’ingiustizia di Dio. Il resoconto intelligente della sconfitta è la sottile vittoria del vinto. Per Dio non esistono che individui. 104
Le idee sono frasi che possiedono colore, odore, sonorità, peso - ciò che la memoria chiama idea è meramente una scorza. Quando le cose ci paiono essere solo ciò che sembrano, presto ci parranno essere ancora di meno. Lo psicologo abita i suburbi dell’anima come il sociologo la periferia della società. Gli errori sono proletari ribelli. Verità refrattarie alla loro funzione e al loro rango. Una proposizione è falsa quando ostruisce proposizioni più veraci. Le verità non stanno nella circonferenza di un cerchio il cui centro è l’uomo. Le verità si ergono in terreni impervi che l’uomo percorre seguendo i meandri di un sentiero sinuoso che le rivela, le occulta, e che alla fine ostenta o nasconde. Senza atti intenzionali i fatti non sono né necessari né casuali. Senza intenzioni, il mondo è un blocco di successioni brute. L’intenzione fonda la casualità quando le cose la sorprendono e la causalità quando non la sconcertano. La ragione stabilisce funzioni, l’intenzione necessità e contingenza. L’essere sprizza da tutti i pori del mondo. La ragione è un atto dello spirito che analizza un atto 105
spirituale previo. La ragione non genera, bensì educa il generato. Nel correggere l’ambivalenza naturale dei sentimenti, la ragione li guasta e mutila l’universo. Coloro che sopprimono le segrete connivenze tra i propri amori e i propri odi diventano dei fanatici che camminano in mezzo agli schemi. Nella coerenza di certi sistemi si articola una visione; altre ne risultano dalla mera inerzia di un’idea. L’etica sorge dalla congiunzione di circostanze empiriche con il canone trascendente che le circostanze rivelano. Una presenza voluttuosa trasmette il proprio splendore sensuale a tutte le cose. Qualsiasi scopo differente da Dio ci disonora. L’ intelligenza non ambisce a liberarsi, bensì a sottomettersi. La verità è lo splendore della necessità. Soltanto la libertà argina le azioni illecite dell’ignoranza. La politica è la scienza delle strutture sociali adatte alla convivenza di esseri ignoranti. Una “società ideale” rappresenterebbe il cimitero della grandezza umana. Al termine di ogni rivoluzione il rivoluzionario insegna che 106
la vera rivoluzione sarà la rivoluzione di domani. Il rivoluzionario spiega che un miserabile ha tradito la rivoluzione di ieri. Se Socrate non sa davvero nulla, perché non accetta semplicemente quello che il suo interlocutore propone? Spera forse che la verità nasca da una congruenza fortuita? Socrate forse crede che il “bene” consista in ciò che i votanti approvano unanimemente? Socrate è un democratico? No! Come qualunque reazionario, Socrate sa che in una democrazia non è lecito insegnare. Il democratico ha bisogno di credere di star inventando quello che gli viene suggerito. I parlamenti democratici non sono luoghi dove si dibatte, bensì dove l’assolutismo popolare registra i suoi editti. Il borghese consegna il potere per aver salvo il denaro; poi consegna il denaro per aver salva la pelle; e alla fine lo impiccano. Borghesia è qualsiasi insieme di individui non conformi con ciò che possiedono e soddisfatti di ciò che sono. I marxisti definiscono economicamente la borghesia per nascondere il fatto di appartenervici. Sanno stimare la grandezza del comunismo solo i nemici di esso. 107
La tesi marxista diffama tanto i motivi del comunista quanto quelli del suo avversario. Coloro che giustificano la propria abiezione considerandosi “vittime delle circostanze” sono socialisti dottrinari. Il socialismo è la filosofia della colpevolezza altrui. Il militante comunista prima della vittoria merita il più grande rispetto. Dopo non sarà altro che un borghese affaccendato. Quelli che difendono l’esistente lottano per qualcosa di concreto: un privilegio, una struttura sociale, un bene incarnato; al contrario, chi lotta per un programma astratto può credere di difendere l’universale. L’uomo di sinistra crede di essere generoso perché le sue mete sono confuse. Questo secolo di pedagogia proletaria proclama la dignità del lavoro come uno schiavo che impreca contro l’ozio intelligente e voluttuoso. Le sovrastrutture cambiano quando le “forze di produzione” variano; però, siccome ogni configurazione di forze racchiude una pluralità virtuale di strutture, quella che si realizza non dipende da motivi economici. L’amore per il popolo è vocazione da aristocratico. Il democratico non lo ama se non durante il periodo elettorale. Nella misura in cui lo Stato cresce l’individuo si sminuisce. 108
Non riuscendo a realizzare ciò a cui anela, il “progresso” battezza come anelito quello che realizza. La tecnica non realizza i vecchi sogni dell’uomo, bensì li scimmiotta con sarcasmo. Allo stesso modo che il trionfo di qualsiasi virtù ne mutila altre, ogni “progresso” trascina con sé un regresso simmetrico. Il popolo non insorge mai contro il dispotismo, bensì contro la cattiva alimentazione. Quando si finirà di lottare per il predominio sulla proprietà privata si lotterà per l’usufrutto della proprietà collettiva. La mobilità sociale dà luogo alla lotta di classe. Il nemico delle classi alte non è l’inferiore carente di qualsiasi possibilità di ascesa, ma colui che non riesce ad ascendere quando altri ascendono. Niente di più nobile dell’aristocratico liberale - come Tocqueville - per il quale la libertà di tutti è il privilegio la cui difesa compete alla classe dirigente. Un certo modo sprezzante di parlare del popolo denuncia il plebeo mascherato. Se l’uomo è l’unico fine dell’uomo, una reciprocità inane nasce da questo principio come il mutuo riflettersi di due 109
specchi vuoti. Né il cristianesimo né il paganesimo professano etiche altruiste. Tanto la morale cristiana quanto quella pagana sono individualismi etici che impongono doveri sociali soltanto come mezzi della nostra perfezione terrestre o della nostra enigmatica salvezza. In ogni epoca, fortunatamente, ci sono imbecilli indefinitamente capaci dell’ovvio. La norma etica ci vieta di vedere gli uomini come mezzi e l’Uomo come fine. L’uomo pensa che la sua impotenza sia la misura di tutte le cose. L’autenticità del sentimento è subordinata alla chiarezza dell’idea. Il volgo ammira di più ciò che è confuso di ciò che è complesso. L’imitazione impone modelli; l’influenza dà segnavia. Qualsiasi cosa che accontenti risolve problemi con cui non ha relazione alcuna. Passioni, appetiti, vizi, - ciò che storce la verità - sono gli stimoli dell’intelligenza. 110
Pensare suole ridursi ad inventare ragioni per dubitare di ciò che è evidente. Rifiutarsi di ammirare è il marchio della bestia. Agli occhi di chi è incapace di rinunciare colui che rinuncia sembra impotente. È incredibile che gli onori inorgogliscano coloro che sanno con chi li condividono. Non esiste un sostituto nobile per la speranza assente. Più sicuramente della ricchezza, esiste una povertà maledetta: quella di colui che non soffre di essere povero, ma di non essere ricco; quella di colui che tollera soddisfatto qualsiasi mal comune; quella di colui che non brama di abolirla, bensì di abolire il bene che invidia. Applicare a se stessi le Beatitudini è prova di un orgoglio che esclude dall’essere tra i beati. Dopo aver messo in discredito la virtù, questo secolo è riuscito a mettere in discredito i vizi. Le perversioni sono diventate parchi suburbani frequentati, in gruppi familiari, dalle folle domenicali. Qualunque anima è una ferita, ma l’anima moderna è maleodorante. 111
Qualsiasi filosofo è indecifrabile per coloro che ricercano che cosa risponda prima di sapere che cosa domanda. L’eclettismo non è un mosaico nel quale le idee giustappongono le proprie tessere, bensì una rotta risultante da impulsi ricevuti da direzioni divergenti. L’uomo preferisce giustificarsi con la colpa degli altri piuttosto che con l’innocenza propria. Il tempo è meno temibile per il fatto di uccidere che per il fatto di smascherare. La volgarità dell’anima e del corpo è la punizione che l’ascetismo impone alla società che lo espelle. Le frasi sono sassolini che lo scrittore lancia nell’anima del lettore. Il diametro delle onde concentriche che esse generano dipende dalle dimensioni del bacino. L’uomo perdona coloro che possiedono ciò che vorrebbe, ma non coloro che possiedono ciò che voleva. Il filosofo si propone di sbaragliare i sistemi che ostruiscono la sua visione, quandanche per riuscirvi debba costruire un sistema. Il filosofo altro non è che la fiamma che lo consuma. 112
La scienza è ciò che in particolare non importa a nessuno, e in generale a tutti. La letteratura è ciò che importa solo in particolare. Il critico vorrebbe essere arbitro in mezzo ad opinioni antagonistiche, però nell’emettere un verdetto si trasforma ineluttabilmente in un altro antagonista. Il genio è la capacità di avere sulla nostra immaginazione intirizzita l’impatto che qualsiasi libro ha sull’immaginazione del bambino. La scienza inganna in tre modi: convertendo le sue proposizioni in norme, divulgando i suoi risultati piuttosto che i suoi metodi e tacendo le sue limitazioni epistemologiche. Ogni scienza si alimenta delle convinzioni che vuole strangolare. Il filosofo non è un rappresentante della propria epoca, ma un angelo intrappolato nel tempo. Tutte le verità convergono verso una sola verità, ma i percorsi sono stati interrotti. Addurre la bellezza di una cosa in sua difesa irrita l’anima plebea. Avere ragione è una ragione in più per non ottenere alcun successo. 113
L’autentica adesione ad un’idea eccede qualsiasi motivazione psicologica o sociale. Le perfezioni di coloro che amiamo non sono finzioni dell’amore. Amare è, invece, il privilegio di avvertire una perfezione invisibile agli occhi altrui. Il concetto di rivelazione non esclude la preesistenza di nozioni simili o identiche alle nozioni rivelate. La rivelazione non consiste tanto nell’insegnare una nozione nuova, quanto nell’autenticarne una di esistente. La religione non ebbe origine dall’urgenza di assicurare una solidarietà sociale, e neppure le cattedrali furono costruite per fomentare il turismo. Le proposizioni della scienza sono vere o false, perché sono giudizi falsificabili di esistenza; gli enunciati filosofici, al contrario, sono autentici o apocrifi, perché sono giudizi di significazione. La verità di una proposizione è sempre ipotetica e solo la sua falsità è sperimentale, mentre l’autenticità di un enunciato si può corroborare e il suo carattere apocrifo è soltanto suppositivo. Il criterio scientifico è l’esperimento, il quale può falsificare ma non verificare; il criterio filosofico è l’esperienza, la quale può confermare ma non confutare. Non potremo mai garantire il persistere di una proposizione scientifica, e neppure assicurare che un enunciato filosofico sia defunto. 114
Tutto è banale se l’universo non è coinvolto in un’avventura metafisica. Il tiranno non è velleitario, ma sistematico. Il tiranno non si spreca in capricci, bensì si concentra in un’idea. Il tiranno è un uomo di princìpi. Quanto più gravi sono i problemi, maggiore è il numero di inetti che la democrazia convoca per risolverli. La legislazione che salvaguarda minuziosamente la libertà soffoca le libertà. Le società si differenziano meramente per lo statuto dei propri schiavi e per il nome che danno loro. Più ripugnante del futuro che i progressisti involontariamente preparano è il futuro che essi sognano. Ogni civiltà è la fusione irrazionale di termini contrari. Gli aspiranti a una civiltà “razionale” premeditano carneficine. La presenza politica della moltitudine finisce sempre per avere l’apice in un’apocalisse infernale. La nostra civiltà è un palazzo barocco invaso da una folla scompigliata. La lotta contro l’ingiustizia che non culmina in santità, 115
culmina in agitazioni sanguinose. L’uomo in certe epoche non ostenta altro indizio della sua capacità di grandezza che la capacità inversa di atti aberranti e perversi. Solo di cause perse si può essere sostenitori incondizionati. La politica sapiente è l’arte di rinvigorire la società e debilitare lo Stato. La storia sarebbe solo una tetra notte se non spuntasse, di quando in quando, l’alba di Termidoro. L’importanza storica di un uomo di rado concorda con la sua intima natura. La storia è piena di sciocchi vittoriosi. Lo storico autentico è meramente un esperto di contesti: l’arte di distinguere la differenza di uno stesso atto in mezzi distinti. L’opera bella esiste autonoma e solitaria, mentre l’opera malriuscita è parte della biografia di un individuo o di una società. Lo storico senza idee generali non risuscita i propri morti. Le scienze sono meramente scienze ausiliari dell’arte della storia. 116
Le scienze dello spirito esigono una tavola aperta di categorie. Spasmi di vanità ferita o di avidità oppressa, le dottrine democratiche escogitano i mali che denunciano per giustificare il bene che proclamano. È facile convertirsi a una dottrina quando ascoltiamo il difensore di quella contraria. Qualsiasi esperienza condivisa finisce per essere un simulacro della religione. La negazione dialettica non esiste fra realtà, bensì fra definizioni. La sintesi nella quale la relazione si risolve non è uno stato reale, ma verbale. Il proposito del discorso muove il processo dialettico. La sua arbitrarietà assicura il suo successo. Essendo possibile, in effetti, definire qualsiasi cosa come contraria a qualsiasi altra, essendo anche possibile astrarre un attributo qualsiasi di una cosa per opporlo ai suoi altri attributi, o agli attributi altrettanto astratti di un’altra cosa, essendo possibile, infine, contrapporre nel tempo ogni cosa a se stessa, la dialettica è il più ingegnoso strumento atto ad astrarre dalla realtà lo schema che avevamo previamente nascosto in essa. La storia seppellisce i problemi che pone prima di averli risolti. È prudente rispettare i vecchi catechismi per evitare la 117
volgarità e i crimini del popolo che inaugura opinioni. Tutto ha bisogno di giustificare la propria esistenza, eccetto l’opera d’arte. Lo scrittore si adopera affinché la sintassi restituisca al pensiero la semplicità che le parole gli tolgono. Nessuno ha un capitale sentimentale sufficiente tale da sprecare entusiasmi. È tragica la disgrazia che dipende solo dalla volontà fino all’istante della catastrofe. Ciò che trascina una vittima impotente è meramente patetico. La momentanea bellezza dell’istante è l’unica cosa nell’universo che concorda con l’affanno delle nostre anime. Ci addentriamo nuovamente in epoche che non attendono dal filosofo una spiegazione e neppure una trasformazione del mondo, bensì la costruzione di ripari contro l’inclemenza del tempo. Due tesi filosofiche contrarie si completano mutuamente, ma solo Dio sa come. I libri più intelligenti dicono le medesime cose dei più stupidi, ma hanno autori diversi. Nella società medioevale la società è lo Stato; nella società 118
borghese Stato e società si affrontano; nella società comunista lo Stato è la società. Il caso reggerà sempre la storia, perché non è possibile organizzare lo Stato in modo che sia indifferente chi comandi. Chi si alimenta solo di idee generali si sentirà mancare. La profondità non consiste in quello che si dice, bensì nel livello dal quale lo si dice. Certe sciocchezze si oppugnano adeguatamente solo con una stupidità ancora più grottesca. Cominciamo a scegliere perché ammiriamo e finiamo per ammirare perché abbiamo scelto. Una provvidenza compassionevole distribuisce a ciascun uomo il proprio abbrutimento quotidiano. La maggiore astuzia del male è il suo mutamento in dio domestico e discreto, la cui presenza casalinga riconforta. L’autonomia della morale si evidenzia quando accettiamo di disapprovare quello che la nostra sensibilità tollera. La discrepanza tra una preferenza e un giudizio è la matrice della morale e dell’estetica. Il problema della critica esiste solo per chi prova nella 119
propria carne la simultaneità autentica di due disposizioni antagonistiche. La volgarità sta nel pretendere di essere quello che non siamo. La gnoseologia idealista consuma il materialismo e la storia consuma l’idealismo astratto. Solo la storia è capace di totalità. L’idea intelligente genera un piacere sensuale. Il libro non educa chi lo legge con il fine di educarsi. Chi non si compiace dell’obsoleto non può sapere di possedere gusti autentici. Il piacere è il lampo irrisorio del contatto fra il desiderio e la nostalgia. Per le circostanze commoventi servono solo luoghi comuni. Una canzone imbecille esprime meglio un grande dolore di un nobile verso. L’intelligenza è attività di esseri impassibili. La storia autentica eccede il meramente accaduto. La letteratura classica francese comprova che l’uomo non ha la necessità di ingannarsi per essere grande. La sapienza non consiste nel moderarsi per orrore 120
dell’eccesso, bensì per amore del limite. Visto da dentro, non c’è nulla di totalmente vuoto. La perfezione è lo scoglio di chi non comprende che essa scaturisce da atti impuri. Non è vero che le cose valgono perché la vita è importante. Al contrario, la vita è importante perché le cose valgono. Il presunto progresso nella conoscenza dell’uomo consiste nell’esagerazione alterna di uno dei suoi tratti conosciuti. L’antagonismo radicale tra gli uomini si rivela nel modo in cui, parlando del piacere, certuni decollano verso la metafisica e certi altri cadono nella fisiologia. L’imparzialità seduce meno della parzialità che si guarda con ironia. L’individuo concreto non è il residuo di un processo che elimina i suoi attributi generali, bensì la somma totale delle proposizioni che lo coinvolgono. L’individuo storico è tutto quello che lo storico può dire di lui. L’interlocutore incoerente irrita più dell’interlocutore ostile. La verità è il godimento dell’intelligenza. 121
La coerenza autentica delle nostre idee non proviene dal raziocinio che le lega, bensì dallo slancio spirituale che le genera Lo spirito critico si arrende incessantemente per incessantemente riscattarsi. L’intelligenza non si quieta nella sintesi, bensì nella tensione dei contrari. Nell’umanesimo autentico si percepisce la presenza di una sensualità riguardosa e familiare. Solamente le lettere antiche guariscono dalla scabbia moderna. Chi non volge le spalle al mondo odierno si disonora. Le idee confuse sembrano profonde come stagni torbidi. Affinché una realtà seduca bisogna che evochi un fantasma. La società suole premiare le virtù vistose e i vizi discreti. Le acque che l’intelligenza non rimescola sono cristalline, ma insipide. Il mondo confonde la stolidità con l’equilibrio. La lealtà che siamo soliti gradire è quella del capriccio costante. 122
Possediamo solo le virtù e i difetti che non supponiamo di avere. La stupidità sorprende lo stupido e la corruzione il corrotto. L’intelligenza e l’innocenza si sconcertano meno facilmente. L’artista si è finto creatore per il fatto di essere il luogo di un miracolo. Lo scrittore beneducato fa in modo di essere chiaro. Però non dobbiamo addossare sempre la nostra inettitudine alla sua maleducazione. Spiegare, invece di alludere, presuppone un disprezzo verso il lettore. In una certa prosa francese l’asciuttezza e la passione si combinano in una deflagrazione ammirevole. I sentimenti, così come le sensazioni, sono attributi dell’oggetto. Attribuirli ambedue al soggetto è un sottile artificio metodologico, ma anche un’insolenza metafisica. Affinché coesista una molteplicità di termini diversi è necessario ubicarli su differenti livelli. L’ordine gerarchico è il solo che non sopprime e non espelle. La civiltà non è un processo di “creatività” continua, bensì un sistema di ripetizioni civilizzate. 123
La natura non indovina mai indefettibilmente. Ogni essere che non deborda dai suoi contorni non ci riempie. L’anima cresce verso dentro. L’empirismo della conoscenza trascendente è il misticismo. Per diventare persona, l’individuo ha bisogno dell’esistenza di una norma rigida e al contempo che il suo adempimento sia libero. Dove non esiste una norma rigida l’individuo diventa moltitudine tanto facilmente quanto dove il suo adempimento non sia libero. L’immaginazione è l’organo attraverso il quale abbiamo percezione del concreto. La disubbidienza che non argomenta non è ribellismo. La disubbidienza che si sa illecita è umana, quella che si crede legittima è diabolica. L’uomo è stato redento; l’arcangelo giace nel Tartaro. Chi non possa promettere un presente eterno non merita di essere ascoltato. L’originalità ha bisogno di addossarsi alla continuità di una tradizione. La vita dell’intelligenza è una conversazione fra il personalismo dello spirito e l’impersonalismo della ragione. 124
Nelle scienze dello spirito, spiegare non vuol dire identificare un termine con un altro, ma descrivere la struttura autonoma di qualunque forma e disporla al posto consono. Per scusare i suoi attentati contro il mondo, l’uomo ha risolto che la materia è inerte. Se bene, male, bellezza e bruttezza non sono sostanza delle cose, la scienza viene ridotta a una breve proposizione: ciò che è, è. Vive la propria vita solo colui che la osserva, la pensa e la dice; gli altri la propria vita li vive. Gli attributi definibili dei quali sembra essere costituita la bellezza di un’opera esistono in opere senza bellezza alcuna. Lo scrittore attuale rimpiazza il monologo sul palcoscenico dello scrittore di ieri con un dialogo con il vuoto. Il mondo è diventato un gallodromo di apostoli. Lo stupido non si muove dalle idee intermedie. L’intelligenza è l’arte di scegliere fra quello che l’inconscio offre. Scrivere breve, per finire prima di stancare. La nostra maturità abbisogna di riconquistare la propria 125
lucidità quotidianamente. Pensare suol essere una risposta ad un sopruso più che ad una interrogazione. Le opinioni dell’uomo intelligente sono inscritte in un contesto di restrizioni implicite. L’ironista diffida di quello che dice senza credere che sia vero il contrario. La bellezza non sorprende, bensì colma. Lo spirito cerca nella pittura un arricchimento sensuale. Chi ignora l’avversario impugnato tacitamente da una teoria, ne adultera il suo significato. La sapienza consiste nel rassegnarsi all’unica possibilità senza per questo dichiararla stretta necessità. La realtà non è l’addizione delle impressioni che ci asserragliano, bensì ciò che è coerente con certe evidenze che ci meravigliano. Il caos è l’oggetto correlativo del momentaneo torpore dello spirito. Una grande intelligenza finisce per creare la verità di quanto afferma. 126
Esiste solo una cosa non vana: l’istante nella sua perfezione sensuale. Il mondo che non è sacramentale è insipido. Niente perturba tanto l’intelligenza come il tentativo di assemblare la nozione astratta di materia che abbiamo con la nostra esperienza concreta dello spirito. Ogni sistema ha la propria teoria dell’errore come chiave unica degli altri sistemi. Il filosofo che adotta nozioni scientifiche predetermina già le proprie conclusioni. Di fronte alla chiarezza figlia dell’analisi che sostituisce ad una totalità confusa una molteplicità sistematica, esiste una chiarezza che proviene dall’intuizione globale dell’oggetto, più somigliante alla visione che il pittore trasmette di un corpo nudo che all’inventario dell’anatomista. La negazione delle cause finali ha come causa una causa finale. L’unica sentenza di nobiltà, nel nostro tempo, è la sconfitta. La convinzione del predicatore è successiva alla predica. Qualunque verità è un rischio che ci sembra valere la pena di correre. 127
Lo spirito non cammina a passo regolare: al contrario, spicca di evidenza in evidenza. Il grande scrittore è colui che intinge di inchiostro infernale la piuma che carpisce all’ala di un arcangelo. L’eroe e il codardo definiscono in egual modo l’oggetto che percepiscono in maniera antagonistica. Cosa importa che lo storico dica ciò che gli uomini fanno se non sa raccontare quello che sentono? Il prestigio della “cultura” fa mangiare lo stupido anche senza appetito. L’individuo moderno non si sente mai così tanto personale come quando fa ciò che fanno tutti. Così imbecille è l’uomo serio quanto l’intelligenza che non lo è. La storia non mette in risalto l’inefficacia degli atti bensì la vanità dei propositi. La storia vagabonda da un tema a un altro come la conversazione con uno sciocco. Ben vorremmo che certe pitture ci invitassero ad entrare nel quadro per partecipare del loro modo di essere. Dei moderni succedanei della religione probabilmente il 128
meno abietto è il vizio. Coloro che amano l’umanità in un individuo trattano questo come colui che cerca la donna in una donna. Colui che ignora che due aggettivi contrari qualificano simultaneamente qualsiasi oggetto non deve parlare di niente. Gli argomenti con cui giustifichiamo la nostra condotta sogliono essere più stupidi della nostra condotta stessa. È più sopportabile veder vivere gli uomini che sentirli opinare. Chi applica la sua intelligenza solo per agire sul mondo diventa un meccanismo manovrato dall’istinto. Anche quando ogni verità sia strettamente indimostrabile non è impossibile contaminare con essa qualche incauto. Meditare vuol dire tradurre un istante di lucidità nella lingua di un’epoca e nel lessico di una corporazione. Le contorsioni tecniche del romanziere attuale, confrontate con la spontaneità narrativa del romanziere di ieri, indicano che il romanzo è agonizzante. I critici patrioti inventano geni alle letterature povere. Nulla danneggia il gusto più del patriottismo. L’uomo non ama se non colui che lo adula, però non rispetta se non colui che lo insulta. 129
Si definisce buona educazione l’insieme di maniere provenienti dal rispetto verso il superiore trasformati in modi tra eguali. La stupidità è l’angelo che caccia l’uomo dai suoi paradisi momentanei. Il giudizio estetico nel tempo soffre di presbiopia, incurabile e congenita. Il contemporaneo si sbaglia meno per il fatto di disprezzare il buono che per il fatto di equipararlo con il mediocre. Non sono le opere, ma il loro rango ciò che egli maltratta. Esistono opinioni nelle quali l’intelligenza fiuta una carogna invisibile. Il lavoro del professionista, perlomeno nelle scienze dello spirito, è lo studio delle opere dell’appassionato. L’inquietudine è conseguenza di un’eccessiva fede nella stabilità delle cose. L’alternativa plebea nella vita di relazione è disprezzare o essere disprezzato. Il peccato originale del liberalismo è l’attribuzione a ciascun individuo di tutti gli attributi suscettibili di appartenere all’uomo. 130
Ciò che non è religioso non è interessante. Cristo è l’oggetto della tradizione evangelica, ma soltanto la tradizione evangelica può essere l’oggetto dello storico. Lo strumento per percepire l’oggetto della tradizione evangelica non è la storia, ma la Chiesa. La storia fallisce quando lo storico riduce le totalità individuali che studia alle categorie con cui le indaga. È sufficiente che delle ali ci sfiorino affinché risorgano ancestrali paure. Pensare allo stesso modo dei nostri contemporanei è la ricetta della prosperità e della scemenza. Ci pentiamo sempre di leggere lo scrittore senza talento, semplicemente perché tratta un tema interessante. Il disgusto non è frutto del possesso prolungato, bensì del contatto fugace con mille oggetti. La cultura non colmerà mai l’ozio del lavoratore, perché può essere solo il lavoro dell’ozioso. La povertà è l’unica barriera contro l’accozzaglia di volgarità che gridano nelle anime. Rifiutare tutto quello che il mondo odierno predica sarebbe superbo se dagli esametri di Omero fino agli ultimi versi di 131
Yeats tutta la letteratura occidentale non predicasse il contrario. L’ortodossia è la tensione fra due eresie. In filosofia ha importanza solo ciò che è eccessivo. Definiamo filosofia la logica del discorso che ha come argomento l’assurdo. Educare l’uomo significa impedirgli la “libera espressione della propria personalità”. Le arti stanno agonizzando nell’autofagia. L’uomo non deve la propria esperienza alla vita, bensì ai momenti di ozio che essa gli concede. Ogni affermazione che non roda una piaga segreta è una mera impertinenza. La condizione trascendentale dell’assurdità dell’universo è Dio. Dio è la sostanza di quello che amiamo. Abbiamo bisogno di essere contraddetti per affinare le nostre Estirpare un vizio, o cancellare un difetto, finisce per essere l’unico passatempo che ci resta. 132
Agli ardui dilemmi dell’intelligenza la storia risponde con soluzioni che se ne burlano. Chiunque non abbia fiducia nell’uomo risulta essere, in fondo, cristiano. L’anima nobile ammette l’esistenza di inferiori, affinché non la equiparino ai superiori che ammira. La sincerità corrompe, al contempo, le buone maniere e il buon gusto. La sapienza si riduce a non insegnare a Dio come si devono fare le cose. Qualcosa di divino affiora nel momento che precede il trionfo e in quello che segue il fallimento. La magnanimità è l’ora meridiana dello spirito. Tutta la letteratura è contemporanea per il lettore che sappia leggere. Niente costa di più allo scrittore quanto rassegnarsi alle proprie qualità. Basta l’impatto di un verso per far esplodere i detriti che sotterrano l’anima. Ci sono esseri i cui monosillabi sono verbosi. 133
La prolissità non è fatta di un eccesso di parole, ma di una scarsezza di idee. Una grammatica insufficiente prepara una filosofia confusa. Così ripetutamente hanno seppellito la metafisica che bisogna giudicarla immortale. Un grande amore è una sensualità ben ordinata. Ogni civiltà antica, ricca e matura ha dottrina severa e pratica amabile. L’atto semplice suol essere l’espressione rassegnata di una molteplicità di motivi complessi. Chiamiamo egoista chiunque non si sacrifichi al nostro egoismo. Differentemente all’arte di altre epoche, l’arte odierna risulta inintelligibile senza l’estetica dottrinaria che la sostiene. Nelle incombenze quotidiane l’intelligenza fa i calli come le mani di un contadino. In ogni eccesso scorgiamo l’ansimare di un torso divino. L’opera frammentaria diventa poesia nell’obbligarci a 134
completare le sue curve mutilate. L’etica è la prima tappa della desacralizzazione dell’universo. Il sorriso amabile e compiacente è la prostituzione dell’anima I pregiudizi di altre epoche ci appaiono inintelligibili nel momento in cui siamo accecati dai nostri. L’ironia trasforma in benevolenza l’odio impotente. La pompa del linguaggio è ridicola quando esprime banalità. L’autore di certe blasfemie è Dio stesso. Le teorie rivoluzionarie violentano la storia senza ingravidarla. Incapaci di adattare i fatti ai loro propositi, queste teorie sono levatrici stupefatte di gravidanze imputabili a padri furbi e imbroglioni. L’opera d’arte non esiste come svolgimento rivoluzionario, ma come difesa estetica. Qualsiasi impresa artistica smette di essere rivoluzionaria nell’istante in cui è opera. Il presente determina ciò che lo storico cerca, ma solo il grande storico lascia che sia il passato a determinare quello 135
che trova. Essere giovani vuol dire temere che ci credano stupidi; maturare vuol dire temere di esserlo. Tutto ciò che esiste autenticamente è storico, cioè distinto da una volontà astratta e da un progetto formale. L’opera d’arte assume il presente totale in cui nasce e trasforma in necessità il capriccio o la casualità dell’istante. I valori non incarnati sono virtualità astratte. L’essenza si genera nell’atto empirico. Esistere è proprietà della coscienza. L’inanimato è contesto di biografìe sublunari o episodio di una biografia trascendente. La storia è il luogo dove le presenze empiriche si convertono in necessità razionali. L’umanità crede di porre rimedio ai propri errori reiterandoli. La struttura di una società, o di un’epoca, dipende da una preferenza, da una disposizione assiologica. Una interpretazione economica è scientifica solo quando il fondamento assiologico di una struttura è economico. Il marxismo ha fatto diventare metodo un’osservazione esatta, ma storicamente circoscritta. 136
Qualsiasi generalizzazione storica è artificio euristico atto all’interpretazione di un fatto concreto. Dalla storia nascono le filosofie che ambiscono a spiegarla e in essa vi muoiono. Lo storico si alimenta di quei cadaveri in decomposizione. Non dobbiamo emulare l’opera che ci commuove, bensì cercare di meritare che ci commuova. Un’esistenza felice è altrettanto esemplare di una vita virtuosa. Chiamare l’anima “sostanza semplice” non significa definirla, ma confessare in un lessico specializzato che la crediamo immortale. Chi meno comprende è colui che si ostina a voler comprendere di più di quello che si può comprendere. Ogni dimostrazione delude, così come ogni sogno realizzato. L’incertezza è il clima dell’anima. La cultura culmina nella coltivazione della lucidità. La civiltà è ciò che i vecchi riescono a salvare dall’assalto dei giovani idealisti. Né pensare prepara a vivere, né vivere prepara a pensare. Grazie all’orgoglio arrivò alla santità: Dio gli sembrò l’unico spettatore che valesse la pena di intrattenere. 137
L’umiltà, come le altre virtù, può essere insegnata solo agli orgogliosi. Educare è oggi un compito specializzato e problematico. Una società gerarchizzata, di contro, educa spontaneamente. Ciò che crediamo ci unisce o ci separa meno del modo in cui lo crediamo. L’idea è l’espediente disperato di colui che non trova la carne immortale e vile a cui solamente anela. La verità è persona. Cosa importa se ci condannano coloro che non condividono evidenze similari? È profonda solo la convinzione che conosce la propria imprudenza. Una convinzione non si irrobustisce se non quando la nutriamo di obiezioni. I dissidi interiori riescono a rompere la crosta di indifferenza che l’anima contrappone alle verità che la assediano. Quandanche sia l’interesse a dare inizio a qualsiasi azione, l’anima nobile la prolunga in divertimenti gratuiti. 138
La nobiltà umana è opera che il tempo a volte plasma attraverso la nostra ignominia quotidiana. Definire la nobiltà risulterebbe impertinente per alcuni lettori ed enigmatico per altri. L’unica garanzia autentica di libertà risiede nell’incoerenza di una costituzione politica. La verità non è giudizio, bensì aderenza ad una evidenza concreta. Il Rinascimento, l’Aufklärung2 e la Tecnocrazia sono indubbiamente figli del cristianesimo. Figli crescentemente sinistri che l’oblio del peccato originale genera nella speranza cristiana. La nostra vera autonomia è dipendere solamente dalla volontà di Dio. Le virtù della povertà sogliono fiorire solo nel ricco che si priva dei suoi averi. La serenità dell’arte greca sembra il trionfo dei caratteri etnici sulle convinzioni intellettuali. Achille dialoga con il suo fatidico cavallo sotto lo splendore del meriggio. L’apporto filosofico della matematica sembra essere consistito fino ad oggi in alcune metafore. 139
Niente è insignificante per colui che non cerca di imporre un significato unico alle cose. L’eloquenza è figlia della presunzione. La soluzione autentica è intrasferibile. Aderisce ad una situazione, ad un’esperienza e ad un atto. Rifiutarci di considerare tutto quanto ci ripugna è la più grave limitazione che ci possa minacciare. Tutti facciamo in modo di corrompere la nostra voce affinché chiami errore o sventura il peccato. Che Dio sia una volontà assoluta è la verità che germina sulle colline della Giudea. In questa società che professa il determinismo scientifico il prestigio della libertà è un retaggio cristiano. L’uomo non crea i suoi dèi a propria immagine e somiglianza, bensì concepisce se stesso ad immagine e somiglianza degli dèi in cui crede. Il sociologo attuale osserva le società preterite con una diffidenza morbosa di plebeo. L’antipatia successiva all’amore alla fine mette la verità in rilievo. 140
I trionfi raggiunti destano meno invidia dei trionfi meritati. L’intelligenza dà tutto alla mente che essa sceglie, eccetto la certezza di essere intelligente. Tocca alla posterità, ironicamente, scoprire la nobiltà delle sofferenze che alla vittima sembrarono dolori volgari. Allo stupido interessa l’idea altrui solo quando sfiora le sue tribolazioni personali. Se Dio fosse la conclusione di una deduzione non sentirei la necessità di adorarlo. Ma Dio non è solo la sostanza di quello in cui spero, bensì la sostanza di quello che vivo. Quale modestia si richiede per aspettarsi dall’uomo solo quello a cui l’uomo anela! Chi non teme che il più banale dei propri momenti presenti sembri un paradiso perduto rispetto ai suoi anni a venire? La nobiltà o la bellezza di ciò che possediamo si rivelano solo a una contemplazione ulteriore. Siamo ingiusti persino con noi stessi. Quando la provvidenza ci concede il destino che agognavamo, scopriamo presto che accettarlo richiede una desolata rassegnazione. 141
Eleganza, dignità, nobiltà; gli unici valori ai quali la vita non riesce a mancare di rispetto. L’autenticità intellettuale ha come prezzo quello di sembrare impassibile ed egoista. Una vita intellettuale verace ed austera ci strappa dalle mani le arti, le lettere e le scienze per ridurci ad uno schietto confronto con il destino. L’intelligenza brucia tutto ciò che gettiamo sulla sua fiamma e alla fine si nutre del suo stesso fuoco. La disperazione è il cupo varco per il quale l’anima ascende verso un universo che la cupidigia non contamina più. Non c’è nulla di più pericoloso che risolvere problemi transitori con soluzioni permanenti. Quanto più profondo è un convincimento, tanto più banale è la formulazione in cui si esprime. La violenza non è sufficiente per distruggere una civiltà. Ogni civiltà muore per la sua indifferenza di fronte ai valori peculiari che la fondano. Ogni catastrofe è catastrofe dell’intelligenza. La donna non cede di fronte a un’idea, bensì alla pressione sociale di un’idea. 142
Il moralista distingue e chiarifica ciò che il sociologo ingarbuglia. La verità sorge nell’anima che si agita nel mezzo del silenzio delle cose. Il futuro è fastidioso, perché lì niente impedisce che l’imbecille vi instauri i propri sogni. L’intelligenza che pronostica si aspetta che la vita la ratifichi sperando che la contesti. Una schiavitù senza padroni sarà la società del futuro. L’ombra dell’orgoglio soffoca la germinazione di mille viltà. Gli attuali programmi politici sono ideologie di una mentalità che colpevolizza dei problemi che la angustiano le “strutture sociali” che detesta, per nascondere che sono il prodotto dello sviluppo tecnico che ammira. Definire sociali quei problemi che dipendono dalla natura stessa dell’uomo serve solo a fingere che possiamo risolverli. Il politico ha bisogno di convincere il popolo del fatto che tutti i problemi sono “sociali” per poter schiavizzarlo. Le disuguaglianze naturali affliggerebbero la vita del democratico se non esistesse la denigrazione. Le crisi filosofiche serie sono quelle che cambiano il 143
repertorio corrente di metafore con un repertorio nuovo. La filosofia alla fine fallisce perché deve parlare della totalità nell’idioma delle sue parti. Senza l’irruzione dell’assurdo l’intelligenza si inventa coerenze per dormire. L’anima si arricchisce solo con le idee che dimentica. Non è illecito che il critico autoctono ripudi opere insigni se teme che corrompano rare virtù nazionali. Ma il lettore forestiero non è costretto a corroborare delle parzialità. Adottare ingiustizie necessarie soltanto per alternative vitali altrui è una pura scemenza. Nel giudicare l’opera d’arte, le ragioni abbondano quando condanniamo, però quando applaudiamo possiamo solo prorompere in esclamazioni. Una certa cortesia intellettuale ci fa preferire la parola ambigua. Il vocabolo univoco sottomette l’universo alla sua arbitraria rigidità. Il genio di una lingua non ha altro mandatario che il tatto del bravo scrittore. La causa della scemenza democratica è la fiducia nel 144
cittadino anonimo; e la causa dei suoi crimini è la fiducia del cittadino anonimo in se stesso. L’arte non stanca mai poiché qualsiasi opera è un’avventura che non garantisce previamente nessun successo. Nelle letterature senili l’abilità dell’artista ha priorità sulla qualità dell’opera. Di solito accusiamo le nostre qualità delle molestie dovute ai nostri difetti. Coloro che denunciano la sterilità del reazionario dimenticano la nobile funzione che esercita la netta proclamazione del nostro schifo. La malinconia di coloro che si rassegnano alla necessità differisce dalla tranquillità di quelli che si rassegnano alla rassegnazione. Scrivere sarebbe facile se la stessa frase non sembrasse, secondo l’ora e il giorno, alternativamente eccellente e mediocre. Occultare ciò che è banale dietro nobili frasi è un compito che tutta la letteratura si propone nel suo periodo ascendente e che ogni decadenza denuncia con puerile cinismo. L’analisi rigorosa non è più veridica dell’immaginazione poetica. 145
La realtà dell’oggetto sta nella sua proiezione immaginativa. Se la circospezione produce pedanti, l’entusiasmo produce imbecilli. La posterità lascia che i tratti insignificanti di ogni vita illustre sprofondino nell’oblio, affinché i loro momenti insigni sorgano e risaltino sull’orizzonte del passato, addossati e uniti, come cime di monti lontani. Il mistero inquieta meno del fatuo tentativo di escluderlo mediante sciocche spiegazioni. Una filosofia onesta non pretende di spiegare il mistero, bensì di circoscriverlo. L’ignorante riempie le crepe del suo raziocinio con sfilze di nomi celebri. L’altezza dalla quale cade la vittima misura la profondità della sua sventura. Magari in bilance divine i dolori più diversi si equilibrano, ma motivi forse frivoli pesano sulla nostra spontanea compassione. Le pozze di sangue illustre emettono riflessi di porpora augusta. Lo spirito genera nell’angustia, ma solo nella gioia non abortisce. Il rifiuto ci inquieta e l’approvazione ci confonde. 146
Chi come me è carente di talento traduce meramente testi anonimi e pubblici nella lingua delle proprie preoccupazioni personali. Quandanche la sincerità non sia abbastanza, non c’è altra materia che si lasci lavorare nobilmente. Esistono uomini che visitano la propria intelligenza, e altri che dimorano in essa. Il suicidio in certe epoche non è un gesto di superbia, bensì l’ultimo mezzo per non capitolare di fronte al demonio. Una volontà anticipatrice riscatta l’uomo dalla sua estrema sottomissione. I precetti estetici, lungi dal fornire soluzioni tecniche, somministrano un ingrediente in più al problema che solo il talento dell’artista può risolvere. L’umanità non conosce anelito più costante che quello di sostituire alla nudità del pensiero la rispettabilità borghese di una dottrina. Qualsiasi condizione sociale distinta porta con sé una differente visione dell’universo. Tale visione non è uno spettro3 che l’ideologia di ogni condizione proietta sul mondo, ma paesaggio oggettivo che si scorge solo da una determinata prospettiva. Non dobbiamo nascondere la nostra miseria attraverso 147
astuzie da poveri vergognosi. Nella vita, come nelle arti, l’intelligenza che assume ed ordina riscatta da qualsiasi naufragio. Il tentatore è il nemico della nostra anima e l’amico del nostro cuore. Le amicizie durature di solito necessitano di goffaggini comuni. Quando lo spirito si reclina per dormire in “un’armonia superiore” il rumore del conflitto lo ridesta. Oggi un’apologetica del cristianesimo non è sufficiente. Non lo è neppure un’apologetica della religione. Si richiede oggi un’introduzione metodica per quella visione del mondo fuori della quale il vocabolario religioso è carente di senso. Non parliamo di Dio a coloro che non giudicano plausibile il parlare di dèi. Con gli attuali mezzi tecnici non c’è niente di così facile come orchestrare senza talento un tema filosofico. Il problema autentico non esige di essere risolto, ma di essere vissuto. L’idealismo metodologico è il burladero4 degli assalti allo spirito. La decadenza letteraria sorge quando lo scrittore si situa 148
forzatamente ai confini estremi di qualsiasi posizione egli assuma. Le agitazioni popolari sono carenti di importanza fintantoché non diventano problemi etici delle classi dirigenti. Di fronte ad ogni verità un’angoscia segreta ci invade. Il romanzo aggiunge alla storia una terza dimensione. Nessuna città rivela la propria bellezza mentre il suo torrente diurno la percorre. L’assenza dell’uomo è il requisito ultimo della perfezione di ogni cosa. Affinché un amore nasca è sufficiente che ci ricordi un amore già morto; ed è sufficiente un amore morto affinché il suo ricordo ci offuschi lo splendore di una nuova gioia. La letteratura moderna elabora più piatti per il cuoco che per il gastronomo. Dio nasce dove un mito eziologico si combina con un’esperienza sacra. Il diavolo comprende tutto, ma non può creare nulla. Niente di più strano del fatto che chi afferma, o nega, non esageri per lusingare o ferire. 149
Non si passa da un sistema di categorie storiografiche ad un altro per mezzo di nuovi documenti, bensì per mezzo di un nuovo storico. La storia è ciò che alcuni fanno con le abitudini di altri. La cultura letteraria è l’arte di vedere in controluce di forme convenzionali o di vocaboli obsoleti l’autenticità estetica di un’opera. Lo scemo si duole per ciò che non possiede, l’intelligente per ciò che possiede. Che “abitudinario” sia oggi un insulto comprova la nostra ignoranza nell’arte di vivere. I luoghi comuni non sono frasi che tutti ripetono, ma idee che tutti reinventano. L’opera d’arte attende che mille artifici la preparino, ma che la natura scriva. Esiste la razza degli intelligenti imbecilli, come Bentham, e quella degli imbecilli intelligenti, come Fourier. Quelli che si sbagliano parzialmente ci irritano e quelli che si sbagliano totalmente ci divertono. L’anelito pedagogico è stato consigliere delle peggiori sciocchezze della storia e dei suoi crimini più orrendi. 150
Chi osa predicare senza previe veglie di agonia, si prepara inferni d’angoscia. Tra avversari intelligenti esiste una segreta simpatia, dato che tutti dobbiamo la nostra intelligenza e le nostre virtù alle virtù e all’intelligenza del nostro nemico. La ribellione contro Dio è demente, ma non stolta. Davanti a un universo impassibile, rassegnazione e ribellismo sono ugualmente stolidi. La morte di Dio è una notizia data dal diavolo, che sa sommamente bene essere una notizia falsa. L’ateismo autentico sta alla ragione dell’uomo come il miriagono sta alla sua immaginazione. Solo la carità tiene a freno la sevizia di una sensualità contrariata. La compassione di chi smette di amare si vendica presto della virtù a cui si costringe. L’uomo più disperato è semplicemente chi meglio nasconde la propria speranza. Ogni vecchiaia ci proviene dalla nostra vecchiaia, eccetto la vecchiaia di coloro che amiamo. Le letterature non muoiono tutte allo stesso modo: certe sono uccise dalle convulsioni, altre si paralizzano. 151
Ci sono libri che si sviliscono con gli anni. La posterità distingue peggio dei contemporanei le sfumature di uno stile, ma ne distingue meglio i ranghi. Anche quando l’umiltà non ci salva dall’inferno, almeno ci salva dal ridicolo. Qualsiasi verità è tensione fra evidenze contrarie che reclamano il nostro simultaneo rispetto. L’essere capaci di amare qualcosa di differente da Dio dimostra la nostra mediocrità indelebile. La fioritura di una civiltà si ha quando la sua classe dirigente sa esigere dal popolo virtù dalle quali essa si suole esimere. L’anima plebea si tradisce nel richiedere una breve pausa tra le circostanze che la sollecitano e il cenno decente con cui risponde. La freschezza, l’innocenza, la grazia e la giovinezza sono prodotti che certe società astute elaborano. Non esiste retorica che prolunghi l’amore fra certe anime al di là dell’istante in cui la carne si opacizza. Nulla mi seduce tanto come il cristianesimo, se non la meravigliosa insolenza delle sue dottrine. 152
Il cristianesimo avversa le banali istanze della ragione dell’uomo per colmare meglio i profondi aneliti della sua essenza. I metodi non guidano il pensiero che inventa, bensì la riflessione che ricostruisce la sua rotta. Nel silenzio notturno lo spirito dimentica il corpo logorato che lo ingabbia, e cosciente della sua imperitura gioventù si giudica fratello di ogni primavera terrestre. Chi proclama la propria miseria trova, in coloro che meno sospettava, l’eco di una miseria analoga; e chi crede di confondere con il proprio orgoglio attizza in altre anime un fuoco altrettanto fraterno. Disprezziamo negli altri quell’umanità che abbiamo imparato a disprezzare in noi stessi. La sufficienza è una penosa prova di umiltà. È raro che negli altri ci sorprenda un vizio insospettato, ed è corrente che ci stupisca una insospettata virtù. Nessuno è totalmente carente di qualità capaci di destare il nostro rispetto, la nostra ammirazione o la nostra invidia. Chi sembra incapace di fornirci qualche esempio vuol dire che è stato osservato in modo negligente. Senza la retorica della vanità non è facile scorprirsi inferiori. 153
Degli esseri che amiamo ci basta la sola esistenza. Marx arruola al servizio del proletariato le accuse alla società borghese formulate dagli scrittori reazionari. Lo storico nordamericano non può scrivere la storia senza rammaricarsi che la provvidenza non lo abbia previamente consultato. Non è l’origine delle religioni o la loro causa ciò che richiede spiegazione, bensì la causa e l’origine del loro oscuramente ed oblio. La mentalità imperante nella scorsa centuria, che tanto ripugnava alle più lucide intelligenze del secolo, non ha la borghesia per causa ma soltanto per primavera - e neppure la peggiore - delle sue incarnazioni. Ci preserva dalle purulenze della vita solo lo sguardo disinfettante dell’intelligenza. Attraverso mille cose nobili inseguiamo a volte solo l’eco di qualche banale emozione perduta. Dimorerà il mio cuore eternamente sotto l’ombra della vigna, vicino al tavolo rozzo e di fronte allo splendore del mare? Il ricordo confonde quello che abbiamo ottenuto e quello che è stato soltanto un nostro desiderio. Nell’opacità della memoria il fallimento ammorbidisce le 154
sue tinte nella luce del bene che ci è sfuggito. Partecipare ad imprese collettive permette di saziare l’appetito sentendosi disinteressati. Il lettore premuroso cataloga tra i luoghi comuni ciò che la discreta abilità dello scrittore redime dalla sua banalità. Qualsiasi grande scrittore finisce al servizio di chi l’abbia irritato di più. Il cemento sociale è costituito dall’incensamento reciproco. L’uomo non si sentirebbe così afflitto se gli fosse sufficiente desiderare senza supporre dei diritti su quello che desidera. Che qualcuno faccia finta di ascoltare è il massimo che ci aspettiamo quando non diciamo stupidaggini. L’ascoltatore attento è un futuro locutore che minaccia la sua vittima. Le passioni ci muovono meno dell’incoscienza. Non dobbiamo accusare il demonio fintantoché non si esauriscano le nostre spiegazioni striscianti. La vanità non è affermazione, bensì interrogazione. Colui che non dubita, non grida. 155
La promessa più insensata ci sembra la restituzione di un bene perduto. Affinché la critica compia esattamente le sue funzioni, l’accecamento del critico è tanto necessario quanto la sua lucidità. La sola giustizia non basta per tenere a freno la compiacenza dell’artista. Nella Chiesa abbondano i frati e scarseggiano i cavalieri.5 Gli argomenti non servono a dimostrare ma a confutare. La coerenza di un discorso non dimostra la sua verità, ma la sua coerenza. La verità è somma di certezze incoerenti. Qualunque civiltà è una conversazione con la morte. Se critichiamo il borghese riceviamo un doppio applauso: quello del marxista, che ci giudica intelligenti perché corroboriamo i suoi pregiudizi; e quello del borghese, che ci giudica avveduti perché pensa al suo vicino. Il lettore si crede sottratto alla generalizzazione che lo protegge. L’industria moderna è traboccante di articoli inutili non solo alla perfezione spirituale dell’uomo, ovviamente, bensì inutili anche alla perfezione materiale della civilità. 156
La bruttezza di un oggetto è la condizione previa della sua moltiplicazione industriale. L’uomo ha bisogno di vivere affaccendato. Non vi è nulla di più deplorevole dell’ozioso non predestinato ad esserlo. Una vita oziosa priva di tedio, goffaggine e crudeltà è tanto ammirevole quanto è rara. La contraddizione che inficia il mondo moderno è l’antagonismo fra le virtù militari, di cui ogni vita ha bisogno, e l’odierna circostanza tecnologica, che rende catastrofico il loro esercizio. Senza le virtù militari questa società imputridisce; con le virtù militari essa si suicida. L’uomo moderno ambisce a rimpiazzare con gli oggetti che compra quello che in altri tempi si sperava dalla cultura metodica dei sentimenti. Non c’è stato cadavere illustre che qualche cretino, in qualche momento, non abbia disprezzato. Altre epoche forse sono state volgari come la nostra, però nessuna ha avuto la favolosa cassa di risonanza, l’inesorabile amplificatore, dell’industria moderna. La libertà dello spirito è la tentazione del comunista. È sufficiente un pizzico di perspicacia per diffidare delle proprie idee e non avere fiducia in quelle altrui. 157
Le vitamine dello spagnolo sono costituite dai gallicismi. La sapienza più presuntuosa prova vergogna di fronte all’anima ebbra di amore o di odio. L’invecchiamento è una catastrofe del corpo che la nostra codardia fa diventare una catastrofe dell’anima. Dobbiamo guardare con avidità e senza cupidigia. L’episodio più patetico è quello dell’indifferenza con cui la mera giovinezza alla fine guarda la vecchiaia più illustre. La passione non è uno stato dell’uomo, ma il suo fine. Qualunque cosa ci esalti, ci redime. Solo le idee salvano dagli aggettivi. Che sia nato dalla lettura ininterrotta di un libro e che una sua lettura posteriore lo ratifichi è la doppia condizione di qualsiasi giudizio prudente. Il futuro prossimo probabilmente porterà stravaganti catastrofi, ma quello che più sicuramente minaccia il mondo non è la violenza delle moltitudini fameliche, ma la sazietà delle masse tediose. L’abilità cinica progredisce di trinfo in trionfo fino al 158
trionfo finale che la annulla. Lo stupido allega la propria ambizione alle sue ingiunzioni al destino. Gli errori tecnici si pagano sulla pelle di chi li commette, mentre le alternative assiologiche erronee necessitano di secoli affinché le loro conseguenze spaventino gli sciocchi. La coscienza morale è il pretorio delle banalità etiche. Le sue decisioni spontanee risolvono problemi subalterni. Solo una metodica meditazione rintraccia la presenza larvale del male, la sua cauta ubiquità umana. Dignitas, Gravitas, ecc. - la pompa romana certamente maschera la nostra miseria; ma la sincerità moderna accondiscende con troppa allegria a qualsiasi bassezza. Solo le educazioni austere formano anime delicate e fini. Tutto ciò che umilia l’uomo allieta chi lo crede capace di destini più elevati. Attribuire alla vecchiaia la feccia accumulata dalla vita è la consolazione dei vecchi. La delicatezza morale vieta a se stessa cose che invece concede agli altri. Il perdono è la forma sublime del disprezzo. 159
Cedere a nobili tentazioni ci evita di arrendersi a tentazioni vili. Denunciare la viltà di ciò che è vile non è efficace quanto mostrare la nobiltà di ciò che è nobile. Si suol dimenticare che il contrario di romantico non è classico, ma imbecille. L’eccellenza non proviene dall’obbedienza a determinate norme, ma da un certo modo di obbedire a una norma qualsiasi. Le cose più nobili si degradano quando sono ammirate da certi esseri. Può assolvere onestamente solo chi non teme che il proprio perdono lo protegga. Una verità confusa conta meno di un errore lucido. Ci sono anime spugnose che dimorano nell’ambiguo. Vincere uno stupido ci umilia. Il rango del nostro avversario ci colloca: essere vincitore o vinto è subalterno. Lo scemo istruito possiede un campo più vasto per praticare la propria scemenza. 160
Alle domande dello scemo non si può rispondere neppure rimandandolo previamente a scuola. La scienza non risponde ai quesiti che l’uomo le pone, ma a quelli che essa da sola si pone. Quando la continuità di una società si rompe, soltanto un miracolo può vincere il letargo di un testo preterito. L’uomo deambula senza ferirsi solo tra regole sociali immutabili. Il transito da un libro a un altro si compie attraverso la vita. Le parole non comunicano, bensì ricordano. Il fatto che certi uomini autenticamente grandi ci irritino è dovuto agli ammiratori che si ritrovano. Ma nessuno è del tutto innocente rispetto agli ammiratori che conquista. L’uomo si trascina attraverso le delusioni appoggiato su piccoli successi banali. Le nozioni imprecise che uno scrittore di talento maneggia con destrezza abbagliano l’imitatore che finisce per volgarizzarle nella retorica. Una stupidaggine manifesta non certifica l’imbecillità del suo autore. È sufficiente confidare nell’automatismo della ragione per 161
sfociare logicamente in imperterrite scemenze. Una tirannia individuale è preferibile al dispotismo della legge, poiché il tiranno è vulnerabile mentre la legge è incorporea. L’individuo sottomesso a leggi cangianti non riesce a cavarsela con l’iniquità di ogni legge. La contraddizione assunta lucidamente è un indizio di pensiero vigoroso. Le Muse dello storico sono l’Amore e l’Odio. Non definire mete, bensì rotte; agire sulla più remota condizione possibile; rifiutarsi di isolare i problemi: sono i tre requisiti dell’autentica azione politica. Se un imbecille si entusiasma per una verità che ci emoziona, ciò ci umilia e ci inquieta. Il pubblico accetta o rifiuta ciascuna opera globalmente, mentre accettare o rifiutare con dei distinguo è la definizione di gusto. Le convinzioni novizie sono chiacchierore e fragili. I partiti politici sorgono quando lo Stato pretende di risolvere problemi subalterni. Mentre lo Stato si limiti ad assicurare l’esistenza della società, le lotte politiche sono semplici conflitti personali. 162
Non parlo di Dio per convertire la gente, bensì perché è l’unico tema del quale valga la pena di parlare. Lontano dal garantire un Dio, l’etica non ha l’autonomia sufficiente per garantire nemmeno se stessa. L’impatto della scienza sulla religione ha avuto luogo il secolo scorso. Ciò che sta avendo luogo in questo secolo è l’impatto della tecnica sull’immaginazione degli imbecilli. Come può vivere chi non si aspetta qualche miracolo? I vigneti della terra fioriscono in vista di invisibili vendemmie. Il pubblico acclama sempre l’opera d’arte purché sia palesemente bella o palesemente brutta. Ci sono meno ammiratori di opere che imitatori degli ammiratori. Le ambizioni legittime sono imbarazzate e si rassegnano in mezzo alla ressa delle ambizioni fraudolente. Tutto quello che accade assume deliziosamente la forma della necessità. Ciò che è veleno per il desiderio è alimento per la passione. 163
Emendare gli altri è un’ambizione di cui tutti si beffeggiano e che tutti albergano. La banalità è il prezzo della comunicazione. Solo i profeti onesti vengono linciati. Certe virtù sono le astuzie di un vizio. In storia le teorie, più che false, sono troppo ambiziose. Chiamo mio, a prescindere da chi ne sia il padrone, tutto ciò che mi pare evidente. Il pensiero meditato si esprime con opacità e lentezza. La profondità e la grazia celebrano rare tregue. Simpatia e antipatia sono le disposizioni primordiali dell’intelligenza. Se l’intelligenza acuta non accondiscende a grossolane affermazioni, i suoi ritocchi accumulano così tante reticenze che finisce per ritirare quanto detto. Certa volgarità è necessaria a tutto ciò che desidera vivere. Qualsiasi fenomeno ha la sua spiegazione sociologica, sempre necessaria e immancabilmente insufficiente. 164
Il pronostico che il tempo ratifica è quello che elimina metodicamente dai propri calcoli le profezia acclamate. I libri, piuttosto che strumenti di perfezione, sono barricate contro il tedio. La relatività di ogni valore ad un’epoca non implica un relativismo assiologico. Il valore è relativo ad un’epoca perché solo quell’epoca lo scopre, ma non perché valga solo per essa. Quando si dice che un valore è morto, si sta meramente indicando che le strutture storiche che lo avevano reso percettibile sono perite. Ma è sufficiente che compaia uno storico sensibile per distinguere l’astro intatto. L’intelligenza plagia solo quando non feconda ciò che ruba. Pensare che solo le cose importanti valgano è sintomo di barbarie. La nostra ignoranza decreta il posto in cui è possibile ammirare le teorie esplicative della storia. Qualunque teoria fallisce dove siamo meno ignoranti. Meno ci importa di un oggetto, più ci soddisfa una teoria di esso. Di ciò che importa, solo la pienezza concreta ci colma. Sulla nostra vita hanno influenza esclusivamente le piccole verità, le minuscole illuminazioni. 165
Il fanatico crede di confutare un’obiezione dichiarandola logora. Non capendo l’obiezione che lo confuta, lo stupido si crede da essa corroborato. Lo sviluppo di un’idea in sistema è il suo suicidio. Ciò che desta la nostra antipatia è sempre una carenza. Per lo psicanalista, le pareti di una camera da letto borghese circoscrivono il confine di ogni spiegazione possibile. Molti poemi moderni non sono oscuri come un testo sottile, bensì come una lettera personale. Niente di più difficile che impedire ad un’idea di uscire dal posto in cui è vera. Il peccato originale del marxismo, come delle altre ideologie moderne, consiste nell’affermare che non esiste nulla di preferibile, ma solo di meramente preferito. Con le sole categorie marxiste non è spiegabile neppure il marxismo. Riusciamo a vivere perché non ci vediamo con gli occhi con cui gli altri ci guardano. 166
Riusciamo a vivere fintantoché crediamo di compiere le promesse che non stiamo compiendo. La parola non fu elargita all’uomo affinché ingannasse affinché si ingannasse. Lo stile puro è quello che riesce ad evocare presenze concrete per mezzo dei “termini più generali”. Ogni anelito che colma, la tecnica lo mutila. Le realtà spirituali commuovono con la loro presenza, quelle sensuali con la loro assenza. La vita non garantisce durata se non al proposito incarnato in una istituzione incoerente. Vive solo ciò che scandalizza la “ragione”. Se Dio non esiste non dobbiamo concludere che tutto è permesso, bensì che niente ha importanza. Quando i significati si annullano i permessi diventano irrisori. La cattiva fama del tiranno cresce fino ad un determinato punto in modo proporzionale alla quantità di vittime, e decresce poi vertiginosamente se tale quantità raggiunge cifre raccapriccianti, fino ad arrivare a zero. La divina provvidenza causa catastrofi in modo che i contemporanei più intelligenti scrivano sciocchezze. 167
La critica decresce di interesse quanto più rigorosamente si fissino le sue funzioni. L’obbligazione di occuparsi solo di letteratura, o solo d’arte, la sterilizza. Un grande critico è un moralista che passeggia tra i libri. Per poter abusare della propria libertà, l’uomo ha bisogno di convertirsi a dottrine deterministiche. L’uomo si arrende ai propri demoni solo quando crede di cedere a un decreto divino. Il determinismo è l’ideologia delle perversioni umane. Ogni formula salva. Predicano le verità in cui credono o le verità in cui credono si debba credere? La fede che non si sa burlare di se stessa deve dubitare della propria autenticità. Il sorriso è il dissolvente del simulacro. Un vento implacabile spazza tutto ciò che non cresce lentamente, come sedimenti che si agglomerano nei sinclinali del tempo. Quello che non è complicato è falso. Circolazione di rapaci è la formula autentica della fisiologia sociale. Chi non compatisce il dolore di colui che si sente 168
ripudiato? Però, chi medita sull’angoscia di colui che teme di essere scelto? Solo i personaggi dei romanzi mediocri riescono a risolvere i propri problemi. Il padre della critica letteraria è il malumore; l’ammirazione non ne è altro che la madrina. Nessuna idea che necessiti di appoggio lo merita. I grandi scrittori fraternizzano nella risonanza imperiale dei loro testi. Ciò che richiede lotta per essere ottenuto muore nell’essere raggiunto. È sufficiente un solo discepolo affinché il maestro prevarichi. Il cadavere di un grande uomo si decompone definitivamente in mano dei suoi biografi. Discrepare è un rischio che non deve assumersi se non la coscienza matura ed avveduta. La sincerità non protegge né dall’errore né dalla scemenza. Sappiamo risolvere solo i problemi che non hanno importanza. L’unico progresso è dubitare del progresso. 169
Gli anni ci portano assopiti dalla culla alla fossa. Coloro che non vogliono rispondere delle proprie opinioni decidono di essere riflessi passivi del mondo. Ogni perfezione colma e deprime. Credere che l’interesse personale determini le nostre convinzioni in modo esclusivo si trasforma in una convinzione che può determinare i nostri atti in modo tale che il motivo di qualsiasi convinzione finisce per essere l’esclusivo interesse personale. Il rito non genera miti, se non dopo essere stato generato dal mito. Per disarcionare chi ci importuna è sufficiente insinuargli che dice ciò che dice perché è chi è. L’imboscata ideologica è uno stratagemma infallibile. Però ovviamente non è una vittoria in campo aperto. Nessuno è innocente né in quello che fa né in quello che crede. La sola imparzialità in cui confidiamo è quella dell’anima in cui si ode un ribollire di fiere. La prova della superiorità di chi si annoia non la offre il suo tedio, bensì la qualità dell’occupazione che lo dissipa. 170
La spiegazione che non faccia sembrare più misterioso ciò che spiega è una spiegazione fallita. Nell’artista subalterno lo stile precede l’opera. La creazione è il nesso tra l’eternità e la storia. L’opera d’arte è un arresto casuale del processo che lega la sua inesistenza primigenia alla sua inimmaginabile perfezione. La capacità distruttrice del sorriso imbecille. L’ottimismo è l’adulterazione della speranza. Il pessimismo è il suo possesso virile. Il popolo non preferisce chi lo cura, ma chi lo droga. La vita a volte concede, compassionevolmente, soluzioni che un certo amor proprio obbliga a rifiutare. L’umanesimo autentico si edifica sul discernimento dell’insufficienza umana. L’individuo si ribella oggi contro l’inalterabile natura umana per astenersi dall’emendare la correggibile natura propria. Un conflitto risibile necessita di soluzioni grottesche. Ciò che è popolare è diventato volgare quando il popolo ha 171
rinunciato a copiare ingenuamente la cultura aristocratica per comprare la cultura “popolare” manifatturata dalla borghesia. Chi cerca di educare, e non di sfruttare, tanto un popolo quanto un fanciullo non parla loro imitando goffamente un linguaggio infantile. Avere libertà di pensiero alla mentalità moderna non basta. Lo stolto si sente obbligato a farne uso. Gli archivi di questa società ricca di “liberi pensieri” offriranno deliziosi passatempi agli eruditi futuri. Perché una verità ci persuada si richiede che una verità equivalente maturi nella nostra anima. L’idea non è un fantasma, bensì un corpo verbale denso, sonoro e luminoso. L’idea è la combustione interna e spontanea di un’espressione rovente. La lucidità della coscienza è privilegio di chi è carente della stoltezza necessaria alle convinzioni imperanti. Non c’è nulla di più retorico della letteratura di un popolo giovane che si esprime in un idioma vecchio. La perfezione è il punto in cui coincidono ciò che possiamo fare e ciò che vogliamo fare con ciò che dobbiamo fare. 172
Fra l’anarchia degli istinti e la tirannia delle norme si estende lo sfuggente e puro territorio della perfezione umana. L’uomo giudica autentica ed evidente solo la vittoria coronata dai più sordidi piaceri e dalle più volgari ricompense. La possibilità di preservare la nostra dignità è inversamente proporzionale all’integrazione economica sociale. Alle classi sociali non dobbiamo attribuire dei tratti che non dipendono dalla funzione che le definisce. Alla borghesia sono stati assegnati dei vizi meramente umani e al proletariato delle virtù meramente umane. Come se le più nobili cose della terra fossero frammenti dispersi del nostro bene perduto… Bellezza, eroismo e gloria si alimentano del cuore dell’uomo come fiamme silenti. Verità è ciò che qualsiasi imbecille oppugna. L’uomo è il rifugio più caduco che l’uomo abbia. Curare un’anima malata significa quasi sempre sottrarle la sua unica spiritualità. Gli uomini vivono dei propri problemi e muoiono delle loro soluzioni. 173
La verità è l’insieme delle contraddizioni in cui incorrono gli uomini intelligenti. Il livellamento è il sostituto barbaro dell’ordine. La sincerità scrupolosa falsifica la verità. Sono rari quelli che ci perdonano che complichiamo i loro vacillamenti. La continuità dell’Occidente si è spezzata quando il libro vecchio ha smesso di contenere insegnamenti per ridursi a documento. Il progressista trionfa sempre e il reazionario ha sempre ragione. Avere ragione in politica non vuol dire occupare il palcoscenico, bensì annunciare già dal primo atto i cadaveri del quinto. I programmi rivoluzionari sono mere ideologie della rivoluzione pura. Il rivoluzionario non odia perché ama, bensì ama perché odia. Una civiltà crolla quando il suo trionfo insinua che le virtù che l’hanno consolidata sono di troppo. Qualsiasi soluzione si annulla quando il suo vocabolario si propaga tra coloro che ignorano il suo problema. 174
Si tratta sempre di suicidio quando qualcosa di autentico muore. La salvezza sociale si approssima quando ciascuno confessa que può salvare solo se stesso. La società si salva quando i suoi presunti salvatori disperano. Quando oggigiorno ci dicono che qualcuno è carente di personalità, sappiamo che si tratta di un individuo semplice, probo, retto. La personalità, attualmente, è la somma di quello che impressiona gli scemi. Convertirci significa sentire che stiamo inventando la religione alla quale ci stiamo convertendo. Il massimo errore moderno non è stato quello di annunciare che Dio è morto, ma quello di credere che il diavolo sia morto. Ogni evidenza interrotta si trasforma in larva di lemuri. Niente di fondamentalmente impossibile ad un essere qualsiasi, in qualsivoglia situazione, è fondamentalmente importante. Il cerimoniale è il procedimento tecnico atto a mostrare 175
verità indimostrabili. Il rito e la pompa vincono l’accecamento dell’uomo di fronte a ciò che non è materiale e rozzo. La forza ha commesso meno crimini rispetto alla debolezza meschina. In questo secolo non dobbiamo bramare che prevalga un partito — qualsiasi partito —, ma che non prevalga quello contrario. Pochi si azzardano ad indicare, senza reticenze, tutto ciò che disprezzano. Le filosofie deterministe pretendono di salvare la dignità dell’uomo con commenti che diluiscono e sfumano le tesi che proclamano. Le dottrine che spiegano ciò che è superiore mediante ciò che è inferiore sono appendici di un dottrinale di magia. Le autentiche pozioni magiche differiscono da svariate bevande antalgiche perché mischiano ai loro ingredienti usuali alcune gocce di religione, sesso e morte. Cambiare il materiale poetico è sufficiente al poeta ordinario: solo i grandi cambiano il materiale verbale. Fare uso di un materiale poetico tradizionale limita il grande poeta, però è l’unico che assicura al poeta minore uno o due trionfi miracolosi.. 176
L’intelligenza da sola non può possedere altro che schiave ribelli. Coloro che disdegnano i riti non capiscono con ciò di star richiedendo a qualsiasi individuo di reinventare l’epopea umana. Falso artista è colui che sembra ovviamente artista. L’uniforme da artista è la maschera del borghese. L’autenticità raramente si confonde con la sincerità spontanea. La spontaneità suol essere eco di voci altrui. Se la filosofia, le arti e le lettere del XIX secolo sono solo sovrastrutture della sua economia borghese, dovremmo difendere il capitalismo fino alla morte. Qualsiasi sciocchezza si suicida. Niente di più facile che imitare l’estetica classica, né di più difficile che obbedirla. Amore e odio non sono gli artefici delle qualità che la nostra indifferenza opacizza, ma rivelatori di esse. L’umanità cambia soltanto la retorica delle sue idiozie. Solo ciò che è gratuito è degno di venerazione. La laboriosità si premia in paradisi subalterni. 177
L’intelligenza raggiunge la sua vittoria più grande quando forgia nobilmente la materia delle esistenza mediocri. Per sfidare Dio, l’uomo rigonfia il proprio vuoto. Il grande scrittore pare inventare ciò che dice, poiché una prosa perfetta sopprime il ricordo di qualsiasi balbettio che la anticipa. È raro il castigo che non coincide con il proposito dell’ammenda. L’architettura del XIX secolo ha confuso l’organismo con il vestito mentre quella del XX secolo lo confonde con lo scheletro. Certi poeti credono di inventare dei simboli quando invece maneggiano solo un repertorio personale di equivalenze allegoriche. L’atrocità vendicativa non è proporzionale all’atrocità offensiva, ma all’atrocità del vendicatore. (Per una metodologia delle rivoluzioni). Quello che la ragione giudica impossibile è la sola cosa che può colmare il nostro cuore. Il vigore dell’anima spagnola è durezza di una terra erosa. Esistono individui che trattano l’universo con una sufficienza professorale. 178
Il tono professorale non è proprio di colui che sa, ma di colui che dubita. Una norma è ciò che nulla protegge dal nostro ribellismo, ma che la nostra cecità non vanifica. Il tatto della ragione trascende la stessa ragione. Lo scrittore comune non esprime la propria idea, se ne veste. I giudizi ingiusti dell’uomo intelligente di solito sono verità avvolte da malumore. Gli spiriti dogmatici smettono di essere tediosi quando diventano veementi. Il popolo non è mai stato celebrato se non in opposizione ad un’altra classe sociale. L’uomo moderno sa già che le soluzioni politiche sono irrisorie e sospetta che lo siano altrettanto quelle economiche. Non è visitando le idee altrui che arricchiamo la nostra l’ intelligenza, bensì viaggiando attraverso le altrui sensibilità. A seconda del lettore e del libro si tratta di lettura oppure di avventura. Pensiamo di confrontare le nostre teorie con i fatti, ma le possiamo confrontare solo con teorie dell’esperienza. 179
La più esecrabile tirannia è quella che allega dei princìpi che rispettiamo. I materiali prediletti dell’architettura moderna hanno una vecchiaia da prostituta. L’esuberanza sudamericana non è ricchezza, ma disordine. L’uomo intelligente e colto è colui che si interessa, come le zitelle pettegole, di cose che non concernono prettamente la sopravvivenza. Trasformare il mondo: occupazione da detenuto rassegnato alla propria condanna. Stanca di scivolare per il comodo pendio delle opinioni azzardate, l’intelligenza alla fine si addentra nei paesaggi impervi dei luoghi comuni. Qualsiasi fenomeno letterario che sia letterariamente importante non è mai un fenomeno prettamente letterario. La legge non è che l’embrione del terrore. C’è qualcosa di indelebilmente vile nel sacrificare anche il più stupido dei princìpi alla più nobile delle passioni. Chi è qualcosa di più che il miserabile luogo di un’epifania? I pregiudizi difendono dalle idee cretine. 180
Quando è programma, qualunque stile si esaspera. Ciò che discolpa l’impudicizia di uno scrittore sono le resistenze interne che deve vincere. Solo l’artista mediocre approfitta delle tolleranze sociali. Il progresso filosofico non consiste nella comparsa di tesi, bensì nella loro scomparsa. Non esiste un tema vietato all’artista, e neppure un tema possibile in qualsiasi momento. Le perversioni autentiche non sono preferenze della sensibilità, ma alternative dell’intelligenza. Siccome l’unica prova della sincerità di un poema è un certo inconfondibile tono, chiamiamo quel tono sincerità, qualunque sia stata la maniera di ottenerlo. La presenza silenziosa di uno sciocco è l’agente catalitico che, durante una conversazione, fa precipitare tutte le idiozie di cui sono capaci gli interlocutori più intelligenti. Tutti i problemi dell’universo sono risolti da un corpo nudo. L’uomo moderno chiama funzionale qualsiasi attività arbitrariamente ridotta ad una sola delle sue molteplici funzioni. 181
Invidio coloro che non si sentono padroni soltanto delle proprie sciocchezze. Solo la noncuranza dell’orgoglioso compete con il distacco dell’umile. Un paesaggio retrocede dall’umanizzazione antropogeografica alla sua inumanità geologica quando i suoi abitanti alterano bruscamente le proprie routines. Non disapproviamo il capitalismo perché fomenta la disuguaglianza, ma perché favorisce l’ascesa di tipi umani inferiori. In un grande scrittore di sinistra la posterità stima solo quello che non è contaminato dalla sua dottrina, mentre nello scrittore di destra ammira l’eco clandestina della propria. La meravigliosa arroganza di qualunque constatazione empirica! * La cultura di un individuo è l’insieme degli oggetti intellettuali o artistici che gli producono piacere. Quando la tecnica di un genere letterario viene formulata con chiarezza, quel genere perisce. Non dobbiamo confondere ciò che merita rispetto in una cosa con la cosa stessa. Nella nostra condizione terrestre, la corte suprema è il 182
ridicolo. Lo storico delle religioni deve imparare che gli dèi non assomigliano alle forze della natura, bensì le forze della natura agli dèi. Esistono tre tipi di esperienza categoricamente dissimili: un’esperienza ripetibile da tutti, un’esperienza ripetibile da pochi, un’esperienza irripetibile. Per verificare qualunque proposizione dobbiamo definire previamente il tipo di esperienza a cui appartiene. Rifuggire le metafore incoscienti è la norma elementare dello stile chiaro e puro. L’anima volgare si perverte solo con veleni volgari. Come non disprezzare il popolo? È sufficiente che si allentino le norme che ci rendono civili affinché il popolo sottomesso che grugnisce in ciascuno di noi scateni i suoi torvi appetiti. L’estetica classica tratta dell’opera, quella romantica dell’autore: la prima muore nel trattato di retorica, la seconda nel trattato di sociologia. Essere prolissi significa permettere al lettore di indovinare ciò che stiamo per dire. La Bibbia non è stata ispirata da un Dio ventriloquo. La voce divina attraversa il testo sacro come un vento di 183
tempesta il fogliame della selva. Le idee sembrano prodotti di squilibri repentini del cervello che velocemente ritorna alla sua stolida stabilità. Un unico tipo di società ebbe un contratto sociale come radice storica e spinta etica: il feudalesimo. Nelle società che mancano di princìpi lo spirito ha la necessità di diventare dogmatico. La sua eleganza ha come presupposto che altri abbiano assunto il compito di picchettare l’universo. Attualmente il demonio ha forma geometrica. Il sesso non risolve nemmeno i problemi sessuali. Il “razionalismo” del secolo XVIII combattè i “pregiudizi” con buona coscienza di pregiudizio inavvertito. Da allora “irrazionale” non è ciò che è avverso alla ragione, ma ai pregiudizi rivoluzionari. La nostra reticenza di fronte a molti artisti moderni non proviene da quanto vi è di insolito nelle loro opere, bensì dalla vetustà dei loro propositi. Credendo di dire quello che vuole dire, lo scrittore dice solo quello che riesce a dire. La buona volontà è la panacea degli imbecilli. 184
Quello che vorremmo non è accarezzare il corpo che amiamo ma essere la carezza. Nonostante la critica moderna, i temi delle opere d’arte non trattano di problemi che l’uomo moderno sappia risolvere. Il sale del discorso edificante è l’irriverenza prudente. Non bisogna rifiutare, bensì preferire. Formulare una legge scientifica soddisfa meno che scoprire un’evidenza che la frantuma. Fra l’opera dell’artista e la sua dottrina c’è una tale distanza che né l’opera illustra necessariamente la dottrina né la dottrina opacizza necessariamente l’opera. L’artista fa centro per ragioni che ignora. Per uno scrittore tutto rimane da dire fintantoché non lo dice a modo suo. La civiltà occidentale sarà morta quando cesserà di essere la presenza della Grecia in un’anima cristiana. Per difendere la libertà è sufficiente un soldato; l’uguaglianza, per affermarsi, ha bisogno di uno squadrone di polizia. Il gusto letterario della classe dominante non domina perché la classe domina, ma perché il dominio permette di 185
scegliere il meglio. Il sensuale è la presenza del valore nel sensibile. Più che opinioni stupide, ci sono stupidi che emettono opinioni. Solo i profani e i catecumeni credono nell’importanza dell’istruzione. Tutti i pedagoghi sono furtivamente analfabeti. Ciò che è repentino è un’epifania diabolica. Il demonio ci sconfigge quando consente che lo sconfiggiamo attraverso le sue armi. Il filosofo importante è sempre parso superficiale ai propri colleghi. Quello che non è giudizio analitico è atto di fede. L’odio altrui dissolve, alla fine, la propria compiacenza. Dove è riconosciuta una gerarchia di valori oggettivi l’arbitrio non è un pericolo. Qualsiasi cosa ci può lecitamente affascinare se non ne alteriamo il rango. Quando supponiamo, invece, che sia la preferenza a regolare il valore, il più lieve sproposito scatena catastrofi. Le scemenze sono temibili quando sono proclamate atti di ragione. 186
L’imparzialità critica si può fondare solo sulla coscienza lucida del pregiudizio sancito dalla nostra visione personale. Il proprietario legittimo di un’idea è colui che le dà la forma più compiuta. La sensazione di infinito si ottiene solo nell’immediato. Scartando quelli grandi, risultano leggibili solo i romanzi scritti con chiari fini commerciali. Il paradiso non si cela nella nostra opacità interna, ma nelle terrazze e sugli alberi di un giardino ordinato, sotto la luce del mezzogiorno. Nessuno deve condannare una società qualsiasi invocando meramente una società alternativa passata, presente o futura. La poesia non è un’esperienza, ma la sua narrazione. Il poeta può trionfare o fallire nella sua avventura spirituale senza che il suo poema necessariamente trionfi o fallisca. Niente di più facile che ammettere la legittimità di vari tipi di poesia, né più difficile che evitare di sacrificarli al tipo che preferiamo. Di fronte allo splendore delle civiltà l’uomo che conosce l’uomo sente meno orgoglio che sorpresa. Essere razionalisti consiste in assumere quali postulati 187
inconsci del raziocinio i pregiudizi della società contemporanea. Umano è l’aggettivo che serve per giustificare qualsiasi meschinità. Due secoli fa era lecito aver fiducia nel futuro senza essere totalmente stupidi. Oggi, chi può credere nelle attuali profezie, dato che siamo quello splendido avvenire di ieri? Solo il ritmo salva l’emozione poetica dalla sua imbecillità natia. Il lessico del vero scrittore non è presente in nessun dizionario. Assaggiare le pacchianerie di ieri è la deliziosa raffinatezza del curioso di domani. Meno conosciamo il suo referente o il suo significato, più una metafora ci commuove. “Liquidare” una classe sociale o un popolo è un’impresa che in questo XX secolo non indigna se non le presunte vittime. La libertà non è il fine della storia, bensì la materia con la quale lavora. Marx vince battaglie, ma la guerra sarà vinta da Malthus. 188
La società industriale è condannata al progresso forzato in perpetuo. Il miele dell’apologetica è insipido se non proviene dal succo di fiori velenosi. All’artista possiamo perdonare che gli importi la celebrità solo quando cede a motivi strettamente commerciali. Nel momento in cui si definisce la proprietà come funzione sociale, si approssima la confisca; quando si definisce il lavoro come funzione sociale, si avvicina la schiavitù. L’umiltà dell’intelligenza si chiama scetticismo. Le ammirazioni letterarie del giovane sogliono essere indizio di valori autentici, mentre le sue antipatie gli sono dettate dalla situazione storica. Affinché un’opera intera ci seduca basta che nel suo angolo più remoto risieda una vibrazione breve e inconfondibile. La vera gloria è la risonanza di un nome nella memoria degli imbecilli. Ogni scrittore commenta indefinitamente il proprio breve testo originario. L’inferno non sa di essere l’inferno. 189
Se lo sapesse sarebbe solo un luogo di purgazione transitoria. L’idea politica che entusiasma il contemporaneo annoia la posterità. Quando uno zelo di purezza lo porta a condannare l’“ipocrisia sociale”, l’uomo non recupera la sua integrità perduta, bensì perde il proprio pudore. L’uomo è un animale che fantastica di essere uomo. Coloro che si proclamano artisti d’avanguardia di solito appartengono a quella passata. Avarizia, stupidità, crudeltà - l’uomo è sempre stato vittima dei propri difetti. Ma solo la società industriale poteva renderlo vittima delle proprie virtù. L’insignificanza della metafora gratuita è lo scoglio della poesia moderna, così come lo scoglio della poesia di ieri è stato la metafora insignificante. Il vero poema non è una somma di significati, ma la risultante verbale di un movimento significante attraverso una lingua. Fintantoché ci applaudono non ci lasciamo dietro le evidenze volgari. 190
Quando si mettono a confronto solo soluzioni rozze, è difficile opinare sottilmente. La grossolanità è il passaporto del XX secolo. Nell’arte conta solo ciò che ci provoca dal primo istante. Né la precisione in sé né la vaghezza ci seducono; ci soddisfano solo le idee precise su intuizioni vaghe. I monismi in mani pulite diventano panteismi, mentre in mani sporche diventano materialismi. Si definisce monismo il tentativo vano di assemblare i frammenti dell’universo. Le arti germogliano nelle società che le guardano con indifferenza, e periscono quando sono fomentate dalla reverenza sollecita degli sciocchi. La letteratura di “evasione” non pretende di divertire chi è carente di “beni materiali”, ma coloro che li possiedono. Come osare raccomandare il rischio? E tuttavia, come sono pochi quelli che non sono sviliti dall’assenza del pericolo! Il mistico è l’unico ambizioso serio. Gli uomini si dividono in due fazioni: quelli che credono al peccato originale e i tonti. Che l’errore o il vizio condizionino la comparsa di certe 191
virtù non è una ragione per attribuire ad essi la loro origine. Ogni epoca mette in pratica a modo proprio l’ingiustizia letteraria: certune rifiutano la nuova eccellenza, certe altre umiliano l’eccellenza passata. Abbi cura del tuo orgoglio, affinché la tua umiltà abbia un alloggio pulito. La storia della filosofia è il lessico che permette di parlare di quello che è interessante. Demagogia è il termine che i democratici impiegano quando la democrazia li spaventa. Si è visto un solo urbanista geniale: il tempo. Quando acquista serietà totale, la meditazione metafisica culmina in narrazione autobiografica. Dove la religione stessa si secolarizza, Satana diventa l’ultimo testimone di Dio. Il critico fa centro con argomenti assurdi e si sbaglia con argomentazioni coerenti. La grande critica d’arte è un efficace abuso della ragione. La casualità genera le civiltà e l’intelligenza le sotterra. Per fare bella figura l’intellettuale si veste di paradossi presi in affitto. 192
Basta che la bellezza sfiori il nostro tedio affinché il nostro cuore si strappi come seta nella mani della vita. Davanti alle vere prede non siamo altro che felini senza artigli e senza denti. Le categorie sociologiche consentono di circolare per la società senza preoccuparsi dell’individualità irriducibile di ciascun uomo. La sociologia è l’ideologia della nostra indifferenza con il prossimo. Per sfruttare spensieratamente l’uomo è conveniente prima di tutto ridurlo ad astrazioni sociologiche. Un certo modo di proclamare i “valori spirituali” fa dubitare automaticamente dell’onestà del parlante. La sensualità è la primizia della redenzione della carne e la sessualità il compimento del verdetto che la condanna. Quello che ancora preserva l’uomo, nel nostro tempo, è la sua naturale incoerenza. In altre parole, il suo spontaneo orrore di fronte alle conseguenze implicite dei princìpi che ammira. Invecchiare con dignità è compito di ogni istante. È barbara quella società dove l’età della cultura e l’età dell’anima discrepano. 193
Non rispetto che la certezza che attraversa il mondo con teneri piedi nudi. Niente allarma di più della scienza dell’ignorante. Il prezzo che l’intelligenza richiede a coloro che sono stati da essa scelti è la rassegnazione alla banalità quotidiana. L’umanità non assomma soluzioni, bensì problemi. Il lavoro della ragione si insinua fra il giudizio di preferenza e il giudizio di valore. L’atto filosofico genuino consiste nello scoprire un problema in ogni soluzione. Lo scemo non si inquieta quando gli viene detto che le sue idee sono false, ma quando gli viene suggerito che sono passate di moda. Tutto ci sembra caos, eccetto il nostro disordine. Quello che non è persona dopotutto non è nulla. La storia erige e demolisce incessantemente le statue di virtù diverse sul piedistallo immobile degli stessi vizi. Se non indoviniamo quello che un filosofo sta per dire è inutile cercare di comprenderlo. 194
Più che ragioni per credere, esistono ragioni per dubitare del dubbio. Lo scetticismo non è la tomba dell’intelligenza, ma la fonte nella quale si rinnova. La libertà germoglia di più fra leggi cattive che fra leggi nuove. Il male è il vestigio di una risacca metafisica. O apparteniamo a coloro che sono attratti da ciò che l’intelligenza inventa e compie, oppure a coloro che sono sedotti da ciò che la sorprende ed assalta. Ciò che non è miracolo mi annoia. Il relativismo assiologico non è una teoria della ragione, bensì un’ideologia dell’orgoglio. Che niente prevalga su di noi. Nichilismo, cinismo e idiozia sono le alternative politiche del nostro tempo. Lo scemo chiama ambigue le idee espresse con un po’ di delicatezza. Soltanto l’orgoglio ci insegna a diffidare di ciò che ci corrobora. I nostri aneliti, in bocca altrui, di solito ci paiono irritanti sciocchezze. 195
Agli occhi della modernità la tragedia, più che atroce, è immorale. La violenza politica lascia meno corpi putrefatti che anime putrescenti. Non dobbiamo argomentare per convincere, ma per favorire le condizioni propizie alla percezione di certe evidenze. Le ragioni di qualsiasi convinzione sembrano sempre penose allo spettatore. L’anima è un aggregato di polvere che racchiude la certezza della nostra filiazione divina. Verità è quello che dice il più intelligente. (Però nessuno sa chi sia il più intelligente). O scettico ο cattolico: il resto imputridisce col tempo. L’autentico scetticismo attende sereno senza erigere idoli surrettizi. Ogni nuova generazione accusa quelle anteriori di non aver redento l’uomo. Ma l’abiezione con la quale la nuova generazione si adatta al mondo dopo l’ennesimo fallimento è proporzionale alla veemenza delle sue imputazioni. 196
Le tirannie non hanno servitori più fedeli che i rivoluzionari che non sono protetti dal proprio servilismo congenito tramite fucilazione precoce. Una filosofia della storia che rifiuta di falsificare i fatti deve trasformarsi in pura storia. La società moderna si permette il lusso di tollerare che tutti dicano quello che vogliono perché oggigiorno tutti coincidono fondamentalmente in ciò che pensano. Non esiste viltà pari a quella di chi si appoggia sulle virtù dell’avversario per sconfiggerlo. L’adulto è un mito coltivato da un bambino. Quelli che non imitano le virtù che possiedono sono scarsi. L’idealismo è una teologia che prova vergogna. La tragedia è una libertà materializzata in destino. L’interpretazione economica della storia è il principio della saggezza. Ma soltanto il suo principio. Il cattolico autentico non sta al di qua della bestemmia, ma al di là di essa. L’incredulo si stupisce che i propri argomenti non allarmino il cattolico, dimenticando che il cattolico è un 197
incredulo vinto. Le obiezioni che egli formula sono i fondamenti della nostra fede. La politica è l’arte di trovare la relazione ottima tra forza ed etica. Dobbiamo desiderare che le nostre previsioni valgano le profezie dei panegiristi del progresso. Nessuno pensa seriamente finché gli importa l’originalità. La “psicologia” è propriamente lo studio del comportamento borghese. Identificare essere e valore significa scordare il peccato originale. Il male fatto da un tonto diventa sciocchezza, ma non per questo le sue conseguenze si annullano. Solamente durano le religioni, oppure i loro simulacri. Nelle tenebre del male l’intelligenza è l’ultimo riflesso di Dio, il riflesso che ci insegue con ostinazione, il riflesso che non si estingue se non presso l’ultima frontiera. Al pensatore progressista non importano né il percorso né la meta, bensì solo la velocità del viaggio. 198
La riduzione della filosofia all’analisi linguistica equivale a supporre che esista solo il pensiero altrui. Nessuno sa con esattezza che cosa vuole fino al momento in cui il proprio avversario non glielo spiega. Quanto di minaccioso dell’apparato tecnico è che possa essere utilizzato da chi non ha la capacità intellettiva di chi lo ha inventato. Il maggior trionfo della scienza sembra essere costituito dalla velocità crescente con la quale il tonto può spostare la sua I ottusità da un posto all’altro. Sarebbe interessante verificare se c’è stata una predica che non sia terminata con un assassinio. La necessità genera virtù servili. L’intelligenza matura nelle pause, sotto la pace meridiana del sole. La tradizione pesa sullo spirito come l’aria sulle ali di un aeroplano. Quello che ci corrobora ci intontisce. La gioventù è una promessa che ogni generazione manca. L’arte popolare è l’arte del popolo che al popolo non pare essere arte. 199
Ciò che al popolo pare arte è l’arte volgare. Il reazionario è il fomentatore di quella radicale insurrezione contro la società moderna che la sinistra predica ma che meticolosamente elude nelle sue farse rivoluzionarie. L’intelligenza tende verso l’imbecillità come i corpi verso il centro della terra. Le profezie si compiono nella storia in modo sconcertante per il profeta. Il discepolo non è padrone né di una soluzione né di un problema, bensì di un vocabolario. La sua funzione si limita a formulare banalità nel lessico del suo maestro. Sono meramente il luogo dal quale percepisco ciò che mi interessa, e non l’oggetto del mio interesse. L’omogeneo espelle Dio. Le qualità secondarie sono la scala di Giacobbe. L’opinione del giovane non rivela quello che pensa, ma gli autori che ha letto. L’autentica opera d’arte è quella della quale possiamo dire senza errore, prima di vederla, che la sua esistenza è impossibile. 200
L’imparzialità non è il prodotto di una molteplicità simultanea o successiva di opinioni discordi. La versatilità non è segno di dogmatismo sconfitto ma di offuscamento accettato. I professionisti della venerazione dell’uomo si credono legittimati a sdegnare il prossimo. La tutela della dignità umana permette loro di essere cafoni con il vicino. Le opinioni liberali, democratiche e progressiste sfrecciano attraverso la storia lasciando una scia di civiltà bruciate. Quando si inizia con l’esigere la remissività totale della vita ad un codice etico si finisce col sottomettere il codice alla vita. Coloro che si rifiutano di assolvere il peccatore finiscono per assolvere il peccato. Il problema politico ha estrema importanza, le soluzioni politiche non ne hanno nessuna. Il mondo è spiegabile a partire dall’uomo, ma l’uomo non lo è a partire dal mondo. L’uomo è una realtà data, il mondo un’ipotesi che escogitiamo. L’onestà in politica non è stolidità se non agli occhi dell’imbroglione. La verità di un sistema filosofico si esaurisce prima che la sua esposizione si concluda. 201
La convinzione che non si appoggi su una palificazione scettica sprofonda. Beneducato è l’uomo che si scusa nel fare uso dei propri diritti. La verità è l’imprevedibile e misteriosa efflorescenza di una cosa banale. Gli antichi che negavano il dolore e i moderni che negano il peccato si invischiano in identici sofismi. L’uomo moderno non sfugge alla tentazione di identificare ciò che è permesso con ciò che è possibile. La metafora scopre l’identità segreta di apparenze distinte; ma la sua finalità culmina solo quando riferisce quelle identità immanenti alla trascendenza che le fonda. Sebbene Joseph de Maistre affermi che il diavolo soltanto distrugge, la storia posteriore dimostra che anche costruisce. Qualsiasi ribellismo totale finisce in filosofia da Rotary Club. Passato un secolo non importa chi sia stato il vincitore, bensì chi meritava di vincere. Ogni sciocco afferma il contrario. Il filosofo che ci sembra incapace di notare la seduzione 202
della tesi che confuta ci pare subalterno. L’estetica, così come la storia, fornisce verità senza darne la ricetta. Ogni artista confuta ampiamente il teorico che porta dentro di sé. Più che nuove teorie, l’estetica richiede uno schema che ordini quelle esistenti, affinché in una stessa frase non si mischino un giudizio estetico, una constatazione storica, una regolarità sociologica, una legge scientifica e una preferenza personale. Il criterio etico è una norma, il criterio religioso una persona. Le virtù religiose non sono un insieme di atti etici, bensì le qualità del santo. L’intelligenza sottile, che rintraccia il simile nel diverso, se non svela anche il diverso nel simile ci disorienta. Per provare che l’opera d’arte è un prodotto dell’ambiente sociale a volte basta dire che è una reazione contro quell’ambiente e altre volte che è la sua espressione. L’estetica dell’imitazione è un’estetica da artista anche se la adotta un critico; e l’estetica dell’espressione è un’estetica da critico, ancorché la inventi un artista. Dobbiamo diffidare di coloro che primordialmente bramano di esprimersi. 203
L’autentica arte moderna è definibile solo definendo ciò che rifiuta: arte moderna autentica è quella che contesta l’uomo moderno. L’imbecille è colui che non percepisce se non ciò che gli è attuale. Il democratico difende le proprie convinzioni dichiarando obsoleto chi lo contesti. L’angoscia davanti al tramonto della civiltà è un’afflizione reazionaria. Il democratico non può rammaricarsi della scomparsa di qualcosa che ignora. La provvidenza decise di consegnare al democratico la vittoria e al reazionario la verità. L’uomo comune erra nella notte, il filosofo si sbaglia alla luce del giorno. È un cattolico serio solo chi erige la cattedrale della propria anima su cripte pagane. Siccome l’ignorante non rispetta altra superiorità che la superiorità sociale, la superiorità legittima non può educare se non è retta da un avventizio prestigio sociale. E necessario che il caso conferisca allo stesso individuo la superiorità mondana e legittima affinché si realizzi un transito dalla fascinazione all’obbedienza e dall’intontimento sociale all’imitazione civilizzatrice. 204
Se la società gerarchizzata non educa necessariamente, la società egualitaria non potrà mai educare. Lo sciocco non si accontenta di infrangere una norma etica: pretende che la sua trasgressione si trasformi in una nuova norma. La coscienza non è l’origine di imperativi etici, ma l’organo della percezione etica. Coloro che dichiarano con orgoglio di obbedire alla propria coscienza si collocano agli antipodi di quelli che dicono umilmente che è la coscienza ad obbedire. Lo spirito compra la sua vittoria col bottino dei propri disastri. Il passato che il reazionario encomia non è un’epoca storica, bensì una norma concreta. Ciò che il reazionario ammira di altre epoche non è la loro realtà sempre miserabile, bensì la norma peculiare a cui disobbedivano. Ogni genere di poesia mira ad una ricettività diversa: vibrazione emotiva, vigilanza intellettuale, percezione attenta, sensibilità etica, ecc. Dimenticare questo significa decretare il terrore nelle lettere. L’uomo moderno non disattende il reazionario perché le sue osservazioni gli sembrino improprie, bensì perché non gli risultano intelligibili. 205
La scemenza e la retorica minacciano oggi persino la più timida speranza. Se supponiamo erroneamente che il XVIII secolo abbia lasciato al XIX un cristianesimo intatto, la letteratura dei secoli XIX e XX sembra mossa da un animo satanico di aggressione contro Dio. Ma la direzione dell’aggressione varia se aggiustiamo la nostra premessa erronea. Il telone di fondo della letteratura moderna è una cristianità moribonda. La secolarizzazione del mondo culmina nella generazione anteriore a quelle romantiche. La letteratura moderna non è, quindi, un’insurrezione contro il cristianesimo, bensì contro quelli che usurpano la sua eredità. Per una corretta visione storica, l’affermazione più fugace di un valore autonomo, come il più blasfemo ribellismo in nome di un valore qualsiasi, inizia un processo di apologetica esistenziale. A partire dal romanticismo la letteratura non è postcristiana, bensì pre-cristiana. Il suo punto di partenza non è il cristianesimo, ma la sua negazione. Né Blake, né Hölderlin, né Vigny scrivono contro il cristianesimo, bensì contro un mondo definito dall’assenza del cristianesimo. I grandi poeti moderni, da Goethe a Yeats, non sono figli di Prometeo, bensì rampolli delle Sibille profetiche. La sottomissione a Dio è l’unica a non esser vile. Da Blake, Wordsworth e il romanticismo tedesco in poi la poesia moderna è una cospirazione reazionaria contro la desacralizzazione del mondo. 206
I libri risorgono quando l’oblio ne sotterra i plagiari. La cultura letteraria e filosofica, che fino a ieri è stata il costoso orgoglio di una classe sociale, oggi è l’attività commerciale di una corporazione. Decantare la “consolazione” della religione è un gesto da feuerbachiano clandestino. Dio non è un sostituto di piaceri assenti, di appetiti trattenuti, di avidità frustrate. Dio è la presenza invisibile che suggella la pienezza terrestre più perfetta, l’estasi più alta della gioia più ebbra, la bellezza dove fiorisce la bellezza. Dio non è l’inutile compensazione di una realtà perduta, bensì l’orizzonte che circonda le cime di una realtà conquistata. Tanto in paese borghese quanto in terra comunista l’“escapismo” è biasimato quale vizio solitario, come perversione debilitante ed abietta. La società moderna scredita il fuggitivo affinché nessuno presti ascolto alla narrazione dei suoi viaggi. L’arte o la storia, l’immaginazione dell’uomo o il suo destino tragico o nobile non sono criteri che la mediocrità moderna possa tollerare. L’“escapismo” è la fugace visione di splendori aboliti e la probabilità di una condanna implacabile sulla società attuale. Per sfruttare l’uomo alcuni predicano che bisogna rinunciare ai beni terreni; altri, per sfruttarlo meglio, proclamano che i beni terreni vanno agognati. 207
Non è relativa la bellezza delle opere. È relativa solo la loro estetica. L’amore è l’atto che trasfigura il suo oggetto da cosa a persona. Con Sainte-Beuve l’intelligenza letteraria raggiunge la maggiore età. L’intelligenza letteraria è la forma dello spirito che assume l’intera somma delle sue evidenze senza osservare postulati limitanti né speculazioni di estrapolazione. L’intelligenza letteraria è quella che pensa il proprio oggetto come unità indissolubile di fatto e valore. Falliti i tentativi egemonici di teologia e metafisica, solo l’intelligenza letteraria ha la lucidità per fissare ciascuna cosa secondo il proprio rango. L’opera d’arte non possiede propriamente significato, ma potere. Il suo significato presunto è la forma storica del suo potere sullo spettatore transitorio. La virtù che non nutre dubbi su se stessa culmina in qualche attentato contro il mondo. L’oscurità letteraria non è un difetto né una virtù, bensì un procedimento che giustifica l’efficacia estetica ottenuta. Amare significa percepire la pressione del corpo assente contro il nostro. 208
L’anima di una nazione nasce da un fatto storico, matura nell’accettazione del proprio destino e muore quando ammira se stessa e si imita. In fondo, per chi ama, l’anima è la forma di un corpo. Nonostante l’intrusione di pretese tecniche nelle lettere, gli artefatti estetici non sono utensili da laboratorio, bensì trappole per catturare gli angeli. È nobile solo ciò che dura. L’adesione al comunismo è il rito che consente all’intellettuale borghese di esorcizzare la sua coscienza sporca senza abiurare la propria essenza borghese. Ogni marxista beneficia di due marxismi: il marxismo corrente che predica e il marxismo esoterico con il quale confuta le critiche rivolte al primo. Esiste peraltro un terzo marxismo: quello che il marxista attribuisce spregiativamente ai propri interlocutori sotto il nome di marxismo volgare. Dobbiamo esporre le nostre idee in modo lineare, come lo farebbe un onesto avversario che si prepara a confutarle. Qualsiasi astuzia svilisce. L’uomo non può insediarsi né nel bene né nel male. 209
Tra gli eretici ci sono cattolici impazienti e rinnegati congeniti. Il fallimento del cristianesimo fa parte della dottrina cristiana. L’uomo vive se stesso o come angoscia o come creatura. Qualsiasi tema letterario permette due opere: quella dell’entusiasta che lo concepisce e quella dell’ironista che lo sotterra. Non c’è peggior scemenza della verità in bocca allo scemo. L’imbecillità si deposita nell’anima come sedimento degli anni. Nel XIX secolo il cristianesimo non ha trovato rifugio se non nell’eresia, nel peccato e nel sangue. (Kierkegaard, Baudelaire, Newman). Al contrario dell’arcangelo biblico, gli arcangeli marxisti impediscono l’evasione dell’uomo dai loro paradisi. Le rivoluzioni democratiche cominciano le esecuzioni annunciando una pronta abolizione della pena di morte. Lo storico democratico mostra come il democratico non uccide se non perché le sue vittime lo obbligano a farlo. Tutti gli individui che non sono graditi all’intellettuale di 210
sinistra meritano la morte. Nell’esercito degli intellettuali di sinistra militano solamente piccoli borghesi acidi. Il comunista odia il capitalismo con il complesso di Edipo. Il reazionario lo guarda semplicemente con xenofobia. I dubbi del maestro sono le certezze del discepolo. Una volta morto Dio, ai miseri titani non resta altra cosa che intraprendere l’urbanizzazione della terra. L’inferno è un luogo che si può identificare solo dal paradiso. Il razionalismo è la ragione che si scorda dei propri postulati. L’intelligenza sopravvive fintantoché non preferisce le soluzioni piuttosto che i problemi. La vita non è un criterio di valori, bensì un fatto che i valori giudicano. La Convenzione6 è una lite di ratti angosciati le cui ombre si proiettano sulla storia in dimensioni colossali alla luce degli incendi. Ciò che è pensato contro la Chiesa, se non è pensato entro la Chiesa è carente di interesse. 211
Tanto la Bauernkrieg7 del XVI secolo quanto le sollevazioni contadine dei secoli XVII e XVIII furono insurrezioni contro la società moderna. La popolazione non si alzò contro il feudalesimo, ma contro il mondo che lo stava rimpiazzando. Lo spirito mercantile usurpò costumi giuridici del sistema antagonista e convertì usi legittimi in abusi insopportabili. Quandanche il peccato collabori all’edificazione di qualsiasi società, la società moderna è la figlia prediletta dei peccati capitali. Mio simile non è chi accetta le mie conclusioni, bensì chi condivide le mie avversioni. Il razionalista riconosce la paternità dei propri postulati alla ragione per disistimare anticipatamente le evidenze che minacciano il suo torpore. Il cattolico deve rendere più semplice la sua vita e più complicato il suo pensiero. L’onore dell’apologista cristiano sta nell’essere probo con il diavolo. Esistono paradisi artificiali che non sono surrogati satanici, ma prefigurazioni disperate. L’atto autenticamente razionale è il parallelogramma di tutte le forze assiologiche. 212
La ragione si corrompe nell’obbedienza ad un solo tipo di esigenze. Il conservatorismo non ha la pretesa che la società viva di precedenti, bensì che non si alimenti di inganni. Non esiste poesia di Satana, bensì nostalgia del suo splendore caduto. Il male non vince in quanto seduzione, ma in quanto vertigine. Senza il bene che racchiude, come vestigio o come augurio, il male è esteticamente opaco. Il male, così come gli occhi, non vede se stesso. Tremino coloro che si vedono innocenti. Dove c’è l’opera d’arte, non c’è il diavolo. La poesia è il trofeo linguistico di una sconfitta spirituale. La poesia pone il critico davanti all’alternativa di parlare di tutto eccetto che di poesia o di non parlare di nulla se parla solo di essa. La fede è ciò che ci permette di smarrirci in qualunque idea senza perdere il sentiero del ritorno. Il credente non è un titolare di eredità registrate al catasto, bensì un adelantado de mar8 di fronte alle coste di un continente inesplorato. 213
Quelli che accettano il rango che la natura fissa loro non si trasformano nella mera assenza di ciò che non sono. Persino quanto di più modesto ha nella sua posizione un valore inestimabile. La solitudine è il laboratorio dove i luoghi comuni sono verificati. Helvétius, Holbach, Sade, Bentham, Marx, Freud, Sartre la pleiade di arcangeli oscuri, il canone classico delle mie assolute impossibilità. Intelligente è chi preserva la propria intelligenza ad una temperatura indipendente da quella dell’ambiente in cui abita. “L’arte per l’arte” ha avuto il significato di indipendenza dall’arte per una generazione e di indipendenza dall’artista per un’altra. I primi hanno difeso una tesi estetica esatta, i secondi hanno proclamato una tesi etica erronea. Non sono ricette infallibili né l’imitazione del passato né quella del presente. Niente può salvare il mediocre dalla sua medriocrità. Il reazionario anela a convincere la maggioranza, il democratico a corromperla con la promessa di beni altrui. 214
Il termine “rivoluzione” oggi non connota propriamente un avvenimento politico, bensì una vertigine, una convulsione emotiva, l’ebbrezza dell’anima invasa dalle scorie dell’essere. I partiti liberali non capiscono mai che l’opposto del dispotismo non è la scemenza, ma l’autorità. Ogni insulto della vita verso un viso amato alimenta il vero amore. L’umanità è in pericolo quando scorda il più solenne ammonimento della storia: che la civiltà è fatta da un uomo munito di frusta tra animali famelici. Gli hard facts storici sono quelli suscettibili di essere rappresentati con coordinate cartesiane. Il positivista logico ridurrebbe, quindi, la storia alle equazioni di movimento della massa umana. Ogni approssimazione della storia alla scienza sopprime i motivi i significati e i fini. Chi consiglia dei rischi che non si assume confida terribilmente nella propria scienza. Le società che agonizzano lottano contro la storia a forza di leggi come i naufraghi contro le acque a forza di grida. Brevi caroselli. Lo scemo non si rassegna all’esistenza dell’irresolubile: un falso problema oppure un problema solubile domani, questo è il dilemma dello scemo. 215
Possiamo continuare a parlare di infanzia, maturità, perfezione, decadenza e corruzione di un idioma perché una lingua non sempre compie la sua funzione allo stesso modo. La realtà del XX secolo è meno spaventosa degli ideali con i quali sogna di correggersi. Il mondo può essere riscattato dalla sua orribile casualità e dalla sua esistenza empirica bruta solo attraverso la visione che si instaura nella misteriosa sufficienza di ogni oggetto isolato, allo stesso modo dell’amante che si insedia nella meravigliosa sufficienza del suo amore. La sapienza, in questo XX secolo, consiste prima di tutto nel saper sopportare la volgarità senza irritarsi. Qualsiasi proposizione concorde alla sua evidenza preserva la propria validità, quandanche sia successivamente inglobata da un’altra proposizione di più profonda provenienza. La storia del pensiero non è evoluzione né processo dialettico, bensì l’apparizione contingente dei frammenti di una struttura nella quale ogni verità trova il proprio posto. Per perdere infine il candore non basta vedere l’indifferenza della storia verso le idee altrui, abbiamo bisogno di vedere la sua indifferenza verso le idee nostre proprie. Solo il testo mediocre si lascia leggere senza essere stato indovinato previamente. 216
La sensazione non è innocente, ma vi è dell’innocenza in essa. È sufficiente l’orgoglio per perdonare chi ci ingiuria, però nemmeno la carità è sufficiente per perdonare chi ingiuria coloro che amiamo. Non conosco peccato che non sia, per un’anima nobile, il proprio castigo. Il determinismo storico è solo il sintomo del torpore che prostra l’immaginazione dello storico. L’uomo moderno, progressista e democratico si fa carico egli stesso di consumare su di sé la nostra vendetta. In ogni reazionario Platone risuscita. Oggi come non mai l’uomo rincorre qualsiasi sciocco che lo invita al viaggio, sordo alla vedetta che scruta percorsi interrotti e ponti crollati. Il profeta che predice in modo fedele la corruzione crescente di una società si scredita, perché quanto più la corruzione cresce, tanto meno è notata dal corrotto. La poesia che sdegna la musicalità poetica rimane pietrificata in un cimitero di immagini. La gran parte della poesia moderna si rassegna a parere meramente tradotta. 217
I vizi ammirevoli sono semplicemente virtù corrotte. Le idee generali che si vendono in piazza non alimentano nessuno, ma molti vivono di esse. I carnefici delle idee astratte sono gli esempi concreti. La storia dello spirito necessita di completare la geologia dell’intelligenza con la climatologia storica della sensibilità. Il problema fondamentale di tutte le passate colonie il problema della servitù intellettuale, della meschinità della tradizione, della spiritualità subalterna, della civiltà inautentica, dell’imitazione forzata e vergognosa - mi è stato risolto con estrema semplicità: il cattolicesimo è la patria mia. Il nominalismo integrale ha il suo culmine in un’egemonia totalitaria sull’universo attuata dal soggetto della conoscenza. L’intelligenza si sciupa quando vuol essere intelligente. Individui e nazioni hanno virtù diverse e difetti identici. La viltà è il nostro patrimonio comune. La vita è uno strumento dell’intelligenza. Il niente è l’ombra di Dio. 218
Tutti i princìpi sono immagini del Principio, tutte le fini lo sono della Fine. Dobbiamo sospettare di chi passa la vita a caccia di argomenti per convincere gli altri. L’intelligenza ambisce a convincere solo se stessa. L’intellettuale sudamericano, per alimentarsi, importa gli scarti del mercato europeo. Persino fra egualitari fanatici l’incontro più breve ristabilisce le disuguaglianze umane. L’uomo moderno chiama realtà ciò che viene afferrato da una percezione intenzionalmente limitata a captare i tratti manipolabili delle cose. C’è stato bisogno della nostra epoca perché il buon gusto si vergognasse di se stesso. Nella fase ascendente delle civiltà le denominazioni di professione e rango ascendono socialmente (cavaliere, cancelliere, cubicolario, ecc.). Nella fase discendente le denominazioni degenerano (signore, don, lei, ecc.). Però, ciò che annuncia l’agonia di una civiltà è la trasformazione in insulto delle denominazioni che designano valori autentici (letteratura, estetica, artista, intellettuale, sacerdote, ecc.). Le proibizioni etiche non sono servitù estetica fintantoché paiono all’artista degli ostacoli naturali. Ciò che è osceno è un diritto soltanto dei volgari. 219
Il cristianesimo non nega lo splendore del mondo, bensì invita a cercarne l’origine, ad ascendere verso la sua neve pura. Ciò che allontana da Dio non è la sensualità, ma l’astrazione. L’opera poetica del buon poeta comunista (Aragon, Éluard, Neruda, ecc.) si suddivide in due parti: la parte poetica e la parte comunista. Naturale e soprannaturale non sono piani sovrapposti, bensì fili intrecciati. L’età virile del pensiero non è fissata né dall’esperienza né dagli anni, bensì dall’incontro con determinate filosofie. La maggioranza delle filosofie sono ostacoli evitabili con un cambio di rotta, ma ce ne sono alcune che sono cordigliere che è inevitabile attraversare. L’ordine legittimo è la cristallizzazione naturale dell’anima che prende la sua più nobile forma. L’ignorante sospetta, in silenzio, che lo scrittore laconico schermisca contro l’aria. Lo stupido si limita a criticare la stupidità ovvia dei più insulsi comportamenti sociali, senza capire la loro singolare importanza. 220
Il ricco oggi vive la propria ricchezza con la cupidigia del povero arricchito e il povero la propria povertà con la non conformità del ricco in rovina. La ricchezza ha perso le proprie virtù, così come la povertà. La sensibilità moderna, al posto di esigere la repressione dell’avidità, esige la soppressione dell’oggetto che la desta. Prima di dissolversi in convulsioni, il volto femminile si compatta in un’eternità istantanea. La vera sensualità è avidità di eternità del suo oggetto. Il pregiudizio di non avere pregiudizi è quello più comune tra tutti. Non esiste vittoria spirituale che non sia necessario conquistare nuovamente ogni giorno. L’anima che ascende verso la perfezione suole sgomberare le basse terre conquistate nelle quali si stabiliscono diavoletti subalterni che la ridicolizzano e la imbrattano. Per fondare basta un raptus estatico, ma il compito di mantenere richiede un’esaltazione perseverante dell’anima. Le soluzioni al problema dell’arte industriale, al contrario di quello che succede con l’arte autentica, meravigliano il contemporaneo e sembrano grottesche alla posterità. 221
L’ora delle tenebre dello spirito suonò a metà del XIX secolo fra l’eclissi di Schelling e, verbigrazia, la pubblicazione degli Ethical Studies di Bradley, della Einleitung di Dilthey, delle Données di Bergson. Le cretinate che oggi sono prerogativa dell’ignoranza più volgare sono state a quel tempo pensieri audaci. Domani potremo essere vittime di inezie, ma non di trionfi putativi dello spirito. Lo spirito se ne ride dell’egemonia dell’universo. A partire dalla prima generazione romantica l’artista ha rinunciato ad essere voce della società per diventarne il giudice. Le estetiche “moderniste” sono state un’invenzione di scrittori reazionari: Balzac, Baudelaire, Eliot. Rousseau è il primo a rifiutare il programma intellettualista, tecnicista e urbano della borghesia invaditrice proprio dalle file borghesi, dalla colonna stessa dell’assalto. Il romanticismo è stato una protesta contro l’incameramento della cultura da parte della pursuit of happiness.9 Il problema etico consisterà sempre nell’impedire che la morale di Esiodo espella quella di Omero. L’educazione della scuola elementare ha fatto fuori la cultura popolare; l’educazione universitaria sta facendo fuori la cultura. 222
È più facile convincere lo sciocco di qualcosa che è discutibile piuttosto che indiscutibile. L’orgoglio davanti al mondo ci salva dall’orgoglio davanti a Dio. Qualsiasi mitologia è una testimonianza capitale sulla società che la crea, ma declassarla ad espressione di una struttura sociale è tanto puerile quanto attribuire l’atomismo della fisica all’individualismo borghese. Non esiste fraternità politica che valga quanto un odio condiviso. Qualsiasi bene che possa essere dimostrato è solo un mezzo del bene. Il bene è ciò che possiamo meramente ostentare. Solo la quiete e la quotidianità ci restituiscono la polpa delle cose, delle essenze, degli esseri. I dotti della società feudale (sacerdote, poeta, cronista) la criticavano soltanto quando violava il suo principio; i dotti attuali (filosofo, poeta, romanziere) criticano la società moderna quando invece rispetta il suo proprio principio. La minaccia di morte collettiva è l’unico argomento che scompiglia la compiacenza dell’umanità attuale. La morte atomica la inquieta più della sua crescente degradazione. 223
Vivere è l’unico valore dell’uomo moderno. Persino l’eroe moderno non muore se non in nome della vita. In filosofia chi si difende è sconfitto. La rassegnazione all’errore è il principio della sapienza. La libertà degli altri ci importa perché senza di essa il trionfo della nostra opinione sarebbe vano, ma dobbiamo evitare la bigotteria di rispettare le opinioni sconsiderate. Difendo la tua libertà perché desidero convincerti; perché la tua libertà è la condizione della mia vittoria. Però, nel rispettare la tua libertà non sto rispettando i tuoi errori, bensì la possibilità che tu ti arrenda liberamente alle mie proprie verità. La storia suole dipendere da semplici virtualità. Promesse o minacce segnano di solito il nord di intere epoche. A volte presenti alla coscienza, altre volte quatti nel subcosciente, questi fantasmi sono i protagonisti della storia quandanche non siano i suoi attori empirici. Per non svilirsi il ribelle deve ammirare l’ordine contro cui lotta. Le istituzioni democratiche sono tentativi di istituzionalizzazione dell’inistituzionalizzabile. 224
Ciò che pretende di maturare dev’essere indifferente al tedio. Le civiltà sono lo splendore di pazienti monotonie. L’interrogazione ammutolisce solo di fronte all’amore. “Perché amare?” è l’unica domanda impossibile. L’amore non è mistero, bensì il luogo dove il mistero svanisce. Per la sensibilità, il grande non è una somma aritmetica di parti, bensì una qualità di certi insiemi. La grandezza metrica - come mostra ogni edificio moderno - non ha relazione con la grandezza monumentale. Il giudice competente in materia di ispirazione non è il poeta, ma il lettore. Il sentimento del tragico salva lo storico dal sentimentalismo. I poeti caricano la maggioranza dei loro poemi con polvere da sparo bagnata. Il poeta di ieri confidava nell’aggettivo tradizionale, il poeta di oggi confida in quello inusitato. In nessun caso una ricetta può sostituire il talento. L’individualismo moderno si riduce a ritenere personali e propri i pareri condivisi da tutti. 225
Lo Stato moderno produce le opinioni che in seguito riunisce rispettosamente con il nome di opinione pubblica. La filologia, la critica, la storia, cioè l’arte di leggere un autore, di capire una dottrina, di collegare i fatti, sgorgano dallo stesso principio: il principio del contesto. «…the bent of my thoughts shall be rather to mend myself than the world…»10 ci dice Sir William Temple plagiando Cartesio. Pochi, da secoli, confessano un anelito simile. Eccolo lì, quindi, l’autentico divortium aquarum11 della storia. Come mi sento antico! Il conservatorismo di Burke non è un “irrazionalismo” che si scontra col “razionalismo” contemporaneo, bensì con l’Aufklärung, che chiama princìpi i propri pregiudizi, il certificato di indipendenza della ragione sperimentale. Io sono di quelli che cercano di scrivere soltanto per prolungare la vita quotidiana in vita intelligente. L’arte astratta non è illegittima, ma limitata. La coscienza scopre la propria libertà nel sentirsi obbligata a condannare ciò che approva.
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Patrocinare il povero è sempre stato, in politica, il mezzo più sicuro per arricchirsi. Nelle arti si definisce autenticità la convenzione del giorno. Non è corretto essere accusati di misoneismo da parte di un’epoca che ci ingozza di crudezze. Nessun essere merita il nostro interessamento per più di un istante, o per meno di una vita. Parallelamente ai percorsi reali, dove transitano di secolo in secolo artefatti ed idee, ci sono sentieri segreti sui quali scivolano nel tempo gli emissari di agonie. Il popolo sopporta che lo derubino, purché lo si aduli. Ciò che dice il buon poeta moderno esiste solo come punto di convergenza di una struttura di allusioni. Il cattivo poeta si accontenta di allusioni simulate. Una religione o una filosofia possono continuare ad influire socialmente ancorquando siano perite spiritualmente; oppure, all’inverso, possono perdere la loro influenza sociale senza che tale sconfitta pubblica infirmi la loro validità. La speranza progressista già non si annida se non nei discorsi. Sarebbe razionale soltanto un universo la cui inesistenza fosse contraddittoria. Un universo oggetto della prova 227
ontologica. Non potendo provare che la ragione è spinoziana, il razionalista deve rassegnarsi al fatto che sia formale. Una società civilizzata non deriva dai propositi dell’uomo, bensì dalla loro neutralizzazione reciproca. Il critico letterario forestiero deve limitarsi a scegliere con tatto tra le opinioni dei critici autoctoni. Lo scrittore mediocre dei secoli XVII e XVIII parla con voce amena e grata di un uomo beneducato. Lo scrittore mediocre del secolo XIX, o del XX, non è altro che un letterato mediocre. Oggigiorno tra il genio e la plebe non resta che una gerarchia di presunzioni. Le rappresentazioni collettive sono oggi opinioni imposte dai mezzi di propaganda. Oggi, il collettivo non è ciò che molti vendono, bensì ciò che molti comprano. Quando le avidità individuali si aggruppano, siamo abituati a battezzarle nobili aneliti popolari. La pazienza del povero nella società moderna non è virtù, ma codardia. I partiti liberali promettono da partiti popolari e mantengono da partiti borghesi. I partiti liberali (girondini, proprietari francesi del ’30, 228
manufatturieri inglesi del ’32, democratici jacksoniani, ottimati creoli, ecc.) si sono distinti per la bella retorica con la quale abbellivano i loro propositi mercantili. Il marxismo sorge parzialmente da una meditazione sull’eloquenza liberale. La lealtà è sincera fintantoché non crede di essere una virtù. Lo specialista asseconda l’inclinazione delle scienze a diventare ideologie. Con il fine di occupare posizioni di comando, lo specialista attribuisce alla sua specialità una preponderanza fittizia che il profano, intimidito dall’esoterismo di ogni specializzazione, non si azzarda a mettere in discussione. Quando le meccanica aristotelica soccombe dinanzi al principio di inerzia, il quale sopprime l’intenzionalità nell’universo, nasce la filosofia moderna. Filosofare, dal XVII secolo, significa cercare dei limiti a quel principio. Figlio scapestrato di un notabile provinciale, il comunismo abbaglia la città con le sue arringhe mentre prepara il suo ritorno al paesino per amministrare la farmacia del padre. Teatri, saloni da conferenza, da concerto e da esposizione: sono i templi dei filistei. La qualità suprema di uno stile è l’autorità, il peso della frase. Non l’abilità che seduce, bensì il passo lento e deciso dello spirito. 229
L’Introduction à la Vie Dévote di San Francesco di Sales e le Chroniques di Froissart introducono a modi di esistere estranei a questo tempo: la vita come dévotion e la vita come proéce12. Due maniere di sentire la vita come esaltazione virile e deliziosa, come uno scuotimento di bandiere all’aurora. Al volgo non importa essere libero, ma credere di esserlo. Quello che mutila la sua libertà non lo allarma, a meno che non glielo si dica. Apprezzare l’antico o il moderno è facile, ma apprezzare l’obsoleto è il trionfo del gusto autentico. L’adolescente non perdona gli scrittori letti dal proprio padre. Dio è la condizione trascendentale del nostro disgusto. I pessimisti profetizzano un futuro di macerie, ma i profeti ottimisti sono ancor più spaventosi perché annunciano la città futura dove dimorano, in alveari intatti, la viltà e il tedio. Ieri credevamo che bastasse disprezzare ciò che l’uomo conquista; oggi sappiamo che inoltre dobbiamo disprezzare ciò a cui anela. Nonostante la sua rabbia contro il cristianesimo, il lignaggio di Nietzsche è dubbio. 230
Nietzsche è un Saulo che la demenza rapisce sulla via di Damasco. Amare significa comprendere la ragione che Dio ebbe per creare ciò che amiamo. La metafisica fallisce perché deve parlare del mondo, che è un proposito fallito, come se fosse un proposito riuscito. Tre tipi di etica competono nella storia: le etiche democratiche dell’utilità sociale, le etiche liberali della buona volontà individuale e le etiche aristocratiche della qualità della persona. Nelle prime la moralità dell’atto dipende dall’indole dell’effetto, nelle seconde dall’indole del motivo e nelle terze dall’indole dell’agente. Lo storico principiante riduce l’individuo in concetti; lo storico competente lo situa in un dilemma di costanti; il grande storico scorge in lui un universale concreto in cui il suo contesto si solidifica. Oggi, in letteratura, l’estremo è carente di interesse e il non estremo di importanza. Il successo negli altri generi è indizio di qualche merito, mentre le “glorie” del teatro sono l’enigma delle lettere. L’uomo è propenso ad usare tutti i propri poteri. L’impossibile gli sembra l’unico limite legittimo. Tuttavia, civilizzato è colui che per ragioni diverse si rifiuta 231
di fare ciò che può. Ricordando le gaffes dei propri colleghi di ieri, i critici contemporanei elargiscono l’incenso senza ravvisare che più grave di ignorare un gran artista è sbalordirsi di fronte a un mediocre. Al fine di correggere un difetto, l’uomo preferisce il difetto ad esso simmetrico piuttosto che la sua qualità antagonista. Il profano se la ride delle soluzioni del filosofo perché ignora i suoi problemi. Soggettivo è ciò che è percepito da un solo soggetto, oggettivo ciò che è percepito da tutti i soggetti; ma tanto l’oggettivo quanto il soggettivo possono essere reali o fittizi. Gli adolescenti si alzano in volo con la sufficienza delle aquile, ma presto si schiantano goffamente contro il suolo come pretenziosi volatili di cortile. Per spiegare la storia al marxista basta un lessico di dieci parole. L’uomo di sinistra grida che la libertà muore nel momento in cui le sue vittime si rifiutano di finanziare il proprio assassinio. La dialettica dell’amore non è un processo di ascesa irreversibile, bensì una serie infinita di rimandi. 232
L’amore è essenzialmente l’adesione dello spirito a un altro corpo nudo. Dobbiamo ripudiare l’esortazione abominevole a rinunciare all’amicizia e all’amore per bandire le avversità. Al contrario, dobbiamo mischiare le nostre anime come intrecciamo i nostri corpi. Che l’essere amato sia la terra delle nostre estirpate radici. Una definizione è arbitraria perché possiamo definire l’oggetto scegliendo una qualsiasi delle sue relazioni, ma non perché possiamo scegliere una relazione qualsiasi. Sebbene non abbia alvei, la ragione ha però dei limiti. Il potere tecnico è illimitato solo nello svilire e nel distruggere. Non esiste niente al mondo che l’entusiasmo dell’imbecille non possa degradare. Quando l’amore acquisisce la maturità perfetta, la lascivia è la sua unica espressione sufficiente. Si definisce problema sociale l’urgenza di trovare un equilibrio fra l’evidente uguaglianza degli uomini e la loro evidente disuguaglianza. Il proletariato non detesta altro nella borghesia che la difficoltà economica di imitarla. 233
In democrazia i politici sono i condensatori dell’imbecillità. L’amore ama l’ineffabilità di ogni individuo. Quanto più grande è l’importanza di un’attività intellettuale, tanto più ridicola è la pretensione di avallare la competenza di colui che la esercita. Un diploma di dentista è rispettabile, ma uno di filosofo è grottesco. L’opera d’arte non risolve che problemi artistici. La storia, come prodotto di una volontà divina, è una molteplicità di contingenze che l’uomo pretende di trasformare in necessità per placare la propria angoscia. Pochi comprendono che ciò che dicono sarebbe importante solo se fosse detto da altri. Il teatro vive solamente quando non appartiene alla letteratura, ma se non le appartiene non dura. Riformare la società per mezzo delle leggi è il sogno del cittadino incauto e il preludio discreto ad ogni tirannide. La legge è la forma giuridica del costume oppure un sopruso alla libertà. La legittimità del potere non dipende dalla sua origine, bensì dai suoi fini. Nulla è vietato al potere se la sua origine lo legittima, come 234
insegna il democratico. Il cattolicesimo non risolve tutti i problemi, ma è la sola dottrina a porli tutti. Non è solo tra le generazioni dove l’esperienza si perde, ma anche tra i periodi di una stessa vita. L’intelligenza del progressista non è mai qualcosa di più che il complice della sua carriera. Convincere colui che ha opinioni proprie è facile, però nessuno convince colui che alberga opinioni altrui. Nessuno si afferra così tanto ai suoi pareri quanto chi è solo un’eco della propria epoca. L’architettura moderna sa erigere capannoni industriali, ma non riesce a costruire un palazzo e neppure un tempio. Questo secolo lascerà solo le tracce del suo viavai al servizio delle nostre più sordide bramosie. L’uomo moderno non immagina fine più alto che il servizio dei capricci anonimi dei suoi concittadini. L’egoismo individuale pensa di essere assolto quando si coagula in egoismo collettivo. La vita comune è così misera che persino l’individuo più infelice può essere vittima dell’avidità del vicino. Quandanche l’umanità si avvalga di ogni artefatto 235
inventato, alla fine stima soltanto chi lascia qualcosa di inutile: un’idea, un poema, un tempio. La ruggine corrode la gloria degli insigni idraulici di questo secolo. Il suffragio universale non pretende che gli interessi della maggioranza trionfino, bensì che la maggioranza lo creda. Chi preferisce una scuola a una chiesa - alla chiesa anche del più stupido dei culti - non sa ciò che è una chiesa o una scuola. L’intelligenza indolente finisce per abdicare nelle mani di un tecnico. Il mondo dei sensi è una molecola di polvere nel mezzo di un torrente di acque invisibili. La storia è la narrazione di quello che accade quando dèi o demoni si impadroniscono di una carne mortale macchiando il suolo di sangue. Interi popoli, intere epoche si agitano, parlano, lottano sotto il dominio della storia. L’umano, se meramente umano, ha l’insignificanza di una pullulazione di insetti. Tutte le grida sono solo rumore, se il dolore non lo carpisce a una gola divina. Quanto più importante è qualcosa, tanto meno importa il numero dei suoi difensori. Per difendere una nazione c’è bisogno di un esercito, ma basta un solo uomo per difendere un’idea. 236
Gli architravi secolari pesano su spalle solitarie. Nelle dispute l’inferiore riesce sempre a spuntarla, perché il superiore si è ridotto a disputare. La civiltà è un fiore dalle mille sordide radici. Nulla di più virtuoso di qualsiasi critico del cristianesimo. Per giudicare il nostro tempo basta ricordare che i sociologi sono i suoi moralisti. La crescita della popolazione inquieta il demografo solo quando teme che ciò intralci il progresso economico o che renda difficile l’alimentazione delle masse. Ma che l’uomo abbia bisogno di solitudine, che la proliferazione umana produca società crudeli, che si richieda distanza tra gli uomini affinché lo spirito non soffochi è da lui trascurato. Poco gli importa della qualità dell’uomo. Affinché valga la pena di giocare, tanto vale aspettare che qualche catastrofe modifichi il gioco. Solo le banalità ci riparano dal tedio. La pittura Sung mette a confronto il paesaggio immenso con la meditazione di una figura minuta. La dignità dell’uomo risiede nella sottomissione che lo libera. 237
Se confrontiamo due esemplari esteticamente diversi di una stessa specie, quello più brutto ci sembra un fatto empirico e quello più bello una necessità razionale. Il paganesimo costituisce per la Chiesa un altro Antico Testamento. L’uomo paga l’ebbrezza della liberazione con la noia della libertà. Conquista dopo conquista l’arte moderna è giunta al balbettamento. Il XX secolo è un naufragio che non finisce. Per un momento qualsiasi bastano solo testi mediocri. La civiltà è ciò che si salva per miracolo dallo zelo dei governanti. Ci sono poemi che è necessario accarezzare lentamente affinché si diano a noi. La storia dell’uomo non è il catalogo delle sue situazioni, ma la narrazione delle sue maniere imprevedibili di usarle. Per calcolare l’importanza del cristianesimo non conta l’originalità della dottrina, bensì la divinità di Cristo. Il politico pratico perisce sotto le conseguenze delle teorie che disdegna. 238
Il consumo, per il progressista, si giustifica solo come mezzo di produzione. Beati i rivoluzionari che non presenziano al trionfo della rivoluzione. Più che di marxisti apostati, il nostro tempo è zeppo di marxisti stanchi. Due esseri ispirano oggi particolare commiserazione: il politico borghese che la storia pazientemente mette alle strette e il filosofo marxista che la storia pazientemente confuta. Lo Stato totalitario è la struttura nella quale le società si condensano sotto la pressione demografica. Il miglior risultato della fermentazione intellettuale di un gruppo di giovani intelligenti è il libro che narra la loro frustrazione e il loro fallimento. L’idiozia delle sue passioni preserva l’uomo dall’idiozia dei suoi sogni. Le cose più nobili esistono perché alcuni uomini non disprezzarono le cose vane. La civiltà proviene da quello che il cittadino progressista, dinamico e democratico disdegna. L’uomo moderno è scandalizzato dai luoghi comuni tradizionali. 239
Il libro più sovversivo del nostro tempo sarebbe un compendio di vecchi proverbi. Il progresso è la frusta che Dio ci ha scelto. Il metodo dialettico si utilizza per camuffare il nostro stupore davanti alle conseguenze imprevedibili dei fatti. Il raziocinio filosofico è importante solo quando è al servizio di un’intelligenza insolente. Tutte le verità vanno dalla carne alla carne. L’universo del malato non è una visione malata, ma una visione della malattia dell’universo. Così inizia il Vangelo infernale: Nihil erat in principio et credidit nihil esse deum, et factum est homo, et hahitahit in terra, et per hominem omnia facta sunt nihil13. Il male possiede solo la realtà del bene che annulla. La storia delle religioni non è storia di pareri, bensì di avventure. Chi divinizza la storia, presto o tardi divinizza anche il proprio avversario. Nietzsche sarebbe l’unico abitante nobile di un mondo abbandonato. Solo questa alternativa si potrebbe esporre senza vergogna 240
alla resurrezione di Dio. Autenticità e retorica alternano le loro proporzioni, anche se sono ingredienti di qualsiasi opera. La filosofia è tradizione, professione, mestiere. Istituzione, insomma. Il pensiero che si ritiene capace di evitare le norme della corporazione ripete semplicemente filosofemi elementari. In filosofia il nuovo non è un nuovo albero, bensì un germoglio di nuova primavera. Ogni rivoluzione ci mette nostalgia di quella precedente. Nei maestri della vita spirituale, si tratti del Vangelo o di Goethe, vi è un rigore della speranza, un’implacabilità dell’esigenza, un senso dell’urgenza incorruttibile che ignorano questo secolo flaccido. Secondo il proprio contesto storico, il conservatorismo cambia l’accento prosodico della sua eterna frase. L’autentico rivoluzionario insorge per abolire la società che odia, mentre il rivoluzionario attuale lo fa per ereditarne una che invidia. L’uomo moderno non ama, bensì si rifugia nell’amore; non spera, bensì si rifugia nella speranza; non crede, bensì si rifugia in un dogma. Istruire non consiste nel mostrare soluzioni, ma nel rivelare 241
problemi. I conflitti ideologici nelle Americhe sono mere zuffe tra importazioni di diversa data. Prima di burlarsi dell’astronomia di Hegel, lo scientista dovrebbe immaginarsi il sorriso di Hegel se lo udisse parlare di filosofia. Ogni illuso è prolisso. Il politico liberale trascorre la seconda parte della propria vita cercando di curare le ferite che ha procurato alla società nella prima parte. L’erotismo si esaurisce in promesse. Il soggettivismo si può trascendere solo se lo assumiamo nella sua totalità. Quando il soggetto si rivolge verso il proprio centro e si addentra nelle sue profondità un rumore di acque vive lo accoglie in penombra. Lì, dove credeva di trovare la sua estrema solitudine, si mostra un’oggettività ribelle, un’alterità irriducibile, una trascendenza vittoriosa. Dio e la storia sorgono nella soggettività assunta. La paura è il motore segreto delle imprese di questo secolo. Un lirismo degradato in confidenza è l’infermità della poesia moderna. 242
Nulla di così difficile quanto apprendere che anche la forza può essere ridicola. Dobbiamo leggere solo per scoprire quello che dobbiamo rileggere eternamente. Contro la sventura magari bastano l’umorismo, l’ingegno, il carattere - ma come consolarci, senza Dio, dell’insufficienza delle nostre gioie? Gli uomini le cui idee generali sono interessanti risultano essere così scarsi quanto quelli le cui confidenze personali sono carenti di interesse. Il vero talento consiste in non emanciparsi da Dio. La tentazione del paganesimo non è l’immoralità, bensì la moralità. L’etica è stata inventata da un pagano incredulo. La grazia imprevista di un sorriso intelligente è sufficiente per rompere gli strati di tedio depositati dai giorni. Erotismo, sensualità, amore: isolatamente, quando non convergono nella stessa persona, non sono altro che una malattia, un vizio, una stupidaggine. Il commentatore di testi teologici suole incorrere nell’errore di ritenere parte dell’idea espressa semplici dettagli dell’immagine in cui viene espressa. 243
Una vocazione genuina conduce lo scrittore a scrivere solo per se stesso: prima per orgoglio, poi per umiltà. Per essere protagonista nel teatro della vita basta essere un perfetto attore, a prescindere dal ruolo che si interpreta. La vita non contempla ruoli secondari, bensì attori secondari. L’efflorescenza del pudore è la nudità sensuale. Nell’autentica cultura la ragione si trasforma in sensibilità. La semplicità attrae lo scrittore quando apprende che la retorica gli può servire per dissimulare i propri propositi ma non per ingannare in merito all’indole della sua anima. Le dissertazioni diventano tediose quando lo scrittore non adotta blocchi compatti di idee, cioè interi sistemi, come macrovocaboli del suo idioma. L’anima si deve aprire all’invasione dell’estraneo, deve rinunciare a difendersi, favorire il nemico, perché il nostro essere autentico sorga e si manifesti non come una fragile costruzione che la nostra timidezza protegge, bensì come la nostra roccia, il nostro granito incorruttibile. Il progressista pensa che tutto divenga presto obsoleto fuorché le sue idee. Gli “ideali” sono un sintomo di narcisismo larvato. La 244
patologia dell’egoismo riserva un capitolo all’“idealista”. Solo la persona concreta e carnale che amiamo è qualcosa più che il nostro io mascherato. Lo storico che maneggia le epoche come semplici tappe di processi converte l’epoca che studia nel mero prologo del proprio tempo o nella preistoria del proprio anelito. Nell’attuale panorama politico nessun partito è più vicino alla verità rispetto ad altri partiti. Semplicemente ce ne sono alcuni che ne sono più distanti. Triste corne una biografia. Ci sono scrittori con cui non condividiamo neppure un’idea, ma nei quali tuttavia scorgiamo un fratello. E ce ne sono altri che suscitano, al contempo, il nostro assenso e la nostra diffidenza. La letteratura che diverte chi la scrive annoia chi la legge. La coscienza della nostra dipendenza, della nostra impotenza, della nostra insignificanza, la coscienza, insomma, della nostra condizione di creature, ci salva dall’angoscia e dalla noia. Per chi è prostrato il mondo fluisce in una segreta primavera. La carità dell’uomo moderno non sta nell’amare in prossimo come se stesso, bensì nell’amare se stesso nel prossimo. 245
L’intelligenza si arricchisce solo con quanto proibisce a se stessa. Le scuole filosofiche furono gli ordini monastici dell’antichità. Il pitagorismo, per esempio, assomiglia più alla riforma cluniacense piuttosto che all’idealismo tedesco. Chartres imita l’Accademia meglio di Lirenze. Presso la sua scuola soffia un vento più autenticamente ellenico che nei paraggi del giardino fiorentino. Agire sulla storia non vuol dire tanto modificare degli eventi pratici, quanto coniare con un gesto, con un’opera, con un libro un significato eterno. L’architettura coloniale delle Americhe fa parte del paesaggio. L’architettura posteriore semplicemente lo sporca. Come per le sue epoche romantiche e classiche, lo spirito ha anche le sue epoche stupide. Essere cristiani significa trovarci davanti a colui dal quale non possiamo nasconderci e al quale non possiamo mascherarci. Significa assumersi l’incarico di dire la verità, a prescindere da chi possa ferire. L’uomo è capace più di atti eroici che di gesti decenti. Respiro male in un mondo che le ombre sacre non attraversano. 246
Il filosofo che non sa confutare si risolve a spaventare. L’uomo moderno chiama dovere la propria ambizione. La predica progressista ci ha pervertito a tal punto che più nessuno crede di essere ciò che è, bensì ciò che non è riuscito ad essere. Niente di più meschino come non confessare con quanti individui superiori ci imbattiamo. La disuguaglianza è esperienza dell’anima nobile. La pietra fa centro qualunque sia il posto in cui cade. Chi parla di errore sta postulando degli atti liberi. La letteratura sperimentale è meramente un esperimento tecnico. Letteratura, invece, è ciò che schiva l’esperimento. I capricci della moltitudine incompetente si chiamano opinione pubblica, ed opinione privata i giudizi dell’esperto. Gli argomenti del filosofo sono la parte caduca della sua opera. Tali argomenti si dirigono e sono avvezzi ad un contesto contemporaneo assieme al quale muoiono. Questo secolo sta affondando lentamente in un pantano di merda e di sperma. 247
Quando maneggerà gli accadimenti attuali lo storico futuro dovrà mettere i guanti. Il primo passo della sapienza consiste nell’ammettere di buon grado che le nostre idee non hanno motivo di interessare a qualcuno. Rispetto a mille problemi volgari, essere intelligente non vuol dire avere opinioni intelligenti, bensì non avere opinioni. “Razionale” è tutto ciò con cui una frequentazione abituale ci familiarizza. Le istituzioni sono il veicolo della vita spirituale. Le esperienze soggettive si oggettivano in istituzioni per diventare trasmissibili. Criticare il loro convenzionalismo, la loro artificialità, la loro ipocrisia è mera stoltezza, perché le istituzioni non sono l’esperienza stessa, ma la gesticolazione capace di rianimarla. Che la stessa causa possa produrre effetti diversi e che lo stesso effetto possa provenire da cause diverse è il primo assioma dell’ermeneutica. Nel lugubre e soffocante edificio del mondo, il chiostro è lo parte aperta al sole e all’aria. Solo una grande intelligenza può trattare un tema facile senza che quella stessa facilità la corrompa. La difficoltà, invece, costringe il mediocre ad un rigore 248
salvifico. Alta e piccola borghesia sono strati sociali il cui maggiore o minore vigore vitale differenzia. L’alta borghesia è il gruppo di individui capaci di conquistare il potere sociale individualmente con il loro proprio sforzo. Alla piccola borghesia, invece, appartengono coloro che, essendo incapaci di uno sforzo simile, cercano di conquistare il potere sociale collettivamente attraverso lo Stato. Il liberalismo è l’ideologia dei primi, il socialismo quella dei secondi. La libertà non è indispensabile perché l’uomo sa che cosa vuole e chi è, bensì affinché sappia che cosa voglia e chi sia. Affinché la libertà duri, essa dev’essere la meta dell’organizzazione sociale e non la sua base. Ci sono pièces che trattano un problema ed altre che sono esse stesse un problema. Le prime piacciono al pubblico, ma solo le seconde sono buone. Una certa maniera di parlare con entusiasmo della “morale evangelica” tradisce l’ateo immediatamente. All’umanità non dispiace ciò che semplicemente la imbratta. Tutto quello che crolla nel corso della storia è un balsamo 249
per l’invidia. Nello scrittore attuale la conoscenza dell’uomo non è più profonda rispetto agli anteriori, ma meramente più verbosa. La buona opera teatrale non può essere vista, né quella cattiva essere letta. Tutte le rivoluzioni vittoriose alla fine falliscono perché le virtù del popolo non sono proprie del povero, bensì della povertà. Le uniche cose veramente interessanti sono quelle totalmente scontate. Per risuscitare la prova fisico-teologica bisognerebbe fondarla sul disordine del mondo. Un cosmo naturalista sarebbe una figura perfettamente regolare, una “sfera perfetta”. Glory be to God for dappled things.14 Il filosofo cerca le verità, l’intellettuale è un professionista della “profondità”. La “profondità” dell’intellettuale non è un aspetto epistemologico, bensì fenomeno sociale: la “profondità consiste nell’uso del vocabolario filosofico alla moda. La passione egualitaria è pervertimento del senso critico: l’atrofia della facoltà di discernere. La magnanimità distingue per vivere; l’invidia per vivere 250
appiana. Il “razionale”, il “naturale”, il “legittimo” non sono altro che il consolidato. Vivere sotto una costituzione politica che perdura, tra abitudini che persistono, con oggetti che si mantengono è quanto permette di credere nella legittimità del governante, nella razionalità dei costumi e nella naturalità delle cose. Né la storia di un popolo né quella di un individuo ci risultano intelligibili se non ammettiamo che l’anima di un individuo o di un popolo possa morire senza che muoiano né il popolo né l’individuo. La “cultura” non è tanto la religione degli atei, quanto quella degli incolti. L’idea dello “sviluppo libero della personalità” sembra ammirevole fintantoché non si imbatte in individui la cui personalità si è sviluppata liberamente. Ieri il progressismo catturava gli incauti offrendo loro la libertà. Oggi gli basta offrir loro il nutrimento. Con il cristianesimo i ricchi difendono la propria ricchezza e i poveri reclamano quella altrui. Per sfruttarlo, i ricchi sottolineano la rassegnazione che consiglia mentre i poveri la carità che predica. Il cristianesimo è infalsificabile solo davanti a Dio. Il più sottile travestimento della stupidità è la brevità 251
epigrammatica. Cave…15 Quanto più l’uomo è convinto di essere libero, tanto più facile risulterà indottrinarlo. Nelle democrazie si suol chiamare classe dirigente quella classe che il voto popolare non lascia dirigere niente. La tirannide è oggi uno stato di servitù manifesta e la libertà uno stato di servitù clandestina. Nella prima è la forza ad opprimere l’individuo, nella seconda lo opprime l’opinione. I pregiudizi incurabili brulicano quando gli uomini si millantano di opinare liberamente. Il democratico non rispetta altro che l’opinione applaudita da un coro numeroso. Il nostro cuore è meno presente accanto al nostro tesoro piuttosto che accanto ai tesori promessi. Un ricco sa rinunciare, ma chi può convertire il povero che trasfigura una speranza di bottino? Se i domenicani, per convertire la moltitudine, consigliano oggi la fucilazione popolare dei ricchi invece della combustione inquisitoria degli eretici, i gesuiti, d’altra parte, con il fine di adattare il cristianesimo al mondo, invece di scusare come un tempo le avidità borghesi propongono di legittimare le invidie proletarie. 252
Il dialogo tra comunisti e cattolici è divenuto possibile da quando i comunisti falsificano Marx e i cattolici Gesù Cristo. Per disapprovare un “ideale” dobbiamo denunciare meno la discrepanza tra la promessa e il compimento piuttosto che la sua stessa indole. Date le ineluttabili condizioni del suo compito peculiare, il politico può solo essere intelligente a metà. Il politico magari non sarà capace di pensare qualsiasi scemenza, ma è sempre capace di proferirla. L’imbecille non scopre la miseria radicale della nostra condizione se non quando è malato, povero o vecchio. La fede o l’incredulità del prossimo impressionano finché non vengano spiegate le ragioni della sua incredulità o della sua fede. Ogni Prometeo liberato si suicida, alla fine, sopra l’ammassamento di vittime che ordinò di giustiziare. Gli intellettuali rivoluzionari hanno la missione storica di inventare il vocabolario e i temi della successiva tirannide. Chi pretende di ripetere oggi ciò che i grandi hanno detto ieri spesso deve dire il contrario. Il ruolo del cristiano nel mondo è la maggior 253
preoccupazione del nuovo teologo. Una singolare preoccupazione, dato che il cristianesimo insegna che il cristiano non ha nessun ruolo nel mondo. Per rendere inevitabile una catastrofe non vi è nulla di più efficace che convocare un’assemblea che proponga delle riforme per evitarla. Ascoltare coloro che già sono persuasi è interessante, ma solo con gli scettici si può dialogare. Gli infatuati propugnatori del progresso contribuiscono più ad affrettare la caducità, la fugacità e la mutabilità delle cose piuttosto che a migliorare il mondo. Le classi sociali hanno un’origine strutturale e non storica. La classe proviene dall’interazione sociale così come il valore deriva dall’interazione economica. La classe è un elemento strutturale della società così come il capitale lo è dell’economia. La società senza classi di Marx imita l’economia senza capitale dei suoi ingenui predecessori. Oggi, per fortuna, gli imbecilli sono progressisti. La Chiesa Cattolica fu l’ultima delle creazioni del patriziato romano. Soltanto un regime monarchico può essere costituzionale. Dove la società si autogoverna, o dove governa un autocrate, la costituzione è carente di un guardiano che la difenda dai capricci elettorali o dai capricci cesarei. 254
Solo dove il patto tra governante e governati si basa sulla reciproca sfiducia delle parti tanto l’ubbidienza del suddito quanto la sovranità de principe possiedono frontiere guarnite. Che il cristianesimo sani i mali sociali, come certi dicono, o che al contrario avveleni la società che lo adotta, come altri assicurano, sono tesi di interesse per il sociologo ma non per il cristiano. Al cristianesimo si converte chi lo crede vero. L’intelligenza critica civilizza i territori conquistati dall’intelligenza creatrice. In questo secolo di folle transumanti che profanano qualsiasi luogo illustre, il solo omaggio che un pellegrino riverente può rendere a un santuario venerabile è quello di non visitarlo. Il marxismo troverà pace quando avrà trasformato contadini ed operai in impiegati piccolo-borghesi. Il razionalismo è stato una fede; oggi è un vizio. Di un altro essere alla fine non sappiamo che quello che ci vuol raccontare. Amare significa ronzare senza sosta attorno all’impenetrabilità di un essere. Anche se presume di essere un dio sul tetto del mondo, lo 255
storico attuale è meramente un universitario di umile estrazione. La pace non germoglia se non fra nazioni moribonde, sotto il sole di egemonie ferree. I canoni autentici non anticipano le opere, bensì sorgono da esse e al contempo le guidano. I massacri democratici fanno parte della logica del sistema. I massacri passati appartenevano all’illogicità dell’uomo. Il comunismo è stato vocazione, oggi è carriera. Qualunque sia il suo appartente ribellismo, l’arte è fondamentalmente ubbidienza all’essere. La strategia elettorale del democratico ha alla base una nozione spregiativa dell’uomo totalmente contraria alla nozione lusinghiera che trasmette nei suoi discorsi. La democrazia festeggia il culto all’umanità sopra una piramide di crani. Il marxista non crede possibile la condanna senza l’adulterazione di ciò che condanna. Il marxismo non ha preso posto nella storia della filosofia grazie alle sue imprese filosofiche, bensì grazie ai suoi successi politici. 256
Nemmeno il feticcio è idolo, se riflette la luce del sole intelligibile. Un pensiero cattolico non si quieta fintantoché non abbia sistemato il coro degli eroi degli dèi attorno a Cristo. Maturare non significa rinunciare ai nostri desideri, bensì ammettere che il mondo non è obbligato a colmarli. Siamo abituati a chiamare verità antagoniste le verità che si completano mutuamente. Il libro che non abbia Dio o la sua assenza come protagonista clandestino è carente di interesse. L’uomo moderno risolve i propri problemi con soluzioni ancora peggiori. Battezzare “borghesia” la mera viltà umana è la tattica, forse alquanto semplice, dell’intellettuale di sinistra. Il marxismo disturba l’uomo di sinistra perché gli esige che si prenda sul serio. Il comunismo vive di moratoria in moratoria. Il capitalismo redige l’apologia del comunismo mentre il comunismo redige quella del capitalismo. Per mostrarsi intelligenti in politica è sufficiente cercarsi 257
un avversario più stupido. Sfuggono alla venerazione del denaro soltanto coloro che scelgono la povertà o che ereditano la propria fortuna. L’eredità è la forma nobile della ricchezza. La posterità è indulgente con il critico dai gusti limitati, ma severa con il critico privo di palato. L’uomo non possiede la propria intelligenza: è l’intelligenza che gli fa visita. Quando è sconfitto da una maggioranza, il vero democratico non deve dichiararsi semplicemente vinto, bensì confessare inoltre che non aveva ragione. Le idee altrui spazientiscono il liberale. Il cattolicesimo insegna ciò che l’uomo vorrebbe credere ma non osa farlo. Dalla cittadella dell’epistemologia idealista, l’anima osserva le bravate irrisorie della materia. Il povero non invidia al ricco le possibilità di comportamento nobile che la ricchezza favorisce, bensì le abiezioni a cui dà facoltà. La “volontà generale” è la finzione che permette al democratico di pretendere che per fare l’inchino davanti a una maggioranza ci sia un’altra ragione rispetto alla semplice 258
paura. Per educare l’anima è necessario sottoporla alla presenza delle stesse pareti, alla pace quotidiana e monotona dello stesso paesaggio sotto lo stesso cielo. Nell’idealismo il soggetto è oggetto di un’inesplicabile servitù; nel materialismo l’oggetto è soggetto di un’inesplicabile libertà. Il disprezzo verso i “formalismi” è una patente di imbecille. Nelle mani dello storico intelligente la storia è il luogo nel quale la verità esplode in poesia. L’indipendenza etica è una tappa fuggevole fra la sottomissione religiosa e la sovranità della volontà. La coscienza indipendente è una bestia insaziabile. Il mistico insorge con orgoglio da arcangelo contro il sacerdote. Nel suo affanno di recuperare i propri angeli perduti l’uomo insegue ombre infernali. Le prove dell’esistenza di Dio sono abbondanti per coloro che non le necessitano. Si definisce liberale chi non capisce di star sacrificando la libertà se non quando è troppo tardi per salvarla. 259
Qualsiasi matrimonio tra un intellettuale e il partito comunista finisce in adulterio. Il giovane si inorgoglisce della propria gioventù come se essa non fosse privilegio anche dei più tonti. Con la rottura delle sfere cristalline la cometa di Galileo ha sgonfiato l’universo. È troppo facile denigrare il progresso. Io aspiro alla cattedra di regresso metodico. La ricchezza oziosa è quella che serve per la produzione di altra ricchezza. Lo scrittore beneducato cerca di limitarsi al necessario. Niente di più difficile che proibire gli “a parte”16 a un testo. L’uomo è meno tonto di ciò che sembra quando pensa di dire cose intelligenti. Senza l’immaginazione, la realtà è uno spettacolo tedioso che l’intelligenza analizza e classifica. Senza la realtà, l’immaginazione è un meccanismo che reitera i propri schemi. La redenzione della realtà è il mestiere dell’immaginazione. Quasi nessuno sopporterebbe la propria vita se non si sentisse vittima della sorte. Chiamare ingiustizia la giustizia è la più popolare delle 260
consolazioni. Chi denuncia le limitazioni intellettuali del politico dimentica che proprio ad esse sono dovuti i suoi successi. Le estetiche segnalano all’artista in quale settore di universo sta la bellezza che cerca, ma non gli garantiscono di riuscire a catturarla. Il volgare non è ciò di cui il volgo è capace, bensì ciò che gli aggrada. Cos’è la filosofia per il cattolico se non la maniera con la quale l’intelligenza vive la propria fede? La codardia politica battezza se stessa: rispetto verso il senso della storia. La mia fede riempie la mia solitudine con il suo sordo mormorio di vita invisibile. La sensualità è la possibilità perpetua di riabilitare il mondo dalla prigione della sua insignificanza. La ragione è una mano che opprime il nostro petto al fine di mitigare il battito disordinato del nostro cuore. Il sorriso dell’essere che amiamo è l’unica cura efficace contro la noia. La possibilità di conflitto altera, in ogni rapporto, la 261
limpida comunicazione tra individui. Solo la storia permette di coincidere inaspettatamente con le vite altrui. Qualunque filosofia è di un’insolenza ammirevole. L’umanità si suddivide in quelli che apprezzano solo le conseguenze di un atto e quelli che anzitutto ne valutano la qualità. La pedagogia cerca vanamente di mettere a disposizione di tutti quello che è proprio soltanto degli ereditieri. La virtus dormitiva è una conclusione precipitosa, ma la scienza alla fine evidenzia solo una o varie virtutes dormitivae. La necessità è una mera ed ultima contingenza. Romanticismo, storicismo, estetismo non sono febbri, bensì rimedi. L’importanza di una filosofia non sta nelle sue soluzioni e neppure nei suoi problemi, ma nel livello in cui li trova. Nella vita amiamo solo le presenze che l’attraversano come messaggeri di altri mondi. Chi si abbandona ai propri istinti svilisce tanto il suo volto quanto ovviamente la sua anima. La disciplina non è tanto una necessità sociale quanto un’urgenza estetica. 262
Sparta non ambiva a plasmare la pietra, ma la sua anima. Quelli che denigrano Sparta dimenticano come abbia ammaliato le più nobili intelligenze di Atene. “Vita sessuale” è una nozione con la quale nessun uomo mediamente fine designerebbe i propri amori. Solo lo spettatore ottuso e il progressista la adottano. Essere aristocratici vuol dire non credere che tutto dipenda dalla volontà. La pittura moderna non è un capriccio, come crede l’ignorante, ma tragedia. Quelli che più strillano se vengono derubati sono gli stessi che nelle risse di strada non simpatizzano con la polizia ma con i ladri. Tra ingiustizia e disordine non è possibile scegliere. Sono sinonimi. La società industriale è l’espressione ed il frutto di anime nelle quali le virtù destinate a servire usurpano il posto di quelle destinate a comandare. L’enciclopedia scientifica crescerà indefinitamente, però sulla natura stessa dell’universo non insegnerà mai niente di diverso da quello che insegnano i suoi postulati epistemologici. 263
Società totalitaria è il nome volgare della specie sociale la cui denominazione scientifica è società industriale. L’attuale embrione permette di prevedere la fierezza dell’animale adulto. Nessuno può cantare l’agronomia moderna in nuove Georgiche. Il mondo moderno è un’insurrezione contro Platone. Il filologo semplicemente stabilisce ciò che l’autore dice, mentre l’umanista inoltre se è vero lo accetta. Il poeta che pretende di fare del proprio poema qualcosa di più di un poema merita la nostra sfiducia. Senza partito politico non c’è più gloria poetica. Non potendo parlare sempre della morte, ogni nostro discorso è scontato. Non dobbiamo parlar male del nazionalismo. Senza la virulenza nazionalista regnerebbe già sull’Europa e sul mondo un impero tecnico, razionale ed uniforme. Dobbiamo accreditare al nazionalismo almeno due secoli di spontaneità spirituale, di libera espressione dell’anima nazionale, di ricca diversità storica. Il nazionalismo è stato l’ultimo spasmo dell’individuo di fronte alla grigia morte che lo aspetta. Alla letteratura appartiene qualunque libro che si possa 264
leggere due volte. Nessuno deve scrivere o pensare se non per chi gli è superiore. La condiscendenza intellettuale abbrutisce il condiscendente e svilisce il condisceso. Lo spirito non è una fortuna che si conquista, bensì un patrimonio che si eredita. Niente sembra più facile da comprendere di quello che non abbiamo compreso. Qualunque formula serve alla pigrizia per saltare a piè pari al di sopra di un’idea. La storia può ispirare ammirazione, disdegno, compassione, odio, ironia, ma non rispetto. Nella storia ispira rispetto solo ciò che l’uomo veicola senza esserne l’autore. La verità è insita nella storia, però la storia non è la verità. Per essere colto non è sufficiente che un individuo abbellisca la propria specialità con gli stralci di altre. La cultura non è un insieme di oggetti specifici, bensì una disposizione specifica del soggetto. Non è all’impegno di costruire un sistema che l’intelligenza deve rinunciare, ma all’illusione di esserci riuscita. 265
Le opinioni filosofiche del giovane possono risultare interessanti solo alla sua mammina. La tristezza è percezione del volto triste del mondo, la noia della sua maschera noiosa, il piacere dei suoi aspetti piacevoli, il giubilo dei suoi tratti giubilanti. Dobbiamo rimettere all’epistemologia ciò che un pregiudizio confina nella psicologia dei sentimenti. Il dialogo cominciato in Grecia risulta inintelligibile a colui che interroga i dialoganti dal proprio “senso comune”. Le intromissioni improvvise sono risibili. Per certuni esiste un bene supremo, per certi altri una molteplicità di beni uguali. In realtà, esistono differenti beni collocati in una scala che culmina nel bene supremo. Ogni perfezione è perfetta, però esiste una gerarchia di perfezioni. Per industrializzare un paese non è sufficiente espropriare i ricchi, è necessario sfruttare i poveri. Con il pretesto di dar lavoro all’affamato il progressista vende gli inutili artefatti che fabbrica. I poveri sono il sotterfugio dell’industrialismo volto ad arricchire il ricco. Gli uomini sono meno mediocri quando non si credono 266
obbligati a non esserlo. Per quanto stupido possa essere un catechismo, lo sarà sempre di meno di una confessione di fede personale. In una solitudine silenziosa fruttifica solamente l’anima capace di vincere nelle pubbliche controversie. Il debole richiede frastuono. Il filosofo determinista suole protestare contro gli errori e le passioni che sviano e storcono la necessità storica. La letteratura perisce quando vi sono cento pubblici specializzati invece di un pubblico colto. Siccome qualunque stile possiede di per sé una qualità estetica, agli albori di un rinnovamento artistico tutte le opere nuove si beneficiano del valore proprio al nuovo stile. Però, basta l’apparizione di un’opera eccelsa nel nuovo stile affinché le altre opere confessino la loro insignificanza. La maggiore scoperta che possiamo fare in etica è che in etica non si possono fare scoperte. I grandi scrittori, a partire dal romanticismo, sono prigionieri che scuotono freneticamente le sbarre della gabbia nella quale si è tramutato il mondo senza Dio. La mia fede aumenta con gli anni, come la fioritura di una 267
silenziosa primavera. Per adottare i parti grossolani dello psicologo, lo scrittore li deve rifinire ed educare. L’orgoglio di uno Chateaubriand innervosisce solo chi umilia l’esistenza di uomini con diritto all’orgoglio. Il positivista scorda che il kantismo può essere attraversato, ma non omesso. Quando gli incaricati dei fini vacillano mentre gli incaricati dei mezzi operano, i mezzi diventano fini. E così l’umanità non ha altro fine che quello di accumulare mezzi. Nei sostenitori del nuovo è presente una viltà indelebile: essi sono i complici fervorosi del tempo che uccide ogni cosa. La discussione intelligente si riduce ad elucidare le divergenze. La libertà è stata il tormento dell’età moderna, perché la salute importuna solo il malato. Colui che reputa il mondo un pensiero di Dio gli sta concedendo la maggiore realtà possibile. L’idealismo di Berkeley è il realismo più estremo della storia. Siccome Marx dice evidentemente che le forze di produzione di una società determinano alla fine la sua 268
struttura e siccome, d’altra parte, le forze di produzione dell’attuale società comunista e dell’attuale società capitalista sono evidentemente le stesse, Marx insegna propriamente che la differenza tra capitalismo e comunismo può consistere solo nella differenza passeggera fra alcuni dei loro aspetti giuridici. La società industriale comunista e la società industriale capitalista schiacciano l’uomo sotto lo stesso peso. La Bibbia non è la voce di Dio, bensì quella dell’uomo che lo trova. Non vale la pena di dialogare con questo secolo, giacché sappiamo che persino una vittoria sarebbe sterile. In un mondo ostile lo spirito si piaga e si consuma. I riformatori della società attuale si impegnano a decorare gli alloggi di una nave che naufraga. L’uomo moderno distrugge di più quando costruisce che quando distrugge. Qualunque teoria del mondo impone la propria visione ai sensi. Le tenebre non sono mera assenza di luce e il silenzio non è mera assenza di suono. Il silenzio e le tenebre sono realtà positive, regioni dell’essere abitate da una fauna propria. Con l’industrializzazione della società comunista culmina 269
l’egemonia borghese. La borghesia non è tanto una classe sociale, quanto l’ethos della società industriale stessa. L’immaginazione è la funzione episodica dei sensi che scopre significati nella sensazione e li esprime simbolicamente. Le sirene, per esempio, sono la “sirenità” di certi torpori meridiani e marini. Quando “vive”, il personaggio di un romanzo rassomiglia ad un’argomentazione coerente: la sua validità non risiede in un fenomeno psicologico. I personaggi dei grandi romanzi “vivono” in terre che confinano con la regione nella quale hanno dimora gli assiomi matematici e le norme assiologiche. La vita, così come la libertà, ha solo il valore dell’occupazione che ci permette, della divinità per la quale ci lascia morire. Nell’esigere che l’oggetto possieda solo la forma con cui meglio realizza la propria funzione qualunque oggetto di una stessa specie converge idealmente verso una forma unica. Quando le soluzioni tecniche saranno perfette l’uomo perirà di tedio. Dobbiamo sostituire le tante definizioni di “dignità dell’uomo”, che sono solamente giaculatorie estatiche, con soltanto una di semplice: fare tutto lentamente. Una tentazione irresistibile per l’intelligenza floscia è quella 270
di profetizzare. Vivere una vita semplice, taciturna, discreta, fra libri intelligenti, amando alcuni cari. La frase deve possedere la durezza della pietra e il tremito dei ramoscelli. Difendere la civiltà significa, prima di tutto, preservarla dall’estusiasmo dell’uomo. Il governo si dovrebbe affidare sempre ai più anziani; non perché l’incapacità non cresce con gli anni, bensì proprio perché cresce. Beato l’abitante di una società dormiente. Il genio di un La Rochefoucauld o di un Saint-Simon abolisce il carattere rappresentativo delle loro opere. L’opera di altri, invece, come Sir William Temple, verbigrazia, deve il suo interesse alla classe sociale dell’autore. Testi deliziosi che solo un certo genere di vita produce, e la cui pompa discreta risveglia la nostalgia di un’esistenza ampia, nobile, silenziosa, fine e ordinata. Maturare significa scoprire l’altro lato delle cose. Le idee ci tradiscono se non le tradiamo noi per primi. Dobbiamo solo essere fedeli alla complessità delle cose. Le verità sono il premio per una vita intelligente. 271
Un poco di pazienza nel rapporto con uno stupido ci evita di sacrificare alle nostre convinzioni la nostra buona educazione. Fintantoché non ci imbattiamo in scemi istruiti l’istruzione ci sembra importante. Probabilmente, l’Anticristo è l’uomo. Il poeta insegue nuove metafore; il teologo cerca di accomodare più esattamente le proprie. Non bisogna disperare dell’ateo fintantoché non adori l’uomo. L’uomo colto è quello che non trasforma la cultura in professione. La metafora ipotizza un universo nel quale ogni oggetto contiene misteriosamente tutti gli altri. La verità è una sonorità peculiare di certe voci quando certe evidenze le scuotono. La verità non giace in qualsiasi evidenza e neppure in qualsiasi voce. La verità più semplice è così complessa che non può essere espressa da nessuna formula, richiedendo per esprimersi il contesto globale di una persona e di una vita. 272
Chiamiamo verità astratte i letti aridi nei quali fluiscono le acque di qualsiasi acquazzone. Il cristiano non ha nulla da perdere in una catastrofe. Educare l’anima significa insegnarle a trasformare la sua invidia in ammirazione. I libri seri non istruiscono, bensì interrogano. Credere vuol dire penetrare nelle viscere di ciò che meramente sapevamo. La fede non scompagina l’incredulità, bensì la consuma. La società suol essere ingiusta, ma non come i vanitosi immaginano. Ci sono sempre più padroni che non meritano il proprio posto rispetto ai servi che non meritano il loro. Civiltà è tutto quello che l’università non può insegnare. Il romanticismo ci ha dischiuso le vie del mondo. Se l’arte classica o la mentalità primitiva ci affascinano è perché non abbiamo ancora disperso l’eredità romantica. Senza Herder i neoclassici del XX secolo non avrebbero risuscitato Pope. Contemplo solamente frammenti di verità distorti da bagliori notturni. 273
La letteratura pone i problemi dell’uomo nell’idioma dell’intelligenza e non in uno degli esperanti dell’intelletto. Dato che Urizen è la “ragione”, il vangelo rivoluzionario di Blake non si somma alla rivoluzione trionfante, bensì alla controrivoluzione soffocata. La moltitudine ha bisogno di culti. Però la religione è un’imposizione sfacciata di esigue minoranze. La resistenza è inutile quando tutto nel mondo cospira per distruggere ciò che ammiriamo. Ci rimane sempre, tuttavia, un’anima incorruttibile per contemplare, per giudicare e per disprezzare. Dobbiamo perdonare ai fatti la loro mediocrità. Ascolto qualunque predica con ironia involontaria. Tanto la mia religione quanto la mia filosofia si riducono ad avere fiducia in Dio. Essere razionalista vuol dire rinunciare alla ragione universale delle cose per imporre loro l’effìmera configurazione storica della nostra ragione di un giorno. La letteratura contemporanea di qualunque epoca è il peggior nemico della cultura. Il tempo limitato del lettore viene speso per leggere mille libri mediocri che ottundono il suo sentido critico e ledono la 274
sua sensibilità letteraria. La critica romantica ci ha insegnato a leggere non soltanto libri, bensì autori. Con essa abbiamo imparato a sentire nell’opera la risonanza di un’anima. Le ingiustizie che compiamo si vendicano rimbecillendoci. Il mondo è un libro che non rivela il suo senso a chi lo legge troppo lentamente o troppo alla leggera. Dalla terribile approvazione degli imbecilli il destino preserva soltanto i difensori di cause perse. I termini che il filosofo escogita per esprimersi, e che il popolo alla fine maneggia come consunte metafore, attraversano una zona intermedia dove i semieducati li impiegano con enfasi pedante per simulare pensieri che non hanno. Dio non comunica attraverso discorsi, bensì per mezzo di esperienze. L’autore sacro non trasmette un discorso divino; le sue parole esprimono un’esperienza donata. In una solitudine estrema l’uomo percepisce nuovamente lo sfioramento di ali immortali. La predica escatologica non estende all’intero universo l’indole precaria dei suoi elementi. Non si tratta di 275
metabasi indebita. La sua convinzione si fonda sulla percezione esistenziale della finitudine inerente a tutte le cose, tanto agli addendi quanto alla somma. Immagini, metafore e miti esprimono l’esperienza di questa limitazione radicale di tutto l’esistente. Attraverso la teoria dell’arte per l’arte il romaticismo ha dissolto le ambizioni pedagogiche che la corrompevano. In qualsiasi letteratura ci sono generi e stili che servono solo per il consumo domestico. Generi e stili così tediosi per l’invitato come gli aneddoti di famiglia. Lo scherno dell’incredulo non mi sorprende. Piuttosto, mi sorprende la sua consueta benevolenza verso l’assurdo spettacolo della fede. Il clamore dei viaggiatori nella steppa deve disturbare chi la crede deserta. La storia persino del più scemo degli uomini è sottile. L’anacronismo metodico è l’unico principio metodologico della storiografia marxista. Dobbiamo essere grati alla critica religiosa dei secoli XVII e XVIII prima di tutto per averci obbligato a convertire il monologo da monarca imperioso in un dialogo da interlocutore compassionevole. L’uomo si imbatte in un viaggiatore misterioso ad ogni 276
svolta del proprio cammino. Qualsiasi nuova verità che apprendiamo ci insegna a leggere in maniera diversa. Nonostante tutto, la borghesia è stata la sola classe sociale capace di giudicare se stessa. Ogni critico della borghesia si alimenta di critiche borghesi. Siccome dal panteismo tedesco fiorirono le scienze storiche, non dobbiamo battezzarlo eresia, bensì felix culpa. L’unico universo degno del creatore è quello del panteismo. Quello della sensibilità panteista. Il vizio peggiore della critica d’arte è l’abuso metaforico del vocabolario filosofico. Ci sono verità così volgari che non abbiamo il diritto di adottare. Il profeta biblico non è un indovino del futuro, bensì un testimone della presenza di Dio nella storia. Ci plasmano solo i letti di torrenti momentanei. Dopo svariati secoli di sbornia demagogica, il comunismo perlomeno restaura la buona coscienza del comando. La democrazia disgusta agli uni perché nega l’autonomia dei valori e agli altri perché viola la concreta differenza tra 277
gli individui. Scuola di Platone e scuola di Burke. Se l’opera fosse solo espressione del suo autore, il suo valore non crescerebbe a volte attraverso le mutilazioni del tempo. Tacitamente sicuro di sostenersi sulla sintesi, Marx annuncia una dialettica della storia e redige una teodicea. La dialettica è la simulazione di un dialogo entro un soliloquio. Coloro che il romanticismo ha operato di cataratta enciclopedista, permettendo loro così di distinguere la dissomiglianza degli individui, la diversità dei propositi, la differenza delle epoche, sono risultati reazionari quandanche si credessero deterministi ed atei. Come Taine. In meno di un secolo e mezzo gli accadimenti hanno tramutato i “profeti del passato” in semplici profeti del futuro. La storia del cristianesimo comincia nuovamente con il primo convertito europeo dopo millesettecento anni di cristianesimo ereditario: con la conversione di Hamann. La solitudine è insoffribile se il solitario non aderisce ad evidenze trascendenti. Quando la verità perisce, l’uomo anestetizza la propria angoscia con il lezzo della moltitudine umana. 278
Una filosofìa supera un’altra filosofia quando definisce con precisione maggiore lo stesso mistero insolubile. L’atomo di verità di un sistema filosofico suole trovarsi nella tesi discordante col resto che il filosofo non si risolve ad omettere. L’ipocrisia non è lo strumento dell’ipocrita, bensì la sua I prigione. La filosofia è l’arte di equilibrare pressioni divergenti. Il filosofo è colui che non teme di alimentarsi di evidenze contrarie. La filosofia è polifonia di una sola voce. I princìpi conducono i nostri passi mentre le evidenze si eclissano. L’appagamento è quello stato della sensibilità nel quale tutto ci sembra avere ragione di essere. Le attività più alte dello spirito paiono sempre parassitane allo stupido. Il grado di civilizzazione di una società si misura dal numero di parassiti che tollera. Ginevra, la Ginevra che Calvino regge da un letto d’infermo, la Ginevra di cui l’ombra si estende dal pulpito di Knox fino alle anticamere vaticane, la Ginevra dove si forgia un mondo ha, verso il 1560, attorno ai dodicimila abitanti. Le grandi moltitudini moderne, oltre ad essere un 279
problema, sono ridondanti. Al posto di cercare spiegazioni al fatto della disuguaglianza, gli antropologi dovrebbero cercarne una alla nozione di uguaglianza. La civiltà non è una successione senza fine di invenzioni, bensì il compito di garantire la durata di certe cose. Per capire l’idea altrui è necessario pensarla come la propria. Qualunque istante possiede una legge propria, e non meramente la legge che lo lega agli altri istanti. In certi istanti ricolmi Dio deborda nel mondo come una fonte repentina nella pace del mezzogiorno. La stessa dottrina deve servire sotto la luce meridiana e negli istanti lividi. È vero solo ciò che vale indistintamente per l’anima afflitta o per quella esaltata. Qualunque norma è preferibile al capriccio. L’anima priva di disciplina si corrompe in una bruttezza larvale. Non dobbiamo reclamare la libertà per essere liberi, bensì per servire degnamente chi dobbiamo servire. Non la pienezza conchiusa della sfera, bensì la pienezza 280
meridiana del bacino nel quale il cielo si riflette. Dietro ogni denominazione si erge la stessa denominazione con maiuscola: dietro l’amore l’Amore, dietro l’incontro l’Incontro. L’universo fugge alla propria prigionia quando nell’istanza individuale riusciamo a percepire l’essenza. Non importa che il mito muoia se possiamo ricostruire quell’universo che ce l’ha per idioma. Che muoiano gli dèi, ma non quel tremito di foglie in cui nascono. Dobbiamo detestare la novità perché uccide, non perché rinnova. Qualsiasi ribellione contro l’ordine dell’uomo è nobile fintantoché non mascheri un ribellismo contro l’ordine del mondo. La stessa idea di sacrificio pare assurda a chi ignora esista una gerarchia di beni. La perfezione morale sta nel sentire che non possiamo fare ciò che non dobbiamo fare. L’etica culmina laddove la norma pare espressione della persona. La civiltà è un accampamento sguarnito in mezzo a tribù indocili. Guardiamoci bene dall’obbedire alle regole come schiavi renitenti. 281
L’anima è il lavoro dell’uomo. Tutti gli uomini sono capaci, in qualunque momento, di possedere le verità che importano. Nel futuro sono in attesa le verità subalterne. Un solo essere può bastarci. Ma che non ci basti mai l’Uomo. La vita ha per oggetto la nascita di qualcosa di nobile. Il crimine che si tenta di commettere è, a volte, così orribile che il pretesto della nazione non basta ed è necessario invocare l’umanità. Non dobbiamo commettere l’ingiustizia di trattare i nostri superiori come uguali. Il mondo è un proposito fallito che l’anima nobile tenta di ripristinare. L’efficacia dell’individuo è più una minaccia che una virtù per i suoi simili. La vera sostanza di un oggetto è la sua bellezza. La sete finisce prima dell’acqua. In qualunque epoca una minoranza vive i problemi attuali 282
e la maggioranza quelli obsoleti. L’educazione moderna consegna menti intatte alla propaganda. Davanti agli altri possiamo rivendicare solo le nostre convinzioni banali. Le verità dell’infanzia sono verità anche per l’adulto, ma non in bocca dell’adulto. Il dubbio non trionfa sulle convinzioni profonde, bensì le arricchisce. Esistono intelligenze capaci solo di ciò che non è essenziale in ciascuna cosa. Dalla somma di tutti i punti di vista non deriva il rilievo dell’oggetto, bensì la confusione di esso. Esistono verità abusive, verità che invadono terreni altrui. L’uomo scatena catastrofi quando si impegna a far diventare coerenti le evidenze contraddittorie fra le quali vive. La nostra libertà non ha altre garanzie che le barricate innalzate dal volto anarchico del mondo contro l’imperialismo della ragione. Non è solamente in politica dove non vale la pena di ascoltare ciò che si dice. 283
Profeti, filosofi, politici: alla fine falliscono tutti. Però non vi è nulla di più assurdo che scrivere la loro storia come quella di un rosario di fallimenti. Tutti i grandi uomini sono una vittoria. Il grande uomo non è rappresentativo del proprio tempo se non attraverso la parte caduca della sua gloria. I fanatici della libertà finiscono per essere teorizzatori della polizia. La dottrina di Fichte, per esempio, culmina in una teoria del passaporto. Lo spirito possiede leggi, leggi implacabili. Però, al contrario delle leggi naturali, queste leggi non sono valide per un’infinità di istanze, bensì ciascuna di esse valida per una sola istanza concreta. Nessun sistema riesce ad essere sistematico fino in fondo. L’individuo crede nel “senso della storia” quando il futuro predicibile sembra favorevole alle sue passioni. Ciò che è grave non è tanto che la rivoluzione faccia decapitare il poeta controrivoluzionario, quanto che non renda fecondo quello rivoluzionario. Colui che non si rassegna alla fondamentale asimmetria del mondo finisce per falsificarne le misure. 284
La provvidenza, in questo XX secolo, riserva il tema interessante allo scrittore mediocre. A colui che crede, le ragioni, gli argomenti e le prove paiono ogni giorno meno evidenti. E ciò in cui crede sempre più evidente. Quanto più fini diventano le verità, tanto più remota diventa la loro possibilità di trionfare. Se Dio tace, sono l’interlocutore di me stesso. Esistono idee che non sono vere, ma che dovrebbero esserlo. Comprendere significa trovare la spiegazione valida per un’istanza unica. Dio a volte ci pota i rami come un giardiniere impaziente. Qualunque attività nobile è un agguato a un miracolo. Lo scrittore attende la propria frase come Marta la resurrezione di Lazzaro. L’intelligenza prevede e spiega solo ciò che è mediocre. L’eccelso è sempre uno scandalo. Nel parlare di un poeta è stupido insistere sui suoi poemi falliti. Che i poemi falliscano è una cosa normale. Un poeta non è altro che i propri trionfi. 285
I professori di letteratura e filosofia guardano lo scrittore e il filosofo con una superiorità da adulto. Il modernismo di Baudelaire o dei Goncourt non è sinonimo di progressismo, bensì di colore locale. Le ideologie politiche contemporanee sono false in quello che asseriscono e vere in quello che respingono. L’apologetica deve mischiare scetticismo e poesia. Lo scetticismo per strangolare gli idoli e la poesia per sedurre le anime. L’attività rivoluzionaria conforta lo scrittore che non è capace di attività letteraria. Rinnegando la letteratura oggi si fa carriera nelle lettere, allo stesso modo che rinnegando la borghesia tra i borghesi. L’invenzione di tecniche di solito precorre l’apparizione dell’artista capace di farne uso. L’umanità si rassegna più facilmente all’evitabile che all’inevitabile. Nella misura in cui si espande l’attuale mediocrità, i grandi scrittori di questo secolo sembrano incorporarsi a un secolo XIX che si prolunga in essi e con essi finisce. La storia forse scaturisce solo dagli atti insignificanti. 286
Quello che non è necessità fisica sembra all’uomo moderno una semplice convenzione arbitraria. Un certo scrittore comprende con la propria sensibilità, un altro sente con la propria intelligenza. Lo scrittore giammai si confessa se non di quello che la moda autorizza. La storia della filosofia si ordina attorno a due reazioni vittoriose: Platone e Kant. L’opera di Mallarmé è laddove ignora la spiegazione orfica della terra, quella di Valéry nei versi che gli dèi gli danno, quella del surrealismo nei frammenti intatti di spontaneità onirica. L’arte moderna si forgia nelle pause dalle sue intemperanze dottrinarie. Il romanziere domina la periferia del personaggio dal suo centro mentre lo psicologo pretende di dominare l’anima dalla sua periferia. Il primo sa che le sue metafore sono residui di un’intuizione unitaria, il secondo si immagina che le sue impalcature siano strutture dell’oggetto. Niente si comporta nel tempo allo stesso modo. Gli organismi si evolvono, però il progresso biologico è un mito antropocentrico. La scienza fa progressi, però l’intelligenza non si sviluppa. Le opere cambiano, però niente altera i valori. La storia religiosa, infine, ascende fino ad un punto dal 287
quale discende. Nell’analizzare l’anima dei suoi personaggi il grande romanziere non ne dissipa il mistero, ma lo crea. Non ci sono interpretazioni valide universalmente. L’interpretazione religiosa è grottesca in un contesto profano così come l’interpretazione profana è grottesca in un contesto religioso. Nel primo servono solo categorie scientifiche, nel secondo tutto è segno, simbolo, sacramento. Per colui che adora, la pioggia è una benedizione che scende sul miracolo del grano. Ci sono quelli che credono che esistano problemi risolti. Tanto dopo quanto prima di Cristo esiste il paganesimo dei precursori e il paganesimo degli avversari. Il paganesimo di Montaigne è un paganesimo da fauno battezzato. Il suo cattolicesimo è autentico, però non di ceppo teologico o mistico, bensì sociale e popolare. Cattolicesimo di vecchio paese cattolico, dove la fede profonda si accorda con un certo naturalismo scettico. Montaigne non è il fiore di una vita, bensì di una civiltà cattolica. Niente è spiegabile al di fuori della storia, però la storia non è sufficiente a spiegare nulla. Il XVIII secolo fu quello dell’opportunità perduta. Allora esisteva una natura civilizzata ma non vinta, una 288
tecnica ingegnosa ma non oppressiva, una società ordinata che non vacillava ancora fra la solitudine individuale e l’asfissia collettiva. Però quel XVIII secolo non seppe assicurare il proprio equilibrio e preferì progredire. I mediocri come me non inventano neppure una maniera propria di esserlo. Da ognuno di noi dipende che la sua anima, negli anni spogliata dalle sue molteplici pretensioni, si riveli come amaro rancore o come rassegnata umiltà. Le conclusioni del filosofo sogliono essere più accettabili dei ragionamenti su cui si fondano. Quanto più opaco, più incoerente e più misterioso ci sembra l’universo, tanto più soavemente ci accoglie. Etica e religione differiscono quanto tecnica e stato brado. L’imperativo etico implica conseguenze verificabili; nell’ambito religioso castigo e ricompensa sono atti di fede. Per osservare le norme etiche basta una certa saggezza terrena, mentre la religione esige una più nobile pazzia. La catastrofe di Lisbona parve al XVIII secolo uno scandalo metafisico. Gli scandali metafisici di quel secolo sembrano ai contemporanei delle semplici catastrofi. Filosofia è ciò che confuta qualsiasi ragionamento che minaccia lo spirito. 289
Sono rari quelli che non si avviliscono quando smettono di credere alle bugie. Rifiutarci di ammettere una conclusione che ci impaurisce basta per causare un’anchilosi intellettuale duratura. La serenità è il frutto di un’accettazione dell’incertezza. È sufficiente che determinati individui adottino un’idea per sapere senza indugio che è falsa. Più che da ragionamenti, l’intelligenza si fa guidare da simpatie e avversioni. L’intelligenza si affanna a risolvere problemi prima ancora che la vita glieli ponga. La saggezza è l’arte di impedirlo. Se la metafora è mero tropo retorico e non linguaggio elevato alla seconda potenza, la poesia è divertimento di tonti e la religione favola di sciocchi. Il declino di una letteratura inizia quando i suoi lettori non sanno scrivere. Come sono rari quelli che non ammirano libri che non hanno letto! Filosofia e storia si incorporano alternatamente. 290
Non si deve prendere sul serio nessuna filosofia e neppure burlarsi di alcuna. Se una filosofia fosse meramente comica bisognerebbe disperare dell’uomo, mentre se fosse totalmente seria bisognerebbe disperare del mondo. La religione non è un insieme di soluzioni a problemi conosciuti, bensì una nuova dimensione dell’universo. L’uomo religioso vive fra realtà che il profano ignora, però non possiede la chiave dell’enigma. La pace religiosa non è la pace del problema risolto, bensì dell’amore accettato. La religione non spiega niente, ma complica tutto. Senza teoria dell’autenticità la nozione di ideologia è carente di fondamento. Affinché valga la pena falsificare denaro sono necessarie delle emissioni legali. Ideologia ed ipocrisia sono sempre parassiti. Inchiniamoci allo storico quando dimostra che una certa qual cosa è avvenuta, però accontentiamoci di sorridere quando afferma che quella cosa doveva avvenire. Il preromantico esamina se stesso come esemplare della specie, mentre il romantico ausculta l’individualità propria. Il romanticismo è il senso delle differenze: quella tra il sé e gli altri e quella degli altri tra loro. Ciò che avviene nei tempi di incredulità non è che i 291
problemi religiosi sembrano assurdi, bensì che non sembrano problemi. In un secolo nel quale i mezzi pubblicitari proclamano infinite sciocchezze, l’uomo colto non si definisce per ciò che sa ma per ciò che ignora. Esistono reazionari a dispetto dei loro pregiudizi, per semplice olfatto fine. Hume è il loro miglior rappresentante. Il mondo non risulta interessante se non è filtrato attraverso un’intelligenza. Quando vediamo che l’uomo non può calcolare le conseguenze dei propri atti, i problemi politici non perdono la loro importanza, però le soluzioni perdono di interesse. La religione è il tremito che lo scuotimento delle nostre radici trasmette ai nostri rami. Dio non è oggetto della mia ragione o della mia sensibilità, ma del mio essere. Dio esiste per me nell’atto stesso in cui esisto. La felicità è un momento di silenzio tra gli strepiti della vita. La cupidigia del negoziante mi stupisce meno della serietà con cui la sazia. 292
L’arte sceglie, indifferentemente, chi la irriverisce e chi la venera. Per l’incredulo la vita è interamente banale o interamente seria; solo per il credente la vita è banale e seria al contempo. Siccome si richiede un criterio religioso per demarcare in ogni oggetto il suo aspetto indissolubile di banalità dal suo indissolubile aspetto di serietà, l’incredulo pessimista trasforma il banale in serio e l’incredulo ottimista il serio in banale. Qualunque civiltà fiorisce fra le mani di un uomo stupefatto. L’attività umana possiede un suo settore tecnico e un suo settore miracoloso. Nel primo un atto determinato produce un risultato prevedibile, mentre nel secondo l’effetto non è commensurabile alla propria causa. Il procedimento tecnico ha efficacia costante, mentre non esistono regole per redigere un nobile verso. La volontà è semplicemente l’ostetrica dell’anima. Chi abbia la curiosità di misurare la propria stoltezza può contare il numero di cose che gli paiono ovvie. La poesia lirica sopravvive da sola perché il cuore umano è l’unico angolo del mondo che la ragione non si azzarda ad invadere. Il critico letterario ha bisogno di avere una filosofia, ma 293
deve ignorare di averla. Non esistono verità su cui è lecito riposare. Qualsiasi verità è una postazione minata, una fortezza che l’intrigo debilita, un luogo assediato da nemici con la cui ostilità simpatizziamo in segreto. Credendo di difendere certe tesi per rispetto della coerenza molte volte ci lasciamo trascinare da una semplice passione per la simmetria. La verità scientifica è quella sulla quale sappiamo come metterci d’accordo. Un accordo su verità di altra indole è dovuto alla mera coincidenza. La scienza è un colloquio collettivo, la filosofia un soliloquio che qualcuno ci lascia ascoltare. Dopo aver conversato, due filosofi rimangono più distanti tra loro. In filosofia ognuno si salva o si condanna da solo. In ambito scientifico la ragione si convince; in filosofia la ragione si converte. Solo l’imbecille sa chiaramente perché crede o perché dubita. Qualunque verità è un rischio che accettiamo 294
appoggiandoci su una serie indefinita di evidenze infinitamente minute. La nostra verità giunge alla sua piena autenticità solo nella solitudine del nostro pensiero, perché lì il dubbio leviga e ammorbidisce la durezza dei suoi contorni. La mia verità è la somma di ciò che sono, e non il mero riassunto di ciò che penso. La fantasia assembla aspetti dispersi per produrre un oggetto nuovo. L’immaginazione si insedia nel centro di un oggetto reale. Nessuno mi potrà indurre ad assolvere la natura umana, perché conosco me stesso. Civilizzare vuol dire insegnare ad usare ciò che è inferiore senza stimarlo. Essere civilizzato significa non confondere ciò che è importante con ciò che è meramente necessario. Il barbaro si fa beffe di tutto oppure venera in modo incondizionato. La civiltà è un sorriso che contiene discretamente ironia e rispetto. La semplice veracità non salva un libro. Siccome esistono verità semplicemente insipide, la verità importante è sempre qualcosa di più di una resistenza vinta. 295
La spudoratezza di un testo è un mezzo meno diafano di una pudica confidenza. L’universo sembra un debitore moroso ai settari della giustizia e un creditore sublime agli adoratori della grazia. I primi pretendono che tutto sia dovuto loro, i secondi sanno di dovere tutto. Attraverso la sua visione del futuro il comunista si aliena. Avendo dimenticato il processo storico in cui “Ragione”, “Libertà” e “Progresso” si generano, trascurando di analizzare il significato ideologico che hanno, e avendo concesso loro il privilegio di un’atemporalità misteriosa, Marx si arrende incondizionatamente agli ideali del radicalismo borghese. L’obbedienza alla legge che dipende dalla volontà maggioritaria è un’obbedienza al capriccio; l’obbedienza a un uomo che riconosce norme oggettive è l’obbedienza alla legge. La politica dovrebbe essere la scienza che definisce le condizioni sociali più propizie alla percezione del valore e alla sua realizzazione. L’individualismo decade in una beatificazione del capriccio. L’autorità non è delegazione degli uomini, bensì procura dei valori. Non è legge quello che un atto della volontà decreta, bensì quello che l’intelligenza scopre. 296
Il consenso popolare è sintomo di legittimità, ma non la causa. Nella discussione sulla legittimità del potere non ha importanza se tale potere ha tratto origine dal voto o dalla forza. Legittimo è il potere che compie il mandato che le necessità vitali ed etiche di una società gli conferiscono. Rousseau: dalla ragione alla sensibilità, dal generale all’individuale, dall’oggettivo al soggettivo, dal valore impersonale al valore personale, dal fare all’essere. Festeggiamo che i democratici ergano statue a questo reazionario. Le regolamentazioni meticolose in difesa della libertà generano schiavitù. La libertà fiorisce meglio in recessi trasandati, come un tarassaco immortale. Anche se fossimo davvero uguali, non è detto che l’uguaglianza debba essere un ideale. La società che nega ufficialmente l’esistenza di classi sociali si converte surrettiziamente in un possedimento della classe sociale latente che la governa. Senza volere la tirannide, il popolo brama dei fini che la implicano. Non sono mandatari o rappresentanti del popolo né il capo dell’esecutivo né i membri del legislativo. 297
Entrambi sono organi dello Stato orientati al compimento del suo fine, che è la realizzazione del diritto. Le aristocrazie sono i parti normali della storia, le democrazie sono gli aborti. Quando il rispetto per la tradizione muore, la società, nel suo incessante affanno di rinnovamento, consuma freneticamente se stessa. L’opera d’arte è un patto con Dio. Oggi non basta più che il cittadino si rassegni, lo Stato moderno richiede dei complici. Dalla prospettiva di Dio la realtà è idea; dalla prospettiva dell’uomo l’idea è realtà. La metafisica consiste in un ammasso di sospetti in forma di sistema. La storia non contempla soluzioni, bensì situazioni. Biografi e lettori si precipitano, commossi, sugli episodi “molto umani” di qualunque vita di grande uomo. Senza la viltà di certi momenti, i nostri contemporanei non perdonano la grandezza di una vita. Lo psichiatra considera sani i soli comportamenti dozzinali. 298
Il giornalista sceglie i propri temi. Lo scrittore lo scelgono i temi. Senza il diario che lo “divora”, Amiel sarebbe stato un ordinario professore ginevrino. Senza il progetto che lo “sterilizza”, Mallarmé sarebbe stato un parnassiano qualunque. La critica attuale, tuttavia, si rammarica del fatto che la bellezza di Elena le abbia impedito di dedicarsi ai problemi sociali di Sparta. Nell’eroe storico o mitico, come Alessandro o Achille, gli antichi vedevano il modello della vita umana. Il grande uomo era paradigmatico e la sua esistenza esemplare. Il patrono del democratico, invece, è l’uomo volgare. Il modello democratico deve rigorosamente essere carente di qualunque attributo ammirevole. Il proletariato sorge quando il popolo si converte in una classe che adotta i valori della borghesia senza possedere beni borghesi. Il pensiero reazionario non assicura alcun successo ai suoi adepti; garantisce loro meramente che non diranno sciocchezze. L’opinione popolare è ancora ferma su una teoria precopernicana dei valori. Secondo questa teoria i valori nascono e muoiono, come se l’uomo contemplasse immobile le rivoluzioni della volta terrestre. 299
L’uomo procede vanamente. Se ciascun passo lo allontana dal fuoco abbandonato al mattino, la più lunga giornata non lo avvicina alla sua notturna meta. Il razionalismo è la superbia della ragione, la sua umiltà è invece la storia. Il razionalista decreta superflua e ridondante l’esistenza di altri uomini, mentre la funzione dello storico è quella di festeggiare il fatto che gli altri esistano. O Dio o caso: qualsiasi termine distinto maschera l’uno o l’altro. Per evitare un confronto virile con il nulla l’uomo erige altari al progresso. L’uomo a volte si dispera con dignità, ma è infrequente che speri con intelligenza. La fuga non è una protezione dal tedio. Bisogna addomesticare, per salvarci, una bestia flaccida ed ottusa. Dal tedio accettato germinano le cose più nobili. La venerazione dell’umanità è ripugnante come qualsiasi culto di se stessi. Siccome un problema nuovo nasce sempre dal problema risolto, la sapienza non sta nel risolvere problemi, bensì nel renderli mansueti. 300
Preferiamo sempre il sollievo che aggrava piuttosto che il rimedio che cura. Qualunque atto di rassegnazione è una breve agonia. L’unico antidoto all’invidia, nelle anime volgari, è la vanità di credere di non aver da invidiare nulla. A qualunque epoca successiva non sono i vecchi delle epoche passate che sembrano vecchi, bensì i giovani. Coloro che inventano le proprie idee non possono insegnarle senza ironia. Solo il discepolo sa. La provvidenza procede con tale sottile ironia che gli uomini non sempre avvertono che essa li castiga o che si burla di loro. Il mondo moderno è interessante solo negli episodi pubblici o privati in cui i suoi miti si frantumano. La “Rivoluzione” è un patto fra il Satana di Milton e l’Homais di Flaubert. Per l’uomo moderno le catastrofi non sono insegnamenti, bensì insolenze dell’universo. Il critico letterario che non si contraddice frequentemente, si sbaglia. 301
Nel suo affanno di vincere la partita contro l’umanitarismo democratico, il cattolicesimo moderno così riassume il duplice comandamento evangelico: Amerai il tuo prossimo sopra ogni cosa. Limitato alla sua sola vita, l’individuo attuale ignora quel prolungamento della propria personalità nello spazio e nel tempo che proveniva dalla sua appartenenza a una famiglia i cui differenti anelli erano tra loro legati per mezzo dell’identità continua di una terra patrimoniale posseduta per lunghi secoli. Nel nostro tempo l’individuo nasce slegato e muore in modo più totale. Fintantoché non possiede tutto, l’uomo non possiede nulla, giacché in qualsiasi possesso sentiamo solo dei limiti. Siamo troppo ignoranti per asserire la possibilità o l’impossibilità di alcunché. Nulla facilita tanto il rivoluzionario nell’ordinare innumerevoli esecuzioni quanto il sapersi ostile alla pena di morte. Il credente sa come si dubita, ma l’incredulo no sa come si crede. L’importanza di un “messaggio”, in letteratura, dipende dalla qualità del messaggero. I libri di filosofia o di letteratura sono, in gran parte, metà 302
pensati e metà scritti. A differenza dello scrittore, l’intellettuale è carente di un idioma. Il suo linguaggio è un dialetto nel quale si scontrano i vocabolari di tutte le mode del suo tempo. La storia, nel negare ogni trascendenza, si suicida. Se la realtà è soltanto temporale, il suo luogo è il presente. Il passato è carente di importanza. Affinché la storia riguardi noi, qualcosa in essa la deve trascendere: nella storia ci deve essere qualcosa di più della storia. La spiegazione di un fatto storico è un fatto più vasto che lo ingloba. Lo storico spiega un fatto narrandone un altro nel quale il primo si situa. Lo scemo si scandalizza e ride quando ravvisa che i filosofi si contraddicono. È difficile far capire allo scemo che la filosofia è precisamente l’arte di contraddirsi mutuamente senza annullarsi. Chi si sente portavoce dell’opinione pubblica è stato schiavizzato. “Raison”, “Nature”, “Clarté”, sono concetti che non significano nulla fintantoché non verifichiamo che cosa paresse razionale, naturale o chiaro a un francese del XVII 303
secolo. Tutte le epoche battezzano come assoluto il proprio aneddoto. Ciò che è rituale è il veicolo del sacro. Qualsiasi innovazione è profana. La storia non è posto in cui gli antagonismi si risolvono, bensì dove si dimenticano. Le vittorie terrestri non sono ottimistiche sintesi dialettiche, bensì tragica scomparsa empirica di uno dei termini dell’anteriore antagonismo. Il volgo chiama intelligenti solo quegl’atti in cui l’intelligenza è al servizio dell’istinto. La filosofia non è oggetto di apprendimento, bensì di conquista. La massima puerilità politica consiste nell’attribuire i vizi inerenti alla condizione umana a determinate strutture sociali. La matematica è la poesia del principio di identità. L’uso corretto della libertà può consistere in aderire ad un destino, però la mia libertà consiste in poter rifiutare di farlo. Il diritto al fallimento è un importante diritto dell’uomo. La pittura non figurativa è il realismo della nostra epoca. L’astratto è l’unico mezzo di cui l’immaginazione è dotata 304
per affrontare l’abietto. L’uomo non si sente libero fintantoché le sue passioni non lo schiavizzano. Non dobbiamo ambire a possedere insiemi armonici di idee, ma corretti riflessi intellettuali. Le prove dell’esistenza di Dio sono l’ideologia del sentimento della sua presenza nell’anima. L’indifferenza per l’arte si tradisce con la solennità pomposa dell’omaggio che le si suol rendere. Il vero amore resta in silenzio oppure se ne burla. Lo scemo che fa il verso a un grande filosofo è solo l’eco di se stesso. La lettura dei grandi filosofi non insegna che cosa dobbiamo pensare, bensì come dobbiamo farlo. Le verità scientifiche possono trasmettersi senza svalutarsi, mentre qualunque verità filosofica diventa stoltezza in bocca al volgo. L’opinione pubblica è sempre stolida quandanche vi risuoni una parola sottile. La critica letteraria include tutto quello che all’uomo intelligente viene da dire su un libro. La tecnica non è un’applicazione della scienza. 305
La scienza è una teoria della tecnica. Il mondo è interessante solo quando si riflette nell’immaginazione dell’uomo. Il verso, nel teatro, possiede il vantaggio di impedire all’autore di trattare i temi che appassionano il volgo. Nel diventare internazionale, uno stile si prepara a morire. Spiegare vuol dire sottomettere il caso ad una legge e ciascuna legge ad una legge più generale. Comprendere significa ottenere che la nostra esperienza si identifichi con un’esperienza estranea. Quello che è spiegato rimane una volta per tutte scoperto; quello che è compreso dev’essere di volta in volta nuovamente scoperto. Ammirare ciò che non ci diverte rappresenta la tappa intermedia fra la tappa primitiva, nella quale ammiriamo solo ciò che ci diverte, e la tappa finale, dove ci diverte solo ciò che ammiriamo. Fra l’opera riuscita e l’opera fallita non esiste una differenza che la ragione chiarisca, bensì una distanza che lo spirito constata. Quasi tutte le idee sono come un assegno scoperto che circola fintantoché non si prova a riscuoterlo. Forse non esiste stoltezza pari a quella di passare la vita leggendo scrittori mediocri per il solo fatto che sono nostri contemporanei. 306
Le tre grandi imprese reazionarie della storia moderna sono: l’umanesimo italiano, il classicismo francese e il romanticismo tedesco. L’autore si esprime nella propria opera e simultaneamente esprime qualcosa con essa. L’estetica classica dimenticava la prima cosa e l’estetica romantica la seconda. L’estetica moderna, attenta alla sola espressione, dimentica sia la prima cosa sia la seconda. Gli elementi ultimi dell’universo devono essere definiti tautologicamente. Questi elementi brulicano. L’inintelligibile è la regione nella quale l’anima alla fine respira. L’etica entusiasma l’incredulo, mentre il credente si rassegna meramente alla morale. Lo storico moderno è meno interessato agli individui che alle loro circostanze. Riflesso dell’attuale mutamento: la maniera di vivere è più importante della qualità di chi vive. L’invidioso vede nella storia solo le abitudini condivise da tutti. Le caratteristiche definibili di un’opera d’arte definiscono 307
la sua collocazione senza definire il suo rango. Il grande scrittore è quello che trasforma inconsciamente in ragioni i pregiudizi dei propri predecessori. La confusione di un testo non deriva tanto da un vizio dell’intelligenza quanto da un difetto del carattere. Qualsiasi confusione proviene dal timore di pensare a fondo. Le idee pure e vergini sono insulse. L’idea acquisisce sapore scorrendo nella storia. Lo storico che si ferma per fare un taglio orizzontale nella storia scrive un capitolo di autentica sociologia. La sociologia è la visione statica di un lasso di tempo storico più o meno esteso. Tra complici gli aggettivi non servono. Il vero aristocratico è colui che ha una vita interiore. Qualunque sia la sua origine, il suo rango o la sua fortuna. Il sommo aristocratico non è il signore feudale nel suo castello, bensì il monaco contemplativo nella sua cella. Nessuno si può appropriare di un idea superiore a quella che riesce ad inventare. Chi crede di poter impadronirsi di un’idea per il fatto di usurpare un vocabolario assomiglia a chi si crede nobile perché compra un titolo. 308
Le letture filosofiche sono conversazioni con intelligenze insigni, col calore delle quali le nostre idee proliferano. Sotto il sole di Platone, di Cartesio, di Kant germogliano ugualmente, secondo le sementi, rose o rape. Niente di ciò che accade è necessario, però tutto diventa necessario una volta accaduto. Tutto ha una causa, ma qualunque causa ha una pluralità virtuale di effetti. Quando l’immaginazione dell’osservatore si indebolisce, il mondo pare popolarsi di esseri inautentici. La carenza di generosità intellettuale del censore produce l’inautenticità che censura. Solo l’imbecille non sente mai dell’empatia verso i suoi nemici. Preferire una teoria a un mito non è un requisito della “verità” bensì una questione di moda. Il cattolicesimo di sinistra è la pretesa di battezzare delle tesi che non si sono convertite. Il cristiano attuale non si affligge perché gli altri non siano d’accordo con lui, bensì perché lui non è d’accordo con gli altri. La xenofobia nazionalista conserva intatti alimenti deliziosi 309
per coloro che non sono né nazionalisti né xenofobi. Vedere diventa monotono se non è per vedere come vedono altri. La letteratura non è “espressione della società”. Quello che viene espresso da una letteratura non esiste come realtà indipendente dalla sua espressione letteraria. La completa definizione di una società, tuttavia, comprende la letteratura che in essa viene scritta. Una società giusta sarebbe carente di interesse. La discrepanza tra l’individuo e il posto che occupa fa diventare la storia interessante. Fornire una risposta religiosa all’enigma del mondo è un indizio meno sicuro di religiosità che affrontarlo con un interrogativo religioso. L’oscurità di un testo non è un difetto quando ciò che dice si può dire solo in modo oscuro. Tutte le epoche manifestano gli stessi vizi, ma non tutte presentano le stesse virtù. In ogni tempo ci sono tuguri, ma solo a volte ci sono palazzi. La natura, per non perire per mano della tecnica, si rifugia nell’immaginazione di alcuni uomini. La volgarità consiste tanto nel denigrare ciò che merita 310
rispetto quanto nell’elogiare ciò che non lo merita. Nella filosofia di Newman si rende esplicita l’apologetica celata nelle pieghe dello scetticismo di Hume. Una grande intelligenza filosofica è quella capace di inventare idee sottili e fini che presentino, tuttavia, gli spigoli bruschi e i contorni nitidi delle idee grezze. Tanti uomini illustri a volte espongono idee così cretine che non ci azzardiamo a credere di aver compreso. Colui che crede di assomigliare ai grandi incorre in una stupidità minore di colui che crede che i grandi assomiglino a lui. Il democratico suppone che per salvaguardare la dignità propria convenga fare a meno di encomiare la grandezza altrui. Nel confessarsi dipendente, lo spirito nobile si sente arricchito dallo stesso omaggio che rende. La volgarità, in soldoni, consiste nel dare del tu a Platone o a Goethe. L’ironia a volte è meramente un sintomo della carenza di senso storico. Certe intelligenze riescono ad impoverire ciò che toccano. 311
Il gioco apparentemente più frivolo, nella letteratura francese, si mette in rilievo in una penombra di orazione o di blasfemia. Meglio di qualsiasi altro popolo, quello francese ha saputo vivere la propria politica con un’ammirevole coscienza del suo significato spirituale. Il grande critico è tanto la somma delle proprie eccentricità e dei propri capricci quanto delle sue riuscite. I problemi del XIX secolo preoccupano così tanto l’uomo di sinistra che i problemi del XX secolo non lo toccano nemmeno. I problemi posti dall’industrializzazione della società gli impediscono di vedere quelli posti dalla società industrializzata. Il progressismo sta invecchiando male. Ogni generazione porta un nuovo modello di progressismo che accantona con spregio il modello anteriore. Non vi è nulla di più grottesco del progressista alla moda di ieri. Solo pochi economizzano la propria energia per le preferenze autentiche. Il romanticismo non “scoprì” la natura, bensì il divorzio minaccioso tra la natura e l’uomo. 312
La letteratura moderna: una colossale impresa reazionaria. L’incredulo si immagina che la religione pretenda di fornire soluzioni, mentre il credente sa che promette solo di moltiplicare gli enigmi. Nessuna epoca è epoca di transizione. Qualunque epoca è un assoluto che divora se stesso. La filosofia è un genere letterario. La vita pare sempre una mera preparazione alla vita. I nostri fini si convertono immancabilmente in mezzi. La tragedia moderna non è la tragedia della ragione vinta, bensì della ragione trionfante. La solitudine dell’uomo moderno nell’universo è la solitudine del padrone in mezzo agli schiavi silenziosi. Lo scrittore moderno scrive un romanzo con quello che Balzac esauriva in un paragrafo. La “teologia delle realtà terrestri” si riduce a mero terrenismo se pretende di essere più di un’estetica. Soltanto la bellezza è l’incontaminata realtà terrestre. Il Concilio Vaticano Secondo sembra meno un’assemblea episcopale che un conciliabolo di manifatturieri impauriti per aver perso la clientela. 313
Il cattolicesimo languisce quando si rifiuta di alimentarsi di sostanza pagana. I commensali declinano l’invito al banchetto celeste quando vengono avvertiti che il Walhalla non lo contempla. Il Cristo dei moderni è figlio di un falegname che la propria eloquente rivendicazione della giustizia sociale erge a prototipo dell’intelligenza rivoluzionaria. Oppure, alternativamente, egli è il simbolo mitico dell’umanità divinizzata. Come sono stolti, tuttavia, quei lettori che non sono intimiditi da questo strano personaggio che attraversa le lande evangeliche come una burrasca notturna. L’agitatore crocifisso assomiglia più al Pantocratore bizantino che all’esempio delle assistenti sociali. Essendo l’irrecusabilmente gratuito, ciò che è estetico deve servire da canone supremo per il pensiero. Dobbiamo utilizzare le categorie estetiche come criterio di qualunque interpretazione storica. Ciò che è estetico è la manifestazione sensibile e profana della grazia. La storia si arricchisce quando ne contempliamo i fatti indirettamente. Come verificando ciò che dice uno scholar inglese di quello che opina un Gelehrte tedesco su che cosa pensava un umanista italiano a proposito del riferimento che un commentatore latino fa a quanto asseriva un erudito alessandrino su un tragico ateniese. 314
Quelli che non capiscono che due atteggiamenti perfettamente contrari possono essere entrambi perfettamente giustificati non devono occuparsi di critica. Il mondo moderno non è una disgrazia definitiva. Esistono depositi clandestini di armi. Lo studio dei miti appartiene alla metafisica e non alla psicologia. Il rituale dello scandalo è altrettanto convenzionale del rituale dell’encomio. L’uomo moderno è un prigioniero che si crede libero perché si astiene dal palpare i muri della sua cella. Lo scrittore che odia o ama convince meno di quello che ama e odia. Il Dio trascendente non è una proiezione del padre carnale. Un riflesso di Dio, al contrario, rende padre il progenitore animale. Ciò che è religioso non è espressione di fatti psicologici o sociali. Ciò che è sociale o psicologico, invece, sono simboli di ciò che è religioso. Quello che ci commuove è sempre realtà metafisica. Per il pensiero religioso il repertorio tipologico della sua storia sacra si ripete indefinitamente nella storia profana. I tipi sono la struttura della sua storia universale. Nei momenti in cui la sua vita ha significato, l’uomo ripete i gesti di un dio. 315
Colui che risolve “armoniosamente” un problema etico si colloca soltanto ad un livello etico inferiore. La storia dell’arte è la storia dei suoi materiali, delle sue tecniche, dei suoi temi, delle sue condizioni sociali, dei suoi motivi psicologici o della sua problematica intellettuale, però non è mai storia della bellezza. Il valore non ha una storia. Il nominalista vive in mezzo ai fatti. Il realista in mezzo agli dèi. Più che cristiano, forse sono un pagano che crede in Cristo. Nelle scienze sociali si suole pesare, contare e misurare per non essere costretti a pensare. L’“intuizione” è la percezione dell’invisibile così come la “percezione” è l’intuizione del visibile. Come un ragno la coscienza tesse la rete del lessico per catturare le idee che volano negli spazi interiori come insetti ebbri. Per difendere una convinzione non conviene sempre mostrare che un’altra convinzione la giustifica. Solitamente succede che le convinzioni giustificatrici sono meno convincenti di quelle giustificate. Interpretare la storia si riduce a sottolineare correttamente 316
le sue articolazioni nel tempo. La ragione a volte debilita ciò che protegge. La verità è la fòrmula che spiega fedelmente la nostra visione di un oggetto. Essendo la relazione tra l’oggetto che si evidenzia e la persona per la quale risulta evidente, la verità è legata ad una intuizione concreta. La formula cessa di essere verità per chi non può ricostruire attraverso di essa l’esperienza che la fonda. Bisogna sospettare che vi sia una certa ipocrisia in ogni intelligenza coerente. Il poeta mediocre inventa i propri simboli. Il grande poeta li scopre. La parafrasi in prosa del poema non rivela il suo significato, bensì il principio della sua struttura. Il senso prosastico del poema costituisce la sua forma interna, perché è il fattore che organizza in poema un insieme di vocaboli. L’oggettività artistica può essere più personale della confidenza. Per imporre una personalità inconfondibile non è mai necessario parlare di se stessi. Il programma giacobino non è stato una mera febbre ossidionale come si è fatto notare, giacché è ancora in 317
agguato. Il romanticismo esprime essenzialmente l’anelito a non essere qui: qui in questo posto, qui in questo secolo, qui in questo mondo. Non possiamo fornire prove delle nostre evidenze, bensì indicare le evidenze delle nostre prove. Nella società ugualitaria non trovano posto né i magnanimi né gli umili; c’è solo campo libero per le virtù volgari. Si richiede una classe sociale oziosa affinché i governanti siano educati in un clima di idee disinteressate. Quando immaginazione e percezione coincidono l’anima si appiattisce. Siccome la sapienza scivola solo sulle superimi, il pensiero che si crede profondo è solamente complicato. L’uomo non è che lo spettatore della propria impotenza. L’illusione di essere liberi cresce secondo la nostra sottomissione al mondo. Lo schiavo di tutto quanto lo circonda proclama la propria autonomia. Qualunque soddisfazione è una forma di dimenticanza. Persino coloro che praticano la vita interiore non si 318
possiedono, bensì si osservano. Chi è meno padrone di se stesso di Constant, Biran e Amiel? Il mondo è un sistema di equazioni scosso dalla tempesta della poesia. Una disciplina è scientifica quando non esige che colui che la esercita sia intelligente. Scienza è quello che solo un uomo intelligente inventa, ma che qualunque imbecille pratica. L’esercizio efficace di una disciplina letteraria non dipende dalla retta applicazione di metodi, bensì dalla qualità delle persone. Un’opera è letteraria quando autore ed opera sono indisgiungibili, scientifica quando chiunque può averla scritta. Nell’uomo colto la cultura non è giustapposta alla vita quotidiana. Colto è l’uomo che trasfigura in riflessi fisiologici i prodotti più nobili dello spirito. Il problema dello pseudo-significato è strano: cosa crediamo di star dicendo quando diciamo ciò che non significa nulla? L’unica definizione di virtù che non fa diventare attraente il 319
vizio è quella di Sant’Agostino: Virtus non est nisi diligere quod diligendum est17. La scienza alla fine si rapprende in formule e le filosofie in simboli. La formula è un ricettario di gesti pragmatici. Il simbolo cerca di stimolare nell’uomo le sue ali mutilate. La spiegazione dell’esperienza religiosa non si trova nei manuali di psicologia. Si trova nei dogmi della Chiesa. I nemici del mondo moderno, nel XIX secolo, potevano aver fiducia nel futuro. In questo XX secolo resta solo la nuda nostalgia del passato. La stupidità è il crimine imperdonabile di una classe oziosa, giacché essere intelligente è la giustificazione della sua esistenza. L’intelligenza ha i propri cittadini e i propri forestieri. Siamo abituati a chiamare perfezionamento morale il fatto che non ci rendiamo conto di cambiare di vizio. Quelli che ripudiano il dogmatismo devono scegliere fra indifferentismo e gerarchia. Le corruzioni del cattolicesimo sono divertenti, quelle del protestantesimo sono insipide. 320
L’attività demistificatoria si limita a constatare che le ideologie occultano interessi e passioni. Rimane ancora da definire se si tratta di interessi nobili o vili, di passioni magnanime o meschine. Fra religione e scienza c’è più antipatia sentimentale che opposizione logica. Il luogo e il tempo in cui avviene non sono attributi più propri del fatto storico piuttosto che il suo splendore o la sua miseria. Il giudizio di valore è giudizio su un valore, non un documento sul giudice. A partire dalla comparsa del surrealismo la retorica ha cambiato il suo mezzo senza cambiare la propria indole. Tradizionalmente la cattiva poesia era retorica intellettuale, oggi invece è retorica sentimentale. Il trionfo di colui che non dubita di se stesso è di una maestosità tediosa. Il valore pare soggettivo a chi confonde l’oggettività del valore scoperto con la soggettività del processo con cui lo si scopre. Sebbene non sia un oggetto trasmissibile e la sua autenticità sia un episodio di un’avventura personale, il valore non è invenzione, ma scoperta. Quello che vale può valere solo per me, però vale per me perché vale in sé. 321
Si sottrae alla decadenza solo chi misura con disprezzo tale processo inesorabile. Nell’intelligenza fine si prolunga l’anima stessa, mentre l’intelligenza volgare è un’escrescenza avventizia manovrata dall’istinto. Il cambio generazionale è il veicolo ma non il motore della storia. L’anima è ciò che nasce dalle cose quando queste durano. La filosofia interessante non è quella che estrapola evidenze, bensì quella che le delucida. Alcuni filosofi sono talmente ricchi che emettono solo una quota minima dell’oro che tesoreggiano. La maggioranza di essi, tuttavia, muore di inflazione cronica. Avere delle opinioni è il miglior modo di eludere l’obbligazione di pensare. La vera sintassi dello stile è l’idea. La conversazione è interessante solo con chi è solito dialogare in maniera accesa con se stesso. Quelli che camminano imperturbabilmente verso la loro meta sono uno spettacolo affascinante, ma tediosi interlocutori. 322
I calcoli degli intelligenti di solito sbagliano perché dimenticano lo stupido; quelli degli stupidi perché ignorano l’intelligente. Qualunque individuo con degli “ideali” è un potenziale assassino. Non sono scandalo né la superiorità sociale né l’inferiorità, bensì certi superiori e certi inferiori. I grandi libri possiedono una cortesia da re magnanimi: accolgono il lettore come se fosse un loro eguale. Lo scrittore mediocre tenta di umiliarci per occultare il suo basso rango. Così numerosi sono i poeti che scrivono solo un singolo buon componimento che dobbiamo considerare questi versi solitari come avventure di una poesia che si sbaglia di poeta. Il libro influente soffre della propria influenza. Qualsiasi nuovo stile insegna a decifrare determinate opere passate, però ce ne ostacola la percezione di altre. Certe forme estetiche rimangono eclissate per secoli perché una nuova forma ha modificato l’assetto della nostra visione. Imparare a leggere certi libri presuppone la dimenticanza di certi altri. Le Muse sono figlie della Memoria e dell’Oblio. Saper scrivere vuol dire ottenere che la frase aderisca al proprio significato senza discrepanze. 323
Sono stati sufficienti pochi anni affinché la poesia ermetica degli ultimi decenni scambiasse il suo incanto di tesoro promesso con il tedio di un indovinello risolto. Appoggiamoci al masso della divinità finché i fanghi di questo secolo fluiscono a valle. Siccome è ovvio che l’autentica opera d’arte è originale, l’illetterato si immagina che l’opera originale dev’essere necessariamente opera d’arte. La storia di queste repubbliche latinoamericane si dovrebbe scrivere senza disprezzo ma con ironia. Nelle altre lingue esiste una prosa corretta per un uso quotidiano, mentre in spagnolo scrive decentemente solo il grande scrittore. Il libro mediocre è maggiormente mediocre in spagnolo che in una lingua diversa. Il vecchio adotta inutilmente opinioni da giovane per far dubitare della sua vecchiaia. Solamente nei libri di coloro che le hanno inventate le idee non invecchiano. Per quanto tedioso possa essere il tema che tratta, l’intelligenza affascina. Il vocabolo usuale è sempre preferibile ai suoi rari sinonimi, però un lessico preciso scusa qualunque pedanteria. 324
L’esattezza verbale è una qualità estetica, mentre la rarità di una voce è un fatto sociologico. La classe sociale alta è quella per la quale l’attività economica è un mezzo, la classe media quella per la quale è un fine. Il borghese non aspira ad essere ricco, bensì ad essere più ricco. L’originalità di determinati scrittori proviene dall’incongnienza fra la visione che esprimono e gli abiti dell’idioma in cui scrivono. Questi scrittori sarebbero carenti di interesse se non scrivessero in una lingua che è per loro ribelle. Sull’ambigua autenticità della testimonianza si erge la più nobile autenticità dell’immaginazione. La più lieve commozione dell’anima ci fa sentire la nostra esistenza come un alveo che si riempie. Qualunque vita è una roccaforte sotto assedio. Solo il contemporaneo può esprimere il sapore di un’epoca e solo lo storico futuro può delineare la sua struttura. L’intelligenza ci difende dagli sciocchi meno bene di un’intenzionale vernice di stolidità. Il vinto ispira sempre simpatia perché, alla fine, di norma perdono solo coloro che si rifiutano di commettere 325
qualche vigliaccata. La storia non ha leggi, ma ne contiene. La storia è l’imprevedibile avventura elaborata attraverso le abitudini della condizione umana. Quando la propria immaginazione si infiacchisce, lo scrittore classico ricorre alle sue matrici, quello romantico scimmiotta se stesso. Così come chi descrive la condizione umana non ha bisogno di alludere a Dio, chi la interpreta non si può permettere di ometterlo. Il pensatore originale è difficile senza essere oscuro. L’oscurità proviene sempre dall’imperizia con la quale i discepoli maneggiano l’idioma del maestro. Il testo opaco è scritto in un lessico estraneo. Lo scrittore indifferente alla popolarità non pretende di essere contemporaneo degli scrittori del proprio tempo, bensì degli scrittori che ammira. Nulla di più stupido che disdegnare la stupidità quando sollecitiamo il suo applauso. La stupidità tattica dell’ambizioso rischia di convertirsi in stupidità autentica. La mente del democratico senile non contiene altro che idee per un discorso elettorale. 326
La nobile inquietudine è la risposta della coscienza al grido della nostra miseria comune. Quando ci angosciamo per la morte di una nazione o per l’avvenire della cultura, stiamo patteggiando con inquietudini subalterne. Le meschinità della mentalità moderna non sono errori occasionali bensì tratti congeniti. Qualunque vita è un esperimento fallito. Del fallimento ne può parlare con nitidezza solo chi è considerato un vincente dagli altri. La catasta di predicati incolori che chiamiamo descrizione di un individuo non è che un insieme di appunti cartografici per un viaggio possibile. Ma l’individuale a volte nasce dalla propria descrizione come un’assenza evocata da un profumo. Lo scrittore tradizionale non si occupa della tradizione alla quale appartiene, perché non ha dubbi sulla legittimità della propria genealogia. Lo scrittore tradizionalista, invece, imita diligentemente i suoi presunti predecessori per sembrare della medesima famiglia. Per persuadere il nostro interlocutore dobbiamo dedurre le verità da predicargli dagli errori nei quali crede. La più alta retorica è l’arte di prendere avvio da premesse 327
false per giungere a conclusioni vere. Una tradizione non è un presunto catalogo di virtù che si contrappone a un catalogo di errori, bensì uno stile di risoluzione di problemi. La tradizione non è una soluzione pietrificata, ma un metodo flessibile. Le virtù plasmate dalla volontà sono monumenti scolpiti da un artista meramente accademico. Neanche per i santi l’intelligenza è superflua. Esistono santi che la Chiesa ha canonizzato con senno, ma di cui non deve far mostra. « È così certo che niente di eccellente dipende da noi che solo il mediocre ci sembra “meritorio”. Le virtù alla nostra portata sono carenti di grazia. Il futuro appassiona coloro che credono nell’efficacia della volontà, mentre il passato affascina chi conosce l’impotenza dei propositi umani. Quello che l’uomo si propone è sempre tedioso, però quello che ottiene a volte ci stupisce. Il passato non è la somma di quello che l’uomo si è proposto, bensì di quello che Dio ha concesso. Il futuro è la somma dei propositi umani che Dio conculca. Dio è l’intralcio dell’uomo moderno. 328
Nutrire sfiducia verso l’ispirazione e fiducia verso il lavoro, come Baudelaire o Flaubert, non significa soccombere all’orgoglio, bensì sottoporsi alle condizioni della grazia. Come il mistico alla mortificazione ascetica. L’invidioso suole chiedersi con malizia a cosa serve il denaro al ricco, scordando che gli serve perlomeno affinché l’invidioso lo invidi. Sostare in ogni idea. Un istante. La classe media dell’intelligenza è lamentosa e gemebonda. In questo secolo non si devono riconoscere né compatrioti né contemporanei. Il subconscio affascina la mentalità moderna. Perché lì può impiantare le sue idiozie preferite come ipotesi irrefutabili. Non dobbiamo scrivere come parliamo, bensì come dovremmo parlare. Il materialista si irrita se qualifichiamo lo spirito come spirito, però se diciamo “spirito” (tra virgolette) si rasserena. Frustrato il tentativo di ridurlo alla materia, le virgolette calmano il materialista come un augurio di una sua riduzione eventuale. 329
Le nostre anime vivono la continuità del tempo come una serie discontinua di eternità che periscono in catastrofi susseguenti. La gran parte degli uomini non ha diritto di opinare, bensì di ascoltare. L’uomo può definire solo quello che costruisce. Il resto è meramente descrivibile. L’umiltà non disarma in quanto simbolo di anticipata sottomissione, bensì in quanto repentina rivelazione di un universo nel quale comandare è qualcosa di maleducato e volgare. Le regioni più remote dell’anima sono sempre le più popolate. Gli esploratori dell’anima più audaci sbarcano in zone urbanizzate. La banalità non sta in quello che si sente, bensì in quello che si dice. Per non agire come pedagoghi indignati dobbiamo diventare genealogisti dell’imbecillità. Classificare le sciocchezze oppure indagare la loro origine ci pacifica. Soltanto le anime raffinate possono toccare il piacere senza sporcarsi. Quanto più grande è l’incapacità di un popolo, tanto 330
minore è il suo bisogno di governo. Le discipline assiologiche rispondono tutte alla seguente regola: nessun valore è funzione costante di accadimenti operazionalmente definibili. Nessuna serie assiologica, in altre parole, coincide univocamente con una serie ontologica. Gli dèi girano per il mondo a volte vestiti di stracci, a volte incoronati. Le grandi opere non hanno discendenza, quandanche i loro imitatori sostengano il contrario. È fecondo soltanto il discorso balbuziente del quale si impadronisce una voce sovrana. L’estetica non può dare ricette, perché non esistono metodi per fabbricare miracoli. Ci sono quelli che confessano, senza vergogna, di “studiare” letteratura. La lucidità di un artista è altrettanto involontaria come la sua ispirazione. Una nazione civilizzata non deve ammettere di essere governata se non da scettici. I governanti che rappresentano solo una minoranza devono inventare la civiltà per non perire. I delegati di una maggioranza, al contrario, possono essere 331
scurrili, grossolani e crudeli impunemente. Quanto più grande è la maggioranza che lo appoggia, tanto meno il governante sarà accorto, tollerante, rispettoso della diversità umana. Quando i governanti si ritengono mandatari dell’umanità intera il terrore si avvicina. Gli uomini discrepano meno per il fatto di pensare diversamente che per il fatto di non pensare. Non vale la pena tentare di convincere quelli che non siano già convinti in anticipo. Convincere non vuol dire altro che esplicitare delle convinzioni implicite. Non dobbiamo cercare di spiegare, bensì di circoscrivere l’enigma. La società ammira senza ipocrisia solo l’intelligenza di colui che ottiene trionfi meschini. Una semplice virgola a volte distingue una mera banalità da un’idea. Le mete di qualunque ambizione sono vane e il loro esercizio dilettevole. La nostra opinione su un grande libro è il verdetto con il quale il libro ci giudica. La “torre d’avorio” gode di cattiva fama tra gli abitanti dei 332
tuguri intellettuali. Una stupidità rinnovata consente ad ogni epoca di burlarsi delle stupidità precedenti. Sentire come viene insultato un grande scrittore irrita meno che vederlo trattato con una compiacenza benevola. I critici vagabondano come cani impiccioni fra le grinfie dei grandi scrittori defunti. Ah, se si destasse il vecchio leone! Sapiente è chi non ambisce a nulla vivendo come se ambisse a tutto. Nessuno sa mai quale sia il criterio estetico che realmente sta applicando. Contemplato alla luce della nostra tristezza, della nostra gioia, del nostro entusiasmo o del nostro disprezzo, il mondo rivela una trama così sottile, un’essenza così fine che qualunque visione intellettuale, confrontata a questa visione dei sentimenti, pare appena un’ingegnosa volgarità. All’opposto di quanto accade ai contemporanei, i posteri percepiscono meglio le virtù dei capolavori e i difetti delle opere mediocri. Il “Progresso”, la “Democrazia” e la “Società senza classi” esaltano le folle, ma lasciano le Muse distaccate e fredde. 333
Il Progresso, nel Parnaso, respira male. I critici marxisti sfilano di fronte alle opere d’arte come il popolo di Parigi il 20 di giugno di fronte a Luigi XVI. La filosofia di Schopenhauer non esclude Dio necessariamente. Semplicemente non lo include. Lì, Dio sarebbe il fine della volontà e l’unico nutrimento che la sazia. Il nemico mortale di Dio è l’incredulo rispettoso. Solo l’anima vacillante è immune alla volgarità. L’uomo intelligente, invecchiando, deve fingere la sicurezza dogmatica dell’adulto. Per salvaguardare l’adolescente che perdura in lui. Il verbo al futuro è la modalità prediletta dell’imbecille. Quelli che accettano il lessico dei nemici si arrendono senza saperlo. Prima di rendersi espliciti nelle proposizioni, i giudizi sono impliciti nei vocaboli. Gli artisti moderni ambiscono talmente a differire gli uni dagli altri che questa stessa ambizione li raggruppa in una sola specie. Il culto cattolico è stato riformato affinché il calore della moltitudine riunita covi l’uovo del Grand-Etre di Comte. 334
Il trionfo o la sconfitta del comunismo tengono svegli coloro che sono angosciati dal colore, tanto rosso come un altro, del sudario. I compiti Sociali fondamentali richiedono una certa stupidità. Le intelligenze che illuminano la storia non avrebbero potuto né fare affari né reggere uno Stato. Non ammirare altro che le opere davvero ammirevoli è indizio di gusto dubbio. Il vero tatto letterario e l’autentica passione apprezzano l’incanto del poeta minore e la delicatezza di prose subalterne. L’uomo scolpisce solo vittorie mutilate. Soltanto l’allusione può evocare presenze concrete. Il poeta vuole trasmettere ciò che sente, però confessa solo ciò che è. Per quanto meschina e povera sia, qualunque vita ha istanti degni di eternità. Non si deve parlare dell’amore fisico con grossolanità o con pompa, bensì con passione o con odio. Le idee si arrendono solo a chi le palpa come corpi nudi. Dio non è l’Amore, bensì il profilo esatto del mio amore. 335
I posteri preferiscono l’aneddoto piuttosto che l’idea. Solo la chiacchiera non deperisce. Niente di più ripugnante di quello che lo sciocco definisce “un’attività sessuale armoniosa ed equilibrata”. La sessualità igienica e metodica è l’unica perversione detestata tanto dagli angeli quanto dai demoni. Qualsiasi fatto è sempre meno interessante della sua narrazione. La fantasia sfrutta i ritrovati dell’immaginazione. La bellezza delle cose nobili diffonde nell’anima un’agitazione che la trascina verso regioni il cui portico è la morte. Ogni nostro sentimento aspira all’intelligibilità verbale, alla chiarezza dell’intelligenza. L’intera ricchezza del mondo aspira alla miseria del verbo. Senza dignità, senza sobrietà, senza maniere raffinate non esiste prosa che possa soddisfare pienamente. Oltre al talento, al libro che leggiamo chiediamo anche buona educazione. Il significato dei migliori versi è appena un fugace lampo notturno. La buona educazione, in fondo, non è altro che la maniera 336
di esprimere il rispetto. A sua volta il rispetto è un sentimento che la presenza di una superiorità ammessa infonde, per cui dove mancano gerarchie, reali o fittizie ma osservate, la buona educazione perisce. La villania è un prodotto democratico. Noi uomini ordinari semplicemente viviamo. Solo gli uomini intelligenti esistono. L’umanità cambia meno quello che ammira piuttosto che le ragioni con le quali giustifica la sua ammirazione. Per tremila anni Omero è stato ammirato di volta in volta per ragioni contraddittorie. Le opere sopravvivono alle estetiche. L’estetica è la meditazione di colui che è carente di gusto sui misteriosi successi di colui che ce l’ha. Solo quando è venduto il critico formula giudizi impersonali. Quando il critico non è complice è semplicemente cieco. L’uomo attuale reclama la libertà affinché la viltà fiorisca impunemente. Di fronte all’uomo intelligente che diventa marxista avvertiamo la stessa cosa dell’incredulo di fronte ad una giovane graziosa che entra in convento. Sainte-Beuve è il supremo Selbstbewußtsein 18 letterario. 337
Lo scrittore nitido, in qualunque epoca egli viva, non si preoccupa di appartenere alla letteratura contemporanea. Per lo scrittore autentico la letteratura contemporanea è quella fatta da lui stesso. Seguire la moda importa soltanto all’artista che non sarà mai la moda da seguire. Non c’è stupidaggine che l’uomo moderno non sia capace di credere, sempre che ciò eluda credere in Cristo. Il XVIII secolo? I XVIII secoli. Le debolezze del grande uomo non lo mostrano più umano, bensì meramente più simile al volgo. L’individualismo intransigente, che è stato il morbo del XVIII secolo, è l’ultimo rimedio che rimane al XX. L’artista attuale desidera che la società lo ripudi e che la stampa lo elogi. L’anima borghese si sente redenta quando si annuncia inconformista. L’artista contemporaneo si ribella contro la borghesia per poterle vendere più care le proprie opere. L’estremismo politico serve a discolpare la mediocrità intellettuale. 338
È più facile avere opinioni ardite che essere intelligente. Non è la città celeste dell’Apocalisse quella che inquieta il cattolico progressista, bensì la città-giardino. L’ateo, a suo modo, concede al cristiano che il cristianesimo si basa sull’esperienza pasquale, mentre il progressista evangelico mostra che la sua falsificazione comincia con la Pasqua di Resurrezione. Quando l’imbecille raccoglie, per lanciarli a propria volta, gli insulti lanciati da un genio, bisogna passare dalla parte degli insultati. Senza la zavorra dei “cristiani mediocri” la Chiesa si ribalterebbe. Quelli che si specializzano nel discendere fino al fango per disseppellire le sordide radici delle nostre virtù ricevono l’applauso della nostra viltà congenita. L’uomo moderno crede che l’analisi di un prodotto riduca questo ai suoi componenti. L’uomo, per contrastare la convocazione di Dio, fa appello al proprio degrado. Virtualmente l’uomo può costruire apparecchi capaci di tutto. Eccetto di avere coscienza di se stessi. 339
Non esiste idiozia che una sintassi elegante non possa redimere. La fede di qualunque uomo intelligente, qualunque fede, barcolla quando ascolta i suoi correligionari. In nessuna epoca anteriore le lettere e le arti hanno avuto maggior popolarità che nella nostra. Arti e lettere hanno irrotto nella scuola, nella stampa e negli almanacchi. Nessun’altra, tuttavia, ha fabbricato oggetti tanto brutti, né fatto sogni così volgari, né adottato idee altrettanto sordide. Si suol dire che il pubblico è meglio educato. Ma non si nota proprio. L’arte non educa che l’artista. Il lessico religioso riceve da chi lo profana un tale vigore espressivo che in bocca di quelli che semplicemente lo volgarizzano non avrebbe mai. Quasi qualunque anima possiede tre strati distinti: un buccia amara, una polpa tenera e un nocciolo vile. Lo spettatore di Edipo, di Amleto, di Fedra e di Faust gode più della propria “cultura” che del pezzo teatrale. La Rivoluzione Francese sembra ammirevole a chi la conosce male, terribile a chi la conosce meglio e grottesca a chi la conosce bene. I prolegomeni a una dottrina possono comparire dopo 340
anni dalla dottrina stessa. Esistono così dottrine successive alla dottrina che precedono e dottrine precedenti alla dottrina che seguono. Le obiezioni normalmente mosse a un Kierkegaard, a un Baudelaire, a un Pater implicano che si dovrebbe criticare Cristo per aver vissuto da celibe, distante dai commerci e restio ad occupare qualche carica nell’amministrazione pubblica. Il sintomo più sicuro della mediocrità di un pezzo teatrale è la possibilità di definire in modo soddisfacente il suo argomento. È savio non tanto chi dice la verità, quanto chi conosce la precisa portata di quello che dice. Chi pensa di non dire nulla di più di quello che sta dicendo. Chi acquisisce esperienza politica confida solo nella massima classica: non fare oggi quello che può essere lasciato per domani. Lo scemo non rifiuta i luoghi comuni in quanto sciocchi, bensì in quanto comuni. Maturare vuol dire trasformare un numero crescente di luoghi comuni in esperienza spirituale autentica. Trangugiare banalità, assimilarle, alimentarsi di esse è il sintomo inequivocabile dell’autentica originalità. Il monarca legittimo conia a propria effigie le monete dei 341
suoi predecessori. Per trattare il tema che conosciamo male abbiamo bisogno di un libro, ma sono sufficienti poche frasi per quello che ci è familiare. L’ignoranza ci fa diventare prolissi. Per fare centro è necessario contraddirsi. Poiché l’universo è contraddittorio. I filosofi non sono dei cacciatori di verità: le verità sono delle cacciatrici di filosofi. La retorica, indubbiamente, serve ad occultare l’assenza di idee, però il vocabolo retorica si usa per denigrare le prose più belle. Con questo termine si fanno scudo coloro che sono insensibili alla bellezza letteraria. Le obiezioni di quelli che non condividono le convinzioni che criticano sono sempre discordanti e incongrue. Dove si riesca effettivamente ad istituzionalizzare davvero la mobilità sociale, le rivoluzioni si renderanno difficili, però la civiltà sarà impossibile. Le idee tiranneggiano colui che ne ha poche. Gli storici recenti assegnano più importanza alla geodesia della storia piuttosto che alla sua climatologia. Il grande storico, tuttavia, è chi si può permettere di 342
disegnare una mappa erronea degli accadimenti di un’epoca, purché indovini nell’evocazione del suo “spirito”, della sua “anima”, del suo “sapore”, del suo “colore” e del suo “clima”. Secondo Acton, Luigi Filippo asseriva che la Histoire des Girondins era il documento migliore su ciò che era stata la rivoluzione per i contemporanei. Magari la funzione dell’erudito è quella di glossare i Lamartine e i Michelet. La società aristocratica è quella nella quale l’anelito della perfezione personale è l’anima delle istituzioni sociali. Alla società democratica è sufficiente, nel migliore dei casi, garantire la convivenza. Le società aristocratiche, invece, erigono sulla gleba umana un palazzo di cerimonie e di riti al fine di educare l’uomo. Le feste democratiche commemorano rivolte vittoriose. L’aristocrazia preferiva le pompe liturgiche. La festa della Federazione terminò in balli di contrada. L’etichetta imperiale si prolungò nel rito gallicano di una messa milanese. L’aristocratico non difende la libertà per assicurare l’autonomia della propria volontà, bensì l’autonomia delle norme proprie della perfezione personale di ogni individuo. Lo storico che spregia la “superficie pittoresca della storia”, con la pretesa di diventare un rabdomante di “correnti storiche profonde”, sta dimenticando che la storia è quello che succede all’individuo in carne ed ossa in un certo istante e in un certo luogo. 343
In un’economia borghese gli uomini sono dei mezzi usati per acquisire dei beni. In un’economia feudale i beni sono dei mezzi usati per acquisire degli uomini. L’uomo si deve fingere civilizzato per poter esserlo. La sua capacità di ipocrisia misura la capacità di civilizzazione di un popolo. Sospetto di qualunque idea che non paia obsoleta o grottesca ai miei contemporanei. Il culto dell’umanità si festeggia con sacrifìci umani. La fede, qualunque fede, deve chiedere allo scetticismo di comporle i programmi politici. I nuovi catechisti proclamano che il Progresso è l’incarnazione moderna della speranza. Però il Progresso non è una speranza emergente, ma l’eco agonizzante della speranza scomparsa. La letteratura ha tre nemici; essi sono il giornalismo, la sociologia e l’etica. La libertà perdura fintantoché lo Stato funziona tra l’indifferenza cittadina. Si abbozza il dispotismo quando il cittadino si entusiasma a favore del proprio governo o contro di esso. 344
Il marxismo mostra che l’economia determina la storia, però pretende di redimere l’uomo attraverso una riforma giuridica. L’Europa, in senso stretto, consta dei paesi educati dal feudalesimo. Il pre-marxista è infantile e il marxista grezzo; solo il postmarxista è adulto. Credere nei posteri è una scemenza necessaria allo scrittore. L’ambiguità della nozione di classe permette di adulterare la storia, trasformando le guerre civili, che sono frequenti, in guerre servili, che sono scarse. Lo storico marxista dà una mano di vernice monocroma sopra le tinte policrome della storia. Per il marxista, il ribellismo nelle società non comuniste è un fatto sociologico e nella società comunista un fatto meramente psicologico. Nel primo caso si ribella uno “sfruttato”, nel secondo caso si rivela un “traditore”. Cervantes è colpevole dell’insipidezza della critica cervantina spagnola perché ha dato in eredità un libro ironico a un popolo senza ironia. È intelligente solo chi non teme di essere d’accordo con gli stupidi. 345
Chiamiamo intelligenti coloro che si sbagliano in un determinato modo. L’incarico della sociologia è l’elaborazione di un lessico per lo storico. Nessuno si ritrova quando cerca meramente se stesso. La personalità nasce dal conflitto con una norma. L’“io” non è “haïssable”19; ciò che è “haïssable” è il “noi”. Il proletariato, nel nostro tempo, è il padrone della “giustizia”, della “legge” e della “storia”. L’orgoglio del fariseo pulsa nei cuori proletari. Si è perduto il senso dell’orgoglio individuale. All’idea di grandezza personale è stata sostituita l’idea del potere della specie. Una simile conversione al collettivo preserva l’orgoglio per anni da esperienze che lo umiliano. L’orgoglio individuale, in effetti, riscontra presto la propria inezia, mentre l’orgoglio della specie può aver fiducia in istanze future che lo riscattino anche nel mezzo di un disastro. L’umanità è l’ultima spiaggia dello scemo. Tutti si sentono superiori a ciò che fanno, poiché si credono superiori a ciò che sono. Nessuno crede di essere il poco che in realtà è. 346
La nostra apparenza insignificante è la testimonianza fedele della nostra insignificante realtà. Non è fare tabula rasa del passato il modo di operare efficacemente, bensì lo è plasmare il nostro proposito nel suo marmo. L’originalità è plagio di un genio. Evidenza e coerenza si escludono. L’oggetto di malgusto viene fabbricato dove il prestigio sociale fa acquisire oggetti che non procurano piacere alcuno a chi li compra. La metafora è un ornamento barocco. L’arte barocca è quella che predilige l’espressione metaforica a quella diretta. L’arte classica è quella che cerca di evitare la metafora che l’uso e l’usura non hanno trasformato in semplice vocabolo. Classica è l’arte che esprime il massimo del significato con il minimo delle metafore. Il diavolo sceglie, in ciascun secolo, un demonio diverso per tentare la Chiesa. Il demonio attuale è singolarmente sottile. L’inquietudine della Chiesa di fronte alla miseria delle moltitudini oscura la sua coscienza di Dio. La Chiesa inciampa nella più astuta delle tentazioni: la tentazione della carità. Distruzioni e ricostruzioni, nella storia, hanno un autore 347
noto. Ma le costruzioni sono anonime. La sventura di chi non è intelligente è che non ci sono idee intelligenti. Idee cioè che sarebbe sufficiente adottare per essere alla pari con l’intelligente. Della letteratura trascorsa l’illetterato apprezza soltanto quello che gli ricorda l’arte contemporanea che ammira. La comparsa recente di una letteratura di professori ci ha riconciliato con la letteratura di giornalisti. Lo storico ha la possibilità di scrivere la storia di quello che odia, ma non di quello che disdegna. Alcuni storici sembrano supporre che Atene interessi perché importava grano ed esportava olio. L’opera letteraria si suol scrivere negli intermezzi della meditazione dell’autore sull’opera che si propone di scrivere e che mai scrive. Nessun autentico problema ha soluzione. E questo è ciò che definisce la sua autenticità. Qualunque esegesi del Vangelo ci convince della riuscita dell’esegeta opposto. La vita è tema da natura morta, interessante soltanto in pittura. 348
La carità è virtù dei forti. Tra i deboli è elucubrazione sulle future corrispondenze mutue.
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Coloro che citano un autore mostrano che sono stati incapaci di assimilarlo. Tanti “filosofi” credono di pensare perché non sanno scrivere. Quando una nazione ne imita un’altra, la nazione imitata disdegna quella che la imita. Qualsiasi copia pare grottesca all’originale. Fra nazioni rinchiuse nelle proprie differenze, al contrario, esiste ostilità, ma non disdegno. Il meteco è un più sicuro candidato al disprezzo da parte dell’autoctono che il semplice pellegrino. Siccome in storia tutto è causa di tutto, non esiste disciplina più difficile né più facile. Nei paesi intellettualmente indigenti, il patriottismo del lettore compensa il talento insufficiente dell’autore. Le grandi potenze non hanno bisogno di inventarsi grandi uomini come consolazione. Manifestare all’anima instabile che comprendiamo il suo problema significa renderlo insolubile. Uno sguardo ottuso dissolve le inquietudini. Più che la pratica di un’etica o l’adesione a una dottrina, il cristianesimo è lealtà a una persona. La Chiesa potè cristianizzare gli ideali del Medioevo e i comportamenti feudali, perché senza essere 350
cristiani appartenevano però alla stessa specie spirituale del cristianesimo. La “visione oggettiva” non è una visione priva di pregiudizi, bensì una visione sottomessa a pregiudizi altrui. I progetti dell’uomo sono carenti di interesse. Di interessante c’è solo la storia. Vale a dire: ciò che Dio fa con i progetti dell’uomo. Una grande tradizione intellettuale è una garanzia di sensatezza per chi la eredita e un fornito repertorio di sciocchezze per chi meramente se ne appropria. Esistono due forme simmetriche di barbarie: quella dei popoli che non hanno che costumi e quella dei popoli che non rispettano che le leggi. Il discorso umano oscilla fra due poli: quello delle verità esatte ma tediose e quello delle verità divertenti ma inesatte. Il vantaggio dell’aforisma sul sistema è l’immediatezza con la quale si dimostra la sua insufficienza. In mezzo a poche parole è altrettanto difficile nascondersi che in mezzo a pochi alberi. Al fine di sedurre non è necessario che lo scrittore abbia qualcosa da dire, bensì che sia qualcuno. Il pensiero non inizia da un’osservazione o da un esperimento, bensì da un pregiudizio. 351
Il pregiudizio è l’organo dell’appropriazione intellettuale dell’universo. L’intelligenza non stanca, però i suoi frutti imputridiscono. La pedanteria morale sta nel trattare se stessi come l’etica kantiana richiede che si trattino gli altri. Il pensiero, filosofico o scientifico, non nacque quando si iniziò a pensare in una determinata maniera, bensì quando fu fatta la prima ipotesi. Pensare vuol dire correggere un’ipotesi previa, qualunque sia. La vita non insegna niente direttamente; semplicemente confuta falsi pregiudizi. Non bisogna aspettarsi niente da nessuno, né spregiare niente da nessuno. Coloro che confessano enfaticamente la nostra fede sembrano tradirla. La nostra verità suol essere la somma delle restrizioni che tacciamo. La retorica verbale ammazza il libro, però senza eloquenza intellettuale il libro abortisce. Dopo millenni di letteratura dovremmo sapere che la verità importa meno del talento con cui uno scrittore si sbaglia. 352
Coloro che credono nella “Verità” limitano le loro letture agli errori popolari della giornata. La verità è qualcosa di comune a certe “verità” e certi “errori” come lo è la bellezza alle opere di tutti gli stili. La verità è la melodia di certe anime più che il prodotto di determinati metodi. Quando pensiamo che l’“anima” di uno scrittore sia interessante è meramente perché stiamo chiamando “anima” il suo talento. Le istituzioni sociali sono costruzioni del realismo dissolte dal nominalismo. Quando un’istituzione pare consistere negli uomini che la rappresentano, la sua morte si avvicina. Per sapere che cosa ha detto un uomo intelligente si è soliti limitarsi ad ascoltare qualche scemo che lo scimmiotta. È sufficiente rispondere ad una domanda importante per sembrare grotteschi. (Per esempio: cosa pensa lei dell’amore, della vita, dell’arte, di Dio?). Collocare l’individuo in un posto che non merita è meno grave che ubicare un valore dove non gli corrisponde. La psicologia non è scienza dell’anima, bensì delle sue attività. L’introspezione più acuta segue solo la traccia di piedi sempre invisibili. 353
Dalle entità empiriche possiamo dedurre solo esistenze analoghe. Soltanto l’intuizione assiologica proietta ombre trascendenti. L’anima è quello che si sottrae all’osservazione psicologica, e Dio è quello che elude qualunque prova. Fra intellettuali la conversazione è uno scambio di idee di altri. Si possono ammirare autori greci e latini senza pericolo, però se distrattamente si confessa dell’ammirazione per Shakespeare o per Racine c’è sempre qualche inglese e francese che diventa comicamente petulante. Un nome di artista suol essere l’aggettivo più utile del lessico critico. Virgiliano, per esempio, rimpiazza intere pagine di frasi vaghe. L’artista originale equivale ad una sensazione irriducibile la cui denominazione moltiplica le nostre possibilità di discorso. La nostra scienza in ogni momento non è che l’ipotesi che fino a quel momento nessun esperimento ha falsificato. Il compendio scientifico definitivo non sarà mai più del pregiudizio vigente nell’istante in cui l’umanità si estingua. L’anima volgare cela la propria gioia per timore dell’invidia; l’anima nobile lo fa per compassione verso di essa. Il giudizio di esistenza è una struttura di giudizi di valore. L’innocenza di coloro che pretendono di asserire qualcosa 354
senza nulla rischiare. Tutto ciò che è superiore ci disturba: la bellezza o la bontà, Dio o il genio. La nozione di ideologia è un’invenzione ideologica dell’impegno di umiliare ciò che è grande. Marx e Freud hanno fatto diventare tollerabile all’invidia la visione della storia. A nessuno risulta difficile amare il prossimo che sembra inferiore. Ma amare chi sappiamo essere superiore è ben altra cosa. L’ugualitarismo non è un tributo ai diritti di coloro che ci succedono, bensì intolleranza dei diritti di coloro che ci precedono. Le opinioni stupide cessano di irritarci se le stiamo a sentire come fossero documenti sull’opinante. Il mondo attuale accoglie con tanta generosa tolleranza qualunque novità che in pochi istanti la banalizza. Chi si occuperà di scrivere sulla libertà strangolatrice? La poesia è una maniera di evocare qualsiasi aspetto del mondo che allude alla morte. La giovinezza è un tema poetico perché non dura e la gioia lo è perché passa. La poesia di ciò che è eterno è la fragranza del cadavere 355
della morte. Qualunque idea finisce per essere una prostituta. Di ciò che è importante niente è dimostrabile. Solamente mostrabile. Il marxismo e il freudismo negano l’individualità. La sessualità e l’economia plasmano la stessa materia omogenea. Secondo queste dottrine l’individualità sarebbe una mera somma di aneddoti, quando in realtà è ciò che trasforma gli aneddoti in somma. Qualsiasi pace si compra con delle meschinità. Verità o autenticità non sono mete della letteratura, bensì proprietà utilizzabili letterariamente di certe proposizioni come la loro musica verbale o il loro grafismo evocativo. La teologia cattolica insegna che l’atto di fede non è solamente soprannaturale e volontario, bensì anche razionale. Una tesi giusta fintantoché non concluda che un ragionamento sostenga l’atto, bensì che la ragione dimostra che nessuna causa empirica lo spiega. L’atto di fede è razionale quando la ragione prova che tale atto non segue da paralogismi, stati emotivi, regressioni infantili, strutture sociali o comportamenti economici. La fede razionale è quella che si avvalora come dato ultimo dell’esperienza. Come un atto soprannaturale. 356
Il santo non è un tipo differente d’uomo, bensì una specie umana nuova. Le dottrine cristiane sono al contempo dei beni senza padrone e una proprietà privata. Il significato delle loro formule pubbliche si consegue tramite un’avventura personale, inspiegabile ed intrasferibile. Luoghi comuni che repentinamente si convertono in scoperte del nostro ingegno. Così tante volte ci hanno predicato che il giusto cammina mascherato da peccatore che siamo avvezzi a dimenticare che a volte si traveste da giusto. Oggi chi pretende di differenziarsi non deve essere anticonformista. È raro il morto al quale la morte non stia troppo larga. Il marxismo annuncia che rimpiazzerà il governo delle persone con l’amministrazione dei beni. Purtroppo il marxismo insegna che il governo delle persone consta dell’amministrazione dei beni. Il grande scrittore non è quello che ci pare grande, bensì quello che ci sembra, mentre lo leggiamo, l’unico grande. “Une nouvelle distribution de la richesse produit une nouvelle distribution du pouvoir” scriveva Barnave nel 1785. Legge che la Rivoluzione francese realizza. Però, le riforme elettorali e le rivoluzioni posteriori 357
compiono una legge distinta: Une nouvelle distribution du pouvoir produit une nouvelle distribution de la richesse. Le “leggi storiche” hanno una validità breve. Ci sono tante diverse storie possibili di qualsiasi accadimento quanti sono i differenti storici possibili. Il progresso scientifico di solito proviene dall’attenzione con cui si studia una banale eccezione a una regola. Il filosofo, in ciò che si definisce filosofia della storia, considera le eccezioni alle sue “leggi” come semplici scortesie della provvidenza. Le norme scientifiche sono quelle che possiamo usare, ma non violare; le norme assiologiche quelle che possiamo violare, ma non usare. La “necessità” è l’attributo che caratterizza le tautologie, le norme etiche e le opere d’arte. Il mondo naturale è un fatto bruto, un semplice accadimento che non tende a nulla. La legge naturale descrive meramente il comportamento di un determinato sistema. Lì non vi è necessità e neppure finalità. La necessità è lì metafora logica e la finalità è metafora mentale. La libertà, al contrario, instaura una necessità in seno alla contingenza: come un valore estetico in una configurazione di colori. Il Partenone presso la sua altura è una necessità eretta da un atto libero su un fatto bruto. Il poeta non traduce una visione in parole. La sua visione viene elaborata nelle parole stesse. 358
Il poeta non scopre quello che intende dire se non dicendolo. La poesia è retorica vincente. L’uomo vive del disordine del proprio cuore e muore dell’ordine che la vita stabilisce in esso. A volte basta che una società abolisca una consuetudine che reputa assurda affinché una repentina catastrofe le dimostri il suo errore. La differenza fondamentale fra gli uomini consiste nella forma con la quale scrivono la parola giustizia: con maiuscola o tra virgolette. Il clero progressista disapprova la “mentalità da ghetto” dell’odierno vecchio cristiano. Questi sacerdoti prediligono l’attività mercantile e borsistica dell’ebreo moderno al ghetto, in cui fiorì la fedeltà di Israele. Non dobbiamo usare come documento storico le opere maestre, bensì quelle mediocri. Quello che differenzia le epoche è la loro maniera di fallire. L’artista che si giustifica allegando la propria sincerità vuol farci credere che il suo fallimento è stato deliberato. Il criterio clandestino di qualunque variante filosofica è l’implicazione, o la non implicazione, di una trascendenza. 359
L’intelligenza senza pregiudizi è solo quella che conosce i propri. Il problema classico dell’esistenza del male inquieta meno del problema romantico della sua seduzione. La tesi semplicistica di un principio antagonista retrocede di fronte ai terribili indizi di una fluorescenza angelica. Il pensiero è illimitato in entrambe le direzioni: non giunge a conclusioni ultime né a princìpi primi. Coloro che professano senza riserve che la letteratura è espressione della società rischiano di usare come documento storico delle mere formule di retorica tradizionale. La letteratura suol essere espressione della letteratura anteriore. Solo perché ordinò di amare gli uomini il clero moderno si rassegna a credere nella divinità di Gesù; quando in realtà è solo perché crediamo nella divinità di Cristo che ci rassegnamo ad amarli. Il cristiano è colui che fonda la sua accettazione dell’ evangelism Christi sulla propria fede nell’evangelism de Christo.20 E non viceversa. Le opinioni non sono tutte rispettabili se non da morte. È soltanto in quanto cadaveri che le sciocchezze non puzzano. Qualunque soluzione è falsa. 360
Il mito non è visione obsoleta, bensì funzione semantica che permette riferimenti, errati o corretti a seconda del caso, a determinate evidenze. Il mito non è scienza prematura dell’universo, bensì dimensione specifica del linguaggio. Lo spettacolo di una vanità ferita risulta grottesco quando la vanità è altrui e ripugnante quando è la nostra. Nessuno di quelli che conoscono se stessi può assolversi. Quello che indigna i moderni nel dogma del peccato originale non è tanto il castigo ereditario, ma la colpevolezza ereditaria. Essere moderni significa dichiararsi enfaticamente innocenti rifiutandosi di essere perdonati. Proclamare l’uomo “misura delle cose” non significa affermare la sua grandezza, bensì confessare le sue limitazioni. Una sentenza da prigioniero che si vanta di esserlo. Uomo “privo di pregiudizi” suol significare uomo privo di spiritualità. Pregiudizi, superstizioni e scrupoli sono fioriture dello spirito nascente in anime semplici. Sradicarli al fine di liberare queste anime da ciò che “asfissia la libera espressione dello spirito” asseconda meramente l’erosione di terre povere. Liberare l’uomo comune dalle ossessioni meschine che lo angosciano non vuol dire redimerlo da un’esistenza spiritualmente sudicia, bensì vietargli l’unica spiritualità alla 361
sua portata. Gerarchia spirituale ascendente: avere idee e non essere intelligente; non avere idee e non essere intelligente; non avere idee ed essere intelligente; avere idee ed essere intelligente. L’intellettuale si distingue dall’uomo colto come i materiali plastici dalle materie nobili. Quello che differenzia la frase sublime da quella ridicola è il suo autore. Coloro che professano che l’essenziale del cristianesimo non è la “dottrina”, bensì la pratica e la vita, predicano surrettiziamente una dottrina nuova. Con il motto, attraente per lo sciocco, della “superiorità della vita” intendono insinuare che il nostro destino terrestre è il solo che conta. L’irreligione gode nel vestirsi dal guardaroba evangelico. I libri degli epigoni non sono mediocri perché ricalcano quelli del maestro, bensì perché non riescono a ricalcarli. Il pensiero di un filosofo, in fondo, risulta essere quello che circola nella storia sotto il suo nome più di quello che ha veramente pensato. Tutto finisce in fesseria. Le filosofie che il pubblico conosce ed apprezza sono rosari 362
di volgarità affibbiate a nomi illustri. Il governante intelligente si deve proporre in modo sistematico di non risolvere che il minor numero di problemi. Per il democratico la libertà non significa poter dire tutto ciò che pensa, bensì non dover pensare tutto ciò che dice. Il lessico filosofico si differenzia in vocaboli per pensare e in vocaboli per credere di pensare. La maggioranza della gente crede di pensare perché non conosce il senso dei termini che impiega. Anche al più loquace, è sufficiente presentare una definizione per renderlo muto. Gli inganni estetici proliferano oggi perché gli appassionati odierni sono di solito degli specialisti qualunque ai quali è facile suggerire che le attività artistiche sono tanto inaccessibili al profano quanto lo sono le sue. Critica, lettere ed arti si piagano di impostori quando l’appassionato semplicemente colto scompare. Il libro mediocre ha bisogno, per divenire leggibile, di avere perlomeno cent’anni. Prima la Chiesa assolveva i peccatori; oggi si è risolta ad assolvere i peccati. Chi vede che le proprie idee si diffondono deve sospettare che tradiscano. 363
Meditare significa dialogare con qualche defunto. Così come alla teoria fisica del colore non compete la sua qualità sensibile, all’analisi stilistica di uno stile non compete la sua qualità estetica. Nel momento in cui siamo impressionati da un luogo comune crediamo di possedere un’idea nostra. Persuasi di avere appuntamento con un’idea presso un palazzo, di solito ci svegliamo accanto ad un luogo comune in un postribolo. Le dimostrazioni della fede sono interne alla fede come quelle della scienza lo sono alla scienza. Credo ut intelligam 21 è l’epigrafe di tutti i trattati di qualsivoglia metodologia. In questa epoca di minacce e di segnali non c’è niente di più frivolo che occuparsi di cose serie. Non i cristiani di ieri sono i cristiani di Nietzsche, bensì quelli di oggi. Storico inesatto, ma magari profeta. Come si può saltare kierkegaardianamente dall’etica alla religione? Per mezzo dei trampolini che Hume colloca con ironia in calce alle proprie opere. Lo scettico è un filosofo che non ha avuto tempo di diventare cristiano. Oggi per essere un puritano è sufficiente avere del gusto. 364
Gli arcangeli dell’idealismo tedesco fecero precipitare il demone Aufklärung nel Tartaro, ma si scordarono di sigillarne le porte di bronzo. Oggi in Aufklärung usurpa nuovamente il trono del mondo. Malgrado la sua prepotenza, la Aufklärung deve tuttavia celare le sue ali spezzate. Non esibisce più agli esperti i titoli con i quali pretendeva di giustificare i propri attacchi. Solo di fronte alle moltitudini ignoranti si arrischia ancora a fingere maniere da monarca legittimo. Affinché l’idea più sottile diventi sciocca non è necessario che sia esposta da uno scemo, ma che uno scemo l’ascolti. Colui che crede in Cristo perché ne ammira parole od opere non è cristiano. Il cristiano non crede in Cristo per il fatto che Cristo predichi dei valori da lui previamente ammirati; al contrario, il cristiano chiama valori ciò che Cristo predica perché egli crede in Cristo. Il cristianesimo non applica un criterio a Cristo, bensì applica Cristo come criterio. Il cristianesimo è un metodo specifico di fondare il valore. Valore è quello che la volontà asserisce, se la volontà che asserisce è quella di Dio. Il valore è soggettivo per Dio ed oggettivo per l’uomo. Il razionalismo tomista rende Dio un uomo; il soggettivismo assiologico rende l’uomo un dio. La finalità delle scienze sociali non è la risoluzione dei problemi, bensì la redazione del repertorio completo 365
delle domande che lo storico deve formulare alla storia. La pluralità empirica di sistemi simbolici è un indizio di una pluralità di referenti reciprocamente irriducibili. Ci possiamo riferire alla totalità dei referenti solamente impiegando la totalità dei sistemi. Il mito è il linguaggio della percezione immediata, vale a dire di quella che intuisce il trascendente in ciò che è sensibile. Oggi definirsi “cristiani” suol essere una maniera di indicare che non si lotta contro il cristianesimo da fuori, ma da dentro. In seno alla Chiesa attuale sono “integralisti” quelli che non hanno compreso che il cristianesimo necessita di una nuova teologia e “progressisti” quelli che non hanno capito che la nuova teologia dev’essere cristiana. La grammatica della storia è la sociologia. Però solo la storia è il linguaggio di questa grammatica. L’esistenza di una carmelitana scalza redarguisce più seriamente l’incredulo dell’attività sindacale di un prete. L’urgenza metodologica di studiare in modo separato ogni tipo di condotta falsifica la coscienza e perturba la società. Isolata dal suo contesto totale, la condotta studiata acquisisce una rilevanza che la trasforma in condotta predominante. L’attenzione indirizzata ad essa modifica la struttura globale del comportamento. La preponderanza dell’attività economica nella società 366
borghese, più che causa è stata effetto della fondazione della scienza economica nel XVIII secolo. L’obbligo metodologico di inventare un homo economicus ha influito sulla coscienza, la quale con fretta ha sottomesso il proprio comportamento alle norme di tale schema astratto. Oggi, in modo analogo, lo studio della sessualità è diventato un’ossessione che riduce la persona alla propria attività sessuale, la società ad una manifattura di erotismo e il sesso alle variazioni del coito. Nel credermi padrone di una verità non mi interessa l’argomento che la confermi, bensì quello che la confuta. La scienza non è una scala di Giacobbe che serve a salire fino all’empireo cristallino di incorruttibili verità. Siccome le sue proposizioni non provengono da un processo di sperimentazione che le imponga, la somma temporanea di proposizioni falsificabili di cui consiste non scagiona l’uomo dalla sua schiavitù verso la storia. Dato che non esistono proposizioni verificate che affiorino dalle acque del tempo, tanto la coscienza costruttrice quanto l’oggetto costruito fluiscono sommersi nella storia. Salvo le tautologie, esistono solamente stati storici di una scienza. La proposizione scientifica prospetta un’alternativa violenta: capirla o non capirla. La proposizione filosofica, al contrario, è suscettibile di intellezione crescente. Infine, la proposizione religiosa è un’ascesa verticale che consente di osservare il medesimo paesaggio da distinte altezze. La scienza contrappone ignoranti e sapienti. La filosofia gerarchizza discepoli e maestri. Per il cristianesimo, alla fine, 367
ciò che crede la bigotta non è diverso da ciò che crede il santo. L’unico perimetro entro cui possiamo condividere opinioni senza sentirci umiliati è quello di una chiesa. Dobbiamo essere “livresques”,22 vale a dire: dobbiamo saper preferire alla nostra limitata esperienza individuale l’esperienza accumulata da una tradizione millenaria. Persino lo scrittore più lucido trascorre tanto tempo facendo quello che non sa quanto facendo quello che sa. Non c’è uomo che non sia meno sciocco delle proprie opinioni, né gesto che non sia meno triviale dei commenti che lo accompagnano. L’anonimato della città moderna è altrettanto intollerabile della familiarità delle abitudini attuali. La vita deve assomigliare a un salotto di gente beneducata, in cui tutti si conoscono ma nessuno si abbraccia. I vizi e le passioni sono i soli meccanismi che il politico può maneggiare senza sporcarsi di sangue. Gli slanci virtuosi richiedono la collaborazione della polizia. Il terrore e l’etica sono fratelli. Non sarà facile presenziare senza nausea a questa “fine delle ideologie” che ci viene annunciata con giubilo. Rinunciare ad una ideologia conduce la maggioranza della gente soltanto a perdere il proprio pudore. 368
Il gusto delle masse non è caratterizzato dalla sua antipatia verso l’eccellente, bensì dalla passività con la quale la moltitudine gode ugualmente del buono, del mediocre e del pessimo. Le masse non possiedono malgusto. Semplicemente non possiedono gusto. Nell’intimità della lettura il grande scrittore pare completarci, non limitarci. Il nostro essere autentico è il prodotto finale del processo di purificazione dell’anima per mezzo di buone maniere e buongusto. Non vacillare nei nostri propositi è la maniera più sicura di sopprimere le sottigliezze dell’intelligenza e le sfumature della sensibilità che costituiscono il maggior fascino della vita. La disposizione più discreta è quella di coloro che godono della propria intelligenza senza pretendere di colpire sempre nel segno. Il linguaggio è il rifugio dell’uomo. L’eloquenza è sostanzialmente un attentato contro il pudore. Quelli che scrivono per convincere mentono sempre. Per non barare bisogna scrivere con disdegno. 369
L’ammiratore virtuale è il corruttore della prosa. Il pensatore che si prefigge di sedurre finisce tra braccia dissolute. L’originalità di un libro non deve preoccupare colui che lo scrive, ma colui che lo legge. La sincerità, al contrario, è un dovere professionale che per il lettore è carente di importanza. Una menzogna intelligente deve colmare di soddisfazione colui che l’ascolta e di vergogna colui che la dice. Fintantoché ci sia chi la giudichi con ingiustizia, l’opera vive. L’imparzialità è il suo certificato di morte. Fintantoché Platone sarà insultato, la democrazia non vincerà. Le illuminazioni che orientano la vita spirituale sono la repentina folgorazione di banalità. Non sono pochi gli storici francesi per i quali la storia del mondo è un episodio della storia della Francia. Il cristiano moderno non chiede a Dio di essere perdonato, bensì di ammettere che il peccato non esiste. Allo stesso modo che Lamennais è il teologo della religiosità attuale, Béranger è il suo poeta. Il Dieu des bonnes gens è l’inno delle assemblee comunitarie. 370
La linguistica - linguistica storica e linguistica strutturale è il paradigma formale della disciplina in grado di educare l’uomo di stato. La religione della borghesia è stata quella che professavano i borghesi del secolo scorso; la religione borghese è quella che professano i cristiani rivoluzionari di questo secolo. Nel primo caso si trattava di un omaggio, magari ipocrita, all’idea cristiana; nel secondo caso si tratta di un sincero entusiasmo verso le ambizioni terrestri e gli ideali utilitaristici della borghesia. La non appartenenza ad alcun partito ci consente di disprezzare soltanto l’autenticamente disprezzabile. L’autodidatta si caratterizza per la sua disattenzione all’elementare. L’apporto scientifico del marxismo è consistito meno nelle sue tesi che nell’ostinazione con la quale le ha sostenute. Il suo intollerante dogmatismo ha obbligato ad adottare un tipo di interpretazione storica del quale il suo economicismo è soltanto un caso. Che ci fosse il bisogno di cercare una struttura molteplice di condizionamenti dietro al proposito cosciente, lo storico non l’avrebbe mai capito senza la cocciutaggine marxista. Per poter allearsi con il comunista, il cattolico di sinistra afferma che il marxismo critica semplicemente gli accomodamenti borghesi del cristianesimo, quando è invece la sua essenza ciò che esso condanna. 371
Il cattolico progressista pretende di restaurare il cristianesimo primitivo copiando il moralismo umanitario dei sacerdoti increduli del XVIII secolo. In tanti amano l’uomo soltanto per poter scordarsi di Dio con la coscienza tranquilla. La critica letteraria marxista deve patrocinare lo psicoanalista della letteratura in modo che ci sia qualcuno che la superi in scemenza. La Chiesa post-conciliare pretende di attrarre all’“ovile” traducendo nel linguaggio insipido della cancelleria vaticana i luoghi comuni del giornalismo odierno. Oggi, quando udiamo esclamare “molto civile!”, “molto umano!” non dobbiamo vacillare: si tratta di qualche abietta porcata. Il Dio di alcuni teologi cattolici è a malapena un erede opulento del demiurgo platonico. Anche se in modo implicito professano la creazione ex nihilo, questi teologi reinseriscono nel loro schema cosmogonico una materia primigenia, perché sottopongono a norme estrinseche il divin vasaio, asserendo che Dio desidera il bene in quanto bene invece di insegnare che il bene è tale perché Dio lo desidera. Questi teologi innalzano un’impalcatura di ragioni, di valori e di princìpi innanzi a un Dio soggiogato. Per una simile teologia il creatore è un demiurgo servile. Questo Dio obbediente a norme etiche come un moralista 372
agnostico non è il Dio della ginestra israelita e neppure della teologia trinitaria. Tanto le metafore bibliche quanto i concetti patristici cercano solo di esprimere l’onnipotenza di Dio. Il motivo che ivi accumula gli interventi capricciosi è il medesimo che qui erige l’economia trinitaria. Il Dio imperscrutabile è quello che assorbe in se stesso la ragione che ordina ed opera, il soffio che vivifica e sostiene. Quando logos e pneuma si integrano nell’ineffabile trascendenza, lo Yahweh giudaico staglia la propria onnipotenza nel dogma cristiano. Non c’è urgenza di convocare nuovi concili, ma di aspettare un Decio o un Diocleziano. Far adirare l’uomo tipicamente moderno è un segnale sicuro di avere fatto centro. Non avremo imparato nulla fintantoché non affronteremo i precetti di qualsiasi indole come affrontiamo i diversi stili: indifferenti alle teorie nelle quali si celano, attenti soltanto al successo o al fallimento di ciascuna opera. Non è in quello che esprime che bisogna cercare ciò che l’uomo intelligente dice, bensì in quello che sottintende. Il determinismo viene invocato per esorcizzare la grazia. Con la cantilena della causa e dell’effetto tentiamo di assordire la nostra paura e di ammutolire la nostra colpa. Lo stato di tensione tra le classi sociali, fenomeno strutturale e costante, si tramuta in lotta di classe soltanto 373
quando una classe politica lo utilizza come meccanismo demagogico. Il politico campa dei saldi intellettuali di colui che non lo è. Liberté, égalité, fraternité. Il programma democratico si realizza in tre tappe: la tappa liberale, fondata dalla società borghese, sulla cui indole ci rimettiamo ai socialisti; la tappa ugualitaria, fondata dalla società sovietica, sulla cui indole ci rimettiamo alla nuova sinistra; e la tappa fraterna, alla quale preludono i drogati che si accoppiano in resse collettive. Gli dèi non castigano la ricerca della felicità, bensì l’ambizione di plasmarla con le nostre proprie mani. E lecito soltanto l’anelito di ciò che è gratuito, di ciò che non dipende da noi per nulla. Semplice orma di un angelo che si posa per un momento sulla polvere del nostro cuore. Esiste una simpatia segreta fra tutti coloro che negano la divinità dell’uomo, anche se alcuni di essi non credono in Dio. Il talento risulta inutile quando un genere letterario è esaurito. Dio è il nome del solo enigma la cui decifrazione non sarebbe un disinganno. L’individualismo dottrinario non è rischioso perché crea individui, bensì perché li annulla. 374
Il risultato dell’individualismo dottrinario del XIX secolo è l’uomo-massa del XX. La teologia dei sacramenti è dotata delle uniche categorie propizie ad una teoria rigorosa della civiltà. La civiltà, effettivamente, non è un sistema di atti servili, bensì di atti sacramentali. Tre personaggi del nostro tempo odiano il borghese professionalmente il borghese: l’intellettuale - tipico rappresentante della borghesia; il comunista - fedele esecutore di propositi ed ideali borghesi; il sacerdote progressista trionfo ultimo della mente borghese sull’anima cristiana. All’uomo moderno risulta indifferente non trovare la libertà nella propria vita, se la trova elevata nei discorsi di chi lo opprime. Quando il celebrante proclama che la liturgia non ha la pretesa di influenzare gli dèi ma solo i fedeli, il culto perde qualunque significato religioso e si converte in una terapia collettiva. Quando odo pronunciare con solennità la parola “ragione”, mi preparo sempre ad ascoltare una frase insensata. L’indifferenza nei confronti dell’opinione altrui è la condizione tanto del vizio quanto della virtù. Niente moltiplica tanto il numero di imbecilli come l’esempio dei grand’uomini. 375
Fra l’uomo colto e il progressista qualunque dialogo si estingue in fretta. Il primo, di fronte a tale volgarità, tace; il secondo lo fa di fronte a tale “oscurantismo”. Preferisco una filosofia che mostra ad una filosofia che spiega. La prima acuisce la mia percezione del reale mentre la seconda dissolve il concreto. Nel primo caso le evidenze persistono, senza dubbio, nella loro pura contingenza, però la necessità ultima che ci è presentata nel secondo caso risulta alla fine mera constatazione empirica. Dietro l’evidenza concreta vi è solo un’altra evidenza più povera. Il doppio errore simmetrico sta nel credere che oltre quello che possiamo sapere no non vi è nulla oppure che sappiamo cosa vi sia. Il positivismo e la mitologia sono fratelli. Qualunque filosofia ha l’obbligo di parere insufficiente a chiunque non ne sia l’autore. Se non apprendiamo in tempo che ogni vita è mediocre, semplicemente scambiamo la prosa di un negozio di Charleville con la retorica di un emporio in Abissinia. L’energia degli epiteti rivoluzionari di una conventicola di intellettuali borghesi supera l’energia di tutte le rivoluzioni della storia. Il declino della Spagna ha smesso di essere un problema da quando ai suoi vincitori di ieri è toccato di condividere 376
il medesimo destino. D’ora in poi sarà sufficiente verificare come muoiono le nazioni. Per il cattolico progressista l’orazione è un’esortazione a se stesso. Essendo la lotta per la libertà l’impresa più nobile, l’uomo si svilisce in una società libera. Quando tutto si può dire e tutto si può fare, l’anima si intenerisce e si corrompe. Gli sforzi virili, le testimonianze pericolose, le tensioni tragiche si estinguono, affinché l’uomo, esonerato dalla coazione di essere nobile, si arrenda alla viltà naturale dei propri istinti. Alla fine, abituati a tollerare i loro contrari, i princìpi si convertono in conclamate claudicazioni. Il prezzo della libertà è un’apostasia perpetua. L’azione è il rifugio delle intelligenze impaurite. L’individuo si caratterizza meno per gli dèi che invoca che per l’incenso che non brucia. La lotta contro il disordine è più nobile dello stesso ordine. L’uomo che è padrone di se stesso non è altrettanto magnanimo di colui che reprime l’insurrezione della propria anima. Il più profondo silenzio è quello della moltitudine atterrita. Lo sdegno eloquente desta sospetto. 377
Il problema politico è radicalmente insolubile poiché consiste nel bisogno contraddittorio di imporre forzosamente dei valori che si annullano quando è la forza ad imporli. Il politico tradisce ugualmente, tanto che ammetta l’impotenza del bene quanto che lo equipaggi di armi. Non abbiamo mai coscienza di star percependo qualcosa di importante, bensì solo di averla percepita. Abbiamo bisogno che un perito araldico disegni il blasone del Progresso: il fungo di una bomba atomica in campo rosso. L’eloquenza è la tentazione della giovinezza: del giovane uomo, del giovane popolo e della giovane letteratura. La nostra società insiste nello scegliere i propri governanti affinché la sorte della nascita o il capriccio del monarca non consegnino il potere, improvvisamente, ad un uomo intelligente. L’imparzialità è figlia della paura e dell’accidia. I corpi delle anime arrendevoli diventano flaccidi. La nozione di progresso scientifico è chiara e indiscutibile. La nozione di progresso tecnico, al contrario, è confusa e discutibile. La nozione di progresso scientifico è chiara e indiscutibile perché l’impulso stesso del progresso scientifico è il criterio del suo progresso. La nozione di progresso, detto altrimenti, fa parte in maniera univoca della definizione stessa della scienza. Il processo scientifico consta in effetti di una falsificazione 378
successiva di ipotesi, e il progresso scientifico consta ugualmente della stessa attività di falsificazione. La nozione di progresso tecnico, al contrario, è confusa e discutibile, poiché la finalità del processo tecnico è esterna allo stesso processo. In effetti, solo la norma estrinseca che avvalora i fini realizzati dal processo può decidere che il processo tecnico sia progresso. Per asserire che oggi esiste un progresso tecnico si richiede di provare previamente che gli aneliti, le avidità e gli appetiti colmati dalla tecnica moderna siano valori giustificati da un’indagine assiologica autonoma. Essere cristiani secondo la moda attuale consiste meno nel pentirsi dei propri peccati che nel pentirsi del cristianesimo. Il cristiano moderno si sente obbligato professionalmente a mostrarsi gioviale e scherzoso, ad esibire i denti in un benevolo sorriso, a mostrare una cordialità deferente per dimostrare all’incredulo che il cristianesimo non è una religione “cupa”, una dottrina “pessimista” e una morale “ascetica”. Il cristiano progressista ci scuote la mano con un largo sorriso elettorale. La civiltà pare un’invenzione di una specie scomparsa. Dichiarare che una tesi è ovviamente ideologica ci dice qualcosa sul suo autore, ma niente sulla tesi. 379
Il pensiero reazionario è lucido e impotente. Il possesso è una sensazione che l’intelligenza arricchisce. La borghesia futura delle società comuniste organizza banchetti d’ilarità agli dèi infernali. Il cristianesimo, per il semplice osservatore, più che una religione nuova è un nuovi tipo di ermeneutica. Un sistema di ermeneutica storica contrapposto alle ermeneutiche razionaliste. Il cristianesimo è l’interpretazione di un fatto concreto, inoppugnabile ed unico come ragione dell’universo. Per l’ermeneutica cristiana la ragione non determina il significato dei fatti. Esiste un fatto, al contrario, che determina il significato della ragione. La ragione qui nasce dalla storia, da un fatto che trascende se stesso, da un accadimento empirico che si converte in norma assiologica. Il cristianesimo, in effetti, non edifica una spiegazione razionale di Cristo, bensì erige l’universo come somma di postulati necessari all’esistenza del Cristo evidenziato dalla coscienza della Chiesa. Il cristianesimo insegna, quindi, un’ermeneutica che ci vieta di definire un valore anticipandoci al fatto in cui si genera, un’ermeneutica che ci fa vedere la storia che trascende se stessa nelle sue epifanie assiologiche, un’ermeneutica nella quale l’opera concreta si erge come ragione intelligibile. Opposto in modo radicale al razionalismo astratto, il cristianesimo è il paradigma supremo della ragione storica. L’uomo colto è colui per il quale niente è carente di interesse e quasi tutto di importanza. 380
Quando periscono, le aristocrazie scoppiano, mentre le democrazie si sgonfiano. Una costituzione politica non è durevole perché sia buona, bensì è buona perché è durevole. Uno storico dev’essere sostanzialmente un colorista. I patti più meschini nascono dalle intenzioni più alte. La maggior impresa scientifica consiste nel poter rispondere a domande sciocche. Il baccano sollevato dal Concilio Vaticano Secondo ha reso manifesta l’utilità igenica del Sant’Uffìzio. Assistendo alla “libera espressione del pensiero cattolico” abbiamo potuto vedere che l’intolleranza della vecchia Roma pontificia era stata meno un limes imperiale contro l’eresia che contro la volgarità e la scemenza. Dal soglio pontificio, il successore degli Apostoli proclama urbi et orbi che capeggerà il “progresso dei popoli” verso un paradiso suburbano. Coloro che cercano di mondare il cristianesimo dai suoi accrescimenti millenari per restituirlo alla sua “purezza primigenia” dichiarano “originali” ed “autentici” soltanto i fattori del cristianesimo che la mentalità volgare del loro tempo approva. Da due secoli, il “cristianesimo primigenio” si adatta, ad ogni nuovo decennio, alle opinioni regnanti. 381
Gli sciocchi prima attaccavano la Chiesa; adesso la riformano. La fede origina il formalismo in modo che il formalismo le dia origine. Il pregiudizio di ciò che è spontaneo ci ha accecati verso la simbolicità. Esigere che qualunque gesto sia “autentico” corrisponde a negare il valore autonomo di ciò che è impersonale, come se ci venisse richiesto di reinventare ogni parola che proferiamo. La nozione di dignità personale sorge nell’individuo dal senso della sua differenza. Tutto ciò che accresce la nostra reciproca somiglianza debilita la coscienza di aver diritto ad esigere che la società rispetti il nostro destino. Quanto più gli uomini si sentono uguali, tanto più facilmente tollerano che li si tratti come pezzi intercambiabili, sostituibili e superflui. L’uguaglianza è la condizione psicologica previa alle stragi scientifiche e fredde. L’individualismo, il nazionalismo e il collettivismo sono le tre ipostasi dell’egoismo. La trinità democratica. La Chiesa è una storia che ha pensato se stessa come sistema. Fintantoché non è esistito uno storico che la 382
interpellasse, la Chiesa ha avuto la possibilità di proclamarsi immobile già dalle proprie origini, senza infastidire il processo incosciente del suo metabolismo storico. Però, quando si è constatata la sua incommensurabilità ad una semplice struttura logica, la Chiesa, al posto di esplicitare teoricamente le categorie implicite nella sua prassi, si è impegnata nel negare l’evidenza, generando così alternativamente un integralismo che nasconde il suo accrescimento e un progressismo che viola la sua costanza. La “filosofia della storia” del XIX secolo semplicemente dispiega nel tempo l’essenza dell’uomo astratto elaborata dal secolo XVIII. I “filosofi della storia” pretendono che sia possibile scrivere la storia senza averla studiata. Siccome lo Stato invischia tutte le attività umane nelle sue trame, governare diventa ogni giorno più difficile e comandare ogni giorno più facile. Il reazionario, nell’osservare la dissomiglianza degli uomini e la varietà dei loro propositi, ha inventato il dialogo. Il democratico pratica il monologo poiché l’umanità si esprime per bocca sua. Il fariseismo è il riccio che conserva il seme tra due primavere religiose. La maledizione del profeta al fariseo non giustifica che la posterità, durante l’inverno, lo disdegni. 383
Le diffidenze capricciose di uno storico disturbano meno dei suoi pregiudizi sistematici. In un cristiano che è ossessionato dalla “giustizia” sociale non è facile sapere se è la carità che fiorisce o se è la fede che si estingue. Siccome i conflitti religiosi non sorgono dall’antagonismo fra tesi speculative, bensì fra disposizioni inconsce e globali, i rivali si esprimono con formule la cui banalità fa credere allo spettatore che siano delle dispute verbali riguardanti discrepanze grottesche. Le convinzioni più radicate non fanno che balbettare. Il cattolico di sinistra fa centro quando identifica il borghese con il ricco della parabola, però è in errore quando individua il proletariato militante nei poveri del Vangelo. Il mondo non tollera altro ordine sistematico che l’ordine alfabetico del dizionario. Gli uomini si distinguono fra coloro che insistono nell’approfittare delle ingiustizie di oggi e coloro che bramano approfittare di quelle di domani. Lo storico ammazza gli errori, la storia solamente li ferisce. In capo a qualche anno solo lo storico reazionario rispetta il rivoluzionario passato di moda. A un Dio postulato dall’etica prediligo un Dio postulato dall’estetica. 384
L’etica può essere ridotta alla lealtà. Le altre virtù sono appendici di casistica. L’amore per la povertà è cristiano, però l’adulazione dei poveri è una mera tecnica di reclutamento elettorale. Avvocato dei poveri, nell’almanacco democratico dei santi, significa demagogo arricchito. Non è perché sia “letteraria” il motivo per cui questa o quella pittura è mediocre, bensì perché è brutta. Negare il valore estetico del tema perché qualche sciocco ha pensato che il valore delle opere possa dipendere da temi particolari, equivale a negare il valore estetico del colore nel caso in cui un altro sciocco dovesse pensare che il valore delle opere dipenda da particolari colori. Temi, forme, colori, ritmi, ecc., sono ingredienti estetici dell’opera. Al fine di non pensare al mondo che la scienza descrive, l’uomo si ubriaca di tecnica. L’individuo di questo secolo cerca il calore della moltitudine per difendersi dal freddo che il cadavere del mondo emana. Di fronte alla Chiesa trionfante e alla Chiesa militante, il nuovo clero si incorpora nella Chiesa claudicante. Dopo aver condiviso un entusiasmo collettivo finiamo 385
sempre col vergognarcene. Persino in bocca ai ferventi democratici l’ironia risulta sempre reazionaria. Quando un militante sorride, la società comunista si crepa. Lo storico trascende il dilemma fra psicologismo e logicismo, poiché qualunque materia egli indaghi si tratta sempre di un atto che ingloba tanto il pensiero quanto il pensato. Senza un oppositore radicale non è facile rimanere lucidi. Riusciamo ad individuare il polo verso il quale ci dirigiamo quando vediamo la mentalità che fa inorridire la nostra dirigersi verso il polo opposto. L’unico utile precettore è il nostro congenito antagonista. Predicare il cristianesimo non significa parlare di esso, bensì parlare da esso. Il cristianesimo, se smettesse di scandalizzare il mondo, scandalizzerebbe il cristiano. L’originalità intenzionale e sistematica è l’uniforme contemporanea della mediocrità. L’artista termina infine il proprio apprendistato quando finalmente rinuncia ad essere geniale. Nessuno parla altrettanto chiaramente di se stesso come chi parla di cose estranee. Colui che intende solo esprimersi, semplicemente si 386
esibisce. In mezzo ai due massimi Bildungsromanen, Wilhelm Meister e Bouvard et Pécuchet, agonizza il fervore del XIX secolo per l’“educazione”. Sul Concilio Vaticano Secondo non discesero lingue di fuoco, come successe per la prima assemblea apostolica, bensì un fiume di fuoco: un Feuerbach. L’adolescente non si azzarda ad avere che idee intelligenti. Pensare ad un lettore futuro ci costringe ad essere onesti e contemporaneamente ci impedisce di esserlo. Il giornalismo è scrivere unicamente per gli altri. Quando le rogazioni cessano le religioni illanguidiscono. L’arte si converte in tedioso automatismo quando imita sistematicamente un modello oppure quando sistematicamente si rifiuta di imitarlo. Quando tutti bramano essere qualcosa, è decente solo non esser nulla. Una scolarità senza scienze umanistiche è sterile, poiché l’uomo non si educa imparando delle tecniche, bensì intridendosi di vecchi luoghi comuni. Lo storico intelligente attraversa i terreni incolti della storia 387
per agguatare le ombre che la valicano con gesti di terrore, di bellezza, di magnificenza o di ignominia. Il tema della storia non sono le banali abitudini della specie, bensì le epifanie fugaci di un demonio o di un dio. La storia è lo studio dei tempi nei quali si rivela un’essenza. Quando gli illusi del 1789, e la loro antitesi, gli assassini del 1793, sono aufgehoben23 dai briganti del Direttorio, la dialettica della Rivoluzione francese culmina. Se Gesù non è Cristo, il Vangelo è carente di autorità, però se Gesù è Cristo, il Vangelo implica una cristologia. Il cristianesimo è la dottrina alla quale il solo Vangelo non è sufficiente. I progressisti atei hanno rinunciato alla blasfemia e i progressisti cattolici all’orazione per aderire, gli uni con gli altri, allo stesso culto delle fognature suburbane. Dove la società è carente di ranghi, l’ironia è carente di echi. La letale virulenza dello hegelismo consiste nell’essere una teoria della nazione, vista come polis, che si credeva applicabile allo Stato moderno. La personalità non è uno scopo realizzabile, bensì quello che risulta da uno scopo realizzato. Ciò che sarebbe grave per le scienze naturali è che si perdessero le risposte, e per la filosofia che si smarrissero 388
le domande. Lo spirito è quello che sorge nell’uomo quando si presenta un’alternativa impraticabile. Laddove l’uomo può “esprimere liberamente la propria personalità” o laddove la sua attività “scorre spontaneamente in alvei collettivi”, lo spirito fallisce. Se una disciplina qualunque non converte l’esistenza dell’individuo in un dramma originale, chiunque recita instancabilmente lo stesso repertorio animalesco. Si inorgoglisce della propria dipendenza dal passato solo colui che si sa legittimo erede della storia. Quelli che chiedono l’abrogazione del passato sono liberti recenti che bramano occultare l’ergastolo nel quale sono nati. La volgarità non è una conquista. L’universo decade quando crediamo di percepire nel concreto le finzioni scientifiche. Gli dèi solari si estinguono se il nostro sguardo si converte in uno spettroscopio cerebrale. Se la storia fosse ciò che dice qualunque “filosofia della storia”, l’umanità sarebbe morta di noia. Coloro che riducono le essenze storiche alle loro condizioni empiriche peccano contro la storia. La gravitas romana, per esempio, presuppone la storia di Roma, però né la sua economia né la sua organizzazione 389
sociale né la sua politica la spiegano. L’essenza storica sta al fatto come il colore sta all’onda. Il verde non è un fenomeno elettromagnetico come neppure la gravitas una struttura economico-sociale. La coscienza morale di questo XX secolo, che qualsiasi conflitto etico riesce a spaventare, intende strangolare in modo discreto le verità in ogni angolo della storia. I conflitti moderni si originano meno nel proposito di vincere l’avversario che nell’anelito di sopprimere il conflitto. Bottino, ideologia o avventura hanno motivato meno guerre, nel nostro tempo, del sogno idillico della pace. Soltanto le epoche che accettano il conflitto come ordito e trama della vita non si fanno coinvolgere in ignominie sanguinose. Il cattolicesimo, per il cattolico di sinistra, è il grande peccato del cattolico. Il cattolico progressista ha soltanto l’affanno di cercare qualcosa d’altro. Non esistono politici intelligenti, bensì politici vittoriosi. Chi ha l’abito di pensare solo a quello che fa sembra puerile a chi ha l’abito di pensare a quello che pensa. La politica non è l’arte di imporre le soluzioni migliori, 390
bensì di ostacolare le peggiori. Nessuno si ribella all’autorità, bensì a coloro che la usurpano. L’uomo possiede un appetito congenito di gerarchia, che le gerarchie fasulle convertono in schifo. Il fermento rivoluzionario non è quello che solleva un popolo, bensì quello che fa imputridire una classe dirigente. Il popolo non invade che palazzi previamente abbandonati. I poveri, in verità, odiano solo la ricchezza stupida. La società libera non è quella che possiede il diritto di scegliere colui che la comanda, bensì quella che sceglie colui che ha il diritto di farlo. La divisione è radicale fra quelli che agguatano una consumazione terrena della storia e quelli che attendono una conclusione violenta del suo prolungamento empirico. La razza dei primi cade in un ciclo infernale, in cui l’esaltazione maniacale davanti al trionfo apocalittico si alterna alla depressione malinconica di fronte al fallimento abituale. La razza dei secondi, al contrario, contempla la mediocrità inalterabile dell’esistenza umana con rassegnazione cristiana o con ironia scettica. Fra cristiani e scettici esiste un’alleanza volta a salvare l’uomo dalle demenze progressiste. 391
Più che negare l’esistenza di Dio, la mentalità moderna non riesce a dare un senso a tale vocabolo. “Avere l’ardimento di accettare se stessi” è una delle varie formule moderne che pretendono di nascondere la viltà dell’uomo definendo difficile ciò che è facile. L’uomo moderno assevera che nulla costa più lavoro all’uomo come cedere alla propria animalità. L’antagonismo fra la società e l’artista nel XIX secolo è stata l’espressione sociale del conflitto fra il romanticismo e l’Enciclopedia. Gli scontri di retroguardia del romanticismo rappresentano l’arte del secolo, mentre l’esistenza tragica dei suoi artisti è la ritorsione dell’enciclopedismo industriale e borghese. Il progressista tutela il Progresso affermando che esso esiste. L’assassino pure esiste, e il giudice lo condanna. Per appurare quali siano le idee che influiscono è necessario frugare tra gli escrementi della storia. Aspettare che Spinoza e Reimarus formulassero le domande è stato sciocco come restare in attesa che un protestantesimo sbiadito, da Baur a Buhmann, fornisse le risposte. Una rinnovazione teologica implicherà il battesimo di tribù intere di invasori germanici. 392
Durante le nostre prime tappe abbiamo tutti problemi e soluzioni da adolescenti. Nelle tappe successive, mentre i più hanno problemi da adulti con soluzioni da adolescenti, soltanto una minoranza intellettuale ha problemi da adolescente con soluzioni da adulto. Fra le varie interpretazioni plausibili lo storico deve scegliere, come nella critica testuale, la lectio difficilior24. Le grandi intelligenze esibiscono idee di marmo che il volgo intellettuale ripropone nel gesso. Il cristianesimo del nostro tempo invece di evolvere, si “involve”. Rifiutando la cristologia trinitaria, accentuando l’indole comunitaria della Chiesa, predicando un’escatologia immanentista, il cristianesimo attuale retrocede verso un monoteismo unitario, un tribalismo mistico e un messianismo politico. Amalgama di giudaismo preprofetico e di giudaismo postesilio, il cristianesimo progressista omette solo il giudaismo profetico, dal quale è germinato il seme dell’albero evangelico. Certuni maneggiano le proprie idee con eleganza ereditaria, certi altri con imperizia da nuovo ricco. Colui che inventa un’idea le attribuisce meno importanza di colui che la compra. L’uomo intelligente ha il diritto di sbagliare. 393
Solo lo sciocco ha l’obbligo di non farlo. Le idee sono bestie mitiche che divorano gli sciocchi. Essi le alimentano e le avvelenano. Nel carcame dell’idea proliferano le larve degli imbecilli. La mediocrità che ci impaurisce può essere l’ombra che proietta sul mondo la mediocrità nostra. Le coorti disciplinate dei “ribelli” sfilano nel nostro tempo fra le ovazioni frenetiche del pubblico e sotto la protezione delle autorità civili ed ecclesiastiche, mentre i “conformisti” scappano perseguiti cospirando in solitarie soffitte. Le opinioni rivoluzionarie sono l’unica strada, nell’attuale società, che possa assicurare una posizione sociale rispettabile, lucrativa e tranquilla. Il primato di San Pietro infastidisce il clero progressista, il misticismo di San Giovanni lo tedia, la teologia di San Paolo lo indispettisce. Non sarà forse che il suo patrono è l’apostolo provvisto di coscienza sociale, colui che contestò lo sperpero cerimoniale di unguenti, colui che propose di vendere la mirra liturgica per distribuire il guadagno tra i poveri? La Chiesa impotente di oggi scorda che solo i potenti non si screditano dicendo scemenze. 394
Le epoche storiche sono periodi di tempo durante i quali predomina un distinto tipo di norma. I secoli XVIII e XIX sono stati il periodo delle norme giuridiche. Il secolo XX è stato il periodo delle norme economiche. Si sta abbozzando un nuovo periodo durante il quale predomineranno le norme biologiche. Quindi, l’epoca che comincia affronta in modo primordiale i conflitti etnici, una crescente pressione demografica e un crescente svilimento della specie. Le genetica permette di definire quale sia stato l’errore delle ideologie derivate dalla Il trattato di genetica più elementare sancisce la condanna di teorie dimentiche di legami sessuali e mutazioni genetiche, che per interpretare la storia o riformarla rivolgono la loro attenzione alle sole influenze circostanziali. Fuori dal proprio contesto specifico il vocabolario di ogni scienza si degrada in generalità pretenziose. Lo sconcerto intellettuale nel quale viviamo non proviene dal frazionamento crescente della scienza, bensì dal rigore crescente della filosofia. L’uomo cammina barcollando quando la filosofia si rifiuta di sporcarsi le mani. La statistica è lo strumento di colui che rinuncia a comprendere per poter manipolare. 395
Gli errori “irrilevanti” di un calcolo applicato all’uomo sono brandelli di carne sanguinolenta. L’uomo alla fine si eliminerà; se non accantona la sua ambizione di realizzare tutto ciò che può. La somma delle specie vegetali include le piante velenose. A questo punto l’uomo non sa più se la bomba all’idrogeno rappresenti l’orrore finale o l’ultima speranza. Vivendo in un universo che la scienza fa diventare astratto ogni giorno di più, fra tecniche che lo sottopongono a comportamenti crescentemente astratti nel mezzo di un ammassamento umano che impone relazioni sempre più astratte, l’uomo attuale cerca di scappare da questa astrazione che gli fa scomparire il mondo e gli fa incartapecorire l’anima, sognando il futuro - l’astratto tra gli astratti. Le professioni di fede dell’uomo di scienza bastano per provare l’esistenza della metafìsica. La loro idiozia non sarebbe così palese se non ci fosse qualcosa contro cui peccare. Da una scienza all’altra fluisce oggi una cascade de mépris. Gli specialisti si salutano con gesti fraterni e sguardi sdegnosi. La psicologia del comportamento predilige la cronaca incoerente dello spettatore alla storia intelligibile del partecipante. La psicologia moderna ha abbandonato l’introspezione non tanto per conseguire risultati più precisi, quanto per 396
ottenerne di meno inquietanti. Non è per accordare all’uomo un’interiorità fittizia che discerniamo una possibilità di capire distinta dalla possibilità di spiegare. È, invece, perché siamo in grado di capire e non semplicemente di spiegare che discerniamo dalla mera esteriorità una interiorità dello spirito. Quando l’individualità avvizzisce, la sociologia germoglia. Le tacite supposizioni di qualunque scienza sono più importanti dei suoi insegnamenti. Soltanto quello che una scienza ignora di se stessa identifica quello che dice. L’epistemologia è l’azione demistificatrice verso le ideologie congenite della ragione umana. Solamente il solitario scampa al provincialismo. Definiamo “progresso” di una società qualunque processo che la faccia assomigliare a quella odierna. Il “progresso” non è l’approssimazione crescente ad una norma, bensì ad un tipo di civiltà transitoriamente imperante. Non esistono che istanti. L’arte consta di una pluralità empirica di processi particolari di perfezionamento cadenzati dalle rispettive successioni di rotture. 397
La società moderna disattende i problemi fondamentali dell’uomo, poiché ha a malapena il tempo di prestare attenzione a quelli che essa stessa origina. L’uomo primitivo trasforma gli oggetti in soggetti mentre l’uomo moderno i soggetti in oggetti. Potremmo supporre che il primo si inganni, però sappiamo con certezza che il secondo è in errore. L’immoralità del governante è l’ultima protezione del cittadino contro il crescente potere dello Stato. Da un prevaricatore si può sperare della compassione, da un dottrinario invece no. Le anime che non sono teatro di conflitti sono dei palcoscenici vuoti. La concordia è tediosa. Criticando il dualismo, scambiando colui che distingue con colui che contrappone, si adotta una tempestiva trasformazione del cristianesimo in un immanentismo naturalista. I monismi sono rappresentazioni drammatiche nelle quali il dramma è una fandonia e gli attori delle ombre cinesi. Le più tenaci convinzioni sogliono essere una cristallizzazione di erronee opinioni altrui ascoltate casualmente. 398
Quelli che disprezzano cose che sappiamo essere degne di rispetto ci paiono semplicemente fastidiosi o grotteschi, però non perdoniamo mai quelli che disprezzano cose che stimiamo senza tuttavia essere sicuri che meritino la nostra stima. L’insicurezza è permalosa. Il mondo ha rispetto soltanto del cristiano che non si scusa. Sono due secoli che il popolo ha sulle proprie spalle non solo i suoi sfruttatori, bensì anche i suoi liberatori. La sua schiena è ricurva di un peso doppio. Con la scomparsa della loro profondità religiosa, le cose si riducono ad una superficie senza spessore dalla quale traspare il nulla. L’uomo non arriva a risolvere i problemi. Nel più felice dei casi si trova improvvisamente di fronte a problemi risolti. Gli sviluppi della stampa hanno stimolato la moltiplicazione di libri disordinati e prolissi, mentre la necessità di ricorrere ai copisti e alle pergamene induceva ad essere diligenti e concisi. L’imperfezione di un testo era un tempo involontaria, oggi invece non lo è necessariamente. La rotativa espelle immondizia che non ha nessuna pretesa di essere qualcosa d’altro. 399
Così come la tragedia esiste solo fra principi o dèi, allo stesso modo esiste architettura solo per dèi o principi. L’architettura moderna non è che un melodramma borghese. Generalmente si dividono gli oggetti in reali e fittizi, come se non ci si scontrasse continuamente con delle finzioni e come se non si subissero continue botte sui fianchi nel accostarci ad una realtà. Per convincere il nostro interlocutore suol essere necessario inventare argomenti ignobili, fraudolenti e ridicoli. Coloro che rispettano il prossimo falliscono come apostoli. I libri divertenti fanno provare vergogna agli illetterati. Il sentimentalismo democratico imbarbarisce l’anima popolare e la appronta al crimine. Gli emollienti dell’anima la fanno diventare assetata di sangue. La sinistra approdò in America con padre Las Casas. E in modo paradigmatico successe ciò che suol succedere alla sinistra: lì non liberò l’indio, però rese schiavo il nero. Obbligato a studiare il condizionamento subcosciente dei fatti da parte delle loro circostanze geografiche, economiche, sociali, ecc., lo storico odierno alla fine scrive una storia che nessuno ha vissuto. 400
La storia, tuttavia, dev’essere storia della coscienza nell’epoca narrata, al fine di evitare che si converta nel manifesto delle opinioni precarie dello storico. Ieri, invero, è indubitabilmente successo solo quello che è successo nella coscienza. Il resto è meramente l’opinione di oggi su quanto accaduto ieri. Trattandosi di valori soggettivi, esclusivamente determinati dalle preferenze di individui immersi nel loro contesto sociale, i valori economici di epoche distinte non sono confrontabili tra loro. I valori oggettivi sono confrontabili, però che cosa significasse, in un passato qualsiasi, una determinata somma di denaro, è un enigma che forse non riusciremo mai a decifrare. La predicazione del “solo Vangelo” non elude qualunque teologia, bensì sostituisce meramente quella del predicatore a quella della Chiesa. Ignorare la struttura religiosa di ogni azione significa oggi assomigliare a quelli che ieri ne negavano la struttura economica. I marxisti occupano oggi una posizione intellettualmente simile a quella degli antimarxisti di ieri. La morte di Dio è un’opinione interessante, che ad ogni modo non intacca Dio. L’immoralità professionale dello storico sta nell’impossibilità di agognare l’inesistenza di qualunque cosa 401
sia esistita. Essere uno storico vuol dire sentirsi incapace di bramare la cancellazione dalla storia persino di ciò che biasimiamo. Lo storico si sa complice del male, perché senza di esso sarebbe carente di argomento. La parola “umanità” in bocca al cattolico è indice di apostasia, e in bocca all’incredulo è presagio di massacri. L’esperimento non conferma e neppure confuta assiomi matematici o dogmi religiosi. Il cristianesimo avvizzisce nelle epoche che non sono naturalmente cristiane. L’incoerenza di una interpretazione del mondo non è segno di verità, però la sua coerenza è segno di errore. I miei santi patroni sono Montaigne e Burckhardt. Quando lo storico intuirà che il marxismo lo ha indotto a scrivere una storia di istituzioni giuridiche sotto il nome di storia economica, il passato muterà di aspetto. In effetti, così come non è il salario ciò che definisce economicamente il mondo moderno, bensì la fabbrica, in modo analogo non è sul servo che si basa l’economia medievale, bensì sulla villa. Villa romana o carolingia, castello feudale o abbazia benedettina, Landsitz, chateau, country-house, la hacienda è stata l’autentica infrastruttura dell’Europa passata. La civiltà occidentale è stata una cospirazione di hacendados.25 402
Per castigare l’ambizione di un potere titanico, è bastato a Dio il concederlo. La saggezza oggi non sta nel rinunciare a ciò che non possiamo raggiungere, bensì a ciò che invece possiamo. L’etica tenta sempre di mettersi dove non ci sta. Siccome il protestantesimo di Lutero si scinde in due attitudini distinte, è necessario distinguere due famiglie di protestanti. Quella il cui protestantesimo ripudia la teologia sacramentale, il monachesimo e il sacerdozio, e quella il cui protestantesimo è una resa esultante alla grazia. Confonderle vuol dire non distinguere fra un cristiano che si defila e un cristiano che si affina. Il cristiano intollerante pecca contro la propria dottrina, posto che insegna che la fede è un dono della grazia. Il razionalista, al contrario, non può essere tollerante, posto che afferma che solo la passione intorbidisce le evidenze della ragione. Le persecuzioni sono effetti del morbo razionalista, quandanche l’inquisitore sia un domenicano e non un rappresentante in missione. Parlare in modo che l’uditorio capisca non consiste nel predicargli ciò che vuol sentire. Il cristianesimo liberale di ieri e il cristianesimo progressista di oggi, per convertire il mondo, invece di adottare un linguaggio che il mondo capisce, adattano il cristianesimo al mondo. 403
Cristianesimo, democrazia, nazismo e comunismo hanno denigrato così tante parole necessarie che oggi risulta difficile parlare di alcunché senza sembrare complice di qualcosa di basso e vile. I contemporanei hanno stima dei libri tediosi quando sono pretenziosi e pedanti. La posterità se la ride di quegli idoli polverosi per venerare, neanche a dirlo, gli analoghi santoni del proprio tempo. Qualunque religione estranea oscilla fra il ridicolo e il diabolico. I ragionamenti convincono soltanto coloro che necessitano di una scusa per arrendersi. La Chiesa, nello spalancare le sue porte, intendeva rendere facile l’entrata a quelli di fuori, senza pensare che piuttosto rendeva facile l’uscita a quelli di dentro. La civiltà occidentale è stata il risultato di una alleanza fra possienti e vescovi. Maturare significa veder crescere il numero di cose sulle quali sembra grottesco opinare, tanto in modo favorevole quanto contrario. Storico marxista ed esegeta cattolico: entrambi mentono. La storia è più un dialogo fra storici che una narrazione di 404
fatti. Le interpretazioni inesatte dell’argomento da parte dei predecessori è il vero argomento dello storico. Intelligente è colui al quale sembra difficile ciò che agli altri sembra facile. Il numero delle soluzioni temerarie proposte da un politico cresce con l’idiozia degli uditori. L’interpretazione di un linguaggio mitico consiste nell’esplicitare l’ambito dei postulati epistemologici in cui si situa e non nel sottoporre i suoi testi alla sintassi della scienza. L’onesta convinzione non scarta la possibilità di essere errata; semplicemente non concepisce la probabilità di esserlo. Lo scienziato si sente autorizzato a filosofare per il fatto di condividere alcuni vocaboli con il filosofo. La civiltà moderna: un’invenzione di un ingegnere bianco per un re nero. Una filosofia che sopprima il problema del male è una favola per bambini tonti. La complicazione è la prerogativa più alta dell’uomo. L’enciclopedismo è stato più un furbo trovatello a caccia di un padre rispettabile che un figlio di Cartesio. Dobbiamo dubitare del diritto degli imbecilli di rendere 405
culto alla “ragione cartesiana”. Un razionalismo estremo (Constitutio de Fide del Vaticano I) ed un antistoricismo virulento (Pontificia Commissione Biblica) impedirono alla Chiesa di vedere che, dal corsiero della storia, un San Giorgio romantico dava lanciate a quella “ragione” che pretendeva di divorarla. L’omogeneità crescente dell’uomo fa presagire una società nella quale l’orma del distincti non discreti della società angelica sarà soppressa dal discreti non distincti26 della società infernale. Non c’è nessuno che non scopra improvvisamente l’importanza di virtù che disdegnava. Le letterature delle attuali repubbliche, come anche i loro eserciti, non servono nelle dispute internazionali. L’intellettuale latinoamericano deve trovare dei problemi per le soluzioni che ha importato da altrove. La “aletteratura” possiede per finalità sottolineare tutto ciò che la letteratura intendeva omettere di proposito. Lo scrittore attuale divulga preferentemente ciò che lo scrittore di ieri taceva per disdegno, e non per inesperienza o paura. Per essere tedioso e villano si richiede meno talento di quello che si pensa. I valori plebei, da Omero a Yeats, hanno vegetato presso i suburbi delle lettere come proletari oppressi. 406
La letteratura odierna è redatta da Tersite. La letteratura è troppo ricca e la nostra memoria troppo esigua per non avvisare il lettore che il semplice talento non basta. La posterità di un’opera d’arte suol farci dispiacere che essa sia esistita. La pittura attuale ha più appassionati dell’attuale letteratura, poiché il quadro si mostra in due secondi di noia, mentre il libro non si legge in meno di due ore di tedio. Malgrado il prurito dell’originalità, la letteratura moderna è redatta da bibliotecari vergognosi. Le opere moderne mantengono le promesse dei loro programmi come le medicine popolari mantengono quelle dei santoni che le decantano. Però, se la tiritera era stata iniziata da Mallarmé e Rimbaud, solo i nostri contemporanei imbottigliano la semplice acqua dell’acquedotto. La verbosità delle teorie estetiche aumenta con la mediocrità delle opere, come quella degli oratori con la decadenza della propria patria. Di solito i piedi dello scriba si impigliano nelle fimbrie del manto profetico. 407
Qualunque sia la propria ascendenza plebea, chi ottiene che il Cattolicesimo Medievale lo adotti parrà di lignaggio patrizio. Il corpo è una narrazione dell’anima. Tutte le novità sono una minima aggiunta a un patrimonio colossale di roba vecchia. L’uomo è costretto a camminare coi piedi legati. Dall’esterno tutto quello che è importante pare burlesco. Siccome la Chiesa Cattolica ha mantenuto sempre una separazione precisa fra ortodossia ed eresia mentre il protestantesimo ostenta una gamma di sfumature dottrinarie, la storia della teologia cattolica è meno interessante del monumento intellettuale che erige, mentre la storia della teologia protestante è più interessante dell’edificio privo di stile che costruisce. Non la scienza o la storia hanno provocato la crisi attuale del cristianesimo, bensì i nuovi mezzi di comunicazione. Il progressismo religioso è l’impegno di adattare le dottrine cristiane alle opinioni difese dalle agenzie di notizie e dagli agenti pubblicitari. L’osservanza del cattolico è mutata in un’infinita remissività verso tutti i venti del mondo. Il volgo è convinto di pensare liberamente solo quando la 408
sua ragione capitola di fronte ad entusiasmi collettivi. Colui che parla delle regioni estreme dell’anima necessita presto di un vocabolario teologico. Le idee generali sono l’incantesimo con il quale il grande storico resuscita i propri morti e il maleficio con il quale lo storico scadente li uccide per la seconda volta. “Dio è morto”, ha esclamato il Venerdì Santo che è stato il XIX secolo. Stiamo vivendo oggi nell’atroce silenzio del sabato. Nel silenzio della tomba abitata. In quale secolo albeggerà, sulla tomba deserta, la Domenica di Pasqua? I princìpi dell’intelligenza sogliono essere dei borghesi pusillanimi. Nel momento in cui i presunti peregrinantes in hoc mundo si alleano con i civibus hujus saeculi, vediamo subito che si trattava di indigeni che si facevano passare per stranieri. La critica marxista ha adottato Balzac per il fatto di supporre che Balzac confessi la sconfitta delle proprie idee reazionarie nel narrare il trionfo della borghesia. Compromesso dottrinariamente a non accogliere altro criterio che quello della “necessità storica”, il marxista non comprende che Balzac possa essere reazionario precisamente perché la borghesia trionfa. 409
Il successo non rappresenta una categoria assiologica. La meditazione non origina nulla. Semplicemente incuba idee previe. I sistemi dovrebbero essere solo la scia momentanea del pensiero. Pensare suol consistere nella comprensione improvvisa dell’idea che abbiamo avuto in un certo momento e che abbiamo scordato senza aver capito. Il nostro pensiero giunge a tediarci allo stesso modo della nostra faccia. La logica disciplina i discorsi fra compagni di partito, però le conversioni dipendono dalla sezione di letteratura e belle arti. Al fine di distrarre il popolo mentre lo si sfrutta, i dispotismi sciocchi favoriscono le lotte da circo e il dispotismo astuto sceglie le lotte elettorali. Persino il buon democratico non accetta sentenze elettorali avverse perché creda in un diritto delle maggioranze, bensì perché il punto controverso non gli importa, o perché si sa impotente. Non essendo riuscita ad ottenere che gli uomini pratichino ciò che insegna, la Chiesa attuale ha risolto di insegnare ciò che essi praticano. 410
Il momento in cui il pensiero è affascinato solo dal proprio funzionamento giunge ben presto. Gli uomini di sinistra non sono i rappresentanti dei poveri bensì i delegati delle idee povere. Il ricordo più prezioso di quasi qualunque individuo suol essere un ricordo sordido. Un solo concilio non è altro che una singola voce all’interno del vero concilio ecumenico della Chiesa, che è la sua storia totale. Nessun partito, setta o religione deve confidare in coloro che conoscono le ragioni per le quali si affiliano. Qualunque autentica adesione, in religione, politica e amore, anticipa il ragionamento. Il traditore sceglie sempre razionalmente il partito da tradire. Fino a ieri gli scrittori si rammaricavano per la mancanza di critici. Oggi invece mute di critici sono instancabilmente sulle loro tracce. Una volta c’era chi non mangiava, oggi non c’è niente da mangiare. Il popolo non crede mai che coloro che parlano in modo enfatico dicano scemenze. 411
Il cattolicesimo popolare è il centro di qualsiasi ira progressista. Fede popolare, speranza popolare e carità popolare indispettiscono un clero di estrazione piccolo borghese. Camminando a fianco di plebei i nostri vizi ci difendono e le nostre virtù ci tradiscono. Coloro che ripongono la loro speranza nel mondo sono appena un po’ più stupidi di coloro che dallo spettacolo del mondo non sono divertiti. Con buon umore e pessimismo non è possibile sbagliarsi né annoiarsi. L’amore verso il prossimo è stato brevettato come la migliore giustificazione dell’apostasia. La storia contemporanea dimostra che un salario modesto può reclutare esecutori per i peggiori crimini ma anche per i compiti più umanitari. Il denaro in questo secolo ottiene quello per cui sembrava necessario avere la collaborazione di Dio o del diavolo. L’importanza di una nozione religiosa non scaturisce dalle conseguenze che possiede, bensì dal valore religioso autonomo che ostenta. Senza dubbio conviene insultare il reazionario patente (rinnegato dei Whigs - lost reader - gazzettiere della Santa Alleanza - borghese intimorito dalla Comune, ecc.), però è il caso di tacere la lista dei reazionari cauti se non 412
intendiamo sbreccare le convinzioni del democratico. Allo scrittore deve importare soltanto il tema che tratta; a noi deve importare soltanto lo scrittore. Al fine di interpretare determinati uomini è sufficiente la sociologia. La psicologia è già troppo. Che cosa definiamo propriamente “storia”? Il mondo visto attraverso gli occhi del XIX secolo. Fondamentalmente il rivoluzionario è un uomo privo del sospetto che l’umanità possa attentare contro se stessa. L’avanguardia presenta, in pochi lustri, lo spettacolo delizioso della sua indignazione nel vedersi trasformata in retroguardia. L’uomo non ha il potere di fare niente di importante. Può soltanto sperare che quello che fa risulti importante. Possiamo soltanto spolverare la stanza nella quale forse si poserà un’orma immacolata. Quanto più stupide sono le ragioni che assegnamo ad un atto, tanto meno corriamo il pericolo di sbagliarci. Il reazionario simpatizza con il rivoluzionario di oggi poiché lo vendica di quello di ieri. Come ethos di una classe media, di una classe fra due classi, 413
l’autentico ethos borghese è uno dei successi indiscutibili dell’umanità occidentale. La calamità presente non proviene dall’esistenza di un ethos borghese, bensì dall’ambizione sociale di un settore della borghesia che si è trasferito ai piani alti dell’edificio senza mutare nell’anima. Il pensiero democratico suole dedurre le conseguenze di un fatto con la stessa disinvoltura lineare delle implicazioni di un principio. Al contrario, ciò che il reazionario sa vedere è l’indole paradossale dei fatti, degli uomini e del mondo. La natura paradossale del mondo empirico, la natura paradossale della dottrina cristiana e la natura paradossale del pensiero reazionario sono la triplice orma della Volontà creatrice, della Volontà rivelatrice e della Volontà arrendevole alla suprema Volontà. Gli errori sociali del cristianesimo, nell’ultimo secolo, hanno avuto origine dallo sbaglio di adattare il suo conservatorismo congenito alla difesa di condizioni sociali provenienti da un progetto rivoluzionaario avverso alla propria dottrina. Il cristianesimo patisce le conseguenze di aver custodito il processo di industrializzazione di una società democratica. Si può celebrare la messa in palazzi o in capanne, però non in quartieri residenziali. Dobbiamo rispettare, anche quando non lo merita, l’individuo eminente che è rispettato dal popolo per non 414
mancare di rispetto alla nozione di rispetto. Rinunciare a proibire non vuol dire, oggi, permettere, bensì fomentare ciò che era proibito anteriormente. La Chiesa ha vissuto un millennio e mezzo della sua alleanza con il “trono”. Però soltanto un secolo, all’incirca, delle sue collusioni capitaliste. Tutto indica che i suoi congiungimenti proletari saranno ancora più corti. Fatta eccezione per la regola benedettina, tutti gli statuti delle collettività umane sono grotteschi e rozzi. Il mentale dipende ovviamente dal fisico, però mentale e fisico sono semplicemente idee dello spirito. Nelle società dove tutti si credono uguali, l’inevitabile superiorità di alcuni fa in modo che gli altri si sentano dei falliti. Inversamente, nelle società dove la disuguaglianza è la norma, ciascun individuo si situa nella propria differenza senza avvertire l’urgenza, né concepire la possibilità, di compararsi. Soltanto una struttura gerarchica è pietosa verso i mediocri e gli umili. Gli epigrammi contrari alla democrazia e al progresso sono a carico della storia. Il compito dello storico consiste meno nello spiegare ciò che è accaduto che nel far comprendere come il contemporaneo comprendeva ciò che accadeva. 415
La storia, nello storico marxista, respira durante le intermittenze del marxismo. L’attività sessuale dell’impotente sul cadavere della sensualità si chiama erotismo. La difesa contro le “metafisiche della cattedra” assorbe così tanto l’attenzione dei fanatici dell’analisi linguistica che non avvertono di essere stati invasi dalla metafisica della strada. Così come nella nostra società hanno successo i bassifondi sociali, allo stesso modo nella nostra letteratura hanno successo i bassifondi dell’anima. Il vero cattolico maschera la propria fede. Non perché se ne vergogna, bensì perché essa non si vergogni di lui. Quando si realizzino le promesse progressiste l’umanità magari sarà salvata da uno schifo rendentore. Quando cesserà l’ultima orazione all’ultimo feticcio, l’universo si dissolverà nel nulla. Il democratico suole lamentarsi solo se l’opinione pubblica lo abbandona. Oggi viene pubblicato con successo un tipo di libro fra il libro serio e quello popolare: il best-seller per intellettuali. 416
Il “paternalismo” irrita i figli di padre sconosciuto. Davanti a un pensiero avverso, il pensiero reazionario non si paralizza in un rifiuto indignato. Tenta, al contrario, di assimilarlo, sapendo di essere capace di alimentarsi di succhi velenosi. Rispetto soltanto la dichiarazione enfatica che è carica di interrogativi clandestini. L’apprendimento dell’arte di vedere merita il nostro massimo impegno. L’arte di vedere ciò che risulta inarrivabile alla nostra solita visione. L’arte di vedere nell’implacabile volgarità dell’universo visibile gli aspetti scoperti dall’immaginazione estetica. Siamo giunti a un tale estremo di limitatezza che crediamo reale solo ciò che potrebbe sussistere nella supposizione che le arti siano abolite. Lo scrittore, se le sue frasi non hanno filo, si ingarbuglia nei fatti. La “filosofia della storia” potrà tenere occupato seriamente solo qualche arcangelo ozioso che medita sul cadavere del mondo. Quelli che si rifiutano di prostituirsi nella baraonda plebea di questo secolo dovranno imparare il rispetto nuovamente. 417
In mano al sociologo la storia si converte in un catalogo tedioso di paradigmi essiccati. Le idee ugualitarie adulterano la nostra percezione del contemporaneo e in più troncano la nostra visione della storia. Nessuno può ribellarsi, nel nostro tempo, contro l’oscurantismo progressista e democratico con la speranza di vincere. Semplicemente, perché sente il dovere di testimoniare. Oggi il reazionario è meramente un naufrago dignitoso. Le nostre verità sono troppo genuine per cadere nell’azione impropria di puntellarle con le dottrine scientificamente alla moda. I giudizi di valore, nelle Geisteswissenschaften27, si rimpiazzano soltanto con pregiudizi. Il “razionalismo” è l’incapacità patologica di discernere tra forma e materia del raziocinio. La grande intelligenza non è un’intelligenza più grande di una ordinaria, bensì di un’altra specie. Le teorie, nelle Geisteswissenschaften, non sono soluzioni ai problemi, bensì maniere nuove di parlare di essi. Il “cartesianesimo” è una calunnia contro Cartesio. 418
La filosofia che non si accontenta in ultima istanza di catalogare aporie, alla lunga risulta meramente comica. Un uomo colto è colui che riesce a collocare un architrave greco sulle colonne simmetriche del classicismo francese e del romanticismo tedesco. L’uomo non chiama soluzione la formula risolutiva dei problemi, bensì quella che li occulta. La dignità umana è quello che si acquisisce attraverso la lotta contro se stessi in nome di una norma. Quello che non proviene da un conflitto è bestiale o divino. La filosofia ha per oggetto, innanzitutto, impedire che le scemenze del giorno oscurino le finestre e spranghino le porte. Per lo scemo sono autentici soltanto i comportamenti concordi con l’ultima tesi psicologica alla moda. Lo scemo, nell’osservare se stesso, vede sempre corroborata sperimentalmente qualunque fesseria che possa presumere scientifica. Allietarsi malevolmente dei disastri della società moderna non vuol dire godere delle umiliazioni dell’uomo. Significa applaudire i fallimenti della volontà sinistra che lo muove. La stoltezza umana impaurisce coloro che credono che la 419
fortuna di un valore dipenda dalla volontà dell’uomo. Però diverte coloro che sanno che il valore non è alla portata delle sue mani né è esposto alla sua inabilità. L’uomo può mutilare solo se stesso. Nel vocabolario dello storico i verbi reciproci dovrebbero prevalere. Miei fratelli? Sì. Miei uguali? No. Giacché ce ne sono di minori e di maggiori. Il romanzo pornografico sarà sempre uno sgorbio, perché il coito non è un atto dell’individuo, bensì un’attività della specie. Dio non ci chiede “collaborazione”, bensì umiltà. Quelli che professano opinioni che i nostri contemporanei non disprezzano devono vergognarsi. Quando il progressista condanna, qualunque uomo intelligente deve sentirsi alluso. La morte del passato giustifica coloro che sono costretti a preferire il presente per la propria immaginazione miserevole, però niente può scusare colui che preferisce l’arte presente nel caso in cui sopravviva l’arte passata. Le dimensioni del fatto storico tendono ad imporre categorie specifiche di interpretazione. L’aneddoto, per esempio, favorisce motivi psicologici, 420
l’accadimento spiegazioni sciologiche, il periodo fondamenti economici, l’epoca un condizionamento da “idee”. Per finire, i grandi aspetti storici: civiltà, culture, ere, ecc, hanno bisogno del servizio di entità metafisiche: visione, prospettiva, stile, Stimmung 28, ecc. Non vi è niente di più difficile che comprendere l’incomprensione degli altri. Il critico d’arte suole condannare l’opera che meglio osserva i princìpi in nome dei quali egli la giudica. Per evitare la tentazione di attribuire all’estetica moderna la ributtante mediocrità dell’arte attuale, dobbiamo ricordare la mediocrità similare della plebe artistica di qualunque stile. La mediocrità non ha né patria né epoca. La storia letteraria insegna che l’opera di ogni grande poeta si distingue in due parti: quella che ammiriamo e quella che ha influito sulla letteratura. I cattolici hanno smarrito persino la simpatica capacità di peccare senza dover argomentare che il peccato non esiste. L’etnografo compila meramente dati per lo storico futuro. Il marxista, per salvarsi dalla sconfitta in campo aperto, si introduce nella fortezza hegeliana per la fessura che gli aprono i manoscritti giovanili di Marx. 421
Quando le proprie conseguenze logiche fanno scontrare il marxismo con un fatto, il marxista, sostenendosi sugli obiter dicta29 di Marx o Engels, lo costringe a uno balzo leggiadro e sleale. La storia non è venerabile perché opera dell’uomo, bensì perché luogo di alcune epifanie gratuite. È arduo simpatizzare con il clero moderno dal momento in cui è diventato anticlericale. Dobbiamo limitare la nostra ambizione alla pratica di un metodico sabotaggio spirituale contro il mondo moderno. Narrare ciò che l’uomo compie o dice è una mansione storica subalterna. La storia fondamentale è quella che si interessa delle variazioni della sensibilità nel tempo. Il conformismo obsoleto è lo scandalo del conformismo presente. Nessuno disdegna così tanto l’idiozia di ieri quanto l’idiota di oggi. Ogni giorno ho minor speranza di imbattermi in qualcuno che non alberghi la certezza di sapere in che modo si curano i mali del mondo. L’uomo comune suole avere personalità nelle faccende quotidiane. 422
Però l’affanno di esprimerla lo converte in esponente dei luoghi comuni alla moda. La volgarità sorge quando l’autenticità è perduta. L’autenticità si perde quando la si cerca. La volgarità tipica di questo secolo è la pretesa di essere distinti dai nostri congeneri, essendone identici. Gli uomini sono meno uguali di ciò che dicono e più uguali di ciò che pensano. Il più interessante capitolo della sociologia non è ancora stato scritto: è quello che studierà le ripercussioni somatiche dei fatti sociali. L’antropologo attuale, sotto lo sguardo severo dei democratici, corre rapidamente sopra le differenze etniche come se si trattasse di brace. Quelli che con enfasi e fervore esclamano “efficacia!”, “efficacia!”, favoriscono massacri. Le tattiche delle controversie tradizionali falliscono di fronte al dogmatismo imperterrito dell’uomo contemporaneo. Per sconfiggerlo sono necessari stratagemmi da guerrigliero. Non dobbiamo confrontarci con esso attraverso argomenti sistematici e neppure presentando metodicamente soluzioni alternative. 423
Dobbiamo fare fuoco con qualunque arma e da qualunque cespuglio su qualunque idea moderna che avanza solitaria nel cammino. Qualsiasi letteratura strettamente contemporanea è sempre coriacea. Per una degustazione occorre attendere che irrancidisca. Al filosofo risulta impossibile credere che quello che pensa possa essere definitivo e altrettanto impossibile credere che non possa esserlo. Questa è la sua piaga segreta. Scrivere sciocchezze leggibili è un privilegio delle grandi intelligenze. Per praticare senza scrupoli ogni funzione borghese, all’uomo di sinistra è sufficiente preparare il loro esercizio con l’esorcismo dell’insulto. “Purezza”, “poesia”, “autenticità”, “dignità” sono le voci chiave dell’attuale lessico tecnico per parlare di qualunque narrazione pornografica. Una certa specie di apologisti cerca un posto per il cristianesimo nella società moderna mostrando certificazioni favorevoli rilasciate da fisici o biologi. Come se mendicassero le raccomandazioni di vecchi domestici per recludere in un sanatorio il padrone in rovina. Peggio del sentimentalismo della virtù è il sentimentalismo 424
del vizio. Secolo XIX - secolo XX. Se fa riferimento a problemi seri la parola “soluzione” possiede una sonorità grottesca. Un argomento irrobustisce ciò che non riesce ad uccidere. La prima manipolazione democratica di un testo cristiano è quella presente nel prologo del Vangelo di San Giovanni (V 13). Il testo volgare è quello di tutta la tradizione manoscritta (fatta eccezione per il Codex Veronensis), però la lezione corretta è quella di San Giustino e Sant’Ireneo. Tertulliano (De Carne Christi) denunciò i valentiniani come corruttori del testo. Gli gnostici evidentemente si aggiravano intorno a questo Vangelo. Non fu infatti Eracleone il suo primo commentatore? L’atteggiamento rivoluzionario della gioventù moderna è un’inconfondibile prova di attitudine per la carriera amministrativa. Le rivoluzioni sono incubatrici perfette di nuovi burocrati. Il tempo suole vendicare il cristianesimo dall’acerbità degli apostati, dato che ciascuno di essi finisce per professare gioiose sciocchezze. Una certa dose di volgarità rende famoso qualunque libro. 425
Il comunismo non si è rivelato la peripezia finale della Verelendung proletaria, bensì la metamorfosi finale del proletariato in borghesia. Al fine di democratizzare il cristianesimo si devono manipolare i testi leggendo “uguale” dove è scritto “fratello”. La vecchiaia non emargina l’uomo intelligente; è il mondo a farlo. La tirannia è matura quando non ha più bisogno dell’esecuzione del proprio nemico. Ancora più tedioso del lavoro è il suo panegirico. Quelli che scrivono ragione con la maiuscola si preparano ad ingannare. La tragedia della sinistra è quella di diagnosticare correttamente una malattia, ma di aggravarla con la sua cura. La Chiesa si è trasformata in classe media, come tutto il resto. L’incitamento alla cultura fa sì che essa si ammali. Il gesto spontaneo e il gesto rituale fanno parte di categorie distinte, però posseggono uguale rango. Al contrario, non c’è nulla di più basso della spontaneità regolamentata: il ghigno demagogico. Quanto di più alto a cui l’uomo può giungere non è in ciò 426
che fa. È in ciò che l’immaginazione estetica lo vede fare. Le convinzioni sistematiche sono indice di intelligenza in coloro che le inventano e di stupidità in coloro che le assumono. Coloro che assumono un sistema smettono di percepire le verità che sono alla loro portata. L’indipendenza della quale qualsiasi gioventù si vanta non è che una sottomissione ad una nuova moda imperante. Il destino del mondo è sempre in mano ad un subalterno sconosciuto. L’assordante rumore della storia non è che la risonanza del dialogo fra pochi solitari. Le risposte erronee scompaiono, quelle corrette imputridiscono. A durare sono soltanto descrizioni e domande. L’eccellenza tecnica del lavoro intellettuale è giunta a un punto tale che le biblioteche straripano di libri che non possiamo sdegnare ma che non valgono la pena di essere letti. Il nome del maestro passa ai discepoli, però il suo spirito normalmente va ad un estraneo. Ogni uomo si sente affogare dentro qualsiasi intelligenza 427
altrui. Il prevedibile causa più sorpresa all’uomo esperto dell’ imprevedibile. La dialettica autentica cammina con passo da ballerina in un’improvvisazione di danza, e non con un monotono ritmo trimembre da sergente prussiano. Ciò che ammiriamo nella storia non è l’effetto deliberato dei propositi, bensì il loro incongruo esito. Casualità è un nome che diamo a Dio, tanto per rispetto umano quanto per rispetto divino. La vita è una fucina di gerarchie. La morte sola è democratica. Il democratico in cerca di uguaglianza passa la rasiera sull’umanità per ritagliare quello che eccede: la testa. La decapitazione è il rito centrale della liturgia democratica. Quando ci urge imparare qualcosa conviene interrogare l’intelligente che ignora piuttosto dello scemo che sa. In qualunque spettacolo siamo abituati a vedere solo ciò che alcuni ci hanno insegnato a guardare. “La fine delle ideologie” è il nome con il quale viene celebrato il trionfo di una certa ideologia. 428
La più insidiosa tentazione è quella di professare oggi la verità di domani. Il cadavere di una verità passata puzza meno dell’embrione di una verità futura. “Attività culturali” è un’espressione che non udiamo provenire dalla bocca di chi le esercita spontaneamente, bensì dalla bocca di chi le pratica per lucro o per prestigio. Nello specialista convivono le più fini idee su dei frammenti dell’universo con i più sgualciti luoghi comuni sull’universo stesso. La retorica è rispettabile quando difendiamo i diritti di altri. Però persino gli uditori più benevoli sorridono quando ci rivolgiamo a considerazioni etiche per richiedere i nostri invece di appellarci alla forza. Se gli altoparlanti culturali stessero in silenzio per un momento, il pubblico farebbe ritorno alla pittura ufficiale del secolo scorso. L’ammiratore ascetico di quadri astratti riappenderebbe alle pareti della sua casa, con un sospiro di sollievo, quadri aneddotici, sentimentali o discretamente pornografici. La propaganda culturale degli ultimi decenni (scolastica, giornalistica, ecc.) non ha educato il pubblico, bensì ha ottenuto meramente, come i missionari, che gli indigeni celebrino le proprie cerimonie in modo clandestino. Il compito, già secolare, della “democratizzazione della 429
cultura” non ha ottenuto che siano di più gli ammiratori, per esempio, di Shakespeare o Racine, bensì che più gente creda di ammirarli. Non vi è nulla di durevole, certo, e contano solo gli istanti, ma l’istante conserva il proprio splendore per coloro che lo immaginano eterno. Conta solamente l’effimero che sembra immortale. Il vero scrittore non è colui che ci parla con voce esotica da commensale pittoresco in un incontro casuale, bensì chi ci interroga con la stessa voce con la quale parliamo a noi stessi in solitudine. L’uomo cessa di essere ciò che è cosciente di essere. La voce dello scrittore non avrà penetrato la nostra congenita sordità fintantoché i fantasmi dei nostri sogni non converseranno nel suo idioma proprio. L’uomo definisce “neutro” ciò che intende imporre senza rivelarne le ragioni. Il diavolo è troppo intelligente per essere razionalista, però imbecca oracoli razionalisti ai suoi accoliti affinché lo venerino privi di scrupoli. La storia non ha il proposito di narrarci quello che l’uomo fa, bensì quello che è. La storia non cataloga i suoi atti, rivela i suoi modi. La storia non compone il repertorio delle avventure umane; la storia manifesta l’essenza di umanità che si succedono. 430
Né stili, né opere, né individui scoprono il proprio nucleo autentico sgrossando una corteccia di residui stilistici, di usi inveterati, di mimetismi sociali. Lo stile si edifica sopra uno stile precedente. L’opera si sviluppa attraverso le opere che imita. L’individuo giunge ad essere persona mediante le influenze che accoglie. L’autenticità non è la mera espressione di una natura, bensì l’acquisizione di un significato. L’autentica intelligenza vede spontaneamente anche il fatto più umile della vita quotidiana alla luce dell’idea più generale. Lo storico indovina sempre fintantoché assume la storia dell’arte come paradigma della storiografia. Le categorie che la storia dell’arte indica ad un intelligenza dotata di gusto e capace di critica sono il modello generico delle norme specifiche di ogni ambito storiografico. Colui che desidera conoscere una cosa perché la crede importante differisce radicalmente da colui che desidera conoscerla perché lo crede importante. L’amore intellettuale muove il primo, mentre il prestigio pedagogico della “cultura” attrae il secondo. Fra l’opera d’arte e il suo simulacro non vi è una differenza tangibile. Niente di definibile le diversifica, eccetto la loro differenza appurata da coloro che vedono i valori. Eccetto il fatto bruto della loro differenza estetica, non vi è tra di esse né un di più né un di meno identificabili, analizzabili, specificabili od ostensibili. 431
Ciò che per prima cosa lo scrittore inventa è il personaggio che scriverà le sue opere. Il tribunale supremo dell’arte è l’interiezione. Destra e sinistra si caratterizzano per la distinta interpretazione che danno del titolo ambiguo che Goya dà ad un Capriccio: “Il sonno della ragione produce mostri”. La sinistra traduce con “dormire”; la destra con “sognare”. Svariati artisti famosi degli ultimi decenni sopravvivranno soltanto come introduttori alla visione perduta di stili trascorsi. I preraffaeliti involontari pullulano già da un secolo. Colui che si iscrive ad un partito cessa di essere un possibile interlocutore per trasformarsi in tema di conversazione fra interlocutori che non si sono iscritti. In epoche come quella attuale, quelli che hanno orgoglio non possono abbassarsi all’“altezza dei tempi”. Coloro che insistono nell’“essere al corrente” di ciò che questo secolo ha da dire si impegna a versare una fogna sulla propria anima. Nel momento in cui l’artista pensa che l’originalità possa bastare, l’originalità si trasforma in ricetta accademica. Il volgo può impadronirsi di qualunque idea, però non 432
dell’intelligenza che gli impedisce di scadere nella banalità. Contrariamente all’artista di una volta, che fantasticava mondi affini ai suoi sogni più nobili, l’artista attuale escogita mondi nei quali sarebbe sufficiente farlo risiedere per rinchiuderlo all’inferno. Parlando propriamente: la bellezza di un’opera consiste in quello che eccede qualunque definizione del critico. La “teologia radicale” è una teologia da orto degli ulivi che non finisce per essere rassegnazione alla volontà di Dio, bensì alla volontà dell’uomo. Così come il povero attribuisce alla ricchezza viltà che sono proprie dell’uomo, il ricco le attribuisce alla povertà. Ciascuno attribuisce solo all’altro una viltà comune, invece di ammirare le virtù che germogliano solo nella povertà e quelle che prosperano solo nella ricchezza. L’immaginazione recupera nella storia la sensazione perduta di quello spessore proprio dell’esistenza umana che non è più palpabile in questo mondo attuale di esseri filiformi. Quandanche potessimo sapere solo cose tediose, impararle è qualcosa di divertente. Solamente il sociologo privo di messaggio a volte non dice cretinate. 433
Il sociologo si abitua ad operare con strumenti grossolani perché si colloca ad una distanza tale dai fatti che i suoi atti maldestri non gli schizzano il volto di sangue come succede allo storico. Essere discepoli di coloro che hanno infranto norme non è eticamente lecito. Non scimmiottare è il primo requisito etico dell’infrazione delle norme. L’“immoralista”, in questo secolo crapulone, è l’assaltatore eroico di fortezze senza difesa. Fino a che lo storico non farà attenzione alla struttura della coscienza dell’epoca che prende in esame, tutto quello che dice a proposito della struttura della società sarà falso. Il padre dello Stato laico è stato Gregorio VII. Per ridicolizzare in modo lecito lo spettcolo delle ambizioni degli altri è necessario strangolare previamente le nostre. Posto che è impossibile fare in modo che l’imbecille taccia, la civiltà consiste nell’obbligarlo a recitare un catechismo. Un catechismo qualsiasi. Ognuno si afferra allo snobismo che gli è possibile. Il cattolico progressista non rimarca il carattere “comunitario” della Chiesa per ricordare ai fedeli la sua solidarietà mistica con una comunità storica, bensì per 434
immolare senza rumore la dottrina secolare della Chiesa sugli altari del presente. I collettivismi sacrificano sempre all’appetito di collettività istantanee la collettività augusta dei secoli. Dopo aver dialogato con qualcuno di “ben moderno” ci rendiamo conto che l’umanità è evasa dai “secoli della fede” per sprofondare in quelli della credulità. I sacerdoti progressisti, dal sospetto che il proletariato guardi con ironia l’omaggio tardivo che gli rendono, hanno risolto di praticare un’adulazione generica dell’uomo. La “dignità dell’uomo”, la “grandezza dell’uomo”, i “diritti dell’uomo”, ecc.: un’emorragia verbale che la mera visione mattutina del nostro volto nello specchio, durante la rasatura, dovrebbe tamponare. I problemi umani non sono definibili precisamente e neppure lontanamente solubili. Coloro che speravano che il cristianesimo li risolvesse hanno smesso di essere cristiani. Avendo promulgato il dogma dell’innocenza originale, la democrazia conclude che il colpevole del misfatto non è l’assassino invidioso, ma la vittima che ha destato la sua invidia. Gli episodi rivoluzionari di questo secolo, quandanche in essi pullulino i cadaveri, sono mere farse. La democrazia non è tanto l’impero delle parole quanto 435
quello delle bugie. Questo secolo alla fine è uno spettacolo interessante: non per quello che edifica, bensì per quello che disintegra. Per “costruire il mondo” pare sia necessario svilire l’uomo. Lo storico di una letteratura impiega il vocabolo “genio” un numero di volte inversamente proporzionale all’importanza di quella letteratura. L’uomo moderno ha timore della capacità distruttiva della tecnica, quando è invece la sua capacità costruttiva ciò che è minaccioso. Il predicatore, in ultima istanza, zoppica per essere ascoltato. Quando si estingue la razza degli egoisti assorti nel loro perfezionamento, nessuno ci rammenta che abbiamo il dovere di salvare la nostra intelligenza, anche dopo aver smarrito la speranza di aver salva la pelle. I naufraghi giustificano più facilmente il pilota imprudente che affonda la nave anziché il passeggero intelligente che prevede la sua deriva verso gli scogli. Quando l’orgoglio soffoca l’invidia ascendiamo sempre, anche fosse solo tra le gerarchie diaboliche. Esistono vizi da arcangelo caduto e vizi da misera plebe 436
infernale. Non esiste nel mondo un oggetto insignificante e neppure nella società una funzione tediosa se collochiamo gli oggetti in una scala ontologica e le funzioni in una gerarchia sistematica. Ogni parte, in una totalità ordinata, conta sull’appoggio delle altre ed ha l’onore di appoggiarle. Nel caso in cui non si suicidi, l’ateo ha il diritto di credersi lucido. Ciascun individuo definisce “cultura” la somma delle cose che guarda con rispettoso distacco. La poesia moderna si è resa illeggibile da quando ha risolto di spezzare il collo all’eloquenza senza sospendere la scrittura. La civiltà occidentale è un ammassamento di articoli di lusso, preparati da parassiti, per il consumo di oziosi. Dall’epoca degli aedi ionici fino a quella dei romanzieri borghesi, i rampolli di nobile famiglia hanno finanziato tutte le “alienazioni” religiose, estetiche, politiche “civilizzatrici” dell’uomo. La gloria completa dell’Occidente. Fortunatamente, invece, la civiltà moderna è il complesso di conoscenze utili alle classi laboriose. Emulatrice dei parroci che vendono gli ornamenti sacri e le pie immagini, la Chiesa ha risolto di procedere a una liquidazione totale ribassando la propria dottrina all’effettiva domanda del secolo e sopprimendo il vergognoso sperpero della sua liturgia. 437
Sacerdoti e giornalisti hanno imbrattato di così tanto sentimentalismo il vocabolo “amore” che la sua semplice eco infastidisce. La democrazia in tempo di pace non ha sostenitore più fervente dello stupido, né in tempo di rivoluzione collaboratore più attivo del demente. L’uomo, fino a ieri, non meritava che lo chiamassero animale razionale. La definizione è stata inesatta fintantoché inventava, preferentemente, attitudini religiose e comportamenti etici, compiti estetici e meditazioni filosofiche. Oggi, al contrario, l’uomo si limita ad essere animale razionale, cioè inventore di ricette pratiche al servizio della propria animalità. Coloro che discrepano in modo radicale non possono dedurre, bensì enunciare. Per quelli che rifiutano i postulati moderni l’epoca delle argomentazioni è finita. Non potendo condividere convinzioni con i nostri contemporanei, possiamo ambire a convertirli, ma non a convincerli. Al reazionario risulta fattibile solo proferire sentenze violente e indigeste per il lettore. Siccome l’uomo concede realtà soltanto a quello che offre resistenza, quanto più grande sarà la sua capacità di operare tanto maggiore sarà la sua libertà, però altrettanto minore la realtà del mondo schiavizzato. L’uomo liberato porterà a passeggio il proprio tedio fra l’insignificanza spettrale delle cose. 438
Non esiste individuo che non tradisca, in maniera alternata, la nostra fiducia e la nostra sfiducia. Educare non significa collaborare al libero sviluppo dell’individuo, bensì appellarsi a quello che tutti hanno di decente contro quello che tutti hanno di perverso. I veri problemi non hanno soluzione, bensì storia. Coloro che chiedono alla Chiesa di adattarsi al pensiero moderno di solito confondono l’urgenza di rispettare certe regole metodologiche con l’obbligo di assumere un repertorio di postulati idioti. I dogmi cristiani sono implicite confutazioni. Le formule dogmatiche non spiegano il contenuto della fede, bensì escludono interpretazioni che la adulterano. La metafora dogmatica indica una rotta senza però anticipare una descrizione della meta. Qualunque “totalizzazione” dell’avventura umana che abbia pretesa di realizzazione fuori dall’inimmaginabile Gerusalemme celeste sarà solo una prigione totalitaria. Il più grande peccato dello storico sta nel vedere una qualunque epoca soltanto come anticipazione, preparazione o causa di un’altra. 1/ Letteralmente: “al di fuori dell’epistemologia non v’è salvezza”, sul calco della frase latina Extra Ecclesiam nulla salus.
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2/ Illuminismo. 3/ Qui il termine “spettro” è inteso in senso prettamente tecnico di spettro luminoso. 4/ Il “burladero” è una palizzata posta di fronte alle barriere delle arene per permettere al torero di rifugiarvisi dietro, burlandosi appunto del toro che lo insegue. 5/ Nella traduzione si perde qui il gioco di parole dell’originale, infatti la parola contrapposta a fraile (frate) è freile, termine che fa riferimento tanto a un cavaliere di un qualche ordine militare quanto a un sacerdote, ancora di qualche ordine militare. 6/ Si tratta della Convenzione nazionale, un’assemblea esecutiva e legislativa in vigore durante la Rivoluzione francese, dal 20 settembre 1792 al 26 ottobre 1795. 7/ Guerra dei contadini. 8/ Un adelantado de mar era un individuo al quale veniva affidato il comando di una spedizione marittima concedendogli in anticipo il governo delle terre che avrebbe scoperto o conquistato. Tale titolo militare era assegnato direttamente dal Re di Spagna. 9/ Ricerca della felicità. 10/ «…la tendenza dei miei pensieri sarà quella di rettificare me stesso piuttosto che il mondo…». 11/ Spartiacque. 12/ Devozione e prodezza. 13/ “In principio era il Nulla e credette che il nulla fosse Dio, e fu fatto l’uomo, e abiterà sulla terra, e attraverso/per causa dell’uomo tutte le cose sono state fatte nulla”. (Traduzione di Luciano Gini). 14/ Si tratta del primo verso dell’opera Pied Beauty del poeta inglese Gerard Manley Hopkins (1844—1889). “Dio sia lodato per le cose variopinte”. 15/ Diffidare, fare attenzione (es. Cave canem, attenzione al cane/. 16/ Nel teatro, un “a parte” è una battuta o un insieme di battute che svelano i pensieri nascosti di un personaggio. Secondo la finzione drammatica, tali battute sarebbero udite dal pubblico ma non dagli altri attori sulla scena. 17/ “La virtù non è altro che amare ciò che deve essere amato’ (traduzione di Luciano Gini). 18/ Autocoscienza. 19/ Odioso, detestabile. 20/ “Vangelo di Cristo” il primo, e “vangelo su Cristo’ il secondo. 21/ Credo per capire. 22/ Libreschi. 23/ Custoditi, protetti. 24/ Lectio difficilior potior: la lettura più difficile è la più forte. 25/ Gli hacendados sono i proprietari delle haciendas, tenute di carattere
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soprattutto latifondista. 26/ “Distinti ma non separati’ nel primo caso e “separati ma non distinti” nel secondo. 27/ Scienze dello spirito. 28/ Stato d’animo, atmosfera. 29/ Obiter dictum·, detto incidentalmente.
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POSTFAZIONE Gómez Dávila e l’ Italia1 di Antonio Lombardi Quizd podamos decir: el acto moral es la condición de la inmortalidad porque al efectuarlo nos identificamos a un valor, eterno por esencia. …m’insegnavate come l’huom s’etterna. NICOLAS GÓMEZ DÁVILA, Notas
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Attualmente ci troviamo in una fase della storia della filosofia in cui da un lato gli slanci teoretici vengono sempre più mortificati in nome dell’impossibilità che si diano verità universali e dall’altro sono invocate, in loro sostituzione, indagini a mero carattere ricostruttivo, oggi più che mai abbondanti e più che mai svuotate di qualsivoglia utilità euristica - tale svuotamento rappresenta anzi in molti casi addirittura un “pregio”, a dire degli esperti indice della “scientificità” e della “oggettività” di tesi di laurea e di dottorato, articoli specialistici, monografie e così via. In tale fase, che va dall’avvicendarsi dei nichilismi e degli storicismi prospettivistici di inizio secolo al successivo affermarsi delle ermeneutiche e degli storiografismi ormai tanto in voga nelle università, l’Italia (non tutta, è chiaro: una sua piccola parte, che è poi quella che conta) si distingue perché resiste e si sottrae a questa deriva; tanto a un livello squisitamente teorico (il Novecento italiano postbellico è forse l’unico in cui si osservano grandiose imprese speculative realmente degne di questo nome, la maggior parte delle quali sono fiorite all’insegna del neoparmenidismo) quanto a uno più “modestamente” storiografico, cioè interessato alla riscoperta e allo studio di pensieri e sistemi che meritino di essere riscoperti e studiati: ed è nel giudizio di valore circa tale merito che consiste la gloria di certa storiografia italiana, altrimenti indistinguibile da tutte le altre, che riscoprono e studiano praticamente tutto lo scopribile e lo studiabile — il che significa che non scoprono e non studiano nulla sul serio. Fortunatamente è sopravvissuta nella Penisola una “categoria” di spiriti, quella degli umanisti, il cui compito è 443
esattamente quello di conservare e diffondere le idee, facendo sì che non muoiano, ma in un senso forse diverso da come tale impresa sempre più viene intesa nei luoghi predisposti alla ricerca, quello che aveva presente l’autore di questi Escolios·. «Ringiovanire le idee appassite è il compito dell’umanista. La sua paziente lettura penetra fino al cuore indurito dell’idea» (Notas, 43). Quella che nel gergo specialistico delle scienze filologiche viene comunemente chiamata ricezione è dunque, anzitutto, una questione di sensibilità: nel marasma verbale in cui oggi qualsiasi persona con qualche velleità intellettuale si trova immersa, vero umanista è colui che riesce, grazie ad un fiuto allenato a suon di teoresi, a intercettare nei testi le idee che meritano, per la loro potenziale rilevanza, di essere studiate e diffuse. Quelle di Gómez Dávila, e quindi le sue opere, rientrano sicuramente nel novero di tali idee meritevoli: il perché lo mostra efficacemente Gabriele Zuppa nella prefazione a questo volume. Ma c’è di più: il filosofo colombiano è forse uno dei pochi autori contemporanei per il quale si rende più che mai urgente un commento: il suo esprimersi per schegge e apoftegmi risulterà incomprensibile al contemporaneo, ormai disabituato alla logica che ne anima disposizione e movimento. Commentare Gómez Dávila, quindi, prima ancora che presentarlo e spiegarlo al pubblico significa rieducare ai valori perduti di cui egli ha voluto farsi testimone. Mai come nel caso dello studio del suo pensiero, la storiografia trapassa nella teoresi, non potendo limitarsi a una mera esposizione. Noi italiani possiamo fregiarci, grazie all’impresa pionieristica di Franco Volpi, di aver intrapreso questo difficile lavoro. Tuttavia, in un intervento dedicato proprio alla storia della ricezione italiana dell’opera gomezdaviliana, tenuto a un recente convegno organizzato dall’Università delle Ande e dedicato a La biblioteca de Nicolàs Gómez Dávila2, il 444
sottoscritto notava che il trattamento riservato al “certosino dell’altopiano” da parte del mondo culturale e accademico italiano non ha saputo rendere giustizia alla grandezza del suo pensiero. E ciò non perché quest’ultimo non abbia generato, specie inizialmente, entusiasmi anche ampi rispetto ad altri paesi europei in cui invece è stato sostanzialmente ignorato (uno su tutti, il Regno Unito). A partire da quelle brevi osservazioni, si potrebbe arrivare a dire che il maggior torto che l’Italia ha compiuto nei confronti del pensatore colombiano è stato quello di non comprenderlo. Il che è tanto più grave, se si considera il fatto che Gómez Dávila, che era filosofo vero e non mestierante appena in grado di recitare formulette e redigere bibliografie, si sforzò di comprendere l’Italia forse molto più di quanto provi a fare oggi la stragrande maggioranza degli intellettuali italioti. Già il fatto ch’egli conoscesse l’italiano - lingua romanza oggi svalutata persino dai suoi stessi locutori in modo imbarazzante, se se ne considera il lascito letterario, filosofico e artistico alla cultura occidentale tutta - e ciò gli consentisse di apprezzare la poesia di Dante in originale basterebbe da solo a provare la qualità del suo interesse nei confronti del «bel paese là dove ‘l sì suona». Ma non accontentiamoci. Sempre nel corso del suddetto convegno, mi venne rivolta una domanda circa le fonti italiane del pensiero filosofico gomezdaviliano, alla quale, pur memore della scarsità di nomi di autori italiani citati nelle Notas e negli Escolios rispetto a quelli francesi o tedeschi, arguivo che in Gómez Dávila esiste e resiste, al di là della lettera, una forte consapevolezza teorica italiana; e citavo, a titolo di esempio, i nomi di Leopardi e di Croce, le cui “interferenze” con la formazione del pensatore colombiano andrebbero senz’altro tenute in maggior conto rispetto a quanto non si faccia. Ad ogni modo, al di là del mero vezzo filologico, che potrebbe trovare gran parte del proprio esaudimento nello 445
sfruttamento del lavoro seminale di Philippe Billé, Studia Daviliana, risalente al 2003, in cui sono contenuti un indice onomastico e un indice dei luoghi citati nei cinque volumi degli Escolios (26-29), e nella consultazione del catalogo dei volumi posseduti da Gómez Dávila, più interessante e importante sarebbe, considerata l’appena avanzata richiesta di comprensione, provare a soddisfarla almeno per ciò che riguarda il tema qui presentato3, andando a vedere cosa la cultura italiana abbia avuto da offrire, sotto il profilo intellettuale, alla teoresi gomezdaviliana e, assieme, valutarne l’apporto attraverso il giudizio dello stesso filosofo, in modo da lasciare affiorare un piccolo ritratto dell’Italia di Gómez Dávila. Questa postfazione sia dunque tanto un primo umile contributo in questa direzione quanto un modo di rendere omaggio al pensatore colombiano in occasione dell’uscita della traduzione integrale in italiano della prima parte degli Escolios, la sua opera più celebre. 1. Classicità e sapienza Se si parla di Italia non si può non parlare di Roma. Questo è indubbio. Per quanto sarebbe del tutto scorretto assimilare completamente l’“italianità” alla romanitas, il legame della cultura e della lingua italiane (che sono la risultante dell’incontro di quella eredità con altri numerosi fattori, che vanno da quello cristiano a quello barbarico) con la classicità latina è strettissimo. E per una sorta di proprietà transitiva con la stessa classicità greca, se come scriveva Orazio: «Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio». Dire Italia significa, dunque, almeno in riferimento alle sue origini spirituali, dire civiltà classica in genere; e dir questo significava per «un pagano che crede in 446
Cristo» (Escolios I, 255) già contemplare «l’alfabeto della sapienza umana» (Nuevos Escolios II, 172). È questa un’idea che torna periodicamente nel corso della produzione gomezdaviliana, quella per cui le belle lettere costituiscono quell’arsenale di luoghi comuni che è il vero e proprio patrimonio culturale dell’Occidente. Così, infatti, si trova scritto nelle Notas: I luoghi comuni sono la sanità dell’intelligenza, però rassegnarci ad essi vuol dire collaborare al nostro abbrutimento. Per questo la lettura dei classici greci e latini è così necessaria, giacché lì troviamo il luogo comune esposto con serena pienezza e con la deliziosa coscienza di una fresca scoperta4
Per quanto annidi in sé la possibilità della banalizzazione e, dunque, dell’errore (banalizzare, infatti, significa operare una riduzione e perciò negare inconsapevolmente certune caratteristiche di qualcosa, che gli sono invece essenziali) il lugar comùn è il cristallizzarsi dello spirito in una massima. Il che, esattamente come funziona per la legge giuridica (che è, in certo senso, anch’essa “luogo comune”), è non solo prezioso - poiché si tratta di una tappa, un segnavia che il processo pone e in cui ritrova se stesso -ma necessario, proprio perché il processo non può che di volta in volta arrestarsi a particolari buone sintesi su cui magari eserciterà nuovamente la propria inesorabile opera negante: nel caso della legge, la riforma o l’abrogazione; nel caso della massima, la critica e il perfezionamento. Ora, affinché la funzione critica dello spirito possa esercitarsi degnamente senza, ogni volta, “ricominciare tutto da capo” (il che sarebbe disastroso oltreché frustrante, perché ci si ritroverebbe inevitabilmente a commettere gli stessi madornali errori del passato) è di assoluta importanza quel “tesoro” di luoghi comuni costituito dai classici greci e latini, in cui è possibile ritrovare la maggioranza delle più importanti conquiste della sapienza umana, e per giunta non in maniera irriflessa e abulica, come se fossero formulette bell’e pronte 447
quelle stesse, aride e banali, che sono diventati per noi oggi i luoghi comuni -, ma, come vien detto nello scolio, “con tranquila plenitud y con la conciencia deliciosa de un fresco descubrimiento”, proprio perché in quelle opere era al lavoro uno spirito alle prese col proprio farsi, che a quei risultati poi scolpiti eternamente nella storia - doveva arrivarci attraverso il duro travaglio dell’intelligenza. Un piccolo esempio? Quando nel De constantia sapientis Seneca scrive che «il frutto dell’ingiuria consiste nel fatto che la percepisca e si indigni colui che la subisce» (509), ci sembra di riudire quello stereotipo del senso comune che invita a non badare eccessivamente alle offese rivolteci da chicchessia, richiamando al fatto che è dall’attenzione eccessiva riservata a un gesto così “basso”, e quindi di poco conto, che deriva gran parte dei nostri tormenti e della nostra rabbia - non dal gesto stesso, che in quanto indegno, non dovrebbe impensierirci. Nella cultura popolare italiana, questa massima ha trovato la propria espressione nel detto, frutto di una storpiatura di un verso dell’Inferno dantesco, «Non ti curar di loro, ma guarda e passa». Preso per sé, l’invito lascia il tempo che trova: sembra proporre un contenuto che, isolatamente, potrebbe avere il medesimo valore esortativo del suo opposto. Ciò che invece gli accade, se collocato nel quadro della penetrante prosa filosofica senechiana, è di rivestirsi di una inedita potenza teoretica: così, la “noncuranza” del luogo comune sublima nella rigorosa fermezza dello spirito del saggio stoico, che è tale perché la virtù che lo contraddistingue non può patire offesa di sorta; ché per l’anima saggia, a rigore, offesa sarebbe solo quella di sé a se stessa, nel caso cedesse alle passioni e abbandonasse la retta via (la qual cosa, in effetto, non può accaderle mai, se è realmente saggia). L’offesa altrui, al contrario, è un’occasione per mettersi alla prova e il chiaro segno della disonestà - e dunque della inferiorità - del nemico. Nel classico, insomma, il luogo comune si è trasceso 448
nel firmamento della filosofia, tornando alla propria scaturigine interrogante; quella del sapiente che si chiede, caso per caso, cosa debba fare per rimanere virtuoso. Non a caso Gómez Dávila ribadirà, più estesamente, nei Textos: Per salvaguardarsi dai suoi pericolosi trionfi, conviene che la filosofia intraprenda la meditazione dei luoghi comuni. Questo è il prezzo della sua sanità, e della nostra. In verità niente è più imprudente e stupido che il comune disprezzo dei luoghi comuni. Senza dubbio i luoghi comuni enunciano proposizioni banali, ma disprezzarli significa confondere le soluzioni insufficienti che propongono con le interrogazioni autentiche che ribadiscono instancabilmente. I luoghi comuni non formulano le verità di qualcuno, ma i problemi di tutti. La saggezza che l’umanità condensa nei suoi luoghi comuni non è tanto la somma delle sue certezze, quanto l’esperienza delle sue inquietudini. Il guadagno che il luogo comune ci offre è l’evidenza di un problema, la instancabile costanza di un’interpretazione permanente. Se camminassimo su di un suolo instabile verso una chiara meta, i luoghi comuni sarebbero la dottrina esatta dell’uomo; ma, nella steppa che si muove, i luoghi comuni ricordano, alle nuove generazioni, la tribolazione universale delle generazioni precedenti. La banalità stessa delle soluzioni ci mantiene, con furia tenace, ancora davanti al peso dei problemi che esse celano.5
Per riformulare, parecchi anni dopo, nei Nuevos Escolios, con un aforisma a cui ho già in parte fatto riferimento: Eliminare l’insegnamento dei luoghi comuni che abbondano nelle lettere greche e latine significa privare l’uomo dell’alfabeto della sapienza umana.6
Così, l’Italia, che grazie alla riforma Gentile del 1923 è ancora oggi, nonostante i sempre più frequenti tentativi di “innovazione”, l’unico paese in cui lo studio del greco e del latino resta obbligatorio in alcune delle principali scuole superiori, ha mantenuto e mantiene i contatti con questa tanto onorevole quanto pesante eredità, rendendo manifesto in tale scelta politica quanto la sua cultura (antica e non) rappresenti una via d’accesso privilegiata a tale abbecedario 449
della sapienza; e tenendo fede, nella scelta gentiliana di formare “umanisticamente” i propri figli, a una consapevolezza che fu anche del filosofo colombiano, per il quale «chi non ha appreso il latino e il greco vive convinto, anche qualora lo neghi, di essere solo semicolto» (Sucesivos Escolios, 93). Certo, non che questo basti; ma è senz’altro un inizio elevatissimo, dacché si giudica essenziale mettere a disposizione del discente gli strumenti per accostarsi all’arte pedagogica per eccellenza, quella che «esprime il massimo di significato con il minimo delle metafore» (Escolios I, 290): la letteratura classica, appunto, di cui l’Italia è figlia e tra le sue massime prosecutrici. Il perché, lo vedremo. 2. Un’ontologia “cattolica” e “feudale”? Ma proprio perché l’anima dell’Italia non coincide soltanto con la sua anima classica, dire Roma è anche dire la Roma cristiana di San Pietro e dei Papi. In senso lato, l’Italia medievale. A questa altezza, ritroviamo due categorie storicoconcettuali di fondamentale importanza per capire quella critica alla modernità per cui Gómez Dávila si è conquistato l’attenzione del grande pubblico: il Cattolicesimo e il Feudalesimo. Se la modernità si distingue per aver perso di vista uno dei principi cardine su cui si fonda la sua visione ontologica a un tempo pluralista e unitaria («un monismo essenzialmente pluralista», Notas, 319)7, tutta la storia dell’Europa premoderna è il terreno in cui la maestosa ancorché frammentaria archeologia gomezdaviliana lo ritrova operante - il disporsi gerarchicamente degli esseri e dei valori: L’essere è infinita presenza di esseri. Ma nella torrida selva il nostro passo da ubriaco si smarrisce, se la ragione non si attiene alla architettura disegnata dai rami. Al di là della pluralità immediata, l’essere si distribuisce in una
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gerarchia di stratificazioni ontologiche in cui ciascuno strato è condizione ultima e al contempo nessuno reclama il privilegio di realtà primordiale. La molteplicità ontica, tuttavia, è mera diversità modale, una tela candida ricamata in concrezioni trascendenti; ma i modi costituiscono una condizione irresolubile, e l’essere di ciascun modo è il proprio modo di essere.8
Specie per ciò che riguarda l’assetto politico-governativo che l’Occidente seppe darsi in quella fase, il Medioevo rappresenta agli occhi del “solitario de Dios” un modello ineguagliato di realizzazione del suddetto principio, in quanto il sistema socio-religioso su cui si fondava, quello cattolicovassallatico per l’appunto, manteneva in piedi, per così dire “in carne e ossa”, l’architettura - successivamente misconosciuta - di nessi sub- e sovra- ordinativi secondo cui lo stesso universo, per sua natura, si articola e che vede in Dio l’irraggiungibile termine ad quem cui si rivolge ogni cosa transeunte del mondo - Padre, Signore del cielo e della terra (Mt 11,25). Cattolicesimo e feudalesimo, così, pur appartenendo a sfere a prima vista diverse, stanno a significare, sub specie onthologica, lo stesso: La relazione tra il cristianesimo e Cristo è il prototipo della relazione feudale. Signore che dà la vita per i suoi fedeli. Vassalli fedeli al signore fino al martirio. Il cristianesimo è un vassallaggio mistico.9
E perché mai una tale relazione sarebbe auspicabile? È molto semplice: essa dà vita ad un rapporto di “sudditanza” o, per usare un termine meno compromesso, di subalternità felice - felice perché voluta da entrambe le parti, le quali, pur mantenendo ciascuna il proprio ruolo, si rispettano a vicenda; e, dunque, fondata in nome di un valore condiviso e riconosciuto, non coartato o imposto esternamente (che sarebbe, per ciò stesso, non valore). Il feudalesimo si fondò su sentimenti nobili: lealtà, protezione, servizio.
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Gli altri sistemi politici si fondano su sentimenti vili: egoismo, avidità, invidia, codardia.10
La rete vassallatica, che trae le sue origini dalla progressiva istituzionalizzazione dei rapporti di fiducia reciproca tra domini e coloni nel contesto della villa romana e della curtis diffusesi nell’Italia tardo-repubblicana, giungerà, dopo la fase carolingia - il cosiddetto feudo franco, caratterizzato da una minore dinamicità dovuta, per esempio, all’intrasmissibilità del potere per via non strettamente ereditaria - a perfezionarsi, attraverso il feudo longobardo, in quella esperienza governativa tutta italica rappresentata dall’età comunale, che agli occhi di Gómez Dávila costituì la culla della più genuina società civile: La realtà italiana fu la città. In quella terra ogni vita autentica germinò entro il recinto chiuso di una muraglia cittadina. Dalle colonie elleniche della Magna Grecia fino a Roma, città mostruosamente allargata che crea un impero come conglomerato di municipi, fino alle città del Medioevo e del Rinascimento.11
Per cui gli era possibile concludere che, se «l’ordine paralizza» e «il disordine sconvolge», «inscrivere un disordine istituito all’interno di un ordine inglobante fu il miracolo del feudalesimo» (Escolios II, 389). Ed è per questo che l’Italia, «il paese classico della borghesia medievale» in cui «il popolo sussiste come classe distinta», è oggi «una immensa massa contadina che non sa adattarsi al nuovo universo in cui vive» (Notas, 273): la modernità e l’idea di Stato che si porta appresso sembra esserle, per essenza, avversa. Il fenomeno odierno della mafia, probabilmente, è il risultato di una gestione dall’alto che mal s’applica a una rete sociale per sua natura portata ad amministrarsi spontaneamente attraverso piccole autonomie locali e corporazioni - si pensi allo splendore della Repubblica di Venezia o della Firenze medicea! L’unità politica, forse, non le si confà. Ancora oggi, nell’Italia meridionale il termine “guaglione”, 452
traducibile con “ragazzo”, e che secondo alcuni deriverebbe il proprio etimo dal celtico “gwas”, all’origine di quello latino “vassallus”, indica il giovane di bottega, l’apprendista che, talvolta non pagato, si mette al servizio di un “signore” per imparare un’arte e il suo valore unico e inestimabile: un vero e proprio apostolo, che intrattiene col suo maestro un rapporto che è a un tempo di sottomissione e di amicizia. Ed è indicativo, tornando al problema della mafia, come il corrispettivo siculo “picciotto” rimandi tanto a questo significato più nobile quanto a quello deprecabile dello scagnozzo al servizio di un boss della malavita. Paradossalmente, le origini di entrambi i significati possono essere fatte risalire ai monaci che a Montecassino vivevano insieme onorando la Regola di San Benedetto da Norcia, la quale raccomandava una gioiosa obbedienza ai superiori; generando, per la prima volta nella storia dell’Occidente, un modello di vita comunitaria tra i pochi corrispondenti a questo ideale felice della dialettica tra superiore e sottoposto. Fatta eccezione per la regola benedettina, tutti gli statuti delle collettività umane sono grotteschi e rozzi.12
Sarà forse per questo che «il primato di San Pietro infastidisce il clero progressista»?13 Viceversa, tutte quelle esperienze di potere che hanno trascurato e trascurano la spinta naturale proveniente “dal basso”, quel “disordine istituito” cui allude lo scolio, negandole di fatto un riconoscimento politico e pretendendo di governarla dal di fuori, finiscono inevitabilmente in tragedia: Il terrore è il regime naturale di ogni società priva di tracce di feudalesimo.14
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L’unico regime politico che non penda spontaneamente verso il dispotismo è quello feudale.15
Sarà per questo, dunque, che «solo Roma seppe comandare senza pretesti ideologici» (Nuevos Escolios II, 31): che la Pax Romana sia stata il frutto di un sistema, quello augusteo, in certa misura protofeudale? Agli storici l’ardua sentenza. 3. La svolta umanistico-rinascimentale. Una reazione rischiosa Come ogni epoca, tuttavia, il Medioevo covava in sé il germe di una sclerotizzazione di quel principio che Dante, «il poeta dell’ordine medievale» (Escolios II, 23), cantava nel Convivio e nella Commedia servendosi metaforicamente del sistema cosmologico messo a punto nelle summe dei filosofi arabi e ripreso dalla successiva Scolastica. Lo si vede in uno scolio in cui Gómez Dávila tratteggia brevemente lo sviluppo storico del cattolicesimo, indicando nella sua seconda fase, quella “ionica” che possiamo far corrispondere al XIII secolo, il pericolo di una ipostatizzazione dell’ordo ad Deum: Ci fu un cattolicesimo dorico: quello delle chiese romaniche e degli ordini militari. Un cattolicesimo benedettino e feudale. Ci fu poi un cattolicesimo ionico: quello delle cattedrali gotiche e delle summe scolastiche. Un cattolicesimo della cocolla da mendicante e di deliri reali. Ci fu, infine, un cattolicesimo corinzio: quello dei templi barocchi e della Controriforma tridentina. Un cattolicesimo di tonache rurali e di sfarzi romani.16
L’insofferenza e il sospetto gomezdaviliani nei confronti della “scolasticizzazione” del pensiero cristiano sono ormai cosa nota. Ma qual era la ragione di tale “fastidio”? Esattamente la medesima che porterà i primi umanisti italiani 454
a rivoltarsi contro il progressivo esilio delle belle lettere che, attraverso l’intercessione della fàlsafa, seguì alla massiccia traduzione e diffusione delle opere aristoteliche all’interno degli ambienti intellettuali europei; con il risultato che «l’antico sapere» si troverà «soffocato dalla filosofìa e dalla teologia scolastiche» (La Filosofia nel Medioevo, 458). Quel che è curioso è che per quanto nella retorica primoumanistica è la “barbarica” Parigi la capitale delle vuote disputationes dei logici scolastici, ritroviamo proprio un italiano all’apice di tale processo, e cioè San Tommaso d’Aquino, la cui impressionante intelligenza speculativa ebbe a formarsi, come successe a parecchi maestri dell’epoca, nell’ambito degli ordini mendicanti (di qui, il riferimento dell’aforisma alle cocolle); i quali, rispetto a quello benedettino, mantenevano delle differenze che a Gómez Dávila dovevano apparire, specie sul piano sociale, di non poco conto. In che senso, sarebbe utile approfondirlo in altra sede, ma si può qui riassumere con le stesse forti parole del pensatore: L’inquietudine della Chiesa di fronte alla miseria delle moltitudini oscura la sua coscienza di Dio. La Chiesa inciampa nella più astuta delle tentazioni: la tentazione della carità.17 @@ Sta di fatto che la suddetta insofferenza si precisava, come nel suo De remediis utriusque fortunae scriveva Francesco Petrarca, il primo degli umanisti, nella riduzione della sapienza «ad una dialettica verbale e vuota» (Petrarca, in La Filosofia nel Medioevo, 827). Non che, appunto, i ragionamenti e le discussioni non servissero ad illuminare la via verso la sapienza: la polemica petrarchiana consistette piuttosto nel denunciare un atteggiamento di arresto, da parte dei magistri, ai soli cavilli logico-formali e di smarrimento nelle minuzie argomentative tipiche della filosofia allora in voga, senza per contro alcun avanzamento parallelo in fatto di saggezza e condotta; al punto che gli antichi Padri, e lo stesso Cristo, venivano quasi cassati come degli illetterati del tutto inutili al dibattito scientifico. In questo modo la ragione, che dovrebbe limitarsi a riconoscere la gerarchia, cede alla tentazione di violarla, pretendendo di sostituirsi alla
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sapienza d’ispirazione divina. Dallo sfruttamento tomistico del principio avicenniano per cui tutto è potenzialmente riconducibile sotto la ragione di ens a quello scotista e poi tardo-scolastico per cui, a rigore, ciò sia possibile farlo anche con il Dio trascendente della Scrittura e il mistero che Egli rappresenta, il passo è breve. Si sente già, nell’aria, odore di modernità. Il vizio della scolastica medievale non sta nell’esser stata “ancilla theologiae”, bensì “ancilla Aristotelis”.18 La scolastica peccò pretendendo di convertire il cristiano in un sapientone. Il cristiano è uno scettico che confida in Cristo.19 Il pensiero moderno sorge tra i resti della nozione scolastica di ordine. La medesima scolastica fu causa del disastro […].20 Il Dio di alcuni teologi cattolici è a malapena un erede opulento del demiurgo platonico. […] Questi teologi innalzano un’impalcatura di ragioni, di valori e di princìpi innanzi a un Dio soggiogato. Per una simile teologia il creatore è un demiurgo servile.21
La posizione dell’uomo all’interno dell’universo è senz’altro privilegiata, perché, come già insegnava certa lezione neoplatonica, egli è sommamente in grado di porsi a metà tra i due mondi, quello “terreno” dell’empirico e del molteplice e quello “celeste” dell’unità e del concetto; e però quando questo privilegio viene confuso con una parificazione di intelletto umano e intelletto divino si sta affermando di più di quel che si dovrebbe. A questa esuberanza reagì in primis l’Umanesimo italiano - il quale è non a caso annoverato da Gómez Dávila, assieme a classicismo francese e a romanticismo tedesco, tra «le tre grandi imprese reazionarie della storia moderna» (Escolios I, 245) — e poi, in parte, il Rinascimento, che ne costituisce un prolungamento e, in seconda battuta, una radicalizzazione potenzialmente patologica. Petrarca e i suoi epigoni richiamano alla verità perduta della saggezza classica e altomedievale, ancora in grado di scorgere nell’ordine cosmico l’adeguata posizione dell’uomo e della finitezza che sempre lo accompagna rispetto all’assoluto - «L’umanesimo autentico si edifica sul discernimento dell’insufficienza umana» (Escolios I, 95) - auspicando non a caso il recupero in funzione euristica degli insegnamenti custoditi nelle opere dei greci e dei latini. È per questo che «Petrarca è il padre dell’intellettuale e di noi che proviamo a non esserlo» (Escolios II, 160) e il suo progetto poetico da ultimo coincide con la ricerca e il ritrovamento di una dimensione concreta di sensualità ed erotismo in certa misura estranea ai secoli precedenti - una sorta di ridiscesa sulla terra, dopo gli astratti e arzigogolati voli pindarici della ragione scolastica, pur sempre restando fedeli all’ideale stilistico di eleganza e raffinatezza eterea tipico del mondo antico. L’umanesimo fu, nel suo nascere, una protesta degli attributi sensuali dell’uomo contro la loro negazione religiosa.22
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Non possono non tornare in mente, qui, i componimenti preumanistici degli stilnovisti dedicati alle donne-angelo o, ancor di più, l’arcinota Chiare, fresche et dolci acque cantata dal Petrarca in onore di Laura, che confermano quanto Gómez Dávila sostiene in più di un luogo a proposito del movimento cui gli italiani diedero il via. Nell’umanesimo autentico si percepisce la presenza di una sensualità riguardosa e familiare.23 La sensualità è eredità culturale del mondo antico. Le società in cui l’impronta grecoromana svanisce, o in cui non esiste, conoscono soltanto sentimentalismo e sessualità.24
Al punto da spingersi a sentenziare che Fra i moderni, solo italiani e francesi hanno saputo vedere la donna e parlare di lei come conviene.25
Come già accennato, il Rinascimento percorrerà in parte questa stessa strada, perché fa suo il dettato umanistico per cui l’individuo deve riportarsi, sua ratione, alla sapienza antica (nel senso etico espresso dal greco “phronesis”) mortificata dalle astrazioni scolastiche. D’altro canto, però, la hybris che fu della Scolastica sembrerebbe essere, per Gómez Dávila, la stessa che può riscontrarsi nelle imprese di certe frange della filosofia quattrocinquecentesca, come nel caso dei neoaccademici di Firenze: Chartres imita l’Accademia meglio di Firenze. Presso la sua scuola soffia un vento più autenticamente ellenico che nei paraggi del giardino fiorentino.26
Dal neoplatonismo di Marsilio Ficino all’eresia panteistica di Giordano Bruno la via verso lo gnosticismo moderno sembra essere già tracciata; e con essa il rischio di un rinnovato oblio della insufficienza umana. Il Rinascimento, l’Aufklärung e la Tecnocrazia sono indubbiamente figli del cristianesimo. Figli crescentemente sinistri che l’oblio del peccato originale genera nella speranza cristiana.27
A quelle imprese della ragione, che se pure necessarie alla “circoscrizione del mistero” (Escolios I, 66) rischiano costantemente di sovvertire la gerarchia ontologico-valoriale, va costantemente rammentato che al privilegio dell’uomo di essere animale razionale deve - proprio per questo! accompagnarsi sempre la prudenza di non oltrepassare i limiti che la ragione stessa può e deve determinare. Tener presente, insomma, la lezione buona del Medioevo. La civiltà perfetta sarebbe quella che riuscisse ad unire alla nozione di individuo del Rinascimento italiano la nozione di ordine del Feudalesimo francese.28
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4. Risorgimento e idealismo. La possibile resurrectio del principio A fronte della sua antica gloria classico-rinascimentale, l’Italia arriva, dopo secoli di sudditanza politica e culturale, stremata e divisa alle soglie della contemporaneità. E proprio perché certe élite intellettuali ne presero atto, si tentò la diffìcile via della riunificazione - difficile, e probabilmente non percorribile se non a patto di far violenza a quella “massa contadina” (o, almeno, a parte di essa) cui si riferisce Gómez Dávila in uno degli scolli succitati. Tra le weltgeschichtliche Betrachtungen sviluppate lungo le pagine delle Notas troviamo scritto a proposito del Risorgimento che: L’unità italiana fu opera artificiale, suggerita dal nazionalismo europeo del diciannovesimo secolo e realizzata da stranieri: piemontesi abitanti di frontiere. Che il pensiero di tanti italiani abbia sognato durante secoli l’unione è carente di importanza se ricordiamo che Machiavelli si dovette inventare come eroe lo spagnolo Borgia, e che si necessitò che francesi, spagnoli e austriaci appianassero le differenze affinché l’idea dell’unione smettesse di essere il mero anelito di qualche giovane irritato e non conforme. L’Italia è un paese che muore nel suo esistere come nazione. Tuttavia, non sostengo che basti ridurla al suo pristino pluralismo per vivificarla, perché in qualsiasi momento della storia non può esistere qualsiasi forma politica, bensì solo in una congiuntura storica che tolleri la forma che le è propria l’Italia può nuovamente fiorire.29
Della serie: il danno è stato fatto. Nel non dare adito anche in questo caso ad astratte velleità ripristinatorie e/o restauratrici, Gómez Dávila rimane fedele al principio per cui «il reazionario non diventa conservatore che nelle epoche che mantengono qualcosa di degno di essere conservato» (Escolios II, 48) smarcandosi dalle accuse più di una volta mossegli dai critici disattenti di essere il fautore di un tradizionalismo retrogrado. L’Italia unita è una realtà politica decadente, che ha visto svalutata nel proprio costituirsi come nazione l’eccezionaiità che ne ha fatto una protagonista fondamentale 458
nella cultura veteroeuropea; ma in attesa di nuove e più propizie fasi del processo storico, può, senza perpetrare ulteriore violenza ai danni del suo popolo, ritrovare altrove la propria grandezza. E precisamente in quella caratteristica che si è cercato di tratteggiare sinteticamente in queste pagine: il richiamarsi al principio, reagendo allo sfacelo dell’Occidente contemporaneo. L’Italia può essere ancora, e nel migliore dei modi, reazionaria. In che modo? Per quello che è lo spazio limitato di questo contributo non sarà possibile che abbozzarlo, rimandando il lettore ad altro luogo per un approfondimento e una eventuale verifica30, ma si può sicuramente sostenere che Gómez Dávila giunse a intravedere nell’esordio dell’idealismo italiano la chiave metodologica per mettere sotto scacco il relativismo e il nichilismo del pensiero europeo otto-novecentesco. Quando in una lunga nota sostiene che «la costruzione di un realismo totale esige la postulazione previa di un idealismo assoluto» e che «solamente riducendo l’universo intero, con tutte le sue spiegazioni possibili, a idee o atti dello spirito possiamo collocare in un identico piano l’universo ingenuamente realista del senso comune, l’universo concettuale della scienza e l’universo stravagante del poeta o del mistico» (Notas, 186), egli si sta riferendo a quel principio che storicamente s’affermò per la prima volta nella filosofìa di Giambattista Vico e che vedrà non a caso in Napoli, patria dell’hegelismo riformato di Spaventa, Croce e Gentile (questi ultimi due, nomi presenti nella biblioteca di Gómez Dávila) che lo perfezioneranno e lo radicalizzeranno, la capitale di questa straordinaria rinascita filosofica. Il che è esplicitamente e perentoriamente affermato: Ogni idealismo esplicita il principio metodologico di Vico, secondo il quale intellezione e creazione sono necessariamente atti di un identico soggetto.31
Più anziano di quello tedesco, dunque, ancorché meno 459
noto, fu l’idealismo italiano. Gómez Dávila confermerebbe le parole del filosofo anglosassone Roger W Holmes, per il quale «italian idealism is older by half a century than German idealism. Its birth year is 1730, when Giambattista Vico’s La scienza nuova was first published» (The idealism of Giovanni Gentile, ix). Scrive infatti Vico nel De antiquissima italorum sapientia: In latino verum e factum hanno relazione reciproca, ovvero, nel linguaggio corrente delle Scuole, si convertono. […] Da qui si può congetturare che gli antichi sapienti dell’Italia convenissero, circa la verità, nelle seguenti proposizioni: il vero si identifica col fatto.32
Ma ciò per Gómez Dávila, lungi dall’implicare una teologizzazione dello spirito umano - cosa che, come si sarà compreso, si sarebbe ben guardato dal fare - vuol dire mettere quest’ultimo al cospetto della vera realtà, di quella che ci si impone per il solo fatto di “esserci”: perciò anche quella, largamente negata dalla filosofia e dalla scienza del nostro tempo, dell’obbligatorietà della norma morale (e quindi del limite umano); del bene «al quale solo ubbidiamo perché una irresistibile esigenza ci soggioga. […] che impera sulla ribellione del nostro essere; e sprovvisto di minacce, carente di sanzioni, inerme e sovrano, erige nell’intimità della coscienza un’obbligazione assoluta che ordina senza promesse e esige senza premi» (Textos I, 51); e della costitutiva insufficienza del transeunte cui l’uomo ha dato il nome di Dio: Il soggettivismo si può trascendere solo se lo assumiamo nella sua totalità. Quando il soggetto si rivolge verso il proprio centro e si addentra nelle sue profondità un rumore di acque vive lo accoglie in penombra. Lì, dove credeva di trovare la sua estrema solitudine, si mostra un’oggettività ribelle, un’alterità irriducibile, una trascendenza vittoriosa. Dio e la storia sorgono nella soggettività assunta.33
Quella immensità che, pur essendo “in noi”, copula mundi, 460
ci sovrasta da ogni parte e che sembra essere a un tempo il senso complessivo delle cose tutte e la meta irraggiungibile delle nostre smisurate speranze, è Dio. Così Leopardi, poeta e filosofo che Gómez Dávila frequentò e le cui teorie intrattengono numerose affinità con la concettualità messa in campo soprattutto nelle Notas, la dipingeva impersonandola nella luna “intatta” e “immortale”, preconizzando la profonda inquietudine nichilista che dopo di lui si porteranno sulle spalle Nietzsche e tutto il secolo successivo. Quella stessa che l’Italia, con Gómez Dávila e tutta la migliore cultura occidentale è chiamata a fronteggiare. Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante, E perir dalla terra, e venir meno Ad ogni usata, amante compagnia. E tu certo comprendi Il perché delle cose, e vedi il frutto Del mattin, della sera, Del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Rida la primavera, A chi giovi l’ardore, e che procacci Il verno co’ suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, Che son celate al semplice pastore.
1/ L’autore ringrazia vivamente Maria Ciaccia per il prezioso contributo nella revisione del testo e nella ricerca dei riferimenti bibliografici agli scolli citati. In via preliminare si segnala che per ragioni di agilità tali riferimenti verranno indicati tra parentesi al termine di ogni citazione riportando solo il titolo dell’opera e il numero di pagina. Il lettore potrà trovare nella bibliografia posta a termine della postfazione i riferimenti precisi alle opere gomezdaviliane e agli altri testi citati o di cui si è tenuto conto in corso di stesura.
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2/ L’evento si è tenuto il 21 e il 22 aprile del 2016 presso la Biblioteca Luis Angel Arango e presso l’Università. Il titolo completo del convegno è Bibliotecas, libros y lectores. La biblioteca de Nicolas Gómez Dávila. 3/ Un tentativo di comprensione generale, anch’esso nato da una forte insoddisfazione per quei pochi e parziali che lo avevano preceduto, è invece stato già avanzato nella monografia che ho scritto a quattro mani con Gabriele Zuppa intitolata Nicolàs Gómez Dávila e la modernità (2014), e che giudico indispensabile per capire i fondamenti teorici di quanto verrà detto in questo articolo. 4/ Nicolás Gómez Dávila, Notas, 355. 5/ NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, Textos I, 18-19. 6/ Nicolas Gómez Dávila, Nuevos Escolios II, 172 7/ Per un quadro complessivo dell’ontologia gomezdaviliana rimando al mio Conocimiento. Dios. Eros. Fondamenti dell’ontologia e della metafisica gomezdaviliane nelle Notas (2016). 8/ Nicolás Gómez Dávila, Textos I, 98-99. 9/ Nicolás Gómez Dávila, Escolios II, 84. 10/ Nicolás Gómez Dávila, Escolios II, 83 11/ Nicolás Gómez Dávila, Notas, 270. 12/ Nicoläs Gómez Dávila, Escolios I, 363. 13/ Ivi, 341. 14/ Nicolás Gómez Dávila, Escolios II, 62 15/ Ivi, 227. 16/ Ivi, 54. 17/ Nicoläs Gómez Dávila, Escolios /, 290. Sullo stesso punto, lo storico delle religioni Elémire Zolla, anch’egli catalogato tra i campioni del pensiero reazionariotradizionalista mondiale, così argomentava nel suo Che cos’è la tradizione?, 165166: «La tradizione diabolica propugna il rovesciamento dei criteri: il primo luogo non spetta al culto, dunque a ciò che fonda metafisicamente la moralità e il consiglio di donare ai poveri, bensì all’atto di donare ai poveri, spoglio d’ogni ragione, spacciato per il fine ultimo. Quanto a dire: reso ipocrita, transitorio, alla mercé della psiche. Se al culto si toglie il primato, lo si ruba altresì all’oggetto del culto: all’essere perfettissimo; togliendo la supremazia all’essere perfettissimo, se ne nega implicitamente l’assolutezza, cui si contrappone la natura relativa d’un atto umano, dunque dell’uomo. Nel biasimo di Giuda è già racchiusa la sostituzione dell’umano al sacro. Poiché un bisogno umanitario è anteposto all’idea della perfezione assoluta, mancherà altresì ogni criterio per porre in ordinata gerarchia i bisogni: prevarrà alla fine il bisogno più violento e più nevroticamente astuto. SaintSimon e Fourier sono già in nuce nel discorso di Giuda Iscariota». 18/ Nicolàs Gómez Dávila, Sucesivos Escolios, 153. 19/ Nicolás Gómez Dávila, Escolios II, 223. 20/ Ivi, 34.
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21/ Nicolás Gómez Dávila, Escolios I, 317. 22/ Nicolás Gómez Dávila, Notas, 207. 23/ Nicolás Gómez Dávila, Escolios I, 38 24/ Ivi, 87. 25/ Nicolas Gómez Dávila, Notas, 355. 26/ Nicolas Gómez Dávila, Escolios 1,178. 27/ Ivi, 58. 28/ NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, Notas, 310. 29/ Nicoläs Gómez Dávila, Notas, 270. 30/ Non posso, a tal fine, non riferirmi al mio Il volto epistemico della filosofia italiana. La Neoclassica di Gustavo Bontadini (2018). 31/ Nicolás Gómez Dávila, Notas, 165. 32/ Giambattista vico, De antiquissima italorum sapientia, 62 33/ Nicolas Gómez Dávila, Escolios 1,165.
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ÍNDICE ESCOLIOS A UN TEXTO IMPLÌCITO INDICE PREFAZIONE | Un reazionario contro il pensiero unico INTRODUZIONE | Retrospettiva futura ESCOLIOS I POSTFAZIONE Gómez Dávila e l' Italia1
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