Del mangiare carne. Trattati sugli animali 8845916294, 9788845916298

Il mangiare carne non è la condizione naturale dell'umanità, ma un passaggio traumatico nella sua storia. Con esso

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Del mangiare carne. Trattati sugli animali
 8845916294, 9788845916298

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Piccola Biblioteca 465

Plutarco

DEL MANGIARE CARNE TRATTATI SUGLI ANIMALI

ADELPHI

Mangiare carne non è una condizione naturale dell'umanità, ma un passaggio traumatico nella sua storia. Con esso l'uomo, animale predato, passava dalla parte dei predatori. Ciò implicava vivere della regolare uccisione degli animali - e insieme trasformare la fisiologia dell'uomo. Contro la dieta carnea Plutarco compose un testo essenziale per chi voglia comprendere le ragioni di una controversia che il tempo non ha spento: il trattato Del mangiare carne. Insieme agli altri due scritti qui raccolti (Gli animali usano la ragione e L'intelligenza degli animali di terra e di mare), questo opuscolo dei Moralia documenta l'energia con cui Plutarco adotta una posizione controcorrente, attaccando l'antropocentrismo che domina la concezione greca dell'universo. Egli intende dimostrare che anche gli animali orientano il loro comportamento secondo razionalità, senso morale e giustizia, e per awalorare il proprio asserto si serve di un'estesa casistica, in cui la realtà si alterna alla leggenda e l'osservazione diretta viene integrata dai materiali della letteratura. E l'argomentazione è sostenuta dall'estro e dalla sapienza di un grande scrittore. Introduzione di Dario Del Corno. Traduzione e note di Donatella Magini.

ISBN 978-88-459-1629-8

€ 15,00

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9 788845 916298

Plutarco nacque a Cheronea, in Beozia, a metà strada fra Atene e Delfi, intorno al47 d.C., da una famiglia agiata e colta. Studiò ad Atene; incarichi politici lo portarono poi a Roma, dove fu introdotto negli ambienti della corte imperiale. Fu nominato sacerdote a Delfi. Morì intorno all27 d.C. Di lui ci rimangono le Vite parallele (composte di 22 coppie di biografie) e i Moralia, scritti di proporzioni assai varie, dedicati a temi filosofici, storici, scientifici, religiosi, letterari, politici, eruditi.

VOLUMI PUBBLICATI:

Il demone di Socrate - I ritardi deUa punizione divina

Dialoghi delfu:i (li tramonto degli oracoli- L'E di Delfi- Gli oracoli della Pizia) Iside e Osiride Sull'amore Il volto della luna

Le virtù di sparta

Plutarco DEL MANGIARE CARNE TRATTATI SUGLI ANIMALI

Introduzione di Dario Del Corno

ADELPHI EDIZIONI

Plutarcki Moralia selecta a cura di Dario Del Corno

De esu carnium Bruta animalia ratione uti De sollertia animalium Traduzione e note di Donatella Magini

Prima edizione: giugno 2001 Seconda edizione: febbraio 2009

© 2001

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO

WWW.ADELPHI.IT ISBN 978-88-459-1629-8

INDICE

Introduzione di D ario Del Corno

9

Nota informativa

29

Abbreviazioni e sigle

51

DEL MANGIARE CARNE

53

GLI ANIMALI USANO LA RA GIONE

75

L'INTELLIGENZA DEGLI ANIMALI D I TERRA E D I MARE

Note

103 18 9

INTRODUZIONE DI DARIO DEL C O RNO

La scomparsa degli animali è un fatto di una gravità senza precedenti. Il loro carnefice ha invaso il paesaggio; non c'è posto che per lui. L'orrore di vedere un uomo là dove si poteva contemplare un cavallo! E.M.

CIORAN,

/lfunesto demiurgo

Due cavalli stanno nella pianura coperta di cadaveri spogliati delle anni, in mezzo al fra­ gore della battaglia: tengono il capo reclino, e sembrano statue, tanto sono immobili. Ma dagli occhi versano lacrime cocenti, e le lo­ ro criniere si imbrattano di polvere e fango: piangono il loro dolce auriga Patroclo, ucci­ so da Ettore. Sono i divini destrieri di Achil­ le, e Zeus ha pietà di vederli piagati dalla pena dei mortali - loro, intatti per sempre da vecchiezza e da morte (Iliade, XVII, 426 447). Muore invece un cane, quando vede il padrone che ritorna dopo vent'anni alla propria casa; il suo ultimo gesto è un saluto con la coda - e questo palpito di gioia è il premio della lunga attesa, che lo ha ridotto a un corpo incapace di muoversi, buttato sul letame, coperto di zecche. Ma soltanto a lui è dato il privilegio di riconoscere l'eroe Odisseo in quel mendicante vestito di strac­ ci che, guardandolo, di nascosto si terge una lacrima ( Odissea, XVII, 29 1-327). Dopo molti e molti secoli, lungo le steppe e sui monti della Kirghisia corre una lupa da­ gli occhi blu pieni di luce, insieme al suo compagno forte e fedele. Ma per tre volte la matta bestialità degli uomini le stermina la nuova cucciolata; e anche il maschio viene 11

ammazzato. Solitaria e disperata, aggirando­ si presso le capanne degli uomini vede un bambino, e ritrova la sua tenerezza di ma­ dre: come sarebbe bello tenere con sé, nella tana deserta, quel cucciolo di uomo! Lo ca­ rica in groppa, come fanno i lupi quando portano via un agnello dal gregge, e fugge verso quel sogno strano: ma una fucilata del padre uccide la bestia e il bambino (C. Ajt­ :rpatov, Il patibolo, 1986). E invece un panorama metropolitano che circonda i lunghi anni dell'amicizia fra un eccentrico poeta e un cane, intessuta dei di­ scorsi dell'uomo e dei muti pensieri dell'a­ nimale. Quando l'uomo muore, stroncato dalla tisi, la bestia si conforta con la memo­ ria del meraviglioso rifugio al di là della vita, di cui tante volte il suo compagno gli aveva parlato con spasimante dolcezza nelle ulti­ me settimane . In quel luogo, se c'è una giu­ stizia nel mondo, ogni uomo rimarrà per sempre insieme al suo migliore amico: e questo diventerà capace di parlare il lin­ guaggio dell'uomo, e di conversare final­ mente con lui come un suo eguale (P. Aus­ ter, Timbuktu, 1999). Da sempre gli uomini hanno tentato di tra­ sporre nei propri libri la misteriosa solida­ rietà, che credono e sperano di riconoscere nei silenti testimoni della loro vita, facendo­ li partecipi della tragedia di esistere. Ma an­ ch'essi sono imprigionati nel linguaggio, con cui la specie umana esprime i suoi ra­ gionamenti e le sue emozioni. Prestano agli 12

animali la propria mente e il proprio cuore, e su questa simulazione inventano la poesia di un'immaginaria corrispondenza. Ma co­ me veramente saranno le storie che gli ani­ mali, al di là di questo baratro muto e invali­ cabile, costruiscono intorno agli esseri che sono diventati i signori della loro vita? E so­ prattutto, cosa accade dentro di loro quan­ do si guardano, corrono per inseguirsi e per sfuggirsi, volano sopra il mondo, o si aggira­ no nel fondo degli abissi? Ma il demiurgo dell'universo non ha voluto, o saputo, in­ ventare il tramite di una comunicazione fra l'uomo e l'animale; e questo vuoto non am­ mette altra eguaglianza dell'uno con l'altro, che non sia il puro fatto di vivere. Con quest'omissione il demiurgo imperfet­ to ha squilibrato l'ordine del mondo nell'at­ to stesso in cui lo creava. Incapace di inten­ dere la voce innocente degli animali, e di sentire nelle loro grida e nei loro gesti la paura, il dolore, il desiderio che sono la ma­ teria della sua stessa esistenza, l'uomo si è convinto che l'energia del suo intelletto gli conferisse il diritto di appropriarsi della vita di tutti gli esseri che popolano l'universo, e di servirsene per nutrire dapprima la neces­ sità della sopravvivenza, poi l'eccesso dei suoi istinti. Per legittimare la propria violen­ za, ha conferito il precetto di usarla alla pa­ rola divina. Tremendo è l'annuncio dato dal cielo a Noè, quando esce dall'arca con tutti 13

gli animali che ha salvato dal diluvio: «Pau­ ra e terrore di voi siano in tutte le creature del mondo: gli uccelli che volano nel cielo, e le bestie che vanno sulla terra, e i pesci del mare. Essi sono ora in vostro potere. Ogni animale che si muove e ha vita sarà il vostro cibo>> (Genesi, 9, 2-3). Immuni dall'arbitraria assolutezza della ri­ velazione, i Greci si rivolsero alla filosofia per fondare la supretp.azia dell'uomo sul­ l'ordine della natura. E Aristotele ad asseri­ re razionalisticamente la liceità dello sfrutta­ mento totale di tutti i viventi: «Le piante esi­ stono per gli animali, e gli animali esistono per l'uomo: quelli domestici perché ne fac­ cia uso e si nutra di loro, e quelli selvatici, se non tutti almeno per la maggior parte, per­ ché se ne nutra e tragga da loro altri profitti ... Poiché la natura non fa nulla che sia im­ perfetto o inutile, ne consegue che ha fatto tutti gli animali per l'uomo>> (Politica, I, 8, 1256 h). Ma la filosofia possiede l'inestima­ bile vantaggio di ospitare anche opinioni contrarie; e Teofrasto si oppone a questa dura sentenza: «Se qualcuno sostenesse che, non diversamente che i frutti della ter­ ra, il dio ci ha dato anche gli animali per il nostro uso, è comunque vero che, sacrifi­ cando esseri viventi, si commette contro di loro un'ingiustizia, perché si fa rapina della loro vita . . . Si può dire che anche alle piante rubiamo qualcosa; ma questo furto non è commesso contro la loro volontà. Esse la­ sciano cadere i frutti anche se non le toc14

chiamo; e la raccolta dei frutti non compor­ ta la distruzione delle piante, come avviene per gli esseri viventi quando perdono la vi­ ta>> (De pietate, fr. 7 Potscher). La vita: quell'esaltante grazia di essere pa­ droni del proprio corpo, dei suoi movimen­ ti e delle sue sensazioni, la festa perenne di sentirsi avvolti dal palpito dell'aria, di volge­ re gli occhi nella luce l La morte è una ne­ cessità fisiologica, e un'ingiustizia metafisi­ ca; ma l'uomo che uccide per il proprio van­ taggio è doppiamente ingiusto. Il modello della giustizia come struttura centrale del­ l'esperienza umana è propriamente greco; ma alla mente greca appartiene anche la ra­ pinosa forza dell'utopia- e da questa risorsa scaturì il progetto di estendere la sacra ga­ ranzia della giustizia a tutti i viventi, per quanto eversive potessero riuscire le conse­ guenze nell'organizzazione tradizionale del­ la vita. Occorrevano ardimento intellettuale e rigore di convinzioni per sostenere il dirit­ to degli animali a non patire la sopraffazio­ ne degli uomini; ed era inevitabile che Plu­ tarco, il più magnanimo dei Greci vissuti nella lunga fase dopo Alessandro, si impe­ gnasse nella polemica con tutta l'energia delle sue qualità umane e culturali. I tre opuscoli 'animalistici' dei Moralia af­ frontano il tema secondo diverse prospetti­ ve; ma il sottofondo comune è formato da un'appassionata partecipazione alla realtà multiforme della vita, dalla pietà per la sof­ ferenza incolpevole, dal senso di una giusti15

zia autentica e non forzata negli schemi del­ l'utile, dalla serena fermezza con cui il ra­ gionamento si sottrae alla banalità dell'opi­ nione comune, infine dalla �crupolosa dovi­ zia della documentazione. E probabile che la grandezza e la fama di Plutarco si debba­ no a opere di più serrato tenore letterario e di più complesso orientamento intellettua­ le; ma anche in questo segmento della sua produzione egli seppe assumere una posi­ zione personale e originale nel quadro della civiltà ellenica, anticipando temi destinati a riemergere dopo millenni. Grami tempi corrono oggi per i carnivori della razza umana, produttori di endemica strage degli innocenti animali: né riesce faci­ le sentire, ed esternare, giubilo per la giusta sanzione che li raffrena, poiché radi sono coloro che sanno sottrarsi al fiero pasto, con­ diviso dalla generalità degli umani per un lungo condizionamento che assume la veste tenace di una necessità al tempo stesso bio­ logica, economica e culturale. Ma impazza­ no malnutriti bovini; e le gazzette minaccia­ no conseguenze apocalittiche per gli im­ provvidi fruitori di arrosti e bistecche. Per sfuggire alla catastrofe dilaga una repentina castità alimentare; e tuttavia il forzato rove­ sciamento delle abitudini nasce dalle mede­ sime cause che affollavano di vittime i macel­ li -l'arbitrio dell'uomo che rimane identico anche quando si tramuta da sfrenatezza in 16

istinto di conservazione, la sua delirante sma­ nia di regolare la vita e la morte della natura secondo l'illusione della propria utilità. Nonostante le dimensioni del pericolo pre­ conizzato, l'emotività delle cronache ha il sapore fatuo di un'effimera moda; e tuttavia il fondo della questione appare già puntual­ mente denunciato da Plutarco. Anch'egli si trova al centro di un'attualità devastata dal delirio del consumo . Il De esu camium è tutto attraversato dalla sgomenta constatazione di un'epoca che ha scelto di abbandonare la via maestra della natura e della misura, la­ sciandosi travolgere dall'ansia dell'eccesso e dell'esibizione. Il Satyricon di Petronio, vero­ similmente di poco anteriore agli esordi let­ terari di Plutarco, è la paradossale epopea di questo degrado; e il banchetto di Trimal­ chione mette in scena il trionfo di una per­ versa gastronomia, dove le carni degli ani­ mali uccisi sono turpemente violentate in una sistematica adulterazione dei sapori na­ turali - e offese dalle triviali facezie che ne condiscono la presentazione. Alla tetra sfila­ ta delle portate fa da contrappunto la pre­ tenziosa volgarità che infiora i discorsi del padrone e dei suoi ospiti, sfoggiando un re­ pertorio raccapricciante di luoghi comuni. Sul malgusto dei parvenus la disincantata ironia di Petronio costruisce un parodistico mondo alla rovescia- che tuttavia è anche la realistica immagine di una società avviata verso un irrimediabile destino. Ma come Cheronea non è Roma, così Plu17

tarco non è Petronio. Alla sua scrittura sono estranei il baleno improvviso della fantasia, la tensione di uno stile prodigiosamente va­ rio e innovativo, il sapore pungente della sa­ tira, la sintetica attitudine a rispecchiare nel microcosmo di un banchetto le tendenze della società e della storia. Ma la lontananza dall'epicentro dell'impero universale con­ cede a Plutarco uno sguardo pacato e rifles­ sivo sul male dei tempi e della civiltà umana, e gli conferisce la fiducia di perorare per una conversione a più moderate usanze poiché alla concretezza della sua mente rie­ sce improbabile una rinuncia totale all'uso alimentare della carne: ma almeno si eviti lo strazio dell'animale, e si provi dolore per lui. . . Ciò che soprattutto ferisce Plutarco è l'offe­ sa alla dignità che per natura appartiene a ogni essere vivente: e alla gravità morale di questa constatazione si aggiunge, secondo uno schema di pensiero tipicamente greco, il senso di un insulto estetico. Alla bellezza rigogliosa del corpo vivo dell'animale, alla fremente armonia della sua voce si contrap­ pongono le immagini di un sanguinolento carname, da cui emana il disgustoso lezzo della putrefazione: tanto che per rendere commestibili questi cadaveri occorrono spe­ zie ed elaborati intingoli -come si appresta­ no i morti per la sepoltura. Da quest'infetta materia non possono venire che guasti per il ventre che la divora, e per la mente intorbi­ data dai fumi della faticosa digestione. Ma 18

in una sorta di processo circolare, il buio della ragione recupera una dimensione eti­ ca: la hybris alimentare si unisce a ogni altra viziosa intemperanza, e tutte si coordinano nel quadro di una società ormai sprovvista della misura che appartiene ali'ordine natu­ rale delle cose. Al sistema della natura si collega il passo più suggestivo del De esu carnium: il racconto in prima persona che gli uomini dei primordi fanno della loro vita di stenti, quando non avevano ancora appreso le arti dell'agricol­ tura. In un panorama di buie nebbie e di fiumi straripanti, in mezzo a paludi e sterpe­ ti essi si aggiravano in cerca di radici e di cortecce per calmare la furia della fame: ed era una festa trovare un albero ricco di ghiande. Allora l'uomo apprese a cibarsi di carne animale: poiché fu la necessità a dare il primo impulso a un costume che la civiltà ha tramutato in empio lusso, ora che è pos­ sibile disporre di ogni prodotto della terra . Errano dunque quei filosofi che propugna­ no il mangiar carne come un bisogno pe­ renne, e necessario alla sopravvivenza del genere umano: poiché la natura stessa si è trasformata, in un processo parallelo all'in­ civilimento dell'uomo. Nell'ardua sintesi dei concetti di natura e civiltà trapelano in­ congruenti ellissi: e tuttavia l'operazione di Plutarco offre un lancinante documento del pathos della mente greca nell'età dell'ansia, quando la complessità del reale pareva defi19

mtlvamente sottrarsi all'indagine sistemati­ ca della ragione . Nella simbolica complessità del mondo miti­ co può anche accadere che uomini trasfor­ mati in bestie vengano poi restituiti alla con­ dizione umana: un caso clamoroso, perché di solito la metamorfosi è a senso unico, non ammette ritorno. Spetta ai compagni di Odisseo, ammaliati dagli incantesimi di Cir­ ce, questo privilegio- poiché per l'antropo­ centrismo della nascente civiltà ellenica il trasferimento nella forma di un animale non poteva che costituire la più dura delle dannazioni. E tuttavia, non era un privilegio ancora più inestimabile quel breve tempo vissuto al di là della barriera del corpo uma­ no e delle sue esperienze, quel contatto pro­ digioso con le sensazioni della ferinità? Qualcosa di simile accadde al profeta Tire­ sia, allorché fu mutato da uomo in donna per un periodo di sette anni, per essere poi reintegrato nel suo corpo maschile - e dal­ l'ambigua metamorfosi riportò la certezza autoptica che in amore la donna prova un piacere nove volte maggiore dell'uomo: una rivelazione tanto indiscreta da valergli, per opera della pudibonda Era, la condanna al­ la cecità. Ma l'avventura del transito temporaneo at­ traverso una condizione altrimenti sbarrata dall'incomunicabilità dei linguaggi rappre­ sentava una sorte assolutamente unica per 20

la gente di Odisseo, nientemeno che la mae­ stosa opportunità di una conoscenza pari a quella che spetta al rango divino: qualcosa che, a distanza di millenni, gli uomini tut­ tora vagheggiano invano. Un'ipotesi troppo audace, e fors'anche empia, perché il poeta epico si spinga a immaginarla; e i compagni dell'eroe, usciti più belli e giovani dal prov­ visorio esilio nel corpo di suini, si stringono intorno al loro capo piangendo di sollievo e sembrano avere dimenticato ogni anima­ lesca sensazione. Ma la potenziale energia dell'antico mito non andò perduta; e molto tempo dopo Plutarco raccolse lo spunto strepitoso di quell'escursione fuori dalla condizione uma­ na, rovesciandone gli arcani in uno strava­ gante divertissement, a cui peraltro si mescola la consueta serietà delle sue convinzioni. Nel dialogo Bruta animalia ratione uti, di fronte a un Odisseo sempre più frastornato sta un maiale, che fu un uomo greco a no­ me Grillo: costui rifiuta la proposta di rien­ trare fra gli uomini, ed espone al suo vellei­ tario soccorritore le ragioni che lo induco­ no a rimanere bestia fra le bestie. Pensa e parla da uomo, naturalmente: ma la sua nuova natura gli permette di entrare nel­ la prospettiva degli animali, e di rovesciare con gli argomenti della loro presuntiva apo­ logia le fumose e interessate vanaglorie, con cui la cultura umana rivendica la propria egemonia. Perché il gioco potesse svolgere quella parte 21

d'impegno che compete al suo progetto, oc­ correva che nella scacchiera del confronto fra gli uomini e gli animali Plutarco assu­ messe in toto il punto di vis� del contestato­ re dell'opinione corrente. E il ruolo che egli sostiene con ardore e coerenza nelle altre operette 'animalistiche'; e Grillo è il porta­ voce della sua polemica . Per riuscire effica­ ce, il paradosso doveva aggredire i capisal­ di stessi della pretesa superiorità umana, i comportamenti etici e intellettuali - e Plu­ tarco si muove sul suo terreno preferito. Se si assume a parametro della contesa la ge­ nuinità dei valori, sono puntualmente gli animali ad avere la meglio: poiché dalla loro parte sta una fedeltà autentica alla natura, che non risulta adulterata da surrettizi inse­ gnamenti, egoistiche debolezze, passioni im­ pure, piaceri artificiosi. Ancorché per buona parte convenzionale, il quadro dei vizi diffusi fra gli uomini confuta scandalosamente la loro orgogliosa presun­ zione: ma l'ironia implicita alla situazione evita che il ribaltamento si configuri come il programma di una palingenesi totale. Alla consapevolezza di Plutarco, sempre vigi le contro ogni deragliamento nella fantasti­ cheria, non sfugge l'assurdità di propugna­ re un impossibile ritorno alla vita naturale. La civiltà dell'uomo nasce dal controllo del­ l'intelletto sull'istintualità pura- e il tempo lineare della storia è tanto inevitabile quan­ to irreversibile. Ma il tempo dell'umanità è segnato dall'evoluzione della sua capacità di 22

appropriarsi del mondo; e questa prerogati­ va porta in sé i germi della degenerazione in una rovinosa dismisura. Le esperienze della storia avevano insegnato ai Greci che il ciclo dell'espansione, in ogni campo, è destinato a esaurire la propria spinta allorché diventa impossibile controllare le iperboliche esi­ genze del sistema -e quando sono giunte a compimento le premesse che hanno favori­ to il percorso di una civiltà, è necessario che subentri la crisi che azzera i suoi turgori. Plutarco aveva il presentimento, non sappia­ mo quanto subliminale, che la storia del suo mondo fosse prossima alla più grave delle crisi, quella prodotta dalla saturazione - e non poteva riconoscere che all'interno del­ la parabola discendente operava l'impulso di una nuova fase: che peraltro non evitò un lungo e drastico regresso di ciò che si con­ viene di chiamare civiltà. Contro la previsio­ ne del disastro, non gli restava altro che op­ porre la sua fiducia nei valori che la cultura greca e romana aveva posto alla base dell'i­ dea di umanità. Nella saldezza di questo fondamento Plutarco trovava la speranza che fosse ancora possibile sgomberare la vi­ ta dei suoi contemporanei dalle smanie fal­ laci che sopra di essa si erano accumulate in un tripudio di errori, di violenze, di ango­ sce. Il suo animo generoso confidava ancora che l'uomo potesse recuperare la felicità della ragione retta dalla giustizia. In questo progetto il modello della vita animale, para­ digma dell'esistenza secondo natura, costi23

tuiva non un traguardo da raggiungere, bensì un ammonimento contro l'enfasi del male voluto e prodotto dagli uomini inqui­ nati di civiltà. Ai poeti sommi è lecita l'incongruenza: e

dunque non dovremo stupirei se Euripide, nell'Ippolito, rappresenta il ragazzo protago­ nista come un forsennato cacciatore, secon­ do quanto gli deriva dall'impronta genetica della madre Amazzone; ma poi lo fa accusa­ re dal padre Teseo di un'altrettanto fanati­ ca adesione al regime vegetariano (vv. 952957). D'altra parte, un'allarmante ambigui­ tà contrassegna anche le pertinenze di Ar­ temide, la dea a cui lppolito presta esclusi­ va devozione: patrona degli animali, ma an­ che stenninatrice dei selvatici, che instanca­ bilmente insegue e saetta nelle battute di caccia che sono la sua occupazione e il suo spasso. Nel preludio dell'impresa troiana, il male di Agamennone fu prodotto dalla mi­ ra insieme fortunata e nefasta, con cui egli trafisse una cerva sacra alla vendicativa dea. A offenderla concorsero sia l'assassinio del­ l'animale, sia l'empia temerarietà del con­ dottiero acheo nel vantarsi che neppure Ar­ temide avrebbe saputo colpire con tanto in­ fallibile precisione - e l'innocente Ifigenia fu sacrificata dal padre per placare il furore dell'ambigua dea. Di tale genere, se non tale appunto, è l'am­ biguità che Plutarco proietta sullo sfondo 24

del De sollertia animalium fatto salvo il calo dal sublime al quotidiano. C'è una brigata di giovani cacciatori, divisi dalla loro passio­ ne in due gruppi, a seconda se preferiscano esercitarla per terra o nel mare; e appunto costoro vengono scatenati dall'autore a di­ battere, attraverso un portavoce per ciascun partito, se siano più intelligenti gli animali terrestri o quelli acquatici. Ma tale situazio­ ne comporta uno sviluppo paradossale: la contesa non serve a valorizzare la superiore abilità richiesta dall'uno o dall'altro tipo di caccia nel confronto con l'astuzia animale­ sca. Questa plausibile attesa viene del tutto accantonata- poiché l'unico obiettivo è di­ mostrare che gli animali di entrambi gli am­ bienti possiedono le medesime qualità della mente umana. Dalla constatazione risulta una conseguenza di grave peso per gli appassionati della cac­ cia: non risponde a giustizia che esseri dota­ ti di ragione procurino dolore e morte ad al­ tre vite pure provviste di ragione, anche se di carattere diverso - o, come Plutarco pre­ ferisce, a un livello inferiore di sviluppo. Tutt'al più, sarà lecito sterminare i selvatici dannosi o feroci - e dalla grazia inerme di un cervo o di una lepre quale rischio può ve­ nire alla vita dell'uomo? Ma la sottigliezza compositiva di Plutarco evita di porre i gio­ vani cacciatori davanti a tanto drastica con­ danna del loro sport preferito; ed egli anti­ cipa questo ragionamento nel colloquio fra i due anziani, che fa da lungo proemio all'a-

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gone di discorsi -prima che i giovanotti ir­ rompano sulla scena. Questa calcolata dislo­ cazione libera il centro concettuale della polemica plutarchea, la parità di diritti fra la specie umana e quella animale, da ogni in­ terferenza con la dimostrazione concreta della peculiare razionalità che indirizza il comportamento di ogni bestia . Maestro della struttura letteraria anche in un'opera che non è tra le sue maggiori, Plu­ tarco elabora un sistema di blocchi distinti e intercomunicanti, dove ognuno dei due dà funzione e significato all'altro - e tuttavia ciascuno è organizzato secondo proprie ca­ ratteristiche formali e tematiche. Questo pro­ gramma si realizza mediante un gioco raffi­ nato di allusioni, la cui scoperta compete al­ l'intuizione del lettore; e l'elusivo sviluppo del dialogo, con la sua enigmatica chiusa che sembra annullare la speciosa distinzio­ ne del quesito proposto ai cacciatori, lascia in sospeso se dai loro stessi elenchi di ani­ malesche virtù costoro saranno convinti a ri­ nunciare al cruento esercizio che prediligo­ no. E può darsi che la conclusione 'aperta' non sia altro che una forma del lieve umori­ smo plutarcheo: lo stesso che affida l'elogio della vita animale ai sodali della confraterni­ ta venatoria, e che imposta lo stravagante te­ ma della contesa. In effetti, l'opposizione fra le due categorie di animali non risulta altro che un pretesto: la cornice di una mirabolante enciclopedia in forma di compendio, dove si raccoglie ..

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una casistica sterminata di esempi che con­ fluiscono nella dimostrazione e nell'elogio della razionalità animale. Rilevamenti zoo­ logici e descrizioni etologiche si alternano ad aneddoti, favole, fantasie bizzarre e leg­ gendarie tradizioni: e il risultato è un fanta­ smagorico bestiario, intessuto di tenerezza, devozione, fedeltà, previdenza, astuzia, cal­ colo, solidarietà, giustizia. Tutte queste qua­ lità hanno per fine sia il vantaggio e la sal­ vezza dell'individuo, sia la conservazione della specie- ma non di rado è l'uomo stes­ so a trarne beneficio. Nella collezione di questi materiali emerge un secondo paradosso del trattato. Questi cacciatori, sebbene siano avvezzi a vivere in contatto con il mondo animale e a cono­ scerne le manifestazioni, non traggono la propria documentazione dall'esperienza per­ sonale, bensì dai libri - e tanto formidabi­ le erudizione corrisponde al loro ruolo di adepti della cerchia che riconosceva in Plu­ tarco il maestro del proprio sapere. Curiosi come lui della stupefacente e imprevedibile ricchezza della vita, essi hanno tuttavia ap­ preso da lui che, in tempi di ripiegamento del pensiero creativo, la più generosa fonte di comprensione della realtà sono i libri. Questi sportivi dediti al sapere costituiscono l'altra faccia di un'epoca devastata dalla di­ smisura, dall'esibizione, dai fasti del potere e del denaro. Forse, nella maniera indiretta e discreta che gli è propria, con questo re­ pertorio Plutarco volle dimostrare che alla 27

cultura appartengono la prerogativa e il compito di ricomporre il sistema della so­ cietà in un saldo organismo -così come sal­ do e organico è il più grande dei libri, la scrittura deli 'universo che la natura inces­ santemente compone.

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NOTA INFORMATIVA

(Per le sezioni Vita di Plutarco ; Le opere. I Moralia; Tradizione manoscritta, edizioni e bibliografia, cfr. il volume Plutarco, Il demone di Socrate - I ritardi del­ la punizione divina, in questa stessa serie, n . 1 33, 1 982, 2005 5 , pp. 39-5 1 . Cfr. inoltre gli Aggiorna­ menti alla sezione Tradizione manoscritta, edizioni e bi­ bliografia, nel volume Plutarco, Le virtù di Sparta, in questa stessa serie, n. 368, 1 996, 2005 2 , pp. 27-29) .

L 'i mmagine del mondo animale nella cultura greca. Le prime presenze di animali nella cultura greca sono connotate da una realistica attenzione ai loro comportamenti e alle caratteristiche delle singole specie. Quest' attitudine è propria dei poemi omerici; ed essa si manifesta soprattutto nella struttura tipicamente epica della similitu­ dine, che istituisce un rapporto di analogia tra un momento della narrazione e un dato dell'e­ sperienza comune. Il secondo elemento di tale nesso risulta particolarmente idoneo a registra­ re con puntuale esattezza un'ampia casistica di osservazioni sulla vita animale; e può darsi che un remoto precedente di questo naturalismo si debba individuare nella predilezione dell ' arte cretese e micenea per le figure di animali, rap­ presentati con mirabile varietà e fedeltà di for­ me e di atteggiamenti. Anche nel mito, che costituisce l'archetipo del­ l 'universo ellenico, ricorre con frequenza l ' in29

tervento di animali che si accompagnano a dèi ed eroi; ma più sovente costoro combattono contro fiere enormi e feroci, immancabilmente sterminandole. Inoltre, nel panorama animale­ sco della mitologia meritano particolare consi­ derazione due tipologie che esulano dalla nor­ malità. Il mito si compiace di introdurre nell'u­ niverso primordiale esseri mostruosi, formati dalla combinazione di membra appartenenti a diverse specie animali, oppure di corpi umani e bestiali: e l 'esempio illustre di Chirone, il sa­ piente Centauro che fu maestro di eroi sommi, vale ad accertare che siffatte devianze dali' ordi­ ne naturale non comportavano necessariamente una connotazione negativa. Una differente con­ fluenza fra l'aspetto umano e quello animale si verifica nella metamorfosi di dèi e uomini: per i primi si tratta di un transitorio espediente (quante belle si conquista Zeus travestito da to­ ro, da cigno, da aquila, e persino da cuculo!) e, raggiunto l 'obiettivo, la divinità recupera la sua forma radiosa. Invece, salvo rare eccezioni, gli uomini diventano bestie per sempre: di solito per castigo, ma talvolta anche per scansare la morte o lo stupro, oppure come premio o com­ pensazione, come accadde all'occhiuto Argo, mutato da Era nello splendore del pavone, quando per fedeltà alla sua signora fu ucciso da Ermes. Può darsi che già tali incastri del mito avessero aperto la via verso una concezione antropo­ morfica della natura animale: questa trova co­ munque la sua manifestazione tipica nella favo­ la, secondo un processo di elementare analogia con il sistema dei comportamenti umani. Il rac­ conto favolistico inizialmente si sviluppò nel-

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l'ambito dell' oralità preletteraria, ma apparten­ gono alla letteratura le prime manifestazioni a noi note: la favola dello sparviero e dell'usignolo nelle Opere e giorni di Esiodo, e le allusioni che ri­ corrono nei frammenti dei poeti lirici. Venne poi la leggenda di Esopo a trasferire questa di­ mensione dell 'immaginario animalesco nel pa­ trimonio tradizionale del mondo greco. Ma l'e­ nergia del modello antropomorfico applicato al­ la vita degli animali raggiunse un ' eccelsa qualità d'arte grazie all ' elaborazione fantastica, con cui Aristofane portò sulla scena del teatro ateniese la strepitosa sarabanda degli Uccelli. La continuità dell'osservazione naturalistica ri­ mase per lungo tempo affidata all'esperienza pratica di allevatori e contadini, cacciatori e pe­ scatori; mentre i primi assaggi di un'indagine teorica sulla fisiologia animale si devono ai sa­ pienti presocratici e a Platone. Fu poi Aristote­ le a coordinare i materiali di entrambe le pro­ venienze e a tradurli in sapere scientifico, con un'immensa opera di sistemazione che intro­ dusse la zoologia nel novero delle discipline na­ turali. Le sue dottrine sono raccolte in un insie­ me di scritti, che occupano circa un quarto del grandioso corpus aristotelico: i principali testi conservati sono le Ricerche sugli animali (Historia animalium, in 8 libri più 2 spurii ) , le Parti degli animali (De partibus animalium, in 4 libri) , e laRi­ produzione degli animali (De generatione animalium, in 5 libri ) . Sebbene Aristotele non tracci una classificazione sistematica, egli collega e distin­ gue i gruppi degli animali sulla base di puntuali rilevamenti, che coinvolgono sia la morfologia, sia la distribuzione nell'ambiente, sia criteri di tipo fisiologico. Questo metodo gli consente di

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descrivere la vita e la struttura, le abitudini e la riproduzione di circa 540 specie animali, e di corredare tale tipologia con un'imponente serie di informazioni e spiegazioni relative a singoli fenomeni. Aristotele inizia la zoologia antica, ma anche in un certo senso la conclude - poiché i successivi apporti di carattere scientifico al suo sistema so­ no sporadici e irrilevanti. Nell'ambito delle scuole filosofiche diventa centrale il problema se gli animali siano dotati di ragione; e questo viene impostato e risolto in senso affermativo da Teofrasto, che di Aristotele fu allievo e conti­ nuatore nella guida del Peripato. Scavalcando la dottrina del maestro, che attribuiva all'uomo l'assoluta egemonia sull'universo, Teofrasto so­ stiene che uomini e animali fanno parte di una medesima koinonia, « comunità ,,; e pertanto, in nome di tale oikeiotes, « affinità tra gli uni e gli altri deve intercorrere un rapporto fondato sulla giustizia, soprattutto come garanzia del diritto alla vita che appartiene a ogni essere dotato di sensibilità. A confutare tale principio, nel nome della supremazia dell'uomo in quanto esclusivo possessore del pensiero razionale, furono so­ prattutto gli Stoici, in un dibattito contro le scuole aderenti alla posizione teofrastea, in par­ ticolare Peripatetici e Accademici, che finì per assumere i toni di un'inconciliabile polemica. Nel nobile assunto dei filosofi 'animalisti' erano peraltro impliciti i germi di un possibile incro­ cio con la tradizionale rappresentazione antro­ pomorfica del mondo animale. Questo sviluppo si affe rma in un filone divulgativo della lettera­ tura zoologica, che mette a partito una massa di notizie attinte dalle fonti più disparate per ••,

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comporre una monumentale casistica di esempi d'intelligenza, prudenza e virtuose attitudini ne­ gli animali - dove tali qualità risultano comun­ que valutate secondo parametri corrispondenti al comportamento umano. A questo repertorio si aggiungono fantasiose informazioni su bestie esotiche e leggendarie; e il risultato della combi­ nazione sono spettacolari miscellanee, struttura­ te più o meno dichiaratamente nella forma e con le ambizioni di un'enciclopedia. Tale è il ca­ so dell 'esteso settore dedicato agli animali nella più famosa compilazione enciclopedica dell'an­ tichità, la Naturalis Historia del poligrafo latino Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), dove quest'argo­ mento occupa i libri VIII-Xl. Un programma a­ nalogo ispira il trattato in lingua greca De natura animalium del prenestino Claudio Eliano, vissu­ to fra il 1 70 e il 235 circa d.C., che descrive le abitudini di molti animali accentuandone l'a­ spetto etico nel confronto con la razza umana. Entrambi questi autori utilizzano fonti impiega­ te pure da Plutarco; ed è possibile, ma non di­ mostrato, un rapporto diretto in entrambi i sen­ si nel caso di Plinio, mentre è probabile la cono­ scenza di Plutarco da parte di Eliano.

Gli scritti di Plutarco sugli animali. Sia la discussio­ ne filosofica sulla dignità da attribuire alla spe­ cie animale, sia i materiali intesi a documentare in concreto le doti intellettuali, etiche e pratiche che a essa appartengono, costituiscono lo sfon­ do dei tre opuscoli di Plutarco, inclusi nel com­ plesso dei Moralia e solitamente raccolti sotto la qualifica « Scritti sulla psicologia animale ''· Tut­ tavia la definizione rischia di apparire restrittiva 33

di fronte all'obiettivo comune a questa breve se­ rie, che mira soprattutto a promuovere una va­ lutazione dell'universo animale, che sia ispirata da criteri di giustizia, comprensione e solida­ rietà, tali da contrastare nell 'abitudine degli uo­ mini gli impulsi allo sfruttamento e alla cru­ deltà. All'interno di quest' orizzonte i tre scritti manifestano una specifica coerenza - tanto forte da sovrastare la varietà di prospettive, di mate­ riali e di tecniche, da cui risulta che essi non fu­ rono composti secondo un piano omogeneo. I tre opuscoli di Plutarco sugli animali sono con­ servati in un numero relativamente alto di codi­ ci, che peraltro appartengono a due distinti gruppi della tradizione manoscritta, di cui uno include il De esu carnium, mentre nel secondo rientrano il Bruta animalia ratione uti e il De soller­ tia animalium. Tra le edizioni in uso, essi si trova­ no nel volume VI , l della Teubner, a cura di C. Hubert ( 1 954), e nel volume XII della Loeb, a cura di W.C. Helmbold ( 1 957), mentre non so­ no ancora apparsi nella Budé. Nel Corpus Plutar­ chi Moralium si trovano pubblicati il Bruta anima­ lia ratione uti, sotto il titolo Le bestie sono esseri ra­ zionali, a cura di G. Indelli (n. 22, 1 995 ) ; e il De esu carnium, sotto il titolo Il cibarsi di carne, a cura di L. Inglese e G. Santese (n. 3 1 , 1 999 ) . Con il ti­ tolo Le virtù degli animali, il Bruta animalia è edi­ to da A. Zinato, con introduzione di O. Longo, nella collana Il Convivio dell'editore Marsilio, Venezia, 1 995; e il De esu carnium è tradotto da A. Borgia con il titolo I dispiaceri della carne, per la serie Millelire, 1 995. I tre opuscoli sono tradotti e annotati, con un'ampia introduzione, nel vo­ lume Plutarco. L 'intelligenza degli animali e la giu34

stizia loro dovuta, a cura di G. Ditadi, Edizioni Iso­ nomia, Este (Padova), 2000. Nella bibliografia secondaria sul complesso dei tre scritti, oppure intorno a ciascuno di essi, oc­ corre ricordare i seguenti titoli: A. Dyroff, Die Tierpsychologie des Plutarchos von Chaironeia, Progr. Wiirzburg, 1 897; M. Schuster, Untersuchungen zu Plutarchs ' Dialog de Sollertia animalium mit besonde­ rer Beriicksichtigung der Lehrtiitigkeit Plutarchs, diss. Miinchen, 1 9 1 7; V. D 'Agostino, Sulla zoopsicolo­ gia di Plutarco, in «Archivio Italiano di Psicolo­ gia » , 1 1 , 1 933, pp. 21 -42; D.E. Aune, De esu car­ nium Orationes I and II (Moralia 993A-999B), in Plutarch 's Theological Writings and Early Christian Literature, a cura di H.D. Betz, Leiden, 1975, pp. 301-16; K J. Pratt, Plutarch 's Formal and Anima[ Psychology, in Panhellenica. Essays in Ancient Histo­ riography in honor of T. S. Brown, a cura di S.M. Burstein e L.A. Okin, Lawrence, 1 980, pp. 1 7 1 8 6 ; D.W. Roller, The Boiotian Pig, in Essays i n the Topography, History and Culture of Boiotia, a cura di A. Schachter, « Teiresias. Sup p l. 3 Montréal, 1 990, pp. 1 39 -44; J. Bergua Cavero, Cinismo, i­ ronia y retOrica en el 'Bruta animalia ratione uti ' de Plutarco, in Estudios sobre Plutarco: paisaje y natura­ leza, a cura di J. Garda L6pez e E. Calder6n D or­ da, Madrid, 1 990, pp. 1 3 -19; A. Barigazzi, Impli­ canze morali nella polemica plutarchea sulla psicolo­ gia degli animali, in Atti del IV Convegno Plutarcheo. Plutarco e le Scienze, a cura di l. Gallo, Geno­ va, 1992, pp. 297-3 1 5 ; G. lndelli, Plutarco, Bruta a­ nimalia ratione uti: qualche riflessione, in Atti del IV Convegno Plutarcheo, cit. , pp. 3 1 7-52 ; S.T. Newmyer, Plutarch on Justice toward Animals, in " Scholia , l, 1992, pp. 38-54; F. Becchi, Istinto e intelligenza negli scritti zoopsicologici di Plutarco, in "•

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Scritti in memoria di Dino Pieraccioni, a cura di M. Bandini e F.G. Pericoli, Firenze, 1 993, pp. 59-83; G. Santese, Animali e razionalità in Plutarco, in Fi­ losofi e animali nel mondo antico, a cura di S. Casti­ gnone e G. Lanata, Pisa, 1 994, pp. 1 39 -70; F. Becchi, Irrazionalità e razionalità degli animali ne­ gli scritti di Plutarco. Ovvero: Il paradosso della supe­ riorità razionale ed etica degli animali, in " Pro­ metheus » , 26, 2000, pp. 205 -25. Mette conto infine di segnalare la singolare for­ tuna che il dialogo Bruta animalia ratione uti eb­ be nei secoli XVI e XVII, quando l'opuscolo plu­ tarcheo venne più volte ripreso e imitato, secon­ do diversi procedimenti e propositi. L'elenco di tali riprese include il poemetto satirico L 'asino d 'oro di Niccolò Machiavelli (fra il 1 5 1 4 e il 1 5 1 7) , la raccolta di dialoghi La Circe di Giam­ battista Gelli ( 1 549), il romanzo in forma dialo­ gata El cr6talon (Il crotalo, ossia un tipo di sona­ gli) dello spagnolo Cristobal de Villalon (circa 1 557), e la favola Les compagnons d 'Ulysse (XII, l ) dijean de La Fontaine ( 1 694 ) . Per quest'aspetto della posterità del testo di Plutarco, ampie infor­ mazioni e analisi si trovano nell' edizione del Bruta animalia curata da G. lndelli, e nell'artico­ lo sopra citato dello stesso autore. De esu camium (Ot::pì crapKoayiaç A.Oyoç a' e W). Sotto questo titolo sono tramandati due brevi scritti, da considerarsi indipendenti anche se la frase iniziale del secondo sembra rapportarli a una medesima occasione: essi riproducono in­ fatti una coppia di logoi, ossia a un dipresso > . Noi, invece, viviamo così mollemente sprofonda­ ti nella nostra sete di sangue da chiamare la carne una prelibatezza; ma poi abbiamo bi­ sogno di intingoli prelibati per la carne stessa, mescolando olio, vino, miele, garo32 e aceto a spezie siriane e arabiche,33 come se preparassimo effettivamente un cadavere per la sepoltura. 34 Dopo che le carni sono state così macerate, ammorbidite e, in un certo senso, fatte imputridire prima del tempo, è realmente arduo per la digestione avere la meglio; e una volta che quest'ulti­ ma ha perduto la battaglia, le carni sono fonte di fastidi terribili e di malsane indige­ stioni. 6. Diogene ebbe il coraggio di mangiare un polpo crudo per estirpare l'abitudine di cuocere la carne col fuoco. E in mezzo a un folto pubblico, coprendosi il capo col !ll an­ tello e portando il polpo alla bocca: « E per voi >> esclamò « che io mi espongo al perico­ lo >>.35 Un bel pericolo davvero, per Zeus! Fu proprio come Pelopida36 per la libertà dei Tebani o come Armodio e Aristogitone37 per quella degli Ateniesi, che il filosofo af­ frontò il pericolo lottando con un polpo crudo, per inselvatichire la vita umana! Per di più, non solo l'uso di mangiare la carne è contro natura per il corpo, ma ottunde anche l'anima per il senso di pienezza e di sazietà che produce: ,, Il vino e l 'uso smoda­ to della carne rendono forte e robusto il corpo, ma indeboliscono l'anima >> .38 E per 62

non rendermi inviso agli atleti, citerò degli esempi che riguardano la mia gente.39 Gli Attici definivano abitualmente noi Beoti tardi di mente, insensibili e sciocchi soprattutto per la nostra ingordigia: « Questi uomini sono dei porci . . . >> .40 Menandro dice: « Quelli che hanno mascelle » ,41 e Pindaro: « e poi a sapere se . . . » ;42 « L'anima secca è la più sa­ piente » secondo Eraclito. 43 Gli orci vuoti ri­ suonano quando vengono percossi, ma una volta riempiti non rispondono ai colpi.44 Gli oggetti sottili di bronzo trasmettono in cer­ chio il suono, finché qualcuno non lo soffochi e non lo attutisca ponendovi sopra la mano, mentre il colpo si propaga circolar­ mente.45 L'occhio, riempito da un eccesso di liquido lacrimale, resta appannato e indebo­ lito nella funzione che gli è propria.46 Se guardiamo il sole attraverso l'aria umida e una cortina di grevi vapori, non lo vediamo limpido né splendente, ma cupo, caliginoso e con i raggi tremolanti. Allo stesso modo, passando attraverso un corpo torbido, sazio e appesantito da cibi impropri, la luce e lo splendore dell'anima risultano necessaria­ mente indeboliti e confusi; e sono sviati e in­ stabili, poiché l'anima non ha fulgore e forza per i sottili e impercettibili fini delle nostre azioni. 7. Al di là di tali considerazioni, non credi che sia una cosa straordinaria l'abitudine a un comportamento umano?47 Chi fareb­ be infatti del male a un uomo, se lui stesso è tanto mitemente e umanamente disposto 63

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verso creature estranee e appartenenti a una specie diversa? Due giorni fa, nel corso di una discussione/8 ho menzionato quanto disse Senocrate,49 allorché gli Ateniesi puni­ rono l'uomo che aveva scuoiato vivo un arie­ te: « Non è peggiore, io credo, chi tortura un animale vivo di chi gli toglie la vita >> .50 Ma evidentemente noi ci rendiamo conto dei fatti contrari alle consuetudini più che di quelli che sono contro natura. Nel corso di quella discussione feci tali con­ siderazioni in termini più generali. Ma il principio della dottrina, grande, misterioso e « incredibile per uomini dappoco >> , come dice Platone,51 che hanno pensieri mortali, non mi risolvo ancora a metterlo in moto col mio discorso: come un nocchiero indu­ gia a salpare nella tempesta o come un drammaturgo esita a sollevare la macchina52 in teatro nel pieno dell'azione.53 Non è forse una cattiva idea introdurre prima, come pre­ ludio, le parole di Empedocle ... 54 In questi versi, infatti, il filosofo dice con un 'allegoria che le anime sono imprigionate in corpi mortali per scontare la pena delle uccisioni, di aver mangiato carne e di essersi divorati reciprocamente. Questa dottrina pare tutta­ via avere un 'origine più antica:" i racconti relativi alle sofferenze di Dioniso per il suo smembramento, alle temerarie imprese dei Titani contro di lui, al fatto che questi ultimi vennero fulminati per punizione, dopo aver gustato il sangue del dio, costituiscono un mito che allude alla rinascita.'" Alla compo64

nente irrazionale, sregolata e violenta che è in noi, e che non ha un 'origine divina, ma demonica, gli antichi diedero in effetti il no­ me di Titani, vale a dire « coloro che sono puniti >> e > . . . 57

DISCORSO II

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l . Freschi come siamo nelle idee e nello ze­ lo, la ragione ci sollecita a riprendere il di­ �corso di ieri sull'uso di mangiare la carne. E davvero difficile, come diceva Catone, par­ lare al ventre che non ha orecchie.58 Si è inoltre bevuta la pozione dell'abitudine che, come quella di Circe, mescola dolori e affanni, inganni e lamenti. 59

Non è semplice estrarre l'amo del mangiare carne, impigliato e conficcato com'è nella brama del piacere . Davvero sarebbe un be­ ne se, come gli Egizi estraggono le viscere dei cadaveri, le sollevano verso il sole e poi le gettano via, quasi fossero la causa di tutte le colpe che l'uomo ha commesso,60 altret­ tanto noi dessimo un taglio alla nostra in­ gordigia e alla nostra sete di sangue, e ci mantenessimo puri per tutto il resto della vita. Non è infatti il ventre a essere sanguina­ rio, ma esso è contaminato di sangue dalla nostra incontinenza. Tuttavia, sebbene sia ormai impossibile man­ tenerci immuni dali' errore per la consuetu65

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dine che ci lega a esso, provando vergogna agiremo male secondo ragione. Mangere­ mo sì la carne, ma spinti dalla fame e non per ingordigia. Uccideremo sì un animale, ma provando per esso pietà e dolore, non usando la violenza né torturandolo. Tali so­ no le sevizie che, oggi come oggi, vengono so­ vente commesse: alcuni sgozzano i maiali con­ ficcando loro nella gola degli spiedi arroventati, perché il sangue, emulsionato dal ferro affondato nella carne e diffuso per tutto il corpo, renda la carne più tenera e delicata. Altri invece balzano sulle mammelle delle scrofe prossime al parto prendendole a cal­ ci, perché dopo che l'animale ha versato, o Zeus Purificatore ! , sangue vivo, latte e san­ gue rappreso dei feti, morti assieme alla ma­ dre nel momento del parto, possano man­ giarne la parte più tumefatta.61 Altri ancora cuciono gli occhi delle gru62 e dei cigni, 63 li chiudono nell'oscurità, e fanno così ingras­ sare questi animali ... 64 preparandone la car­ ne con strani intrugli e con squisiti condi­ menti. 2. Da tali orrori risulta del tutto evidente che costoro hanno trasformato in piacere la violenza non per nutrirsi né perché siano spronati dal bisogno o dalla necessità, ma per insolenza, ingiustizia e lusso smodato.65 Inoltre, come l'uomo intemperante prova di tutto fra donne mai sazie di piacere, e va allo sbando spingendosi ad atti irriferibili, così l'intemperanza alimentare, una volta che abbia oltrepassato il limite naturale e 66

necessario, conferisce varietà all'appetito con pratiche crudeli e snaturate. Infatti gli organi sensoriali si ammalano simultanea­ mente per un contagio reciproco, e insieme si lasciano traviare e si abbandonano alla dissolutezza, se non si attengono alle nonne di natura. Così il senso dell'udito, se si am­ mala, corrompe il gusto musicale; e per in­ flusso di questo, la componente morbida e dissoluta dell'individuo brama turpi carezze ed effeminate sollecitazioni. A loro volta queste pratiche insegnano alla vista a non ammirare le pirriche, i gesti delle mani,66 le danze eleganti, le statue e i dipinti, ma a considerare il sangue, la morte di esseri u­ mani, le ferite e i combattimenti67 il più raf­ finato degli spettacoli. Così a mense inde­ gne seguono connubi sregolati; a turpi pia­ ceri erotici seguono musiche dissonanti; a canzoni e melodie vergognose, esibizioni orribili nei teatri; a spettacoli selvaggi, in­ sensibilità e crudeltà verso gli esseri umani. Per questo motivo il divino Licurgo68 ordinò nelle tre rhetrai 69 che le porte e i tetti delle abitazioni fossero fabbricati con la sega e con la scure, senza alcun altro strumento; non certo perché fosse ostile a trapani, a pialle e ad arnesi destinati a realizzare lavori di precisione, ma perché era consapevole che con opere così grezze non ti saresti por­ tato in casa un letto dorato, né avresti avuto l'ardire di introdurre in un'abitazione sem­ plice mense d'argento, tappeti purpurei e pietre preziose. Piuttosto, a una casa, a un 67

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letto, a una mensa e a una coppa di modesta qualità, fanno seguito una cena frugale e un pranzo per gente semplice, mentre ogni for­ ma di lusso e di magnificenza asseconda la guida di un cattivo tenore di vita, come un puledro non svezzato corre insieme alla madre. 70

3 . E dunque quale pranzo che comporti

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l'uccisione di un essere vivente non è un ec­ cesso? Ci sembra che la vita sia una spesa da poco? Non intendo certo che possa trattarsi della vita di tua madre o di tuo padre, di un amico o di un figlio,'1 come Empedocle;72 mi riferisco piuttosto a una vita che possiede delle sensazioni, vista e udito, immaginazio­ ne e intelligenza: quella vita che ogni crea­ tura ha ottenuto dalla natura per consegui­ re ciò che le è proprio e per fuggire ciò che le è estraneo. Considera poi quali filosofi stimolino me­ glio la nostra umanità, se quelli che ci esor­ tano a mangiare figli, amici, padri e mogli, dopo la loro morte,73 oppure Pitagora ed Empedocle, che ci avvezzano a essere giusti anche verso le creature che non apparten­ gono alla nostra specie.74 Tu deridi chi si astiene dal mangiare una pecora; e noi allo­ ra - diranno costoro - non dovremo ridere di te, vedendoti tagliare porzioni di tuo padre o di tua madre morti e inviarle agli ami­ ci lontani, e poi invitare quelli presenti e im­ bandire loro tali carni a sazietà?75 Forse an­ che adesso commettiamo una colpa, quan68

do tocchiamo i loro libri76 senza purificare le mani, gli occhi, i piedi e le orecchie: a meno che, per Zeus ! , non costituisca una pu­ rificazione del corpo il fatto di parlare di questi argomenti « detergendo l'orecchio sporco di salmastro >> come dice Platone77 « con un discorso fresco e puro >> . Se poi si confrontassero i libri e le dottrine di questi due gruppi di pensatori,78 i primi potrebbero costituire la filosofia79 degli Sciti, dei Sog­ diani80 e dei Melancleni,81 sui quali Erodoto narra fatti che non vengono creduti. Le dot­ trine di Pitagora e di Empedocle, invece, erano legge per gli antichi Greci, e le loro diete senza fuoco ... 82 [Perché noi non ab­ biamo alcun legame di giustizia con gli ani­ mali irrazionali] .83 4. Chi dunque introdusse successivamente questa usanza?84

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Quelli che per primi forgiarono lo scellerato pugnale che colpisce nelle strade,85 e per primi si cibarono dei buoi aratori.86

Allo stesso modo anche i Tiranni inaugura­ no i loro omicidi. Inizialmente, ad Atene, essi87 condannarono a morte il peggiore dei sicofanti, che fu riconosciuto meritevole di tale sorte, e così fecero una seconda e una terza volta; ma poi, avvezzati da tali condan­ ne, permisero che venissero uccisi Nicerato, figlio di Nicia,88 lo stratego Teramene89 e il filosofo Polemarco.90 Analogamente, in ori­ gine gli uomini divorarono un animale sel69

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vatico e dannoso, poi dilaniarono un uccel­ lo o un pesce; in tal modo la loro natura san­ guinaria, dopo aver gustato il sangue e aver fatto preliminarmente pratica su quegli ani­ mali, si rivolse al bue laborioso, alla pecora mite91 e al gallo, guardiano della casa; una volta che ebbero così gradualmente tempra­ to la propria insaziabilità, gli uomini si voisero alle stragi dei loro simili, ai delitti e alle guerre. Anche se qualcuno aggiungesse la dimostra­ zione che le anime entrano in altri corpi co­ muni92 nelle loro rinascite, e che l' essere che ora è razionale diventa irrazionale e che a sua volta diviene domestico ciò che ora è sel­ vatico, che la natura trasmuta ogni cosa e la trasferisce in altra sede, vestendo le anime con un manto sconosciuto di carne;93

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tutto ciò non vale tuttavia a distogliere la no­ stra componente selvaggia e intemperante, che è fonte di malattie e indigestioni94 per il corpo e che corrompe l'anima volgendola alle più nefande violenze, abituati come sia­ mo a non ricevere a mensa un ospite, a non celebrare un matrimonio, a non intrattener­ ci con gli amici, senza ammazzare e versare del sangue. 5. Anche se l'argomento della trasmigrazio­ ne delle anime di corpo in corpo non è completamente attendibile, questo dubbio merita c�munque grande circospezione e ti­ more.95 E come se un soldato, durante uno 70

scontro notturno fra gli eserciti, si avventu­ rasse con la spada su un uomo caduto, il cui corpo è nascosto dalle armi, e sentisse dire da un altro che non è del tutto certo, ma che crede e suppone che la persona stesa a terra sia suo figlio o suo fratello o suo padre o un suo compagno di tenda. Che cosa sa­ rebbe meglio: accondiscendere a una falsa supposizione e lasciar andare il nemico co­ me se si trattasse di un amico, oppure non tenere conto di un'affermazione piena di dubbio e uccidere il parente come fosse un nemico? Direte tutti che la seconda alterna­ tiva è spaventosa. Considera anche il personaggio di Merope96 nella tragedia, che leva la scure contro il proprio figlio, convinta che sia invece colui che lo ha assassinato, ed esclama questo colpo che io ti infliggo è davvero assai caro! 97

Quanta agitazione suscita in teatro, indu­ cendo gli spettatori ad alzarsi in piedi per la paura! E si teme che ferisca il giovinetto pri­ ma che il vecchio riesca a trattenerla. Se un vecchi9 le fosse accanto dicendole « Colpi­ scilo! E un nemico », e un altro, invece, '' Non colpirlo! È tuo figlio », quale misfatto sarebbe peggiore: omettere la punizione di un nemico per salvare il proprio figlio, op­ pure incorrere nell'uccisione del figlio sotto l'effetto dell'ira verso il nemico? Quando poi non sono l'odio o l'ira, la propria difesa o la paura per noi stessi ciò che ci sprona a 71

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:!:!.>, 102 né di una « cosa preferita >> ,10� né di qualcosa di « con­ veniente >> all'uomo, 104 si preoccupano tanto dei piaceri superflui? Certo sarebbe coeren­ te da parte loro, visto che bandiscono aromi e manicaretti dai simposi, se provassero un 'avversione anche maggiore per il sangue e per la carne. Invece, quasi filosofassero sui libri dei conti giornalieri, essi eliminano dai banchetti le spese relative alle cose inutili e superflue, mentre non evitano la compo­ nente feroce e sanguinaria del lusso.105 " Cer­ to, >> dicono " noi uomini non abbiamo nes­ suna parentela con gli esseri irrazionali >> . 106 Ma neppure con gli aromi, potrebbe obiet­ tare qualcuno, né con i condimenti esotici: eppure questi li rifuggite, mettendo al ban72

do ovunque la componente inutile e non necessaria del piacere. 7. Passiamo dunque a considerare proprio il fatto che noi esseri umani non abbiamo al­ cun rapporto di giustizia con gli animali. 107 E non facciamolo in modo artificioso o cap­ zioso, bensì guardando alle nostre emozio­ ni, parlando umanamente con noi stessi ed esaminando . . .

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GLI ANIMALI USANO LA RAGIONE

ODISSEO

l. Questo, Circe, l'ho imparato1 e ne serberò memoria, credo; mi piacerebbe piuttosto sapere da te se vi sono dei Greci fra costoro che da uomini hai trasformato in lupi e in leoni.

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CIRCE

Moltissimi, mio amato Odisseo. Ma perché me lo chiedi?

ODISSEO

Perché, per Zeus, penso che mi guadagne­ rei un bel motivo di vanto presso i Greci, se col tuo favore ricevessi questi individui e po­ tessi restituirli di nuovo all'aspetto umano, senza }asciarli invecchiare contro natura nel corpo di bestie, menando un'esistenza così deplorevole e vergognosa.

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CIRCE

Ecco che uomo è costui ! Nella sua stoltezza pretende che la propria ambizione si tradu­ ca in sventura non solo per sé e per i suoi compagni, ma anche per chi gli è del tutto estraneo.

ODISSEO

F

Questa è un 'altra pozione2 di parole, Circe, che vai rimestando per nascondervi qualche droga! Sono sicuro che mi trasformerai in una bestia se presterò fede a quanto tu dici, che è una disgrazia mutarsi da animale in uomo.

CIRCE

g86

Non hai forse già messo in opera stranezze maggiori di questa sulla tua persona, tu che hai rifiutato un'esistenza immortale e im­ mune da vecchiaia al mio fianco, 3 per affret­ tarti a tornare attraverso altri innumerevoli affanni da una donna mortale4 e per di più, credimi, ormai vecchia? Tutto ciò per diven­ tare, con questo tuo comportamento, ancor più illustre e rinomato di quanto sei ora, in­ seguendo un vano simulacro di bene invece della realtà. 78

ODISSEO

Sia pure come tu dici, Circe. Perché litigare sempre per i soliti motivi? Fammi piuttosto la grazia di liberare questi uomini, e di con­ segnarmeli !

CIRCE

Non è certo così semplice, per Ecate !5 Non sono persone qualunque. Chiedi prima a lo­ ro se sono d'accordo. E se dicono di no, di­ scuti, mio caro, e prova a persuaderli. Ma se non riesci a convincerli, e sono loro ad avere addirittura la meglio nella discussione, ac­ contentati di aver preso una decisione infeli­ ce riguardo a te stesso e ai tuoi compagni.

ODISSEO

Perché ti fai beffe di me, mia cara? Come potrebbero costoro parlare o ascoltare, fin­ ché sono asini, porci e leoni?

CIRCE

Sta' sicuro, uomo ambizioso più di chiun­ que altro; io per te li metterò in grado sia di 79

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intendere sia di conversare;6 anzi, uno solo sarà sufficiente tanto a parlare quanto ad ascoltare per tutti. Ecco, discuti con questo qui.

ODISSEO

E come mi dovrò rivolgere a costui, Circe? Chi era fra gli uomini?7

CIRCE

Che c' entra questo con il nostro discorso? Chiamalo pure Grillo,8 se vuoi. Io vi lascerò soli, perché lui non dia l'impressione di di­ scutere contro la sua opinione pur di asse­ condarmi.

GRILLO

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2. Salve, Odisseo.

ODISSEO

Salve anche a te, Grillo, per Zeus l 80

GRILLO

Cosa vuoi chiedermi?

ODISSEO

lo, poiché so che siete stati uomini, vi com­ misero tutti indistintamente per la condizio­ ne in cui vi trovate; ma è naturale che mi im­ porti soprattutto dei Greci caduti in questa sventura. E dunque, ho appena pregato Cir­ ce di sciogliere dall'incantesimo chi di voi lo desidera e di ricondurlo all'aspetto origina­ rio, per poi farlo partire con noi.

GRILLO

Basta, Odisseo, non aggiungere altro ! Tutti noi non ti stimiamo affatto, perché è evi­ dente che a torto avevi fama di intelligente e davi l'impressione di superare di gran lunga tutti gli altri uomini nella capacità di pensa­ re.9 Proprio tu che hai avuto paura del cambiamento dal peggio al meglio, senza riflet­ tere i I fanciulli temono le medicine del dot­ tore,10 e rifiutano gli insegnamenti, che mo­ dificano la loro condizione di malati e di ignoranti, rendendoli più sani e più saggi. Allo stesso modo tu hai evitato la meta­ morfosi da un essere in un altro. E ora non 81

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solo tu stesso vivi accanto a Circe pieno di spavento, nel terrore che possa mutarù in porco o in lupo a tua insaputa; ma in ag­ giunta vuoi persuadere noi, che viviamo fra beni a profusione, ad abbandonare insieme a tali beni colei che ce li fornisce e a salpare con te, dopo esser diventaù nuovamente uo­ mini, gli esseri in assoluto più carichi di faùca e più sventurati.

ODISSEO

Ho l'impressione, Grillo, che quella pozio­ ne ti abbia corrotto non solo l'aspetto, ma anche la mente, e che tu ti sia imbottito il cervello di idee strane e del tutto aberranù. O è stato piuttosto qualche godimento da porco1 1 ad avvincerù con un incantesimo a questo corpo?

GRILLO

Né l'una né l'altra cosa, re dei CervelloniP2 Ma se vuoi discutere anziché dire villanie, presto ti farò cambiare idea, dato che noi abbiamo esperienza di entrambi i tipi di vi­ ta. Ti persuaderò che a ragione preferiamo l'esistenza attuale a quella di prima.

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ODISSEO

Ebbene, sono impaziente di ascoltare !

GRILLO

3. E io di parlare. Bisogna cominciare anzi-

tutto dalle virtù, di cui vi vediamo andare su­ perbi, convinti come siete di eccellere di gran lunga sulle bestie per giustizia, ragione, coraggio e via dicendo.13 Rispondimi, tu che sei il più sapiente degli uomini. Una volta ti ho sentito raccontare a Circe della terra dei Ciclopi;14 e dicevi che essa, senza alcun biso­ gno di essere arata e senza che nessuno vi pianti nulla, è così generosa e fertile per na­ tura da produrre spontaneamente qualunque frutto.15 Forse non apprezzi tale terra più di ltaca, >,33 la (( memoria >> come (( apprendimento di un enunciato in forma passata, la cui forma presente è stata acquisi­ ta dalla percezione >> .34 Non v'è nessuna di tali definizioni che non riguardi la ragione, e tutte appartengono a tutti gli animali; co­ me senza dubbio appartengono loro anche i concetti, che quando sono inattivi quelli de­ finiscono (( nozioni >>, mentre se vengono at112

tivati li chiamano « riflessioni ,, . E per quanto ammettano concordemente che tutti gli affetti, nel loro complesso, sono « falsi giudizi e opinioni » /5 è sorprendente come poi trascurino che negli animali le azioni e i mo­ vimenti sono prodotti molti dall'ira, molti dalla paura e, per Zeus, anche dall'invidia e dalla gelosia. Loro stessi puniscono cani e cavalli quando sbagliano, non senza un motivo, ma per correggerli, producendo in questi animali, attraverso il dolore fisico, un senso di afflizione che chiamiamo penti­ mento. Il piacere che si prova attraverso le orecchie è definito « incantesimo », mentre quello per­ cepito attraverso gli occhi « fascino ,, :36 e si utilizzano entrambi i tipi nei confronti degli animali. Cervi e cavalli vengono infatti am­ mansiti con zampogne e flauti,37 e i granchi sono forzati a uscire dalle loro buche al suono dei fotinghi.38 L' alosa, dicono, emerge in superficie e si avvicina, se sente cantare e battere le mani.39 E l'allocco, a sua volta, vie­ ne adescato col fascino, nello sforzo di muo­ vere contemporaneamente le spalle secon­ do un ritmo piacevole, mentre degli uomini danzano al suo cospetto.40 Quanti affermano stoltamente che gli ani­ mali non provano piacere, né ira, né paura, che non fanno preparativi e non serbano memoria, ma che l'ape , il leone > , il cervo > e « è come se udissero >> ; che non emettono suoni, ma è come se li emettessero >> ; e che non vivono nel vero senso della parola, ma « è come se vivessero >> . Perché queste ulti­ me affermazioni, io credo, non sono certa­ mente più contrarie all'evidenza delle pri­ me. ''

SOCLARO

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4. Puoi senz'altro considerare che anch 'io sono convinto di queste tue affermazioni, Autobulo; ma nel mettere a confronto le abitudini degli animali con i costumi degli uomini, con la loro esistenza, le loro azioni e il loro comportamento, noto in particola­ re, oltre a molti altri difetti, l'assenza di un 'esplicita volontà degli animali che sia ri­ volta alla virtù, in vista della quale la ragio­ ne stessa esiste, nonché la mancanza di un progresso nella virtù e di un 'inclinazione alla medesima. Cosicché non riesco a capi­ re come la natura abbia potuto fornire gli animali del principio razionale, visto che es­ si non possono raggiungere il fine di que­ st'ultimo. 42

1 14

AUTOBULO

Ciò non sembra assurdo neppure ai nostri stessi avversari,43 Soclaro; per quanto essi considerino infatti l'amore per la prole44 co­ me principio della nostra vita associata e della nostra pratica di giustizia, e per quanto vedano d'altra parte che tale amore è pre­ sente negli animali in maniera assai spicca­ ta, negano poi recisamente che gli animali partecipino della giustizia.45 Ebbene, i muli dispongono senz'altro degli organi ripro­ duttivi; ma sebbene possiedano genitali e utero, nonché la facoltà di farne uso pro­ vando piacere, non raggiungono il fine della procreazione.46 Considera, inoltre, se non è davvero risibile asserire, come fanno co­ storo, che uomini quali Socrate e Platone siano afflitti da vizi per nulla inferiori a quelli di uno schiavo qualsivoglia, anzi che siano del pari stolti, intemperanti e ingiusti;47 e poi criticare il carattere impuro e imperfetto della virtù degli animali come assenza di ragione, piuttosto che come inettitudine e debolezza della medesima. E questo sebbe­ ne i nostri avversari convengano che il vizio è un difetto di ragione, vizio dal quale ogni animale è contaminato: possiamo infatti osservare come in molti di essi siano presenti viltà e intemperanza, ingiustizia e malvagia inclinazione d'animo. Chi sostiene poi che quanto non è naturalmente idoneo a ricevere la ragione nella sua forma compiuta non può neppure ricevere la ragione stessa, anzi1 15

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tutto non si distingue per nulla da chi sostie­ ne che la scimmia non è per natura brutta né la tartaruga lenta, perché non sono in grado di possedere, rispettivamente, bellez­ za e velocità.48 In secondo luogo, costui non si rende conto di una palmare differenza: la ragione, infatti, è ingenerata dalla natura, mentre la ragione eccellente e perfetta è l'e­ sito della cura e dell'educazione. Ed è per questo che tutti gli esseri animati partecipa­ no delle facoltà razionali; quanto però a quella forma di perfezione intellettuale e alla saggezza che essi cercano, non posso­ no asserire che appartenga neppure all'uo­ mo.49 Come infatti esistono capacità di vedere e di volare fra loro differenti (perché fal­ chi e cicale non vedono allo stesso modo, né volano egualmente aquile e pernici), così non tutte le creature fornite di ragione par­ tecipano parimenti della destrezza e dell 'a­ cume intellettuale nella loro forma più compiuta. In effetti, ci sono fra gli animali molti esempi di socialità, di coraggio e di astuzia, riguardo ai mezzi per procacciarsi qualcosa e all'amministrazione domestica, così come d'altro canto esistono fra di loro numerosi esempi dei casi COI}trari, ossia di ingiustizia, viltà, stoltezza. 50 E inoltre pro­ bante ciò che proprio ora ha sollecitato la competizione fra i giovani: poiché è proprio l'esistenza di una diversità a indurre gli uni ad asserire che gli animali terrestri sono na­ turalmente più progrediti in virtù, gli altri a sostenere che lo sono invece gli animali ac116

quatici. Il fatto è evidente anche se si mettono a confronto gli ippopotami con le cico­ gne (queste ultime infatti sostentano i loro padri,51 mentre i primi li uccidono per ac­ coppiarsi con le madrP2) , e se si paragonano le pernici ai colombi. I maschi delle prime sottraggono le uova e le distruggono, per­ ché la femmina rifiuta di accoppiarsi al mo­ mento della cova;5� i maschi dei colombi, in­ vece, si alternano addirittura alle femmine nella cura del nido, covando a turno le uo­ va, e sono i primi a imbeccare i piccoli. 54 E se la femmina sta lontana dal nido per troppo tempo, il maschio la colpisce col becco per ricondurla alle uova e ai piccoli. Non so co­ me Antipatro, che pure rimprovera la man­ canza di pulizia agli asini e alle pecore, si sia poi lasciato sfuggire il caso delle linci e delle rondini. 55 Le prime rimuovono infatti com­ pletamente i propri escrementi, nasconden­ doli e sottraendoli alla vista,56 mentre le ron­ dini insegnano ai piccoli a volgersi verso l'e­ sterno dal nido e a espellere gli escrementi in questa posizione.57 E d'altronde, perché non diciamo che un al­ bero è più stolto di un altro, come lo è una pecora rispetto a un cane, né che un vegetale è più vile di un altro, come lo è un cervo rispetto a un leone? Forse dobbiamo credere che, proprio come fra gli oggetti incapaci di movimento non ve ne è uno più lento di un altro, né fra le creature mute una con la voce più debole di un 'altra, così pure fra gli esseri naturalmente privi della facoltà di ra117

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gionare ne esista uno più vile o più lento o più intemperante di un altro?58 Non è piut­ tosto la presenza della facoltà razionale, di­ versa e di intensità variabile nei diversi tipi di animali, ad aver prodotto quelle differen­ ze che risultano evidenti?

SOCLARO

5. È comunque straordinario come l'uomo

sia superiore agli animali per facilità di ap­ prendimento, perspicacia e per i comporta­ menti che at�engono alla giustizia e alla so­ cialità.

AUTOBULO

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Eppure, amico mio, molti animali sono su­ periori a tutti gli uomini, quale per dimen­ sioni fisiche e velocità, quale d'altro canto per acutezza visiva e sottigliezza dell'udito. Ma non per questo l'uomo è cieco o debole o sordo. Anzi, corriamo, anche se più lenta­ mente dei cervi, e vediamo, anche se non con la stessa acutezza dei falchi, e la natura non ci ha privati della forza e della grandez­ za, anche se per questi aspetti non siamo nulla rispetto all'elefante e al cammello. Dunque, analogamente, non dobbiamo di­ re neppure che gli animali, se anche hanno 118

facoltà razionali più deboli e un'attività in­ tellettuale peggiore della nostra, sono com­ pletamente privi dell'attività intellettuale, delle facoltà razionali e della ragione stessa. Diciamo piuttosto che essi posseggono un intelletto debole e torbido, come un occhio affetto da debolezza visiva e offuscato.59 E se non mi aspettassi che i nostri giovani, eruditi e amanti della letteratura come sono, ben presto raccoglieranno per noi molti esempi, attingendoli l'uno alla terra, l'altro al mare, non ti risparmierei innumerevoli prove di docilità e di buone disposizioni naturali de­ gli animali; e a tali prove la bella città di Ro­ ma60 ci ha dato la possibilità di attingere per così dire a secchi e a catini dagli spettacoli imperiali. Lasciamo pertanto questi argo­ menti freschi e intatti per loro, affinché pos­ sano avvalersene come ornamento per il proprio discorso. Vorrei piuttosto valutare con te in tutta tran­ quillità un piccolo problema.61 Sono infatti dell'opinione che ogni parte e ogni facoltà del corpo soffrano di una cattiva condizio­ ne, di uno stato di menomazione e di affe­ zione, che sono loro assolutamente propri, come la cecità per l'occhio, lo zoppicare per la gamba e la balbuzie per la lingua. Non esiste infatti cecità in ciò che non dispone naturalmente della facoltà di vedere, né può zoppicare ciò che non ha una naturale inclinazione a camminare, e non si potreb­ be definire affetto da difficoltà di pronuncia un essere senza lingua, né balbuziente un 119

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essere per natura privo di voce. Di conse­ guenza, non si potrebbe neppure definire delirante, fuori di senno o folle ciò che per natura non possiede ragione, intelligenza e capacità di riflettere: poiché è impossibile che venga a trovarsi in una condizione di patimento l'essere che non possiede la fa­ coltà, di cui tale patimento costituisce o una deficienza o una mutilazione o qualsiasi al­ tra forma di menomazione. Ti è senz'altro capitato di imbatterti in cani rabbiosi; a me, poi, è successo addirittura di incontrare ca­ valli pazzi, e alcuni asseriscono che pure buoi e volpi cadano preda della follia.62 Ma è sufficiente prendere in considerazione il ca­ so dei cani, su cui non grava ombra alcuna di dubbio. Esso testimonia come l'animale possegga ragione e facoltà intellettuali tut­ t'altro che mediocri, di cui la cosiddetta rab­ bia o follia costituisce un'affezione, una voita che esse risultino turbate e sconvolte. Non è infatti riscontrabile nel cane un'alte­ razione né della vista né dell'udito. Ma co­ me, quando un essere umano soffre di me­ lanconia6� o di follia, è stolto chi non ricono­ sce che sono la ragione e l'organo che riflet­ te e ricorda a essere fuori di sé e danneggia­ ti (definiamo infatti abitualmente la condi­ zione dei pazzi come un « non essere in se stessi •• , ovvero (( essere usciti di senno >> ) ; allo stesso modo, chi ritiene che i cani rabbiosi soffrano di un'affezione che nulla ha a che vedere con l'organo per natura preposto al­ l'attività razionale, intellettuale e alla me120

moria - tanto che quando esso diviene pre­ da del turbamento e della follia gli animali in questione non riconoscono più i volti cari e rifuggono le consuete abitudini di vita -, pare che trascuri l'evidenza oppure che, pur rendendosi conto delle conseguenze a cui recano le sue convinzioni, voglia lottare contro la verità.64

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S O C LARO

6. Le tue considerazioni mi paiono corrette;

e d'altronde Stoici e Peripatetici discutono con strenuo accanimento in senso contrario, convinti che la giustizia non avrebbe neppure avuto origine, ma sarebbe affatto priva di consistenza e inesistente, se tutti gli animali partecipassero della ragione.65 Si danno infatti queste alternative : o siamo ne­ cessariamente ingiusti, se non li risparmia­ mo,66 oppure, se non li usiamo come cibo, vivere diventa per noi totalmente impossibile; e in un certo senso vivremmo la vita delle bestie, se smettessimo di far uso delle bestie stesse.67 Tralascio le moltitudini sterminate di Nomadi e di Trogloditi,68 che non cono­ scono altro cibo oltre alla carne. Ma per noi, che pensiamo di vivere in modo civile e umano, è difficile dire quale occupazione ri­ manga sulla terra, quale nel mare, quale at­ tività sopravviva sui monti, quale disciplina di vita se, come conviene nel caso in cui tut121

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ti gli animali siano dotati di ragione e siano della nostra stessa razza, dobbiamo impara­ re ad agire senza danno e con cautela nei lo­ ro riguardi. Non disponiamo di nessun ri­ medio e di nessun medicamento per supe­ rare l'aporia, che ci priva o della vita o della giustizia, a meno che non ci si attenga al­ l'antica norma e legge, secondo la quale, a detta di Esiodo, colui69 che ha distinto le va­ rie razze e che ha separato ciascuna stirpe ai pesci, alle fiere e agli alati uccelli permise di divorarsi l 'un l' altro, perché non v'è giustizia fra loro, ma agli uomini concesse la giustizia70

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nei loro rapporti reciproci. Contro coloro che non sanno avere rapporti di giustizia con noi, neppure per noi esiste una manie­ ra ingiusta di agire: e quanti hanno respin­ to questo argomento non hanno lasciato al­ la giustizia nessun'altra via, né ampia né stretta, attraverso cui essa possa aprirsi un varco.

AUTOBULO

7. Queste parole, amico mio , le hai tratte

fuori proprio « dal cuore >> . 7 1 E tuttavia, non bisogna certo consentire ai filosofi, quasi fossero donne che hanno un parto difficile, di indossare un monile capace di accelerar­ lo, per darci alla luce la giustizia in modo fa122

cile e indolore. Loro,72 infatti, non concedo­ no a Epicuro, in nome dei più alti princìpi, neppure una cosa tanto piccola e di scarsa rilevanza, ossia che un solo atomo subisca una benché minima deviazione perché possa subentrare l'esistenza degli astri, degli es­ seri viventi e del caso, e non venga annullato il nostro libero arbitrio.73 Conviene piutto­ sto che essi dimostrino ciò che è poco chiaro o che assumano come principio qualcosa di evidente, e che non pongano a fonda­ mento della loro concezione di giustizia ciò che pensano degli animali, se poi non c'è unanimità al riguardo né ricorrono alla mi­ nima dimostrazione. La giustizia, in effetti, si introduce per un'altra via, che non è così piena di pericoli e dirupata, e che non si snoda attraverso il ribaltamen to dell' eviden­ za. Tale strada è invece indicata, sotto la gui­ da di Platone, da mio figlio, che è pure tuo compagno,74 o Soclaro, a chi non desidera essere polemico, bensì voglia lasciarsi guidare e apprendere. Empedocle75 ed Eraclito,76 infatti, danno per certo che l'uomo non sia completamente immune dall'ingiustizia, trat­ tando gli animali come appunto fa. Questi fi­ losofi sovente si lamentano e biasimano la na­ tura, in quanto essa è necessità e guerra," e non le appartiene nulla di puro e di semplice, ma progredisce attraverso molte soffe­ renze ingiuste. Quindi affermano che persi­ no la nascita trae origine da un'ingiustizia, essendo un congiungimento di immortale e mortale, in cui chi è generato viene nutrito 1 23

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contro natura con membra divelte a colui che lo ha generato.78 Nondimeno queste affermazioni suonano eccessive e aspre oltre misura; esiste però un 'alternativa confortevole e idonea, che non priva della ragione gli animali e al tem­ po stesso non intacca la giustizia di coloro che si servono di essi in modo conveniente. Questa ipotesi, introdotta dagli antichi sag­ gi, fu poi bandita e sradicata poiché l'ingor­ digia si associò a un tenore di vita rilassato.79 Pitagora, però, la introdusse nuovamente, insegnando a trarre vantaggio dagli animali sen­ za commettere ingiustizia:80 non sono ingiu­ sti, infatti, coloro che puniscono e ammaz­ zano gli animali selvatici e veramente dan­ nosi,81 mentre addomesticano quelli man­ sueti e amanti dell'uomo e ne fanno dei col­ laboratori nelle occupazioni, per le quali ciascuno di essi gode di buone predisposi­ zioni naturali, vale a dire gli stalloni di cavalli e asini, e la prole dei tori.

Al loro riguardo, il Prometeo di Eschilo as­ serisce di « averli dati '' a noi g6 5

perché fungano da schiavi e si assumano le nostre fatiche.82

E così adoperiamo i cani come animali da guardia e conduciamo al pascolo capre e pe­ core, che siamo soliti mungere e tosare. Non risulta certo annullato l'atto di vivere, né la vita si estingue per gli uomini, se essi non hanno a disposizione piatti di pesci e fe124

gato d'oca, se non ammazzano buoi e ca­ pretti per i loro conviti, 83 e se, oziando nei teatri e sollazzandosi nelle battute di caccia, non costringono alcuni animali a osare au­ daci imprese e a combattere contro la loro volontà, e non ne eliminano altri, che per natura non sono neppure in grado di difen­ dersi. Ritengo infatti che chi si diverte e si ricrea debba trovarsi con esseri che condivi­ dono il suo divertimento e provano gioia: e non, come diceva Bione, 84 osservando i fan­ ciulli colpire per gioco le rane con le pietre, mentre le rane non muoiono per gioco ma per davvero. Proprio allo stesso modo, nel caso della caccia e della pesca, gli uomini si dilettano delle sofferenze degli animali e della loro morte, strappandone alcuni in modo straziante ai propri cuccioli e ai pro­ pri pulcini. Di fatto, non commette ingiusti­ zia chi si serve degli animali, ma chi se ne serve facendo loro del male, con disprezzo e con crudeltà.

SOCLARO

8. Trattieniti, Autobulo, e chiudi la porta

dell'accusa. 85 Perché ecco che si stanno avvi­ cinando molti uomini tutti amanti della cac­ cia. Non sarà facile far mutare loro opinio­ ne, né dobbiamo necessariamente ferirne i sentimenti. 1 25

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AUTOBULO

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La tua esortazione è giusta; ma conosco bene Eubioto e mio cugino Aristone, nonché Eacide e il qui presente Aristotimo, figli di Dioniso di Delfi, e poi Nicandro, figlio di Eutidamo, 86 tutti « esperti » - per usare un 'e­ spressione omerica87 - nella caccia in terra­ ferma, e che per questo staranno dalla parte di Aristotimo. Sta arrivando anche Fedi­ mo,88 al cui seguito puoi notare gli abitanti delle isole e della costa, Eracleone di Mega­ ra e l' euboico Filostrato,89 (( a cui piace la vi­ ta del mare » .90 E come il Tidide, che non potresti capire con chi abbia parte,91

ecco qui il mio coetaneo Optato.92 Egli, che di molte primizie della caccia marina e di quella sui monti ha insignito93

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la dea che è al tempo stesso Agrotera e Dic­ tinna,94 è evidente che avanza qui verso di noi con l'intenzione di non aderire a nes­ suna delle due parti. Oppure è errata, caro Optato, la mia supposizione che tu sarai un arbitro giusto e imparziale per i nostri gio­ vani?

OPTATO

È senz'altro giusta, Autobulo; da tempo è in­ fatti venuta meno la legge di Solone, che 1 26

puniva quanti, in caso di sedizione, non ade­ rissero a nessuna delle due parti.95

AUTOBULO

Suvvia, siediti qui vicino a noi; così, nel caso in cui ci sia bisogno di un testimone, non si dovranno scomodare i libri di Aristotele,96 ma seguendoti in virtù della tua esperienza potremo votare secondo verità i discorsi che si faranno.

S O C LARO

Ebbene, miei giovani amici, vi siete accorda­ ti sull'ordine in cui parlerete?

FEDI MO

Certo, Soclaro, anche se ciò ha offerto occa­ sione di grandi contrasti; ma poi, per dirla con Euripide, la sorte, figlia della fortuna, preposta a questo,97

ha dato la precedenza alla causa degli ani­ mali terrestri su quella degli animali marini.

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SOCLARO

Dunque, Aristotimo, è ormai giunto il mo­ mento per te di parlare, per noi di ascoltarti.

ARISTOTIMO

9. La corte è aperta ai contendenti ... 98 Altri

pesci emettono il proprio seme correndo dietro alle femmine quando esse depongo­ no le uova. C'è poi una varietà di muggine,99 chiamato peraias, che si nutre del proprio muco;1 00 e il polpo, durante l'inverno, se ne sta accuccia­ to divorando se stesso, nella dimora senza fuoco e nella misera ahi tazione; 10 1

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a tal punto è pigro, insensibile o i�gordo, o tutte queste cose messe insieme. E per tale motivo che Platone, nelle Leggi, proibiva o per meglio dire scongiurava i giovani « di non lasciarsi prendere dalla passione per la caccia in mare ».102 Non usano infatti il co­ raggio, né fanno pratica di destrezza, né ri­ corrono a esercizi atti a sviluppare forza, ve­ locità o agilità, coloro che si affaticano a con­ tendere contro spigole, gronghi o pesci pappagallo.1 03 Al contrario, nella caccia terre­ stre gli animali coraggiosi allenano l'auda­ cia e la prodezza di quanti li affrontano, men­ tre gli animali astuti addestrano la capacità 1 28

di riflettere e l'intelligenza di chi li attacca, e quelli veloci esercitano la forza e la resi­ stenza alle fatiche degli inseguitori. Tutti que­ sti motivi hanno nobilitato la caccia; mentre la pesca non ha motivo alcuno di vanto . Del resto, amico mio, nessuno fra gli dèi ha pre­ teso l'appellativo di > , come Apollo quello di > , 1 04 né l'epiteto di > , co­ me Artemide quello di > .1 05 Che c'è poi di strano se per un uomo è motivo di gloria maggiore aver catturato un cinghiale, un cervo oppure, per Zeus, un capriolo o una lepre, piuttosto che averli comprati, mentre è più nobilitante acquistare un tonno, un'aragosta o una palamita,1 06 piuttosto che pescarli noi stessi? In realtà sono il carattere vile, l'incapacità e l'assenza di astuzia, che caratterizzano tali creature, ad aver reso la loro pesca disonorevole, di poco conto e indegna di un uomo libero. 10. In generale, quanto consente ai filo­ sofi 107 di dimostrare che gli animali parte­ cipano della ragione è il fatto che essi pos­ seggano intenzioni, preparazione, memoria, emozioni, cura per la prole, riconoscenza per i benefici ricevuti e risentimento nei ri­ guardi di ciò che ha arrecato loro sofferen­ za; inoltre, la loro capacità di reperire il ne­ cessario e il fatto che essi diano prova di vir­ tù come il coraggio, la socievolezza, la tem­ peranza e la magnanimità.1 08 Consideriamo dunque se gli animali marini non lascino ri­ scontrare nessuno degli elementi soprad129

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detti o se forse permettano di individuare una scintilla di tutto ciò, quanto mai debole e difficile a vedersi per chi congettura fra estreme difficoltà. Fra gli animali terrestri e generati dalla terra, è invece possibile reperire e individuare esempi illustri, evidenti e certi di ciascuna delle qualità che abbiamo enumerato. Anzitutto, osserva come i tori manifestino le loro intenzioni e i loro preparativi, sollevan­ do la polvere quando vogliono combattere, e i cinghiali, affilando le zanne. Gli elefanti, poi, siccome gli alberi che sradicano o tron­ cano per nutrirsene smussano con il logorio le loro zanne, si servono di una delle due a questo scopo, mentre conservano l'altra co­ stantemente aguzza e affilata per la difesa. 109 Il leone cammina sempre con le zampe ben serrate, tenendo gli artigli ritratti perché le punte non si smussino con l'attrito e per non lasciare una pista evidente a chi ne segue le tracce; non è infatti facilmente repe­ ribile l'impronta lasciata dalle unghie di un leone, ma imbattendosi in tracce indistinte e oscure, gli inseguitori rimangono depistati e non riescono a raggiungere la preda. 110 Avrete certamente sentito dire come l'ic­ neumone non abbia nulla da invidiare a un oplita che si armi per la battaglia; tanta è la quantità di fango di cui si riveste e che fa rapprendere attorno al proprio corpo come una tunica militare, quando ha intenzione di attaccare il coccodrillo.1u Prendiamo inoltre in considerazione i pre130

parativi delle rondini prima di procreare:112 esse dispongono con cura alla base del nido i fuscelli resistenti a guisa di fondamenta, quindi mettono tutt'intorno gli sterpi più leggeri. E se si accorgono che il nido ha bi­ sogno di una certa quantità di fango come collante, volano a fior d'acqua su uno sta­ gno o sul mare, sfiorandone la superficie con le ali per inumidirle, senza però appe­ santirle con l'acqua. Poi raccolgono della polvere, e così spalmano e legano insieme le parti del nido che tendono ad allentarsi e a cedere. Quanto alla forma, la loro opera non presenta angoli né molti lati, ma è rea­ lizzata nel modo più uniforme e sferico pos­ sibile; proprio questo tipo di struttura, infatti, garantisce allo stesso tempo stabilità e ca­ pacità al nido, e non offre alcuna possibilità di presa esterna agli animali che tramano a loro danno. Non è certo uno solo il motivo per cui si do­ vrebbero ammirare le opere del ragno, co­ mune archetipo delle tele realizzate dalle donne e delle reti dei pescatori. 113 Si pensi alla precisione del filo, all'assenza di discon­ tinuità e di eccesso nell'ordito della tela, lavorata con la continuità di una membrana uniforme e con una compattezza dovuta alla presenza di una sostanza vischiosa invisibil­ mente mescolata. Si pensi inoltre alla colo­ razione superficiale che dona alla tela un aspetto trasparente come l'aria e nebuloso, in modo che rimanga nascosta, e, soprattut­ to, alla capacità stessa del ragno di tenere 131

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sotto controllo il proprio artificio, parago­ nabile a quella di un auriga o di un timonie­ re: quando una delle possibili prede resta impigliata, esso se ne accorge e usa la pro­ pria intelligenza, come uno scaltrito pesca­ tore, serrando prontamente in maniera ermetica la rete sul malcapitato. Il mio discor­ so trova conferma nel fatto che tutto ciò è quotidianamente esposto alla nostra vista e alla nostra osservazione, altrimenti potreb­ be sembrare una favola. Tale appunto mi pareva quanto si narra a proposito dei corvi di Libia: quando sentono il bisogno di bere, essi scagliano delle pietre nel luogo in cui è contenuta l'acqua per colmarlo e per farne salire il livello, finché non diventi facilmen­ te accessibile.114 Ma poi, dopo aver visto su una nave un cane che in assenza dei marinai gettava dei ciottoli in un'anfora d'olio semi­ vuota, ammirai come si rendesse perfetta­ mente conto che le sostanze più pesanti, de­ positandosi sul fondo, sospingono in alto quelle più leggere. Simile è quanto si racconta a proposito delle api cretesi e delle oche di Cilicia.115 Le pri­ me, quando stanno per girare attorno a un promontorio battuto dal vento, si zavorrano di minuscole pietruzze per non farsi travol­ gere fuori rotta;1 16 le oche, invece, per timo­ re delle aquile, quando sorvolano il Tau­ ro, 117 introducono nel becco una pietra di considerevoli dimensioni, come se si stesse­ ro mettendo un morso o se stessero imbri­ gliando il proprio carattere garrulo e chiac132

chierino per passare inosservate in silen­ zio.11 8 È risaputo anche come volano le gru. Nel caso in cui soffi un vento forte e ci siano delle violente correnti d'aria, esse non vola­ no, come quando c'è bel tempo, disposte in un'unica fila o lungo un tratto curvilineo a forma di mezzaluna; ma radunandosi subito in una formazione triangolare, fendono col vertice il vento che scivola ai lati, in modo tale da non rompere la loro disposizione. 1 19 Quando poi sono scese a terra, le gru che devono montare la guardia di notte poggia­ no il peso del corpo su una sola zampa, mentre con l'altra tengono saldamente af­ ferrata una pietra: la tensione della presa, infatti, impedisce loro di prender sonno per molto tempo. Ma qualora si rilassino, la pie­ tra, cadendo, sveglia immediatamente l'ani­ male che se l'è lasciata sfuggire ;120 e dunque non mi meraviglio affatto che Eracle, posto l'arco sotto l'ascella e

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circondatolo col braccio possente, dorme stringendo la clava con la destra.1 2 1

E neppure provo meraviglia pensando a chi per primo escogitò il sistema per aprire un ' ostrica chiusa, 1 22 se mi capita di leggere gli espedienti a cui ricorrono gli aironi. Qualora un airone abbia inghiottito una conchiglia chiusa, ne sopporta la sgradevole sensazione fino a che non si accorge che il calore corporeo l'ha macerata e allentata: a quel punto la rigurgita aperta e con le 1 33

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valve spalancate, e ne estrae la parte com­ mestibile. 123 I l . Sarebbe impossibile esporre nei partico­ lari il modo in cui le formiche amministra­ no i propri beni e fanno i loro preparativi, ma sarebbe d'altra parte una negligenza tra­ scurare completamente l'argomento. Per­ ché in natura non esiste nessun altro spec­ chio tanto minuscolo delle qualità più gran­ di e più nobili; ma proprio come una goccia d'acqua limpida, le formiche riflettono ogni virtù: (( lì v'è amore ��124 nella forma di solida­ rietà, e fra di loro vi è pure una parvenza di coraggio nella resistenza alle fatiche. Vi so­ no poi molti semi di temperanza, nonché di prudenza e di giustizia. 125 Orbene Cleante, 126 nonostante fosse convinto che gli animali non partecipino della ragione, diceva di ave­ re assistito a uno spettacolo del genere: al­ cune formiche si dirigevano verso un formi­ caio, che non era il loro, trasportando una formica morta; altre, poi, sbucavano da tale formicaio ed era come se avessero un collo­ quio con le prime, per poi tornare nuova­ mente nel luogo da cui erano venute. Il fat­ to si ripeté due o tre volte. Alla fine queste portarono un verme, che doveva fungere da riscatto per il cadavere; allora il primo gruppo di formiche prese il verme, consegnò il cadavere e se ne andò. È a tutti evidente l'atteggiamento pieno di cortesia mostrato dalle formiche quando si incontrano: quelle che non hanno nessun carico danno la precedenza e cedono il pas134

so a quelle che ne portano uno. Inoltre, è ri­ saputo che esse rodono e riducono in pezzi gli oggetti pesanti e difficili da trasportare, sì da farne dei carichi agevolmente trasferi­ bili per più individui. Il fatto che questi ani­ mali dispongano all 'aperto le loro uova e le lascino rinfrescare all 'aria è considerato da Arato un segno di pioggia: le formiche portano subito in superficie tutte le uova fuori dal cavo nascondiglio.127

Alcuni non leggono qui « le uova �, , bensì « le provviste », 128 giacché le formiche portano in superficie il grano messo da parte, se si ac­ corgono che sta ammuffendo e se temono che si guasti e vada in putrefazione. Supera comunque ogni idea che ci si possa fare della loro intelligenza il fatto che esse prevedano la germinazione del grano. Quest'ultimo, com'è noto, non resta sempre secco e intatto, ma si disgrega e diventa simile al latte, modificando la propria struttura nel processo di germinazione. Per evitare pertanto che il grano, trasformandosi in germe, perda il proprio valore alimentare e per conservarlo sempre commestibile, le formiche rosicchiano la punta dalla quale il frumento emette il germoglio. Io non approvo coloro che, per studiare i formicai, li analizzano129 come se li stessero dissezionando. Ad ogni modo, secondo co­ storo la via che dall'apertura conduce in profondità non è diritta né facilmente per1 35

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corribile da altri animali. Essa si snoda piut­ tosto in una serie di curve e controcurve, ca­ ratterizzate da passaggi sotterranei contorti e da cunicoli, e termina con tre cavità. Di queste ultime, una funge da abitazione co­ mune, l'altra da deposito per le provviste, mentre la terza è il luogo in cui vengono de­ poste le formiche morenti. 130 1 2. Credo che non vi parrà inopportuno il mio immediato accostamento degli elefanti alle formiche, per poter valutare contempo­ raneamente la natura dell'intelligenza nelle creature più piccole e in quelle più grandi: perché essa non è spenta in queste, né è as­ sente in quelle. Ci si stupisce in genere per la ricca tipologia di posizioni e di mosse che l'elefante apprende, viene addestrato ad as­ sumere ed esibisce nei teatri. La varietà e lo straordinario sforzo di assimilazione e di me­ moria non costituiscono certo una cosa di poco conto neppure negli esercizi praticati dagli esseri umani. Per quanto mi riguarda, però, io vedo esplicita l'intelligenza dell'ani­ male soprattutto nelle manifestazioni affetti­ ve e nei movimenti spontanei e che nulla hanno a che fare con l'addestramento, ma che sono, per così dire, schietti e puri. Orbene a Roma, non molto tempo fa, un gran numero di elefanti veniva addestrato ad assumere certe posizioni rischiose e a compiere complessi movimenti di rotazio­ ne.131 Uno di essi, il più tardo ad apprendere, che ogni volta si sentiva fare dei rimproveri e che sovente veniva punito, fu visto di notte 136

per proprio conto, nel chiarore lunare, in­ tento a ripassare spontaneamente quanto aveva imparato e a metterlo in pratica. Ancor prima in Siria, stando al racconto di Agnone,132 un elefante era stato allevato in casa e quotidianamente il suo guardiano, quando riceveva una razione d'orzo, ne sot­ traeva con la frode la metà. Ma una volta che il padrone era presente e assisteva, quando il guardiano versò l'intera razione, l'elefante diede un'occhiata, passò nel mezzo la probo­ scide e separò quindi la metà dell'orzo, divi­ dendo in due la razione. Denunciò così più apertamente che mai la truffa del guardia­ no. E un altro elefante, poiché il suo guar­ diano era solito mescolare pietre e terra alla razione d'orzo, una volta in cui l'uomo stava cuocendosi della carne, raccolse della cenere e la gettò nella pentola.133 Un altro elefante ancora, a Roma, molestato da alcuni bam­ bini che gli punzecchiavano la proboscide con gli stili, ne afferrò uno e lo sollevò per aria, come se volesse ucciderlo a furia di per­ cosse. Ma al grido dei presenti, lo depose di nuovo a terra con delicatezza e continuò per la propria strada, convinto che lo spavento fosse una punizione sufficiente per una per­ sona così giovane. Riguardo agli elefanti selvatici e allo stato brado si narrano molte mirabili storie e, in particolare, quella relativa al guado dei fiu­ mi: l'elefante più giovane e di dimensioni più ridotte si offre come volontario per compiere per primo la traversata; gli altri se 137

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ne stanno fermi a osservare, perché se quel­ lo supera con la propria statura il livello del­ l'acqua, essi, che sono di dimensioni mag­ giori, acquisiscono una grande sicurezza che infonde loro coraggio. 134 1 3. A questo punto del mio discorso non mi pare opportuno tralasciare il caso della vol­ pe, data una certa sua somiglianza di com­ portamento.135 Secondo i mitografi, la co­ lomba che Deucalione fece volare fuori dal­ l'arca, quando ritornò all'interno dell'imbar­ cazione gli segnalò chiaramente il perdura­ re del cattivo tempo; quando volò via gli of­ frì invece un pronostico inequivocabile di bel tempo. 136 I Traci, 137 dal canto loro, quan­ do si accingono ad attraversare un fiume ghiacciato, usano ancor oggi una volpe per testare la solidità del ghiaccio. Essa avanza lentamente, con l'orecchio accostato alla su­ perficie ghiacciata; e se si accorge dal rumo­ re che il flusso sotterraneo della corrente è vicino, arguendone che la parte solida non è dotata di grande spessore, ma è sottile e malsicura, si arresta e, se qualcuno non glie­ lo impedisce, torna indietro. Se però è tran­ quillizzata dall'assenza di rumore, attraversa il fiume. Tutto ciò non può essere definito un'acuta percezione sensoriale priva di un supporto razionale, ma è piuttosto un ragio­ namento deduttivo, fondato sulla percezio­ ne sensoriale, che funziona come segue: " Ciò che fa rumore è in movimento, ciò che è in movimento non è ghiacciato, ciò che non è ghiacciato è liquido, ciò che è liquido 138

è cedevole » . Secondo i dialettici, 138 poi, il ca­ ne, trovandosi a una diramazione di vari sentieri, ragiona così fra sé e sé per mezzo di più proposizioni disgiuntive: « La bestia de­ ve aver preso questa strada, o quest'altra, o quest'altra ancora; ma non ha preso sicura­ mente né questa né quest'altra; quindi deve aver preso la rimanente » . 139 La percezione, in questo caso, non offrirebbe altro che la premessa minore, mentre la ragione appor­ terebbe le premesse maggiori e la conclusio­ ne alle premesse. 140 A ben vedere, però, il ca­ ne non ha bisogno di una testimonianza si­ mile: essa è infatti falsa e illusoria. Perché è la percezione stessa, per mezzo delle tracce e dell'odore emanato dalla bestia, a indicare la strada per cui essa è fuggita, lasciando perdere proposizioni disgiuntive e copulati­ ve. La natura del cane è possibile indivi­ duarla attraverso molte altre azioni, manife­ stazioni affettive e compimento di doveri, che non possono essere percepiti né col fiuto né con la vista, ma che possono essere esplicati e conosciuti soltanto attraverso l'uso dell'intelletto e della ragione. Mi renderei ridicolo se parlassi della temperanza, dell'obbedienza e della sagacia, di cui il ca­ ne dà prova nelle battute di caccia, proprio a voi che quotidianamente vedete queste cose e le avete sotto mano. Un romano di nome Calvo era stato ucciso durante le guerre civili; e nessuno riuscì a troncare la sua testa prima di aver accerchia­ to e ferito a morte il cane che gli faceva la 1 39

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guardia e lo difendeva.141 Il re Pirro142 poi, durante un viaggio, si imbatté in un cane che vegliava sul corpo di un uomo, vittima di un assassinio. Quando venne a sapere che da tre giorni ormai il cane rimaneva lì senza cibo e che non voleva allontanarsi, ordinò di seppellire il cadavere e di prendersi cura dell'animale, portandolo al suo seguito. Po­ chi giorni dopo, ci fu una rassegna militare e i soldati sfilavano davanti al re, che stava seduto. Al suo fianco, a cuccia, c'era il cane. Ma quando quest'ultimo vide passare gli as­ sassini del padrone, si avventò contro di lo­ ro con furiosi latrati e continuava ad abbaia­ re, girandosi ripetutamente verso Pirro, tan­ to che gli uomini divennero sospetti non so­ lo al re ma pure a tutti i presenti. Furono dunque arrestati immediatamente, sottopo­ sti a un interrogatorio e, grazie ad alcune piccole prove esterne che vennero ad ag­ giungersi, confessarono il delitto e furono puniti. Lo stesso comportamento ebbe anche il ca­ ne del poeta Esiodo, che dimostrò la colpe­ volezza dei figli di Ganittore di Naupatto, dai quali Esiodo era stato assassinato. 14g Ma ciò che i nostri padri ebbero modo di os­ servare con i loro occhi, durante gli studi ad Atene, possiede un 'evidenza maggiore di quanto si è detto. Un tale si introdusse nel tempio di Asclepio,144 si impadronì delle of­ ferte votive d'oro e d'argento facili da tra­ sportare e se la svignò, convinto di non esse­ re stato visto da nessuno; ma il cane da guar140

dia, di nome Capparo, poiché nessuno dei ministri del tempio diede ascolto ai suoi la­ trati, si mise a inseguire il ladro sacrilego in fuga. E sulle prime non si allontanò, per quanto l'uomo gli gettasse delle pietre; poi, fattosi giorno, continuò a seguirlo senza av­ vicinarsi, ma sorvegliandolo a vista, e non cessò di rifiutare il cibo che l'uomo gli offriva. Se costui si riposava, il cane vegliava ac­ canto a lui; se poi si metteva di nuovo in cammino, il cane si alzava e lo seguiva, sco­ dinzolava ai passanti che incontrava, mentre abbaiava contro l'uomo e gli stava alle calca­ gna. Quando gli uomini mandati alla ricerca del colpevole furono messi al corrente del fatto da quanti avevano incontrato i due e descrivevano sia il colore che la taglia del cane, li inseguirono e, catturato l'uomo, lo condussero indietro da Crommione.145 Sulla via del ritorno il cane precedeva gli altri, pieno di gioia ed esultante, quasi volesse ar­ rogarsi il merito della caccia e della cattura del ladro di templi. Si decretò quindi di mantenerlo a spese dello Stato e di affidarne per sempre la cura ai sacerdoti, imitando così la benevolenza mostrata dagli antichi Ateniesi verso un mulo. Quando Pericle fa­ ceva costruire l'Ecatompedo146 sull'Acropoli, le pietre, com 'è naturale, venivano tra­ sportate ogni giorno da molte coppie di ani­ mali da tiro; ebbene, uno dei muli che ave­ vano operosamente preso parte ai lavori ma a causa della tarda età erano ormai stati con­ gedati, immancabilmente scendeva al Cera141

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mico147 e andava incontro alle bestie che portavano su le pietre, tornando indietro con loro e correndo insieme al loro fianco, qua­ si a incoraggiarle e a spronarle. Il popolo, stupito della generosità dell'animale, or­ dinò pertanto che fosse mantenuto a spese pubbliche, decretandogli gli alimenti148 pro­ prio come a un atleta costretto a soccombe­ re per la tarda età. 149 14. Bisogna dunque riconoscere che quanti negano ogni nostro rapporto di giustizia con gli animali150 hanno ragione finché si tratta degli animali marini e di quelli abitan­ ti negli abissi; essi sono infatti completa­ mente sgradevoli, insensibili e sprovvisti di ogni fonna di dolcezza d'animo. 151 E giusta­ mente Omero dice: > ,152 a proposito di un individuo dal­ l'apparenza rozza e selvatica, intendendo si­ gnificare con ciò che il mare non produce alcun essere benevolo e mansueto. Ma chi estende questo discorso agli animali terrestri è crudele e ferino lui stesso. O vorresti forse negare l'esistenza di un rapporto di giustizia fra Lisimaco e il cane Ircano, che rimase lui solo accanto al cadavere del pa­ drone e, mentre il corpo veniva cremato, si precipitò verso la pira e vi si gettò sopra?153 Lo stesso si dice che abbia fatto anche l'a­ quila allevata da Pirro: non il re, ma un'altra persona che era un privato cittadino. Alla sua morte essa non si staccò per un attimo dal corpo del padrone, continuò a svolazza­ re attorno al feretro al momento del tra142

sporto, e infine si portò sulla pira e vi si gettò sopra, bruciando assieme al padrone. 154 L'elefante del re Poro,155 quando quest'ulti­ mo rimase ferito nella battaglia contro Ales­ sandro, estrasse con la proboscide molte delle frecce confitte nel corpo del padrone, delicatamente e con ogni riguardo; e per quanto lui stesso fosse ormai in cattive con­ dizioni, resistette fino a che non si rese conto che il re era rimasto dissanguato e che stava scivolando a terra. Temendo allora che cadesse, si abbassò con dolcezza, con­ sentendo così al sovrano di scendere dalla sua groppa senza farsi male. Bucefalo, 156 quando non era bardato si la­ sciava montare dallo staffiere, ma quando era bardato con i finimenti e con i collari reali non lasciava avvicinare nessuno se non Alessandro in persona. Se invece gli altri provavano ad accostarsi, si lanciava contro di loro con forti nitriti, si impennava e cal­ pestava sotto gli zoccoli quanti non faceva­ no in tempo a portarsi velocemente lontano e a fuggire . 15. Sono consapevole che i miei esempi vi parranno un insieme variegato; ma non è possibile reperire con facilità un 'azione de­ gli animali naturalmente dotati di ingegno che riveli in loro soltanto una virtù. Piutto­ sto, la loro liberalità traspare nell'affetto che nutrono per la prole, e la docilità si ma­ nifesta nella nobiltà d'animo, inoltre l'astu­ zia e l'intelligenza sono inscindibili dall'ar­ dore e dal coraggio. A coloro che tuttavia 1 43

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vogliono distinguere e classificare le virtù u­ na per una, i cani dimostrano di possedere un animo al tempo stesso mansueto e dota­ to di elevati sentimenti, quando si allontana­ no da chi sta accoccolato a terra. Proprio a tale abitudine alludono verosimilmente que­ sti versi: F

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I cani abbaiando gli si avventarono contro; ma Odisseo sedette prudente, e il bastone gli cadde di mano.157

I cani, in effetti, smettono di attaccare chi si sia gettato a terra e abbia assunto un atteggia­ mento che evoca l'idea di sottomissione.158 Si narra pure che il campione dei cani in­ diani, grandemente ammirato da Alessan­ dro, 159 quando furono messi in libertà un cervo, un cinghiale e un orso, se ne stesse a cuccia tranquillo e non se ne curasse. Ma quando apparve un leone, subito balzò in piedi e si apprestò allo scontro, rivelando così apertamente che considerava suo anta­ gonista il leone , mentre disdegnava tutti gli altri animali.160 I cani che cacciano le lepri, se sono loro stessi a ucciderle, provano piacere nel dila­ niarle e ne leccano avidamente il sangue; se invece, come spesso accade, la lepre, in pre­ da alla disperazione, esaurisce tutto il fiato residuo nella sua corsa estrema e muore, i cani, una volta che ne abbiano trovato il ca­ davere, non lo sfiorano affatto, ma se ne stanno lì dimenando la coda, a significare 144

che lottano non per la carne, bensì per la vittoria e per il gusto della competizione. 161 16. Numerosi sono gli esempi di astuzia. Non mi occuperò tuttavia delle volpi, dei lupi e degli espedienti a cui ricorrono gru e cornacchie, data la loro evidenza. Prenderò piuttosto come testimone Talete, il più antico dei Sapienti, che fu oggetto di non poca ammirazione, a quanto si narra, per aver su­ perato in astuzia un mulo.162 Uno dei muli addetti al trasporto del sale sdrucciolò acci­ dentalmente mentre entrava in un fiume e, poiché il sale che trasportava si sciolse, si ri­ mise in piedi alleggerito. Esso si rese conto della causa dell'accaduto, e la impresse nella propria memoria; cosicché, ogni volta che attraversava quel fiume, a bella posta si abbassava e immergeva nell'acqua i sacchi di sale, accucciandosi e piegandosi prima da una parte, poi dall'altra. Quando questa sto­ ria giunse a conoscenza di Talete, egli or­ dinò di riempire i sacchi di lana e di spugne anziché di sale, di caricarli sul mulo e quindi di spronare l'animale. Allorché quest'ultimo giocò dunque il suo consueto tiro e ammollò il carico, si rese conto di giocare d'astuzia a proprio danno; e da allora in poi attraversò il fiume con tanta accortezza e con cautela tale che l'acqua non giungeva a sfiorare il carico neppure casualmente . Di un'altra astuzia, associata all'amore per la prole, danno prova le pernici: esse avvez­ zano i piccoli, che non sono ancora in grado di fuggire, a buttarsi a terra supini, quando 145

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vengono inseguiti, e a mettere sul proprio corpo una zolla e dei rifiuti come copertu­ ra.163 Le madri, poi, depistano gli inseguitori e li distraggono, facendo convergere l'atten­ zione su se stesse: svolazzano fra i loro piedi e si levano in volo di poco, finché, dando l'impressione di poter essere catturate, non riescono a trascinarli lontano dai piccoli.164 Le lepri, quando ritornano alla tana per ri­ posarsi, mettono a dormire i leprotti in or­ dine sparso, spesso anche alla distanza di cento piedi l'uno dall'altro, in modo tale che non corrano pericolo tutti insieme nel caso in cui si avvicinino un uomo o un ca­ ne.165 Esse stesse, poi, lasciano le proprie tracce in più posti, correndo qua e là, e alla fine, con un grande balzo, si portano molto distanti dalle impronte; e così si mettono a dormire.166 La femmina dell'orso, quando cade nello stato noto come > .220 Analogal 56

men te, fra i sovrani Pirro amava l'appellati­ vo di « Aquila •• , mentre Antioco quello di « Falco >> .221 Al contrario, quando vogliamo offendere gli ignoranti e gli sciocchi o farci beffe di loro, li chiamiamo " pesci >> . Vero è che, pur essendoci da riferire una quantità sterminata di eventi, che gli animali di terra e d'aria ci mostrano in anticipo e ci prean­ nunciano da parte degli dèi, non ne esiste uno solo del genere che il difensore delle creature acquatiche abbia la possibilità di esibire.222 Ma queste, che sono tutte sorde e cieche223 in rapporto alla profezia, sono state relegate nella landa senza dio e titanica,224 come in una terra degli empi, dove la com­ ponente razionale e intelligente dell'anima si è estinta. E pur possedendo un estremo barlume di percezione sensoriale, mescolata al fango e sommersa dall' acqua, assomi­ gliano a esseri che si agitano convulsamen­ te, piuttosto che a creature viventi.225

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23. Aggrotta le sopracciglia/26 mio caro Fe­ dimo, e svegliati per farci sentire la difesa degli animali che vivono nel mare e nelle isole. Il discorso in questione non è un gio­ co da ragazzi, ma una contesa agguerrita e una disputa oratoria, cui mancano solo can­ celli e tribuna.227 157

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A ben vedere, Eracleone, ci è stato palese­ mente teso un agguato con l'inganno. Per­ ché, ancora ebbri e ubriachi fradici da ieri, siamo stati attaccati con premeditazione da questo brav'uomo che, come puoi notare, è in condizioni di sobrietà. E non si possono accampare scuse: essendo un ammiratore di Pindaro, non voglio infatti sentirmi dire che D

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quando fu bandita la gara, un pretesto gettò il valore nelle tenebre profonde.228

In effetti, abbiamo a disposizione molto tempo libero. E non è il nostro discorso229 a restare inoperoso, ma cani, cavalli, reti e sa­ gene230 di ogni tipo, visto che per oggi è sta­ ta concessa una tregua a tutti gli animali, sia di terra sia di mare, per lasciar spazio alle nostre disquisizioni. Non abbiate paura, pe­ rò: ne farò uso con discrezione, astenendo­ mi dall'introdurre opinioni filosofiche, fa­ vole egiziane e racconti non testimoniati di Indiani o di Libi.231 Citerò invece pochi fatti che possono essere osservati ovunque, che hanno come testimoni quanti praticano il mare, e che fondano la loro veridicità sul­ l'osservazione diretta. Certo non esiste nulla che sottragga alla vista gli esempi relativi agli animali di terra, anzi la terra è aperta al­ l'indagine dei sensi. Il mare, invece, lascia scorgere poche cose di poco conto, mentre occulta la nascita e la vita, l'aggressione e la difesa reciproche della maggior parte delle 1 58

proprie creature. E di tutto ciò, rimangono sconosciute non poche prove sia di intelli­ genza sia di memoria e di socievolezza, in modo da rendere difficile il mio discorso. Inoltre, le creature di terra, per l'affinità di origine con gli uomini e per la convivenza con loro, sono in una certa misura permeate delle abitudini umane e possono così trarre giovamento dal fatto di essere allevate, ammaestrate, e di poter imitare gli esseri umani. Questa circostanza addolcisce ogni forma di durezza e di riottosità, come acqua potabile mescolata a quella salata, mentre rianima e risveglia tutte le facoltà intellettive impacciate, e scuote lo stato di torpore in cui si trovano, grazie ai contattF32 con gli uo­ mini. Al contrario, la vita delle creature ma­ rine, poiché vasti confini la separano dal rapporto con gli esseri umani, e poiché non ha nulla che derivi dall'esterno o che pro­ venga dagli uomini, è dotata di caratteri peculiari, è autoctona e non è contaminata da abitudini estranee. Questo accade a causa del luogo in cui si svolge, non per natura. La loro natura, infatti, accoglie in se stessa l'i­ struzione che le giunge e ne fa tesoro. Ciò fa sì che molte anguille possano essere addo­ mesticate dagli uomini, come quelle definite « sacre » nella fon te Are tusa, 233 e che in vari luoghF34 i pesci prestino ascolto, quando vengono chiamati per nome. Così si narra a proposito della murena di Crasso,235 alla cui morte egli pianse; e quando Domizio236 gli chiese: « Non hai forse pianto per la morte 159

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di una murena? » , Crasso replicò: « E tu non hai forse sotterrato tre mogli senza versare una lacrima? '' . I coccodrilli allevati dai sacerdoti non solo riconoscono la voce di chi li chiama e si lasciano toccare, ma addirittura spalancano la bocca per farsi detergere i denti con le mani e strofinare con pezze di lino. Recentemen­ te il nostro carissimo Filino, m di ritorno da un viaggio in Egitto, ci raccontava di aver vi­ sto ad Anteopoli una vecchia che dormiva su un lettino con un coccodrillo, sdraiato al suo fianco con estrema compostezza. Da antica data si racconta che, la volta in cui il re Tolemeo238 chiamò il coccodrillo sacro e questo non gli diede ascolto, né obbedì al­ le sue insistenti preghiere/39 il fatto venne interpretato dai sacerdoti come un presagio della sua morte, che si verificò in effetti di lì a poco. La stirpe delle creature acquatiche non risulta pertanto completamente sprov­ vista del prezioso dono dell'arte mantica. In effetti ho appreso che pure vicino a Sura, un villaggio della Licia240 tra Fello e Mira,241 ci sono delle persone che stanno sedute a trar­ re vaticini dai pesci, come dagli uccelli, se­ condo un'arte e un procedimento raziona­ le, basandosi sull'osservazione del loro mo­ do di nuotare, di fuggire e di inseguirsi.242 24. Questi esempi valgano come prova sufficiente del fatto che le creature marine non ci sono completamente estranee, né so­ no totalmente prive di un legame affettivo nei nostri confronti. Il comportamento cir160

cospetto243 è un indizio vistoso della loro pura e innata intelligenza. Nulla che nuoti, e che non stia attaccato agli scogli o sia nato sopra di essi, può essere facilmente catturato dall'uomo né preso senza sforzo, come lo sono gli asini dai lupi, le api dai gruccioni, 244 le cicale dalle rondini e i serpenti dai cervi, che vengono attratti senza alcuna difficoltà da questi ultimi,245 tanto che i cervi desumo­ no il proprio nome non dall'agilità che li ca­ ratterizza, ma dalla loro capacità di attrarre i serpenti;246 analogamente, anche la pecora richiama il lupo con la propria impronta e si dice che un grandissimo numero di animali, in particolare le scimmie, si accostino alla pantera perché ne gradiscono l'odore.247 Ma siccome la capacità percettiva di quasi tutte le creature marine è diffidente e sta in guar­ dia contro gli attacchi per effetto della loro sagacia, la pesca non si configura come un'impresa semplice né di poco conto, ma richiede l'impiego, contro tali creature, di strumenti d'ogni genere, nonché di espedienti ingegnosi e ingannevoli. Ciò risulta chiaro da esempi di immediata evidenza. I pescatori non vogliono che la canna da pesca sia spessa, sebbene debba essere elastica, per opporre resistenza ai movimenti convulsi dei pesci catturati. Essi preferiscono piuttosto la canna sottile, per­ ché non proietti un'ombra troppo ampia e non susciti così la diffidenza dei pesci. I­ noltre, non rendono intricata né irregolare la lenza annodando i fili; giacché pure 161

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questo per i pesci è un indizio dell 'ingan­ no. Ed escogitano che i fili occorrenti per l'amo siano bianchi il più possibile : con questo espediente, infatti, essi sfuggono più facilmente alla vista in mare per la somiglianza cromatica. Quanto alle parole del poeta, ed essa calò nell'abisso come piombo, che posto sopra il corno di bue silvestre giunge a portar morte ai pesci voraci,248

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alcuni le fraintendono, credendo che gli an­ tichi usassero delle setole bovine per le len­ ze: keras, infatti, viene inteso nel senso di (( setola >>249 e da tale parola deriverebbero i termini keirasthai e koura;250 e il keroplastes archilocheo sarebbe una persona che ama l'ornamento ed è ricercata nella capigliatu­ ra. 251 Ma le cose non stanno così; viene infat­ ti impiegato il crine equino appartenente ai maschi, perché le femmine lo indebolisco­ no, bagnandolo con l'urina.252 Secondo Ari­ stotele, poi, questi versi non contengono al­ cuna osservazione dotta o ricercata, 253 ma vien posto in realtà un pezzetto di corno at­ torno alla lenza davanti all'amo perché, se i pesci si avvicinano a un 'altra materia, rodo­ no la lenza.254 Per catturare muggini e pala­ mite/55 che hanno la bocca piccola, vengo­ no usati degli ami ricurvi: questi pesci dif­ fidano infatti dell'amo più diritto. Spesso poi il muggine diffida perfino dell 'amo ri­ curvo e vi nuota attorno con movimenti cir­ colari, colpendo l'esca con la coda e divo162

rando quanto si stacca per effetto degli urti. Ma se ciò non gli è possibile, stringe la boc­ ca e la contrae, poi con l'estremità delle lab­ bra sfiora l'esca e la stacca. La spigola, quando ha abboccato, è più co­ raggiosa dell'elefante,256 perché estrae da so­ la l'amo dalla ferita non a un suo simile, ma a se stessa. Essa dilata la ferita, scuotendo al­ ternativamente la testa da una parte all'al­ tra, e tollera il dolore della lacerazione fino a che non sia riuscita a espellere l'amo. Lo squalo volpe non si avvicina di frequente al­ l'amo, ma fugge l'inganno, e se viene cattu­ rato si rovescia subito; è infatti naturalmen­ te capace di rivoltare il proprio corpo e di distorcerlo grazie all'elasticità e all'agilità che lo caratterizzano, cosicché, quando la parte interiore si trova all'esterno, l'amo si stacca. 257 25 . Gli esempi addotti mostrano dunque ca­ pacità intellettuali e un uso ingegnoso e mi­ rabile, al momento opportuno, di ciò che giova; altri casi invece, come quello delle an­ tie258 e dei pesci pappagallo, assieme all'in­ telligenza, rivelano attitudini sociali e amore reciproco. Se un pesce pappagallo in­ ghiotte l'amo, i compagni che si trovano nelle vicinanze si lanciano verso la lenza e la rodono; inoltre, se dei loro simili sono caduti nella rete, essi porgono la coda dall'ester­ no e li trascinano fuori, mentre questi si ten­ gono saldamente attaccati alla coda con i denti, e li aiutano in tal modo a uscire dalla rete.259 Le antie, poi, soccorrono con ardore 1 63

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ancora maggiore gli esemplari della loro specie: mettendosi infatti sotto la lenza dalla parte del dorso e drizzando gli aculei, esse cercano di segarla e di spezzarla con la parte irsuta del proprio corpo. 260 Invece, non ci è noto alcun animale terre­ stre che abbia il coraggio di soccorrerne un altro in pericolo: né l'orso,_ né il cinghiale, né la leonessa o la pantera. E bensì vero che negli anfiteatri gli animali della stessa specie si raggruppano nel medesimo posto e si di­ spongono in cerchio l'uno accanto all 'altro. Ma non sanno aiutarsi reciprocamente né lo vogliono, anzi fuggono, portandosi ben alla larga dal compagno ferito e morente. La storia degli elefanti, mio caro, che portano rifiuti nelle fosse e che fanno risalire per mezzo di un terrapieno il compagno che vi è scivolato dentro,261 è incredibilmente sin­ golare e peregrina, e impone che le si presti fede come per decreto regale, ossia per gli scritti di Giuba. E anche ammettendo che sia vera, essa dimostra che molte creature marine non sono affatto inferiori per socia­ lità e per intelligenza al più perspicace degli animali terrestri.262 Ma alle loro attitudini so­ ciali verrà presto dedicato un discorso spe­ cifico. 26. I pescatori, vedendo che la maggior par­ te dei pesci sfugge ai lanci dell'amo con stra­ tegie di difesa simili a quelle della lotta, si sono rivolti alla forza, usando le reti come i Persiani,263 in modo che i pesci che vi riman­ gono impigliati non abbiano alcuna possibi164

lità di scampo con la ragione e con l'astuzia. Per mezzo di reti da getto e di reti rotonde si catturano infatti muggini e iulidi/64 non­ ché mormore,265 saraghi, ghiozzi e spigole; e i cosiddetti « pesci da rete >> , cioè triglia, o­ rata e scorfano, vengono presi e trascinati con reti e con sagene, il cui genere Omero definì a ragione « panagra >> .266 Eppure, an­ che contro di esse i pesci donnola,267 non di­ versamente dalla spigola, possiedono degli espedienti. Se si accorgono che la rete viene tirata, smuovono a forza il fondale268 e, a fu­ ria di percuoterlo, vi producono un incavo; e una volta che abbiano lasciato spazio alla rete che scorre sul fondo, si introducono nel buco e restano lì immobili, finché il pe­ ricolo non è trascorso. Il delfino, quando viene catturato, allorché si rende conto di essere nelle strette della rete, sta fermo senza agitarsi, anzi è felice, perché banchetta lautamente, senza alcuno sforzo, con i pesci presenti a profusione. Quando però si avvicina a terra, rode la rete e se ne va. E se non fa in tempo a fuggire, la prima volta non gli vien fatto nulla di male, ma i pescatori si limitano a cucirgli dei giunchi marini attorno al collo e lo lasciano libero; se invece viene catturato di nuovo, essi lo riconoscono dalla cucitura e lo puniscono percuotendolo. Ma il fatto si verifica di rado: siccome è stata perdonata la prima volta, la maggior parte dei delfini nutre sentimenti benevoli verso gli uomini e si guarda dal recar loro danno in futuro.269 165

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Fra i numerosi esempi relativi alla cautela, al­ la precauzione e alla fuga, non si deve inoltre trascurare il caso della seppia. Essa ha accan­ to al collo270 il cosiddetto calamaio, pieno di un liquido nero chiamato inchiostro. Quando viene sorpresa, la seppia emette l 'inchio­ stro, in modo tale che, una volta intorbidato il mare e creato il buio intorno a sé, possa sfuggire e sottrarsi alla vista del pescatore. Imita così gli dèi di Omero, che sovente « in una nube oscura »271 involano e sottraggono furtivamente coloro che vogliono salvare. Ma su tale argomento ho detto a sufficienza. 27. In molte creature marine è possibile scorgere esempi ingegnosi di abilità nell'at­ tacco e nella caccia. La stella marina, ad esempio, consapevole che tutto quanto essa tocca si dissolve totalmente/72 espone il pro­ prio corpo e non si cura che venga sfiorato da chi le passa accanto o le si accosta. Certa­ mente poi non ignorate la proprietà della torpedine.273 Essa non solo immobilizza chi la tocca ma, addirittura, attraverso la sagena produce uno stato di gravezza e di torpore nelle mani dei pescatori. Alcuni, che hanno avuto modo di farne esperienza più volte, raccontano che se la torpedine viene gettata viva sulla spiaggia, quando le si versa sopra dell 'acqua dall'alto, si avverte tale fastidiosa sensazione salire fino alla mano e ottunde­ re il senso del tatto, verosimilmente in virtù di una modificazione subita dall'acqua, che viene avvelenata prima. Avendo dunque u­ na innata consapevolezza di questo suo po166

tere, la torpedine non affronta mai nulla di­ rettamente né si espone al pericolo; al con­ trario, nuotando in cerchio attorno alla pre­ da, spande i propri effluvi quasi si trattasse di frecce, avvelenando prima l'acqua, poi at­ traverso l'acqua colpisce l'animale, che non è in grado di difendersi né di fuggire, ma che è come trattenuto da catene e paralizzato. La cosiddetta rana pescatrice274 è nota a molti, e il nome le deriva dal suo comportamen­ to; e Aristotele275 dice che anche la seppia ri­ corre allo stesso espediente. Essa dunque protende dal collo, a mo ' di lenza, un tenta­ colo,276 naturalmente capace con estrema fa­ cilità di estendersi a una grande distanza, se viene allentato, e di contrarsi nuovamente su se stesso, se viene ritratto. Quando vede nelle vicinanze qualche pesciolino, porge il tentacolo da addentare; e così, a poco a po­ co, furtivamente lo ritira a sé avvolgendolo e se lo accosta, finché la preda attaccata a esso non sia giunta alla portata della sua bocca. Quanto al cambiamento di colore dei poipi,277 Pindaro ha reso celebre il fatto con questi versi: recati in tutte le città, assimilando il più possibile la tua mente alla pelle dell ' animale marino. 278

E similmente Teognide dice: abbi la mente del polpo dai molti colori, che a vedersi appare simile alla pietra su cui si trova.279 167

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Il camaleonte non cambia certo colore se­ condo una strategia precisa né per nascon­ dersi, ma è per paura che si modifica, visto che per natura è pavido e vile. Ciò è consen­ taneo alla grande quantità d'aria presente nel suo corpo, come dice Teofrasto: quasi tutto il corpo dell'animale è infatti occupato dai polmoni, e da ciò si inferisce che ha una natura aerea e che tende di conseguenza a mutar colore.280 Quanto invece all'azione del polpo, la sua trasformazione non è una reazione emozionale. Esso cambia colore di proposito, ricorrendo a tale espediente per sfuggire a quanto teme e per catturare ciò di cui si nutre: grazie a tale inganno, riesce a catturare alcuni pesci perché non fuggono e altri invece li evita perché passano oltre. Quanto poi al fatto che il polpo divori i pro­ pri tentacoli/81 si tratta di una menzogna; è vero, piuttosto, che teme la murena e il grongo: infatti subisce danno da parte loro, non potendo a propria volta arrecarne, perché essi gli scivolano via dai tentacoli. Al contrario l'aragosta, se i polpi capitano nel­ la sua presa, ha facilmente la meglio: la levi­ gatezza della pelle non è infatti di aiuto con­ tro la ruvidezza. Ma se il polpo fa penetrare i suoi tentacoli nell'aragosta, questa soccom­ be. E la natura ha creato per loro tale ciclo e ta­ le avvicendarsi di reciproci inseguimenti e fughe come esercizio e pratica di competi­ zion� per l'abilità e l'intelligenza.282 28. E vero che Aristotimo ci ha illustrato u­ na certa capacità del porcospino di prevede168

re i venti; ed egli ha espresso anche la pro­ pria ammirazione per il volo in formazione triangolare delle gru. 28� Io non ho da pro­ durre nessun porcospino di Cizico o di Bi­ sanzio/84 ma la categoria dei ricci di mare al completo. Essi, quando avvertono che sono imminenti una tempesta o una burrasca, si zavorrano mediante dei sassolini per non es­ sere travolti, data la loro leggerezza, e per non essere trascinati via dal mare in tempe­ sta, ma per rimanere ben saldi grazie al peso delle pietruzze.285 Inoltre, il cambiamento del volo delle gru contro vento non è cosa tipica di un'unica specie. Anzi, tutti i pesci in generale, dispo­ nendo di tale cognizione, nuotano sempre in direzione opposta ali' onda e alla corren­ te, e stanno attenti che il vento non soffi dalla parte posteriore e che di conseguenza le squame, ripiegandosi, non danneggino il corpo così denudato e arruffato. Per questo motivo si mantengono sempre con la prua del corpo rivolta contro corrente. Infatti in tal modo l'acqua del mare, tagliata di testa, abbassa le branchie e, scivolando dolcemente sulla superficie corporea, preme la pelle anziché farla sollevare rendendola ispida. Questo dunque, come dicevo, è comune a tutti i pesci, eccetto lo storione; stando a quanto si narra, esso nuota assecondando il vento e la corrente, senza temere che le squa­ me si scompiglino, perché le loro giunture non sono orientate verso la coda.286 29. Il tonno ha una capacità tale di percepi169

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re l'equinozio e il solstizio da insegnare que­ ste date addirittura all 'uomo senza alcun bi­ sogno di tavole astronomiche. Dovunque il solstizio d'inverno lo sorprenda, in quello stesso luogo esso se ne sta fermo e si trattiene fino ali' equinozio. 287 « Certo è ingegnoso l'espediente della gru che stringe la pietra per svegliarsi di notte se questa le sfugge >> .288 Allora, mio caro, quanto più ingegnoso è lo stratagemma del delfino, cui non è lecito star fermo né smettere di muoversi,289

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perché la sua natura è tale da tenerlo in pe­ renne movimento e da far coincidere la fine della vita con quella del movimento. Quan­ do il delfino avverte il bisogno di dormire, solleva il proprio corpo fino alla superficie del mare e, mettendosi supino, lo lascia an­ dare in profondità, facendosi addormenta­ re da una sorta di movimento oscillatorio, finché non cade sul fondo e non lo tocca; destato così dal sonno, si riporta velocemen­ te a galla e, dopo essere tornato su, si ab­ bandona un'altra volta. Si lascia insomma trasportare, escogitando per se stesso una sorta di riposo misto al movimento.290 Lo stesso si dice che facciano anche i tonni, per il medesimo motivo. Visto che ho or ora esposto291 la loro previ­ sione matematica del mutamento solare, di cui Aristotele è testimone/92 sta' a sentire ora le loro cognizioni aritmetiche; ma pri­ ma, per Zeus, prendi atto delle loro cogni170

zioni di ottica, che neppure Eschilo sembra ignorare. Se non erro, egli dice infatti volgendo l'occhio sinistro a guisa di tonno. 293

Sembra infatti che essi siano deboli di vista in uno dei due occhi. Si gettano pertanto nel Ponto Eusino costeggiando la riva destra e fanno il contrario294 quando ne escono, affidando sempre con grande intelligenza e accortezza la propria difesa all'occhio mi­ gliore.295 Poiché, a quanto pare , i tonni hanno bisogno dell'aritmetica per la loro socie­ volezza e per la loro affezione reciproca, so­ no pervenuti a un così alto grado di cono­ scenza in questo campo che, siccome prova­ no un grande piacere nel nutrirsi e nel vive­ re insieme,296 imprimono sempre al loro banco la forma di un cubo e lo rendono sal­ do da ogni parte, circondandolo con sei su­ perfici piane uguali. Poi nuotano in questa formazione, mantenendo così un quadrato su due fronti . Di certo chi apposta i tonni,297 se calcola con precisione il loro numero in superficie, rende subito noto anche il nu­ mero complessivo del banco, essendo con­ sapevole che la sua profondità è uguale alla larghezza e alla lunghezza. 30. Le palamite ottengono il loro nome pro­ prio dall'abitudine di riunirsi in banchi/98 e lo stesso credo valga pure per i tonni giova­ ni.299 Quanto alle altre specie che notoria­ mente vivono insieme in banchi secondo un legame so�iale, non si potrebbe definirne il numero. E opportuno, piuttosto, passare a 171

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quelle che hanno una peculiare forma di re­ lazione, la simbiosi. A tali specie appartiene ad esempio il > significhi (( importante >> , così come sono detti (( osso sacro >> l'osso importante320 e (( malattia sa­ cra >> l'epilessia, perché è una malattia gra­ ve.321 Altri poi interpretano il termine nel senso ordinario di (( consacrato >> e (( dedica­ to >> . Eratostene pare definire l'orata veloce pesce sacro dalle sopracciglia dorate.322

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Molti ancora credono che il pesce sacro sia lo storione,323 perché è un animale raro e difficile da pescare. Esso compare però so­ vente attorno alle coste della Panfilia,324 e se mai riescono a catturarlo, i pescatori ador­ nano di ghirlande se stessi e le barche, e quando giungono a terra sono accolti e onorati con applausi e grida. I più, comun­ que, ritengono che sia l'antia a essere sacra e a venire definita tale.325 Dove infatti sia sta­ ta avvistata un'antia non ci sono mostri ma­ rini, ma i pescatori di spugne si immergono fiduciosamente e con altrettanta fiducia i pesci depongono le uova, quasi ayessero un garante della loro immunità. E difficile comprendere la ragione di tale fenomeno. O i grandi pesci fuggono l'antia, come fan­ no gli elefanti col porco326 e i leoni col gal­ lo, 327 oppure esistono degli indizi che segna­ lano la loro assenza da un luogo, indizi che il pesce conosce e tiene d'occhio, essendo sagace e dotato di buona memoria. 33. Le cure dei piccoli spettano senz'altro a 176

entrambi i genitori . I maschi non divorano la propria prole, ma stanno addirittura ac­ canto all'embrione custodendo le uova, come Aristotele riferisce.328 Alcuni maschi poi inseguono le femmine e diffondono a poco a poco il proprio seme;329 altrimenti, infatti, quanto è stato generato non cresce, ma ri­ mane imperfetto e non si sviluppa. In parti­ colare, le ficidP30 foggiano con le alghe una sorta di nido e vi avvolgono la prole, proteg­ gendola così dai flutti. L'amore degli squali per i propri piccoli non è inferiore a quello di nessuno degli animali più mansueti quanto all'intensità dell'affetto e della tenerezza. Essi depongono un uovo, quindi allevano il piccolo e lo portano non all'esterno, ma all'interno del proprio corpo, come dovesse nascere una seconda volta.331 Quando esso è diventato più grande, lo lasciano uscire e gli insegnano a nuotare nelle loro vicinanze; poi lo ac­ colgono nuovamente in sé attraverso la bocca e gli offrono il proprio corpo come luogo da abitare, assicurando al tempo stesso nu­ trimento e riparo, finché i piccoli non di­ vengono sufficientemente forti per potersi soccorrere da soli. 332 Mirabile è pure la cura della tartaruga per la nascita e per la conservazione della propria prole. Essa esce dall'acqua e partorisce nelle vicinanze del mare, ma non essendo in gra­ do di covare le uova né di rimanere sulla ter­ raferma per molto tempo, le depone nella sabbia e vi ammucchia sopra uno strato più 177

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liscio e più soffice. m Una volta poi che le ab­ bia seppellite e nascoste in modo che siano ben al riparo, secondo alcuni raspa e pun­ teggia il luogo con le zampe, per poterlo ri­ conoscere facilmente lei stessa; secondo al­ tri, invece, è per il fatto che la femmina vie­ ne capovolta dal maschio che quest'animale lascia delle impronte e dei segni particolari. Ma ancor più straordinario di ciò è il fat­ to che la tartaruga attende il quarantesimo giorno (tanti sono infatti i giorni necessa­ ri alle uova per giungere a maturazione e schiudersi) per avvicinarsi a esse. E avendo ogni tartaruga riconosciuto il proprio teso­ ro, lo apre piena di gioia e attenzione come nessun uomo sa fare con uno scrigno ricol­ mo d'oro. 34. I racconti sui coccodrilli sono simili sot­ to tutti gli altri aspetti, ma l'abilità con cui questi animali individuano il luogo giusto in cui deporre le uova non consente all'uomo di identificarne né di dedurne la causa. Si dice pertanto che la loro preveggenza non sia di tipo razionale, bensì divinatorio. Sen­ za spingersi infatti a una distanza maggiore o minore, ma esattamente nel punto in cui il Nilo in piena giungerà con la propria inondazione in quella stagione dell'anno, coprendo la terra, lì il coccodrillo depone le uova:��4 cosicché l'agricoltore che le trova può comprendere lui stesso e riferirlo agli altri quanto il fiume avanzerà. E il coccodril­ lo ha effettuato così bene i propri calcoli perché le uova non si bagnino e perché, di 178

conseguenza, non debba covarle bagnato lui stesso. Quando poi queste ultime si sono schiuse, il piccolo che appena uscito non af­ ferra con le fauci qualcosa che gli capita a ti­ ro, sia esso una mosca, un assenzio mari­ no,335 un verme, un fuscello o una pianta,336 viene sbranato e finito a morsi dalla madre. Ma i piccoli coraggiosi e attivi la madre li ama e se ne prende cura, assegnando il pro­ prio amore con giudizio imparziale, come gli uomini più saggi ritengono giusto si fac­ cia. m Anche le foche partoriscono all'asciutto e spronano gradualmente i loro cuccioli a sag­ giare il mare,338 per poi farli uscire di nuovo velocemente dall'acqua. E adottano questo espediente più volte, alternativamente, finché i piccoli, così avvezzati, non acquistano corag­ gio e amore per la vita nel mare. Le rane, quando sono prossime ad accop­ piarsi, usano dei richiami, emettendo il co­ siddetto ololygon, un verso d'amore come se­ gnale di nozze.339 Una volta che il maschio abbia così avvicinato la femmina, aspettano insieme la notte; nell'acqua infatti non pos­ sono accoppiarsi, mentre di giorno temono di farlo sulla terraferma. Ma quando è calata l'oscurità, si fanno avanti e si accoppiano senza timore. In altre occasioni, quando a­ spettano la pioggia emettono un gracidio acuto:340 e questo è un segnale di tempo pio­ voso fra i più sicuri_'341 35. Diletto Poseidon, che errore assurdo e ri­ dicolo per poco non commettevo giacché, 179

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indugiando su foche e rane, mi è sfuggita e ho tralasciato la creatura marina più saggia e più cara agli dèiP42 Quale usignolo è giusto paragonare all'alcione per l'amore della mu­ sica, quale rondine per l'amore della prole, quale colomba per l'amore verso il compa­ gno o quale ape per l'abilità nell'arte della costruzione? Di quale altra creatura il dio343 ha onorato allo stesso modo la nascita e le doglie del parto? Il parto di Leto, dicono, fu accolto da una sola isola, dopo che questa venne fissata nel mare/44 mentre per l'alcio­ ne, che depone le uova attorno al solstizio invernale, il dio345 fa sì che l'intera distesa marina sia senza onde e calma. Pertanto non esiste nessun altro animale che gli uomini amino maggiormente. Grazie all'alcione fem­ mina, essi navigano senza timore per sette giorni e sette notti nel cuore dell'inverno, e in quel periodo il viaggio per mare è più si­ curo di quello per terra. 346 Se si deve poi parlare brevemente anche di ognuna delle sue virtù, la femmina dell 'al­ cione ama a tal punto il proprio compagno, che non per una sola stagione ma per tutto l'anno si unisce al maschio e ne accetta la compagnia, non per intemperanza (non si accoppia assolutamente con nessun altro), ma per amore e per affetto, come una sposa legittima. Quando poi, a causa dell'età avan­ zata, il maschio si è fatto troppo debole e pe­ sante per starle dietro, la femmina lo acco­ glie sul proprio dorso, e porta in giro e nutre il vecchio compagno, senza mai abban1 80

donarlo o lasciarlo in disparte; ma carican­ doselo sulle spalle, lo reca dovunque essa va­ da, se ne prende cura e sta con lui fino alla morte.347 Quanto all'amore per la prole e alla cura per la sua conservazione, non appena la femmina si rende conto di essere gravida, si dedica alla costruzione del nido. Non impa­ sta il fango, né lo appoggia ai muri e ai tetti come fanno le rondini,'48 e non ricorre all'a­ zione di più parti del corpo, come fa l'ape: quando questa entra con tutto il corpo nel favo e lo apre, le sei zampe esercitano con­ temporaneamente una pressione, dividen­ do l'intera massa in celle esagonali. Ma poi­ ché l'alcione ha un solo semplice strumen­ to, un unico utensile e un unico arnese, cioè il proprio becco, e nient'altro che cooperi con la sua laboriosità e con la sua ingegno­ sità, è difficile credere a quanto escogita e fabbrica, se non si apprende con la vista ciò che plasma, anzi per meglio dire foggia a guisa di nave, poiché questa è l 'unica tra molte forme possibili a risultare salda e inaffondabile.349 Raccolte le lische dell'agu­ glia,350 le mette insieme e le lega l'una all'al­ tra intrecciandole, alcune diritte e altre obli­ que, come se stesse inserendo un filo nella trama. Inoltre le curva e le annoda recipro­ camente, così da realizzare una struttura ar­ rotondata, dalla forma leggermente oblun­ ga,351 simile alla rete di un pescatore. Quando ha terminato il nido, lo porta con sé e lo colloca vicino al flusso delle onde, dove il 181

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mare, infrangendosi dolcemente, le insegna a riparare e a riempire le parti che non sono ben salde, perché l'uccello le vede allentate dagli urti. Esso stringe fortemente le con­ nessioni e le salda, sì che anche pietre e fer­ ro difficilmente riescono a scioglierle e a danneggiarle. Più di tutto sono degne di ammirazione la proporzione e la forma del­ l'incavo che costituisce l'involucro. Il nido è fatto in modo tale da consentire l'ingresso unicamente all'alcione e da essere invece completamente invisibile e occulto agli altri, e non lascia penetrare nulla, nemmeno uno spruzzo d'acqua marina. Credo comunque che tutti voi abbiate visto il nido d'alcione. A me, che più volte ho avuto modo di osser­ varlo e di toccarlo, viene in mente di dire e di cantare a Delo, una volta, accanto al tempio di Apollo, una cosa simile352

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vidi, ossia l'altare di corno, celebrato fra le cosiddette Sette Meraviglie,m perché è stato costruito e connesso senza bisogno di colla né di altro legame, unicamente con le corna della parte destra del capo. 354 Mi sia propizio il dio;355 ed è invero opportu­ no che, essendo musico e nativo di un'iso­ la,356 mi accolga benevolmente mentre canto la sirena marina, 357 e rida delle domande che pongono beffardamente i nostri antagonisti, cioè per quale motivo Apollo non è detto > .358 Ma costoro ignorano 182

che Afrodite, nata dal mare,359 considera a lei sacri e legati da un vincolo di parentela tutti gli animali marini, e che non si rallegra del­ l'uccisione di nessuno. Siete a conoscenza del fatto che a Leptis i sacerdoti di Poseidon non mangiano assolutamente nulla di origi­ ne marina,360 che a Eleusi gli iniziati ai miste­ ri venerano la triglia, e che da quest'ultima la sacerdotessa di Era ad Argo361 si astiene, per rispetto dell'animale. Infatti le triglie, in particolare, uccidono e divorano la lepre marina, letale per l'uomo; ed esse godono pertanto di tale immunità, come animali amici di quest'ultimo e salvifici.362 36. Presso molti Greci esistono inoltre tempii e altari dedicati ad Artemide Dictinna e ad Apollo Delfinio;363 e si dice che il luogo, scelto dal dio in persona per se stesso, fu raggiunto e colonizzato dai discendenti dei Cretesi, avvalendosi di un delfino come gui­ da.364 Non era infatti il dio a nuotare alla testa della spedizione, dopo aver mutato il proprio aspetto, come i mitografi sostengono, ma egli inviò agli uomini un delfino per guidare la navigazione, e li condusse così a Cirra. 365 Si dice pure che So tele e Dionisio, gli uomini inviati a Sinope366 da Tolemeo Soter per portare via la statua di Serapide,367 fu­ rono travolti fuori rotta da un vento violento e vennero trascinati, contro la propria vo­ lontà, oltre Malea,368 con il Peloponneso alla loro destra. Mentre poi andavano errando ed erano scoraggiati, un delfino comparve a prora e pareva che li chiamasse, guidandoli 183

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verso zone dotate di rade e di luoghi d'an­ coraggio calmi e369 sicuri, finché conducen­ do e scortando la nave in questo modo non la fece pervenire a Cirra. Dopo aver offerto un sacrificio di ringraziamento per la felice conclusione del viaggio, essi seppero370 che, delle due statue, dovevano portare via quel­ la di Plutone e tradurla per mare, mentre per quella di Core371 dovevano prendere l' impronta e lasciare l'originale in sede. Era senza dubbio naturale che il dio372 ap­ prezzasse anche l'amore per la musica che caratterizza l'animale;373 e per l'appunto Pin­ daro, paragonando se stesso al delfino, dice di essere sollecitato c

come delfino marino; esso, nella calma distesa del mare, dal delizioso suono degli auli è commosso.374

Ma sembra che ancor più cara agli dèi sia la sua filantropia: il delfino è infatti l'unico animale ad amare l'uomo in quanto tale. Fra gli animali terrestri, alcuni non amano nessun essere umano; quelli più mansueti, invece, dedicano attenzione per la propria utilità solo a chi li nutre, come fanno il ca­ ne, il cavallo e l'elefante con chi è loro ami­ co. Le rondini, poi, entrano nelle case, per­ ché vi trovano ciò di cui hanno bisogno, os­ sia l'ombra e la necessaria sicurezza, ma evi­ tano l'uomo e lo temono come se si trattasse di un animale feroce.375 Ma fra tutti gli altri animali soltanto il delfino possiede per na­ tura nei confronti dell'uomo ciò che i mi184

gli ori filosofi ricercano, ossia l'amore disinteressato.376 Pur non avendo infatti assolu­ tamente bisogno dell'uomo, è socievole e amico di tutti, e ha aiutato molte persone. Fra queste, nessuno ignora la storia di Ario­ ne,377 perché è molto famosa. Tu stesso, mio caro, ci hai opportunamente richiamato alla memoria la vicenda di Esiodo,378 (( ma non giungesti al termine del racconto >> .379 Sareb­ be stato infatti opportuno che tu, dopo aver chiamato in causa il cane, non passassi sotto silenzio i delfini: perché sarebbe rimasto oscuro l'indizio offerto dal cane, che ab­ baiava e si scagliò latrando contro gli assassi­ ni, se i delfini non avessero raccolto il cada­ vere, spinto alla deriva dalle acque del mare attorno al tempio di Zeus Nemeo,380 e poi non se lo fossero passato con sollecitudine gli uni con gli altri e non lo avessero gettato a riva presso il capo Rio, 381 rendendo così evidente il fatto che Esiodo era stato assassi­ nato. Stando a quanto racconta Mirsilo di Lesbo,382 Enalo l'Eolico, innamorato della fi­ glia di Sminteo che era stata gettata in mare dai Pentilidi per obbedire all'oracolo di An­ fitrite, balzò anche lui fra le onde, e fu por­ tato sano e salvo a Lesbo da un delfino.383 La benevolenza e l'amicizia del delfino per il ragazzo di Iaso384 furono scambiate per a­ more data la loro straordinaria intensità. Il delfino giocava col fanciullo e nuotava insie­ me a lui durante il giorno, lasciandosi acca­ rezzare; e se il ragazzo gli montava sul dorso, 185

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non fuggiva, anzi lo portava di buon grado, dirigendosi dove costui lo indirizzava, men­ tre ogni volta tutti gli abitanti di Iaso accor­ revano in massa sulla spiaggia. Ma un giorno in cui caddero un abbondante acquazzone e una grandinata, il fanciullo scivolò dal delfino e affogò. Esso lo sollevò e si slanciò ver­ so terra col cadavere, senza allontanarsi dal corpo finché non morì pure lui, ritenendo giusto condividere la fine di cui gli pareva di essere stato corresponsabile .385 E in memoria dell'avvenimento gli abitanti di Iaso hanno come icona impressa sulla moneta un fan­ ciullo che cavalca un delfino. I racconti favolosi su Cerano guadagnarono attendibilità da questa storia. Costui, nato a Paro,386 comprò a Bisanzio una retata di del­ fini, che erano stati catturati con una sagena e correvano il rischio di venire uccisi, e li la­ sciò tutti liberi. Poco tempo dopo navigava, come si narra, su una nave a cinquanta remi con cinquanta pirati a bordo. In mezzo allo stretto di mare fra Nasso387 e Paro, la nave si rovesciò e tutti gli altri annegarono, mentre Cerano - così narrano -, essendo accorso sotto di lui un delfino e avendolo sollevato, fu portato a riva presso una grotta d eli 'isola di Sicino.388 Questa grotta viene segnalata fino ai nostri giorni e porta il nome di « Ce­ raneo >> ; a tale proposito si dice che Archilo­ co abbia composto il verso di cinquanta uomini Poseidon, clemente, lasciò in vita solo Cerano.389 186

Quando più tardi Cerano morì, mentre i congiunti bruciavano il suo corpo accanto al mare, si presentò vicino alla spiaggia un gran numero di delfini, quasi a mostrare che era­ no venuti per la cerimonia funebre, e si trat­ tennero finché il rito non fu ultimato. Che lo scudo di Odisseo avesse come emble­ ma un delfino, lo ha narrato anche Stesico­ ro;390 e la causa è tramandata dagli abitanti di Zacinto,391 come testimonia Criteo.392 Quan­ do Telemaco era piccolo, a quanto narrano, scivolò in mare dove l'acqua era alta e fu tratto in salvo dai delfini, che lo presero sul dorso e risalirono in superficie. Quindi il pa­ dre, come ricompensa per l'animale, fece in­ cidere un delfino sull'anello e lo usò come insegna del suo scudo. Ma poiché al principio del mio discorso avevo detto che non vi avrei raccontato favo­ le,393 e io stesso, non so come, parlando dei delfini non mi sono reso conto di essermi incagliato oltre i confini del verosimile, spingendomi fino a Odisseo e a Cerano, mi infliggo da solo una punizione: pongo fine ormai al mio discorso.

ARISTOTIMO

37. Ebbene, giudici, potete votare.

187

B

c

SOCLARO

A dire il vero, da tempo condividiamo l'opi­ nione di Sofocle: opportunamente il discorso, sia pur discorde, ha forgiato argomenti strettamente connessi e comuni a entrambi. �94

Infatti collegando i vostri discorsi contrap­ posti, entrambi lotterete insieme validamen­ te contro chi priva gli animali di ragione e di intelligenza.�95

188

NOTE

NOTE A >

l . La dottrina di Pitagora (di Samo, 570-inizio V secolo a.C.; cfr. L 'intelligenza degli animali, c. 7, 964 E-F, e la nota 8 1 ad loc. ) prescriveva alcune ri­ gorose norme dietetiche, come l'astensione dal­ le fave e dalla carne; è tuttavia verosimile che nella sua fase più antica essa concedesse qualche eccezione alla regola, vietando di mangiare sol­ tanto determinati animali sacri (ad esempio, il gallo bianco) o, più specificamente, alcune parti del corpo animale. Secondo le fonti antiche, l'avversione di Pitagora per la carne lo avrebbe addirittura indotto a evitare macellai e cacciatori (cfr. Eudosso in Porfirio, Vita di Pitagora, 7) . Il ve­ getarianismo pitagorico, di origine orfica (si ve­ dano, sotto, le note 5 e 55), viene solitamente considerato - e tale era ritenuto anche da Empe­ docle - un corollario alla dottrina della metenso­ matosi: l'anima, per espiare un'oscura colpa ori­ ginaria e per purificarsi di essa, deve rivestire più corpi (anche non umani) in una sequenza di vi­ te successive. In accordo con tale teoria, è per­ tanto possibile che nel corpo dell 'animale, ucci­ so per potersene cibare, risieda l ' anima di un es­ sere umano, trasmigrata in un O'W!-ta ferino a sco­ po catartico. Ma come giustamente osserva Dodds (I Greci e l'irrazionale, trad. it. di V. Vacca De Bosis, Firenze, 1 978, p. 203), i tabù alimenta191

ri orfico-pitagorici sono in ultima analisi riferibi­ li a una sorta di horror primordiale per lo spargi­ mento di sangue: chi si è macchiato di sangue di­ viene infatti impuro e, in quanto tale, è portato­ re di un contagio che si può estendere all'intera comunità. 2. 'EroA.rov è congettura di van Herwerden in luo­ go del tradito Ei.òroA.rov. Sul motivo della carne co­ me manicaretto, si veda la nota 1 6 a L 'intelligenza degli animali. 3. Omero, Odissea, XII, 395 sg. Il prodigio si ve­ rifica dopo che i compagni di Odisseo hanno scannato e cotto sugli spiedi le vacche sacre a Elios. Ai vv. 359 -365 è riferita con crudi dettagli la preparazione dell'empio pasto. 4. A detta di Plinio (N.H., VII, 209 ), il primo a uc­ cidere un animale sarebbe stato Iperbio, figlio di Marte, mentre Prometeo avrebbe per primo ucci­ so un bue. 5. Ossia Pitagora, citato all'inizio del capitolo. Il vegetarianismo, come si è accennato sopra alla nota l , era tuttavia una pratica dietetica orfica ancor prima che pitagorica: lo stesso Orfeo si sa­ rebbe infatti astenuto dal mangiare la carne (cfr. Euripide, Ippolito, 952 sg.; Platone, Leggi, 782 C ; Plutarco, Septem sapientium convivium, c. 16, 1 59 C) . Esso divenne in seguito parte inte­ grante anche della filosofia di Empedocle ( cfr. Il, c. 3) . 6. Cioè senza spargere del sangue, con il rischio della conseguente contaminazione (si veda, sopra, la nota 1 ) . 192

7. La citazione risale a versi appartenenti verosi­ milmente a Empedocle (31 B 154 Diels-Kranz6) . 8. Seguo la congettura di Diels 7tupmv (mss: ò tmv S, wv 0). 9. Nella citazione ricorrono versi giambici (rico­ nosciuti da Wilamowitz), appartenenti a un tragi­ co ignoto ( TrGF, 2, F41 6b) . 10. Piante che producono ghiande, tipico cibo impiegato nell 'alimentazione dei suini. Mentre il termine opuç designa la nostra quercia comune ( Quercus robur) , qrrwoç denota una sorta di quer­ cia, nota correntemente come farnia, eschia o quercia gentile ( Quercus peduncolata), caratteriz­ zata da foglie !abate oblunghe e da ghiande rac­ colte in piccoli gruppi. 1 1 . L'aggettivo çEioropoç (etimologicamente con­ nesso con çna, '' biada ») significa propriamente « che produce biade >> , quindi « fecondo >> (cfr. ad esempio Omero, fliade, Il, 548, dove è riferito alla terra) . Presto al termine venne però attribuito il significato " che dona la vita riconducendone erroneamente l'etimologia al verbo çaro ( « vi­ vo » ) . In quest'ultima accezione il termine è usato nel passo plutarcheo. '' •

12. L'epiteto cultuale di 8EcrJ.lo6poç, op ov yÉvoç àv­ òprov>> ò Kpaiivoç TJcrtv> ( " Costoro sono porci di 199

Beozia, razza d'uomini che porta gli zoccoli » di­ ce Cratino) . 41. Fr. 748 Korte, da una commedia sconosciuta. Il testo è corrotto. Meineke congettura cruwv (uwv) oppure ovwv, al posto di t o'i della tradizio­ ne manoscritta ( « Hanno mascelle di porci - o di asini » ) . « Aver mascelle ,, vale qui evidentemente « essere voraci » . 4 2 . « . e p o i a sapere s e veramente sappiamo smentire l ' antica ignominia di 'scrofa beotica' » ( Olimpica VI, 8 9 sg. ) . Anche questo passo è muti­ lo nella tradizione manoscritta di Plutarco. ..

43. 14 [A 52] Colli (= 22 B 1 1 8 Diels-Kranz6), cita­ to anche in Il tramonto degli oracoli, c. 41, 432 F; Vi­ ta di Romolo, c. 28, 36 A. 44. Cfr. Quaestiones convivales, VIII, 3, c. 2, 721 B. 45. Plutarco si riferisce a un singolo oggetto di bronzo percorso da un'onda sonora; che non al­ luda a un insieme di oggetti bronzei disposti cir­ colarmente pare suggerito da Ibid., 721 C-D. 46. Ibid. , VII, 1 0, c. l, 714 D. 47. Sull'importanza dell 'abitudine nel progresso morale dell'essere umano, cfr. anche L 'intelligen­ za degli animali, c. 2, 959 F-960 A; Del mangiare car­ ne, II, c. l , 996 D-F. 48. Secondo Hubert (Plutarchi Moralia, VI, l , p. 1 03), non è da escludere che Plutarco si riferisca qui a una sezione perduta dell'opuscolo. 49. Seguo Pohlenz nell'espungere KaÌ. (mss . : KaÌ. on). 200

50. Senocrate, fr. 99 Heinze. A proposito della mansuetudine verso gli animali di Se n ocrate (di Calcedone, allievo di Platone e scolarca dell 'Ac­ cademia fra il 339 e il 314 a.C.), cfr. l'aneddoto ri­ ferito in Eliano, V.H., XIII, 3 1 ( fr. 1 0 1 Heinze) e la nota 84 a L 'intelligenza degli animali. =

5 1 . Fedro, 245 C. Plutarco introduce qui con cau­ tela e reverenza la dottrina pitagorico-empedo­ clea della metensomatosi. Gli epiteti « grande >> e « misterioso >> alludono verosimilmente al suo ca­ rattere indimostrabile e inconfutabile. 52. La IJ.EXOVTJ (lat.: machina) era un macchinario teatrale simile a una gru, sui particolari del quale siamo poco informati (cfr. H.C. Baldry, I Greci a teatro, trad . it. di H.W. e M. Belmore, Bari, 1 98 1 , pp. 6 1 sg. ) . I l suo impiego consentiva a divinità o a esseri soprannaturali di intervenire dall'alto, oppure a creature mortali di essere sollevate in volo, come l' eroe Bellerofonte nell 'omonimo dramma euripideo perduto o il contadino Trigeo nella Pace di Aristofane. 53. Letteralmente, « mentre ruota l 'apparato sce­ nico » . La situazione scenica a cui allude Plutarco non è del tutto chiara. Costituita in origine da una tenda destinata al cambio d' abito degli atto­ ri, la O"KTJVTJ (« scena >> ) divenne successivamente un vero e proprio edificio di sfondo del teatro, collocato di fronte al theatron, tangenzialmente all' orchestra; la sua parte frontale rappresentava in genere un palazzo o un tempio, con un'entra­ ta principale (e talora uno o due ingressi secon­ dari), ma a essa si potevano anche sovrapporre dei fondali dipinti. 201

54. Il testo presenta una lacuna. Sul probabile contenuto, cfr. ad esempio Empedocle, frr. 1 07, 1 1 0, 1 22, 1 24, 1 30 Wright ( 1 03, 1 1 2, 1 22, 1 1 1 GallavottF), dalle Purificazioni. =

55. Più precisamente, l'origine della teoria palin­ genetica di Empedocle è orfica, come attesta il ri­ ferimento al mito orfico di Dioniso-Zagreo, citato subito dopo da Plutarco. L'orfismo era un movi­ mento religioso fiorito - o al più rifiorito - intor­ no al VI secolo a.C., il cui fondatore era tradizio­ nalmente identificato col cantore tracio Orfeo; ai suoi iniziati era garantita la purificazione dalle colpe (e di conseguenza la liberazione dalle sof­ ferenze ultraterrene) attraverso una serie di riti e di sacrifici particolari. 56. Secondo l 'antropogonia orfica, Core-Per­ sefone, figlia di Zeus e Demetra, concepì dal pa­ dre il piccolo Dioniso-Zagreo, a cui Zeus avreb­ be voluto donare il proprio regno; ma i Titani, figli di V rano e Gea, fecero a pezzi Dioniso per invidia e ne divorarono le carni. Il cuore del dio, salvato da Atena, venne inghiottito da Zeus, che generò un nuovo Dioniso, figlio di Semele, mentre i Titani furono folgorati per punizione dal Cronide, e dalle loro ceneri ebbe origine il genere umano. Esso ereditò pertanto la natura malvagia, empia, violenta e irrazionale di queste scellerate creature (si veda la nota 224 a L 'intelli­ genza degli animali) , appena mitigata da un bar­ lume di origine divina (Dioniso, divorato dai Ti­ tani) . Sul mito di Dioniso-Zagreo in Plutarco, cfr. Il volto della luna, c. 12, 926 D-E; c. 26, 942 A; Iside e Osiride, c. 25, 360 D-F; c. 35, 364 E; Adver­ sus Coloten, c. 2 1 , 1 1 1 9 B. 202

57. Con queste considerazioni sulla componente titanica dell'uomo, si interrompe il primo libro dell'opuscolo Del mangiare carne. L'etimologia del termine « Titani (Tt'tàveç) è connessa da Plutar­ co al verbo 'tivro ( « pago ••, « sconto •• , « espio ,, ), con specifico riferimento alla punizione subita da que­ sti ultimi per l'empia uccisione di Dioniso. Sul­ l'incerta derivazione del termine, cfr. anche Esio­ do, Teogonia, 207-2 10, dove l'invenzione dell'ap­ pellativo (messo in rapporto con nmivro, « tendo •• , « Sforzo » , e 'ttcnç, « Vendetta » , « pena » ) è attribui­ ta a Urano stesso, padre dei Titani. ,,

58. E che di conseguenza non è in grado di ascol­ tare e di obbedire (la citazione è presente pure in De tuenda sanitate praecepta, c. 1 8, 1 3 1 E; &gum et imperatorum apophtheg;mata, 1 98 D) . N ella Vita di Catone Maggiore, c. 8, 340 A, Plutarco precisa che Catone (detto anche « il Censore », ca 234-149 a.C.) pronunciò tali parole per dissuadere il po­ polo romano dall 'inopportuna insistenza su una distribuzione di grano. 59. Si tratta forse di un verso di Empedocle (31 B 1 54 a Diels-Kranz6) . Sulla pozione offerta da Cir­ ce ai compagni di Odisseo, prima di mutarli in porci, si veda la nota 2 a Gli animali usano la ragio­ ne. 60. Cfr. pure Septem sapientium convivium, c. 16, 159 B, dove è specificato che le parti considerate impure vengono gettate nel fiume. Plutarco allu­ de qui a un momento particolare dell'imbalsa­ mazione dei cadaveri, praticata dagli Egizi: dopo aver estratto il cervello del defunto attraverso le narici, gli imbalsamatori incidevano infatti il cor­ po e ne estraevano le viscere (eccetto le reni e il 203

cuore ), che venivano lavate e purificate più volte; quindi riempivano il ventre del cadavere di sva­ riati aromi (cfr. Erodoto, II, 86; Diodoro, Bibliote­ ca, l, 9 1 ) . 61 . Questa cruenta uccisione delle scrofe prossi­ me al parto era giustificata dal fatto che il ventre dell'animale ( volva), vivanda molto apprezzata nel­ l 'antichità, era considerato più gustoso dopo l'a­ borto che non dopo il parto naturale; dopo il parto, infatti, a meno che la bestia non sia stata uccisa nello stesso giorno in cui ha dato alla luce i piccoli, esso è livido e magro (cfr. Plinio, N.H. , X l , 210 sg. ) . 62. Secondo quanto riferisce Plinio (N.H., X, 60), la preferenza gastronomica per le gru aveva sop­ piantato, in epoca più recente, quella per le cico­ gne. 63. La carne dei cigni era servita non di rado nei banchetti, come attesta Ateneo, Deipnosofisti, IV, 1 3 1 f; IX, 393 c-d. 64. Il testo presenta una lacuna, individuata da Wilamowitz, in cui Plutarco citava verosimilmen­ te qualche altro animale. 65. Cfr. Gli animali usano la ragione, c. 8, 991 C. 66. Allusione alla pantomima (si veda la nota 196 a L 'intelligenza degli animalz) . La pirrica (cfr. Plato­ ne, Leggi, 8 1 6 B-C) era una danza di guerra, che veniva eseguita in armi, con lancia e scudo in una mano e con una fiaccola nell'altra; se ne attribuiva generalmente l'invenzione a Pirrico, uno dei Cu204

reti che avrebbero vegliato sul piccolo Zeus a Cre­ ta, oppure a Pirro Neottolemo, figlio di Achille. 67. Allusione alle lotte gladiatorie (cfr. L 'intelli­ genza degli animali, c. l , 959 C), che costituivano lo spettacolo più apprezzato dal pubblico in età imperiale. L'avversione di Plutarco per tali ludi si spinse fino alla proposta di eliminarli, o almeno di evitarli e di opporsi alla folla quando questa li reclamava (cfr. Praecepta gerendae rei publicae, c. 29, 822 C) . 68. Il legislatore spartano che, secondo la tradi­ zione, avrebbe fondato la costituzione della pro­ pria città. La critica moderna lo considera quasi concordemente una figura mitica: la costituzione di Licurgo non sarebbe pertanto una creazione individuale, ma il risultato di una lenta evoluzio­ ne attraverso i secoli IX-VII a.C. 69. Si trattava di « leggi non scritte •• , chiamate da Licurgo f'n']'tpat (da pTJ'tO (cfr. Vita di Licurgo, c. 1 3, 47 B-C) . A propo­ sito delle imposizioni relative alla costruzione di tetti e porte delle abitazioni, cfr. anche Le virtù di Sparta, 227 B-C; Quaestiones Romanae, c. 87, 285 C. 70. Semonide, fr. 1 2 Pellizer-Tedeschi ( 5 West2) . La citazione semonidea è presente pure in De pro­ Jectibus in virtute, c. 1 4, 84 D; De tuenda sanitate praecepta, c. 24, 1 36 A; De virtute morali, c. 7, 446 E; An seni respublica gerenda sit, c. 1 2 , 790 F; fr. 2 1 0 Sandbach. =

7 1 . Ossia, Plutarco non intende dire che si tratti di una vita umana - magari di un amico o di un 205

parente - trasmigrata in un corpo ferino (sulla metensomatosi, si veda, sopra, la nota l ) . 72. Cfr. ad esempio fr. 124 Wright ( 1 22 Galla­ vottP), dalle Purificazioni: il padre sgozza il figlio, che ha mutato il proprio aspetto fisico, e si ciba delle sue carni; allo stesso modo il figlio fa col pa­ dre e la madre con i figli (cfr. L 'intelligenza degli animali, c. 7, 964 E ) . =

73. Ossia i filosofi stoici; i n particolare, Crisippo esortava senz'altro all'antropofagia (cfr. SW, III, pp. 1 86 sg. ) . 74 . Su Pitagora, cfr. Del mangiare carne, l , c . l ; L 'in­ telligenza degli animali, c. 2, 959 F-960 A; c. 7, 964 E-F. A proposito di Empedocle, si veda la nota 75 a L 'intelligenza degli animali. 75. Seguo l'interpunzione adottata dalla maggior parte degli editori (tranne Stephanus e Hubert), ponendo un punto interrogativo dopo yd.acrro­ J.l.EV.

76. Ossia, degli Stoici. 77. Fedro, 243 D (citato pure in Quaestiones convi­ vales, VII, 5, c. 4, 706 D; c. 2, 71 1 D ) ; cfr. pure Eu­ ripide, Ippolito, 653 -655. 78. Cioè dei filosofi (come gli Stoici ) che permet­ tono di mangiare la carne spingendosi fino al­ l'antropofagia, perché gli esseri umani sono mor­ tali e non si reincarnano certo in corpi ferini; e dei filosofi (come Pitagora ed Empedocle) che invece lo vietano (997 E ) . 206

79 . Seguo la congettura di Reiske tÀocroEttat (mss.: t tÀocroiicrmç) . 80. Gli Sciti erano una popolazione barbarica di origine e di lingua indoeuropea, che occupava la regione compresa fra i Carpazi e il Don ; i Sogdia­ ni, di stirpe iranica, abitavano la Sogdiana, ossia la provincia più settentrionale dell'Impero per­ siano con capitale Marakanda, l'odierna Samar­ canda. Plutarco pare qui aver attribuito erronea­ mente ai Sogdiani le abitudini antropofaghe che Erodoto (III, 99) riferisce ai Padei, popolazione indiana presso la quale chi si ammalava veniva uc­ ciso e mangiato dagli amici più intimi. 8 1 . Secondo Erodoto (IV, 20 e 1 07) i Melancleni, geograficamente vicini agli Sciti, non erano della loro stessa stirpe, anche se ne condividevano le usanze; il loro nome (da JlÉÀaç, '' nero e XÀa1va, " mantello » ) sarebbe derivato dall'abitudine di indossare dei mantelli neri. Forse anche in que­ sto caso, come nel precedente, Plutarco confon­ de il testo erodoteo, scambiando i Melancleni con gli Issedoni (cfr. Erodoto, IV, 26), presso i quali vigeva il costume antropofago di banchetta­ re con la carne del proprio padre morto, mesco­ lata a carne animale. '' •

82. Il testo è corrotto e seguito da una lacuna. Se­ guo la congettura di Bernardakis 1mì at a7tupot Otattat (mss.: t lWÌ 1tUpta lWÌ Otattat) . 83. La frase è espunta dagli editori perché è estranea al contesto, e appare come un'evidente interpolazione, forse prodotta da una glossa in margine. 207

84. Ossia, l'usanza di uccidere gli animali e di ci­ barsi delle loro carni. 85. Come strumento sia di offesa, per i ladri di strada, sia di autodifesa, per i viandanti. 86. Arato, Fenomeni, 1 31 sg. (parodiato da Lucil­ lio, Antologia Patatina, Xl, 1 36) . Il poeta fa coinci­ dere l'avvento dell 'Età del Bronzo con l 'uccisio­ ne del bue da lavoro. 87. Ossia i Trenta Tiranni (cfr. L 'intelligenza degli animali, c. 2, 959 D-E, e la nota 1 1 ad loc. ) . 88. Figlio del famoso Nicia. Costui, esponente della democrazia moderata ateniese nella secon­ da metà del V secolo a.C., fu stratego della spedi­ zione in Sicilia, assieme ad Alci biade e a Lamaco. Secondo Senofonte (Elleniche, Il, 3, 39), Nicerato era molto ricco e non certo sospe ttabile di simpa­ tie democratiche. 89. Teramene (455 ca-404 a.C.), uomo politico e generale ateniese durante la guerra del Pelopon­ neso, fece parte dei Trenta Tiranni, ma fu presto condannato a morte da Crizia per le sue tenden­ ze moderate (cfr. Senofonte, Elleniche, II, 3, 56) . 90. Figlio di Cefalo e fratello maggiore dell'orato­ re Lisia, Polemarco cadde vittima dei Trenta, sia per le proprie simpatie democratiche sia per la condizione di meteco e per la grande ricchezza della sua famiglia. Il fatto che Plutarco lo defini­ sca «filosofo » è dovuto verosimilmente, oltre che alla sua presenza nella Repubblica platonica (am­ bientata a casa dello stesso ), anche alla sua men208

zione nel Fedro (257 B), dove Socrate osserva che Polemarco si è volto alla filosofia. 9 1 . Seguo la congettura di Turnebus KOcrl-ltOV, an­ ziché il testo tradito KOcrJ.iouv. 92. Seguo la congettura di Post 7t1J in luogo del tradito llll· I corpi sono detti > perché appartengono sia agli uomini sia alle fiere. 93. Empedocle, fr. 1 1 0 Wright ( 1 1 2 GallavottP), dalle Purificazioni. =

94. Cfr. De tuenda sanitate praecepta, cc. 1 1-12, 1 28 B-E. 95. Data l 'incertezza del caso, è consigliabile aste­ nersi dalla carne, come i successivi paragoni chia­ riranno. Plutarco sottolinea qui il carattere non dimostrabile della metensomatosi, ma al tempo stesso apprezza l'utilità della dottrina al fine di di­ stogliere l'uomo dall'uccisione degli animali. 96. Merope, figlia del re arcade Cipselo, sposò il re della Messenia Cresfonte, da cui ebbe due figli. Il minore, Epito (detto pure Cresfonte o Te­ lefonte), fuggì ancora fanciullo, quando il padre e il fratello maggiore furono assassinati da Po­ lifonte, e trovò rifugio presso il nonno materno Cipselo. Divenuto adulto, ritornò a Messene con l'intento di compiere vendetta, recando la falsa notizia della propria morte; dopo essere scampa­ to al pericolo di morire per mano della madre Merope, convinta che si trattasse dell'assassino del figlio, egli uccise Polifonte e riconquistò il trono, di cui era legittimo erede. 209

97. Euripide, fr. 456 Nauck2 (dal Cresfonte) . Il testo è corrotto (t > (trad. Calzecchi Onesti) . 32. Secondo Aristotele (H.A., 608 a 33), invece, le femmine hanno generalmente meno coraggio dei maschi, tranne quelle dell'orso e della pantera. 33. Per gli esseri umani la situazione è differente, perché la virtù non è la stessa nel maschio e nella 218

femmina. Diversamente, i Cinici sostenevano l 'i­ dentità della virtù nei due sessi (cfr. Diogene Laerzio, Vite deifilosofi, VI, 1 2 ) . La frase ha un evi­ dente tono ironico. 34. Penelope era figlia di Icario, fratello dello spartano Tindaro, sposo di Leda. In quanto spar­ tana di origine, la consorte di Odisseo avrebbe dovuto essere più forte e coraggiosa. 35. La Caria e la Meonia erano due regioni del­ l'Asia Minore. La prima era situata nella zona sud­ occidentale della penisola; quanto alla Meonia, nei poemi omerici - e nei testi poetici in generale - essa si identifica geograficamente con la Lidia, mentre presso i geografi è distinta da quest'ulti­ ma. Le donne di Caria e di Meonia sono citate da Grillo come esempi estremi di debolezza femmi­ nile: tradizionalmente, gli abitanti della Caria era­ no ritenuti persone di scarso valore (il termine « Cario » era addirittura sinonimo di > Grillo allude forse agli Stoici e ai Peripatetici. Si tratta di un evidente anacronismo, giustificato dal fatto che chi parla qui non è tanto Grillo, quanto Plutarco stesso. 1 09. Cfr. L 'intelligenza degli animali, c. 4, 962 F-963 A. Grillo è convinto che le bestie non siano prive di facoltà razionali, ma che la loro razionalità possieda gradazioni differenti, pur se meno visto­ se di quelle che intercorrono fra gli esseri umani. 1 1 0. Il testo presenta una lacuna segnalata da Reiske. 1 1 1 . Si tratterebbe, secondo Reiske, di un cittadi­ no corinzio, celebre per la sua stoltezza. Quanto all'emendamento di Haupt tòv K6potPov ÈKE'ìvov tòv J.U:Op6v (mss.: tòv Kopiv9tov ÈKEÌvov "OJ.!T]pov), la stoltezza di Corebo era proverbiale: si cimentò addirittura nella vana impresa di contare le onde del mare. 231

1 1 2. Autolico, nonno materno di Odisseo, « tra i mortali eccelleva l per ruberie e spergiuri » ( Odis­ sea, XIX, 395 sg. , trad. Calzecchi Onesti) . Era questo un dono di Ermes, di cui Autolico era figlio. Il suo furto di un elmo è menzionato in Iliade, X, 266 sg. 1 1 3. Secondo una versione postomerica del mito, attestata soprattutto nella tragedia (cfr. Sofocle, Aiace, 1 90; Filottete, 4 1 7; Euripide, Ifigenia in Auli­ de, 524 e 1 362; Ciclope, 104; Plutarco, Quaestiones Graecae, c. 43, 301 D), il vero padre di Odisseo non era Laerte, bensì Sisifo, figlio di Eolo e non­ no di Bellerofonte, condannato nell'Ade a spin­ gere eternamente verso la cima di un colle un macigno gigantesco, che giunto sulla vetta rotola­ va di nuovo a valle (cfr. Omero, Odissea, Xl, 593 sgg. ) . Sisifo era notoriamente ateo (cfr. Crizia, TrGF, l , 43 F 19, v. 12, dal Sisifo: gli dèi sarebbero l'invenzione di qualche uomo saggio per incute­ re timore ai malvagi) ; come tale è appunto qui ci­ tato da Grillo. Il senso della frase è pertanto il se­ guente: se, come ha appena osservato Odisseo, chi non ha nozione del divino non può essere do­ tato di ragione, allora Odisseo, saggio e intelli­ gente qual è, non può essere considerato il figlio di un ateo come Sisifo. Quanto alla partecipazio­ ne degli animali alla nozione del divino, cfr. ad esempio Platone, Fedone, 85 B; Plutarco, Quaestio­ nes convivales, VIII, 8, c. l , 728; L 'intelligenza degli animali, c. 22, 975 A-B; c. 23, 976 B-C; c. 34, 982 C. Per la conclusione, cfr. la Nota informativa, p. 42.

232

NOTE A «L' INTELLIGENZA DEGLI ANIMALI DI TERRA E DI MARE>>

l . Cfr. la Nota informativa, p. 45. 2. Leonida, re di Sparta (487-480 a.C.), cadde va­ lorosamente, con i trecento Spartiati al suo segui­ to, combattendo nel 480 alle Termopili contro l'esercito di Serse. Tirteo, poeta elegiaco (vissuto intorno alla metà del VII secolo a.C. ), nacque a Mileto o, più verosimilmente, a Sparta. Tanto suggestivo quanto infondato era l'aneddoto che lo voleva di origine ateniese: un maestro di scuo­ la zoppo, di nome appunto Tirteo, inviato in soc­ corso per scherno dagli Ateniesi agli Spartani du­ rante la seconda guerra messenica, col travolgen­ te ardore dei propri canti riuscì a infiammare l'a­ nimo degli Spartani, facendoli trionfare sui Mes­ seni. 3. Parole attribuite ancora a Leonida in Vita di Cleomene, c. 2, 805 D, ma genericamente riferite a « uno spartano in Le virtù di Sparta, 235 F. ••

4. Si discute sulla paternità di quest'opera. Se­ condo alcuni studiosi (fra cui Ziegler, pp. 1 29 sg. ), si tratterebbe di un'opera dello stesso Plutar­ co, che avrebbe praticato la caccia considerando­ la un esercizio utile e salutare. La critica più re­ cente ha tuttavia sottolineato come l'idea di un Plutarco cacciatore e fautore dell'arte venatoria risulti profondamente contraddittoria con le re­ stanti opere dell'autore e con la sua formazione filosofica, ampiamente permeata dagli influssi di Pitagora, Empedocle, Platone e Teofrasto. Quan­ to allo scritto 216 del cosidde tto Catalogo di 233

Lampria (Oepì KUVT]yELuci)ç, « Sulla caccia » ) , a noi peraltro non pervenuto, con cui Babut, p. 54, e altri critici identificano l 'Encomio della caccia ci­ tato da Autobulo, esso poteva senz'altro contene­ re una posizione allineata alle concezioni plato­ niche e al pitagorismo (simile, in ultima analisi, a quella di Autobuio), piuttosto che una celebra­ zione dell'arte venatoria e dei suoi vantaggi per l 'essere umano. 5. Ippolito, 2 1 8 sg. (la citazione compare in forma più completa in Quomodo adulator ab amico interno­ scatur, c. 7, 52 C) . L'ordine dei versi in Plutarco è invertito rispetto a quello tramandatoci dai ma­ noscritti euripidei. 6. Cfr. la Nota informativa, p. 45. 7. È questo il significato letterale dell' hapax cru­ veapiçw (cfr. LSJ, s. v.: « pass the spring with » ) , che assume i l significato metaforico di « ringiova­ nire con » , « partecipare del medesimo rigoglio » . 8 . Fr. 2 7 Nauck2 (dall Eolo), citato ancora d a Plu­ tarco, senza il nome dell' autore, in De fortuna, c. 3, 98 E. Il testo si ricostruisce dalla combinazione delle due citazioni. '

9. Insensibilità e ferocia trovano espressione so­ prattutto in guerra. Il rapporto fra la caccia e l 'ar­ te bellica è ribadito da Aristotele, Politica, I, 8, 1 256 b (l'arte della caccia è parte dell'arte della guerra) e da Senofonte, Cinegetico, 12 (la caccia è la migliore educazione alle pratiche di guerra) .

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10. Il concetto è espresso in termini molto simili in Del mangiare carne, II, c. 4, 998 A-B . 1 1 . Ossia dai Trenta Tiranni. Nel 404 a.C., al ter­ mine della guerra del Peloponneso, l 'Ecclesia ate­ niese fu costretta dagli oligarchi a nominare una commissione di trenta membri , capeggiati da Cri­ zia, con l 'incarico di elaborare una nuova costitu­ zione « conforme alle tradizioni patrie >>. Impadro­ nitisi del potere, i Trenta instaurarono un regime di terrore, eliminando non solo sicofanti (si veda, sotto, la nota 12) ed esponenti pericolosi di parte democratica, ma anche molti onesti cittadini, le cui proprietà venivano confiscate. Ben presto però un gruppo di esuli, guidati da Trasibulo, conquistò il Pireo: i Trenta furono deposti dagli oligarchi moderati, e la democrazia venne infine completamente reintegrata nel 403 a.C. 12. In origine, il termine « sicofante » (cruKo­ lj>avTI]ç, da crùKov, «fico e Q>aivro, « denuncio » ) indicava i l delatore di chi rubava i fichi sacri o di chi li contrabbandava fuori dall'Attica (oppure, in genere, l'accusatore di chi non pagava tributi in natura) . Successivamente, la parola assunse una valenza più generica e al tempo stesso spre­ giativa, designando il delatore « professionista » , spesso autore d i false denunce, sia per estorcere denaro al malcapitato ricattandolo, sia per ottene­ re il compenso legalmente previsto per gli accusa­ tori nel caso di esito vittorioso di alcune cause. '' •

1 3 . Cfr. Del mangiare carne, I, c. l, 993 B-C. 1 4. Sugli altari veniva posto del grano, così da sol­ lecitare l'animale ad avvicinarsi e ad assaggiare il cibo sacro, rendendo al tempo stesso colpevole la 235

vittima e volontario il suo sacrificio. Da Plutarco ( Quaestiones convivales, VIII, 8, c. 3, 729 F) ap­ prendiamo pure che veniva versata dell 'acqua sull'animale, sì da fargli scuotere il capo in una sorta di movimento affermativo. Precauzione, questa, necessaria a evitare che il sacrificio si ri­ solvesse in un ingiusto spargimento di sangue. 15. TrGF, 4, F 866 (Radt), da una tragedia ignota. 16 . Il motivo della carne come owov (« pietanza ricercata » ) è ricorrente nelle opere plutarchee presenti in questo volume, cfr. Gli animali usano la ragione, c. 8, 991 D; Del mangiare carne, I, c. l , 993 B ; c . 2, 994 B; c. 5, 995 C. 1 7. A tal proposito, cfr. pure c. 7, 964 E-F. Pitago­ ra vietò l'uccisione di qualsiasi animale domesti­ co (cfr. De capienda ex inimicis utilitate, c. 9, 91 C), e una volta acquistò addirittura una retata di pe­ sci per poi dar ordine di liberarli ( loc. cit. ; Quae­ stiones convivales, VIII, 8, c. 3, 729 D-E ) . Più in ge­ nerale, sull'atteggiamento di Pitagora verso gli ani­ mali, si veda, sotto, la nota 8 1 ; inoltre cfr. Del man­ giare carne, I, c. l , 993 A e C (e la nota l ad loc. ) . 1 8 . Cfr. la Nota informativa, p. 45 . 19. Cfr. la Nota informativa, p. 46. 20. La scuola filosofica fondata ad Atene da Ze­ none di Cizio attorno al 300 a.C., cosiddetta dalla Stoà poikile (Portico dipinto), il celebre portico af­ frescato da Polignoto, dove Zenone e i suoi suc­ cessori tenevano abitualmente le proprie lezioni. 2 1 . Su queste e altre antitesi stoiche, cfr. in parti­ colare Crisippo, fr. 182 (SW, II, pp. 58 sg.) . Men236

tre gli Stoici pongono una netta distinzione, nel­ la sfera dell' animato, fra razionale (l'uomo) e ir­ razionale (gli animali) , Plutarco, per bocca del padre Autobulo, si accinge a sostenere una tesi diversa, che salva l ' antitesi stoica fra razionale e irrazionale, ma intende in modo affatto diverso ciascuno dei due elementi opposti: razionale è ciò che è animato (ossia uomo e animali ), men­ tre irrazionale è tutto ciò che è inanimato. Quan­ to alla ragione, essa si manifesta, nel mondo ani­ mato, secondo gradi, modi e forme affatto diffe­ renti. In definitiva, agli animali - in quanto esseri animati - appartiene senz'altro la ragione, ma si tratta di una ragione imperfetta e offuscata ri­ spetto a quella di cui è dotato l'essere umano. 22. Per comodità di comprensione, il discorso di Autobulo può essere così schematizzato: l ) in na­ tura esiste una contrapposizione fra esseri razio­ nali ed esseri irrazionali, evidente nell'opposizio­ ne fra esseri animati ed esseri inanimati (960 C) ; 2) è assurdo ritenere che, degli esseri animati, al­ cuni siano razionali e altri invece irrazionali (960 C-D ) ; 3) ciò che è dotato di sensibilità è senz'al­ tro dotato di ragione (960 D-F) ; esempi (961 A­ B ) ; è assurdo credere che i sensi non abbiano bi­ sogno dell'intelligenza (961 B-C ) ; 4) sono assur­ de e contraddittorie le dottrine stoiche relative all'irrazionalità degli animali e alla loro mancan­ za di passioni (961 C - fine c. 3 ) . 23. Ossia che degli esseri animati alcuni sono ra­ zionali, altri invece irrazionali, secondo la dottri­ na stoica (si veda, sopra, la nota 2 1 ) . 24. Qualcun altro dovrà dunque ritenere che in natura esistono alcuni esseri animati dotati di im237

maginazione e altri privi, alcuni sensibili e altri insensibili. E ciò è assurdo, come Autobulo preci­ serà subito dopo. 25. Si tratta di termini ricorrenti in Aristotele e Teofrasto; cfr. Plutarco, Quaestiones convivales, III, l , c. 2, 646 C; VII, l, c. l, 698 B. 26. Si pensi, a tal proposito, al concetto del­ l' oìxeioomç ( « conciliazione » , « approvazione ", « at­ trazione " ) , fondamento dell'etica stoica: l 'essere vivente possiede un istinto primigenio di conser­ vazione, che lo induce ad appropriarsi di quanto gli è favorevole e a evitare ciò che invece gli è dannoso. 27. Fr. 1 1 2 WehrlP. Stratone di Lampsaco, filo­ sofo peripatetico, fu scolarca del Peripato dopo Teofrasto (ca 287-269 a.C. ) . I suoi studi in campo fisico e cosmologico gli valsero l 'appellativo di > ), considerato invenzione di Osi­ ride, che veniva ricavato dal loto libico (cfr. Ate­ neo, Deipnosofisti, IV, 1 75 e; 1 82 d-e) . Oltre ai granchi (miyoupoç, Cancerpagurus, il granchio co­ mune commestibile) , pare che anche i delfini fos­ sero catturati grazie al potere seduttivo della mu­ sica (cfr. Plinio, NH., XI, 1 37) . "

39. Il termine 8pi.crcra designa verosimilmente l'a­ losa o cheppia ( Clupea alosa o Clupea finta), pesce osseo della famiglia dei Clupeidi (alla quale ap­ partengono fra l ' altro l'acciuga, la sarda e l'arin­ ga), che a primavera risale il corso dei fiumi per riprodursi. Nel lago di Marea, in Egitto, le alose venivano catturate grazie al canto e allo strepito prodotto da strumenti musicali simili alle nacche­ re: esse balzavano fuori dall' acqua come se dan­ zassero, cadendo così nelle reti appositamente te­ se (cfr. Eliano, N.A., VI, 32) . 40. Più esattamente, un cacciatore si colloca in una posizione ben visibile all 'allocco e accenna dei passi di danza. Mentre il rapace, che per sua natura ama imitare, è intento a osservare e, affa­ scinato, cerca di riprodurre il movimento del­ l'uomo, un altro cacciatore, appostato alle sue spalle, lo cattura facilmente (cfr. Aristotele, H.A. , 597 b 21 sgg.; Plinio, N.H., X, 68; Ateneo, Deipno­ sofisti, IX, 390 f-391 a) . 4 1 . 'Qcravd (« come se >>) è un termine caro ad Aristotele, ma ricorre anche presso lo stoico Cri­ sippo (cfr. fr. 887 [SVF, II, pp. 240 sg.] ) . Sono ap­ punto gli Stoici che Plutarco vuole attaccare in 961 E-F: essi sostenevano che gli animali non pro240

vassero emozioni come l'uomo, ma che mostras­ sero invece soltanto alcuni impulsi simili a emo­ zioni (cfr. Seneca, L 'ira, l, 3, 4-8) . 42. In altre parole, Soclaro non è completamente convinto che gli animali posseggano virtù e intel­ ligenza. La virtù non appartiene agli animali, ol­ tre che secondo gli Stoici, anche secondo Plato­ ne, Lachete, 196 E; Repubblica, 430 B (il coraggio) ; Filone, Gli animali, 96 (la giustizia) ; Alessandro di Mrodisia, Il Jato, 27 (gli animali, a differenza de­ gli uomini, non hanno la capacità di acquisire la virtù) . Viceversa, gli animali posseggono l' àpETij a detta di Plutarco, Gli animali usano la ragione, cc. 3 sgg.; Eliano, N.A., Proemio. 43. Gli Stoici (e i Peripatetici) . All'obiezione di Soclaro, Autobulo replicherà: l ) confutando la convinzione stoica che gli animali non posseggo­ no la virtù; 2) sostenendo che gli animali hanno una virtù imperfetta e impura, dovuta al carattere debole e inetto della loro ragione. Esistono infat­ ti differenti gradi di intelligenza fra gli esseri ani­ mati. 44. All'amore per la prole Plutarco dedicò un'in­ tera opera, il De amore prolis (in particolare, sull ' a­ more per la prole negli animali, cfr. c. 3, 495 B-C) . 45. Plutarco mette in evidenza come gli Stoici contraddicano se stessi: riconoscono agli animali un principio (l'affetto parentale), ma negano poi che esso abbia un fine (ossia, la giustizia) . 46. La natura mostra, nei muli, come possa esi­ stere un principio (gli organi sessuali) senza che esso realizzi il proprio fine (la procreazione) . 241

Analogamente può esistere la ragione senza che essa raggiunga il proprio fine, ossia la virtù. Il motivo per cui il mulo appartiene a un'intera specie sterile è chiarito da Aristotele ( G.A., 746 b 15 sgg.; 747 a 23 sgg. ) e da Plinio (N.H., VIII, 1 73) : la prole di due differenti specie animali ap­ partiene a una terza specie diversa da quella dei genitori, che non può riprodursi. Tale è appun­ to il caso del mulo, ibrido non fecondo nato dal­ l 'unione di una cavalla con un asino (o, più rara­ mente, di uno stallone con un'asina) . La ripro­ duzione di un mulo era pertanto considerata nell' antichità un evento contro natura, come si può desumere da Erodoto, III, 1 5 1 sgg. ; Cicero­ ne, La divinazione, I, 36 e Il, 49; Plinio, N.H., VIII, 1 73. 47. Cfr. Cicerone, !fini, IV, 21 Secondo gli Stoici, tutti i vizi e gli errori sono equivalenti e non esiste nulla di intermedio fra vizio e virtù (cfr. Crisippo, frr. 524 sgg. [SW, III, pp. 140 sgg.] ) . Plutarco po­ lemizza aspramente contro il loro rigorismo, che escludeva l'esistenza di gradi nella saggezza (cfr. De Stoicorum repugnantiis, c. 27, 1 046 E; De profecti­ bus in virlute, c. 2, 75 F-76 A) . .

48. In altri termini, chi sostiene ciò a proposito della scimmia e della tartaruga ritiene assurda­ mente che esse, non possedendo aspetto fisico e capacità motorie nella loro forma perfetta (ossia bellezza e velocità), non possiedano neppure aspetto fisico e capacità motorie in una forma de­ teriore (ossia bruttezza e lentezza) . 49. Ossia, il saggio in sommo grado non esiste: la perfezione in questo settore appartiene alla divi­ nità; cfr. De Stoicorum repugnantiis, c. 3 1 , 1 048 E; 242

De communibus notitiis adversus Stoicos, c. 33, 1 076 B ( SVF, III, pp. 1 66 sg., frr. 662 e 668) ; Cicero­ ne, La natura degli dèi, II, 13, 34. =

50. Cfr. Gli animali usano la ragione, c. 10, 992 D. Anche i vizi sono segni di ragione innata, secon­ do Filone, Gli animali, 66. 5 1 . Quando i genitori invecchiano, le cicogne ri­ cambiano le attenzioni ricevute da piccole, come attestano variamente Aristotele, H.A., 6 1 5 h 23 sgg. ; Filone, Gli animali, 6 1 ; Plinio, NH., X, 63; Eliano, NA., III, 23; cfr. inoltre Sofocle, Elettra, 1 058 sgg.; Aristofane, Uccelli, 1 353 sgg. 52. Su tale comportamento degli ippopotami, cfr. pure lside e Osiride, c. 32, 364 A. Secondo Elia­ no ( NA., VII, 19), essi divorerebbero addirittura la carne del padre ucciso. 53. Cfr. anche Aristotele, H.A., 613 h 25 sgg. On­ de evitare che il maschio, spinto dalla sua intem­ peranza erotica, distrugga le uova, la femmina delle pernici ricorre a due espedienti: sfugge al compagno quando è in procinto di deporre le uova (cfr. Eliano, NA., III, 1 6; Ateneo, Deipnosofi­ sti, IX, 389 b), oppure trasferisce le uova lontano dal luogo in cui le ha deposte (cfr. Plinio, NH., x, 1 00) . 54. Secondo Aristotele (H.A., 562 h 1 7 sgg.), il maschio cova di giorno e la femmina di notte, e la cova a turno riguarda tanto le uova che i pulci­ ni. Sulla cooperazione del maschio e della fem­ mina dei colombi nella cura del nido, cfr. pure Eliano, NA., III, 45 . Quanto alla punizione infer243

ta dal maschio alla femmina negligente, cfr. Pli­ nio, N.H., X, 1 05. 55. Fr. 47 (SW, III, p . 251 ) . Antipatro di Tarso, filosofo stoico vissuto attorno alla metà del Il se­ colo a.C., le cui dottrine poco si discostavano da quelle di Crisippo, scrisse un ' opera sugli animali. 56. Teofrasto (Sulle pietre, 28; fr. 1 75 Wimmer) af­ ferma che le linci nascondono la propria urina, coprendola con la terra. Essa, rapprendendosi, forma una pietra di un brillante color rosso fiam­ ma (detta lynkourion), a cui nell 'antichità erano attribuite proprietà magnetiche e curative. Essa veniva impiegata anche nella realizzazione di preziosi monili (cfr. Plinio, N.H., VIII, 1 37; Ovi­ dio, Metamorfosi, XV, 415; Eliano, N. A., IV, 1 7 ) . 57. All' inizio i genitori puliscono loro stessi il ni­ do; solo quando i pulcini sono diventati più gran­ di vengono avvezzati a emettere gli escrementi al­ l'esterno (cfr. Aristotele, H.A., 612 b 30 sgg.; Pli­ nio, N. H. , X, 92) . Secondo Filone ( Gli animali, 22), tale astuzia è dovuta al timore che il nido possa cadere per un eccesso di peso. 58. Lo stesso concetto è espresso pure in Gli ani­ mali usano la ragione, c. 10, 992 C-D. 59. Autobulo ribadisce il concetto espresso in 962 B sgg. : esiste solo una differenza di grado fra l'in­ telligenza degli animali e quella umana (cfr. Gli animali usano la ragione, c. 10, 992 C-E) . 60. Cfr. ad esempio c. 1 2, 968 C e E. 61. Autobulo si accinge a tornare ancora una vol244

ta sul problema principale della razionalità degli animali. L'assunto del suo discorso è che la follia affiigge pure gli animali; e siccome essa è un' affe­ zione della ragione, tutti gli animali sono neces­ sariamente partecipi di quest'ultima. 62. Anche i lupi sarebbero soggetti alla rabbia, come si deduce da Teocrito, Idillio IV, 1 1 . 63. Sulla melanconia, cfr. Ps. Aristotele, Questioni fisiche, 30. 64. Il bersaglio polemico di Autobulo sono anco­ ra gli Stoici. 65. Gli Stoici, e in particolare Crisippo (frr. 367, 370, 371 [SW, III, pp. 89 sg.] ), sostenevano che, mentre fra gli uomini (razionali) esiste la base per la comunanza di norme giuridiche, al contra­ rio nel rapporto degli uomini con gli animali (ir­ razionali) essa non sussiste affatto. Gli uomini possono pertanto valersi degli animali in vista della propria utilità senza commettere ingiustizia alcuna (cfr. Cicerone, I fini, III, 20, 67) . Al con­ trario, se gli animali fossero creature razionali al pari deli 'uomo, gli esseri umani sarebbero ingiu­ sti a comportarsi con le bestie come in effetti fan­ no, maltrattandole e uccidendole. Aristotele, dal canto suo, era convinto che, essendo le bestie pri­ ve di p6vTtcrtç e di virtù, esse fossero dei puri stru­ menti (al pari degli schiavi ) nelle mani degli uo­ mini, autorizzati a sfruttarle a proprio piacimen­ to (cfr. Ditadi, pp. 99-1 12 ) . 66. Cfr. c . 1 4, 970 B. 67. Il passo plutarcheo è riportato come fr. 373 di Crisippo in SW, III, pp. 90 sg. A proposito del fat245

to che la vita umana diverrebbe bestiale e incivile se non dovessimo più far uso degli animali, cfr. pure De capienda ex inimicis utilitate, c. 2, 86 D. 68. Si tratta di popolazioni primitive, che abitava­ no sulle coste del Mar Rosso (il termine TpwyA.o­ o\rrT]ç vale etimologicamente (( abitante delle ca­ verne " ) . Secondo Diodoro Siculo, III, 32, si nu­ trivano di latte misto a sangue e della carne delle loro mandrie (cfr. pure Erodoto, IV, 1 83; Strabo­ ne, XVII, l , 4; XVII, l , 7 e 1 7 ) . 69. Zeus. 70. opere e giorni, 277-279. La citazione di questo passo di Esiodo (di Ascra in Beozia, poeta epico, ca VIII secolo a.C.) compare anche in Eliano, N.A., VI, 50. Sulla mancanza di giustizia nel mon­ do animale, nella fattispecie fra i pesci, cfr. pure Oppiano, Halieutica, II, 43 sgg. 71 . Euripide, fr. 412, 3 Nauck2, dall' /no (in forma più completa, in Quomodo adulator ab amico inter­ noscatur, c. 22, 63 A) . 72. Gli Stoici. 73. Cfr. fr. 281 Usener. Una delle maggiori novità introdotte nell' antico sistema atomistico demo­ criteo da Epicuro di Samo (341-270 a.C., fonda­ tore ad Atene nel 306 del cosiddetto > . «

1 40. I l sillogismo (ossia la forma di ragionamento deduttivo perfetto studiata da Aristotele e ulte­ riormente approfondita dagli Stoici) è formato da due premesse, maggiore e minore, e da una 257

conclusione. Nel sillogismo qui enunciato, la pre­ messa maggiore è « La bestia deve aver preso que­ sta strada, o quest'altra, o quest'altra ancora •• , la premessa minore " ma non ha preso sicuramente né questa né quest'altra », e la conclusione « quin­ di deve aver preso la rimanente » . 1 4 1 . L' aneddoto è riferito anche in Eliano, NA., VII, 10. 1 42. Re dell'Epiro (319-272 a.C.), che intervenne in aiuto della città italiota di Taranto contro i Ro­ mani. Sull' aneddoto qui narrato, cfr. pure Elia­ no, NA., VII, 10; Plinio, NH., VIII, 142. 143. Esiodo sarebbe stato assassinato nelle vici­ nanze del tempio di Zeus Nemeo in Locride (cfr. Tucidide, III, 96; Plutarco, Septem sapientium con­ vivium, c. 19, 1 62 C-F, dove peraltro non compa­ re alcun riferimento al cane) . A proposito del ca­ ne di Esiodo, cfr. pure c. 36, 984 D; Polluce, Ono­ mastico, V, 42. 1 44. Lo stesso aneddoto è narrato in Eliano, NA., VII, 1 3. 1 45. Villaggio nelle vicinanze di Megara. 146. L'Ecatompedo; meglio noto come Parteno­ ne, era il tempio dedicato ad Atena Parthenos sul culmine dell'Acropoli di Atene. La sua costruzio­ ne fu iniziata nel 447 a.C. su commissione di Pe­ ricle, il grande statista ateniese ( 495 ca-429 a.C. ), e venne ultimata nel 432 a.C. 1 47. Il quartiere dei vasai ai piedi dell'Acropoli, che desumeva il proprio nome dali' eroe Ce ramo, 258

ritenuto figlio di Dioniso e Arianna. Vi si trovava­ no numerosi dipinti e statue di divinità e di eroi. 1 48. Così pure Vita di Catone Maggiore, c. 5, 339 A­ B. Aristotele (H.A., 577 b 29 sgg. ) e Plinio (NH., VIII, 1 75 ), che peraltro specificano la veneranda età del mulo (ottant'anni), non parlano invece di un suo mantenimento a spese pubbliche: gli Ate­ niesi avrebbero semplicemente emanato un de­ creto che proibiva ai venditori di cereali di allon­ tanare dai loro banchi l'animale, qualora si fosse avvicinato per mangiare. A entrambi i privilegi concessi al mulo fa infine riferimento Eliano, NA., VI, 49. 1 49. Non è da escludere la presenza di una lacu­ na dopo questo capitolo. 1 50. Cfr. c. 6, 963 F sgg.; Del mangiare carne, II, c. 7, 999 B. 1 5 1 . Cfr. Oppiano, Halieutica, II, 43 sgg.: fra i pe­ sci non regna né giustizia né amore, ma il più for­ te divora il più debole. 152. Iliade, XVI, 34 (detto da Patroclo ad Achille) . 153. Lisimaco (360 ca-281 a.C.) fu compagno e successore di Alessandro Magno, alla cui morte ottenne una provincia costituita dalla Tracia e dal­ la parte nord-occidentale dell'Asia Minore. Sull'a­ neddoto qui riferito, cfr. pure Praecepta gerendae rei publicae, c. 28, 821 A; Eliano, NA., VI, 25. In Pli­ nio, NH., VIII, 143, > perché consacrato al medesimo nume, Apollo, da cui ri­ teneva di aver ricevuto il dono della divinazione non meno dei cigni stessi. 22 1 . Su Pirro, si veda, sopra, la nota 142. A pro­ posito del suo appellativo, cfr. Regum et imperato­ rum apophthegmata, 1 85 D; Vita di Pirro, c. 1 0 , 388 A-B. Antioco era il figlio minore di Antioco II di Siria (che regnò fra il 287 e il 247 ca a.C. ) , non pertanto un sovrano in senso stretto; sul sopran­ nome di '' Falco >> , cfr. Regum et impcratorum apo­ phthegmata, 1 84 A; Vita di Aristide, c. 6, 322 A; Elia­ no, NA., VII, 45 . 222. Fedimo avrà presto modo di rintuzzare que­ st'attacco del rivale (cfr. c. 23, 976 C) . 223. Cfr. il frammento di Epicarmo citato al c. 3, 961 A. 224. Platone (Leggi, 701 B-C) chiarisce quale sia l'indole attribuita agli antichi Titani: non ricono­ scere né giuramenti, né patti, né dèi. Il termine " titanico >> è qui pertanto sostanzialmente sinoni­ mo di « senza dio » , « empio >> . Sui Titani, cfr. Del mangiare carne, I, c. 7, 996 C, e la nota 57 ad loc. 225. È questo, in sostanza, il punto di vista espres­ so da Platone nel Timeo (92 B) . Esso verrà respin­ to da Plutarco per bocca di Fedimo nei capitoli successivi (cfr. soprattutto 977 C) : ragione e intel­ ligenza appartengono anche agli animali marini (cfr. pure Quaestiones convivales, VIII, 8, c. 3, 729 E; Plinio, NH., X, 7; Filone, Gli animali, 34) . Plu­ tarco intende polemizzare implicitamente pure 271

contro gli Stoici, che relegavano gli animali mari­ ni al ruolo di creature infime ed « estreme e­ stranee perfino al 7tVEÙIJ.a che pervade tutti gli al­ tri esseri viventi, inclusi gli animali terrestri. "•

226. Per assumere un atteggiamento grave e au­ toritario, consono alla circostanza. 227. Ktydiç (più usato il plurale Ktydioeç) era il cancello, presente nei tribunali o nel bouleute­ rion, attraverso cui i giudici o i consiglieri oltre­ passavano la sbarra, che teneva separato il popo­ lo; �lilla designa invece la tribuna, che era dop­ pia, una per l'accusatore e una per il difensore. Eracleone vuoi qui intendere che il discorso ha assunto una tale intensità polemica da far pensa­ re quasi a una situazione giudiziaria o a una con­ troversia politica. 228. Pindaro, fr. 228 Snell-Maehler. 229. Seguo la congettura di Wyttenbach A.Oyrov (mss . : xopcòv) . 230. Grosse reti da pesca. 23 1 . Come ha fatto invece Aristotimo nel suo di­ scorso. 232. Seguo la congettura di Emperius Kotvrov�cre­ crt v (mss.: Ktv�crecrt v) . 233. Fonte nell'isola di Ortigia, a Siracusa, nella quale vivevano delle anguille sacre, capaci, secon­ do Eliano (N.A., VIII, 4), di prestare ascolto se chiamate e di accettare il cibo loro offerto. 272

234. Ad esempio in Epiro , in Sicilia e in Caria (N.A., XII, 30) . 235. Marco Licinio Crasso ( 1 1 4 ca-53 a.C.), abile oratore e uomo politico romano, prese parte al primo triumvirato, con Cesare e Pompeo, e fu uc­ ciso dai Parti a Carre. Amava adornare di preziosi monili la propria murena, che era solita nuotare alla superficie se chiamata dal padrone, di cui ri­ conosceva la voce (Eliano, N.A., VIII, 4) . 236. Gneo Domizio Enobarbo, censore nel 92 a.C. con Crasso, di cui fu un fervido oppositore, op­ pure, più verosimilmente, Lucio Domizio Enobar­ bo, console nel 54 a.C., irriducibile avversario del triumvirato. L' aneddoto è riferito pure in De ca­ pienda ex inimicis utilitate, c. 5, 89 A; Praecepta ge­ rendae rei publicae, c. 1 4, 8 1 1 A; Eliano, N.A., VIII, 4. 237. Un amico vegetariano di Plutarco, forse an­ eh' egli nativo di Cheronea ( Quaestiones convivales, VIII, 7, c. l , 727 B), che accompagnò lo scrittore nel suo secondo viaggio a Roma. 238. Si ignora a quale dei Tolemei Plutarco in­ tenda qui alludere (cfr. pure il passo sopra citato di Eliano) . 239. Seguo la congettura di Reiske A.mapoùvn 1