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Italian Pages 110 Year 2010
Introduzione «Uomo e donna li creò». Prospettive e tematiche «Uomo e donna li creò»: questi termini, tratti da Gn l, 27, così come usualmente tradotti e che indicano il punto culminante della creazione del sesto giorno, danno corpo alle pagine che leggeremo. Queste ultime riprendono, a grandi linee, un corso tenutosi a Roma nell'ambito di un seminario di studio organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. Il tema del seminario era "L'amore si fa carne". La teologia del corpo, in riferimento all'espressione giovannea secondo cui "il Verbo si fece carne" (Gv 1, 14). Questo significa che tratteremo qui il tema della carne in quanto segnata dalla differenza tra i sessi. Tale approccio alla questione trova un'immediata giustificazione nel fatto che la prima occorrenza scritturale del termine "carne", appare proprio in un contesto che evoca l'incontro faccia a faccia tra l'uomo e la donna. È in presenza della donna che la parola dell'Adam si libera ed esclama: «Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne!» (Gn 2, 23). L'approccio alla questione sarà decisamente scritturale. Oltre all'affermazione reiterata nella Dei Verbum, secondo cui «la Sacra Scrittura è l'anima della teologia», questa scelta si basa sulla 5
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constatazione che la tradizione biblica è, nel nostro Occidente, l'unica sede in cui la differenza tra i sessi sia stata realmente presa in considerazione. Sappiamo che, da Aristotele a Heidegger, la filosofia ha aggirato questa realtà optando per un mero essere umano identificato da un'anima asessuata. Di contro, e poiché la rivelazione biblica è fondamentalmente una storia, un racconto di vite radicate in tempi e luoghi peculiari, essa incrocia instancabilmente la concreta condizione umana. Ha dunque a che vedere con i corpi e con ciò che accade loro, si imbatte nella constatazione che il fatto di "essere umano" esiste soltanto come !'"essere uomo" o "essere donna". Pertanto, sebbene le Scritture siano segnate da scelte culturali particolari, tra cui alcune considerate ormai superate o comunque contestate, esse assumono in modo originale questa profondità del reale, tanto facilmente ignorata. È chiaro, tuttavia, che nei secoli i suggerimenti della Bibbia su questo tema sono stati fatti fruttare ben poco. La riflessione e il dibattito si sono concentrati molto di più sulla triade «corpo, anima, spirito», così come indicato soprattutto da Paolo in 1 Ts 5, 23, oppure sull'«uomo carnale», l'«uomo psichico», l'«uomo spirituale» di 1 Co 2, 14-151. Ci si è invece solitamente accontentati di adottare un 1 Si veda, in particolare, H. DE LUBAC, "Anthropologie tripartite", in Io., Théologie dans l'histoire, 1. La lumière du Christ, Desclée de Brouwer, Paris 1990, 115-200.
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approccio più naturale che rivelato, sui quesiti legati al faccia a faccia tra uomo e donna. È pertanto una felice caratteristica del nostro tempo, quella di portare alla luce il contributo della tradizione biblica in questo campo. Certamente, i molteplici dibattiti odierni ci incitano a muoverci in questo senso (teorie di gender, «women's studies», recenti perorazioni in favore di un'identità transessuale, con il rilancio di Simone de Beauvoir2 ), autrice del Secondo Sesso, il cui centenario della nascita è stato celebrato nel 2008. È lecito osservare che questi dibattiti, pur avendo una connotazione sempre molto polemica e sovente anticristiana, vanno comunque considerati come uno stimolo per prendere coscienza delle ricchezze antropologiche della tradizione cristiana. Nel contempo, questa congiuntura ci offre proprio l'opportunità per favorire la ricezione dell'intelligenza antropologica e spirituale che ci ha lasciato il Papa Giovanni Paolo Il. Possiamo riesaminare l'immenso patrimonio composto dalle sue riflessioni, da Amore e responsabilità 3 fino ai quattro anni di catechesi che hanno prolungato ed approfondito quest'opera (1979-1984). Sotto forma 2
A titolo illustrativo, il colloquio organizzato in Francia, paese
di Simone de Beauvoir «Masculin-féminin, !es nouvelles frontières», 19ème Forum Le Monde-Le Mans, 16-18 novembre 2007. Sul tema della transessualità, che si impone sempre di più, si veda l'esposizione delle tesi che la riguardano in M.-H. BOURCIER, Sexpolitiques, Queer Zones 2, La Fabrique, Paris 2005. 3 K. WOJTYLA, Anwre e responsabilità, Marietti, Torino 1982.
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di modeste catechesi, il Papa ci ha lasciato un insegnamento fondamentale sulla «teologia del corpo» e su «l'amore umano nel piano divino»4 • A questo si aggiunge la riflessione coraggiosa operata sulla condizione e la vocazione femminili. Desideriamo inoltre porre in evidenza lo spazio riservato, in tutti questi insegnamenti, al riferimento alle Scritture, che consistono certamente, agli occhi del Santo Padre, in un vettore privilegiato del discorso che la Chiesa ha il compito di rivolgere alle società contemporanee. Il pensiero di Giovanni Paolo II sarà dunque molto presente nel percorso che seguiremo. Tale percorso si articola in tre capitoli: a) Il primo, sarà incentrato sulla creazione e sull' awento, in essa, della carne come «carne sessuata». b) Il secondo, riguarderà la partecipazione di questa carne alla storia della rivelazione. c) Il terzo, si interrogherà su cosa accade alla differenza tra i sessi al momento dell'Incarnazione ordinata alla salvezza e alla resurrezione della carne.
4 GIOVANNI PAOLO II, Uorrw e donna lo creò. Catechesi sull'arrwre umano, Città Nuova Editrice-Libreria Editrice Vaticana, Roma 1985 (7° ed. 2006). Una sintesi appare nell'opera di Y.. SEMEN, La sexualité selon Jean-Paul II, Presses de la Renaissance, Paris 2004.
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Precisazioni sull'uso del termine «carne» Le analisi che seguono solleciteranno abbondantemente il concetto di "carne". Appare dunque rilevante distinguere attentamente gli usi negativi di questo termine - in particolare in alcuni testi di San Paolo - da altre accezioni bibliche e neotestamentarie che gli conferiscono una valenza differente.
Senso teologico negativo Si ricollega ali' elaborazione teologica che ne dà San Paolo e ad alcune occorrenze nei Vangeli, quando il termine è collocato in contrasto e in opposizione con «spirito». a) Questa interpretazione inizia con la Prima Lettera ai Corinzi che ricorre alla formula «secondo la carne» (kata sarka). Appare sviluppata nella lettera ai Calati (cfr. capitoli 4-5). Romani costituisce una nuova fase che evidenzia ancora gli aspetti negativi (cfr. 8, 9; 13, 13-14, ecc.). b) Le occorrenze del termine, nel Vangelo di Giovanni, testimoniano il senso complesso e differenziato, secondo la sua apparizione nel dialogo con Nicodemo (Cv 3, 6), nel discorso sul Pane di vita (Cv 6, 51-63) o nel Prologo (Cv 1, 14). 9
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Basar, caro, sarx al positivo Il vigore delle formulazioni che incriminano la debolezza della "carne" non esclude un'altra accezione ampiamente sostenuta nella tradizione biblica e su cui si basano proprio le menzioni positive a cui il NT continua a ricorrere. a) Il termine basar in ebraico indica: (I) il corpo umano, sia esso vivo e sano, o ridotto a cadavere, (II) ma anche l'essere umano nella sua totalità senza connotazioni negative e senza allusioni alla sessualità (come invece accadrà successivamente con il greco sarx:). Basar allude spesso alla fragilità della vita, alla sua esposizione alla sofferenza e alla morte (Sal 109, 24), ma rimanda anche alla sollecitudine di Dio che ne è il creatore (cfr. Ger 32, 27; Gb 10, 8-12). b) L'antropologia biblica ignora risolutamente l'opposizione tra «anima» e «corpo». N efesh (anima, vita, persona) e basar possono ambedue essere usati in accezioni in cui ognuno indica l'interezza dell'essere umano. Analogamente, ambedue sono ugualmente implicati nel desiderio e nella ricerca di Dio: (I) cfr. Sal 63, 2: «Dio, Dio mio, te cerco fin dall'aurora; di te ha sete l'anima mia; verso di te anela la mia carne, come una terra deserta, arida, senz'acqua».
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(II) Sal 16, 9: «Per questo è lieto il mio cuore e gioisce il mio intimo, perfino la mia carne riposa al sicuro». (III) Sal 84, 3: «I:anima mia languisce e si strugge per gli atri del Signore; il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente». (N) Senza dimenticare Ez 36, 26-27 che reca l'annuncio del dono di un «cuore di carne», cuore nuovo capace di vivere la fedeltà dell'Alleanza: Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo. Toglierò il cuore di pietra dal vostro corpo e vi metterò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi, farò si che osserviate i miei decreti e seguiate le mie norme.
È a questo secondo senso che si ricollegano i testi scritturali che ci accingiamo a prendere in esame. È lo stesso senso che troviamo all'inizio degli sviluppi su questo tema, ossia nell'antichità, presso Ireneo (Contro le eresie), o Tertulliano (La resurrezione della carne). Questa accezione positiva è la stessa che soggiace altresì alle analisi che i filosofi contemporanei (E. Lévinas o M. Henry) dedicano alla carne e alla trascendenza che la abita. Infine, è a questo medesimo senso che alludono taluni esegeti - come P. Beauchamp o P. Lefebvre -, i quali trattano la rilevazione come «storia della carne con Dio». 11
I. Creazione e awento della carne Questa prima fase della nostra riflessione si baserà sul testo della Genesi che interroga il «principio» per rivelare Dio nella sua parola e nel suo gesto creatori, ma anche l'umanità nella sua verità originale, segnata in particolare dalla sua articolazione interna in maschile e femminile. Ci soffermeremo dunque, progressivamente, sulla formula di Gn 1, 27 che coniuga il singolare ed il plurale per evocare un'umanità «a immagine di Dio» e porre così la questione della sua unità; poi sullo sviluppo narrativo dedicato in Gn 2, 18-25 alla creazione della donna. Si tratta di testi estremamente noti e commentati, ma che continuano a riservare sorprese ed opportunità per chiarire alcuni dibattiti molto attuali sulla differenza tra i sessi. Ricordiamo, in primo luogo, che l'originalità del testo biblico emerge prepotentemente se lo confrontiamo con il modo in cui le mitologie ed i racconti sacri simili trattano l'argomento. Se per questi ultimi, il mondo degli dei è sovente sessuato, la creazione dell'umanità vi è generalmente evocata senza prestare attenzione o interesse alla realtà dei sessi. Nell'area mesopotamica, ad esempio, così è nei grandi racconti dell'Enuma Elish o di Atrahasis. Dal canto suo, il mondo greco si mostra invece più interessato a questa questione. Prova 13
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ne è il contributo determinato in particolare dal mito di Pandora e da quello dell'androgino. a) La storia di Pandora è narrata da Esiodo nella Teogonia e ripresa in Le opere e i giomi 1• In questo racconto, la creazione della donna è legata alla rivalità che oppone Zeus a Prometeo: costei è presentata come il dono awelenato che il primo fa agli uomini per vendicarsi del secondo. Essa è descritta come quel «kalon kakon», quel «male così bello», che Efesto modella con acqua e argilla; è una sorta di manichino colmo di charis, dal temperamento di una cagna e lo spirito menzognero. Creatura artificiale ed ingannevole, Pandora è insaziabile sia rispetto al cibo che al sesso. Data in sposa ad Epimeteo, lo raggiungerà portando con se una giara, il «vaso di Pandora», che contiene tutti i mali del mondo. Qui la donna è creata come castigo divino. In essa, la sessualità, la morte e la sofferenza sono congiunti. Vediamo dunque che la questione della differenza tra i sessi è perfettamente posta, ma in termini evidentemente molto negativi. Successivamente, Aristotele affinerà la presentazione di una donna votata all'atto di procreare, solco da fecondare, mero ricettacolo per il seme dell'uomo 2, secondo un concetto dell'essere femminile che avrà vita lunga. 1 J.-P. VERNANT, Pandora, La première femme, Bayard, Paris 2006; ID., L'univers, les dieux, les hommes. Récits grecs des origines, Seuil, Paris 1999. 2 ARISTOTELE, La Politica, I, 2.
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b) Il mito dell'androgino è raccontato nel Banchetto di Platone. In origine, sarebbero esistiti tre generi: il maschile, il femminile e l'androgino, ossia un insieme dei due precedenti. Gli androgini, esseri onnipotenti, attaccano gli dei che, a loro volta, mettono fine al loro hybris attraverso Zeus che li scinde in due. A partire da quel momento, le due metà cercheranno sempre di ritrovarsi per recuperare la loro unità perduta. La sto,. ria delle religioni testimonia che questo schema basato su un uomo primordiale androgino come origine dell'umanità è assai presente nelle culture. L'androginia è dunque concepita come uno stato normale, primordiale dell'umanità. Di conseguenza, la differenza sessuale è considerata un'imperfezione: giacché significa la separazione con l'altro, essa indica un'umanità esiliata dalla propria origine. Non di rado avviene che talune tesi contemporanee accostino il testo biblico all'uno o all'altro di questi due miti. Tali correnti si adoperano per stabilire un parallelismo tra il mito di Pandora e il capitolo 3 della Genesi, letto come carica contro una donna tentatrice, causa di tutti i mali della condizione umana3. Altre identificano una convergenza in Gn 1, 27 con il mito dell'androginia. Altre ancora denunciano il racconto biblico come fonte di 3 S. AGACINSKI, Métaphysique des sexes, Masculinlféminin aux sources du christianisme, Seuil, Paris 2005.
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una concezione della differenza tra i sessi che si imporrebbe agli esseri umani come un destino. In questo contesto, è assolutamente necessario far ritorno alla fonte e alle proposte incluse nel testo biblico.
I. Genesi I, 26-28: premesse per l'awento della carne 1.1 Una antropogenesi solenne ed enigmatica
:C.:umanità appare il sesto giorno, ultimo atto della creazione, corredato dalla constatazione del «molto buono», che supera il semplice «buono» a commento dei giorni precedenti. :C.:espressione è solenne: «Facciamo l'uomo secondo la nostra immagine ... ». All'uso grammaticale del coortativo si aggiunge un'originale modalità del creare. Come fa osservare Paul Beauchamp, la creazione dell'umanità fonde la versione muta, descrittiva dell'atto di creare (Dio fece, Dio creò) con la versione parlante, performativa (Dio disse). In altri termini, qui Dio parla per dire ciò che fa ... Il termine «creare» appare tre volte nel versetto 27. Infine, la menzione del «a sua immagine» e «somiglianza» pone in evidenza la singolarità dei viventi qui definiti. Non è semplice, tuttavia, precisare il legame stabilito tra l' «immagine», la «somiglianza» da un lato e la differenza sessuale dall'altro. :C.:affermazione 16
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avanzata innanzitutto dal testo sembra essere proprio quella dell'immagine, a cui si sarebbe aggiunta la precisazione della differenza tra i sessi. L'intenzione sarebbe dunque quella di giustificare la successiva consegna relativa alla fecondità. Ciononostante, tale precisazione è assente nel caso degli animali, chiamati anch'essi ad essere fecondi. Da qui nasce l'idea di leggervi piuttosto un'affermazione relativa al pari valore di tutti gli esseri umani, uomini e donne, in quanto ugualmente partecipi dell'immagine4. Ci sono però una serie di altri dettagli nel testo che meritano di essere considerati, come il contrasto tra i viventi del quinto e sesto giorno, creati «secondo la loro specie» ed una coppia umana definita, nel contempo «maschio e femmina» e «a immagine di Dio». Con questa seconda affermazione, sembra che il redattore intenda collocare specificatamente l'umanità sotto il segno dell'unità, in opposizione con il resto della creazione. Quest'ultima si caratterizza come avvento della diversità, della pluralità simboleggiata dalle «specie» in cui si distribuisce il mondo vivente. L'uomo e la donna - nella misura 4 Possiamo osservare che questa interpretazione non è semplicemente un effetto di proiezione sul testo di preoccupazioni contemporanee: BASILIO DI CESAREA scriveva: «Affinché nessuno, per ignoranza, consideri il termine 'Uomo' come riferito solamente al sesso maschile, la Scrittura ha aggiunto 'Maschio e femmina li creò'», Sur l'origine de l'homme I, 18, citato da M. ALEXANDRE, Le commencement du livre, Genèse 1-4, La version grecque de la Septante et sa réception, Beauchesne, Paris 1988, 198.
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in cui sono a immagine di Dio - sono, loro soltanto, destinati all'unità che distingue il creatore della sua creazione. Di conseguenza, fin dalle origini, l'unità dei sessi è posta come verità del rapporto tra uomo e donna. Dobbiamo dunque concludere che il testo riprenderebbe il mito dell'androgino? Questa idea è stata espressa e difesa molto tempo fa. La ritroviamo in Filone ma anche in alcuni testi ermetici e gnostici5 . Anche talune tradizioni rabbiniche si esprimono in modo analogo. Queste però riscrivono il testo «lo creò maschio e femmina», nonostante le testimonianze della LXX che conservano, malgrado la sorpresa che può comportare, la presenza congiunta del singolare con il plurale nel versetto 27, ciò che, appunto, ostacola la teoria dell'androginia6 • Appare evidente, inoltre, che in questo punto la differenza rivela l'origine e non è affatto associata ad una colpa o ad un castigo divino; anzi, si colloca nel registro del dono, come confermato poi nel racconto del capitolo 2. Infine, fondata ontologicamente, essa è definita buona, diversamente dalla tradizione che caratterizza la storia di Pandora.
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Ibid., 196. M. HARL, Le Pentateuque. La Bible d'Alexandrie, Gallimard, Folio/Essais, Paris 2003. 6
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1.2 «Maschio e femmina li creò»
Un particolare della scrittura del testo, originariamente trascurato, ci sembra invece dover essere preso in considerazione. Di fatto, il testo non dice «uomo e donna», come molto spesso viene tradotto, ma «maschio e femmina», tlI:,~ ~1~ il::;ij?.~1 1::;it7- Si tratta di un dettaglio importante, anche se può disorientare. Quest'espressione, collocata in prossimità di «immagine di Dio» e tradizionalmente appartenente ad un registro animale, crea certamente nel testo una tensione, che fa scomparire la traduzione «uomo-donna». Ma così come è scritto, il testo frena appositamente il movimento che condurrebbe troppo rapidamente il lettore verso il registro dell'anthropos. Il fatto di differire fino al racconto del capitolo 2 la menzione esplicita de «l'uomo» e de «la donna», ci sembra autorizzare la seguente ipotesi: il testo tende a suggerire che la realtà ontologica del «uomo-donna» ha bisogno di scaturire dal «maschio-femmina». In altri termini, non può essere semplicemente considerata come un elemento dato, ma deve emergere da una singolare elaborazione - di cui sarà necessario precisare le condizioni - della differenza maschio-femmina, la cui caratteristica è condivisa 7 Possiamo osservare che i medesimi termini sono utilizzati in Gn 5, 2 nella genealogia di Adamo o in 6, 19 per gli animali che entrano nell'arca. La LXX traduce anche &1tOtTJcrev aùi:6v à.pcrev Kaì 0ijJ,,u <OtTJcrev aùi:ouc; e questi termini sono poi ripresi in Mc 10, 6 e Mt 19, 5.
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dall'umanità con il mondo animale. Questo equivale ad allontanare l'idea semplicistica, talvolta sostenuta mediante argomentazioni polemiche, secondo cui la differenza tra i sessi sarebbe, in quanto tale, fondatrice dell'umanità. Jacques Maritain lo faceva osservare già in un suo articolo pubblicato nel 1967 in Nova et Vetera: «Il sesso fonda soltanto la differenza animale, per quanto importante ed immediatamente evidente possa essere, ma non fonda le differenze propriamente umane tra l'uomo e la donna» 8 • Il testo biblico ci invita dunque a considerare la durata di un'elaborazione, ossia un processo al termine del quale soltanto potremmo raggiungere la pienezza antropologica della realtà che si gioca nella differenza dei sessi, autorizzandoci questa volta a parlare di una carne, che va ben oltre l'animalità ...
1. 3 Al di là dell'animale Questa analisi ci porta a considerare brevemente il modo in cui il testo biblico concepisce il rapporto, oggi particolarmente sensibile, dell'umanità e dell'animalità. Ricordiamo che Gn l pone in modo molto sottile il tema delle similitudini e delle differenze tra l'una e l'altra. Le similitudini riguardano il calendario del sesto giorno, che ardi8 J. MARITAIN, "Faisons-lui une aide semblambe a lui", in Nova et Vetera 4 (1967), 241-254.
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na la creazione degli animali terrestri e quella degli umani e che riprende, per gli uni e per gli altri, la medesima consegna di fecondità. Sulla base di tali convergenze, ma a contrario, l'uomo riceve l'ordine di dominare gli animali. Una lettura attenta mostra, inoltre, che l'introduzione della consegna di fecondità comporta una variante quando si rivolge all'Adam: «Dio disse loro», in opposizione al semplice «dicendo» (lé'rrwr) utilizzato per gli animali. Il pronome personale sta ad indicare che la parola divina si rivolge ormai ad un soggetto che sarà partner di un dialogo. Entriamo così nel registro esatto del linguaggio, che peraltro emergerà come sfida prepotente nel racconto della creazione della donna al capitolo 2. In ogni modo, rimane il fatto che «maschio e femmina» sottolinea la familiarità con il mondo animale. La questione non risolta a questo punto è quindi quella di sapere come ed a quale condizione, questa umanità composta da «maschio e femmina» potrà essere a «immagine» e «somiglianza» di Dio, ossia epifania del suo volto. In tal senso, la differenza sessuale non può essere definitivamente estranea alla questione dell'immagine. Si tratterà, però, di cogliere il modo in cui avviene il passaggio dai corpi animati e sessuati a quello che potrà essere definito come "carne di uomo" e "carne di donna". Bisognerà dunque specificare come avviene l'accesso alla carne.
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2. Genesi 2: la singolarità dell'umanità come «carne sessuata»
Il racconto di Gn 2 deve consentire di fare luce su questa questione. Sappiamo che, per molti versi, questo capitolo sviluppa alcuni elementi presenti nel capitolo 1, in particolar modo quelli relativi al rapporto uomo-donna. Si tratta ora di comprendere come questo «maschio-femmina», esposto alla singolare prossimità di Dio che esprime la menzione dell'immagine, giunge alla realtà di una "carne d'uomo" dinanzi ad una "carne di donna". Ribadiamo che, anche il mero termine discorsivo imposto dal testo ci spinge a concepire questo "carne d'uomo" e "carne di donna" sotto il segno di un divenire: Adam - maschile come femminile - necessita di un certo tempo per addivenire alla sua verità di carne sessuata. Questo comporta anche il rischio che tale passaggio non si compia o che avvenga in maniera problematica. La sfida è quindi quella di accedere alla verità finale e dunque originale, dell"'essere uomo" ed "essere donna". Per far questo, occorre ripercorrere brevemente i due interventi divini che singolarizzano l'umanità in modo decisivo in Gn 2: si tratta sia dell'episodio dell'insufflazione (v. 7) sia del racconto della creazione della donna (v. 1822). 22
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2.1 «Allora il Signore Dio modellò l'uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l'uomo divenne un essere vivente» a) Nel primo racconto della creazione, Dio aveva creato i viventi, animali e poi umani, in un atto che li manteneva distanti da sé. Questa volta, mentre è proprio l'umanità ad essere creata per prima, Egli soffia il suo spirito nel corpo dell'umano che ha appena modellato dalla polvere del terreno. I.:uomo esiste in un corpo animato dallo spirito (ruah). Egli diviene così, alla stregua di altri esseri viventi, un'anima viva (nefesh) con, in più, il privilegio molto singolare che proviene dal fatto che questa animazione si realizza mediante uno strano «bocca a bocca», una sorta di trasfusione in lui del soffio divino che segna una prossimità unica tra l'uomo e Dio. Nel commentare questo testo durante un corso tenutosi nel 1933, poi pubblicato con il titolo Creazione e caduta, D. Bonhoeffer scrive che «il corpo è la forma di esistenza dello spirito di Dio in terra» 9 • Contrariamente ai manicheismi e alle correnti gnostiche che assimilano il corpo umano ad una prigione o ad una pesantezza a cui bisognerebbe sfuggire per liberare il lato spirituale, è possibile affermare che «Dio stesso entra nella propria creatura». Pertanto, quando il 9 D. BoNHOEFFER, Creazione e caduta. Interpretazione teologica di Gen 1-3, Queriniana, Brescia 1992, 67-68 (originale tedesco: Schopfung und Fall, Theologische Auslegung von Genesis 1-3, Chr. Kaiser Verlag, Miinchen 1933).
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corpo sarà colpito dal peccato, Dio entrerà nuovamente in un corpo, nella persona del Figlio. Questa insufflazione della vita divina in un corpo di fango è l' awento di una singolarità assoluta che ci fa raggiungere la carne. b) Quest'ultima costituisce proprio l'oggetto di esplorazioni filosofiche contemporanee che consentono di comprendere meglio l'affermazione biblica. Le dobbiamo alla fenomenologia che, fin da Husserl e Merleau-Ponty1°, ha profondamente rinnovato l'approccio alla questione del corpo. Le analisi di Miche! Henry meritano qui uno spazio privilegiato, in particolare quelle contenute in I ncamazione. Una filosofia della carne 11, un'opera che si articola esplicitamente sulle parole del vangelo di Giovanni «E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), a loro volta collegate al testo della Genesi. Nel meditare l'atto dell'Incarnazione, il filosofo afferma «c'è un'equivalenza fra "farsi carne" e "farsi uomo/umano"». Lo stesso M. Henry sottolinea la necessità che il corpo obiettivo diventi carne 12 al fine di accedere alla Vita che contrasta con ciò che sarebbe soltan10 M. MERLEAU-PONTY, Phénomenologie de la perception, Gallimard, Paris 1945 (trad. ital.: Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003); ID., Le visible et l'invisible, Gallimard, Paris 1964 (trad. ital.: Il visibile e l'invisibile, Bompiani, Milano 2003). 11 M. HENRY, Incarnazione. Una filosofia della carne, SEI, Torino 2001 (originale francese: Incamation, Une philosophie de la chair, Seui!, Paris 2000). 12 Cfr. HENRY, Incarnazione .. .cit., 260.
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to il vivente 13 • Ciò si può realizzare soltanto a condizione che l'uomo sia generato, concepito dalla vita di Dio: «essendo stata la nostra vita generata nel Verbo di Dio» 14 . Pertanto, lo spirito che abita sia l'anima che il corpo è proprio l'agente di questa trasmutazione. In altri termini, l'uomo come essere umano «esiste soltanto se sostenuto da una vita che si effonde tramite lui, faccenda di lui un vivente senza che da parte sua faccia nulla, una vita che lo precede e che non è solo la sua» 15; è a questa carne che si applica in verità il concetto di «immagine» di Dio. Meditando il Prologo di Giovanni, Henry afferma che è dal Verbo che proviene ogni carne: vi è «un'appartenenza nativa della nostra carne al Verbo della Vita». Egli sfocia dunque in questa formula sconcertante: «Nel fondo della sua Notte, la nostra carne è Dio» 16 • Vediamo che al principio di questa analisi, appare la convinzione secondo cui definire l'uomo come "carne" mette sostanzialmente in gioco il suo rapporto rispetto a Dio. Si tratta di rimandare alla fonte misteriosa della sua umanità, ossia laddove «trae la forza per essere sé stesso senza nuocere all'altro», come scrive Philippe Lefebvre a cui analisi si avvicina moltissimo a quella di M. Henry scrive, ad esempio, che 13 14
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Cfr. Ibid., 274. Ibid., 266. Ibid., 195-196. Ibid., 301.
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Lo Spirito è, tra le persone divine, colui che conduce la carne al suo compimento[ ... ]. È lui che, nell'umano, in una carne sessuata maschile fa un uomo ed è sempre lui che, in una carne sessuata femminile, fa una donna17.
c) Le analisi di M. Henry illuminano anche in altri modi l' awento della realtà della carne mediante l'insufflazione di Gn 2, 7. Di fatto, il filosofo afferma che questa Vita essenziale non è mai visibile. Tale pensiero si riflette nella proposta secondo cui «L'uomo non è nulla di visibile». Così come nessuno ha mai visto Dio, allo stesso modo c'è una parte di invisibilità essenziale nell'uomo («Io sono quella carne nascosta»). Per questo motivo, se «nella verità del mondo, ogni uomo è figlio di un uomo e quindi anche di una donna», bisogna riconoscere che «nella verità della Vita, ogni uomo è figlio della Vita, vale a dire di Dio stesso». Pertanto, la verità dell'essere umano è questo invisibile del visibile. Possiamo osservare che vi è proprio consonanza con l'analisi che E. Lévinas dedica al volto, come realtà in eccesso di ogni immagine; ciò implica che l'accesso che vi si può avere è, di primo acchito, etico. Ora, è proprio questa carne nascosta che vede, che sente, che tocca e che fa sì che il sensibile sia emi17 PH. LEFEBVRE - V. DE MONTALEMBERT,
et Dieu, Cerf, Paris 2007, 13 ss.
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nentemente sensuale e che si possa parlare di una «sensualità primordiale». È proprio quest'ultima ad entrare in gioco nell'esperienza dell'incontro e poi, individualmente, nell'incontro dei corpi, poiché è proprio attraverso il corpo che abbiamo accesso all'altro. Esplorando questa realtà mediante la fenomenologia della carezza come incontro tra due carni, Henry rende percettibile ciò che entra in gioco nell'incontro, ossia toccare lo spirito nel corpo. Questo vale prevalentemente nell'incontro tra i sessi, laddove si tratta addirittura di entrare in simbiosi con la vita di un altro vivente. Esperienza dell'impossibile, commenta Henry, quindi anche esperienza dell'angoscia. Tale è il giudizio del filosofo nell'ambito di un'analisi indubbiamente drammatica, ma che restituisce tutta la sua gravità, vale a dire il suo peso, all'incontro d'amore, e che mette in luce la profondità del reale che implica la differenza sessuale. È proprio a questa profondità che deve giungere una riflessione che intenda trattare seriamente il tema dell'umanità sessuata e che rivendichi una tradizione come quella del testo biblico che sostiene l'anthropos di essere stato originariamente a contatto con il soffio di vita uscito dalla bocca dell'Altissimo. Vi è tuttavia un altro dato delle Scritture che deve ora essere interpellato. 27
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2.2 Gn 2, 18-25: il racconto della creazione della donna, o la meraviglia della differenza Per il lettore di Gn l, che ha ancora impresso nella mente il pensiero «Dio vide che era (molto) buono», il «non è bene (che l'uomo sia solo)» che appare in Gn 2, 18 impone la sorpresa di una incompiutezza nell'origine appena evocata. È richiesto un gesto divino aggiuntivo al fine di consentire l'awento di una socialità che possa sfociare nella pienezza del «molto buono». Non basta dunque che l'essere umano sia conosciuto in sé, modellato dalle mani di Dio ed animato dal soffio della sua bocca; ma deve anche essere qualificato dal suo essere ad alios, la cui prima modalità sarà il faccia a faccia dell'uomo e della donna, oggetto dello sviluppo di Gn 2, 21-25. Le sottigliezze e le ricchezze del testo sono numerose18: il tema della solitudine dell'Adam (un umano che vive sotto lo sguardo di Dio e che ha tuttavia bisogno di un aiuto), il tema della donna ezer per l'uomo (da comprendere secondo il significato biblico del termine ezer, ossia come il soccorso divino che, di fatto, strappa l' Adam dal faccia a faccia narcisista e mortifero con se stesso), motivo del sonno (tardemah) che comporta, come conseguenza, quella di dissimulare all'uo18 Ci possiamo riferire in particolare alle Catechesi di Giovanni Paolo II, ma anche alle analisi di P. BEAUCHAMP, L'un et l'autre Testarnent 2, Accomplir les Ecritures, Editions du Seui!, Paris 1990: capitolo III: i:uomo, la donna, il serpente.
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mo le origini della donna. Il gesto della presentazione della donna all'uomo nel versetto 22, suggerisce che quest'ultima dovrà essere nota come un dono di Dio. A tale dono viene associato, infine, l'avvento decisivo della parola, ordinata nel suo nascere alla celebrazione dell'altro 19 . A questo punto, il racconto biblico ci colloca in presenza di una differenza che conduce ben oltre il «maschio e femmina». La donna così creata non ha nulla a che vedere con una mera utilità biologica. In queste righe si fa proprio riferimento ali' avvento della carne. Peraltro, il termine basar che ritroviamo nei versetti 23 e 24 ha come scopo proprio quello di recare il concetto di uguaglianza nella differenza («questa volta è ... carne della mia carne») e di unità («Per questo l'uomo abbandona suo padre e sua madre e si attacca alla sua donna e i due diventano una sola carne»). Qui, l'unità evocata tra le righe di Gn l, 27 è esplicitamente posta come finalità della coppia. Se sono stati correttamente tratti gli insegnamenti della fenomenologia di cui sopra, appare chiaramente che questa unità, che passa attraverso l'unione fisica dei corpi, va anche al di là di essa20 . Il punto cruciale, però, è che la 19 Sull'importanza della parola, si veda M. BALMARY, La divine origine, Dieu n'a pas créé l'homme, Grasset, Paris 1993. 20 Possiamo osservare che Giovanni Paolo II insiste sul realismo corporale dell'unione sessuale nell'«una sola carne» (cf. catechesi del 6 febbraio 1980) in opposizione con alcune analisi come quella di Miche! Henry. Più che una contraddizione, scorgiamo qui due accenti diversi su una medesima realtà. Giovanni Paolo II parla nell'ambito
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fonte del rapporto uomo-donna appare qui chiaramente identificata, poiché il testo colloca al centro di questa realtà dei sessi, la presenza di Dio che giudica la solitudine come non buona, opera il gesto creatore che instaura la dimensione intrinsecamente relazionale dell'umanità ed infine, si fa carico della presentazione, l'uno all'altro, dei due viventi attraverso i quali si compie l' awento dell'umanità. Utilizzando il linguaggio di Michel Herny, potremmo dire che ci può essere incontro soltanto perché ogni sé trascendente vivente è nel Verbo prima di essere in se stesso. È Dio che sostiene l'incontro! Appare dunque chiaramente che l'aspetto determinante nell' awento della carne sessuata in base alla sua verità creativa è la triangolazione: Dio-Uomo-Donna. Questo è quanto espresso da P. Lefebvre nell'analisi di cui sopra, sostenendo che l'uomo e la donna non sono inizialmente definiti l'uno dall'altro, ma in riferimento a Dio, alla vita che egli dona. Sappiamo, peraltro, che la tradizione ebraica esprime da tempo questa realtà attraverso i termini utilizzati per designare l'uomo e la donna rispettivamente ish (iV'~) e isshah (i1tE~) ossia due vocaboli la cui differenza corriT
cli una tradizione che si è spesso trovata in imbarazzo nel concepire l'atto sessuale; si spende dunque nell'evidenziarne il lato positivo. M. Hemy parla invece nell'ambito di una cultura dell'erotismo che sfibra il senso e l'espressione dell'amore; si spende dunque nel ricordare la profondità invisibile di questa relazione.
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sponde appunto alle lettere che compongono il nome di Dio, YHWH. In altri termini, in base a Gn 2, la singolarità dell'umano consiste nell'essere una carne, ossia una vita ricevuta da Dio, per «una comunione delle persone». Ciò significa che l'umanità comunica già con la realtà trinitaria, come ricorda Giovanni Paolo II in una delle sue catechesi: l'uorrw è divenuto "immagine e somiglianza" di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma anche attraverso la comunione delle persone, che l'uomo e la donna formano sin dall'inizio. La funzione dell'immagine è quella di rispecchiare colui che è il modello, riprodurre il proprio prototipo. I.:uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione. Egli, infatti, è fin "da principio" non soltanto immagine in cui si rispecchia la solitudine di una Persona che regge il mondo, ma anche, ed essenzialmente, immagine di una imperscrutabile divina comunione di Persone21 .
Esperienza del limite e differenza sessuale A questo punto, è necessario dare spazio all'esperienza del limite che accompagna l'avven21 GIOVANNI PAOLO II,
Uomo e donna lo creò... cit., 59 (Catechesi
del 14 novembre 1979).
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to della carne sessuata in base allo scenario biblico dèll' origine. Se l'essere creato non è il creatore, di conseguenza non è neanche il suo stesso creatore. Questo limite e questa finitudine si esprimono in Gn 2 con le risorse del linguaggio mitico, in particolare nel modo in cui è formulato il comandamento sull'uso degli alberi del giardino. Una prima ingiunzione positiva incita, infatti, a mangiare «di tutti i frutti». Poi, un'altra parola, questa volta restrittiva, aggiunge il «tranne uno» che appone il segno del limite all'uso che l'rn;>mo potrà fare dei beni che gli sono consegnati. Ora, è proprio questa realtà del limite che si inserisce antropologicamente con il carattere sessuato dell'umanità. Né l'uomo, né la donna, da soli, possono pretendere di rappresentare l'umanità totale. Inoltre, l'appartenenza sessuale è realtà contingente, nel senso che nessuno sceglie il proprio sesso. La pretesa dell'uomo di autodeterminarsi si scontra con questo fatto: il corpo sessuato è indice assoluto della nostra finitudine. Doppia occorrenza di una ferita narcisista che può suscitare una rivolta. La lettura teologica che Dietrich Bonhoeffer opera dei primi capitoli della Genesi stabilisce uno stretto collegamento tra questa esperienza del limite ed il rapporto con l'altro sesso. Egli inizia tematizzando la questione del limite in riferimento all'albero della vita piantato «nel centro del giardino»: la vita di Adam proviene dunque dalla parte interna, centrale, ma questo centro non è se stes32
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so, commenta Bonhoeffer aggiungendo che non è ai limiti della sua esistenza, ma nel suo punto
centrale, che l'uomo prova la propria finitudine 22 • Ora, come abbiamo detto, questa finitudine non è una sanzione o una vendetta divina. È invece associata alla grazia della creazione. Ciononostante, l'uomo deve portarne il peso ed è per questo che ha il sapore di una prova. Pertanto Dio disporrà il mondo affinché l'Adam possa, non già temere o odiare questo limite, ma amarlo e viverlo in modo lieto. Egli farà in modo che questo limite sia amabile, ovvero che possa essere assunto sotto il segno della grazia. Per questa ragione, «il limite in seno al quale vive l'Adam giunge a prendere corporalmente forma», scrive D. Bonhoeffer ad indicare ciò che è in causa con la creazione della donna. Pertanto, la donna appare finalmente come soccorso, come ezer dell'uomo. Appare chiaramente che nell'ambito di questa logica, limite, vita e amore si compongono e si implicano vicendevolmente. Questo significa anche che, nel momento in cui l'amore scompare, l' essere umano può soltanto odiare il proprio limite, quindi odiare l'altro. Da qui deriva l'altra sequenza, questa volta nefasta, in cui si collegano l'odio 22 BONHOEFFER, Creazione e caduta... cit., 78. Lo stesso scrive anche, in tal senso: «Laltro costituisce il limite che Dio ha stabilito per me, limite che amo e che non supererò a causa del mio amore. [ ... ] la libertà e la condizione di creatura sono ancorate nella creazione dell'altro essere umano: nell'amore».
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verso l'altro, l'odio per se stessi e l'odio verso Dio. La meraviglia della relazione diventa così il luogo di una esperienza infernale.
2.3 L'impegno della libertà a) Gn l, 27 parlando di