Commento Al Profeta Abacuc 9782503594835, 2503594832


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Table of contents :
Introduzione
Girolamo e i profeti
Il commentario al profeta Abacuc: contenuti e forme
La presente traduzione
Bibliografia
Commento al profeta Abacuc
Prologo
Libro I
Libro II
Note al testo
Indici
Indice scritturistico
Indice delle opere antiche
Indice delle cose notevoli
Indice dei nomi antichi e moderni

Commento Al Profeta Abacuc
 9782503594835, 2503594832

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GIROLAMO DI STRIDONE COMMENTO AL PROFETA ABACUC

CORPVS CHRISTIANORVM IN TRANSLATION

38

CORPVS CHRISTIANORVM Series Latina LXXVI-LXXVIA BIS 1

S. HIERONYMI PRESBYTERI OPERA commentarii in prophetas minores COMMENTARIVS IN ABACVC

cura et studio Sincero Mantelli

TURNHOUT

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GIROLAMO DI STRIDONE Commento al profeta Abacuc

Introduzione, traduzione e note a cura di Sincero MANTELLI

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© 2022, Brepols Publishers n. v., Turnhout, Belgium. All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise without the prior permission of the publisher.

D/2022/0095/214 ISBN 978-2-503-59483-5 E-ISBN 978-2-503-59484-2 DOI 10.1484/M.CCT-EB.5.123670 ISSN 2034-6557 E-ISSN 2565-9421 Printed in the EU on acid-free paper.

SOMMARIO

Introduzione7 Girolamo e i profeti 7 Il commentario al profeta Abacuc: contenuti e forme 19 La presente traduzione 25 Bibliografia29 Commento al profeta Abacuc 49 Prologo51 Libro I 54 Libro II 98 Note al testo

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Indici173 Indice scritturistico 175 Indice delle opere antiche 179 Indice delle cose notevoli 180 Indice dei nomi antichi e moderni 190

INTRODUZIONE

A te, che hai fatto sorridere la mia tentazione e nelle mani di Dio mi hai fatto rinascere, grazie

Girolamo e i profeti La data di nascita Secondo Prospero di Aquitania Girolamo nasce nel 331 a Stridone1 e muore nel 420 all’età di ottantanove anni.2 Questa cronologia sembra suffragata dalla corrispondenza fra Girolamo e Agostino, in cui il monaco pretende di essere un vecchio rispetto al giovane vescovo: egli, infatti, si definisce un anziano nel 396, quando doveva avere sessantacinque anni, e a partire dal 400 parla della sua estrema vecchiaia.3 La notizia di Prospero viene oggi generalmente rigettata perché difficilmente armonizzabile con quanto affermato dallo stesso Piccola città fra Dalmazia e Pannonia. Prosper Aqvit., Epit. chron., 9, l. 1032. 1274. 3  Anche alcuni eventi che Girolamo ascrive alla sua infanzia sarebbero da collocare fra il 330 e il 340, anzitutto l’incontro del 338 ad Alessandria fra Atanasio, Antonio e Didimo il Cieco (Hier., Epist. 68, 2). Ma Cavallera preferisce datare questo episodio al 355 (Cavallera, Saint Jérôme, t. II, p. 4, per la questione della data di nascita p. 3-12). 1  2 

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Introduzione

Girolamo circa la morte dell’imperatore Giuliano. In un passo del nostro commentario, mentre interpreta Hab. 3, 14a, Girolamo ci lascia un ricordo della sua giovinezza in cui traspare qualcosa del rapporto fra pagani e cristiani al tempo di Giuliano:4 Quando ero ancora fanciullo (dum adhuc essem puer) e mi esercitavo alla scuola del grammatico e tutte le città erano piene del sangue delle vittime e non appena proprio nel divampare della persecuzione era stata annunciata la morte di Giuliano, elegantemente un pagano disse: ‘Come possono dire i cristiani che il loro Dio è paziente e anexikakos5 [tollerante]? Niente è più iracondo, niente più immediato di questo furore, neppure di un leggero lasso di tempo ha potuto differire la sua indignazione’. Questo egli avrebbe detto schernendo.6

Girolamo stesso, mentre coglie l’arguzia nell’argomento del pagano, che rinfaccia ai cristiani e al loro Dio di non avere nei fatti quella clemenza e misericordia che proclamano a parole, ci offre un dato assai utile per ragionare sulla data della sua nascita e scegliere quella più verisimile: 347 (o comunque nel decennio 340-350) e non 331.7 Sembra, inoltre, improbabile che suo fratello Paoliniano, che nel 394 aveva circa trent’anni, potesse essere di trentatré anni più giovane. Pertanto alla morte di Giuliano Girolamo poteva essere benissimo un allievo di scuola di sedici anni.8

Famiglia e prima educazione a Roma Poco sappiamo della sua famiglia e dei primi anni: il padre si chiama Eusebio, nome che Girolamo a volte aggiungeva al suo, e sconosciuta è l’identità della madre. Vivono nella casa paterna la Cfr Penna, Gerolamo, p. 8. Ho riportato le parole greche traslitterate sempre al caso nominativo. 6  Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 2, 3, 14-16, l. 938-945. 7  Cfr Penna, Gerolamo, p. 1-2. 8  John Kelly in ogni caso ritiene che la questione non sia chiusa. Nella corrispondenza con Agostino Girolamo insiste sulla sua vecchiaia e sicuramente Alipio, che era stato presso il monaco di Betlemme prima che lo scambio epistolare iniziasse, doveva aver testimoniato circa l’età dell’illustre esegeta. Girolamo, poi, estende la definizione di adulescens a un uomo di circa trent’anni, mentre non parla di senex per un uomo di età inferiore ai sessant’anni. Questi dati farebbero propendere per il 331 come suo anno della nascita. Kelly, Jerome, p. 337-339. 4  5 

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Introduzione

nonna,9 a lui assai cara, una zia di nome Castorina,10 una sorella e il fratello Paoliniano, entrambi molto più giovani di lui. La famiglia benestante gli garantisce un’ottima educazione e gli trasmette la fede cristiana fin dalla tenera età, tanto che Girolamo ricorda di essere stato nutrito con latte cattolico.11 Viene iscritto tra i catecumeni, ma non battezzato da bambino, cosa ampiamente praticata in quest’epoca, pensando ai turbamenti che poteva portare l’adolescenza e la giovane età. Dopo un’educazione di base comune, probabilmente nella scuola di Stridone, Girolamo, dotato di buona memoria e forse per questo notato con ambizione da parte del padre, è mandato a Roma per la sua formazione superiore insieme al compagno di giochi Bonoso. I due sono guidati dal maestro più celebrato dell’epoca, Elio Donato, che li introduce alla grammatica e alla letteratura latina, trasmettendo la padronanza della lingua classica. Il progetto educativo voleva essere enciclopedico, secondo l’ispirazione ellenistica, ma le nozioni di matematica, scienze e musica erano in realtà marginali. Virgilio, Terenzio, Sallustio e Cicerone gli autori più frequentati.

Verso la sacra Scrittura Datosi alla vita ascetica, Girolamo si interroga con angoscia circa l’opportunità per un cristiano di conoscere e amare gli autori classici e tuttavia sappiamo che, nonostante l’apodittica promessa di astenersene, continuerà a pascersi della loro bellezza e sapienza. Il riferimento è al sogno narrato da Girolamo nella lettera 22 a Eustochio.12 Siamo nel 374, anno in cui anche Agostino13 riferisce di una Hier., Adu. Rufin. 1, 30. Hier., Epist. 13. 11  Hier., Epist. 82, 2. 12  Hier., Epist. 22; Bart, ‘Conversión’, p. 89-118. Cfr Hier., Epist. 21, 13. 13  Agostino, nelle Confessioni (3,  11), racconta un sogno della madre Monica particolarmente significativo. Egli, infatti, a motivo dell’impressione negativa ricavata dalla lettura della Bibbia, assai diversa nello stile da Cicerone, si era volto ai manichei (Conf. 3, 5). Il sogno preannuncia a Monica che suo figlio starà lì dove anche lei si trova. La premonizione si compie nove anni dopo e ciò verrà narrato alla fine del libro ottavo (Conf. 8, 12): la conversione arriva mediante un’esperienza religiosa segnata dalla Scrittura, in particolare da Rom. 13, 13-14. 9 

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Introduzione

visione notturna che ha a che fare con la conversione alla Scrittura sacra:14 entrambi imparano a cogliere nel testo biblico una bellezza nuova, diversa da quella degli autori latini che li avevano formati. Nella lettera 22, scritta circa a dieci anni dalla visione notturna, Girolamo racconta come dalle lettere profane fosse giunto a dedicarsi alla Scrittura.15 Dopo aver amato Cicerone e Plauto, commediografo troppo volgare per un pio monaco, vince l’avversione per lo stile dei profeti (sermo horrebat incultus). Accolti la reprimenda e il castigo divino comminato durante il sogno, Girolamo promette di impegnarsi a leggere i testi sacri con lo stesso zelo dimostrato per quelli profani (tanto dehinc studio diuina legisse); ed effettivamente d’ora in poi egli citerà con maggiore frequenza la Bibbia, in particolare l’Antico Testamento. Il problema di Girolamo e di Agostino e di molti cristiani colti è quello di passare dalla bellezza della letteratura classica allo stile assai diverso della Bibbia: da ciò si comprende bene che la lettura del testo biblico, almeno nella fase iniziale, sia in lingua ebraica sia nelle deficitarie traduzioni latine, appaia loro come un vero e proprio esercizio ascetico. A questo punto la biografia di Girolamo ci conduce a considerare un aspetto centrale della sua formazione, la competenza linguistica, che lo porterà successivamente a decidere di intraprendere una traduzione dall’ebraico dei testi sacri. La sua opera gli costerà in vita molte critiche, compresa la recezione negativa di tale impresa da parte di Agostino;16 solo la fortuna successiva della Vulgata lo ripagherà delle tante fatiche. 14  Hier., Epist. 22, 30. Ricordando la sua scelta ascetica Girolamo usa il verbo castrare, chiara allusione a Matth. 19, 12 a indicare la sua scelta radicale di vita in Cristo e di abbandono del mondo, parzialmente oscurata – è il seguito della lettera – dalla sua fatica ad abbandonare le letture profane, mancanza che Cristo stesso gli avrebbe rimproverato nel celeberrimo sogno. La stessa espressione si legge nell’epistola 14, 6. 15  Hier., Epist. 22, 29-30. 16  Nell’epistolario intercorso fra Girolamo e Agostino il problema generale della traduzione della Scrittura e in particolare quello della versione dall’ebraico emerge diverse volte: Agostino apprezza il lavoro geronimiano di traduzione degli esegeti greci e della Bibbia dei Settanta, in particolare l’indicazione delle varianti rispetto al testo ebraico, ma vede con sospetto la traduzione dall’ebraico, data l’autorevolezza del testo greco usato nella liturgia (Avg., Epist. 28, 2 – Hier., Epist. 56: a. 394-395; Avg., Epist. 71, 3.4.6 – Hier., Epist. 104: a. 402-403; Avg., Epist.

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Introduzione

Rufino afferma che entrambi, prima della conversione alla vita ascetica, erano ignari della lingua e della letteratura greca, ma è polemico il contesto di tale affermazione.17 Possiamo pensare che Girolamo, come anche Agostino nella remota scuola del nord Africa18 e come la maggior parte degli studenti in Occidente, abbia ricevuto un’introduzione alla lingua greca, senza acquisire in questa fase una conoscenza di prim’ordine dell’idioma di Omero. Durante il suo successivo soggiorno ad Antiochia Girolamo apprenderà in modo sistematico e approfondito la lingua greca. Alla sua formazione retorica di alto livello Girolamo aggiunge, poi, quella giuridica, per poter accedere alla carriera giudiziaria. Alla filosofia, invece, si accosta con tutta probabilità solo superficialmente, cosa che si evince anche dalla sua modesta capacità argomentativa: non ha grande attitudine in questo ambito, contrariamente ad Agostino che si rivela un profondo pensatore. Ciò non manca di saltare all’occhio nell’epistolario intercorso fra i due. Anche la conoscenza dei filosofi passa a Girolamo attraverso mediatori latini: Cicerone, Bruto e Seneca. Solo a metà degli anni ’70, nel periodo trascorso ad Antiochia di Siria, potrebbe aver avuto accesso alla Isagoge di Porfirio e al commento ad Aristotele di Alessandro di Afrodisia.19 Durante gli anni romani della formazione, segnati dall’amicizia con Bonoso, Rufino, Eliodoro, tutti di rango borghese del nord Italia e della Dalmazia, e Pammachio, di una nobile e ricca famiglia romana, Girolamo costruisce anche la sua biblioteca personale: egli stesso ci dice che non se ne separò nemmeno quando scelse la vita ascetica e la portò sempre con sé durante i viaggi, sebbene dovesse essere composta perlopiù da testi classici pagani.20 Nello stesso periodo sorge in lui l’interesse per la fede cristiana, in particolare per le catacombe, dove si trovano i corpi santi dei martiri. Sappiamo che Damaso, divenuto papa nel 366 e di cui Girolamo sarà segretario, si impegna a far conoscere e restaurare questi 82, 34-35 – Hier., Epist. 116; Hier., Epist. 112, 19-20 – Avg., Epist. 75: a 404; Avg., Epist. 82, 34-35 – Hier., Epist. 116). Cfr Canellis, Préfaces, p. 199-200. 17  Rvf., Apol. c. Hier. 2, 9. 18  Avg., Conf. 1, 14, 23. 19  Moreschini, Storia, p. 350-367; Capone, ‘Stoici’, p. 435-450. 20  Hier., Epist. 22, 30.

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Introduzione

luoghi santi. Nel commento ad Ezechiele21 Girolamo ci ricorda le visite domenicali insieme ad alcuni amici alle sepolture degli apostoli e dei martiri. Proprio durante questo periodo romano decide di farsi battezzare, forse appena prima dell’elezione di Damaso nel 366. Quasi nulla sappiamo della vita di Girolamo negli anni cinquanta. Nel 372 parte per il vicino Oriente. Questo lasso di tempo è speso da Girolamo tra Treviri, la Gallia, la Dalmazia e il nord-est dell’Italia. Non sappiamo il motivo del viaggio a Treviri, ma possiamo immaginare che Girolamo e Bonoso si siano recati nella capitale per avanzare nella loro carriera.22 Proprio durante questo soggiorno Girolamo avverte la chiamata a una forma più radicale di vita cristiana.23 Nel periodo trascorso tra Stridone e Aquileia i rapporti con la famiglia sembrano piuttosto freddi, ma crescono le amicizie legate all’interesse ascetico, ad esempio la frequentazione con Cromazio, vescovo di Aquileia, la cui amicizia durerà nel tempo e al quale Girolamo dedicherà il commentario al profeta Abacuc. Questa regione, infatti, come gran parte del nord Italia, pullula di esperienze ascetiche. Ma questo tempo felice viene improvvisamente interrotto: Girolamo si dice costretto a lasciare la sua famiglia e gli asceti di Aquileia e noi possiamo solo fare congetture leggendo fra le righe delle sue lettere. Il gruppo di asceti di Aquileia, tanto cari alla memoria di Girolamo, si sfalda nel momento della sua partenza.24

Girolamo traduttore Per considerare il lavoro di Girolamo come traduttore ed esegeta dobbiamo seguire lo sviluppo del suo profilo ascetico durante il periodo trascorso ad Antiochia e nel deserto di Calcide. Il lungo viaggio (372-373), che lo porta nella grande e famosa città allora sede dell’imperatore Valente, si snoda lungo la via Egnatia, seguendo l’itinerario descritto attorno al 333 da un anonimo pellegrino di Bordeaux che si recava in Terra Santa. GiroHier., In Ezech. 12, 40, 5-13. Hier., Epist. 5, 2. Qui Girolamo trascrive per Rufino due opere di Ilario di Poitiers: il De synodis e i Tractatus super Psalmos. 23  Hier., Epist. 3, 5. 24  Hier., Epist. 16, 2; cfr anche Epist. 11 e 12. 21 

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Introduzione

lamo vede Atene e Costantinopoli, fino ad arrivare ad Antiochia sull’Oronte per essere ospitato dall’amico Evagrio. Probabilmente di questo periodo (374) è il sogno contenuto nella lettera 22, scritta dieci anni dopo e di cui abbiamo parlato sopra: il proposito espresso durante la visione notturna spinge Girolamo verso il deserto siriano, per poter seguire più radicalmente il Maestro, forse impressionato anche dall’incontro con il monaco Malco, di cui narrerà le avventure alcuni anni dopo. Abbandonata, dunque, la sua iniziale ripugnanza per la lingua della Scrittura, Girolamo prepara il suo primo commentario biblico di natura allegorica sul profeta Abdia, per noi perduto. Durante il soggiorno nel semideserto siriano (374-377 ca.) oltre a darsi a una vita di ascesi e di preghiera, Girolamo si dedica allo studio e inizia a migliorare le sue competenze linguistiche: può migliorare la conoscenza del greco parlato e del siriaco, di cui farà sfoggio nei suoi lavori di esegesi biblica. Ma ciò che caratterizza questi anni, che lo Stridonense trascorre alla scuola monastica, nata in Egitto e fiorita in Siria con i famosi stiliti, è lo studio della lingua ebraica: è il primo cristiano latino a impegnarsi in questo campo, secondo solo al grande Origene. Trent’anni più tardi ci spiega il motivo che lo spinse a dedicarsi a un lavoro tanto improbo: Quand’ero giovane, pur trovandomi protetto dalla solitudine del deserto, non riuscivo a frenare le tendenze viziose e l’ardore del mio temperamento; cercavo di domarlo con frequenti digiuni, ma il mio spirito era tutto in ebollizione per le fantasie. Per domarlo mi misi alla scuola di un fratello convertito dal giudaismo; dopo le finezze di Quintiliano, l’eloquenza di Cicerone, la gravità di Frontone e la soavità di Plinio, dovetti imparare un nuovo alfabeto e ripetere parole stridenti e aspirate. Non ti dico la faticaccia che mi costò e le difficoltà che dovetti affrontare! Ogni tanto mi disperavo, più volte mi arresi; ma poi riprendevo per l’ostinata decisione di imparare. Ne sa qualcosa la mia coscienza (so io che cosa ho patito!) e quella di coloro che vivevano con me. Ora ringrazio il Signore perché dal seme amaro di tali studi raccolgo frutti saporosi.25

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Hier., Epist. 125, 12 (trad. S. Cola).

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Introduzione

Senza essere obbligati a credere a tutti i particolari del racconto, spesso frutto dell’abilità letteraria di Girolamo, veniamo a conoscenza del suo impegno nello studio della lingua ebraica. Dalla lettera 84, 3, poi, sappiamo che il suo maestro di ebraico fu il giudeo Baranina. Oltre alla vittoria sulla tentazione, Girolamo si dà a questa impresa per poter accedere al testo veterotestamentario nella lingua originale. Tra il 376 e il 377 Girolamo viene coinvolto suo malgrado nella disputa trinitaria che stava dividendo Antiochia e il suo status di intellettuale straniero dalla lingua tagliente non favorisce la benevolenza dei monaci che stavano nei dintorni del suo eremo.26 Sul periodo che va dall’abbandono del deserto nel 376-377 al suo ritorno a Roma nel 382 non abbiamo notizie: egli esce allo scoperto e si schiera nello scisma antiocheno, seguendo Damaso e il suo patrono Evagrio di Antiochia, con Paolino, il leader del partito veteroniceno. Questo in contrasto con i monaci che lo circondavano nel deserto di Calcide e che sostenevano la teologia delle tre ipostasi di Melezio. Paolino persuade Girolamo a essere ordinato prete, anche se egli si identificherà anzitutto con la figura del monaco. Forse sempre in questo periodo Girolamo ha la possibilità di ascoltare le spiegazioni scritturistiche di Apollinare di Laodicea, anche se alcuni commentatori preferiscono anticipare il suo incontro con Girolamo al primo soggiorno antiocheno, probabilmente per risparmiare a Girolamo l’accusa di essersi formato presso un eretico.27 Possiamo dire con certezza che Girolamo trae profitto dall’ascolto di Apollinare, che gli mostra come interpretare il testo sacro alla stregua dei classici che aveva imparato a esplicare alla scuola di Donato e soprattutto apprende a leggere la Scrittura con il metodo storico-letterale tipico dell’universo antiocheno. Nel 380 Girolamo lascia Antiochia e lo ritroviamo a Costantinopoli, forse per ascoltare Gregorio di Nazianzo (dall’anno precedente si trovava nella capitale), che verosimilmente ebbe la funzione di introdurlo alla conoscenza di Origene.28 26  Cfr Cavallera, Saint Jérôme, t. I, p. 19; Courcelle, Lettres, p. 38; Jay, ‘Jérôme’, p. 36-41; Jeanjean, Saint Jérôme, p. 239-245. 27  Hier., Epist. 84, 3 (scritta nel 398). 28  Cfr Moreschini, ‘Gregorio di Nazianzo’.

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Introduzione

Nel 382 Paolino, insieme al suo protettore Epifanio di Cipro e all’amico Girolamo, si reca a Roma per avere l’appoggio di Damaso, che prende Girolamo come segretario e confidente ‘in chartis ecclesiasticis’.29 In questo frangente Girolamo intraprende una forma di apostolato presso l’aristocrazia femminile romana, in casa delle vedove Marcella e Paola, la madre di Eustochio.30 Contemporaneamente perfeziona la sua conoscenza dell’ebraico presso un rabbino, per poter istruire meglio le sue pupille nella lingua sacra. Si tratta di un momento di grande ascesa per Girolamo, tanto che si sente già l’erede designato di Damaso. Nel 384 viene eletto Siricio e l’anno successivo Girolamo se ne va accusando la città ostile e il ‘senato dei farisei’ che lo accusa per le sue amicizie femminili.31 Giunto in Palestina, Girolamo ha modo di vedere insieme a Paolino i luoghi santi. Mentre Paola porta le sue elemosine in Egitto per conoscere il monachesimo, Girolamo si abbevera alla gnosi origenista di Didimo il Cieco. Nel 386 i due creano un doppio monastero a Betlemme, mentre a Gerusalemme si installano Rufino e Melania, più legati all’origenismo egiziano e privi di riserve, diversamente da Girolamo, verso Giovanni di Gerusalemme. L’antichità a portata di mano, i giudei, la biblioteca di Origene a Cesarea: tutto è perfetto per lo studio della Scrittura. Girolamo si dedica a traduzioni, commenti e talvolta a opere agiografiche e storiche: si fa forte in lui l’esigenza di andare oltre l’allegoria e di approfondire l’ebraico grazie a eruditi giudei.32 Non mancano le polemiche. Il commentario ad Abacuc doveva essere già concluso nel 393 quando inizia la controversia origenista:33 Girolamo, infatti, per commentare l’ottavo profeta attinge Hier., Epist. 123, 9. Cfr Laurence, Monachisme féminin, p. 362; Mastrorosa, ‘Girolamo e l’ascetismo muliebre’. 31  Yves-Marie Duval ritiene che debba essere vista in una luce più chiaroscurale la decisione di Girolamo di lasciare Roma, forse meditata già prima della morte di Damaso. Tale riflessione si fonda sull’epistola al diacono Presidio di Piacenza, testo attribuito a Girolamo non con piena certezza. Hier., Epist. 18*, in PL, 30, col. 182188 (CPL 621). Duval, ‘Trois lettres’. Cfr Cain, ‘Origen’. 32  Vedi il prologo al libro dei Paralipomeni. Canellis, Préfaces, p. 348-357. 33  Cfr  Mantelli, ‘Visione’; Prinzivalli, ‘Controversia’; Simonetti, ‘Origene’. 29 

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Introduzione

abbondantemente da Origene e non teme di riferire la pericolosa interpretazione trinitaria dei Serafini di cui diremo. In realtà la condanna di Origene non impedirà a Girolamo di continuare a riferirsi alla sua esegesi, pretendendo di fronte alle accuse di Rufino di poter scindere le posizioni teologiche dell’Alessandrino dalla sua riflessione esegetica.34 Nel 395 prende avvio l’epistolario con Agostino, che dopo i conflitti iniziali, legati anche alla traduzione della Bibbia dall’ebraico, evidenzierà l’unione dei due corrispondenti contro il comune nemico Pelagio.

L’eredità di Origene e l’Hebraica ueritas Nella lettera 53 (394  ca.) Girolamo mostra il suo entusiasmo per lo studio della Scrittura e, insieme, il disprezzo per i molti dilettanti che si accingono a quest’opera senza un maestro, che egli ha trovato in Origene. Egli ricorda anzitutto al suo corrispondente Paolino di Nola, a cui si sente legato dalla comune aspirazione agli studia diuinarum Scripturarum, la necessità di farsi discepoli per poter spiegare ad altri in modo sensato il testo biblico. Il primo criterio da interiorizzare consiste nella necessità di passare da una comprensione letterale della Scrittura a una cristologica: il Messia è la chiave per capire quelle parole che senza di lui sono un semplice flatus uocis. L’eredità del maestro alessandrino viene recepita da Girolamo anzitutto nello studio dell’ebraico e nella traduzione ed elaborazione di liste di nomi geografici e personali ebraici corredati da significati etimologici, principalmente sulla scorta di Eusebio di Cesarea e di altri.35 Particolarmente interessanti le Quaestiones Hebraicae sulla Genesi, composte nel 392, che riprendono una modalità assodata di affrontare interrogativi tradizionali sul primo libro della Scrittura, ma a cui Girolamo aggiunge la chiarificazione e interpretazione di singole parole o espressioni facendo ricorso agli Hexapla di Origene. Nella prefazione alle Quaestiones in Ge34  35 

Hier., Epist. 84, 2. Liber locorum, Liber nominum, Quaestiones in Genesim.

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Introduzione

nesim si vedono le prime critiche rivolte a Girolamo per l’interesse da lui riservato al testo ebraico della Bibbia.36 Questa operazione fa progredire notevolmente la componente filologica ed erudita di Girolamo sorta alla scuola romana di Donato e ora a quella di Origene ed Eusebio: l’esito di questo grande lavoro è la versione latina dell’Antico Testamento a partire dal testo ebraico della Scrittura (393-405 ca.). Si evidenzia in lui la sensibilità filologica e letteraria, che gli fa sentire l’insufficienza delle traduzioni latine condotte sulla Bibbia dei Settanta. Detto questo, si impone una domanda che interessa direttamente anche il commentario ad Abacuc: Girolamo conosceva davvero in profondità la lingua ebraica?37 Molte volte, infatti, quando afferma di aver desunto alcune sue letture esegetiche da maestri ebrei, sappiamo che in realtà egli ha raccolto tale materiale da Origene o da Eusebio, riportando i loro testi così fedelmente da inserire addirittura il riferimento fatto da essi ai loro insegnanti giudei. Non solo non ci si può fidare di Girolamo quando dice di aver consultato uno dei suoi maestri ebrei, ma anche quando afferma di possedere un manoscritto, come ad esempio l’apocrifo di Geremia o il Dialogo di Giasone e Papisco o l’originale ebraico del vangelo di Matteo. Sulla scorta di queste considerazioni e di indizi di natura linguistica, in tempi recenti alcuni studiosi sono andati nella direzione di ridimensionare la certezza, che si aveva fino a Gustave Bardy, della notevole padronanza dell’ebraico posseduta da Girolamo: Eitan Burstein, ad esempio, rinviene nell’opera dello Stridonense gravi errori di ebraico, che lo portano a formulare il giudizio per cui Girolamo possedeva solamente una ‘conoscenza passiva’ della lingua del Vecchio Testamento. Pierre Nautin sostiene addirittura che Girolamo sapesse praticamente appena l’ebraico, per cui non sarebbe stato in grado di tradurre ma avrebbe basato la sua versione sull’edizione esaplare dei Settanta. Nautin è stato contrastato da Pierre Jay e Stefan Rebenich, che non solo hanno ricordato che la competenza di Girolamo in ebraico era stata riconosciuta in modo unanime dai suoi contemporanei, an36  37 

Hier., Hebr. quaest. in Gen. Praefatio. Cfr Leanza, ‘Gerolamo’; Opelt, ‘S. Girolamo’.

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Introduzione

che dall’acerrimo nemico Rufino, ma hanno anche messo in luce che numerose questioni affrontate nei commentari circa la lingua ebraica ne presuppongono una buona conoscenza. Si possono addurre numerosi esempi a proposito della padronanza della lingua ebraica da parte di Girolamo, anche nel commentario ad Abacuc, che presenta passaggi assai rivelatori in tal senso.38 A meno che non si tratti di una ripresa ad litteram del perduto commento origeniano, quanto rilevato prova il buon livello di conoscenza della lingua ebraica da parte di Girolamo.39 A questo si aggiunge la sua familiarità con l’esegesi rabbinica sia per tramite del suo maestro Origene, sia grazie alla frequentazione di maestri giudei:40 si riferisce ad essa con senso critico accogliendone i risultati quando gli sembrano plausibili e rigettandola in caso contrario.41 Nel nostro commentario vi sono diversi esempi,42 come l’importante interpretazione dei Serafini/Cherubini/Animali, desunta direttamente da Origene, il quale a sua volta avrebbe attinto tale esegesi dalla sapienza giudaica.43 38  Vedi Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 2, 2-4, l. 573-577; 2, 3, 3b-4, l. 213217; 2, 3, 5, l. 294-300); cfr Hier., In Os. 1, 2, 10-12, l. 210-214. Cfr anche Pennacchio, Propheta insaniens, p. 173. In riferimento a due dei passi sopra citati (1, 2, 2-4, l. 573-577, e 2, 3, 5, l. 294-300) Caterina Moro nota che in essi Girolamo fa esplicito riferimento al ricorso a diversi esemplari manoscritti evidenziando le difficoltà di lettura del testo ebraico privo di vocalizzazione: «Gerolamo si riferisce almeno una volta nella sua produzione esegetica alla differenza di lettura tra due codici ebraici, e spesso ricorre alla divinatio per ricostruire la Vorlage della traduzione dei LXX quando questa differisce dall’ebraico, specie se si tratta di facili confusioni tra lettere ebraiche simili come resh e daleth o yod e waw». Moro, ‘Traduzione’, p. 105-106. 39  Cfr Sutcliffe, ‘Hebrew’; Graves, Jerome, p. 30, 109, 154. 40  Sebbene Girolamo non faccia mai menzione del Targum, vi sono tuttavia in quello ai dodici profeti minori tradizioni giudaiche che sono state incorporate nei commentari geronimiani. Cfr Gordon, Studies, p. 25; Grätz, ‘Hagadische Elemente’; Rahmer, Hebräischen Traditionen; Stummer, ‘Targumim’; Hayward, ‘Aramaic Targumim’. Vedi anche Penna, Gerolamo, p. 172-173. 41  Cfr  Penna, Gerolamo, p.  172-173. Anche Origene, spesso con espressioni ancor più pungenti (parla di Iudaicae fabulae: Or., HEx 5, 1; HGn 3, 6; 6, 3; 13, 3), aveva messo in luce lo scarso valore o il significato poco edificante – come nel caso in questione – del commento fatto dai giudei, che si limitano all’interpretazione letterale, ricavandone per lo più notizie di carattere storico. 42  Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 2, 9-11, l. 896-902; 1, 2, 15-17, l. 1043-1057; 2, 3, 2, l. 69-71; 2, 3, 3a, l. 188-198; 2, 3, 5, l. 305-317. 43  Cfr infra. Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 2, 15-17, l. 578-593.

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In sintesi, la biografia intellettuale e spirituale di Girolamo – come spesso avviene – ne determina l’opera: il grande impegno per la traduzione dall’ebraico del testo biblico44 e per il commento di gran parte della Scrittura, in modo quasi sistematico per il corpus profetico, consegue dall’acquisizione di una grande perizia nella lingua greca e, soprattutto, in quella ebraica.

Il commentario al profeta Abacuc: contenuti e forme Datazione e dedicatario Girolamo finisce il commentario al profeta Abacuc nel 393 secondo quanto egli stesso afferma nel De uiris illustribus.45 Dedica quest’opera, come anche il commentario a Giona che vedrà la luce tre anni più tardi, all’amico Cromazio, vescovo di Aquileia dal 388 al 406-407. Il loro legame, stretto durante il soggiorno di Girolamo tra la sua città natale Stridone, Aquileia e le città vicine attorno al 373, perdura mentre Girolamo si trova a Betlemme e assume un particolare significato negli anni 393-396: Cromazio, infatti, si mantiene equidistante nello scontro che vede fronteggiarsi Girolamo e Rufino circa l’eredità e il pensiero di Origene.46

Un duplice commentario La spiegazione geronimiana dell’ottavo profeta, come per tutti i libri dell’Antico Testamento, tiene conto sia della versione greca dei Settanta sia, e questa è la novità che egli apporta, del testo ebraico che, per la prima volta tradotto in latino, viene spiegato Cfr Moro, ‘Traduzione’. Hier., Vir. ill. 135, 6. Cfr Ceresa-Gastaldo, ‘Introduzione’, p. 20. Per la cronologia dell’opera geronimiana vedi Nautin, ‘Études’. 46  «Il fatto che dei commenti più ampi, in origine promessi a Cromazio, furono dedicati ad altri, sembra dimostrare che i rapporti tra i due si siano raffreddati perché il vescovo di Aquileia non si era dimostrato ostile alle posizioni di Rufino e di Giovanni di Gerusalemme nella polemica antiorigenista e che il tentativo di riappacificazione era stato una mossa falsa»: Messina, ‘Introduzione’, p. 9-10. 44  45 

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prima di quello greco. Sicuramente Girolamo avverte la difficoltà di tenere insieme due versioni che talvolta divergono in maniera considerevole. Egli stesso confessa all’interno del nostro commentario l’imbarazzo di procedere pericolosamente fra Hebraica ueritas e versione dei Settanta, testo biblico recepito dalla chiesa intera (uulgata Scriptura): So che il testo ebraico si discosta molto da ciò che è stato detto, ma che cosa posso fare io, a cui una volta fu proposto di interpretare sia il testo ebraico che la Scrittura divulgata in tutto il mondo?47

Pur dando sempre maggior credito al testo ebraico, Girolamo commenta sistematicamente il profeta Abacuc fornendo le due versioni e le due esegesi corrispondenti: non vi è sempre convergenza fra le due spiegazioni, ma entrambe sono dotate di coerenza e vigore. Dalla Bibbia dei Settanta sgorga un commento spirituale costruito con il metodo allegorico, verosimilmente in gran parte ripreso dal perduto commentario origeniano,48 dall’ebraico un’esegesi letterale, in cui spicca il confronto con le altre traduzioni greche – conosciute grazie agli Hexapla – attraverso le quali Girolamo tenta di stabilire il testo poziore, generalmente allocato nell’ebraico.

Il commentario: forma e fonti L’esegesi del profeta Abacuc, tesa a rendere chiaro il senso spesso oscuro delle Scritture, si cristallizza per mano di Girolamo nella forma del commentario. Questo genere letterario ha una lunga tradizione sia pagana che cristiana: Girolamo fa sua la ricerca filologica e filosofica49 e si specializza soprattutto nel trattare questioni linguistiche, derivanti in particolare dal confronto fra testo ebraico e versioni esaplari. Ricerca il significato del testo partendo dalla raccolta dei pareri dei suoi predecessori (dossografia), in particolare di Origene, che è riferimento assai notabile nel commento ad Abacuc. Nell’introduzione alla nostra edizione critica abbiamo mostrato e corroborato con numerosi esempi che sovente GiHier., In Hab. (ed. Mantelli) 2, 3, 14-16, l. 980-982. Mantelli, ‘Introduzione’, p. XXX-LXIX. 49  Bendinelli, Commentario, p. 1. 47  48 

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rolamo, senza mai nominarlo, riporta interpretazioni provenienti dal perduto commento origeniano.50 La consistenza della nostra affermazione poggia sulla ricerca all’interno dell’opera dell’Alessandrino di interpretazioni identiche o simili a quelle che troviamo nel commento geronimiano. Presupponendo che Origene abbia ripetuto per uno stesso testo biblico, anche in altre opere, la medesima interpretazione, possiamo affermare che in molti punti Girolamo ha ripreso dal commentario del suo maestro molte delle esegesi che riporta. Su una in particolare ci siamo soffermati, anzitutto perché siamo stati in grado di migliorare notevolmente la comprensione del testo grazie alla ricerca sui manoscritti, ma anche perché si tratta di una famosa esegesi origeniana, reiterata moltissime volte negli scritti dell’Alessandrino.51 Parliamo della visione di Isaia (6, 2), del trono e dei due Serafini che lo circondano, e che Origene connette, con lo stesso significato, ai Cherubini che stanno ai lati dell’arca (Ex. 25, 19) e ai due animali, tra i quali il Signore è riconosciuto, del profeta Abacuc (3, 2), interpretando i tre testi in senso trinitario.52 Ma l’Alessandrino non è l’unica fonte da cui Girolamo attinge per il suo lavoro esegetico. Abbiamo già parlato dell’esegesi giudaica cui più volte egli si riferisce in modo esplicito. Ciò che più determina l’evoluzione dello Stridonense è, come abbiamo ricordato a proposito del suo percorso biografico, la conoscenza dell’esegesi letterale durante il suo soggiorno ad Antiochia. Gli albori del Ma nel prologo al commentario a Michea ammette la sua dipendenza dalla voluminosa opera di Origene sui profeti minori: Hier., In Mich., Prol. Tra i commentatori del profeta Abacuc anche Cirillo di Alessandria potrebbe aver attinto dall’opera origeniana o più verosimilmente proprio dal commento di Girolamo. Cfr Abel, ‘Parallélisme’. 51  Cfr Mantelli, ‘Visione’. 52  L’interpretazione trinitaria dei Serafini/Cherubini/Animali espone Girolamo all’accusa di eresia. Infatti questa esegesi propone il pensiero teologico origeniano in un punto particolarmente sensibile alla fine del IV secolo. La crisi ariana ha messo al bando ogni interpretazione che veda il Figlio e lo Spirito Santo in una posizione subordinata. A riprova di ciò, nel VI secolo, Giustiniano definirà l’interpretazione dei Serafini un punto qualificante dell’eresia di Origene (Iustinian., Epist. ad Mennam, col. 528). Girolamo non smetterà di guardare a Origene e alla sua esegesi, ma si distaccherà pubblicamente dal suo pensiero teologico a partire dal 396, condannando alcuni errori attribuiti al maestro alessandrino. Clark, Origenist Controversy, p. 127. 50 

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commento scritturistico geronimiano sono segnati, con il perduto commento ad Abdia, da un orientamento decisamente allegorico che egli stesso più tardi biasimerà: l’incontro con l’historica intellegentia di matrice antiochena amplierà la sua visione del testo biblico e della sua interpretazione. Girolamo concepirà – principio teorico condiviso peraltro anche da Origene – la necessità assoluta dell’interpretazione letterale, anche come fondamento di una ulteriore esegesi allegorica. Il commento spirituale, infatti, non è per nulla abbandonato da Girolamo, che talvolta vede l’insufficienza dell’approccio letterale (uilitas litterae),53 ma comprende che il senso più profondo o più alto del testo può reggere solo sull’umile fondamento della lettera, cioè della historia.54 Oltre a questi riferimenti principali Girolamo arricchisce il suo commento attingendo da altre fonti,55 per sua stessa ammissione,56 sovente traendole dal bagaglio della sua formazione scolastica. Anzitutto dagli autori latini, in particolare Virgilio,57 Cicerone e Sallustio esplicitamente citati nel nostro commentario,58 ma anche, attraverso allusioni oppure senza menzionare la fonte, dalla letteratura greca sia giudaica (Flavio Giuseppe, Filone) che pagana (Erodoto, la Ciropedia di Senofonte). Gli autori che conosce per averli letti oppure attraverso la mediazione di scrittori ecclesiastici59 sia greci che latini gli forniscono soprattutto conoscenze storiche, o naturalistiche, utili a indagare fatti o fenomeni menzionati dalla Scrittura e di difficile spiegazione, ad esempio nel nostro commentario la figura storica di Nabucodonosor.60 Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 1, 6-11, l. 284-291. Cfr Vaccari, ‘Fattori’, p. 468. 54  Hier., Vir. ill. 90-91. Cfr Vaccari, ‘Fattori’, p. 468-469. 55  Mantelli, ‘Introduzione’, p. XXVII-XXX. 56  «Opiniones in expositione uarias persequi»: Hier., Adu. Rufin. 3, 11, l. 9-11. Cfr Raspanti, ‘Introduzione’, p. XI. 57  Hier., In Hab. (ed. Mantelli) Prol. l. 36-37: Verg., Aen. 10, 640; In Hab. 1, 2, 19-20, l. 1233-1235: Verg., Aen. 6, 726-727. Quest’ultimo verso virgiliano è molto usato da Girolamo: Hier., In Is. 16, 57, 16, l. 29-30; In Ezech. 12, 40, 32-34, l. 907908; In Eph. 2, 4, col. 529; In Eccle. 1, 6, l. 170-171. Cfr Lübeck, Hieronymus, p. 186. 58  Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 2, 9-11, l. 353-361. Per la ricostruzione della reliquia di Sallustio (Hist. fr. II, 64 M) cfr Mantelli, ‘Sallustio’. 59  Courcelle, Lettres, p. 75-78. 60  Mantelli, ‘Introduzione’, p. XXVII-XXIX. 53 

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Il significato del libro di Abacuc: esegesi della teodicea Sovente il commentario classico e cristiano manca di unitarietà esegetica:61 la spiegazione dei lemmi in cui è frazionato il testo fa perdere la coerenza interpretativa dell’insieme e talvolta anche il legame contestuale con quanto precede e segue. Il commentario ad Abacuc al contrario si segnala per la peculiare capacità di Girolamo di estrarre dal testo un significato fondamentale, che accompagna tutto lo sviluppo del libro biblico. Sicuramente non mancano spiegazioni che si riferiscono in maniera esclusiva a singole pericopi, ma nel complesso tutto il testo può essere inanellato in un’unica catena. Girolamo stesso ricorda esplicitamente questa necessità in una glossa con cui valuta lo scarso valore di un’interpretazione che gli appare non condivisibile, perché incapace di mantenere la consequenzialità logica insita nel testo profetico: ‘ma non so se riescano a conservare il filo (ordinem seruare) della questione e della soluzione del profeta’.62 A questo si aggiungono brevi sintesi del senso complessivo del profeta Abacuc che Girolamo dissemina lungo il testo: questi riassunti sono molto utili a tenere il lettore legato al contesto dell’intero libro.63 Un elemento formale ci fa procedere senza dubbi su questa strada. Girolamo riprende con un’inclusione il versetto iniziale del profeta nel prologo e alla fine dell’opera e lo ripete anche all’inizio del secondo libro:64 la domanda, o meglio l’accusa che il profeta rivolge a Dio, costituisce il tema centrale di tutto il libro profetico. Girolamo commenta attentamente ogni lemma del testo, affrontando anche questioni molto particolari, ma non dimentica mai l’intento dell’opera, cioè rispondere alla domanda circa la possibilità di contemperare in Dio e nella sua azione verso gli uomini la giustizia e la bontà. Se Dio è buono, perché manda castighi ai Marrou, Agostino, ed. orig. p. 25. Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 2, 5-8, l. 805-806. Vedi anche 1, 2, 9-11, l. 905-906; l. 908-909. 63  Ibidem, 1, 1, 12, l. 300-306; 1, 2, 1, l. 525-535; 1, 2, 15-17, l. 1158-1165. 64  Questo testo, citato non sempre allo stesso modo, ma con piccole variazioni, ricorre all’inizio (Ibidem, Prol. l. 27-30), nel primo lemma del libro secondo (2, 3, 1, l. 17-18) e alla fine (2, 3, 18-19, l. 1230-1231). 61 

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suoi servi? ‘Fino a quando, Signore, chiamerò a gran voce e non mi esaudirai? Griderò a te, soffrendo violenza, e non mi salverai? Perché mi hai mostrato l’iniquità e il dolore, mi hai fatto vedere il furto e l’ingiustizia contro di me?’65 Si tratta evidentemente del tema della teodicea: perché, se Dio è buono, permette l’ingiustizia e la sopraffazione? Questa domanda accompagna sia il commento letterale che quello allegorico. Girolamo sviluppa due linee interpretative parallele: Dio permette alle forze del male di scatenarsi (Nabucodonosor e i Caldei secondo la lettera; il diavolo e i demoni, l’Anticristo e gli eretici secondo il senso spirituale), perché il popolo possa abbandonare il peccato e convertirsi. Alla fine anche i malvagi, che parevano avere piena libertà d’azione, verranno sconfitti e puniti da Dio. Un punto qualificante del commento di Girolamo è la coerenza interpretativa, che egli riesce a stabilire anche fra l’esegesi dei primi due capitoli e il terzo, il cosiddetto cantico di Abacuc, che ha la forma di un salmo. I suoi predecessori, notando una certa estraneità fra la vicenda storica dell’oppressione di Nabucodonosor (cap. 1-2) e il cantico, avevano dato di quest’ultimo testo una lettura cristologica indipendente dall’interpretazione della prima parte.66 Girolamo, invece, riesce a congiungere nella sua esegesi anche quest’ultima parte (che verosimilmente risulta aggiunta da un redattore al testo profetico), anticipando e applicando il senso cristologico anche ai primi due capitoli grazie a inserti in cui annuncia proletticamente la venuta di Cristo. Questa lettura, si badi, non è riferita solo al testo dei Settanta, ma anche a quello ebraico: Dato che ciò è stato promesso riguardo alla venuta di Cristo o, secondo l’opinione di alcuni, riguardo alla fine della visione o al compimento dell’aiuto di Dio, ne segue che colui che avrà creduto alla sua venuta, vivrà di questa fede, mentre colui che sarà incredulo, non piacerà all’anima del Signore, Nabucodonosor, re di Babilonia, sarà tratto in inganno dalla sua superbia.67 Hab. 1, 2-3. Duval, ‘Sens des Prophètes’, p. 15-16. 67  Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 1, 2, 5-8, l. 707-711. Vedi anche 2, 3, 3b-4, l. 217-233. 65  66 

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A ben vedere, sia la coerenza interpretativa di un’opera (akolouthia; consequentia) che il tema della teodicea sono questioni care a Origene: Girolamo potrebbe aver trovato e ripreso entrambi questi tratti nel perduto commentario dell’Alessandrino oppure averli sviluppati a partire da riflessioni che si trovano nella sua opera. Anche Gregorio di Nazianzo, che Girolamo aveva avuto modo di ascoltare a Costantinopoli, sviluppa l’idea dell’akolouthia e ne fa un principio fondante della sua esegesi.68 Pur dipendente da Origene e legato a numerose altre fonti, Girolamo non ci appare solo come un compilatore, ma grazie al suo eclettismo riesce a dare al suo commentario una forma originale. La doppia interpretazione derivante dal testo greco e, cosa nuova, da quello ebraico con una duplice intonazione esegetica, la preminenza data al senso letterale (historia)69 e, soprattutto, la consequenzialità nell’interpretare l’intero libro biblico ci danno la misura della capacità linguistica di Girolamo, della sua perizia interpretativa e della sua abilità nel fondere insieme diversi apporti: tutti elementi che fanno di lui un valente interprete del testo scritturistico.

La presente traduzione Edizioni e traduzioni Riferimento primario70 per gli editori che si sono cimentati con il commentario geronimiano ad Abacuc è stata l’edizione di Erasmo da Rotterdam.71 Si sono susseguiti Mariano Vittori,72 Jean Daniélou, ‘Akolouthia’. Hier., In Hab. 1, 1, 6-11, l. 288: «La storia è rigida e non offre la possibilità di divagazioni». 70  Mantelli, ‘Introduzione’, p. LXIX-LXXXV, XCII. 71  Sextus tomus operum diui Hieronymi commentarios in duodecim prophetas quos minores uocant iuxta utranque translationem continet, Basileae, 1516. 72  Tomus quintus operum Diui Hieronymi a Mariano Victorio Reatino, canonico, et sacrae theologiae professore, ad fidem antiquissimorum exemplarium, trecentis et amplius sublatis erroribus, emendatus, continens Ecclesiasten, et duodecim Prophetas Minores, Romae, 1571. 68 

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Martianay73 e infine Domenico Vallarsi, la cui opera verrà ripresa nella Patrologia latina di Migne.74 Non rappresenta un consistente passo in avanti nella costituzione del testo l’edizione più recente del commentario al profeta Abacuc edita da Marc Adriaen, condotta sulla base della collazione di un solo nuovo manoscritto, il Paris, Bibliothèque Nationale, Lat. 1836 del sec. IX, con la ripresa in apparato di numerose lezioni tratte da Vallarsi e dai suoi predecessori.75 Lo studio della tradizione manoscritta, condotto in vista della nostra edizione critica, ha permesso di mettere in luce il significativo lavoro di emendazione apportato da Erasmo,76 il quale senza darne conto – secondo il suo costume – ha spesso corretto il testo, addirittura ampliandolo con l’inserimento di un inciso.77 Ci ha soccorso in questa ricerca la scoperta di un incunabolo che precede di poco l’edizione erasmiana e che presenta lezioni coerenti con un ramo della tradizione manoscritta, mentre mancano totalmente alcune innovazioni testuali, che a questo punto sono da attribuire alla mano del grande umanista.78 Per quanto concerne le traduzioni nelle lingue moderne siamo a conoscenza anzitutto di una versione in lingua spagnola: Comentario a Habacuc, in San Jerónimo, Obras completas, 3.b. Comentarios a los Profetas Menores – ed. A. Domínguez García, Sancti Eusebii Hieronymi Stridonensis presbyteri operum tomus tertius complectens commentarios in sexdecim prophetas maiores atque minores restitutos ad fidem manuscriptorum codicum uetustissimorum, studio ac labore domni Johannis Martianay presbyteri congregationis S. Mauri, Sancti Hieronymi operum tomus tertius, Parisiis, 1704. 74  Sancti Eusebii Hieronymi Stridonensis presbyteri operum tomus sextus … studio et labore Dominici Vallarsi, Veronae 1736. 75  S. Hieronymi presbyteri opera, Commentarii in prophetas minores, post Dominicum Vallarsi textum edendum curauit M. Adriaen (Corpus Christianorum Series Latina, 76 A), Turnhout, 1969. 76  Mantelli, ‘Scarabaeus’. 77  Hier., In Hab., 1, 2, 9-11, l. 889 (vd. apparato critico). 78  Hieronymvs, Commentaria in Bibliam, II, Venetiis, per Ioannem et Gregorium de Gregoriis, 1498, s.n.p. Abbiamo visionato l’esemplare posseduto dalla Biblioteca Casanatense di Roma (Vol. Inc. 1903). Le notizie bibliografiche relative a questo incunabolo sono tratte dal catalogo della suddetta biblioteca e dal dorso della stampa in cui si dice: Sancti Hieronym(i) | in librum | XII | prophetar(um) | 1498. 73 

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Madrid, 2003, Madrid, 2003, p. 105-253. Nel 2012 Marco Tullio Messina ha curato la prima traduzione in lingua italiana (Girolamo, Commenti ad Abacuc e Abdia, Roma) basandosi sull’edizione di Adriaen e facendo talvolta riferimento anche a quelle di Martianay e Vallarsi.

La presente traduzione La traduzione che presentiamo in questo volume è condotta sul testo della nostra edizione critica: Hieronymvs, Commentarius in Abacuc – ed. S. Mantelli (Corpus Christianorum Series Latina, 76-76 A bis), Turnhout, 2018, che presenta un testo emendato in molti punti rispetto alle edizioni precedenti.79 La traduzione del commentario presenta alcune difficoltà – di cui riferiamo puntualmente nelle note al testo –, legate alla resa di alcuni termini tecnici o dal significato particolarmente complesso nell’opera geronimiana. Qui ci limitiamo a commentare in modo generale l’uso della lingua nel corso del commentario. Secondo il costume antico, infatti, il commentario deve brillare soprattutto per la chiarezza (perspicuitas), che ne costituisce l’ornamento retorico principale.80 Girolamo sicuramente si attiene a questa massima nel portare avanti l’esegesi di Abacuc: la spiegazione, carica di informazioni, non eccede mai l’ambito di un neutro discorso esplicativo, a parte alcune auersiones in cui si rivolge al lettore e palesa impressioni, difficoltà e desideri personali.81 A parte queste eccezioni, Girolamo si attiene alle regole del grammatico sul commentario e il suo stile risulta chiaro e lineare. Detto questo, la resa in italiano non è sempre così semplice, dal momento che le questioni trattate, soprattutto quelle lessicografiche, necessitano dell’uso stringente di termini la cui traduzione Mantelli, ‘Introduzione’, p. LXIX-LXXXV. Qvint., Instit. or. 2, 3, 8. Cfr Avg., Doctr. christ. 4, 8, 22. 81  Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 2, 3, 3a, l. 176-182. Un altro esempio dello stesso fenomeno si trova in 2, 3, 14-16, l. 1009-1014. Si tratta con tutta probabilità di un relitto origeniano. Cfr Or., Prin. 4, 3, 14. Vedi anche Bendinelli, Commentario, p. 49-78. 79 

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offusca la peculiarità semantica di cui il commentatore sta ragionando. Un esempio: Infatti non ha dato frutto il fico, da cui è venuto nel vangelo il Signore affamato e non ha trovato in esso frutti e lo ha maledetto, dicendo: non darai frutto nel secolo. E considera attentamente che cosa ha detto: non darai frutto nel secolo. Non dice ‘nei secoli dei secoli’, ma quando sarà trascorso questo secolo e saranno entrate tutte quante le nazioni, allora anche questo fico darà i suoi frutti e tutto Israele sarà salvato.82

L’espressione (usque) in saeculum avrebbe trovato una traduzione efficace nel sintagma in eterno, ma la riflessione di natura ‘cronologica’ che Girolamo fa seguire ci suggerisce di preferire l’uso del termine ‘secolo’. Senza questo lessema, che mantiene in italiano una certa ambiguità, non si capirebbe la spiegazione successiva che distingue fra un lasso temporale mondano (in saeculum) e uno ultramondano (in saecula saeculorum). Questa distinzione risulta della massima importanza dal momento che affonda le sue radici nella riflessione origeniana e ha avuto grande sviluppo sulla scia della controversia ariana.83 Per quanto concerne la presentazione del testo abbiamo messo in evidenza la versione dall’ebraico tramite il maiuscoletto, in modo da distinguerla dalla contigua versione dal greco in corsivo. Per le parole ebraiche riportate da Girolamo nel commentario, anch’esse in maiuscoletto, abbiamo dato in nota la traslitterazione.

82  83 

Cfr testo originale in Hier., In Hab. (ed. Mantelli) 2, 3, 17, l. 1083-1087. Voce Tempo, in Monaci Castagno, Origene, p. 457-459. Curzel, ‘Secoli’.

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BIBLIOGRAFIA

Questo elenco bibliografico riporta gli strumenti, le edizioni e gli studi citati nel presente lavoro o utilizzati nella ricerca. All’indicazione bibliografica completa viene premessa la forma abbreviata con cui sono menzionati nel corso del volume. Abbiamo preso le abbreviazioni dei nomi degli autori antichi e delle loro opere da Thesaurus linguae Latinae, Leipzig, 1900-; A Patristic Greek Lexicon – ed. G. W. H. Lampe, Oxford – New York, 1961-1968; A Greek-English Lexicon – ed. H.  G. Liddell, R.  Scott, Oxford, 1996; per quanto concerne l’opera di Origene da Monaci Castagno, Origene e per gli autori medievali dall’Index Scriptorum Mediae Latinitatis – ed. E. Munksgaard, Copenhagen, 1957. Le opere antiche vengono citate indicando il libro, il capitolo, il paragrafo ed, eventualmente, la linea con numeri arabi.

Strumenti Biblia Sacra iuxta Vulgatam uersionem, adiuuantibus B. Fischer, I. Gribomont, H. F. D. Sparks, W. Thiele. Recensuit et breui apparatu critico instruxit R. Weber. Editionem quartam emendatam cum sociis B. Fischer, H.  I. Frede, H.  F.  D. Sparks, W.  Thiele preparauit R.  Gryson, Stuttgart, 19944 (19691). CPL = Clauis Patrum Latinorum qua in Corpus Christianorum edendum optimas quasque scriptorum recensiones a Tertulliano ad Bedam commo-

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COMMENTO AL PROFETA ABACUC

PROLOGO

In primo luogo, o Cromazio, il più dotto tra i vescovi, noi dobbiamo sapere che tra i greci e i latini il nome del profeta in modo erroneo suona Ambacum,a che tra gli ebrei si dice Abacuc e si interpreta ‘abbraccio’ ovvero perilēpsis, cioè ‘abbracciamento’, per tradurlo in greco in modo più significativo.1 Poi dove i Settanta traduttori e Simmaco e Teodozione hanno tradotto lēmma, cioè guadagno, il testo ebraico dice massa,b che Aquila traduce con peso: a questo riguardo nel commento al profeta Naum abbiamo più ampiamente discusso.c Massa, infatti, non è mai riportato nel titolo, se non quando l’oggetto della visione è grave e pesante. Di conseguenza anche la presente profezia deve comportare una notevole austerità perché come in Naum il peso, oggetto della visione contro Ninive, città degli Assiri, era grave, così anche in questo libro si cerchi per chi sia il peso rivelato alla vista del profeta. Ci sono, d’altra parte, quattro profeti nel libro dei dodici profeti,2 dei quali tre hanno all’inizio come titolo lēmma, cioè peso: Naum, Abacuc e Malachia. Zaccaria, poi, pone due titoli del genere nel mezzo e verso la fine, di cui uno è: Peso della parola del Signore nella terra di Adrach e di Damasco, suo luogo di riposo (Zach. 9, 1); l’altro alla fine: Peso della parola del Signore riguardo a Israele (Zach. 12, 1). Riguardo a Naum, grazie alle tue preghiere, il libro è a  Effettivamente sia la versione greca dei Settanta, sia le traduzioni latine da essa derivate ci testimoniano questo nome: Αμβακουμ; Ambacuc (Sabatier). b  TM: maśśā’. c  Hier., In Nah., Prol. l. 22-26.

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Prologo

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già pubblicato; riguardo a Zaccaria e Malachia, se avrò vita, avremo modo di parlare.3 Ora abbiamo tra le mani Abacuc, che, o per il fatto che è amabile al Signore è chiamato ‘abbracciamento’, o perché si confronta con Dio per sfidarlo, lottare e – per così dire – metterlo alle strette, gli è toccato il nome di ‘colui che abbraccia’, vale a dire di ‘lottatore’. Nessuno, infatti, ha osato con tanta audacia provocare Dio a un dibattito sulla giustizia e dirgli: Perché nelle cose umane e nella politeia [ordinamento] di questo mondo si trova un’iniquità tanto grande? Griderò a te, perché soffro violenza, e non mi salverai? Perché mi hai messo davanti agli occhi iniquità e sofferenza? La legge è stata lacerata e il giudizio non è giunto a buon fine, poiché l’empio prevale sul giusto: pertanto ne vien fuori un giudizio distorto (Hab. 1, 2b-4). Ti rendi conto che è cosa temeraria e in certo senso blasfema chiamare in giudizio il proprio creatore e discutere sul perché sia avvenuto in un modo o in un altro? È come se un fragile vaso contestasse il suo vasaio. Parimenti occorre considerare che ‘guadagno’ o ‘peso’, che già abbiamo detto essere cose gravi, sono la visione del profeta: contro l’opinione perversa di Montano4 egli comprende ciò che vede, né parla come un dissennato, né, come fanno donne dissennate, proferisce parole senza riflessione.a Donde anche l’apostolo comanda che, se, mentre alcuni profetizzano, un altro riceve una rivelazione, tacciano coloro che prima parlavano. E subito aggiunge: non è, infatti, un Dio di discordia, ma di pace (I Cor. 14, 33). Da ciò si comprende che, quando uno tace volontariamente e dà spazio a un altro perché prenda la parola, può parlare e tacere quando voglia. Invece chi è in estasi, ossia chi parla a prescindere dalla sua volontà, non ha in suo potere né il tacere né il parlare.5 Impara anche questo – tu infatti estorci da me una volta per tutte l’interpretazione storica per te nel tuo sforzo di salire gradini e scale verso l’altob – che la profezia è rivolta contro Babilonia e contro Nabucodonosor, re dei Caldei. Come il profeta prea  Si tratta di una citazione virgiliana implicita (Verg., Aen. 10, 640: dat sine mente sonum), utilizzata da Girolamo anche in Adu. Iouin., 1, 2. Cfr Lübeck, Hieronymus, p. 189. b  Historia è termine usuale in Origene per indicare il senso letterale: fa parte di una lettura della Scrittura debitrice di una concezione platonica del reale, per cui

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Prologo

cedente, Naum, a cui segue Abacuc, ha vaticinato contro Ninive e gli Assiri, che hanno distrutto le dieci tribù dette Israele, così Abacuc profetizza contro Babilonia e Nabucodonosor, dai quali erano stati sovvertiti Giuda, Gerusalemme e il tempio.6 E perché tu apprenda che Abacuc visse nel tempo in cui le due tribù, denominate Giuda, erano già state condotte in prigionia, potrebbe istruirti Daniele, al quale Abacuc fu inviato con il pranzo nella fossa dei leoni, per quanto tra gli ebrei non si legga proprio questa storia.7 Pertanto sia che uno recepisca o meno quel testo come Scrittura, in realtà l’una e l’altra posizione è in nostro favore. Difatti uno la riceve, e allora il libro di Abacuc è una stesura a seguito degli avvenimenti, oppure non la recepisce, e allora l’autore da profeta mette per iscritto gli eventi futuri di cui è a conoscenza.8

l’esegeta deve compiere una navigazione dalla terra al cielo, cioè dal senso letterale a quello spirituale (Simonetti, Lettera, p. 80 nota 46). Cfr Jay, ‘Vocabulaire’.

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LIBRO I

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Fino a quando, Signore, alzerò la voce e non mi esaudirai? Griderò a te, soffrendo violenza, e non mi salverai? Perché mi hai mostrato l’iniquità e il dolore, mi hai fatto vedere il furto e l’ingiustizia contro di me? I Settanta: Fino a quando, Signore, alzerò la voce e non mi esaudirai? Griderò a te, soffrendo violenza, e non mi salverai? Perché mi hai mostrato fatiche e dolori, mi hai fatto vedere la miseria e l’empietà? In un primo momento, secondo la lettera, il profeta chiama in causa Dio, perché Nabucodonosor distrugge il tempio e Giuda, perché Gerusalemme, un tempo città del Signore, è distrutta, perché il popolo grida e non è esaudito, leva la sua voce al Signore, oppresso dai Caldei, e non è salvato, per quale motivo anche il profeta in quanto tale – o il popolo che il profeta impersona quando parlaa – sia vissuto fino a questo momento e si sia condotto fino al punto da vedere l’iniquità dei nemici e la propria tribolazione, perché l’ingiustizia ha la meglio contro di lui.9 Dice questo a motivo della sua limitata comprensione, ignorando che l’oro si fonde nel fuoco e che i tre fanciulli uscirono dalla fornace più puri di quando vi erano entrati.10 Ma possiamo anche interpretare in Nel termine persona ritroviamo un procedimento caro all’antichità, mutuato dall’ambiente teatrale. Colui che parla, come il personaggio che recita un copione, è il portavoce del pensiero di un altro. Non si tratta solamente di una perifrasi per dire che il profeta parla a nome del popolo, ma in senso più forte, che il popolo prende possesso del suo portavoce, attraverso il quale espone il proprio pensiero. Cfr Duval, ‘Introduction’, p. 65-67; Schade, Inspirationslehre, p. 39; Villani, ‘Prosopopoiie’. a 

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1, 2-3.

Libro I

modo generale nel senso che il profeta, impersonando l’impazienza umana, veda i peccatori nell’abbondanza e nel possesso di ricchezze in questo mondo, i loro figli nella loro giovinezza come virgulti appena piantati e le figlie adornate come il tempio addobbato, le loro cantine piene, traboccanti di ricchezza in ricchezza, le pecore feconde e che si sono moltiplicate nelle loro vie, e il resto che è descritto più ampiamente nel salmo centoquarantatreesimo, emetta una voce di lamento intrisa di dolore: perché volgi lo sguardo su chi prende a spregio e taci mentre l’empio calpesta chi è più giusto di lui? E renderai gli uomini come pesci del mare o come rettili che non hanno guida? Qualcosa del genere leggiamo anche nel salmo settantaduesimo: Per poco non hanno inciampato i miei piedi, per un nulla hanno vacillato i miei passi, perché mi sono risentito per gli iniqui, al vedere la pace di cui godono i peccatori (Ps. 72, 2-3 LXX). E di nuovo nel medesimo salmo: C’è forse conoscenza nell’Altissimo? Ecco codesti peccatori e coloro che hanno in abbondanza nel mondo vennero in possesso di ricchezze: invano dunque ho reso giusto il mio cuore e ho lavato le mie mani tra gli innocenti (Ps. 72, 11b-13 LXX). Sono queste le parole di coloro che ignorano gli imperscrutabili giudizi di Dio e la profondità di ricchezze di sapienza e di scienza, poiché non così vede Dio come vede l’uomo. L’uomo considera solo le realtà presenti, Dio conosce le future ed eterne. E se un malato febbricitante chiedesse dell’acqua fresca e dicesse al medico: Soffro violentemente, sono tormentato, brucio, sono sfinito, fino a quando, medico, griderò e non mi risponderai? Gli risponderebbe il più sapiente e il più clemente dei medici: conosco il tempo in cui dovrò darti ciò che chiedi, non ho pietà di te ora, perché questa misericordia è crudeltà e la tua volontà è contro di te. Così anche il Signore nostro, conoscendo i pesi e le misure della sua clemenza, talora non esaudisce chi grida, per metterlo alla prova e anzi per incitarlo a chiedere e renderlo più puro e più giusto, come purificato nel fuoco. Comprendendo questo, per il fatto di aver ottenuto misericordia dal Signore, l’apostolo dice: non veniamo meno nelle tribolazioni (Eph. 3, 13), e benedice Dio in ogni circostanza e sa che colui che avrà perseverato fino alla fine sarà salvato (Matth. 10, 22). E si vanta nella sofferenza e nel dolore. E con Geremia dice: invocherò tribolazione e miseria (Ier. 20,  8

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LXX). Al punto che, come un altro invoca Dio, così l’uomo santo e combattente invitto sente il bisogno che sopraggiungano tribolazione e miseria per allenarsi e dar prova di sé. E ha avuto luogo un processo e il contraddittorio è stato assai forte. Per questo la legge è stata lacerata e il giudizio non è giunto a buon fine, poiché l’empio prevale sul giusto: pertanto ne vien fuori un giudizio distorto. I Settanta: Contro di me ha avuto luogo un giudizio e il giudice fa favoritismi.a Per questo la legge è stata lacerata e il giudizio non è giunto a buon fine, poiché l’empio prevale sul giusto. Per questo ne deriverà un giudizio distorto. Ancora il profeta, o il popolo, parla al Signore, perché a suo parere sarebbe stata emessa da Dio una sentenza contro di lui non fondata sulla verità ma sulla forza e di ciò che egli aveva dovuto sopportare nulla derivava da una giusta legge. Ragion per cui neppure quel giudizio avrebbe avuto il suo compimento. Ora, la pienezza di un giudizio è il giudicare con giustizia. E perché mai osi parlare in tal modo, lo mostra nelle parole seguenti, dicendo che, siccome Nabucodonosor empio aveva avuto la meglio contro Giuda giusto, era anche questo il motivo per cui aveva detto che il giudizio non aveva raggiunto la sua ragion d’essere, perché secondo lui era cosa iniqua e distorta che Giosia, re giusto, sia trucidato dal re d’Egitto, che Daniele, Anania, Misaele e Azaria siano fatti schiavi e abbia il comando l’imperatore di Babilonia e Baltasar tra le sue meretrici e concubine beva nelle coppe di Dio.b È questo che il profeta dice nella condizione dei suoi tempi. Poiché per una volta l’hai voluto, Alla lettera ‘riceve’ (LXX: lambanei), nel senso di ricevere regali e quindi di giudicare in modo non imparziale. Questa non è l’unica interpretazione. Si può, infatti, completare il verbo con altri complementi sottintesi, sicché il senso può risultare, oltre che ‘accettare regali’ anche ‘enunciare un giudizio’ o ‘volgere lo sguardo’ (quest’ultima possibilità coincide con la prima quanto al significato, cioè ‘fare favoritismi’). Abbiamo scelto questa traduzione in base all’interpretazione del testo che Girolamo offre di seguito. Cfr Harl, Douze prophètes, p. 260. b  Cfr Dan. 5, 3; Ioseph., AI 10, 11, 2-3: si tratta degli arredi del tempio, i vasi d’oro e d’argento che erano stati asportati dal santuario di Dio a Gerusalemme dopo la sua distruzione: in essi avevano osato bere il re di Babilonia, i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine. a 

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1, 3b-4.

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1, 5.

ci atteniamo anche al valore inferiore della narrazione storica. Del resto, nel testo dei Settanta, è comune il lamento dei santi a Dio per quale motivo contro di loro si verifichi un giudizio ingiusto ed essi nelle persecuzioni versino sangue innocente, e, nel caso che si trovino davanti al tribunale di giudici secolari, il giudice – intascati donativi – condanni l’innocente e assolva il colpevole.11 Questo, certo, si può dire non solo dei giudici del mondo, ma talora anche dei capi della chiesa, qualora per effetto dei regali ‘fanno della legge carta straccia’ e non portano a compimento il giudizio e l’empio prevale sul giusto e viene difeso in giudizio più il peccato del ricco che la verità del povero. Di qui proviene la lamentela che il giudizio risulta distorto: ma non dobbiamo lasciarci sconvolgere a proposito di questa disuguaglianza di trattamento, considerando che anche all’inizio del mondo il giusto Abele fu ucciso dall’empio Caino e, poi, mentre Giacobbe era in esilio, Esaù regnava nella casa del padre. Gli Egiziani affliggono i figli di Israele con fango e mattoni e il Signore, contro il quale è ora indirizzata la lamentela, è crocifisso dai giudei e a lui si preferisce il brigante Barabba. Non mi basterebbe una giornata se volessi enumerare come in questo mondo si opprimono i giusti, mentre gli empi hanno la meglio. Guardate fra le nazioni e osservate, e meravigliatevi e stupitevi, poiché ai vostri giorni si è fatta un’opera che nessuno crederà quando gli verrà narrata. I Settanta: Vedete, voi che disprezzate, e osservate e siate presi da grande meraviglia e dileguatevi, poiché io compio nei vostri giorni un’opera che non crederete se qualcuno ve la narrerà. Simmaco, al posto di quanto abbiamo detto: poiché ai vostri giorni è stata fatta un’opera, ha tradotto: poiché ai vostri giorni sarà fatta un’opera, e quanto segue nel medesimo modo. D’altra parte all’inizio del versetto, dove in ebraico sta scritto ravbaggoima e noi abbiamo tradotto: guardate fra le nazioni, e i Settanta hanno messo: vedete, voi che disprezzate, eccettuati Aquila e Simmaco e Teodozione, che concordano con la nostra versione, in un’altra traduzione anōnymē [anonima] ho trovato: vedrete, calunniatori, e in un’altra ugualmente senza il nome del suo autore: vedrete, voi che a 

TM: rә’ û ḇaggȏyīm.

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sbagliate strada. Dunque alla precedente rimostranza del profeta, che protestava e diceva: fino a quando, Signore, griderò e non ascolterai? e il resto fino alla conclusione di questo esordio, viene introdotta la voce del Signore a rispondergli di ravvisare fra le genti questa iniquità, che crede presente nel solo Israele, e che ai Caldei sono stati consegnati non soltanto Giuda e Gerusalemme, come credeva il profeta, ma tutte le nazioni all’intorno e che questo (popolo) sarebbe stato tanto potente e poi sarebbe caduto, cosicché, per l’enormità della cosa, sarebbe parsa incredibile.12 Ma anche ciò che i Settanta e gli altri traduttori hanno prodotto: vedete, voi che disprezzate, o vedrete, voi che calunniate e deviate si accorda con il senso di questo passo e proprio dalle loro parole vengono colti in fallo di temerarietà e disprezzo contro il Signore coloro che il profeta aveva impersonato con il suo grido, richiesti per quale motivo avevano osato disprezzare la maestà divina e parlato in modo temerario e, per quanto dipende da loro, calunniare la divina provvidenza e allontanarsi dal Signore, accusandolo di essere iniquo. Vedrete, dunque, voi che disprezzate, e allora sarete presi da meraviglia e considererete un nulla ogni vostra lamentela, quando scoprirete che io faccio nei vostri giorni – perché non abbiate a dire: che ci importa del futuro? – un’opera che sarà tanto grande e schiaccerà ogni vostra interpellanza, al punto che se ora uno vi predicesse che ciò accadrà, non gli accordereste facilmente la vostra fiducia. Ma che cosa sia quest’opera, verrà mostrato di seguito. Poiché ecco io susciterò i Caldei, nazione crudele e veloce, che si muove sull’estensione della terra,a per entrare in possesso di dimore non sue. È orribile e terribile: da lei stessa uscirà il suo giudizio e la sua imponenza. Più leggeri dei leopardi sono i suoi cavalli e più veloci dei lupi sulla sera; e si spargeranno i suoi cavalieri: infatti i suoi cavalieri verranno da lontano, voleranno come un’aquila che si affretta al suo pasto. Tutti verranno alla preda, il loro aspetto come vento bruciante; e raccoglierà prigioSarebbe preferibile tradurre in italiano con ‘sulla terra intera’, ma non è possibile perché il commento successivo fa leva proprio sul termine ‘larghezza’. a 

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1, 6-11.

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nieri come sabbia ed egli stesso trionferà sui re e i tiranni saranno suoi buffoni; egli si farà beffe di ogni fortificazione e farà un terrapieno e la conquisterà. Allora cambierà vento, passerà e cadrà: questa è la sua forza, quella del suo dio. I Settanta: Poiché ecco io susciterò i Caldei, nazione crudele e rapida, che si muove sull’estensione della terra, per entrare in possesso di dimore non sue. È terribile e celebre, da lei stessa verrà il suo giudizio e la sua conquista uscirà da lei. E i suoi cavalli balzeranno più dei leopardi e saranno più veloci dei lupi d’Arabia e i suoi cavalieri cavalcheranno e verranno all’attacco da lontano e voleranno come un’aquila pronta per il suo pasto. La fine piomberà sugli empi, che resistono con le loro facce frontalmente, e raccoglierà prigionieri come sabbia; ed egli si diletterà in mezzo ai re e i tiranni saranno suoi zimbelli; ed egli si farà beffe di ogni fortificazione, farà un terrapieno e si impossesserà di essa. Allora cambierà il vento e passerà e sarà placato; questa è la fortezza del mio Dio. Ciò che vi avevo detto: Guardate fra le nazioni e osservate e siate meravigliati e stupefatti, poiché nei vostri giorni sarà fatta un’opera che nessuno crederà quando gli verrà narrata è quanto il seguente discorso descrive: ecco io susciterò Nabucodonosor e i Caldei, gente assai bellicosa e veloce, della cui forza e audacia nel combattere sono testimoni quasi tutti i greci che scrissero storie dei barbari. Questa popolazione non rimane chiusa nei suoi territori, ma, scorrazzando da una parte all’altra, vaga sull’estensione della terra. E questa è la sua attività: non lavorare la terra con il vomere, ma vivere di rapina e spada, e impossessarsi di città non sue. Prima di ‘venire alle mani’, prima di attaccare battaglia, porta il terrore nel volto. L’espressione: dalla stessa [nazione] uscirà il suo giudizio e la sua maestà, e che Simmaco ha tradotto: sarà lei a giudicare per sé e uscirà in forza di un suo decreto, deve essere compresa almeno così: dalla sua gente costituirà capi, e il suo potere e la sua spada non avranno ausiliari di altre genti, ma certo così come ha fatto, sarà fatto a lei; e così sarà devastata, come essa stessa ha devastato. Sia i cavalli che i cavalieri, che verranno da lontano, saranno tanto veloci a dar la caccia e a saccheggiare ogni cosa, da superare i leopardi e i lupi della sera. Si dice, appunto, che i lupi siano più feroci al calar

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della notte, dopo essere stati mossi tutto il giorno alla rabbia dalla fame. Voleranno, dunque, i cavalieri non per combattere, poiché nessuno resisterà, ma per correre qua e là come un’aquila – a cui tutti gli uccelli sono sottomessi –, che si affretta a divorare. E come al soffio di un vento bruciante appassiscono tutte le piante verdeggianti, così alla loro vista tutto sarà devastato e tanto grande sarà il numero di prigionieri e il bottino da poterli paragonare con un’iperbole alla sabbia. Anche lui, ossia Nabucodonosor, regnerà sul mondo intero e, riportando la vittoria sui re, davanti al suo cocchio li dileggerà e li annovererà tra i suoi zimbelli e sarà così prepotente e superbo da tentare di superare la natura e conquistare città assai fortificate con la forza del suo esercito. Verrà anche a Tiro e, costruito un terrapieno nel mare, renderà l’isola una penisola e la terra offrirà un ingresso nella città tra i flutti del mare. Per questo motivo si prenderà gioco di ogni fortificazione e costruirà un terrapieno e prenderà la fortificazione, cioè Tiro, ciò che è dimostrato in modo perspicuo in Ezechiele, dove è detto: Nabucodonosor, re di Babilonia, ha sottoposto il suo esercito a una grande opera contro Tiro. Ogni capo è calvo e ogni spalla depilata, e non ne hanno ricevuto ricompensa né lui né il suo esercito contro Tiro né l’opera a cui ha lavorato contro di essa (Ez. 29, 18). Ma una volta costruito il terrapieno e senza aver ricevuto alcuna resistenza al suo esercito, allora si muterà il suo spirito in superbia e, credendo di essere dio, farà collocare in Babilonia quell’immagine d’oro che costringerà tutte le genti ad adorare. Dopo aver fatto ciò, si muterà nell’immagine di una bestia e rovinerà: parola questa che Aquila e Simmaco hanno tradotto kai plēmmelēsei, cioè ‘e peccherà’: infatti la Scrittura santa ha questa abitudine, di dire vasam,a cioè ‘peccherà’, invece di ‘smetterà di essere ciò che era stato’. Anche noi abbiamo un’espressione idiomatica analoga nella nostra lingua che dice: ‘è stato colpito l’esercito’ invece di ‘fu fatto fuori e sgominato’, e ‘vigna e campo hanno sgarrato’ al posto di ‘la vendemmia e i frutti non sono stati abbondanti’.b Quanto, poi, alla fine del capitolo si dice: TM: wә’āšem, e si rende colpevole. Il tropo evocato è la metonimia, in questo caso l’uso di menzionare la causa al posto dell’effetto. Cfr Lausberg, Elementi, § 216-217. a 

b 

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questa è la sua forza, quella del suo dio, deve essere letto eirōnikōs [in modo ironico], perché il senso sia: questa è la sua forza, quella che gli diede Bel, suo dio, al cui culto costringeva con crudelissimo governo tutte le nazioni mediante disposizioni scritte e minacce di morte. Così secondo il testo ebraico. Veniamo ora ai Settanta ed, esposti i singoli pareri, alleghiamo un’interpretazione allegorica. Ecco io susciterò i Caldei, gente crudele e rapida, che si muove sull’estensione della terra, per entrare in possesso di dimore non sue. Dio minaccia di suscitare contro coloro che disprezzano e calunniano la sua provvidenza, designando con ‘Caldei’ gli angeli pessimi,a che sono al servizio del suo sdegno e della sua ira, e della tribolazione che Dio scaglia contro i peccatori, o anime degli uomini quanto mai malvagi, per mezzo delle quali tormenta coloro che lo meritano. Ora, questi Caldei sono gente crudele e veloce, senza riguardo, che subito espleta quanto le fu comandato. E si muove sull’estensione della terra – è infatti larga e spaziosa la via che conduce alla morte (Matth. 7, 13) –, per la quale camminava anche quel ricco di cui parla il vangelo, che risplendeva nella porpora, e coloro dei quali si dice: coloro che dormono sopra letti di avorio e sguazzano nei piaceri sui loro giacigli, quelli che mangiano vitelli da latte del gregge e bevono vino filtrato e si ungono con gli unguenti più preziosi (Am. 6, 4-6), costoro, poiché camminano nella via larga, sono chiamati ‘l’estensione della terra’, calpestata dai passi dei Caldei. Non hanno voluto camminare, infatti, per la strada stretta e angusta, che conduce alla vita, e per la quale camminava Paolo, gloriandosi nella tribolazione e nell’angustia. Camminano i Caldei sull’estensione della terra per entrare in possesso di tende non loro. Ogni anima razionale, infatti, anche se è divenuta, a motivo del vizio e della propria colpa, alloggio dei Caldei, è tuttavia per natura dimora di Dio. E sebbene nel vangelo un pessimo demonio dica: andrò nella mia casa donde sono uscito (Matth. 12, 44), non bisogna dargli credito, perché nessuna creatura razionale è stata fatta per essere albergo dei demoni. Segue: è terribile e celebre; da lui stesso verrà il suo giudizio e la sua usurpazione uscirà da lui. È terribile il Caldeo a motivo dei numerosi e a 

Hier., Nom. Hebr. 4, 22-23; 57, 11-12.

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svariati supplizi che arreca a coloro che lo disprezzano; celebre, perché si attribuisce la gloria della divinità. E grazie agli oracoli e ai falsi responsi e alla cura delle malattie, da lui stesso causate, appare glorioso agli occhi degli inesperti e di coloro che disprezzano Dio. Giudizio e supplizio di chi spregia Iddio, dunque, verranno da lui, ossia da lui stesso, ovvero dal Caldeo. A questo, infatti, secondo l’apostolo, sarà consegnato per essere punito, perché impari a non bestemmiare; colui che avrà fatto penitenza e si sarà convertito a Dio uscirà da questa punizione e si libererà, mentre prima era trattenuto nelle sue mani ed era ‘usurpazione’ del Caldeo. Se avremo visto che qualcuno, dopo aver servito per molto tempo il diavolo, si sarà convertito a Dio, diciamo di lui: il suo essere usurpazione è uscito da lui. Chiunque, infatti, avrà fatto penitenza e abbandonato i demoni, ai quali prima offriva il tergo per sedervi come se fosse stato un cavallo, e avrà disarcionato e ucciso i suoi cavalieri con la velocità dei leopardi e dei lupi della sera e sarà venuto col dorso libero e liscio, per portare colui che mansueto e povero cavalca su un puledro d’asina, costui, quasi affrettandosi da lontano e non soddisfatto della rapida corsa, comincerà a volare e come un’aquila verrà, per nutrirsi della carne della parola di Dio e saziare una fame durata tanto a lungo. Il passo che dice: kai exippazontai hoi hippeis autou, e che noi abbiamo tradotto: e cavalcheranno i suoi cavalieri, secondo il senso che abbiamo illustrato prima, Simmaco lo ha tradotto: si riverseranno i suoi cavalieri, cioè cadranno e saranno uccisi sulla terra. Lupi d’Arabia,13 cioè della sera e dell’occidente, sono giustamente chiamati coloro che tennero una pessima condotta di vita e, avendo dimorato in precedenza nell’oscurità, alla sera l’abbandonano completamente; non appena l’avranno abbandonata e avranno preso il volo pronti a mangiare le carni del Verbo di Dio, verrà la fine degli empi, cioè dei Caldei, che si opponevano a coloro che si erano pentiti, perché non ritornassero al loro Signore. Per questo la fine piomberà sugli empi, che si oppongono loro apertamente. Dopo che quelli saranno stati condotti alla fine e saranno stati strappati i prigionieri dalle loro mani, allora il Verbo di Dio raccoglierà come sabbia i prigionieri dei Caldei, e troverà gusto nel prendere in giro i re e i tiranni saranno suoi zimbelli, vedendo che il diavolo, un tempo potentissimo, e i suoi

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regni – che aveva mostrato anche al Salvatore dicendo: ti darò tutto questo, se, dopo esserti prostrato, mi adorerai (Matth. 4, 9) – erano stati distrutti con la sua venuta; è la soddisfazione del saggio e il piacere del sapiente quando la stoltezza viene distrutta e la potenza di un tempo dei tiranni, finalmente superata e abbattuta, si muta in dileggio. Infatti non il solo drago è stato creato per far divertire il Signore, che è il principio della sua creazione, ed è divenuto zimbello per gli angeli; e Dio non darà solo quello come se fosse un passerotto a un bambino, ma chiunque altro sarà statoa crudele e tirannico nei suoi intenti sarà consegnato al Verbo di Dio per essere deriso. Ed egli stesso dice: ed egli si farà beffe di ogni fortificazione. Che si intende, però, con ‘un’altra fortificazione’ se non quella di cui parla l’apostolo: le nostre armi non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortificazioni, distruggendo i ragionamenti e ogni altezza che si leva contro la scienza di Dio (II Cor. 10, 4-5)? Le fortificazioni che ci saranno state, o in discorsi che pretendono di avere altezza e grandezza contro la verità o in ogni gloria e ricchezze e forza apprezzate nel mondo, saranno tutte distrutte e la parola di Dio si farà beffe di ogni fortificazione. Farà un terrapieno e la dominerà per mezzo del terrapieno e di tutti i beni terreni che presenta, palesandone la fragilità proprio in ciò in cui prima gli sembrava di avere una certa forza. Ma quando ciò si sarà compiuto, allora muterà il vento e non punirà più come prima aveva punito, ma oltrepassando i peccatori, pregherà per loro e li riconcilierà con il Signore di prima, loro nei quali si mostra la fortezza – che avrà condotto a termine cose tanto grandi – del nostro Dio. Voi vedete quanto siano difficilmente accessibili questi ambiti e in contrasto con la verità storica, e come quelle parti che abbiamo inteso in una interpretazione letterale riferite ai Caldei, ora in base alla tropologia [tropologia] risuonino, come risulta, clemenza e libertà per coloro che sono riusciti a scappare dalle mani dei Caldei. La storia è rigida e non offre la possibilità di divagazioni. La tropologia [tropologia] è libera e limitata solo da a  La lezione fuerit, che non gode dell’appoggio della tradizione manoscritta, è stata mantenuta perché si inserisce naturalmente nel periodo e, contemporaneamente, per il fatto che i codici che leggono fuit potrebbero verosimilmente aver tralasciato un segno abbreviativo, da cui deriverebbe questa aplografia.

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queste leggi: perseguire un’interpretazione coerente e rispettosa della religione e non costringere ad associare cose tra loro molto contrastanti. Non sei forse tu dal principio, o Signore, mio Dio, mio santo? E non moriremo? Signore, lo hai posto per il giudizio e lo hai reso forte per correggere? I Settanta: Non sei forse tu dal principio, Signore, il mio Dio, il mio santo? E non moriremo? Signore, lo hai posto per il giudizio e mi ha plasmato perché io rimproveri grazie al suo insegnamento. Simmaco in modo più chiaro: Non sei forse tu dal principio, Signore, il mio Dio, il mio santo, perché non moriamo? Signore, lo hai posto per giudicare, lo hai reso forte per castigare. Alla lamentela del profeta che diceva: Fino a quando, Signore, ti chiamerò a gran voce e non mi esaudirai? aveva risposto Dio, dicendo: Guardate fra le nazioni e osservate, e dopo la premessa aveva aggiunto: ecco io susciterò i Caldei, gente crudele e rapida. Dopo aver completato ogni descrizione o di Nabucodonosor o del diavolo, alla fine ricorda: allora il suo soffio muterà, ci attraverserà e investirà: questa è la sua forza, quella del suo dio. Il profeta, udendo e comprendendo tutto ciò – ossia che Nabucodonosor riceve il potere per osteggiare i giudei e che il diavolo riceve il potere per osteggiare i credenti e per castigarli e, dopo il castigo, anche lui sia punito –, risponde al Signore: dunque tu sei, Signore Dio mio, mio santo – ma dice questo con l’affetto di colui che blandisce e si pente – colui che al principio ci hai creato? Dunque sei tu colui nella cui misericordia fin qui restiamo saldi? Infatti non sapevo che fossero tanto potenti i nostri avversari né comprendevo che Nabucodonosor o il diavolo avessero ricevuto potere su questo mondo e su tutte le genti. Per quanto riguarda le sue forze, dunque, nessuno di noi può resistere. Ma per quanto riguarda la tua misericordia, dipende da te il vivere di noi tutti, che non siamo stati da lui uccisi o condotti alle opere della morte. Tu, infatti, Signore, lo hai posto per giudicare, perché egli stesso sia il nemico e il vendicatore e perché per suo tramite tu castighi chiunque abbia peccato contro di te. Ma poiché in precedenza abbiamo interpretato i Caldei nel senso di demoni e Nabucodonosor nel senso di diavolo, loro re, dobbiamo esporre brevemente la descrizione del diavolo e della sua potenza, perché il

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profeta possa dire a ragion veduta: Signore, lo hai posto per il giudizio e lo hai reso forte per castigare. Viene sobillata contro increduli e sprezzanti una genia di demoni, aspra nel punire e ovunque presente. Si muove anche per tutta l’estensione della terra per entrare in possesso degli uomini, nei quali avrebbe dovuto dimorare Cristo. È raccapricciante e terribile e difficilmente può essere vinta e non si spezza, se non quando giunge alla fine, schiacciata dall’enormità dei peccati e dal fardello opprimente della sua iniquità. I suoi cavalli e i suoi cavalieri, come leopardi e lupi, avranno sempre sete di sangue e brameranno prede, fingeranno la loro assenza e, quando non li si aspetta, verranno all’improvviso da lontano. Voleranno come un’aquila, che, alzandosi in volo, vuole porre tra le stelle del cielo il suo nido e sempre si affretta verso la preda. Anche in Ezechiele sotto la figura di Nabucodonosor e del re d’Egitto viene descritto il diavolo. Non vi è nessuno fra i demoni che abbia pietà, tutti andranno veloci verso la preda; davanti al loro volto un vento ardente, qualunque cosa abbiano visto, qualunque cosa abbia incontrato il loro sguardo, brameranno bruciarla e distruggerla. Il re sarà potentissimo in mezzo ai prigionieri e da ogni parte ingaggerà la loro moltitudine numerosa come la sabbia del mare con l’intervento dei suoi scagnozzi, e sui re trionferà lui e i tiranni saranno suoi buffoni. Con l’inganno, infatti, farà cadere molti santi e renderà schiavi e oggetto di scherno coloro che si ritenevano molto potenti e presumevano di spadroneggiare sui demoni e ritenevano di scacciarli dai corpi posseduti. Lui stesso, il più forte, ingaggiata una truppa speciale e arruolato un esercito di scellerati, si farà beffe di qualsiasi fortificazione e cercherà di portare alla rovina qualsiasi cosa sarà stata forte. Eleverà, infatti, un terrapieno, cioè metterà tutto intorno ammassi di terra, e quando la terra si sarà compattata, s’ingegnerà di abbattere ogni fortilizio. Ma dopo una vittoria tanto grande il suo vento muterà e giungerà la sua sfrontatezza fino al cielo14 e, facendosi dio, prenderà a bestemmiare il suo creatore. Quando avrà fatto ciò, soccomberà, e il suo crollo mostrerà quanto sarà stata forte la sua ‘divinità’ e la falsità degli idoli, sotto le cui immagini soggiogava gli uomini al suo culto. Dunque il profeta, ascoltando queste cose – cioè che il re del mondo è tale e tanto grande da raccogliere numerosi prigionieri come

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la sabbia del mare e trionfare sui re e rendere i tiranni propri buffoni e costruire dapprima un terrapieno e poi conquistare la città e avere l’ardire di resistere al proprio creatore e farsi come dio –, egli che prima aveva parlato al Signore con audacia e aveva ricordato che erano giusti lui o il suo popolo o coloro nel nome dei quali aveva presentato la querela, (il profeta) ora prorompe in parole di lusinga e dice: Tu, dunque, sei dal principio, Signore, mio Dio, mio santo? Viene dalla tua clemenza il fatto che non moriamo né siamo catturati da un nemico tanto grande. Tu, infatti, Signore, lo hai costituito come carnefice e lo hai reso forte a tal punto che nessuno o quasi può resistere alla sua forza. Per altro secondo i Settanta, ciò che viene detto alla fine: e mi ha plasmato perché io smascheri in forza del suo insegnamento, può essere riferito alla persona del profeta, di modo che il senso risulta il seguente: io sono stato ispirato per essere profeta, per convincere di peccato coloro che peccano e insegnare la dottrina del Signore. Alcuni ritengono che sia detto dal Signore, che fu plasmato per questo dal Padre e assunse un corpo proprio per insegnare agli uomini la dottrina di Dio Padre. Ma quanto ciò sia in contrasto con le cose dette prima e con il contesto di tutto il passo, non toccherà a me giudicare, ma al lettore. Puri sono i tuoi occhi, perché tu non veda il male e non puoi volgere lo sguardo all’iniquità. Perché non vedi coloro che agiscono iniquamente e taci mentre l’empio divora colui che è più giusto di lui? E renderai gli uomini come i pesci e come un rettile che non ha principe? I Settanta: Puro è l’occhio, perché non veda cose malvagie e tu non potrai volgere lo sguardo al dolore. Perché guardi coloro che sono sprezzanti, tacerai sebbene l’empio abbia divorato colui che era più giusto di lui? E renderai gli uomini come pesci del mare e come rettili che non hanno un capo? Qualcosa di simile dice anche Geremia a Dio: Tu sei giusto, Signore, io confido in te: tuttavia ti esporrò i miei interrogativi: per quale motivo la via degli empi è prospera, sono nell’abbondanza tutti coloro che vivono da prevaricatori e delinquenti? Li hai piantati e hanno messo radici, hanno generato figli e hanno fatto frutto, sei vicino alla

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1, 13-14.

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loro bocca e lontano dai loro reni (Ier. 12, 1-2).a Dunque anche Abacuc nella medesima frase dice che puri sono, Signore, i tuoi occhi e so che non vedi volentieri il malvagio e l’ingiusto né alcuno può dubitare della tua giustizia. Tuttavia, perché permetti che i Babilonesi si vantino di tanta crudeltà e che il giusto Israele sia oppresso dall’empio Nabucodonosor? Non perché sia perfettamente giusto colui che viene oppresso, ma è più giusto di colui che lo opprime. E come mai i pesci che non hanno principe e i giumenti irrazionali e la moltitudine di rettili senza senno sono soggetti al più forte e chiunque sia superiore in ragione della forza domina sugli altri, così fra gli uomini, animali razionali e creati a tua somiglianza, non avrà forza la ragione, non il valore, ma la forza fisica e una potenza irrazionale? Ma se vorremo farci un’idea in generale circa la provvidenza prendendo spunto dal lamento del profeta: Perché il diavolo ha un potere tanto grande nel mondo e, sotto il dominio di Dio, un altro esercita una tirannide? il senso sarà il seguente e  questa spiegazione si congiungerà alle precedenti: so, Signore mio Dio, mio santo, che, se tu provvedi a noi e ci difendi, non moriamo e so che hai costituito l’avversario perché proprio per mezzo di lui, come se fosse un carnefice, tu potessi correggere i peccatori senza ucciderli. So che a te non piace nulla di ingiusto e i tuoi occhi sono puri da ogni iniquità né puoi vedere i dolori di coloro che sono stati assoggettati all’ingiustizia. Nondimeno non posso trovare il motivo per cui l’ingiusto Caino uccida il giusto Abele e tu stia zitto; perché siano divorati dal cetaceo crudele e che divora ogni cosa non solo i piccoli pesci, ma anche il tuo stesso Giona. Perché l’empio vince e il giusto è vinto? E non dico questo perché conosca qualcuno che possa dirsi giusto davanti a te e sia senza peccato e perché io sia ignaro dell’umana fragilità, ma come Sodoma e Gomorra in confronto a Gerusalemme sono giuste e il pubblicano nel vangelo a paragone del fariseo diventa più giusto, così anche costui che è oppresso dal diavolo certamente è peccatore, ma è più giusto di colui che lo opprime. Perché, dunque, non c’è misura, né bilanciamento, cosicché, se una volta il giusto è opSecondo la fisiologia antica i reni sono la sede delle emozioni e dei sentimenti. a 

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presso e schiacciato, non sia angariato dall’empio ma da uno più giusto di lui? Dirò forse che qualcosa avviene senza il tuo consenso e che, sebbene tu non lo voglia, l’empio ha un potere tanto grande? Pensare questo è blasfemo. Dal momento che tu sei colui che regge il mondo e il Signore, è necessario che tu stesso faccia ciò che senza di te non può essere fatto. Ma il profeta dice queste cose non perché egli stesso pensi così, come già prima ho detto, ma perché esprime nella sua persona l’umana impazienza, come frequentemente vediamo che l’apostolo raccoglie in sé le diverse opinioni degli uomini e ora dice: vedo, invece, un’altra legge nelle mie membra, in contrasto con la legge della mia anima e che mi fa prigioniero nella legge del peccato, che è nelle mie membra (Rom. 7, 23). E come se fosse un principiante: fratelli, io non ritengo di aver compreso (Phil. 3,  13), e conosciamo in modo imperfetto e profetizziamo in modo imperfetto (I Cor. 13, 9). E d’altra parte come se fosse perfetto: quanti, dunque, siamo perfetti, sappiamo questo (Phil. 3,  15), sebbene non sia proprio di una e medesima persona dire di avere una conoscenza imperfetta ed essere perfetto. E riterrai argomentazione non dell’apostolo, ma nostra, quanto egli stesso dice ai Corinti: ma queste cose, fratelli, ho esemplificato in me e in Apollo per voi, perché le apprendiate in noi (I Cor. 4, 6). Del resto, come può Dio considerare gli uomini come pesci del mare e come rettili che non hanno un capo, mentre gli angeli di ciascuno di loro ogni giorno vedono il volto del Padre che è nei cieli e l’angelo del Signore circonda coloro che lo temono e li salva (Ps. 73, 8). Se, dunque, tra gli uomini, anche nei singoli, opera la provvidenza di Dio, negli altri esseri animati possiamo cogliere un disegno, un ordine e un ciclo senza dubbio generali. Per esempio: come un gran numero di pesci nasca e viva nell’acqua, come rettili e quadrupedi nascano sulla terra e di quali cibi si nutrano. Per il resto è assurdo svilire la maestà di Dio dicendo che egli conosce in ogni momento quante zanzare nascano e quante muoiano, quale sia il numero di cimici e pulci e mosche sulla terra, quanti pesci nuotino nell’acqua e quali tra i più piccoli debbano cadere preda dei più grandi. Non siamo adulatori di Dio tanto stolti, che, mentre abbassiamo la sua potenza alle realtà infime, facciamo dei torti a noi stessi, dicendo che il disegno provvidenziale che riguarda gli esseri razionali è il mede-

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simo che riguarda quelli irrazionali. Per questo deve essere condannato per la sua stoltezza il famoso libro apocrifo, in cui è stato scritto che un angelo di nome Thegri15 presiede ai rettili e in maniera analoga vi sono angeli assegnati esclusivamente alla custodia dei pesci, degli alberi e di tutto il bestiame. Tutto con l’amo ha sollevato, lo ha tirato su con il suo giacchio e lo ha raccolto nella sua rete: di questo si rallegrerà ed esulterà. Per questo immolerà al suo giacchio e farà un sacrificio alla sua rete, perché grazie ad essi il suo capitale si è rimpinguato e le sue vivande si son fatte raffinate. Per questo, dunque, lancia il suo giacchio e mai cessa di trucidare le nazioni. I Settanta: Ha sollevato il suo bottino con l’amo e lo ha tratto nella sua rete e lo ha raccolto con i suoi giacchi. Di questo si rallegrerà ed esulterà, perciò immolerà al suo giacchio e brucerà incenso alla sua rete, poiché grazie ad essi ha aumentato i suoi beni e sono raffinate le sue vivande. Per questo lancia la sua rete e mai cessa di uccidere le nazioni. Poiché prima aveva nominato i pesci, dicendo: e rendi gli uomini come pesci del mare e come un rettile, che è detto più significativamente in ebraico remes,a cioè kinoumenon, ossia tutto ciò che può muoversi, per questo conserva la metafora dei pesci a proposito degli altri soggetti: come il pescatore getta l’amo e la rete e il giacchio, sicché ciò che non ha potuto prendere l’amo lo catturi la rete e ciò che è sfuggito alla rete lo circondino i giacchi più ampi,b così anche il re di Babilonia avrebbe devastato ogni cosa e l’intero genere umano avrebbe reso sua preda. Ciò che dice in seguito – si rallegrerà ed esulterà, e immolerà al suo giacchio e offrirà un sacrificio alla sua rete – sta a significare l’idolo che fece nel campo di Dura e il simulacro di Bel,16 a cui, come a un grande giacchio, ha immolato vittime assai pingui, costringendo al suo culto tutte le TM: remeś, creatura che striscia. Si tratta dell’amphiblēstron, cioè di una rete ampia e circolare che veniva lanciata sulla superficie dell’acqua e che poteva raccogliere molti pesci (è lo strumento per la pesca usato dai discepoli chiamati da Gesù lungo il mare di Galilea. Cfr Matth. 4, 18). a 

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nazioni da lui vinte. Ma, credendo di essersi rimpinguato grazie a questi, ossia ai suoi idoli, credendo di essere arricchito e di ricevere la sua proprietà, cioè tutte le ricchezze, come se fossero grossi pesci, ha soggiogato al suo comando sia i principi sia i re, che chiama cibi raffinati.17 E poiché, una volta saziatosi di una pesca abbondantissima e riempito il suo giacchio, ossia il suo esercito, non per questo cessa di trucidare, cioè di combattere sempre, e di sgozzare le genti. Del resto, secondo i Settanta, il diavolo nella sua empietà – che opprime il giusto e considera gli uomini come pesci del mare e sconvolge ogni cosa come rettili senza un capo – ha gettato il suo amo, contrapposto a quell’amo da cui, per opera dell’apostolo Pietro, fu catturato il primo pesce, nella cui bocca fu trovato uno statere. E restò attaccato al suo amo Adamo e lo trasse fuori dal paradiso con la sua rete e lo avvolse nei suoi giacchi, cioè nelle sue numerose e multiformi menzogne.18 Per questo si rallegrerà e penserà che i suoi tranelli siano più forti del precetto del Signore. E immolerà non all’amo – che deve essere inteso come il discorso fuorviante che dal principio fino a oggi dura stabile –, ma alla sua rete, perché in essa ammassa le vittime più pingui. E mediante un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori (Rom. 5, 19); e in Adamo tutti siamo morti e da allora in poi tutti quanti i santi allo stesso modo sono stati scacciati con lui dal paradiso. Donde anche i suoi cibi sono raffinati, perché secondo il salmista: chieda a Dio il cibo per sé (Ps. 103, 21), volendo abbattere i profeti e gli apostoli. E poiché ha ingannato il primo uomo, non cessa di trucidare ogni giorno l’intero genere umano. Ma il passo può anche riferirsi alla dottrina deviata e multiforme degli eretici, poiché anch’essi con il loro amo e la loro rete e i loro giacchi prendono moltissimi pesci e catturano molti rettili; e per questo si rallegrano e il loro parlare, con il quale hanno potuto ingannare e convincere, adorano come un dio e lo curano e lo rifiniscono; si dedicano con tutti i loro accorgimenti a servire proprio colui grazie al quale sanno di aver ucciso vittime così grandi e ingannato così illustri personaggi, grandi e santi, i quali la Scrittura in questo passo chiama parte pingue e cibi raffinati. Perciò a somiglianza delle bestie, che, dopo aver assaggiato una volta il sangue, ne sono sempre assetate, gettano la loro rete e tutta la loro brama consiste nell’uccidere non pochi,

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come all’inizio, ma parecchi. Non dubiterà dell’uccisione di molte genti colui che abbia visto tanto grande moltitudine di eresie e di dottrine erronee presa all’amo, alla rete e ai giacchi del diavolo: in ogni caso il fine della loro cattura è la morte.19 Starò al mio posto di guardia ed erigerò una tribuna sopra una fortificazione e starò a guardare, per vedere che cosa mi verrà detto e che cosa risponderò a colui che mi accusa. I Settanta: Starò al mio posto di guardia e salirò su una pietra e starò a guardare per vedere che cosa dirà in me e che cosa risponderò a chi mi riprende. Simmaco ha tradotto in modo più chiaro:a Starò come una sentinella sulla vedetta e vi starò come un prigioniero, e starò a guardare, per vedere che cosa mi verrà detto e che cosa risponderò e controbatterò a colui che mi accusa. In luogo di fortificazione e pietra, al posto dei quali Simmaco ha tradotto ‘come un prigioniero’, in ebraico abbiamo masvr,b che Teodozione ha tradotto ‘cerchio’, Aquila e la quinta edizionec ‘compasso’. Alla prima accusa il Signore aveva risposto: guardate fra le nazioni e osservate e siate presi da ammirazione e stupore. Di fronte a questa risposta, come per fare ammenda della frase precedente, il profeta aveva smorzato il tono della domanda, dicendo: Signore, Dio mio, mio santo, e non moriremo. Ma nondimeno pur con venerazione e con lodi rivolte a Dio lo aveva interrogato: puri sono i tuoi occhi al punto di rifiutarsi di vedere il male e non sei in grado di fissare lo sguardo sull’iniquità. Perché non ti volgi a guardare coloro che agiscono iniquamente e taci mentre l’empio divora chi è più giusto di lui? E che cosa voglia dire che il giusto viene divorato, lo ha spiegato in modo particolareg«In generale trova conferma l’idea che la versione di Simmaco sia letterale, non quanto quella di Aquila ma più di quella dei LXX; essa riproduce però, nel contempo, il senso dell’originale ebraico in una maniera chiara e scorrevole»: Fernández Marcos, Settanta, p.  135. Egli mostra, inoltre, come la critica attuale metta in luce una forte dipendenza di Girolamo da Simmaco nella costruzione della sua versione latina (p. 139 nota 42). b  TM: māṣȏr, fortificazione. c  Penna (Gerolamo, p. 130) nota come dall’opera di critica testuale di Origene, conservata negli Hexapla di Cesarea, Girolamo trasse la quinta, la sesta e la settima versione greca di alcuni libri biblici (Hier., Vir. ill. 54). a 

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giato: ossia come gli uomini divengono figuratamente pesci marini e rettili, e che tutti quanti sono trascinati alla rovina dall’amo, dal giacchio e dalla sua rete e non c’è limite alla loro carneficina. Perciò, poiché è profeta e di conseguenza è alla ricerca e dice di essere perplesso che sia data a tutti la risposta che è stata data a lui: starò nella mia vedetta, cioè nell’altezza del mio essere profeta, e vedrò, dopo la prigionia del popolo e la distruzione della città e del tempio, che cosa succeda dopo. O certamente in questo modo: custodirò con ogni attenzione il mio cuore e starò sopra la pietra, cioè Cristo.20 E sarò recintato giro giro da questo compasso come da un muro, perché non si avventi contro di me il leone che ruggisce e valuterò la risposta che anch’io dovrò dargli dopo che mi avrà dato la sua e mi avrà redarguito per essermi lamentato con lui in malo modo. Ma con proprietà di linguaggio e con mirabile acutezza descrive l’impazienza umana, espressa nelle discussioni allo scopo di essere pronti a rispondere prima che qualcuno ci risponda con argomentazioni contrarie alle nostre e prima di sapere le obiezioni che ci farà. Da ciò si dimostra che la risposta non viene dalla ragione ma dall’animosità. Se, infatti, si trattasse di ragione, la risposta si sarebbe fatta aspettare e in tal modo si sarebbe fatta vedere o manifestata in una doverosa risposta o in un doveroso consenso a una risposta ragionevole. Anche questo è da notare dal fatto che Dio ha detto: per vedere che cosa dirà in me, che ai profeti la visione profetica e l’allocuzione di Dio non vengono dall’esterno, ma rispondono nell’intimo e all’uomo interiore. Di conseguenza anche Zaccaria dice: e l’angelo che parlava in me (Zach. 1, 9). E nei salmi: ascolterò che cosa dice in me il Signore (Ps. 84, 9). E mi ha risposto il Signore e mi ha detto: Scrivi ciò che hai visto e stendilo su tavolette, perché lo possa scorrere chi lo legge, poiché quanto hai visto finora è lontano, apparirà alla fine e non verrà meno alla parola data; se ritarderà, aspettalo, perché certo verrà e non tarderà. Ecco nell’incredulo non sarà retta in lui la sua anima. Il giusto, invece, vivrà nella sua fede. I Settanta: E mi ha risposto il Signore e mi ha detto: Scrivi la visione e in modo chiaro su una tavoletta, perché chi la legge possa procedere

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speditamente; poiché la visione attende un tempo fissato e sorgerà alla fine e non invano. Se la visione verrà meno, resisti, poiché certo verrà e non tarderà; se si ritirerà, non si compiacerà la mia anima in lui. Il giusto, invece, vivrà della mia fede. Al posto di tavole e tavoletta, che in ebraico sono dette allvoth,a Simmaco ha tradotto pagine. E dove i Settanta hanno messo: il giusto, invece, vivrà della mia fede, tutti ugualmente hanno tradotto: vivrà della sua fede. Infatti Simmaco, interpretando in modo più preciso, dice: il giusto, invece, vivrà grazie alla sua propria fede, che in greco si dice: ho dikaios tē heautou pistei zēsei; appunto baemvnatho,b che effettivamente significa nella sua fede; se invece nella finale vi fosse la lettera iod e non vav, come hanno ritenuto i Settanta, e si leggesse baemvnathi, avrebbero tradotto correttamente nella mia fede. Ora qui la somiglianza delle lettere vav e iod, che differiscono tra loro soltanto per la dimensione, è stata la causa dell’errore. Perché ciò sia stato detto, si capisce da quanto segue. Secondo la promessa fatta all’uomo santo in Isaia, il Signore dicendo: mentre stai ancora parlando, dirò: eccomi (Is. 65, 24) anche qui risponde al profeta e gli comanda di scrivere la visione e riportarla organicamente sulle tavolette, cioè di scriverla in modo più chiaro. Ma con tavolette intendo quelle di cui anche l’apostolo parla ai Corinzi: la nostra lettera siete voi, scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini; è noto, infatti, che voi siete lettera di Cristo composta da noi e scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavolette di pietra, ma sulle tavolette di carne del cuore (II Cor. 3, 2-3). Ma Salomone allude a qualcosa del genere nei Proverbi, dicendo: scrivila sull’estensione del tuo cuore (Prou. 3, 3). D’altra parte riceve l’ordine di scrivere in modo più chiaro, perché il lettore possa correre su di essa, il suo slancio non sia trattenuto da ostacoli e sia tenuta viva la sua voglia di leggere. E dà quest’ordine perché l’attuazione della visione è ancora lontana e in una scadenza fissata. Ma quando verrà la fine del mondo, allora anche lui verrà e la visione sarà riconosciuta vera per il fatto che la predizioa  b 

TM: hallūḥȏṯ, tavolette. TM: be´émûnätô, per la sua fedeltà.

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ne si sarà compiuta. Ora, se mai, o lettore, per l’ardente desiderio di contemplare la visione, ti sarà parso che ritardi un poco quanto è stato promesso, non disperare della sua venuta, ma aspetta con pazienza, infatti hai me, che ti garantisco e ti dico: certo verrà e non tarderà. Ma se qualcuno non crede a questa mia promessa e, mentre dico: verrà e non tarderà, comincerà a fluttuare e, dentro di sé in silenzio, a lasciarsi andare in balia delle onde, al pensare che non verrà ciò che ritarda per un qualche tempo, di costui non si compiacerà la mia anima, secondo l’espressione: i vostri noviluni e i sabati odia la mia anima (Is. 1, 13). Ma ciò che Dio ha detto sua anima, dobbiamo intenderlo come mente e pensiero, di modo che sia inteso: ‘dispiacerà alla mia intelligenza’. Se, infatti, sarò scontento di colui che, mentre io prometto, dubiterà della venuta di ciò per cui ho dato la mia parola, il giusto, che crederà alla mia promessa, vivrà nella sua fede. Con queste linee è tratteggiata per così dire la bozza di questo capitolo. Ma ciò che dice è di tale importanza da dovervi unire almeno anche la traduzione dei Settanta. Scrivi nel tuo cuore e come i fanciulli, che apprendono le lettere dell’alfabeto, rendono eleganti i caratteri rotondeggianti e addestrano la mano incerta sulla tavoletta, e con l’esercizio si abituano a scrivere correttamente, così anche tu, che hai parlato in persona del popolo dubbioso, scrivi ciò che dico sulle tavole del tuo cuore e sulla tavoletta del petto. Si tratta, infatti, della visione che è promessa e che si comanda di descrivere e di scrivere in modo più chiaro, affinché non sia ricoperta da alcun velo, non sia oscurata da alcuna enigmatica ambiguità: una speranza chiara abbia una promessa chiara. Questo, per altro, o profeta, ti ordino, non perché tu non lo sappia – non saresti, infatti, profeta, se lo ignorassi –, ma perché il lettore possa leggere speditamente senza inciampi e difficoltà quello che tu avrai comunicato con maggior chiarezza: è il concetto che i Settanta hanno tradotto: hopōs diōkē ho anaginōskōn, cioè perché chi legge vada alla ricerca, nel senso che è comunicato per iscritto [da Paolo] a Timoteo: vai alla ricerca della giustizia, della pietà, della fede, della carità, della pazienza, della mansuetudine (I Tim. 6, 11). E ai Romani: andando alla ricerca dell’ospitalità (Rom. 12, 13). E ai Corinzi: andate alla ricerca della carità (I Cor. 14, 1). La visione, poi, di cui ti ho detto:

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scrivi la visione e rendila chiara sulla tavoletta, affinché chi legge possa andare alla ricerca, è ancora per il tempo stabilito, del quale il Salvatore dice: nel tempo opportuno ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho aiutato (Is. 49, 8). Egli si leverà al compimento del mondo e nell’ultima ora del giorno, di cui parla anche Giovanni: figlioli, è adesso l’ultima ora (I Ioh. 2, 18), e non verrà invano: infatti salverà molti e con il resto del popolo di Israele raccoglierà la moltitudine delle genti. Perché se la visione sarà sottratta per un po’ di tempo e, o lettore – a cui è comandato di leggere nella tavoletta e nelle tavole che il profeta ha scritto –, comincerà a venire più tardi di quanto tu desideri, aspettala, perché certo verrà e non tarderà. Ma se la tua fede sarà esitante e riterrai che non verrà quanto prometto, avrai come enorme punizione di dispiacere alla mia anima. Il giusto, invece, che crede alle mie parole e non ha titubanze riguardo a ciò che prometto, avrà in premio la vita eterna. E non devi subito accusarmi, né per il fatto che respingo te né per il fatto che do la vita a quello, che vi sia presso di me preferenza di persone, poiché è causa del suo stesso farsi vivo colui che vive della sua fede, come tu, che ti sei sottratto e non hai creduto, non sei piaciuto alla mia anima. Chiaramente in queste parole c’è una profezia della venuta di Cristo, per cui si spiega anche la domanda che era stata posta, in quanto fino a che egli non venga, l’iniquità dominerà nel mondo e il giudizio non giungerà al compimento e il vero Nabucodonosor21 catturerà con la sua rete e il suo giacchio gli uomini come pesciolini e ‘l’animale razionale’ come un rettile senza capo. Dato poi che abbiamo tradotto al posto di uisio: poiché colui che hai visto è finora lontano e se ritarderà, aspettalo, cioè uisus, non ritenga qualcuno, che, tratto in errore, al posto di uisio, che è di genere femminile, abbia posto uisus, che è meno comune in latino. Dato che uisio, che Aquila traduce con horamatismos, in ebraico si dice hazon,a che è di genere maschile, fino alla fine, con lo stesso significato di visione, si conserva il maschile uisus. I Settanta, invece, dicendo: scrivi la visione, e poi: se verrà meno, sostienilo, poiché verrà e non tarderà; se si ritrarrà, non si compiacerà di lui la mia anima, pria 

TM: häzôn, visione.

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ma hanno tradotto con uisio, che è di genere femminile, mentre in ebraico, come abbiamo detto, è maschile; poi seguendo l’ebraico, dove si declina al maschile, dicendo sostienilo, e non si compiacerà la mia anima in lui, anch’essi hanno declinato al maschile. Avrebbero dovuto senz’altro secondo quanto avevano tradotto prima, cioè uisio, anche nel resto del testo usare il genere femminile di uisio, per dire: aspettala, poiché verrà; poiché se si sottrarrà, non si compiacerà la mia anima di essa, cioè della uisio. Ho detto questo per non dare l’impressione di tacere quello che conosco.a D’altra parte sono ben consapevole che secondo la loro interpretazione si possa intendere anche in questo senso: scrivi la visione nella quale è promesso Cristo e componi il testo della tua profezia o sulla tavoletta o sulle tavole o, come ha tradotto Simmaco, sulle pagine, cioè che nel tempo stabilito e al compimento del mondo verrà il mio Figlio, che salverà le pecore perdute della casa di Israele e unirà altre pecore con le antiche pecore e, costituendo un solo gregge, unirà le due verghe, che Ezechiele – cioè ‘forza di Dio’ – tiene unite e attaccate l’una all’altra nella sua mano di profeta. Perché se per un po’, o profeta, ovvero tu, o popolo – in rappresentanza del quale parve dubitare anche il mio profeta –, Cristo si sottrarrà e sembrerà che ritardi, aspettalo; verrà, infatti, e non tarderà, con quanto segue e che già prima abbiamo esposto.b Il problema che Girolamo affronta in questo passaggio riguarda la resa in latino del testo ebraico: il termine häzôn, cioè visione, in ebraico è maschile. I Settanta, traducendo in greco, lo hanno reso con il termine femminile horasis, senza però preoccuparsi di rispettare la coerenza del testo trasformando in femminili tutti i pronomi che ad esso si riferivano. Dal canto suo Girolamo, per rimanere fedele al testo ebraico e per mettere in luce la differenza con il testo dei Settanta, utilizza un termine latino, seppur inusitato, di genere maschile, cioè uisus, che gli permette di far risaltare in modo chiaro l’Hebraica ueritas. Il testo dei Settanta, che risulta chiaramente erroneo, non viene, però, rigettato e ignorato dal commento di Girolamo, bensì valorizzato per ricavarne un’esegesi cristologica (cfr infra). b  La confusione di genere, che rende incoerente il testo dei Settanta, come accennato sopra, apre a un’esegesi cristologica: non è la visione, che ‘certamente verrà e non tarderà’, ma Cristo, che è appunto di genere maschile. Anche Eusebio (Evs., D.e. 6,  14), basandosi sul testo dei Settanta, ritiene che in questo passo Abacuc profetizzi la venuta del Logos. La pagina eusebiana ci porta a pensare che Girolamo abbia commentato il testo palesemente erroneo dei Settanta non solo per la consolidata autorevolezza di tale versione, ma anche a motivo di tale accreditata interpretazione, che vedeva Cristo celato sotto questo pronome. a 

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Poi, che l’apostolo si serva di più del testo dei Settanta quando scrive ai Romani: il giusto, invece, vivrà della mia fede (Rom. 1, 17), e non di ciò che si trova in ebraico, il motivo è evidente: scriveva, infatti, ai Romani, che non conoscevano le Scritture in ebraico; né si dava pena per le parole, dal momento che il significato era sicuro e la discussione che stiamo facendo non gli era motivo di danno. Del resto, dove il senso è differente e in un modo è nell’ebraico e in un altro nei Settanta, considera che egli utilizza i testi che aveva appreso da Gamaliele, dottore della legge.22 E come il vino inganna colui che lo beve, così sarà l’uomo superbo e non sarà onorato; proprio colui che, come gli inferi, ha dilatato la sua anima, non solo è come morte, ma anche non si rimpingua. E raccoglierà intorno a sé tutte le nazioni e ammasserà intorno a sé tutti i popoli. Forse che tutti costoro non impiegheranno riguardo a lui una parabola e un discorso enigmatico, e si dirà: guai a colui che accumula cose non sue, fino a quando ammassa contro di sé denso fango? Non balzeranno all’improvviso quelli pronti a mordere e si leveranno quanti sono disposti a dilaniare e sarai loro preda? Poiché tu hai spogliato molte nazioni, spoglieranno te tutti i popoli superstiti a motivo del sangue dell’uomo e l’iniquità della terra, della città e di tutti coloro che vi abitano. I Settanta: Colui che è arrogante e sprezzante, l’uomo superbo, non porterà nulla a compimento; egli che ha dilatato come l’inferno la sua anima e come la morte non si sazia. E raccoglierà intorno a sé tutte le nazioni e prenderà con sé tutti i popoli; forse che tutti costoro non impiegheranno contro di lui una parabola e un detto per narrare di lui, e diranno: guai a colui che accumula per sé cose non sue, fino a quando appesantisce il suo collare, poiché subito sorgeranno coloro che lo mordano e si leveranno coloro che tramano insidie contro di te e sarai loro preda? Poiché tu hai spogliato molte nazioni, spoglieranno te tutti i popoli superstiti a motivo del sangue degli uomini e le empietà della terra e della città e di tutti i suoi abitanti.

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Dato che ciò è stato promesso riguardo alla venuta di Cristoa o, secondo l’opinione di alcuni, riguardo alla fine della visione o al compimento dell’aiuto di Dio, ne segue che colui che avrà creduto alla sua venuta vivrà di questa fede, mentre colui che sarà incredulo non piacerà all’anima del Signore, Nabucodonosor, re di Babilonia, sarà tratto in inganno dalla sua superbia. E come il vino agisce contro colui che lo beve e, dopo che si sarà alzato, né il piede, né la mente svolgono più la loro funzione e ogni letizia e allegria della mente si volge alla rovina, così l’uomo superbo non sarà onorato né condurrà al compimento il suo proposito, e secondo Simmaco ouk euporēsei, cioè sarà nella totale povertà. Egli, come la morte e l’inferno, non è mai sazio di persone uccise, e soggiogando al suo dominio tutte le nazioni e tutti i popoli, non ha ritenuto di porre un limite alla sua avidità. Dopo che egli si sarà inebriato alla coppa del Signore e si sarà addormentato per un calice di vino schietto, non parleranno forse tutti di lui con una similitudine come di un problēma [difficoltà]? Guai a colui che devastando il mondo intero non è sazio di rapine né cessa si spogliare coloro che già sono nudi, e si accanisce e infuria solamente per questo, cioè per affondare sotto il peso dell’iniquità e dei furti, come sotto un pesantissimo collare. Nello stesso tempo considera pure con quanta esattezza abbia chiamato le ricchezze accumulate ‘denso fango’. Forse che non sorgeranno repentinamente i Medi e i Persiani, che, distruggendo il dominio dei Babilonesi, prima lo mordano e poi lo sbranino e Nabucodonosor sarà loro preda e il devastatore di tutto il mondo sarà spogliato dai popoli superstiti, che saranno potuti scampare alla sua mano e alla sua crudeltà? Questo gli sarà fatto a motivo del sangue dell’uomo, cioè di Giuda, e a motivo dell’iniquità della terra, vale a dire di Israele, della città, senza dubbio di Gerusalemme e, indicando in generale il popolo, di tutti coloro che abitano in essa.23 Esaminiamo anche i Settanta. Tutto ciò che di Babilonia e di Nabucodonosor abbiamo detto, può essere riferito a codesto mondo e al diavolo, che, veramente arrogante e supera  Occorre notare che il senso cristologico del testo veterotestamentario di Abacuc non si fonda solo sull’interpretazione allegorica desunta dalla versione dei Settanta, ma viene tratto da Girolamo direttamente dalla lettera del testo ebraico, dal quale solitamente ricava il senso storico.

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bo e che crede di valere qualcosa, niente condurrà a compimento. In effetti ogni suo sforzo e fatica avrà fine, egli che come l’inferno e la morte non è mai sazio di persone uccise e si rallegra dell’inganno di tutte le genti e raccoglie popoli presso di sé. Costoro, quando lo vedranno cacciato nell’abisso e consegnato all’inferno, vedendo portato a compimento quanto avevano letto nei profeti in modo parabolico e ainigmatōdōs [in modo coperto] e interpretandolo in riferimento a lui,24 ricorderanno all’unisono: guai al diavolo, che ha accumulato per sé cose non sue, guai alla pernice, che ha raccolto ciò che non ha partorito.25 Fino a quando? Questa espressione o è di coloro che rimproverano o di coloro che annunciano il giorno del giudizio. E appesantendo il suo collare con un peso infinito. Ed è bene, poiché è arrogante e superbo – propriamente, infatti, la superbia è indicata dalla testa alta e dal collo dritto –, che diventi pesantissimo il collare, perché curvi ciò che era eretto. E questo accadrà, poiché subito sorgeranno coloro che lo mordano, o gli angeli, ai quali il diavolo sarà affidato per il castigo, o coloro che erano stati da lui tenuti in cattività e dopo si erano pentiti: una volta ritornati sotto le insegne di Cristo, lo morderanno, secondo quanto altrove si dice: gli uomini di tua fiducia, ti hanno teso insidie. E infatti dopo prosegue: e si ridesteranno coloro che ti tendono insidie (Ier. 38, 22), cioè coloro che tu prima avevi sprofondato nel sonno e che avevi fatto ubriacare: tu soggiacerai alle loro insidie, essi devasteranno il tuo regno e ricondurranno coloro che erano stati prigionieri nelle schiere di Cristo. Tu, infatti, hai depredato molte nazioni e hai spogliato il popolo giudaico di ornamenti e vesti, che io gli avevo dato; pertanto tutti i popoli superstiti, che non hanno piegato il collo al tuo dominio, ti spoglieranno e ti lasceranno nudo, poiché tu hai ucciso molte nazioni e hai sparso il loro sangue. Ma anche l’empietà della terra, cioè di Giuda, e della città di Gerusalemme e di tutti i suoi abitanti – che dissero contro il loro creatore: crocifiggilo, crocifiggilo; il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli (Ioh. 19, 6; Matth. 27, 25) –, ricadrà sul tuo capo e sarà causa della tua spoliazione. Fra l’altro si può interpretare questo testo anche in riferimento all’Anticristo, che sarà a tal punto arrogante e superbo, da sedersi nel tempio di Dio, facendosi dio.26 E come l’inferno e la morte, ucciderà tanti e li rac-

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coglierà a sé, sì che, se potesse, ingannerebbe anche gli eletti di Dio. Raccoglierà anche a sé tutte le nazioni e farà cadere tutti i popoli nel suo inganno. Coloro che, poi, lo vedranno ucciso dal soffio della bocca di Cristo, comprenderanno che sono vere le cose che di lui sono state predette e diranno tutte le cose che seguono, con il medesimo significato con cui le abbiamo dette del diavolo. Nelle parole: ti spoglieranno tutti i popoli superstiti a motivo del sangue degli uomini e dell’empietà della terra e della città e di tutti coloro che abitano in essa scorgiamo i santi popoli superstiti, che non hanno servito l’Anticristo, dai quali sarà spogliato l’empio a motivo dell’empietà che ha esercitato sulla terra intera e della devastazione della città della chiesa e della persecuzione di tutti coloro che hanno abitato in essa. Tanto grande devastazione, infatti, e tanto grande empietà alla fine del mondo, mentre incrudelisce l’Anticristo, infurieranno nelle chiese ed, essendosi accresciuta l’iniquità di molti, a tal punto si raffredderà la carità, che il Signore, che conosce i segreti del cuore e che non ignora ciò che accadrà, dirà: pensi che, quando verrà il Figlio dell’uomo, troverà fede sulla terra? (Luc. 18, 8). Secondo l’apostolo Giovanni – che scrive: come avete sentito ‘ l’Anticristo verrà’, ma adesso gli anticristi sono molti; donde sappiamo che è l’ultima ora (I Ioh. 2, 18) –, possiamo definire arroganti e superbi tutti gli eretici e ogni opinione perversa di coloro che arrogano a sé la scienza e disprezzano la semplicità della chiesa, che nulla portano a compimento, ma si dilettano della morte di molti; e possiamo riferire tutto ciò che il capitolo contiene a coloro che accumulano per sé cose che non appartengono loro e raccolgono per sé come un fango insopportabile e un pesante collare, con cui sono trascinati alla pena, spogliano molte nazioni e spargono il sangue degli uomini ed esercitano l’empietà contro la chiesa e tutti i suoi abitanti. Ma i popoli superstiti, vale a dire gli uomini di chiesa, che non saranno stati ingannati dal loro errore, improvvisamente si alzeranno e si sveglieranno come da un sonno pesante e li morderannoa e tenderanno loro insidie e li considereLa lezione mordent sembra da preferire a mordebunt come lectio difficilior, se si intende questo verbo al futuro come tutti quelli delle proposizioni coordinate precedenti e successive, in quanto è attestato in rari casi come appartenente alla a 

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ranno loro preda. Alcuni ritengono che la frase: guai a colui che ammassa per sé ciò che non gli appartiene, eccetera, possa essere interpretata in riferimento ai ricchi, che allargano i confini dei loro possedimenti e raccolgono per sé i beni che non appartengono all’uomo – ma essi pensano di sì –, per venirne subito abbandonati. D’altra parte, che non appartenga all’uomo, cioè ‘all’animale razionale’, il possesso terreno, anche il Signore lo dimostra, dicendo: se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà quanto vi appartiene? (Luc. 16, 12). Spiegano l’intero testo del capitolo in relazione a questa condizione. Ma non so se riescano a conservare il filo della questione e della soluzione del profeta. Guai a colui che raccoglie con malvagia avidità per la sua casa, perché sia in alto il suo nido, e si ritiene liberato dalla mano del malvagio. Hai progettato il disordine per la tua casa, hai ucciso molti popoli e ha peccato la tua anima. Poiché la pietra chiamerà dalla parete e il legno, che si trova fra le giunture degli edifici, le risponderà. I Settanta: Oh colui che accumula con malvagia avidità per la sua casa, per porre in alto il suo nido ed essere strappato dalla mano dei malvagi. Hai progettato il disordine per la tua casa, hai distrutto molti popoli e ha peccato la tua anima, per questo la pietra dalla parete chiamerà e lo scarabeo dal legno dirà queste cose. Fin qui il discorso è rivolto ancora a colui che ammassa cose cattive e non capisce che l’abbondanza di ricchezze è causa della rovina della sua casa; allo stesso tempo per metaphora [metafora] è accusato di superbia, poiché come gli uccelli ha posto in alto il suo nido e ha creduto di essere stato strappato dalla mano del malvagio, cioè di non cadere mai in potere dei nemici; questa decisione superba e questo pensiero arrogante hanno avuto come fine l’ignominia. Hai ucciso molti popoli e nell’uccidere gli altri hai infierito contro la tua anima e hai infuriato a tal punto con crudeltà, che, se si può dire, le pietre della città e il legno delle pareti, che hai abbattuto, gridano la tua ferocia. Qualcosa di simile dice anche il Signore nel terza coniugazione (ad esempio la versione latina detta Itala ha in Hab. 2, 7 mordant al posto di mordeant).

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vangelo contro i farisei, che lo biasimavano di non rimproverare i fanciulli che lo acclamavano: osanna nell’alto dei cieli al figlio di Davide, benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna nell’alto dei cieli (Matth. 21, 9). Non avete letto – disse – che è stato scritto: dalla bocca dei bambini e dei lattanti otterrai lode? E se questi avranno taciuto, grideranno le pietre (Matth. 21,  16; Ps. 8,  3). Sebbene molti ritengano che si debba intendere così: ‘se i giudei avranno taciuto, la moltitudine dei gentili mi riconoscerà’, tuttavia è questo il significato più semplice e più vero: anche se gli uomini tacessero e la lingua invidiosa non parlasse della moltitudine dei miei miracoli, tuttavia le stesse pietre e le fondamenta dei muri e le pareti degli edifici potranno far risuonare la mia grandezza. Perché ciò divenga più chiaro, facciamo anche esempi tratti dalla letteratura profana: dice [Sallustio] Crispo nella Storia: ‘I Saguntini erano famosi tra i mortali per fedeltà e tribolazioni, con uno zelo superiore alle risorse, come coloro ai quali le mura diroccate, le case senza copertura e le pareti bruciate dei templi mostravano ancora l’opera dei Cartaginesi’.a Qualcosa di simile dice anche Tullio [Cicerone] indirizzandosi a Cesare nella Pro Marcello: ‘Le pareti, in fede mia – come a me sembra  –, di questa curia sono impazienti di renderti grazie, poiché in breve tempo quella autorità risiederà in queste sedi dei loro antenati e di loro’.b Per altro, ciò che noi abbiamo tradotto: e il legno, che si trova fra le giunture degli edifici, risponderà, al posto del quale i Settanta hanno tradotto: e lo scarabeoc dal legno dirà queste cose, in modo più chiaro, secondo la sua abitudine, Simmaco ha tradotto: kai syndesmos oikodomēs xylinos apophthenxetai auta, cioè: e la giuntura di legno dell’edificio dirà queste cose. Anche Teodozione: kai syndesmos xylou phthenxetai auta [e la giuntura di legno dirà queste cose], e così pure la quinta edizione: kai syndesmos xylou phthenxetai auta: queste traduzioni concordano con la nostra e con quella di Sim-

Sall., Hist. frg. II, 64 M. Cfr Mantelli, ‘Sallustio’. Cic., Marcell. 10. c  Questa traduzione dei Settanta deriva dal travisamento della parola ebraica chafis, resa in greco con kantharos (Ziegler, p. 266) e tradotta in latino dalle Veteres con scarabaeus (Sabatier, 2, 965). a 

b 

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maco. In effetti ciò che in ebraico si dice chafis,a significa ‘legno’, che si mette all’interno della struttura per dare solidità ai muri e, comunemente, in greco è chiamato himantōsis. Questo, dunque, secondo il senso letterale è quanto significa il discorso profetico: i sassi delle pareti, che sono stati distrutti da te, e le loro parti in legno da te bruciate grideranno la tua crudeltà. Ho trovato, oltre alle cinque edizioni, cioè Aquila, Simmaco, i Settanta, Teodozione e la quinta edizione, anche altre due traduzioni dei dodici profeti, in una delle quali è stato scritto: poiché la pietra della parete chiamerà, come un verme che parla nel legno, e nell’altra: infatti la pietra della parete griderà e lo skōlēx [verme] dal legno parlerà di questo. Ma Aquila ha riportato qualcosa d’altro, rispetto a ciò che abbiamo detto: kai maza, cioè ‘e la massa’ dal legno risponderà. Che cosa voglia dire l’interpretazione di costoro, lo diremo nello spiegare la traduzione dei Settanta, nei quali al posto di ‘guai’ è stato messo ‘oh’, e il discorso è rivolto o al diavolo o all’Anticristo o agli eretici, che accumulano per sé con malvagia avidità. È detta, infatti, malvagia avidità, per distinguerla da quella buona, cosicché è buona l’avidità del dottore ecclesiastico, che non è mai sazio di moltiplicare i suoi discepoli, e quanti più ne abbia ottenuto, tanto più è spinto alla passione per l’insegnamento. Guai, dunque, a colui che accumula per sé con pessima avidità, così da raccogliere nella sua casa conventicole perverse, e porre in alto il suo nido, per essere sottratto alla mano dei malvagi. Infatti il diavolo, l’Anticristo e gli eretici promettono a quanti accolgono la loro dottrina di possedere nei luoghi celesti il regno dei cieli e di non sperimentare il fuoco dell’inferno. Nonostante le promesse, il loro progetto non potrà giungere a compimento, ma sarà un proposito di confusione e di ignominia per la loro casa. Dopo che la fine stessa degli eventi avrà dimostrato la falsità delle loro promesse, si proverà che si tratta di un progetto di confusione e non di salvezza. Come abbiamo detto, codesto dottore di perversità ha distrutto molti popoli e quanti più ne ha avuti al suo seguito, tanto più ha peccato contro la sua anima. Infatti le pietre della sua ‘chiesa’ e il kantharos, cioè lo scarabeo del legno, grideranno l’avidità del superbo, poiché avrà a 

TM: käpîs, trave.

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ingannato tutte le genti con la sua perversione. Possiamo interpretare le pietre come i cuori stolti di coloro che credono alle dottrine degli eretici e lo scarabeo del legno come certi cattivi maestri, che, assumendosi la predicazione della croce a motivo di turpe guadagno, parlano con il ventre. Infatti il loro dio è il ventre e fanno ogni cosa a motivo del cibo, che si trasforma in sterco. Donde anche a motivo dello sterco27 e soltanto per questo si caricano della croce, per insegnare con bocca da vipera l’avidità e la superbia del loro maestro, il diavolo. Se mai vedrai un eretico parlare contro la chiesa quasi fossero misteri nascosti e occulti e mettere la casa del diavolo davanti alla casa di Cristo, dirai senz’altro: la pietra grida dalla parete e il kantharos parla dal legno. Ho letto nel libro di un tale che il kantharos deve essere riferito agli eretici, perché essi hanno opinioni che possono essere paragonate allo sterco. Donde anche l’apostolo dice di aver ritenuto l’errore della vecchia dottrina come escrementi, cioè come sterco. Non perché la legge antica – come ritengono i manichei – a paragone del vangelo debba essere valutata come escrementi – cosa che è empio dire, poiché l’una e l’altro sono testamento dell’unico Dio –, ma perché le dottrine dei farisei e i precetti degli uomini e la tradizionea dei giudei sono detti sterco dall’apostolo. So che uno dei fratelli ha interpretato la pietra, che ha gridato dalla parete, come il Signore Salvatore e lo scarabeo, che parla dal legno, come il ladrone che ha insultato il Signore: sebbene si possa accettarla come un’edificante interpretazione, non trovo in che modo possa adattarsi al contesto dell’intera profezia. Ci sono poi alcuni che considerano che il kantharos, che parla dal legno, dal contesto possa pure riferirsi alla persona del Salvatore: tale interpretazione appare empia a partire dal filo stesso del discorso. Infatti ‘il kantharos che dirà dal legno queste a  L’espressione si spiega ricorrendo a Hier., Epist. 121, 10 dove si fa riferimento al ‘commento’ detto mishnāh, che significa ‘ripetizione’ e di cui deuterōsis è il calco greco perfetto. Cfr Hartmann, ‘St. Jerome’, p. 60. Secondo Stummer (‘Targumim’, p. 177), che raccoglie tutti i passi che riportano il lemma deuterōsis nell’opera geronimiana, il fatto che egli conosca tale terminologia afferente al mondo della Mishna e dei Tannaim, e dunque sia al corrente della loro esistenza, non significa che egli abbia condotto studi approfonditi a questo proposito, ma potrebbe più semplicemente aver attinto tale conoscenza, insieme ad alcune esegesi tratte da questa tradizione, dai suoi maestri ebrei.

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cose’ è interpretato in senso non buono ma cattivo: si riferisce alla pessima avidità di colui che accumula contro la sua casa e alla confusione del diavolo e a quanto visto prima circa la sua iniquità e il suo delitto. Riguardo poi a ciò che dice Aquila ‘e la massa risponderà dal legno’, abbiamo riferito ‘massa’ a quel significato che vi ha attribuito il Signore nel vangelo: guardatevi dal lievito dei farisei (Matth. 16, 11). Siccome gli apostoli dubitavano e non riuscivano a comprendere che cosa mai fosse, l’evangelista ne ha dato la spiegazione dicendo: aveva parlato loro riferendosi alla dottrina dei farisei (Matth. 16, 12). Giustamente, dunque, la dottrina degli eretici parla dal legno: diversamente, infatti, non possono persuadere, se non abbiano messo avanti alla loro perversità la gloria del legno. Nondimeno anche ciò che avevamo detto: poiché la pietra dalla parete chiamerà come il verme che parla nel legno, o la pietra griderà e lo skōlēx [verme] dal legno parlerà di queste cose, alcuni di noi dicono che il verme che parla nel legno è colui che nel salmo dice: ma io sono verme e non uomo (Ps. 21, 7), e riferiscono l’uccello che parla alla persona dello stesso che dice: sono diventato come un passero solitario sul tetto (Ps. 101, 8) e il resto simile a questo.28 Guai a colui che edifica una città nel sangue e prepara una città nell’iniquità. Forse che queste cose non vengono dal Signore degli eserciti? Soffriranno, infatti, i popoli in molto fuoco e le nazioni invano e verranno meno, perché sarà piena la terra, affinché conoscano la gloria del Signore, come le acque che coprono il mare. I Settanta: Guai a colui che edifica una città nel sangue e prepara una città nell’iniquità. Non vengono forse queste cose dal Signore onnipotente? E sono venuti meno molti popoli nel fuoco e nazioni numerose sono state prese dallo sconforto, poiché sarà riempita la terra, sì che si conosca la gloria del Signore, come l’acqua che copre i mari. Nessuno dubita che secondo la lettera finora il discorso profetico parli contro Nabucodonosor e si lamenti di lui, perché edifica Babilonia nel sangue e costruisce le sue mura sulla rovina e sulla morte di molti. Egli, poiché ha fatto questo alla città, che era stata costruita nel sangue, ascolta quanto il Signore gli farà in seguito.

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Prosegue, infatti: forse che queste cose non vengono dal Signore degli eserciti? Ciò è quanto dice: soffriranno, infatti, i popoli in molto fuoco e le nazioni invano: cioè, dopo che Babilonia sarà stata incendiata, invano i popoli soffriranno e si affaticheranno e verranno meno i popoli della nazione caldea. Poiché la terra sarà riempita, affinché conoscano la gloria del Signore, cioè quando Babilonia sarà stata distrutta, diverrà chiara a tutti la potenza della forza di Dio, come le acque che coprono il mare; così dalla gloria del Signore sarà colmata la terra intera, come le acque ricoprono l’alveo e il fondo del mare. Questo, come abbiamo detto, secondo la lettera. Per il resto è chiaro che anche il diavolo e l’Anticristo e la perversa dottrina degli eretici edificano una città nel sangue,29 cioè la loro chiesa per la distruzione di coloro che hanno ingannato e fondano la città nell’iniquità, proferendo empietà contro Dio e dicendo parole arroganti. Poiché hanno fatto ciò, in modo manifesto si dimostra che essi costruiscono per sé una città nel sangue e la edificano nell’iniquità. Segue infatti: vengono forse queste cose da Dio onnipotente? Cioè, questa edificazione non viene dal Signore sabaoth,a che qui i Settanta hanno tradotto con ‘onnipotente’. Verranno meno, infatti, molti popoli e, sebbene infinite nazioni siano indotte nel loro errore, tuttavia o saranno senza vigore – questo significa soprattutto ōligopsychēsan [languirono] – o certamente saranno ridotti allo sconforto e non potranno essere paragonati con la moltitudine della chiesa. Quando quelli vengono meno nel fuoco – che si deve intendere: o consumati dal fuoco del diavolo, loro principe, o certamente incendiati dal fuoco del Signore, del quale egli stesso dice: sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e quanto desidero che arda (Luc. 12, 49) – e si allontanano dal precedente cammino e fanno penitenza e abbandonano la strada intrapresa, che suona oligopsychia [pusillanimità], sarà riempita la terra intera della gloria del Signore, quando il loro suono uscirà nel mondo intero alla predicazione degli apostoli, come le acque che riempiono il mare, cioè in modo che le acque del Signore riempiranno ogni salsedine e amarezza del mondo, che la terra aveva bevuto, mentre il diavolo la faceva piovere dall’alto, e faranno sì che a 

TM: ṣәḇā’ȏṯ.

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non appaia il luogo del mare e della precedente amarezza. Donde anche nel salmo si dice: beati coloro ai quali sono state rimesse le iniquità e coperti i peccati (Ps. 31, 1).30 Può per altro – sebbene non convenga all’impianto del brano né si adatti a questo testo della Scrittura – essere anche compreso in riferimento alla città di Gerusalemme, piena del sangue dei profeti, di cui la Scrittura ricorda che in essa traboccava il sangue dei santi da una porta all’altra e che dice nella passione del Signore: il suo sangue su di noi e sui nostri figli (Matth. 27,  25), e alla quale Dio parla nel profeta Isaia: quando avrete alzato le mani a me, non vi esaudirò; le vostre mani, infatti, sono piene di sangue (Is. 1, 15), e che è stata edificata nell’iniquità, questa città nella quale secondo il medesimo profeta, la giustizia era addormentata. Né la sua edificazione viene dal Signore sabaoth [degli eserciti]. Per cui sono venuti meno anche molti popoli nel fuoco e a molte genti è stato tolto il vigore nel tempo in cui [Gerusalemme] è stata circondata dagli eserciti di Vespasiano e di Tito e, mentre venivano per il giorno solenne della Pasqua, sono stati rinchiusi nella città come in un carcere, e per la fame e per la penuria sono venuti meno,a e fino all’estrema rovina li ha condotti l’assedio di Adriano.b Tuttavia, dopo che è stata rovesciata la città del sangue e dell’iniquità, e i popoli sono stati consumati dal fuoco e le nazioni, che erano venute in loro aiuto, sono state disperse da ogni parte e hanno lasciato cadere le mani stanche, l’intera terra è stata riempita della gloria di Cristo, e come da acque, così dalle sue parole e dalla sua dottrina è stato ricoperto l’intero mondo.31 Guai a colui che dà da bere al suo amico, mettendovi il suo fiele e facendolo inebriare, per vedere la sua nudità. Si è saziato di ignominia invece che di gloria: bevi anche tu e addormentati. Ti circonderà il calice della destra del Signore e il vomito dell’ignominia sarà sopra la tua gloria, poiché l’iniquità del Libano ti coprirà e la devastazione degli animali li distoglierà dall’uccidere gli uomini e dal fare il Questo particolare è riferito da Flavio Giuseppe. Cfr Ioseph., Bell. 6, 9, 3 (420-421). b  Cfr Evs., H.e. 4, 6. a 

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male alla terra e alla città e a tutti coloro che abitano in essa. I Settanta: Guai a colui che dà da bere al suo prossimo con violenta distruzione e lo fa inebriare, per vedere nelle loro spelonche la sazietà dell’ignominia al posto della gloria; bevi anche tu e sii turbato. Ti ha circondato il calice della destra del Signore e si è raccolta l’ignominia sopra la tua gloria, poiché l’empietà del Libano ti ricoprirà e la sventura delle bestie ti spaventerà, a motivo del sangue degli uomini e delle empietà della terra e della città e di tutti coloro che abitano in essa. Al posto di ‘con violenta distruzione’ Simmaco ha tradotto: kai aphiōn akritōs ton thymon heautou, cioè: e dando sfogo senza giudizio al suo furore. Teodozione: apo chyseōs sou, che si traduce: dal tuo spargimento. La quinta edizione: ex aprosdokētou anatropēs tēs orgēs sou, che significa: dal rivolgimento improvviso della tua ira. Aquila: ex epitripseōs cholou sou, che possiamo tradurre: dall’emissione del tuo furore. In un’altra edizione ho trovato: ouai tō potizonti ton hetairon autou aellan petomenēn, che nella nostra lingua suona anche: guai a colui che dà da bere al suo amico un turbine veloce. Ma altrove ho letto anche questa traduzione: guai a colui che dà da bere al suo prossimo ekstasin ochloumenēn, cioè ‘pazzo turbamento’. Questo abbiamo detto, perché possiate comprendere con quanta varietà la parola ebraica maspha,a che i Settanta hanno tradotto ‘distruzione’, discordi in ogni traduzione. Dunque l’invettiva è ancora contro Nabucodonosor, poiché, dopo aver dimenticato la sua condizione e come se ignorasse di essere uomo, ha fatto bere a un altro uomo fiele e amarezza. Possiamo intendere che quest’ultimo sia o il re della Giudea o in generale tutti gli uomini, per il fatto che li ha inebriati di mali, per vedere la nudità di Sedecia32 e di tutti i prigionieri. Invece Simmaco e la quinta edizione hanno tradotto: per vedere le loro ignominie. Tali cose comunque si dicono per metaphora [metafora] dell’uomo ebbro e disonorato dalla nudità, poiché Nabucodonosor ha inebriato tutti con il calice del suo furore e tutti ha visto spogliati e prigionieri, e coloro che un tempo erano stati gloriosi alla fine sono stati condotti in a 

TM: müsappëªh, di senso incerto.

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schiavitù; questo, infatti, è quanto dice: è stato riempito di ignominia invece che di gloria, sottintendendo l’amico e il prossimo o il compagno di regno, che ha bevuto, o Nabucodonosor, il tuo calice. Per cui, poiché hai inebriato molti, bevi anche tu dal calice del Signore e addormentati: sarai circondato dai supplizi della destra del Signore e con l’ignominia del tuo vomito sarai privato di tutto quanto avevi assorbito e dalla gloria più alta sarai condotto ai mali estremi. Poiché l’iniquità del Libano ti coprirà: la tua superbia – dice – e la distruzione del tempio e il saccheggio del santuario ti devasteranno e ti distruggeranno. E poiché una volta aveva nominato il monte Libano, con la stessa metafora paragona i sacrifici e le vittime o certamente la moltitudine dei popoli, che sono stati uccisi in Gerusalemme, agli animali o alle bestie, dicendo: il massacro dei giumenti ti tormenterà. Subirai tutto questo, perché hai distrutto Giuda, hai rovinato la terra promessa e la città di Gerusalemme e tutti i suoi abitanti. Ho sentito un tale di Lidda,a un ebreo che dai suoi è chiamato sapiente e deuterōtēs [commentatore],b che riferiva un racconto di tal fatta: Sedecia – disse – dopo essere stato accecato dal re Nabucodonosor a Reblatha, cioè Antiochia, e deriso in molti modi, fu condotto a Babilonia. Lì, un giorno in cui celebrava un banchetto per una festa, Nabucodonosor comandò che fosse data a Sedecia una bevanda che, una volta bevuta, gli provocò una diarrea e, immediatamente introdotto al cospetto dei convitati, fu costretto dalle convulsioni del ventre a sporcarsi con gli escrementi, e ciò sarebbe quanto la Scrittura ora dice: guai a colui che dà da bere al suo amico, mettendovi il suo fiele e facendolo inebriare, per vedere la sua nudità e l’ignominia invece della gloria; ciò significa che colui che era stato un re potentissimo era stato condotto a tale vergogna. Dio dunque lo minaccia che egli stesso berrà una bevanda di tal fatta e subirà tutto quanto ha patito Sedecia. Potete comprendere quanto ciò sia ridicolo, senza che io ne parli. Se, infatti, quanto segue: bevi anche tu e addormentati; e ti circonderà il calice della destra del Signore e il vomito dell’ia  Girolamo fa menzione di un maestro di Lidda (Lydda-Diospolis), che egli avrebbe consultato e pagato, anche nel prologo alla sua versione del libro di Giobbe (cfr Opelt, ‘S. Girolamo’, p. 334). b  Cfr supra.

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gnominia sarà sopra la tua gloria non lo intendono in riferimento al calice, ma ai mali che dovrà bere Nabucodonosor, dunque anche il calice con cui si è dato da bere a Sedecia deve essere interpretato come i mali, non, come vogliono costoro, un kathartikos [purgante]. Se invece dicono che veramente ciò è accaduto e che gli è stata preparata una bevanda siffatta, come sopra ho riferito, dunque anche codesto calice, che berrà Nabucodonosor, si deve ritenere pieno di kathartikos, affinché Dio sabaoth [degli eserciti] e Signore onnipotente come grande giusta punizione faccia bere a Nabucodonosor il kathartikos e faccia in modo che sia imbrattato dai suoi escrementi. Questo per confutare la tradizione giudaica.33 Ma veniamo alla comprensione spirituale. Guai a te, diavolo, o Anticristo o opinione perversa degli eretici,34 che con le tue dottrine e con la bevanda impura inebri i molti che inganni e, sovvertendo la fede di prima, dai loro una bevanda non di Siloe, non del Giordano, non delle fonti di Israele, ma del torrente Cedron e del fiume d’Egitto, di cui anche Geremia dice: che cosa hanno a che fare con te le vie dell’Egitto, perché tu beva l’acqua di Geon? (Ier. 2, 18).35 Al posto di questo in ebraico è stato scritto sior,a cioè torbida e fangosa. Sebbene, infatti, si credesse che i fiumi d’Egitto uscissero dal paradiso di cui parlano le Scritture, tuttavia, poiché sono calpestati dai piedi del faraone, hanno perduto il loro splendore e, contaminati dal fango egizio, sono stati trasformati in torrenti, riguardo ai quali il santo, poiché da essi si è salvato, si rallegra: la nostra anima ha attraversato un torrente (Ps. 123, 5). E se qualcuno addurrà in senso opposto il torrente Corath, da cui ha bevuto Elia, e l’altro ­torrente, da cui il Signore ha bevuto lungo la via – infatti così è stato scritto: beve dal torrente lungo la via (Ps. 109, 7) –, bisogna dire che chiunque si trova in Egitto e lungo la via di questo mondo, fosse anche Mosè e Aronne, Geremia ed Elia, è nondimeno necessario che egli beva dalle tentazioni dell’Egitto e del deserto. Di qui anche la parola del Signore, che per questo aveva assunto la carne, cioè per a  TM: šīḥȏr, di senso incerto (Hier., Nom. Hebr. 30, 13: «sior paruulum siue turbulentum»; 55, 13: «sior firmamentum nouum uel turbidum»; Hier., In Ier. 1, 26, 1-2, 1-3.6: «pro ‘Sior’ nos ‘turbidam’ interpretati sumus, quod uerbum Hebraicum significat, pro quo communis editio habet ‘Geon’ […]. Quin Nilus aquas turbidas habeat»).

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bere dal torrente, e che considerando la sua dignità ha detto: Padre, se è possibile, passi questo calice da me (Matth. 26, 39). Vedendo, poi, che era in Egitto e che le acque non potevano essere purificate se egli non avesse bevuto, dice: tuttavia non come io voglio, ma come vuoi tu (Matth. 26, 39). Questo dice, perché il diavolo con la distruzione e la bevanda torbida, cioè certe perverse dottrine, inebria il prossimo, cioè l’essere razionale, e fa in modo che coloro che ha ingannato rivolgano l’attenzione alle sue spelonche. Infatti ciò che la chiesa crede è libero e si rallegra del giorno e della luce. Coloro che, invece, sono inebriati, sono inebriati di notte (I Thess. 5, 7); e coloro che li inebriano, non li conducono negli atri del Signore, che non sono coperti dall’ombra di nessun tetto, ma nelle spelonche. Hanno reso, infatti, la casa del Padre, che era stata casa di preghiera, una spelonca di ladri, promettendo certe iniziazioni e misteri e segreti nascosti e noti ai soli eretici, di cui parla anche Isaia: e nasconderanno tutte le opere delle loro mani, mettendole dentro le spelonche e nelle scissure delle pietre e nei buchi della terra (Is. 2, 18-19).36 Non entriamo, dunque, nelle spelonche degli eretici e non nascondiamoci lì dove l’empio Saul era solito lasciare gli escrementi delle sue dottrine, ma piuttosto saliamo alla spelonca elevata del monte Sinai, dove anche Elia ha visto il Signore e prima di lui Mosè ha potuto contemplare le sue spalle. E Isaia, gridando, dice del Signore: qui abiterà, in una spelonca elevata (Is. 32, 16). Se uno, invece, non ha una bevanda torbida, cioè una dottrina eretica, ma è maestro della chiesa e fa tutto a motivo di un turpe guadagno e vende le colombe nel tempio – cioè i doni dello Spirito santo – e sulla cattedra sacerdotale soffoca gli uccelli liberi,a costui Abbiamo preferito la variante aues, documentata dalla famiglia di codici β, contro quella di α, cioè aures. Sembra che la frase voglia fare quasi una parodia attualizzante, in riferimento a una certa categoria di uomini di chiesa, del passo di Matth. 21, 12-13: «et intrauit Iesus in templum Dei et eiciebat omnes uendentes et ementes in templo et mensas nummulariorum et cathedras uendentium columbas euertit et dicit eis: scriptum est domus mea domus orationis uocabitur uos autem fecistis eam speluncam latronum». La ‘cattedra’ di coloro che vendono le colombe è divenuta nella chiesa lo scanno dei maestri, che invece di elargire la vera dottrina fanno della loro posizione un’occasione di turpe guadagno. Se, al contrario, si scegliesse la lezione aures, si dovrebbe legare questo passo al ragionamento precedente sugli eretici: in favore di questa ipotesi starebbe l’aggettivo libera, che si riferisce a 

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non rende certamente la casa di preghiera una spelonca di ladri, ma fa della casa del Padre una casa di commercio. Dopo ciò prosegue: bevi anche tu a sazietà l’ignominia al posto della gloria e sii turbato, cioè, o diavolo, o dogma perverso, o eretico, che pensavi di essere un calice d’oro, dal quale erano inebriate tutte le genti, per vedere le tue spelonche e i tuoi segreti, invece della grandezza della gloria sii ricolmato della sazietà dell’ignominia e sii ritenuto un vaso di creta opera delle mani del vasaio; bevi anche tu dal calice del Signore, di cui nel salmo si dice: c’è un calice nella mano del Signore, pieno di mescolanza di vino schietto, e l’ha inclinato da una parte e dall’altra; pur tuttavia la sua feccia non è diminuita (Ps. 74, 9). Sii turbato dalla precedente affermazione e non ritenere che siano ferme e stabili le cose in cui precedentemente ti piaceva stare, poiché ti ha circondato il calice della destra del Signore. In effetti, poiché hai dato da bere al tuo prossimo una torbida distruzione, sarà raccolta l’ignominia sopra di te e sopra la tua gloria, che prima credevi di avere, e soffrirai questo, perché l’empietà del Libano ti coprirà, secondo quanto è detto: e la sua preghiera si trasformi in peccato (Ps. 108, 7). Il monte Libano, infatti, secondo la lingua greca è homōnymos [omonimo]37 di incenso: ma l’incenso è symbolon [simbolo] del fumo del sacrificio spirituale e del culto di Dio. Per questo motivo la preghiera degli eretici, perversa e non rivolta con evangelica semplicità, si volgerà per essi in peccato, e l’empietà del loro culto divino li coprirà. Per cui segue: e la sventura delle bestie ti spaventerà, a motivo del sangue degli uomini e delle empietà della terra e della città e di tutti coloro che abitano in essa. E il senso è: coloro che hai ingannato con le tue frodi e da pecore di Cristo hai fatto diventare tue bestie, quando li avrai visti in miseria e per colpa tua sopportare supplizi, allora sarai atterrito, allora cadrai a terra. E perché non pensi che io, poiché ho nominato il Libano e le bestie, parli di bruti animali e non di uomini, in modo più chiaro sopra alle dottrine ortodosse della chiesa, come attributo delle ‘orecchie’ che i cattivi ecclesiastici vorrebbero soffocare. Ma contro questa ipotesi sta la dichiarazione di Girolamo, che afferma di cambiare argomento e di concentrare la sua attenzione non su chi perverte la dottrina ma su chi cerca di approfittare della propria posizione ecclesiale per arricchirsi. Solo se si sceglie aues si mantiene la parodia attualizzante del testo evangelico e il gergo ‘commerciale’ del contesto più prossimo.

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ti dico: sopporterai tutto questo, perché hai sparso il sangue di molti uomini, che hai fatto allontanare da Dio. E hai esercitato l’empietà nella terra dei viventi, nella terra dei mansueti, e la tua empietà ha incrudelito anche nella città del Signore, cioè nella sua chiesa, e molti che abitavano in essa hai reso partecipi della tua empietà. Ciò è stato detto in riferimento agli eretici. Per altro, se vogliamo interpretarlo in relazione all’Anticristo, o al diavolo che opererà nell’Anticristo, costui col suo calice, con il quale vorrà rovesciare l’insegnamento di Cristo, inebrierà molti, perché ebbri entrino nelle sue spelonche, ma dopo che sarà venuta la fine, al posto della gloria con la quale si era esaltato, sarà riempito di ignominia. Sarà riempito, perché berrà il calice dei supplizi, e sarà scosso, perché non fermo nella sua malizia, ma agitato e troppo tardi penitente. Lo circonderà, infatti, il calice della destra del Signore, che è il Signore e il Salvatore, quando lo ucciderà con il soffio della sua bocca e lo distruggerà con la luce della sua venuta. Allora ogni ignominia, che per sé ha raccolto con pensieri, fatti, parole, sopraggiungerà sulla sua gloria, cosicché quanto più in precedenza era ritenuto illustre, tanto più in seguito sia riempito di ignominia. Ha bestemmiato, infatti, contro Dio, e l’empietà, che ha esercitato contro il Libano, lo coprirà, e la follia di molti uomini, che hanno infuriato contro la chiesa di Dio, sarà imputata a lui, e non potrà alzare la testa, ma dal terrore sarà schiacciato a terra. Ha, infatti, ucciso molti uomini e ha devastato con la sua empietà tutto il mondo, cioè la chiesa di Cristo e i suoi abitanti. Bisogna, dunque, sapere che il capitolo, che ora ho interpretato, cioè: guai a colui che dà da bere al suo prossimo con violenta distruzione, e i tre precedenti, in cui è stato detto: guai a colui che ammassa per sé ciò che non è suo, e: guai a colui che raccoglie con malvagia avidità per la sua casa, e: guai a colui che edifica una città nel sangue, sia secondo il senso letterale sia secondo quello anagogico, possono ugualmente essere interpretati sia contro Nabucodonosor sia contro il diavolo e l’Anticristo e gli eretici. A che cosa giova la scultura, poiché l’ha scolpita il suo scultore, opera di metallo fuso e immagine falsa? Poiché ha sperato nella statua il suo scultore, per fare figure mute.

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I Settanta: A che serve la scultura, dal momento che l’hanno scolpita; l’hanno fatta con il metallo fuso, come immagine falsa? Poiché ha confidato lo scultore nella sua statua, per fare idoli muti. Per conseguenza di quanto detto prima, si parla di Nabucodonosor, che ha fatto scolpire una statua dell’idolo Bel e l’ha posta nel campo di Deira, o, come è stato scritto in ebraico, di dora, di cui in modo più ampio leggiamo in Daniele.38 Si meraviglia la Scrittura della follia e della stoltezza del re, poiché egli stesso aveva comandato che fosse fatta una statua d’oro, e lo scultore ha fede nel simulacro che ha scolpito: il che certamente possiamo intendere in generale contro tutti gli adoratori di idoli. Né riteniamo che sia una stessa cosa ciò che è scolpito e ciò che è fuso. In effetti possiamo intendere per scultura quella in pietra e in marmo, mentre con fusione ci si riferisce a quei metalli che possono essere sciolti o fusi: per esempio l’oro, l’argento, il bronzo, il piombo e lo stagno. Ciò sia detto, perché possiamo sapere secondo il senso tropologico quale sia la differenza fra ciò che è scolpito e ciò che è fuso. Leggiamo nel Deuteronomio: maledetto chiunque abbia fatto sculture e fusioni, opera delle mani dell’artigiano, e le abbia poste in un luogo nascosto (Deut. 27,  15). Considero scultura e fusione le perverse opinioni, che sono adorate da coloro che le hanno plasmate. Vedi che Ario ha scolpito per sé l’idolo della creatura e ha adorato ciò che ha scolpito. Vedi che Eunomio ha fuso un’immagine falsa e davanti alla sua fusione piegaa la testa. E chiaramente la Scrittura dice: e lo porrà in un luogo nascosto. Hanno, infatti, anch’essi i loro riti sacri e come a perfetti trasmettono a ciascun discepolo dottrine segrete, che, se venissero alla luce, subito si comprenderebbe che sono state inventate. A nulla, dunque, gioveranno loro la scultura e la fusione: interpreta la scultura, poiché riguarda la pietra, in riferimento a quelle opinioni che dimostrano stoltezza a prima vista; la fusione, là dove sembra esservi una qualche dottrina di sapienza profana e, come da una specie di oro, così dalle discipline dei filosofi e dallo splendore dell’eloquenza è stato fuso un idolo. In nulla, dunque, gioverà la statua al suo scultore. E il muto e sorEunomio doveva essere ancora vivo mentre Girolamo scriveva il commentario ad Abacuc. a 

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do simulacro non potrà udire il suo adoratore. Quando vedrai qualcuno che non vuole credere alla verità e che, dopo che gli è stata mostrata la falsità delle sue opinioni, persevera nel progetto intrapreso, convenientemente potrai dire: spera nella sua statua e costruisce simulacri muti e sordi; kōpha in greco significa entrambe le cose, sebbene Simmaco, traducendo alala, sembri aver inteso muti piuttosto che sordi. Né turbi qualcuno quell’idiōma [peculiarità] delle Scritture, di cui spesso abbiamo detto: chi, pensi, è l’amministratore fedele e sapiente? (Luc. 12, 42) e in un altro luogo: chi è sapiente e comprende queste cose? (Ps. 106, 43). Perché ‘chi’ o ‘che cosa’ si intendono come ‘raramente’, mentre in altri passi nel senso di ‘cosa impossibile’: chi ci separerà dall’amore di Cristo: la tribolazione o la ristrettezza? (Rom. 8, 35), eccetera. E nel presente capitolo: a che giova la scultura, poiché l’ha scolpita il suo scultore? In entrambi i casi si dimostra l’impossibilità, poiché né alcuna tribolazione o ristrettezza potrebbero separare l’amore dell’apostolo da Cristo né negli idoli vi è alcuna utilità.39 Guai a colui che dice al legno: svegliati; alzati, alla pietra che tace; forse che esso potrà istruirti? Ecco codesto è stato ricoperto di oro e di argento e nessuno spirito si trova nelle sue viscere. Il Signore, invece, nel suo tempio santo; taccia davanti a lui tutta la terra. I Settanta: Guai a colui che dice al legno: svegliati, alzati; e alla pietra: sollevati. E questo stesso è immagine e prodotto d’oro e d’argento e nessuno spirito è in esso. Il Signore, invece, nel suo tempio santo; sia presa da timore davanti a lui tutta la terra. E ciò similmente si può intendere o contro Nabucodonosor o contro tutti coloro che adorano gli idoli. È descritto l’errore degli uomini, cioè che l’argento, l’oro, le gemme e la seta, con cui sono stati rivestiti o coperti gli idoli, stimano come dèi per il fulgore dei materiali, mentre l’artigiano gli ha potuto dare forma, ma non è stato in grado di infondervi l’anima, da cui siano vivificate le membra. E al contrario si dice: il Signore nel suo tempio santo (Ps. 10, 5); non in un tempio manufatto, ma o nei cieli o in ciascuno dei santi – secondo l’apostolo che dice: o non sapete che siete il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi? (I Cor. 3, 16), e altrove: i vostri corpi

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sono tempio di Dio (I Cor. 6, 19) –, o nel Figlio, come egli stesso dice: il Padre, rimanendo in me, compie le sue opere (Ioh. 14, 10). O certamente secondo i versi che dicono: nei cieli e sulla terra e nei mari e nell’intero mondo ‘lo spirito soffia dentro e la mente, infusa in tutte le membra, / ne muove tutta la mole e si mescola con il grande corpo’.a Il mondo intero, che è formato di cielo e di terra ed è racchiuso da sfere celesti, si dice che sia casa di Dio. Donde anche l’apostolo senza esitazione dice: in lui stesso, infatti, viviamo e ci muoviamo e siamo (Act. 17, 28). E se qualcuno obiettasse: in che modo dicono che non c’è spirito vitale negli idoli, dal momento che gli spiriti immondi si trovano presso tutti i simulacri, impari la consuetudine della Scrittura santa, di non chiamare mai lo spirito perverso da solo, ma spirito con una qualche aggiunta, come qui: sono stati sedotti dallo spirito di fornicazione (Os. 4, 12). E nel vangelo: quando, poi, lo spirito immondo sarà uscito dall’uomo (Luc. 11, 24), e altri passi simili a questi. Invece dovunque si legga ‘spirito’ da solo, senza alcuna aggiunta, sempre è inteso in senso positivo, cioè è riferito allo Spirito santo, come nel passo dell’apostolo: chi semina nello Spirito, dallo Spirito mieterà vita eterna (Gal. 6, 8), e altrove: frutto dello Spirito sono carità, gioia, pace (Gal. 5, 22), e in un altro passo: camminate nello Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne (Gal. 5, 16).40 Neppure diciamo per altro che anche lo Spirito santo non si trovi con un’aggiunta: è chiamato, infatti, anche Spirito santo e Spirito principale e Spirito retto e Spirito di Dio e altri nomi simili a questi; ma lo Spirito santo si trova sia con un’aggiunta sia spesso da solo, lo spirito perverso, invece, non è stato mai nominato senza un’aggiunta. Ma anche questo può essere detto – se qualcuno volesse polemicamente intendere ‘spirito perverso’ in questo passo –, che una cosa sarebbe dire: nessuno spirito è in lui, altra cosa se avesse detto: ‘nessuno spirito è intorno a lui’; può, infatti, stare accanto ai simulacri, ma non può essere dentro. Donde anche Aquila in modo più chiaro traduce l’ebraico dicendo: e il suo spirito non è nelle viscere, cioè dentro di Versi virgiliani (Verg., Aen. 6, 726-727) molto usati da Girolamo: Hier., In Is. 16, 57, 16; In Ezech. 12, 40, 32-34; In Eph. 2, 4; In Eccle. 1, 6. Lübeck, Hieronymus, p. 186. a 

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lui. Per questo occorre sapere che in alcuni esemplari41 ebraici non è aggiunto ‘ogni’, ma si legge ‘spirito’ da solo. E se qualcuno, convinto dal mio ragionamento, interpretasse lo spirito in senso positivo e chiedesse perché, se è stato detto dello Spirito santo, si legga con un’aggiunta: e ogni spirito non è in lui, sappia che ‘ogni spirito’ significa le diverse grazie dello Spirito santo, cosicché il senso è: nessuna grazia, nessuna forza potrà avere in sé.42 Ciò certamente può essere meglio compreso secondo la tropologia: nel senso che in tutti gli idoli degli eretici e nelle statue del diavolo non c’è nessuna grazia dello Spirito santo, ma sembrano mostrare l’immagine della divinità e la bellezza delle dottrine, ma non c’è in essi nulla che respiri o sia vivo.43 Diciamo anche questo, perché non sembri che celiamo al lettore ciò che sappiamo: spirito e vento sono chiamati in ebraico con lo stesso vocabolo, cioè rvah,a e secondo il senso del passo si suole intenderlo o vento o spirito. Dunque anche in questo passo possiamo intendere spirito sia come vento, poiché niente soffia negli idoli, sia come anima, poiché i simulacri sono inanimati. Che lo spirito sia inteso come anima, in modo chiaro viene dimostrato dalla preghiera del Salvatore: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito (Luc. 23, 46). Infatti Gesù non poteva affidare al Padre o uno spirito perverso – cosa che anche solo pensare è empio – o lo Spirito santo, che è Dio egli stesso, ma piuttosto la sua anima, di cui aveva detto: l’anima mia è triste fino alla morte (Matth. 26, 38; Marc. 14, 34), e: nessuno può strappare da me la mia anima e di mia volontà la dono e volontariamente la riprendo di nuovo (Ioh. 10, 18).b

TM: rûa ḥ, vento, spirito. Girolamo conclude l’esegesi con un saggio di erudizione che fa cogliere altre due possibilità offerte dalla parola ebraica, entrambe plausibili, per interpretare la natura dello spirito, sicuramente positivo, di cui parla Abacuc. Nel commento a Osea (Hier., In Os. 4, 17-19), peraltro, aveva già spiegato perché Simmaco avesse tradotto con uentus – laddove gli altri interpreti avevano scritto spiritus – il vocabolo ebraico rvah: esso contiene in sé, infatti, entrambi i significati. Cfr Pennacchio, Propheta insaniens, p. 173. a 

b 

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Scriviamo, mio Cromazio, papa venerabile, un secondo libro su Abacuc, dedicando una speciale piccola opera al suo cantico,44 affrontando con tutte le nostre capacità un testo epico e composto a imitazione del salterio, cioè sul genere delle composizioni liriche. Sibili pure, dunque, il serpente45 e insulti Sardanapalo, più turpe per i vizi che per la fama,a noi continueremo a percorrere la strada intrapresa e con l’aiuto delle tue preghiere – tu che hai vinto la carne con la virtù – esporremo una chiarissima profezia riguardante Cristo nel profeta ottavo, che corrisponde al numero della risurrezione del Signore.46 Preghiera del profeta Abacuc per gli errori di ignoranza.47 I Settanta: Preghiera del profeta Abacuc con cantico. Aquila e Simmaco e la quinta edizione hanno tradotto, come noi, per gli errori di ignoranza; il solo Teodozione hyper tōn hekousiasmōn, cioè per i peccati volontari e spontanei. Questo, perché comprendiamo che nessuno, eccetto i Settanta, ha tradotto preghiera con cantico. Infatti anche in ebraico c’è al segionoth,b che vuol dire: epi agnoēmatōn, che noi abbiamo tradotto per gli errori di ignoranza. Ciò ha un senso, poiché in precedenza temerariamente [il profeta] aveva detto: fino a quando, Signore, ti chiamerò a gran voce e non mi esaudirai? Griderò a te, soffrendo violenza, e non mi salverai? E poi nella seconda lamentela: perché non vedi coloro che a  b 

Cic., Rep. 3 frammento 4. Cfr Hagendahl, Latin Fathers, p. 134-135. TM: `al šigyönôt, cfr supra.

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compiono azioni inique e taci mentre l’empio divora colui che è più giusto di lui? E aveva udito in risposta: scrivi la visione e illustrala sulle tavole. E dopo altre parole: ecco l’anima dell’incredulo: non sarà innocente; il giusto, invece, vivrà nella sua fede. E dopo aver appreso che o Nabucodonosor o il diavolo o l’Anticristo erano stati posti a giudicare i peccatori ed erano forti per colpire le nazioni, ora fa penitenza e piange, perché ha parlato in modo temerario e chiede perdono, affinché ottenga misericordia per aver agito inconsapevolmente. Donde anche Davide dice: non ricordare i delitti della giovinezza e le azioni frutto della mia inesperienza (Ps. 24, 7). Alcuni ritengono che il profeta chieda nella preghiera che con l’avvento di Cristo sia tolto l’errore degli uomini. E infatti il nome del profeta è stato messo nel titolo, di modo che con spirito profetico preghi che sia tolta la caligine e torni la luce, sia eliminata l’apparenza e sia svelata la verità. Che si tratti di profezia, tutto quanto il testo del cantico lo mostra, e in modo sommo i passi: in mezzo a due animali sarai riconosciuto, e: quando si avvicineranno gli anni, sarai riconosciuto, e riguardo al giudizio: dopo che sarà stata turbata la mia anima nell’ira, ti ricorderai della misericordia, e di nuovo della venuta di Cristo: Dio verrà da Teman e il Santo dal monte ombroso e boscoso, e ancora nel futuro: avranno paura le tende della terra di Madian e salirai sopra i tuoi cavalli e tenderai il tuo arco sopra i regni. Se qualcuno, poi, si sarà chiesto perché il solo Teodozione abbia tradotto ‘per gli errori spontanei’, possiamo dire che è presentata o la confessione del profeta, che ammette non spinto da qualche necessità, ma di sua spontanea volontà, d’aver peccato per un’opinione errata riguardo al giudizio di Dio, o certamente è annunciata la futura fede delle nazioni, che, dopo aver abbandonato volontariamente l’errore del passato, crederanno in colui che è promesso nel cantico. Leggiamo nel salmo sedicesimo: preghiera di Davide (Ps. 16,  1). E in un altro salmo similmente: preghiera di Davide (Ps. 85, 1). E nel salmo ottantanovesimo: preghiera di Mosè, uomo di Dio (Ps. 89, 1). E nel salmo centesimo primo: preghiera del povero che, quando è stato tormentato, ha effuso davanti al Signore la sua preghiera (Ps. 101, 1). E se anche altrove si trova la parola ‘preghiera’, in nessun luogo tuttavia la si legge connessa con la parola ‘cantico’. E non so se sia ben fatto ‘pregare con

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un canto’, a meno che non diciamo, con i Settanta, che il profeta prega per la venuta di Cristo e che profetizza ciò con diletto e con salmi e con un cantico, sì che, in quanto è preghiera, si invoca il Padre e, in quanto è cantico, si loda il Padre, che ha inviato il Figlio, e il Figlio, che è venuto.48 Questo riguardo al titolo del cantico. Vediamo ora quanto è detto nel cantico. Signore, ho ascoltato la tua lezione e ho avuto timore. Signore, la tua opera, a metà degli anni, rendila viva. I Settanta: Signore, ho ascoltato la tua lezione e ho avuto timore. Signore, ho considerato le tue opere e mi sono meravigliato: in mezzo a due animali sarai riconosciuto. Al posto di quanto abbiamo tradotto noi e Aquila e Teodozione, cioè rendila viva, Simmaco ha inteso: rendila di nuovo viva. Quanto poi i Settanta hanno detto, cioè ho considerato e mi sono meravigliato, non c’è né in ebraico né in qualsiasi altro traduttore, cosicché, se togliamo queste espressioni assenti nel testo ebraico, possiamo leggere secondo i Settanta: Signore, le tue opere, in mezzo a due animali sarai riconosciuto e, poiché questo sembrava adianoēton [incomprensibile] sono state aggiunte le parole riportate qui sopra. In ebraico, però, si legge adonai, cioè Signore, phalach, la tua opera, bacereb, a metà, sanim, degli anni, heiev, rendila viva.a Questo sia detto per confermare che quanto è superfluo nei Settanta è stato chiaramente aggiunto. Gli ebrei, secondo la lettera, spiegano così questo passo: Signore, ho ascoltato la tua lezione e ho avuto timore: ho ascoltato, dice, le pene che hai preparato a Nabucodonosor e al diavolo, dei quali hai detto: guai a colui che accumula cose non sue. E in secondo luogo: guai a colui che raccoglie con malvagia avidità per la sua casa. E in terzo: guai a colui che edifica una città nel sangue e governa una città nell’iniquità. E in quarto: guai a colui che dà da bere al suo amico, mettendovi il suo fiele e facendolo inebriare. E in quinto: guai a colui che dice al legno ‘svegliati’; ‘alzati’ alla pietra che tace. E siccome sono stato sbigottito dal timore, poiché il grande drago deve essere trafitto da tanti TM: yhwh (´ädönäy), Signore; po`olkä, la tua opera; büqeºreb, a metà; šänîm, anni; ḥayyếyhû, rendila viva. a 

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colpi, così ti prego, Signore, di portare a compimento quanto hai promesso e, concluso il tempo, di renderci il tuo Cristo. Tu, infatti, hai detto che finora la visione è lontana e apparirà alla fine e non deluderà. Rendi vivo ciò che hai promesso, cioè porta a compimento la tua promessa; non si spenga invano la tua parola, ma si realizzi nei fatti. Ciò, secondo noi, può essere anche inteso in riferimento alla risurrezione del Salvatore, nel senso che proprio lui, che è morto per noi, risorge dai morti ed è reso vivo.49 Secondo i Settanta, invece, il senso è molto diverso e dobbiamo dare anche una spiegazione dell’edizione ‘vulgata’.a Signore, ho udito nelle Scritture la tua parola e mentre tu mi davi l’orecchio, secondo quello che dice Isaia: mi ha dato un orecchio per ascoltare (Is. 50, 5), ho udito così come tu vuoi che sia ascoltata la tua parola. E ho contemplato assai attentamente le opere del Signore, perché non mi si dicesse: non guardano le opere del Signore e non considerano le opere delle sue mani (Is. 5, 12); partendo dalle creature ho conosciuto il Creatore e a motivo delle singole cose che hai fatto e che ogni giorno fai nel mondo, sono stato totalmente preso da stupore e, abbandonato il buon senso umano, mi sono volto a una santa follia. Ovvero, scosso per l’ammirazione, ti lodo trepidante dicendo: in mezzo a due animali sarai riconosciuto. Molti ritengono che questo si debba comprendere in riferimento al Figlio e allo Spirito santo, poiché il Padre è conosciuto attraverso il Figlio e lo Spirito. Gli scribi interpretano questi stessi animali come i due Serafini in Isaia e i due Cherubini nell’Esodo, che si guardano l’un l’altro e in mezzo hanno il propiziatorio, e in Isaia, che, coprendo il capo e i piedi di Dio, soltanto in questo mondo volano, e gridano l’uno all’altro il mistero della Trinità, e uno dei Serafini, che significa ‘ardente’, è inviato e viene sulla terra e purifica le labbra del profeta e dice: sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che ardesse (Luc. 12, 49). Altri vi intendono quanto segue e utilizzano molti testimoni scritturistici a sostegno di questa interpretazione. a  Per Girolamo la ‘vulgata’ è la versione dei Settanta pre-esaplare, cioè non rivista da Origene e da Eusebio di Cesarea e, di conseguenza, il termine indica anche le Veteres latine, da essa derivate. Dall’VIII al XIII secolo la Bibbia di Girolamo si impone su queste ultime, diventando a sua volta la Vulgata. Cfr  Sutcliffe, ‘Vulgate’.

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Un’interpretazione in effetti semplice e popolare comprende il testo in riferimento al Salvatore, dal momento che è stato riconosciuto crocifisso fra due ladroni. Altri, invece, interpretando meglio, dicono che il Salvatore è stato riconosciuto e creduto nella chiesa primitiva, formata dal popolo dei circoncisi e degli incirconcisi, da due popoli che si sono riuniti insieme. C’è chi interpreta i due animali come i due testamenti, il nuovo e il vecchio, che veramente sono dotati di anima e di vita, che respirano e in mezzo ai quali si riconosce il Signore. A metà degli anni lo farai conoscere. I Settanta: Quando gli anni si saranno avvicinati, sarai conosciuto. Quando verrà il tempo, dice, e porterai a compimento le opere promesse, mostrerai che è vero quanto hai promesso. Ovvero, quando si avvicinerà il compimento e nell’ultima ora tuo Figlio verrà per distruggere i peccati, più chiaramente sarai conosciuto. Segue: quando verrà il tempo, sarai riconosciuto, quando sarà turbata la mia anima. Questo passo, ad eccezione dei Settanta, non si trova né nel testo ebraico né in nessun altro traduttore.a E il significato è: quando verrà il tempo, di cui si dice: nel tempo favorevole ti ho esaudito (II Cor. 6,  2) – il tempo della venuta del Signore Gesù Cristo –, allora, o Dio Padre, sarà conosciuto il tuo nome, che prima è stato celato agli uomini, di cui parla anche il Signore nel vangelo: Padre, ho rivelato il tuo nome agli uomini (Ioh. 17, 6). Ma quanto aggiunge: quando sarà turbata la mia anima, nella traduzione dei Settanta è unito con quanto segue, cosicché si può leggere: quando sarà turbata la mia anima nell’ira, e qui si interpunge; di seguito si aggiunge: ti ricorderai della misericordia, cioè nel senso che per il profeta basta la pena del turbamento e la sua anima turbata è sufficiente per l’ira di Dio: non si aggiungerà alcun supplizio, ma la misericordia escluderà l’ira. E anche l’ira di Dio ha le sue determinazioni, che stabiliscono la sua grandezza, la sua durata, le sue cause e verso chi essa è rivolta, secondo quanto è stato scritto: ci ciberai di pane di lacrime e ci farai bere lacrime con misura (Ps. 79, 6). Che se il profeta è turbato per l’ira di Dio, e poiché Altro passo che negli Hexapla doveva essere contrassegnato dall’obelo a indicarne l’omissione nel testo ebraico disponibile nella biblioteca di Origene. a 

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è stato turbato impetra misericordia, che cosa dobbiamo sperare, anzi temere, noi, le cui opere meritano tutte l’ira di Dio? Quanto poi a ciò che segue secondo l’ebraico, quando sarai irato, ti ricorderai della misericordia, non dobbiamo credere che Dio si dimentichi e dopo l’ira si ricordi della sua misericordia, ma che noi, posti nel castigo, crediamo che egli si dimentichi, secondo il passo che dice: fino a quando, Signore, ti dimenticherai di me, per sempre? (Ps. 12, 1). Infatti, se qualche volta siamo sovrastati dalle tentazioni, come da flutti, e la rabbiosa tempesta dei demoni infuria contro di noi, diciamo come a uno che dorme: alzati, perché dormi, Signore? (Ps. 43, 23). Nello stesso tempo fa’ attenzione alla clemenza di Dio: non ha detto: ‘dopo aver inflitto i supplizi, ricordati della misericordia’, ma: quando sarai irato. Colui che è irato, infatti, talora non percuote, ma solamente minaccia. Anche l’apostolo, comprendendo ciò, dice: si rivela infatti l’ira di Dio dal cielo sopra ogni empietà e iniquità degli uomini (Rom. 1, 18). Dove si rivela, non è inflitta, non percuote, ma è rivelata, perché spaventi, e non venga inflitta contro coloro che sono stati spaventati.50 Dio verrà dall’austro e il santo dal monte Faran. Sempre. I Settanta: Dio verrà da Teman e il Santo dal monte ombroso e boscoso. Pausa. Aquila e Simmaco e la quinta edizione hanno mantenuto lo stesso termine ebraico teman,a il solo Teodozione ha tradotto secondo il significato di teman, dicendo: Eloim verrà dall’austro e il Santo dal monte Paran, per sempre.51 Da ciò capiamo che soltanto i Settanta hanno riportato: dal monte ombroso e boscoso. Ma anche ciò che i Settanta hanno tradotto diapsalma [pausa], e noi abbiamo proposto sempre, Simmaco lo ha reso: in eterno, Teodozione: per sempre, la quinta edizione ha il termine ebraico sela.b Dio, dunTM: têmän, teman, sud, vento del sud (austro). TM: seºlāh. Nel testo di Abacuc la questione del diapsalma riguarda tre passi: Hab. 3, 3; 3, 9; 3, 13. Girolamo nella lettera 28 a Marcella (le aveva promesso già questa spiegazione nell’Epist. 26) ne illustra il significato: secondo alcuni si tratterebbe di un cambiamento di metro, di una pausa per respirare, l’inizio di un altro tema nello sviluppo del testo, l’indicazione di un ritmo o di una tonalità musicale, mentre per il monaco di Betlemme, sulla scorta di Aquila e di numerosi esempi tratti dai a 

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que, verrà dall’austro, cioè dal mezzogiorno, dalla luce chiara, da coloro che sono chiamati figli del giorno. Donde nel Cantico dei cantici lo sposo scaccia via l’aquilone e chiama l’austro dicendo: alzati, aquilone, e vieni, austro, soffia sul mio giardino e si diffondano i miei profumi (Cant. 4,  16). Dio è sempre nel mezzogiorno. Dice: dove vai a pascolare le greggi? Dove riposi? A mezzogiorno salmi, significherebbe ‘sempre’. Per corroborare la sua scelta agli occhi della discepola Girolamo traduce un passo di Origene, in cui l’Alessandrino disquisisce sul termine e sulle versioni esaplari e arriva a sottoporre al giudizio del lettore le due possibilità riportate dallo stesso Girolamo, che propende chiaramente per la traduzione ‘sempre’. Prinzivalli (‘Commento’, p. 120 nota 60) riassume la questione del termine diapsalma a proposito della spiegazione offertane da Didimo il Cieco nel Commento ai Salmi (in cui vengono citate, oltre naturalmente a quelle dei salmi, anche le menzioni che ne fa il profeta Abacuc), sottolineando che fra le interpretazioni scartate da Origene e Girolamo c’è quella scelta da Didimo, indicante la variazione di melodia o di ritmo. Gli studiosi contemporanei si sono accaniti nella ricerca di etimologie ebraiche, che non ha dato risultati certi, se non la conferma che «serviva a segnalare qualche sottolineatura del testo, non si sa però in quale maniera» (Castellino, Salmi, p. 11-12; Origene – Gerolamo, 74 Omelie, p. 150 nota 23, in cui il curatore offre una buona sintesi del dibattito patristico sul diapsalma). Questa parola ha suscitato numerose e diverse esegesi nel periodo patristico: basti ricordare Eusebio di Cesarea, che interpreta il diapsalma come la notazione di una effettiva pausa nel canto del salmo (Evs., Ps., in PG, 23, col. 76), e Gregorio di Nissa, che vi vede l’arresto della recitazione del testo da parte del salmista per assimilare un’eventuale illuminazione dello Spirito santo intervenuta in quel momento (Gr. Nyss., Pss. Titt. 2, 10, p. 108-115). Occorre ricordare che Gregorio di Nissa dedica un intero capitolo della sua opera sui titoli dei salmi a disquisire sul diapsalma: proprio all’inizio della trattazione si riferisce ai suoi predecessori che lo hanno inteso, diversamente da come farà lui, come indicazione del cambiamento di persona o di pensiero o di argomento. Verosimilmente il riferimento è a Origene (Or., FrPs, in PG, 12, col. 1057D-1059A-C: si tratta del testo greco del passo tradotto da Girolamo nella succitata Epist. 28), di cui Girolamo riprende la trattazione linguistica a partire dalle varie versioni esaplari, senza entrare, come il Nisseno, in una complessa esegesi allegorica. Simonetti nota come il cambiamento di prospettiva in campo esegetico introdotto da Diodoro di Tarso – che ritenendo erronea la maggior parte delle rubriche salmiche ne nega anche il valore cristologico – si possa ritrovare anche a proposito del diapsalma, che viene letto riprendendo le notazioni origeniane di sapore letteralista e scartando gli sviluppi alessandrini di sensibilità allegorista: «Anche a proposito di diapsalma, che interpreta solo come indicativo di cambiamento di canto e ritmo, Diodoro si oppone a un’interpretazione tradizionale, attestata dal Nisseno (Pss. Titt. p. 108 ss) e da Eusebio (PG, 23, col. 76; ma il passo è autentico?), che intendeva diapsalma come indicativo di interruzione dell’ispirazione profetica nell’agiografo. L’interpretazione di Diodoro era stata anticipata da Origene (PG, 12, col. 1060C)»: Simonetti, Lettera, p. 161 nota 201).

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(Cant. 1, 7). E ad Abramo, quando era sotto la quercia, Dio non fece visita se non a mezzogiorno. E Giuseppe, che ha preceduto in figura il Salvatore, prepara un convivio ai fratelli a mezzogiorno. La conoscenza,a dunque, di Dio Padre giunge a coloro che ne sono degni in piena luce. E la conoscenza del Santo, cioè del Figlio di Dio, viene dal monte ombroso e boscoso. Il monte ombroso e boscoso o significa proprio il Padre, pieno di virtù e di ogni sapienza, che protegge tutto con la sua maestà, che allarga le ali e riscalda i suoi piccoli, o certamente significa il paradiso e i cieli pieni di angeli, di potenze, di alberi rigogliosissimi. E magari accadesse anche a me, che per la mia voce e per la mia spiegazione vengano in chiara luce Dio e il suo Figlio, di cui è stato scritto: siate santi, perché io sono santo (Leu. 20, 26). Dalla sublimità del discorso ombroso e boscoso e intessuto in ogni sua parte di attestazioni delle Scritture, giungendo il Padre insieme con il Figlio, volesse il cielo che l’ascoltatore diventasse loro dimora e si compisse la Scrittura che dice: io e il Padre mio verremo a lui e abiteremo presso di lui (Ioh. 14, 23).52 Ma poiché al posto di ‘monte ombroso e boscoso’ in ebraico è stato scritto ‘monte Faran’ e Faran significa ‘bocca di colui che vede’,b giustamente, secondo la nostra interpretazione, dal discora  Girolamo stesso spiega il significato di agnitio (Hier., In Eph. 1, 1, in PL, 26, col.  489): «Ma ciò che dice ‘nella conoscenza di lui’ (Eph. 1,  17), cioè ἐπιγνώσει αὐτοῦ, alcuni ritengono che la differenza fra γνῶσις ed ἐπίγνωσις, cioè fra notio e agnitio, consista in questo: notio riguarda quanto prima non conoscevamo e in seguito abbiamo iniziato a conoscere; agnitio, invece, quanto prima conoscevamo e da un certo momento abbiamo smesso di sapere e in seguito ci torna alla mente, e supponiamo una qualche vita precedente nei cieli, dopo essere stati degradati in codesti corpi e aver dimenticato Dio Padre, ora attraverso la sua rivelazione lo abbiamo riconosciuto, secondo quanto è scritto: lo riconosceranno e si convertiranno al Signore tutti i confini della terra (Ps. 21, 28) e quant’altro di simile». Agnitio è, dunque, il processo mediante il quale recuperiamo la conoscenza di qualcosa o di qualcuno, come nel nostro caso, che prima c’era e poi è venuta meno. Si tratta di una sorta di recupero della memoria, della ripresa della capacità di conoscere Dio, che il peccato aveva oscurato e che la rivelazione divina riattiva. È legittimo sospettare che questa dottrina sia importata in toto da Origene, che recupera l’idea platonica della riminiscenza, utile a dimostrare la preesistenza dell’anima e, quindi, la sua immortalità quando si sciolga il vincolo con il corpo (cfr Deniau, ‘Commentaire’). b  Secondo Girolamo (Hier., Nom.  Hebr.) il nome Faran significa: ferocitas eorum (6, 16); ferus eorum uel frugifer (18, 16); auctus siue succrescens (22, 18). Nessuna di queste etimologie corrisponde a quella data nel nostro testo.

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so di un uomo erudito viene la conoscenza del Figlio, e non da un qualsiasi discorso, ma da quello che è pieno di luce, pieno di occhi, cosicché chiaro e puro venga riportato agli orecchi degli ascoltatori. Invece nell’espressione ‘dal monte’ intendi le dottrine sublimi. Io stesso ho ascoltato un ebreo spiegare così questo passo: è situata ad austro Betlemme, la città in cui è nato il Signore e Salvatore, ed è di lui che ora si dice: il Signore verrà dall’austro, cioè nascerà a Betlemme e di là sorgerà, e poiché egli stesso, che è nato in Betlemme,53 un tempo ha dato la legge sul monte Sinai, proprio lui è il santo, che viene dal monte Faran. Faran, infatti, è una località vicina al monte Sinai, e l’aggiunta di diapsalma [pausa], cioè sempre, ha questo significato: egli stesso, che è nato a Betlemme, e che sul Sinai, cioè sul monte Faran, ha dato la legge, sempre, di tutti quanti i benefici, passati e presenti e futuri, è autore e donatore generoso.54 Di diapsalma, che in ebraico si dice sela, abbiamo discusso più ampiamente nel commento al salterio.55 In aggiunta osserva che i Settanta non riportano diapsalma se non nel salterio e in questo passo. Da ciò comprendiamo che i Settanta giustamente lo hanno intitolato ‘cantico di preghiera’. La sua gloria ha coperto i cieli e della sua lode è piena la terra. Il suo splendore sarà come la luce, le cornaa nelle sue mani. Lì è nascosta la sua fortezza. I Settanta: La sua virtù ha coperto i cieli e della sua lode è piena la terra e il suo splendore sarà come la luce; le corna nelle sue mani e ha posto un amore robusto della sua fortezza. Al posto di quanto i Settanta hanno tradotto: e ha posto un amore robusto della sua fortezza, e noi abbiamo detto: lì è nascosta la sua fortezza, Aquila ha tradotto: e ha posto il nascondimento della sua fortezza, Simmaco: e ha posto la sua fortezza nascosta, il solo Teodozione, concordando con la nostra traduzione, dice: e lì il nascondimento della sua fortezza. La parola sam,b infatti, significa, a seconda del contesto, sia ‘ha posto’ che ‘lì’: in questo passo deve a  La traduzione cornua è un travisamento (già dei Settanta) del termine ebraico (qarnaºyim), che deve essere reso in italiano con ‘raggi’, conformemente al senso del testo: ‘Il suo splendore è simile alla luce, i raggi spuntano dalla sua mano’. Un analogo errore di Girolamo riguarda Ex. 34, 29. b  TM: šäm, lì; śām, ha posto (š e ś senza segno diacritico sono uguali).

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essere preferito ‘lì’ rispetto a ‘ha posto’, affinché il senso e il nesso della frase risulti: le corna nelle sue mani, e sottintendendo lì, cioè nelle corna, è nascosta la sua fortezza. Ed è evidente secondo l’ebraico, che alla venuta di Cristo la gloria si estenderà su tutto, secondo quanto è detto nel vangelo: gloria a Dio nell’alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini di buona volontà (Luc. 2, 14). E altrove: ha fatto pace nei cieli e in terra col sangue della croce (cfr Col. 1, 20) e si è seduto alla destra della grandezza (cfr Hebr. 1, 3); veloce infatti corre la sua parola (Ps. 147, 15). E altrove: Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome sulla terra intera (Ps. 8, 2). E di nuovo nel salmo diciottesimo: su tutta la terra si è diffusa la loro voce e fino ai confini del mondo le loro parole (Ps. 18, 5). Anche il suo splendore, come sole di giustizia, ha irradiato una chiara luce, e le corna nella sua mano significano i vessilli e i trofei della croce, e nelle corna è nascosta la sua fortezza. Pur essendo, infatti, nella forma di Dio, non stimò un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, divenuto obbediente al Padre fino alla morte, e alla morte di croce (Phil. 2, 6-8). Nella croce per breve tempo è stata nascosta la sua fortezza, quando diceva al Padre: l’anima mia è triste fino alla morte. E: Padre, se è possibile, passi da me questo calice (Matth. 26, 38-39). E proprio sulla croce: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito (Luc. 23, 46).56 Poi, secondo i Settanta, nel passo in cui si è detto: la sua virtù ha coperto i cieli, dobbiamo sapere che ciò che è coperto è più piccolo rispetto a ciò che copre, purché ciò che è stato coperto lo sia tutto e non in parte. Siccome, dunque, la virtù di Dio copre i cieli, è più grande dei cieli la sua virtù, da cui i cieli sono coperti. Spesso, poi, abbiamo letto che i cieli sono coloro che portano l’immagine del divino e che narrano la gloria di Dio. Anche l’apostolo afferma che la virtù di Dio è il Signore Salvatore: Cristo, virtù di Dio e sapienza di Dio (I Cor. 1, 30). Questa virtù è come la madre di tutte le virtù spirituali: ad esempio si chiamano virtù la sapienza, la fortezza, la giustizia, la temperanza, la verità, la santità, la redenzione. E Cristo è stato costituito per noi da Dio sapienza e giustizia e santificazione e redenzione. Queste virtù particolari, dunque, nelle quali si rivela Cristo – a seconda del progresso di coloro che lo accolgono o come sapienza o fortezza o giustizia e le altre virtù di questo ge-

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nere –, sono contenute nell’universale virtù di Dio, cioè nel Signore Salvatore; e in questo modo intendiamo anche la terra, poiché coloro che prima a motivo dell’immagine dell’uomo terreno erano chiamati terra, e si diceva loro: sei terra e diventerai terra (Gen. 3, 19), alla venuta del Salvatore sono riempiti della lode del Signore. Ma quando anche i cieli saranno stati coperti dalla virtù di Dio – cioè protetti e rivestiti da ogni parte –, e la terra intera sarà riempita della lode di Dio, allora il suo splendore sarà come la luce. In effetti l’apostolo dice che l’immagine di Dio e lo splendore della sua gloria è Dio Salvatore,57 che, dopo essere apparso a noi come lo splendore della gloria di Dio, è ritornato alla maestà d’origine. Sebbene, infatti, abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ormai non lo conosciamo secondo la carne (II Cor. 5, 16), ma secondo lo spirito, poiché: ciò che è stato fatto, in lui era vita e la vita è la luce degli uomini (Ioh. 1, 3-4). Il Salvatore nel vangelo esprime tutto ciò anche più chiaramente: Padre, glorificami con la gloria che ho avuto presso di te, prima che il mondo fosse creato (Ioh. 17, 5), sicché dopo l’ascensione al cielo splendore e luce siano la stessa cosa, cioè il Figlio cominci a essere ciò che è il Padre. Quanto poi a ciò che segue: le corna nelle sue mani, solitamente nella Scrittura si usa sempre la parola ‘corna’ al posto di ‘regni’.58 Infatti anche quello che Anna dice nel primo libro dei Re: ha esaltato il corno del suo cristo (I Reg. 2, 10), significa la magnificenza del regno del Salvatore. E in Daniele dieci corna indicano dieci regni. Così ora si dice: le corna nelle sue mani, come altrove troviamo scritto: il cuore del re nella mano di Dio (Prou. 21, 1), in quanto la mente, cioè la facoltà principale del cuore dell’uomo santo, che si affretta verso il regno dei cieli e mentre è ancora in terra regna sul corpo senza peccati, non erra fuori, ma sta sotto la protezione di Dio. Dato poi che nell’ebraico e nelle altre edizioni non è scritto: le corna nelle sue mani, bensì nella sua mano, che è detta iado,a per mano di Dio, forte e robusta, intendiamo suo Figlio. E in questa mano diciamo che sono posti tutti i regni dei cieli e di coloro che si sforzano di salire nei cieli, secondo quanto anche Isaia rivela dicendo: una vigna è stata fatta per il diletto nel corno, in un luogo fertile (Is. 5, 1), cioè nel a 

TM: yādô, sua mano.

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regno. Per questo motivo ritengo che nessun animale cornuto sia tra quelli immondi nel Levitico, e la stessa cosa nei salmi significa l’unicorno, ossia il rhinokerōs [rinoceronte], e il passo che dice: in te scuoteremo i nostri nemici con il corno (Ps. 43, 6). Quanto poi leggiamo secondo i Settanta: e ha posto il forte amore della sua virtù, anche questo deve essere compreso in riferimento a Cristo, nel senso che Dio Padre ha coperto i cieli con la sua virtù e ha riempito la terra di lode e ha reso il suo splendore come la luce e ha posto il regno nella mano del suo Figlio, perché il suo diletto fosse amato da tutti, e amato non in modo attenuato, ma con veemenza e forza, così che coloro che lo avessero amato fortemente e restassero saldi nel suo amore, nessuno li strappasse dalla sua mano. Al contrario il diavolo ci fa amare il mondo e amare i vizi al posto dell’amore della virtù e non debolmente, ma ardentemente, cosicché di noi si possa dire: e il diavolo ha posto l’amore forte dei suoi vizi. Davanti al suo volto andrà la morte e uscirà il diavolo davanti ai suoi piedi. Al posto di quanto noi abbiamo tradotto con ‘morte’, in ebraico ci sono tre lettere daleth, beth, res senza alcuna vocale, che, se si leggono dabar significano ‘parola’, se deber, ‘peste’, che in greco si dice loimos. Pertanto anche Aquila ha tradotto così: davanti al suo volto andrà la peste; Simmaco: davanti al suo volto andrà la morte; la quinta edizione: davanti al suo volto camminerà la morte; solamente i Settanta e Teodozione hanno tradotto ‘parola’ invece di ‘morte’. Quanto poi al seguito del versetto, dove noi abbiamo detto: uscirà il diavolo davanti ai suoi piedi, diversamente hanno tradotto i Settanta, della cui versione discuteremo in seguito. Aquila al posto di ‘diavolo’ ha tradotto ‘volatile’; Simmaco, Teodozione e la sesta edizione ‘uccello’, che in ebraico si dice reseph.a Tramandano d’altronde gli ebrei, che come nel vangelo il principe dei demoni è chiamato Beelzebul, così reseph è il nome del demonio, che detiene il principato tra gli altri, e a motivo della straordinaria velocità e del correre qua e là è chiamato uccello e volatile, ed è lo stesso che nel paradiso sotto l’aspetto del serpente ha parlato alla donna e ha preso il nome dalla maledizione con cui è a 

TM: rešep.

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stato condannato da Dio, dal momento che reseph significa ‘che striscia sul ventre’. Questo, dunque, significa quanto è detto: non appena il Signore verrà e sarà battezzato nel Giordano e alla discesa della colomba la voce del Padre risuonerà: questo è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Matth. 3, 17), a lui che esce dall’acqua correrà incontro il diavolo e davanti ai suoi piedi starà la morte, e il serpente antico per quaranta giorni lo tenterà nel deserto. Se poi secondo i Settanta avremo letto: davanti al suo volto andrà la parola, e uscirà nei campi, ciò significa che la parola di Dio precede la sua venuta, che ora allegoricamente è detta ‘volto’, e prepara i cuori dei credenti, raddrizzando ciò che è storto e spianando ciò che è diseguale e così l’anima di colui che ascolta, come un campo arato, possa accogliere la semente spirituale. È rimasto saldo e ha percorso la terra; ha osservato e ha sbaragliato le genti e sono stati frantumati i monti del mondo, sono stati piegati i colli del mondo dai sentieri della sua eternità. I Settanta: Presso i suoi piedi è rimasto saldo ed è stata scossa la terra; ha scrutato e si sono dissolte le genti; sono stati frantumati i monti con violenza, sono stati spianati i colli del mondo, essendo eterno il suo sentiero. Stando saldo il Salvatore e osservando tutte le cose e passando in rassegna con lo sguardo la totalità del mondo, ha disperso la moltitudine delle genti e, dopo che queste sono state disperse e dissolte, sono stati frantumati i monti di questo mondo e sono stati piegati i colli di questo mondo. Ci sono infatti anche altri monti e colli, che oltrepassa e attraversa velocemente lo sposo nel Cantico dei cantici, dei quali anche nel secondo salmo graduale si dice: ho alzato i miei occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto (Ps. 120, 1). I monti del mondo sono gli stessi monti tenebrosi riguardo ai quali Geremia ha raccomandato che non inciampino i nostri piedi contro di essi. Codesti sono i colli sui quali regnava Saul, quando uccideva i sacerdoti di Dio: Gabaa infatti significa ‘colli’. E con eleganza dice: sono stati piegati i colli del mondo. Infatti prima della venuta del Salvatore con la testa altera incedevano e nessuno poteva umiliare la loro superbia. Tuttavia sono stati polverizzati e piegati dai sentieri della sua eternità, cioè di Dio, poiché la sua eterni-

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tà si è degnata di venire a noi, sia perché sempre dal principio del mondo fino alla sua incarnazione è venuto nei santi e la parola di Dio è stata messa a disposizione dei singoli ed egli stesso ha vinto su tutti i vincitori e il suo sentiero eterno ha piegato i colli e ha frantumato i monti. Queste cose attraverso una metaphora [metafora] sono state dette secondo il testo ebraico.59 Poi secondo i Settanta, dopo che la parola aveva preceduto il volto di Dio ed era uscita in luoghi pianeggianti, Dio Padre è venuto là, dove gli è stata preparata dalla sua parola una regione ed è venuto al seguito della sua parola e attende: non la supera mai, ma sempre aspetta che essa gli prepari una strada sicura. D’altra parte dove è stato saldo presso la sua parola, lì subito la terra, cioè le opere della carne e dei corpi, che non possono reggere la presenza di Dio, saranno scosse. Non appena siano state scosse, la virtù della parola e la presenza di Dio volgono lo sguardo su tutte le nazioni dell’anima, che possiamo intendere come i pensieri e le molteplici considerazioni riguardanti realtà diverse, che subito si dissolvono e si consumano. Se qualcosa si era innalzato sulla terra persino contro la sapienza di Dio e aveva convinto colui che l’aveva udito, è frantumato e distrutto dalla parola che precede e dalla venuta di Dio. Dopo che i monti siano stati spezzati e frantumati di fronte al volto di Dio, i colli chiaramente saranno distrutti e saranno ridotti a nulla. Non sono infatti i monti di Dio, ma i monti del mondo. Infatti l’eterno sentiero di Dio, che si volge a quelle cose che la sua parola precede, essendo più forte dei colli del mondo, li consuma e li distrugge. I monti, tuttavia, possono anche essere intesi come i demoni, che prendono possesso degli eretici e si ergono contro la sapienza di Dio; anche i colli possono essere altre fortezze dei demoni, che fanno sì che gli uomini ammirino la bellezza dei corpi, le cariche, le ricchezze, la nobiltà di stirpe e gli altri beni del mondo. Si può vedere, dopo la venuta della parola di Dio e la presenza di Dio Padre, come gli animi umani siano scossi e tutto ciò che è terreno si dissolva e i pensieri precedenti siano ridotti a nulla. Allora sono distrutti i demoni, allora le altezze del mondo sono annientate e tutta la scienza degli eretici, che prima si gonfiava, è umiliata, distrutta e polverizzata alla venuta della parola di Dio. E ciò che prima sembrava bello ed eccelso, è disprezzato come spregevole e pic-

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colo. E ciò accade a motivo della venuta di Dio e dell’accoglienza di Cristo, secondo quanto altrove è stato scritto: abiterò e camminerò in mezzo a loro, e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo (Leu. 26, 12).60 Per l’iniquità ho visto le tende d’Etiopia, saranno turbate le tende della terra di Madian. I Settanta: Nelle tribolazioni ho visto i padiglioni degli Etiopi, avranno paura anche i padiglioni della terra di Madian. Gli Etiopi,a tetri e amanti della tenebre ed estranei ad ogni luce, che si nutrono della carne del drago, di cui è stato scritto: lo hai dato come cibo ai popoli etiopi (Ps. 73, 14), rappresentano i demoni, dei quali diventa tenda chiunque in questo mondo abbia faticato per gli onori e le ricchezze, il che in modo significativo è indicato con una sola parola, iniquità: ogni ricco, infatti, o è iniquo o è erede di un uomo iniquo.b Vedi che gli uomini attraversano i mari, dormono davanti alle porte dei potenti, soffrono tutto ciò che a mala pena tocca in sorte agli schiavi, per raccogliere ricchezze, per carpire qualche carica, e, dopo che le abbiano raggiunte, per darsi alla lussuria e ai piaceri e a ogni tipo di iniquità, cosicché la lussuria consumi ciò che l’avidità ha accumulato. Costoro, dunque, a motivo delle loro fatiche divengono alloggio dei demoni, e coloro che dovevano essere tempio di Dio, divengono padiglione degli Etiopi. Ma anche ciò che segue: saranno turbate le tende della terra di Madian ovvero: avranno paura anche i padiglioni della terra di Madian, intendi in riferimento ai medesimi (demoni) le tende degli Etiopi e le tende della terra di Madian. Infatti, dopo che si saranno arricchiti, e attraverso atti leciti e illeciti saranno saliti molto in alto, allora per la consapevolezza dei loro peccati temeranno sempre la morte, sempre il giudizio, e davanti a una febbriciattola, come banditi nel carcere, saranno in angoscia per gli eterni supplizi. Madian, inoltre, nella nostra lingua significa ‘dal giudizio’, cioè per la condanna, e si mostra che per il timore del giudizio e delle a  Spesso nella letteratura patristica il diavolo prende le sembianze di un nero, di un egiziano o di un etiope. Cfr Jacob, ‘Noire’; Monaci Castagno, Diavolo. b  Si tratta di un’espressione sentenziosa più volte ripresa da Girolamo nelle sue opere. Per la storia di questo proverbio e la sua interpretazione nell’opera dello Stridonense vedi Mantelli, ‘Dives’.

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eterne pene sono sempre nella paura, e subiscono con la paura quotidiana il supplizio che sentono di meritare. Forse che contro i fiumi sei adirato, Signore, o contro i fiumi è il tuo furore o contro il mare è la tua indignazione? Poiché sei salito sopra i tuoi cavalli, e le tue quadrighe saranno salvezza. Alzerai il tuo arco, i giuramenti che hai fatto alle tribù. Sempre. I Settanta: Forse che contro i fiumi sei adirato, Signore, o contro i fiumi è il tuo furore, o contro il mare la tua furia? Poiché salirai sopra i tuoi cavalli e la tua equitazione sarà salvezza, e tenderai il tuo arco puntandolo sopra gli scettri, dice il Signore. Diapsalma. Dove i Settanta hanno tradotto diapsalma [pausa] e Aquila sempre, gli altri hanno tradotto similmente come sopra. E poiché la preghiera si affretta verso l’interpretazione tropologica, dopo aver spiegato brevemente secondo la lettera il senso del capitolo, mi dirigerò al resto. Come hai fatto seccare il Giordano e il mar Rosso combattendo per noi – infatti non ti sei adirato contro i fiumi e il mare o qualcosa di inanimato ha potuto essere causa di un’offesa –, così ora, salendo sulle tue quadrighe e afferrando il tuo arco, darai la salvezza al tuo popolo, e darai compimento in eterno ai giuramenti che hai fatto ai nostri padri e alle tribù. Quanto poi dice: forse che contro i fiumi sei adirato, Signore, o contro i fiumi è il tuo furore o contro il mare la tua furia? lo dice in modo ambiguo e più con il tono di uno che domanda che di uno che dimostra. Ci sono, infatti, sia fiumi buoni che cattivi. C’è un mare pessimo e c’è un mare ottimo. Un esempio di fiumi buoni è in quel luogo ove si legge: il corso del fiume rallegra la città di Dio (Ps. 45, 5), e colui che avrà bevuto dell’acqua del Signore, scorreranno dal suo seno fiumi di acqua che sgorga per la vita eterna (Ioh. 4, 14; 7, 38). Tra i fiumi cattivi è quello di cui il faraone parla in Ezechiele: miei sono i fiumi e io li ho fatti (Ez. 29, 9), in essi abita il drago e molte altre cose simili. Che d’altra parte il mare abbia un significato positivo, ne è testimone il salmo ventitreesimo, nel quale in senso tropologico si allude alla chiesa con la parola oikoumenē, cioè con ‘l’universo mondo’: del Signore è la terra e la sua pienezza, l’universo mondo e tutti coloro che abitano in esso: egli lo ha fondato sui mari e sui fiumi

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lo ha allestito (Ps. 23, 1-2), cioè l’universo mondo. Che, dunque, dal Signore sia fondato sui fiumi e sia allestito sopra il mare, senz’altro deve essere inteso in senso positivo. E anche quanto è detto della vigna, che è stata trapiantata dall’Egitto: hai esteso le sue propaggini fino al mare e fino ai fiumi i suoi tralci (Ps. 79, 12), ‘fino al mare e fino ai fiumi i suoi tralci’ ritengo che possa essere inteso in senso positivo. E diciamo che le parole divine, che sono molto chiare e che danno da bere, per così dire, a coloro che hanno sete, sono dette fiumi, quelle, invece, che sono piene di misteri e collocate nelle profondità, di cui l’apostolo dice: o profondità della sapienza e della scienza di Dio (Rom. 11, 33), e che il profeta fa risuonare: dalle profondità ho chiamato a te, Signore (Ps. 129, 1), nelle Scritture sono chiamate mare. Questo riguardo a ciò che si può dire di positivo del significato del mare. Ma quanto al fatto che può avere anche significato contrario, ci sono molte testimonianze, tra le quali quella nei salmi: questo mare grande e spazioso, lì le navi passeranno, animali piccoli con i grandi. Codesto drago che hai formato per ingannarlo (Ps. 103, 25-26), e quella del vangelo, quando il Salvatore ha rimproverato i venti e il mare e gli ha detto: taci e calmati (Marc. 4, 39). Dal momento che è stato sgridato, è male, secondo quanto dice Zaccaria: il Signore ti rimproveri, diavolo (Zach. 3, 2), e a Timoteo: biasima, consola e rimprovera (II Tim. 4, 2). Pertanto, mentre il profeta pone una domanda: forse che contro i fiumi sei adirato, Signore, o contro i fiumi è il tuo furore o contro il mare la tua furia? noi affermiamo che, se sono fiumi d’Egitto e mar Rosso e insanguinato, il Signore si adira e li colpisce e si scaglia con tutta la forza contro le onde, che si alzano contro la sapienza di Dio. Donde il mare ha visto ed è fuggito, non potendo sostenere la presenza di Dio. E il Giordano è tornato indietro (Ps. 113, 3), cedendo il passo dinanzi alla gloria del popolo che passava, il medesimo Giordano che è diviso anche da Elia e da Eliseo. Ma per parlare in modo più chiaro, intendi che l’eloquenza degli eretici, che scorre contro la verità e la chiesa, sono i fiumi contro i quali si adira il Signore. Nelle anime, invece, di coloro che sono portati qua e là da ogni vento di dottrina e sempre sono agitati dalla malizia e da dense onde sono ricoperti, intendi il mare sul quale si scatena la furia del Signore, perché avverta la sua venuta e sappia da quali confini

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e barriera deve essere racchiuso e ascolti le parole: in te si perderanno i tuoi flutti (Iob 38, 11 LXX). Infatti, se i fiumi sono buoni ed è buono il mare, in essi si bagna Gesù e colloca la sua chiesa su un mare di questo tipo. Dopo ciò prosegue: tu che salirai sopra i tuoi cavalli e la tua equitazione sarà salvezza. Indago sui cavalli sui quali sale il Signore e ritengo che non sono altro che le anime dei santi, sulle quali sale la parola divina,61 per salvarle e per salvare altri attraverso di esse. Facciamo alcuni esempi di cavalli. Lo sposo dice nel Cantico dei cantici: alla mia cavalleria fra i carri del faraone io ti ho paragonata, amica mia (Cant. 1, 8 [9]), non perché Cristo paragoni la chiesa o la parola di Dio paragoni l’anima,62 che chiama sua sposa, alle quadrighe del faraone, ma perché qualsiasi anima, per quanto santa e perfetta, messa a confronto con Dio è come un carro del faraone e un giumento. Donde anche Mosè dice al Signore: ma io sono alogos (Ex. 4, 10), cioè irrazionale. E Davide: un giumento sono diventato presso di te (Ps. 72, 23), non perché in senso assoluto sia un giumento, ma perché presso Dio è un giumento. A questi cavalli sono contrapposti quelli che ha il faraone e dei quali si dice: cavallo e cavaliere ha gettato in mare (Ex. 15, 1); siffatta equitazione non è salvezza, bensì perdizione. Indaghiamo anche sugli altri cavalli, sui quali sale il Signore. Nel quarto libro dei Re leggiamo che al mattino il servo di Eliseo si alzò e, uscito, vide un esercito che circondava le mura della città e carri e cavalli. E dopo che per le preghiere del profeta furono aperti i suoi occhi, disse: ha guardato ed ecco, un monte pieno di cavalli e quadrighe di fuoco intorno a Eliseo (IV Reg. 6,  17). Considera con attenzione che si vedono cavalli e carri, e tuttavia per tante migliaia di cavalli e di carri non c’è nessun cavaliere; di questi cavalli quello era l’auriga e quello la guida, colui di cui il salmista canta: tu che siedi sui Cherubini, mostrati (Ps. 79, 2). Da cavalli siffatti e da un carro siffatto anche Elia è stato rapito in cielo. Se qualcuno, poi, vuole sapere dal profeta Zaccaria chi sono i cavalli fulvi e chi i neri e chi i variopinti e chi i bianchi, che escono dai mirteti e dai monti collocati nelle profondità, o, come è stato scritto nella versione dei Settanta, dai monti di bronzo, se il Signore ci concederà di vivere, tenteremo di spiegarlo nel commento del profeta stesso. Ha visto anche Giovanni i cavalli bianchi e i loro cavalieri: tra questi i caval-

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li bianchi penso che siano i corpi di coloro che risorgono nella gloria, i cavalieri, invece, le anime dei santi. Se qualcuno, poi, è peccatore e simile a me, siederà sul cavallo nero e si dirà di lui: hanno dormito tutti coloro che sono saliti sui cavalli (Ps. 75, 7). Di cavalli siffatti è stato scritto: fallace è il cavallo per la salvezza (Ps. 32, 17). La carne, infatti, ha desideri contrari allo spirito (Gal. 5, 17) e la sua sapienza è nemica di Dio. Ciò sia detto di coloro che amano i corpi e siedono su cavalli neri. Noi, invece, disponiamo le nostre anime sui cavalli e sui carri del Signore, il quale è salito su Paolo, è salito su Pietro, e cavalcando su siffatti cavalli ha percorso il mondo intero. Tendendo anche il suo arco e le sue frecce, ha sradicato, distrutto e mandato in rovina gli scettri, cioè i regni contro i quali è stato inviato Geremia, e ha fatto in modo che non regnasse il peccato nel nostro corpo mortale. Gli scettri, infatti, cioè i regni del diavolo, che ha mostrato anche al Signore, rappresentano i diversi peccati, l’avarizia, la lussuria, l’ira, la denigrazione, i furti, gli spergiuri, contro i quali la parola di Dio, che siede sui suoi cavalli e sui suoi carri, punta i dardi impetuosi della sua folgore, e per il momento non li scaglia, perché colui che sia stato atterrito dall’arco teso non sia colpito dal tiro dei dardi.63 E questo lo fa ‘sempre’, come Aquila ha tradotto invece di diapsalma. Sempre, infatti, siede sui suoi santi, sempre è armato. E preparando le frecce acute delle loro lingue, cavalca e corre da una parte all’altra per la salvezza del mondo. Dividerai i fiumi della terra. I Settanta: La terra sarà divisa dai fiumi. Poiché il Signore ha preso il suo arco per compiere il giuramento che aveva prestato alle tribù, di conseguenza si dice: dividerai i fiumi della terra, cioè dividerai e disperderai i re della terra, che combattono contro il tuo popolo. Invece secondo i Settanta che hanno detto: la terra sarà divisa dai fiumi, facciamo dapprima un esempio, in modo da giungere gradualmente a una comprensione più elevata. Leggiamo negli autori che hanno scritto volumi di meraviglie e che hanno portato le Olimpiadi della Grecia fino alla nostra memoria, esponendo quanto di nuovo è accaduto nei singoli anni nel mondo, che, tra le altre cose, sono usciti fuori con il terremoto fiumi che prima non c’erano, e altri a loro volta sono stati inghiottiti e sono andati a scorrere giù in basso, il che vale a dire

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che tutte le vene della terra, come il sangue nel corpo umano, hanno dentro di sé acque nascoste, che per lo scuotimento della terra erompono, dando origine al corso dei fiumi. Se abbiamo compreso questo, vediamo che l’anima umana ha in sé naturalmente acque e fiumi e per la nostra stoltezza sono nascosti e non scorrono. Ma dopo che sia stata scossa dalla predicazione della parola di Dio e smossa dalla precedente condizione, allora uscirà fuori ciò che era nascosto, e scorrerà per il ristoro di coloro che bevono. Proprio questo penso che significhi anche quel passo della Genesi, che narra come sono scavati dai servi di Isacco i pozzi, che erano stati fatti da Abramo e che i Filistei avevano riempito di terra. Per tutto il tempo della vita di Abramo i suoi pozzi non vengono chiusi, ma dopo la sua morte e dopo che sono ostruiti i pozzi, se i servi scavano, i Filistei si oppongono e nascono alterchi. Ma se viene lo stesso Isacco e scava un pozzo e trova l’acqua, i Filistei non osano opporsi. Osserva Pietro e Paolo, e non avrai dubbi riguardo ai pozzi e ai fiumi di Cristo. Considera tutti gli apostoli, e comprenderai che non quattro fiumi, bensì dodici, escono dal paradiso delle Scritture. Questi fiumi, prima che la terra fosse scossa, erano nascosti e, essendo nelle vene della terra, non offrivano da bere agli assetati. Ma dopo che con la venuta del Signore il mondo e la terra intera sono stati scossi, immediatamente sono usciti, e allora si è compiuta (la Scrittura): ha trasformato i fiumi in deserto e le sorgenti d’acque in arsura, la terra ricca di frutti in acqua salata, per la malizia di coloro che abitano in essa. Ha reso il deserto paludi d’acque e la terra senz’acqua fonti d’acque e lì ha fatto abitare gli assetati, che vi hanno costruito una città per abitarvi (Ps. 106, 33-36). Infatti, dopo che il Signore è venuto nel mondo e ha portato a compimento ciò che ha detto nel vangelo: per il giudizio io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedevano vedano, e quelli che vedono diventino ciechi (Ioh. 9, 39), allora la terra di Israele, da cui prima i fiumi uscivano e bagnavano l’intero popolo della Giudea, è divenuta arida e le sue fonti sono state chiuse. Ma il mondo intero, che era deserto e sterile e non aveva le acque della predicazione del Signore, è divenuto palude d’acque e ha avuto tante fonti quanti dottori ha inviato. Né è bastato ad essi irrigare i popoli del mondo con le fonti, appunto, e con i fiumi, ma, radunando in ogni

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­provincia coloro che erano affamati della parola di Dio in un unico popolo, hanno costituito la chiesa, che è detta città da abitare e che il corso del fiume rallegra.64 I monti ti hanno visto e si sono addolorati, il vortice delle acque è passato, l’abisso ha fatto sentire la sua voce, l’altezza ha levato le sue mani. Il sole e la luna sono rimasti nella loro dimora, cammineranno alla luce delle tue frecce, allo splendore della tua asta folgorante. Con tumulto calpesterai la terra, con furore renderai stupefatte le nazioni. Sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare con il tuo cristo. Hai percosso il capo della casa dell’empio, ne hai spogliato le fondamenta fino al collo. Sempre. Abbiamo citato solo la nostra edizione, perché, dopo aver esposto il senso del passo nel suo logico sviluppo secondo questa, cioè secondo il testo ebraico, possiamo discutere dei Settanta versetto per versetto. I monti ti hanno visto, Dio, e si sono addolorati: vale a dire i regni eccelsi e le potestà sublimi di questo mondo e le quattro quadrighe, che in Zaccaria escono dai monti di bronzo, questi ti hanno visto e sono stati presi da tremore. E il vortice delle acque è passato, cioè ogni loro assalto e persecuzione, con cui vessavano il tuo popolo, dopo che ti abbiano visto, sono passati. Allora l’abisso, cioè gli inferi ti hanno lodato; allora anche gli esseri celesti, cioè gli angeli, hanno fatto risuonare l’applauso e ti hanno indicato come vincitore anche con il gesto e il tripudio delle mani alzate. Il tuo sole e la luna e ogni splendore, con cui prima avevi illuminato il tuo popolo e poi per il peso dei mali tutte le cose erano state coperte dall’orrore delle tenebre, hanno ricevuto la loro luce e hanno recuperato il fulgore di prima. Le tue frecce e la tua asta folgorante, cioè i tuoi colpi e il tuo ammaestramento, hanno illuminato il tuo popolo. Infine nella luce delle tue frecce e nello splendore della tua asta, che li ha rimproverati perché si emendassero, ha camminato il tuo popolo sotto il tuo severo controllo. Quando, dunque, vendicherai l’ingiuria del tuo popolo, calpesterai i regni terreni e farai in modo che le genti siano prese da stupore, poiché sei uscito a salvare il tuo popolo e sei venuto a loro con il tuo Cristo, sebbene

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in ebraico sia scritto: sei uscito per salvare il tuo popolo con Gesù, tuo Cristo, o con il salvatore, tuo Cristo. Gesù, infatti, significa salvatore. Con la venuta di Gesù Cristo, tuo Figlio, poi, hai percosso l’Anticristo nella casa dell’empio, cioè in questo mondo, che è stato governato dal maligno; o hai percosso lo stesso diavolo, che è il capo dell’empietà, e hai scoperto il suo fondamento fino al collo, cioè le sue cose nascoste hai posto in piena luce, non per un breve tempo, ma per sempre; questo significa, infatti, sela, cioè ‘sempre’. I Settanta: I popoli ti vedranno e soffriranno le doglie del parto, oppure partoriranno: ōdinēsousi ha effettivamente entrambi i significati. Di conseguenza, poiché la terra si è aperta e sono usciti i fiumi, i popoli, che avevano bevuto dai fiumi di Dio, vedranno Dio e partoriranno. Infatti per il fatto stesso di vedere il Signore, subito concepiscono la parola di Dio e dicono: per il tuo timore, Signore, abbiamo concepito e abbiamo partorito e abbiamo generato: recheremo lo spirito della tua salvezza sulla terra (Is. 26, 17-18). Beati, dice, i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (Matth. 5, 8). Questi popoli, pertanto, lavati dai fiumi, non già hanno visto, ma vedranno Dio e, dopo aver visto, concepiranno, perché possano partorire frutti di dottrine. Ma poiché si parla di popoli e non è proprio dei popoli vedere il volto di Dio, sebbene l’espressione riguardi il futuro: vedranno e partoriranno, tuttavia per la tropologia si deve preferire il testo ebraico, dove si dice: ti hanno visto e hanno partorito i monti; infatti è proprio dei monti vedere Dio e partorire i figli che hanno concepito dalla parola di Dio. I Settanta: Disperderai le acque della strada. Esistono diverse acque, alcune sempiterne, altre momentanee. Riguardo alle acque sempiterne e che scorrono dalle fonti di Israele, è detto: dai fiumi sarà divisa la terra. Riguardo a quelle improvvise e che scorrono provvisoriamente: tutti i torrenti vanno al mare (Eccli. 40, 11). La fine di siffatte acque, infatti, è la perdizione. Dio, dunque, disperderà tutte le acque, che sono state corrotte da dogmi perversi, quando dissiperà i disegni dei principi e la sapienza di questo mondo. Se mai vedrai che per breve tempo un’eresia ha prosperato e, poi, per grazia di Dio è stata dissipata, dirai che si è compiuta la Scrittura: disperderai le acque della strada. Tuttavia, ove è detto

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della strada, può essere sottinteso della strada diabolica, cosicché il senso sarebbe: il Signore dividerà e disperderà le acque, che il diavolo ha corrotto e che molti hanno potuto percorrere, cioè sono state aperte a molti errori. Donde anche gli altri traduttori, volendo descrivere l’eretico furore, hanno tradotto: l’urto ossia l’impeto delle acque passerà. Sono trasportati dal facile corso dell’eloquenza e sono avventati, cosicché trascinano con sé chiunque incontrano, che sia disponibile e leggero. I Settanta: L’abisso ha fatto sentire la sua voce, altezza della sua apparenza. L’abisso è inteso spesso in senso positivo, spesso in senso negativo e talvolta in senso indeterminato. In senso positivo: i tuoi pensieri sono un abisso profondo (Ps. 35, 7), e: l’abisso chiama l’abisso, alla voce delle tue cascate (Ps. 41, 8). In senso negativo: le acque ti hanno visto, Dio, le acque ti hanno visto e hanno avuto paura, sono stati presi dal terrore gli abissi, grande fragore di acque (Ps. 76, 17). Ma anche i demoni implorano che non li si mandi negli abissi. E nella Genesi: l’abisso sopra il quale erano le tenebre (Gen. 1, 2), non so se possa intendersi in senso positivo. In senso indeterminato, d’altra parte, nello stesso libro si dice: sono scaturite le fonti dell’abisso e le cataratte del cielo sono state aperte (Gen. 7, 11). E il passo del salmo centoquarantottesimo: i draghi e tutti gli abissi, il fuoco e la grandine e il vento delle tempeste (Ps. 148, 7-8); a meno che, per il fatto di esser posto tra i draghi e il fuoco e la grandine, debba essere considerato in senso negativo. Non so quale dei due sensi possa considerare colui che abbia visto l’abisso far risuonare le lodi del Signore insieme con le altre cose. Qualora, dunque, considerassimo ‘abisso’ in senso positivo, diremmo, dopo che siano state disperse le acque della strada pessima: i tuoi sapienti hanno visto te e l’altezza della tua scienza, che avevano ottenuto dalla visione di te – poiché hanno visto te e hanno partorito i monti –, qualunque cosa di te prima hanno creduto, l’hanno divulgata con le lodi della loro voce. E rettamente chiama altitudine la presunzione della apparenza, secondo Gesù figlio di Sirach, che dice: chi investigherà l’abisso e la sapienza? (Eccli. 1,  2-3). Donde anche dal piccolo monte, cioè dall’assunzione del corpo umano, che Daniele chiama pietra tolta dal monte senza il lavoro delle mani, cioè senza rapporto matrimoniale, Cristo abisso invoca il Padre, altro abisso,

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con la voce delle sue cataratte, perché dia a coloro che annunciano la parola molta forza (Ps. 67, 12). Ovvero l’abisso del Nuovo Testamento, come testimonianza del piccolo monte da cui è stato colpito il principe di Tiro,a chiama l’abisso del Vecchio Testamento, perché attraverso le cateratte di Cristo, cioè gli apostoli, diventi più solida la predicazione. Se qualcuno, tuttavia, volesse intendere in senso negativo il passo che dice: l’abisso ha fatto sentire la sua voce, altezza della sua apparenza, potrà usare quell’argomento secondo cui, in analogia alle acque disperse della strada, che assolutamente sono state intese in senso negativo, anche questa espressione giustamente deve essere intesa in senso negativo. E nello stesso tempo considera che non ha detto ‘la sua altezza’, ma l’altezza della sua apparenza, cioè dell’ombra e dell’immagine. Sembra, infatti, che abbiano l’altezza e la scienza delle Scritture, ma ogni loro altezza, paragonata alla verità, è apparenza, e invano alza la voce, poiché le acque della strada sono già state disperse. Cerchiamo nella Scrittura se in qualche luogo possiamo trovare che l’apparenza abbia un senso positivo e, dopo aver appurato che questo caso o è raro o è inesistente, più fermamente interpreteremo l’abisso e la sua apparenza in senso negativo. I Settanta: Si è alzato il sole e la luna ha mantenuto il suo ordine. Se seguiamo l’interpretazione semplice, dalle presenti parole è mostrato il miglioramento del sole e della luna, poiché secondo Isaia nel mondo futuro il sole splenderà sette volte di più e la luna rifulgerà con la luminosità del sole. Poiché, infatti, la creatura sarà liberata dalla schiavitù della corruzione nella libertà della gloria dei figli di Dio (Rom. 8, 21): essa che ora è assoggettata alla caducità, a motivo di colui che l’ha sottomessa nella speranza della libertà, quando alla fine del mondo ogni creatura sarà liberata, saranno liberati anche il sole e la luna e staranno saldi nel loro ordine. Se poi volessimo intendere per sole di giustizia il Cristo, sotto le cui ali c’è la guarigione, e per luna, che è illuminata dallo splendore di questo sole, la chiesa, non sarebbe difficile affermare che la luce Il riferimento è a Ez. 28, 1-19, in cui Dio punisce il principe di Tiro che, confidando nella sua forza e sapienza, si era insuperbito: una metafora per indicare il diavolo, che è stato mortalmente colpito dalla venuta di Cristo (‘monte modico’). a 

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vera e la luce degli uomini e lo splendore della gloria di Dio e lo splendore della luce eterna illuminano colei che ora, in questo mondo, a seconda degli eventi favorevoli o delle avversità, cresce e decresce.65 Ma quando il sole si sarà alzato e, secondo l’apostolo, Dio lo avrà esaltato e gli avrà dato un nome che è al di sopra di ogni nome, allora anche la chiesa, che nel mondo presente non riesce a mantenere il suo ordine, sarà ricondotta nell’ordine stabilito e in nessun modo sarà mutata e starà immutabile e udrà con Mosè: ma tu sta’ qui con me (Ex. 34, 2).66 I Settanta: Nella luce andranno i tuoi dardi, nello splendore del lampo delle tue armi. I dardi di Dio, cioè le frecce che vanno e si affrettano, non vengono inviate per uccidere, ma per illuminare. Per distinguere queste frecce e dardi, Cristo è detto dardo eletto da Isaia, che grida: mi ha collocato come dardo eletto e mi ha nascosto nella sua faretra e mi ha detto: è una grande cosa per te essere chiamato mio servo (Is. 49, 2-3). Questa freccia ha molte frecce, che può lanciare nel mondo intero. Donde anche la sposa, ferita dal dardo eletto, dice: sono stata ferita dalla carità (Cant. 4, 9), secondo la qual affermazione anche noi possiamo dire: ‘sono stato ferito dalla castità, sono stato ferito dalla sapienza’. Ferita da questo dardo di sapienza, anche la regina dell’austro non era in sé e, stupefatta, aveva trovato di più nel vero Salomone rispetto a quanto la sua fama le aveva narrato. Queste frecce, dunque, che sono inviate per illuminare, proseguono anche per risplendere del bagliore delle sue armi, cioè di Dio. Chiunque, infatti, si armerà per fronteggiare le malizie del diavolo e si cingerà dell’armatura dell’apostolo, sarà raggiunto dai dardi della luce, cosicché gli si possa dire: voi siete la luce del mondo (Matth. 5, 14). Ma se qualcuno è peccatore e piange, perché abita nelle tende di Chedar,a gli sono lanciate le frecce acute del potente con carboni che diffondono desolazione (Ps. 119, 4),b perché anzitutto sia colpito dalle parole di Dio e dica: mi ritrovo in miseria quando la spina si conficca in me (Ps. 31, 4). E dopo che sarà colpito, allora attraverso un Serafino, cioè la parola ardente di Dio, a  Eusebio di Cesarea interpreta Chedar come oscuramento, per indicare il passaggio dei pagani dalle tenebre del peccato alla luce di Cristo. Cfr Evs., Is. 273, 1517. Simonetti, ‘Isaia’, p. 12. b  Cfr Hier., In Am. 3, 7, 4-6, l. 138-142; Epist. 18, 14.

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gli sarà lanciato il carbone che diffonde desolazione, che non solo le labbra – quelle solo Isaia aveva immonde – ma anche tutte le parti delle sue membra purifichi e le trasformi in deserto per i peccati.67 I Settanta: Con la minaccia diminuirai la terra e nel furore trascinerai le nazioni. Ciò può essere inteso della fine del mondo, quando, essendo stata uccisa una moltitudine di gente da frequenti guerre, resteranno pochi uomini, e coloro che non avranno voluto essere del popolo di Dio, ma saranno rimasti gentili e pagani, saranno condotti nel tartaro dal furore del Signore. Ma è meglio che interpretiamo la terra diminuita dalla minaccia come le opere terrene e coloro che, stabiliti nella chiesa come peccatori, non aspettano di essere assaliti dal furore del Signore, ma ascoltando dalle Scritture quali supplizi incombano sui peccatori, fanno penitenza e a poco a poco diminuiscono la loro terra e progrediscono verso il cielo. Se qualcuno di noi teme la minaccia del Signore, per lui la terra è diminuita; colui che, invece, persevera nel novero dei gentili e non vuole essere di coloro la cui terra decresce, né del popolo di Dio di cui è detto: i popoli ti vedranno e partoriranno (Deut. 28, 10), costui sarà trascinato al supplizio con i gentili. I Settanta: Sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare i tuoi cristi.68 Anzitutto vediamo quanti sono i tipi di cristi e poi tratteremo di come sia uscito il Signore per salvare i suoi cristi. Cristi erano detti nell’Antico Testamento i patriarchi, dei quali è stato scritto nei salmi: ha colpito i re in loro favore: non toccate i miei cristi e non dite malignità contro i miei profeti (Ps. 104, 14-15; I Par. 16, 22). E nel primo libro dei Paralipomeni, tutti coloro che sono usciti dall’Egitto sono chiamati cristi. Nell’Esodo è preparato pure il crisma sacerdotale, con cui poi nel Levitico si riferisce che sono stati unti i sacerdoti. C’è anche un altro unguento con cui i re sono unti per il regno e che è usato in due modi. Se, infatti, si tratta di Davide e Salomone, cioè ‘forte di mano’ e ‘pacifico’, sono unti con il corno. Se, invece, si tratta di Ieu e Azael, sono cosparsi con la ‘lenticula’, ovvero un vaso di terracotta chiamato phakos [vaso lenticolare]. Ma anche Ciro, re dei Persiani e dei Medi, che ha liberato il popolo dalla cattività – sebbene molti sbaglino e ritengano che sia stato scritto del Signore Salvatore69 –, ascolta at-

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traverso Isaia: questo dice il Signore al mio cristo Ciro, di cui ho tenuto la destra, perché mi ascoltassero davanti a lui le genti (Is. 45, 1), eccetera. E alla fine si dice: ma tu non mi hai conosciuto (Is. 45, 4), cosa che è sacrilego riferire al Salvatore. C’è un unguento profetico, con cui è ordinato a Elia di ungere Eliseo come profeta. E sopra tutti i tipi di unguento c’è l’unguento spirituale, che è chiamato olio di esultanza, con cui è unto il Salvatore e gli si dice: per questo ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni (Ps. 44, 8). Ritengo, poi, che vi partecipino coloro cui si rivolge anche Giovanni: anche voi avete un unguento dal santo (I Ioh. 2, 20). E dopo poco: queste cose vi ho scritto riguardo a coloro che vi seducono, e il crisma, che avete ricevuto da lui, rimanga in voi, e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca, ma lo stesso crisma vi insegnerà ogni cosa, ed è veritiero e non mendace e, poiché vi istruisce, rimanete in lui (I Ioh. 2, 26-27). E perché coloro che eventualmente hanno perso il crisma del battesimo non disperino di poterlo riacquistare di nuovo, sta scritto nel Levitico che, quando il lebbroso, che era stato cacciato fuori dall’accampamento, andrà dal sacerdote, e la sua lebbra sarà purificata, il sacerdote deve mettersi olio nella mano sinistra e con il dito intinto nell’olio lo asperga sette volte davanti al Signore e tocchi con il medesimo olio l’orecchio di colui che era stato lebbroso, e la mano destra e il piede destro, e quanto rimane dell’unguento lo versi tutto sul suo capo. Quando abbia compiuto tutte queste cose nel modo dovuto, allora immoli un olocausto per lui e lui stesso sia chiamato cristo di Dio. Voglio dire qualcosa, ma temo di offrire un’opportunità di rovina ai negligenti, sul perché nelle Scritture sante si trovi che il medesimo uomo è stato unto più volte. E così Davide è stato unto per tre volte: ma non dobbiamo intendere ciò in riferimento a colui che ha peccato e di nuovo è unto – infatti, solo il lebbroso, dopo aver perso il primo unguento, è unto una seconda volta –, ma in riferimento a colui che giorno per giorno progredisce e la sua unzione cresce continuamente e passa dall’olio del lebbroso all’olio del popolo e dei santi e dall’olio del popolo arriva all’olio dei sacerdoti e dai sacerdoti ascende al crisma del pontefice, dal pontefice fino al re, dal re ai patriarchi e dai patriarchi si dirige a Cristo, ed è unto con olio di esultanza, e chi ne è stato unto diventa un

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solo spirito con Dio, e dove sono il Padre e il Figlio lì sarà anch’egli. Ma questi sono casi rari e sono desideri dei credenti. Del resto non so se mai si realizzino. Si dice infatti: ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni (Ps. 44, 8), cioè con quell’olio che coloro che sono tuoi compagni o raramente o mai potranno trovare. Dunque, per salvare questi cristi è uscito Dio dal suo luogo, come anche Michea dice: e uscirà dal suo luogo per salvare (Mich. 1, 3). Poiché infatti coloro che avevano bisogno della salvezza non erano voluti entrare da lui, egli stesso è uscito dalla sua maestà e dal suo luogo, per condurre coloro che erano fuori nella terra dei mansueti e nella regione dei viventi, dalla quale Adamo era stato espulso e dalla quale uscito, Caino aveva abitato nella terra di Naid.70 Occorre tuttavia sapere, come abbiamo detto sopra, che dove i Settanta hanno tradotto al plurale: per salvare i tuoi cristi, lì in ebraico c’è laiesva eth messiach,a che Aquila ha tradotto: per salvare con il tuo cristo, non perché Dio sia uscito per salvare il popolo e il suo cristo, ma perché per salvare il suo popolo è venuto con il suo cristo, secondo il passo evangelico: il Padre è in me e io nel Padre, e rimanendo in me il Padre compie la sua opera (Ioh. 14, 10). Ma anche la quinta edizione ha tradotto in modo simile: sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare con il tuo cristo. Teodozione, invece, veramente quasi povero ed ebionita,b ma anche Simmaco, che condivideva la medesima dottrina,71 avendo seguito ‘il significato povero’ hanno tradotto alla maniera giudaica: sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare il tuo cristo e: sei uscito a salvare il tuo popolo, a salvare il tuo cristo. Sto per dire una cosa incredibile e tuttavia vera: questi semicristiani hanno tradotto alla maniera giudaica, e il giudeo Aquila ha interpretato come un cristiano. La sesta edizione, svelando in modo chiarissimo il mistero, così traduce dall’ebraico: sei uscito per salvare il tuo popolo attraverso Gesù, tuo Cristo, che in greco si dice: exēlthes tou sōsai ton laon sou dia Iēsoun ton Christon sou. Al senso di questo a  TM: lәyēša‘ ’eṯ mәšîḥeḵā, a salvare (con) il tuo unto. Mercati (Mercati, ‘Frammento’) attribuisce a Eusebio di Cesarea – mentre prima di lui Kollar aveva ipotizzato che appartenesse a Origene – un frammento in cui è contenuta la traslitterazione greca del testo ebraico di Hab. 3, 13. b  Cfr Hier., In Is. 8, 25, 1; Evs., H.e. 3, 27, 1 e 6.

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passo può essere accostato quello che dice: la vostra casa vi sarà lasciata deserta (Luc. 13, 35), dato che il Padre con il Figlio è uscito dal tempio e dalle liturgie giudaiche ed è venuto per salvare i gentili, per salvare coloro che credono attraverso Gesù Cristo, suo Figlio. I Settanta: Hai inviato sul capo degli empi la morte. Non riteniamo che si parli della morte comune, di cui tutti moriamo ed è morto Abramo ed è stato posto accanto ai suoi padri, e i profeti e Cristo stesso è morto, ma della morte che è stata mandata sugli iniqui, perché coloro che prima vivevano per l’iniquità, morti al peccato, vivessero per la giustizia. Proprio questo anche Anna nella sua preghiera vuole indicare: il Signore uccide e vivifica (I Reg. 2, 6). Uccide, infatti, quanto al peccato, inviando la morte sulle teste degli empi, per ricrearli alla giustizia. Dirò qualcosa di più audace: Cristo per questo è venuto nel mondo, per inviare la morte sulle teste degli iniqui. E come egli stesso è morto una volta sola al peccato, così anche quelli muoiano all’iniquità, e coloro che erano stati resi partecipi della sua morte divengano partecipi anche della vita. Secondo il testo ebraico, poi, dove è stato scritto: hai percosso il capo della casa dell’empio, intendiamo per capo, come ho detto, il principe di questo mondo e per sua casa il mondo e ogni anima di peccatore, in cui il diavolo aveva alloggio. Ma proprio per questo è percosso il capo nella casa dell’empio, perché, dopo che egli sia stato percosso e cacciato, quella diventi la casa di Dio e abiti lì la giustizia e cammini in essa. E questo è conveniente pensare di colui che è uscito per salvare il suo popolo con il suo Cristo, cosicché, percosso un capo siffatto, divenga capo su di noi egli stesso, che è capo di ogni uomo e della sua chiesa. Se qualcuno, dunque, fino al momento presente percepisce di essere casa dell’empio, chieda con insistenza la venuta del Figlio di Dio, affinché sia annientato in sé il capo dell’empio. I Settanta: Hai costituito legami fino al collo per sempre. Il Signore ha costituito vincoli di carità, affinché, deposto il peso di prima e il gravosissimo giogo da cui eravamo schiacciati, prendessimo il giogo leggero di Cristo e, attaccati al suo carro, portassimo un ottimo auriga. Anche Teodozione, intendendo ciò in senso positivo, dice: hai ornato il fondamento fino al collo. La quinta edizione: hai

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scoperto oppure hai svuotato il fondamento fino al collo, sela, cioè sempre. Poiché, infatti, gli stranieri avevano ricoperto di terra il fondamento di Cristo, che era nell’anima di ciascuno, la terra accumulata è portata via ed è scoperto l’ottimo fondamento ed è ornato, perché ciò che era nascosto appaia e recuperi il suo splendore, e ciò avviene per sempre, che in ebraico si dice sela. E nello stesso tempo considera che, spinti dalla necessità delle cose, gli stessi Settanta, che sempre avevano tradotto sela con diapsalma, qui hanno tradotto sempre.72 Hai maledetto i suoi scettri, la testa dei suoi guerrieri, che venivano come un turbine per disperdermi. La loro esultanza come quella di chi divora il povero di nascosto. Hai fatto una via nel mare per i tuoi cavalli, nel fango dell’immensità delle acque. Ho udito ed è stato turbato il mio ventre, alla voce hanno tremato le mie labbra. Entri la putredine nelle mie ossa ed esca copiosa sotto di me, perché riposi nel giorno della mia tribolazione, perché salga per unirmi al nostro popolo armato. Ora ho citato soltanto il testo ebraico per trattare a parte dell’edizione dei Settanta: infatti si discosta molto dalla traduzione di tutti gli altri. Hai maledetto, dice, gli scettri, cioè i suoi regni, non c’è dubbio che si tratti dell’empio, di cui prima aveva detto: hai percosso il capo della casa dell’empio, hai scoperto il fondamento fino al collo. Intendiamo d’altra parte l’empio come Nabucodonosor o ogni avversario del popolo di Dio. E non solo i suoi scettri, ma anche il capo dei suoi guerrieri, che avevi percosso, perché sono venuti come un turbine per disperdermi, cioè per annientare Israele e condurlo via prigioniero. Perciò godevano divorando il povero e Israele a loro sottomesso, quasi che facessero ciò di nascosto e ci divorassero senza che tu lo sapessi. Sei venuto pertanto a battaglia in favore del tuo popolo e, facendo avanzare le tue quadrighe nelle acque, cioè fra molte nazioni, hai fatto una via per loro nel fango dell’immensità delle acque, cioè per calpestarli e come fango schiacciarli con gli zoccoli dei tuoi cavalli e con le ruote dei tuoi carri. Di quanto poi segue: ho udito ed è stato turbato il mio ventre, alla voce – sottinteso: ‘tua’ – hanno tremato le mie labbra, entri la putredine nelle

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mie ossa ed esca copiosa sotto di me, perché riposi nel giorno della mia tribolazione, perché salga verso il popolo nostro armato, questo è il significato: ora volentieri soffriamo tutte le angustie e alla tua minaccia tremiamo in tutte le viscere. Ora tremano le mie labbra e il timore dell’anima timorosa è dipinto sul viso, e non solo questo, ma anche altro oltre a ciò bramo e desidero. Entri la putredine nelle mie ossa ed esca copiosa sotto di me, cioè volentieri soffro quanto ha patito Giobbe, non solo le mie carni, ma anche il midollo delle ossa desidero che siano consumati e il mio giaciglio sia pieno della putredine del corpo e di innumerevoli vermi, affinché, dopo che avrò sostenuto in questa circostanza tutto questo per i miei peccati, riposi nel giorno amaro, nel giorno della tribolazione, nel giorno della necessità e dell’angustia. E salga verso il popolo nostro armato, certamente forte, guerriero e combattivo. E giustamente ‘salga’, infatti verso il popolo armato sempre si sale. Ed elegantemente dice ‘nostro’, infatti colui che è stato tribolato e ha sostenuto volentieri le afflizioni e ha compensato i premi futuri con i mali presenti, audacemente dice ‘nostro’, perché come Abramo, Isacco e Giacobbe anch’egli riposi in una buona vecchiaia sazio di giorni e sia sepolto vicino ai suoi padri. Poiché se qualcuno dicesse: ecco nell’esposizione del senso storico senza saperlo sei stato imprigionato dalle reti dell’allegoria e hai mescolato la tropologia al senso storico, ascolti che non sempre una metaphora [metafora] del senso storico indica un’allegoria, poiché frequentemente lo stesso senso storico è composto in modo metaforico e con l’immagine di una donna o di un solo uomo si parla di tutto il popolo. E ora, dunque, possiamo dire a nome del popolo: volentieri sono in prigionia, con animo rassegnato sopporto le angustie e sono schiacciato dal pesantissimo giogo dei Babilonesi e qualunque cosa è di estrema e dura necessità sopporterò rallegrandomi, tanto da riposare nel giorno in cui maledirai gli scettri dell’empio e i tuoi cavalli calpesteranno il fango di acque abbondanti e dopo con i tuoi santi Zorobabele e Gesù, figlio di Iosedec, ed Esdra, sacerdote, e Neemia ritornare nella terra della promessa. Fin qui, perché non sembrassimo tralasciare del tutto il senso storico, in qualche modo abbiamo fatto violenza all’intelletto e lo abbiamo trascinato alla cattività, non seguendo il testo; ora ritorniamo ai Settanta traduttori e all’esposizione tropologica.

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I Settanta: Hai diviso fra lo sbalordimento le teste dei potenti. Come Cristo è il capo della chiesa e di ogni uomo, così di tutti i demoni, che infuriano in questo mondo, il capo è Beelzebub, principe dei demoni, e di ogni loro schiera hanno capi e principi propri. Per esempio, gli spiriti di fornicazione hanno il loro sovrintendente, gli spiriti di avarizia hanno il loro archōn [capo], gli spiriti di vanagloria, gli spiriti di menzogna, gli spiriti di infedeltà hanno capi della loro malizia. Pertanto Dio clementissimo, che aveva inviato la morte sulle teste degli iniqui, che aveva costituito legami fino al collo, per sempre divide i capi dei potenti nello sbalordimento, anzitutto per separare i principi dai sottoposti e come per staccare il corpo dalla testa e dove c’era stato un pessimo capo lì porne uno ottimo. Facciamo un esempio, perché ciò che diciamo diventi più chiaro: quando un tiranno è decapitato, anche le sue immagini sono demolite e alla statua, cambiato solamente il volto e tolto il capo, viene sovrapposto il viso di colui che ha vinto, cosicché, mentre rimane il corpo e le teste sono tagliate, viene sostituita un’altra testa. Intendi ciò in riferimento anche ai conciliaboli degli eretici, poiché, dopo che siano stati separati i capi degli eretici dal resto del popolo, al posto di quelli il capo cominci ad essere Cristo. E insieme considera il significato della Scrittura santa, poiché non ha detto ‘hai tagliato’ o ‘hai troncato’ le teste dei potenti, ma ‘hai diviso’: ciò che, infatti, è diviso, non è tanto amputato o distrutto, quanto separato in parti. Questo perché, come nella costruzione della torre la lingua, che era stata disgraziatamente unita, è stata separata e la pessima alleanza rescissa da un’utile divisione, così anche queste teste, che con i corpi sembravano avere una reciproca armonia – molte, infatti, sono le teste degli eretici che, pur avendo diversi occhi, tuttavia, per così dire, in un’unica lingua di bestemmia latrano contro la chiesa  –, siano divise in parti e, separate dai corpi ingannati, facciano posto al buon capo. Possiamo usare questo versetto se mai abbiamo visto i loro re e i loro condottieri spargere il sangue dei cristiani e, dopo, venire la giusta punizione del Signore, cosa che di recente abbiamo considerato in Giuliano73 e prima di lui in Massimiano e prima in Valeriano, Decio, Domiziano, Nerone e possiamo dire al Signore con esultanza e preghiera nel cantico: hai diviso nello sbalordimento le teste dei

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potenti, cioè tra lo sbalordimento dei credenti e tra lo sbalordimento di tutte le nazioni, le quali non credevano che essi tanto velocemente potessero soccombere. Quando ero ancora fanciullo74 e mi esercitavo alla scuola del grammatico e tutte le città erano piene del sangue delle vittime e non appena proprio nel divampare della persecuzione era stata annunciata la morte di Giuliano, elegantemente un pagano disse: ‘come possono dire i cristiani che il loro Dio è paziente e anexikakos [tollerante]? Niente è più iracondo, niente più immediato di questo furore, neppure di un leggero lasso di tempo ha potuto differire la sua indignazione’. Questo egli avrebbe detto schernendo.75 Al contrario la chiesa di Cristo con esultanza ha cantato: hai diviso nello sbalordimento le teste dei potenti. Dirò anch’io qualcosa di simile a questo: dividi, o Signore, fra lo sbalordimento di tutti, Acab e Gezabele. Non sono certo io Elia, ma tuttavia quegli Acab e Gezabele hanno ucciso Nabot e hanno preso la sua vigna e l’hanno resa giardino della loro lussuria. Si trovi qualcuno come il tuo servo Abdia, che nutra il tuo povero e il mendico; si dia il sangue dell’adultera ai cani e Acab, empio e avido, sia trucidato dal dardo del Signore.76 I Settanta: Saranno scossi in esso [nello sbalordimento], apriranno i loro morsi come il povero che mangia di nascosto. Dopo che siano state divise le teste dai loro corpi e divise non altrimenti se non nello sbalordimento (che in greco si dice ekstasei, donde secondo quella lingua si declina e si dice en autē, cioè in esso [nello sbalordimento]), apriranno anche i morsi loro o di quelli – si può intendere, infatti, in entrambi i modi –, affinché, dopo essersi liberati di quel potere da cui erano dominati nei corpi ad esso soggetti, offrano spazio a un miglior cavaliere e a un miglior auriga e facciano ciò come fa un povero che mangia di nascosto, privi di libertà e di abbondanza di cibi, ma mangiando di nascosto vivande modiche non vogliono che nessuno veda ciò che fanno. Si può anche interpretare altrimenti: dopo che siano state divise le teste nello sbalordimento, come decollate dal resto del corpo, apriranno la loro bocca, che era stata trattenuta dalla condanna come da una museruola, e a somiglianza di coloro che mangiano faranno risuonare i loro denti sbattuti gli uni contro gli altri, volendo di nuovo mangiare, ma non avendo la forza di masticare. Comprendi come dopo la

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venuta di Cristo i capi dei demoni vorrebbero di nuovo esercitare l’antica potestà sulle nazioni, dalle quali, un tempo a loro soggette, erano stati separati. Ma poiché sono stati amputati dai corpi, non hanno la piena libertà di mangiare, mangiano come i poveri, e non solo poveri, ma poveri di nascosto. Sono poveri perché hanno perduto le ricchezze di prima; mangiano di nascosto poiché sempre stanno in agguato, per uccidere di nascosto l’innocente. Questi capi hanno gli stessi denti come frecce. E sebbene prima abbia detto: ‘sulle stelle del cielo salirò, porrò in alto il mio nido e l’universo mondo come uova terrò nella mia mano’, tuttavia saranno tirati giù dai luoghi elevati e, perdendo i beni di prima e ogni sostanza della loro casa, a stento come i poveri di nascosto tenteranno di mangiare e mordere. So che il testo ebraico si discosta molto da ciò che è stato detto, ma che cosa posso fare io, a cui una volta è stato proposto di interpretare sia il testo ebraico che la Scrittura divulgata in tutto il mondo?77 I Settanta: E hai condotto nel mare i tuoi cavalli, che scompigliano l’immensità delle acque. Dopo che Dio aveva inviato sulle teste degli iniqui la morte e aveva spezzato le teste dei potenti nello sbalordimento e le aveva abbattute in mare – è stato scritto, infatti, nei salmi: tu hai spezzato le teste del drago (Ps. 73, 14) –, uccisi e abbattuti i principi e avvinto il forte, si giunge alla sua casa e tutti i suoi vasi sono distrutti. Ma in quale altro modo possiamo intendere i vasi e la casa del forte e i beni del principe, se non come il mare di questo mondo, in cui abita il drago? Fa scendere, dunque, Dio, egregio cavaliere e auriga eccellente, i suoi cavalli, vale a dire gli angeli e le sublimi virtù, sopra il mare di questo mondo, perché scompiglino l’immensità delle acque, cioè i demoni e le potestà avverse. Se vogliamo interpretare ciò in relazione alla venuta di Cristo, secondo quanto è scritto nell’Apocalisse, che la parola di Dio siede su un cavallo bianco e tutto l’esercito la segue su cavalli bianchi, vedremo come Cristo sia salito sui suoi apostoli,78 dicendo loro: ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Matth. 28, 20), e: andate, battezzate tutte le nazioni nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo (Matth. 28, 19). E dopo essere salito su un solo cavallo bianco, che non ritengo sia un altro se non l’apostolo Paolo, cavalcando su di lui aveva fatto il giro del mondo

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intero. È salita, poi, la parola di Dio sui suoi cavalli, perché fosse sconvolta l’immensità delle acque, cioè perché molti popoli, che prima erano nel mare ed erano tenuti schiavi dal drago – larga, infatti, e spaziosa è la via che conduce alla morte (Matth. 7, 13) –, fossero sconvolti, abbandonando anzitutto l’errore di prima, poi, sconvolti, accogliessero il cavaliere che veniva; o certamente perché le moltitudini di demoni, dei quali abbiamo detto sopra, in nessun modo dominassero così nel mare, ma sconvolte cadessero e temessero i colpi del cavaliere che le combatteva. E magari anche su di me salisse la parola di Dio e attraverso la lancia della mia bocca uccidesse colui che regna sull’immensità delle acque, affinché alla morte del re le acque sconvolte, che erano state a loro sottoposte, offrano i colli al mio cavaliere e noi, ricondotti in un’unica quadriga, siamo fatti Cherubini del Signore, che significano ‘moltitudine di scienza’. Mai, infatti, si tramanda di un auriga così sereno e distinto, come quando avanza tra coloro che sono legati dalla moltitudine della scienza e dai legami della sapienza. I Settanta: Sono stato in guardia e ha avuto timore il mio ventre alla voce della preghiera delle mie labbra ed è entrato il tremore nelle mie ossa e sotto di me è stata turbata la mia fortezza. E così pure abbiamo trovato scritto altrove (infatti se ne trovano esempi):a hē hexis mou, che noi possiamo tradurre ‘la mia attitudine è stata sconvolta’. Si può, tuttavia, dire che queste cose dette anche a nome del profeta sono in accordo con le precedenti: poiché hai inviato, o Signore, sulle teste degli iniqui la morte e hai costituito legami fino al collo e hai diviso nello sbalordimento le teste dei potenti e hai fatto entrare nel mare i tuoi cavalli per turbare l’immensità delle acque, per questo io ho custodito con ogni sorveglianza il mio cuore e hanno tremato le mie viscere e ogni mia fortezza o attitudine è stata turbata, perché non sopportassi cose simili. Potrebbe anche avere un certo qual fondamento che, mentre il profeta narra il suo timore e come temesse di peccare in qualcosa e, ammonito dalla voce della preghiera delle sue labbra, abbia tanto temuto Dio, che è entrato un tremore nelle sue ossa e, collocato sotto l’eccelsa mano di Dio, è stato turbato in ogni fortezza o a 

L’espressione hē hexis mou si trova, infatti, anche in Odae 4, 16 e Dan. 7, 28.

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condi­zione della sua anima. Quanto poi dice: è entrato un tremore nelle mie ossa deve essere inteso emphatikōteron [in modo alquanto enfatico], cosicché vediamo la grandezza del timore di Dio che entra nell’intera anima e scuote tutto l’uomo, perché non faccia qualcosa che possa dispiacere a Dio. E poiché allegoricamente, tramite le membra del corpo, la Scrittura fa menzione anche delle membra dell’anima, per ventre spaventato intendiamo quella virtù dell’anima che accoglie i cibi spirituali, e per labbra [quelle facoltà] con le quali l’anima parla con se stessa, e per ossa robuste le solide dottrine, dalle quali tutto l’organismo dell’anima è reso saldo. Queste cose ho detto brevemente. Se qualcuno, tuttavia, trovasse cose più acute e vere di queste, date pure ragione alla sua spiegazione. I Settanta: Riposerò nel giorno della tribolazione, per salire al popolo del mio soggiorno. Poiché con ogni vigilanza ho custodito il mio cuore e ha temuto il mio ventre alla voce della preghiera delle mie labbra ed è entrato il tremore nelle mie ossa e sotto di me è stata scossa la mia fortezza o condizione e a motivo di tanta vigilanza sono divenuto alieno dai peccati, per questo ora con fiducia dico: riposerò nel giorno della tribolazione, per salire al popolo del mio soggiorno, cioè colui che in modo giusto, come me, ha soggiornato in questo mondo. Salirò, tuttavia, essendo collocato in basso, e come salendo dalla valle fino alle realtà sublimi tenderò con piena brama, affinché nel tempo in cui gli altri sono nella tribolazione e nell’angustia mi dia pensiero della salita, come con il popolo del mio soggiorno riposi in luoghi elevati. Ma il giorno della tribolazione ritengo che sia la fine del mondo, di cui anche Isaia dice: il giorno del Signore [è] insanabile, giorno di furore e di ira, per trasformare l’intera terra in deserto e per mandare in rovina i peccatori (Is. 13, 9). Il fico, infatti, non fiorirà e non ci sarà germoglio nelle vigne, mentirà l’opera dell’olivo e i campi non daranno più cibo, il gregge sparirà dall’ovile e non ci sarà armento nelle stalle. I Settanta: Poiché il fico non darà frutto e non ci saranno germogli nelle vigne, mentirà l’opera dell’olivo e i campi non daranno nutrimento; sono venute meno dal pascolo le pecore e non ci sono buoi nelle stalle.

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Secondo il testo ebraico, nel quale prima abbiamo detto: entri la putredine nelle mie ossa ed esca copiosa sotto di me, perché riposi nel giorno della mia tribolazione, perché salga verso il popolo nostro armato, così quanto è venuto prima sarà unito a ciò che segue. Così ho voluto sostenere adesso la tribolazione e, poi, salire al popolo forte, poiché verrà il giorno della tribolazione e della necessità e, mentre gli altri si troveranno nell’angustia, io mi rallegrerò nella tua maestà: il fico, infatti, non fiorirà e non ci sarà germoglio nelle vigne, mentirà il raccolto dell’olivo e i campi non daranno più cibo, eccetera. Poiché queste parole non differiscono molto dai Settanta, le esporremo insieme alla loro traduzione. Quando sarà venuto il giorno della tribolazione e io sarò salito al popolo che con me una volta ha soggiornato, o certamente quando sarà venuto il giorno della rovina giudaica e del popolo precedente e sarà stata abbandonata la figlia di Sion, come una tenda nella vigna e come una casetta nel cocomeraio e come una città che è espugnata, io, che sono stato salvato dal popolo che perisce – di cui è stato detto: se il Signore non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo diventati come Sodoma e saremmo simili a Gomorra (Is. 1, 9) –, mi unirò ai discepoli di Cristo e poiché egli li ammaestra sul monte, dopo aver lasciato le folle e i deboli più in basso, io salirò a luoghi montuosi. Infatti non ha dato frutto il fico, da cui è venuto nel vangelo il Signore affamato e non ha trovato in esso frutti e lo ha maledetto, dicendo: non darai frutto nel secolo (Matth. 21, 19).a E considera attentamente che cosa ha detto: non darai frutto nel secolo. Non dice ‘nei secoli dei secoli’, ma quando sarà trascorso questo secolo e saranno entrate tutte quante le nazioni, allora anche questo fico darà i suoi frutti e tutto Israele sarà salvato. Questo è il fico da cui viene per tre volte il padre di famiglia e, poiché non fa frutto, vuole abbatterlo; in suo favore l’agricoltore, a cui era stato affidato, implora che gli dia tempo e dice: Signore, lascialo ancora per quest’anno, finché zappi intorno a esso e vi metta concime, se mai facesse a  In italiano sarebbe preferibile tradurre ‘in eterno’, tuttavia abbiamo optato per questa soluzione dal momento che la perdita della parola ‘secolo’ renderebbe incomprensibile la spiegazione che segue immediatamente e che si basa appunto su tale termine. Girolamo interpreta questa espressione nel senso del tempo che Dio ha riservato all’esistenza mondana.

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­frutto, se no, allora, lo taglierai (Luc. 13, 8-9). Codesto agricoltore o è Gabriele o Michele, a cui è stato affidato il popolo dei giudei, il quale supplica il Signore nella passione e dice: da’ loro una possibilità di penitenza e non abbatterli, se mai facessero frutto, se no, allora, li distruggerai. Se facessero frutto, dice, ma non ha detto che cosa dovrebbero sopportare e neppure ha detto: se facessero frutto, rimarranno come erano, ma, se facessero frutto, è stata sospesa la sentenza, perché si sottintenda: li trasferirai nella chiesa delle genti e li trapianterai in un’altra vigna. È venuto il Signore una terza volta e non ha trovato in essi frutto. Ha dato la prima volta la legge per mezzo di Mosè, la seconda ha parlato per mezzo dei profeti, la terza è disceso egli stesso. E dopo la passione, avendo dato una penitenza di quarantadue anni,79 poiché non hanno portato frutto, la quarta volta sono stati distrutti. Ciò, tuttavia, è lasciato alla nostra comprensione. Nella parabola, infatti, non è scritto che cosa abbia fatto dopo il padre di famiglia, ma soltanto che cosa l’agricoltore abbia domandato. Da questa [parabola] comprendiamo che coloro che abbiano fatto frutto da questo fico, sono stati trasferiti nel popolo delle genti, al quale è salito il profeta dicendo: riposerò nel giorno della tribolazione, per salire al popolo del mio soggiorno. Ma coloro che non hanno fatto frutti e sono rimasti nella loro ostinazione, sono stati distrutti. La stessa cosa vuol dire anche la voce di Giovanni nel vangelo: ecco la scure è stata posta alle radici degli alberi; ogni albero che non fa frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco (Matth. 3, 10; Ioh. 15, 6). Abbiamo parlato del fico, mostrando che esso è il popolo dei giudei; parliamo anche della vigna, poiché facilmente potrebbe comprendere colui che abbia letto Isaia: una vigna è stata fatta per il diletto in un corno, in un luogo fertile (Is. 5, 1), e poi: e ha aspettato che facesse frutto, invece ha prodotto spine e non giudizio, ma clamore (Is. 5, 2.4.7), e in Geremia: io ho piantato te come vigna fruttifera, tutta genuina; come mai ti sei mutata nell’amarezza di una vigna bastarda? (Ier. 2, 21). E più chiaramente nei salmi: una vigna dall’Egitto hai trapiantato, hai scacciato le genti e l’hai piantata (Ps. 79, 9). Questa è, dunque, la vigna a cui il padre di famiglia spesso aveva mandato i servi, per ricevere da essa il vino che rende lieto il cuore dell’uomo, poiché si è mutata in amarezza e da ultimo ha osato uccidere anche il

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figlio del padre di famiglia, non facendo uva, ma spine e non giudizio, ma clamore: crocifiggi, crocifiggilo (Ioh. 19, 6) e: non abbiamo re, se non Cesare (Ioh. 19, 15). Perciò l’ha devastata il cinghiale della foresta e una fiera solitaria l’ha divorata (Ps. 79, 14). Riconoscerà anche nell’olivo il popolo della sinagoga colui che abbia letto nell’apostolo che, rotti i rami dell’olivo e noi innestati dall’oleastro – per essere intesi come rami –, la moltitudine giudaica è stata abbattuta, nelle radici degli apostoli è stata conservata l’elezione, innestati nei quali noi rimarremo, se avremo fatto frutto e si dice di noi: i tuoi figli come olivi novelli intorno alla tua mensa (Ps. 127, 3). Molti ritengono che il fico e la vigna e l’olivo si riferiscano al mistero della Trinità, poiché il fico è inteso come lo Spirito santo a motivo della dolcezza dei frutti. La vigna è lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, che dice nel vangelo: io sono la vite (Ioh. 15, 1). L’olivo, invece, Dio Padre onnipotente, dal quale tutte le cose sono illuminate e dal quale è uscita la luce e al quale possiamo dire: o olivo, nella tua luce vedremo la luce (Ps. 35, 10), cioè nel Figlio vedremo lo Spirito santo. A questi alberi assai fruttiferi e a questa vigna molto feconda giungono alberi infruttuosi – nel libro dei Giudici – e chiedono che regnino su di loro. Ma giammai sopra gli alberi delle foreste, che sono destinati all’incendio, regnano l’olivo, il fico e la vigna, ma piuttosto li governa il rovo, pieno di spine e simile a un riccio, che abita in Babilonia e sempre si agita negli anfratti. Questo arboscello non solo ha spine, ma anche fuoco, danneggiando e bruciando qualsiasi cosa abbia toccato. Infine è uscito il fuoco e ha distrutto gli alberi delle foreste. Ma perché tu sappia che, secondo la precedente comprensione, in cui abbiamo inteso in riferimento alla sinagoga l’espressione: il fico non farà frutto e non ci saranno germogli nelle vigne, non di frutti si parla, ma di opere buone, nell’olivo chiaramente si svela l’enigma e si dice: mentirà il raccolto dell’olivo. I frutti, infatti, che dovevano portare si riconoscono nelle opere, ma mentirà l’opera dell’olivo, che dice una cosa e ne fa un’altra, poiché dicono a Mosè: tutto ciò che il Signore avrà detto, lo faremo (Ex. 24, 7), ma non vogliono credere in colui che da Mosè è stato annunciato. Anche i campi non faranno frutto. Considera che Gerusalemme, che un tempo era situata sui monti e i monti intorno ad essa (Ps. 124, 1) e le sue

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fondamenta nei monti santi (Ps. 86, 1), ora è chiamata umile e campestre, essa che non solo non nutre gli uomini, cioè gli animali razionali, ma neppure le pecore e i buoi, di cui anche Salomone parla nei Proverbi: prenditi cura di quelle regioni che sono nella campagna e taglia l’erba e raccogli il fieno, perché tu abbia pecore da mangiare (Prou. 27, 25-26). Anche i buoi non saranno nelle stalle, poiché dove le stalle sono piene, è chiara la forza del bue. Il bue è lavoratore, il bue del Signore che porta il giogo, il bue nel cui solco chi abbia seminato è beato. Tutte queste cose saranno tolte al popolo, perché ha agito iniquamente contro Dio, suo creatore. Se volessi intendere ciò in riferimento al giorno della tribolazione, al giorno del compimento, riferirai tutto a coloro che dicono di appartenere alla chiesa, ma non hanno le opere della giustizia. E il fico e la vigna e l’olivo, vale a dire il mistero della Trinità, non portano in essi il loro frutto, e non solo il grano e i cibi degli esseri razionali, ma neppure hanno nei loro campi il cibo delle pecore e dei giumenti e le loro stalle sono vuote e si trovano, anziché su alti monti, in luoghi pianeggianti e umili.80 Ma io gioirò nel Signore ed esulterò in Dio, Gesù mio. Dio, il Signore, è la mia fortezza e renderà i miei piedi come quelli dei cervi e sopra i miei luoghi elevati il vincitore mi condurrà mentre canto salmi. I Settanta: Ma io esulterò nel Signore, gioirò in Dio, mio salvatore. Il Signore Dio è la mia fortezza e porrà i miei piedi sulla sommità e su luoghi elevati mi collocherà, perché vinca nel suo canto. Non facendo frutto il fico e la vigna e l’olivo, secondo quanto abbiamo esposto, e non producendo cibo i campi dei giudei, strappati i greggi dagli ovili e l’armento dalle stalle, dopo che hanno udito dal Signore: sarà lasciata a voi la vostra casa deserta (Matth. 23, 38), condotto anche il popolo in prigionia e disperso in tutto il mondo, il profeta del popolo dei giudei, che significa ‘abbraccio’ – per il fatto che ha amato il Signore e ha aderito a lui e a lui si è unito –, a nome degli apostoli e del popolo credente in Cristo parla: ma io gioirò nel Signore ed esulterò in Dio, Gesù mio. Al posto del quale i Settanta hanno tradotto mio salvatore. Anche Gabriele lo interpreta allo stesso modo: e si chiamerà Gesù, egli, infatti, salverà il suo popolo (Matth. 1,  21). Dio, il Signore, è la mia fortezza, non

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avrò, infatti, altra virtù se non in Cristo e considererò tutta la giustizia della legge come spazzatura. E renderà i miei piedi come quelli dei cervi, perché calpesti l’aspide e il basilisco e come un bambino piccolo metta la mano nel buco e tiri fuori il serpente e giochi con la serpe: è simile, infatti, il mio diletto alla capra o al cerbiatto (Cant. 2, 9). E poiché egli è cervo, ha dato anche a me di essere cervo dalle sublimi corna, dall’unghia divisa, che rumino i cibi e che faccio fuggire i serpenti con il mio odore, di cui si dice anche nel salmo diciassettesimo: egli che ha reso i miei piedi come quelli di un cervo e mi porrà su luoghi elevati (Ps. 17, 34). E nel ventottesimo: la voce del Signore che rende perfetti i cervi (Ps. 28, 9). Porrà, dunque, i miei piedi tra gli altri suoi cervi e mi condurrà a luoghi celesti, perché fra gli angeli canti la gloria del Signore e sulla terra annunci la pace agli uomini di buona volontà. Canterò, poi, la sua vittoria e il trionfo e il trofeo della croce. Questo secondo il testo ebraico e una sola edizione, così da riferire tutto al tempo della caduta giudaica e della venuta del Signore. Se, invece, volessimo interpretare in relazione alla fine del mondo, così si dovrebbe esporre: come nell’esodo, quando è stato percosso l’Egitto e Dio ha distrutto le loro vigne e i loro fichi e ha ucciso i primogeniti degli uomini e dei giumenti con la grandine, e il bruco e la locusta hanno distrutto i frutti d’Egitto, il fico in Egitto non ha dato frutto, né c’erano germogli nelle loro vigne, mentiva – se in qualche luogo, tuttavia, poteva trovarsi in Egitto – l’opera dell’olivo e i loro campi non davano frutto e c’era scarsità, per il fatto che non avevano cibo i loro greggi e non c’erano buoi nelle stalle, ma il popolo di Israele esultava nel Signore e gioiva in Dio sua salvezza, così alla fine del mondo, quando, essendosi moltiplicata l’iniquità, si sarà raffreddata la carità e il fico non avrà dato frutto e le vigne non avranno avuto uva e avrà mentito l’opera dell’olivo e i campi non avranno germogliato cibo e il resto che segue, allora chiunque sarà stato trovato giusto e degno dell’elezione di Dio, parlerà esultando: ma io esulterò nel Signore, gioirò in Dio mio salvatore, il Signore Dio è la mia forza. E come posto da Dio sulla fine del mondo, perché dopo salga a luoghi più elevati e da Dio sia condotto alla cima, dirà: e porrà i miei piedi sulla sommità, su luoghi elevati mi collocherà, come quando dall’agōnothetēs [giudice di gara] Gesù,

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che per primo ha vinto nell’agone, sia stato dato il premio ai cantanti. Io vincerò nel suo carme e le mie mani suoneranno la cetra e il salterio e ogni genere di strumenti e scriverò un panegirico al vincitore. E io, che all’inizio ho detto: fino a quando, Signore, ti chiamerò a gran voce e non mi esaudirai? Griderò a te, soffrendo violenza, e non mi salverai? e ho intentato una causa sulla sua giustizia e sul suo giudizio, dopo loderò la sua equità e supererò gli altri cantori con il mio carme.81

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NOTE AL TESTO

1.

La ricerca del significato del nome si inserisce nel filone dell’esegesi allegorica – secondo la sensibilità di Origene e della tradizione alessandrina –, che scaturisce sovente, come in questo caso, dall’etimologia o paretimologia. Troviamo la medesima spiegazione del nome del profeta in Hier., Nom. Hebr. 52, 15-16 (De Abbacuc. Abbacuc amplexans); 56, 2 (Abbacuc amplexans eos siue suscipiens eos), mentre viene amplificata, con l’offerta di una visione sintetica del contenuto di Abacuc, nell’Epist. 53, 8: «Abacuc, lottatore forte e duro, sta al suo posto di guardia e ferma i suoi passi sulla fortificazione, per contemplare Cristo in croce e dire: Ha coperto i cieli la sua forza e delle sue lodi è piena la terra e il suo splendore sarà come la luce, le corna nelle sue mani, lì è stata nascosta la sua fortezza (Hab. 3, 3-4)». 2.

Girolamo, come tutta la tradizione ebraica, ritiene i dodici profeti minori un corpo unitario e così concepisce anche il suo commentario a essi come opera organica (cfr Staub, Methode, p. 1-2). Di contro sappiamo che egli redasse i suoi commenti separatamente e in momenti diversi della sua vita: questo si è ripercosso anche sulla tradizione manoscritta, che non è unitaria se non a partire dal X secolo, quando si è intenzionalmente proceduto a raggruppare questi commenti secondo l’ordine della Vulgata. Cfr Duval, ‘Introduction’, p. 122-124. 3.

Riguardo all’interpretazione assai complessa della prima parola del titolo del libro di Abacuc, cioè lēmma, sappiamo che nel contesto biblico non è chiaro il senso di questo termine (sia in

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Note al testo

ebraico che in greco), che viene sovente reso con ‘oracolo’. Appare evidente, da tutti gli esempi in cui lēmma si trova nel titolo, che ha sempre bisogno di essere specificato da termini o proposizioni, che qualifichino il contenuto del testo seguente come ‘visione’ o ‘parola’ ricevuta dal Signore (sono peraltro i termini con cui si aprono gli altri profeti minori). Occorre pertanto mettere lēmma in relazione con questi due termini, che esprimono l’idea che il profeta trasmette qualcosa, di visto o di udito, che è venuto a lui da parte del Signore. Effettivamente anche la traduzione di Girolamo (assumptio, in relazione a lambanō) suggerisce l’idea di qualcosa che viene preso, perché un altro lo concede (abbiamo ritenuto di rendere il termine con l’italiano ‘guadagno’, anche se questa parola attenua la dimensione di dono divino, che nel contesto e nel commento dei Padri greci il termine vuole suggerire). Per quanto riguarda la parola ebraica, invece, Girolamo riporta solamente il significato di massa, cioè peso (il verbo da cui deriva significa ‘sollevare, prendere, portare’): tuttavia massa, analogamente a lēmma in relazione a lambanō (è innegabile che i traduttori greci abbiano voluto fare un calco della relazione etimologica esistente fra massa e il verbo nasa (TM: maśśā’, nāśā’) con questa coppia di termini greci) deve essere inteso anche come ‘oracolo’, derivato da ‘levare (la voce), cioè pronunciare’. La scelta di traduzione da parte di Girolamo porta con sé anche l’esegesi di massa: la profezia di Abacuc, come quella di Naum, annuncia qualcosa di ‘grave’, cioè di nefasto. Anche la storia dell’esegesi torna su questo termine: Filone ritiene che massa e lēmma siano equivalenti (Mutat. 125126), mettendoli in relazione alla sfera semantica del ricevere; i Padri greci vedono sempre il legame con il verbo lambanō, che veicola l’idea della profezia come un ‘dono’ ricevuto da Dio (Basilio di Cesarea, Esichio di Gerusalemme, Pseudo-Basilio, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Cirro, Cirillo di Alessandria), come un qualcosa che si impossessa, a mo’ di estasi, dello stesso profeta. Didimo il Cieco, commentando l’analogo titolo del profeta Zaccaria (Zach. Com. 3,  201), cita questo parallelo di Abacuc e mette il termine lēmma in relazione con lambanō, affermando che i santi, quali servitori del Logos divino, prendono la sua parola quando egli la dà. Cfr Harl, Douze prophètes, p. 302-310.

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Note al testo

4.

Anche in altri testi Girolamo si oppone fermamente a Montano e alla sua concezione del profetismo (che egli conosce tramite Origene ed Eusebio di Cesarea: Evs., H.e. 5, 14-19; Hier., Vir. ill. 39). Contrariamente al suo avversario, egli afferma che il profeta conosce e comprende quanto Dio gli ispira e che il suo spirito non viene annullato, ma il Signore lo soccorre nel processo della profezia (Hier., In Eph. 3, 5). I termini di assumptio, pondus e onus non hanno in Girolamo il valore estatico attribuito da Montano alla profezia, bensì riguardano il racconto che il profeta fa della visione che Dio gli ha aperto: naturalmente egli, comprendendo quanto ha visto, capisce anche il senso di ciò che sta narrando (Hier., In Nah., Prol. l. 32-33; In Is. 1, 1, 1, l. 47-48). Senza nulla togliere al mistero, che sempre avvolge la realtà di Dio, Girolamo vuole concentrarsi sul tema antropologico della piena permanenza delle facoltà spirituali in colui che riceve una speciale rivelazione da parte di Dio.  Cfr  Schade, Inspirationslehre, p.  21-26; Margarino, ‘Nos coeptum’. 5.

Verosimilmente Girolamo ha presente la riflessione di Didimo il Cieco, il quale (Ps. 137, 3) ci offre un’analoga spiegazione dell’estasi: «Il termine estasi è omonimo, giacché indica molte cose, una delle quali è il delirio o la demenza: chi delira è fuori di sé. Il termine estasi indica anche lo stupore, poiché chi si meraviglia si dice che sia fuori di sé: Ho compreso le tue opere e sono uscito fuori di me (Hab. 3, 2), avendo visto la loro grandezza, l’arte con cui sono state fatte. E ci sono molti passi che mostrano che la meraviglia è indicata con il termine estasi. […] E ancora: l’estasi indica che uno è fuori dalla sua precedente situazione, come quando si dice: Io ho esclamato nella mia estasi: Ogni uomo è menzognero (Ps. 115, 2). Quando sono uscito fuori di me ed ero diventato un dio, non più un uomo, perché avevo albergato la parola di Dio che era giunta a me». Prinzivalli (Prinzivalli, ‘Commento’, p. 386 nota 1) dimostra che il termine estasi viene a rivestire un valore centrale nella teologia mistica a partire da Gregorio di Nissa: raccogliendo una lunga eredità che parte da Filone, egli offre tutta la gamma di significati di estasi, a partire da ‘demenza’ (si tratta di quello utilizzato qui da Girolamo), poi stupore, quindi il torpore

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Note al testo

del sonno (significato omesso da Didimo) e, infine, l’essere fuori di sé perché riempiti dello spirito di Dio, tipico della condizione profetica. 6.

Girolamo, dopo aver introdotto il tema della teodicea, ora si sofferma, dopo la breve digressione sulla natura della vera profezia, sull’occasione storica del libro profetico, cioè sul contesto concreto che sta alla base del grido di Abacuc verso Dio. Occorre pertanto precisarne le coordinate cronologiche. Gli Assiri invadono Aram, Israele e le città-stato fenicie tra la seconda metà dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C. Questo, come dice Girolamo, è stato il Sitz im Leben del libro del profeta Naum. La perdita definitiva della libertà del regno di Giuda – già prima vassallo dell’Assiria –, oggetto della riflessione del nostro profeta, avviene nel 587-586 a.C. (distruzione di Gerusalemme e del tempio) ad opera dei Babilonesi (Soggin, Storia, p. 291-379). Girolamo dà per scontato che il profeta Abacuc prenda spunto per il suo grido contro il cielo dalle vicende storiche riguardanti la conquista e la deportazione operate da Nabucodonosor. Ci sembra pertinente a questo proposito la nota della Bibbia di Gerusalemme ad Hab. 1, 2-4: «In nome del suo popolo, il profeta si lamenta con il Signore per le sventure pubbliche. Tale testo, affine ai lamenti del salterio e di Geremia, considerato da solo, potrebbe essere riferito ai disordini interni d’una società; ma nel contesto dei vv. 12-17, ha di mira senza alcun dubbio l’oppressione caldea».

7.

Il riferimento è a Dan. 14,  32-38 escluso dal canone ebraico rabbinico, che si limitava a ventidue libri e non comprendeva, a differenza dei Settanta, alcune parti del libro di Daniele, che, insieme a Ester, presentava effettivamente brani su cui pesava il sospetto di non canonicità (Dan. 3,  24-90; 13; 14). Girolamo affronterà in maniera diffusa il problema dell’ispirazione del libro di Daniele proprio nel prologo al suo commentario a questo profeta (In Dan., Prol.), dove fronteggerà l’accusa di Porfirio, il quale riteneva che il libro profetico offrisse un uaticinium post euentum e che, quindi, Daniele non potesse essere l’autore del testo. Anche un grosso problema filologico pesava sull’incriminata opera profetica: nel testo greco, usato dalla chiesa, si sarebbe dovuto porre

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Note al testo

un obelo in margine a grosse porzioni di testo, quali la novella di Susanna, l’inno dei tre giovani e il racconto di Bel e il drago, che mancavano nell’Urdaniel. Girolamo, pur rendendosi conto dei problemi, tradurrà ugualmente questi testi nella sua versione latina della Scrittura. Illustrando i motivi per cui si dovrebbero escludere dal canone, operando in maniera molto diplomatica data la delicatezza del tema, li espone non come una propria opinione, ma li mette in bocca a un giudeo. Notando, poi, anche gli aspetti ridicoli di questi testi, segno di una non appartenenza al testo sacro, fa rientrare fra di essi anche la vicenda di Abacuc, riferita nel libro di Daniele. Da qui il fare titubante riscontrabile in questo passaggio (cfr Schade, Inspirationslehre, p. 177-182). Cfr anche Dorival, ‘Problèmes’. 8.

Si può comprendere questo ragionamento di Girolamo se si ha presente l’ambientazione del libro di Daniele, che colloca le vicende narrate a Babilonia, dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, fra i deportati. In Dan. 14, 32-38 si narra come Abacuc sia stato inviato dal Signore a portare da mangiare a Daniele nella fossa dei leoni: se si accetta questo racconto, si deve ritenere che Abacuc abbia scritto dopo la deportazione (587-586 a.C.); se, invece, come fanno gli ebrei, non si accoglie questo testo, si deve pensare che, in quanto profeta, abbia avuto la possibilità di vedere in anticipo la distruzione del suo popolo.

9.

Vengono ripresi e fusi insieme i due aspetti, esposti nel prologo, che costituiscono il tema di Abacuc, cioè il lamento del profeta, a nome di tutta la nazione, di fronte alla terribile conquista babilonese, che diventa motivo per domandare conto a Dio dell’ingiustizia che spesso colpisce il giusto.

10. Girolamo sintetizza la risposta alla domanda del profeta, rispo-

sta che, subito di seguito, verrà ampliata e spiegata in tutte le sue implicazioni e con esempi assai espressivi. Il concetto che sta alla base di tutto questo argomentare poggia sulla convinzione (maturata con fatica, ad esempio, nell’itinerario di tutto il libro di Giobbe) che il Signore agisca in base a una sapienza superiore e inattingibile alla comprensione umana. Compito nell’uomo è fi-

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Note al testo

darsi e affidarsi a questo progetto, lasciarsi condurre e purificare da esso, anche quando non lo comprende, anche quando esso sembra insensato o ingiusto: occorre sottostare a una parziale ignoranza, sicuri di poter vedere alla fine la luce del compimento del piano sapiente e giusto di Dio. Già Origene vedeva in questo grido non esaudito di Abacuc una traccia del disegno sapiente di Dio, della superiore pedagogia divina, che con un progetto all’uomo immediatamente non accessibile fa compiere alla sua creatura mediante il dolore un cammino di perfezionamento e di crescita (Or., FrPs, in PG, 12, col. 1124). 11. Verosimilmente

Girolamo compendia qui la riflessione ampia e articolata di Didimo il Cieco (Didym., Zach. 2), che mette in luce come Dio rimproveri aspramente il giudice che tradisce il diritto e la giustizia per venire incontro ai propri interessi. Didimo riporta a sua volta il testo di Hab. 1, 3-4: anche in questo contesto è evidente che il verbo lambanein deve essere inteso in relazione ai regali, che corrompono l’obiettività di giudizio di colui che è chiamato a emettere sentenze fondate sul diritto e non sulla venalità e la compiacenza.

12. La risposta che Dio dà al profeta parte dalla vicenda storica di

Nabucodonosor: la sua potenza, infatti, non ha schiacciato e asservito solamente Giuda, ma anche altri popoli. Egli è stato nelle mani del Signore come uno strumento, ma la sua crudeltà non ha un raggio d’azione illimitato, perché Dio, facendolo cadere, mostrerà il suo limite e rivelerà il ruolo, subordinato al disegno della provvidenza, che aveva rivestito. Dio, dunque, vede nella caduta di Nabucodonosor la sorpresa che aprirà gli occhi di colui che lo accusa di ingiustizia.

13. È

comune nella riflessione dei Padri la considerazione negativa del lupo, che trae spunto dalla Scrittura: esso è immagine del diavolo, dell’eretico, del persecutore o semplicemente dell’uomo avido e prepotente. Particolarmente interessante in relazione all’esegesi di Girolamo dei lupi d’Arabia è la riflessione, che affonda le sue radici in Ippolito (il quale peraltro dice di rifarsi a un’esegesi già consolidata), sulla metamorfosi di questo animale, che da lupo

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Note al testo

può diventare agnello: esso è l’immagine di coloro che si sono convertiti a Cristo e da persecutori sono divenuti devoti cristiani, come ci ricorda lo stesso Girolamo nel seguito di questo passaggio esegetico. Come capostipite di costoro è generalmente indicato l’apostolo Paolo. Cfr Ciccarese, Animali, p. 83-97. 14. Potrebbe trattarsi di un’allusione al mito biblico della torre di

Babele, alla base del quale alcuni ritengono stia l’opera di Nabucodonosor quale costruttore di un imponente edificio. Il termine os significa, infatti, in questo contesto sicuramente ‘sfrontatezza’, ma anche favella, così da racchiudere in una sola parola l’intero significato del passo scritturistico, teso a mostrare come la superbia di una sola lingua, che vuole giungere fino al cielo, sia destinata all’ignominia. Girolamo potrebbe aver estrapolato questa informazione da una sua fonte a noi sconosciuta, perdendone il contesto originario e il riferimento a Babele. Flavio Giuseppe riferisce (Ioseph., AI 10, 11, 1), ad esempio, che il re di Babilonia Nabucodonosor costruì in quindici giorni un palazzo, notevole anzitutto per il giardino pensile, ma anche per la sua straordinaria altezza. Cfr Soden, ‘Etemenanki’, p. 256 nota 22.

15. Il

liber apocryphus cui Girolamo fa riferimento è molto verosimilmente il Pastore di Erma. Quest’opera, infatti, ci riferisce proprio di un angelo che sovrintende alle fiere: «Ecco perché il Signore ti ha mandato il suo angelo, che è incaricato delle bestie selvatiche. Il suo nome è Thegri» (Hermas, Mand. Sim.  Vis. 4, 2, 4). R. Joly, curatore del testo citato (p. 137 nota 3), dice che questo nome, deformato da molti manoscritti e da Girolamo, non si trova che qui. Se, però, seguiamo i codici del gruppo β, abbiamo una lezione vicina a quella greca del Pastore: la lezione tygri (come anche thygri), se si considera il fenomeno di iotacismo che interessa la prima vocale, corrisponde al greco Θεγρί (Courcelle, Lettres, p. 82 nota 4, riportando il nostro testo del commento ad Abacuc e mettendolo in relazione al Pastore, suggerisce di leggere il nome Tyri con Thegri, lezione da noi dimostrata attendibile). Fra l’altro la definizione di liber apocryphus, che nel cosiddetto prologus galeatus di Girolamo definisce diversi libri veterotestamentari (Sapienza, Siracide, Giuditta e Tobia), viene applicata

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Note al testo

anche a un testo detto Pastor: di questi libri si dice che non sono nel canone. Forse si tratta proprio del Pastore di Erma, che qui sarebbe definito da Girolamo, senza citarlo esplicitamente, liber apocryphus. L’ipotesi è avvalorata anche dalla notizia che Ireneo di Lione e Origene considerarono il Pastore ispirato e parte delle Scritture. Nel codice Sinaitico appare riunito agli scritti del Nuovo Testamento. Molto interessante al riguardo è la notazione del canone muratoriano (Das muratorische Fragment 8-11), in cui si afferma che il Pastore non deve essere inserito né fra i profeti né fra gli apostoli: questo giustificherebbe il fatto che Girolamo lo citi insieme a testi del Vecchio Testamento. La testimonianza del canone muratoriano serve comunque a giustificare il fatto che il Pastore venga inserito fra gli apocrifi del Vecchio Testamento. Anche Eusebio dà notizia del Pastore dicendo che da alcuni questo testo è rigettato ed escluso da quelli universalmente accettati come autentici, ma è altresì ritenuto da altri della massima utilità, soprattutto per coloro che abbisognano di una introduzione elementare. Rimane vero – continua Eusebio – che questo testo è letto nelle chiese ed è citato da autori molto antichi (Evs., H.e. 3, 3, 6). Ancora nel quarto secolo c’era bisogno di discutere sulla canonicità di questo scritto, tenuto in grande considerazione nella chiesa antica. Non sorprende allora che Girolamo ritorni in modo esplicito su questo testo in Vir. ill. 10: riprende in sostanza la notizia eusebiana, che afferma che l’autore del Pastore potrebbe essere quell’Erma che Paolo manda a salutare nella lettera ai Romani – questo costituisce di per sé un buon appoggio all’autorità ed, eventualmente, alla canonicità del testo –, che questo scritto è proclamato nelle chiese della Grecia e, infine, che nel mondo latino è pressoché ignorato. Cfr  Ayán Calvo, ‘Introducción’, p. 41-43; Mercati, Osservazioni, p. 75-76 note 4 e 1; Schade, Inspirationslehre, p. 158-163; Courcelle, Lettres, p. 82-83. Possiamo anche ipotizzare che questa citazione del Pastore venga a Girolamo direttamente dal perduto commento ad Abacuc di Origene, il quale cita sovente testi apocrifi e proprio nel commento alla lettera ai Romani (10, 2) ne riporta uno in cui si parla di una creatura celeste denominata angelo della grazia. Cfr Bardy, ‘Traditions’, p. 226-227.

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Note al testo

16. L’impegno

del re di Babilonia nei confronti di questa divinità, oltre alle numerose testimonianze scritturistiche (Is. 46, 1; Ier. 50, 2; Bar. 6, 40; Dan. 14, 2-3.5.8-9.11.13.17.21.27), ci è confermato anche da Flavio Giuseppe: «Egli poi decorò in modo magnifico il tempio di Bel e gli altri templi con bottini di guerra» (Ioseph., AI 10, 11, 1). 17. Questa

lettura trova un sicuro antecedente in Origene, che, commentando Ier. 51, 21-24 (28, 21-24 LXX), dice: «I cavalieri dei cavalli sono i demoni, che insidiano con i piaceri carnali. In precedenza, infatti, ha gettato in mare cavallo e cavaliere (Ex. 15, 1); ma costoro preparano dei carri a cui sono aggiogate, contro di noi, diverse passioni, contrapposte alle quattro virtù: l’uomo rappresenta colui che è violento e inclinato al male; la donna rappresenta colui che è dedito ai piaceri; il vecchio rappresenta colui che è invecchiato nel male; i giovani infine rappresentano colui di cui Isaia dice: i giovani si affaticano e i ragazzi si stancano, gli eletti saranno senza forze (Is. 40, 30). E al contrario: quelli che sperano nel Signore rinnovano la loro forza, mettono ali come aquile, corrono senza affaticarsi (Is. 40, 31). Ora dice ‘gli eletti’ in senso negativo, come in quel passo: i suoi cibi sono eletti (Hab. 1, 16). Ma pur essendo eletti per virtù, sono divorati da Nabuconosor» (Or., HIer 40, l. 20-28.1-4). 18. Questa

lettura, insieme all’esegesi precedente in cui si faceva riferimento alla pesca e alla rete del maligno, ha un antecedente in Didimo. Anch’egli, commentando un altro passo della Scrittura, afferma che il v. 14 si riferisce al diavolo e alla sua opera, mettendo in luce che la sua pesca è contrapposta a quella del Signore e, di conseguenza, a quella dell’apostolo Pietro (Didym., Eccle. 228, 1-26). Così pure nell’interpretazione del salmo 140, 10 (Didym., Ps. 1233). 19. Dopo

aver ampiamente interpretato la pesca come opera di Nabucodonosor che distrugge i regni sottomettendoli al suo dominio e come opera del diavolo, che cerca di trarre a sé tutti gli uomini, come ha fatto con Adamo, per strapparli dalla mano del Signore, Girolamo ora offre una spiegazione strettamente ­correlata

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Note al testo

a quest’ultima lettura di carattere allegorico. Una delle opere a s­ ervizio della ‘pesca del demonio’ è quella degli eretici, che con la loro dottrina ingannano molte persone, conducendole nelle grinfie del nemico dell’uomo. 20. Origene (CIo 20, 18, 240) afferma che la pietra sulla quale Dio

comanda a Mosè di stare (Ex. 33, 21) è Cristo.

21. Si

tratta naturalmente del diavolo, secondo l’esegesi allegorica già consolidata all’interno di questo commentario (cfr supra).

22. Girolamo

ritiene che l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani (1, 17) si sia servito del testo dei Settanta a motivo del destinatario, cioè le comunità di Roma, costituite da giudei della diaspora e da pagani, che non conoscevano le sacre Scritture in lingua ebraica. Altra motivazione addotta da Girolamo è la non rilevanza della discussione sulle differenze fra testo ebraico e versione greca per quanto riguarda l’argomentazione paolina sulla giustificazione.

23. Coerentemente con tutto il commento precedente, il testo vie-

ne applicato alla vicenda storica di Nabucodonosor e del suo popolo: di fronte al suo superbo imperversare su tutti i popoli, Dio offre una visione anticipata del suo destino, per far cogliere come la giustizia divina non solo si serva degli empi e degli ingiusti per portare a ravvedimento il popolo eletto, ma che alla fine la somma e perfetta equità di Dio schiaccerà anche la superbia di quello che era stato suo strumento e lo darà in pasto ad altri popoli, perché la sua arroganza sia annientata. Viene posto un altro tassello alla teodicea, tema portante del libro del profeta Abacuc: alla fine la vendetta, intesa come giusta punizione, si compirà, come attesta la visione che per bocca del profeta viene anticipata al popolo, perché non dubiti del giusto giudizio e del retto agire del suo Dio. Per comprendere, dunque, la giustizia di Dio non occorre solamente un’intelligenza superiore, ma una più grande pazienza, che sappia attendere il compimento della vendetta divina, cioè il giudizio che solo alla fine mostra i suoi effetti. 24. I

profeti annunciano attraverso il genere letterario della parabola, che per mettere in luce una realtà la copre e la riveste con i

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Note al testo

paludamenti di un’altra, cioè vi allude attraverso il velo degli enigmi. Questa nota è importante in relazione al lessico esegetico e alla teologia della sacra Scrittura: il Vecchio Testamento, infatti, profetizza il compimento di Cristo attraverso allusioni e un linguaggio oscuro, che verrà in piena luce con la chiarezza del Nuovo Testamento. Compito dell’esegeta è cogliere il nesso fra enigmi veterotestamentari e soluzioni neotestamentarie, fra le oscure profezie e la chiara luce del vangelo. 25. Girolamo

raccoglie tutto quanto è venuto finora dicendo nell’immagine della pernice, topos letterario che attraversa l’intero periodo patristico. L’avventura simbolica della pernice ha origine dalla Scrittura, in particolare da Ier. 17, 11. La colpa di questo uccello è di essere ladro di uova altrui: riferendoci al testo ebraico cogliamo l’esplicito rimando al ricco, che ha accumulato ingiustamente beni non suoi e che a metà della sua vita dovrà abbandonarli, come il ricco della parabola di Luc. 12,  20. Il testo greco, invece, da cui derivavano anche le antiche versioni latine, perde il riferimento metaforico e si concentra sull’uccello, che diventa l’unico colpevole del furto della ricchezza altrui. La pernice grida per chiamare a sé figli non suoi, imitando la voce del loro legittimo genitore. Quando quest’ultimo, però, ritornerà, i suoi piccoli non esiteranno a riconoscerne l’inconfondibile voce e lasceranno sola colei che con l’inganno voleva appropriarsi di figli non suoi. A questo significato base si aggiungono quelli derivati dalla zoologia tradizionale, che vedono nella pernice un animale superbo e lussurioso. Da qui gli esegeti, a partire da Origene, non hanno esitato a raccogliere tutti questi riferimenti negativi addossandoli al diavolo (e a coloro che a lui sono affini, quali l’Anticristo e gli eretici), superbo, lascivo, che inganna i figli non suoi e che sarà ingannato e lasciato solo quando ritornerà il Signore e reclamerà le sue creature come padre legittimo. Girolamo ha chiaramente buon gioco nell’utilizzare tutte queste valenze in questo passaggio esegetico: Nabucodonosor e il diavolo, in lui simboleggiato, sono campioni di superbia, di insaziabile avidità dei beni e della vita altrui e, infine, ingannatori, che, però, si ritroveranno alla fine a loro volta fatti oggetto di inganno. Girolamo è a tal punto convinto di

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Note al testo

questa identificazione, da considerare ‘pernice’ uno dei nomi più famosi attribuiti dalla Scrittura al demonio (Hier., Epist. 21, 11). Cfr Ciccarese, ‘Perdix diabolus’ e Animali, p. 185-202. Occorre rilevare, infine, che Girolamo attinge la similitudine della pernice non da Aristotele, Teofrasto o Plinio – come egli stesso millanta nel suo commento al profeta Geremia –, bensì da Ambrogio. Cfr Courcelle, Lettres, p. 76-77. 26. Il

rovescio del diavolo coinvolgerà tutti quanti i suoi servitori, in primis l’Anticristo e, quindi, tutti gli empi. La figura dell’Anticristo, già presente nell’apocalittica giudaica come l’avversario che si innalzerà contro Dio alla fine della storia, è l’incarnazione storica di satana nei panni di un tiranno o di un falso profeta. Nella letteratura neotestamentaria e patristica indica genericamente un’emanazione di satana, che si incarna in figure politiche o ereticali. Cfr Badilita, Antichrist. Il termine ‘anticristo’ si sviluppa, però, non semplicemente in continuità con figure antimessianiche generiche presenti nella letteratura ebraica e cristiana, ma con una specifica caratterizzazione a partire dalle lettere di Giovanni come colui che si oppone a Gesù Cristo. Tale peculiarità si evince dalla creazione del termine ‘anticristo’, che appare successivamente nella lettera di Policarpo di Smirne ai Filippesi e in Ireneo di Lione. All’inizio non si presenta come il generico ‘nemico escatologico’ di cui abbiamo parlato sopra in riferimento alla letteratura mediorientale e giudaica, ma con un valore strettamente eresiologico. Solo successivamente, a partire dalla fine del II e gli inizi del III secolo, la lettura escatologica sostituirà quella eresiologica. Cfr Potestà – Rizzi, Anticristo.

27. Dölger (‘Christus’, p. 230-231) ricostruisce in modo molto ap-

profondito l’immagine antica dello scarabeo, che Girolamo lega allo sterco. Partendo dal riferimento più evidente, costituito dalla favola di Esopo, L’aquila e lo scarabeo (Aesop., Fab. 4), egli ripercorre in modo puntuale la conoscenza naturalistica che gli antichi avevano dello scarabeo, sottolineando che la testimonianza di Plinio, il quale raccoglie la conoscenza naturalistica dell’Occidente, è la fonte di Girolamo, riguardo alla riproduzione degli scarafaggi fra gli escrementi (Plin., Nat. 11, 34 § 98). Per l’interpretazione

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Note al testo

cristologica del passo cfr Mantelli, ‘Introduzione’, p. XL-XLI e per la complessa tradizione testuale cfr Mantelli, ‘Scarabaeus’. 28. Duval (‘Sens des prophètes’, p. 422) traduce al singolare quidam

e lo ritiene un riferimento a Origene, che, come abbiamo cercato di argomentare sopra, dovrebbe essere pure la fonte di Ambrogio – sebbene si tratti di un’interpretazione piuttosto comune –, il quale interpreta esattamente nel modo riferito da Girolamo. Ambrogio (Epist. 39, [Maur. 46], 5) dice, infatti, di Cristo crocifisso che era come un verme, con chiaro riferimento a Ps. 21, 7. La menzione di quest’ultima esegesi, legata alle due versioni citate sopra (verosimilmente le cosiddette ‘sesta’ e ‘settima’) che traducono con ‘verme’ anziché con ‘scarabeo’, apre un interrogativo. Poche righe prima Girolamo ha tacciato di empietà l’interpretazione che identifica lo scarabeo con il Salvatore crocifisso, ritenendo che nel contesto l’animale abbia un significato negativo. Ora invece, riportando in modo laconico e veloce l’interpretazione legata al verme, fa intendere che si tratti di una lettura perlomeno accettabile e, sicuramente, non ascrivibile all’empietà. Sappiamo bene, infatti, che l’esegesi cristologica di questo versetto del salmo ha un’importante e antichissima tradizione patristica (cfr Bertrand, ‘Christ’). Girolamo non identifica esplicitamente Cristo con il verme, ma dice semplicemente che il verme che parla nel legno è il medesimo che nel salmo ventuno dice di essere verme e non uomo. Potremmo liquidare la questione rifacendoci alle interpretazioni non cristologiche del salmo, risalenti per lo più alla scuola antiochena (ibidem, p. 232234) e che propongono altre identificazioni, prima fra tutte quella totalmente legata alla lettera che, seguendo il titolo del salmo, attribuisce a Davide questa espressione. La laconicità sbrigativa di Girolamo ci suggerisce anche un’ipotesi maliziosa, che vede in questo imbarazzo l’incapacità di liquidare un’esegesi tanto autorevolmente attestata e talvolta anche da lui stesso assunta come quella cristologica del salmo 21 e, contemporaneamente, la volontà ferma di respingere l’esegesi di Ambrogio che identifica il Cristo con lo scarabeo. 29. Didimo

il Cieco (Didym., Ps. 54a) nel commentare il salmo 9, 7a fa riferimento ad Hab. 2, 12 e dà una lettura molto vicina

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Note al testo

a quella geronimiana: sia perché identifica la città fondata nel sangue con l’eresia, l’immoralità e l’ingiustizia, sia perché vede nella città, che viene distrutta, Gerusalemme che ha ucciso il suo Dio. Quest’ultimo riferimento alla città in cui Cristo fu crocifisso ci rimanda all’ultima interpretazione del passo in questione, proposto da Girolamo con poca convinzione (cfr infra). 30. La prima interpretazione allegorica riferita, che è sempre quella

che meglio si adatta alla costruzione e alla logica dell’intero testo profetico (consequentia), vede illustrato con stretta concatenazione di fatti l’epilogo del vero Nabucodonosor. Il diavolo, l’Anticristo e gli eretici costituiscono una chiesa malvagia (v. 12a), ma essa non viene da Dio (v. 13a: si smentisce con forza che il male e l’ingiustizia siano voluti da Dio, sebbene egli se ne serva). Molti popoli verranno meno, cioè cadranno, perché sedotti dal diavolo: ciò nonostante, questo traviamento non permetterà loro di avere una forza tale da incidere sull’esito della storia umana e nemmeno numericamente saranno paragonabili alla moltitudine immensa dei fedeli della vera chiesa. E verranno meno nel fuoco, che rappresenta sia l’opera del diavolo che porta alla distruzione definitiva dei suoi adepti sia l’opera del Salvatore che chiamerà a conversione e purificherà coloro che erano stati preda del maligno. La predicazione apostolica, quindi, riempirà la terra della gloria del Signore (v. 14), sostituendosi alla mortale presenza del diavolo.

31. Anche la seconda interpretazione presenta un’allegorizzazione

del testo versetto per versetto, questa volta in chiave storiografica. La città costruita nel sangue è la Gerusalemme che uccide i profeti, che mette a morte Cristo Signore e che, in generale, vive nell’ingiustizia e nell’iniquità (v. 12). Essa non è stata edificata da Dio (v. 13a) e di conseguenza è venuta la sua distruzione ad opera dei Romani (v. 13b): l’esito provvidenziale della sua rovina è consistito nel riversarsi della parola e della dottrina di Cristo nel mondo intero.

32. Gli

ultimi vent’anni del regno di Giuda vedono due re e un reggente, Sedecia (597-587/6), tutti di calibro piuttosto mediocre. Il re Ioiakìm muore durante l’assedio di Nabucodonosor del

153

Note al testo

598 e il figlio che gli succede, Ioiachìn, si arrende immediatamente ai Babilonesi (15-16 marzo 597). Il re viene deposto e deportato: al suo posto è nominato da Nabucodonosor un reggente, Sedecia appunto. Nel 595-594 quest’ultimo tenta inutilmente di formare una coalizione antibabilonese, spalleggiata forse dall’Egitto, e riprovando l’esperimento nel 589-588, sempre con lo stesso risultato. Nel 586 Gerusalemme, dopo alcuni mesi di assedio, viene espugnata: Sedecia, dopo aver tentato la fuga, viene catturato, accecato e condotto a Babilonia: da qui ne perdiamo le tracce a livello di fonti storiche. Cfr Soggin, Storia, p. 375-379. 33. Proprio

nell’intento di dar ragione delle vicende storiche nel modo più dettagliato e corrispondente al testo profetico, Girolamo si incammina in una digressione e introduce un’interpretazione che ha ascoltato da un ebreo di Lidda. Egli rifiuta l’aspetto ridicolo insito in questo racconto e, tuttavia, non omette di narrarlo per concentrare l’attenzione sul fatto che colui che ha causato ad altri molti mali, cioè il re di Babilonia, mali più grandi dovrà subire ad opera di Dio, che ristabilirà così la giustizia. La verità storica del commento rabbinico è scartata da Girolamo, ma la focalizzazione sul bilanciamento da parte della giustizia divina fra mali commessi e mali subiti è accolta e sottolineata a sostegno della tesi fondamentale, che il profeta vuole dimostrare con coerenza (consequentia), cioè l’esistenza della somma giustizia divina.

34. Anche

Epifanio di Salamina cita il passo in questione (Hab. 2,  15) dandone una interpretazione eresiologica (Epiph., Haer. 77, 3, 5 [3, 418, 14-19]): «Ma se tra coloro che sembrano dotati di una fede sana e sincera e che sembrano obbedire a quanto è stato stabilito dai padri [a Nicea], ciò nonostante ci sono alcuni che cercano di sovvertire tutto con le loro argomentazioni, nient’altro fanno, se non ciò che è scritto: danno da bere al prossimo una violenta distruzione e muovono oziose controversie verbali, che non mirano ad altro che al danno e alla rovina dei più inesperti». 35. I riferimenti biblici a Siloe (II Esdr. 3, 15; Is. 8, 6; Ioh. 9, 7.11;

Girolamo in Nom. Hebr. 50, 25 e 66, 22 dà di Siloe la spiegazione missus, tratta da Ioh. 9, 7) sono sempre positivi, come pure quelli

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Note al testo

numerosissimi al Giordano. Le acque dell’Egitto e di Geon (Gen. 2, 13: il Geon o Ghicon è il fiume che va a lambire l’Etiopia, spesso interpretata allegoricamente in senso negativo. Hier., Nom. Hebr. 6, 23: «Geon, petto o cima»: questa interpretazione non sembra dire nulla che riguardi il nostro passaggio esegetico) sono al contrario, nella storia biblica, riferimenti negativi. 36. Commentando

Hab. 2, 15 Gregorio di Nazianzo (Or. 2, 60) dice qualcosa di analogo: «Ma poco innanzi (infatti mi sembra che sia meglio aggiungere anche questo a quanto si è detto) avendo citato in giudizio e compianto molti di coloro che sono ingiusti e sciagurati per qualche motivo, alla fine ugualmente cita i capi e i maestri di malvagità, dando alle loro cattiverie il nome di ‘torbido rivolgimento’ e ‘ubriachezza della mente’ e ‘smarrimento’. Il profeta infatti afferma con queste parole che costoro fanno bere i loro vicini affinché essi guardino nell’oscurità della loro anima e nelle spelonche di serpenti (Hab. 2, 15) e di bestie feroci (Hab. 1, 14), che sono la dimora dei cattivi pensieri. Ecco chi sono costoro e con quali insegnamenti ci parlano».

37. Ritroviamo

lo stesso ragionamento in Didimo il Cieco a proposito del seme, che può essere quello della pianta e quello dell’uomo (Didym., Ps. 20, 11ab), o in riferimento al termine ‘estasi’ che presenta un’ampia gamma di significati (ibidem, 30, 1). Alla base sta la definizione aristotelica del termine ‘omonimo’ posta all’inizio delle Categorie (Arist., Cat. 1, 1a.). Cfr Prinzivalli, ‘Commento’, p. 143 nota 116. 38. Cfr supra. 39. L’interpretazione

allegorica si fissa su di un particolare del testo biblico, che distingue fra idoli scolpiti e idoli fusi. Quella che a livello letterale sembra una semplice endiadi, atta a enfatizzare l’attenzione sull’idolo come opera dell’uomo, nel commento allegorico diventa occasione di approfondimento. Questo procedimento diairetico è una tecnica esegetica già conosciuta dai grammatici alessandrini e che Filone applica alla Scrittura. Girolamo, dunque, coerentemente con quanto detto nei lemmi precedenti, dice che gli idoli sono le dottrine eretiche, che si distinguono rispettivamente

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Note al testo

in sculture, vale a dire errori grossolani circa la verità della fede, e in fusioni, cioè travisamenti dottrinali rivestiti di una patina di conoscenze scientifiche, filosofiche e abbellimenti retorici. 40. Tale opinione, con la medesima esemplificazione tratta da Gal.

5, 22, si ritrova in Origene: «Qualcuno dei nostri predecessori ha notato nel Nuovo Testamento che, quando lo spirito è nominato senza un attributo che indichi qual è questo spirito, bisogna intendere lo Spirito santo» (Or., Prin. 1, 3, 4). Tale considerazione è riferita da Girolamo anche in In Mich. 2, 11.

41. Graves

(Jerome, p.  54) vede in questo passo la testimonianza dell’opera filologica di Girolamo, che fra le altre operazioni del valente critico ritiene la ricerca di buoni manoscritti una delle attività principali atte a ritrovare la correttezza del testo, che sovente è stato corrotto nel passaggio alle versioni greche e latine.

42. Il

testo, strettamente legato a quanto precede, continua la polemica contro Nabucodonosor e tutti gli adoratori di idoli: essi infatti, stolidamente, si lasciano ingannare dalla bellezza materiale dei simulacri e si abbandonano ad adorare la materia inerte lavorata dagli uomini. Il vero Dio, invece (Hab. 2, 20), non abita in un tempio manufatto, ma nei cieli, negli uomini santi e, soprattutto, nel suo Figlio. Stabilito il quadro generale, lo Stridonense si addentra nell’esegesi sciogliendo un punto controverso. Di quale ‘spirito’ si parla nel testo? Sicuramente dello Spirito di Dio, che non è nei simulacri: lo Spirito santo, infatti, si trova menzionato sia da solo sia accompagnato da un attributo, mentre lo spirito maligno ha sempre un attributo che lo qualifichi. L’analisi si complica quando Girolamo discute del fatto che negli idoli non vi è alcuno spirito, perché materia inerte, e tuttavia possono aggirarsi attorno ai simulacri spiriti malvagi: nella polemica contro il politeismo e l’idolatria, infatti, è ormai assodato ritenere che dietro a questa religiosità si celino il demonio e i suoi servitori (cfr  Peretto, ‘Idolatria’). Attraverso questa discussione Girolamo arriva a dimostrare che nel testo si parla dello Spirito di Dio e delle sue grazie. 43. Con

naturalezza, brevità e omogeneità rispetto a tutto lo sviluppo del commentario, Girolamo trasferisce nell’interpretazione

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Note al testo

allegorica le considerazioni riguardanti la lettera del testo al tema dell’eresia: la falsa dottrina è come un idolo senza vita, ha l’apparenza della bellezza e della verità, ma è inganno, perché non viene da Dio. 44. La divisione in due libri segue la logica del testo profetico, che

nel capitolo terzo cambia genere letterario, in cui il profeta canta, in un salmo, il trionfo finale di Dio. Ci sono elementi che caratterizzano questo testo e lo distinguono dal resto, senza per questo renderlo totalmente avulso: il titolo, la presenza di ‘pause’ e la rubrica del v. 19d (che manca nel testo tradotto da Girolamo) fanno di questo passo un testo di natura squisitamente liturgica, assimilabile a un salmo.

45. Excetra, cioè vipera, è appellativo ingiurioso usato anche altro-

ve da Girolamo, per indicare una persona, difficilmente identificabile, che lacerava la sua fama (Hier., Epist. 6, 2). Penna (Gerolamo, p. 174, 283) ritiene arbitrario identificare con l’amico Rufino il personaggio apostrofato con questo epiteto e con il seguente. Non ci è dato sapere se a quest’epoca i due vivessero già momenti di tensione: il fatto che in seguito questi epiteti vengano rivolti all’ex-amico non giustifica di vederlo celato dietro questa categoria di detrattori dell’opera geronimiana. 46. Il

numero otto, che evoca immediatamente l’ottavo giorno, quello cioè della risurrezione del Signore, apre a una possibilità interpretativa, in senso allegorico, che verrà sfruttata nel corso del commento al capitolo terzo. Riguardo, poi, al problema dell’ordine dei profeti minori dobbiamo rammentare che la Bibbia ebraica colloca effettivamente il nostro testo all’ottavo posto: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia. I Settanta, invece, presentano un altro ordine, che però non incide sulla collocazione del nostro: Osea, Amos, Michea, Gioele, Abdia, Giona, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia. Ci sono però testimonianze di un’altra successione: Osea, Abdia, Amos, Gioele, Giona, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Michea e Malachia. Cfr Cassiod., Inst. 1, 3, 5.

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Note al testo

47. Il

termine ebraico del TM (`al šigyönôt) dà una notazione sul tipo di carme (per esempio sul tono delle Lamentazioni o su ‘Scighionoth’): il Thesaurus linguae Latinae, 7, 1, p. 307-310, mostra con chiarezza che la traduzione di Girolamo deriva dalla confusione del suddetto termine ebraico con uno molto simile, che significa appunto ‘errore di ignoranza’. Sappiamo che questi travisamenti non derivano certo a Girolamo da una scarsa conoscenza della lingua ebraica, ma dal fatto che il testo non vocalizzato era di per se stesso ambiguo (cfr Sutcliffe, ‘Hebrew’).

48. Riprende

il lemma secondo la versione dei Settanta, notando che essi soli hanno parlato di preghiera ‘con un cantico’. Girolamo sembra dire che l’interpretazione di costoro, essendo minoritaria, è da scartare sul piano filologico, ma può accordarsi in senso allegorico con quanto già detto, cioè con la profezia della venuta del Signore Gesù contenuta nella preghiera. A parte il fatto che i Settanta in questo caso si sono avvicinati più di tutti al senso autentico del passo (come abbiamo già notato, infatti, si tratta di un riferimento al tono del carme), non ci sembra che il testo offra a Girolamo un appiglio per legittimare l’interpretazione cristologica del titolo iuxta Septuaginta. Questo passaggio, dunque, ci appare sbrigativamente concordistico e, tuttavia, di rinforzo a quanto abbiamo rilevato a proposito della ricerca della consequentia in tutta l’opera.

49. Si riferisce al commento letterale degli ebrei (la fonte ci è igno-

ta), che vede in questo passo l’allusione ai castighi preparati dal Signore sia a Nabucodonosor che al diavolo. Vengono riunite insieme a questo punto le due costanti interpretazioni del libro primo. Viene fatta di seguito un’altra sintesi del percorso testuale precedente in relazione alle minacce (‘guai’) che nei capitoli 1 e 2 sono stati rivolti da Dio al gran re e a satana e che ora arrivano a compiersi sotto lo sguardo attonito del veggente. Questa lettura del versetto 2a offre il destro per un’interpretazione cristologica della seconda parte: dopo lo sbigottimento di fronte alla punizione del malvagio, il profeta chiede a Dio di rendere viva la sua opera: Girolamo, conformemente a quanto promesso nel prologo al libro secondo, ricava da queste parole un riferimento alla ­risurrezione di

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Note al testo

Cristo, promessa di cui il profeta – forte dell’impegno manifestato da Dio in 2, 3 – invoca la realizzazione. Di sicuro interesse è il fatto che questa lettura non è collocata dove di consueto Girolamo, commentando il testo dei Settanta, si immerge nell’allegoria, ma nella parte riservata al commento letterale: è la scuola antiochena a ritenere che le profezie di Cristo nell’Antico Testamento (naturalmente non così numerose come per gli alessandrini) facciano parte della lettera del testo. 50. Tralasciando

la versione greca, già anticipata nel commento al v. 2b, Girolamo passa al testo ebraico approfondendo il tema dell’ira di Dio, che non è cieco impeto vendicativo, ma paterno rimprovero in vista della conversione dell’uomo e del perdono da parte di Dio. Clemente Alessandrino (Clem., Paed. 1, 68, 1-3) articola con chiarezza il concetto del valore pedagogico della minaccia del castigo divino come deterrente contro il peccato e invito pressante alla conversione. Anche Origene considera la punizione che Dio minaccia o commina un gesto sempre medicinale, in vista della purificazione e della conversione di colui che ne è oggetto (Or., Prin. 2, 5, 1). Anche il giudizio di Dio è annunciato nella chiesa per spingere l’uomo, che sempre rimane libero, a volgersi a Dio (ibidem, 3, 1, 1). Cfr Cocchini, ‘Giustizia’, p. 193.

51. Questa versione è attestata anche da Didimo il Cieco (Didym.,

Zach. 5, 371, 998, 26 ss.), come pure da Eusebio di Cesarea (Evs., D.e. 6, 15, 8). 52. Girolamo

completa un’articolata interpretazione del testo: anzitutto il mezzogiorno rappresenta il luogo della provenienza di Dio, cioè la piena luce in cui è possibile conoscerlo, dove coloro che sono figli della luce possono incontrarlo; poi il ‘monte ombroso e boscoso’, di cui parlano i Settanta, viene inteso come il contesto in cui avviene il riconoscimento del Figlio, in riferimento allo stesso Padre o al paradiso; alla fine Girolamo dice che il riconoscimento di Dio avviene mediante la parola sapiente di chi partecipa della medesima luce di Dio e attraverso questo annuncio fa ritrovare all’uomo la familiare dimora con Dio. Sicuramente questa esegesi mostra delle analogie con un testo di Didimo il

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Note al testo

Cieco (Didym., Zach. 5, 51-54, p. 996-999): questi, appoggiandosi sul medesimo passo di Cant. 4, 16, interpreta il nord come satana e la potenza del male, mentre il sud è identificato con il Salvatore: questa lettura è ripresa quasi a modo di traduzione nel commento di Girolamo a Zaccaria, di cui sappiamo che Didimo è la fonte precipua (Hier., In Zac. 3, 14, 5). Coloro che abbandonano il male, scacciano il vento del nord e lasciano spirare in se stessi la brezza del mezzogiorno, cioè la virtù dello Sposo. Il vento di mezzogiorno è, dunque, il Verbo di Dio e il Padre viene da mezzogiorno: essi sono, secondo Matth. 10, 40, correlati, perché chi accoglie colui che è mandato, cioè il Figlio, accoglie anche chi lo ha mandato, cioè il Padre. La dinamica che unisce il Padre e il Figlio si estende a colui che conosce il Figlio, in modo tale che la sua anima diventi dimora di entrambi. Questa dinamica evocata da Didimo è la medesima che viene illustrata qui da Girolamo e che costituisce un abbozzo della dottrina dell’inabitazione trinitaria. 53. Anche Ireneo identifica la località menzionata dal profeta con

Betlemme, luogo della nascita del Signore, situata a mezzogiorno (Iren., Haer. 3, 20, 4; 4, 33, 11). Cirillo di Gerusalemme, poi (Cyr. H., Catech. 1-18, 12, 20), utilizza la testimonianza di Hab. 3, 2-3, assieme a quella di altri testi profetici, per identificare il luogo dell’incarnazione del Verbo.

54. Riprende

il testo ebraico per commentare parola per parola il secondo stico del versetto. Dà di Faran un’esegesi etimologica, mettendolo in relazione alla chiarezza e alla sapienza del ragionamento umano che veicola la conoscenza del Figlio di Dio; conferma tale lettura attraverso l’allegorizzazione del monte, che per la sua altezza richiama la sublimità del discorso menzionato prima; quindi trova conferma della sua esegesi cristologica proprio nell’interpretazione di un giudeo. Quest’ultimo punto appare particolarmente probante e significativo nell’ottica geronimiana: scrutando l’Hebraica ueritas, cioè quel patrimonio elargito da Dio al popolo eletto, si può ritrovare il fondamento più solido e la chiave più esatta per comprendere la nuova economia inaugurata da Gesù Cristo.

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Note al testo

55. Nei

Commentarioli in Psalmos, traducendo quasi letteralmente un frammento origeniano, Girolamo afferma: «Perché amate la vanità e cercate la menzogna? Diapsalma. I Settanta, Simmaco e Teodozione hanno tradotto la parola sela con diapsalma, Aquila, invece, con sempre; e ritengo che si tratti o del segno di un qualche suono musicale o che certamente indichi l’eternità di quelle cose che sono state profetizzate, cosicché dovunque venga scritto sela, cioè diapsalma o sempre, lì sappiamo che quanto segue o precede non si riferisce tanto al tempo presente quanto all’eternità» (Hier., In Psalm. 4,  11-18. Cfr  Or., FrPs, in PG, 12, col.  1057D-1059A-C; Nautin, Origène, p.  284). Un interessante contributo per quanto concerne l’identificazione di questo rimando geronimiano proviene dallo studio di Mercati sulla praefatio di Girolamo al libro dei salmi (PL, 26, col. 1377-1382). Dopo averne studiato la complessa tradizione testuale e le fonti (si tratta in pratica di una traduzione di testi di Origene ed Eusebio di Cesarea: vedi supra; cfr Heine, ‘Introduction’, p. 23 nota 47) a cui lo Stridonense ha attinto per redigerla, egli giunge a concludere: «La Praefatio però, oltre che guasta, deve essere incompleta e non poco, se il presupposto proemio greco fu tradotto per intero; perché, mentre è assai larga ad esporre la composizione e le divisioni del libro, non ha una parola su tante sue particolarità oscure di solito spiegate in quei proemi, ad esempio sulle iscrizioni enigmatiche ‘pro torcularibus’, ‘de octava’ etc. e sul diapsalma, e sulle versioni, che pure sono accennate nel tratto origeniano circa i segni (‘apud ceteros interpretes’)»: Mercati, Osservazioni, p. 87. Questa constatazione, oltre a farci credere che la discussione sul diapsalma fosse effettivamente contenuta in una versione integra della prefazione al salterio, ci offre la possibilità di dare un rinforzo esterno alla tesi di Mercati, che viene suffragata da questo riferimento contenuto nell’In Abacuc. 56. L’esegesi del testo ebraico è una raffinata lettura cristologica dei

due versetti, in cui ogni particolare trova una sua precisa collocazione nella vicenda di Cristo: la gloria riempie la terra con la venuta di Cristo e lo splendore della medesima viene celato nel tempo della passione dal vessillo della croce, simbolicamente

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Note al testo

r­ appresentato dalle corna. È importante non trascurare che questo commento cristologico scaturisce dalla lettura del testo ebraico, da cui Girolamo solitamente trae l’esegesi letterale. 57. Un’analoga

considerazione troviamo in Didimo il Cieco (Didym., Ps., 740a, Ps. 70, 8): «È conveniente che quella che è stata chiamata bocca (Ps. 70, 8 iuxta LXX) sia riempita di lode del suo [di Dio] Verbo. Ma gloria di Dio o è un aspetto che lo riguarda o il suo Figlio unigenito: si dice, infatti, riguardo a Cristo, che egli sarebbe la gloria di Dio resosi visibile con la sua venuta. Si renderà, infatti, visibile la gloria di Dio, essendo riconosciuta la sua magnificenza nella provvidenza e nella creazione essendo mostrato un ordine assai conveniente, generato dal suo solo comando. Tale, infatti, e provvidente [è la gloria di Dio] per colui che può dire: ho considerato le tue opere e mi sono meravigliato (Hab. 3, 2; Odae 4, 2); è concorde con quanto segue: ha posto sulla mia bocca un cantico nuovo, una lode per il nostro Dio (Ps. 39, 4a)». 58. Eusebio di Cesarea (Evs., D.e. 6, 15, 14) afferma a sua volta che

le corna sono segno della regalità di Dio: «Le corna (kerata) nelle sue mani sono i simboli del suo regno, con i quali debella le potenze invisibili e ostili, dopo averle scosse e fulminate». 59. Il contenuto celato dalla metafora dei monti e dei colli riguar-

da ancora una volta la venuta di Cristo, che ha umiliato la superbia dei monti, cioè di quanti si elevavano contro Dio operando il male. Da notare il riferimento alle molteplici venute del Salvatore prima della sua incarnazione realizzatesi per il tramite dei ‘santi’, personaggi veterotestamentari, che hanno annunciato la parola divina: ‘Cristo Logos’ è ‘soggetto di tutte le teofanie dell’Antico Testamento, secondo una concezione molto diffusa nel II e III secolo’: Simonetti, Viaggio, p. 377, nota 30. 60. Nel

commento allegorico alla versione dei Settanta il riferimento non è genericamente alla parola di Dio, ma al Logos divino, cui è attribuita la funzione psicologica di preparare l’anima alla venuta di Dio, distruggendo in essa quanto vi è di mondano, di eretico e di demoniaco (rappresentato da monti e colli). Quest’ultimo riferimento al demonio che si fa strada nelle anime attraverso

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Note al testo

la mondanità e l’eresia raccorda questa parte del commentario al primo libro, in cui sotto l’aspetto storico di Nabucodonosor Girolamo ha sempre visto celarsi il diavolo. 61. Didimo

il Cieco (Didym., Eccle. 299,  24-27,  98-99) offre un’immagine che, pur riferendosi esplicitamente al v. 8, capovolge la prospettiva di Girolamo, rappresentando l’anima come un cavaliere che è condotto da cavalli, che sono le parole divine.

62. Origene,

in effetti, propone proprio questo paragone, dicendo che la cavalleria del Signore differisce tanto dai carri del faraone, quanto l’anima, fedele sposa del Verbo, suo cavaliere, differisce dalle anime che non sono figlie della chiesa (Or., HCt 1, 10). Anche Gregorio di Nissa, pur conoscendo e ricordando le accezioni negative degli equini nella Scrittura, propone questa similitudine quando afferma che l’anima è paragonata alla cavalla (seguendo il testo ebraico, e non ‘cavalleria’, che deriva dai Settanta) che sconfisse il faraone. Nel testo dell’Esodo – continua il Nisseno –, nessuna cavalleria visibile si è opposta al faraone che inseguiva Israele e, tuttavia, come in ogni battaglia che si rispetti, a un certo tipo di forza deve esserne contrapposta una uguale: Dio, dunque, ha sfidato e vinto la cavalleria egiziana con la sua cavalla invisibile e vittoriosa, cioè con le schiere degli angeli che sono al suo servizio. Per questo è plausibile il paragone fra l’anima e la cavalla, cioè fra la parte spirituale dell’essere razionale e le intelligenze angeliche, di cui può recuperare la somiglianza grazie all’acqua del battesimo. Hab. 3, 8 si riferisce, pertanto, alle potenze angeliche, che Dio cavalca come destrieri e per mezzo delle quali porta la sua salvezza. L’anima che compie azioni buone è paragonata a questa cavalla, cioè alla potenza attraverso la quale Dio apporta la salvezza al suo popolo, perché permette che in se stessa si porti a compimento l’opera di liberazione dalla tirannide malvagia d’Egitto (cfr Gr. Nyss., Hom. in Cant. 3, 70-76). Il paragone istituito fra la cavalla e l’anima continua poche righe dopo con la riflessione, comune anche a Girolamo, sull’anima come cavalcatura del Logos (cfr Hab. 3, 8; Gr. Nyss., Hom. in Cant. 3, 84). 63. Si

tratta del castigo di Dio, di cui Origene (FrLam 46,  1-10) aveva ribadito la funzione benefica, sottolineando che l’intenzione

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Note al testo

che anima il Signore è mettere in guardia contro il peccato minacciando la punizione. Anche Didimo il Cieco ritiene che le frecce siano da identificare con i castighi (Didym., Zach. 3, 264), sebbene nella logica di Dio la minaccia del castigo abbia come fine il ravvedimento di colui che è meritevole della sua ira (ibidem, 3, 205). 64. Alle scarne considerazioni riservate al testo ebraico si contrap-

pone un’ampia esegesi allegorico-psicologica della versione greca. Una nota di metodologia ermeneutica apre la spiegazione: Girolamo intende compiere un percorso graduale che, partendo da un livello basso, legato a un esempio materiale, conduca a uno stadio più alto in cui si giunga a comprendere qualcosa che riguarda l’anima. Questo passaggio dal materiale allo spirituale, dal visibile all’invisibile, è tipico dell’esegesi origeniana, fondata su una metafisica platonica che vede nella navigazione verso le realtà iperuranie lo scopo della filosofia e del pensiero in genere. L’ascensione esegetica si apre, infatti, con un esempio tratto dalle opere che raccolgono le ‘meraviglie del mondo’, in cui si dice (la fonte remota potrebbe essere Aristotele, che nel De plantis 2, 2 riporta la medesima considerazione) che vi sono fiumi sotterranei che il terremoto fa emergere in superficie e corsi d’acqua che fa sprofondare sotto terra. Allo stesso modo la nostra anima, grazie al ‘sisma’ della predicazione apostolica, sprigionerà le energie spirituali che erano inibite dall’ignoranza e dal peccato. A conferma di quanto detto aggiunge il testo di Gen. 26, 17-22, che viene letto allo stesso modo. In conclusione torna su un tema già visitato nel commentario e di sapore origeniano, che porta l’esegesi al suo livello più alto, cioè al piano spirituale, quello dell’opera divina: con la venuta di Cristo il fiume del popolo eletto si è inabissato per la sua incredulità, mentre i pagani sono diventati un fiume che ha portato l’acqua del vangelo al mondo intero. 65. Girolamo

si inserisce perfettamente nella ‘riflessione ecclesiologica lunare’ che ha caratterizzato tutto il periodo patristico. Cfr Rahner, Simboli, p. 145-287. 66. L’interpretazione del v. 11a ha un sapore decisamente escatolo-

gico, poiché Girolamo vede in questo passo anzitutto un a­ nnuncio

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Note al testo

del compimento della creazione, quando sole e luna, come sineddoche dell’intero creato, giungeranno alla loro pienezza. In seconda battuta, come livello superiore di esegesi, si inserisce una considerazione cristologico-ecclesiologica: essendo sole e luna allegoria di Cristo e della chiesa, il passo preannuncia l’evo in cui la comunità cristiana non sarà più preda degli alterni eventi della storia, ma per sempre stabile brillerà della luce di Cristo. 67. Questo

commento di Girolamo al v. 11b ha punti di contatto con le considerazioni di Didimo il Cieco a proposito di Zac. 9, 14b-15a: «Quando Dio avrà teso Giuda come un arco, la sua freccia partirà come il lampo, feriscono con i colpi dell’amore divino l’anima perfetta o la chiesa gloriosa, che diventano così luce del mondo e che possono dire: sono stata ferita dall’amore (Cant. 5,  8). Il carattere luminoso delle frecce che scocca l’arco divino non è proprio solo di questo passo; anche in Abacuc si dice a Dio: le tue frecce partiranno nella luce, nello splendore folgorante delle tue armi (Hab. 3, 11). E non ci sono differenze fra l’espressione al singolare e quella al plurale; infatti noi parliamo secondo il genere di freccia che partirà come un lampo, ma questa ha come numerose specie di dardi presi insieme. La parola che ferisce d’amore coloro che si applicano ai differenti tipi di virtù e ai diversi punti di dottrina è la freccia secondo il genere, mentre le parole su ciascuna virtù e su ciascun punto di dottrina sono specifiche ed è per questo che sono chiamate frecce al plurale. Peraltro la freccia unica parte come il lampo e le frecce multiple, secondo Abacuc, partono nella luce, perché sono tutti luminosi i dardi scoccati dall’arco teso da Dio. E quest’arco è Giuda» (Didym., Zach. 3, 200-201). 68. L’ampiezza del commento a questo lemma (v. 13a) induce Gi-

rolamo a premettere una diuisio della materia da trattare: anzitutto si occuperà di enumerare i vari tipi di ‘cristi’ che si trovano nella sacra Scrittura, quindi verrà ad analizzare in che modo il Signore sia uscito a salvarli. ‘Cristi’ nelle pagine veterotestamentarie sono i patriarchi, il popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto, i sacerdoti, i re, il sovrano dei Persiani e dei Medi Ciro, i profeti e lo stesso Salvatore e tutti coloro che gli appartengono, cioè i battezzati. Riguardo a quest’ultima categoria Girolamo si addentra in una

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Note al testo

s­ ignificativa digressione, in cui, oltre a testimoniarci l’unzione con il sacro crisma nel rito del battesimo, mette in luce la possibilità sia di recuperare questa unzione quando sia stata perduta, cioè quando con il peccato si sia incorsi nella scomunica, sia di incrementare tale crismazione, che in una klimax ascendente presenta diversi gradi di intensità, che vanno dal lebbroso allo stesso olio di esultanza, proprio di Cristo Signore, passando per i gradi del popolo e dei santi, dei sacerdoti, del pontefice, del re e dei patriarchi. Sembra che venga esplicitata la visione del battesimo non come atto puntuale, ma come processo vitale che prevede una sorta di ‘reiterazione’ (riammissione alla chiesa dopo la scomunica dovuta al peccato grave grazie alla penitenza) e un progresso fino alla piena comunione trinitaria, che rimane una rara acquisizione in terra, ma che deve essere per i fedeli un costante desiderio. Viene, quindi, a riflettere sul significato soteriologico dell’exitus Dei, che uscendo da se stesso riconduce a sé coloro che non volevano entrare nella comunione con lui. Non si può fare a meno di notare che alla fine dell’esegesi del lemma, sebbene si stia dedicando al commento al testo greco dei Settanta, Girolamo discute le diverse traduzioni del versetto – cosa che solitamente fa all’inizio –, a motivo dell’alto valore cristologico del testo ebraico. Dove i Settanta hanno il plurale ‘cristi’, il testo ebraico ha il singolare ‘cristo’: il problema, qui, non è tanto l’identificazione dell’unto del Signore, quanto il suo ruolo in relazione all’opera di salvezza. Se, infatti, si segue la traduzione di Teodozione e Simmaco, che Girolamo definisce ‘ebioniti’ (cioè cristiani giudaizzanti), il Cristo è oggetto dell’opera di salvezza per cui Dio è uscito da se stesso, mentre se si segue la quinta edizione e Aquila (giudeo che sorprendentemente ha tradotto in modo conforme alla dottrina cristiana), il Cristo ne è soggetto insieme al Padre secondo l’adagio opera Trinitatis ad extra communia (cfr Studer, Dio, p. 244). Girolamo riporta anche un’interpretazione antigiudaica del versetto echeggiata forse da Origene (Or., HIer 14, 15), per cui l’uscita di Dio si riferirebbe alla dottrina classica del rigetto di Israele in favore dei gentili. 69. Ci

sembra che questa notazione rifletta una polemica fra la scuola alessandrina e quella antiochena: quest’ultima tendeva a

166

Note al testo

ridurre al minimo le profezie di Cristo nell’Antico Testamento ed era particolarmente attenta a ricostruire il contesto storico proprio di ogni pagina scritturistica. Cfr Fernández Lois, Cristología, p. 117-119. 70. Un’analoga teologia dell’exitus Dei si ritrova in Didimo il Cie-

co: «Vedi anche se l’uscita dell’angelo non ha lo stesso significato che nel testo del coro dei santi: tu sei uscito per la salvezza del tuo popolo e per salvare i tuoi cristi (Hab. 3, 13) e in questo qui: sono uscito e vengo da Dio (Ioh. 8, 42). Poiché la salvezza e la rivelazione di Dio hanno luogo per il genere umano, cacciato dal paradiso per aver trasgredito le leggi di Dio, quando l’angelo del gran consiglio di Dio (Is. 9,  5) esce per reintrodurre attraverso l’obbedienza e l’insegnamento divino l’esiliato, dicendo: oggi sarai con me nel paradiso (Luc. 23, 43)» (Didym., Zach. 1, 116). Cfr ibidem, 5, 37. 71. «Secondo

Eusebio e Gerolamo [Simmaco] era un ebionita» (Fernández Marcos, Settanta, p. 131), ma «oggi tende a imporsi la tesi dell’origine giudaica di Simmaco, dando così ragione a Epifanio, piuttosto che quella della sua appartenenza alla setta cristiana degli ebioniti» (ibidem, p. 132).

72. Girolamo osserva opportunamente che il termine ebraico sela

(cfr supra) è stato reso in questo contesto dai Settanta non nella maniera usuale, ma in quella conforme all’ebraico, cioè sempre. In questo passaggio il campione dell’Hebraica ueritas vuole mostrare la superiorità del testo ebraico sui Settanta attraverso un’implicita ammissione degli stessi traduttori greci, che guidati dalla stringente logica del contesto si sono dovuti piegare a una resa per loro niente affatto scontata. Per quanto riguarda la traduzione che i Settanta avrebbero fatto in questo contesto, occorre poi sottolineare che molti manoscritti di questa versione, ma non tutti, presentano davanti a diapsalma o al suo posto la forma ‘per sempre’ o ‘per la fine’, che non ha riferimento alcuno nel testo masoretico. Cfr Harl, Douze prophètes, p. 296. 73. Courcelle (Lettres, 64) mostra che in diversi passaggi della sua

opera, associandolo a Celso e a Porfirio, Girolamo considera Giuliano quale simbolo di empietà.

167

Note al testo

74. Si

tratta di una preziosa indicazione per la ricostruzione della data di nascita di Girolamo, che dovrebbe attestarsi nel decennio 340-350. Cfr Penna, Gerolamo, p. 1-2; diversamente Kelly, Jerome, p. 337-339; vedi Introduzione. 75. Si

tratta di un episodio, riferito al tempo degli studi romani del giovane Girolamo, rivelatore delle relazioni e dei dibattiti fra pagani e cristiani riguardo a problemi religiosi. Cfr Penna, Gerolamo, p. 8.

76. L’interpretazione del v. 14a, che apre l’analisi della traduzione

dei Settanta, si compone di due possibili letture. Anzitutto quella cristologica: riferendosi alla prassi antica di sostituire le teste dalle statue dei governanti defunti o deposti con quelle dei nuovi potenti, senza cambiare i corpi, Girolamo ritiene che la ‘divisione delle teste dei potenti’ si riferisca a un’operazione analoga eseguita da Dio in chiave soteriologica, togliendo il comando sui popoli al diavolo, ai demoni e agli eretici, per dar loro come capo il Cristo. La seconda, che ricorda la visione provvidenzialistica della storia propagandata da Lattanzio relativamente alla morte dei persecutori, riguarda l’attuazione della vendetta divina contro gli oppressori della compagine ecclesiale già nel tempo della storia: ricordando significativi particolari autobiografici, Girolamo argomenta che la giustizia di Dio non attende l’eschaton per rivelarsi, ma si attua in modo concreto nelle vicende umane ‘rovesciando i potenti dai troni’.

77. Girolamo

nota la difficoltà di giustapporre l’esegesi che scaturisce dal testo ebraico e quella dalla versione dei Settanta. Questo passo ci fa cogliere il suo imbarazzo nel procedere sul crinale che divide l’Hebraica ueritas dalla versione greca, testo recepito dalla chiesa intera. 78. La

fonte di questa esegesi è Origene: ‘Come, infatti, la parola di Dio gettò spiritualmente in mare cavallo e cavaliere degli Egiziani, vale a dire l’uomo empio assieme al diavolo che lo cavalcava e soggiogava, allo stesso modo il cavallo da Gerusalemme eliminò chiunque fosse sottoposto al diavolo come suo cavalcatore e non al Cristo, come lo sono quei cavalli di Cristo ben accetti di cui parla

168

Note al testo

Abacuc: perché tu monterai sopra i tuoi cavalli e la tua cavalleria sarà [la tua] salvezza, cioè sopra gli apostoli e gli altri santi nei quali il Cristo dimora’ (Or., CMtS 1, 27, 198-199). Interessante notare la comunanza fra Origene e Girolamo nel parlare di sermo diuinus, nel parallelismo antitetico diavolo/malvagio-Cristo/ santo, nel legare insieme santi e apostoli. Un’interpretazione analoga a quella geronimiana si trova anche in Eusebio di Cesarea: ‘Ma questo lo aveva predetto anche il beato Abacuc; dice infatti: hai fatto entrare nel mare i tuoi cavalli che sconvolgono molte acque (Hab. 3,  15). Chiama ‘cavalli’ i sacri apostoli che sono divenuti divino veicolo, perché, portato su di loro, il Sovrano ha dissipato le molte e diverse dottrine dell’empietà’ (Evs., Ps., in PG, 23, col. 405, 45-51). Cfr supra. 79. Degno

di nota è il numero di anni che separa la passione del Signore dalla distruzione di Gerusalemme per la cronologia della nascita di Cristo (42+33  = 75, cioè -5), in quanto corrisponde all’incirca al computo moderno.

80. Il

commento di Girolamo mette sulle labbra del profeta una lettura cristologica complessa del passo: Abacuc, gettando uno sguardo in avanti, accoglie Cristo nella sua venuta storica, si unisce ai suoi discepoli nella chiesa e osserva il destino del popolo giudaico (oggetto vero e proprio del v. 17 nella lettura geronimiana), paradigmaticamente rappresentato dal fico, dalla vigna e dall’olivo che non portano frutto. Non si tratta, però, della consueta considerazione circa il rigetto di Israele e la sostituzione della chiesa come nuovo popolo dell’alleanza, ma di una visione più ampia. Certamente il popolo è sterile, perché non ha accolto le numerose venute e gli appelli pressanti di Dio (Mosè, i profeti, Cristo, la distruzione di Gerusalemme), tuttavia la promessa di Dio non viene meno e rimane aperta per il popolo dell’elezione una speranza di salvezza, almeno per chi al suo interno si converte. Con il supporto di numerosi passi scritturistici Girolamo identifica con il popolo della sinagoga anche gli altri alberi, vale a dire la vite e l’olivo: parlando di quest’ultimo propone un ragionamento che fa salve due esigenze contrapposte, cioè salvare l’elezione divina e dare consistenza reale al rigetto dell’infedele Israele al posto del

169

Note al testo

quale è stato scelto l’Israele ex gentibus. La sintesi di queste due polarità si compie, come testimoniato sovente nella Scrittura e in modo precipuo nella vicenda dell’esilio, grazie alla fedeltà di un piccolo ‘resto’, di una radice che custodisce l’elezione divina (in questo caso il nucleo apostolico proveniente dalla sinagoga), nel quale viene innestato il nuovo popolo dell’alleanza, radunato dai gentili. Si tratta dell’immagine dell’innesto dell’oleastro nell’olivo mutuata da Rom. 11, 13-24: anche la conclusione a cui Girolamo arriva è la medesima dell’apostolo, che mette in guardia i gentili dalla superbia, perché, se Dio ha rigettato il popolo da lui stesso eletto a motivo dell’infedeltà, a maggior ragione ripudierà coloro che erano come rami selvatici se non porteranno frutto. Se Girolamo trae ispirazione anzitutto da Paolo, tuttavia non bisogna trascurare la verosimile mediazione di Origene, che nelle Omelie su Geremia diffonde la sua riflessione su questo tema proprio fondandosi sul capitolo 11 della lettera ai Romani. L’omelia 18, 5 è interamente consacrata a trattare il tema del rapporto fra le due nazioni, cioè Israele e la chiesa, nello stesso modo e con la medesima argomentazione (e con l’uso di uguali citazioni bibliche, quali Ioh. 19, 6; Matt. 3, 10; Luc. 13, 7-9) usata da Girolamo: Israele infedele è stato minacciato e ripudiato, in vista di un suo ritorno alla fedeltà primitiva; al suo posto è stata scelta la chiesa, i cui membri devono vigilare attentamente su se stessi per non subire, a motivo del peccato, la medesima sorte del popolo del Primo Testamento. Si tratta di uno dei rari esempi, ci sembra, di fortuna del raffinato ragionamento origeniano come estensione della riflessione paolina sul rapporto fra antico e nuovo Israele, molto spesso semplificato e divulgato nella cristianità come mera sostituzione della chiesa a Israele. A questa lettura ne viene accostata un’altra di natura totalmente differente (presente almeno un’altra volta nelle opere di Girolamo: Hier., In Mich. 1, 4, 1-7, l. 140-144): i tre alberi menzionati nasconderebbero le tre persone della Trinità. Sebbene Duval (‘Sens des prophètes’, p. 436) affermi che Origene è alla base di questa interpretazione trinitaria dei tre alberi, non dà indicazioni circa i passi in cui ritrovare questa riflessione. Solo un particolare, la citazione – peraltro incidentale – di Ps. 35, 10b e l’interpretazione datane da Girolamo collimano effettivamente con l’esegesi

170

Note al testo

origeniana di FrPs 35, 10 (PG, 12, col. 1316), che vede nella luce attraverso la quale si può vedere la luce proprio Cristo, mediante il quale si può arrivare a conoscere Dio: «Alla tua luce vedremo la luce (Ps. 35, 10b). Contemplando le realtà che sono state create, vedremo Cristo o grazie alla conoscenza di Cristo vedremo Dio». 81. Giunge al culmine il profetismo cristologico di Abacuc: il pro-

feta, staccandosi dal suo popolo che non ha portato frutto e rimanendo fedele a Dio, si unisce al novello Israele, la chiesa, destinataria della salvezza, e a nome degli apostoli e dei credenti in Cristo prende la parola. Sicuramente il v. 18 per la prossimità in ebraico fra il nome Gesù e il termine yiš`î, cioè ‘mio salvatore’ o ‘mia salvezza’, offre un appiglio straordinario a questa conclusione cristologica, che, più che per i singoli particolari, è notevole per il fatto di mostrare il compimento della profezia su tre fronti. Anzitutto quello della lettera del testo, perché l’accusa iniziale rivolta a Dio dal profeta, e citata in struttura circolare fra le ultime battute del commentario, lascia il posto alla lode dell’equità di Dio, riconosciuta durante tutto lo sviluppo testuale. Secondo: compimento cristologico del carme di Abacuc, che rivela pienamente di essere una profezia esplicita della venuta storica di Cristo e del ripudio dell’infido popolo giudaico. Terzo: compimento della profezia escatologica, che promette l’elezione e la salvezza definitiva non a chi avrà fatto parte di un determinato gruppo, ma – secondo quanto argomentato a proposito del v. 17 – a chiunque è giusto e vive di quella giustizia divina di cui l’ottavo profeta è andato alla ricerca nel corso di tutta la sua attività.

171

INDICI

INDICE SCRITTURISTICO

Genesi 1, 2 2, 13 3, 19 7, 11 26, 17-22

II Esdra 3, 15

120 155 n. 35 108 120 164 n. 64

Esodo 4, 10 15, 1 24, 7 34, 2 34, 29 33, 21

115 115; 148 n. 17 136 122 106n 149 n. 20

Levitico 20, 26 26, 12

105 112

Deuteronomio 27, 15 28, 10

94 123

I Re 2, 6 2, 10

126 108

IV Re 6, 17

115

I Paralipomeni 16, 22

123

Iob

38, 11 (LXX)115

Salmi 8, 2 8, 3 10, 5 12, 1 16, 1 17, 34 18, 5 21, 7 21, 28 23, 1-2 24, 7 28, 9 31, 1 31, 4 32, 17 35, 7 35, 10b 35, 10 39, 4a 41, 8 43, 6 43, 23 44, 8 45, 5 67, 12

175

154 n. 35

107 82 95 103 99 138 107 85, 152 n. 28 105n 114 99 138 87 122 116 120 170 n. 80, 171 n. 80 136 162 n. 57 120 109 103 124, 125 113 121

Indice scritturistico

70, 8 (LXX) 162 n. 57 72, 2-3 (LXX)55 72, 11b-13 55 72, 23 115 73, 8 68 73, 14 112, 131 74, 9 92 75, 7 116 76, 17 120 79, 2 115 79, 6 102 79, 9 135 79, 12 114 79, 14 136 84, 9 72 85, 1 99 86, 1 137 89, 1 99 101, 1 99 101, 8 85 103, 21 70 103, 25-26 114 104, 14-15 123 106, 33-36 117 106, 43 95 108, 7 92 109, 7 90 113, 3 114 115, 2 142 n. 5 119, 4 122 120, 1 110 123, 5 90 124, 1 136 127, 3 136 129, 1 114 137, 3 142 n. 5 147, 15 107 148, 7-8 120 Proverbi 3, 3 21, 1 27, 25-26

73 108 137

Cantico dei Cantici 1, 7 1, 8 [9]  2, 9

105 115 138

4, 9 4, 16 5, 8 Ecclesiastico (Siracide) 1, 2-3 40, 11 Isaia 1, 9 1, 13 1, 15 2, 18-19 5, 1 5, 2.4.7 5, 12 8, 6 9, 5 13, 9 26, 17-18 32, 16 40, 30 40, 31 45, 1 45, 4 46, 1 49, 2-3 49, 8 50, 5 65, 24

122 104, 160 165 n. 67 120 119 134 74 87 91 108, 135 135 101 154 n. 35 167 n. 70 133 119 91 148 n. 17 148 n. 17 124 124 148 n. 16 122 75 101 73

Geremia 2, 18 90 2, 21 135 12, 1-2 67 17, 11 150 n. 25 20, 8 (LXX)55 38, 22 79 50, 2 148 n. 16 51, 21-23 (28, 21-24 LXX)148 n. 17 Baruc 6, 40 Ezechiele 28, 1-19 29, 9

176

148 n. 16 121n 113

Indice scritturistico

29, 18

60

3, 17 4, 9 4, 18 5, 8 5, 14 7, 13 10, 22 10, 40 12, 44 16, 11 16, 12 21, 9 21, 12-13 21, 16 21, 19 23, 38 26, 38 26, 38-39 26, 39 27, 25 28, 19 28, 20

Daniele 3, 24-90; 13; 14 143 n. 7 5, 3 56n 7, 28 132n 14, 2-3.5.8-9.11.13.17.21.27 148 n. 16 14, 32-38 143 n. 7, 144 n. 8 Osea 4, 12

96

Amos 6, 4-6

61

Michea 1, 3 Abacuc 1, 2-4 1, 2b-4 1, 3-4 1, 14 1, 16 2, 7 2, 12 2, 15 2, 20 3, 2 3, 2-3 3, 3 3, 3-4 3, 8 3, 9 3, 11 3, 13 3, 15

125 143 n. 6 52 n. 11 155 n. 36 148 n. 17 81n 152 n. 29 154 n. 34, 155 n. 36 156 n. 42 142 n. 5, 162 n. 57 160 n. 53 103n 140 n. 1 163 n. 62 103n 165 n. 67 103n, 125n, 167 n. 70 169 n. 78

Zaccaria 1, 9 3, 2 9, 1 12, 1

72 114 51 51

Matteo 1, 21 3, 10

137 135

177

110 63 69n 119 122 61, 132 55 160 n. 52 61 85 85 82 91n 82 134 137 97 107 91 79, 87 131 131

Marco 4, 39 14, 34

114 97

Luca 2, 14 11, 24 12, 20 12, 42 12, 49 13, 7-9 13, 8-9 13, 35 16, 12 18, 8 23, 43 23, 46

107 96 150 n. 25 95 86, 101 170 n. 80 135 126 81 80 167 n. 70 97, 107

Giovanni 1, 3-4 4, 14 7, 38 8, 42 9, 7.11 9, 39

108 113 113 167 n. 70 154 n. 35 117

Indice scritturistico

10, 18 14, 10 14, 23 15, 1 15, 6 17, 5 17, 6 19, 6 19, 15 Atti degli Apostoli 17, 28 Romani 1, 17 1, 18 5, 19 7, 23 8, 21 8, 35 11, 13-24 11, 33 12, 13 I Corinzi 1, 30 3, 16 4, 6 6, 19 13, 9 14, 1 14, 33

97 96, 125 105 136 135 108 102 79, 136, 170 n. 80 136

II Corinzi 3, 2-3 5, 16 6, 2 10, 4-5

96 77 103 70 68 121 95 170 n. 80 114 74 107 95 68 96 68 74 52

Galati 5, 16 5, 17 5, 22 6, 8

96 116 96, 156 n. 40 96

Efesini 1, 17 3, 13

105n 55

Filippesi 2, 6-8 3, 13 3, 15

107 68 68

I Tessalonicesi 5, 7

91

I Timoteo 6, 11

74

II Timoteo 4, 2

114

I Giovanni 2, 18 2, 20 2, 26-27

178

73 108 102 63

75, 80 124 124

INDICE DELLE OPERE ANTICHE

Aristoteles Categoriae 1, 1a De plantis 2, 2 Avgvstinvs Confessiones 3, 5 3, 11 8, 12 Epistulae 28, 2 71, 3.4.6 82, 34-35

Hermas Pastor Vis. 4, 2, 4

155 n. 37 164 n. 64

146 n. 15

Hieronymvs Aduersus Rufinum 1, 30 8 n. 9 Epistulae 13 8 n. 10 14, 6 10 n. 14 21, 13 9 n. 12 22 9, 9 n. 12, 10 22, 29-30 10 n. 15 22, 30 10 n. 14 56 10 n. 16 68, 2 7 82, 2 9 n. 11 104 10 n. 16 116 10 n. 16 In Abacuc 2, 3, 14-16, l. 938-945 8 n. 6 3, 14a 7 In Nahum Prol.51n

9 n. 13 9 n. 13 9 n. 13 10 n. 16 10 n. 16 10 n. 16

M. Tvllivs Cicero De re publica 3 frammento 4 98n Flavivs Iosephvs Antiquitates Judaicae 10, 11, 1 146 n. 14 10, 11, 2-3 56n Bellum Judaicum 6, 9, 3 (420-421) 87n

Prosper Aquitanvs Epitoma chronicorum 9, l. 1032.1274

179

7 n. 2

INDICE DELLE COSE NOTEVOLI

abbraccio  51, 137 abisso  78, 118, 120, 121 accusa (accusare)  14, 15, 21 n. 52, 23, 58, 71, 75, 81, 143 n. 7, 145 n. 12, 171 n. 81 acqua  55, 68, 69n  85, 86, 87, 90, 91, 110, 113, 117, 118, 119, 120, 121, 127, 128, 131, 132, 155 n. 35, 163 n. 62, 164 n. 64, 169 n. 78 agiografo (agiografico)  15, 104n alfabeto  13, 74 allocuzione 72 allegoria (allegorico)  13, 15, 20, 22, 24, 61, 78n, 104n, 110, 128, 133, 140 n. 1, 149 n. 19, 149 n. 21, 153 n. 30, 153 n. 31, 155 n. 35, 155 n. 39, 157 n. 43, 157 n. 46, 158 n. 48, 159 n. 49, 160 n. 54, 162 n. 60, 164 n. 64, 165 n. 66 allegria (rallegrare)  69, 70, 78, 79, 90, 91, 113, 118, 128, 134 altezza  63, 72, 111, 118, 120, 121, 146 n. 14, 160 n. 54 amicizia (amico)  11, 12, 13, 15, 19, 87, 88, 89, 100, 115, 157 n. 45 amore  95, 106, 109, 165 n. 67 angelo  61, 68, 69, 72, 79, 105, 118, 131, 138, 146 n. 15, 147 n. 15, 163 n. 62, 167 n. 70 anima  24, 61, 68, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 81, 83, 90, 95, 97, 99, 102,

105n  107, 110, 111, 114, 115, 116, 117, 126, 127, 128, 133, 155 n. 36, 160 n. 52, 162 n. 60, 163 n. 61, 163 n. 62, 164 n. 63, 164 n. 64, 165 n. 67 animale  18, 21, 21 n. 52, 67, 75, 81, 87, 89, 92, 99, 100, 101, 102, 109, 114, 137, 145, 150 n. 25, 152 n. 28 antichità  15, 54n Antico (Vecchio) Testamento (veterotestamentario)  10, 14, 17, 19, 78n  121, 123, 146 n. 15, 147 n. 15, 150 n. 24, 159 n. 49, 162 n. 59, 165 n. 68, 167 n. 69, 170 n. 80 Anticristo  24, 79, 80, 83, 86, 90, 93, 99, 119, 150 n. 25, 151 n. 26, 153 n. 30, apocrifo  17, 69, 147 n. 15 apostolato 15 apostolo (apostolico)  12, 15, 52, 55, 62, 63, 68, 70, 73, 77, 80, 84, 85, 86, 95, 96, 103, 107, 108, 114, 117, 121, 122, 131, 136, 137, 146 n. 13, 147 n. 15, 148 n. 18, 149 n. 22, 153 n. 30, 164 n. 64, 169 n. 78, 170 n. 80, 171 n. 81 apparenza  99, 120, 121, 157 n. 43 aquila  58, 59, 60, 62, 65, 151 n. 27 arca 21 aristocrazia 15

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Indice delle cose notevoli

armento  133, 137 asceta (ascesi, vita ascetica)  9, 10, 10 n. 14, 11, 12, 13 aspide 138 auriga  115, 126, 130, 131, 132 autore  9, 10, 22, 29, 53, 57, 106, 116, 143 n. 7, 147 n. 15 avarizia  116, 129 avidità  78, 81, 83, 84, 85, 93, 100, 112, 150 n. 25

cattedra  91, 91n causa  54, 60n, 73, 75, 79, 81, 113, 139 cavaliere  58, 59, 60, 62, 65, 115, 116, 130, 131, 132, 148 n. 17, 163 n. 61, 163 n. 62, 168 n. 78 cavallo  58, 59, 62, 65, 99, 113, 115, 116, 127, 128, 131, 132, 148 n. 17, 163 n. 61, 163 n. 62, 168 n. 78, 169 n. 78 cervo 138 Cherubini  18, 21, 21 n. 52, 101, 115, 132 chiarezza  27, 74, 150 n. 24, 158 n. 47, 159 n. 50, 160 n. 54 chiesa  20, 57, 80, 83, 84, 86, 91, 91n, 92n, 93, 102, 113, 114, 115, 118, 121, 122, 123, 126, 129, 130, 135, 137, 143 n. 7, 147 n. 15, 153 n. 30, 159 n. 50, 163 n. 62, 165 n. 66, 165 n. 67, 166 n. 68, 168 n. 77, 169 n. 80, 170 n. 80, 171 n. 81 cielo  53n, 65, 68, 82, 83, 95, 96, 103, 105, 105n, 106, 107, 108, 109, 115, 120, 123, 131, 140 n. 1, 143 n. 6, 146 n. 14, 156 n. 42 città  7 n. 1, 8, 12, 15, 19, 51, 54, 59, 60, 66, 72, 77, 78, 79, 80, 81, 85, 86, 87, 88, 89, 92, 93, 100, 106, 113, 115, 117, 118, 130, 134, 143 n. 6, 153 n. 29, 153 n. 31 classico  9, 10, 11, 14, 23, 166 n. 68 clemenza  8, 55, 63, 66, 103 coerenza (coerente)  20, 23, 24, 25, 26, 64, 76n, 154 n. 33 colle  110, 111, 162 n. 59, 162 n. 60 colomba  91, 91n, 110 commentario  7, 12, 13, 15, 17, 18, 19, 20, 21, 21 n. 50, 22, 23, 25, 26, 27, 28, 94n, 140 n. 2, 143 n. 7, 149 n. 21, 156 n. 43, 163 n. 60, 164 n. 64, 171 n. 81 commentatore  14, 21 n. 50, 28, 89 commercio (commerciale)  92, 92n compimento  24, 56, 57, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 83, 101, 102, 113, 117,

bambino  9, 63, 82, 138 banchetto 89 barbari 59 basilisco 138 battesimo  9, 12, 110, 131, 124, 163 n. 62, 165 n. 68, 166 n. 68 bestemmia (bestemmiare)  62, 65, 93, 129 biblioteca  11, 15, 26 n. 78, 102n biografia  10, 19 bontà (buono)  9, 18, 23, 24, 52, 56, 83, 85, 101, 104n, 107, 113, 115, 128, 129, 136, 138, 147 n. 15, 150 n. 25, 156 n. 41, 163 n. 62 bruco 138 bue  133, 137, 138 calice  78, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 107 cantico  24, 98, 99, 100, 106, 129, 158 n. 48, 162 n. 57 capo  60, 66, 68, 70, 75, 79, 101, 118, 119, 124, 125, 126, 127, 129, 168 n. 76 carità  74, 80, 96, 122, 126, 138 carne (carnale)  62, 63, 73, 90, 96, 98, 108, 111, 112, 116, 128, 148 n. 17 casa  8, 15, 57, 61, 76, 81, 82, 83, 84, 85, 91, 92, 93, 96, 100, 118, 119, 126, 127, 131, 134, 137 castigo (castigare)  10, 23, 64, 65, 79, 103, 158 n. 49, 159 n. 50, 163 n. 63, 164 n. 63 catacombe 11 catecumeno 9

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Indice delle cose notevoli

137, 145 n. 10, 149 n. 23, 150 n. 24, 163 n. 62, 165 n. 66, 171 n. 81 concetto  74, 144 n. 10, 159 n. 50 consequenzialità (consequentia, akolouthia)  23, 25, 153 n. 30, 154 n. 33, 158 n. 48 controversia  15, 28 conversione (convertirsi)  9 n. 13, 10, 11, 13, 24, 62, 105n, 146 n. 13, 153 n. 30, 159 n. 50, 169 n. 80 contesto  11, 23, 66, 84, 92n, 106, 140 n. 3, 141 n. 3, 143 n. 6, 145 n. 11, 146 n. 14, 152 n. 28, 159 n. 52, 167 n. 69, 167 n. 72 convitato 89 corna  106, 107, 108, 138, 140 n. 1, 162 n. 56, 162 n. 58 corpo  11, 65, 66, 95, 96, 105n, 108, 111, 116, 117, 120, 128, 129, 130, 131, 133, 140 n. 2, 168 n. 76 coscienza 13 creatore  52, 65, 66, 79, 101, 137 crisma  123, 124, 166 n. 68 cristiano 10 cristologia (cristologico)  16, 24, 76n, 78n, 104n, 152 n. 27, 152 n. 28, 158 n. 48, 158 n. 49, 160 n. 54, 161 n. 56, 162 n. 56, 165 n. 66, 166 n. 68, 168 n. 76, 169 n. 80, 171 n. 81 croce  84, 107, 138, 140 n. 1, 161 n. 56 crocifisso  57, 102, 152 n. 28, 153 n. 29 cronologia  7, 19 n. 45, 169 n. 79 culto  61, 65, 69, 92 cuore  55, 72, 73, 74, 80, 108, 119, 132, 133, 135

diavolo  24, 62, 64, 65, 67, 70, 71, 78, 79, 80, 83, 84, 85, 86, 90, 91, 92, 93, 97, 99, 100, 109, 110, 112n, 114, 116, 119, 120, 121n, 122, 126, 145 n. 13, 148 n. 18, 148 n. 19, 149 n. 21, 150 n. 25, 151 n. 26, 153 n. 30, 158 n. 49, 163 n. 60, 168 n. 76, 168 n. 78, 169 n. 78 discepolo  16, 69n, 83, 94, 104n, 134, 169 n. 80 disputa 14 distruzione  56n, 72, 86, 88, 89, 91, 92, 93, 143 n. 6, 144 n. 8, 153 n. 30, 153 n. 31, 154 n. 34, 169 n. 79, 169 n. 80 dogma  92, 119 dolore  24, 54, 55, 66, 145 n. 10 domanda (domandare)  17, 23, 24, 71, 75, 113, 114, 135, 144 n. 9, 144 n. 10 dossografia 20 dottore  77, 83, 117 drago  63, 100, 112, 113, 114, 120, 131, 132, 144 ebreo  17, 51, 53, 84n, 89, 100, 106, 109, 144 n. 8, 54 n. 33, 158 n. 49 ebionita  125, 166 n. 68, 167 n. 71 educazione  8, 9 elemosina 15 elezione  12, 136, 138, 169 n. 80, 170 n. 80, 171 n. 81 eloquenza  13, 94, 114, 120 empietà  54, 70, 77, 79, 80, 86, 88, 92, 93, 103, 119, 152 n. 28, 167 n. 73, 169 n. 78 empio  52, 56, 57, 66, 67, 68, 71, 80, 84, 91, 97, 99, 118, 119, 126, 127, 128, 130, 168 n. 78 enigma (enigmatico)  74, 77, 136, 161 n. 55 epistolario (epistola)  8 n. 8, 10 n. 14 e 16, 11, 15 n. 31, 16 eremo 14 eresia (eretico)  14, 21 n. 52, 24, 70, 80, 83, 84, 85, 86, 90, 91, 92, 92n, 93, 97, 111, 114, 119, 120, 129,

demonio (demoniaco)  24, 61, 62, 64, 65, 103, 109, 111, 112, 120, 129, 131, 132, 148 n. 17, 149 n. 19, 151 n. 25, 156 n. 42, 162 n. 60, 168 n. 76 deserto  12, 13, 14, 90, 110, 117, 123, 126, 133, 137 diapsalma  103, 103n, 104n, 106, 113, 116, 127, 161 n. 55, 167 n. 72

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Indice delle cose notevoli

145 n. 13, 149 n. 19, 150 n. 25, 151 n. 26, 153 n. 29 e 30, 155 n. 39, 157 n. 43, 162 n. 60, 163 n. 60, 168 n. 76 errore  17, 21 n. 52, 73, 75, 80, 84, 86, 95, 98, 99, 106n, 120, 132, 156 n. 39, 158 n. 47, erudizione (erudito)  15, 17, 97n, 106 esegesi (esegeta, esegetico)  8 n. 8, 10 n. 16, 12, 13, 16, 17, 18, 20, 21, 21 n. 52, 22, 23, 24, 25, 27, 53n 76n 84n 97n 104n 140 n. 1, 141 n. 3, 145 n. 13, 146 n. 13, 148 n. 18, 149 n. 21, 150 n. 24, 150 n. 25, 152 n. 28, 155 n. 35, 155 n. 39, 156 n. 42, 159 n. 52, 160 n. 54, 161 n. 56, 162 n. 56, 164 n. 64, 165 n. 66, 166 n. 68, 168 n. 77, 168 n. 78, 170 n. 80 estasi  52, 141 n. 3, 142 n. 5, 155 n. 37 etimologia (etimologico)  16, 104n, 105n, 140 n. 1, 141, 160 n. 54 etiope  112, 112n

filosofia (filosofo, filosofico)  11, 20, 94, 156 n. 39, 164 n. 64 fonte  20, 21, 22, 25, 90, 117, 119, 120, 146 n. 14, 151 n. 27, 152 n. 28, 154 n. 32, 158 n. 49, 160 n. 52, 161 n. 55, 164 n. 64, 168 n. 78 fortificazione  59, 60, 63, 65, 71, 71n, 140 n. 1 fratello  8, 13, 68, 84, 105 freccia  116, 118, 122, 131, 164 n. 63, 165 n. 67 fuoco  54, 55, 83, 85, 86, 87, 101, 115, 120, 135, 136, 153 n. 30 furto  24, 54, 78, 116, 150 n. 25 fusione (fondere)  25, 54, 94, 156 n. 39 giacchio  69, 70, 72, 75 giudaismo (giudeo, giudaico)  13, 14, 15, 17, 18, 18 n. 40, 18 n. 41, 21, 22, 57, 64, 82, 84, 90, 125, 126, 134, 135, 136, 137, 138, 144 n. 7, 149 n. 22, 151 n. 26, 160 n. 54, 166 n. 68, 167 n. 71, 169 n. 80, 171 n. 81 giudaizzante  166 n. 68 giudizio (giudicare, giudice)  17, 52, 55, 56, 56n, 57, 58, 59, 61, 62, 64, 65, 66, 75, 79, 88, 99, 104n, 112, 117, 135, 136, 138, 139, 145 n. 11, 149 n. 23, 155 n. 36, 159 n. 50 giustizia (giusto)  23, 24, 52, 54, 55, 56, 57, 62, 66, 67, 68, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 77, 85, 87, 90, 99, 105, 106, 107, 121, 126, 128, 129, 133, 137, 138, 139, 144 n. 9, 145 n. 10, 145 n. 11, 145 n. 12, 149 n. 23, 150 n. 25, 153 n. 29, 153 n. 30, 153 n. 31, 154 n. 33, 155 n. 36, 168 n. 76, 171 n. 81 gloria (glorioso)  62, 63, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 92, 93, 106, 107, 108, 114, 116, 121, 122, 138, 153 n. 30, 161 n. 56, 162 n. 57, 165 n. 67 glossa 23 gnosi 15 grammatica 9

famiglia  8, 9, 11, 12, 91n, 134, 135, 136 fanciullo  8, 54, 74, 82, 130 faraone  90, 113, 115, 163 n. 62 farisei  15, 82, 84, 85 fede  9, 11, 24, 72, 73, 74, 75, 77, 78, 80, 82, 90, 94, 99, 154 n. 34, 156 n. 39 femmina (femminile)  15, 75, 76, 76n fico  28, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 169 n. 80 figlio (figliolo)  9 n. 13, 55, 57, 66, 75, 79, 82, 87, 104, 119, 120, 121, 128, 134, 136, 150, 154 n. 32, 159 n. 52, 163 n. 62 Figlio  21 n. 52, 76, 80, 96, 100, 101, 102, 105, 106, 108, 109, 110, 119, 125, 126, 131, 136, 156 n. 42, 159 n. 52, 160 n. 52, 160 n. 54, 162 n. 57 filologia (filologico)  17, 20, 143 n. 7, 156 n. 41, 158 n. 48

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Indice delle cose notevoli

gregge  61, 76, 104, 133, 137, 138 guadagno  51, 52, 84, 91, 91n, 141 n. 3

leone  53, 72, 144 n. 8 leopardo  58, 59, 62, 65 letizia (lieto)  78, 135 lettera (alfabeto)  73 lettera (epistola)  9, 10, 10 n. 14, 13, 14, 16, 73, 103n, 147 n. 15, 149 n. 22, 151 n. 26, 170 n. 80 lettera (interpretazione letterale)  16, 18 n. 41, 20, 21, 22, 24, 25, 52n, 53n, 54, 56n, 63, 71n, 78, 83, 85, 86, 93, 100, 104n, 113, 152 n. 28, 155 n. 39, 157 n. 43, 158 n. 49, 159 n. 49, 161 n. 55, 162 n. 56, 171 n. 81 letteratura greca  10 lettore  23, 27, 66, 73, 74, 75, 97, 104n lezione  26, 63n, 80n, 91n, 100, 146 n. 15 libertà  24, 63, 121, 130, 131, 143 n. 6 libro  9 n. 13, 15 n. 32, 16, 23, 23 n. 64, 25, 29, 51, 53, 69, 84, 89n, 98, 108, 115, 120, 123, 136, 140 n. 3, 143 n. 6, 143 n. 7, 144 n. 7, 144 n. 8, 144 n. 10, 149 n. 23, 153 n. 32, 158 n. 49, 161 n. 55, 163 n. 60 lingua ebraica (ebraico)  10, 10 n. 16, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 18 n. 38, 19, 20, 24, 25, 28, 51, 57, 61, 69, 71, 71n, 73, 75, 76, 76n, 77, 78n, 83, 90, 94, 96, 97, 97n, 98, 100, 102, 102n, 103, 105, 106, 106n, 107, 108, 109, 111, 118, 119, 125, 125n, 126, 127, 131, 134, 138, 141 n. 3, 143 n. 7, 149 n. 22, 150 n. 25, 158 n. 47, 159 n. 50, 160 n. 54, 161 n. 56, 162 n. 56, 163 n. 62, 164 n. 64, 166 n. 68, 167 n. 72, 168 n. 77, 171 n. 81 lingua greca (greco)  10 n. 16, 11, 13, 19, 20, 25, 28, 51, 73, 76n, 82n, 83, 84n, 92, 95, 104n, 109, 125, 130, 141 n. 3, 143 n. 7, 146 n. 15, 150 n. 25, 161 n. 55, 166 n. 68 lingua latina (latino)  9, 13, 19, 60, 75, 76n, 82n, 88, 112, 147 n. 15

Hebraica ueritas  16, 20, 76n, 160 n. 54, 167 n. 72, 168 n. 77 idolo  60, 65, 69, 70, 94, 95, 96, 97, 155 n. 39, 156 n. 42, 157 n. 43 ignoranza  98, 145 n. 10, 158 n. 47, 164 n. 64 incenso  69, 92 inferno (inferi)  77, 78, 79, 83, 118 iniquità (iniquo)  24, 52, 54, 55, 58, 65, 66, 67, 71, 75, 77, 78, 80, 85, 86, 87, 89, 99, 100, 103, 112, 126, 129, 131, 132, 137, 138, 153 n. 31 insegnamento (insegnare)  17, 64, 66, 83, 84, 93, 124, 155 n. 36, 167 n. 70 intelligenza  74, 149 n. 23, 163 n. 62 interpretazione  16, 18, 21, 21 n. 52, 22, 23, 24, 25, 52n, 56n, 61, 64, 76, 76n, 78n, 83, 84, 101, 102, 104n, 105, 112n, 113, 121, 140 n. 3, 148 n. 18, 152 n. 27, 152 n. 28, 153 n. 29, 153 n. 31, 154 n. 33, 154 n. 34, 155 n. 35, 155 n. 39, 156 n. 43, 158 n. 48, 158 n. 49, 159 n. 52, 160 n. 54, 164 n. 66, 166 n. 68, 168 n. 76, 169 n. 78, 170 n. 80 invettiva 88 ipostasi 14 ira (iracondo, adirarsi)  8, 61, 88, 99, 102, 103, 113, 114, 116, 130, 133, 159 n. 50, 164 n. 63 lacrima 102 ladrone (ladro)  84, 91, 92, 102, 150 n. 25 lebbra 124 lebbroso  124, 166 n. 68 legge  52, 56, 57, 68, 72, 74, 75, 77, 84, 97, 99, 100, 106, 113, 135, 138 legno  81, 82, 83, 84, 85, 95, 100, 152 n. 28 lemma  23, 23 n. 64, 84n, 155 n. 39, 158 n. 48, 165 n. 68, 166 n. 68

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Indice delle cose notevoli

lingua siriaca (siriaco)  13 locusta 138 luce  15 n. 31, 18, 18 n. 41, 19, 26, 71n, 76n, 91, 93, 94, 99, 104, 105, 106, 106n, 107, 108, 109, 112, 118, 119, 121, 122, 122n, 136, 140 n. 1, 145 n. 10, 145 n. 11, 148 n. 18, 149 n. 24, 150 n. 24, 159 n. 52, 165 n. 66, 165 n. 67, 166 n. 68, 171 n. 80 luna (lunare)  118, 121, 164 n. 65, 165 n. 66 lupo  58, 59, 62, 65, 145 n. 13 lussuria (lussurioso)  112, 116, 130, 150 n. 25

miseria  54, 55, 56, 92, 122 misericordia  8, 55, 64, 99, 102, 103 monachesimo 15 monaco (monastico)  7, 8 n. 8, 10, 13, 14, 103n mondo  10 n. 14, 20, 52, 55, 57, 60, 63, 64, 65, 67, 68,73, 75, 76, 78, 80, 84n, 86, 87, 90, 93, 96, 101, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 116, 117, 118, 119, 121, 122, 123, 126, 129, 131, 133, 137, 138, 147 n. 15, 153 n. 31, 164 n. 64, 165 n. 67 monte (montuoso)  89, 91, 92, 99, 103 105, 106, 110, 111, 115, 118, 119, 120, 121, 121n, 134, 136, 137, 159 n. 52, 160 n. 54, 162 n. 59, 162 n. 60 morte  7, 8, 15 n. 31, 61, 64, 71, 77, 78, 79, 80, 85, 97, 107, 109, 110, 112, 117, 126, 129, 130, 131, 132, 153 n. 31, 168 n. 76

maestro  9, 13, 14, 16, 17, 18, 21, 21 n. 52, 84, 84n, 89n, 91, 91n, 155 n. 36, malato 55 male  24, 66, 71, 88, 114, 148 n. 17, 153 n. 30, 160 n. 52, 162 n. 59 malvagio  24, 61, 66, 67, 81, 83, 93, 100, 153 n. 30, 155 n. 36, 156 n. 42, 158 n. 49, 163 n. 62, 169 n. 78 manicheo  9 n. 13, 84 manoscritto  17, 18 n. 38, 21, 26, 63n, 140 n. 2, 146 n. 15, 156 n. 41, 167 n. 72 mare  55, 60, 65, 66, 68, 69, 69n, 70, 85, 86, 87, 113, 114, 115, 119, 127, 131, 132, 148 n. 17, 168 n. 78, 169 n. 78 martire  11, 12 medico 55 mente  52n, 74, 78, 96, 105n, 108 Messia (messianico)  16, 125, 151 n. 26 metafora  69, 81, 88, 89, 111, 121n, 128, 162 n. 59 metodo (metodologia)  14, 20, 164 n. 64 mezzogiorno  104, 105, 159 n. 52, 160 n. 52, 160 n. 53 minaccia (minacciare)  61, 89, 103, 123, 128, 159 n. 50, 164 n. 63, 170 miracolo 82

nazione  28, 57, 58, 59, 61, 64, 69, 70, 71, 77, 78, 79, 80, 85, 86, 87, 99, 111, 118, 123, 127, 130, 131, 134, 144 n. 9, 170 n. 80 nemico  16, 18, 54, 64, 66, 81, 109, 116, 149 n. 19, 151 n. 26 notizia  7, 14, 18 n. 41, 26 n. 78, 147 n. 15 notte (notturno)  9, 10, 13, 60, 91 nudità  87, 88, 89 Nuovo Testamento  121, 147 n. 15, 150 n. 24, 151 n. 26, 156 n. 40 obelo  102n, 144 n. 7 oleastro  136, 170 n. 80 olio  123, 124, 125, 166 n. 68 olivo  133, 134, 136, 137, 138, 169 n. 80, 170 n. 80 origenismo (origenista, antiorigenista)  15, 19 n. 46 pagano  7, 8, 11, 20, 22, 122n, 123, 130, 149 n. 22, 164 n. 64, 168 n. 75 parabola (parabolico)  77, 79, 135, 149 n. 24, 150 n. 25

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Indice delle cose notevoli

paradiso  70, 90 paretimologia  140 n. 1 parola  8, 8 n. 5, 13, 16, 28, 51, 52, 55, 56, 58, 60, 62, 63, 66, 72, 74, 75, 77, 80, 82n, 86, 87, 88, 90, 93, 97n, 99, 100, 101, 104n, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 115, 116, 117, 118, 119, 121, 122, 131, 132, 134, 134n, 140 n. 3, 141 n. 3, 142 n. 5, 146 n. 14, 153 n. 31, 155 n. 36, 158 n. 49, 159 n. 52, 160 n. 54, 161 n. 55, 162 n. 59, 162 n. 60, 163 n. 61, 165 n. 67, 168 n. 78, 171 n. 81 parto (partorire)  79, 119, 120, 123 Pasqua 87 passerotto 63 pazienza (impazienza)  55, 68, 72, 74, 149 n. 23 peccato (peccatore)  24, 55, 57, 61, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 70, 81, 83, 87, 92, 98, 99, 102, 105n, 108, 112, 116, 122, 122n, 123, 124, 126, 128, 133, 159 n. 50, 164 n. 63, 164 n. 64, 166 n. 68, 170 n. 80 pecora  55, 76, 92, 133, 137 penitenza  62, 86, 99, 123, 135, 166 pensiero  19, 21 n. 52, 54n, 74, 81, 104n, 133, 164 n. 64 pernice  79, 150 n. 25, 151 n. 25 persecutore  145 n. 13, 146 n. 13, 168 n. 76 persecuzione  8, 57, 80, 118, 130 persona  54, 54n, 66, 68, 74, 75, 78, 79, 84, 85, 104n, 149 n. 19, 157 n. 45, 170 n. 80 perspicuitas 27 perversione 84 pesca  69n, 70, 148 n. 18, 148 n. 19, 149 n. 19, pesce (pesciolino)  55, 66, 67, 68, 69, 69n, 70, 72, 75 peste 109 piacere  61, 63, 112, 148 n. 17 pietà  55, 65, 74 pietra  71, 72, 73, 81, 82, 83, 84, 85, 91, 94, 95, 100, 120, 149 n. 20

polemica (polemico, polemicamente)  11, 15, 19 n. 46, 96, 156 n. 42, 166 n. 69 popolo  24, 54, 54n, 56, 58, 66, 72, 74, 75, 76, 78, 79, 102, 112, 113, 114, 116, 117, 118, 119, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 143 n. 6, 144 n. 8, 149 n. 23, 160 n. 54, 163 n. 62, 164 n. 64, 165 n. 68, 166 n. 68, 167 n. 70, 169 n. 80, 170 n. 80, 171 n. 81 preda  58, 65, 68, 69, 77, 78, 81, 153 n. 30, 165 n. 66 predicazione  84, 86, 117, 121, 153 n. 30, 164 n. 64 preghiera  13, 91, 92, 97, 98, 99, 100, 106, 113, 126, 129, 132, 133, 158 n. 48 prete 14 prigioniero  59, 60, 62, 65, 68, 71, 79, 88, 127 principe  66, 67, 70, 86, 109, 121, 121n, 126, 129, 131 profeta (profetico, profetizzare)  7, 10, 12, 13, 15, 18 n. 40, 19, 20, 21, 21 n. 50, 23, 24, 26, 51, 52, 53, 54, 54n, 55, 56, 58, 64, 65, 66, 67, 68, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 76n, 79, 81, 83, 85, 87, 98, 99, 100, 101, 102, 104n, 114, 115, 123, 124, 126, 132, 135, 137, 140 n. 1, 140 n. 2, 141 n. 3, 142 n. 4, 143 n. 5, 143 n. 6, 143 n. 7, 144 n. 8, 144 n. 9, 144 n. 10, 145 n. 12, 147 n. 15, 149 n. 23, 149 n. 24, 150 n. 24, 151 n. 25, 151 n. 26, 153 n. 30, 153 n. 31, 154 n. 33, 155 n. 36, 157 n. 44, 157 n. 46, 158 n. 49, 159 n. 49, 160 n. 53, 161 n. 55, 165 n. 68, 169 n. 80, 171 n. 81 profezia  51, 52, 75, 76, 84, 98, 99, 141 n. 3, 142 n. 4, 143 n. 6, 150 n. 25, 158 n. 48, 159 n. 49, 167 n. 69, 171 n. 81 prologo  15 n. 32, 21 n. 50, 23, 89n, 143 n. 7, 144 n. 9, 158 n. 49

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Indice delle cose notevoli

137, 138, 139, 152 n. 28, 153 n. 30, 160 n. 52, 162 n. 59, 163 n. 62, 165 n. 68, 166 n. 68, 167 n. 70, 169 n. 78, 169 n. 80, 171 n. 81 sangue  8, 57, 65, 70, 77, 78, 79, 80, 85, 86, 87, 88, 92, 93, 100, 107, 114, 117, 129, 130, 153 n. 29, 153 n. 31 santo (Santo)  11, 12, 15, 21 n. 52, 56, 57, 60, 64, 65, 66, 67, 70, 71, 73, 80, 87, 90, 91, 95, 96, 97, 99, 101, 103, 104n, 105, 106, 108, 111, 115, 116, 124, 128, 129, 131, 136, 137, 141 n. 3, 156 n. 40, 156 n. 42, 162 n. 59, 166 n. 68, 167 n. 70, 169 n. 78 sapienza (sapiente)  9, 18, 55, 63, 89, 94, 95, 105, 107, 111, 114, 116, 119, 120, 121n, 122, 132, 144 n. 10, 145 n. 10, 159 n. 52, 160 n. 54 scarabeo  81, 82, 83, 84, 151 n. 27, 152 n. 28 scettro  113, 116, 127, 128 schiavitù (schiavo)  56, 65, 89, 112, 121, 132, 165 n. 68 scienza  55, 63, 80, 111, 114, 120, 121, 132 scisma 14 scriba 101 scultura  93, 94, 95, 156 n. 39 scuola (scolastico)  8, 9, 11, 13, 14, 17, 22, 130, 152 n. 28,159 n. 49, 166 n. 69 segretario  11, 15 senato 15 sentenza  56, 135 sentinella 71 Serafini  16, 18, 21, 21 n. 52, 101, 122 serpente  98, 109, 110, 138, 155 n. 36 servizio (servire, servo)  24, 61, 62, 70, 80, 107, 115, 117, 122, 130, 135, 141 n. 3, 149 n. 19, 149 n. 23, 151 n. 26, 156 n. 42, 163 n. 62 Settanta (LXX)  10 n. 16, 17, 18 n. 38, 19, 20, 24, 51, 51n, 54, 55, 56, 56n, 57, 58, 59, 61, 64, 66, 69, 70, 71, 71n, 72, 73, 74, 75, 76n,

promessa (promettere)  9, 10, 19 n. 46, 24, 74, 75, 76, 78, 83, 89, 91, 99, 101, 102, 103n, 128, 158 n. 49, 159 n. 49, 169 n. 80, 171 n. 81 propiziatorio 101 provvidenza  58, 61, 67, 68, 145 n. 12, 162 n. 57 puledro d’asina  62 punizione (punire)  24, 62, 63, 64, 65, 75, 90, 121n, 129, 149 n. 23, 158 n. 49, 159 n. 50, 164 n. 63 rabbino (rabbinico)  15, 18, 143 n. 7, 154 n. 33 regno  63, 79, 83, 89, 99, 108, 109, 116, 118, 123, 127, 132, 143 n. 6, 148 n. 19, 153 n. 32, 162 n. 58 reni  67, 67n rete  69, 69n, 70, 71, 72, 75, 148 n.18 retorica (retorico)  11, 27, 156 n. 39 rettile  55, 66, 67, 68, 69, 70, 72, 75 ricchezza (ricco)  11, 22, 55, 57, 61, 63, 70, 78, 81, 92n, 111, 112, 117, 131, 150 n. 25 ricerca  20, 21, 26, 72, 74, 75, 104n, 140 n. 1, 156 n. 41, 158 n. 48, 171 n. 81 rinoceronte 109 risposta (rispondere)  23, 55, 58, 64, 71, 72, 73, 81, 82, 83, 85, 99, 144 n. 10, 145 n. 12 risurrezione  98, 101, 157 n. 46 sacerdote  124, 128 sacrificio  69, 89, 92 salmo  24, 55, 85, 87, 92, 99, 104n, 107, 110, 113, 120, 138, 152 n. 28, 157 n. 44 salterio  98, 106, 139, 143 n. 6, 161 n. 55 salvezza (Salvatore, salvare)  24, 28, 52, 54, 55, 63, 68, 75, 76, 83, 84, 90, 93, 97, 98, 101, 102, 105, 106, 107, 108, 110, 113, 114, 115, 116, 118, 119, 123, 124, 125, 125n, 126,

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Indice delle cose notevoli

77, 78, 78n, 81, 82, 82n, 83, 85, 86, 88, 94, 95, 98, 100, 101, 101n, 102, 103, 106, 106n, 107, 109, 110, 111, 112, 113, 115, 116, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 137, 143 n. 7, 148 n. 17, 149 n. 22, 157 n. 46, 158 n. 48, 159 n. 49, 159 n. 52, 161 n. 55, 162 n. 57, 162 n. 60, 163 n. 62, 166 n. 68, 167 n. 71, 167 n. 72, 168 n. 76, 168 n. 77 silenzio 74 simbolo (simbolico, simboleggiare)  92, 150 n. 25, 150 n. 25, 161 n. 56, 162 n. 58, 167 n. 73 simulacro  69, 94, 95, 96, 97, 156 n. 42 sinagoga  136, 169 n. 80, 170 n. 80 sogno  9, 9 n. 13, 10, 10 n. 14, 13 sole  107, 118, 121, 122, 165 n. 66 sopraffazione 24 spelonca  88, 91, 92, 93, 155 n. 36 speranza  74, 121, 169 n. 80 splendore  90, 94, 106, 106n, 107, 108, 109, 118, 121, 122, 127, 140 n. 1, 161 n. 56, 165 n. 67 sposo (sposa)  104, 110, 115, 122, 160 n. 52, 163 n. 62 statua  93, 94, 95, 97, 129, 168 n. 76 sterco  84, 151 n. 27 stilita 13 storia (storico, storiografico) [historia, historicus], 14, 15, 18 n. 41, 22, 24, 25, 52, 52n, 53, 57, 59, 63, 78n, 82, 112n, 128, 141 n. 3, 143 n. 6, 145 n. 12, 149 n. 23, 151 n. 26, 153 n. 30, 153 n. 31, 154 n. 32, 154 n. 33, 155 n. 35, 163 n. 60, 165 n. 66, 167 n. 69, 168 n. 76, 169 n. 80, 171 n. 81 straniero  14, 127 studio (studioso)  13, 14, 15, 16, 17, 26, 104n, 161 n. 55 superbia  24, 60, 78, 79, 81, 84, 89, 110, 146 n. 14, 149 n. 23, 150 n. 25, 162 n. 59, 170 n. 80

supplizio  62, 89, 92, 93, 102, 103, 112, 113, 123 Targum  18 n. 40 tartaro 122 tavola (tavoletta)  72, 73, 73n, 74, 75, 76, 99 tempio  53, 54, 55, 56n, 72, 79, 89, 91, 95, 96, 112, 126, 143 n. 6, 144 n. 8, 148 n. 16, 156 n. 42 tempo  7, 8, 12, 28 n. 83, 53, 54, 55, 62, 63, 73, 75, 76, 78, 81, 82, 87, 88, 101, 102, 103, 106, 107, 117, 119, 121, 127, 130, 131, 133, 134, 134n, 136, 138, 161 n. 55, 161 n. 56, 168 n. 75, 168 n. 76 tentazione 14 teodicea  23, 24, 25, 143 n. 6, 149 n. 23 teologia (teologico)  14, 16, 21 n. 52, 142 n. 5, 150 n. 24, 167 n. 70 terra  51, 53n, 58, 58n, 59, 60, 61, 62, 65, 68, 77, 78, 79, 80, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 95, 96, 99, 101, 105n, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 116, 117, 118, 119, 123, 125, 127, 128, 133, 138, 140 n. 1, 153 n. 30, 161 n. 56, 164 n. 64, 166 n. 68 terrapieno  59, 60, 63, 65, 66 timore  95, 100, 112, 119, 128, 132, 133 tradizione (tradizionale)  16, 18 n. 40, 20, 26, 63n, 84, 84n, 90, 104n, 140 n. 1, 140 n. 2, 150 n. 25, 152 n. 27, 152 n. 28, 161 n. 55 traduzione (traduttore)  10, 10 n. 16, 12, 16, 17, 18 n. 38, 19, 20, 25, 26, 27, 28, 51, 51n, 56n, 57, 58, 74, 82, 82n, 83, 88, 100, 102, 104n, 106, 106n, 120, 127, 128, 134, 141 n. 3, 158 n. 47, 160 n. 52, 161 n. 55, 166 n. 68, 167 n. 72, 168 n. 76 tribolazione  54, 55, 56, 61, 95, 127, 128, 133, 134, 135, 137 trono 21 tropologia  63, 97, 119, 128

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Indice delle cose notevoli

unguento  61, 123, 124 universo (universale, universalmente)  14, 108, 113, 114, 131, 147 n. 15

vipera  84, 157 n. 45 virtù  98, 105, 106, 107, 108, 109, 111, 131, 133, 138, 148 n. 17, 160 n. 52, 165 n. 67 visione (uisio)  9, 10, 13, 21, 22, 24, 51, 52, 72, 73, 74, 75, 75n, 76, 76n, 78, 99, 101, 120, 140 n. 1, 141 n. 3, 142 n. 4, 149 n. 23, 166 n. 68, 168 n. 76, 169 n. 80 vita (eterna)  9, 10, 10 n. 14, 11, 12, 13, 52, 61, 62, 75, 96, 102, 105n, 108, 113, 117, 126, 140 n. 2, 150 n. 25, 157 n. 43 vittima  8, 69, 70, 89, 130 vizio (vizioso)  13, 61 volontà (volontario)  52, 55, 97, 98, 99, 107, 138, 152 n. 28 Vulgata  10, 20, 101, 101n, 140 n. 2

vaso  52, 56n, 92, 123, 131 vasaio  52, 92 vedova 15 velo  74, 150 n. 24 verga 76 verità (veritiero)  56, 57, 63, 95, 99, 107, 114, 121, 124, 154 n. 33, 156 n. 39, 157 n. 43 verme  83, 85, 128, 152 n. 28 vigna  60, 108, 114, 130, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 169 n. 80 vino  61, 77, 78, 92, 135 violenza  24, 52, 54, 98, 110, 128, 139

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INDICE DEI NOMI ANTICHI E MODERNI

Abacuc  12, 15, 17, 18, 19, 20, 21, 21 n. 50, 23, 24, 25, 26, 26, 27, 51, 52, 53, 67, 76n, 78n, 94n, 97n, 98, 103n, 104n, 140 n. 1 e 3, 141 n. 3, 143 n. 6, 144 n. 7 e 8 e 9, 145 n. 10, 146 n. 15, 147 n. 15, 149 n. 23, 157 n. 46, 161 n. 55, 165 n. 67, 169 n. 78 e 80, 171 n. 81 Abel, F. M.  21 n. 50 Abele  57, 67 Abdia (profeta)  13, 22, 27, 130, 157 n. 46 Abramo  105, 117, 126, 128 Acab 130 Adamo  70, 125, 148 n. 19 Adrach (terra di)  51 Adriaen, M.  26, 26 n. 75, 27 Adriano (imperatore)  87 Africa 11 Aggeo (profeta)  157 n. 46 Agostino  7, 8 n. 8, 9, 9 n. 13, 10, 10 n. 16, 11, 16 Alessandro di Afrodisia  11 Alipio 8 Ambrogio  151 n. 25, 152 n. 28 Amos (profeta)  157 n. 46 Anania 56 Anna (madre di Samuele)  108, 126 Antiochia (sull’Oronte)  11, 12, 13, 14, 21, 89 Antonio  7 n. 3

Apollinare di Laodicea  14 Apollo 68 Aquila  51, 57, 60, 71, 71n, 75, 83, 85, 88, 96, 98, 100, 103, 103n, 106, 109, 113, 116, 125, 161 n. 55, 166 n. 68 Aquileia  12, 19, 19 n. 46 Arabia  59, 62, 145 n. 13 Aram  143 n. 6 Aristotele 11 Aronne 90 Assiri  51, 53, 143 n. 6 Assiria  143 n. 6 Atanasio (di Alessandria)  7 n. 3 Atene 13 Ayán Calvo, J. J.  147 n. 15 Azael 123 Azaria 56 Babele (torre)  146 n. 14 Babilonia  24, 52, 53, 56, 56n, 60, 69, 78, 85, 86, 89, 136, 144 n. 8, 146 n. 14, 148 n. 16, 154 n. 32, 154 n. 33 Badilita, C.  151 n. 26 Barabba 57 Baranina (maestro giudeo di Girolamo) 14 Bardy, G.  17, 147 n. 15 Bart, K.  9 n. 12 Basilio di Cesare  141 n. 3

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Indice dei nomi antichi e moderni

Beelzebul (Beelzebub)  109, 129 Bel (divinità babilonese)  61, 69, 94, 148 n. 16 Bendinelli, G.  20 n. 49, 27 n. 81 Bertrand, A.  152 n. 28 Betlemme  8 n. 8, 15, 19, 103n, 106, 160 n. 53 Bonoso (amico di Girolamo)  9, 11, 12 Bordeaux 12 Bruto 11 Burstein, E.  17

Cromazio  12, 19, 19 n. 46, 51, 98 Curzel, C.  28 Dalmazia  7 n. 1, 11, 12 Damasco 51 Damaso  11, 12, 14, 15, 15 n. 31 Daniele  53, 56, 94, 108, 120, 143 n. 7, 144 n. 7, 144 n. 8 Daniélou, J.  25 n. 68 Davide (re)  82, 99, 115, 123, 124, 152 n. 28 Decio (imperatore)  129 Deira (Dora) 94 Deniau, F.  105n Didimo (il Cieco)  7 n. 3, 15, 104n, 141 n. 3, 142 n. 5, 143 n. 5, 145 n. 11, 148 n. 18, 152 n. 29, 155 n. 37, 159 n. 51, 159 n. 52, 160 n. 52, 162 n. 57, 163 n. 61, 164 n. 63, 165 n. 67, 167 n. 70 Diodoro di Tarso  104n Dölger, J.  151 n. 27 Domínguez García, A.  26 Domiziano (imperatore)  129 Dorival, G.  144 n. 7 Duval, Y.-M.  15 n. 31, 24 n. 66, 54n, 140 n. 2, 152 n. 28, 170 n. 80

Cain, A.  15 n. 31 Caino  67, 125 Calcide (deserto)  12, 13, 14 Caldei  24, 52, 54, 58, 59, 61, 62, 63, 64 Canellis, A.  10 n. 16, 15 n. 32 Capone, A.  11 n. 19 Cartaginesi 82 Castellino, G.  104n Castorina (zia di Girolamo)  9 Cavallera, F.  7 n. 3, 14 n. 26 Cedron (torrente)  90 Celso  167 n. 73 Ceresa-Gastaldo, A.  19 n. 45 Cesarea  15, 16, 71n, 101n, 104n, 122n, 125n, 141 n. 3, 142 n. 4, 159 n. 51, 161 n. 55, 162 n. 58, 169 n. 78 Chedar  122, 122n Ciccarese, M. P.  146 n. 13, 151 n. 25 Cicerone  9, 9 n. 13, 10, 11, 13, 22, 82 Cirillo di Alessandria  21 n. 50, 141 n. 3 Cirillo di Gerusalemme  160 n. 53 Ciro (re dei Persiani e dei Medi) 123 Clark, E. A.  21 n. 52 Clemente di Alessandria  159 n. 50 Cocchini, F.  159 n. 50 Cola, S.  13 Corath (torrente)  90 Costantinopoli  13, 14, 25 Courcelle, P.  14 n. 26, 22 n. 59, 146 n. 15, 147 n. 15, 151 n. 25, 167 n. 73

Egitto  13, 15, 56, 65, 90, 91, 114, 123, 135, 138, 154 n. 32, 155 n. 35, 163 n. 62, 165 n. 68 Egnatia (via)  12 Elia  90, 91, 114, 115, 124, 130 Elio Donato (maestro di Girolamo)  9, 14, 17 Eliodoro 11 Eliseo  114, 115, 124 Epifanio di Salamina (Cipro)  15, 154 n. 34, 167 n. 71 Erasmo da Rotterdam  25, 26 Erma  146 n. 15, 147 n. 15 Erodoto 22 Esaù 57 Esdra 128 Esichio di Gerusalemme  141 n. 3 Ester  143 n. 7 Etiopia  112, 155 n. 35

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Indice dei nomi antichi e moderni

Eusebio (padre di Girolamo)  8, Eusebio di Cesarea  16, 17, 16, 17, 76n, 101n, 104n, 122n, 125n, 142 n. 4, 147 n. 15, 159 n. 51, 161 n. 55, 162 n. 58, 167 n. 71, 169 n. 78 Eustochio (amica di Girolamo)  9, 15 Evagrio (di Antiochia)  13, 14 Ezechiele  12, 60, 65, 76, 113

Giovanni (apostolo)  75, 80, 115, 124, 135, 151 n. 26 Giovanni di Gerusalemme  15, 19 n. 46 Girolamo  7, 7 n. 3, 8, 8 n. 8, 9, 10, 10 n. 14, 10 n. 16, 11, 12, 12 n. 22, 13, 14, 15, 15 n. 31, 16, 17, 18, 18 n. 38, 18 n. 40, 19, 20, 21, 21 n. 50, 21 n. 52, 22, 22 n. 57, 23, 24, 25, 27, 28, 52n, 56n, 71n, 76n, 78n, 89n, 92n, 94n, 96n, 97n, 101n, 103n, 104n, 105n, 106n, 112n, 134n, 140 n. 2, 141 n. 3, 142 n. 4, 142 n. 5, 143 n. 6, 143 n. 7, 144 n. 7, 144 n. 8, 144 n. 10, 145 n. 11, 145 n. 13, 146 n. 13, 146 n. 14, 146 n. 15, 147 n. 15, 148 n. 19, 149 n. 22, 150 n. 25, 151 n. 25, 151 n. 27, 152 n. 28, 153 n. 29, 154 n. 33, 154 n. 35, 155 n. 39, 156 n. 40, 156 n. 41, 156 n. 42, 156 n. 43, 157 n. 44, 157 n. 45, 158 n. 47, 158 n. 48, 158 n. 49, 159 n. 49, 159 n. 50, 159 n. 52, 160 n. 52, 161 n. 55, 162 n. 56, 163 n. 60, 163 n. 61, 163 n. 62, 164 n. 64, 164 n. 65, 164 n. 66, 165 n. 67, 165 n. 68, 166 n. 68, 167 n. 72, 167 n. 73, 168 n. 74, 168 n. 75, 168 n. 76, 168 n. 77, 169 n. 78, 169 n. 80, 170 n. 80 Giuda  53, 54, 56, 58, 78, 79, 89, 143 n. 6, 145 n. 12, 153 n. 32, 165 n. 67 Giudea  88, 117 Giudici (libro dei)  136 Giuliano (imperatore)  8, 129, 130, 167 n. 73 Giuseppe (figlio di Giacobbe)  105 Giustiniano (imperatore)  21 n. 52 Gomorra  67, 134 Gordon, R. P.  18 n. 40 Grätz, H.  18 n. 40 Graves, M.  18 n. 39, 156 n. 41 Grecia  116, 147 n. 15, Gregorio di Nazianzo  14, 25, 155 n. 36

Faran (monte)  103, 105, 105n, 106, 160 n. 54 Fernández Lois, A. H. A.  167 n. 69 Fernández Marcos, N.  71, 167 n. 71 Filistei 117 Filone  22, 141 n. 3, 142 n. 5, 155 n. 39 Flavio Giuseppe  22, 87n, 146 n. 14, 148 n. 16 Frontone 13 Gabaa 110 Gabriele (angelo)  135, 137 Gallia 12 Gamaliele 77 Geon (fiume)  90, 90n, 155 n. 35 Geremia  17, 55, 66, 90, 110, 116, 135, 143 n. 6, 151 n. 25, 170 n. 80 Gerusalemme  15, 19 n. 46, 53, 54, 56n, 58, 67, 78, 79, 87, 89, 136, 141 n. 3, 143 n. 6, 144 n. 8, 153 n. 29, 153 n. 31, 154 n. 32, 160 n. 53, 168 n. 78, 169 n. 79, 169 n. 80 Gesù figlio di Iosedec  128 Gesù figlio di Sirach  120 Gezabele 130 Ghicon (fiume)  155 n. 35 Giacobbe  57, 128 Giasone 17 Giobbe  89n, 128, 144 n. 10 Gioele (profeta)  157 n. 46 Giona (profeta)  19, 67, 157 n. 46 Giosia 56 Giordano (fiume)  90, 110, 113, 114, 155 n. 35

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Indice dei nomi antichi e moderni

Gregorio di Nissa  104n, 142 n. 5, 163 n. 62

24 n. 67, 25 n. 70, 26 n. 76, 27, 27 n. 79 e 81, 28 n. 82, 82n, 112n, 152 n. 27 Marcella (amica di Girolamo)  15, 103n Margarino, S.  141 n. 4 Mar Rosso  113, 114 Martianay, J.  26, 26 n. 73, 27 Marrou, H.-I.  23 n. 61 Massimiano (imperatore)  129 Mastrorosa, I. G.  15 n. 30 Medi  78, 123, 165 n. 68 Melania (senior)  15 Melezio 14 Mercati, G.  125n, 147 n. 15, 161 n. 55 Messina, M. T.  19 n. 45, 27 Michea (profeta)  21 n. 50, 125, 157 n. 46 Michele (angelo)  135 Misaele 56 Monica (madre di Agostino)  9 n. 13 Monaci Castagno, A.  28, 29, 112n Montano  52, 142 n. 4 Moreschini C.  11 n. 19, 14 n. 28 Moro, C.  18, 19 n. 44 Mosè  90, 91, 99, 115, 122, 135, 136, 149 n. 20, 169 n. 80

Harl, M.  56n, 141 n. 3, 167 n. 72 Hartmann, N.  84n Hayward, R.  18 n. 40 Heine, R. E.  161 n. 55 Ieu 123 Ilario di Poitiers  12 n. 22 Ioiachìn, 154 n. 32 Ioiakìm  153 n. 32 Ippolito  145 n. 13 Ireneo di Lione  147 n. 15, 151 n. 26, 160 n. 53, Isacco  117, 128 Isaia  21, 73, 87, 91, 101, 108, 121, 122, 122n, 123, 124, 133, 135, 148 n. 17 Israele  28, 51, 53, 57, 58, 67, 75, 76, 78, 90, 117, 119, 127, 134, 138, 143 n. 6, 163 n. 62, 166 n. 68, 169 n. 80, 169 n. 80, 170 n. 80, 171 n. 81 Italia  11, 12 Jacob, P.  112n Jay, P.  14 n. 26, 17, 53n Jeanjean, 14 n. 26 Joly, R.  146 n. 15

Nabot 130 Nabucodonosor  22, 24, 52, 53, 54, 56, 59, 60, 64, 65, 67, 75, 78, 85, 88, 89, 90, 93, 94, 95, 99, 100, 127, 143 n. 6, 145 n. 12, 146 n. 14, 148 n. 19, 149 n. 23, 150 n. 25, 153 n. 30, 153 n. 32, 154 n. 32, 156 n. 42, 158 n. 49, 163 n. 60 Naid (regione)  125 Naum (profeta)  51, 53, 141 n. 3, 143 n. 6, 157 n. 46 Nautin, P.  17, 19 n. 45, 161 n. 55 Neemia 128 Nerone 129 Ninive  51, 53

Kelly, J.  8 n. 8, 168 n. 74 Laurence, P.  15 n. 30 Lausberg, H.  60n Leanza, S.  17 Libano (monte)  87, 88, 89, 92, 93 Lidda (Lydda-Diospolis)  89, 89n, 154 n. 33 Lübeck, E.  22 n. 57, 52n, 96n Madian, 99, 112 Malachia (profeta)  51, 52, 157 n. 46 Malco (monaco)  13 Mantelli, S.  8 n. 6, 15 n. 33, 18 n. 38, 42 e 43, 20 n. 47 e 48, 21 n. 51, 22 n. 53, 55, 57, 58 e 60, 23 n. 62,

Olimpiadi 116 Omero 11

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Indice dei nomi antichi e moderni

Opelt, I.  17, 89n Origene (Alessandrino)  13, 14, 15, 16, 17, 18, 18 n. 41, 19, 20, 21, 21 n. 50 e 52, 22, 25, 29, 52n, 71n, 101n, 102n, 104n, 105n, 125n, 140 n. 1, 142 n. 4, 145 n. 10, 147 n. 15, 147 n. 15, 148 n. 17, 149 n. 20, 150 n. 25, 152 n. 28, 156 n. 40, 159 n. 50, 161 n. 55, 163 n. 62, 163 n. 63, 166 n. 68, 168 n. 78, 169 n. 78, 170 n. 80 Osea  97n, 157 n. 46

Rebenich, S.  17 Reblatha 89 Rizzi, M.  151 n. 26 Roma (Romani, romano)  8, 9, 11, 12, 14, 15, 15 n. 31, 17, 26 n. 78, 27, 74, 77, 147 n. 15, 149 n. 22, 153 n. 31, 168 n. 75, 170 n. 80 Rufino  11, 12 n. 22, 15, 16, 18, 19, 19 n. 46, 157 n. 45 Sabatier, P.  51n, 82n Saguntini 82 Sallustio  9, 22, 22 n. 58, 82 Salomone  73, 122, 123, 137 Sardanapalo 98 Saul  91, 110 Seneca 11 Senofonte 22 Schade, L.  54n, 142 n. 4, 144 n. 7, 147 n. 15 Sedecia  88, 89, 90, 153 n. 32, 154 n. 32 Siloe  90, 154 n. 35 Simmaco  51, 57, 59, 60, 62, 64, 71, 71n, 73, 76, 78, 82, 83, 88, 95, 97n, 98, 100, 103, 106, 109, 125, 161 n. 55, 166 n. 68, 167 n. 71, Simonetti, M.  15 n. 33, 53n, 104n, 122n, 162 n. 59 Sinai (monte)  91, 106 Siria  11, 13 Siricio 15 Sofonia (profeta)  157 n. 46 Soden, W. von, 146 n. 14 Sodoma  67, 134 Soggin, J. A.  143 n. 6, 154 n. 32 Staub, A.  140 n. 2 Stridone (Stridonense)  7, 9, 12, 13, 17, 19, 21, 26 n. 73 e 74, 112n, 156 n. 42, 161 n. 55 Studer, B.  166 n. 68 Stummer, Fr.  18 n. 40, 84n Susanna  144 n. 7 Sutcliffe, E.  18 n. 39, 101n, 158 n. 47

Palestina 15 Pammacchio 11 Pannonia  7 n. 1 Paola (amica di Girolamo)  15 Paoliniano (fratello di ­Girolamo)  8, 9 Paolino di Antiochia  14, 15 Paolino di Nola  16 Paolo (apostolo)  61, 74, 116, 117, 131, 146 n. 13, 147 n. 15, 149 n. 22, 170 n. 80 Papisco 17 Pelagio 16 Penna, A.  7 n. 4, 8 n. 7, 18 n. 40 e 41, 71n, 157 n. 45, 168 n. 74 e 75 Pennacchio, M. C.  18 n. 38, 97n Peretto, E.  156 n. 42 Persiani  78, 123, 165 n. 68 Pietro (apostolo)  70, 116, 117, 148 n. 18 Plauto 10 Plinio (il Vecchio)  151 n. 27 Plinio (il Giovane)  13, 151 n. 25 Policarpo di Smirne  151 n. 26 Porfirio  11, 143 n. 7, 167 n. 73 Potestà, G. L.  151 n. 26 Prinzivalli, E.  15 n. 33, 104n, 142 n. 5, 155 n. 37 Prospero di Aquitania  7 Quintiliano 13 Rahmer, M.  18 n. 40 Rahner, H.  164 n. 65 Raspanti, G.  22 n. 56

Teodoreto di Cirro  141 n. 3 Teodoro di Mopsuestia  141 n. 3

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Indice dei nomi antichi e moderni

Teodozione  51, 57, 71, 82, 83, 88, 98, 99, 100, 103, 106, 109, 125, 126, 161 n. 55, 166 n. 68 Terenzio 9 Terra Santa  12 Thegri (angelo)  69 Timoteo  74, 114 Tiro  60, 121, 121n Tito (imperatore)  87 Treviri 12

Valeriano (imperatore)  129 Vallarsi, D.,  26, 26 n. 74, 26 n. 75, 27 Vespasiano (imperatore)  87 Villani, A.  54n Virgilio  9, 22 Vittori M.  25, 25 n. 72 Zaccaria (profeta)  51, 52, 72, 114, 115, 118, 141 n. 3, 157 n. 46, 160 n. 52 Ziegler, J.  82n Zorobabele 128

Vaccari, A.  22 n. 53 e 54 Valente (imperatore)  12

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