Com'è dolce Parigi... o no!? 886061452X, 9788860614520

Arroganti, diffidenti, fissati nelle loro manie di grandezza oppure affascinanti, chic, ospitali? Qual è il vero volto d

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Italian Pages 217 [224] Year 2008

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Com'è dolce Parigi... o no!?
 886061452X, 9788860614520

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Fascinosi, chic e ospitali, oppure arroganti con manie di grandezza? Qual è il vero volto dei francesi, i cugini latini eterni rivali in cucina e nella moda? Il giornalista best-seller Antonio Caprarica, vissuto per anni all' om­ bra di Buckingham Palace, si trova improvvisamente catapultato ai piedi della Tour Eiffel, indispettito dal­ l' implacabile burocrazia e dalle salse indigeste che affo­ gano ogni piatto. Ma poi ... Parigi è sempre Parigi! E nel suo viaggio alla scoperta del paese e della cultura dei gallici ritrova le ottime ragioni per le quali la Francia è tanto famosa e popolare. Un racconto curioso e istrutti­ vo, più effervescente di una coppa di champagne.

Visitate il sito www.sperling.it COPERTINA: Foto

©

Roberto Ponti/Grazia Neri

(rielaborata) ART DIRECTOR: Francesco Marangon GRAPHIC DESIGNER: Carlo Mascheroni

€ 6,00

ISBN 978-88-6061-452-0

SUPERTASCABILI 33

Dello stesso autore DIO Cl SALVI DAGLI INGLESI... O NO!? LA RAGAZZA DEl PASSI PERDUTI

(con Giorgio Rossi) GLI ITALIANI LA SANNO LUNGA... O NO!?

ANTONIO CAPRARICA

Com'è dolce Parigi... o no!?

SPERLING & KUPFER

economica Rai

+Eri

COM't DOLCE

PARIGI .. .

O NO!?

Proprietà Letteraria Riservata

© 2007 Sperling & Kupfer Editori S.p.A. l edizione Sperling & Kupfer Economica settembre 2008 ISBN 978-88-6061-452-0

92-1-08

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettua­ te nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico die­ tro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale pos­ sono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rila­ sciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

A Iolanta,

che per amore si è rassegnata al Camembert

«France, d' où vient ton mal, a vrai parler Connais-tu point pourquoi es en tristesse?» CARLO D , 0RLÉA."'"S «Tutto quel che è stato non esiste più. Tutto quel che sarà non c ' è ancora. Non cercate altrove il segreto dei nostri mali .» ALFRED D E MUSSET , La

confessione di un figlio del secolo

Indice

Introduzione l. Parigi, o cara

La cornucopia di avenue Wilson Parigi s ' è presa lo «spleen» A cena con i «revenants» «Ou elles so nt l es neiges d' antan . . . » 2. La figlia del colonnello e il barone ungherese

Arsenico, affari e vecchi elefanti La Corte e il clan

XIII

l 4 5 9 12 17 25 29

3. «Et Dieu créa la femme», ovvero anche Eva era francese

Rondinelle e predatori Del buon uso del tradimento (a letto) «Amour fou» e amor di portafogli Se anche il Crazy Horse ha bisogno del Vi agra. . .

37 40 45 48 52

4. Falsi movimenti di marzo

Meglio «ranocchi» a Londra o mezze maniche a Parigi ? Una scuola a Lumi spenti Abbasso l' LSE, viva la PSE 5. Le mille Versailles dei burocrati

Abbasso l' «ancien régime», viva i «regimi speciali» Quando l o Stato v a i n viaggio premio La «grandeur» finisce in bolletta 6. La Repubblica degli assistiti

Tutti Don Chisciotte, ma paga Pantalone Lavorare pochi, lavorare poco

57 62 65 68 75 82 86 89 93 98 l 02

7. Aiuto, i fondi si comprano gli Champs- Éiysées! 1 07

35 ore, ma non è una vita di piaceri Vade retro, capitalismo? 8. Dolce vita sulla Loira

Tra regine e amanti, cinghiali e foie gras «AAA castello vendesi a prezzi stracciati» Camere con vista . . . degli spiriti 9. La Francia più bianca del bianco

La Francia degli «invisibili» Nella trincea dei gangster-bebè La Repubblica sotto il velo Se Giovanna d' Arco diventa maghrebina

l 09 1 13 1 19 1 23 1 28 133 1 39 1 42 1 45 148 1 53

10. Tartufi e «maitres à penser»

Ma quanto costa «l' exception culturelle» ! Grandina sul «Louvre delle sabbie» Ma dove vanno «l es intellos» . . . Giornalismo alla maionese 11. Finalmente a tavola

Trimalcione sulla Senna L' arte di vivere e i re della truffa Ascensore per le nuvole

1 57 161 1 66 1 70 1 74 181 1 85 1 90 1 94

Introduzione

SONO un uomo fortunato. Dopo un decennio, o giù di lì, trascorso a Londra come corrispondente della RAI, sono passato a fare lo stesso lavoro a Parigi. La sorte, insomma, mi ha regalato la possibilità di vivere in immediata suc­ cessione in due delle più affascinanti metropoli del piane­ ta, e comunque nelle due città che da qualche secolo si al­ temano nel ruolo di capitale d' Europa. «Chi è stanco di Londra è stanco della vita», ammoni­ va già nel diciottesimo secolo il Dottor Johnson, «perché Londra ha tutto ciò che di bello ed eccitante la vita può of­ frire a un uomo. » E dall' altra parte della Manica - all ' e­ poca ancora risparmiata dall ' insensata iattura del tunnel sotterraneo - Montesquieu gli faceva eco, anche se la sua Parigi non è solo paradiso: «È forse la città più sensuale al mondo e dove i piaceri sono più raffinati, ma è forse quel­ la in cui la vita è più dura. Perché un uomo viva deliziosa­ mente, bi sogna che altri cento lavorino senza tregua» . L' ingiustizia, sì, ma nessun intello, nessun intellettuale francese, ha mai dubitato che sulla Senna risplenda il faro XIII

mondiale dell' intelligenza e della libertà. Era ancora il Seicento, e già Molière scriveva ne Le preziose ridicole : «Ritengo che fuori Parigi non ci sia salvezza per la gente per bene» . Ahimè, forse non appartengo alla categoria, perché a Parigi ci sono rimasto pocç, meno di un anno : più o meno tra le barricate innalzate dai giovani a marzo contro il con­ tratto di primo impiego voluto dal premier Dominique de Villepin, l' Apollo della politica francese, e le primarie so­ cialiste di novembre che hanno candidato all ' Eliseo Sé­ golène Royal, novella Afrodite della gauche transalpina. A fine 2006, come alcuni di voi sapranno, sono stato ri­ chiamato a Roma per dirigere Radio Uno e i Giornali Ra­ dio RAI. E sono anzitutto io a chiedermi, cari lettori, per­ ché ci ho messo nove anni prima di mettere mano al mio racconto sull' Inghilterra, mentre mi sono bastati nove me­ si per affidare alla penna le mie impressioni sui francesi. Non fatico a trovare la risposta: perché i cugini gallici mi sono antipatici, e ho fretta di regolare i conti. Fretta, prima che svanisca l' indignazione per i loro eccessi buro­ cratici . La rabbia per la loro arroganza. Il fastidio per il lo­ ro formalismo. L' insofferenza per la loro cucina affogata nelle salse e ricoperta di panna. Getto fin da subito la maschera. Chi vorrà seguirmi in questo viaggio tra usi e costumi della Douce France non si aspetti toni pacati e osservazioni spassionate. Più che un diario di bordo , questo è un giornale d eli ' anima: la quale, quotidianarileilte esulcerata dalla vicinanza degli insolenti parigini, tenderà a traboccare n eli ' invettiva da pamphlet. Ma, per onestà, devo ammettere che un po' me la sono XIV

voluta. Non ho dato retta al consiglio che pure non mi stanco di elargire agli altri : mai passare direttamente da Londra a Parigi. Dali' algida ma comoda indifferenza de­ gli eredi di Wellington alla poliziesca curiosità dei discen­ denti di Napoleone. Evoco questi due antagonisti con pre­ cisi intenti provocatori ali' indirizzo dei cugini francesi, che patiscono attacchi di orticaria al solo sentire il nome del vittorioso generale inglese. Pensate che, ricevendo al castello di Windsor il presi­ dente Chirac in occasione della celebrazione del centena­ rio della Entente cordiale, la regina Elisabetta II ha dovu­ to per una sera cambiare il nome della Wellington Room in «Sala della musica» . Altrimenti il «vecchio amico» J ac­ ques se ne sarebbe rimasto a Parigi . . È lo stesso Chirac che a un convegno europeo a Bruxelles si è alzato e se n ' è andato, perché l ' ex presidente della Confindustria france­ se aveva pronunciato in inglese le prime frasi (solo le pri­ me, per carità . . . ) del discorso ufficiale. Se sperate che i francesi si siano un po' vergognati del loro leader, siete in errore. Tutti i sondaggi erano a suo favore, e pure l ' autista che il giorno dopo mi portava in aeroporto non aveva dub­ bi : «Il faut, monsieur, résister a cette vague anglaise» , bi­ sogna resistere a quest' ondata inglese. Con queste premesse, la storia tra me e Parigi non po­ teva che partire male. Ho vissuto nove anni a Londra sen­ za mai entrare in un ufficio comunale e senza mai dover produrre un qualsivoglia documento d' identità. Un' inde­ scrivibile sensazione di libertà. Ecco, provate dopo di ciò a metter piede in Francia: vi accadrà, come minimo, quel che è successo a me. Arrivo a Parigi in un gelido gennaio, e miracolosamente .

xv

trovo subito casa non lontano dal mio ufficio RAI, all ' an­ golo di avenue Montaigne. Bene, dico al padrone dell ' ap­ partamento, stendiamo il contratto. Bene, dice lui, ma pri­ ma occorre che lei apra un conto in banca. Mi precipito nell' agenzia della Banque Palatine, in rue de la Pompe, Se­ dicesimo arrondissement: è la filiale che serve anche la RAI, sanno che sono il nuovo capo della Sede, mi accolgo­ no stendendo tappeti rossi. Vorrei . aprire un conto, dico su­ bito alla gentile direttrice. Bien sur, Monsieur, cinguetta lei, ma abbiamo bisogno del suo indirizzo di casa . . . Ma co­ me faccio, Madame, se il proprietario non mi affitta casa prima che lei mi conceda il conto corrente? ! Ci metto un' ora a uscire da questa tagliola tipo «comma 22» (se sei pazzo puoi chiedere l' esenzione militare, ma se la chiedi vuoi dire che non sei pazzo . . ) . E ne vengo a capo solo ap­ plicando il più tipico metodo italiano: la raccomandazione. La Francia per me è stata, in questo senso, una lenta preparazione al ritorno a casa. Vizi e virtù sui due lati del­ le Alpi hanno molti punti di contatto. E forse anche per questo i difetti gallici mi sono risultati tanto irritanti . Co­ me scorgere riflesso in uno specchio un brufolo dimenti­ cato. Dopotutto, lo scrittore Jean Cocteau sosteneva che «i francesi sono italiani di malumore». E chi perdonerebbe i nostri tanti misfatti, a noi abitanti della Penisola, se per soprammercato fossimo pure malmostosi? I francesi, invece, non se ne curano. I loro cani sporca­ no i marciapiedi di Parigi quanto - e più - dei nostri a Ro­ ma. La loro burocrazia è più pesante e più costosa della nostra (ma molto più efficiente) . I loro ragazzi non spicci­ cano una sillaba d' altra lingua che non sia il francese. I lo­ ro sindacati paralizzano il paese senza preavviso . Ma la .

XVI

Francia è convinta di restare maestra al mondo , e non s ' accorge che scivola lentamente in serie B. Se gli italiani si cullano nel perenne dibattito sul declino, i cugini d' Ol­ tralpe continuano a crogiolarsi in una vuota ma tonitruan­ te grandeur. È l ' arroganza che più di ogni altra cosa li rende antipatici. Non che manchino di qualche ragione. Un paese in cui un cognome su dieci è preceduto dalla particella nobiliare «de», può vantare come pochi altri un passato di aristocra­ tici maneschi . Non a caso, inglesi e francesi si autodefini­ scono le due razze guerriere d' Europa. In entrambi i paesi non mancano castelli, imponenti raccolte d ' arte (spesso bottino di guerra . .. ) e snob di vario tipo. Ma tutti e due gli imperi si sono da tempo dissolti, e se gli inglesi possono fingere di essere contitolari di quello americano, ai fran­ cesi è preclusa pure questa consolazione. Epperò, più passano i mesi, più mi assale la nostalgia. Ora che Parigi è lontana, mi manca il mio balcone sulla Tour Eiffel, le passeggiate sugli Champs- É lysées, lo stru­ scio elegante di avenue Montaigne, le architetture rinasci­ mentali del Quinto arrondissement, l ' aria ribalda di certe periferie vicino al mercato delle pulci di Saint -Ouen. Mi viene il sospetto che il mio livore antigallico nasca soprat­ tutto da un' attesa tradita, da un amore che avrebbe voluto sbocciare ma ha trovato dali' altra parte dei cuori sordi . Perché, è vero, Paris, c 'est toujours Paris. B ella, lan­ guida, affascinante. Vi condurrò per i suoi quartieri più esclusivi come per le sue vie più segrete. Questo fascino la compensa d' aver perduto ciò a cui maggiormente tene­ va: la fiaccola dell ' avanguardia. I nuovi Picasso o Modi­ gliani sono piuttosto di casa a Londra o a New York. Coco XVII

Chanel se n'è andata, e la moda s ' inchina ai designer mi­ lanesi, o perfino inglesi. Assediata dalle banlieues di colo­ re Parigi somiglia sempre più a un gigante rachitico, con­ dannato a non crescere. Ma prima di metterei in cammino, lasciate che ringrazi pubblicamente le persone che mi hanno aiutato in questa incursione nei costumi francesi . La prima, anche questa volta, è mia moglie Iolanta. Non posso dire che con i fran­ cesi abbia vissuto un idillio, ma non ha perso niente della verve cronistica che aveva già manifestato a Londra. E, te­ nuto presente che nel giro di un anno ha realizzato tre tra­ slochi, penso che sarebbe giusto proporla per la Legion d' onore. Un grazie di cuore anche al resto della famiglia mamma Annamaria, Serenella, Natasha - che, sebbene lontana, ha sopportato per telefono tutte le manifestazioni di irritazione e impazienza prodotte dali ' eccesso di lavo­ ro. Non mi è stato facile scrivere e al tempo stesso dirige­ re l ' informazione radiofonica del servizio pubblico più una grande rete come Radio Uno. Perciò, questo diario non avrebbe visto la luce senza il sostegno e l' incoraggia­ mento dei miei carissimi amici della Sperling & Kupfer. L' amministratore delegato Marco Ferrario è l ' editore che tutti sognano. Antonella Bonamici l ' editor ideale. Paola Caviggioli dirige l ' ufficio stampa con la stessa creatività e l' appassionata competenza con cui sceglie i vini . E Ales­ sandra Frigerio è la più infaticabile organizzatrice di even­ ti che abbia mai incontrato . A tutti gli altri che non cito chiedo scusa e rivolgo lo stesso un grazie sincero. Ma un pensiero particolare va ai miei collaboratori e amici dei mesi trascorsi a Parigi. Annie, Cristina e Michelle XVIII

sono lì il motore della RAI, ma soprattutto sono tre gran dame di testa e di cuore. Roger il principe dei cameramen, e non solo per via dell'aristocratica passione per golf e ca­ valli. Mario una specie di Archimede Pitagorico che risolve ogni problema. Li abbraccio tutti, e li ringrazio: per aver sopportato le mie intemerate contro la Francia, ma pure per avermi - senza darlo a vedere - insegnato ad apprezzare e amare le sue virtù. Nascoste, magari, ma ci sono. La ville lumière stordisce sempre, e continuerà a farlo, per le sue prospettive, il suo gigantismo monumentale, la dolcezza dei suoi Lungosenna. Certo, non c'è foie gras del Périgord né ostrica di Bretagna che possa nascondere la nostalgia del primato perduto (perfino nel pallone . . . ) . Ma i n fi n dei conti è proprio questo spleen a riconciliarci con i francesi, a farceli sentire più vicini. Noi italiani ci siamo già passati . E non potevamo neppure, come loro, annegare la malinconia nello champagne. Parigi, marzo 2007

XIX

1

Parigi,

o

cara

ARRIVO a Parigi in tempo per le barricate. Quelle fasulle,

purtroppo. Non lo dico per nostalgia da vecchio sessantot­ tino, ma per disappunto professionale. Ero troppo giova­ ne, in quel miti co Maggio di quasi quarant' anni fa, per se­ guire da reporter anziché da tifoso le battaglie con i fiies nei vicoli del Quartiere Latino. E oggi, che mi preparo a epici reportage con il casco in testa (i casseurs picchiano duro), non ci metto molto a capire che quella della prima­ vera 2006 è soltanto, come titola il britannico The Econo­ mist, una phoney revolution, una rivoluzione fasulla. I gio­ vani francesi ribelli del 2006 mimano i loro padri, ma non per cambiare il mondo. Solo per conquistare, anche loro, il privilegio di un posto a vita. Del resto i fuochi del «nuovo ' 68» si spengono presto. Ma sono a loro modo istruttivi per capire che cosa è di­ ventata la Francia del Duemila, questo grande paese che ha egemonizzato l ' Europa per due secoli e mezzo, e fatica ora ad adattarsi al ruolo della più grande tra le medie po­ tenze. l

Per la verità, se uno arriva da Londra a Parigi in aereo, come decido di fare al momento di trasferirmi, ha piutto­ sto la sensazione di sbarcare in un paese in via di svilup­ po. Il lettore italiano, che ha la fortuna di scendere al nuo­ vo terminai F dell ' aeroporto Charles De Gaulle, penserà che qui pesi la dichiarata g allofobia dell' autore. Ma giuro che in questo caso pregiudizi e antipatie non c ' entrano. Il fatto è che purtroppo venendo da Londra si arriva al ter­ minai B dell' aérogare di Roissy, e in questo caso il primo impatto con Parigi non può che lasciare sbalorditi . Ville lumière? Di luce, per ora, non c ' è traccia. In questo immenso hangar grigio-cemento, corridoi chilometrici si snodano al chiarore fioco di tubi neon semiconsumati . Non ci sono indicazioni, oppure ce ne sono troppe e contraddittorie, e tutte comunque solo in francese. Non provate a sedere sulle rare poltroncine se non volete rischiare una macchia d' unto sui pantaloni o - vista la sporcizia - forse anche peggio. Poiché la struttura del terminai è circolare, il nuo­ vo arrivato che non sia dotato del quoziente intellettivo di Einstein rischia di girare in tondo prima di azzeccare il ri­ pido sentiero verso l' uscita. Ripido? - vi chiederete - Co­ me ripido? Sissignori. Il terminai B del De Gaulle è pro­ babilmente l' unico al mondo dove i tapis roulants non si muovono in piano ma vanno su e giù come fossero monta­ gne russe: immaginate la fatica per impedire alle valigie di rotolarvi addosso· scivolando all ' indietro oppure, sul declivio della discesa, di rovinare sul malcapitato che si trova davanti a voi . Comunque, sopravvissuti al nastro trasportatore, supe­ rato l ' arcigno poliziotto di frontiera che controlla il passa2

porto, Parigi finalmente ci si spalanca dinanzi. Un mo­ mento. Non subito. Da Roissy agli Champs- É lysées, dove abbiamo preso casa, se ne va un' ora buona, e visto che siamo in piena ora di punta l' autista ci informa che siamo pure fortunati . Impareremo presto che la péripherique, passaggio obbligato per chiunque debba andare in aero­ porto, è un incubo per tutti i parigini. Più o meno come il Grande Raccordo Anulare a Roma: è come giocare alla roulette russa con l ' aereo che dovete prendere. A volte ce la fate, altre volte no. Ma all ' arrivo almeno, se non si ha fretta, non ci sono patemi d' animo, e ci si può rilassare osservando il pae­ saggio. Non che ci sia molto da vedere lungo l ' autostrada che taglia la cinta delle banlieues. La freccia che indica l ' uscita S ai nt-Denis una volta evocava l ' immagine del­ l' abbazia dove sono sepolti i re di Francia, oggi i foto­ grammi bui e cupi della rivolta - quella sì, autentica - dei giovani immigrati nell ' autunno 2005 . All' orizzonte si sta­ glia alla nostra sinistra la sagoma bianca del Sacré-Coeur, gigantesca meringa collocata in cima alla butte Montmar­ tre . Il meglio d eli ' arte del Novecento è passato per le viuzze strette che tagliano la collina e adesso prosperano sui mille negozietti di souvenir. Al punto opposto della skyline, nella precoce sera invernale s ' accende improvvi­ sa la Tour Eiffel, come un ago lucente confitto nel buio. È un' immagine che ipnotizza, ma genera pure un inquietan­ te interrogativo : e se anche Parigi, tutt ' intera, fosse ormai soltanto un souvenir?

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La cornucopia di avenue Wilson Per fortuna il giorno dopo il nostro arrivo è sabato, e a due passi da casa, sulla prospettiva imponente del viale dedicato al più idealista dei presidenti americani, la gente si accalca nel mercato all' aperto bisettimanale. La vita la spunta sui monumenti. Da escludere che in futuro Parigi dedichi non dico un' avenue ma anche solo una rue al de­ testato George W. Bush: ma d' altronde anche oggi - sic transit gloria mundi sono decisamente pochi i parigini ai quali il nome Woodrow Wilson ricordi il padre della pa­ ce di Versailles e della Lega delle Nazioni, piuttosto che il largo e lungo marciapiede centrale, dali' Alma al Trocade­ ro, trasformato due volte la settimana in bazar alimentare. Per chi arriva dall' Italia, forse, niente di eccezionale. I nostri mercati ali' aperto, da Campo de ' Fiori a Roma a quello del pesce a Catania, non temono certo concorrenza in fatto di leccornie. Ma per chi viene dali ' altra parte della Manica, il classico marché francese è come un bagno nel­ la fontana della vita. La dice lunga il fatto che a Londra, nel reparto alimentari di Harrod's, ogni volta che si vuole colpire il pubblico si allestisca un finto mercatino medi­ terraneo, mimando costumi e comportamenti dei vendito­ ri . In Francia, come da noi, non c ' è bisogno di imitazioni : offriamo solo gli originali, e sono ogni volta affascinanti . I turisti a Parigi conoscono soprattutto quel regno del­ l' abbondanza che si snoda nel Quartiere Latino, lungo la stretta e affollata rue Mouffetard . Il mercato di avenue Wilson è meno pittoresco, ma altrettanto tentatore. Volete ostriche, bar-de-ligne (la spigola dell' Atlantico), anguille, montone, coqu illes S aint-Jacques, testina di vitello ? O -

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forse couscous, mezzeh libanesi, fragole di bosco e marro­ ni di montagna, o ancora scalogno e finocchio, prezzemo­ lo e sesamo? La Tour, lì a due passi, svetta giusto sopra le nostre teste, ma la luce del mattino la riduce a un titanico pezzo di ferro . E, quel che più ci solleva (lolanta è già quasi entusiasta) , il mercato non ha un' aria da cartolina: pulsa di vita, e di golosità. Date un nome al vostro deside­ rio, e sui banchi del mercato Wilson lo troverete. Per di più, a un prezzo ragionevole. Che non è poco, per il quar­ tiere forse più caro di Parigi. Mia moglie, reduce dalle astronomiche spese !ondine­ si, dove la frutta si vende a pezzo (60 centesimi un man­ darino), passeggia affascinata tra le bancarelle. Incanto che sembra condiviso dai tanti anglosassoni arrivati per la spesa, armati di cesti di vimini e borse di tela, che si affan­ nano a riempire fino all ' orlo. I venditori, se non sono asia­ tici o nordafricani, sembrano venire in gran parte dalla campagna fuori Parigi : cordiali, sorridenti, pazienti con lo straniero che non padroneggia la lingua. Insomma, il con­ trario dei parigini .

Parigi s'è presa lo « spleen » Che cosa è successo a quella che era la città più gaia del mondo? Perché diavolo i suoi abitanti sembrano avercela con ogni straniero che gli capita a tiro? Esito a unirmi al coro degli osservatori che lamentano la sgarberia dei pa­ droni di casa, ma è un' esperienza comune a ogni turista. Provate a entrare in uno dei tanti deliziosi negozietti che si · aprono sulle stradine attorno a piace des Vosges, il 5

gioiello del Quarto arrondissement. Miriadi di boutique, di piccole gallerie d' arte, di profumerie e di bistrot. Giu­ stamente, ora che il suo restauro è finito, la piazza creata da Enrico IV e i suoi dintorni sono diventati una delle grandi attrazioni della capitale. Arrivano carovane di ita­ liani (quasi tutti quelli che conosco a Roma hanno un pied-à-terre da queste parti . . . ), di tedeschi, di europei del­ l ' Est. I negozianti - uno immagina - dovre bbero avere stampato in faccia un sorriso smagliante da mattino a sera. E invece . . . «Bonjour, Madame ! » Silenzio della vendeuse. Il malcapitato cliente saluta di nuovo a voce più alta, nel caso la poverina fosse d' orecchio duro. No. è solo male­ ducata. Guai poi a chiedere la taglia. Con disdegno questa fortunata ari stocratica gallica vi chiede in quale inferiore nazionalità calcolate d' abitudine le vostre misure. Se tar­ date a capire la domanda ve la ripete parecchi decibel più forte , in modo da rendere evidente all'universo mondo che disponete o di' un francese limitato - quel dommage! che peccato ! - o quanto meno di un intelletto limitato. In ogni caso, non aspettatevi che vi ringrazi se alla fine, no­ nostante tutto, decidete di fare un acquisto in questo dan­ nato negozio. Uscito dalla boutique con il pacco che vi è costato una cocente umiliazione, vostra moglie vi chiede sul telefoni­ no di fermarvi in boulangerie prima di tornare a casa per pranzo. «Questione di un minuto, dev i solo prendere la baguette. » Se non .si. è ancora fatta l' esperienza, l ' ipotesi di entrare, poniamo, da Vignon, la bottega d'alimentari giusto ali ' angolo di casa mia, può anche risultare affasci­ nante. Intanto sia chiaro che se vi immaginate una banale salsamenteria siete fuori strada. Vignon è l ' equivalente a 6

tavola di un Armani nell'armadio. Le vetrine su rue Clé­ ment Marot traboccano di ogni ben di dio, solo roba di prima scelta: aragoste Termidoro, caviale Beluga irania­ no, granchio gigante di Bretagna, foie gras del Limousi­ ne . . . Per noi italiani di gusti più rustici c ' è pure il pro­ sciutto di Parma. Ma va a 80 euro al chilo : è la tassa che si paga per vivere nell' Ottavo arrondissement, tra le sartorie più chic e i marmi dell' Hotel Plaza Athénée. Tuttavia, so­ lo una baguette . . . Ma sì, entriamo. C ' è folla davanti al bancone, ma per uno che viene dal­ l ' Inghilterra disporsi in coda è naturale, come aprire l ' om­ brello se piove o piegarsi per allacciare le scarpe. Errore. È evidente che nessun altro lì dentro ha dimestichezza con la perfida Albione, per cui è tutto un vociare e un urlarsi addosso. Bisogna giocare d' audacia. Arpiono un garzone che passa e gli chiedo il mio sospirato filone. Dimostro abbastanza autorità perché lui ne sfili uno dalla gerba del pane, ma quando allungo la mano per prenderlo, mi gela: «Nient' altro, Monsieur?» È chiaro che non è disposto a tollerare risposte negative. Ma da me non avrà altro che un no. Mi faccio coraggio e lo dico. Ammutolito, lo sguardo carico di disprezzo, il giovanotto in camice bianco si decide a battere lo scontri­ no mentre io gli allungo una banconota da 5 euro. Senza una parola lui invece mi porge il tagliando e mi indica con un gesto secco la cassa nascosta dietro la porta d' ingresso. Una matrona dai pomelli rossi e i capelli color stoppia vi­ gila come Caronte sulle sponde del fiume infernale. Mi avvicino, mi rimetto in coda, porgo lo scontrino e i 5 euro, e lei finalmente stampiglia un bel timbro vermiglio, PAGA­ TO, sul quadratino di carta. Esausto, lo ritiro assieme alle 7

monete di resto - 3 euro e mezzo, la baguette da Vignon costa il doppio del normale - e finalmente lo consegno al­ l' odioso garzone ottenendo in cambio il mio pezzo di pa­ ne. Esco dal boulanger dopo diciassette minuti (cronome­ trati) . Sogno l a quiete del mio appartamento, in un grande palazzo haussmanniano di pietra bianca su rue Marbeuf, e un bicchiere di bianco Sancerre ghiacciato. Dopo le prove che ho attraversato, mia moglie non me lo negherà. Illuso. Ancora non è finita. Nel vasto androne di casa, la gardien­ ne sta effettuando le pulizie bisettimanali. Vedermi e but­ tarmi tra i piedi un secchia d' acqua è tutt' uno . Sospetto che non abbia digerito il nostro primo incontro. Suonò al­ la porta del nostro appartamento solo a trasloco terminato: «Bonjour m 'ssié. Sono la vostra portiera, Madame Le Grand» (mai dimenticare che in Francia sono tutti Mon­ sieur e Madame, dal ciabattino al presidente, come se i sanculotti si fossero appropriati dell' etichetta di Corte . . . ) . Senza far caso al trucco ineccepibile, agli occhiali Dior e al golfino d' angora rosa della curatissima signora sui ses­ santa, le chiesi se poteva anche sbrigare per noi le faccen­ de di casa. Mi fulminò con lo sguardo prima di sibilare : «Le manderò la mia domestica, Madame XY » . «Bonjour Madame Le Grand» , l e dico con i l più cor­ diale dei sorrisi mentre evito di scivolare sulla pozza d' ac­ qua che ha formato ai miei piedi . Lei fa un freddo cenno di riconoscimento çon la testa, ma mi lascia passare. An­ cora un passo, e sono in ascensore. Finalmente in salvo ! Non pensate che si tratti solo di rari maleducati . La Francia sembra chiudersi in se stessa, e al posto della tra­ dizionale insolenza sbarazzina, a suo modo simpatica e 8

cordiale, inalbera adesso l ' aria di chi «tiene il mondo in gran dispitto». Perché tanto fastidio verso gli altri, tanta burbanzosa sufficienza? Gli intellettuali si interrogano e dietro l ' aggressività quotidiana scorgono un paese che si teme impoverito e si scopre impaurito. Evidentemente non da adesso, però, se già Cocteau - come abbiamo visto - definiva i suoi compatrioti italiani di cattivo umore. Un gran vegliardo come Jean d' Ormesson sostiene che i suoi connazionali sono diventati «così inquieti e irritabili da apparire spesso in preda alla depressione, sull ' orlo della crisi di nervi» . E questo perché «ciò che manca di più in questo vecchio paese, così a lungo all ' avanguardia del movimento della storia, è la speranza» . Chissà se pure Madame Le Grand se n ' è accorta?

A cena con i « revenants » Una sera a Parigi capita di incontrare un gruppetto di rispettabili persone che al «movimento della storia» non fanno più caso da un pezzo. O forse non l ' hanno mai fat­ to. Invito a cena in una gran casa elegante di avenue Ho­ che, tra l ' Arco di Trionfo e Pare Monceau : uno degli indi­ rizzi che contano. Gli anfitrioni, anche. Due gentiluomini di mezz' età che formano una celebrata coppia di antiqua­ ri, sul lavoro e nella vita. La magione si presenta sontuosa. Ma non è una sorpre­ sa. Se Londra ama l ' understatement anche ai vertici della società, a Parigi è vero il contrario. La ricchezza e il pote­ re non sono riconosciuti come tali se non sono accompa­ gnati da un' adeguata rappresentazione. A Parigi le resi9

denze dei grandi, e degli aspiranti tali, aborriscono i toni bassi, il minimalismo, le luci soffuse. I soffitti delle case haussmanniane grondano stucchi elaborati e chandeliers di cristallo. Pesanti panneggi oscurano le finestre alla vi­ sta dei comuni mortali che passano per strada e tappezze­ rie di seta foderano le stanze come bomboniere. Ricordo su un numero di Paris Matçh un servizio fotografico dedi­ cato al palazzo dei d' Ornano, i proprietari della cosmetica Sisley. Un incredibile trionfo barocco, una capriola della fantasia, tra specchiere e quad ri , arazzi e pelle di zebra, poltrone Versace e in oro zecchino. E porcellane, argenti, avori . . . Ecco, la casa dei nostri ospiti è meno esagerata, ma rigurgita di cose· belle. E soprattutto di bella gente. No, non la people, come i settimanali patinati defini­ scono collettivamente le star dello showbiz. Di cantanti, attrici, registi e chitarristi, stasera nemmeno l'ombra. Ho il sospetto che prima di diramare gli inviti, i padroni di ca­ sa chiedano le analisi del sangue . Per accertarsi che sia tutto rigorosamente blu. A mano a mano che vengo pre­ sentato agli altri ospiti, mi accorgo che stringo la mano o, se signora, la bacio - a parecchi secoli di storia di Fran­ cia. Il vecchio duca de La Rochefoucauld, una secca prin­ cipessa di Polignac erede dell ' amica più cara della sfortu­ nata Maria Antonietta, lì nell' angolo un conte de Noailles che chiacchiera cordialmente con la baronessa Bonaparte, discendente di uno dei fratelli di Napoleone . . A suo modo è un salotto progressi sta, visto che riconcilia l' ancien ré­ gime e ]a più fresca nobiltà dell'Impero. I repubblicani, naturalmente, restano fuori. Se l ' informalità è la cifra dell ' aristocrazia britannica ­ l' unica che ancora conti come classe nel mondo - qui in.

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vece, tra i nobili sopravvissuti alla Rivoluzione e alla Re­ pubblica, l ' etichetta celebra ancora i suoi trionfi . In parte è la stessa lingua francese che come poche altre favorisce atteggiamenti e dialoghi pomposi - volete mettere la so­ norità di un «Monsieur le Comte» con la sbrigativa defe­ renza di «Your Lords lÌip», Vostra Signoria? Ma pesa so­ prattutto la tradizione, quella di una Corte francese che si vantava del più complicato cerimoniale regio mai conce­ pito. Scomparsi i Borbone, bruciate le Tuileries, svenduti i loro castelli, i titolati che affollano stasera questa splendi­ da casa alto-borghese evocano le feste dei revenants, che significa «fantasmi» ma designa pure gli aristocratici tor­ nati in Francia alla caduta di Napoleone, ombre invecchia­ te dei potenti di un tempo. E, come loro, gli odierni di­ scendenti hanno l ' aria di aggrapparsi ali ' etichetta come a una ciambella di salvataggio. Si può temere che da un mo­ mento all' altro qualcuno tiri fuori una parrucca incipriata. È un gruppo di persone che sembra essersi isolato dalla storia; eppure la storia, che a Parigi spesso scorre più turbi­ nosa che altrove, si è intrecciata molto e drammaticamente con le loro vicende personali e con quelle delle loro fami­ glie. Potrebbe nasceme una conversazione interessante, se riuscisse a librarsi sopra le generiche banalità beneducate. Ma i titolati francesi sparsi per questi salotti si guardano bene dall' affrontare argomenti più impegnativi del prossi­ mo torneo Roland Garros. Pochi paiono disposti a ricono­ scere che c ' è un mondo oltre i campi da tennis. Chi lo fa, in genere ha radici altrove. Come la simpatica principessa Magaloff, discendente di un' antica famiglia georgiana emigrata a Parigi dopo la rivoluzione bolscevica. O Ales­ sandro di Iugoslavia, che si porta dietro con ammirevole Il

nonchalance ben due tragedie dinastiche. O, infine, la du­ chessa de La Rochefoucauld, che infatti, a dispetto del no­ me, non è francese: è una splendida americana quasi no­ vantenne, arrivata in Europa al tempo in cui le ereditiere statunitensi immettevano sangue, e soprattutto soldi fre­ schi, nelle vecchie famiglie nobili europee. Lo ha fatto an­ che lei, e non ne pare pentita, accanto al suo duca ormai sordo e svagato. La vita - dice - è stata un gran ballo, an­ che se adesso la danza è finita e gli eredi di una delle più grandi casate di Francia vivono n eli' appartamentino di un residence, generosamente offerto da Monsieur Cardin.

«Ou elles sont les nciges d'antan

...

»

Dove sono le nevi di un tempo, cantava il poeta, dove sono le dame e i cavalieri . . . Già, dov ' è finita la Parigi del­ la nostra immaginazione, quella che a cavallo dei due se­ coli passati mischiava Belle époque e avanguardia, il ge­ nio e l ' assenzio, demimondaines e fascinosi apaches dal coltello facile? La sensazione è che non solo i vecchi aristocratici ab­ biano smarrito la memoria, o comunque non vogliano di­ sturbarla. Anche lei, la vecchia signora adagiata sulle rive della S enna, sembra attratta e inorridita a un tempo da un' incombente perdita di identità. O, forse, il guaio di Pa­ rigi è che ha riempito troppa letteratura per non deludere il visitatore che pretende di riconoscerla attraverso le pa­ gine dei libri . Parigi, invece, per i suoi padroni è sempre stata un foglio di carta bianca, una pagina vuota su cui tracciare a piacere, con rapidi colpi di ruspa, i segni del 12

proprio nome. Ogni nuovo regime un quartiere, una stra­ da, un monumento. Ma anche da ogni nuovo leader un bu­ co, una lacerazione irreparabile nella precedente topogra­ fia cittadina. Georges Pompidou strappò il mercato delle Halles dal petto medievale di Parigi, e i suoi successori al­ l' Eliseo hanno continuato a esigere ognuno la sua libbra di carne dal tessuto connettivo urbano. È la teoria e prati­ ca dei grands projets, a cui dai giorni della Rivoluzione la capitale non è mai riuscita a sottrarsi. L' ultimo (per ora) dei suoi faraoni, François Mitter­ rand, ha voluto anche spiegare qual era, secondo lui , la funzione dei grandi lavori : «Sono innanzi tutto questo», scriveva il presidente nella prefazione al volume Architec­ tures capita/es, «il partito preso di dar corpo con forza ad alcuni progetti maggiori , di pubblica utilità e che non prendano l ' architettura alla leggera. Non impongono uno stile, ma partecipano a un' urbanistica volontaria che adat­ ta la città alla posta in gioco del prossimo secolo» . I l risultato di questa «urbanistica volontaria» è che l a Parigi di cinquant' anni fa è pressoché scomparsa e i l re­ styling cittadino ha inghiottito non solo le case e le strade, ma anche interi ceti sociali, abitudini, stili di vita. Se vole­ te sapere com' era la città di Maigret non vi resta - per for­ tuna - che la sublime descrizione di Simenon. Un italiano guarda affascinato e perplesso a questa Pa­ rigi camaleontica, che cambia pelle con la stessa facilità con cui noi cambiamo idea. Si conferma che la Francia ha uno Stato, istituzioni, potere politico . Il ceto dirigente e gli amministratori pubblici prendono decisioni e le realiz­ zano . Nel tempo in cui in Italia si discute se fare o no la TAV, la Francia ne fa due. E la Repubblica democratica 13

non si mostra più impacciata della dittatura del Secondo Impero : se il barone Haussmann spianò la città dell ' an­ cien régùne per aprire le vertiginose prospettive dei suoi viali, Mitterrand non è stato certo più timido nel disegnare il grande asse urbano che solca diritto Parigi da piace de la Concorde sino ali ' Are de la Défense, passando per gli Champs- É lysées, l' É toile e l'Arco di Trionfo . Sarebbe una lezione, per l'italico vizio di procrastinare. se non si affacciasse anche un dubbio: ma ne varrà la pena? Sarà poi giusto che Parigi somigli sempre e soltanto ai suoi re? Un vecchio volume di fotografie che ho trovato sugli scaffa li di una piccola libreria ad Amboise. nella valle del­ la Loira. rivela una città che non c· è più. così diversa dal museo a cielo aperto attraversato da torme di turisti. Una Parigi esotica ed eccitante. una capitale alla rovescia per­ ché interdetta al pubblico : la Parigi dei bassifondi e dei reietti che l ' obiettivo di Patrice Molinard consegna al no­ stro inm1aginario, prima che si depositi per sempre nei rac­ coglitori fotografici dei musei. Una città scrostata. tanto in centro quanto in periferia, attraversata senza sosta da schiere inquiete di accattoni, senzatetto, piccoli delinquen­ ti che trovano asilo all'ombra del Pont-Neuf (prima che lo restaurassero) o al bancone ospitale di uno dei tanti bistrot. O magari nel più incredibile e stupefacente dei luoghi pub­ blici. il bordello dei clochards. che esisteva prima della guerra nel vecchio quartiere di Saint-Paul. Sembra quasi di poter annusare d�lle foto l'afrore di esistenze solitarie ed . equivoche. di corpi poco lavati . di amori frettolosamente consumati, magari all'ombra del luna park. che il narratore di questa Paris insolite (Parigi insolita). Jean-Paul Clébert. descrive ancora come «Un paradiso perduto» . . . 14

Insomma, il fondale perfetto di un romanzo verista, or­ mai cancellato da ciò che i tecnici chiamano asetticamen­ te «rigenerazione urbana» e redéveloppement, nuovo svi­ luppo. È per questo che, secondo un rapporto dello Urban Land Institute, Parigi offre oggi più opportunità rispetto a Londra per gli investimenti immobiliari . La capitale bri­ tannica è già un «mercato maturo», quella francese ha an­ cora spazi da «bonificare». Preparatevi, ruspe, a buttar giù un altro pezzo di memoria.

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La figlia del colonnello e il barone ungherese

novembre 2006 Le Nouvel Observateur, campione settimanale della sinistra intelligente, s ' entusiasmava per il romanzo di Ségolène, e giù i capitoli del racconto : «L' infanzia di una combattente», «Come ha vinto la sua candidatura», «Come prepara il piano di battaglia». Le fo­ to a tutta pagina della bella Madame Royal, baldanzosa e sorridente, appena scelta dalle primarie socialiste per la corsa all ' Eliseo, contribuivano a patinare il nuovo mito con l ' ormai inevitabile glamour mediati co. È vero, il vec­ chio e saggio fondatore J ean D ani el avvertiva n eli' edito­ riale sulle «incertezze dello charme» . Ma con tutta evi­ denza era lui il primo a lasciarsi soggiogare dal fascino, con toni perfino lirici. Dal versante di destra si rispondeva con pari lirismo: «Sarkozy, l' infanzia di un capo», titolava a inizio gennaio una commossa copertina di Le Point, sulla foto legger­ mente sfocata e d 'antan di un S arko giovanissimo ma già in possesso del suo imperioso profilo aquilino. Le avessi­ mo prodotte noi italiani, copertine del genere, sai i sorriNEL

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setti di compatimento o la sdegnata condanna dell ' i tali ca tendenza al servilismo . .. Un anno a Parigi, con relativa frequentazione dei media locali, basta a far sentire qual­ siasi cronista di un altro angolo di mondo un vero eroe della libertà di stampa. Ma delle inclinazioni «anfibie» dei colleghi francesi mi occuperò più avanti. Torniamo ora a Sarko e Ségolène. Ben più della corsa del primo, è stata l ' apparizione del­ la madonnina informatica sulla scena politica a offrire la conferma e la misura della stanchezza dei francesi verso i «vecchi elefanti » : è così che chiamano da queste parti quella classe politica inamovibile che sembra una prero­ gativa speciale dei paesi latini, almeno a giudicare da quanto accade nell' Esagono e in Italia (ma non in Spa­ gna . . . ) . Per la verità vecchi elefanti vengono definiti so­ prattutto quei maggiorenti del Partito socialista che fino a ieri hanno dominato la scena, sin dai lontani giorni felici di François Mitterrand. Proprio per quei ricordi vittoriosi, rappresentano ancora una generazione di dirigenti non priva di meriti agli occhi dei militanti del PS, ormai av­ vezzi a collezionare sconfitte. Il guaio è che i vincitori di ieri sono i principali responsabili dei disastri di oggi . Lio­ nel Jospin, Jack Lang, Dominique Strauss-Khan, Laurent Fabius : padroni di tessere ma non dei sentimenti del po­ polo di sinistra. E a destra meno galli, forse, ma stessi vi­ zi, e mentalità da clan. La sorpresa chiamata Ségolène è tale che perfino un osservatore politico, navigato e smaliziato come Alai n Duhamel sembrava non essersi accorto di lei . Nel suo li­ bro sui «Pretendenti del 2007 » (pubblicato a fine 2005 ), elenca ben quindici possibili candidati alla presidenza 18

della Repubblica, ma nemmeno rammenta l ' esistenza di Madame Royal . Tutti i soliti noti, da Chirac a de Villepin, da Lang a Sarkozy a Le Pen; sono ricordate persino la co­ munista Marie-George Buffet e l ' ultrà cattolica Christine Boutin. N o n manca nemmeno il compagno di Ségolène, François Hollande, segretario del Partito socialista. Ma lei niente, nemmeno citata come madre dei loro quattro figli . Così, questa signora che pare sbucata dal nulla è riusci­ ta a far credere ai francesi di non aver niente a che fare con il Palazzo immutabile della politica, con il museo del­ le cere che allinea da tempo immemorabile le stesse facce, gli stessi metodi , gli stessi rituali . Si è trattato in realtà di u n ' invenzione fantastica, dal momento che Madame Royal, a dispetto del bel volto senza rughe, fa politica di mestiere da trent' anni : è stata deputato, sindaco, ministro, infine presidente della Regione Poitou-Charentes . Insom­ ma, non ha saltato nessuna delle tappe tipiche del cursus honorum della Repubblica. A cominciare, naturalmente, dali' ENA, l ' É cole Nationale d' Administration, autentica fucina dei governi degli ultimi cinquant' anni . M a prima - e più - dei suoi concorrenti, Madame Royal capisce che la globalizzazione alla quale il suo pae­ se si mostra tanto restio non ne sta cambiando solo l ' eco­ nomia, ma pure la politica. Basta affacciarsi dall' altra par­ te della Manica per rendersi conto che la gerontocrazia non è inevitabile, e la corruzione neppure. A Londra un premier di cinquantaquattro anni, e al potere da dieci, vie­ ne giudicato già vecchio e accompagnato alla porta. A Pa­ rigi Jacques Chirac è rimasto ai vertici del potere dai gior­ ni in cui B lair era bambino, cioè per quattro decenni e mezzo, e solo all ' ultimo istante si è rassegnato a rinuncia19

re a correre per un terzo mandato presidenziale. In quale altro posto al mondo (Italia esclusa) esiste una classe poli­ tica altrettanto autoreferenziale? E dove mai, oltre che in Francia, gli eletti considerano la rappresentanza alla stre­ gua di una sinecura? Deputati, ministri e premier restano per decenni anche sindaci del lontano borgo n�tio, si tratti di un paesello o di una grande città. In genere si fanno vedere un paio di volte l' anno, ma si ammantano della carica (con relative cliente­ le elettorali) come i signori feudali dei titoli nobiliari con­ nessi al possesso della terre. L' ex primo ministro Alain Juppé, maire di Bordeaux, Sarkozy, da sempre sindaco di Neuilly, l ' ex ministro socialista Lang, eletto invece deputa­ to nella sicura circoscrizione elettorale di Boulogne-sur­ Mer, dove non ha nemmeno casa (è ospite del miglior al­ bergo) . . . Ma capisco che un italiano è l ' ultimo che può scandalizzarsi. Non solo in Francia, ma qui più che altrove, l' immagi­ ne della politica appare logora e screditata. Il potere è un idolo infranto nel paese che ha inventato la Statolatria e la storica distinzione tra destra e sinistra. Sapete come andò, quel giorno dell ' estate 1 7 89, quando i membri dell ' As­ semblea Costituente si divisero sulla questione del veto reale. Si formarono due gruppi , da una parte e dali' altra del presidente dell ' assemblea: alla sua sinistra coloro che si opponevano al veto, alla sua destra i partigiani della prerogativa del re. Quel giorno si stabilì la linea di demar­ cazione cruciale nella vita politica francese (e di quasi tut­ te le altre democrazie occidentali) . Ma è un fossato che Ségo e S arko hanno più volte attraversato in direzione op­ posta, tutti e due convinti che la Francia del ventunesimo 20

secolo abbia bisogno in primo luogo del ricambio delle élite e delle idee. Candidati di plastica? Creature dei media e dei son­ daggi ? Prima di correre anche lui in suo soccorso, Jospin, il condottiero socialista battuto nel 2002 , non faceva sconti all ' icona tv scelta dalla sinistra: «L' elettronica non dà il contenuto, la tecnica non sostituisce la politica» . Sembrano battute di un socialista ottocentesco catapultato nell' epoca di Marshall McLuhan: «Il mezzo è il messag­ gio», e Jospin avrebbe già dovuto apprendere dalla sua débàcle presidenziale che non fa sconti nemmeno agli spiriti nobili. Disegnare un futuro più rischioso a una Francia che ha paura del presente è un ' acrobazia complicata. Non è un caso che a cimentarsi in questo difficile esercizio siano stati proprio due outsider. La donna socialista figlia di un militare e l ' aristocratico gollista cresciuto senza padre e senza soldi. Entrambi maturati in famiglie spezzate; en­ trambi, in qualche modo, dei fuori casta in grado di sfida­ re le convenzioni dei rispettivi campi . Durante tutta la campagna elettorale i royalisti si sono dati da fare per costruire una bella storia edificante . Sé­ golène, figlia del colonnello Jacques, che si ribella al papà réac, reazionario, e misogino. È lei stessa, che ha ben set­ te tra fratelli e sorelle, a dichiarare in un' intervista televi­ siva del 1 994: «Mio padre mi ha sempre fatto sentire che io e le mie sorelle eravamo degli esseri inferiori» . Al fan­ tasma in képi si contrappone l ' immagine ardita di una donna anticonformi sta, femminista, refrattari a al matri­ monio, tanto da generare quattro figli senza mai pronun­ ciare il fatidico «SÌ» al loro padre Hollande. 21

Eppure ci vuol poco a capire da dove vengono certe sue posizioni che hanno fatto scalpore. Non è lei che vuo­ le affidare alle Forze Annate la rieducazione dei giovani delinquenti? Era tra i figli dei soldati che il colonnello Jacques spediva i suoi bambini . . . Non è lei che detesta la volgarità contemporanea e denuncia la violenza in tv? Sembra di sentire le tirate · del vecchio militare, cattolico di ferro e nemico della «decadenza» . Ségolène, a quanto pare, non prega più a tavola, ma .detesta la blasfemia e di­ fende le giovani musulmane che vogliono portare il velo. E quando celebra la nazione e le sue regioni, è certo che ripensa al padre, che amava la Francia e la natia Lorena, al punto da disporre, nel suo testamento, preghiere perpetue per un condottiero del XV secolo che aveva liberato la sua provmcta. I Royal, insomma, appartengono a una Francia scom­ parsa. Ségolène testimonia di un paese che la modernità ha occultato. Fatto di famiglie prolifiche, di disciplina e di virtù, ma pure di pregiudizi e di segreti inconfessabili . . . Una Francia patriota, cristiana, silenziosa e dignitosa, che ogni tanto si affaccia allo straniero che lascia Parigi per la campagna. Una Francia che fa sorridere gli snob, la Parigi chic, i cittadini illuminati . Che infatti hanno sempre av­ vertito che Madame Royal non è una di loro . E Sarko? A chi appartiene il figlio dell' aristocratico ungherese Pal Sarkozy de Nagy-Bocsa e dell ' avvocatessa Andrée Mallah, famiglia ebraica di Salonicco? Di sicuro non a suo padre. CP,e_lo abbandona bambino, assieme alla madre e ai due fratelli, e si limita al massimo a portare a colazione i figli una volta la settimana alla pizzeria Wa­ gram, vicino al suo ufficio di fortunato pubblicitario. L' e22

migrato ungherese, genio del disegno e del marketing, prospera e sperpera, colleziona limousine e donne, case e yacht in Thailandia, e i Matisse, i Max Emst, i Picasso . . . M a nemmeno un franco per l a sua ex famiglia. Chiamato a versare gli alimenti, arriva in tribunale elegantissimo e con chauffe ur, ma riesce a convincere il giudice che non possiede più niente. Nicolas la prende male, lo afferra vio­ lentemente per un braccio, lui si divincola e lo annichili­ sce con uno sferzante : «Non vi devo niente». Forse è per questo che Sarkozy si è preso tutto, da solo. L' uomo che i nemici chiamano « l ' americano» , il di­ chiarato ammiratore di Blair, non è fortunato con i padri. Nemmeno con quelli politici. Jacques Chirac sembrava ta­ gliato per la parte. Anche lui, invece, lo ha rifiutato. E per l ' ambizioso Nicolas è stato un vantaggio: gli ha permesso di presentare la propria candidatura come un taglio netto con i maneggi della «chiracchia», il clan stretto dei fedelis­ simi. Non foss' altro perché appartiene a un ' altra genera­ zione, appare diverso da tutti i suoi concorrenti di destra. E i suoi legami con il passato, se ancora esistono per lui, non sembrano tali da arrestare il suo insaziabile appetito di azione e di potere. Lo ha già dimostrato amministrando dopo Neuilly, la città con le maggiori fortune del paese, anche il dipartimento più ricco di Francia, il famoso «92», l'Hauts-de-Seine. Un bilancio regionale di 1 ,7 miliardi di euro per meno di un milione e mezzo di abitanti. Insomma, un piccolo Eldorado di appena 1 75 chilometri quadrati che ospita l 00.000 aziende e 880.000 salariati, e che solo nel quartiere finanziario della Défense concentra 2 milioni di metri quadrati di uffici, 1 50.000 impiegati e 1 500 imprese: in poche parole, il polo terziario più denso d' Europa, che 23

guarda senza complessi al modello anglosassone. Non a caso, è anche la ricca base di potere dell' unico leader fran­ cese che non considera «americano» una parolaccia. La stanchezza verso la vecchia politica spiega la terza «novità» delle presidenziali : François B ayrou. Leader centrista stagionato, apparentemente dotato di scarso cari­ sma, ecco all ' improvviso il campagnolo B ayrou - inse­ gnante, allevatore di cavalli - ef!lergere nei sondaggi co­ me il terzo incomodo. L' uomo capace di impensierire Ma­ dame Royal e di battere nell' eventuale secondo turno il favorito Sarkozy. Di più, in grado di mettere in crisi un bi­ polarismo a cui i francesi non credono più, convinti come sono che una volta al potere la sinistra si comporta come la destra, e la destra copia le ricette della sinistra. Qualun­ quismo? Anche. Ma B ayrou è lesto a capire che questo gli apre uno spazio, e spariglia i giochi proponendo il «gover­ no dei competenti», aperto a destra e a sinistra. Una Democrazia cri stiana in salsa Termidoro in pieno Ventunesimo secolo? Appare improbabile, ma nelle istitu­ zioni arrugginite della Quinta Repubblica ha il timbro del­ la grande novità. In realtà, benché sia stato anche lui più volte ministro (con la destra), B ayrou sembra davvero il più nuovo dei candidati, favorito soprattutto dalla sua au­ tenticità, dalla semplicità del suo ambiente umano e poli­ tico. Cattolico osservante, padre di sei figli, sposato da trentacinque anni, Bayrou è fiero del suo Béarn, la regione dei Pirenei atlantic �, e ci tiene a mantenere separata la vita privata nella sua fattoria dalla politica. È arrivato a dire che «i maneggi della politica non mi piacciono. Non fan­ no parte della mia personalità» . Piuttosto che alla tribuna dell' Assemblea Nazionale, si 24

fa filmare da France 2 alla guida di un trattore verde in mezzo a un campo, i Pirenei sullo sfondo (e rivela che il padre è morto cadendo da un carro di fieno). Si dichiara clintoniano e blairiano, ma ribadisce che il darwinismo sociale americano, «la sopravvivenza del più forte» tipica del modello statunitense, non gli piace affatto. Come nel caso di S égo, ma con più forza, è la Francia profonda, contadina, che si annusa compiaciuta nella sua immagine di uomo della campagna. Furbo ma diretto. Così le presidenziali si sono trasformate in un mirabo­ lante gioco di specchi. Ségolène, che era il simbolo della sinistra contro la destra, è stata ben attenta a smarcarsi dal Partito socialista al quale appartiene. D ' altra parte Sarkozy, a capo del movimento neogollista, era il campio­ ne della destra contro la sinistra, ma ha voluto incarnare la rottura con il presidente di cui era ministro. E tutti e due hanno bombardato i rispettivi quartier generali per strap­ pare la nomination a furor di popolo, contro la volontà dei generali. Gli stati maggiori dei vecchi partiti erano troppo impegnati a occuparsi della fureria per pensare alla strate­ gia. E da tempo solo una stampa compiacente e una magi­ stratura obbediente hanno evitato che la Quinta Repubbli­ ca rovinasse sotto gli scandali di una protratta Tangento­ poli in salsa francese.

Arsenico, a ffari e vecchi elefanti Il costo della politica, si sa, avvelena la vita delle de­ mocrazie. Soprattutto quando i partiti sono numerosi e tendono a moltiplicarsi. La Francia è una democrazia pre25

sidenziale o, come sostengono molti, una monarchia re­ pubblicana. Ma gli enormi poteri del capo dello Stato non impediscono una frammentazione della rappresentanza parlamentare : deputati e senatori contano poco, giacché sono lì soltanto per approvare le decisioni prese all ' Eliseo dal capo supremo, però la paga è buona, spagnolesca l' eti­ chetta, ottimo il ristorante interno, e tutto questo stimola la formazione di nuovi gruppi po � itici. Magari se avessi un passaporto francese ne sarei tenta­ to anch' io, dopo aver visitato la sala mensa del Senato. La cucina del Palazzo del Lussemburgo, dove mi invita un vecchio amico ammesso alla Stampa parlamentare, può degnamente competere con parecchi locali più noti e me­ no riservati. Le ostriche, per cominciare, sembrano appe­ na uscite dalle acque limpide e fredde della Normandia, i funghi sono una delizia e il mitico agnello d' Aveyron si scioglie in bocca. Il rosso è S aint-Emilion, uno dei mi­ gliori c r u del Bordeaux, e il dessert - mille foglie di frutta - è all ' altezza del pasto . Il decoro della sala, sobriamente art nouveau, non sfigura con gli splendori rinascimentali dei piani superiori, dove gli affreschi mitologici ordinati da Caterina de ' Medici rifulgono d' oro e lapislazzu l i . Quattro portate, il vino, l a vista . . . e i l privilegio . Tutto per 40 euro a testa. Conscio di aver contribuito ad accrescere il deficit del­ lo Stato francese, mi consola pensare che il Tesoro repub­ blicano è molto pi � g�neroso verso i partiti . La Francia ha adottato il finanziamento pubblico dei gruppi politici, an­ che di quelli che non arrivano a conquistare un seggio in Parlamento . Com ' è noto , non è così ovunque . Non in Gran Bretagna, per esempio, e nemmeno in America. Ma 26

poiché la politica costa, nelle democrazie anglosassoni si riconosce esplicitamente l' esistenza di lobby interessate a sostenere questo o quel gruppo politico : l ' importante è che il contributo finanziario venga pubblicamente dichia­ rato e non superi una certa soglia. Oltralpe, invece, come da noi, paga Pantalone, e generosamente : i contribuenti francesi sborsano l ,66 euro per ogni voto, e a queste con­ dizioni la politica appare un buon investimento anche per le formazioni più eccentriche. Per esempio, un gruppo dal fantastico nome di «Eden, Repubblica e Democrazia» non ha preso voti bastanti per un seggio, ma può ben consolar­ si incassando ogni anno un assegno di 1 50.000 euro. Il guaio è che nemmeno la generosità statale è suffi­ ciente a spegnere appetiti e tentazioni . Les affaires, gli af­ fari, designano le storie sporche e segrete dello Stato. Un tempo erano «affari » di spie e di complotti, storie come quella della Maschera di ferro o il rapimento del duca d' Enghien (accusato di aver congiurato contro Napoleo­ ne) : azioni torbide condotte in nome dell' interesse dello Stato . Così fu ancora sul finire della Quarta Repubblica, o agli albori della Quinta del generale De Gaulle, quando i servizi segreti ricevettero l ' ordine di rapire a Monaco il colonnello Antoine Argoud, accusato di aver fatto parte dell' organizzazione terrori stica dell ' OAS . Ma, appunto, allora si trattava di far scomparire chi, o cosa, nuoceva al­ la ragion di Stato. In seguito, a scomparire sono stati i sol­ di dalle casse pubbliche : fondi sociali stornati, tangenti su commesse, e via di questo passo. Non che la classe politica francese manchi di uomini di specchiata onestà. A proposito di Charles De Gaulle, per esempio, si assicura che la moglie provvedesse a saldare 27

di tasca propria il conto dei pranzi offerti la domenica a tutta la famiglia. Di esemplare rigore pure personaggi co­ me Antoine Pinay, Pierre Mendès-France o, ai giorni no­ stri, Raymond Barre, Olivier Guichard e Michel Rocard. Ma accanto a questi, o dietro di loro, la corruzione ha con­ sumato in profondità il tes �uto connettivo della democra­ zia francese. C ' è chi si è sporcato, come Alain Juppé o Henri Emmanuelli, non per arricchimento personale bensì - ricorda niente al lettore italiano"? - per il partito. Assai di più, però, sono gli altri - politici e funzionari, ambasciato­ ri e ministri - che nell' ultimo quarto di secolo hanno inta­ scato pots-de-vin, bustarelle, a tutto spiano. C ' è la faccenda delle fregate vendute a Taiwan, che si collega oscuramente all ' affaire Clearstream, un tentativo maldestro di far apparire Sarkozy come il beneficiario di tangenti sulla vendita delle navi da guerra. Per un certo periodo, il suo collega-rivale de Villepin è stato sospettato di aver montato il caso ad arte. C ' è l' affare degli apparta­ menti di favore del Comune di Parigi che arriva a lambire l ' Eliseo (Chirac è stato sindaco della capitale) . E, del re­ sto, la regale residenza dei presidenti-monarchi è addirit­ tura battuta dagli scandali, veri o inventati : storie di sesso ai tempi di Pompidou, i diamanti di Bokassa nell' era Gi­ scard, e soprattutto la vera e propria ondata di malaffare sotto il regno di Mitterrand. C ' è il caso di Roger-Patrice Pelat (amico del presidente, accusato di guadagni illeciti in Borsa), e poi quello del miliardario Bemard Tapie (con­ dannato per corruzione), e l ' affondamento della nave eco­ logista Rainbow Warrior. Per non parlare dei suicidi del­ l ' ex premier Pierre B érégovoy e di François de Grossou­ vre (uomo di fiducia di Mitterrand) negli stessi uffici del28

l ' Eliseo. E quando morti come queste restano in spiegate, il clima politico si ammorba. La destra, d' altronde, non è rimasta con le mani in ma­ no. Ci sono stati deputati che hanno minacciato Chirac di denunciarlo ai giudici come complice in affari di pecula­ to, distrazione di fondi, finanziamenti occulti che hanno già prodotto condanne giudiziarie. E anche il vecchio­ nuovo S arkozy è stato tirato in ballo da Le Canard en­ chafné per una storia di appartamenti : è vero o no che il lussuoso attico coniugale sull ' esclusiva I le de la Jatte, a Neuilly, gli è stato venduto a un prezzo di favore? E per di più il costruttore ha pagato di tasca sua i lavori di miglio­ ramento? Tutti negano, ma basterebbe passare dal no­ taio . . . Il risultato, al netto delle sentenze, è che estrema destra ed estrema sinistra, un tempo quasi inesi stenti, hanno sfruttato il discredito della classe politica per conquistare tra un quarto e un terzo dell' elettorato. La verità, come ha scritto Jean d' Ormesson, è che «i calciatori sono popolari. I politici non lo sono più». l

La Corte e il clan Raccontano che, appena entrato all ' Eliseo, quell' uomo rinascimentale di nome François Mitterrand trovasse ina­ deguato alla propria statura politica il vecchio palazzo presidenziale. Che in effetti non è una reggia, ma poco più di un hotel particulier, come venivano chiamate sotto l' ancien régime le magioni degli aristocratici . Mitterrand ci pensò su qualche giorno, poi confidò le sue intenzioni a 29

uno dei consiglieri più fidati, Jacques Attali: perché non lasciare gli spazi ristretti dell ' Eliseo e trasferire la presi­ denza nel monumento più imponente di Parigi, il com­ plesso degli Invalides, che ospita pure la tomba di Napo­ leone? Il consigliere faticò alquanto a convincerlo che for­ se l' opinione pubblica non avrebbe compreso, e alla fine riuscì a dissuadere lo smisurato ego presidenziale. Se non altro per questo, si guadagnò lo stipendio, mentre il vec­ chio leader si rassegnò ad accarezzare les Invalides con lo sguardo dalle finestre del ristorante Le Divellec, il suo preferito, ottima cucina bretone di mare con affaccio sulla celebre spianata. La megalomania mitterrandiana riflette le dimensioni epiche e magniloquenti che il potere tende sempre ad as­ sumere in Francia. «