Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili 887462252X, 9788874622528

Scritto nel 1933, "Ambienti animali e ambienti umani" è l'opera matura di uno dei maggiori biologi del se

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Italian Pages 166 [169] Year 2010

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Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili
 887462252X, 9788874622528

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«Il confronto con le ricerche di Uexkiill è una delle cose più fruttuose che oggi la filosofia possa far propria dalla biologia». (Heidegger,

Euro

r6,oo

Concetti fondamentali della metafisica)

Scritto nel 1933, Ambienti animali e ambien­

ti umani è l'opera matura di uno dei maggio­ ri biologi del secolo appena trascorso, un classico del pensiero europeo del Novecento che ha formato intere generazioni di studio­ si del comportamento animale e della natura umana, in ambito scientifico, filosofico e per­ sino letterario. Uexkiill è considerato il fondatore del­ l' etologia contemporanea e un importante precursore dell'ecologia. Ma la sua nozio­ ne di «ambiente»- termine che è lui stesso a introdurre in ambito scientifico

-

è ben

più avanzata di quella dell'odierna vulgata ambientalista: non a caso è declinata al plu­ rale. L'ambiente in cui e di cui vive una de­ terminata specie, il paguro o la volpe, la talpa o la zecca, è una sfera separata e impe­ netrabile al punto da indurre l'autore a par­ lare, nel sottotitolo, di mondi «sconosciuti e invisibili». Questi mondi o ambienti sono parte costitutiva dell'animale, che non può essere «compreso» senza che si provi ad ac­ cedere a essi: parafrasando Heidegger (peral­ tro suo grande e immediato estimatore) si potrebbe dire che la «struttura antologica» di un animale coincide esattamente col suo > di un mondo che, a diffe­ renza dell'ambiente, la nostra specie deve formare e costruire: «da J. von Ue xkiill in poi è divenuto consueto parlare di mondo -ambiente degli animali. La nostra tesi al contrario dice: l'animale è povero di mondo>> 21• Heideg­ ger afferma esplicitamente che questa distinzione non va intesa «nel senso di un ordinamento gerarchico di caratte­ re valutativo» 22• Allo stesso tempo, tra la condizione ani­ male e quella umana non esisterebbe una distanza mera­ ment c quantitativa «riguardo ad ampiezza, profondità e vastità» del loro ambiente, quanto quel che egli chiama un «abisso>> 23. Martin Heidegger, Die Grundbegriffe der Metaphysik Welt Endlichkeit- Einsamkeit, Klostermann, Frankfurt am Main r 983 (trad. it. di P. Coriando, Concetti fondamentali della metafisica. Monda - Finitez­ za- Solitudine, Il Melangolo, Genova 1999, pp. 302 e sgg.). Heidcggcr, Concetti fondamentali della metafisica, cit., p. 2 50. zo

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lvi, p. 2p. lvi, p. 3 3 7 · Heidegger utilizza alcuni dei primi scritti di Uexkiill pubblicati nella rivista «Zeitschrift fiir Psychologie>> dal 1 896 in poi, la seconda edizione (del 1 9 2 1 ) del libro nel quale aveva introdotto per la prima volta la nozione di ambiente (Umwelt und innenwelt der Tiere, 1 909) e la seconda edizione di Theoretische Biologie. u

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Questa differenza sarebbe legata al fatto che l'essere umano è «formatore del proprio mondo», espressione che ha una accezione triplic e4. L'essere umano produce il pro­ prio mondo: a differenza delle altre forme di vita, per noi è impossibile soprav vivere senza creare una struttura sto­ rico -culturale. In altri termini, per gli umani la variazione storica non è un'opzione ma una necessità biologica (non si forma un mondo nello stesso senso nel quale si forma una «associazione di canto» 25). In secondo luogo, quello umano non è l'animale razionale ma l'animale che ha il logos: tramite il linguaggio dà immagine, rappresenta quel che lo circonda. A questo tema, Heidegger dedicherà tut ­ ta la parte finale del suo corso universitario, rileggendo a suo modo il De interpretatione aristotelico: l'animale uma­ no è un essere vivente aperto > 28• Se da una parte Heidegger riconosce che «lo stordimento è una apertura più intensa e trascinante di qualsiasi conoscenza umana>>29, dall'altra la condizione animale ritaglia nel proprio ambien'7 Rainer Maria Rilke, Duineser Elegien, Insel Verlag, Frankfun am Main 1923 (trad. it. di E. e I. De Portu, Elegie Duinesi, Einaudi, Torino 1978, P· 49). 28 Manin Hcidegger, Wozu Dichter?, in M. Heidegger, Holzwege, Klostermann, Frankfurt am Main 1 9 50 (trad. it. di P. Chiodi, Perché i poeti?, in M. Heidcgger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1 984, P· 27o). 29 Giorgio Agambcn, L'aperto. L'uomo e l'animale, Bollati Borin­ ghieri, Torino 2002, p. 62.

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te un set limitato e preciso di oggetti con i quali entrare in relazione ed è cieca al significato di tutto quello che non vi corrisponde. Mentre l'aperto animale di Rilke è assoluto c statico, l'apertura del mondo umano sarebbe caratterizzata da una apertura storica che fa della formazione delle proprie condi­ zioni di sussistenza un elemento originario e sempre all' ope­ ra. Sia per Rilke che per Heidegger il nostro è un mondo: per il primo ciò vuol dire che la nostra condizione vive di una mancanza (l'assoluto nel quale è immerso l'animale e che noi sfioriamo solo nell'infanzia e nell'innamoramento); per il secondo la disaderenza alle circostanze tipica del mon­ do costituisce la possibilità di percepire le cose per quel che sono e non solamente per il rilievo funzionale che rivestono nell'ambiente. La tesi dell'uomo formatore di mondo è stata sostanzial­ mente accettata da una intera tradizione, la cosiddetta antro­ pologia filosofica, che, seppur con correzioni e distinguo, ha cercato di approfondire, modificare e descrivere la neces­ sità di una categoria descrittiva specifica per l'animale uma­ no. In più di una circostanza, però, questa distinzione ter­ minologica ha destato il sospetto che, al di sotto di una mera questione terminologica, si riproponesse di soppiatto una frattura teologica in grado di dividere in due il regno dei viventi. Purtroppo, questo punto ha finito con diventare ogget­ to di continui fraintendimenti che, come accade nel gioco infantile del telefono senza fili, hanno generato una catena quasi inestricabile di equivoci. Nel dibattito sull'appropria­ tezza delle nozioni di ambiente o mondo umano, riemerge con costanza qu asi ossessiva lo stesso rimprovero: aver sot­ tovalutato la capacità che hanno gli animali di agire e modi-

PREFAZIONE

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ficar c il proprio a mbiente. Sia Ue xkiill, difensore della nozione di a mbiente u mano, che Heidegger, fautore della nozione di mondo, criticano Darwin per aver sottovalutato l'incidenza dell 'organis mo sul suo a mbiente3°. Questi due, a loro volta, sono stati spesso accusati di avere un'idea statica e quasi caricaturale della vita ani male. Molto probabil mente, nessuno degli autori in questione aveva intenzione di cadere in un errore tanto banale. Ue xkiill affer ma esplicita mente che l'ani male contribuisce a costruire il proprio a mbiente (cfr. l'inizio del § 12 di Ambienti animali e ambienti umani, ma anche gli ese mpi delle patelle di mare, le talpe e gli uccelli che costruiscono nidi e porzioni del loro territorio). Hei­ degger ricorda che l'organis mo è innanzitutto movi mento e autocostruzione e che il cerchio ch e circonda l'ani male «non è una corazza fissa posta intorno all'ani male, bensì ciò con cui l'ani male si circonda nella durata della sua vita>>J1• Anche Darwin mostra di non esser vitti ma di una visione statica di quelle che oggi chia mia mo nicchie ecologiche. A di mostrarlo è lo stesso Ue xkiill. In Ambienti animali e ambienti umani Da rwin viene citato solo una volta (cap. 5 ) a proposito di uno studio sui lo mbrichi che, erronea mente, è stato spesso relegato (insie me agli scritti sulle for mazioni coralline) nella produzione geologica o minore del naturali­ sta inglese. Si tratta invece di un libro affascinante nel quale D a rwin mostra che l'azione del lo mbrico modifica struttu­ ral mente quel che lo circonda. Il suo lavoro di filtraggio tra­ sfor ma la co mposizione chi mica del terreno, favorisce la proliferazione della vita macrobiotica modificandone la ,

JO Jakob von Uexkiill, Darwin und die englische Moral, «Deutsche Rundschau••, 1917, 173, p. 229; Heidcgger, Concetti fondamentali della metafisica, cit., p. 3 6 5 . l ' Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica, c it., p. 3 3 1.

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porosità, l 'areazione e il drenaggio. In un anno i lombrichi. sono in grado di smuovere per ogni acro qualcosa come sedici tonnellate di terra: «l'aratro è una delle più antiche e più utili invenzioni dell'uomo; ma, molto prima che esistes­ se, la terra era regolarmente arata, e continua ad essere ara ­ ta dai lombrichi o vermi di terra»J2. Oltre a tradire un'attenzione non proprio impeccabile per le tesi avversarie (episodio non raro nelle dispute scien­ tifiche e filosofiche), la reciprocità del rimprovero espri­ me un disagio più profondo che segnala la presenza di un nodo teorico ancora da sciogliere. Da questo punto di vista, gli ambienti umani di Uexkiill e il mondo di Heideg­ ger sembrano soffrire di handicap complementari: se ogni essere umano ha il suo ambiente come facciamo a com­ prenderci? Se, al contrario, il nostro specifico è rappresen­ tato dalla costruzione del nostro habitat, come la mettia­ mo con casi di vita ani male in grado non solo di modifica­ re la struttura del terreno in cui vivono, ma addirittura di trasformare gli stessi manufatti umani (Darwin insiste sul­ l'importanza dell'azione dei lombrichi per la conservazio­ ne o la distruzione dei reperti archeologici) ? Negli ultimi anni sono state avanzate diverse proposte che tentano di mettere a fuoco le caratteristiche specifiche della nicchia ecologica umana. Alcune (la cosiddetta psico­ logia evoluzionistica JJ) hanno insistito sul carattere cogni­ tivo dell'ambiente umano: un habitat organizzato da una Jl Charles Darwin, The Formation of Vegetable Mould through the action ofthe Worms with Observations on their Habits, Murray, London r 88r (trad. it. di M. Lessona, La formazione della terra vegetale per l'azio­ ne dei lombrichi con osservazioni intorno ai loro costumi, Unione tipogra­ fico-editrice, Torino, r88z, p. 98). JJ Cfr. ad es. John Tooby, Irven Devore, The Reconstruction of Hominid Behavioral Evolution through Strateging Modeling, in Warren

P REFAZIONE

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pletora di istinti legati all'intelligenza strumentale, alle capacità mentali umane di rappresentazione e alla manipo­ lazione dell'informazione. Altre, con diretto riferimento a Uexkiill, hanno insistito sulla struttura linguistica di un ambiente che si fonda sulla possibilità, tutta umana, di «avanzare ipotesi» H e segnato dal paradosso del «sapere che esistono confini che delimitano anche la Umwelt uma­ na senza poterli mai attraversare>> H. Seppur nella loro diversità, queste risposte sembrano mettere a fuoco un dato paradossale: la condizione umana è caratterizzata da un elemento ambivalente3 6 che ha con J. Kinzey (Ed.), The Evolution of Human Behavior: Primate Models, Suny Press, Albany 1987, pp. 1 8 3-237; Clark H. Barrett, Leda Cosmi­ des,John Tooby, The Hominid Entry into the Cognitive Niche, in Steven W. Gangestad, Jeffry Simpson (Eds.), Evolution of Mind. Fundamental Questions and Controversies, The Guilford Press, New York 2007, pp. 24 1 -248. J4 Felice Cimatti, Nel segno del cerchio. L'antologia semiotica di Giorgio Prodi, Manifestolibri, Roma 2000, p. r 3 3 · Cfr. il più recente Felice Ci matti, Il possibile e il reale. Il sacro dopo la morte di Dio, Codi­ ce, Torino 2009, pp. 70 e sgg., nel quale emergono con chiarezza alcuni dei suoi tratti paradossali (sappiamo con certezza che c'è qualcosa al suo esterno ma non cosa sia: p. 73; tra organismo c ambiente c'è sempre una relazione indiretta; è un ambiente sempre all'insegna dell'incertezza e della crisi: pp. 9 5 -96). H Franco Lo Piparo, Il mondo, le specie animali e il linguaggio. La teoria zoocognitiva del Tractatus, in M. Carcnini, M. Matteuzzi, Perce­ zione linguaggio coscienza. Saggi di filosofia della mente, Quodlibet, Macerata 1 999, p. 1 94. J6 Questo elemento ambivalente può essere definito come l'analogo ambientale dell'antinomia di Russell (Paolo Virno, Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana, Boringhieri, Torino 2003, p. 204) e individuato nell'oscillazione, tipicamente umana, tra una istanza di apertura alla contingenza e una opposta di protezione (Massimo Dc Carolis, Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica, Quodlibet, Macerata 2oo8, p. 28 e sgg.). È forse proprio l'am-

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tr ibu ito a favor ire amb igu ità ed equ ivoc i. Da un lato man i­ polaz ione dell' informaz ione, costruz ione d i ipotes i, scon­ tro con il l im ite sono esper ienze umane talmente pervasive da appar ire come il cand idato ideale per descr ivere una struttura amb ientale. Dall'altro, s i tratta d i strutture che invece d i fornire s icurezze comportamentali incr inano le r ig ide certezze t ip iche d i una n icch ia ecolog ica, tanto da r ic h iedere la cont inua costruz ione d idom in iparz ial i e sto­ r icamente l im itati, di < ?). Il problema che esplode tra le mani di Uexk i.ill è ancora aperto: individua­ re le caratteristiche portanti dell'habitat degli esseri uma­ ni richiama sulla scena tutte le sfide che è necessario affrontare per comprendere la natura umana. In Ambienti animali e ambienti umani, Uexk i.ill si impe­ gna in due affermazioni. La prima l'abbiamo vista : l'am­ biente umano è misura dell'individuo e non della specie. La seconda è altrettanto importante, perché può offrire uno spunto teorico in grado di contribuire a uscire dall'impasse costituito dall'opposizione rigida (o dalla identificazione) tra mondo e ambiente. Uexk i.ill af ferma esplicitamente4 6 che i dintorni delle spe­ cie animali, cioè l'invariante costituito dalla struttura mate­ riale del pianeta Terra, corrispondono all'ambiente umano: la loro Umgebung è la nostra Umwelt. Questo collasso garantisce una possibilità : la nostra è la specie in grado di accedere agli ambienti delle altre forme di vita. I':Homo sapiens è organismo dalla spiccata sensibilità ambientale per­ ché ha la possibilità (con l'immaginazione e la parola, con lo sviluppo della tecnica, ma anche con la semplice osserva­ zione empirica) di descrivere e comprendere gli ambienti di 44 Kevin N. Laland, Extending the Extended Phenotype, rappresenta la traduzione, limitata e imperfetta, del tedesco Umgebung. Letteralmente l'espres­ sione indica «quel che si dà (gebung proviene dal verbo geben, dare) intorno (la preposizione um)>>. Questo contiene un elemento vertiginoso, indice di un rove­ sciamento. Rilke lo impiega in verbi composti per contras­ segnare la condizione umana c il suo distacco dall'infinita apertura cui aderisce ogni animale: < >, in unità più o meno grandi. Queste unità associative registrano gli stimoli ester­ ni che giungono al soggetto animale come fossero tanti pun­ ti interrogativi. L'altra metà delle cellule cerebrali è utilizza­ ta dall'organismo come «cellule operative>> o cellule d'im­ pulso e vengono raccolte in unità associative attraverso le quali l'organismo controlla i movimenti degli effettori che forniscono le risposte del soggetto animale agli interrogativi formulati dal mondo esterno. Le unità associative tra cellule percettive formano gli «organi percettivi>> del cervello e le unità associative tra cel­ lule operative ne formano «l'organo operativo>>, Dunque, anche se possiamo immaginare l'organo percet­ tivo come il luogo di incontro tra reti mutevoli di «cellule macchinistc>>, portatrici di specifici segni percettivi, resta il fatto che queste cellule sono entità individuali spazialmente distinte. Anche i loro segni percettivi resterebbero isolati se non avessero la possibilità di fondersi in nuove unità al di fuo­ ri degli organi pcrccttivi. E, in effetti, questa possibilità esiste davvero. I segni percettivi di un gruppo di cellule si fondono tra loro fuori dal corpo, in quelle unità che costituiscono le proprietà degli oggetti che si trovano intorno all'animale.

INTRODUZIONE

47 D'altronde, è una cosa ben nota a noi tutti: tutte le per­ cezioni umane, che rappresentano i nostri specifici segnali percettivi, si riuniscono per formare le proprietà degli oggetti esterni che utilizziamo come marche percettive per le nostre azioni. La sensazione «blu>> diventa il blu del cie­ lo, la sensazione «verde>> diventa il verde del prato e così via. È proprio grazie alla marca percettiva blu che ricono­ sciamo il cielo, così come riconosciamo il prato grazie alla marca pcrcettiva verde. Con gli organi operativi succede esattamente la stessa cosa. In questo caso sono le cellule operative a giocare il ruolo dei macchinisti elementari, organizzate in gruppi ben articolati secondo i loro segni percettivi e operativi. Anche in questo caso esiste la possibilità di fondere in unità segni operativi isolati che agiscono sui rispettivi muscoli, sia come singoli impulsi di movimento sia come melodie for­ mate da impulsi articolati ritmicamente. In seguito a ciò, gli effettori messi in moto dai muscoli imprimono la loro «marca operativa•• (Wirkmal) sugli oggetti che si trovano all'esterno del soggetto. La marca operativa che gli effettori del soggetto attri­ buiscono all'oggetto è riconoscibile immediatamente come la ferita prodotta dal rostro della zecca sulla pelle del mammifero. Solo però la lenta c faticosa individuazione della funzione di marca percettiva assolta dall'acido butir­ rico e dal calore ha permesso di tracciare un quadro davve­ ro completo dell'attività della zecca nel suo ambiente. Se si vuole utilizzare una metafora, ogni soggetto ani­ male affronta il suo oggetto con le estremità di una pinza, una percettiva e una operativa. La prima attribuisce all' og­ getto una marca percettiva, la seconda una marca operativa. In questo modo certe proprietà dell'oggetto diventano por-

AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI 48 tatrici di marche percettive, mentre altre fanno da suppor:... to a marche operative. Poiché tutte le proprietà sono con­ nesse tra loro grazie alla struttura dell'oggetto, attraverso quest'ultima le proprietà coinvolte dalle marche operative esercitano la loro influenza sulle proprietà che si fanno cari­ co delle marche percettive, modificandole. Detto nella maniera più semplice e concisa, la marca operativa di un oggetto disattiva la sua marca percettiva. Oltre alla varietà di stimoli che i ricettori lasciano passa­ re e alla disposizione dei muscoli che conferiscono agli effettori determinate possibilità d'azione, per lo svolgersi di una qualunque azione di un soggetto animale due sono le cose decisive: il numero e l'organizzazione delle cellule che, grazie ai segni percettivi, attribuiscono marche percet­ tive agli oggetti dell'ambiente; il numero e l'organizzazio­ ne delle cellule operative che, grazie ai segni operativi, imprimono marche operative sui medesimi oggetti. L'oggetto fa parte dell'azione solo nella misura in cui questo deve possedere le proprietà necessarie per fare da supporto alle marche operative e percettive, proprietà che devono essere connesse tra loro per mezzo di una contro­ struttura. mondo percettivo

organo percettivo

organo operativo

mondo operativo 3·

Il circuito funzionale.

49 Una rappresentazione perspicua del rapporto tra sog­ getto e oggetto è fornita dallo schema del circuito funzio­ nale (figura 3). Lo schema mostra che il soggetto e l'oggetto si incastra­ no l'uno con l'altro, costituendo un insieme ordinato. Con­ siderato inoltre che un soggetto è legato allo stesso oggetto o a oggetti diversi da più circuiti funzionali, è possibile com­ prendere la prima asserzione fondamentale della teoria del­ l'ambiente: tutti i soggetti animali, i più semplici come i più complessi, sono adattati al loro ambiente con la medesima perfezione. All'animale semplice fa da contraltare un am­ biente semplice, all'animale complesso un ambiente ricca­ mente articolato. Se ora inseriamo nel circuito funzionale la zecca (il sog­ getto) e il mammifero (l'oggetto), vediamo che si susseguono logicamente tre circuiti funzionali. A farsi carico delle mar­ che percettive del primo circuito sono i follicoli sebacei del mammifero, poiché l'eccitazione dell'acido butirrico produce nell'organo percettivo della zecca segni percettivi specifici che vengono proiettati all'esterno come marche olfattive. I pro­ cessi in atto nell'organo percettivo producono per induzione (non sappiamo in cosa consista questo fenomeno) gli impul­ si corrispondenti nell'organo d'azione, il quale, a sua volta, provoca il rilascio della presa. Dopo essersi lasciata cadere, la zecca conferisce ai peli con i quali viene in contatto la marca operativa dell'urto, che produce una marca percettiva tattile in grado di disattivare la marca olfattiva dell'acido butirrico. La nuova marca tattile attiva un movimento d'esplorazione fino a che questo, a sua volta, non viene soppresso dalla mar­ ca percettiva termica nel momento in cui la zecca arriva in un punto privo di peli e comincia a perforarlo. Senza dubbio ci troviamo di fronte a tre riflessi che si clanINTRODUZIONE

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

no il cambio e che sono attivati da agenti esterni fisici o chi­ mici, entità verificabili in modo oggettivo. Ma chi si accon­ tentasse di questa constatazione e pensasse, così, di aver risol­ to ogni difficoltà, dimostrerebbe solo di non aver nemmeno visto il vero problema. Non è in questione la presenza o meno dello stimolo chimico (provocato dall'acido butirrico), dello stimolo meccanico (provocato dai peli) e tanto meno dello stimolo termico prodotto dalla pelle. Il punto è che tra le centinaia di agenti materiali prodotti dal corpo del mammi­ fero, solamente tre diventano per la zecca portatori di marche percettive. Perché proprio quei tre e non altri? Non abbiamo a che fare con uno scambio d'energia tra due oggetti, ma con relazioni che sussistono tra un sogget­ to vivente e il suo oggetto. Tutto questo è situato su tutt'al­ tro piano, cioè tra il segno percettivo del soggetto e lo sti­ molo proveniente dall'oggetto. La zecca è appesa immobile all'estremità di un ramo che sporge nel bel mezzo di una radura. Questa posizione le offre la possibilità di cadere sul primo mammifero di pas­ saggio. Alla zecca non arriva dai dintorni nessuno stimolo: ma ecco che le si avvicina un mammifero il cui sangue è indispensabile per la procreazione della sua discendenza. A questo punto accade qualcosa di meraviglioso. Di tut­ ti gli agenti, fisici o chimici, prodotti dal corpo del mammi­ fero, solamente tre, e in un preciso ordine, diventano stimo­ li. Nel mondo sterminato che circonda la zecca, tre stimoli brillano come segnali luminosi nell'oscurità. Sono potenti indicatori che permettono alla zecca di individuare la strada da seguire, consentendole di raggiungere il proprio obiettivo con grande sicurezza. Affinché tutto questo sia possibile, il parassita dispone, oltre che del suo corpo, dei ricettori e degli effettori, di tre segni pcrcettivi che può trasformare in mar-

INTRODUZIONE

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che percettive. E il corso delle sue azioni è così fortemente prescritto da queste marche percettive che la zecca può pro­ durre solo marche operative del tutto determinate. L'intero, ricco mondo che circonda la zecca si contrae su se stesso per ridursi a una struttura elementare, che consiste ormai essenzialmente di tre sole marche percettive e tre sole marche operative: il suo ambiente. Ma è proprio questa povertà dell'ambiente a determinare la sicurezza del suo com­ portamento: e la sicurezza è più importante della ricchezza. Questo esempio mette in evidenza i tratti fondamenta­ li della struttura dell'ambiente, tratti che valgono per qua­ lunque animale. La zecca possiede, però, una capacità ancora più sor­ prendente, in grado di darci un'idea più precisa di che cosa sia un ambiente animale. È palese che l'eventualità fortuna­ ta che un mammifero si trovi a passare sotto il ramo sul qua­ le è appostata la zecca, o che addirittura la urti, è straordina­ riamente rara. Per assicurare la continuità della specie, que­ sto svantaggio non è adeguatamente compensato neanche dal grande numero di zecche che si trovano nella boscaglia. Ad aumentare le sue possibilità di imbattersi nella preda è una capacità straordinaria: la zecca può sopravvivere per un tempo lunghissimo senza nutrirsi. Presso l'Istituto zoologi­ co di Rostock, sono state tenute in vita delle zecche che erano a digiuno da diciotto anni3. J La zecca è fatta, da ogni punto di vista, in modo tale da poter sop­ portare la fame per periodi molto lunghi. Le cellule semina! i, che la fem­ mina porta dentro di sé mentre attende la preda, restano avvolte nelle loro capsule fino a che il sangue del mammifero non arriva nello stomaco. A questo punto le cellule seminati si liberano e vanno a fecondare le uova che si trovano nell'ovaio. L'adattamento perfetto della zecca alla sua pre­ da, nel caso in cui riesca a raggiungerla, contrasta con le scarse probabili­ tà che essa ha ha di riuscire nell'impresa malgrado il lungo appostamento.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

Gli esseri umani non possono di certo attendere diciot­ to anni come fa la zecca: il nostro tempo è composto da una serie di istanti, cioè da segmenti temporali molto brevi, all'interno dei quali il mondo non presenta alcun cambia­ mento. Durante quell'intervallo che è l'istante, il mondo è fermo. Per la specie umana, l'istante ha la durata di un diciottesimo di secondo4. Vedremo più tardi che la durata dell'istante cambia da specie a specie, ma a qualunque las­ so di tempo corrisponda l'istante della zecca, non è possi­ bile resistere per ben diciotto anni in un ambiente assolu­ tamente statico. Dobbiamo supporre, dunque, che la zec­ ca durante la sua attesa si trovi in uno stato simile a quel­ lo del sonno, che anche negli esseri umani interrompe per ore la scansione temporale. Nell'ambiente della zecca, però, il tempo non è sospeso solo per qualche ora: il perio­ do d'attesa può protrarsi per diversi anni, fino a che il segnale dell'acido butirrico non sveglia la zecca riportan­ dola in attività. Bodenheimer ha ragione quando usa il termine pessima/e per caratterizza­ re il mondo estremamente ostile nel quale vive la maggior parte degli ani­ mali. Solo che a esser così non è il loro ambiente, ma i loro dintorni. Come regola generale potrebbe valere l'idea che è !'ambiente a esser ottima/e, cioè estremamente favorevole, mentre i dintorni sono sempre pessima/i. L'essenziale è sempre che sia la specie a sopravvivere, quand'anche doves­ se soccombere una grande quantità di singoli individui. Proprio perché l'ambiente è ottimale, se i dintorni di una specie non fossero pessimali, questa finirebbe col prevalere su tutte le altre specie. 4 Prova di ciò è fornita dal cinema. Durante la proiezione di un film, le immagini devono fermarsi per un istante e succedersi, a scatti, l'una dopo l'altra. Per far sì che le immagini siano nitide, questo processo di successione deve essere nascosto interponendo uno schermo tra un'im­ magine e l'altra. I nostri occhi non si accorgono di nulla se l'immobilità dell'immagine e l'oscuramento prodotto dallo schermo si producono in un intervallo della durata massima di un diciottesimo di secondo. Se inve­ ce questo intervallo si protrae, l'immagine comincia a risentire di un fasti­ dioso sfarfallìo.

INTRODUZIONE

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I l caso della zecca ci fornisce u n insegnamento molto importante. La nostra impressione è che il tempo faccia da contenitore per qualunque avvenimento e che, di conse­ guenza, sia l'unico elemento stabile nel continuo fluire degli avvenimenti. Abbiamo visto, invece, che è il soggetto a dominare il tempo del suo ambiente. Mentre fino ad ora avremmo detto che senza tempo non può darsi un sogget­ to vivente, ora sappiamo che occorre dire il contrario: sen­ za soggetto vivente, il tempo non può esistere. Nel prossimo capitolo vedremo che la stessa cosa acca­ de con lo spazio: senza soggetto vivente non si danno né spazio né tempo. È in questo modo che la biologia si colle­ ga alla filosofia di Kant: la utilizza per un fine scientifico, cioè per evidenziare quanto sia decisivo il ruolo giocato dal soggetto nella teoria dell'ambiente.

r.

Lo spazio e l'ambiente

Come il buongustaio cerca nel dolce solo l'uva passa, così la zecca, di tutti gli oggetti che popolano i suoi dintor­ ni, è attirata esclusivamente dall'acido butirrico. A noi non interessa sapere quali siano le sensazioni gustative che pro­ va il buongustaio quando assapora l'uvetta. Constatiamo solamente che l'uva passa diventa il carattere percettivo del suo ambiente, poiché questa assume per lui un particolare significato biologico. Allo stesso modo, non ci poniamo il problema di quali siano le sensazioni olfattive o gustative della zecca, perché ci accontentiamo di registrare il fatto che l'acido butirrico diventa una marca percettiva, una enti­ tà biologicamente significativa. Ci limitiamo a constatare che nell'organo percettivo della zecca devono esistere cellule percettive che emettono segnali, come supponiamo accada anche nell'organo per­ cettivo del buongustaio. I segni percettivi della zecca trasformano uno stimolo, l'acido butirrico, in una marca percettiva tipica del suo ambiente, nello stesso modo in cui i segni percettivi del buongustaio trasformano, nel suo ambiente, lo stimolo costi­ tuito dall'uvetta nella marca percettiva corrispondente. L'ambiente dell'animale, del quale ci stiamo occupando in queste pagine, costituisce solo un frammento dei dintor-

I.

LO SPAZIO E L'AMBIENTE

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ni che vediamo estendersi intorno a lui: i dintorni non sono altro che il nostro stesso ambiente, l'ambiente umano. Il primo obiettivo della nostra ricerca è isolare le marche per­ cettive di un animale tra tutte quelle che fanno parte dei suoi dintorni e ricostruire il suo ambiente. La marca per­ cettiva dell'uvetta lascia la zecca indifferente, mentre nel suo ambiente quella dell'acido butirrico gioca un ruolo fonda­ mentale. L'ambiente del buongustaio non mette l'accento sul significato dell'acido butirrico ma solo sull'uvetta. Ogni soggetto tesse intorno a sé una ragnatela di rela­ zioni con alcune proprietà specifiche possedute dalle cose che lo circondano ed è proprio grazie a una rete tanto fitta che può condurre la propria esistenza. Qualunque siano le relazioni tra un soggetto e gli ogget­ ti che popolano i suoi dintorni, esse vivono al di fuori del soggetto, là dove dobbiamo cercare le marche percettive. Per questo motivo, le marche percettive sono sempre legate tra loro sia in senso spaziale sia in senso temporale, visto che devono succedersi secondo un ordine determinato. Troppo spesso ci culliamo nell'illusione che le relazioni intrattenute da un soggetto con le cose che costituiscono il suo ambiente si collochino nello stesso spazio e nello stes­ so tempo di quelle che intratteniamo noi con le cose che fanno parte del mondo umano. È un'illusione che si nutre della fede nell'esistenza di un unico mondo, in cui sareb­ bero inseriti tutti gli esseri viventi. Solo in questi ultimi anni, i fisici hanno cominciato a dubitare dell'esistenza di un universo in grado di comprendere all'interno di un solo spazio tutti i viventi. Che uno spazio del genere non possa esistere emerge già dal fatto che gli esseri umani vivono in tre spazi che si compenetrano, si completano, ma che anche, in parte, si contraddicono.

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a) Lo spazio operativo (Wirkraum) Quando, a occhi chiusi, muoviamo le gambe o le braccia, conosciamo con esattezza la direzione c l'estensione dei nostri movimenti. Con le mani tracciamo nello spazio dei percorsi che possiamo definire «lo spazio di gioco dei nostri movimenti» o, più semplicemente, spazio operativo. Percor­ riamo queste traiettorie suddividendole in piccoli segmenti, che potremmo chiamare passi d'orientamento. Conosciamo bene, infatti, la direzione di ogni singolo passo per mezzo di una sensazione di direzione o segno d'orientamento. E precisamente distinguiamo sei assi d'orientamento, organiz­ zati per coppie oppositive: destra e sinistra, alto e basso, avanti e dietro. Esperimenti accurati hanno dimostrato che i passi d'orientamento più piccoli che siamo in grado di fare hanno un'estensione di circa due centimetri. La nozione di passo d'orientamento non fornisce, come è ovvio, una misura par­ ticolarmente precisa dello spazio. È facile rendersi conto di una simile imprecisione se si prova, sempre a occhi chiusi, a far toccare l'indice della mano sinistra con l'indice della mano destra. La maggior parte delle volte non ci riusciamo: i due indici si mancano l'un l'altro per un paio di centimetri circa. È importante tener presente che ricordiamo facilmente i percorsi che abbiamo fatto: è quel che ci permette, ad esempio, di scrivere al buio. Questa capacità si chiama «cinestesia>>, una parola complicata che non dice nulla di più di quello che abbiamo detto finora. Lo spazio operativo non è soltanto uno spazio motorio formato da migliaia di passi d'orientamento ma possiede anche un sistema di controllo dei sei assi che si intersecano perpendicolarmente tra loro: il sistema delle coordinate

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spaziali, punto di riferimento per le varie posizioni che il nostro corpo assume nello spazio. È di fondamentale importanza che chiunque si occupi del problema dello spazio si persuada di questo fatto. In fondo, non c'è nulla di più semplice: per determinare con sicurezza dove si trova il confine tra la destra e la sinistra, basta chiudere gli occhi, mettere la mano in posizione per­ pendicolare sopra la fronte e muoverla di qua e di là. La linea di confine coincide con il piano mediano del corpo. Se poi si mette la mano di taglio, cioè in posizione orizzon­ tale, e la si alza e abbassa davanti al viso, è possibile stabili­ re la linea di confine tra l'alto e il basso che, di solito, cade all'altezza degli occhi (esiste un buon numero di persone per le quali, invece, cade all'altezza del labbro superiore). A variare di più è la linea di confine che separa l'avanti dal dietro. Possiamo individuarla muovendo la mano vertical­ mente in avanti e indietro facendola girare intorno alla testa. Un gran numero di persone situa questo piano nella regione che corrisponde al condotto uditivo, mentre altre lo collocano in corrispondenza dello zigomo o, addirittura, davanti alla punta del naso. Tutte le persone che non siano affette da qualche deficit particolare hanno dentro la testa un sistema di coordinate formato da tre piani (figura 4) che fornisce allo spazio operativo una solida cornice di riferi­ mento grazie alla quale muoversi e orientarsi. Questi tre piani formano l'impalcatura che dà un ordi­ ne al groviglio, in continua trasformazione, dei diversi orientamenti e delle direzioni che può assumere il nostro corpo. È merito di Cyon aver messo in relazione la tridimen­ sionalità dello spazio umano con un organo sensoriale situato all'interno del nostro orecchio - i cosiddetti canali

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4· Il sistema di coordinate spaziali umano.

5· I canali semicircolari dell'essere umano.

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semicircolari (figura 5) -, la cui struttura corrisponde all'in­ circa ai tre piani dello spazio operativo''. L'esistenza di questo rapporto è stata dimostrata da numerosi esperimenti con tale chiarezza che possiamo for­ mulare la seguente affermazione: tutti gli animali che pos­ siedono i tre canali semicircolari dispongono di uno spazio operativo tridimensionale. Nella figura 6 sono illustrati i canali semicircolari dei pesci. È evidente che, per questi animali, hanno una grande importanza. A dimostrarlo è la struttura interna dei canali: un sistema idraulico nel quale, sotto il controllo di alcuni ner­ vi, un liquido è libero di muoversi in tutte e tre le dimensio­ ni spaziali. I movimenti del liquido rispecchiano fedelmente il movimento dell'intero corpo. Questo indica che i canali semicircolari, oltre a organizzare tridimensionalmente lo spa­ zio operativo, svolgono anche un'altra funzione molto signi­ ficativa, simile a quella di una bussola.

6. I canali semicircolari dei pesci. "· [Elie von Cyon ( 1 842- 1 9 1 2), fisiologo russo, è stato il successo­ re di Secenov alla cattedra di fisiologia all'università di San Pietrobur­ go. I. Pavlov è stato uno dei suoi allievi].

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Mentre però la bussola segna sempre il Nord, i canali semicircolari indicano la «porta di casa» . Quando tutti i movimenti del corpo sono stati scomposti e identificati secondo le tre dimensioni nei canali semicircolari, per ritro­ varsi al punto di partenza l'animale non dovrà fare altro che procedere a ritroso fino a che non avrà riportato a zero la codificazione nervosa dell'andata. Senza dubbio, una bussola in grado di indicare «la por­ ta di casa» costituisce uno strumento indispensabile per tutti gli animali stanziali che hanno un nido o un luogo di approvvigionamento fisso. Nella maggior parte dei casi, i segni ottici che organizzano lo spazio visivo non sono suf­ ficienti per ritrovare «la porta di casa», perché l'aspetto visi­ vo di quel che li circonda cambia rapidamente. La capacità di ritrovare l'orientamento nello spazio opera­ tivo può essere riscontrata anche tra gli insetti e i molluschi, sebbene questi animali siano privi di canali semicircolari. A tal proposito, l'esperimento che segue è molto indica­ tivo (figura 7 ). Quando la maggior parte delle api è assen-

/

2!1?.

posizione precedente dell'alveare

7· Lo spazio operativo delle api.

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te, lo sperimentatore sposta l'alveare di un paio di metri. Al loro ritorno, le api si riuniscono nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il nido, cioè di fronte alla loro «porta di casa». Ma, dopo circa cinque minuti, ecco che le api cam­ biano direzione e volano verso l'alveare. Questo esperimento è stato ripetuto ed è stato dimo­ strato che le api alle quali erano state amputate le antenne si dirigevano immediatamente verso l'alveare, anche quando era stato spostato. Ciò significa che le api si orientano all'interno dello spazio operativo solo fino a quando sono in possesso delle antenne. Private di queste, invece, si orien­ tano facendo affidamento sulle impressioni visive. In altri termini, per le api le antenne assumono il ruolo di una bus­ sola che indica la strada per trovare la porta di casa, una bussola che segnala questo percorso con maggior sicurez­ za rispetto a quanto potrebbe fare la vista. Ancora più sotprendente è il ritorno verso il nido, che in inglese viene chiamato homing, delle patelle di mare (figura 8). La patella vive su scogli esposti all'alta e alla bassa marea.

8. Il ritorno della patella di mare verso il nido.

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Grazie al duro guscio, le patelle più grandi costruiscono nel­ la roccia una specie di letto nel quale trovare riparo. Quan­ do il livello del mare torna ad alzarsi, le patelle cominciano a muoversi e cercano il loro nutrimento tra gli scogli dei dintorni. Se la marea comincia a scendere, le patelle ritorna­ no nel loro letto senza seguire per forza il percorso intra­ preso all'andata. Gli occhi delle patelle sono talmente pri­ mitivi che per questo animale sarebbe impossibile ritrovare la strada di casa solo con la vista. Allo stesso tempo, è improbabile che esista una marca o!fattiva grazie alla quale ritrovare la via. Anche se non riusciamo a immaginarcela, non ci resta che ipotizzare l'esistenza, perfino nella patella, di una bussola in grado di orientare il suo spazio operativo.

b) Lo spazio tattile L'elemento costitutivo dello spazio tatti le non è una grandezza motoria, come il passo d'orientamento, ma una unità statica, il luogo. Anche il luogo deve la sua esistenza a un segno percettivo del soggetto e non è un oggetto legato alla struttura fisica delle cose che circondano l'animale, cioè ai suoi dintorni. Weber lo ha dimostrato (figura 9 ) ponen­ do sul collo di una persona un compasso in modo tale che le due punte fossero distanti tra loro più di un centimetro. In questo caso, i due stimoli sono avvertiti distintamente: ciascuno di essi occupa un luogo diverso da quello occu­ pato dall'altro. Se, però, si fa scendere il compasso verso la schiena, anche se la distanza tra le punte rimane la stessa, il soggetto ha la sensazione che i due stimoli si avvicinino sempre di più fino a occupare la stessa posizione all'inter­ no dello spazio tattile.

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9· L'esperimento del compasso di Weber.

Ciò vuoi dire che, al di là dei segni percettivi propri del­ la sensazione tattile, siamo sensibili anche a segni percetti­ vi che si riferiscono al luogo e che potremmo chiamare segni locali. Ciascuno di essi produce un luogo nello spazio tattile, proiettando lo all'esterno. Le aree della pelle che, toccate, emettono sempre lo stesso segno variano conside­ revolmente a seconda dell'importanza tattile della regione che prendiamo in considerazione. Per quel che riguarda il corpo umano, le aree più piccole, cioè quelle che consen­ tono di differenziare tra loro il maggior numero di luoghi, sono la punta della lingua e delle dita. Con la punta della lingua esploriamo la cavità boccale; con l'aiuto delle dita esploriamo gli oggetti, attribuendo alla loro superficie un complesso mosaico di luoghi. Questo mosaico è una specie

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di regalo, sia tattile che visivo, che il soggetto dona al pro­ prio ambiente, perché nei dintorni dell'animale una struttu­ ra del genere non esiste. Affinché al tatto emerga la forma di un oggetto, è ne­ cessario che i luoghi vengano collegati tra loro dai passi d'orientamento prodotti dalle dita o dalla mano. Per molti animali, il senso del tatto gioca un ruolo mol­ to importante. Anche se privati della vista, i ratti e i gatti non incontrano ostacoli nei movimenti grazie ai loro «baf­ fi••, cioè alle vibrisse. Tutti gli animali notturni e quelli che abitano buche o tane vivono soprattutto all'interno dello spazio tattile nel quale i luoghi si fondono con i passi d'orientamento.

c) Lo spazio visivo Gli animali privi di occhi, che come la zecca possiedono una pelle sensibile alla luce, dispongono di una regione cutanea che produce segni locali tanto in risposta agli sti­ moli luminosi quanto agli stimoli tattili. Nel loro ambien­ te, il luogo visivo coincide con il luogo tattile. Lo spazio tattile e lo spazio visivo si presentano separa­ ti solo negli animali dotati di occhi. Nella retina esistono minuscole aree elementari - gli elementi ottici - vicinissi­ me tra loro. A ciascuno di questi elementi corrisponde un luogo nell'ambiente, poiché è risultato che a ognuno di essi corrisponde un segno locale. La figura 10 rappresenta lo spazio visivo di un insetto volante. È facile notare che, a causa della struttura sferica dei suoi occhi, la porzione di mondo esterno che corrispon-

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ro.

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Spazio visivo d i un insetto volante.

de a un elemento visivo s'ingrandisce quanto più questo è distante. Mano a mano che ci si allontana, porzioni del mondo sempre più estese tendono a convergere in un luogo solo. In conseguenza di ciò, gli oggetti che si allontanano dagli occhi diventano sempre più piccoli fino a scomparire. Il luogo rappresenta l'unità spaziale minima al di sotto del­ la quale il soggetto non è in grado di fare alcuna distinzione. Nello spazio tattile, invece, questo rimpicciolimento degli oggetti non si verifica ed è proprio qui che i due spa­ zi, tattile e visivo, entrano in conflitto. Quando si afferra una tazza stendendo il braccio e portandola alla bocca, suc­ cede che all'interno dello spazio visivo questa si ingrandisce mentre le sue dimensioni tattili rimangono inalterate. In una situazione del genere, è il tatto ad avere il sopravvento, perché solitamente nello spazio visivo nessuno nota alcun cambiamento.

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In modo simile a quel che avviene per la mano, anche l'occhio percepisce tutti gli oggetti dell'ambiente come un mosaico formato da tessere elementari, i luoghi. Il grado di risoluzione dei dettagli dipende dal numero di elementi ottici di cui si compone una singola porzione dei dintorni. Il mosaico alla base dell'ambiente di una specie animale presenta la stessa straordinaria variabilità che contraddi­ stingue il numero di elementi ottici in cui si articola l'ap­ parato oculare dei diversi animali. Più grossolano è il mosaico, più i dettagli degli oggetti diventano sfuggenti: il mondo visto con l'occhio della mosca è considerevolmen­ te meno ricco del mondo percepito dall'occhio umano. Abbiamo a disposizione un metodo che ci offre la pos­ sibilità di rappresentare le diverse configurazioni che può assumere questo mosaico a seconda della specie che si pren­ de in considerazione: è possibile, infatti, trasformare qua­ lunque immagine sovrapponendovi un reticolo che la scom­ ponga nei suoi elementi costitutivi, in quello che abbiamo chiamato un mosaico di luoghi. È sufficiente rimpicciolire sempre di più l'immagine, fotografarla ogni volta utilizzando il reticolo e poi ingran­ dire di nuovo l'immagine facendola tornare alle dimensio­ ni originali: in questo modo il mosaico che la compone diventa sempre più grossolano, cioè meno dettagliato. Poi­ ché il reticolo con il quale abbiamo fatto le fotografie pro­ duceva un effetto di disturbo, abbiamo preferito rappre­ s.entare i mosaici meno definiti per mezzo di acquarelli. Le immagini I I a-d sono state fatte con il reticolo. Gra­ zie a questo sistema, se si sa di quanti elementi ottici è costi­ tuito l'occhio di un animale, è anche possibile intuire in che modo esso percepisca il suo ambiente. L'immagine I IC cor­ risponde, più o meno, a quel che vede l'occhio della mosca.

I.

' LO SPAZIO E L AMBIENTE

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Si può facilmente constatare che, all'interno di un mondo visivo così poco particolareggiato, è impossibile percepire i filamenti di cui si compone la ragnatela. Per la mosca, la tela del ragno è una struttura letteralmente invisibile. L'immagine I Id corrisponde, invece, a quel che percepi­ sce, all'incirca, l'occhio di un mollusco. In questo caso, lo spazio visivo di una lumaca o di una cozza si riduce a un certo numero di macchie, più o meno scure5. Come nello spazio tattile anche nello spazio visivo le relazioni tra un luogo e un altro sono formate da passi d'orientamento. Quando lavoriamo al microscopio, la cui lente d'ingrandimento ci consente di avere accesso a un gran numero di luoghi che compongono una superficie di dimensioni ridottissime, è facile constatare che sia l'occhio poggiato sulla lente sia la mano che sta lavorando al prepa­ rato si muovono con passi d'orientamento molto più bre­ vi che corrispondono a luoghi vicinissimi tra loro.

s L'illustrazione indica semplicemente la direzione per una prima comprensione delle differenze nella sensibilità visiva. Chi volesse farsi un'immagine più precisa di come, ad esempio, vedono gli insetti, trove­ rà un'introduzione al problema nel libro di K. von Frisch, Aus dem Leben der Bienen [( 1 927), trad. it., Nel mondo delle api, Edagricole, Bologna 1984].

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

II

I I

a. Fotografia della strada di un villaggio.

b. La stessa fotografia riprodotta attraverso un reticolo.

I . LO SPAZIO E L' AMBIENTE

r rc. La stessa strada percepita dall'occhio della mosca.

I

rd. La stessa strada percepita dall'occhio del mollusco.

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2.

L'orizzonte

Al contrario di quel che avviene nello spazio operativo e in quello tattile, lo spazio visivo è stretto da una muraglia impenetrabile che potremmo chiamare l'orizzonte di un ambiente. Il sole, la luna e le stelle si muovono nel cielo senza che sia possibile scorgere alcuna differenza tra la lontananza che c'è tra questi corpi celesti e la terra: tutto è sullo stesso piano. Ciò non vuoi dire però che questo asse di orienta­ mento sia immutabile. Quando, dopo un lungo periodo di degenza a causa del tifo, finalmente uscii di casa, mi accor­ si che il mio orizzonte si era ristretto: arrivava fino a venti metri circa. L'orizzonte mi sembrava un tappeto multicolo­ re sul quale erano raffigurati tutti gli oggetti visibili. Oltre i venti metri, gli oggetti non erano vicini o lontani, ma solo piccoli o grandi. Anche le automobili che mi superavano non mi sembrava che si allontanassero, ma semplicemente che si rimpicciolissero. Nel nostro occhio il cristallino svolge la stessa funzione della lente di una macchina fotografica: fissa sulla retina che corrisponde alla lastra fotosensibile - gli oggetti che si trovano di fronte all'obiettivo. Il cristallino dell'occhio umano è elastico, può curvarsi grazie ad alcuni muscoli specifici e comportarsi come lo zoom di un obiettivo.

2. L' ORIZZONTE

1 2.

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L'orizzonte per un adulto (in basso) e per un bambino (in alto).

Quando i muscoli che controllano il cristallino si con­ traggono compaiono dei segni d'orientamento dall'indie­ tro in avanti. Quando invece i muscoli si rilassano, si pro­ ducono segni d'orientamento nella direzione opposta. Se i muscoli sono completamente rilassati, l'occhio mette a fuo-

AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI 72 co gli oggetti più lontani, dai dieci metri di distanza fino all'infinito. Al di sotto dei dieci metri, percepiamo gli oggetti del nostro ambiente come lontani o vicini grazie ai movimen­ ti dei muscoli che agiscono sul cristallino. Per il neonato, al di fuori di questo range esistono solo oggetti che s'in­ grandiscono e rimpiccioliscono. Lo spazio visivo del neo­ nato, infatti, è ancora limitato. È con il tempo che appren­ diamo, grazie ai segni di allontanamento, a spostare l'oriz­ zonte sempre più lontano fino a una distanza che, da adul­ ti, arriva fino ai 6-8 chilometri. Un aneddoto riportato da Helmholtz':· illustra bene la differenza che esiste tra lo spazio visivo del bambino e quello dell'adulto (figura 1 2). Il fisiologo tedesco racconta che, da bambino, un giorno passò nei pressi della chiesa della guarnigione di Postdam. Sulla loggia notò degli operai e domandò a sua madre se, grazie alle sue lunghe braccia, potesse prendere qualcuna di quelle piccole bambole. La chiesa e gli operai si trovavano già sulla linea del suo orizzonte e, per questo, sembravano al bambino delle figure piccole e non delle figure lontane. In questo senso Helmholtz aveva ragione a ritenere che la madre potesse, allungando le braccia, afferrare qualcuno di quei minuscoli oggetti. Il bambino non sapeva che, nel­ l'ambiente della madre, la chiesa aveva dimensioni del tutto diverse e che, a trovarsi sulla loggia, non erano delle bambo­ le ma persone molto distanti. È difficile stabilire dove cada l'orizzonte in un ambiente animale perché, nella maggior

,,. [Hermann von Helmholtz ( r 8 2 r - r 894), scienziato poliedrico, ha condotto ricerche sulla fermentazione, sulla conservazione dell'energia nei corpi, sulla fisiologia degli organi di senso, sulla struttura matemati­ ca degli armonici e dei timbri musicali. È considerato tra i fondatori del­ l'idrodinamica e della meteorologia].

2.

' L ORIZZONTE

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N R

a

b

1 3· Struttura dell'occhio della mosca (figura schematica). a Occhio inte­ ro, a destra una parte vista in sezione. b gli Ommatidi. Cor Cornea chi­ tinosa. CCr Cellula del cono cristallino. Cr Cono cristallino. Cp Cellu­ la pigmentosa. Cv Cellula visiva. Fn Fibra nervosa. N Nucleo. P Pigmen­ to. R Rabdoma. Reti Retinula.

parte dei casi, non è facile constatare sperimentalmente quan­ do un oggetto che nei dintorni si avvicina al soggetto diven­ ti nel suo ambiente non solo più grande ma anche più vicino. Se si cerca di catturare una mosca, l'insetto non prova a scappare finché la mano non arriva a mezzo metro di distan­ za. È lecito supporre che il suo orizzonte si trovi proprio a questa distanza. Altre osservazioni circa il comportamento delle mosche suggeriscono che nel loro ambiente l'orizzonte abbia caratte­ ristiche davvero diverse dalle nostre. È noto, ad esempio, che le mosche non si limitano a volare intorno a un lampadario o a una lampada, ma seguono traiettorie a scatti che le riavvici­ nano all'oggetto se si allontanano da questo per più di mezzo metro. Si comportano come un marinaio che, durante il suo viaggio, si tiene sotto costa per non perdere di vista l'isola. Nell'occhio della mosca (figura 1 3) gli elementi ottici (rabdomi) sono formati da strutture nervose allungate con

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

le quali viene raccolta l'immagine, che giunge dai cristalli­ ni a una profondità variabile, corrispondente alla distanza alla quale si trova l'oggetto. Exner':- ha ipotizzato che potrebbe trattarsi dell'equivalente dell'apparato muscolare del cristallino umano. L'apparato ottico costituito dal rabdoma funziona come le lenti aggiuntive usate dai fotografi: ciò significa che, oltre i 50 cm di distanza, per la mosca il lampadario sparisce. A tal proposito, si possono mettere a confronto le figure 1 4 e r 5 , nelle quali il lampadario è fotografato con e senza len­ te aggiuntiva. Che sia questa o un'altra la maniera in cui l'orizzonte delimita lo spazio visivo, l'essenziale è che esso è comunque sempre presente. Per questo motivo, possiamo rappresentarci tutti gli ani­ mali che vivono intorno a noi (coleotteri, farfalle, mosche, zanzare e libellule) come chiusi dentro una bolla di sapone che circoscrive il loro spazio visivo e che contiene tutto quel­ lo che per loro è visibile. Ogni bolla ospita gli assi dimensio­ nali dello spazio operativo e quelli che abbiamo chiamato «luoghi», grazie ai quali lo spazio di ciascun animale man­ tiene la solidità della sua struttura. Gli uccelli che ci volano intorno, gli scoiattoli che saltano da un ramo all'altro o le mucche che pascolano nei prati sono animali circondati da una bolla translucida che segna i limiti del loro spazio. Attraverso questa immagine possiamo comprendere meglio un'altra cosa: anche ciascuno di noi vive chiuso den­ tro il suo mondo, cioè dentro la sua bolla. Tutti i nostri simili ,,_ [Sigmund Exner (I 846- I 926) è stato professore ali 'Istituto di fisio­ logia di Vienna a partire dal I 875. Ha lavorato sulla fisiologia comparata della vista e dell'olfatto, ma anche sul funzionamento delle reti neurali del cervello].

2.

' L ORIZZONTE

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14. U n lampadario visto dall'uomo.

r 5. Lo stesso lampadario visto dalla mosca.

sono circondati da bolle trasparenti che si intersecano senza attrito perché formate solo da segni percettivi soggettivi. Non esiste uno spazio indipendente dai soggetti. Se continuiamo ancora ad attenerci alla finzione secondo la quale esisterebbe uno spazio universale è soltanto per utilizzare una convenzio­ ne che ci consente di esprimerci in modo comprensibile.

3 · Il tempo percettivo

A Karl Ernst von Baer':- va attribuito il merito di aver mostrato con chiarezza che il tempo è un prodotto del soggetto. Il tempo considerato come successione di istan­ ti cambia da un ambiente all'altro secondo il numero di istanti che i soggetti vivono durante lo stesso lasso tempo­ rale. Gli istanti sono unità temporali minime e indivisibili perché espressione di sensazioni elementari che chiamere­ mo segno-istante (Momentzeichen). Come abbiamo visto, per gli umani la durata di un istante corrisponde a un diciottesimo di secondo: è lo stesso per tutte le modalità scnsoriali, perché tutte le sensazioni sono accompagnate dallo stesso segno-istante. Il nostro orecchio non riesce a distinguere tra loro diciotto vibrazioni poiché le percepi­ sce come un singolo suono. È stato dimostrato che l'esse­ re umano percepisce 1 8 stimolazioni cutanee come una pressione unica. Il cinema ci offre la possibilità di proietta­ re sullo schermo immagini alla velocità per noi più con­ sueta: le immagini si succedono attraverso brevi scatti, pari a un diciottesimo di secondo. ,,. [Karl Ernst von Baer ( 1 792- 1 876) è considerato uno dei fondatori della embriologia moderna. Uexkiill si considerava un prosecutore delle sue ricerche circa la soggettività del tempo animale].

J . IL TEMPO PERCETTIVO

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Se poi desideriamo seguire con lo sguardo immagini in movimento che scorrono a una velocità troppo elevata per i nostri occhi, è necessario proiettarle al rallentatore. Si tratta di un processo che consiste nel registrare un gran numero di immagini in un intervallo temporale pari a un secondo e nel proiettarle a un ritmo per noi normale. In questo modo il movimento viene dilatato in un lasso di tempo più lungo e così si ha la possibilità di rendere visi­ bili movimenti parziali altrimenti troppo rapidi per l'oc­ chio umano (cioè con una velocità maggiore di I 8 immagi­ ni al secondo), come il battito d'ala di un uccello o di un insetto. Naturalmente, è possibile non solo rallentare il flusso di immagini ma anche accelerarlo. Se registriamo un certo processo naturale per ore e poi lo proiettiamo al rit­ mo di I 8 immagini al secondo, lo comprimiamo in modo tale che diventi possibile osservare fenomeni, ad esempio lo sbocciare di un fiore, che altrimenti sarebbero troppo lenti per essere percepiti. Ci si può chiedere, allora, se esistano animali i cui tem­ pi percettivi siano organizzati sulla base di istanti più lun­ ghi (o più brevi) del nostro e nei cui rispettivi ambienti, di conseguenza, il movimento scorra più lentamente o più velocemente che nel nostro. Il primo a fare esperimenti in questo campo è stato un giovane ricercatore tedesco. In seguito, grazie alla collabo­ razione di un altro ricercatore, ha studiato in particolar modo la reazione di un pesce combattente di fronte alla propria immagine riflessa. Il pesce non riesce a riconoscer­ la se gliela si mostra a una velocità di I 8 immagini al secon­ do: deve essere presentata a una velocità di almeno 30 immagini al secondo.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

Un terzo ricercatoré ha addestrato alcuni pesci com­ battenti a prendere il cibo quando si trovavano davanti a un disco grigio in rotazione. Se invece si faceva girare len­ tamente un disco bianco e nero, questo agiva da «segnale di pericolo>>, perché quando i pesci si avvicinavano al cibo ricevevano una leggera scossa elettrica. Se però il disco cominciava a girare più velocemente, le reazioni dei pesci diventavano più incerte fino a invertirsi: nel momento in cui i settori neri ruotavano alla velocità di un cinquantesi­ mo di secondo gli animali tornavano ad avvicinarsi perché per loro il disco bianco e nero si era trasformato in grigio e, dunque, il segnale di pericolo era scomparso. Da ciò si può concludere con sicurezza che nell'ambien­ te dei pesci che si nutrono di prede veloci tutti i movimenti appaiono rallentati. La figura I 6, che si basa sugli esperimenti condotti da Brecher (ai quali abbiamo già fatto riferimento), fornisce un esempio di una simile contrazione temporale. Una lumaca è posta su una ruota galleggiante di gomma in grado di ruota­ re senza alcun attrito. Il guscio della lumaca è mantenuto stabile per mezzo di una pinza. In questo modo, la lumaca può muoversi indisturbata pur strisciando sul posto. Se le si avvicina una bacchetta, la lumaca comincia a muoversi verso di essa. A questo punto, se si colpisce l'ani­ male con una lenta serie di colpi, fino a tre al secondo, la lumaca si ritira nel proprio guscio. Se, però, si ripete l' espe6 Cfr. M. Beniuc, Bewegungssehen, Verschmelzung und Moment bei Kampffischen [Percezione visiva del movimento, fusione temporale e istante nel pesce combattente]; G.A. Brecher, Die Entstehung und biolo­ gische Bedeutung der subjektiven Zeiteinheit - des M omentes [Formazio­

ne e significato biologico della temporalità - degli istanti]; H. W. Lissmann,

Die Umwelt des Kampffisches [L'ambiente del pesce combattente].

J . IL TEMPO PERCETTIVO

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r6. L'istante della lumaca (B Bacchetta. E Eccentrico"·. L Lumaca. R Ruota).

rimento aumentando la velocità dei colpi, almeno quattro al secondo, la lumaca riprende a salire sulla bacchetta. Nel suo ambiente, un corpo che compie quattro oscillazioni al secondo corrisponde a un corpo che non si muove. Possia­ mo dunque concludere che il tempo percettivo della luma­ ca scorre al ritmo di tre o quattro istanti al secondo. In que­ sto ambiente tutti i movimenti sembrano molto più veloci di come appaiono nel nostro, mentre dal punto di vista della lumaca i suoi movimenti non sono più lenti di quanto i nostri sembrino a noi.

,,_ [Gli eccentrici, o camme, sono elementi meccanici di forma circo­ lare con un asse spostato rispetto all'asse rotatorio del corpo. General­ mente vengono utilizzati per trasformare il moto rotatorio continuo in moto alternato (ad esempio nei motori a scoppio) o per generare un movimento vibratorio].

4· Gli ambienti semplici

Spazio e tempo non hanno una utilità immediata per il soggetto. Diventano significativi quando occorre stabilire differenze tra numerose caratteristiche percettive che, sen­ za l'impalcatura spazio-temporale garantita dall'ambiente, si confonderebbero tra loro. Una struttura del genere non è necessaria per ambienti molto semplici formati da una sola marca percettiva. La figura 1 7 mostra uno accanto all'altro i dintorni e l'ambiente del paramecio. È un organismo coperto da fol­ te ciglia che gli consentono di muoversi rapidamente nel­ l'acqua, ruotando continuamente intorno al proprio asse. Di tutti gli oggetti che si trovano nei suoi dintorni, l'am­ biente del paramecio ammette sempre e solo la stessa mar­ ca percettiva, che provoca nel paramecio una reazione di fuga ovunque e in qualunque modo ne venga stimolato. Questa marca percettiva produce sempre lo stesso movi­ mento. Quando incontra un ostacolo, il paramecio compie un movimento all'indietro accompagnato da una deviazio­ ne su uno dei due lati rispetto alla sua direzione di marcia, dopo di che ricomincia a nuotare in linea retta. In questo modo l'ostacolo è evitato. Si può dire che in casi del gene­ re la marca percettiva è disattivata sempre dalla stessa mar­ ca operativa. Il paramecio si ferma unicamente quando si

4 · GLI AMBIENTI SEMPLICI

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Dintorni e ambiente del paramecio.

imbatte nella sua preda, il batterio della decomposizione, il solo oggetto del suo ambiente a non produrre alcuno sti­ molo. Un esempio del genere mostra il modo sistematico in cui la natura, anche attraverso un solo circuito funzio­ nale, struttura gli esseri viventi. Esistono anche animali pluricellulari, come il polmone di mare (una medusa: il rizostoma), in grado di sopravvi-

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

1 8. Medusa (gli organi percettivi sono rappresentati col simbolo della campana).

4· GLI AMBIENTI SEMPLICI

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vere grazie a un unico circuito funzionale. Tutto l'organi­ smo consiste in una pompa che, mentre nuota, assorbe l'acqua di mare ricca di plancton e poi, una volta filtrata, la sputa via. L'unica manifestazione vitale della medusa con­ siste nel sollevamento e abbassamento ritmico dell'om­ brello elastico e gelatinoso che ne costituisce la superficie esterna. Grazie a un movimento sempre uguale a se stesso, l'animale può rimanere costantemente vicino alla superfi­ cie. Nello stesso tempo, le pareti del suo stomaco si con­ traggono e si dilatano aspirando e gettando fuori l'acqua di mare attraverso pori sottili. Il contenuto liquido dello stomaco è drenato da tubi digestivi molto ramificati le cui pareti catturano nutrimento e ossigeno. La medusa nuota, si nutre e respira grazie alla contrazione ritmica dei musco­ li che si trovano nel suo ombrello gelatinoso. Per muover­ si senza problemi e con la sicurezza necessaria, otto orga­ ni a forma di campana sono appesi al bordo dell'ombrello (cfr. figura I 8); a ogni pulsazione della medusa, questa spe­ cie di campana colpisce un cuscinetto nervoso che a sua volta produce la pulsazione successiva. La medusa attiva da sé la propria marca operativa che, a sua volta, produce la marca percettiva in grado di rimettere in moto il circui­ to all'infinito. Nell'ambiente della medusa rintocca sempre il suono di una sola campana, il cui ritmo governa la sua vita. Tutti gli altri stimoli sono oscuri. Nei casi in cui esiste un unico circuito funzionale, come nel polmone di mare, si può parlare di «animali riflesso»: ad agire è sempre lo stesso riflesso, dagli organi a forma di campana fino ai muscoli situati sull'ombrello della medusa. Si può continuare a parlare di animale rifles­ so anche quando gli archi riflessi presenti sono più di uno.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

Esistono delle meduse, infatti, che possiedono dei fila­ menti pescatori ognuno dei quali è gestito da un arco riflesso. Molte meduse possiedono braccia orali (prolun­ gamenti del tubo buccale) dotate di muscolatura autono­ ma e legate ai ricettori periferici dell'ombrello. Gli archi riflessi lavorano in modo indipendente e non sono diret­ ti da alcun centro di controllo. Se un organo esterno contiene un arco riflesso completo, a tal proposito si parla, a buon diritto, di «riflesso-persona». Il riccio di mare possiede un gran numero di riflessi di que­ sto tipo, che agiscono ognuno per conto proprio senza alcu­ na guida centrale. Per illustrare la differenza che esiste tra animali del genere e animali più complessi potremmo dire: quando un cane corre, è l'animale a muovere le zampe; quando un riccio di mare si muove, sono le zampe a spo­ stare l'animale. I ricci di mare, così come quelli di terra, hanno un gran numero di aculei, ciascuno dei quali rappresenta un rifles­ so-persona indipendente. Il riccio di mare non possiede solo punte aguzze e dure, quella specie di foresta di lance - attaccate alla conchiglia calcarea grazie a snodi sferici - che si oppone a qualunque oggetto si avvicini. Questi animali si contraddistinguono anche per le ventose lunghe e molli, i cosiddetti pedicelli ambulacrali, dotate di muscoli indispensabili per la loco­ mozione. Alcune specie di riccio possiedono quattro pic­ cole strutture a forma di tenaglia, le pedicellarie (per puli­ re, colpire, afferrare e imprigionare le prede), distribuite su tutta la superficie. Sebbene numerosi riflessi-persona agiscano insieme, ognuno lavora indipendentemente dagli altri. Stimolati da una sostanza chimica rilasciata dal nemico naturale del ric-



GLI AMBIENTI SEMPLICI

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cio, la stella marina, gli aculei si ritraggono, mentre si fan­ no avanti le pedicellarie velenose, in grado di mordere i peduncoli e le ventose dell'avversario. Si può parlare di una «repubblica di riflessi>>, nella qua­ le, malgrado la completa indipendenza di ciascun riflesso­ persona, regna la pace civile. Non succede mai, infatti, che le ventose della stella marina vengano attaccate dalle pedi­ cellarie prensili, che pure afferrano qualunque oggetto capi­ ti loro a tiro. Questa pace civile non è imposta da una struttura cen­ trale come succede, invece, nella nostra specie: i denti costi­ tuiscono un pericolo costante per la lingua e questo incon­ tro è evitato grazie alla comparsa, nell'organo centrale, del segnale percettivo «dolore>> che inibisce i comportamenti a rischio. Poiché in quella repubblica di riflessi che è il riccio non esiste alcun centro superiore, la pace civile deve essere tute­ lata in un altro modo. Questo accade grazie a una sostanza, l'autodermina, che paralizza i ricettori dei riflessi-persona. È talmente diluita su tutta la pelle dell'animale che non pro­ voca alcun effetto inibitorio se un oggetto esterno ne tocca la superficie. Al contrario, nel caso in cui due punti della pelle entrino in contatto, la quantità doppia di autodermina agisce impedendo che si inneschi una reazione aggressiva. Una repubblica di riflessi può accogliere nel proprio ambiente molte marche percettive, se è composta da rifles­ si-persona altrettanto numerosi, ma queste marche devono restare totalmente isolate, dato che ciascun circuito funzio­ nale opera in completa autonomia. Anche la zecca, le cui manifestazioni vitali, l'abbiamo visto, sono costituite da tre riflessi, rappresenta un anima­ le di tipo superiore, perché i circuiti funzionali non si ser-

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

vono di archi riflessi isolati, ma possiedono un organo per­ cettivo comune. Esiste dunque la possibilità che nell'am­ biente della zecca la preda venga percepita come un'unità, pur essendo rappresentata solo mediante lo stimolo chimi­ co dell'acido butirrico, lo stimolo tattile e quello termico. Per il riccio di mare non esiste una possibilità del gene­ re: le marche percettive, gradi diversi di pressione e di sti­ molazione chimica, sono unità sensoriali completamente isolate le une dalle altre. Certi ricci rispondono all'oscuramento dell'orizzonte con un movimento degli aculei che, come mostrano le figu­ re I 9 a e I 9 b, è sempre lo stesso: sia che si tratti di una nave, di una nuvola oppure di un nemico effettivo come il pesce.

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r 9a. I dintorni del riccio di mare.

4· GLI AMBIENTI SEMPLICI

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Questa rappresentazione dell'ambiente del riccio non è ancora sufficientemente semplice. La marca percettiva che abbiamo chiamato «ombra>> non può far parte in alcun modo dello spazio del riccio, perché quest'animale non possiede alcuno spazio visivo. Sulla sua pelle fotosensibile, l'ombra produce un effetto simile a quello provocato da un batuffolo di cotone che ne sfiori la superficie. Ma è chiaro che sarebbe tecnicamente impossibile riprodurre grafica­ mente una sensazione del genere.

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1 9b. L'ambiente del riccio di mare.

5.

Forma e movimento come marche percettive

Un ambiente semplice è privo di marche percettive che riguardano la forma e il movimento, poiché queste presup­ pongono che tra i diversi luoghi ci sia una qualche connes­ sione. Se anche supponessimo che nell'ambiente del riccio di mare tutte le marche percettive delle varie persone-rifles­ so siano dotate di segno locale (e che, di conseguenza, cia­ scuna di esse si trovi in un luogo diverso), il riccio non sarebbe in grado di collegare questi luoghi tra loro. Forma e movimento entrano in scena solo in mondi percettivi superiori. Noi umani siamo abituati a pensare, visto il tipo di esperienza che facciamo nel nostro ambien­ te, che la forma di un oggetto sia la marca percettiva pri­ maria e che il movimento, invece, costituisca un fenomeno secondario che si aggiunge al primo solo occasionalmente. In numerosi ambienti animali, però, questo non è vero. In molti di essi, infatti, non solo la forma immobile e la for­ ma in movimento rappresentano due marche percettive indipendenti, ma il movimento senza forma può ugual­ mente presentarsi come marca percettiva autonoma. Nella figura 20 una taccola è a caccia di cavallette. Se la cavalletta resta immobile la taccola non riesce a vederla e cerca di acchiapparla solo se comincia a saltare. Si può esse­ re tentati di supporre che la taccola sia in grado di ricono­ scere la forma della cavalletta da ferma ma che non riesca a

5 · FORMA E MOVIMENTO

COME MARCHE PERCETTIVE

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zo. La tacco la e la cavalletta.

cogliere la struttura unitaria perché nascosta dall'accaval­ larsi degli steli di erba, come può succedere anche a noi quando, impegnati a risolvere un gioco enigmistico, ci tro­ viamo alle prese con una immagine difficile da individua­ re. Secondo questa ipotesi, solo nel momento in cui la cavalletta spiccasse il salto la forma si libererebbe degli ele­ menti di disturbo che ne impediscono l'identificazione. Ma se si prendono in considerazione anche altri dati, occorre formulare un'ipotesi diversa: la taccola non è in gra­ do di distinguere la forma della cavalletta quando è ferma perché è sintonizzata solo sulla forma della preda in movi­ mento. Questo spiega perché molti insetti, se si trovano in pericolo, «fanno il morto». Se restando immobili la loro for­ ma non esiste, quando fanno il morto escono sicuramente dal mondo percettivo del loro predatore e, in questo modo, non rischiano di essere individuati e scoperti. Per verificare questa idea, ho costruito un'esca per mosche, formata da un bastoncino alla cui estremità è appeso, legato a un filo sottile, un pisello ricoperto di colla moschicida.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

Se si lascia oscillare l'esca davanti alla mensola di una finestra illuminata dal sole sulla quale si trovano delle mosche, molte di queste si precipiteranno sull'oggetto restandovi incollate. Ma a cadere nella trappola saranno solo mosche di sesso maschile: abbiamo provocato un volo nuziale molto sfortunato. Le mosche che volano intorno al lampadario sono maschi pronti a intercettare le femmine che capitano a tiro. Il pisello che oscilla riproduce la marca percettiva della femmina in volo, mentre quand'è fermo non viene mai scambiato dalle mosche per un'esponente della propria spe­ cie. Da ciò si può concludere che la femmina immobile e la femmina in volo siano due differenti marche percettive. Ma facciamo un altro esempio di una situazione nella quale il movimento senza forma costituisce una marca per­ cettiva. La figura 2 r mette a confronto i dintorni e l'am­ biente della capasanta. Nei dintorni della capasanta si trova il suo nemico più pericoloso, la stella marina, in una posizione che sarebbe ben visibile ai numerosi occhi (un centinaio) del mollusco. Finché la stella marina resta immobile, però, non produce alcuna reazione nella capasanta. Per quest'ultima, infatti, la sua caratteristica forma a cinque punte non costituisce una marca percettiva. Quando, invece, la stella si mette in movi­ mento, la capasanta per tutta risposta estende i tentacoli che le servono da organo olfattivo. A questo punto prima si avvicina al suo nemico e, una volta percepito il nuovo sti­ molo, si allontana nuotando via. Diversi esperimenti hanno dimostrato che nell'ambien­ te del mollusco la forma e il colore di un oggetto in movi­ mento sono del tutto irrilevanti. Un oggetto rappresenta per l'animale una marca percettiva solo se si muove con la

5 · FORMA E MOVIMENTO COME MARCHE PERCETTIVE

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2 1 . Dintorni e ambiente della capasanta.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

stessa lentezza della stella marina. Gli occhi della capasan­ ta non sono sintonizzati sulla forma o sul colore ma solo su un certo ritmo dinamico che corrisponde esattamente ai movimenti del suo nemico naturale. In questo modo, però, la stella marina non è ancora messa a fuoco: è necessaria una seconda marca percettiva, di tipo olfattivo, perché entri in gioco un secondo circuito funzionale che consenta al mollusco di fuggire via. È proprio questa marca operativa, la fuga, a disattivare la marca percettiva costituita dalla vici­ nanza del nemico. Per lungo tempo si è pensato che nell'ambiente del lom­ brico esistesse una marca percettiva della forma. Già Dar­ win sottolineava che questo animale si comporta con le foglie e gli aghi di pino in modo diverso (figura z z ) . Il lom­ brico afferra le foglie e gli aghi portandoli in stretti cunico­ li, per poi utilizzarli come nutrimento e riparo. Nella mag­ gior parte dei casi, se le foglie sono prese per il gambo oppongono una certa resistenza quando si cerca di portarle dentro cavità tanto anguste; se invece le si afferra per la pun­ ta si arrotolano facilmente e non creano alcun problema. Al contrario, è più facile tirare dentro gli aghi di pino (che cado­ no dall'albero sempre a coppie) prendendoli non per una delle punte ma per la base. Partendo dal fatto che il lombri­ co si comporta ogni volta in modo adeguato, sia con le foglie che con gli aghi, si è pensato che la forma di oggetti che svol­ gono un ruolo importante nel mondo operativo dell'anima­ le avesse assunto il ruolo di marca percettiva. Questa supposizione si è rivelata falsa. È stato dimostra­ to che il lombrico tira dentro il suo cunicolo dei bastonci­ ni, tra loro di forma identica e precedentemente ricoperti di gelatina, indifferentemente per l'una o per l'altra estre­ mità. Ma se si cosparge una delle estremità con polvere pro-

5 · FORMA E MOVIMENTO COME MARCHE PERCETTIVE

22.

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Il lombrico mentre assapora l e foglie.

veniente dalla punta di una foglia secca di ciliegio e l'altra con polvere proveniente dal gambo, il lombrico comincia a comportarsi con le estremità del bastoncino come se la pri­ ma fosse la punta e la seconda il gambo. Anche se il lombrico si comporta con le foglie in modo adeguato rispetto alla forma della foglia, quel che guida il suo comportamento è il sapore. Evidentemente, il lombri­ co ha adottato questo sistema perché i suoi organi senso­ riali hanno una struttura troppo semplice per elaborare le marche percettive che riguardano la forma. Un esempio del genere mostra come la natura riesca ad aggirare difficoltà che, a prima vista, appaiono insormontabili. Riassumendo, il lombrico non è in grado di percepire la forma. A questo punto si fece sempre più pressante l'inter­ rogativo: in quale ambiente animale la forma diventa una

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

23. I dintorni e l'ambiente dell'ape.

95 marca percettiva? La domanda trovò in seguito la sua risposta. Si vide che le api preferiscono posarsi su sagome a strut­ tura aperta, a forma di stella o di croce, mentre evitano oggetti di forma chiusa, come quadrati o cerchi. La figura 23 mostra la contrapposizione tra i dintorni e l'ambiente dell'ape. I suoi dintorni sono formati da prati nei quali si alternano boccioli e fiori già dischiusi. Se ora si guarda cosa succede nel suo ambiente, ci accorgiamo che è popolato da sagome che assomigliano a croci o stelle e da sagome chiu­ se e circolari. N on è necessario insistere sul significato biologico, sco­ perto di recente, di questa caratteristica delle api: per loro sono i fiori, e non certo i boccioli, ad avere un significato. Le relazioni di significato rappresentano l'unica guida affi­ dabile, come abbiamo già visto con la zecca, per studiare gli ambienti animali: capire se le forme aperte hanno sulle api un maggiore effetto fisiologico rispetto alle forme chiu­ se è una faccenda del tutto secondaria. Questi studi hanno ricondotto, dunque, il problema del­ la forma a una formula estremamente semplice. Basta sup­ porre che le cellule che nell'organo sensoriale percepiscono i segni locali siano articolate in due gruppi: uno per lo sche­ ma «aperto», l'altro per lo schema «chiuso». Non esistono altre distinzioni. Se si traspone lo schema all'esterno, quel che viene fuori sono «immagini percettive>> (Merkbilder) assolutamente generali che, come mostrano alcuni studi recenti e molto belli, per le api sono legate alla individua­ zione di colori e odori. Né il lombrico né la capasanta né la zecca possiedono invece schemi del genere. Il loro ambiente manca di qualunque immagine percettiva. 5 · FORMA E MOVIMENTO COME MARCHE PERCETTIVE

6. Obiettivo e piano

Noi umani siamo abituati a condurre la nostra esisten­ za passando con fatica da un obiettivo a un altro; per que­ sta ragione siamo convinti che anche gli animali facciano la stessa cosa. Si tratta di un errore di fondo che continua a indirizzare la ricerca su binari sbagliati. Certo, nessuno attribuirà scopi od obiettivi al riccio di mare o al lombrico. Ma già quando abbiamo descritto la vita della zecca, abbiamo detto che «aspetta la sua preda». Seppur in modo involontario, con questa espressione ab­ biamo immesso di contrabbando nella vita dell'animale le nostre preoccupazioni quotidiane. La zecca, in realtà, è governata da un preciso piano naturale. Quando descriviamo gli ambienti animali, la nostra pri­ ma preoccupazione sarà quella di evitare qualunque richia­ mo alla nozione di finalità. Ma possiamo fare una cosa del genere solo se consideriamo le manifestazioni vitali degli ani­ mali organizzate secondo un piano naturale. Forse alcuni comportamenti dei mammiferi superiori si riveleranno come azioni dirette verso un obiettivo, ma anche queste sono azio­ ni subordinate a un piano generale stabilito dalla natura. I comportamenti di tutti gli altri animali non sono in alcun modo finalizzati. Sarà utile, innanzitutto, dare al let­ tore un'idea di quegli ambienti per i quali è indubbia la vali­ dità di questa affermazione. Prendiamo ad esempio le

6.

24.

OBIETTIVO E PIANO

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L'effetto di un suono acuto sulle falene.

informazioni che mi sono state gentilmente fornite sulla percezione del suono da parte delle falene (figura 24). Secondo queste ricerche, è del tutto irrilevante che il suono sul quale sono sintonizzate le falene sia prodotto da un pipistrello o dallo sfregamento di un tappo di vetro su una bottiglia: l'effetto è sempre lo stesso. Le falene di colore chiaro, e per questo facilmente visibili, si levano in volo mentre le falene scure, protette da un colore che le mime­ tizza, in risposta allo stesso suono atterrano. La stessa mar­ ca percettiva produce comportamenti opposti. Salta agli occhi il piano naturale che è alla base di una simile diffe­ renza: sicuramente questa non dipende da una diversità d'obiettivi, per il semplice fatto che la falena non può vede­ re il colore delle proprie ali. Ma l'ammirazione suscitata dal

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2 5 . Cavallette davanti all'amplificatore e al microfono.

piano naturale aumenta ancor di più quando si apprende che le raffinatissime strutture microscopiche che compon­ gono l'organo acustico della falena sono tarate esclusiva­ mente sul suono prodotto dal pipistrello. Per il resto, l'ani­ male è completamente sordo. La differenza tra piano naturale e obiettivo soggettivo già emerge con chiarezza da un bell'esperimento condotto da Fabré. Una pavonia femmina veniva poggiata per qual­ che secondo su un foglio di carta bianca, sul quale la fadal­ la notturna cominciava a sfregare l'addome. Poi la pavonia veniva messa sotto una campana di vetro, accanto al foglio ,,. Qean-Henri Casimir Fabre ( r 8 23 - 1 9 I 5), fisico e botanico, è oggi considerato uno dei fondatori dell'entomologia].

6.

99 di carta. Durante la notte intere frotte di maschi, apparte­ nenti a questa specie molto rara, entravano dalla finestra posandosi sul foglio. Nessuno di loro prestava attenzione alla femmina che si trovava lì accanto, sotto la campana di vetro. Fabre non è riuscito a indicare quale agente chimico o fisico facesse da richiamo. Da questo punto di vista, gli esperimenti sulle cavallet­ te e i grilli sono ancora più istruttivi (cfr. figura 2 5 ). In una stanza, si pone una femmina di grillo davanti a un microfo­ no. Mentre questa frinisce, nella stanza accanto i maschi si riuniscono davanti all'amplificatore senza curarsi minima­ mente di un'altra femmina che si trova lì vicino ma sotto una campana di vetro che ne isola il richiamo. Non le si avvicina nessuna cavalletta perché su di loro l'immagine ottica non ha alcun effetto. Entrambi gli esperimenti dimostrano la stessa cosa: in nessuno dei due casi si assiste al perseguimento di un obiet­ tivo. Il comportamento apparentemente bizzarro della caval­ letta maschio è facilmente spiegabile se si cerca di compren­ dere il modo in cui è conforme al piano naturale che ne è alla base. In tutti e due i casi, un circuito funzionale è attivato da una marca percettiva che, una volta eliminato l'oggetto che normalmente la produce, non riesce più a produrre la marca operativa indispensabile per disattivarla e chiudere così il cir­ cuito. Normalmente, dovrebbe esserci una seconda marca percettiva in grado di far scattare il circuito operativo suc­ cessivo. Bisogna capire, dunque, quale essa sia. Si tratta, infatti, di un elemento indispensabile per la catena che forma il circuito funzionale legato all'accoppiamento. Si dirà: nel caso degli insetti non possiamo parlare di comportamento finalizzato. Sono guidati direttamente dal piano naturale. In casi del genere, è il piano naturale che OBIETTIVO E PIANO

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indica a quali marche percettive essere sensibili, come abbiamo già visto con la zecca. E si potrebbe aggiungere: chiunque, però, abbia avuto modo di osservare delle galli­ ne razzolare nell'aia e abbia visto come la chioccia si preci­ piti in soccorso dei pulcini, non potrebbe certo dubitare che si tratti di un comportamento finalizzato. Proprio su questo tipo di comportamento si sono con­ centrati alcuni esperimenti molto ben congegnati, che han­ no fornito risultati assolutamente certi. La figura 26 illustra esattamente quel che accade. Se si tiene legato un pulcino per una zampa, il suo pigolio spinge la chioccia a seguire il richiamo e a rizzare le piume anche quando il pulcino è nascosto da uno steccato. Quando la gallina vede il pulcino, comincia ad aggredire un avversario immaginario con furiosi colpi di becco. Ma se il pulcino, sempre legato per una zampa, viene messo sotto una campana di vetro, in modo tale che la gal­ lina possa vederlo ma non sentire i suoi lamenti, la chioccia non è affatto turbata da quel che vede. Anche in questo caso, non abbiamo a che fare con un comportamento finalizzato, bensì con un circuito funzio­ nale interrotto. Di norma la marca percettiva del pigolio è provocata, seppur indirettamente, da un predatore che sta attaccando un pulcino. Secondo il piano naturale, questa marca percettiva viene fatta scomparire dalla marca opera­ tiva perché i colpi di becco di solito riescono a scacciare il nemico. Il pulcino che si dibatte ma non pigola non costi­ tuisce per la gallina una marca percettiva in grado di pro­ durre una risposta particolare: d'altra parte, se così non fos­ se, la gallina si troverebbe in una situazione ingestibile, dato che non avrebbe certo la possibilità di sciogliere il nodo che tiene legato il suo piccolo.

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26. La chioccia e il pulcino.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

27.

La chioccia e il pulcino nero.

Ancora più strano e non finalizzato è il comportamen­ to di un'altra gallina (figura 27), dal piumaggio scuro, a cui sia stata fatta covare una delle sue uova in mezzo ad altre, appartenenti però a una specie diversa, dal piumaggio bian­ co. Nei confronti del pulcino di colore nero, l'unico a esse­ re sangue del suo sangue, la gallina agisce in modo appa­ rentemente insensato. Sentendo il suo pigolio, l'animale si precipita da lui ma, vedendolo tra i fratelli di colore bianco, lo attacca a colpi di becco. Le marche percettive acustiche e visive, che apparterrebbero allo stesso oggetto, attivano cir­ cuiti operativi contraddittori. Non c'è dubbio che, nell'am­ biente della gallina, le due marche percettive che contraddi­ stinguono i pulcini non riescono a fondersi in una singola unità sensoriale.



Immagine percettiva e immagine operativa

L'opposizione tra obiettivo del soggetto e piano della natura ci dispensa dall'interrogarci sulla questione del­ l'istinto, sulla quale non è possibile dire nulla di preciso. Una ghianda, ad esempio, ha bisogno di un istinto per diventare una quercia? Oppure, per formare l'osso, le cel­ lule del tessuto osseo hanno bisogno di seguire l'istinto ? Se si risponde a questa domanda in modo negativo e si sostituisce questa nozione con quella di piano naturale inteso come un fattore d'ordine, si riconoscerà anche nel­ la ragnatela o nei nidi d'uccello la manifestazione di piani naturali sovraindividuali, poiché in entrambi i casi non abbiamo a che fare con la realizzazione di un obiettivo individuale. La nozione di istinto è utile solo a indicare il nostro imbarazzo: vi si ricorre solo se si decide di negare la pre­ senza di piani naturali sovraindividuali. Il problema è farsi una idea precisa di cosa sia un piano naturale, poiché non è né una sostanza né una forza. A tal fine, è utile fare riferimento a un esempio concreto. Per piantare un chiodo nel muro, non basta avere un ottimo piano d'azione se non si ha a disposizione un martello. Allo stesso modo, il miglior martello del mondo non è sufficien­ te se non si ha un progetto e si cerca il piantare il chiodo

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

come capita. Quel che succede nel secondo caso è molto semplice: ci si dà una martellata sulle dita. Senza un piano, cioè senza le condizioni regolatrici del­ la natura che governano qualsiasi cosa, non avremmo una natura ordinata ma solo caos. I cristalli sono il prodotto di un piano naturale, e quando il fisico descrive la struttura dell'atomo ricorrendo ai modelli di Bohr non fa altro che rendere manifesto l'oggetto della sua ricerca: i piani che regolano la natura minerale. Quando si passa a studiare gli ambienti animali emerge con particolare chiarezza l'importanza dei piani naturali che riguardano gli esseri viventi. Esplorare questo aspetto del problema rappresenta una delle sfide più affascinanti. Proprio per questo, non ci faremo distrarre e continueremo la nostra passeggiata alla scoperta degli ambienti animali. La figura 28 illustra i risultati ottenuti studiando un picco­ lo crostaceo, il paguro eremita. È stato dimostrato che il paguro utilizza, come immagine percettiva, uno schema spa­ ziale estremamente semplice. Tutti gli oggetti di una certa grandezza che possiedano forma cilindrica o conica possono assumere un significato biologico. Come mostra il disegno, lo stesso oggetto di forma cilindrica, in questo caso l'anemone di mare, può assume­ re significati diversi nell'ambiente del paguro, a seconda della tonalità emotiva (Stimmung) esibita dall'animale in quel momento. Le sei scene che compongono la figura ritraggono sem­ pre lo stesso paguro e lo stesso anemone di mare. Nella pri­ ma scena, al paguro sono stati tolti gli anemoni che di solito si trovano sul suo guscio; nella seconda gli è stata tolta pure la protezione fornitagli dalla conchiglia; nella terza, invece, il paguro è mantenuto a digiuno per parecchio tempo. Tutto

7· IMMAGINE PERCETTIVA E IMMAGINE OPERATIVA

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ciò basta a provocare nell'animale tre tonalità emotive dif­ ferenti: in relazione a esse, il significato biologico dell'ane­ mone si trasforma. Nel primo caso, quando il guscio del paguro è privo degli anemoni che utilizza come difesa con­ tro l'attacco delle seppie, l'immagine percettiva dell'anemo­ ne assume una «tonalità difensiva>> che emerge dalla sequen­ za di movimenti con la quale il paguro colloca l'anemone sulla sua conchiglia. Nel secondo caso, invece, per il paguro privo di conchiglia l'anemone assume una «tonalità abitati­ va>> che si manifesta nei tentativi, vani, del piccolo crostaceo di entrarvi dentro. Nel terzo caso, infine, l'immagine per­ cettiva dell'anemone assume una «tonalità nutritiva>> : il paguro comincia a mangiarlo. Tutto questo è particolarmente significativo perché di­ mostra che, già nell'ambiente degli artropodi, una «immagi­ ne operativa>> può integrare e trasformare l'immagine per­ cettiva a seconda dell'azione in cui la si inserisce. Alcuni esperimenti con i cani chiariscono ancora meglio il punto. Il compito da svolgere era molto semplice e le rispo­ ste comportamentali fornite dai cani sono state inequivoche. Un cane è addestrato a saltare a comando: quando sente la parola «sedia>>, deve accucciarsi su una sedia posta davanti a lui. In un secondo tempo, la sedia viene tolta e il comando ripetuto. Il cane comincia, allora, a utilizzare come sedie tut­ ti gli oggetti sui quali riesce a salire. Quel che ne emerge è che un cospicuo numero di oggetti possiede la : casse, scaffali, addirittura uno sgabello rovesciato. Que­ sti oggetti possiedono tonalità di seduta per un cane, non cer­ to per un essere umano. Allo stesso modo, e sono termini che per un cane assumono una tonalità particolare che dipende dal modo in cui può usare questi oggetti.

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AMBIENTI ANIMALI E AMBIENTI UMANI

2 8 . L'anemone e il paguro.

29. La stanza per l'essere umano.

7· IMMAGINE PERCETTIVA E IMMAGINE OPERATIVA

30. La stanza per il cane.

3 r . La stanza per la mosca.

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Ma il problema può essere sviscerato in tutti i suoi aspet­ ti solo se si prende in considerazione cosa accade con gli esse­ ri umani. Come facciamo a vedere in una sedia il sedersi, in una tazza il bere o in una scala il salire, cose che in nessun caso sono fornite dai sensi? In tutti gli oggetti di cui abbiamo imparato l'impiego vediamo le modalità d'uso con la stessa sicurezza con la quale ne identifichiamo il colore o la forma. Una volta portai con me un giovane uomo di colore, molto abile e intelligente, dall'Africa centrale fino a Dar es Salaam':· . A fargli difetto era solo la conoscenza degli uten­ sili usati dagli europei. Dopo averlo portato di fronte a una scala, gli chiesi di salirei. Lui, per tutta risposta, mi disse: >. Se teniamo conto della tonalità operativa, capiamo in che modo ciascun ambiente garantisca agli animali quella sicu­ rezza di comportamento che tanto ci sorprende. Potremmo dire che un animale nel suo ambiente può distinguere tanti oggetti quante sono le attività che è in grado di compiere. Dire che un animale possiede poche immagini operative per svolgere uno scarso numero di attività significa dire che il suo ambiente è formato da pochi oggetti. In questo caso, l'ambiente è più povero ma è anche più sicuro, poiché con pochi oggetti è più facile orientarsi. Se il paramecio possedesse un'immagine operativa delle proprie attività, il suo ambiente sarebbe composto da ogget­ ti tutti dello stesso tipo, caratterizzati dalla tonalità operati­ va dell'ostacolo. Non c'è dubbio che un ambiente del gene­ re darebbe tutta la sicurezza che si possa mai desiderare. Per un animale la quantità di oggetti che popolano il suo ambiente cresce proporzionalmente al numero di attività

7· IMMAGINE PERCETTIVA E IMMAGINE OPERATIVA

III

che è in grado di compiere. Questo numero aumenta nel corso della vita individuale di tutti gli animali capaci di fare esperienza. Ogni esperienza produce un adattamento in grado di far fronte a nuove impressioni: genera, così, nuo­ ve tonalità e immagini operative. Tutto ciò emerge con chiarezza se si pensa a cosa suc­ cede a un cane quando vive in un ambiente costellato di oggetti d'uso umani: impara a farli propri utilizzandoli a modo suo, anche se il numero di oggetti che impiega resta inferiore al nostro. È quel che cercano di mostrare le figu­ re 29 -J I . Queste immagini riproducono sempre la stessa stanza ma secondo punti di vista differenti: gli oggetti che la ammobiliano sono di colori diversi; ciascun colore indi­ ca le tonalità operative che assumono per l'essere umano, il cane e la mosca. Per quel che riguarda il nostro ambiente, le tonalità ope­ rative sono rappresentate in arancione per la sedia (tonalità di seduta), in rosa per il tavolo (tonalità del nutrimento) e in giallo e rosso per piatti e bicchieri (tonalità del bere e del mangiare). Il pavimento è grigio perché ha una tonalità motoria, mentre i libri e lo scrittoio sono lilla per ribadire che hanno un impiego specifico (la lettura e la scrittura). Anche la parete e il lampadario sono rappresentati con un colore diverso: la prima ha una tonalità operativa d'ostacolo (in verde), il secondo d'illuminazione (in bianco). Nell'ambiente del cane, i colori indicano le stesse tona­ lità operative che abbiamo visto valere per gli esseri umani. A cambiare sono la loro varietà e la loro estensione. Ci sono solo alcune tonalità (di seduta, di nutrimento, motoria e di illuminazione) tutto il resto assume la tonalità di ostacolo. Per il cane anche lo sgabello girevole non può assumere una tonalità di seduta, perché troppo liscio.

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Gli oggetti nell'ambiente della mosca.

Infine, si vedrà che per la mosca il quadro cambia anco­ ra: tutta la stanza assume una tonalità motoria, eccezion fat­ ta per il lampadario (abbiamo già spiegato quale sia in que­ sto caso il suo significato) e per le stoviglie che si trovano sopra il tavolo. La figura 3 2 mostra bene la sicurezza con la quale la mosca, in un ambiente tanto semplice, si orienta nella stan­ za. Basta poggiare sul tavolo una caffettiera ancora bollente per far avvicinare le mosche. Queste, attirate dal calore, camminano sul tavolo, oggetto che per loro ha una tonalità operativa puramente motoria, del tutto diversa dalla nostra. Poiché le zampe di questi insetti sono dotate di ricettori gustativi la cui stimolazione provoca l'estroflessione della proboscide, le mosche tendono a rimanere lì dove trovano

7· IMMAGINE PERCETTIVA E IMMAGINE OPERATIVA

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cibo, cioè nei pressi della caffettiera, senza prestare l a mini­ ma attenzione a tutto il resto. Qui risulta particolarmente facile distinguere l'ambiente della mosca dai suoi dintorni.

8. Percorsi conosciuti

Il modo più semplice per convincerci della diversità degli ambienti umani è farsi guidare in una zona scono­ sciuta da qualcuno pratico del posto. La guida segue con sicurezza un percorso che noi non riusciamo neanche a vedere. Nei dintorni è possibile individuare una moltitudi­ ne di piante e rocce, ma nell'ambiente della guida ce ne sono alcune che si distinguono da tutte le altre come fos­ sero degli indicatori stradali, sebbene su di esse non ci sia alcun segno per noi riconoscibile. Il sentiero ci sembra invisibile perché dipende intera­ mente dal singolo soggetto: è per questo motivo che una situazione del genere costituisce un problema tipicamente ambientale. Quello dei percorsi conosciuti è un problema spaziale che riguarda tanto lo spazio visivo quanto lo spa­ zio operativo. Questo dato emerge immediatamente dal modo in cui, per esempio, li descriviamo: gira a destra dopo la casa rossa, poi vai sempre dritto per un centinaio di passi e prosegui a sinistra. Per descrivere il percorso uti­ lizziamo tre tipi di marche percettive: r . marche visive; 2. assi del sistema di coordinate; 3 . passi d'orientamento. In questo caso, non utilizziamo forme d'orientamento minime, cioè le unità di movimento più piccole a nostra disposizione, ma quell'insieme di impulsi motori elemen-

8.

PERCORSI CONOSCIUTI

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tari che sono necessari per fare un passo. Quando cammi­ niamo, il nostro passo ha più o meno sempre la stessa estensione, tanto che fino a non troppo tempo fa era impiegato come unità di misura. Se, ad esempio, ordino a qualcuno di fare un centinaio di passi, intendo che egli debba imprimere alle proprie gambe per cento volte la stessa spinta, con il risultato che la distanza percorsa sarà più o meno la stessa a prescindere da chi la compie. Quando percorriamo più volte una certa distanza, uti­ lizziamo come segno d'orientamento la spinta costante che diamo al nostro corpo durante il cammino: è così che pos­ siamo fermarci tutti nello stesso posto anche senza aver prestato attenzione alle marche visive che abbiamo intor­ no. Quando seguiamo un percorso conosciuto, a noi noto ma invisibile per gli altri, sono proprio i segni direzionali a svolgere un ruolo particolarmente importante. Sarebbe molto interessante osservare il modo in cui il problema dei percorsi conosciuti si presenta nei vari am­ bienti animali. In molti casi, indubbiamente, questi per­ corsi dipendono per lo più da marche percettive di tipo olfattivo e tattile. So.np decine di anni che numerosi ricercatori america­ ni cercano di stabilire il tempo necessario a un animale per apprendere un percorso, osservando in quanto tempo le specie più diverse riescono a orientarsi in un labirinto. Purtroppo, però, è sfuggita loro la questione dei percorsi conosciuti: non hanno cercato di capire quali siano i siste­ mi di coordinate e le marche percettive (visive, tattili e olfattive) impiegate dagli animali per ritrovare la strada. Il fatto che siano le nozioni stesse di destra e sinistra a costi­ tuire un problema non li ha neanche sfiorati. Non si sono nemmeno posti il problema del numero di passi compiuti

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3 3. Il cieco con il cane guida.

da ogni singolo animale per orientarsi, perché non si sono resi conto che anche per l'animale il passo può servire da unità di misura. Insomma, questo problema dovrà essere affrontato ripartendo da zero, malgrado l'enorme mole di materiale empirico che ormai si è accumulata. La scoperta dell'esistenza di percorsi conosciuti nel­ l'ambiente del cane ha, oltre che un interesse teorico, una grande importanza pratica, qualora ci si occupi, ad esem­ pio, del lavoro che deve svolgere un cane per ciechi.

8.

PERCORSI CONOSCIUTI

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34· Il percorso conosciuto delle taccole.

La figura 3 3 mostra un cieco che cammina con il suo cane guida. Il cieco vive in un ambiente molto ristretto: non conosce la strada che deve percorrere se non procedendo a tastoni con il piede o con il bastone. La strada che egli attra­ versa è avvolta nella più completa oscurità. Il cane guida lo riporta a casa seguendo un percorso preciso. La difficoltà nell'addestrare il cane consiste nel fatto che occorre far entrare nel suo ambiente alcune marche percettive che sono importanti per il cieco ma non per l'animale. Il cane dovrà, ad esempio, aggirare ostacoli contro i quali il cieco potreb­ be andare a sbattere. È particolarmente difficile insegnare al cane marche percettive come la cassetta delle lettere o una finestra, oggetti che questo animale normalmente non prende neanche in considerazione. Come marca percettiva è difficile introdurre nel suo ambiente anche il marciapiede,

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contro il quale il cieco può inciampare, poiché il cane, quando corre libero, non vi fa caso. La figura 34 illustra un comportamento tipico delle gio­ vani taccole. Come si vede, gli uccelli volano intorno alla casa seguendo traiettorie a semicerchio: riescono a tornare al punto di partenza solo invertendo la rotta, cioè seguen­ do il percorso che già hanno conosciuto all'andata. Se, inve­ ce, giungono nel luogo dal quale hanno spiccato il volo dopo aver fatto tutto il giro della casa non sono in grado di riconoscerlo. Recentemente, è stato scoperto che i ratti seguono per lungo tempo i percorsi ai quali sono abituati, anche se per arrivare a destinazione potrebbero prendere una strada più breve e diretta. Il problema è stato studiato nei pesci combattenti: innanzitutto si è constatato che in questi animali tutto quel che è sconosciuto viene affrontato con un certo grado di repulsione. In un acquario, è stata posta una lastra di vetro con due fori nei quali i pesci potevano infilarsi facilmente. Se si collocava del cibo dietro uno dei fori, prima che il pesce, superata l'esitazione, vi si infilasse, passava un po' di tem­ po. Se si collocava il cibo in una posizione leggermente diversa, non dietro ma accanto al primo foro, l'animale andava subito a mangiar!o. Ma se il cibo veniva spostato die­ tro al secondo buco, il pesce continuava a passare dentro il primo evitando di infilarsi in una cavità per lui sconosciuta. Come mostra la figura 3 5, in un altro acquario è stata costruita una parete divisoria oltre la quale si trovava del cibo, in modo che il pesce fosse costretto a spingersi dal­ l'altra parte della parete. Se il cibo veniva collocato al di là del divisorio, il pesce seguiva sempre lo stesso percorso anche quando la parete era disposta in modo tale che il

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PERCORSI CONOSCIUTI

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3 5.

Il percorso conosciuto del pesce combattente.

pesce avrebbe potuto raggiungere il cibo in modo più faci­ le e veloce, per via diretta. In questo caso il percorso cono­ sciuto è determinato da marche ottiche e direzionali, forse anche da quelli che prima abbiamo chiamato passi d'orien­ tamento. Tirando le somme, possiamo dire che i percorsi cono­ sciuti favoriscono la vita dell'animale: sono come piste flui­ de che facilitano il cammino di un corpo all'interno di una massa vischiosa che oppone continuamente resistenza.

9· Dimora e territorio

Esiste una stretta relazione tra i percorsi conosciuti e il problema della dimora (Heim) e del territorio (Heimat). Come punto di partenza, la cosa migliore è prendere in esa­ me alcune ricerche sugli spinarelli maschi. L'ingresso del loro nido è contrassegnato da un filo colorato (forse si trat­ ta di una marca visiva per indicare la strada ai piccoli). All'in­ terno del nido, i piccoli crescono protetti dal padre: è questa la loro dimora (Heim). Occorre precisare, però, che la dimo­ ra non coincide con il territorio, con quel luogo sicuro che potremmo definire la patria (Heimat) dell'animale. Due spi­ narelli hanno costruito il proprio nido negli angoli opposti di un acquario, dividendolo in due mediante una frontiera invisibile (figura 36). L'area che appartiene al nido è il terri-

36. Dimora e territorio dello spinarcllo.

9· DIMORA E TERRITORIO

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torio dello spinarello che, per questa ragione, lo difende con energia e con successo anche se si tratta di combattere con­ tro conspecifici di taglia più grande. All'interno del proprio territorio lo spinarello è sempre vittorioso. Quello del territorio è un tipico problema ambientale, perché rappresenta una creazione puramente soggettiva: neanche la descrizione più precisa dei dintorni di un ani­ male fornirebbe indicazioni molto utili per sapere in cosa consista. Quali animali hanno un loro territorio e quali no ? Una mosca che va c viene intorno a un lampadario, ad esempio, non ne possiede nessuno. Al contrario, un ragno che tesse la sua tela possiede una dimora che rappresenta, allo stesso tempo, il suo territorio.

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Dimora e territorio della talpa.

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Si può dire lo stesso per la talpa (figura 3 7). Anch'essa costruisce una dimora che al tempo stesso è il suo territo­ rio, un sistema regolare di gallerie che si estende sottoterra come la tela di un ragno. Il suo territorio non è però costi­ tuito solo dalle gallerie, ma anche dalle porzioni di terra che vi si trovano comprese. Abbiamo potuto accertare che, gra­ zie a un olfatto molto acuto, questo animale non trova cibo solo all'interno dei tunnel, ma riesce a individuare la sua preda anche nei terrapieni circostanti, fino a 5 o 6 centime­ tri di profondità rispetto alla zona che ha già scavato. Poiché in cattività il sistema di tunnel diventa molto fitto, la talpa controlla praticamente tutto lo spazio compreso tra una gal­ leria e l'altra; se invece lo osserviamo all'aperto, dove c'è più spazio, questo piccolo roditore controlla olfattivamente solo le porzioni di terreno più vicine alle gallerie. E, come un ragno, percorre più volte questa rete andando a caccia di tutte le prede che vi si smarriscono. Al centro del labirinto, la talpa costruisce con foglie sec­ che il proprio nido: è questa la sua dimora, nella quale tro­ va riparo quando dorme. Per il piccolo roditore, i corridoi costituiscono dei percorsi conosciuti che possono essere attraversati avanti e indietro con facilità e rapidità. Le gal­ lerie rappresentano non solo un terreno di caccia, ma anche il territorio da difendere a costo della vita contro le incur­ sioni dei confinanti. In un elemento, dal nostro punto di vista, del tutto uni­ forme, è sorprendente che la talpa, animale completamente cieco, sia in grado di orientarsi senza commettere errori e con un'abilità stupefacente. Se lo si addestra a raggiungere un luo­ go dove c'è del cibo, questo animale è in grado di giungere di nuovo a destinazione anche se si fanno crollare tutti i tunnel d'accesso. Ciò dimostra che non è possibile che la talpa sia

9· DIMORA E TERRITORIO

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guidata da marche olfattive: il suo è un puro spazio operativo. È necessario ipotizzare che la talpa sia capace di ritrovare un percorso già noto per mezzo dei passi d'orientamento. Le marche tattili legate ai passi d'orientamento sono importanti per la talpa come per qualsiasi altro animale privo di organi visivi. È lecito pensare che le marche percettive direzionali e i passi d'orientamento si uniscano tra loro per formare uno schema spaziale. Se i tunnel vengono distrutti, completamen­ te o in parte, la talpa è capace di costruire una nuova rete di gallerie simile alla precedente, una nuova esteriorizzazione del suo schema spaziale. Anche le api costruiscono la loro dimora, ma la zona che circonda l'alveare e nella quale si trova il loro nutri­ mento costituisce per questi insetti solo un terreno di cac­ cia e non il loro territorio, da difendere contro le incursio­ ni nemiche. Per contro, nel caso delle gazze si può parlare di dimora e territorio, perché questi uccelli costruiscono il loro nido all'interno di uno spazio nel quale non è tollera­ ta la presenza di nessun conspecifico. Probabilmente moltissimi animali difendono il loro ter­ reno di caccia contro i propri conspecifici facendolo diven­ tare il loro territorio. Se si facesse il conto di quanti sono i territori individuali in una data regione per una data spe­ cie, si otterrebbe una carta politica le cui zone di confine sarebbero determinate da conflitti incessanti. Si vedrebbe, inoltre, che nella maggior parte dei casi non rimane alcuno spazio libero e che ogni territorio confina con un altro. È curioso notare come per molti uccelli rapaci esista una zona neutra tra il nido e la zona di caccia nella quale non attaccano la preda. Gli ornitologi suppongono, giustamen­ te, che questa differenziazione dell'ambiente sia imposta dalla natura per impedire agli uccelli predatori di attaccare

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3 8 . Cartina del giardino zoologico di Amburgo.

le loro stesse nidiate. Altrimenti, le prime volte in cui un piccolo lascia il proprio nido, spicca il volo e passa le gior­ nate a saltare da un ramo a un altro nelle vicinanze corre­ rebbe il rischio di cadere vittima dei suoi stessi genitori. I piccoli, invece, vivono senza pericolo nella zona neutra nei pressi del nido. La zona protetta è usata da molti uccelli canterini come luogo di nidificazione e covata: lì possono crescere i loro piccoli senza pericolo, sotto la protezione dei loro vicini predatori. Il modo in cui i cani marcano il loro territorio merita particolare attenzione. La figura 3 8 mostra la cartina del giardino zoologico di Amburgo, sulla quale sono stati segnati i luoghi in cui due cani maschi hanno l'abitudine di urinare nel corso della loro uscita quotidiana.

9· DIMORA E TERRITORIO

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39· Un orso marca il territorio.

Per lasciare la loro marca olfattiva, scelgono luoghi facil­ mente riconoscibili anche per l'occhio umano. Se poi si porta­ no a spasso due esemplari contemporaneamente, i cani comin­ ciano a fare a gara a chi riesce a marcare per primo il territorio.

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Un cane dal temperamento vivace ha la tendenza, nel momento in cui ne incontra un secondo che non conosce, a lasciare subito il proprio biglietto da visita urinando sul primo oggetto che gli capita a tiro. Nello stesso modo, quando si trova in un territorio marcato dall'odore di un altro cane, ispeziona con cura tutte le marche olfattive e le copre con la propria urina. Al contrario, un esemplare con un carattere più remissivo scivola via timoroso lungo le tracce odorose del suo conspecifico, senza lasciare alcun segno del proprio passaggio. Anche i grandi orsi dell'America del Nord marcano il territorio. Come si vede nella figura 39, l'orso si alza in posi­ zione eretta e si strofina con la schiena e il muso contro un pino visibile da lontano, fino a staccarne la corteccia. In questo modo segnala agli altri orsi di girare al largo ed evi­ tare le zone che fanno parte del territorio di un esemplare tanto imponente.

ro.

Compagni di vita

È vivida nella mia memoria l'immagine di un povero anatroccolo che era stato covato da un tacchino. Si era tal­ mente adattato alla sua famiglia adottiva che non entrava mai nell'acqua ed evitava accuratamente qualunque contat­ to con gli anatroccoli che ne uscivano tutti puliti. Poco dopo, mi era stata portata una giovane anatra selva­ tica che cominciò a seguirmi. Se mi sedevo, questa posava la sua testa sui miei piedi. Avevo l'impressione che fossero i miei stivali ad attrarla, finché cominciò a seguire anche il mio cane, un bassotto nero. Arrivai alla conclusione che fos­ se sufficiente un oggetto nero in movimento per suscitare nell'anatra l'immagine della madre e per farla rimanere lì vicino, finalmente ricongiunta alla sua famiglia. Oggi dubito che le cose stessero in quel modo. Successi­ vamente ho saputo che appena i pulcini dell'oca grigia vengo­ no tolti dall'incubatrice devono essere messi in una borsa e depositati vicino a un gruppo di oche affinché possano legar­ si ai conspecifici. Se invece li si lascia per più tempo con gli esseri umani, i pulcini si rifiutano di stare con i propri simili. Si tratta di un errore che riguarda le immagini percettive, molto frequente tra gli uccelli. Ne sappiamo, però, ancora troppo poco perché si possa giungere a delle conclusioni certe.

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In precedenza (figura 20) abbiamo visto cosa succede quando una taccola è a caccia di cavallette: se la preda resta immobile, l'uccello non possiede alcuna immagine percet­ tiva adatta a una situazione del genere. In questo caso la cavalletta scompare dall'ambiente delle tacco le. Le figure 40a e 4ob propongono una situazione simile: se si trova di fronte a un gatto che tiene un suo simile tra i denti, la taccola assume una pastura d'attacco. Al contra­ rio, il volatile non aggredisce mai un gatto che non ha nien­ te in bocca. A prima vista, sembra proprio che ci troviamo di fronte a un comportamento mirato: la taccola diventa aggressiva solo se il gatto tiene in bocca qualcosa che gli impedisce di morderla. In verità si tratta solo di una reazio­ ne conforme a un piano naturale, del tutto indipendente da una qualunque forma di comprensione di quel che accade. È stato constatato, infatti, che le taccole assumono la stes­ sa posizione di attacco anche se si trovano di fronte a un costume da bagno nero. Al contrario, se il gatto tiene in bocca una taccola bianca non subisce alcun attacco. A sca­ tenare la reazione aggressiva è dunque un'immagine per­ cettiva ben precisa, quella prodotta da un - /?--=--

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44a-b. Immagine di ricerca del cane.

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4 5.

Immagine di ricerca del rospo.

già visti, che riguardano il paguro e l'anemone di mare. Ora possiamo definire con maggiore precisione quel che abbia­ mo chiamato «tonalità emotiva>> (Stimmung) del paguro: si tratta di tonalità di ricerca che variano a seconda che il cro­ staceo attribuisca all'immagine percettiva una tonalità pro­ tettiva, nutritiva o abitativa. Il rospo affamato comincia a cercare del cibo mediante una tonalità di ricerca molto generica: entra in possesso di un'immagine di ricerca ben determinata solo nel momento in cui mangia un lombrico o un ragno.

1 2.

Gli ambienti magici

Senza dubbio esiste una differenza di fondo tra i dintor­ ni che noi esseri umani vediamo estendersi intorno agli ani­ mali e l'ambiente che questi hanno costruito, pieno di ogget­ ti percettivi. Finora gli ambienti sono stati considerati, come regola generale, il prodotto dei segni percettivi attivati da sti­ moli esterni. Tuttavia l'immagine di ricerca, le tracce che segnano i percorsi conosciuti e la delimitazione del territo­ rio rappresentano eccezioni alla regola: non è possibile ricondurli ad alcuno stimolo esterno, perché costituiscono libere elaborazioni soggettive. Queste elaborazioni si sono formate nel corso di esperienze individuali ripetute. Se ora facciamo un passo avanti, possiamo entrare in ambienti nei quali si verificano fenomeni impressionanti, percepiti solo dal soggetto che li abita e che si riferiscono non a un fatto ma a un'esperienza soggettiva eccezionale. Definiremo questi ambienti magici. Prendiamo in esame un caso in grado di mostrare l'in­ tensità con la quale i bambini, ad esempio, vivono in ambienti magici. Nel libro Padeuma, Frobenius':- parla di una bambina che gioca tranquillamente con una scatola di fiammiferi che utilizza per raccontarsi la favola di Hansel e > che, anche senza la presenza di uno stimolo sensoriale, l'imma­ gine operativa della cattura attiva l'immagine percettiva corrispondente e, di conseguenza, tutta la serie di movi­ menti ora descritta. Questa osservazione fornisce un indizio che ci consen­ te di interpretare come magici molti comportamenti ani­ mali altrimenti incomprensibili. La figura 48 mostra il percorso seguito dalla larva del bruco, studiato da Fabre. La larva scava un canale all'inter­ no dei piselli quando questi sono ancora teneri, fino a rag-

1 2 . GLI AMBIENTI MAGICI

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giungerne l a superficie. Una volta divenuto adulto, il coleot­ tero usa il canale per uscire dal pisello, che nel frattempo si è fatto meno tenero. È chiaro che si tratta di un comporta­ mento che obbedisce a un piano naturale, ma totalmente privo di senso dal punto di vista della larva, poiché questa potrà ricevere lo stimolo sensoriale che porterà l'animale a uscire dal suo nido solo quando si sarà trasformata in co­ leottero. Nessun segno percettivo indica alla larva la strada da seguire, una via che non ha mai battuto e che deve per­ correre se non vuole fare una brutta fine, una volta subita la metamorfosi. Il percorso si dispiega davanti a lei con l'in­ tensità tipica di un'apparizione magica. Invece che con un percorso conosciuto per mezzo dell'esperienza, qui abbia­ mo a che fare con un percorso innato. Le figure 4 9 e 50 mostrano altri due esempi di percorsi innati. La femmina del punteruo!o'=· taglia le foglie delle betulle (che forse riconosce dal sapore) tracciando una linea ondulata sempre della stessa forma. Il taglio le consente di arrotolare la foglia fino a farne un cartoccio per poi depor­ vi le uova. Anche se il punteruolo non ha mai fatto quel percorso e nonostante la foglia non abbia in sé nulla che ne indichi la traiettoria, per il coleottero la strada da seguire è resa evidente dall'intensità di un'apparizione magica. Lo stesso discorso vale per gli uccelli migratori: un per­ corso innato li guida attraverso i continenti lungo traietto­ rie che solo loro sono in grado di vedere. Ciò vale sicura­ mente per i giovani uccelli che si mettono in viaggio senza i genitori, mentre per gli altri non è possibile escludere un processo di apprendimento. Come nel caso dei percorsi conosciuti dei quali abbiamo parlato finora, anche i percor,,. [Coleottero infestante dannoso per l'agricoltura].

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49· Il percorso magico seguito dal punteruolo.

50.

Il percorso magico seguito dagli uccelli migratori.

I 2. GLI AMBIENTI MAGICI

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si innati riguardano tanto lo spazio visivo quanto quello operativo. L'unica differenza che esiste tra i due tipi di percorso è che mentre nel percorso conosciuto l'esperienza fa sì che una serie di segni percettivi e una serie di segni operativi si leghino tra loro, nel percorso innato la stessa serie di segni si produce in modo immediato, per mezzo di un'apparizio­ ne magica. Per un osservatore esterno all'ambiente, il percorso co­ nosciuto è invisibile tanto quanto quello innato. Se si am­ mette che per l'animale il percorso conosciuto costituisca un elemento reale del proprio ambiente, cosa della quale non abbiamo modo di dubitare, non c'è motivo di conte­ stare l'esistenza di percorsi innati che siano formati sempre dagli stessi elementi, segni percettivi e operativi esterioriz­ zati. In un caso questi segni sono attivati da uno stimolo sensoriale, nell'altro si succedono secondo una specie di melodia innata. La somiglianza strutturale tra percorsi innati e percorsi acquisiti è dimostrata dal fatto che se un essere umano seguisse un percorso perché innato, noi lo descriveremmo esattamente nello stesso modo nel quale descriviamo quel che abbiamo chiamato un percorso conosciuto: cento pas­ si fino alla casa rossa, poi girare a destra ecc. Se decidessimo di considerare significativa per il sogget­ to animale solo l'esperienza sensoriale, è chiaro che risulte­ rebbero significativi solo i percorsi conosciuti e non quelli innati. Ma anche così rimarebbe il fatto che sono al massimo grado conformi al piano naturale. Un caso curioso, riportato di recente da un ricercatore, fornisce la prova che nel mondo animale i fenomeni magi­ ci svolgono un ruolo più importante di quanto si potrebbe

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credere. Il ricercatore aveva dato da mangiare a una gallina e aveva fatto entrare nel pollaio un porcellino d'india men­ tre quella era intenta a becchettare il cibo. Presa dal panico, la gallina cominciò a svolazzare intorno all'intruso. Da quel momento in poi, non fu più possibile dar da mangiare alla gallina dentro il pollaio. Anche mettendole davanti il grano più bello e attraente, se fosse rimasto lì dentro, il pennuto sarebbe morto di fame. L'apparizione del porcellino d'india attraversava il pollaio come un'ombra magica. Non è assur­ do, dunque, supporre che quando una gallina si precipita verso un pulcino che pigola e comincia a beccare nemici immaginari, sia apparsa nel suo ambiente una presenza magica. Più ci addentriamo negli ambienti animali, più ci convinciamo che su di essi agiscono fattori ai quali non si può attribuire alcuna realtà oggettiva, a cominciare da quel

5 1 . L'ombra magica.

I 2 . GLI AMBIENTI MAGICI

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mosaico di luoghi che l'occhio sovrappone agli oggetti e dagli assi direzionali che organizzano lo spazio ambienta­ le. In entrambi i casi, si tratta di strutture che, di per sé, non sono presenti nei dintorni dell'animale. Tanto meno è possibile trovare in quel che abbiamo chiamato i dintorni di un animale qualcosa che corrisponda al percorso conosciuto oppure alla distinzione tra territorio e zona di caccia. Non è possibile trovare alcun segno nem­ meno di quel che abbiamo chiamato tonalità di ricerca, oppure dei fenomeni magici che riguardano i percorsi inna­ ti e che, pur agendo regolarmente sull'ambiente dell'anima­ le, sfuggono a una descrizione oggettiva. Negli ambienti, dunque, esiste una realtà puramente sog­ gettiva. Le realtà oggettive dci dintorni non fanno parte come tali dell'ambiente: sono costantemente trasformate in marche e immagini percettive dotate di una tonalità opera­ tiva che le trasforma in oggetti effettivi\ anche se è impos­ sibile ritrovare questa tonalità negli stimoli in quanto tali. Infine, anche il circuito funzionale più semplice ci inse­ gna che le proprietà degli oggetti entrano all'interno del cir­ cuito solo come strutture di supporto per le esteriorizzazio­ ni del soggetto, cioè per le marche percettive e operative. ,,. [Uexkiill si giova di un'ambiguità semantica che in italiano rischia di andare perduta. Come è noto, in tedesco l'aggettivo wirklich corri­ sponde in linea di massima all'italiano