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Italian Pages 212 [213] Year 2020
Focusing on a key year in the last age of Byzantium—1347, when the civil war that had ravaged the Empire for four years, accompanied by religious dissent and social unrest, finally ended—the book offers an overall reconstruction of the ecclesiastical events and dynamics between the different groups involved, while also presenting a critical edition of two documents from the summer of 1347: the Tome of the opponents and that of the deposition of Matthew of Ephesus, followed by other minor pieces. Antonio Rigo è Professore di Filologia bizantina e di Storia del Cristianesimo bizantino all’Università Ca’ Foscari Venezia. Antonio Rigo is Full Professor of Byzantine Philology and History of Byzantine Christianity at the Ca’Foscari University of Venice.
ISBN 978-3-7001-8548-2
Made in Europe
BAND XXXI WIENER BYZANTINISTISCHE STUDIEN
Il volume, dedicato a un anno-chiave dell’ultimo periodo bizantino, il 1347 – quando la guerra civile che aveva dilaniato l’Impero per quattro anni, terminò –, offre una completa ricostruzione degli eventi ecclesiastici e delle dinamiche tra i diversi gruppi e presenta l’edizione critica di due documenti dell’estate 1347: il Tomo degli oppositori e il Tomo della deposizione di Matteo di Efeso, seguita da quella di altri documenti minori.
A N TO N IO R IG O
1347 Isidoro patriarca di Costantinopoli e il breve sogno dell’inizio di una nuova epoca
ANTONIO RIGO 1347 ISIDORO PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI E IL BREVE SOGNO DELL᾿INIZIO DI UNA NUOVA EPOCA
ÖSTERREICHISCHE AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN ABTEILUNG BYZANZFORSCHUNG DES INSTITUTES FÜR MITTELALTERFORSCHUNG INSTITUT FÜR BYZANTINISTIK UND NEOGRÄZISTIK DER UNIVERSITÄT WIEN ——————————————————————————————
WIENER BYZANTINISTISCHE STUDIEN HERAUSGEGEBEN VON CLAUDIA RAPP und CHRISTIAN GASTGEBER
BAND XXXI
ANTONI O RIG O
1347 Isidoro patriarca di Costantinopoli e il breve sogno dell’inizio di una nuova epoca
Angenommen durch die Publikationskommission der philosophisch-historischen Klasse der Österreichischen Akademie der Wissenschaften: Accepted by the publication committee of the Division of Humanities and Social Sciences of the Austrian Academy of Sciences: Michael Alram, Bert G. Fragner, Andre Gingrich, Hermann Hunger, Sigrid Jalkotzy-Deger, Renate Pillinger, Franz Rainer, Oliver Jens Schmitt, Danuta Shanzer, Peter Wiesinger, Waldemar Zacharasiewicz Gedruckt mit Förderung aus dem Holzhausenlegat der Österreichischen Akademie der Wissenschaften Printed with support from the Holzhausenlegat of the Austrian Academy of Sciences Cover: Detail from plate VI, Codex Athos, Monê Dionysiou 147 (3681), f. 277r Diese Publikation wurde einem anonymen, internationalen Begutachtungsverfahren unterzogen. This publication was subject to international and anonymous peer review. Lektorat: Marco Fanelli Die verwendete Papiersorte in dieser Publikation ist DIN EN ISO 9706 zertifiziert und erfüllt die Voraussetzung für eine dauerhafte Archivierung von schriftlichem Kulturgut. The paper used in this publication is DIN EN ISO 9706 certified and meets the requirements for permanent archiving of written cultural property. Alle Rechte vorbehalten. All rights reserved. Copyright © Österreichische Akademie der Wissenschaften Austrian Academy of Sciences, Wien/Vienna 2020 ISBN 978-3-7001-8548-2 Layout: Christian Gastgeber, Wien Print: Prime Rate, Budapest https://epub.oeaw.ac.at/8548-2 https://verlag.oeaw.ac.at Made in Europe
Indice ABBREVIAZIONI ............................................................................................ 7 PREMESSA ..................................................................................................... 9 I. GLI EVENTI
............................................................................................... 11 1. 21 maggio 1346, santi Costantino ed Elena ...................................... 11 2. La deposizione di Giovanni XIV Caleca e il Tomo sinodale (febbraio 1347) ................................................................................... 16 3. Giovanni Caleca e Gregorio Acindino dopo l'emissione del Tomo sinodale ............................................................................... 27 4. Verso l'elezione del patriarca (marzo – inizio maggio 1347) ............ 31 5. L'elezione di Isidoro al patriarcato e la nomina dei nuovi metropoliti (maggio – luglio 1347) ..................................... 40 6. «Udite tribù e lingue della terra, popoli tutti che abitate sotto il cielo». La reazione degli oppositori (giugno – luglio 1347) ........................... 46 7. «C'è un tempo per cucire e un tempo per tagliare». La condanna degli oppositori e il tomo degli "uomini nuovi" (agosto 1347) .......... 56 8. Il destino degli oppositori (dopo l'agosto 1347) ................................ 61 9. Autunno – inverno 1347–48: il canone del patriarca Isidoro e l'inizio di una nuova fase della controversia palamitica ................... 64
II.
DAI CANONI ALLA STORIA ...................................................................... 1. La discussione sulla regolarità dell'elezione di Isidoro ..................... 1.1 L'intromissione dell’imperatore .................................................... 1.2 Il principio di maggioranza ........................................................... 2. L'eleggibilità o meno di Isidoro e il patriarca eretico ........................ 3. Le accuse contro Isidoro e Gregorio Palamas ................................... 3.1 Il canone XV del sinodo di Gangre ................................................ 3.2 La disposizione finale del II Concilio di Nicea e le immagini e suppellettili sacre .................................................... 3.3 L'inosservanza dei digiuni .............................................................
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UN BILANCIO ............................................................................................... 92
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Indice
III. I DOCUMENTI E I TESTI
........................................................................... 95 1. Il Tomo degli oppositori (luglio 1347) .............................................. 97 1.1 Il manoscritto, la tradizione indiretta e l'edizione di Leo Allatius 97 1.2 Tipo di documento, data e il problema delle sottoscrizioni .......... 99 1.3 Documenti, sinodi e Concili citati .............................................. 101 2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347) ............... 123 2.1 I manoscritti e l'edizione di Porphirij Uspenskij ......................... 123 2.2 Tipo di documento e data ............................................................ 129 2.3 Lista di presenza, procure e sottoscrizioni .................................. 130 2.4 Documenti, sinodi e Concili citati .............................................. 138 3. L'Apologia di Giovanni XIV Caleca del 2 febbraio 1347 (e la scomunica di Gregorio Palamas) .............................................. 163 4. Le sottoscrizioni e le note supplementari del Tomo sinodale del febbraio 1347 (e la dichiarazione autografa di Gregorio Acindino del luglio 1341) .................................................. 167 5. Il biglietto di sottomissione di Matteo di Efeso (22 aprile 1350) .... 179 6. Il canone del patriarca Isidoro ......................................................... 185
BIBLIOGRAFIA ........................................................................................... 193 INDICI Indice delle illustrazioni ........................................................................... 199 Indici dei manoscritti citati ....................................................................... 199 Indice dei nomi di persona ........................................................................ 201 ILLUSTRAZIONI ......................................................................................... 205
Abbreviazioni Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. I–IV: I–III = L. SCHOPEN, Ioannis Cantacuzeni eximperatoris Historiarum libri IV (CSHB), I–III. Bonnae 1828, 1831, 1832. LAMPE = G. W. H. LAMPE, A Patristic Greek Lexikon. Oxford 1961. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina: I–III = L. SCHOPEN, Nicephori Gregorae Byzantina Historia (CSHB), I–II. Bonnae 1829–1830, I. BEKKER, Nicephori Gregorae Byzantina Historia (CSHB), III. Bonnae 1855. PS = Γρηγορίου τοῦ Παλαμᾶ συγγράμματα, ed. P. K. CHRESTOU et alii, I–VI. Thessaloniki 1962–2016.
Premessa Il 1347 è nella storia mediterranea ed europea l'anno della peste nera. A Bisanzio l'anno era iniziato con la conclusione della guerra civile che per oltre cinque anni aveva dilaniato l'Impero, conflitto che era stato accompagnato da violenti sommovimenti sociali nei più grossi centri urbani e dalla rapida avanzata nelle regioni occidentali delle schiere dell'ambizioso sovrano serbo Stefano Dušan. L'entrata di Giovanni Cantacuzeno in Costantinopoli nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1347 coincise anche con la fine del patriarcato di Giovanni XIV Caleca, uno dei suoi antagonisti durante la guerra civile. La disgrazia di Caleca significò l'inizio di una nuova stagione dal punto di vista religioso, segnato dall'emissione, di lì a poco, di un Tomo sinodale che sanciva la definitiva condanna dell'ex patriarca e che affermava le dottrine teologiche di Gregorio Palamas. Gli studi sulla storia ecclesiastica e religiosa del XIV secolo bizantino non hanno di solito prestato un'attenzione particolare a quest'anno, considerato una tappa intermedia tra il sinodo del 1341, che aveva condannato Barlaam e il Concilio del 1351, che sancì definitivamente le dottrine palamite, inserendo anche alcuni articoli specifici nel Synodikon dell'Ortodossia. Questa lettura ha riproposto, in modo più o meno consapevole, quella già effettuata all'epoca da Giovanni Cantacuzeno, secondo il quale la controversia teologica aveva conosciuto tre tempi successivi, segnati dai rispettivi Tomi sinodali del 1341, 1347 e 1351.1 Allo stesso tempo gli studi hanno troppo spesso considerato questi avvenimenti come il semplice scontro tra singoli individui: Barlaam contro Palamas prima, Gregorio Acindino (e Giovanni Caleca) contro Palamas poi, Niceforo Gregoras (e i suoi) contro Palamas nella terza fase. In realtà la controversia palamitica, vicenda che si svolse nel XIV secolo a Bisanzio – sembra quasi banale ripeterlo –, deve essere considerata assieme agli altri eventi storici contemporanei, d'ordine ecclesiastico, politico e sociale, tenendo conto del fatto che in molte occasioni fattori diversi, ma in ogni ————– 1
Cfr. RIGO 2016, 19–21.
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Premessa
caso extrateologici, ebbero un peso decisivo sul corso degli avvenimenti. Per questo motivo l'anno 1347 assume un'importanza particolare agli occhi dell'osservatore moderno: anno della fine della guerra civile e della salita sul trono di Giovanni Cantacuzeno, anno della deposizione di Giovanni XIV Caleca e dell'elezione di un nuovo patriarca, Isidoro Boucheiras, anno, infine, durante il quale per la prima volta il Palamismo diventa in un certo modo la dottrina "ufficiale". Lo studio delle fonti di vario genere già pubblicate e l'edizione di testi e documenti allora composti o in qualche modo legati a quest'anno permettono una ricostruzione pressoché completa degli eventi, nonostante l'evidente deformazione operata per ragioni polemiche dalla maggior parte (se non della totalità) dei testimoni. Va sempre ricordato che il materiale a nostra disposizione proviene direttamente dalle fazioni in lotta e, tranne che si preferisca seguire comodamente una versione partigiana dei fatti o al contrario armonizzare informazioni del tutto discordanti, dobbiamo riconoscere che in alcuni casi è realmente difficile, se non impossibile, giungere a una piena comprensione di quanto allora effettivamente accadde. *
*
Al termine di questo lavoro, desideriamo innanzitutto esprimere la nostra gratitudine nei confronti degli editori della serie «Wiener Byzantinische Studien», Claudia Rapp e Christian Gastgeber per aver voluto accogliere il volume in una collana tanto prestigiosa, pubblicata da un centro di ricerca che ha promosso l'edizione e lo studio di un documento centrale per la storia e la vita stessa di Bisanzio, il registro patriarcale costantinopolitano (questo volume infatti esce quale supplemento al progetto in corso sul registro patriarcale di Costantinopoli). Nel corso di una ricerca durata diversi anni abbiamo accumulato un grande debito di riconoscenza nei confronti di diversi centri, istituti, biblioteche, colleghi e amici. Vogliamo qui ricordare in modo particolare il Patriarchal Institute of Patristic Studies (Thessaloniki), i bibliotecari dei monasteri di Lavra, Vatopedi e Dionysiou, la Section grecque et de l'Orient Chrétien dell'IRHT (Paris), Panaghiotis Athanasopoulos, Alessandra Bucossi, Matthieu Cassin, Luigi D'Amelia, Eleftherios Despotakis e Antonia Giannouli. Un ringraziamento va infine a Annaclara Cataldi Palau e Marco Fanelli per essersi assunto la fatica di rileggere l'intero volume. Venezia, gennaio 2020 A. R.
I. Gli eventi 1. 21 MAGGIO 1346, SANTI COSTANTINO ED ELENA2 Da quasi cinque anni si protraeva a Bisanzio una guerra civile tra Giovanni Cantacuzeno e la reggenza di Costantinopoli, formata da Anna Paleologa, dal patriarca Giovanni Caleca e, sino alla sua scomparsa, da Alessio Apocauco, che, unita ai conflitti sociali e religiosi, aveva lacerato l'Impero, quando due eventi pressoché simultanei scossero gli animi dei più. La notte del 19 maggio 1346 crollò la cupola di Santa Sofia,3 danneggiata dai terremoti del 1343 e 1344.4 L'avvenimento fu considerato da molti un segno celeste: così Alessio Macrembolite,5 nella sua monodia consacrata a questa sciagura vi vedeva una chiara manifestazione dell'ira divina e dell'approssimarsi della fine di tempi. Macrembolite ricordava alcune realtà del presente che potevano fornire questa chiave di lettura. Dopo aver accennato al gran numero di spergiuri e di scomuniche che causavano la rovina delle anime (οὐ καὶ τὰς ψυχὰς πρὸ τῶν σωμάτων τῷ πλήθει τῶν ἐπιορκιῶν καὶ τῶν ἀφορισμῶν ἀπωλέσαμεν;), riferendosi verosimilmente alle scomuniche del patriarca nei confronti di Giovanni Cantacuzeno e poi di Gregorio Palamas e dei suoi seguaci, aggiungeva: «per sconsideratezza abbiamo abbandonato Dio e abbiamo posto spesso le nostre speranze di salvezza in quello che ci divora senza pietà ogni giorno e nel suo miserabile patrono» (καὶ Θεὸν καταλιπόντες ἐξ ἀβουλίας τῷ κατεσθίοντι ἡμᾶς ἀφειδῶς ὁσημέραι καὶ τῷ τούτου δυστηνῷ προστάτῃ τὰς ἐλπίδας πολλάκις τῆς σωτηρίας ἐθέμεθα).6 In modo allusivo, Alessio Macrembolite evocava qui il "cannibale", Gregorio Acindino, e il suo protettore, il patriarca Giovanni Caleca. Queste righe della monodia di Macrembolite non sono le uniche a stabilire un rapporto tra il crollo della Grande Chiesa e la politica ecclesiastica. Così, la notizia di una cronaca ————– 2 3 4 5 6
In questo paragrafo riprendiamo in parte l'analisi fatta in RIGO 2015. V. innanzitutto Chronica minora, 7. 10, 8. 45a, 9. 13: SCHREINER, 1975–79, I, 65, 84, 93. In merito cfr. GUIDOBONI – COMASTRI 2005, 387–393, 396–399. Sul quale cfr. PLP 16352; POLATOF 1989. KOUROUSIS 1969–1970, 237, ll. 39–44.
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I. Gli eventi
breve vedeva nelle scomuniche emesse dal patriarca la causa del terremoto dell'ottobre 1343.7 Di contro Niceforo Gregoras imputerà più tardi proprio alla diffusione delle dottrine di Gregorio Palamas il crollo di Santa Sofia.8 Soltanto due giorni dopo, un altro evento, destinato anche a segnare una tappa decisiva nell'evolversi della situazione, ebbe ripercussioni considerevoli. Il 21 maggio, festa dei santi Costantino e Elena, Giovanni Cantacuzeno era incoronato imperatore ad Adrianopoli da Lazzaro di Gerusalemme e, in quello stesso giorno, un sinodo presieduto dallo stesso patriarca Lazzaro e composto da un numero imprecisato di metropoliti e di vescovi (ὁ τε ἁγιώτατος πατριάρχης Ἱεροσολύμων καὶ οἱ κατὰ τὰς οἰκείας ἐκκλησίας εὑρισκόμενοι ἱερώτατοι μητροπολῖταί τε καὶ ἐπίσκοποι συνεληλυθότες καὶ σύνοδον ἱερὰν συγκροτήσαντες) depose il patriarca Giovanni Caleca per le sue azioni illecite e dannose (διὰ τὰς ἄλλας αὐτοῦ ἀθέσμους καὶ κοινοβλαβεῖς πράξεις) e per la sua comunione con Acindino.9 La misura da tanti desiderata e auspicata, e da altri temuta, era stata alla fine presa e il patriarca Giovanni Caleca era stato deposto. Ma ciò era avvenuto su iniziativa degli ecclesiastici che stavano con Cantacuzeno e non nella capitale. Dopo tutto la guerra civile non era ancora conclusa e a Costantinopoli una soluzione non sembrava ancora prossima dal momento che la legittimità di Cantacuzeno era dubbia se non nulla. A molti sembrava perciò necessario che una misura simile contro il patriarca fosse presa nella capitale e su iniziativa, o almeno con il favore, dell'imperatrice Anna. Di qui l'urgenza che ella si movesse di nuovo. I mesi estivi trascorsero in tali incertezze, ma in settembre un gruppo di metropoliti si appellò direttamente ad Anna, chiedendole in modo esplicito la deposizione di Giovanni Caleca. Anna era oramai da tempo in frizione, se non in rottura aperta con il patriarca. La morte di Alessio Apocauco (11 giugno 1345) e la pressione di ————– 7
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«Ὀκτωβρίῳ ιηʹ, ἰνδικτιῶνος ιαʹ, τοῦ ͵ϛωναʹ ἔτους, ζάλης οὔσης πολλῆς καὶ ἀφορισμῶν πολλῶν τεθέντων παρὰ τοῦ πατριάρχου κυροῦ Ἰωάννου, ἐγένετο σεισμὸς μέγας (...)»: Chronica minora, 8. 39: SCHREINER, 1975–79, I, 83 Historia byzantina, XV, 1: II, 749; in questo senso scriverà anche Gregorio Acindino nel suo cosiddetto Testamento spirituale, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana gr. Z 155 (610), f. 32v. Tomo sinodale del febbraio 1347: PRK II, nr. 147, ll. 206–212, 362–364, che è la prima fonte, parlava di un καθαιρετικὸς τόμος (e poi di deposizione: «καθαιρέσει τελείᾳ καθυποβάλλουσιν»). Giovanni Cantacuzeno vi ritornava a diverse riprese: oltre che nel prostagma degli inizi di marzo 1347: RIGO 2013, 729, ll. 38–41 (πάσης ἱερωσύνης τοῦτον ἀπογυμνώσαντες) qui citato, nelle Storie, III, 92: II, 564–565. Cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2262.
1. 21 maggio 1346, santi Costantino ed Elena
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Giovanni Cantacuzeno sulla capitale nei mesi successivi avevano segnato la divaricazione definitiva tra l'imperatrice Anna e il patriarca Giovanni, i cui rapporti erano già fortemente incrinati dalla fine del 1344. Secondo Niceforo Gregoras, l'attitudine conciliatoria di Caleca nei confronti di Cantacuzeno (autunno 1345) fu allora la causa della rottura tra i due.10 Sempre secondo lo stesso storico, all'imperatrice, oramai intenzionata a regolare i conti una volta per tutte con il patriarca, «non venne in mente nulla di meglio che di essere ben disposta nei confronti dei seguaci di Palamas e di rafforzarli apertamente contro il patriarca, nei cui confronti essi nutrivano da lungo tempo malvagi propositi per l'annullamento del Tomo».11 Sul finire del 1345, Anna incominciò a mostrarsi sensibile agli argomenti, o meglio ai veri e propri capi di accusa, avanzati nei mesi precedenti da Palamas e dai suoi, in particolare Giuseppe Kalothetos, nel corso della loro campagna di chiara delegittimazione del patriarca Giovanni Caleca.12 I mesi estivi del 1346 trascorsero quindi in tali incertezze, ma in settembre un gruppo di metropoliti, che erano a residenza obbligata a Costantinopoli per la loro opposizione al patriarca e anche per le loro simpatie filocantacuzeniste, guidato da Matteo di Efeso, chiese ad Anna la deposizione di Giovanni Caleca. Nella prima parte del loro Rapporto,13 essi censuravano pesantemente la gestione degli affari ecclesiastici del patriarca, tacciandolo di simonia, malversazione, abuso di potere, mentre la seconda parte riguardava le controversie teologiche, il Tomo sinodale del 1341, la condanna di Gregorio Palamas, l'ordinazione di Gregorio Acindino ecc. e riecheggiava chiaramente quanto avevano scritto Palamas e i suoi nei mesi precedenti. La questione era diventata all'ordine del giorno da quando l'imperatrice Anna aveva preso l'iniziativa ed era diventata la referente ultima di tutti i protagonisti della vicenda. Ella, che aveva iniziato a raccogliere un dossier, rivolgendosi ai diversi interessati (Gregorio Palamas, Gregorio Acindino, Davide Dishypatos e poi Niceforo Gregoras), aveva anche mostrato un favore crescente nei confronti di Gregorio Palamas e dei suoi. I metropoliti erano consapevoli di questo mutato clima e credettero opportuno e utile rincarare la dose, allineandosi (e alleandosi di fatto) ai palamiti nella loro censura di Caleca. Essi ritenevano che aggiungendo in quel momento alle precedenti accuse quanto era affermato contro Caleca dai palamiti, che appariva incon————– 10 11 12 13
Historia byzantina, XV, 4: II, 760–761. Ivi, XV, 7: II, 767–768. Cfr. RIGO 2015, 292–295, 299–302. Ivi, 334–338.
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I. Gli eventi
trare un certo favore a corte, sarebbero stati ascoltati dall'imperatrice Anna, che finalmente li avrebbe liberati dall'odioso, ai loro occhi, patriarca. Non conosciamo le reazioni immediate dell'imperatrice e della corte al Rapporto dei metropoliti, ma è possibile cogliere un'eco pressoché immediata, sin dalle settimane successive, negli ambienti ecclesiastici costantinopolitani con una dichiarazione sul Tomo sinodale del 1341, sottoscritta il 23 ottobre 1346, da un altro gruppo di metropoliti, capeggiato da Macario di Filadelfia,14 che appare una chiara sconfessione dell'operato del patriarca Giovanni Caleca e in particolare della sua interpretazione del tomo. Il Rapporto del settembre 1346 era un documento, nel quale si coagulavano i due tipi di accuse che si erano accumulate contro il patriarca Giovanni Caleca. Da un lato c'erano le pesanti censure nei confronti del patriarca per la gestione e il governo della Chiesa, accompagnate da accuse di simonia. Dall'altro Caleca era attaccato per aver "abolito" il Tomo sinodale del 1341, avere condannato Gregorio Palamas e favorito Gregorio Acindino. I metropoliti firmatari del Rapporto riproposero anche questo secondo tipo di accuse, ponendosi sulla stessa linea dei palamiti, per colpire il patriarca in un momento nel quale l'imperatrice appariva sensibile a tali argomentazioni. I palamiti, da parte loro, furono abili a intercettare il malcontento dei metropoliti: così si spiegano le violente pagine del pamphlet di Kalothetos (che era, tra l'altro, in contatto con Matteo di Efeso)15 e il loro impietoso ritratto del patriarca. Nell'anno 1346 Giovanni Caleca appariva sotto attacco su due fronti: da una parte i palamiti che gli avevano dichiarato una guerra senza quartiere dopo la condanna di Gregorio Palamas e la promozione di Acindino (fine 1344), dall'altra un numero significativo di metropoliti che lo poneva sotto accusa per la sua gestione degli affari ecclesiastici. Entrambe le parti utilizzarono allora anche gli argomenti proposti dall'altra, purché servissero a colpire il patriarca. In questa maniera si venne a creare un'alleanza di fatto tra tutti coloro che per ragioni diverse erano oppositori di Caleca. L'unico elemento che li univa era la loro comune avversione nei confronti del patriarca e il desiderio che egli fosse deposto: base molto fragile e instabile, che ben spiega i dissidi successivi alla deposizione di Caleca. Il Rapporto dei metropoliti del settembre 1346 e la successiva dichiarazione del 23 ottobre sono anche una testimonianza del progressivo crollo del consenso e dell'appoggio dei metropoliti nei confronti di Caleca. Questi do————– 14 15
Ivi, 318–321. Cfr. RIGO 2017, 137–138.
1. 21 maggio 1346, santi Costantino ed Elena
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cumenti segnarono così l'inizio del conto alla rovescia per la deposizione del patriarca Giovanni Caleca. Dall'autunno 1346 la questione fu all'ordine del giorno, in primo luogo per l'imperatrice Anna. Era chiaro che il patriarca doveva essere deposto, restava soltanto da stabilire il modo e il capo (o i capi) d'accusa. I tre mesi seguenti trascorsero in discussioni, sempre più fitte e frenetiche, al riguardo e infine ci si ridusse a passare all'azione e a deporre Caleca la sera prima dell'entrata di Giovanni Cantacuzeno a Costantinopoli. Le prolungate discussioni alla ricerca di un accordo non riguardavano evidentemente la sorte del patriarca, che oramai era segnata, ma quale tipo di imputazione doveva essere utilizzato. Alla fine si decise di passare sotto silenzio il suo operato nella gestione degli affari ecclesiastici, con ogni probabilità per non mettere in moto un procedimento che avrebbe potuto avere esiti imprevedibili, e si decise di condannarlo per la sua "abolizione" del Tomo sinodale del 1341 e le questioni collegate. Così Giovanni Cantacuzeno, già all'inizio di marzo 1347, si limiterà ad accennare elitticamente alle «azioni illegali contro la Chiesa e l'Impero» compiute dall'allora patriarca.16
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Prostagma: RIGO 2013, 729, l. 38.
2. LA DEPOSIZIONE DI GIOVANNI XIV CALECA E IL TOMO SINODALE (FEBBRAIO 1347) Dopo mesi di preparazione, l'imperatrice si risolse ad affrontare definitivamente la questione alla fine del mese di gennaio 1347. Si succedettero incontri a palazzo per sei giorni, interrotti da un'indisposizione della sovrana, per arrivare infine alla riunione decisiva il 2 febbraio. Le fonti forniscono elementi che sembrano completarsi a vicenda per la ricostruzione degli avvenimenti, ma che allo stesso tempo sono connotate da un'evidente parzialità e, in alcuni casi, da un alto grado di distorsione polemica. Iniziamo dalle notizie conservate in due cronache brevi. Il 2 febbraio, indizione XV, dell'anno 6955, si tenne un sinodo (σύνοδος) a palazzo contro il patriarca Giovanni e lo deposerono. Era presente anche l'imperatrice Anna.16 Il 2 dello stesso mese si tenne anche una grande riunione (μεγάλη συνέλευσις) a palazzo, di vescovi, igumeni e laici e fu deposto il patriarca Giovanni.17 Il racconto di Niceforo Gregoras è molto esteso, ma allo stesso tempo è chiaramente di parte. Egli ricordava che Anna aveva convocato sinodi (συνόδους) a palazzo notte e giorno, mentre il patriarca era stato posto in reclusione nella sua residenza al palazzo imperiale (ἀπρόϊτον ὡς ἐν εἱρκτῇ τῷ οἴκῳ συγκεκλεῖσθαι τοῦτον ἐπέταττεν). I vescovi erano del partito di Palamas (συνεκάλει τοὺς ἐπισκόπους, καὶ ὅσοι τῆς τοῦ Παλαμᾶ φρατρίας ὑπῆρχον) e promulgarono una deposizione scritta (καθαίρεσιν ἔγγραφον ἐποιήσαντο) contro il patriarca.18 Giovanni Cantacuzeno, nelle sue Storie, ritornava in due occasioni sulla vicenda. Egli iniziava il racconto, riassumendo gli eventi dell'autunno precedente, a partire dall'iniziativa di un gruppo di metropoliti che avevano denunziato il patriarca con lettere (γράμμασιν) all'imperatrice. Anna aveva allora chiamato i vescovi autori della missiva (τὴν γραφήν) e aveva deciso di riunire un sinodo (σύνοδος), convocando altresì il patriarca Giovanni Caleca perché potesse difendersi (πρὸς τὴν ἀπολογίαν). A palazzo (ἐν βασιλείοις) ————– 16 17 18
Chronica minora, 8. 46a: SCHREINER 1975–79, I, 84. Chronica minora, 113. 3: ibid., 681. Historia Byzantina, xv, 9: II, 781–783.
2. La deposizione di Giovanni XIV Caleca e il Tomo sinodale (febbraio 1347)
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erano allora presenti i vescovi, su ordine della sovrana, «a eccezione di coloro che erano apertamente per Cantacuzeno. Costoro infatti, poiché erano rinchiusi in isolamento nelle loro dimore, comunicarono il loro parere sulla faccenda» (πλὴν τῶν ὅσα ἦσαν φανερῶν τὰ Καντακουζηνοῦ τοῦ βασιλέως ᾐρημένοι· ἐκεῖνοι γὰρ ἀπρόσιτοι ἐν οἰκήσεσι κατεκλείοντο πλὴν καὶ ἀπόντες, τὴν γνώμην ἣν ἔχουσι περὶ τοῦ πράγματος ἐδήλουν). Il sinodo, presieduto dall'imperatrice e da Giovanni V Paleologo, procedette all'esame delle questioni dogmatiche (τὴν ἐξέτασιν τῶν δογμάτων ἐποιεῖτο).19 Nel capitolo successivo, Cantacuzeno concludeva il racconto: «Il sinodo contro il patriarca si riunì a palazzo. Con voto comune lo condannarono alla deposizione (γνωμῇ κοινῇ καθαίρεσιν αὐτοῦ καταψηφίζονται). I vescovi presenti (anche gli assenti erano dello stesso avviso) ritornarono ciascuno alla propria abitazione mentre faceva quasi notte».20 Il Tomo sinodale del 1347 fornisce informazioni di un certo interesse sui partecipanti al sinodo tenutosi nel palazzo imperiale. Sono menzionati, nell'ordine, oltre a un numero non precisato di metropoliti: il prôtos dell'Athos (τὸν τοῦ Ἁγίου Ὄρους σεβασμιώτατον πρῶτον), con ogni verosomiglianza Nifone,21 e altri monaci del Monte Santo, Giovanni V, membri del senato e del clero, archimandriti e igumeni.22 Nel prostagma di Giovanni Cantacuzeno del marzo 1347, la notizia sul sinodo del 2 febbraio è essenziale: L'imperatrice, dopo aver considerato che quelle decisioni e risposte sinodali per la pietà erano state vanificate e che il Tomo sinodale che ne derivava era da lui completamente rifiutato e annullato, dapprima esaminò la questione più volte assieme ai santissimi metropoliti, quindi convocò un sinodo, durante il quale vi fu un esame e un giudizio accurati, e tutti assieme lo sottomisero alla deposizione se egli non avesse fatto ammenda e non avesse rigettato Acindino e i suoi seguaci e lo separano dal corpo degli ortodossi. (...) Così la mia persona imperiale, entrata in questa megalopoli con il permesso di Dio, trovò costui deposto, Acindino e i suoi seguaci di nuovo banditi sinodalmente.23 ————– 19 20 21 22 23
Historiarum lib. III, 98: II, 604. Historiarum lib. III, 99: II, 606–607. Cfr. PLP 20683. PRK II, nr. 147, ll. 233–240, 366; e cfr. ll. 345–351, 376. RIGO 2013, 757–759, ll. 24–30, 32–34.
18
I. Gli eventi
L'atto di condanna di Matteo di Efeso e degli altri oppositori dell'agosto 1347 da parte sua riporta laconicamente che Giovanni Caleca era stato deposto con un voto e una decisione del sinodo (καθῃρήθη ψήφῳ καὶ διαγνώσει συνοδικῇ).24 Giovanni Cantacuzeno, diversi anni dopo, in una specie di storia della controversia palamitica dall'"inchiesta" di Barlaam tra i monaci di Tessalonica (1335 ca.) al Concilio del 1351, che precede la sua refutazione di Giovanni Ciparissiota, raccontava che Anna Paleologa aveva riunito un sinodo contro Gregorio Acindino e Giovanni Caleca e li aveva sottoposti all'anatema (σύνοδον καὶ αὕτη κατ᾿ αὐτῶν συγκροτεῖ καὶ ἀναθέματι τούτους ὡς αἱρετικὰ φρονοῦντας καθυποβάλλει) e che questo si era tenuto la sera prima della sua entrata a Costantinopoli (ἐπεὶ συνόδου συγκροτηθείσης, ὁ μὲν καθῄρητο καθ᾿ ἣν δὲ νύκτα καὶ βασιλεὺς ὁ Καντακουζηνὸς τῆς Κωνσταντίνου καὶ τῶν καθόλου τῆς βασιλείας σκήπτρων ἐγκρατὴς γέγονεν).25 Il sinodo del 2 febbraio si svolse dunque nel palazzo imperiale ed era presieduto da Anna Paleologa (e da Giovanni V, aggiungono Cantacuzeno e il Tomo sinodale). Erano presenti metropoliti, notabili del monachesimo athonita e costantinopolitano, membri del senato e del clero. Secondo Niceforo Gregoras, Giovanni Caleca era già stato posto sotto sorveglianza nei suoi appartamenti all'interno del palazzo, mentre per Cantacuzeno egli fu convocato per difendersi. Ma c'è la possibilità che quest'ultimo abbia qui sovrapposto gli eventi legati al sinodo della fine di febbraio 1347. Sui metropoliti presenti non abbiamo notizie positive. Per Gregoras furono convocati i palamiti ed esclusi tutti gli altri, mentre secondo Cantacuzeno erano presenti diversi metropoliti, a eccezione degli aperti cantacuzenisti, che si trovavano posti a residenza obbligata nei loro monasteri. Questi ultimi sono facilmente identificabili nei firmatari del Rapporto all'imperatrice Anna, primo tra tutti Matteo di Efeso. Pur nell'assenza di testimonianze esplicite, ci è possibile fare alcune considerazioni circa i partecipanti al sinodo del 2 febbraio. Canonicamente dovevano essere presenti e sottoscrivere l'atto di deposizione almeno 12 metropoliti (Sinodo di Cartagine, XII, XIV, XLIX).26 Molti volevano allora regolare i conti, e in maniera definitiva, con Caleca, per diverse ragioni: motivi d'ordine politico legati alla guerra civile, motivi d'ordine giurisdizionale e gestionale, d'ordine teologico per l'interpretazione fatta dal patriarca del Tomo sinodale del 1341, per l'appoggio a Gregorio Acindino e ————– 24 25 26
Più in basso, 144, ll. 59–60. RIGO 2016, 33, ll. 159–160, 35, ll. 192–194. JOANNOU 1962b, 225–226, 227, 267–268.
2. La deposizione di Giovanni XIV Caleca e il Tomo sinodale (febbraio 1347)
19
la persecuzione di Gregorio Palamas e dei suoi seguaci. Il prolungarsi delle discussioni per diversi giorni, sino alla vigilia dell'entrata di Cantacuzeno in Costantinopoli, si spiega evidentemente con questa divergenza di vedute. Non va inoltre dimenticato che un piccolo numero di metropoliti, senza alcun dubbio oramai una minoranza, continuava a essere fedele a Giovanni Caleca, come mostreranno gli eventi successivi. Si può peraltro aggiungere che una condanna per questioni dogmatiche, che implicava l'accusa di eresia, era in questo caso, come in altre occasioni, la più semplice perché implicava ipso facto l'anatema ed escludeva da ogni carica ecclesiastica.27 Circa l'identità dei partecipanti al sinodo del 2 febbraio 1347, siamo inclini a escludere la presenza dei metropoliti firmatari del Rapporto ad Anna Paleologa, che si trovavano appunto a residenza coatta, mentre riteniamo verosimile la presenza di almeno una parte dei firmatari della dichiarazione del 23 ottobre 1346 (Macario di Filadelfia, Metrofane di Palaiai Patrai, Malachia di Methymna, Teodulo di Rhosion, Metodio di Varna, Isaia di Selymbria, Teolepto di Didymoteichon).28 Un buon numero di questi firmerà poi il Tomo sinodale alla fine dello stesso mese di febbraio.29 Abbiamo visto che, secondo Niceforo Gregoras, gran parte dei partecipanti al sinodo erano sostenitori di Palamas. Si può pensare che fosse allora presente un personaggio quale Davide Dishypatos che nei mesi precedenti aveva scritto, su richiesta di Anna Paleologa, un memorandum sulla controversia teologica.30 Sulle reazioni del patriarca di fronte alla messa in stato d'accusa e alla convocazione di un sinodo per la sua deposizione non abbiamo notizie estese. Sappiamo da Niceforo Gregoras che egli soltanto qualche ora prima aveva inviato un biglietto, in ultima analisi minaccioso, all'imperatrice tramite il di lei padre spirituale.31 Sembra inoltre che egli rispose alla deposizione decisa dal sinodo con una breve Apologia, che si concludeva con un anatema rivolto a Gregorio Palamas, ai suoi seguaci e a tutti coloro che si trovavano in accordo con loro.32
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27 I Concilio di Costantinopoli, 28 Cfr. RIGO 2015, 318–324. 29 30 31 32
1: JOANNOU 1962a, 45–46; cfr. FAILLER 1973, 118.
V. più in basso la lista dei primi firmatari del Tomo sinodale alla fine di febbraio 1347. CANDAL 1949; cfr. RIGO 2015, 297. Historia Byzantina, XV, 9: II, 782–783; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2266, VAN DIETEN 1988, 367, nn. 466, 468. Cfr. più in basso, 163–166.
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I. Gli eventi
Il sinodo stabilì la deposizione di Giovanni Caleca con un documento scritto, come sappiamo da Niceforo Gregoras (καθαίρεσις ἔγγραφος),33 che non si è conservato. Si trattava evidentemente del documento (menzionato da Giovanni Cantacuzeno nel prostagma), che fu inviato a Caleca verso la fine di febbraio 1347 con la convocazione al sinodo (δι᾿ ἐγγράφου τόμου πεμφθείσης αὐτῷ παρὰ τῶν ἀρχιερέων τῆς καταδίκης).34 Oltre quindici anni dopo (1363), Giovanni Cantacuzeno forniva un'informazione diversa nella Lettera a Giovanni di Karpasia, sostenendo anacronisticamente (per difendere il suo operato dall'accusa d'intromissione negli affari ecclesiastici) che il Tomo sinodale era stato emesso il 2 febbraio 1347. Tale notizia non può logicamente essere mantenuta. Egli scriveva appunto in quell'occasione: «Ci fu quindi di nuovo un secondo Tomo sinodale (τόμος συνοδικὸς δεύτερος) composto dai vescovi che avevano redatto il primo e da coloro che erano stati ordinati vescovi in seguito. Questo tomo confermava e rafforzava il primo. E ciò avvenne e si compì quando io mi trovavo ancora fuori Costantinopoli (καὶ ταῦτα μὲν ἐγένοντο καὶ ἐπράχθησαν ἔτι ἐκτὸς τῆς Κωνσταντινουπόλεως εὑρισκομένου μου)».35 Soltanto qualche ora dopo la conclusione del sinodo del 2 febbraio, durante la notte, Giovanni Cantacuzeno entrava in Costantinopoli.36 In questo modo terminava una guerra civile che si era protratta per quasi sei anni, con conseguenze irreparabili per l'Impero. La successione degli avvenimenti e la cronologia dei giorni seguenti all'entrata in Costantinopoli sono ricavabili dal dettagliato racconto presente nelle Storie di Cantacuzeno, più che da quello, disordinato ed elittico, di Niceforo Gregoras.37 Punti fermi sono il trattato stipulato tra Giovanni Cantacuzeno e Anna Paleologa (7, o 8, febbraio), menzionato da numerose fonti,38 e gli avvenimenti riguardanti la politica interna ed estera immediatamente successivi (come le lettere scritte dall'ambasciatore Bartolomeo al papa Clemente VI e al delfino di Vienne
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Così a ragione VAN DIETEN 1988, 367 n. 468 sulla base appunto di Gregoras (ma il passo di Cantacuzeno evocato al riguardo non può essere utilizzato in questo senso). RIGO 2013, 759, l. 45. DARROUZÈS 1959, 16. Cfr. SCHREINER 1975–79, II, 268–269 (fonti). Cfr. VAN DIETEN 1988, 367 n. 467, 368 n. 471. Cfr. SCHREINER 1975–79, II, 269–270.
2. La deposizione di Giovanni XIV Caleca e il Tomo sinodale (febbraio 1347)
21
Humbert),39 sino all'incoronazione della figlia di Giovanni, Elena Cantacuzena, promessa sposa di Giovanni V Paleologo (18 febbraio?).40 Nei giorni immediatamente successivi alla sua entrata nella capitale Giovanni Cantacuzeno non si curò particolarmente delle faccende ecclesiastiche e men che meno del patriarca deposto. Egli ebbe soltanto un rapido incontro con i metropoliti e gli ecclesiastici più in vista da lui convocati il 4 febbraio.41 Soltanto dopo l'incoronazione della figlia Elena (quindi, al più presto il 19 febbraio) ci fu il suo primo incontro con Giovanni Caleca, che si trovava ancora in stato di reclusione all'interno del palazzo. In un altro punto delle Storie, Cantacuzeno sosteneva che in tale occasione il patriarca deposto avrebbe tolto la scomunica che gli aveva inflitto durante la guerra civile.42 Il racconto principale, volto a esaltare la magnanimità dell'imperatore, che suscitò la meraviglia dell'impaurito Caleca, presenta la conversazione tra i due, in realtà quasi un monologo da parte di Cantacuzeno.43 La condanna (e ————– 39 40 41
42 43
Historiarum lib. IV, 2: III, 12–20; cfr. LOENERTZ 1953, 295–297. Historiarum lib. IV, 2: III, 11–12. Ivi, III, 99: II, 608, ll. 7–609, l. 11. Al termine dell'incontro egli inviò Neofito metropolita di Filippi e Michele Cabasilas quali ambasciatori da Anna Paleologa. Da segnalare en passant che tre giorni dopo, il 7 febbraio (cfr. VAN DIETEN 1988, 365 n. 459) Anna diede ordine di liberare Andronico Asanes, suocero di Cantacuzeno, e Gregorio Palamas «che erano incarcerati da qualche parte nel palazzo imperiale» (κατακεκλεισμένους ἐν δεσμωτηρίοις ἔνδον βασιλείων) ivi, III, 100: II, 613, ll. 1–6, e li mandò da Cantacuzeno. Nelle Storie è raccontato l'incontro tra il sovrano e i due e sono riportate le lodi che allora Cantacuzeno avrebbe rivolto a Palamas (614, ll. 2–5). Historiarum lib. IV, 3: III, 27–28; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2267. Qualche anno dopo Giovanni Cantacuzeno ritornerà su questo suo incontro con il patriarca deposto nella Refutazione di Giovanni Ciparissiota: «Ὅμως γε μὴν καίτοι τούτων οὕτω συμβεβηκότων οὐ φαύλως ἐκείνου μετὰ τοῦτο προὐνόησε βασιλεὺς, ἀλλὰ παρεμυθήσατο καὶ τῆς καθαιρέσεως ὑπερήλγησε καὶ πᾶσι τρόποις κατεπῆδε τὴν ἐπισυμβᾶσαν ἀχθηδόνα λεαίνων εὐμενείᾳ καὶ ἱλαρότητι. Θαρρεῖν τε γὰρ ἔφησε καὶ ἀπολογίας μετέδωκε καὶ σύνοδον εἶπε διὰ σὲ συγκροτήσω μή ποτε φθόνου πάρεργον ἡ σὴ καθαίρεσις εἴη. Εὖ γὰρ ἴσθι, μηδ᾿ ἐνδοιάσῃς ὡς εἴ σε πατριάρχην, ὥσπερ ἔλιπον εὕρισκον, οὐκ ἄν τι σοι συνέπεσε τῶν μὴ κατ᾿ εὐχήν. Ἐπεὶ δὲ ψήφῳ συνοδικῇ τὴν δίκην ὑπέστης, ὡς μήποτ᾿ ὤφελεν, ἐγὼ μὲν αὐτὸς εἰ καὶ μάλα βουλοίμην, οὐκ ἄν ποτε δυνηθείην ἐπαναγαγεῖν σοι τὴν ἀρχιερωσύνην. Εἰ δέ γε βούλει, συνόδου γεγονυίας ὑπὲρ τῶν σοὶ προσηκόντων ἀγώνισαι, εἰ μὴ σὺν δίκῃ σε τοὺς καθῃρηκότας οἴει κατασπάσαι τοῦ θρόνου. Τοσαῦτα μὲν πρὸς αὐτὸν ὁ βασιλεὺς εἴρηκεν. Ὁ δ᾿ αὐτὸν ὑπεραγασάμενος τῆς τ᾿ ἀμνηστίας τῶν πεπραγμένων, τῆς θ᾿ ἱλαρότητος καὶ τῆς προνοίας τῆς εἰς αὐτὸν πλείσταις εὐχαῖς αὐτόν τε καὶ τοὺς ἀμφ᾿ αὐτὸν ἀμειψάμενος τότε μὲν ἐν τούτοις ἀπήλλαξε, τὸ δὲ δὴ μετὰ τοῦτο σύνοδον ὑπὲρ τούτου βασιλέως συγκεκροτηκότος καὶ πάντων ὁμοῦ τῶν ἀρχιερέων εἰς ταὐτὸ συνδεδραμηκότων, μετακεκλημένος καὶ οὗτος πολλάκις ὑπὸ πολλῶν ἀπεδοκίμασε
22
I. Gli eventi
quindi la deposizione) del 2 febbraio hanno nella narrazione un posto centrale, maggiore delle recriminazioni per la condotta e le azioni durante la guerra civile. Stando al racconto delle Storie, nel quale, secondo un procedimento abituale dell'autore, hanno un ampio spazio i discorsi dello stesso, Cantacuzeno propose in sostanza a Caleca una revisione del provvedimento di deposizione: quanto all'accusa rivoltagli dai vescovi di avere corrotto i dogmi, sarebbe stato giudicato di nuovo e condannato soltanto se fosse stato ritenuto colpevole di queste accuse. Se invece fosse stato riconosciuto innocente, non ci sarebbe stato nessun impedimento a un suo ritorno sul trono patriarcale. Dal momento che non poteva ritornare in carica poiché i vescovi lo avevano condannato, Cantacuzeno gli concedeva così la possibilità di giustificarsi delle accuse che gli erano state rivolte. Giovanni Caleca, meravigliato per la generosità del suo interlocutore, chiese un po' di tempo per decidere (ᾐτεῖτο δὲ χρόνον πρὸς διάσκεψιν) se intendeva rispondere ai metropoliti delle accuse. L'imperatore glielo concesse. Così, stando alle Storie, si svolse il primo incontro tra i due antagonisti, dopo i lunghi anni della guerra civile che li aveva visti contrapposti. Tre giorni dopo (τρίτῃ ἡμέρᾳ μετ' ἐκείνην) (22 febbraio?) ci fu un nuovo incontro. Cantacuzeno «ritornò a trovarlo, mostrandosi benevolo e amabile nelle parole. In merito al giudizio, chiese di nuovo al patriarca se intendeva venire perché fossero presi in esame i suoi dogmi. Di nuovo il patriarca lodò grandemente l'imperatore e dichiarò che anch'egli era dell'avviso di sottomettersi a un giudizio. Davanti al tribunale si sarebbe giustificato delle accuse a lui mosse». Cantacuzeno informò allora i metropoliti (τοῖς ἀρχιερεῦσι), che si compiacquero della decisione e «affermarono che non avrebbero mai avuto l'intenzione di deporre il patriarca, se egli non fosse stato riconosciuto colpevole di sostenere dogmi eretici e di recare in questo modo turbamento alla pietà». Fu quindi fissato il giorno della riunione a palazzo per procedere all'esame delle questioni dogmatiche (συνετίθεντο ἡμέραν, ἐν ᾗ πάντας ἐν βασιλείοις ἔδει γενομένους τῶν δογμάτων τὴν ἐξέτασιν ποιεῖσθαι). Il giorno stabilito, si riunì quindi il sinodo, formato da metropoliti, monaci e membri del senato (οἱ ἀρχιερεῖς, καὶ τῶν μοναχῶν ὅσοι μάλιστα ἐν λόγῳ ἦσαν, καὶ τῶν συγκλητικῶν οἱ μάλιστα ἐπιφανεῖς), e presieduto dallo stesso Giovanni VI e da Giovanni V.44 «Anche il patriarca fu chiamato davanti al tribunale (ἐκαλεῖτο δὲ ἐπὶ τὴν δίκην καὶ ὁ πατριάρχης), ————– 44
καθάπαξ τὸ πρὸς ἀπολογίαν ἀπηντηκέναι», Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana pl. 8. 8, f. 80r. Come sappiamo anche dal prostagma di Giovanni Cantacuzeno, RIGO 2013, 759, ll. 47– 49.
2. La deposizione di Giovanni XIV Caleca e il Tomo sinodale (febbraio 1347)
23
ma egli rigettò la richiesta e dichiarò che non sarebbe venuto». Caleca fu convocato tre volte, secondo i canoni (δὶς καὶ τρὶς γενομένης τῆς μηνύσεως κατὰ τὸ ἔθος),45 ma non si presentò. Tutti i metropoliti – prosegue Cantacuzeno – con voto unanime stabilirono la sua deposizione per iscritto ed emisero un tomo circa le questioni dogmatiche (τήν τε καθαίρεσιν ἐκείνου ἐγγράφως ἐποιοῦντο οἱ ἀρχιερεῖς πάντες ἐπιψηφισάμενοι ὁμοίως, καὶ τόμον περὶ τῶν δογμάτων ἐξετίθεντο).46 Le informazioni presenti nelle Storie si ritrovavano in sostanza già nel prostagma di Giovanni Cantacuzeno dell'inizio di marzo 1347: Dopo l'arrivo della mia persona imperiale, e dopo che gli fu peraltro inviata la condanna dai metropoliti con il tomo scritto, essi appresero che egli avanzava scuse e si opponeva ancora e affermava di essere pronto a venire e a difendersi. Presiedendo assieme al sommo imperatore dei Romei e amatissimo figlio della mia persona imperiale e con i santissimi metropoliti e il senato, gli mandammo la convocazione perché si presentasse al sinodo. Apparve che egli falsamente adduceva quale scusa l'assenza: non aveva infatti l'ardire di venire e di entrare realmente in discussione, sebbene fosse stato convocato tre e quattro volte al sinodo. Per questo motivo egli è sottoposto alle stesse condanne precedenti, anche con il giusto accordo della mia persona imperiale.47 L'atto di condanna di Matteo di Efeso e degli altri oppositori dell'agosto 1347 ricorda, tra l'altro, che il sinodo, tenutosi a palazzo, era presieduto da Giovanni Cantacuzeno e da Giovanni V Paleologo e che Caleca era stato convocato più volte prima di essere nuovamente condannato (συνόδου πάλιν ἀθροισθείσης ἐν τῷ θεοφρουρήτῳ παλατίῳ, παρουσίᾳ καὶ τῶν ἐκ Θεοῦ κρατίστων καὶ ἁγίων ἡμῶν αὐτοκρατόρων, διαμηνύεται οὐχ ἅπαξ μόνον, ἀλλὰ καὶ δὶς καὶ πολλάκις· ὁ δὲ ὑποπτήξας, ὡς αὐτοκατάκριτον ἔχων τὸ συνειδός, οὐκ ἠθέλησεν ἀπαντῆσαι. Δι᾿ ὃ καὶ αὖθις τὴν αὐτὴν τῆς καταδίκης ἀπηνέγκατο ψῆφον).48 Stando alle Storie di Giovanni Cantacuzeno, il secondo sinodo contro Caleca emise «un tomo circa i dogmi» (τόμος περὶ τῶν δογμάτων), che deve essere evidentemente identificato con il Tomo sinodale datato febbraio 1347 ————– 45 46 47 48
Canoni degli Apostoli, 74: JOANNOU 1962b, 45–46. Historiarum lib. IV, 3: III, 21–24. RIGO 2013, 759, ll. 44–53. Più in basso, 144–146, ll. 61–65.
24
I. Gli eventi
(μηνὶ φεβρουαρίῳ ἰνδικτιῶνος ιε′), come si evince anche dal titolo che parla di una nuova e rinnovata scomunica di Giovanni Caleca (Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαίρων τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην).49 Un'analisi del documento mostra come anche in questa sede furono esclusivamente affrontate le questioni teologiche per condannare Gregorio Acindino e Caleca, e non furono riprese le censure d'ordine giuridico e disciplinare sollevate contro l'allora patriarca dal gruppo di metropoliti con il Rapporto del 26 settembre 1346. Dopo un lungo prologo nel quale si evocano Ario e Sabellio (ll. 5–57), inizia l'esposizione degli eventi che va dai sinodi del 1341 e il Tomo sinodale, alla guerra civile e all'operato di Caleca in questo periodo, al sinodo di Adrianopoli e al rapporto dei metropoliti (settembre 1346) (ll. 58–224). Anna Paleologa, ricevuto il documento dei metropoliti, convocò un sinodo a palazzo, composto da metropoliti, il prôtos dell'Athos, monaci, membri del senato e del clero. Il sinodo fu presieduto dall'imperatrice e dal figlio Giovanni V (ll. 225–244). Furono presi in esame il "libro" del patriarca con la sua interpretazione del Tomo sinodale, condanne dogmatiche e scritti di Gregorio Acindino. Conclusa la lettura, Giovanni Caleca fu condannato e deposto per avere seguito le dottrine del barlaamita Acindino (ll. 245–376). Quest'ultimo, che aveva continuato nella sua opera, nonostante la condanna sinodale, fu condannato di nuovo e ridotto allo stato laicale (ll. 377–399). Nel dispositivo finale si ricordava che se qualcuno in futuro avesse rinnovato i suoi attacchi contro Gregorio Palamas e i monaci avrebbe subito la stessa pena. Palamas e i monaci erano riconosciuti come i più eccellenti difensori della pietà (ll. 400–416). Queste decisioni erano state prese in conformità all'insegnamento dei Padri sulla base dei due sinodi e del tomo che ne era derivato e delle decisioni scritte dei metropoliti internati nella capitale e di coloro che si trovavano fuori di Costantinopoli (ll. 417–427). In merito al Tomo sinodale deve essere sottolineato che il resoconto degli eventi giunge sino alla condanna di Giovanni Caleca del 2 febbraio e che non è fatta nessuna menzione dell'entrata di Cantacuzeno nella capitale e degli avvenimenti successivi sino alla seconda e definitiva condanna di Caleca. Il tomo presenta in altri termini una realtà "congelata" agli inizi di febbraio, anche se la sua redazione in questa forma risale agli ultimi giorni del mese. Ci troviamo cioè di fronte a un documento emesso alla fine del mese ————– 49
PRK II, nr. 147, 346–382.
2. La deposizione di Giovanni XIV Caleca e il Tomo sinodale (febbraio 1347)
25
di febbraio dopo la seconda condanna di Caleca, ma che rende conto soltanto della prima decisione sinodale del 2 febbraio. Oltre al titolo, anche altri punti mostrano che si tratta di un documento redatto alla fine del mese, e in ogni caso dopo l'entrata di Giovanni Cantacuzeno a Costantinopoli: in particolare la rilettura della guerra civile effettuata in un'ottica chiaramente cantacuzenista e la menzione di Giovanni VI quale «nostro potente e santo sovrano e imperatore» (τοῦ κραταιοῦ καὶ ἁγίου ἡμῶν αὐθέντου καὶ βασιλέως τοῦ Καντακουζηνοῦ).50 Il Tomo sinodale fu emesso negli ultimissimi giorni di febbraio 1347 (tra il 25 e il 28).51 Nel registro patriarcale il documento è seguito soltanto da tre firme (nr. 1–3) a causa della perdita dei fogli successivi.52 In una copia privata eseguita da Macario di Filadelfia (Wien, Österreichische Nationalbibliothek jur. gr. 7) nel corso del mese di marzo 1347,53 sono presenti undici firme che evidentemente furono apposte sull'originale al momento della redazione del Tomo sinodale, o nei giorni immediatamente seguenti (fine di febbraio 1347): 1. Atanasio di Cizico, 2. Macario di Filadelfia, 3. Lorenzo di Alania e Soterioupolis, 4. Teolepto di Didymoteichon, 5. Malachia di Methymna, 6. Caritone di Apros, 7. Isacco di Madyta, 8. Teodulo di Rhosion, 9. Metodio di Varna, 10. Isaia di Selymbria, 11. Gregorio di Pompeioupolis. In merito a queste sottoscrizioni possiamo osservare che i metropoliti sono per la maggior parte alcuni dei firmatari del Rapporto contro Caleca inviato ad Anna Paleologa nel settembre 1346 (nr. 1, 3, 6) e della nota del 23 ottobre 1346 (nr. 2, 4, 5, 8, 9, 10), che avevano quali capofila Atanasio di Cizico e Macario di Filadelfia. Soltanto Isacco di Madyta e Gregorio di Pompeioupolis non avevano sottoscritto in precedenza i due documenti critici nei confronti di Giovanni Caleca. Va aggiunto che, secondo i canoni (come abbiamo visto), l'atto di deposizione del patriarca doveva essere sottoscritto da almeno 12 metropoliti. Si potrebbero già fare alcune osservazioni su chi, pur essendo stato oppositore del patriarca, in quell'occasione non sottoscrisse il tomo, ma avremo ampiamente modo di ritornare sulla questione in seguito. Soltanto qualche giorno dopo la redazione, alla fine del mese di febbraio 1347, del Tomo sinodale, Giovanni VI Cantacuzeno emise a sua conferma un prostagma.54 Il legame tra i due documenti, ricavabile dal suo contenuto, era ————– 50 51 52 53 54
PRK II, nr. 147, ll. 204–205, 362. Cfr. VAN DIETEN 1988, 372–374 (n. 471); RIGO 2013, 748. PRK II, nr. 147, ll. 429–433, 382; cfr. 54–55 e più in basso, 167. Cfr. RIGO 2013, 724; RIGO 2015, 332. RIGO 2013, 757–759.
26
I. Gli eventi
affermato da Cantacuzeno nell'atto, quando scriveva, dopo aver ricordato il sinodo che aveva condannato per la seconda volta Caleca, che l'imperatore «mostra e conferma con il presente rescritto e ordina a tutti di osservare queste decisioni e risposte legittime e sinodali, di rigettare coloro che hanno le idee di Acindino e tutti coloro che di nuovo si scagliano contro il summenzionato santissimo ieromonaco messere Gregorio Palamas e i monaci con lui perché sono ingannatori e turbano di nuovo la Chiesa. Per questa ragione, per la pace secondo virtù e quale garanzia è emesso il presente rescritto della mia persona imperiale».55 Il prostagma era legato al Tomo sinodale perché ne confermava le decisioni e disposizioni e in un certo senso anche perché completava l'esposizione degli eventi (là interrotta con il sinodo del 2 febbraio) sino alla definitiva condanna di Giovanni Caleca. Lo stretto legame tra i due atti era affermato anche da un contemporaneo quale Macario di Filadelfia che nella sua copia del prostagma apponeva un titolo che rimandava al Tomo sinodale che lo precede (Τὸ ἐπὶ τούτῳ πρόσταγμα).56 Il rapporto tra i due documenti, testimoniato anche dai manoscritti, nei quali il prostagma di Giovanni Cantacuzeno segue sempre il Tomo sinodale del febbraio 1347, spiega anche la loro prossimità temporale: il prostagma fu infatti emesso da Cantacuzeno nei primissimi giorni del marzo 1347.
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Ivi, 759, ll. 53–59. Ivi, 753.
3. GIOVANNI CALECA E GREGORIO ACINDINO DOPO L'EMISSIONE DEL TOMO SINODALE La pubblicazione del tomo e del documento imperiale rappresentava senza alcun dubbio una conclusione della vicenda del patriarca, iniziata ben prima dell'entrata di Giovanni Cantacuzeno in Costantinopoli e della fine della guerra civile, ma allo stesso tempo inaugurava una nuova realtà che doveva essere costruita con la consacrazione di un nuovo patriarca e, più in generale, con una riorganizzazione ecclesiastica e la nomina dei titolari delle metropoli vacanti. Prima di passare all'analisi degli avvenimenti che condussero, dopo ben due mesi,57 alla proclamazione del patriarca, vorremmo sottolineare come la deposizione di Giovanni Caleca e la condanna sua e di Gregorio Acindino non devono essere considerate il momento finale dell'attività e influenza di questi due protagonisti, che continuarono nei mesi successivi, sia pur in misura limitata, viste le condizioni in cui si trovavano. La loro azione ebbe peraltro un certo peso nella costituzione di gruppi di resistenza e di opposizione ai palamiti prima e al patriarcato poi, gruppi che giocarono anche un ruolo importante nelle prolungate discussioni che precedettero l'elezione del nuovo patriarca. Iniziamo con Giovanni Caleca. Abbiamo visto che fino al momento del sinodo della fine di febbraio egli si trovava confinato nei suoi appartamenti all'interno del palazzo imperiale. Niceforo Gregoras ricordava che, in seguito alla condanna, Caleca fu rinchiuso nel monastero costantinopolitano di San Basilio58 e soltanto poco tempo dopo fu esiliato a Didymoteichon.59 Giovanni Cantacuzeno nelle Storie faceva un racconto più dettagliato, fornendo altresì degli elementi che risulteranno utili più avanti. Egli osservava che Caleca «non restò tranquillo dopo la sua deposizione. Legò a sé anche alcuni membri della Chiesa tra i metropoliti e tra i semplici laici, e ricominciò ad agitarsi: sosteneva di essere stato vittima di un'ingiustizia al momento del suo processo e accusava i metropoliti che lo avevano deposto. Tutti vennero dunque a trovare l'imperatore, a eccezione di tre che erano suoi seguaci. Ritenevano che si dovesse allontanarlo da Bisanzio e in questo modo avrebbero avuto fine i disordini e i tumulti nella Chiesa. Anche l'imperatore ritenne opportuno di porre fine a questo disordine e inviò il pa————– 57 58 59
La durata massima della vacanza era stata fissata in tre mesi dal Concilio di Calcedonia, 25: JOANNOU 1962a, 88–89. Sul quale cfr. JANIN 1969, 58–59. Historia Byzantina, XV, 10: II, 784.
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I. Gli eventi
triarca a Didymoteichon».60 Nel periodo immediatamente successivo all'emissione del tomo di condanna, nonostante la deposizione e il confino nel monastero di San Basilio, Caleca persistette dunque nell'opposizione, mantenendo i contatti con alcuni membri del sinodo che gli erano rimasti fedeli. La sua azione si svolgeva evidentemente durante le settimane convulse del mese di marzo e di aprile, segnate dalle accese discussioni in vista dell'elezione del nuovo patriarca. Per impedirgli di fare questo, l'imperatore ritenne necessario di trasferirlo in un luogo, Didymoteichon, da dove i suoi contatti con l'esterno e con i suoi seguaci sarebbero stati difficili se non impossibili. Il soggiorno dell'ex patriarca in quella città non era destinato a durare a lungo, come sappiamo dal seguito del racconto di Cantacuzeno: «poco tempo dopo, non sopportando questo mutamento di residenza (il cambiamento della sua condizione lo aveva condotto da una grande felicità a un tale mutamento), cominciò a cadere malato, poi perse la testa, non una volta per tutte, ma a momenti era in sé, poi di nuovo era fuori di testa. Quando apprese questa notizia, l'imperatore diede l'ordine di ricondurlo a Bisanzio per farlo curare dai medici. Ma una volta ritornato, non resistette a lungo, soccombendo alla malattia e alla pena, morì poco dopo».61 Fu lo stesso Cantacuzeno infatti a ricondurlo a Costantinopoli nel mese di dicembre 1347 per affidarlo alle cure sanitarie. Soltanto qualche giorno dopo (il 29 dicembre), Caleca moriva in prigione,62 dove evidentemente era stato rinchiuso per impedirgli ogni contatto con il mondo esterno. Sull'altro grande condannato nel Tomo sinodale del febbraio 1347, Gregorio Acindino († ante giugno 1348), possediamo soltanto notizie frammentarie e indirette, in gran parte ricavabili dai suoi stessi scritti. Già nell'ultimo periodo della guerra civile (1346), quando era in disgrazia agli occhi di Anna Paleologa e degli altri grandi dell'Impero, Acindino aveva condotto una vita ritirata, in disparte. A maggior ragione, egli continuò a vivere nascosto a Costantinopoli dopo il febbraio 1347,63 sino a quando agli inizi dell'anno successivo intraprese la via dell'esilio, come ricordava con parole commo————– 60 61 62
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Historiarum lib. IV, 3: III, 24. Ivi, 24–25; cfr. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XVI, 4: II, 813–814. Come ricordava la nota di un suo simpatizzante: «Ἐκοιμήθη ὁ πατριάρχης Ἰώαννης ἐν τῇ σιδηρᾷ φυλακῇ τῇ κθ′ τοῦ δεκεβρίου τῆς α´ ἰνδικτιῶνος, παρελθόντων μηνῶν ια′ ἀπὸ τῆς εἰσελεύσεως τοῦ βασιλέως Καντακουζηνοῦ ἕως τῆς τελευτῆς αὐτοῦ τοῦ πατριάρχου»: Chronica minora, 11. 3: SCHREINER 1975–79, I, 106. Cfr. le sue parole citate in HERO 1983, XXXII, n. 140.
3. Giovanni Caleca e Gregorio Acindino dopo l'emissione del Tomo sinodale
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venti nel suo Testamento spirituale.64 Questa condotta di Acindino, ma allo stesso tempo la sua azione finalizzata all'opposizione e alla resistenza di fronte al Palamismo, anche grazie a persone con le quali era in contatto,65 è ricordata in un lungo passo delle Storie di Giovanni Cantacuzeno. L'imperatore, subito dopo la fine della guerra civile e dopo aver riunito sotto il suo potere tutto l'impero dei Romei, aveva pensato che era necessario mettere fine alle dispute religiose così come a quelle civili e aveva fatto venire molte volte Gregorio Acindino, che era ancora vivo, e che guidava tale opposizione assieme a Barlaam, e gli aveva dato l'ordine di far conoscere chiaramente le sue accuse, se ne possedeva, contro i suoi avversari. Egli ci teneva particolarmente a conoscere la verità, lasciando i due partiti a discutere tra di loro in modo che la verità emergesse dalle loro discussioni. Acindino non aveva il coraggio di parlare apertamente: mandava avanti alcuni dei suoi seguaci e cercava di convincerli a provocare disordini contro l'imperatore e di reclamare giustizia, con il pretesto che essi erano calunniati e accusati di distruggere i retti dogmi, mentre erano piuttosto i partigiani di Palamas a essere tali e che meritavano di essere espulsi. L'imperatore per queste ragioni diede ancor più libertà di parola ad Acindino, e gli ordinò di non tenersi nascosto e di suscitare tramite altri la disputa, ma di opporsi apertamente ai suoi avversari e di trionfare, se fosse apparso come il sostenitore di dottrine più pie, o se fosse stato battuto di pentirsi e di non arrossire per quello del quale egli stesso era colpevole, mentre rimproverava agli altri di corrompere la verità. Quando apprese il proposito dell'imperatore, Acindino dichiarò che egli desiderava vivamente rispondere ai suoi oppositori, ma che temeva che se si fosse manifestato apertamente gli sarebbe stato chiesto di rendere conto perché durante la guerra civile si era messo agli ordini del patriarca Giovanni e si era mostrato ostile nei confronti dell'imperatore. L'imperatore emise subito un ordine (θέσπισμα ἐξετίθει) che garantiva ad Acindino che ————– 64 65
Cfr. ivi, XXXIII, n. 141 e già nr. 71, ll. 16–17: 290–292. Da segnalare al riguardo che nella parte finale del cosiddetto Testamento spirituale, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana gr. Z 155 (610), f. 32r, Gregorio Acindino si rivolgeva a metropoliti, sacerdoti e monaci che si opponevano al Palamismo con termini che non ci permettono di capire se si tratti di un saluto generico o se egli si volesse invece riferire agli oppositori e alle loro riunioni nel giugno e luglio 1347: «Καὶ δὴ χαίρετέ μοι ἀρχιερέων χορός, τῶν νῦν δειξάντων ὡς ὄντως ἐστὲ θεοειδεῖς ποιμένες, διὰ τοῦ μαρτυρίου τῆς εἰς εὐσέβειαν πίστεως, ἱερέων, μοναζόντων, τῶν τε μιγάδων ...».
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I. Gli eventi
non avrebbe subito alcun attacco se avesse esposto con tutta franchezza quella che riteneva essere la verità circa i dogmi. Ma egli, dopo essersi visto garantire una così grande libertà, era ancora più invisibile e preferì l'oscurità sino alla morte.66 Giovanni Cantacuzeno mostrava quindi che Gregorio Acindino, durante il suo ultimo anno di vita e dopo la condanna del febbraio 1347, viveva nascosto a Costantinopoli e animava, tramite i suoi seguaci, la resistenza al Palamismo. Questa attività è testimoniata dagli scritti di quei mesi, il Discorso a Ieroteo67 e le lettere. Tra queste, le une erano dettate dallo sconforto perché alcuni suoi antichi sostenitori e amici (come Giorgio Isaris e Massimo Laskaris Kalopheros)68 lo avevano abbandonato, passando nelle file degli avversari, mentre le altre, rivolte ai suoi uomini di fiducia (lo ieromonaco Atanasio, il diacono Antonio Phoinikes)69 a Tessalonica ancora sotto il controllo degli Zeloti e al metropolita di Corinto Giacinto,70 intendevano ravvivare ancora l'opposizione verso la fine del 1347 e gli inizi del 1348, diversi mesi dunque dopo l'elezione di Isidoro a patriarca. L'intervento forse più significativo è rappresentato da una tra le sue ultime opere, la perduta Apologia, con la quale egli prendeva di mira il canone introdotto dal patriarca Isidoro durante l'autunno 1347.71 Tutto questo mostra la continuità della sua attività non solo dopo il Tomo sinodale della fine del mese di febbraio, ma anche dopo l'inizio del patriarcato di Isidoro e persino dopo la condanna degli oppositori dell'agosto 1347.
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Historiarum lib. IV, 23: III, 166–168. PITSAKIS 1972. HERO 1983, nr. 70, 71, 73, 76. Ivi, nr. 72, 74. Ivi, nr. 67. Cfr. più in basso, 67–68
4. VERSO L'ELEZIONE DEL PATRIARCA (MARZO – INIZIO MAGGIO 1347) La deposizione di Caleca significava anche la necessità di eleggere un nuovo patriarca.72 All'interno del sinodo si erano delineate posizioni discordanti con gruppi73 che avrebbero poi espresso candidati diversi: già le prese di posizione degli ultimi mesi del 1346 avevano fatto emergere con chiarezza due differenti partiti tra gli oppositori del patriarca, da un lato quello di Matteo di Efeso e di Atanasio di Cizico, costretti alla residenza obbligata nei loro monasteri, e dall'altro quello più "moderato", capeggiato da Macario di Filadelfia. D'altra parte, benché il seguito di Caleca si fosse progressivamente assottigliato, egli continuava ad avere alcuni sostenitori nel sinodo.74 L'entrata di Giovanni Cantacuzeno in Costantinopoli e gli avvenimenti immediatamente successivi nel corso di febbraio videro un riposizionamento di una parte dei suoi avversari. Le sottoscrizioni del Tomo sinodale della fine del mese ne sono già una prima testimonianza, mostrando il formarsi di una maggioranza all'interno del sinodo che derivava dalla saldatura del gruppo di Macario di Filadelfia con quello dei metropoliti firmatari del Rapporto all'imperatrice Anna, capeggiati da Atanasio di Cizico. Matteo di Efeso, con alcuni altri, si era nel frattempo separato, venendo a formare un proprio partito. In altre parole, dopo la deposizione di Giovanni Caleca sono riconoscibili nel sinodo tre gruppi distinti: un primo, che costituiva la maggioranza, se non altro relativa, dei metropoliti, guidato da Atanasio di Cizico e Macario di Filadelfia, un secondo da Matteo di Efeso e un terzo, con ogni probabilità, il più esiguo, costituito dai partigiani di Caleca. Un accordo tra questi tre partiti era per molte ragioni impossibile e quindi l'elezione del nuovo patriarca era destinata ad andare per le lunghe. Ma procediamo con ordine, seguendo innanzitutto i movimenti di Matteo di Efeso. Egli, entrato in collisione con Giovanni XIV Caleca per questioni ecclesiastiche, ma anche a ragione delle sue simpatie ————– 72
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Sull'elezione del patriarca all'epoca le fonti più importanti sono lo pseudo-Kodinos, De officiis, 10: VERPEAUX 1966, 277–283, v. MACRIDES – MUNITIZ – ANGELOV 2013, 434– 435; Macario d'Ancira: LAURENT 1947; Simeone di Tessalonica, De sacris ordinationibus, 224–237: PG 155, 437–453; cfr. FAILLER 1973, 139–146; BLANCHET 2008; anche DARROUZÈS 1970, 469–472. Al riguardo è ancora di una certa utilità la lettura delle pagine di WEISS 1969, 123–125. Cfr. RIGO 2015, 324–326.
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filocantacuzeniste,75 era rimasto confinato in un monastero di Costantinopoli sino alla fine della guerra civile. Matteo fu verosimilmente tra gli ecclesiastici incontrati da Cantacuzeno poco dopo la sua entrata nella Città, il 4 febbraio. C'è da credere che in quell'occasione Matteo dedicò al sovrano una preghiera, nella quale ne celebrava le virtù politiche e religiose.76 Il riposizionamento di Matteo nelle settimane seguenti è spiegabile, stando al racconto di Giovanni Cantacuzeno, con la frustrazione delle sue aspettative suscitate dalla nuova congiuntura politica. Ma su questo ritorneremo tra un attimo. Secondo diverse fonti (Niceforo Gregoras,77 Giovanni Cantacuzeno,78 il Tomo degli oppositori del luglio 1347,79 Arsenio di Tiro80), il primo nome che venne fatto all'inizio delle discussioni per l'elezione del nuovo patriarca fu quello di Gregorio Palamas. Questa candidatura, che senza alcun dubbio era gradita all'imperatore, emerse evidentemente dal gruppo maggioritario all'interno del sinodo, capeggiato da Atanasio di Cizico e da Macario di Filadelfia. Un passo delle Storie di Giovanni Cantacuzeno, oltre a confermare questo, ritorna su Matteo di Efeso e i suoi, e ci permette ulteriori osservazioni sugli schieramenti che andavano allora costituirsi. Subito dopo la deposizione del patriarca, ci si occupò molto di colui che doveva essere al capo della Chiesa. Tutti pensarono immediatamente che non c'era nessuno di più degno di salire sul trono patriarcale che Palamas, non soltanto a causa della sua virtù, del suo genere di vita così degno, della sua conoscenza e della pietà nel dogma, ma anche perché sin dall'inizio egli si era apertamente opposto a quelli che facevano guerra all'im————– 75 76 77 78
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Cfr. ivi, 310. Εὐχὴ πρὸς βασιλέα πρὸ ἀρχιερέως, Wien, Österreichische Nationalbibliothek theol. gr. 174, f. 57rv, cfr. KOUROUSIS 1972, 178. Historia Byzantina, XV, 11: II, 786. Ricordiamo qui che nelle Storie di Cantacuzeno già in precedenza era stata discussa la questione dell'elezione di Palamas al patriarcato. Nel 1341, poco prima dell'inizio della guerra civile, Alessio Apocauco aveva detto a Giovanni Caleca che Cantacuzeno «lo voleva in breve tempo cacciare dal trono e installarvi Palamas, suo amico intimo e particolarmente devoto alla sua causa», Historiarum lib. III, 17: II, 107; e di nuovo, tre anni dopo (1344), lo stesso Apocacauco ricordava ancora a Caleca che, se non fosse stato per lui, «da molto tempo Palamas sederebbe sul trono patriarcale ed egli sarebbe stato cacciato», ivi, III, 72: II, 438. Più in basso, 112. Tomo, ll. 161–162: POLEMIS 1993, 259.
4. Verso l'elezione del patriarca (marzo – inizio maggio 1347)
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peratore, affermando che la guerra era stata provocata ingiustamente e per la rovina e la sventura dello stato, e per questo motivo era stato condannato a restare in prigione dall'inizio alla fine. Ma i metropoliti e gli alti dignitari monastici erano molto perplessi sulla questione. Un gran numero di personaggi in vista e particolarmente importanti, durante la guerra contro l'imperatore, erano stati condannati gli uni all'isolamento nelle loro residenze (ἐν ταῖς οἰκίαις καθειρχθέντες), altri a essere incarcerati, altri a soffrire mille avversità e tutti speravano che il trono patriarcale ricompensasse il loro zelo e ciascuno si metteva al di sopra degli altri.81 I metropoliti qui evocati in maniera anonima come ostili alla candidatura di Palamas perché aspiravano essi stessi al patriarcato sono presentati quali partigiani di Cantacuzeno che erano stati posti in isolamento nelle loro dimore durante la guerra civile. Egli voleva evidentemente indicare i metropoliti oppositori di Giovanni Caleca, firmatari del Rapporto ad Anna Paleologa del settembre 1346, primi fra tutti Matteo di Efeso. Da queste righe delle Storie si ricava perciò che anche il nome di quest'ultimo metropolita circolava quale candidato al trono patriarcale. Poco dopo Cantacuzeno ritornava sulla questione, precisando ulteriormente quanto abbiamo appena visto: essi erano dei suoi [cioè di Cantacuzeno] partigiani e di quelli che durante la guerra avevano sopportato molte disgrazie per lui, ed egli credeva di dover loro testimoniare una grande riconoscenza ed essere loro il più possibile favorevole, anche se essi non erano stati nominati alla dignità suprema. Ma costoro completamente fuori di sé al ricordo di questa ingiustizia, perché non li si riteneva degni del trono patriarcale, pensavano che non li si potesse ricompensare in altro modo delle pene che essi avevano sopportato e dello zelo che essi avevano testimoniato per l'imperatore. Essi si separarono decisamente dall'imperatore e dalla verità, lo calunniarono, falsificarono la verità, vennero in aiuto alla calunnia (τῷ ψεύδει συνηγοροῦντες) e seguirono le orme dei dogmi corrotti di Barlaam e di Acindino.82 In un'altra opera di poco successiva, Giovanni Cantacuzeno rendeva esplicite le allusioni di questi passaggi delle Storie: «Alcuni smaniavano per ————– 81 82
Historiarum lib. IV, 3: III, 25. Ivi, 27.
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I. Gli eventi
la gloria e ciascuno sognava il trono patriarcale e ricercava il primo posto (...). Guardate infatti quali cose dice il metropolita di Efeso, ecc.».83 Il gruppo capeggiato da Matteo di Efeso aveva pertanto il suo candidato per l'elezione del patriarca. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso dell'agosto 1347 mostra come il partito di Matteo si alleò allora con il gruppo più esiguo dei metropoliti seguaci dell'ex patriarca Caleca, unendosi nell'opposizione alla candidatura di Palamas e nel sostegno di un nome alternativo: i metropoliti di Filippi e di Ganos, che attirarono contro loro stessi il verdetto, e se lo attirarono più volte, perché si mostrarono condividere senza pentimento l'eresia del deposto patriarca. Poiché la Chiesa di Dio ha bisogno di un patriarca e il potente e santo nostro signore e imperatore aveva ordinato, come è costume, che in tale maniera i metropoliti si riunissero per eleggere il patriarca, anche in quell'occasione i summenzionati metropoliti, facendo i propri interessi, si mostrarono di nuovo, pronunciando discorsi e presentando scritti che in modo aperto sostenevano gli empi dogmi di Barlaam e Acindino. Il presule di Efeso, unitosi a quelli che seguivano le idee di Acindino e avendo anche corrotto e associato a sé alcuni altri metropoliti, cercò in ogni modo di turbare le elezioni.84 I metropoliti Neofito di Filippi85 e Giuseppe di Ganos,86 seguaci del patriarca deposto, erano rimasti ancora in contatto con lui, rinchiuso nel monastero costantinopolitano di San Basilio, e questo provocò, come abbiamo visto, l'allontanamento forzato di Caleca a Didymoteichon. Il sodalizio di Matteo con Neofito e Giuseppe doveva essere già iniziato durante il mese di febbraio, prima dell'inizio delle riunioni in vista dell'elezione del nuovo patriarca, quando con ogni probabilità il nome di Gregorio Palamas quale futuro patriarca aveva cominciato a circolare. Ciò spiega anche il fatto che Matteo, storico oppositore di Caleca, non firmò alla fine del mese il Tomo sinodale, che lo deponeva definitivamente. Secondo Giovanni Cantacuzeno, Matteo vagheggiava di salire sul trono patriarcale, mentre le altre fonti tacciono al riguardo. Il Tomo degli oppositori del luglio 1347 accennava soltan————– 83 84 85 86
Prooemium contra Barlaamum et Acindynum: RIGO 2016, 35, ll. 186–189 e v. anche ll. 197–205. Più in basso, 146, ll. 69–80. Notizia in PLP 20158. Cfr. PLP 9029; RIGO 2015, 316.
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to in forma anonima al candidato del gruppo formato da Matteo di Efeso e i suoi e da Neofito di Filippi e Giuseppe di Ganos: «quello che la grazia divina con il consenso fraterno ha prescelto».87 L'alleanza tra i due gruppi significò di fatto il tramonto della candidatura di Gregorio Palamas al patriarcato. Ma nel frattempo era emerso anche il nome di un suo antico sodale sin dagli anni '30 a Tessalonica, Isidoro Boucheiras,88 metropolita-eletto di Monembasia nel 1341, poi condannato da Giovanni Caleca nel novembre 1344.89 Vale la pena qui di ricordare come lo stesso Isidoro, nel suo Testamento, ricordasse le vicende successive alla deposizione di Caleca e la sua elezione a patriarca. «Chiamato io stesso, ubbidii, senza averlo desiderato in precedenza, senza aver convinto intercessori, senza aver influenzato arconti, senza aver adulato l'imperatore e i metropoliti, senza aver brigato a tal fine né tanto né poco». Egli affermava di essere asceso al trono patriarcale perché convinto a ciò dalla Madre di Dio che gli era apparsa e glielo aveva preannunziato. «Sei mesi dopo» quella mistica visione «il molto divino imperatore e l'assemblea dei gerarchi mi elessero».90 Ma riprendiamo il filo degli avvenimenti. Anche la candidatura di Isidoro incontrava le stesse difficoltà di quella di Palamas e riproponeva un'identica spaccatura all'interno del sinodo. Questa scelta poneva inoltre dei problemi a causa del fatto che egli era stato condannato e deposto dal patriarca e dal sinodo. Ci furono quindi una serie di riunioni sinodali dedicate a una riconsiderazione dell'affaire. Il Tomo di condanna di Matteo di Efeso dell'agosto 1347, sia pure in una forma sintetica, ci fornisce alcune coordinate al riguardo. Gli oppositori infatti si rifiutavano di acconsentire all'avviso degli altri, ma non erano in grado di controbattere dinanzi all'innocenza dell'eletto [cioè Isidoro], che in precedenza era stato condannato con un metodo chiaramente malvagio e illegale, perché senza processo, in maniera calunniosa, ingiusta e senza nessuna prova da parte di qualcuno, ma che in seguito aveva più volte ot————– 87 88 89 90
Più in basso, 112, ll. 141–142. Cfr. PLP 3140; TINNEFELD 1981, 158–163; RIGO 1989, 238–248. MERCATI 1931, 199–200, 202; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2250. PRK II, nr. 156, ll. 63–76, 430–432. La visione, che Isidoro ebbe durante la notte dell'Epifania (6 gennaio 1347), mentre era in preghiera, è descritta doviziosamente da Filoteo Kokkinos, Vita di Isidoro, 47: TSAMIS 1985, 385–389, sulla base delle stesse parole del protagonista.
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tenuto giustizia in modo eccellente e secondo i canoni per mezzo di votazioni sinodali, dapprima in due dei tre sinodi riunitisi nel palazzo sorvegliato da Dio, nel primo, presieduto dall'imperatrice incoronata da Dio e dal molto grazioso figlio suo e santo nostro imperatore, messer Giovanni Paleologo, e in seguito anche in quello che si tenne nelle tribune della grande chiesa, presenziato e presieduto dai molto potenti e pii nostri autocratori, ai quali si era anche unito nei suffragi il santissimo patriarca di Gerusalemme la santa Sion. Allora fu anche di nuovo discussa la questione circa i dogmi e fu, come necessario, esaminata con rigore: gli empi e calunniatori scritti contro l'attuale santissimo metropolita di Tessalonica, ovvero Palamas, furono letti in pubblico dinanzi a tutti e da lui francamente confutati, ma anche furono letti in pubblico dinanzi a tutti i summenzionati sacri tomi e ancor più confermati come retti e del tutto irreprensibili. Costoro non solo non concordavano con il sinodo, ma furono anche confutati e svergognati su molti punti, poiché non erano docili e concordi.91 Le righe del tomo riassumono avvenimenti che si svolsero in momenti diversi. Da queste evinciamo innanzitutto che in alcune riunioni sinodali successive, tenutesi nel palazzo imperiale, e presiedute da Giovanni V e da Anna Paleologa, il caso di Isidoro fu riconsiderato, giungendo a proclamare la sua innocenza e ad annullare quindi la deposizione promulgata da Caleca nel 1344. Alla conclusione di questa revisione del processo, risalente con ogni probabilità al mese di marzo, Isidoro appose la sua firma sul verso del Tomo sinodale di febbraio.92 Una successiva seduta sinodale, che ebbe luogo in Santa Sofia, e che fu presieduta dai due imperatori, Giovanni VI Cantacuzeno e Giovanni V Paleologo e dal patriarca di Gerusalemme Lazzaro, non fu tanto consacrata al caso di Isidoro, ma alle questioni dogmatiche.93 Furono innanzitutto letti scritti degli oppositori contro Gregorio Palamas. Dal dispositivo del Tomo di deposizione di Matteo di Efeso abbiamo ulteriori informazioni su tali scritti e i loro autori: «Neofito di Filippi e Giuseppe di ————– 91 92 93
Più in basso, 146-148, ll. 80–100. Più in basso, 174, ll. 1–2. Si deve segnalare a questo punto una vicenda ricordata soltanto da Arsenio di Tiro, secondo il quale, prima della divisione definitiva dei metropoliti in due partiti (πρὶν ἢ τοὺς ἐπισκόπους εἰς δύο διαιρεθῆναι), dei monaci (antipalamiti) erano intervenuti in difesa della verità, inviando una lettera (γραφή) al sinodo, al quale era presente anche l'imperatore (Giovanni Cantacuzeno), Tomo, ll. 166–175: POLEMIS 1993, 259.
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Ganos, (...) con molti discorsi, azioni e scritti si sono dimostrati essere d'accordo con i dogmi di Barlaam e Acindino, che non hanno voluto concordare né con il primo tomo in difesa della pietà né con il secondo che lo ha confermato, e anche hanno riproposto di continuo in modo pari ad Acindino le dottrine contro la pietà e gli uomini pii formulate all'inizio da Barlaam, e hanno ancora presentato al sinodo un quaderno (τετράδιον), che li ha mostrati colpevoli di molte empietà».94 In quell'occasione fu emessa una sentenza sinodale che fu apposta sul verso del Tomo sinodale di febbraio e sottoscritta dai presenti.95 Tra i tredici metropoliti troviamo sei firmatari del Tomo sinodale del mese di febbraio (Atanasio di Cizico, Macario di Filadelfia, Malachia di Methymna, Metodio di Varna, Isaia di Selymbria, Teodulo di Rhosion), due del Rapporto ad Anna Paleologa (Macario di Christoupolis, Ieroteo di Lopadion), mentre gran parte degli altri, con Lazzaro, venivano da Adrianopoli (Giuseppe di Adrianopoli, Cosma di Lititza, Giuseppe di Kallioupolis, Giacomo di Makres, Paolo di Xanthe), dove il 21 maggio 1346 un sinodo, presieduto dal patriarca di Gerusalemme, aveva scomunicato il patriarca Giovanni Caleca. Le sottoscrizioni della sentenza sinodale ci sembrano ben rappresentative della maggioranza che si stava costituendo in vista dell'elezione del patriarca.96 Tutto questo avveniva nel corso del mese di aprile, con ogni verosomiglianza durante la seconda metà, «dal momento che l'elezione patriarcale – come aggiungeva il tomo di agosto – doveva tenersi non molto dopo».97 La riunione sinodale nelle tribune di Santa Sofia e la sentenza emessa nell'occasione segnavano un definitivo punto di non ritorno nei rapporti tra la maggioranza che oramai si era man mano costituita e l'agguerrita minoranza ed escludeva in modo reciso la possibilità di trovare un accordo. Di lì a poco si sarebbe proceduto a colpi di voti, senza cercare più alcuna conciliazione con gli avversari. Nel corso del mese precedente, con ogni probabilità dopo che la candidatura di Gregorio Palamas era sfumata e mentre quella di Isido————– 94 95 96
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Più in basso, 156, ll. 238–245. Più in basso, 174, ll. 3–23. Stando ai canoni (I Concilio di Nicea, 4, Sinodo di Antiochia, 19, Sinodo di Cartagine, 13; cfr. più in basso, 77–78) il vescovo deve essere eletto da tutti o dalla maggioranza, o almeno da un numero consistente, dei vescovi della provincia. Nel XIV secolo, lo pseudoKodinos indicava per l'elezione del patriarca il numero di almeno dodici metropoliti o, in casi eccezionali, se non si raggiunge questa cifra, «tutti quelli che si possono trovare», De officiis, 10: VERPEAUX 1966, 277. Più in basso, 148, ll. 100–101.
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I. Gli eventi
ro non decollava per le difficoltà che abbiamo appena ricordato, e rimaneva sempre valida la proposta di Matteo di Efeso, era stata cercata una soluzione di compromesso, con l'indicazione di un terzo nome di gradimento più generale. Filoteo Kokkinos ci attesta infatti che a un certo punto era emerso il nome di una figura di primo piano del monachesimo athonita dell'epoca, Saba Tziskos di Vatopedi,98 noto anche per le sue simpatie cantacuzeniste. Nella Vita di Isidoro, parlando dell'elezione di quest'ultimo al patriarcato, ricordava che a un certo punto, dal momento che il sinodo e l'imperatore non riuscivano a trovare il consenso su un unico nome, tutti avevano prescelto Saba,99 ma egli aveva rifiutato, nonostante i numerosi tentativi di convincerlo da parte dell'imperatore, dei metropoliti e dei membri del senato.100 In maniera più articolata, Filoteo ritornava sulla vicenda nella Vita dello stesso Saba. Anche qui leggiamo che i metropoliti, divisi tra diversi candidati, non si accordavano (ἐπεὶ δὲ συμφωνεῖν οὐκ ἔσχον καθαρῶς ἐφ' ἑνί τῳ τῶν πάντων, ἀλλ' ἐσχίζοντο ταῖς γνώμαις ἐπὶ πολύ, τῶν μὲν τούτῳ, τῶν δ' ἐκείνῳ προστιθεμένων). Allora Cantacuzeno prese l'iniziativa e fece il nome di Saba quale candidato al patriarcato (τὸν περὶ τοῦ θείου Σάβα προβάλλεται λόγον καὶ ὅτι δεῖ ψηφίζεσθαι καὶ τοῦτον εἰς πατριάρχην). Immediatamente questa proposta incontrò il favore di tutti e Saba ottenne l'unanimità dei voti (τάττεται τὰ πρῶτα τῶν ψηφιζομένων ὁ μέγας). Ma, nonostante le visite di Matteo Cantacuzeno e di Giovanni VI a Chora, dove Saba risiedeva, egli rifiutò l'elezione.101 A questo tentativo da parte di Cantacuzeno con ogni probabilità si riferiva il Tomo degli oppositori del luglio 1347, quando scriveva: egli «ora elevava questo alla dignità patriarcale, ora quello».102 Questa soluzione di compromesso, nella quale il ruolo di Cantacuzeno era stato, come si evince dalle due agiografie, decisivo, oltre a essere fallita, apparteneva decisamente al passato. La nuova situazione che si era venuta a delineare dopo la riunione sinodale in Santa Sofia e la sentenza che era stata emessa nell'occasione non lasciavano più spazio a mediazioni. L'elezione del patriarca era destinata a seguire un altro percorso. Poco tempo dopo, la mag————– 98 99
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Cfr. PLP 27991. «συμφωνεῖν δὲ καθαρῶς ἐφ' ἑνί τῳ τῶν πάντων αὐτοί τε καὶ βασιλεύς ὁ κράτιστος οὐδαμῶς εἶχον, ἐπὶ τὸν θαυμαστὸν ἐκεῖνον Σάβαν μεταφέρουσιν ὁμοῦ πάντες τὰς ψήφους», Vita di Isidoro, 49: TSAMIS 1985, 391. Ivi, 50: 391. Vita di Saba, 75–78: ivi, 309–315. Più in basso, 112, ll. 145–146.
4. Verso l'elezione del patriarca (marzo – inizio maggio 1347)
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gioranza dei metropoliti che, come abbiamo visto, si era man mano costituita elesse da sola Isidoro al patriarcato, mentre la minoranza non partecipò alla votazione. In merito possediamo la testimonianza delle due parti in lotta. Il Tomo degli oppositori del luglio, dopo aver stigmatizzato il pesante intervento di Cantacuzeno nel procedimento, scriveva: Trascorse del tempo in tali faccende, mentre quello [cioè Cantacuzeno] affrontava la questione in modo autoritario e noi d'altra parte ci opponevamo ardentemente per quanto ci era possibile e affermavamo che le norme della Chiesa e l'esattezza delle leggi erano violate. Tuttavia vinse la volontà della carne e del sangue (cfr. Gv. 1, 13), quali sono i giudizi di Dio!, e, essendosi separata e stando in disparte la maggior parte dei metropoliti (καὶ τῶν πλειόνων ἀποῤῥαγέντων καὶ διάσταντων ἀρχιερέων), diventa patriarca, oh leggi e tribunali di Dio!, Isidoro.103 Lo svolgimento dei fatti è confermato, sia pure da una prospettiva opposta, dal Tomo di deposizione di Matteo di Efeso del mese di agosto: Dal momento che l'elezione patriarcale doveva tenersi non molto dopo, e poiché essi erano animati da uno spirito di contesa ed erano privi di pentimento e non accettavano i tomi sinodali in difesa della pietà e allo stesso tempo rinnegavano le loro stesse firme, conformemente alle leggi furono lasciati da parte. (...) Per queste ragioni dunque, in conformità ai canoni, come abbiamo detto, noi – cioè il resto della schiera dei metropoliti – li abbiamo rigettati. Essendoci riuniti ed essendo d'accordo, abbiamo proceduto all'elezione del patriarca e poi abbiamo anche celebrato l'ordinazione per grazia e ausilio del divino Spirito.104
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Più in basso, 112, ll. 148–154. Più in basso, 148, ll. 100–113.
5. L'ELEZIONE DI ISIDORO AL PATRIARCATO E LA NOMINA DEI NUOVI METROPOLITI (MAGGIO – LUGLIO 1347) Giovanni Cantacuzeno ci conferma che Isidoro fu eletto dalla maggioranza dei membri del sinodo (συμφωνήσαντες δὲ οἱ πλείους) e che «l'imperatore approvò subito questa scelta. Poco tempo dopo fu consacrato».105 La promozione (problesis) di Isidoro da parte dell'imperatore avvenne il 17 maggio106 e qualche giorno dopo, con ogni probabilità la successiva domenica107 di Pentecoste, il 20 maggio, egli fu consacrato nella chiesa delle Blacherne dal metropolita di Cizico Atanasio,108 dal momento che la sede di Eraclea era vacante.109 Le due settimane che seguirono l'insediamento di Isidoro furono segnate da una serie di eventi riguardanti la vita della Chiesa e dell'Impero, che intendevano dare esplicitamente l'impressione dell'inizio di una nuova era, dopo la fine della guerra civile e dei dissensi religiosi. Il giorno seguente alla consacrazione del patriarca, il 21 maggio, festività di Costantino ed Elena, Giovanni Cantacuzeno fu incoronato imperatore da Isidoro. Era passato un anno esatto dal sinodo di Adrianopoli, durante il quale Cantacuzeno era stato incoronato dal patriarca di Gerusalemme Lazzaro e l'allora patriarca Giovanni Caleca era stato scomunicato e deposto. In questa maniera il cerchio, in un certo senso, si chiudeva. Ne era ben consapevole lo stesso protagonista che nelle sue Storie ricordava l'unzione di Adrianopoli e spiegava che questa seconda incoronazione doveva far tacere definitivamente i calunniatori. Anche questa cerimonia, come quella del giorno precedente, si tenne nella chiesa delle Blacherne. Seguirono, continuava Cantacuzeno, grandi festeggia————– 105 106
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Historiarum lib. IV, 3: III, 26. «Μηνὶ μαΐῳ ἑπτακαιδεκάτῃ, ἡμέρᾳ πέμπτῃ ἰνδικτιῶνος, προεβλήθη ὁ παναγιώτατος ἡμῶν δεσπότης ὁ οἰκουμενικὸς πατριάρχης κῦρ Ἡσίδωρος (...)» annotava nel registro patriarcale Giorgio Galesiotes, PRK II, nr. 153, 416; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2273 Date. Cfr. l'indicazione di Simeone di Tessalonica, De sacris ordinationibus, 230: PG 155, 444B. «Μαΐῳ δὲ ιζ´ τῆς αὐτῆς ἰνδικτιῶνος, προεβλήθη ὑπὸ τῶν βασιλέων τούτων ὁ ὑποψήφιος Μονεμβασίας κῦρ Ἰσίδωρος πατριάρχης· εἶτα ἐχειροτονήθη ἐν τῷ ναῷ τῆς Βλαχέρνας ὑπὸ τοῦ μητροπολίτου Κυζίκου»: Chronica minora, 8. 48a: SCHREINER 1975–79, I, 85. Cfr. quanto scrive Simeone di Tessalonica, De sacris ordinationibus, 236, PG 155, 452C– 453B: «ὅτι εἰ μὲν Ἡρακλείας πάρεστι, παρ᾿ αὐτοῦ χειροτονεῖται ὁ πατριάρχης, εἰ δ᾿ οὖν, παρὰ τοῦ πρώτου τῶν ἄλλων ἀρχιερέων»; v. anche pseudo-Kodinos, De officiis, 10: VERPEAUX 1966, 281.
5. L'elezione di Isidoro al patriarcato e la nomina dei nuovi metropoliti
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menti e banchetti nel palazzo imperiale.110 In modo più cinico, ma forse più realistico, Niceforo Gregoras ricordando quella giornata, osservava che a palazzo oramai regnava la povertà, non vi si trovava «nemmeno una coppa o un calice in oro e in argento, ma solo alcuni di stagno, mentre tutti gli altri erano di terracotta e di coccio». La guerra civile aveva lasciato nelle casse dell'Impero «solo aria e polvere e, per così dire, gli atomi di Epicuro».111 Di quello stesso giorno si è conservata la preghiera pronunziata dal patriarca Isidoro per gli imperatori, alla presenza degli stessi, del senato e dei metropoliti, in occasione della nomina del patriarca di Gerusalemme Lazzaro.112 Sempre nella chiesa delle Blacherne, la domenica successiva, 27 maggio, il patriarca celebrava il matrimonio di Giovanni V Paleologo con la figlia di Giovanni VI, Elena Cantacuzena.113 L'alleanza tra le due casate sembrava così formalmente e definitivamente siglata. Soltanto qualche giorno dopo, durante una cerimonia pubblica, sempre nella chiesa delle Blacherne, Isidoro scioglieva dall'ambone le scomuniche pronunciate da Giovanni Caleca durante la guerra civile.114 Il registro patriarcale conserva il «perdono scritto»,115 emesso in quell'occasione dal patriarca, che, dopo aver ringraziato Dio per aver posto fine al conflitto e aver portato la pace alla Chiesa e all'Impero, perdonava e assolveva tutti, vivi e defunti. Dopo queste due prime settimane segnate dagli eventi appena menzionati, Isidoro iniziò a occuparsi degli affari più propriamente legati al governo e ————– 110 111 112
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Historiarum lib. IV, 3: III, 29; cfr. anche Chronica minora, 8. 48b: SCHREINER 1975–79, I, 85. Historia Byzantina, XV, 11: II, 787–788, 790. Εὐχὴ ῥηθεῖσα παρὰ τοῦ αὐτοῦ παναγιωτάτου πατριάρχου κατὰ τὸ ἐπικρατῆσαν ἐκκλησιαστικὸν ἔθος ὑπὲρ τῶν εὐσεβεστάτων βασιλέων ἡμῶν ἐπὶ παρουσίᾳ αὐτῶν, ἔτι δὲ καὶ τῆς συγκλήτου καὶ τῶν ἱερωτάτων ἀρχιερέων καὶ λοιπῶν τῶν συνειλεγμένων ἐπὶ τῇ προβλήσει τοῦ ἁγιωτάτου πατριάρχου Ἱεροσολύμων κῦρ Λαζάρου, PRK II, nr. 154, 416; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2275; VAN DIETEN 1988, 378 n. 487. Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. IV, 3: III, 29; Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XV, 12: II, 791; Chronica minora, 8. 48c: SCHREINER 1975–79, I, 85; per la data v. VAN DIETEN 1988, 378 n. 487. Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. IV, 3: III, 27–28; Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XV, 12: II, 791–792. Τοῦ αὐτοῦ παναγιωτάτου πατριάρχου συγχώρησις ἔγγραφος τοῦ κατὰ τὸν καιρὸν τῆς συγχύσεως ἐκφωνηθέντος ἀφορισμοῦ παρὰ τοῦ χρηματίσαντος [su rasura Giorgio Galesiotes; prima: καθαιρεθέντος?] πατριάρχου τοῦ Καλέκα, PRK II, nr. 155, 418–419; cfr. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XV, 12: II, 792, ll. 4–6; v. DARROUZÈS 1977, nr. 2274; VAN DIETEN, III, 1988, 381 n. 495.
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I. Gli eventi
all'amministrazione della Chiesa. Una delle sue prime azioni fu la nomina di numerosi nuovi metropoliti, che è menzionata da tutte le fonti.116 Tra i nuovi ordinati figuravano personalità di spicco del partito palamita, lo stesso Gregorio Palamas per la sede di Tessalonica e Filoteo Kokkinos per quella di Eraclea. Il gran numero di nomine era dovuto al fatto che molte sedi erano vacanti, come ricordava anche un antipalamita quale Arsenio di Tiro (ταῖς τῶν ἐκκλησίων χηρεούσαις),117 e non tanto a una sistematica sostituzione dei metropoliti oppositori, come affermava Niceforo Gregoras,118 anticipando, con ogni probabilità, quello che sarebbe accaduto nei mesi seguenti, dopo la condanna di Matteo di Efeso e degli altri (agosto 1347). Una parte consistente dei nuovi metropoliti era in ogni caso legata a Gregorio Palamas, fatto stigmatizzato dal Tomo degli oppositori: «vi introducono quelli che fin dal passato condividevano le loro dottrine o che ora proclamano di pensare in accordo ai sacri troni delle chiese, uomini noti ai più perché non se ne conosce l'origine né il tipo di vita che hanno condotto. Di conseguenza, la Chiesa di Dio è riempita di vergogna e di disprezzo, e non siamo in grado di dirne né quanti né quali».119 Il numero delle nomine fatte da Isidoro poco dopo il suo accesso al trono non può essere stabilita con precisione. Una testimonianza significativa deve essere considerata la nota apposta al Tomo sinodale del febbraio 1347, di cui parleremo tra poco, risalente al mese di giugno– luglio, e che presenta le sottoscrizioni di dieci nuovi metropoliti. Quanto scriveva qualche anno dopo un personaggio ben informato degli affari del patriarcato quale Filoteo Kokkinos, che nella Vita di Isidoro ricordava che costui aveva consacrato ben trentadue metropoliti,120 indica, con ogni probabilità, il numero complessivo delle nomine del suo patriarcato o comunque quelle di un periodo più ampio dei soli primi mesi (giugno–luglio) del suo mandato. Avremo modo di vedere infatti che ancora in agosto si procedette alla consacrazione di alcuni nuovi metropoliti. ————– 116 117 118
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Cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2279. Tomo, ll. 178–181: POLEMIS 1993, 260. «πλῆθος ἀγοραῖον ἑαυτῷ θιασώτας ἀθροίσας τοιούτων τὴν ἐκκλησίαν ἀντὶ τῶν ῥαγέντων ἐνέπλησεν, ἐπισκόπους σχεδιάσας καὶ πρεσβυτέρους ἑτέρους»: Historia Byzantina, XV, 12: II, 793. Più in basso,114, ll. 188–193. «τριάκοντα καὶ γὰρ πρὸς δυσὶν ὁ μέγας οὑτοσὶ τῶν ποιμένων ποιμὴν ἐν ὀλίγῳ τινὶ τῷ χρόνῳ τῷ θείῳ δηλαδὴ Πνεύματι χρίει ποιμένας», Vita di Isidoro, 51, ll. 21–23: TSAMIS 1985, 393.
5. L'elezione di Isidoro al patriarcato e la nomina dei nuovi metropoliti
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La nomina dei nuovi metropoliti fu accompagnata dall'inserimento nella professione di fede episcopale della condanna di Barlaam, Acindino e del patriarca deposto.121 Questo provvedimento era chiaramente una risposta all'analoga misura presa da Caleca alla fine del 1344, al momento della creazione di nuovi metropoliti.122 Diverse fonti ci parlano di questa iniziativa del patriarca Isidoro. A questa professione di fede sembra accennare anche il tomo del mese di agosto, quando ricorda il rifiuto di Matteo di Efeso di accettarla e di sottoscriverla (περὶ τῆς εὐσεβείας ἐγγράφους ὁμολογίας).123 Gli avversari la criticarono come un'aggiunta (προσθήκη) alla professione di fede124 e Isidoro nel suo Testamento intendeva giustificarsi al riguardo, quando affermava che non si trattava di un'«aggiunta», ma piuttosto di una «spiegazione» e di un'«interpretazione».125 Di questa professione di fede scritta, che doveva essere firmata dal metropolita-eletto prima della sua consacrazione, se ne è conservata una copia nel registro patriarcale,126 quella dello hypopsephios di Sougdaia Eusebio,127 uno dei nuovi metropoliti nominati da Isidoro. Questa confessione, dopo aver espresso la fede in quanto era stato annunziato dagli Apostoli e stabilito dai sette Concili ecumenici, proseguiva così: Obbedisco con tutta l'anima, concordo, assento e mi sottometto al mio santissimo signore e patriarca ecumenico messer Isidoro e al suo divino e santo sinodo, in quanto si attengono in maniera più che esatta a questo ————– 121
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Cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2276 e le osservazioni di Otto Kresten in PRK II, 57 n. 96. Nelle professioni di fede successive (XIV–XV secolo) fu poi omessa la menzione di Giovanni Caleca, cfr. a esempio quelle del patriarca Antonio IV: MM II, nr. 400, 112–113 e di Callisto II Xanthopoulos, ivi, nr. 519, 292–295. Cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2256. Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 156, l. 249. Così nel Tomo sinodale del 1351: «Οἱ δὲ ᾐτιάσαντο προσθήκην τινὰ ἐν τῇ χειροτονίᾳ τῶν χειροτονουμένων ἀρχιερέων γεγενημένην», PG 151, 721C4–6 ripreso da Giovanni Cantacuzeno, Prooemium contra Barlaamum et Acindynum: RIGO 2016, 47, ll. 352–353; cfr. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XVIII, 4: II, 887. «Τὴν προσθήκην, ἥτις προσετέθη τῇ ἱερωτάτῃ τῶν ἀρχιερέων ὁμολογίᾳ – τοῦτο δὲ ἔθος τῇ ἐκκλησίᾳ ἐστὶ ἄνωθεν εἰς ἡμᾶς κατιὸν κατὰ τῶν ἀναφυομένων τῇ ἐκκλησίᾳ σκανδάλων –, ἥτις οὐδὲ προσθήκη δικαίως ἂν καλοῖτο, ἀλλ' ἀνάπτυξις καὶ διασάφησις τῶν ἀνωτέρω γεγραμμένων, ταύτην τὸ ἀρραγὲς καὶ ἀμεταποίητον ἔχειν βούλομαι, οὐ μικρὰ καὶ αὐτὴν δυναμενην εἰς τὸν ὑπὲρ τῆς ἀληθείας ἀγῶνα»: PRK II, nr. 156, ll. 121–127, 436. Sulle professioni di fede nel registro cfr. GASTGEBER 2016. PRK II, nr. 157, 444–446; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2276.
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I. Gli eventi
immacolato insegnamento. Barlaam, Acindino e il protettore e difensore della loro follia Giovanni "scarpone" Caleca (Ἰωάννην τὸν καλίκιον Καλέκαν) che [...] si è servito del potere secolare e tutti quelli che pensano come loro e i loro seguaci rigetto completamente quali eterodossi in base ai sacri tomi emessi per loro e, se non si pentiranno, li sottometto all'anatema perché non seguono, non pensano in modo conforme e non sono in accordo con i divini e santi Padri e con il mio divinissimo signore e patriarca ecumenico messer Isidoro e il suo divino e santo sinodo. Seguiva la firma dello ieromonaco e hypopsephios di Sougdaia Eusebio. Questa era dunque la formula che dovevano sottoscrivere i metropoliti dopo la loro elezione e prima della loro consacrazione. Un primo gruppo di dieci nuovi metropoliti da poco consacrati, assieme a due che erano già in carica precedentemente (Daniele di Ainos e Giuseppe di Kallioupolis), appose, nel corso del mese di luglio, la firma di seguito a una nota che fu allora aggiunta sul verso del Tomo sinodale di febbraio, e che ha un tenore simile a quello della professione di fede: «Accettiamo completamente questo santo e sinodale tomo qui contenuto assieme al primo, anche rafforzato da quest'ultimo, con le nostre firme lo sottoscriviamo, anche noi approvando e ritenendo giusti quelli che sono da questi ritenuti giusti, e assieme condannando e scomunicando coloro che sono condannati e scomunicati, cioè Barlaam, Acindino, colui che era patriarca e i loro sostenitori che persistono senza pentimento».128 Le numerose nomine effettuate da Isidoro all'inizio del suo patriarcato intendevano, come abbiamo detto, fornire di titolari le sedi vacanti più che a sostituire vescovi che militavano nelle file degli oppositori. La situazione era, se non altro in alcuni casi, diversa. Il Tomo degli oppositori del luglio 1347 ricordava così che già nel corso del mese precedente il patriarca Isidoro aveva deposto metropoliti, che militavano nelle file dell'opposizione, cosa che aveva provocato l'allontanamento dalla Chiesa di numerosi fedeli: egli «ha costretto alla comunione con lui, per mezzo di sospensioni, pene e persecuzioni, sacerdoti, monaci e oltre a questi vescovi, e di deposizioni, emettendo le une senza giudizio e senza prove, meditando con cura le altre».129 L'allineamento di molti al nuovo patriarca è peraltro visibile: così un antico seguace e corrispondente di Gregorio Acindino quale il metropolita di Mo————– 128 129
Più in basso, 174, ll. 24–31. Più in basso, 116, ll. 150–153.
5. L'elezione di Isidoro al patriarcato e la nomina dei nuovi metropoliti
45
nembasia Giacomo Koukounares,130 inviava una lettera per l'intronizzazione di Isidoro (settembre 1347 – maggio 1348), con la quale si rallegrava del fatto che il «sapiente imperatore» aveva scelto «la tua santità» alla guida della madre delle Chiese.131 Ma questo, come ci mostra la data, accadeva dopo la condanna di Matteo di Efeso e degli altri e forse la lettera di Giacomo era proprio un'indiretta conseguenza di quell'evento. La nomina di numerosi nuovi metropoliti modificava sensibilmente i rapporti di forza all'interno del sinodo. Nei mesi precedenti, l'alleanza tra due gruppi (quello di Atanasio di Cizico e quello di Macario di Filadelfia) aveva condotto alla formazione di una maggioranza che, sia pur in maniera per certi versi faticosa, era riuscita a eleggere Isidoro al patriarcato. Si trattava, quasi per la loro totalità, di metropoliti che avevano fatto la loro carriera durante il patriarcato di Giovanni Caleca (e, alla fine, contro di lui). Ora un'ondata di "uomini nuovi" entrava nel sinodo e veniva a costituire con questi una maggioranza più solida, più consapevole e più coesa, grazie a un denonimatore comune costituito dalle dottrine teologiche palamite.
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PLP 13408. PRK II, nr. 172, 502–504.
6. «UDITE TRIBÙ E LINGUE DELLA TERRA, POPOLI TUTTI CHE L'ABITATE SOTTO IL CIELO». LA REAZIONE DEGLI OPPOSITORI (GIUGNO – LUGLIO 1347) Il patriarca Isidoro era stato eletto a maggioranza, ma soprattutto, cosa che non deve essere dimenticata, con l'astensione della minoranza, che si era rifiutata di prender parte alla seduta e alla votazione. Anche dopo l'ascesa al trono del nuovo patriarca, gli oppositori persistettero nella loro secessione, non riconoscendo legittima l'elezione di Isidoro, perché egli era stato condannato da Giovanni Caleca e per le pressioni del potere imperiale. Le diverse fonti parlano così dei «metropoliti, monaci e laici che si erano separati» (οἱ ἀποσχισθέντες ἀρχιερεῖς καὶ μοναχοὶ καὶ λαϊκοί).132 Tutte le testimonianze provengono dalle parti in lotta: da un lato abbiamo quelle favorevoli al patriarca Isidoro, le Storie di Giovanni Cantacuzeno e il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso dell'agosto 1347, dall'altro quelle che provengono dagli ambienti dell'opposizione: Niceforo Gregoras, il Tomo degli oppositori del mese di luglio, Arsenio di Tiro e Giovanni Ciparissiota. Possediamo anche qualche cenno in un altro autore antipalamita (Teodoro Dexios), che sarà utilizzato al momento opportuno. Iniziamo la nostra esposizione con i due storici del periodo. Giovanni Cantacuzeno, dopo aver parlato dell'elezione e della consacrazione di Isidoro, si soffermava in un lungo passo sugli oppositori ed evocava, in maniera anonima, ma facilmente riconoscibile, Matteo di Efeso. Tutti accettarono di trovarsi sotto gli ordini di Isidoro, ma coloro che ricercavano personalmente il trono patriarcale si indignarono di essere stati ignorati e alla fine giunsero a una così strana ambizione che, non sapendo come attaccare l'imperatore e i vescovi che non li avevano presi in considerazione, si unirono al partito che pensava come Acindino e provocarono così dei turbamenti gravi nella Chiesa, rompendo personalmente con il resto dei fedeli (πλῆθος ἄλλο ἀποῤῥήξαντες). Essi che poco prima avevano deposto Giovanni per queste stesse ragioni e che sembravano essere i più ardenti difensori della pietà cambiarono bruscamente d'avviso perché li si aveva ignorati e si fecero difensori di coloro che essi attaccavano (...) ————– 132
Così la nota al documento di scomunica di Gregorio Palamas emesso da Giovanni Caleca, più in basso, 166.
6. «Udite tribù e lingue della terra, popoli tutti che l'abitate sotto il cielo»
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Per il momento, l'imperatore, vedendo la discordia di quelli che si erano separati dal resto della Chiesa (τῶν διατεμόντων ἑαυτοὺς τοῦ λοιποῦ σώματος τῆς Ἐκκλησίας), era veramente preoccupato e addolorato non soltanto a causa di questa discordia, che li metteva in opposizione agli altri a proposito della pietà nel dogma, ma anche perché essi erano dei suoi partigiani e di coloro che durante la guerra avevano sopportato molte disgrazie per lui, e perché egli credeva di dover loro testimoniare una grande riconoscenza ed essere loro utile il più possibile, anche se essi non erano stati nominati alla dignità suprema. Ma costoro completamente fuori di sé al ricordo di questa ingiustizia, perché non li si riteneva degni del trono patriarcale, pensavano che non li si poteva ricompensare in altro modo delle pene che essi avevano sopportato e dello zelo che essi avevano testimoniato per l'imperatore. Essi si separarono nettamente dall'imperatore e dalla verità, lo calunniarono, falsificarono la verità, vennero in aiuto alla calunnia e seguirono le orme dei dogmi corrotti di Barlaam e di Acindino.133 Anche in un'opera di poco successiva, Cantacuzeno ritornava su quelle vicende, ricordando in particolare l'azione di Matteo di Efeso e stigmatizzando anche lì con forza gli attacchi che gli erano personalmente rivolti: Dal momento che l'imperatore trovò, come si è detto, la Chiesa priva di una guida, elevò sul trono della Chiesa quell'Isidoro di beata memoria quale sommo pontefice di tutti in seguito ai voti e alla decisione del sinodo, il metropolita di Efeso si rese conto che le sue speranze erano svanite e che le circostanze si erano volte contro di lui, ritenne che l'imperatore facesse qualcosa di male, per il fatto che gli preferiva Isidoro, cosa che in realtà non aveva fatto lui ma il sinodo, e andò fuori di sé. Mutò all'improvviso la sua posizione e magnificava l'eresia di Barlaam e di Acindino e diceva anche che la Chiesa con Palamas procedeva in modo malvagio.134 In un passo di poco precedente, Cantacuzeno ricordava la dura presa di posizione degli oppositori, e rimandava, sia pur in modo elittico, al loro tomo del luglio 1347: «Poiché gli ecclesiastici – ciascuno di loro aveva sperato ————– 133 134
Historiarum lib. IV, 3: III, 26–27. Prooemium contra Barlaamum et Acindynum: RIGO 2016, 35, ll. 197–205.
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I. Gli eventi
di diventare lui stesso guida della Chiesa – videro l'uomo di Dio, intendo dire il divino Isidoro, ricco in virtù ed eloquenza, salire sul trono patriarcale, all'improvviso accesero un fuoco nei loro cuori e violentemente accusarono l'imperatore, diventando aspri accusatori di Palamas quale eretico». In due punti della sua opera storica, Niceforo Gregoras ritornava sugli oppositori e sulla loro azione dopo l'ascesa di Isidoro sul trono patriarcale. Egli forniva alcune indicazioni concrete sulle riunioni degli antipalamiti e i loro luoghi, che ci saranno utili nella ricostruzione degli eventi. Gregoras insisteva sulla consistenza dei secessionisti, che a suo dire rappresentavano la maggior parte dei metropoliti e del clero.135 Diamo voce alle parole degli stessi oppositori che nel tomo da loro emesso nel mese di luglio, caratterizzato da un'inspirazione apocalittica e da toni violentissimi nei confronti del neoeletto patriarca, di Gregorio Palamas (e anche di Cantacuzeno), giustificavano in questo modo la loro condotta, ricordando gli avvenimenti immediatamente successivi all'inizio del patriarcato di Isidoro. Noi, una volta separati dalla comunione con loro (τῆς αὐτῶν κοινωνίας ἀποῤῥαγέντες), rimaniamo nella quiete per conto nostro, offrendo a Dio solo le ingiustizie, sperando che da lì verrà il giudizio su quanto è accaduto. Ma quelli che così tanto ci fanno torto non desiderano stare tranquilli senza trascinare giù anche noi nel loro stesso precipizio, e ci ordinano e ci spingono di essere in comunione con loro, considerando intollerabile . Quindi un momento ci mandano messi e ci fanno grandi promesse, un altro cambiano atteggiamento, commettono azioni persecutorie e tiranniche, ci rinchiudono sotto sorveglianza in modo che non possiamo vedere nessuno e in isolamento, come fanno i briganti con quelli che cadono nelle loro mani, ci tormentano per quanto è loro possibile, e a volte ci minacciano di farci cose ancora più violente. Poi elaborano anche lettere (γραφάς) contro di noi, muovendoci l'accusa della separazione dalla comunione e nient'altro. Oltre a questo ci tolgono le chiese e le nostre rendite per il sostentamento in modo che una morte violenta ci sopraggiunga. 136 ————– 135 136
«διὰ τὸ τῆς αὐτοῦ ῥαγῆναι κοινωνίας τοὺς πλείους τῶν ἐπισκόπων καὶ πρεσβυτέρων», Historia Byzantina, XV, 12: II, 793; «τῶν ἐπισκόπων οἱ πλείους», ivi, XV, 10: 786. Più in basso, 114, ll. 194–206.
6. «Udite tribù e lingue della terra, popoli tutti che l'abitate sotto il cielo»
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Gli oppositori, qui come altrove, sottolineavano le pressioni esercitate nei loro confronti anche con l'ausilio delle autorità civili, rimandavano a documenti a loro inviati (dal patriarca e dal sinodo?) e a misure che sarebbero state prese dal sinodo contro i metropoliti dissidenti, privandoli delle loro rendite e proprietà. È logico che la ricostruzione fatta nel tomo di condanna del mese di agosto sia di segno diametralmente opposto: Ma essi si separarono in maniera malvagia e non ritenevano giusto mutare posizione e passare dalla parte più eccellente, sottomettersi al patriarca e porre fine agli scismi, ma persistevano ostinatamente nella loro malvagia, sin dall'origine, opposizione e si compiacevano nelle loro conventicole (παρασυναγωγαί). Noi invece, da un lato soffrendo per loro, sino a poco prima nostri fratelli e concelebranti, dall'altro sforzandoci per la serenità e la pace della Chiesa, non imponemmo loro nessun obbligo, né pensavamo che si dovesse recare loro molestia per il fatto che organizzavano conventicole, ma piuttosto tollerammo in maniera mite e fraterna per tre mesi, sopportando quello che con fare malvagio e anticanonico era fatto contro di noi. Ma quale enorme malvagità e a quanto grande male conduce ciò che è compiuto in modo totalmente dissennato! Noi infatti nemmeno dopo la loro così irrazionale ostinazione non abbiamo disperato del loro raddrizzamento, ma una, due e più volte li abbiamo invitati alla pace e alla concordia con convocazioni sinodali (μηνύμασι συνοδικοῖς).137 Dalle testimonianze contrapposte dei due tomi possiamo ricavare che il patriarca e il sinodo inviarono più di una volta delle convocazioni ai metropoliti dissidenti (con ogni probabilità le «lettere» di cui parla il documento degli antipalamiti) nel corso del mese di giugno. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso ricordava diverse missive e interventi del patriarca, del sinodo e dello stesso imperatore (fatto menzionato anche da Cantacuzeno nelle Storie). È senz'altro possibile che questo lungo passo del tomo riassuma eventi che si svolsero in un periodo di tempo più lungo, anche nel corso del mese di luglio. Abbiamo più volte e in diversi modi giudicato nostro dovere convocarli, conducendoli al pentimento e alla concordia con la Chiesa. Non soltanto ————– 137
Più in basso, 148, ll. 114–127.
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I. Gli eventi
noi l'abbiamo fatto tramite diversi metropoliti ed ecclesiastici, ma anche il molto potente e santo nostro sovrano e imperatore, il quale, manifestando anche verso di loro la sua congenita bontà d'animo e benevolenza, inviò molti messaggi tramite arconti del senato e anche parlò con loro di persona varie volte, discutendo con grande saggezza, confutandoli nobilmente ed esortandoli con compassione al pentimento. Essi non hanno tenuto in nessun conto la nostra disposizione fraterna verso di loro, hanno disprezzato la benevolenza imperiale, hanno persistito nelle loro posizioni, e malati in modo del tutto incurabile si sono sempre più dati da fare con le conventicole, gli scismi e i disordini che ne derivano.138 In ogni caso, alla fine, gli oppositori decisero di rispondere con un documento comune. Questo fu redatto nel corso della prima riunione degli oppositori che si tenne, come ci informa Niceforo Gregoras, nella basilica dei Santi Apostoli (ἐς τὸ τῶν θείων ἀποστόλων ἀθροισθέντες τέμενος).139 Il tomo di luglio ne parlava in questi termini, dopo aver sottolineato come essi avessero indugiato nel rispondere alle richieste del sinodo e del patriarca: Noi da parte nostra, per un certo tempo sopportiamo la loro demenza, ma poiché vediamo che essi non sono disposti a nulla di più ragionevole, facciamo ciò dobbiamo fare, dal momento che loro avevano iniziato a compiere il male. Componiamo un rapporto comune (κοινὴ ὑπόμνησις) a loro rivolto, facciamo delle richieste e consigliamo di convocare un sinodo, se non di tutti i vescovi almeno di quelli che stanno vicini, per esaminare quanto era stato malvagiamente dogmatizzato e commesso e riunificare così le parti separate della Chiesa. Aggiungemmo al rapporto (ὑπόμνησις) anche, per ciascuna delle azioni da loro compiute, i sacri e divini canoni in base alle cui proibizioni ci asteniamo dalla loro comunione. Testimoniamo anche questo: se le faccende non avranno la cura necessaria tramite un giudizio accurato, non saremo mai in comunione con loro, ma anche, in conformità ai canoni scritti dei sacri Apostoli e dei santi ed ecumenici Concili, li sottoporremo alle pene previste, li deporremo come questi prescrivono e lanceremo l'anatema su di loro. Noi abbiamo fatto così.140 ————– 138 139 140
Più in basso, 154–156, ll. 224–235. Historia Byzantina, XV, 10: II, 786. Più in basso, 114–116, ll. 206–219.
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Non sembra che questo «rapporto», redatto dagli oppositori in occasione della riunione ai Santi Apostoli, ci si sia pervenuto. Dalle righe del tomo di luglio abbiamo però alcune informazioni circa il suo contenuto: 1. la richiesta di un sinodo sulle questioni dogmatiche e canoniche; 2. la minaccia di deposizione e di anatema per il patriarca e i suoi; 3. una serie di canoni dei Concili (che saranno poi ripresi nel tomo di luglio). Dicevamo che il «rapporto» del giugno–luglio 1347 deve essere andato perduto, anche se esiste la possibilità che un suo frammento si sia conservato. Giovanni Ciparissiota, subito dopo aver riportato un lungo passo del Tomo degli oppositori,141 ricordava l'esistenza di diverse decisioni di patriarchi e di metropoliti che condannavano i dogmi di Palamas. Egli ne voleva ricordare soltanto una, quella che «i metropoliti di allora» diedero quale segno della loro pietà (ἣν οἱ τότε παρεῖχον ἀρχιερεῖς γνώμην εἰς δεῖγμα τῆς αὐτῶν εὐσεβείας). Dal contesto si evince che i presuli «di allora», di cui parlava qui Ciparissiota, erano appunto i metropoliti dissidenti che avevano emesso il tomo di luglio. Ci sembra plausibile che le righe che seguono siano state tratte proprio dal «rapporto» composto ai Santi Apostoli: «Non bisogna che nessuno di coloro che amano e accettano le novità di Palamas riceva la dignità vescovile sino a quando persistono in queste» (Μήδενα εἰς ἀρχιερωσύνης ἀξίωμα δέχεσθαι χρὴ τῶν τὰς καινοφωνίας τοῦ Παλαμᾶ στεργόντων καὶ ἀποδεχομένων, ἕως ἂν ταύταις ἐμμένῃ).142 L'invio del rapporto, e di eventuali altre loro composizioni, al sinodo è menzionato nel tomo di agosto: «hanno avuto l'ardire (...) di rivolgere contro di noi scritti pieni di impudenza e di menzogna e di inviarceli».143 L'azione degli oppositori non ebbe i risultati da loro sperati, e soprattutto non si ritenne mai di dover rimettere in discussione la nomina di Isidoro, che era senza alcun dubbio la questione centrale. In questo modo si giunse, nel corso del mese di luglio,144 a una seconda, e risolutiva, riunione dei secessionisti. Da Niceforo Gregoras apprendiamo che questa seconda assemblea si tenne nel monastero costantinopolitano di Santo Stefano (δεύτερον δ᾿ ἐς τὴν Στεφάνου τοῦ θείου πρωτομάρτυρος μονήν)145 ed era presieduta dal metro————– 141 142 143 144 145
Più in basso, 99. Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum liber IV. 3: PG 152, 709D3–12. Più in basso, 148, ll. 127–129. Data del Tomo degli oppositori, più in basso, 120, l. 293. Historia Byzantina, XV, 10: II, 786; sul monastero di Santo Stefano cfr. JANIN 1969, 477; MAJESKA 1984, 351–353.
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I. Gli eventi
polita di Efeso Matteo.146 Stando al tomo che fu emesso in quell'occasione, i metropoliti presenti erano una decina e avevano le procure di oltre una ventina d'altri (παρόντες ἀρχιερεῖς ὡσεὶ δέκα τὸν ἀριθμόν, οἵ τε ἔξωθεν διὰ γνωμῶν καὶ γραμμάτων ὑπὲρ εἴκοσιν ὄντες),147 che non si trovavano nella capitale. Giovanni Ciparissiota, che aveva sotto gli occhi una copia del tomo emesso in quell'occasione, parlava invece di ventidue metropoliti,148 rimandando con ogni probabilità alle sottoscrizioni presenti nel documento (parte delle quali poteva però essere stata apposta in un secondo tempo).149 I metropoliti presenti non sono identificabili a eccezione dei cinque (Matteo di Efeso, Neofito di Filippi, Giuseppe di Ganos, Metrofane di Palaiai Patrai e Caritone di Apros) che furono poi condannati nel mese di agosto.150 Alla ————– 146
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«Ὅσοι μέντοι τῶν ἀρχιερέων Θεοῦ φόβον ἔλαβον ἐν καρδίᾳ καὶ τὰ αὐτοῦ δικαιώματα ἐδεδοίκεσαν, ἀπορραγέντες τῆς τῶν λοιπῶν καθέδρας ἐκείνων μείους ὄντες τῶν συνημμένων τῇ ἀσεβείᾳ, ὧν προεξῆρχεν ὁ ἱερωτάτος μητροπολίτης Ἐφέσου, ὁ μακαρίτης ἐκεῖνος καὶ μέχρι τέλους ὁμολογητὴς καὶ ἀναίμακτος μάρτυς τῆς ἀληθείας ἀναφανείς, ἰδίᾳ συνελθόντες σὺν πρεσβυτέροις καὶ μοναχοῖς καθαίρεσιν ἐγγράφως αὐτοῦ τε καὶ τῶν ὁμοφρόνων αὐτοῦ πάντων καταψηφίζονται», Arsenio di Tiro, Tomo, ll. 184–190: POLEMIS 1993, 260; «διίτω δ' αὖθις τὴν τελευταίαν ἐκείνην σύνοδον ὑπὸ τοῦ τῶν Ἐφεσίων φωστῆρος τοῦ θαυμαστοῦ καὶ μεγάλου πατρὸς συγκροτηθεῖσαν», Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum liber IV. 10: PG 152, 737A8–11. Tomo degli oppositori, più in basso, 116, ll. 229–230. Questa decina di metropoliti è anche evocata da Teodoro Dexios, Appellatio, 3, 23–25: POLEMIS 2003, 6 (μήτε πρὸς τὸ πλῆθος ἰδόντες τῶν ἀποστάντων τῆς αὐτῶν κοινωνίας, δέκα καὶ πρὸς τῶν κρειττόνων ἀρχιερέων). «Οἱ δ᾿ ὕστερον ἐπὶ δυσὶ καὶ εἴκοσι τὴν σύνοδον ἀποπληροῦντες ἀρχιερεῖς, συλληπτικῶς τά τε πρὸ αὐτῶν ὑπὲρ τῆς εὐσεβείας πραχθέντα, καὶ μετ᾿ αὐτῶν εἰς ἱερὸν ἐπισημειούμενοι τόμον», Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum liber IV. 4: PG 152, 708D6–9. Giovanni Cantacuzeno commentava così il passo del Ciparissiota nella sua refutazione: «Οἱ δ' ἐπὶ δυσὶ καὶ εἴκοσι τὴν σύνοδον πεπληρωκότες ἀρχιερεῖς καὶ τὸν ὅν φατε τόμον ἐκτεθεικότες καὶ ἐπισημηνάμενοι τίνες ἂν εἶεν καὶ τίνα τούτοις ὀνόματα; Ποῦ δὲ τῆς γῆς καταδεδυκότες καὶ βεβυσμένοι τὴν σύνοδον πεπληρώκεισαν; Οὔτε γὰρ ἐν τῷ μεγίστῳ ναῷ οὔτ' ἐν βασιλείοις οὔθ᾿ ὁτουδήποτε γῆς οἶδέ τις τὴν τοιαύτην συστῆναι σύνοδον», Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana pl. 8. 8, f. 79r. Anche Arsenio di Tiro aveva a disposizione una copia del tomo con le firme: «Καὶ αὕτη μὲν ἡ τοῦ τόμου ἔκθεσις, πεπίστωται δὲ καὶ ταῖς τῶν τοιούτων ἀρχιερέων ὑπογραφαῖς», Tomo, ll. 193–194: POLEMIS 1993, 260 Basandoci sulla lista degli antipalamiti conservata nel manoscritto Città del Vaticano, BAV, Vat. gr. 1096 (MERCATI 1931, 223) possiamo pensare che fosse presente il metropolita di Serre Macario (PLP 16273), residente a Costantinopoli dopo la presa serba della città (cfr. su di lui anche la testimonianza più tarda di Giuseppe Kalothetos «Τούτοις ὁμοίως καὶ ὁ Σερρῶν ἐν τῇ ἀνακειμένῃ μονῇ τῇ Θεομήτορι»: TSAMIS 1980, nr. 9, l. 100, 307). La presenza di Giacinto di Corinto (PLP 29452), ancora in corrispondenza con Gre-
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riunione nel monastero di Santo Stefano partecipò anche un numero imprecisato di sacerdoti, monaci e laici.151 In quell'occasione fu emesso un tomo che, tra l'altro, deponeva il patriarca Isidoro e Gregorio Palamas dalla carica di metropolita di Tessalonica. Il documento si caratterizzava innanzitutto per un'evidente ostilità nei confronti di Giovanni Cantacuzeno, ritenuto l'artefice ultimo di quanto era accaduto. Significativamente egli non è nominato quale imperatore e con tutti gli aggettivi del caso, ma con termini ben diversi. Ci fu pace nella Chiesa e da questa parte le cose si erano acquietate, ma una forte tempesta si è messa a soffiare, suscitata dagli spiriti di Satana, e ha sconvolto ogni cosa, si è tramutata in una violenta bufera e ha insediato quelli che si erano rivelati così blasfemi e così nemici della verità ai posti di comando e ha proclamato sacerdoti i celebranti dei misteri, sovrintendenti dei dogmi gli apostati e amministratori delle anime, i fuorilegge. Questa ne fu la causa. Colui che ora detiene il regno dei Romei, Giovanni Cantacuzeno, si è poco fa impadronito della più grande delle città e ha preso completo possesso dell'Impero.152 Nel seguito si ricordava che il patriarca Giovanni Caleca «era stato rimosso» e che «si è verificata un'innovazione estranea (καινοτομία) alle norme della Chiesa e alle leggi stabilite, che i divini Apostoli e i pastori delle chiese avevano prefissato come regole immutabili. Infatti, convocati per l'elezione, ci è stato imposto dal potere secolare, cosa che non era mai stata fatta, di non eleggere quello che la grazia divina con il consenso fraterno ha prescelto, ma quello che ci è stato ordinato».153 In questo modo Isidoro «armato dal potere secolare ha rapinato la carica di patriarca».154 La sua elezione era pertanto definita illegittima sulla base dei canoni, e in particolare il III del II Concilio di Nicea, perché avvenuta con la pressione delle autorità civili.155 ————– 151 152 153 154 155
gorio Acindino durante quel periodo, non è sicura, perché molto probabilmente egli non risiedeva allora a Costantinopoli. Così Arsenio di Tiro, Tomo (cit. sopra, n. 146), e cfr. anche la nota al documento di scomunica di Gregorio Palamas emesso da Giovanni Caleca, più in basso, 166. Tomo degli oppositori, più in basso, 110, ll. 126–135. Ivi, 110–112, ll. 137–142. Ivi, 116, ll. 249–250. Ivi, 116, l. 234; cfr. anche più in basso, 73–74.
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I. Gli eventi
I numerosi canoni citati dal tomo per questo punto, ma anche per gli altri, erano evidentemente quelli che gli oppositori avevano già addotto nel rapporto redatto precedentemente.156 Questi stessi canoni e i documenti sinodali e patriarcali di Giovanni Caleca, che nel 1344 aveva deposto Isidoro e lo aveva condannato assieme a Gregorio Palamas, erano in primo luogo utilizzati dagli oppositori per ritenere irregolare l'elezione dell'uno a patriarca e la nomina dell'altro a metropolita di Tessalonica, ma fornivano anche gli strumenti per pronunciare la deposizione di entrambi. Isidoro, in quanto deposto e condannato dall'allora patriarca, non poteva evidentemente essere egli stesso patriarca. Il ritratto tracciato dei due nel tomo è a fosche tinte. Il primo, Isidoro, – descritto con toni sprezzanti – «non apprese le leggi della sottomissione, né fu educato in un cenobio, ma mescolato a città e vita urbana, preferiva educare e insegnare ai ragazzini. Affermano che durante quest'attività, lo si è detto, abbia separato moglie dal marito e dai figli a Tessalonica, come un'altra a Bisanzio: l'una era la figlia di Cidone, l'altra quella di Tzyrakis. (...) Cosa infatti potrà mai insegnare di buono egli che ha totalmente ignorato i tempi dei digiuni, l'astensione da cibi e bevande, quando è necessaria, ma se ne è accostato tutti i giorni senza distinzione, come fanno coloro che vivono in modo barbaro?»157 La presentazione del tipo di vita di Isidoro riprende evidentemente dei clichés della polemica religiosa e, anche, della letteratura antimessaliana.158 Anche quanto viene poi scritto su Palamas è debitore nei confronti di questo tipo di testi, e deve essere sottolineato come il motivo della profanazione delle immagini fosse all'epoca ricorrente tra le accuse rivolte a ecclesiastici.159 Palamas «è incappato nell'imputazione di sacrilegio nel monastero della Peribleptos. Il ladro aveva spogliato le icone e fatto a pezzi i contenitori dell'olio delle suppellettili sacre per, come Giuda, procurarsi denaro. Egli non ha nemmeno onorato il giorno della Passione salvifica della Settimana Santa, e si prendeva cura del corpo con bagni, cibi e bevande a violazione del canone e a scandalo e offesa della coscienza dei monaci, soprattutto di quelli che erano presenti e lo vedevano nel divino monastero dell'Anastasis di Cristo Dio. Egli infatti avrebbe bisogno piuttosto di bagni caldi per essere annegato invece che per purificarsi!».160 ————– 156 157 158 159 160
In merito cfr. più in basso, 71–90. Tomo degli oppositori, più in basso, 112, ll. 161–170. Cfr. RIGO 1989, 248–254; più in basso, 90–91. Cfr. più in basso, 89–90. Tomo degli oppositori, 114, ll. 178–186.
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Sulla base di tutto questo, il tomo deponeva il patriarca Isidoro e Gregorio Palamas. Nel suo dispositivo leggiamo infatti: Isidoro, di cognome Boucheiras, che in modo indegno è asceso al trono patriarcale, e né ha tenuto conto della deposizione a cui è stato sottoposto per malvagia dottrina promulgata dal sinodo, né ha preso in considerazione le imputazioni messe per iscritto nelle quali era incorso, ma armato dal potere secolare ha rapinato la carica di patriarca (...), deponiamo con tutta l'anima e il nostro zelo e lo spogliamo dell'autorità patriarcale da lui indegnamente assunta grazie al potere secolare. E assieme a lui anche Palamas, l'autore della malvagia dottrina, che ha composto molti discorsi per dare fondamento alle difettose e vane creazioni della sua mente, che ha scassinato la Chiesa di Dio con divinità superiori e inferiori, e che ha inventato, oltre alle divinità, dei visibili e invisibili, non tenendo in nessun conto il santo simbolo di fede dei Cristiani sigillato dai santi Padri a Nicea che ordinava di credere in un solo Dio e in una sola divinità e gli altri Concili ecumenici, che ha prodotto una nuova teologia in difesa sua e di quelli che la pensano come lui, e inoltre ha commesso tali azioni contro le sante icone e le suppellettili sacre e il resto dell'ordine cristiano da osare celebrare dopo la deposizione a lui inflitta. Se questo scellerato Palamas o qualcun altro del suo malvagio partito si impadronisse di nascosto della carica vescovile, non soltanto lo spogliamo del sacerdozio e lo sottoponiamo alla scomunica perpetua, ma anche lo giudichiamo degno del ferro e del fuoco quali figli riprovevoli e generazione perversa che ricambia Dio con tali ricompense.161 La pubblicazione del tomo da parte degli oppositori era un'ulteriore tappa nello scontro con il patriarca neoeletto (ma anche con Cantacuzeno) e allo stesso tempo segnava un punto di non ritorno. Da quel momento in poi non era realisticamente più possibile trovare una soluzione e un accordo. La reazione da parte del patriarca Isidoro e del sinodo non si fece infatti attendere.
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Ivi, 116–118, ll. 245–274.
7. «C'È UN TEMPO PER CUCIRE E UN TEMPO PER TAGLIARE». LA CONDANNA DEGLI OPPOSITORI E IL TOMO DEGLI "UOMINI NUOVI" (AGOSTO 1347) Dal momento della pubblicazione del tomo dei secessionisti nel monastero di Santo Stefano e la successiva emissione del documento di condanna da parte del patriarca e del sinodo trascorse un mese o poco più. Durante questo periodo non sembra che ci siano stati altri scambi significativi tra le parti, anche se la notizia del tomo e del suo contenuto suscitò logicamente un grande scalpore al patriarcato e a palazzo, come si può leggere nel documento di condanna di agosto: «essi hanno avuto l'ardire (...) di rivolgere contro di noi scritti pieni di impudenza e di menzogna e di inviarceli».162 Prima delle riunioni sinodali, che furono convocate con l'intenzione di chiudere, e in modo definitivo, la questione, un differente tipo di azioni del sinodo e del patriarca merita alcune considerazioni. Abbiamo osservato come le nomine di nuovi metropoliti effettuate da Isidoro all'inizio del suo patriarcato avevano condotto alla costituzione all'interno del sinodo di una consistente maggioranza, nella quale gli uomini di Atanasio di Cizico e di Macario di Filadelfia, che avevano assicurato il cambio di regime e avevano eletto Isidoro, erano affiancati dai "nuovi" consacrati da Isidoro e fedeli alle dottrine di Gregorio Palamas. Nel corso del mese di agosto, il patriarca e il sinodo presero una serie di provvedimenti che premiavano di fatto i membri del sinodo che formavano tale ampia maggioranza. Tra gli anziani furono allora favoriti Macario di Filadelfia, al quale era dato il mandato di esarca nella metropoli di Smirne e nelle due Focee,163 Atanasio di Cizico a cui era concessa in supplemento la metropoli di Brysis,164 e Lorenzo di AlaniaSoterioupolis, al quale fu confermata l'unità delle due metropoli.165 Per i nuovi sono da ricordare la conferma del prostagma imperiale che ristabiliva il vescovado di Charioupolis sotto la metropoli di Eraclea (Filoteo Kokkinos),166 il mandato di esarca a Giacomo di Sebasteia167 e la conferma del ————– 162 163 164 165 166 167
Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 148, ll. 127–129. PRK II, nr. 158, 446–448; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2282. PRK II, nr. 161, 452–454; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2285. PRK II, nr. 163, 458–462; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2287. PRK II, nr. 159, 450; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2283. PRK II, nr. 160, 452; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2284.
7. «C'è un tempo per cucire e un tempo per tagliare»
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privilegio imperiale per la metropoli di Tessalonica (Gregorio Palamas).168 In contemporanea continuavano a essere consacrati altri metropoliti, come testimoniano Teodoreto di Brysis e Giacomo di Madyta nominati alla fine di agosto o durante il mese successivo.169 Si giunse così alla riunione sinodale decisiva che si svolse per l'appunto in agosto, come sappiamo dalla datazione del documento di condanna,170 con ogni probabilità nella seconda metà del mese.171 Il patriarca Isidoro, qualche tempo dopo, nel suo Testamento, ricordava che allora egli era stato criticato anche dai suoi familiari più stretti per aver tanto procrastinato la condanna degli oppositori (ὅτι τὴν ἐκείνων μετάνοιαν ἐκδεχόμενος ἡμέραν ἐξ ἡμέρας διετέλουν ἀναβαλλόμενος, πολλὰ καὶ δεινὰ καὶ παρὰ τῶν οἰκειοτάτων ἀκούσας, ὡς ὑπερτιθέμενος τὴν καθαίρεσιν), ma che alla fine «poiché, secondo Salomone, 'c'è un tempo per cucire e un tempo per tagliare' (Eccl. 3, 7), fu emesso con il mio accordo un tomo dal divino sinodo che li spogliava dal sacerdozio, e l'ho garantito con la mia firma».172 Dal tomo emesso alla conclusione dei lavori apprendiamo che due furono le preoccupazioni che agitarono allora gli animi dei membri del sinodo: quella di riaffermare la validità e la correttezza dell'elezione di Isidoro e quella di liberare l'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno dalle accuse di aver esercitato un'influenza decisiva nella nomina del patriarca: «Noi – la schiera di coloro che si sono riuniti e dei votanti – sappiamo con esattezza che è una manifesta menzogna che questa elezione si svolse per mano delle autorità civili e scriviamo ciò non solo in difesa della stessa verità, ma anche della rigorosa pietà circa le cose divine dell'imperatore, al quale costoro cercano di arrecare molestie, urlando follemente tali cose».173 ————– 168 169 170 171
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PRK II, nr. 163, 458–461; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2287; RIGO 2014, 137. Cfr. più in basso, 137–138. Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 158, l. 281. Come si evince indirettamente dalla serie di atti appena citati, che risalgono tutti al mese di agosto e sono anteriori all'esame sinodale di Matteo di Efeso e degli altri, e, in positivo, dal fatto che il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso ricordava che «tollerammo in maniera mite e fraterna per tre mesi, sopportando quello che con fare malvagio e anticanonico era fatto contro di noi» (più in basso, 148, ll. 121–123), parole che ci conducono appunto, partendo dal giorno dell'elezione di Isidoro, alla seconda metà di agosto. La redazione finale del tomo, dopo la sua lettura pubblica, e la sua sottoscrizione devono essere collocate negli ultimissimi giorni del mese. PRK II, nr. 156, ll. 111–116, 434; cfr. anche la nota precedente. Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 150, ll. 153–158.
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I. Gli eventi
Il silenzio del seguito del documento circa l'operato dell'imperatore non significava certo che la questione non fosse sentita come centrale dai membri del sinodo, ma essi preferirono metterla in secondo piano e concentrarsi su due altri punti, con l'intenzione di mostrare che l'elezione di Isidoro era stata del tutto legittima e conforme ai canoni. Innanzitutto essi volevano sgomberare il campo dalle accuse rivolte al nuovo patriarca, e innanzitutto da quella secondo la quale egli non avrebbe potuto essere eletto perché era stato deposto e condannato da Giovanni Caleca. Essi affermarono allora, dopo aver anche ricordato la revisione del procedimento ottenuta da Isidoro nel corso della primavera 1347, che sulla base del canone XV del concilio primo e secondo di Costantinopoli la sua condanna non aveva mai avuto alcuna validità perché sancita da un patriarca eretico, che era incorso nella scomunica prevista nel dispositivo del Tomo sinodale del 1341 per coloro che avessero riproposto le dottrine eterodosse di Barlaam.174 Come poteva essere vescovo dell'attuale patriarca e di quelli con lui, colui che davvero era un eretico manifesto, dal quale piuttosto essi, poiché pensavano in modo pio, a ragione si separarono in conformità ai sacri canoni, dal momento che egli si era in seguito malvagiamente associato a coloro che era stati da lui stesso condannati e proclamati eretici e di conseguenza era caduto sotto le sue stesse molto tremende maledizioni, anatemi e scomuniche?175 In secondo luogo, i membri del sinodo aggiungevano che la procedura seguita era stata canonicamente corretta. Sulla base del XIX canone del secondo Sinodo di Antiochia («se alcuni si oppongono per il loro spirito di contesa, deve valere il voto della maggioranza») «furono lasciati da parte (...). Per queste ragioni dunque, in conformità ai canoni, (...) noi – cioè il resto della schiera dei metropoliti – li abbiamo rigettati. Essendoci riuniti ed essendo d'accordo, abbiamo proceduto all'elezione del patriarca e poi abbiamo anche celebrato l'ordinazione per grazia e ausilio del divino Spirito».176 I membri del sinodo sottolineavano poi che questa vera e propria secessione degli oppositori si era verificata già prima dell'elezione di Isidoro e non dopo, come alcuni di loro sembravano sostenere: «riponendo 'nella menzogna' ————– 174 175 176
Cfr. più in basso, 79–85. Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 150, ll. 158–163. Ivi, più in basso, 148, ll. 103, 110–113.
7. «C'è un tempo per cucire e un tempo per tagliare»
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la loro 'speranza' e dicendo davvero: 'della menzogna ci siamo fatti un rifugio' (Is. 28, 15), essi affermavano di essersi separati dalla Chiesa perché il patriarca, come essi stessi sostengono, era stato eletto in modo non regolare, loro che prima che fosse eletto il patriarca si erano separati, meglio si erano dimenticati della comunità degli ortodossi, perché non concordavano con la verità conforme alla pietà».177 Sulla base di queste considerazioni, e tenendo anche conto degli scritti che gli oppositori avevano inviato in precedenza al sinodo, fu emessa una sentenza che comminava pene di diversa entità ai membri dei due gruppi di oppositori, ai metropoliti fedeli all'ex patriarca Giovanni Caleca e a Matteo di Efeso e i suoi seguaci. Così Neofito di Filippi e Giuseppe di Ganos, che erano stati ritenuti colpevoli di sostenere le dottrine eterodosse di Barlaam e di Gregorio Acindino, erano ridotti allo stato laicale e deposti (ἀπογυμνοῦμεν τούτους πάσης ἱερατικῆς ἀξίας καὶ λειτουργίας καὶ καθαιρέσει καθυποβάλλομεν),178 mentre Matteo di Efeso, Metrofane di Palaiai Patrai e Caritone di Apros erano soltanto sospesi (ἀργοὺς εἶναι ἀποφαινόμεθα) dalle loro funzioni, perchè si erano limitati a seguire gli altri. A questi ultimi inoltre era concesso «un termine sino al prossimo mese di settembre, in modo che, se entro questa scadenza si separeranno dalla concordia e dalla comunione con quelli e saranno invece in tutto d'accordo con noi e sottoscriveranno i tomi in difesa della pietà, ciascuno di loro riotterrà la propria dignità vescovile e sarà di nuovo annoverato tra i metropoliti. In caso contrario, sottoponiamo anche loro allo stesso verdetto e condanna, ritenendoli indegni della dignità sacerdotale ed escludendoli dalla schiera dei metropoliti, e anche, loro come gli altri, dalla comunità ortodossa dei Cristiani, in conformità al giudizio e alla decisione sinodale pronunciati in precedenza nei successivi tomi sinodali».179 Al giudizio sinodale seguì la redazione, diverse letture e infine l'approvazione del tomo di condanna da parte del patriarca e del sinodo, documento che intendeva porsi sulla linea dei precedenti Tomi sinodali del 1341 e del febbraio 1347, più volte menzionati. Qualche giorno più tardi, il tomo fu letto ancora una volta pubblicamente, durante una riunione tenutasi «sotto la presidenza del molto divino imperatore, assieme al santissimo patriarca ecumenico, il santissimo patriarca di Ge————– 177 178
179
Ivi, più in basso, 150, ll. 141–146. Teodoro Dexios, Appellatio, 3, 26–28: POLEMIS 2003, 6 ricordava la deposizione di Neofito e di Giuseppe, senza però farne i nomi (καθαίρεσιν καταψηφίζονται τῶν ἐκ ἀρχιερέων τούτων θείᾳ κρίσει τὴν ἐπενεχθεῖσαν κοινὴν τοῦ θανάτου πληγὴν διαδράντων δυοῖν). Ivi, più in basso, 156, ll. 253–262.
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I. Gli eventi
rusalemme e di nuovo gli altri metropoliti». Soltanto «dopo diversi giorni» (μεθ' ἡμέρας πλείους) infine, trascorsi anche nell'attesa del ravvedimento di Matteo di Efeso e dei suoi, si passò alla sottoscrizione del tomo da parte del patriarca Isidoro e dei metropoliti. In contemporanea, o qualche giorno dopo, il patriarca di Gerusalemme Lazzaro apponeva la sua firma preceduta da una breve dichiarazione, nella quale ricordava la precedente lettura pubblica del tomo effettuata alla presenza di Giovanni Cantacuzeno.180 La lista di presenza dei metropoliti del tomo e le sottoscrizioni sono un'ulteriore testimonianza dell'esistenza di una cospicua maggioranza all'interno del sinodo, costituita dai metropoliti che avevano eletto Isidoro (capeggiati da Atanasio di Cizico e da Macario di Filadelfia) e da quelli che era stato nominati dal nuovo patriarca. La presenza di quest'ultimi è significativa, soprattutto per quanto riguarda le sottoscrizioni, e mostra con chiarezza come all'azione di questi "uomini nuovi", che operavano di concerto con il patriarca Isidoro, sia da ascrivere la volontà, evidente in molti passaggi del documento, di regolare una volta per tutte, e in maniera definitiva, i conti con l'opposizione. Non possediamo elementi per valutare inoltre la pressione esercitata dagli ambienti monastici della capitale, prossimi al patriarca, che di lì a qualche mese, come vedremo, interverranno di nuovo presso l'imperatrice Irene contro un nuovo oppositore (Niceforo Gregoras). Erano con ogni probabilità questi monaci i «familiari» di Isidoro, che in precedenza lo avevano rimproverato per la pazienza e la moderazione nei confronti dei dissidenti. L'"economia" che alla fine fu esercitata nei confronti di Matteo di Efeso e dei suoi (e anche la mancata applicazione nel periodo immediatamente successivo delle misure previste nel dispositivo del tomo) è forse spiegabile con un intervento in questo senso, silenzioso ma efficace, di Giovanni Cantacuzeno, che non desiderava forse una punizione troppo dura per quelli che durante il periodo della guerra civile e del governo della reggenza erano stati suoi fedeli sostenitori.
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Ivi, più in basso, 160, ll. 303–308.
8. IL DESTINO DEGLI OPPOSITORI (DOPO L'AGOSTO 1347) La condanna era un chiaro segnale per l'opposizione, ma allo stesso tempo quanto era previsto dal tomo rimase nell'immediato per lo più senza conseguenze. Una prova indiretta al riguardo è anche costituita dalla scarsa circolazione che sembra aver avuto questo tomo, a differenza di quelli del 1341 e del febbraio 1347 (e poi del 1351), che è conservato in un unico manoscritto del XIV secolo e in due suoi apografi più tardi. Soltanto su Matteo di Efeso e Giuseppe di Ganos abbiamo notizie per il periodo successivo alla condanna. Neofito di Filippi da parte sua trascorse i suoi ultimi giorni (confinato?) nel monastero di San Basilio a Costantinopoli,181 dove era stato rinchiuso qualche mese prima l'ex patriarca Giovanni Caleca.182 Di Caritone di Apros non sappiamo più nulla, ma già nel settembre 1350 titolare della metropoli era Gabriele.183 Il metropolita di Palaiai Patrai Metrofane deve essere morto poco tempo dopo la condanna, dal momento che il suo successore (con ogni probabilità Doroteo)184 fu trasferito dal patriarca e dal sinodo alla metropoli di Monembasia nel settembre 1348.185 La presenza di Metrofane nelle acclamazioni del Synodikon dell'Ortodossia186 ci fa credere che egli avesse poi fatto ammenda, anche se il suo nome figurava, più tardi, nella lista degli antipalamiti.187 La metropoli di Ganos, dopo la deposizione di Giuseppe, veniva subito concessa in supplemento, nel mese di settembre 1347, ad Atanasio di Cizico.188 Ritroviamo l'ex ————– 181
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Come ricordava Giuseppe Kalothetos: «ὁ Φιλίππων ἀπήλλαξε τοῦ παρόντος ἐν τῷ φροντιστηρίῳ τοῦ παμμάκαρος μεγάλου Βασιλείου»: TSAMIS 1980, nr. 9, ll. 98–99, 307); cfr. anche la sua menzione nella lista degli antipalamiti (MERCATI 1931, 223). Da segnalare un'ulteriore menzione di Neofito di Filippi nella lista degli oppositori aggiunta nel margine del Tomo sinodale del 1351 (e precisamente del passo: «τοὺς δὲ νῦν ἀναφανέντας καὶ συνοδικῶς ἐξελεγχθέντες ἐκείνοις ὁμόφρονας», PG 151, 758A11–13) da Neofito Prodromenos nel ms. Athos, Monê Dionysiou 194 (3728), f. 206v: «τὸν Ἐφέσου, τὸν Γρηγορᾶν Νικηφόρον, τὸν μοναχὸν Ἀθανάσιον, τὸν Δεξιὸν Πούλαρην, τὸν Κομπολίτην Γρηγόριον, τὸν μοναχὸν Νήφωνα, τὸν Φιλίππου Νεόφυτον, τὸν παπᾶν Γαλακτίωνα», KALOGEROPOULOU-METALLENOU 1996, 99. PRK III, nr. 178, ll. 145–146, 30; cfr. la notizia in PLP 3411. Cfr. PLP 5928. PRK II, nr. 148, 384–386. GOUILLARD 1967, 118. MERCATI 1931, 223. PRK II, nr. 165, 464–465; cfr. nr. 166.
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I. Gli eventi
metropolita di Ganos Giuseppe tra gli oppositori, in occasione del sinodo del 1351. Ma su questo ritorneremo tra un attimo. Sul caso di Matteo di Efeso abbiamo informazioni più articolate. Poco dopo la morte di Isidoro (febbraio–marzo 1350) e prima dell'elezione a patriarca di Callisto I (10 giugno 1350), egli fece atto di sottomissione, come gli era stato richiesto di fare (ma entro un mese dall'agosto 1347 ...) nel dispositivo del tomo, emesso quasi tre anni prima. In questo curioso biglietto, datato 22 aprile 1350,189 Matteo manifestava la sua obbedienza alla Chiesa e, pur con qualche ambiguità, ritrattava le accuse che poteva aver rivolto in passato al defunto patriarca Isidoro e a Gregorio Palamas. Egli affermava che per «l'ignoranza», dovuta al fatto che allora soggiornava a Efeso, egli aveva sostenuto tali idee. Il suo rientro nei ranghi era destinato a durare poco e, con ogni probabilità, Matteo ritornava all'opposizione già con l'ascesa di Callisto sul trono patriarcale. Stando a Giovanni Cantacuzeno, la sottomissione di Matteo di Efeso era dovuta a un suo personale intervento: «Poiché l'imperatore soffriva più di tutti a causa di coloro che era caduti in quella malattia, venne a colloquio con lui [cioè Matteo] e gli chiese la ragione del suo cambiamento e ascoltò certe cose da lui e gliene disse altre. Alla fine riuscì e convinse il metropolita di Efeso che addusse quale pretesto l'ignoranza. Poiché volle esporre a testimonianza della verità e per iscritto il suo sentire, egli redasse spontaneamente questa confessione di fede».190 Già nell'anno seguente, in occasione del sinodo del 1351, Matteo è uno dei leaders dell'opposizione assieme a Giuseppe di Ganos, Niceforo Gregoras e Teodoro Dexios.191 In quell'occasione, la vicenda iniziata nell'agosto 1347 giunse alla sua conclusione definitiva. Durante la quarta seduta sinodale, su ordine dell'imperatore e del patriarca, fu letto il tomo che «qualche tempo prima aveva condannato i metropoliti di Efeso e di Ganos e altri in quanto affetti delle dottrine di Barlaam e Acindino», ma che era rimasto senza effetto in attesa del loro pentimento.192 Dopo la lettura del tomo, il chartophylax interrogò a uno a uno i membri del sinodo e tutti risposero ————– 189 190 191 192
Cfr. più in basso, 179–183. Prooemium contra Barlaamum et Acindynum: RIGO 2016, 35–37, ll. 206–211. Cfr. Tomo sinodale del 1351: PG 151, 720BC; Arsenio di Tiro, Tomo, ll. 224–226: POLEMIS 1993, 261, ecc. «Τόμος ἐπὶ καθαιρέσει μὲν προβὰς πρὸ καιροῦ τινος τοῦ Ἐφέσου, τοῦ Γάννου καὶ ἑτέρων, ὡς τὰ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου νενοσηκότων, μήπω δὲ εἰς ἔργον προβὰς διὰ τὸ τὴν ἐπιστροφὴν αὐτῶν καὶ μετάνοιαν ἀναμένειν, καὶ πᾶσι τρόποις καὶ μεχαναῖς ἀνακαλεῖσθαι ταύτην ὅλῃ προθυμίᾳ τε καὶ σπουδῇ», Tomo sinodale del 1351: PG 151, 731A8–B2.
8. Il destino degli oppositori (dopo l'agosto 1347)
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affermando la distinzione tra essenza ed energie divine. Da ultimo parlò in questo stesso senso Callisto I, che invitò gli oppositori al pentimento. Visto il loro rifiuto, il patriarca, in accordo con il sinodo, spogliò delle insegne vescovili e del sacerdozio i metropoliti di Efeso e di Ganos.193
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«τὸν μὲν Ἐφέσου καὶ τοῦ Γάννου τῶν ἀρχιερατικῶν συμβόλων καὶ πάσης ἱερωσύνης ἀπογυμνοῖ, τοῦτο καὶ τῆς ἱερᾶς συμψηφισαμένης συνόδου», ivi, 731D5–7.
9. AUTUNNO – INVERNO 1347–48: IL CANONE DEL PATRIARCA ISIDORO E L'INIZIO DI UNA NUOVA FASE DELLA CONTROVERSIA La condanna degli oppositori e l'emissione del tomo non significò peraltro, come senza alcun dubbio pensavano i vincitori, la conclusione definitiva dei dissensi e delle controversie. Iniziava una nuova fase, in parte con gli stessi attori, ma anche con altri protagonisti, che si sarebbe protratta sino al Concilio del 1351 e oltre. Dopo la metà di ottobre 1347, l'imperatore Giovanni VI si recò a Didymoteichon194 presso il figlio Matteo Cantacuzeno, che, sostenuto da un'ala del partito cantacuzenista, non aveva ben accolto l'accordo con casa paleologa dopo la conclusione della guerra civile. Verso la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno (agosto–settembre), si era già recata nella città trace la moglie di Giovanni VI, Irene Asanina Cantacuzena, che aveva cercato di ricondurre a più miti consigli il figlio Matteo. Ritornata a Costantinopoli, ella aveva trovato il figlio più piccolo, il tredicenne Andronico195 morto a causa della peste.196 Durante la successiva assenza dell'imperatore, assistiamo all'entrata in scena di una personalità che era rimasta, da quanto sappiamo, silente nel corso degli eventi dei mesi precedenti e che sarà invece uno dei protagonisti delle controversie nel decennio successivo, Niceforo Gregoras. Non interessano qui tanto la composizione dei Primi Antirretici, che risale appunto all'anno 1347,197 quanto piuttosto i suoi interventi presso la corte imperiale. A questo proposito le informazioni vengono principalmente, se non unicamente, dal racconto fatto da lui stesso nella sua opera storica. Niceforo Gregoras ricordava i suoi incontri con l'imperatrice Irene, affranta per la scomparsa del figlio Andronico, e di come egli le avesse spiegato che questa morte non era altro che la punizione divina per il sostegno suo e del marito alle dottrine di Palamas (τῆς ἐκείνου τελευτῆς αἰτιώτατον ... εἶναι τὴν τῶν δογμάτων κατάλυσιν). Stando a Gregoras, queste parole avrebbero convinto Irene, che si sarebbe temporaneamente allontanata da tali credenze.198 ————– 194 195 196 197 198
Historia Byzantina, XVI, 4: II, 813; cfr. VAN DIETEN 1988, 387 n. 537. Notizia in PLP 10954. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XVI, 4: II, 813; Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. IV, 8: III, 49. Cfr. BEYER 1976; BEYER 1978, 136–137. Historia Byzantina, XVI, 5: II, 825–826.
9. Autunno – inverno 1347–48: il canone del patriarca Isidoro
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L'operato di Gregoras, e soprattutto il suo intervento presso l'imperatrice Irene, provocò, secondo quanto egli stesso scriveva nel seguito del capitolo, una reazione negli ambienti monastici della capitale. Egli menzionava al riguardo una riunione dei notabili del monachesimo costantinopolitano presieduta dal patriarca Isidoro (πρὸς ἓν ἀθροιζόμενοι σύστημα πάντες, ὁπόσοι τῆς πονερᾶς φρατρίας τὰς τῶν ἐν Βυζαντίῳ φροντιστηρίων διέλαχον προεδρίας, καὶ πρό γε τούτων ὁ τὸν πατριαρχικὸν ἔχων Ἰσίδωρος θρόνον), che si recarono dall'imperatrice Irene, scagliandosi contro Niceforo Gregoras e invitandola a interrompere i suoi rapporti con lui. Essi poi, non riuscendo nel loro intento, inviarono delle lettere (γράμματα) a Cantacuzeno, che si trovava appunto a Didymoteichon, chiedendogli di intervenire e di venire nella capitale.199 L'imperatore fece quindi ritorno a Costantinopoli nel mese di dicembre200 e, come vedremo, la faccenda ebbe fin da subito un seguito. Fermiamoci qui nella ricostruzione degli avvenimenti per fare alcune osservazioni. I monaci evocati in forma anonima da Gregoras non sono apparentemente identificabili, anche se questi possono forse essere gli stessi "familiari" di Isidoro, che durante l'estate precedente avevano fatto pressione sul patriarca per una rapida ed esemplare punizione dei dissidenti. Questi personaggi devono essere ricercati nelle cerchie monastiche vicine al patriarca.201 Vorremmo ricordare, se non altro in maniera del tutto ipotetica, una figura come quella del monaco Marco Kyrtos,202 polemista palamita e filocantacuzenista già noto durante gli anni della guerra civile, e collegare agli eventi appena ricordati una lettera di Marco indirizzata a Giovanni Cantacuzeno, nella quale egli chiedeva all'imperatore di intervenire contro gli oppositori.203 ————– 199 200 201
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Ivi, 826. Ivi, XVI, 4: II, pp. 813–814; Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. IV, 3: III, 24–25. Sui monaci familiari del patriarca Isidoro ritorneremo altrove. Tra i monasteri di Costantinopoli menzionati da Niceforo Gregoras possiamo ipotizzare ci fosse quello del Prodromo di Petra. Isidoro era legato a questo monastero (cfr. più in basso, 185), nel quale era attivo un altro polemista palamita, quale Neofito Prodromenos (cfr. n. 211). Anche il patriarca Callisto I doveva essere in qualche modo connesso con il Prodromo (cfr. GELZER 1886; TURCO 2001, 343, 345). Durante la guerra civile, nel 1342, il prôtos athonita Isacco vi era stato posto a residenza (Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. III, 35: II, 211) e Gregorio Palamas era andato a trovarlo (Lettera a Filoteo, 18: PS II, 535–536; Refutazione del patriarca di Antiochia, 17–18: ivi, 636–637). Sul quale v. da ultimo RIGO 2013a. Τῷ θεοστέπτῳ, θεοπροβλήτῳ, θεοφυλάκτῳ, θειοτάτῳ, κρατίστῳ, ἁγίῳ ἡμῶν αὐτοκράτορι καὶ βασιλεῖ Μᾶρκος μοναχός, εὐτελὴς ῥακενδύτης, ταπεινὸς εὐχέτης, τὰ τῇδ᾿ ἀναφέρει:
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I. Gli eventi
Ritornato a Costantinopoli, Giovanni Cantacuzeno ebbe ripetuti incontri con Niceforo Gregoras, durante i quali non era soltanto questione della teologia professata dal patriarca e dai suoi, e in particolare della distinzione tra essenza ed energie divine, ma anche di un canone composto dal patriarca Isidoro e che quest'ultimo aveva introdotto nelle cerimonie liturgiche delle chiese. Di questo canone204 parlava lo stesso Isidoro nel suo Testamento, dove elencava i provvedimenti da lui presi all'inizio del patriarcato: «Ho composto anche un canone che contiene un inno alla santa e consustanziale Trinità e che allo stesso tempo respinge l'eresia che ha di recente turbato la Chiesa di Dio (τὴν τοῦ Θεοῦ ἀρτίως ἐκκλησίαν αἵρεσιν θορυβοῦσαν). Resto fedele a quanto è qui esposto e, contro coloro che complottano contro questo scritto, chiamo quali alleati i teologi della Chiesa che ho collocato tutt'attorno ai santissimi canti».205 In queste righe egli illustrava con chiarezza la ragione di questa sua composizione che, affermando la dottrina della distinzione tra essenza ed energie divine, intendeva risuonare a condanna degli oppositori e inoltre ricordava, sia pur in maniera elittica, le critiche degli avversari. Il canone era stato scritto da Isidoro prima del suo patriarcato, come apprendiamo dalla sua Vita scritta da Filoteo Kokkinos. Quest'ultimo consacrava un ampio spazio al momento della composizione del canone, e alla successiva visione soprannaturale, la cui descrizione da parte dell'agiografo ha chiaramente una funzione di tipo apologetico. Filoteo raccontava che quando Isidoro, nella solitudine, era ancora agli inizi di questo scritto, dedicato alla teologia trinitaria, all'energia e alle illuminazioni sacre (θεολογίαν μὲν ἀκριβῆ καθόλου τῆς μεγάλης Τριάδος τὴν ὑπόθεσιν ἔχουσα, πρὸς δὲ τὸ τῆς χάριτος καὶ τῆς κοινῆς ἐνεργείας ἐκείνης καί γε τὸ τῶν ἱερῶν φωτισμῶν ————–
204 205
APOSTOLOPOULOU 1987, 71–76. Secondo S. Apostolopoulou (ivi, 23) questa lettera era stata composta «vor dem Konzil im August 1347», mentre la data da noi indicata, RIGO 2013a, 138, va logicamente modificata. V. anche la seconda e successiva lettera di Marco a Cantacuzeno, APOSTOLOPOULOU 1987, 86–102, nella quale c'è un cenno a Niceforo Gregoras (Νικαγόρας). In merito cfr. anche più in basso, 185–191. PRK II, nr. 156, ll. 117–121, 434–436; secondo HELFER 1968, 80 n. 56 i «teologi della Chiesa» vanno identificati con Gregorio Palamas e Filoteo Kokkinos. A nostro avviso, Isidoro qui evocava invece Giovanni Damasceno e Cosma protagonisti della visione che ritroviamo descritta nella Vita composta da Filoteo (v. nel seguito). Per quanto riguarda il Testamento di Isidoro ricordiamo en passant che egli giungeva nel suo racconto soltanto agli avvenimenti dell'autunno/inverno 1347, fatto forse spiegabile con la malattia che lo colpì, cfr. in merito le osservazioni di Otto Kresten, PRK II, 64–68.
9. Autunno – inverno 1347–48: il canone del patriarca Isidoro
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ὁρῶσα μυστήριον μάλιστα καὶ τοῖς τῶν θεολόγων ὑψηλοτάτοις δόγμασί τε καὶ λόγοις ὑψηλῶς ἅμα τῇ τοῦ μέλους ἡνδονῇ τε καὶ χάριτι κροτοῦσα τε καὶ ἐπιθειάζουσα) era nel dubbio circa l'esattezza dottrinaria del contenuto. Quella notte stessa Isidoro ebbe una visione. Gli parve di essere in una chiesa e ai suoi fianchi, da una parte e dall'altra, stavano Giovanni Damasceno e Cosma di Maiuma che portavano in mano il suo canone (τὸ ... μετ' ᾠδῆς δογματικὸν ἐκεῖνο βιβλίον). I due santi melodi lo approvarono e aggiunsero che non si doveva né aggiungere né togliere nulla a quanto era stato scritto.206 La data dell'introduzione di questo canone negli uffici da parte di Isidoro non può essere stabilita sulla base dell'elenco dei provvedimenti, privo di un ordine cronologico stringente, che egli faceva nel Testamento (nell'ordine: condanna di Matteo di Efeso e degli altri, canone, professione di fede dei metropoliti). Riteniamo che in ogni caso vada posta dopo l'emissione del tomo di agosto contro gli oppositori (che non ne avevano fatto menzione) e prima dell'inverno (dicembre–gennaio) del 1347. Una data verso l'ottobre– novembre ci sembra senza alcun dubbio la più probabile.207 Dicevamo delle critiche fatte da Niceforo Gregoras al canone composto da Isidoro durante i colloqui presso il palazzo imperiale, e su queste ritorneremo tra un attimo dopo aver ricordato che un altro, e ben noto, oppositore aveva già attaccato in una sua opera la composizione del patriarca. Gregorio Acindino che, come abbiamo ricordato precedentemente, visse in semiclandestinità a Costantinopoli proprio fino all'inverno 1347, vi dedicava infatti parte di una delle sue ultime opere, la perduta Apologia, che conosciamo soltanto grazie alla confutazione di Palamas:208 egli, «dopo aver citato anche ————– 206 207 208
Filoteo Kokkinos, Vita di Isidoro, 44: TSAMIS 1985, 381, l. 26–383, l. 36. Già DARROUZÈS 1977, nr. 2293 indicava «automne 1347», sulla base di Niceforo Gregoras. Così ripresa da Palamas, Λόγος διασαφῶν ἐν ἐπιτόμῳ...: «Ἀπολογίαν ἑαυτοῦ τὸν πρὸς ἀνασκευὴν ἀρτίως προτεθέντα παρ᾿ ἡμῶν αὐτοῦ λόγον ἐπιγράφει ὁ Ἀκινδύνος. Ἄρχεται δὲ οὕτως· Ἄ ν δ ρ ε ς ἀ δ ε λ φ ο ὶ κ α ὶ φ ι λ ό θ ε ο ι , ν έ ο ι κ α ὶ π ρ ε σ β ύ τ α ι , γ έ ν ο ς ἅ π α ν καὶ ἡλικία πᾶσα, ἀθροίσθητε ἐπὶ τὸ αὐτὸ ἀκοῦσαι οἷα ἡ τοῦ Θεοῦ Ἐκκλησία κακοῦται καὶ θλίβεται ὑπὸ τῶν ἀρτίως καινοτομούντων εἰς τὴν πάτριον ἡμῶν εὐσέβειαν, οἷς μηδόλως μηδεὶς ὑποκλίνει τὸ οὗς τῶν τ ῆ ς ε ὐ σ ε β ε ί α ς φ ί λ ω ν », 1: PS IV, 85, ll. 1–8. Un altro estratto è ripreso nel seguito: «Δῆλον ἤδη γενήσεται, ὅτι οὐκ ἄλλο ἐστὶν ἡ οὐσία καὶ ἕτερον ἡ φυσικὴ αὐτῆς ἐνέργεια, ἤγουν ὅτι οὐδὲν διαφέρουσιν ἀλλήλων αὗται. Φησί γὰρ ὁ Εὐνόμιος οὐ χρὴ τοὺς πειθομένους τῇ ἀληθείᾳ γνώμαις ἑτέρων ἑπομένους ἑνοῦν τῇ οὐσίᾳ τὴν ἐνέργειαν, αὐτὸ δὴ τοῦτο λέγων, ὅπερ καὶ οἱ κατὰ τὸν Παλαμᾶν», 13: ivi, 98. L'incipit dell'Apologia di Gre-
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I. Gli eventi
il tropario teologico del santissimo patriarca Isidoro (τὸ θεολογικὸν τροπάριον Ἰσιδώρου τοῦ ἁγιωτάτου πατριάρχου προθείς), accusa anche lui come se introducesse il politeismo»;209 e ancora: Acindino tenta «di rovesciare la teologia di Basilio il Grande e di tutti i santi messa in musica dal patriarca» (ἀνατρέπειν ὁ Ἀκίνδυνος τὴν ὑπὸ τοῦ πατριάρχου πρὸς μέλος συντεθεῖσαν τοῦ μεγάλου Βασιλείου καὶ τῶν ἄλλων ἁπάντων ἁγίων θεολογίαν).210 All'attacco di Gregorio Acindino rispose al momento della sua venuta nella capitale (gennaio–febbraio 1348), o forse anche in precedenza, Gregorio Palamas con uno scritto specifico sull'argomento.211 Ma nel frattempo il ————–
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gorio Acindino è simile a quello del suo cosiddetto Testamento spirituale, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z 155 (610), ff. 17r–34r, inc.: Ἀνδρες εὐσεβεῖς καὶ φιλόθεοι, ὧν καὶ πρὸ πολλοῦ. In quest'ultimo testo non troviamo però nessun cenno al canone di Isidoro. Ci troviamo di fronte a un'opera diversa (come ipotizzava, tra l'altro, MEYENDORFF 1959, 376) che è andata perduta (assente nella lista degli scritti perduti di Acindino in NADAL CAÑELLAS 2002, 227–228), e della quale si conservano soltanto gli estratti citati da Palamas. Segnaliamo che nel pinax del libro I delle opere di Gregorio Acindino nel codice marciano figurano anche scritti poi andati perduti, tra i quali un'Apologia: ε´ Ἀπολογία περὶ ὧν πρὸς τῶν Παλαμητῶν σεσυκοφάντηται· Ἔκθεσις ἐπίτομος τῶν πονηρῶν αὐτῶν καὶ δυσσεβῶν δογμᾶτων, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z 155 (610), f. 35v. PS IV, 92. Ivi, 93. Λόγος διασαφῶν ἐν ἐπιτόμῳ τὴν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δόξαν καὶ τῶν ὑπὲρ εὐσεβείας ἀντιλεγόντων αὐτοῖς· ἔστι δὲ οὗτος ἀντιρρητικὸς πρὸς Ἀκινδύνου λόγον ἐν ᾧ διασύρειν ἐπιχειρεῖ καὶ θεολογικὸν τροπάριον Ἰσιδώρου τοῦ παναγιωτάτου πατριάρχου: PS IV, 85– 100; Meyendorff 1959, 375: «début 1348»; SINKEWICZ 2002, 144: «ca 1348». Vorremmo rilevare en passant che il Logos rappresenta un caso unico dal punto di vista della storia del testo, dal momento che a nostra conoscenza è il solo suo scritto a non essere stato inserito nella collezione delle opere complete organizzata dallo stesso Gregorio. Il Logos è conservato in due soli manoscritti, Athos, Monê Dionysiou 194 (3728), ff. 1–12 di mano di Neofito Prodromenos (cfr. KALOGEROPOULOU-METALLENOU 1996, 83), e Athos, Monê Dionysiou 167 (3701) (XV secolo), ff. 98r–106r, dove è anonimo (Ἀντιρρητικὸς κατὰ τοῦ Ἀκινδύνου), numerato κη´, e preceduto da (ff. 91v–96v) κζ´ Διάλεξις Ματθαίου ἱερομονάχου μετὰ τοῦ Βαρλαάμ, inc. Ὁ Βαρλαὰμ ἑλληνικῆς παιδείας: e da (ff. 96v–98r) κη´ Ἀπόδειξις σύντομος τοῦ μακαρίου Ματθαίου ἱερομονάχου εἰς πόσας καὶ ποίας αἱρέσεις ἀθλίως ἐμπίπτουσιν οἱτοῦ καλαβροῦ Βαρλαὰμ φοιτηταί, inc.: Οἷς μὲν τὸν Θεὸν ἐνέργειαν μηδαμῶς ἔχειν. La presenza del Logos di Gregorio in un manoscritto di Neofito, monaco attivo a Costantinopoli in favore del Palamismo, e la sua vicinanza con alcuni altri opuscoli polemici contro gli antipalamiti di provenienza monastica (l'attribuzione della Dialexis e dell'Apodeixis a Matteo Blastares è, a nostro avviso, tutta da verificare) ci fa ipotizzare che Palamas inviò il suo scritto da Didymoteichon ai monaci di Costantinopoli, prima
9. Autunno – inverno 1347–48: il canone del patriarca Isidoro
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canone di Isidoro restava nell'occhio del ciclone. Questa composizione fu al centro dei colloqui tra Niceforo Gregoras e Giovanni Cantacuzeno, dopo il ritorno di quest'ultimo a Costantinopoli nella prima metà del mese di dicembre 1347. In merito possediamo soltanto il racconto di Gregoras, caratterizzato da un alto tasso polemico e contenente delle informazioni che ci sembrano del tutto inverosimili. Egli sosteneva infatti che il patriarca aveva ordinato di distruggere gli inni trinitari composti dai santi che si cantavano tradizionalmente in chiesa, gettandoli nel fuoco o in mare (τοὺς μὲν εἰωθότας ἐπ᾿ ἐκκλησίας ἄνωθεν τριαδικοὺς τῶν ἁγίων ᾄδεσθαι ὕμνους ἐς τἀφανὲς ἐῤῥίφθαι κατεδίκαζεν, ἐξουσίαν βουλομένοις πυρὶ καὶ θαλάττῃ χαρίζεσθαι παρεχόμενος), e di sostituirli con quelli che di recente egli stesso aveva composto,212 nei quali Dio non era detto soltanto essenza, ma anche energia (αὐτὸς δ᾿ οἰκείους ἄρτι πεποιηκώς ... τούτους ἀντ᾿ ἐκείνων προσέταξεν ᾄδεσθαι ἐν οἷς τά τε ἄλλα γράφων ἦν καὶ ὡς οὐ τὴν οὐσίαν χρεών, ἀλλ᾿ ἀνούσιόν τινα καθ' αὑτὴν λέγειν ἐνέργειαν εἶναι κυρίως Θεόν).213 Gregoras sarebbe allora riuscito, stando al suo stesso racconto, a convincere Cantacuzeno di dare l'ordine di bruciare i nuovi canoni di Isidoro (Ἰσιδώρου μὲν ἐκείνου τοὺς νέους κανόνας ἀφανείας δοθῆναι προσετετάχει πυρί).214 La questione in ogni caso non terminò lì. La controversia e la polemica di Niceforo Gregoras contro le dottrine palamitiche continuavano e Giovanni VI convocò allora Gregorio Palamas, che si trovava a Didymoteichon,215 dopo il suo soggiorno all'Athos, seguito all'impossibilità di entrare a Tessalonica, dal momento che la città era ancora in mano degli Zeloti.216 Ci fu così a palazzo una discussione di Gregorio con il suo avversario, alla presenza di Cantacuzeno, sulla quale abbiamo la relazione (faziosa) di Niceforo Gregoras.217 Questa, prima di una serie di dispute tra i due a palazzo, è il vero e proprio momento finale della vicenda che abbiamo qui illustrato e, allo stes————– 212 213
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di venire nella capitale, e che questi poi lo conservarono assieme ad altri opuscoli prodotti nell'occasione. Così anche Giovanni Ciparissiota: «... ἐπ᾿ ἐκκλησίας ᾄδειν ἐνομοθέτησαν», Contra Tomum palamiticum: LIAKOURAS 1991, 155. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XVI, 5: II, 827–828; con le ultime parole Niceforo Gregoras riecheggiava due versi di un tropario di Isidoro (B, vv. 1–3); cfr. più in basso, 190. Ivi, 828. Ivi, 829. Cfr. per ora RIGO 2014. Niceforo Gregoras, Historia Byzantina, XVI, 5: II, 828–834; cfr. BEYER 1978, 138 (nr. 48).
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I. Gli eventi
so tempo, l'inizio della seconda fase della controversia, destinata a segnare il resto dell'esistenza di entrambi gli interlocutori.
II. Dai canoni alla storia Nel rapporto comune (κοινὴ ὑπόμνησις) degli oppositori inviato al sinodo nel giugno – luglio 1347, essi avevano inserito «i sacri e i divini canoni»,218 intendendo mostrare il fondamento canonico della loro azione e delle loro richieste. Anche nel tomo pubblicato nel corso del mese successivo essi elencarono dettagliatamente i canoni secondo i quali Isidoro e Gregorio Palamas dovevano essere deposti: sulle ordinazioni non canoniche il XXX canone degli Apostoli, il IV del I Concilio di Nicea e di nuovo il III del II Concilio di Nicea; su coloro che sono stati deposti dalla Chiesa che successivamente celebrano in modo audace la liturgia il IV canone di Antiochia e di nuovo il VI tra questi, il XXVIII canone dei santi Apostoli e di nuovo il X tra gli stessi; e ancora sul non separare i padri dai propri figli a ragione dell'ascesi il XV canone di Gangre; su coloro che inventano nuovi dogmi e inoltre profanano le suppellettili sacre e gli altri oggetti consacrati a Dio la disposizione finale nel decreto di Nicea II; e oltre a ciò le pene che i divini Padri impongono a coloro che senza timore di Dio infrangono i digiuni stabiliti.219 In modo polemico, e non senza ironia, il tomo dell'agosto 1347, che li condannava, ricordava il loro operato: «Ma essi, che in modo illegale e anticanonico, compiono tali cose e così senza pietà sconvolgono la Chiesa di Dio, citano canoni».220 La discussione tra le due parti in causa, per la maggior parte d'ordine canonico, è incentrata, in ultima analisi, sulla legittimità o meno dell'elezione di Isidoro al soglio patriarcale, è importante per comprendere a fondo gli eventi di quell'anno, ma ha anche delle implicazioni più generali che riguardano la storia della Chiesa (e dell'Impero) ed è altresì di un certo interesse per la storia della ricezione e dell'esegesi dei canoni nel tardo periodo bizan————– 218 219 220
Tomo degli oppositori, più in basso, 114, l. 213. Ivi, 116, ll. 232–243. Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 150, ll. 146–148.
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II. Dai canoni alla storia
tino. Nella lunga sequela di canoni addotti da Matteo di Efeso e dagli altri oppositori si possono distinguere argomentazioni diverse, che devono essere analizzate separatamente.
1. LA DISCUSSIONE SULLA REGOLARITÀ DELL'ELEZIONE DI ISIDORO La prima serie di argomenti, «sulle ordinazioni non canoniche»,221 riguardava direttamente l'elezione di Isidoro al patriarcato e si riferiva perciò agli avvenimenti che si erano svolti tra il marzo e il maggio 1347. 1.1 L'INTROMISSIONE DELL'IMPERATORE Il Tomo degli oppositori rimandava in primo luogo al canone xxx degli Apostoli e al III canone del II Concilio di Nicea: Se un vescovo, servendosi delle autorità civili, diventa grazie a loro titolare di una chiesa, sia deposto e scomunicato e assieme tutti quelli che sono in comunione con lui, Canoni degli Apostoli, XXX.222 «Ogni elezione di vescovo o presbitero fatta dalle autorità civili rimarrà senza valore in conformità del canone [Canoni degli Apostoli, XXX] (...). Il futuro candidato all'episcopato deve infatti essere proposto dai vescovi, secondo quanto fu definito dai santi Padri del Concilio di Nicea nel canone che dice: (...) [I Concilio di Nicea, IV]», II Concilio di Nicea, III.223 L'intromissione del potere civile, ovvero dell'imperatore, nell'elezione del patriarca comportava ipso facto la deposizione dell'eletto e la sua scomunica. Gli oppositori sostenevano che l'elezione di Isidoro era stata imposta dall'imperatore. Il Tomo pubblicato nel luglio 1347 era molto critico nei confronti di Cantacuzeno, che veniva citato, lo sottolineiamo ancora, senza gli appellativi propri della dignità imperiale e quale responsabile delle disgrazie che avevano colpito la Chiesa: «una forte tempesta si è messa a soffiare, suscitata dagli spiriti di Satana, e ha sconvolto ogni cosa, si è tramutata in una violenta bufera e ha insediato quelli che si erano rivelati così blasfemi e così nemici della verità ai posti di comando e ha proclamato sacerdoti i celebranti dei misteri, sovrintendenti dei dogmi gli apostati e amministratori delle anime i fuorilegge. Questa ne fu la causa. Colui che ora detiene il regno dei Romei, Giovanni Cantacuzeno, si è poco fa impadronito della più grande ————– 221 222 223
Tomo degli oppositori, 116, ll. 232–234. JOANNOU 1962b, 21, ll. 14–20. JOANNOU 1962a, 250, l. 6–251, l. 14.
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II. Dai canoni alla storia
delle città e ha preso completo possesso dell'Impero».224 Nel seguito dell'esposizione gli oppositori sostenevano senza mezzi termini che era stato Cantacuzeno a far elevare Isidoro alla carica patriarcale: operato che infrangeva quanto era stato stabilito dai canoni appena citati. Convocati per l'elezione, ci è stato imposto dal potere secolare, cosa che non era mai stata fatta, di non eleggere quello che la grazia divina con il consenso fraterno ha prescelto, ma quello che ci è stato ordinato. Quasi tutti ci opponiamo a questo e resistiamo a questo ordine anticanonico e sconsiderato, a eccezione di pochi dal fare servile, che vengono trascinati come schiavi. Egli [sc. Cantacuzeno] persisteva nel suo intento come in un dogma, e ora elevava questo alla dignità patriarcale, ora quello.225 affrontava la questione in modo autoritario e noi d'altra parte ci opponevamo ardentemente per quanto ci era possibile e affermavamo che le norme della Chiesa e l'esattezza delle leggi erano violate. Tuttavia vinse la volontà della carne e del sangue (cfr. Gv. 1, 13).226 Quelli (...) fanno affidamento soltanto sulla mano e sul potere secolari, respingono le leggi e la giustizia di Dio.227 armato dal potere secolare ha rapinato la carica di patriarca.228 Se la posizione degli oppositori emerge con chiarezza, oltre che dai canoni addotti, da questa serie di passi del documento, è senza dubbio interessante osservare che nel tomo che li condannò alla fine del mese di agosto si ritenne opportuno non aprire la discussione su questo punto, liquidando la questione come si trattasse soltanto di vuote calunnie nei confronti dell'imperatore Giovanni Cantacuzeno: citano canoni, quei canoni che prescrivono che le autorità civili non devono nominare i vescovi (...). Noi – la schiera di coloro che si sono riuniti e dei votanti – sappiamo con esattezza che è una manifesta menzogna che questa elezione si svolse per mano delle autorità civili e scriviamo ciò non solo in difesa della stessa verità, ma anche della rigoro————– 224 225 226 227 228
Tomo degli oppositori, 110, ll. 128–135. Ivi, 110–112, ll. 140–146. Ivi, 112, ll. 149–152. Ivi, 116, ll. 220–221. Ivi, 116, ll. 249–250.
1. La discussione sulla regolarità dell'elezione di Isidoro
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sa pietà circa le cose divine dell'imperatore, al quale costoro cercano di arrecare molestie, urlando follemente tali cose.229 Se il tomo di agosto non intendeva nemmeno prendere in considerazione il punto sollevato dagli oppositori, ci sembra illuminante considerare quanto scriveva lo stesso Cantacuzeno nelle sue Storie. Egli affermava in modo esplicito di non essersi in nessun modo intromesso nell'elezione del patriarca, volendo evidentemente liberarsi dalle accuse che gli erano state rivolte. Giovanni VI accennava in questo modo ai dissensi e alla vera e propria spaccatura che avevano lacerato il sinodo: L'imperatore, vedendo questa rivalità, si rese conto che sarebbe insorto un disordine nella Chiesa a causa di questa disputa non elevata e decise di non fare nulla da parte sua, ma di affidare ai metropoliti la scelta del patriarca (ἐσκέψατο μηδὲν ποιεῖν παρ' ἑαυτοῦ, ἀλλὰ τοῖς ἀρχιερεῦσι τὴν αἵρεσιν τοῦ προστησομένου ἐπιτρέπειν).230 Niceforo Gregoras, da parte sua, osservava che Giovanni Cantacuzeno in quell'occasione ottemperò al volere dei palamiti e soltanto nel seguito, dopo l'elezione, ricordava con una certa ironia che il patriarca Isidoro e Giovanni Cantacuzeno si sostenevano a vicenda.231 Qualche anno dopo, un oppositore quale Teodoro Dexios, accusava di parzialità Giovanni Cantacuzeno durante i lavori del Concilio del 1351, ma, in merito alla vicenda che qui ci interessa, si limitava a ricordare che l'imperatore aveva allora promosso Isidoro al patriarcato, utilizzando proprio il termine-tecnico abituale (problesis).232 Altri antipalamiti, ma in anni più tardi e in una nuova situazione, seguita all'abdicazione di Cantacuzeno, diranno invece senza mezzi termini che l'elezione di Isidoro era stata imposta dall'imperatore: così Arsenio di Tiro233 e Giovanni Ciparissiota.234 ————– 229 230 231
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Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 150, ll. 148–150, 153–158. Historiarum lib. IV, 3: III, 25–26. «τὰ δέ ἐστιν, ὅπως τε ἑκάτερος ἑκατέρῳ χορηγῷ καὶ ταμίᾳ τοῦ ἀξιώματος ἐχρήσατο. Καντακουζηνῷ μὲν Ἰσίδωρος τῆς πατριαρχίας, Καντακουζηνὸς δ᾿ Ἰσιδώρῳ τῆς βασιλείας τὸ δεύτερον»: Historia byzantina, XV, 11: II, 787. «τοῦ σοὶ προβληθέντος εἰς πατριάρχην Ἰσιδώρου», Teodoro Dexios, Appellatio, 27, ll. 94–95: POLEMIS 2003, 72. «τῷ βασιλικῷ ὑποπέσοντες θελήματι τὸν Ἰσίδωρον εἰς πατριάρχην ψηφίζονται», Arsenio di Tiro, Tomo, ll. 176–177: POLEMIS 1993, 260.
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II. Dai canoni alla storia
Ritornando a Cantacuzeno, dobbiamo osservare che egli già nel prostagma emesso nei primi giorni del marzo 1347, ripercorreva la storia della controversia teologica, le cui vicende si erano per molti versi intrecciate con quelle della guerra civile, e presentava così gli eventi in un modo sostanzialmente completo e veritiero, ma appiattiva (e in modo volontario) la distanza temporale degli eventi, rendendo di fatto contemporanee azioni che si erano svolte in momenti successivi. Cantacuzeno nel prostagma presentava in quest'ordine gli eventi legati alla deposizione di Giovanni Caleca: sinodo del 2 febbraio 1347, rapporto dei metropoliti (23 settembre 1346), sinodo di Adrianopoli (21 maggio 1346) e sosteneva che questi tre avvenimenti furono contemporanei ed ebbero lo stesso esito perché «ispirati dallo Spirito».235 Tutto questo, egli aggiungeva, era accaduto prima della sua entrata a Costantinopoli. Questo procedimento raggiungerà il suo compimento definitivo nelle Storie, dove Cantacuzeno presenta da un lato come contemporanei il sinodo di Adrianopoli (maggio 1346) e il rapporto dei metropoliti (settembre 1346)236 e dall'altro affermerà la simultaneità della condanna di Caleca da parte dei metropoliti con questo rapporto e quella del sinodo del 2 febbraio 1347.237 L'intenzione di Giovanni Cantacuzeno, anche se non dichiarata, emerge con chiarezza: da un lato egli voleva mostrare che Giovanni Caleca era stato deposto prima della sua entrata della capitale e che quindi erano false le accuse sull'intromissione del potere civile negli affari ecclesiastici da parte degli oppositori, dall'altro ridimensionare il sinodo di Adrianopoli del maggio 1346 che non solo aveva condannato Giovanni Caleca, ma anche lo aveva incoronato Imperatore dei Romani. L'accusa presente nel tomo del luglio 1347 di intromissione dell'imperatore nell'elezione del patriarca,238 accusa che intendeva rendere nulla l'elezione di Isidoro, è perciò, almeno a prima vista, ben diversa dagli interventi conosciuti di alcuni metropoliti bizantini del periodo, quali Macario d'Ancira
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Cfr. Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum liber IV. 4: PG 152, 712A, IV. 5: 713AB, 716A. RIGO 2013, 759, ll. 41–43. Historiarum lib. III, 92: III, 564–565. Ivi, III, 98: 603–604. Per la questione di fondo cfr. DAGRON 1996, in particolare 307–322, e ancora MICHEL 1959.
1. La discussione sulla regolarità dell'elezione di Isidoro
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e Simeone di Tessalonica,239 sulle interferenze dell'imperatore negli affari ecclesiastici e in particolare nell'elezione del patriarca.240 Forse soltanto alcuni passaggi polemici di Macario d'Ancira, che parlava del patriarca Matteo I (1397–1410) come di qualcuno che «è stato eletto da uno solo» e di un χρυσοβουλλάτος e di un ἀρχοντοεπίσκοπος,241 possono essere avvicinati al caso in questione. Ma nel 1347 la realtà politica (e anche ecclesiastica) era ben diversa e la critica all'elezione di Isidoro non metteva in gioco soltanto la legittimità del patriarca, ma anche quella, evidentemente discussa, dell'imperatore Cantacuzeno. 1.2 IL PRINCIPIO DI MAGGIORANZA Sempre per questo primo punto («sulle ordinazioni non canoniche») il Tomo degli oppositori del luglio 1347 citava il IV canone del I Concilio di Nicea, al quale rimandava il III canone del II Concilio di Nicea per l'elezione dei vescovi: Il vescovo deve essere innanzitutto scelto da tutti i vescovi della provincia. Se tuttavia questo fosse difficile o per una necessità urgente o per la lunghezza della strada, tre vescovi devono assolutamente riunirsi e procedere all'elezione, provvisti del consenso scritto degli assenti, e allora si procede all'ordinazione. La conferma di quello che è stato fatto spetta di diritto in ogni provincia al vescovo metropolita, I Concilio di Nicea, IV.242 Il canone, al quale possono essere aggiunti i canoni XIX di Antiochia e XIII di Cartagine, prevedeva appunto che il vescovo deve essere eletto da tutti i vescovi della sua provincia, o almeno da una maggioranza (come minimo tre dei suoi pari).243 Per quanto riguarda l'elezione del patriarca di Co-
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Simeone di Tessalonica, De sacris ordinationibus, 227, Κατὰ τῶν λεγόντων ὅτι ὁ βασιλεὺς τὸν πατριάρχην ποιεῖ: PG 155, 440CD. Al riguardo LAURENT 1947, 225–227; BLANCHET 2008, 71–73; anche LAURENT 1955 e, per il XV secolo, STEPHANIDIS 1953. Cfr. LAURENT 1947; LAURENT 1972. JOANNOU 1962a, 26, ll. 5–18. Cfr. anche il commento ai diversi canoni di Teodoro Balsamone, RHALLIS – POTLIS 1852– 1859, II, 123–124, III, 161–162, 326–328.
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II. Dai canoni alla storia
stantinopoli, lo pseudo-Kodinos nel XIV secolo indicava il numero di almeno 12 metropoliti.244 Secondo gli oppositori, l'elezione di Isidoro non era avvenuta in modo regolare perché non vi avevano partecipato tutti i metropoliti. Su questo punto, a differenza del precedente, il tomo dell'agosto 1347 rispondeva, dopo aver ricordato che gli oppositori «conformemente alle leggi furono lasciati da parte», utilizzando proprio il canone XIX di Antiochia, che, assieme agli altri due citati, regolamentava l'elezione dei vescovi: Se infatti, secondo il XIX canone del secondo Sinodo di Antiochia, quando l'ordinazione avviene con il voto dei convenuti, «se alcuni si oppongono per il loro spirito di contesa, deve valere il voto della maggioranza», quanto di più ciò varrà e sarà stabilito in modo più che lodevole e giusto, allorché gli oppositori e amanti della contesa sono anche in modo inequivocabile oppositori della stessa verità dei pii dogmi che è stata manifestata più volte sinodalmente? Per queste ragioni dunque, in conformità ai canoni, come abbiamo detto, noi – cioè il resto della schiera dei metropoliti – li abbiamo rigettati.245 Su questa base canonica era perciò riaffermata la regolarità dell'elezione di Isidoro, avvenuta a maggioranza (e con l'astensione dei metropoliti dissidenti).
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De officiis, 10: VERPEAUX 1966, 277. Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 148, ll. 104–111.
2. L'ELEGGIBILITÀ O MENO DI ISIDORO E IL PATRIARCA ERETICO Restiamo ancora per un attimo con il tomo di condanna dell'agosto 1347, che riassumeva così le argomentazioni d'ordine canonico avanzate dagli oppositori: essi, che in modo illegale e anticanonico compiono tali cose e così senza pietà sconvolgono la Chiesa di Dio, citano canoni, quei canoni che prescrivono che le autorità civili non devono nominare i vescovi e che chi è deposto dal suo vescovo non può essere ammesso da un altro se non è accolto dallo stesso a meno che, riunitosi un sinodo, non si presenti per difendersi, convincendo il sinodo a prendere una decisione diversa.246 Abbiamo visto che sul primo punto, cioè l'intromissione dell'imperatore che rendeva nulla l'elezione di Isidoro, il sinodo preferì non soffermarsi. Il secondo non riguardava tanto l'elezione al patriarcato, ma piuttosto metteva in discussione l'eleggibilità stessa di Isidoro, dal momento che egli era stato deposto e condannato dal patriarca Giovanni XIV Caleca nel novembre 1344 con un documento, che è appunto menzionato nel tomo di luglio.247 A questo proposito gli oppositori citavano i seguenti canoni: «su coloro che sono stati deposti dalla Chiesa che successivamente celebrano in modo audace la liturgia il IV canone di Antiochia e di nuovo il VI tra questi, il XXVIII canone dei santi Apostoli e di nuovo il X tra gli stessi».248 Alla luce di questi canoni, sostenevano gli oppositori, Isidoro non poteva essere eletto patriarca. La replica da parte del sinodo, della quale è chiara la portata grazie al tomo del mese di agosto, fu innanzitutto incentrata su uno dei canoni addotti dagli oppositori, il VI del Sinodo di Antiochia: «Se uno è stato scomunicato dal proprio vescovo non può essere ammesso da altri se non è reintegrato dal suo, a meno che, riunitosi un sinodo, non si presenti per difendersi, convincendo il sinodo a prendere una decisione diversa. Questo decreto valga per i laici, i presbiteri, i diaconi e tutti i membri del clero».249 Basandosi proprio su questo canone, venivano così ricordate le sedute sino————– 246 247 248 249
Ivi, più in basso, 150, ll. 147–153. Cfr. più in basso, 101. Tomo degli oppositori, più in basso, 116, ll. 234–237. Sinodo di Antiochia, VI: JOANNOU 1962b, 109, ll. 12–24.
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II. Dai canoni alla storia
dali del marzo–aprile 1347, durante le quali il caso di Isidoro era stato riconsiderato e la sua deposizione da parte di Caleca era stata annullata.250 Il sinodo non si fermava qui, ma sosteneva che la deposizione di Isidoro era fin dall'origine non valida perché l'allora patriarca Giovanni Caleca era caduto nell'eresia e quindi de facto condannato già prima della sua deposizione nel febbraio 1347. A sostegno di tali affermazioni erano addotti due canoni, la seconda parte del canone XV del Concilio Primo-Secondo e uno del Concilio di Efeso su coloro che erano stati deposti da Nestorio. «Coloro invece che, a causa di qualche eresia condannata dai santi Concili o dai Padri, si separano dalla comunione con il loro presule, a condizione che quello predichi pubblicamente l'eresia e arditamente la insegni in chiesa, costoro non solo non saranno sottoposti alla punizione canonica, perché prima della deliberazione sinodale si sono separati dalla comunione con il vescovo accusato, ma anche saranno ritenuti degni dell'onore che spetta agli ortodossi. Infatti non accusano vescovi, ma falsi vescovi e falsi maestri e non lacerano l'unione della Chiesa con uno scisma, ma cercano di liberare la Chiesa da scismi e divisioni».251 Ma anche il santo ed ecumenico terzo Concilio che ha deposto Nestorio rese giustizia, e mostrò come non fossero stati in realtà deposti quelli da lui deposti perché non condividevano le sue idee; reintegrò ciascuno nel suo rango, e non stabilì che questi dovessero attendere un altro patriarca di Costantinopoli perché ciascuno fosse reintegrato nel suo rango, come ora costoro affermano in maniera del tutto ignorante e anticanonica in merito all'attuale patriarca e a quelli che assieme a lui sono calunniati. Non solo il Concilio dichiarò quelli innocenti, ma anche mostrò di condannare i vescovi, che allora si opponevano e non erano d'accordo con il Concilio su tale questione, da dare la facoltà che nessuno fosse loro subordinato. Di tutto ciò tratta il summenzionato santo ed ecumenico terzo Concilio nel suo III canone, quando dice: «Se alcuni dei chierici in una città o campagna sono stati privati dal sacerdozio da Nestorio e da quelli che erano con lui a ragione del fatto che pensavano rettamente, riteniamo giusto che anche questi riprendano il loro rango. In generale ordiniamo che quei chierici che aderiscono a questo ortodosso ed ecumenico Concilio ————– 250 251
Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 146, ll. 81–92; v. anche più in alto, 36. Concilio Constantinopoli Primo-Secondo, 15: JOANNOU 1962a, 473–475.
2. L'eleggibilità o meno di Isidoro e il patriarca eretico
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non debbano assolutamente e in nessun modo essere sottoposti ai vescovi che hanno apostatato e sono diventati avversi».252 Se per il canone del Concilio di Efeso il sinodo sembrava solo riecheggiare il commento di Teodoro Balsamone (seconda metà del XII secolo),253 l'interpretazione del Concilio Primo-Secondo era proprio quella dello stesso Balsamone, che aveva applicato il canone XV allo scisma con Roma e se ne era servito per giustificare la rottura della comunione anche in assenza di una decisione sinodale. La sua conclusione era stata infatti la seguente: «Il presente canone non punisce coloro che si separano per una ragione dogmatica» (καὶ ὁ μὲν παρὼν κανὼν τοὺς διὰ δογματικὴν αἰτίαν ἀποσχίζοντας οὐ κολάζει).254 All'epoca del Concilio di Lione (1274) l'utilizzo del canone in riferimento allo scisma di Teodoro Balsamone era stato riproposto dagli antiunionisti. Così il patriarca Giuseppe I, nella sua Risposta al progetto imperiale, aveva citato la seconda parte del canone xv del Concilio Primo-Secondo e aveva affermato che «il canone ci dichiara innocenti e degni di onore, non di condanna» (ἀθῴους ἡμᾶς ὁ κανὼν ἀνακράζει καὶ τιμῆς ἀξίους, οὐ κατακρίσεως) per il fatto della separazione da Roma.255 L'applicazione del canone XV allo scisma era riproposta nel XIV secolo da un altro canonista, Matteo Blastares che concludeva in questo modo: «abbiamo fatto bene a ripudiare la comunione con l'antica Roma, anche prima di una delibera e di un giudizio sinodale (πρό γε συνοδικῆς διαγνώμης καὶ κρίσεως)».256 Questa interpretazione del canone xv del Concilio Primo-Secondo utilizzata in riferimento allo scisma era fatta propria dal sinodo che la applicava a Giovanni Caleca. Egli era deposto e condannato già «prima di una delibera e di un giudizio sinodale», per riprendere le parole di Blastares, cioè prima della sua deposizione del febbraio 1347, in quanto colpevole di eresia. Le sue decisioni e i suoi atti (compresa la deposizione di Isidoro) erano perciò nulli. ————– 252
253 254 255
256
Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, più in basso, 154, ll. 213–219; la citazione è da Concilio di Efeso. Gesta Ephesina 91, 4 Synodi Epistula generalis: ACO, I/1/3, 28, ll. 3–7. RHALLIS – POTLIS, II, 1852–59, 196–197. Ivi, 694–696; cfr. BLANCHET 2014, 3–4. LAURENT – DARROUZÈS 1976, 261; v. anche la Sinossi dei canoni contro i Latini, 18: ivi, 568, dalla quale la Lettera dei monaci del Monte Athos all'imperatore Michele VIII Paleologo (1275): ivi, 395. RHALLIS – POTLIS, VI, 1852–59, 452–453.
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II. Dai canoni alla storia
L'affermazione dell'eresia di Giovanni Caleca espressa a chiare lettere nel tomo dell'agosto 1347 non era altro che la tappa finale di un percorso già visibile nell'ultimo scorcio della guerra civile. Gli scritti di Palamas e dei suoi nel biennio 1345–46 erano consacrati alla refutazione sistematica dei documenti del patriarca, con il solo e unico obiettivo, soprattutto a partire da un certo momento, di delegittimarlo in modo totale e definitivo. Nelle lettere di Gregorio Palamas all'Athos257 della fine del 1344 le critiche erano ancora per lo più indirette, in certi casi ironiche, ma ancora del tutto episodiche. Nella Refutazione del documento del patriarca Giovanni Caleca (metà del 1345) quest'ultimo, patrono dei barlaamiti e di Acindino,258 era tacciato innumerevoli volte di falsità e di calunnia:259 «è menzognero e sarebbe capace di dire che lui da solo costituisce il sinodo, perché spesso afferma che lui solo è la Chiesa (ἐπεὶ καὶ μόνον ἑαυτὸν πολλάκις καὶ τὴν ἐκκλησίαν εἶναί φησιν) e dice che qualunque suo parere è espresso dalla chiesa e che tutta la chiesa lo dichiara».260 Sulla stessa linea era la Refutazione del documento del patriarca di Antiochia (fine del 1345). «Il buon patriarca»,261 patrono degli empi,262 veniva tacciato praticamente in ogni pagina, assieme a Ignazio, di falsità e mendacio,263 di avidità di ricchezze.264 Tutta Costantinopoli, a detta di Palamas, conosceva il modo di vivere e i costumi dell'uomo.265 Solo in modo incidentale era poi sollevato l'argomento che contiene già in nuce quello che qui ci interessa. Da parte palamita era infatti affermata l'alterità radicale tra la vera Chiesa e quella rappresentata da Giovanni Caleca e da Ignazio di Antiochia: «Quelli che appartengono alla Chiesa di Cristo sono della verità e quelli che non sono della verità non sono nemmeno della Chiesa di Cristo e tanto quanto più mentono a se stessi autodefinendosi e chia————– 257 258 259 260 261 262 263 264 265
Al riguardo RIGO 2015a. 18: PS II, 601, ll. 15–16; 20: 602, l. 26, 603, ll. 16–17; 21: 604, ll. 8–9; 34: 613, l. 15; 35: 614, ll. 15–16. 1: ivi, 587, l. 8; 2: 588, l. 8; 3: 588, l. 24; 12: 595, ll. 14–15; 17: 600, l. 3; 31: 610, ll. 25, 27, 32; 37: 615, l. 22; 46: 621, l. 24; 48: 623, l. 8. 39: ivi, 617, ll. 12–16. «τοῦ καλοῦ πατριάρχου», 20: ivi, 639, ll. 2–3; e poi: «οἱ καλοὶ ποιμένες οὗτοι καὶ ἀρχιποίμενες», 22: ivi, 639, l. 30. «τῶν ἀσεβῶν προστάτης καὶ βεβαιωτής», 30: ivi, 645, l. 16. 5: ivi, 628, ll. 7, 15; 14: 635, ll. 5, 10; 15: 635, ll. 23, 25; 18: 637, ll. 24–25; 19: 638, l. 1; 22: 639, ll. 22, 23, 26, 640, l. 4; 24: 641, ll. 2–3. 24: 641, ll. 4–7. 4: ivi, 627, ll. 26–29.
2. L'eleggibilità o meno di Isidoro e il patriarca eretico
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mandosi a vicenda pastori e capi dei pastori (ποιμένας καὶ ἀρχιποίμενας ἱεροὺς ἑαυτοὺς καλοῦντες καὶ ὑπ᾿ ἀλλήλων καλούμενοι)».266 Sempre nel 1345 un sostenitore di Palamas, Giuseppe Kalothetos, in una lettera indirizzata al monaco di Lavra Gregorio Strabolagkadites,267 attaccava violentemente il patriarca e affermava che la chiesa di cui parlava Caleca era quella che egli aveva «di recente» stabilito con Barlaam e Acindino e non quella di Cristo, degli Apostoli, dei martiri e dei Padri. Per lui il testimone della vera Chiesa era Gregorio Palamas. Il testo assolutamente centrale per l'analisi condotta in questo paragrafo è senza dubbio la Refutazione dell'esegesi del Tomo sinodale di Giovanni Caleca di Gregorio Palamas (primavera 1346),268 con la quale egli rispondeva a un documento patriarcale dell'anno precedente. Caleca era qui ripetutamente definito il «patrono dei barlaamiti e di Acindino» (ὁ τῶν βαρλααμιτῶν προστάτης, ὁ τοῦ Ἀκινδύνου προστάτης καὶ βεβαιωτής),269 un «secondo Barlaam» (ἄλλος Βαρλαὰμ οὗτος)270 che annullava il Tomo del 1341 (ἀναιρέτην τοῦ τόμου καὶ παραβάτην),271 e che persisteva nel suo operato nonostante i ripetuti, ma vani, interventi dell'imperatrice Anna. Merita di essere sottolineato che anche in questo scritto ritroviamo ribadita con forza l'alterità tra la vera Chiesa, la Chiesa di Cristo, e quella rappresentata dal patriarca. Gregorio si chiedeva: «Qual è questa chiesa» di cui parla Caleca? «Senz'altro un'altra rispetto a quella che si riunì con il beatissimo imperatore defunto e non solo un'altra, ma anche una che è totalmente opposta e che pensa e mostra il completo contrario. È chiaro che si tratta di quella di Acindino alla quale appartiene il patriarca che scrive questo».272 Caleca, «senza volerlo, testimonia qui e mostra che noi e coloro che confessano con noi siamo veramente la Chiesa di Cristo, quella che egli ha abbandonato e alla quale assieme ad Acindino si è ribellato e contro la quale ha offerto ai barlaamiti spazio e aiuto».273 «La chiesa da lui guidata è un'altra rispetto a quella del sinodo» del 1341.274 Palamas poi significativamente proseguiva: «Egli ha in molti modi ————– 266 267 268 269 270 271 272 273 274
3: 627, ll. 10–15. TSAMIS 1980, 369–378. PS II, 649–670. Ivi, 19: 662, l. 10; 24: 666, ll. 16–17; v. anche 1: 649, ll. 7–8. Ivi, 28: 669, ll. 21–22; anche 3: 651, ll. 18–19. Ivi, 20: 663, l. 3. Ivi, 10: 656, ll. 7–13 e v. 19: 662, ll. 25–29. Ivi, 19: 662, ll. 25–29. Ivi, 11: 657, ll. 3–5.
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II. Dai canoni alla storia
sottoposto se stesso e quelli che lo seguono alle terribili scomuniche e agli anatemi»,275 sulla base del dispositivo del Tomo sinodale del 1341, e «ha separato se stesso dalla Chiesa di Cristo e dalla comunità degli ortodossi», e perciò non poteva celebrare perché scomunicato ed escluso dal popolo dei Cristiani.276 Giovanni Caleca pertanto non era più patriarca. In un esteso frammento di un'opera di Giuseppe Kalothetos, composta nella primavera 1346,277 Giovanni Caleca non era posto sotto accusa soltanto per le questioni teologiche, per la condanna di Palamas e la promozione di Acindino, ma era attaccato personalmente per i suoi costumi e, più in generale, per la gestione degli affari ecclesiastici. Secondo Kalothetos, Giovanni Caleca, che aveva condannato e scomunicato Palamas e i suoi, era in realtà scomunicato, sulla base del Tomo sinodale del 1341, assieme ai suoi sodali («Ουχὶ τὰ αὐτὰ ἐκείνῳ [Barlaam] πάντα φρονεῖ καὶ ὁ Γλαυκοφάνης [Acindino] καὶ ἡ μετριότης τοῦ πατριάρχου; (...) Ἀποκήρυκτοι ἐκεῖνοι; Ἐξ ἀνάγκης καὶ ἡ μετριότης τοῦ πατριάρχου»).278 Secondo Kalothetos, Giovanni Caleca guidava una chiesa apparsa di recente (νεοφανῆ ἐκκλησίαν) e i nuovi dogmi, che egli ha creato assieme ai ragazzini della compagnia di Trasimaco [Barlaam] e di Glaucofane [Acindino]. Coloro che mangiano alla tavola di Gezabele (cfr. 3 Re 18, 19) non hanno nessuna considerazione per le parole, le leggi, i Profeti, gli Apostoli ecc. Ma quando mai sarai tu la Chiesa dei fedeli? Per le parole? Per i modi? Per le azioni? Per i sani dogmi? Dal momento che sei diventato il laboratorio di ogni menzogna, di ogni calunnia, di qualsiasi tipo di malvagità, di ogni pensiero sedizioso, di ogni ingiustizia, avidità, sacrilegio, rapina, commercio, poi – oh che audacia! – ordini anche te stesso chiesa, senza sapere che anche Nestorio e Macedonio avrebbero forse potuto sostenere quello che tu stesso sostieni. Sedevano infatti anche loro sul tuo stesso trono (...). Questa è la tua chiesa, ————– 275 276
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Ivi, 13: 657, ll. 2–6. Ivi, 13: 658, ll. 25–28; e poi «Τούτου τοίνυν οὕτω καὶ τοσαυτάκις παντὸς τοῦ τῶν ὀρθοδόξων πληρώματος ἐκκεκομμένου, λείπεται τῶν ἀδυνάτων εἶναι τελεῖν ἐν τοῖς εὐσεβέσι τὸν μὴ ἀφωρισμένου ἐκ τούτου, τοῦ κατάλογου δ᾿ εἶναι χριστιανῶν ἀληθῶς καὶ τῷ Θεῷ ἡνωμένον κατ᾿ εὐσεβῆ πίστιν, ὅστις ἂν εἴη τούτων ἕνεκεν ἀφωρισμένος ἐκ τούτου», 29: 670, ll. 8–13. TSAMIS 1980, 283–301; in merito RIGO 2017, 108–114. «Ουχὶ τὰ αὐτὰ ἐκείνῳ [Barlaam] πάντα φρονεῖ καὶ ὁ Γλαυκοφάνης [Acindino] καὶ ἡ μετριότης τοῦ πατριάρχου; (...) Ἀποκήρυκτοι ἐκεῖνοι; Ἐξ ἀνάγκης καὶ ἡ μετριότης τοῦ πατριάρχου», ll. 375–380: TSAMIS 1980, 297.
2. L'eleggibilità o meno di Isidoro e il patriarca eretico
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che poco fa si è staccata dalla nostra. La nostra Chiesa è invece celeste, casta, pura, pacifica, estranea a qualsivoglia malizia e cattiveria, libera da ogni malvagità, non contaminata da nessun sudiciume e macchia, e venera i sani, incontaminati e puri dogmi degli uomini teofori. Capo della Chiesa è il nostro Signore, membra e parti di questa chiesa l'insieme e la schiera dei fedeli.279 Gregorio Palamas e i suoi (in particolare Giuseppe Kalothetos) già nel biennio 1345–46 avevano perciò affermato che il patriarca Giovanni Caleca era ipso facto deposto, prima cioè di una decisione del sinodo al riguardo, e basavano i loro argomenti sul dispositivo del Tomo sinodale del 1341: Barlaam se non si pente «sarà scomunicato e reciso dalla santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo e dalla comunità ortodossa dei Cristiani. Ma se apparirà di nuovo qualcun altro e muoverà qualcuna delle accuse dette e scritte in maniera blasfema ed empia contro i monaci, meglio contro la Chiesa stessa o li attaccherà ancora su tali questioni, sarà sottoposto dalla nostra mediocrità alla stessa pena e sarà anche lui scomunicato e reciso dalla santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo e dalla comunità ortodossa dei Cristiani».280 Questo significò anche l'interruzione della menzione del suo nome durante le celebrazioni liturgiche, fatto che provocò una rinnovata condanna da parte di Caleca.281 Il tomo dell'agosto 1347 si poneva evidentemente su questa linea, ma aggiungeva quale più solida base canonica i canoni del Concilio PrimoSecondo e di Efeso. In questo modo si affermava, e in modo definitivo, che gli atti e le decisioni di Giovanni Caleca erano del tutto nulli perché il patriarca era caduto nell'eresia. Questa argomentazione intendeva evidentemente far cadere nel vuoto l'accusa rivolta dagli oppositori a Isidoro, con l'intenzione d'invalidarne l'elezione, di essere stato deposto da Caleca nel novembre 1344.
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ll. 310–345: ivi, 294–296. PRK II, nr. 132, ll. 475–483, 254. Cfr. più in basso, 166.
3. LE ACCUSE CONTRO ISIDORO E GREGORIO PALAMAS Oltre ai canoni addotti dagli oppositori per contestare la regolarità dell'elezione di Isidoro e per affermare la sua ineleggibilità in quanto deposto da Caleca, nel tomo di luglio ne erano citati altri che costituivano la base di alcune accuse molto pesanti rivolte allo stesso Isidoro (e a Gregorio Palamas). È evidentemente a queste ultime che si riferiva Filoteo Kokkinos quando menzionava gli scritti degli oppositori pieni di insulti e di calunnie contro il patriarca.282 Deve essere sottolineato che il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso del mese di agosto non degnava nemmeno di menzione queste accuse e le passava completamente sotto silenzio. Le prenderemo ora in esame secondo l'ordine stesso del tomo di luglio. 3.1 IL CANONE XV DEL SINODO DI GANGRE Il primo di questi è ricordato in questi termini: «sul non separare i padri dai propri figli a ragione dell'ascesi il XV canone di Gangre».283 Vale la pena citarlo: «Se uno abbandona i suoi figli e non li alleva e non inspira loro per quanto gli è possibile la pietà che si addice, ma con il pretesto dell'ascesi li trascura, sia anatema».284 A questa indicazione canonica sono evidentemente collegate alcune righe dello stesso tomo di luglio, dalle quali inizia la nostra analisi: «mettevano le mani sui matrimoni degli uomini, separando senza timore giovani donne dai mariti e dai figli con i loro strani e inusitati insegnamenti, e aggiungevano alla temerarietà tonsure assurde e sconsiderate di giovani delle prime nostre famiglie».285 Il rifiuto del matrimonio legale e la separazione di marito e moglie (non dai figli, vogliamo sottolineare) caratterizzava, a detta degli eresiologi bizantini, un filone spirituale che aveva avuto nel Messalianismo la manifestazione più rilevante. Il rifiuto del matrimonio era poi stato propugnato anche dal Bogomilismo, con motivazioni peraltro ben diverse.286 Venendo alla realtà contemporanea del XIV secolo, uno degli eretici condannati all'Athos nel ————– 282 283 284 285 286
«... καὶ γράμμασι καὶ λόγοις καὶ συκοφαντίαις καὶ ὕβρεσι βάλλοντες ἐκεῖνον οὐκ ἔληγον», Filoteo Kokkinos, Vita di Isidoro, 56: TSAMIS 1985, 398. Tomo degli oppositori, più in basso, 116, ll. 237–239. JOANNOU 1962b, 95, ll. 10–18. Tomo degli oppositori, più in basso, 108, ll. 79–83. Cfr. RIGO 1989, 212.
3. Le accuse contro Isidoro e Gregorio Palamas
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1344, Cirillo Bosota,287 giunse a Tărnovo, dove predicava che «gli uomini e le donne dovevano rifiutare il matrimonio legale».288 Di lì a qualche tempo un altro eretico, Teodosio «insegnava alle donne di dividersi dai loro mariti e altrettanto separava i mariti dalle mogli».289 Niceforo Gregoras nei suoi Primi Antirretici, pubblicati proprio nel 1347, accusava Gregorio Palamas di connivenza con i monaci condannati per eresia sul Monte Athos, capeggiati da Giuseppe di Creta e da Giorgio di Larissa. Egli poi raccontava che i palamiti «girano dalla mattina presto alla tarda sera nei vicoli e nelle case, adulando le più leggere tra le donne», tramite le quali trascinano all'eresia i mariti, oppure «le separano dai loro mariti e le tengono quali seguaci e serve».290 Il contesto polemico delle accuse formulate dal tomo di luglio era evidentemente questo, ma, come vedremo, il sinodo di Gangre era invocato per un caso ben preciso, sul quale volgiamo la nostra attenzione. Il canone XV riguardava coloro che abbandonavano i figli «con il pretesto dell'ascesi», cioè per abbracciare la vita monastica.291 Un altro punto del Tomo degli oppositori del luglio 1347 attaccava nello specifico Isidoro con queste parole: «egli non apprese le leggi della sottomissione, né fu educato in un cenobio, ma mescolato a città e vita urbana, preferiva educare e insegnare ai ragazzini. Affermano che durante quest'attività, lo si è detto, abbia separato moglie dal marito e dai figli a Tessalonica, come un'altra a Bisanzio: l'una era la figlia di Cidone, l'altra quella di Tzyrakis».292 Senza qui soffermarci sull'attività educativa e spirituale di Isidoro, quale semplice monaco a Tessalonica e a Costantinopoli, va ricordato che Filoteo Kokkinos nella sua Vita dedicava ben tre capitoli293 a una vicenda che deve essere collegata alle accuse contenute nel tomo di luglio. Una donna di famiglia nobile (τῶν εὐγενῶν καὶ κοσμίων), sposata e con figli, si recò da Isidoro, manifestandogli la sua volontà di lasciare il mondo e chiedendogli un consiglio al riguardo. Isidoro allora le diede la sua benedizione, e la incoraggiò per la decisione che doveva prendere. Poco tempo dopo questa donna lasciò il mondo. Riteniamo ————– 287 288 289 290 291 292 293
Sul quale cfr. PLP 19762; RIGO 1989, 284 s. v. Callisto, Vita di Teodosio di Tărnovo: KENANOV 2010, 58. Ivi, 61. 1, 1, 4: BEYER 1976, 145–147; cfr. anche 1, 2, 2: ivi, 257–262. Al riguardo cfr. anche il commento di Zonaras e di Balsamone, RHALLIS – POTLIS, 1852–59, 111–112. Tomo degli oppositori, più in basso, 112, ll. 161–165. Vita di Isidoro, 37–39: TSAMIS 1985, 373–377; cfr. RIGO 1989, 243, 246.
III,
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II. Dai canoni alla storia
probabile che questa anonima della Vita scritta da Filoteo Kokkinos sia identificabile con la figlia di Tzyrakis del tomo del luglio 1347. Le pagine dell'agiografo, che sembrano far trasparire un intento giustificativo dell'azione di Isidoro e allo stesso tempo una sorta di velata critica della condotta della donna, erano con ogni probabilità una risposta alle pesanti censure presenti nel Tomo degli oppositori. Nelle righe precedentemente citate dello stesso documento si parlava anche di «tonsure assurde e sconsiderate di giovani delle prime nostre famiglie».294 Queste parole degli oppositori erano evidentemente basate su un passo del Discorso patriarcale di Giovanni XIV Caleca del novembre 1344, nel quale egli scriveva che i palamiti, in modo del tutto autonomo, «compiono senza arrossire quanto spetta ad altri e impongono tonsure monastiche benché questo non fosse loro concesso. Hanno osato fare questo anche con un giovane nobile (εἰς παῖδα εὐγενῆ), adoperando con lui enormi inganni».295 Possediamo qualche dettaglio in più sulla vicenda grazie alla replica di Gregorio Palamas, Refutazione del Discorso di Giovanni Caleca: «Chi non conosce l'esattezza e il discernimento degli aghioriti nei confronti di quanti accolgono? Egli rimprovera loro delle cose circa un giovane nobile (κατά τινα παῖδα εὐγενῆ) senza comprendere né cosa dice né di quelle cose che dà per sicure (cfr. 1 Tm 1, 7)».296 Sulla base di queste testimonianze, sia pur frammentarie e allusive, la vicenda evocata dal tomo di luglio 1347 assume dei lineamenti più definiti. Un ragazzino di nobile famiglia si era recato sul Monte Athos per diventare monaco. Il patriarca Caleca aveva stigmatizzato la sua accoglienza in un imprecisato monastero (Lavra?), probabilmente a ragione della sua giovane età e sulla base delle prescrizioni sugli imberbi dei typikà del Monte Santo.297 Gregorio Palamas aveva contestato questa critica di Caleca, affermando il sommo discernimento dei monaci aghioriti e la loro akribeia nell'osservanza dei regolamenti monastici. Il passo del Tomo degli ————– 294 295
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Tomo degli oppositori, più in basso, 108, ll. 82–83. «(...) ἀλλὰ καὶ αὐτονομίᾳ χρῶνται καὶ τὰ ἀνήκοντα ἑτέροις ἀνερυθριάστως πράττουσι καὶ κατὰ μοναχοὺς ἀποκείρουσι, μηδὲν ὂν αὐτοῖς ἐνδεδομένον. Τετολμήκασι δὲ τοῦτο καὶ εἰς παῖδα εὐγενῆ πολλῇ τῇ πρὸς αὐτὸν ἀπάτῃ χρησάμενοι»: PG 150, 894A1–5. «Τίς δ' οὐκ οἶδε τὴν τῶν ἁγιορειτῶν περὶ τοὺς προσίοντας εὐδιάκριτον ἀκρίβειαν; Ὁ δὲ προφέρει τούτοις τὰ κατά τινα παῖδα εὐγενῆ, μὴ συνορῶν μήτε τί λέγειν μήτε περὶ τίνων διαβεβαιοῦται»: 46: PS II, 622. Cfr. typikòn di Zimisce (972), XVI: PAPACHRYSSANTHOU 1975, nr. 7, ll. 101–106; typikòn di Monomaco (1045), I: ivi, nr. 8, ll. 45–53.
3. Le accuse contro Isidoro e Gregorio Palamas
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oppositori del luglio del 1347 sulle «tonsure assurde e sconsiderate» è perciò una semplice lontana eco di questa vicenda. 3.2 LA DISPOSIZIONE FINALE DEL II CONCILIO DI NICEA E LE IMMAGINI E SUPPELLETTILI SACRE
L'ultimo canone citato dal tomo di luglio era la disposizione finale nel decreto di Nicea II298 «su coloro che inventano nuovi dogmi (τῶν νέα δόγματα καινοτομούντων) e inoltre profanano le suppellettili sacre e gli altri oggetti consacrati a Dio».299 Se le prime parole, riprendendo il testo del decreto (καινοτομίαν τινὰ ἐπινοεῖν), rimandavano evidentemente alla dottrina palamita dell'essenza e delle energie divine, il seguito riguardava le immagini e le suppellettili sacre. Dopo l'Iconoclasmo, gli eresiologi bizantini avevano accusato i Bogomili per il loro rifiuto delle immagini. Ai monaci condannati per eresia sul Monte Athos nel 1344 erano anche stati imputati il rigetto e la distruzione delle immagini sacre.300 Secondo Niceforo Gregoras i palamiti bruciavano le icone dei santi.301 Gli oppositori si riferivano qui a un caso specifico, muovendo una pesante accusa nei confronti di Gregorio Palamas: «tale odiosissimo uomo (...) in seguito anche ieri è incappato nell'imputazione di sacrilegio nel monastero della Peribleptos. Il ladro aveva spogliato le icone e fatto a pezzi i contenitori dell'olio delle suppellettili sacre per, come Giuda, procurarsi denaro».302 L'imputazione, formulata in questi termini, appare come la semplice riproposta di un topos polemico, molto utilizzato all'epoca.303 Così i nemici del patriarca Atanasio I lo avevano accusato di profanazione della croce e delle icone304 ed egli stesso tacciava di Iconoclasmo alcuni suoi avversari.305 Un precedente molto simile al caso di Gregorio Palamas è l'accusa rivolta a Nifone I da Niceforo Choumnos (1314). Nell'invettiva di quest'ultimo, che condurrà alle dimissioni del patriarca, leggiamo infatti che costui aveva spo————–
298 II Concilio di Nicea, decreto: MANSI XIII, 380B. 299 Tomo degli oppositori, più in basso, 116, ll. 239–240. 300 301 302 303 304 305
Cfr. RIGO 1989, 198–200. Historia byzantina, XIX, 3: II, 943. Tomo degli oppositori, più in basso, 112–114, ll. 175–176, 178–180. Cfr. RIGO 1989, 249. Theoktistos, Vita di Atanasio I: PAPADOPOULOS-KERAMEUS 1905, 37. Cfr. TALBOT 1975, nr. 69, ll. 137–139, 170; nr. 87, ll. 13–14, 230.
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II. Dai canoni alla storia
gliato del suo rivestimento di oro e di argento un'icona della Madre di Dio conservata in una chiesa della Trinità a Costantinopoli.306 3.3 L'INOSSERVANZA DEI DIGIUNI Gli oppositori citavano infine «le pene (ἐπιτίμια) che i divini Padri impongono a coloro che senza timore infrangono i digiuni stabiliti».307 Il termine impiegato rimandava evidentemente alle indicazioni presenti nei penitenziali e canonari più diffusi.308 Anche in questo caso il tomo di luglio si riferiva innanzitutto a Isidoro, la cui condotta era così presentata: egli «ha totalmente ignorato i tempi dei digiuni, l'astensione da cibi e bevande, quando è necessaria, ma se ne è accostato tutti i giorni senza distinzione, come fanno coloro che vivono in modo barbaro?»309 All'epoca, ai monaci condannati per eresia sul Monte Athos nel 1344 erano state rivolte accuse analoghe: «mangiano indifferentemente carne e formaggio anche nei giorni dei santi digiuni».310 Giovanni Cantacuzeno, da parte sua, nelle Storie ricordava che Gregoras aveva accusato i monaci palamiti dell'Athos di mangiare più dei maiali e di bere più degli elefanti.311 Se il tomo di luglio rivolgeva a Isidoro tale accusa, Gregorio Palamas riceveva qualche riga dopo un trattamento analogo. Gli oppositori scrivevano infatti che «egli non ha nemmeno onorato il giorno della Passione salvifica della Settimana Santa, e si prendeva cura del corpo con bagni, cibi e bevande a violazione del canone e a scandalo e offesa della coscienza dei monaci, soprattutto di quelli che erano presenti e lo vedevano nel divino monastero dell'Anastasis di Cristo Dio. Egli infatti avrebbe bisogno piuttosto di bagni caldi per essere annegato invece che per purificarsi!»312 Anche a Gregorio Palamas era quindi imputata dagli oppositori l'inosservanza dei digiuni, ac————– 306
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Ἔλεγχος κατὰ τοῦ κακῶς τὰ πάντα πατριαρχεύσαντος Νίφωνος: BOISSONADE 1833, 270: «καὶ πολλοῦ τοῦ κόσμου γεμούσης ἐκ χρυσοῦ καὶ ἀργύρου (ἐς τριάκοντα γὰρ ταλάντων ὁλκὸν τὸν κόσμον τοῦτο εἶναι φασὶ βαρυνόμενον), ἐκσπᾷ τὸν ὅλον, καὶ χωρὶς δείκνυσι τῆς εἰκόνος καὶ ὑφαιρεῖται»; cfr. anche CONGOURDEAU 2017, 125–126. Tomo degli oppositori, più in basso, 116, ll. 241–243. MORINUS 1651, Appendix, 113–114; v. anche HERMAN 1953, 90–92; ARRANZ 1993, 96– 110. Tomo degli oppositori, più in basso, 112, ll. 168–171. RIGO 1989, 193–195; cfr. anche 253–255. Giovanni Cantacuzeno, Historiarum lib. IV, 24: III, 173. Tomo degli oppositori, più in basso, 114, ll. 180–186.
3. Le accuse contro Isidoro e Gregorio Palamas
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cusa aggravata da quella di aver fatto il bagno il Venerdì Santo.313 Il rimando è evidentemente alla normativa vigente, particolarmente rigida negli ambienti monastici,314 dove, come sappiamo dal typikòn dell'Evergetis i bagni erano consentiti solo tre volte all'anno, in occasione del Natale, della Pasqua e della Dormizione della Vergine.315
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Per l'abbinamento nelle accuse di inosservanza dei digiuni e bagni cfr. anche RIGO 1989, 255. Cfr. THOMAS, HERO 2000, V, 1859 s. v.; in generale v. BERGER 1982, 34–45. GAUTIER 1982, 69.
Un bilancio La deposizione di Giovanni Caleca coincise di fatto con l'entrata di Giovanni Cantacuzeno in Costantinopoli e la fine della guerra civile. Ancora una volta, come in altri momenti della storia di Bisanzio, un mutamento politico e dinastico comportava un cambiamento al vertice della Chiesa. La caduta di Caleca era senz'altro legata a motivazioni di ordine ecclesiastico, al suo governo della Chiesa e anche, ma in misura sicuramente minore, a questioni teologiche, ma inoltre non deve essere dimenticato che il patriarca aveva fatto parte per più di cinque anni della reggenza che governava l'Impero in nome del giovane Giovanni V Paleologo e che aveva condotto una guerra senza quartiere a Cantacuzeno. La deposizione del patriarca era senz'altro tra i desiderata di Giovanni Cantacuzeno, ma fu promossa e voluta ardentemente dalla madre del giovane imperatore, Anna Paleologa. Se quest'ultima fu uno degli artefici della disgrazia di Caleca, gli attori della vicenda furono dei gruppi di influenti metropoliti che, per ragioni legate alla gestione degli affari ecclesiastici e anche al conflitto politico in atto (ma in ogni caso per motivi extrateologici), si mossero e alla fine votarono la decadenza di Giovanni Caleca. Furono questi stessi metropoliti a sottoscrivere il Tomo sinodale alla fine di febbraio 1347, documento inspirato evidentemente dalle dottrine palamite, se non dallo stesso Gregorio Palamas. Forse l'accusa di eresia era la più comoda e la più efficace per sbarazzarsi definitivamente dell'ingombrante patriarca. È sempre questa stessa maggioranza sinodale a eleggere, dopo lunghe riunioni e discussioni, Isidoro al patriarcato. La nomina di quest'ultimo fu infatti promossa dagli stessi metropoliti che avevano deposto Caleca. Nelle lunghe trattative che precedettero l'elezione di Isidoro il ruolo e il peso dell'imperatore Giovanni Cantacuzeno fu senza alcun dubbio decisivo, fatto che già all'epoca suscitò le critiche degli oppositori. Sino all'ascesa sul trono di Isidoro fu sempre la stessa maggioranza di metropoliti, quasi tutti consacrati durante il patriarcato di Giovanni Caleca se non prima, a reggere il timone della Chiesa. Con la nomina di Isidoro la situazione cambiò, e in fretta. La vacanza di molte sedi, dovuta in gran parte alle vicende connesse alla guerra civile, comportò allora l'immissione massiccia di nuovi metropoliti, quasi tutti se non la totalità, legati alle dottrine
Un bilancio
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palamite: tra questi troviamo lo stesso Gregorio Palamas e il suo antico alter ego, Filoteo Kokkinos. Tutto questo mutava, e in maniera decisiva, gli assetti all'interno del sinodo e della Chiesa. L'elezione e la consacrazione del patriarca nel maggio 1347, in giorni segnati dalla rinnovata incoronazione di Giovanni Cantacuzeno e dalle nozze tra Giovanni Paleologo e la figlia dello stesso, Elena, potevano dare l'impressione di una nuova epoca che in questo modo si inaugurava allora per l'Impero e per la Chiesa. Tra gli oppositori possiamo chiaramente distinguere tra i seguaci del patriarca deposto Giovanni Caleca, che erano apertamente ostili a Cantacuzeno, e altri metropoliti, quali un Matteo di Efeso, che in precedenza si erano invece opposti a Caleca e avevano manifestato le loro simpatie filocantacuzeniste. La saldatura tra i due gruppi diede vita a una presa di posizione che si concretizzò nel Tomo degli oppositori del luglio 1347, un documento caratterizzato da una violenta ostilità al "nuovo corso" della Chiesa, incarnato da Isidoro, e anche dell'Impero, rappresentato da Giovanni Cantacuzeno. Non va poi dimenticata l'azione, sia pur limitata, per cause di forza maggiore, di Gregorio Acindino, che si concretizzò nella chiamata alla resistenza contro gli avversari, nella reiterata polemica con Gregorio Palamas e anche nella critica rivolta al nuovo patriarca Isidoro. A livello ecclesiastico, gli "uomini nuovi" che erano venuti a far parte della gerarchia e che prendevano parte al governo della Chiesa erano verosimilmente propensi, anche per le pressioni degli ambienti monastici dai quali per lo più essi stessi provenivano, a liquidare in modo definitivo l'opposizione e segnare anche con i fatti il nuovo inizio. La condanna degli oppositori nell'agosto 1347, il primo provvedimento di una Chiesa di fatto "palamita", era appunto una mossa in questa direzione, ma già la lunga coda dei lavori sinodali che precedette l'emissione del tomo è un segnale del fatto che esistevano resistenze, e anche autorevoli, a procedere sino in fondo. La volontà di segnare l'inizio di una nuova epoca si esprime spesso con azioni di tipo simbolico. Da questo punto di vista, lasciando da parte le questioni legate al suo contenuto e le critiche che ne seguirono, l'introduzione nell'uso liturgico del canone trinitario da parte del patriarca Isidoro, per celebrare evidentemente la vittoria sull'eresia apparsa di recente e sconfitta, è oltremodo significativa. Con l'autunno e l'inverno 1347 è possibile intravvedere un ripiegamento se non addirittura un chiaro arresto di queste dinamiche, legati a fattori molteplici e di diverso genere. L'imperatore Giovanni Cantacuzeno, impegnato negli affari politici, continuava a mostrare il suo favore (come farà anche in
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Un bilancio
seguito) a Palamas e ai suoi, ma con ogni probabilità già da allora intervenne perché la condanna nei confronti di un oppositore come Matteo di Efeso, che però era sempre stato un suo sostenitore, non fosse resa effettiva. L'azione del patriarca Isidoro appare sempre più limitata, forse a causa dell'insorgere di una malattia destinata in breve tempo a rivelarsi fatale. Con la condanna del mese di agosto, l'opposizione non era poi stata liquidata in modo definitivo, cosa che probabilmente una buona parte dei membri del sinodo aveva potuto credere. Altri e nuovi avversari, come Niceforo Gregoras, che sino a quel momento aveva tenuto un atteggiamento tutto sommato defilato, entravano prepotentemente in campo. Si apriva un altro periodo che avrebbe alla fine condotto al Concilio del 1351.
III. I documenti e i testi
1. IL TOMO DEGLI OPPOSITORI (LUGLIO 1347) 1.1 IL MANOSCRITTO, LA TRADIZIONE INDIRETTA E L'EDIZIONE DI LEO ALLATIUS Il Tomo degli oppositori è conservato integralmente, anche se privo delle sottoscrizioni, in un unico manoscritto. Il Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 291316 è un codice di piccolo formato (mm. 135 100, ff. III, 296) risalente agli anni 50–60 del XIV secolo, delle quali la terza parte è una raccolta di testi e documenti riguardante la controversia palamitica, organizzata da un oppositore di Palamas. Il copista è un non identificato anonimo. L'unicità e l'importanza di diversi pezzi della raccolta hanno già attirato l'attenzione su questo codice di Leo Allatius prima e di Giovanni Mercati poi.317 Eccone una presentazione. 1. (ff. 213r–216v) Dialogo di un sapiente e filosofo in base alle divine Scritture, tit.: Διάλεξίς τινος λογίου καὶ φιλοσόφου ἀπὸ τῶν θείων Γραφῶν. ALLATIUS 1644, 199–204 = PG 150, 864–867 (sulla base di questo ms.); BUCOSSI – GAZZINI – RIGO 2021. 2. (ff. 216v–218r) GREGORIO PALAMAS e ISIDORO BOUCHEIRAS, excerpta. 3. (ff. 218r–222v) GREGORIO ACINDINO, Confessione di fede, tit.: Ὁμολογία Γρηγορίου ἱερομονάχου τοῦ Ἀκινδύνου, in marg.: Πρὸς τὴν δέσποιναν. CANDÀL 1959 (sulla base di questo ms.). 4. (ff. 222v–223r) GREGORIO PALAMAS, Confessione di fede, exc., tit.: Ὁμολογία τοῦ Παλαμᾶ, inc.: Στέργομεν πάσας τὰς ἐκκλησιαστικὰς παραδόσεις, des.: τὰς δυνάμεις ἢ τὰς ὑποστάσεις. PS II, 497, l. 20–499, l. 27. 5. (ff. 223r–224r) GREGORIO ACINDINO, Due excerpta (Γρηγορίου cod.), a inc.: Ἐμοὶ λόγοι, des.: φυσικήν μου ἀσθενείαν. ALLATIUS 1648, 802 = PG 150, 875C–876C (sulla base di questo ms.); b inc.: Μηδεὶς ἀκούων, des.: ἑτέρως δὲ οὐδαμῶς. Ιvi, 802–803 = PG 150, 877AB (sulla base di questo ms.). B
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V. la riproduzione online http://digi.vatlib.it/view/MSS_Barb.gr.291 (visitato: 16.07. 2020) e la notizia sul manoscritto in PODOLAK – BUCOSSI 2017, 321–324; v. ormai BUCOSSI – GAZZINI – RIGO 2021. Cfr. MERCATI 1931, 192–197.
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III. I documenti e i testi
6. (ff. 224r–225r) , senza titolo. ALLATIUS 1644, 188. MERCATI 1931, 199–200 (sulla base di questo ms.); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2250; v. nr. 8. 7. (ff. 225r–228v) GIOVANNI XIV CALECA, Documento patriarcale, tit.: Πατριαρχικὸς λόγος· δι᾿ οὗ ἀποκηρύττει τὸν Παλαμᾶν, καὶ τοὺς αὐτοῦ σπουδαστὰς καὶ ὁμόφρονας, καὶ τοὺς πειθομένους αὐτοῖς, καὶ ἀποκόπτει αὐτοὺς τῆς ἁγίας τοῦ Θεοῦ Ἐκκλησίας ὡς καινοτόμους τῆς πίστεως. ALLATIUS 1648, 817–820 = PG 150, 891–894 (sulla base di questo ms.); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2252. 8. (ff. 228v–229r) Deposizione di Isidoro Boucheiras, tit.: Συνοδικὴ καθαίρεσις τοῦ Ἰσιδώρου τοῦ χρηματίσαντος ὕστερον πατριάρχου. MERCATI 1931, 202–203 (sulla base di questo ms.); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2250; v. nr. 6. 9. (f. 229r) Scomunica di Gregorio Palamas, tit.: Ἀφορισμὸς τοῦ πατριάρχου κῦρ Ἰωάννου, ἀφορίζων τὸν Παλαμᾶν καὶ ἀναθεματίζων τὰ αὐτοῦ ἀσεβῆ δόγματα. ALLATIUS 1644, 197–198 = PG 150, 863–864 (sulla base di questo ms.); MERCATI 1931, 195; più in basso, 165–166. 10. (ff. 229v–240r) Testi ed excerpta patristici e ascetici. 11. (ff. 240v–244r), GIOVANNI XIV CALECA, Spiegazione del tomo del 1341, tit.: Τοῦ πατριάρχου περὶ τοῦ τόμου. ALLATIUS 1648, 830–833 = PG 150, 900–903 (sulla base di questo ms.); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2253. 12. (ff. 244v–255v) , Giambi contro Gregorio Palamas, tit.: Στίχοι. ALLATIUS 1652, 756–769 = PG 150, 843–862 (sulla base di questo ms.). 13. (ff. 255v–259r) . ALLATIUS 1644 , 209– 213 = PG 150, 870–872 (sulla base di questo ms.); BUCOSSI – GAZZINI – RIGO 2021. 14. (ff. 259v–268v, 270rv, 295rv) , senza titolo. ALLATIUS 1648, 803–810 = PG 150, 877–885 (sulla base di questo ms.); infra, 104–120; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2281. Da segnalare che G. Mercati osservava in merito: «Dopo che lo copiò l'Allacci si è perduto il f. 269».318 Questo foglio, ritrovato in seguito, è oggi il f. 295 (molto danneggiato). 15. (ff. 271r–294v, 296r) GIOVANNI DAMASCENO, Sulle eresie, tit.: Τοῦ ἐν ἁγίοις πατρὸς ἡμῶν Ἰωάννου τοῦ Δαμασκηνοῦ τὰ περὶ τῶν αἱρέσεων κεφάλαια ἑκατόν. ————– 318
MERCATI 1931, 197.
1. Il Tomo degli oppositori (luglio 1347)
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La tradizione indiretta del documento è esigua, ma significativa. C Giovanni Ciparissiota nella sua opera Palamiticarum transgressionum, liber IV, 4, scritta tra il 1360 e gli inizi del 1364,319 riportava un passo del tomo (Καὶ πρῶτον αὐτίκα – ψυχῶν οἰκονόμους τοὺς παρανόμους = ll. 106– 133).320 Nelle righe che precedono questa citazione, Ciparissiota ricordava anche che il documento era stato sottoscritto da ventidue metropoliti e ne citava l'incipit.321 Da questo si ricava che egli aveva allora a disposizione o l'originale del tomo, o una copia dello stesso seguita dalle firme, assenti invece in B. In quegli stessi anni anche Arsenio metropolita di Tiro rimandava allo stesso documento, menzionando sia le firme che l'incipit.322 Abbiamo già visto nella descrizione di B che il tomo è stato pubblicato una prima volta da Leo Allatius (1648), grazie a questo manoscritto. La nostra edizione è basata su B, collazionato con C nella breve sezione indicata. Per questo passaggio di Ciparissiota ci siamo basati sul testo della Patrologia graeca, verificato con il Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana pl. 8. 8, f. 78v (manoscritto nel quale l'opera è accompagnata dalla refutazione fattane da Giovanni Cantacuzeno). Gli errori di lettura, le sviste e le omissioni dell'edizione di L. Allatius non sono segnalati in apparato. 1.2 TIPO DI DOCUMENTO, DATA E IL PROBLEMA DELLE SOTTOSCRIZIONI Come abbiamo ricordato, in B il documento è senza titolo, ma nell'expositio è indicato genericamente quale gramma (τῷ παρόντι γράμματι, l. 227), mentre nella formula conclusiva come tomos (ὁ παρὼν τόμος, l. 293). Così è definito anche da Arsenio di Tiro323 e da Giovanni Ciparissiota.324 ————– 319 320 321
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Cfr. DENTAKIS 1965, 76; LIAKOURAS 1991, 51. PG 152, 709A5–D2. «Οἱ δ᾿ ὕστερον ἐπὶ δυσὶ καὶ εἴκοσι τὴν σύνοδον ἀποπληροῦντες ἀρχιερεῖς, συλληπτικῶς τά τε πρὸ αὐτῶν ὑπὲρ τῆς εὐσεβείας πραχθέντα, καὶ μετ᾿ αὐτῶν εἰς ἱερὸν ἐπισημειούμενοι τόμον καὶ τοὺς πρότερον ἐκκηρύκτους ὄντας, ὡς ἠκηκόειτε, Παλαμίτας, ἆθλον προδοσίας τὰς ἀρχαιρεσίας κομισαμένους, Χριστοῦ τε καὶ τῆς κατ' αὐτὸν πάσης ἱερωσύνης ἐκκόπτοντες, καὶ τοῖς ἴσοις αὐτοὺς καθυποβάλλοντες ἐπιτιμίοις, οὕτω φασὶν ἐν πράξει, ἧς ἡ ἀρχή· Ἀ κ ο ύ σ α τ ε , φ ύ λ α ι τ ῆ ς γ ῆ ς κ α ὶ γ λ ῶ σ σ α ι », PG 152, 708D6–709A5, e cfr. anche 737A8–15. «τόμον ἐκθέμενοι, τάδε διεξιόντα· Ἀ κ ο ύ σ α τ ε , λ α ο ί . Καὶ αὕτη μὲν ἡ τοῦ τόμου ἔκθεσις, πεπίστωται δὲ καὶ τῶν τοιούτων ἀρχιερέων ὑπογραφαῖς», POLEMIS 1993, 260, ll. 192–194. «τόμον ἐκθέμενοι (...) ἡ τοῦ τόμου ἔκθεσις», ivi, 260, ll. 192, 193.
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III. I documenti e i testi
La data, luglio 1347, è indicata nella conclusione (μηνὶ ἰουλίῳ, ἰνδικτιῶνος ιεʹ, l. 293). Il tomo in B è privo delle sottoscrizioni, ma il testo del documento parla della presenza alla riunione tenutasi a Costantinopoli di circa dieci metropoliti (πάροντες ἀρχιερεῖς ὡσεὶ δέκα τὸν ἀριθμόν) e delle procure (διὰ γνωμῶν καὶ γραμμάτων) di altri che si trovavano fuori città (ll. 228–230). Di contro Giovanni Ciparissiota parlava di ventidue metropoliti che avevano sottoscritto il tomo,325 mentre Arsenio di Tiro era reticente riguardo al numero, pur ricordando esplicitamente le firme.326 Niceforo Gregoras si limitava a parlare della «maggioranza dei vescovi» (τῶν ἐπισκόπων οἱ πλείους).327 Il numero indicato dallo stesso tomo e quello fornito da Giovanni Ciparissiota sono difficilmente conciliabili. Possiamo pensare che alla riunione del luglio 1347 prese parte una decina di metropoliti.328 Costoro sottoscrissero subito il tomo redatto in quell'occasione (o qualche giorno dopo). Le altre firme, menzionate da Ciparissiota, furono con ogni probabilità apposte sul documento in momenti successivi. In ogni caso, crediamo che nel tomo figurassero da subito le sottoscrizioni dei cinque metropoliti che furono poi condannati nel mese successivo: Matteo di Efeso, che presiedeva l'assemblea,329 Neofito di Filippi, Giuseppe di Ganos, Metrofane di Palaiai Patrai e Caritone di Apros.
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«ἱερὸν (...) τόμον», Palamiticarum transgressionum, liber IV, 4: PG 152, 708D9, e poi parla di praxis (ἐν πράξει): 709A3. «Οἱ δ᾿ ὕστερον ἐπὶ δυσὶ καὶ εἴκοσι τὴν σύνοδον ἀποπληροῦντες ἀρχιερεῖς, συλληπτικῶς τά τε πρὸ αὐτῶν ὑπὲρ τῆς εὐσεβείας πραχθέντα, καὶ μετ᾿ αὐτῶν εἰς ἱερὸν ἐπισημειούμενοι τόμον», PG 152, 708D6–9. «πεπίστωται δὲ καὶ τῶν τοιούτων ἀρχιερέων ὑπογραφαῖς», Tomo: POLEMIS 1993, 260, ll. 193–194. Historia Byzantina, XV, 10: Bonn, II, 786. Cfr. anche più in alto, 52. Come ricordavano Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum, liber IV, 4: PG 152, 737A8–11 (τὴν τελευταίαν ἐκείνην σύνοδον ὑπὸ τοῦ τῶν Ἐφεσίων φωστῆρος τοῦ θαυμαστοῦ καὶ μεγάλου πατρὸς συγκροτηθεῖσαν) e Arsenio di Tiro, Tomo: POLEMIS 1993, 260, ll. 186–188 (ὧν προεξῆρχεν ὁ ἱερώτατος μητροπολίτης Ἐφέσου, ὁ μακαρίτης ἐκεῖνος, ecc.).
1. Il Tomo degli oppositori (luglio 1347)
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1.3 DOCUMENTI, SINODI E CONCILI CITATI I) Tomo Sinodale del 1341 (συνοδικὰ ... γράμματα, l. 73), (παρὰ τῆς Ἐκκλησίας κατασφαλισθέντες μήτε τοῦ λοιποῦ δοφματίζειν μήτε διδάσκειν, ἢ γινώσκειν καὶ αὐτοὺς ὄντας ὑπ᾿ ἀραῖς καὶ ἀφορισμοῖς, ll. 77–78). II) Invito (scritto?) del patriarca Giovanni XIV Caleca a Gregorio Palamas e i suoi (νουθετεῖ τε καὶ συμβουλεύει, ll. 86–87). III) Richiesta del patriarca e del sinodo di presentare una professione di fede (ὁμολογίαν πίστεως παρά τε τῆς Ἐκκλησίας, καὶ τῶν ἐν τέλει ἀπαιτηθέντες, l. 100); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2225, 2231. IV) Il patriarca Giovanni Caleca convoca dinanzi al Sinodo (κελεύονται ἐπὶ δικαστήριον ἀπαντῆσαι καὶ δοῦναι λόγον τῶν ἐγκεκλημένων, ll. 103–104); DARROUZÈS 1977, nr. 2231. V) Deposizione da parte del sinodo di Isidoro Boucheiras (καθαιρέσει συνοδικῶς ὑποβάλλεται, l. 116), (Ἰσίδωρος, ὁ πάσαις ψήφοις πατριαρχῶν καὶ ἀρχιερέων καθαιρεθείς, l. 154); DARROUZÈS 1977, nr. 2250. VI) Nomina di a metropolita di Monembasia (χειροτονηθῆναι τῆς λαχοῦσης αὐτὸν ἕτερον, l. 117); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2256. VII) Scomunica sinodale di Gregorio Palamas (ἐκκήρυκτος καὶ Ἐκκλησίας Θεοῦ καὶ ἱερωσύνης γίνεται ..., ll. 120–121), (καθαιρεθείς, l. 177); DARROUZÈS 1977, nr. 2249. VIII) Atto di di Antiochia (ὑπό τε τοῦ Θεουπόλεως Ἀντιοχείας, ll. 122–123); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2250. IX) Documento (professione di fede?) dei metropoliti (τῶν καθ᾿ ἕκαστον ἀρχιερέων ..., l. 123); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2256. X) Deposizione di Giovanni XIV Caleca (τὸν τηνικαῦτα ὄντα ἐκ μέσου γενέσθαι, l. 137); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2270. XI) Convocazione per l'elezione del patriarca (προτραπέντες ἀρχαιρεσίαν ποιήσασθαι, l. 140). XII) Elezione di Isidoro a patriarca (γίνεται πατριάρχης ... Ἰσίδωρος, ll. 153–154); DARROUZÈS 1977, nr. 2273. XIII) Nomina dei nuovi metropoliti (προβληθέντες τῇ τοῦ Χριστοῦ Ἐκκλησίας ἡγεμόνες, l. 188); DARROUZÈS 1977, nr. 2279. XIV) Nomina di Gregorio Palamas a metropolita di Tessalonica (τῆς τῶν Θετταλῶν προκαθεζομένης χειροτονεῖται ἀρχιερεύς, l. 176); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2279. XV) Documenti (lettere?) del sinodo agli oppositori (καὶ γραφὰς καθ᾿ ἡμῶν σκαιωροῦσιν, l. 203); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2278?
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III. I documenti e i testi
Deposizioni dei metropoliti antipalamiti (ἀφαιροῦνται ... τὰς ἐκκλησίας καὶ τοὺς τοῦ ζῆν ἡμᾶς πόρους, ll. 204–205, καθαιρέσεις, l. 252). XVII) Rapporto degli oppositori (πρὸς αὐτοὺς συντάττομεν ὑπόμνησιν, ll. 208–209), (τῇ ὑπομνήσει, l. 212); cfr. più in alto, 51. XVIII) Canoni degli Apostoli, XXX (l. 233); JOANNOU 1962b, 21, ll. 14– 20. XIX) I Concilio di Nicea, IV (ll. 233–234); JOANNOU 1962a, 26, ll. 5–18. XX) II Concilio di Nicea, III (l. 234); JOANNOU 1962a, 250, l. 6–251, l. 14. XXI) Sinodo di Antiochia, IV (ll. 235–236); JOANNOU 1962b, 107, l. 20– 108, l. 13. XXII) Sinodo di Antiochia, VI (l. 236); JOANNOU 1962b, 109, ll. 12–24. XXIII) Canoni degli Apostoli, XXVIII (ll. 236–237); JOANNOU 1962b, 20, l. 14–21, l. 2. XXIV) Canoni degli Apostoli, X (l. 237); JOANNOU 1962b, 12, l. 18–13, l. 2. XXV) Sinodo di Gangre, XV (ll. 238–239); JOANNOU 1962b, 95, ll. 10– 18. XXVI) II Concilio di Nicea, decreto (ll. 240–241); MANSI XIII, 380B.
1. Il Tomo degli oppositori (luglio 1347) B C
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Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 291, ff. 259v–268v, 270rv, 295rv Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum, liber IV, 4: PG 152, 709A5–D2
π’ ν ῦ υν ουερόαααὶ υς ρ υς σι α α, αὶ ῦ ν αὶ ῳ α ξ ὺς ς, ῆς α ν, ῳ, ῷ ύέ-
s. 0.
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III. I documenti e i testi
Ἀκούσατε, φυλαὶ τῆς γῆς, καὶ γλῶσσαι, ἔθνη πάντα κατοικοῦντα τὴν ὑπ’ οὐρανόν, ὅσοι δηλονότι Θεὸν τὸν ἕνα πρεσβεύουσι, καὶ μίαν θεότητα τὴν ἐν τρισὶ προσώποις δοξαζομένην· ἀκούσατε οἱ τῷ ἁγίῳ χρισθέντες αἵματι τοῦ τιμίου ἀμνοῦ, τοῦ τὴν πολύθεον πλάνην τῆς ἑλληνικῆς θρησκείας καταλελυκότος, ἵν’ εἷς Θεὸς καὶ μία θεότης τὸ λατρευόμενον εἴη τοῖς εἰς τὸν Κύριον ἡμῶν πεπιστευκόσι Χριστόν· ἀκούσατε οἷος χειμών, οἷος κλύδων, οἷα σκοτόμαινα τὴν τῶν Ῥωμαίων κατέλαβεν Ἐκκλησίαν, πολὺ χείρων τῆς Αἰγυπτίας. Οὐ γὰρ ἤρκεσε τῷ διαβόλῳ ἡ κατὰ τοῦ γένους τοῦ ἡμετέρου πανολεθρία, ἣν ἀνθρωποκτόνος ὢν ἐξ ἀρχῆς προὐξένησεν ἐκ στάσεως καὶ ἀνταρσίας τῶν ἰδίων ὀργάνων· οὐδ’ ἱκανὸν ἁπλῶς ἔδοξε χωρῶν τοσούτων καὶ πόλεων προδοσία, ἔτι τε Χριστιανῶν σφαγαί, καὶ ἀνδραποδισμοί, καὶ λεηλασίαι παντὸς γένους καὶ ἡλικίας, ἀλλ’ εἰ καὶ μὴ σιδηροῖς τισι μοχλοῖς διασαλεύσειε τὴν Ἐκκλησίαν Χριστοῦ, ὥσθ’ ὁμοῦ πάντα | κατὰ κρημνοῦ καὶ βαράθρων ὠθῆσαι, δόγματά τε καὶ νόμους τοὺς ἱερούς, καὶ πατέρων ὅρους βραχύ τι πρὸς δύναμιν ὁ δεινὸς οὑτοσὶ σοφιστὴς καὶ πολέμιος ἥγηται. Τί γὰρ ποιεῖ; Ἀνίστησι πρὸ καιροῦ τινος, ὡς ἴστε πάντες, ἄνδρας τινὰς ψευδομένους τὰ μοναχῶν, ἀλλήλοις ἐπαναστάντας, μᾶλλον δ’ εἰπεῖν, τοῖς ὀρθοῖς δόγμασι τῆς εὐσεβείας ὥς τι ζιζάνια ἐπιφυέντας, καὶ τὸ καλὸν τῆς πίστεως σπέρμα λυμαινομένους· οἵτινες, εἰ καὶ ἀσύμφωνα ἑαυτοῖς καὶ πολὺ διαφέροντα, σύμφωνα δ’ οὖν ὅμως τῷ κινήσαντι τούτους πονηρῷ δαίμονι ἔλεγον καὶ ἐφρόνουν. Ἐτόλμησαν γὰρ οἱ μὲν αὐτῶν ἢ ταυτόν τι νομίζειν οὐσίαν Θεοῦ καὶ ἐνέργειαν, ἢ εἰ δεῖ τι ἕτερον ἐνέργειαν οἴεσθαι, οὐ συναΐδιον ταύτην δοξάζειν οὐδὲ μέντοι συνάναρχον τῷ ἀνάρχῳ καὶ ἀϊδίῳ Θεῷ, κτιστὴν δὲ καὶ δὴ καὶ φθαρτὴν κατὰ τὰ κοινὰ ταῦτα δημιουργήματα, οἷον τὴν ἐν Θαβωρίῳ φανεῖσαν τῆς θεότητος αἴγλην, ἢ τὴν ποιμένας περιαστράψασαν, ἤ τινα ἑτέραν τῶν πολλῶν | θεοφανειῶν. Καὶ οἱ μὲν οὕτως· οἱ δ’ ἕτεροι ὥσπερ ἐξ ἴσου διαμετρήσαντες τὰ τῆς πλάνης, ἢ μᾶλλον ὑπερβαλλέσθαι καὶ τοὺς πρώτους φιλονεικήσαντες, ὢ ψυχῆς τε καὶ γλώττης καὶ χειρὸς ἀκρατοῦς, λογογραφοῦσιν οἱ τάλανες, οὐκ ἀπ’ οὐρανοῦ φωνοῦντες, ἀλλ’ ἀπὸ τῆς γῆς κατὰ τὰς ἐγγαστριμύθους, ὡς Ἡσαΐας φησίν, ἔκφυλά τινα καὶ παρέγγραπτα δόγματα, ἅπερ οὔτε οἱ πατέρες ἡμῶν ᾔδεισαν, ἵνα τὸ τῆς Γραφῆς εἴποιμεν, οὔθ’ ἡμῖν ὅλως παρέδοσαν· καὶ οὔτ’ ἀξιοῦσι Παύλῳ πείθεσθαι τῷ μεγάλῳ, τὰς βεβήλους ἐκτρέπεσθαι καινοφωνίας διακελευομένῳ, οὔτε δὲ τῷ σοφῷ Σολομῶντι, μὴ σοφίζεσθαι περιττὰ καὶ πόῤῥῳ τῆς χρείας. Τὴν γὰρ ὑπερούσιον μίαν θεότητα, εἴτουν τὸν ἕνα Θεὸν διαιρούμενον εἰς Τριάδα ἀδιαιρέ-
6 σκοτόμαινα … 8 Αἰγυπτίας] Cfr. Es. 10, 21-22. 29 φωνοῦντες … 30 ἐγγαστριμύθους] Is. 8, 19; 19, 3. 31 οὔτε … ᾔδεισαν] Cfr. Dt. 32, 17. 33 τὰς … καινοφωνίας] Cfr. 1 Tm. 6, 20. 34 μὴ … περιττὰ] Qo. 7, 16.
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Udite tribù e lingue della terra, popoli tutti che l'abitate sotto il cielo,330 cioè voi tutti che venerate un solo Dio e una sola divinità glorificata in tre persone. Udite voi che siete unti con il santo sangue del prezioso agnello che ha abbattuto l'errore politeistico del culto degli Elleni affinché fosse adorato un solo Dio e una sola divinità da coloro che hanno creduto nel Signore nostro Cristo. Udite quale tempesta, quale turbine, quale fitta oscurità molto peggiore di quella egizia (cfr. Es. 10, 21–22) si è impadronita della Chiesa dei Romei. Non bastò infatti al diavolo la distruzione completa della nostra stirpe che egli, essendo omicida fin dall'inizio, procurò con i suoi propri strumenti, la ribellione e la contesa. Non gli sembrarono sufficienti soltanto il tradimento di tante regioni e città e anche i massacri e le schiavitù dei Cristiani, i saccheggi di tutte le stirpi ed età, ma anche scosse con barre di ferro la Chiesa di Cristo, in modo da spingere ogni cosa nel precipizio e nell'abisso. Questo malvagio sofista e nemico considera, per quanto possibile, insignificanti i dogmi, le leggi sacre e le regole dei Padri. Cosa compie infatti? Poco tempo fa ha suscitato, come tutti sapete, alcuni uomini che, falsificando la condotta dei monaci, si levarono gli uni contro gli altri, per dirla altrimenti, contro i retti dogmi della pietà e facevano crescere la zizzania e danneggiavano il buon seme della fede. Questi, anche se in disaccordo tra di loro, ed erano in grande discordia, tuttavia concordemente parlavano e pensavano su ispirazione del malvagio demonio che li guidava. Gli uni osavano infatti pensare identiche l'essenza di Dio e l'operazione, o se si deve ritenere l'operazione qualcosa d'altro, non si deve dirla non-originata e coeterna a Dio senza-principio ed eterno, ma creata e corruttibile quale tutte queste cose create, come nel caso dello splendore della divinità che apparve sul Tabor o quello che illuminò i pastori o un'altra delle numerose teofanie. Quelli dicevano così. Gli altri arrivavano a una pari misura nell'errore o meglio desideravano superare i primi e, oh anima, lingua e mano audace!, gli sventurati mettevano per iscritto in discorsi, non parlando su ispirazione celeste, ma dalla terra come i ventriloqui, dei quali dice Isaia (cfr. Is. 8, 19; 19, 3), orribili e falsi dogmi che né i nostri Padri hanno conosciuto, per parlare con la Scrittura (Dt. 32, 17), né per nulla ci hanno trasmesso. Né volevano seguire il grande Paolo che ha ordinato di rigettare le profane innovazioni (1 Tm. 6, 20), né il sapiente Salomone che ha detto di non voler conoscere il superfluo (Qo. 7, 16) e ciò che è più del necessario. Gli audaci infatti suddividono con una nuova divisione l'unica divinità sovraessenziale, cioè l'unico Dio diviso in modo indivisibile in Trinità, e dogmatizzano falsa-
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III. I documenti e i testi
τως, νέᾳ διαιρέσει ὑποδιαιροῦντες οἱ τολμηταί, πολλάς τινας θεότητας εἶναι καὶ πολλοὺς θεοὺς παραδογματίζουσιν ἀνερυθριάστως καὶ ἀδεῶς. | Κοινωνεῖν γάρ φασιν οὐχ ἧττον καὶ τὰς φυσικάς τε καὶ οὐσιώδεις ἐνεργείας Θεοῦ, τῶν θεοπρεπῶν τουτωνὶ καὶ θαυμαστῶν ὀνομάτων. Καὶ οὐδ’ ἐκεῖνο παρὰ τῆς θείας Γραφῆς ἢ ἔγνωσαν, ἢ ἐδιδάχθησαν· ὡς θεοὶ μὲν καὶ κύριοι, ἄγγελοί τε ὁμοίως καὶ ἄνθρωποι λέγονται, καὶ κυριότης αὐτοῖς ἔνεστι καὶ θεότης καθ’ ὁμωνυμίαν Θεοῦ σεμνύνοντος κατὰ χάριν τὰ ἴδια ἔργα, ἀλλ’ οὐχὶ πολλοὶ θεοί. Διὰ τοῦτο, οὐδὲ κύριοι, οὐδὲ θεότητες ἄπειροι κατ’ αὐτοὺς συμμετρούμεναι ταῖς ἐνεργείαις, ἀλλ’ εἷς Θεὸς, εἷς Κύριος, μία θεότης, ὥς φησιν ὁ θεῖος Ἀπόστολος, φεύγων τὸν πληθυσμόν, μήπως εἰς ἑλληνισμὸν ἀποκλίνωμεν. Οὕτως ἐξ ὑποθέσεως σαθρᾶς ὁρμηθέντες, αὐτίκα συγκρίσεων ὑπεροχάς, καὶ ἐλλείψεις, καὶ ὑπερθέσεις, καὶ ὑφέσεις συλλογίζονται ἀσυλλογίστως τῶν προσφάτων τουτωνὶ θεοτήτων πρὸς τὴν πάσης ἀναλογίας καὶ σχέσεως καὶ συγκρίσεως ἀνωτέραν θεότητα, ὥσπερ ἄνωθεν ἐμβοῶσι θεῖοι λόγοι, καὶ οὐκ ἔστιν ἐκ τοῦ παντὸς αἰῶνος, οὐδ’ εἰς πέρας αὖθις αἰῶνος ἑτέρως φρονῆσαι | ἢ οὕτως. Οὐ μὴν ἀλλ’ ὃ πάντων ἐστὶν ἀτοπώτερον, ὥσπερ οἱ προφητικοί φασι λόγοι· Εἶπε Θεός. Ἐλάλησε Κύριος· καὶ τό· Διακελεύεται παντοκράτωρ. Καὶ καθ’ ὅλου προσάπτουσι φωνὴν καὶ λόγον τῷ ὑπὲρ λόγον Θεῷ. Οὕτω δῆτα καὶ οὗτοι προσωποποιοῦσι, καὶ εἰς οὐσίαν ἄγουσιν ἄντικρυς τὰς φυσικὰς ταύτας τοῦ Θεοῦ ἐνεργείας, ἀνουσίους οὔσας τὸ καθ’ αὐτάς, καὶ λαλεῖν καὶ ὁμιλεῖν ὥσπερ ἐμψύχους τοῖς τὰ αὐτῶν μεμυημένοις καθυπισχνοῦνται, ἀλλὰ καὶ εἰς ἄκτιστον φύσιν ἐξαλλοιοῦν τοὺς τούτων μετέχοντας. Καὶ δὴ καὶ εὐεργετικάς φασι τὰς τοιαύτας θεότητας, καὶ ἀγαθοποιούς, ὧν βούλονται ἰδιοτρόπως, τὴν δ’ ὑπερούσιον θεότητα ὀλίγα ἢ οὐδὲν συλλαμβάνεσθαι πρὸς τὰ τοιαῦτα. Ταῦτα καὶ πλείω τούτων, τὰ μὲν λαλοῦσιν εἰς πρoὖπτον καὶ λογογραφοῦσι, τὰ δὲ καὶ μυστικώτερον ὑποφωνοῦσι πρὸς οὕστινας καὶ ἅστινας τὰς ἑαυτῶν ὁμιλίας πεποίηνται, ἀνδράρια πάντως καὶ γύναια σεσωρευμένα. Μαρτυροῦσιν οὐκ ὀλίγοι τῶν ὅσοι πνευματικὴν ἐπιστασίαν ψυχῶν εἰλήφασιν, ἐξερευνήσαντες τοὺς ἠπατημένους, εἷτα καὶ πρὸς ἡμᾶς | καταμεμηνυκότες. Ἀλλ’ οἱ μὲν πρῶτοι ἐκεῖνοι οἷοιπερ ἧσαν οἱ περὶ τὸν Βαρλαὰμ τὸν εἰς Ἰταλοὺς τελοῦντα καὶ τὰ ἐκείνων θρησκεύοντα, συμβαλόντες τούτοις ἐπὶ δικαστηρίου τοῦ ἱεροῦ τὴν ἧτταν εἰλήφασιν ὥσπερ προσῆκεν· οἱ δέ γε δεύτεροι νενικηκότες οὗτοι μέχρι τινὸς ὑπερτεθέντες ἐξετασθῆναι, τέως μὲν 44 εἷς1 … Κύριος] Cfr. 1 Cor. 8, 6; Ef. 4, 5- 6. 52 Ἐλάλησε Κύριος] Cfr. Gen. 1, 3 ecc.; Es. 19, 25; Nm. 23, 8. | Διακελεύεται … 53 παντοκράτωρ] Cfr. Zc. 1,6. 63 γύναια σεσωρευμένα] 2 Tm. 3, 6. 52 καὶ τό] ditt. B.
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mente, senza arrossire e in modo temerario, che ci sono molte divinità e molti dei. Dicono infatti che le naturali ed essenziali operazioni non partecipano in misura minore a Dio dei loro divini e straordinari nomi. E non lo hanno saputo né appreso dalla divina Scrittura: sono chiamati dei e signori, e ugualmente angeli e uomini, e in loro c'è la signoria e la divinità per omonomia di Dio, che per grazia onora le sue creature, ma non sono molti dei. Perciò non ci sono né signori né divinità infinite, che secondo loro corrispondono alle operazioni, ma un solo Dio, un solo Signore, una sola divinità, come dice il divino Apostolo (1 Cor. 8, 6; cfr. Ef. 4, 5–6), rifuggendo la moltiplicazione per non cadere nell'Ellenismo. Appoggiandosi così su un fondamento difettoso, subito deducono irrazionalmente nelle loro comparazioni preminenze, mancanze, superiorità e inferiorità di queste nuove divinità in rapporto alla divinità che è superiore ad ogni analogia, relazione e comparazione, come dall'alto affermano a gran voce le parole divine, e non è possibile dall'inizio del mondo sino anche alla fine pensare in modo diverso da questo. Ma cosa che è più assurda di tutte, siccome le parole profetiche affermano: «Disse Dio. Ha parlato il Signore» (cfr. Es. 19, 25; Nm. 23, 8; Gen. 1, 3, ecc.), e: «L'Onnipotente ha ordinato» (cfr. Zc. 1, 6), attribuiscono in generale voce e parola a Dio che è al di sopra della parola. Così appunto questi lo rappresentano e manifestamente riconducono all'essenza queste naturali operazioni di Dio, che di per sé non sono sostanziali, e promettono espressamente che queste parlano e conversano come esseri animati con coloro che sono iniziati alle loro dottrine, e anche che trasformano in natura increata quelli che sono loro partecipi. Dicono che tali divinità benefiche operano il bene di quelli che vogliono in modo particolare, mentre la divinità sovraessenziale è poco o nulla utile a simili cose. Questo e molto altro, in parte lo affermano in modo manifesto e lo mettono per iscritto, mentre altro lo sussurrano in una forma più segreta a quelli e a quelle con cui hanno conversazioni, omiciattoli e donnette cariche (2 Tm. 3, 6). Ne sono testimoni diversi di quelli che hanno la direzione delle anime, quando hanno esaminato coloro che erano stati tratti in inganno, e lo hanno poi denunziato anche a noi. I primi tra loro erano i seguaci di Barlaam che proveniva dagli Italiani e che osservava le loro dottrine. Confrontatisi con gli altri dinanzi al sacro tribunale furono sconfitti, come era opportuno.331 I secondi, dopo aver vinto, poiché era stato rinviato a un secondo momento il loro esame, per un certo tempo si
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III. I documenti e i testi
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ἐπεκρύπτοντο εἰς φῶς τὴν ὠδῖνα ἐκρῆξαι τῶν ἰδίων βλασφημιῶν, μήπως φρονεῖν δόξαντες τὰ τῆς πολυθεΐας τῆς ἑλληνικῆς, λίθοις αὐτίκα ἐμφραγῶσι τὰ στόματα. Τὸ δὲ μετὰ τοῦτο τί; Ἐπειδήπερ τὸ ἀντίπαλον μέρος ἔδοξαν καταβεβληκέναι, καὶ σύμβολα νίκης συνοδικὰ εἰλήφασι γράμματα, αὐτίκα ἐπαρθέντες τῇ νίκῃ, πρῶτα μὲν κρυφίως, εἷτα καὶ φανερῶς ἄγαν διδάσκαλοι αὐτοχειροτόνητοι τῆς πόλεως ἀναδείκνυνται, καὶ τὰς νέας πλάνας, οἷά τινα πονηρὰ σπέρματα ταλαιπώρων ἀνθρώπων ψυχαῖς ἐνσπείρουσι, καὶ ταῦτα παρὰ τῆς Ἐκκλησίας κατασφαλισθέντες μήτε τοῦ λοιποῦ δογματίζειν, μήτε διδάσκειν, ἢ γινώσκειν καὶ αὐτοὺς ὄντας ὑπ’ ἀραῖς καὶ ἀφορισμοῖς. Προχωροῦντες | δ’ ἔπειτα καὶ ἐπὶ πλέον τῆς πονηρίας, ὢ τῆς ἀναιδείας, ἐγχειροῦσι καὶ γάμοις ἀνθρώπων νέας γυναῖκας ἀνδρῶν τε καὶ παίδων ἀδεῶς ἀφιστῶντες ταῖς ξέναις αὐτῶν καὶ ἀλλοκότοις διδασκαλίαις· προστιθέασι τῷ τολμήματι κουρὰς ἀλόγους καὶ ἀπερισκέπτους νέων παίδων, τοῦ πρώτου δηλαδὴ γένους τῶν καθ’ ἡμῶν. Δρῶσι δὲ καὶ ταῦτα ὡσανεὶ κατὰ ποιμένας προεστηκότες τῆς πόλεως, καὶ ἐξὸν αὐτοῖς ὅ τι βούλοιντο κατ’ ἐξουσίαν ποιεῖν. Ἀλλ’ ὅ γε τηνικαῦτα πατριαρχῶν, πρῶτα μὲν αὐτοὺς ὑπεσταλμένως ὁρῶν ταῦτα πράττοντας, εἶτα καὶ εἰς φῶς ἐκφέροντας, νουθετεῖ τε καὶ συμβουλεύει εἰς ἑαυτοὺς συσταλῆναι, ἄτοπα ταῦτ’ εἶναι λέγων, καὶ πόῤῥω κανονικῆς εὐταξίας καὶ συγχύσεως καὶ πολέμων παραίτια τῇ τε Ἐκκλησίᾳ κοινῇ, καὶ ἰδίᾳ τοῖς ὅλοις. Ὡς δὲ πολλὰ καὶ πολλάκις τοῦτο ποιῆσας, οὐδαμῶς ἑώρα σωφρονοῦντας τοὺς ἄνδρας, οὐδ’ ἀφειμένους τῆς συντρόφου ἀπαιδευσίας, οὔκουν οὐδὲ ἐνθυμουμένους ἀπιέναι εἰς τὰς λαχούσας καταμονάς, ἔνθα ἀποκειράμενοι | ἐστείλαντο διαμένειν· ὡς ἀγύρτας λοιπὸν καὶ στασιαστὰς καὶ καινοτόμους ἀλλοτρίων καὶ δογμάτων καὶ ἔργων ἐλαύνειν ἐπιχειρεῖ τῆς πόλεως. Ἀλλ’ οὗτοι προαισθόμενοι οἷα πείσονται, προσφεύγουσι τῷ μεγάλῳ τεμένει τῆς τοῦ Θεοῦ λόγου Σοφίας, ἔνθα καὶ μικροῦ ἂν ἐκινδύνευον καταλευσθῆναι, εἰ μὴ ὁ ἱερὸς οὑτοσὶ τόπος ἀπεῖρξε τὰ τῆς ἐγχειρήσεως. Ἀλλ’ ἐπὶ χρόνον ἐνταῦθα διαμείναντες ἔμφρουροι, ὅμως ἐκεῖθεν ἐξελκυσθέντες, οἱ μὲν αὐτῶν ὅσοι καὶ προστάται τῆς καινοτομίας ὑπῆρχον κατατίθενται φυλακῇ, οἱ δὲ ἄλλος ἄλλοθι διασπείρονται. Τὸ δ’ ἐντεῦθεν ὁμολογίαν πίστεως παρά τε τῆς Ἐκκλησίας, καὶ τῶν ἐν τέλει ἀπαιτηθέντες τοσοῦτον τὸ εὐσεβεῖν ὁμολογῆσαι φεύγουσιν, ὅσον τὸ ἀσεβεῖν ἕτεροι. Ἀλλὰ καὶ αὖθις καὶ πολλάκις προτραπέντες εἰς τοῦτο, ὡς οὐδὲν μετετίθεντο τοῦ φρονήματος, κελεύονται ἐπὶ δικαστήριον ἀπαντῆσαι καὶ δοῦναι λόγον τῶν ἐγκεκλημένων. Ἀλλ’ οὐχ ὑπείκουσιν εἰς τοῦτο, οὐδ’ ἀρχὴν τολμῶσι παῤῥησιάσασθαι. Ὃ τοίνυν ἔδει ποιῆσαι | τὸ ἀπ’ ἐκείνου τὴν Ἐκκλησίαν μετ’ ἐξουσίας πνευματικῆς, ἐκεῖνο δὴ καὶ ποιεῖ· καὶ πρῶτον αὐτίκα τὸν εἰς ὑπο92 ἐστείλαντο] εἰστέλαντο B. 106 καὶ πρῶτον] inc. C.
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nascosero ed evitavano di dare alla luce le loro bestemmie e, in modo che non si pensasse che credevano nelle dottrine del politeismo ellenico, si tapparono le bocche come con pietre. Ma cosa accadde in seguito? Poiché credevano di aver abbattuto la parte avversaria e ostendevano i documenti sinodali come simboli di vittoria,332 esaltati a tal punto da questa vittoria, prima di nascosto poi anche in modo aperto si mostravano quali maestri autonominatisi della città e seminavano nuovi errori, come malvage semenze, nelle anime di uomini miseri, nonostante che fosse stato loro ingiunto dalla Chiesa di non dogmatizzare ulteriormente né di insegnare o, nel caso contrario, di sapere che anche loro sarebbero stati colpiti da maledizioni e scomuniche.333 In seguito, avanzando sempre di più nella malvagità, oh impudenza!, mettevano le mani sui matrimoni degli uomini, separando senza timore giovani donne dai mariti e dai figli con i loro strani e inusitati insegnamenti,334 e aggiungevano alla temerarietà tonsure assurde e sconsiderate di giovani delle prime nostre famiglie.335 Facevano anche questo come se da pastori guidassero la città e fosse loro lecito e permesso fare quello che volevano. Ma l'allora patriarca, quando li vide dapprima compiere questo di nascosto, poi anche portarlo alla luce, li ammonì a ritornare in sé, dicendo che ciò era assurdo, estraneo all'ordine canonico e causa di confusione e di conflitti per la Chiesa in generale e per tutti personalmente. Dopo essere intervenuto molte volte, egli non vide affatto quegli uomini ravvedersi, né abbandonare la loro ignoranza cronica, né certo prendere in considerazione un ritorno alle loro dimore, dove, dopo aver ricevuto la tonsura, avevano promesso di restare. Tentò quindi di cacciarli dalla città quali girovaghi, sediziosi e innovatori di alieni dogmi e pratiche. Ma quelli, avendo saputo in precedenza a cosa sarebbero stati obbligati, si rifugiarono nel grande tempio della Sapienza del Verbo di Dio, dove per poco corsero il rischio di essere lapidati, se questo sacro luogo non avesse impedito di fare questo. Per un certo tempo dunque restarono là rinchiusi.336 Tirati poi fuori da lì, quelli che erano i capi dell'innovazione furono messi in carcere,337 mentre gli altri furono dispersi qua e là. Quando, in seguito, fu loro richiesta una professione di fede da parte della Chiesa e degli altri dignitari, tanto rifuggivano di confessare la pietà come altri l'empietà. Di nuovo e spesso furono spinti a farlo, ma poiché il loro atteggiamento non mutava per nulla, fu loro ordinato di presentarsi davanti a un tribunale e di render conto delle accuse. Ma non acconsentivano di fare questo né affatto osavano parlare liberamente.338 Quanto dunque la Chiesa doveva fare in merito con autorità spirituale lo fece. Dapprima cercarono allora di staccare dai dogmi di Palamas e del suo gruppo
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III. I documenti e i testi
ψήφιον τελοῦντα τῇ ἁγιωτάτῃ μητροπόλει Μονεμβασίας Ἰσίδωρον πειρῶνται τῶν τοῦ Παλαμᾶ καὶ τῆς ἐκείνου συμμορίας ἀποστῆσαι δογμάτων. Ἐλέγετο γὰρ καὶ αὐτὸς εἷς εἶναι τῶν τὰ ἐκείνου φρονούντων, εἰ καὶ λαθὼν ταῖς ἀρχιερατικαῖς ὑπέπεσε ψήφοις. Ἀντίτυπον δὲ καὶ τοῦτον εὑρόντες καὶ παντελῶς ἀνένδοτον τοῦ ἱεροῦ ἐκβάλλουσι βήματος, παρεσκευασμένον ἤδη συλλειτουργῆσαι τῷ πατριάρχῃ· εἷτα καὶ εἰς κρίσιν καλοῦσιν. Ὁ δὲ φανερῶς ὁμολογήσας, οὐκ ἂν ἀπαρνήσασθαι τὰ ἐκείνων, ἀλλὰ καὶ τὴν ψυχὴν προδοῦναι μετὰ τῆς Ἐκκλησίας, ἢ ἀσύμφωνος γενέσθαι τῷ Παλαμᾷ, εἴ τις βιάσαιτο, ἀπαρνεῖται καὶ ἀρχιερωσύνην καὶ ἐκκλησίαν, ἧς ἐπεκηρύχθη ἐπίσκοπος. Οὐκοῦν καὶ καθαιρέσει συνοδικῶς ὑποβάλλεται, ὡς καὶ μετὰ μικρὸν χειροτονηθῆναι τῆς λαχούσης αὐτὸν ἕτερον. Ὁ δέ γε ἀρχηγὸς καὶ προστάτης τῶν βλασφημιῶν Παλαμᾶς, τὰ ἴσα καὶ αὐτὸς μετὰ τῆς ἑταιρίας αὐτοῦ κατα|ψηφισθείς, οὔτε γὰρ τῆς ἐνστάσεως ἐνεδίδου, οὔθ’ ὁπωσοῦν καθυφίει τῆς ἀλόγου ἀδολεσχίας, ἐκκήρυκτος καὶ Ἐκκλησίας Θεοῦ καὶ ἱερωσύνης γίνεται, ὥς γε διέξεισι τὰ κατ’ αὐτῶν ὑπομνήματα, σεσημασμένα ὑπό τε τοῦ τότε πατριαρχοῦντος τῆς βασιλίδος τῶν πόλεων, ὑπό τε τοῦ Θεουπόλεως Ἀντιοχείας, καὶ τῶν καθ’ ἕκαστον ἀρχιερέων, τῶν τε νῦν ἐνθάδε παρόντων, καὶ τῶν εἰς τὰς λαχούσας ἰόντων. Γίνεται μὲν οὕτως ἡ τούτων ἐπίσχεσις καὶ ἀργία, εἰ καὶ μηδὲν ἡγησάμενοι τὴν ἐπιτίμησιν, ἀντείχοντο τῆς ἱερωσύνης, τολμηρῶς ἀναφέροντες τὰς μυστικὰς θυσίας ἐν ἀποκρύφῳ. Τὸ δ’ ἑξῆς εἰρήνης οὔσης τῇ τοῦ Θεοῦ Ἐκκλησίᾳ, καὶ τῷ μέρει τούτῳ τῶν πραγμάτων ἡσυχαζόντων, σφοδρά τις ἀντιπνέει λαίλαψ ἐκ τῶν τοῦ Σατανᾶ πνευμάτων ἐμφυσηθεῖσα, καὶ πάντ’ ἀνατρέπει, καὶ μετατίθησιν εἰς κλύδωνα χαλεπόν, καὶ τοὺς οὕτω βλασφήμους ἀναφανέντας, τοὺς οὕτως ἀληθείας ἐχθροὺς ἐπὶ τῶν πρώτων οἰάκων καθίζει, καὶ ἱερουργοὺς τοὺς ἀῤῥητουργοὺς ἀνα|δείκνυσι, καὶ δογμάτων προστάτας τοὺς ἀποστάτας, καὶ ψυχῶν οἰκονόμους τοὺς αὐτονόμους. Ἔσχε δ’ οὕτω τὰ τῆς αἰτίας. Τοῦ νῦν τῆς αὐτοκρατορίας ἐπιλαβομένου Ῥωμαίων Ἰωάννου τοῦ Καντακουζηνοῦ ἄρτι τὴν μεγίστην τῶν πόλεων κατασχόντος, καὶ τελεώτερον δραξαμένου τῆς βασιλείας, ἐπειδὴ καὶ πατριάρχην ἔδει ἐνιδρυθῆναι τῷ μεγάλῳ θρόνῳ τῶν ἱερέων, διὰ τὸν τηνικαῦτα ὄντα ἐκ μέσου γενέσθαι, γίνεταί τι καινοτομίας πρᾶγμα πόῤῥω θεσμῶν Ἐκκλησίας καὶ νόμων τῶν καθεστώτων, οὓς οἱ θεῖοι Ἀπόστολοι καὶ ποιμένες τῶν ἐκκλησιῶν οἷόν τινας πεπηγότας ὅρους προκατεβάλοντο. Καὶ γὰρ προτραπέντες ἀρχαιρεσίαν ποιήσασθαι ἐξειργόμεθα ὑπὸ 107 τῇ … μητροπόλει] τῆς ἁγιωτάτης μητροπόλεως C. 109 Ἐλέγετο … αὐτὸς] Ἦν γὰρ δὴ οὗτος C. 110 εὑρόντες] εὑρηκότες C. 116 συνοδικῶς] συνοδικῇ C. 125 ἐπίσχεσις] καθαίρεσις καὶ praem. C. 126 θυσίας … ἀποκρύφῳ] ἐν ἀποκρύφῳ θυσίας C. 129 ἐμφυσηθεῖσα] ἐκφυσηθεῖσα C. 132 ψυχῶν … 133 αὐτονόμους] des. C. 133 αὐτονόμους] παρανόμους C finis.
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il metropolita eletto della santissima metropoli di Monembasia Isidoro. Si diceva infatti che egli fosse uno di quelli che sostenevano le sue dottrine, anche se di nascosto, e fu sottoposto al verdetto dei metropoliti. Dal momento che lo trovarono ostinato e del tutto risoluto, lo espulsero dal sacro altare, mentre era già preparato per concelebrare con il patriarca. Poi lo chiamarono in giudizio. Egli confermò apertamente che non avrebbe rinnegato le dottrine di quello, ma che avrebbe rinunciato all'anima assieme alla Chiesa piuttosto di essere in disaccordo con Palamas e che se fosse stato costretto avrebbe rinnegato la carica di metropolita e la chiesa della quale era stato nominato vescovo. Di conseguenza fu deposto dal sinodo e un altro fu nominato metropolita della sede.339 Anche l'autore e capo delle bestemmie Palamas fu assieme alla sua fazione sottoposto allo stesso verdetto – infatti né desisteva dalla sua opposizione, né in alcun modo rinunciava alle sue assurde ciarle –, e fu espulso dalla Chiesa di Dio e dal sacerdozio, come mostrano gli atti sottoscritti dall'allora patriarca della città imperiale, da quello di Teopoli Antiochia e da ciascuno dei metropoliti qui presenti e da quelli che si sono recati nelle loro sedi.340 Così ebbe luogo la loro sospensione e deposizione, anche se essi non tenevano in nessun conto la pena e persistevano nel sacerdozio, celebrando audacemente il mistico sacrificio di nascosto. In seguito ci fu pace nella Chiesa e da questa parte le cose si erano acquietate, ma una forte tempesta si è messa a soffiare, suscitata dagli spiriti di Satana, e ha sconvolto ogni cosa, si è tramutata in una violenta bufera e ha insediato quelli che si erano rivelati così blasfemi e così nemici della verità ai posti di comando e ha proclamato sacerdoti i celebranti dei misteri, sovrintendenti dei dogmi gli apostati e amministratori delle anime, i fuorilegge. Questa ne fu la causa. Colui che ora detiene il regno dei Romei, Giovanni Cantacuzeno, si è poco fa impadronito della più grande delle città e ha preso completo possesso dell'Impero.341 Poiché era anche necessario stabilire un patriarca sul grande trono dei sacerdoti, dal momento che quello che era allora in carica era stato rimosso,342 si è verificata un'innovazione estranea alle norme della Chiesa e alle leggi stabilite, che i divini Apostoli e i pastori delle chiese avevano prefissato come regole immutabili. Infatti, convocati per
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ς α ὶ ν ὰ ς , ν ὶ ι ἱ ς ὸ ς , ὶ ν ω ς ι ς ς ς ὁ ς
τῆς κοσμικῆς ἐξουσίας μὴ ἄν ποτε ποιῆσαι, ὃν ἂν ἡ θεία χάρις μετὰ τῆς ἀδελφικῆς συμπνοίας ἐκλέξηται, ἀλλ’ ὃν ἂν προτραπείημεν. Πρὸς ταῦτα ἀντιβαίνομεν μονονουχὶ πάντες, καὶ ἀνθιστάμεθα τῇ ἀκανονίστῳ ταύτῃ καὶ ἀπερισκέπτῳ κελεύσει, πλὴν ὀλίγων τῶν θεραπευτικῶν καὶ κατὰ τὰ ἀνδράποδα ἑλκομένων. | Ὁ δὲ ὥσπερ δόγματος ἔχεται τοῦ φρονήματος, νῦν μὲν τοῦτον σχεδιάζων εἰς τὴν τοῦ πατριάρχου ἀξίαν, νῦν δ’ ἐκεῖνον. Καὶ τί δεῖ τὰ πλείω λέγειν τῆς στάσεως; Τελευτῶν εἰς Παλαμᾶν καὶ Ἰσίδωρον τοὺς ἐκκηρύκτους καὶ ἀποβλήτους τὸ πατριαρχικὸν ἀξίωμα περιίστησι. Καὶ χρόνος ἐπὶ τοῖς τοιούτοις ἐτρίβετο, τοῦ μὲν αὐθεντικῶς τοῦ πράγματος ἁπτομένου, ἡμῶν δὲ αὖ ἐνισταμένων σφοδρῶς ὡς εἴχομεν, καὶ ἀδικεῖσθαι φασκόντων θεσμοὺς Ἐκκλησίας καὶ νόμων ἀκρίβειαν. Ὅμως νικᾷ θέλημα σαρκός τε καὶ αἵματος, οἷα τὰ τοῦ Θεοῦ κρίματα, καὶ τῶν πλειόνων ἀποῤῥαγέντων καὶ διαστάντων ἀρχιερέων, γίνεται πατριάρχης, ὢ Θεοῦ νόμοι καὶ δικαστήρια, Ἰσίδωρος, ὁ πάσαις ψήφοις πατριαρχῶν καὶ ἀρχιερέων καθαιρεθείς· καὶ καθίζει ἐπὶ τοῦ μεγάλου θρόνου ὁ μηδὲ σμικροῦ γοῦν κριθεὶς ἄξιος ἄνθρωπος, ὡς οἱ τοῦτον ἀκριβῶς εἰδότες, καὶ πάλαι καὶ νῦν λέγουσιν, ἀβέλτερος πρὸς τοῖς ἄλλοις, κοῦφος, ἀφελὴς τὸ φρόνημα, οὐχ ὁμιλῆσαι | εἰδώς, οὐ διελεῖν τὸ κρεῖττον ἀπὸ τοῦ χείρονος, οἷον προσήκει τοῖς ἄρχουσι, τοσοῦτον ἁπτόμενος τῶν πραγμάτων, ὅσα καὶ μύρμηκες κατὰ τῆς γῆς ἕρποντες, παιδιά τις ἄντικρυς κοινὴ τοῖς καταπαίζειν αὐτὸν βουλομένοις. Ὃ δὲ τούτου χεῖρον, οὐδ’ ὑποταγῆς νόμους μαθών, οὐδ’ ἐν κοινοβίῳ τραφείς, ἀλλ’ ἄστεσι καὶ πολιτείαις συμπεφυρμένος, καὶ παιδαγωγεῖν καὶ παιδοτριβεῖν παιδάρια ἑλόμενος, ἔνθα καὶ ἀποστῆσαί φασιν, ὡς εἴρηται, γύναιον τοῦ ἀνδρὸς καὶ τῶν παίδων ἔν τε Θεσσαλονίκῃ, ὥσπερ καὶ ἐν Βυζαντίῳ ἕτερον, οἵα ἡ τοῦ Κυδώνη θυγάτηρ, οἵα ἡ τοῦ Τζυράκη. Ὅσα δὲ καὶ διδάσκειν αὐταῖς φασι λαθραίαις τισὶν ὁμιλίαις ἀποῤῥήτους τινὰς καὶ ἀτόπους διδασκαλίας, παρείσθω τοῖς πνευματικῶς αὐτὰ ἐξετάσασι, μὴ καὶ τὸν ἀέρα ἐμπλήσωμεν βλασφημίας. Τί γὰρ ἂν καὶ διδάξειε χρηστὸν ὁ παντελῶς ἀγνοήσας νηστείας καιρούς, καὶ βρωμάτων ἀποχὰς καὶ πομάτων, ὅτε τοῦτο προσήκει, καὶ πάσαις ἡμέραις ἀδιαφόρως χρώμενος, οἷον ποιοῦσιν οἱ τὸν βάρβαρον πολιτευόμενοι | τρόπον, οὐ δυνάμεθα λόγῳ διεξιέναι ὁπόσα φασὶν ἕτερα οἱ τὰ αὐτοῦ διακωμῳδοῦντες. Ἀλλὰ γὰρ τῷ τοιούτῳ σαθρῷ θεμελίῳ καὶ ἕτερον κακὸν ἐποικοδομεῖται, καὶ ἀνομία προστίθεται ἀνομίᾳ κατὰ τὸν θεῖον Δαβίδ. Ὁ ἀρχηγὸς τῆς κακίας ἐξωλέστατος Παλαμᾶς - Παλαμᾶς ὃν καὶ μόνον ἐνθυμηθέντες καθαγνίσασθαι χρὴ ψυχὴν ὁμοῦ καὶ διάνοιαν -, καὶ ὁ τοιοῦτος ἔχθιστος ἄνθρωπος τῆς τῶν Θετταλῶν προκαθεζομένης χειροτονεῖται ἀρχιερεύς, ὁ καὶ πρώην μὲν καθαιρεθείς, ἐφ’ οἷς καθῃρέθη, εἶτα καὶ χθὲς ἱεροσυλίας
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III. I documenti e i testi
151 θέλημα … 152 αἵματος] Cfr. Gv. 1, 13. 173 ἀνομία … ἀνομίᾳ] Sal. 68, 28.
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l'elezione, ci è stato imposto dal potere secolare, cosa che non era mai stata fatta, di non eleggere quello che la grazia divina con il consenso fraterno ha prescelto, ma quello che ci è stato ordinato. Quasi tutti ci opponiamo a questo e resistiamo a questo ordine anticanonico e sconsiderato, a eccezione di pochi dal fare servile, che vengono trascinati come schiavi. Egli persisteva nel suo intento come in un dogma, e ora elevava questo alla dignità patriarcale, ora quello. Cosa bisogna dire di più della discordia? Alla fine la dignità patriarcale è attribuita a Palamas e a Isidoro gli scomunicati e rigettati. Trascorse del tempo in tali faccende, mentre quello affrontava la questione in modo autoritario e noi d'altra parte ci opponevamo ardentemente per quanto ci era possibile e affermavamo che le norme della Chiesa e l'esattezza delle leggi erano violate. Tuttavia vinse la volontà della carne e del sangue (cfr. Gv. 1, 13), quali sono i giudizi di Dio!, e, essendosi separata e stando in disparte la maggior parte dei metropoliti, diventa patriarca, oh leggi e tribunali di Dio!, Isidoro che era stato deposto da tutti i decreti dei patriarchi e dei metropoliti. Siede sul grande trono l'uomo che è stato giudicato degno di nessun valore, come quelli che lo hanno bene conosciuto e in passato e ora dicono, prima di tutto stupido, con una mente semplice, incapace di sostenere una conversazione, non in grado di distinguere il meglio dal peggio, come si addice a coloro che guidano, così attaccato alle cose come le formiche che camminano ventre a terra, manifesto oggetto di scherzo per tutti quelli che vogliono canzonarlo. Cosa peggiore di tutto questo: egli non apprese le leggi della sottomissione, né fu educato in un cenobio, ma mescolato a città e vita urbana, preferiva educare e insegnare ai ragazzini. Affermano che durante quest'attività, lo si è detto, abbia separato moglie dal marito e dai figli a Tessalonica, come un'altra a Bisanzio: l'una era la figlia di Cidone,343 l'altra quella di Tzyrakis.344 Quello che, come dicono, impartiva loro con conversazioni nascoste, certi insegnamenti orribili e insensati, lo lasciamo a coloro che lo hanno esaminato spiritualmente, per non riempire l'aria di bestemmie. Cosa infatti potrà mai insegnare di buono egli che ha totalmente ignorato i tempi dei digiuni, l'astensione da cibi e bevande, quando è necessaria, ma se ne è accostato tutti i giorni senza distinzione, come fanno coloro che vivono in modo barbaro? Non possiamo esprimere con le parole le altre cose che raccontano quelli che lo volgono in ridicolo. Inoltre su tale difettoso fondamento anche un altro male è stato edificato e illegalità si è aggiunta a illegalità, come dice il divino Davide (Sal. 68, 28). L'autore della malvagità, il più che nefasto Palamas – Palamas al cui solo pensiero si deve purificare l'anima assieme alla ragione –, tale odiosissimo uomo è consacrato metropolita della sede dei Tessali, lui che prima deposto, per quei motivi era stato deposto, in seguito anche ieri è incappato nell'impu-
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III. I documenti e i testi
περιπεσὼν ἐγκλήματι, κατά γε τὴν τῆς Περιβλέπτου μονήν, εἰκόνας ὁ λωποδύτης ἀπογυμνώσας, συντρίψας δὲ καὶ τὰ ἐλαιοδόχα τῶν ἱερῶν σκεύη, ἵν’ ὡς Ἰούδας ἀργύριον κτήσηται, καὶ οὐδ’ ὁ τρισάθλιος αἰδεσθεὶς τὴν τοῦ σωτηρίου πάθους ἡμέραν, τῆς μεγίστης τῶν νηστειῶν ἑβδομάδος, λουτροῖς θεραπεύειν τὸ σῶμα, καὶ τροφαῖς καὶ πόσεσιν, εἰς κατάλυσιν μὲν τοῦ κανόνος, πρόσκομμα δὲ καὶ σκάνδαλον τῆς τῶν μοναχῶν συνειδήσεως, | καὶ τῶν ἀκουόντων μὲν ἴσως, τῶν δὲ παρόντων καὶ ὁρώντων μάλιστα ἐν τῇ τῆς Ἀναστάσεως Χριστοῦ τοῦ Θεοῦ θείᾳ μονῇ. Αὐτοῦ γὰρ καὶ τοῖς καταποντιστηρίοις μᾶλλον ἢ καθαρτηρίοις θερμοῖς ἐχρήσατο. Οὗτοι τοίνυν ὥσπερ ἀνομίας κρηπῖδες ὑποβληθέντες τῇ τοῦ Χριστοῦ Ἐκκλησίᾳ, ἢ φαύλης συμμορίας προβληθέντες τῇ τοῦ Χριστοῦ Ἐκκλησίᾳ ἡγεμόνες φαυλότεροι παρεισάγουσι τοὺς τὰ αὐτῶν πάλαι φρονοῦντας, ἢ καὶ νῦν φρονεῖν ἐπαγγελλομένους τοῖς ἱεροῖς τῶν Ἐκκλησιῶν θρόνοις, ἀνθρώπους μήθ’ ὅθεν εἰσί, μήθ’ ὅτι προεστήσαντο ἐπιτήδευμα παρὰ τὸν βίον γινωσκομένους τοῖς πλείοσι. Καὶ πληροῦται λοιπὸν ἡ τοῦ Θεοῦ Ἐκκλησία αἰσχύνης καὶ ἀδοξίας, οὐκ ἔστιν εἰπεῖν ὁπόσης καὶ οἵας. Καὶ οἱ μὲν οὕτως. Ἡμεῖς δὲ ἅπαξ τῆς αὐτῶν κοινωνίας ἀποῤῥαγέντες μένομεν ἡσυχάζοντες ἐφ’ ἑαυτῶν, Θεῷ μόνῳ τὰ τῆς ἀδικίας ἀνατιθέντες, κἀκεῖθεν τὴν κρίσιν τῶν γινομένων ἥξειν ἐλπίζοντες. Ἀλλ’ οὐχὶ καὶ οἱ οὕτως ἡμᾶς ἀδικήσαντες, ἠρεμεῖν ἀγαπῶσιν, ἀλλ’ εἰ | μὴ καὶ ἡμᾶς εἰς τὸ ἴσον ἑαυτοῖς βάραθρον συγκατασπάσαιεν, ἐπιτιθέμενοι καὶ καθέλκοντες ἑαυτοῖς κοινωνεῖν, οὐκ ἀνεκτὸν ἥγηνται. Οὐκοῦν νῦν μὲν πρεσβεύουσι καὶ καθυπισχνοῦνται μεγάλα, νῦν δὲ μεταβαλόντες, ποιοῦσι τὰ διωκτῶν καὶ τυράννων, καὶ καθειργνύουσιν ἀσφαλῶς, ὥστ’ ἀθεάτους εἶναι καὶ ἀπροΐτους, ὁποῖα καὶ λῃσταὶ ποιοῦσι τοὺς εἰς χεῖρας ἰόντας, καὶ πιέζουσιν ὁπόσα δύνανται. Νῦν δ’ ἀπειλοῦσιν ἐπὶ πλέον ἐξάγειν τὰ τῆς ἀπανθρωπίας. Εἶτα καὶ γραφὰς καθ’ ἡμῶν σκαιωροῦσιν, ἔγκλημα ποιούμενοι τὴν ἀκοινωνησίαν, ἄλλο δ’ οὐδέν. Ἀφαιροῦνται πρὸς τούτοις τὰς ἐκκλησίας καὶ τοὺς τοῦ ζῆν ἡμᾶς πόρους, ἵνα θάνατος ἡμῖν βίαιος ἐπιστῇ. Ἀλλ’ ἡμεῖς μέχρι τινὸς ἀνεχόμενοι τῆς τούτων παραπληξίας, ὡς οὐδὲν ἐπιεικέστερον εἴδομεν αὐτοὺς διατιθεμένους, δρῶμεν ὃ καὶ τοῦ κακῶς αὐτοὺς ἄρξασθαι ποιεῖν ἡμᾶς ἔδει, καὶ κοινὴν πρὸς αὐτοὺς συντάττομεν ὑπόμνησιν, τὰ μὲν ἀξιοῦντες, ἔστι δ’ ἃ καὶ συμβουλεύοντες σύνοδον συγκροτηθῆναι, | εἰ μὴ πάντων ἀρχιερέων, τῶν γοῦν ἐγγὺς ὄντων, ὅπως τὰ κακῶς δογματισθέντα τε καὶ πραχθέντα ἐξετασθῇ, καὶ οὕτω συναφθῇ τὰ διεστῶτα μέρη τῆς Ἐκκλησίας. Προστεθήκαμεν δὲ τῇ ὑπομνήσει καὶ τῶν ἐφ’ ἑκάστοις τῶν παρ’ αὐτοῖς πραττομένων ἱεροὺς καὶ θείους κανόνας, ὑφ’ ὧν κωλυόμενοι, τῆς αὐτῶν ἀπέχομεν κοινωνίας, διαμαρτυρόμενοι καὶ τοῦτο, ὡς εἰ μὴ μετὰ κρίσεως ἀκριβοῦς τὴν προσήκουσαν θεραπείαν λάβοι τὰ πράγματα, οὔτε αὐτοῖς ποτε κοινωνήσομεν, ἀλλὰ καὶ κατὰ τοὺς ἀναγεγραμ-
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tazione di sacrilegio nel monastero della Peribleptos.345 Il ladro aveva spogliato le icone e fatto a pezzi i contenitori dell'olio delle suppellettili sacre per, come Giuda, procurarsi del denaro. Egli non ha nemmeno onorato il giorno della Passione salvifica della Settimana Santa, e si prendeva cura del corpo con bagni, cibi e bevande a violazione del canone e a scandalo e offesa della coscienza dei monaci, soprattutto di quelli che erano presenti e lo vedevano nel divino monastero dell'Anastasis di Cristo Dio.346 Egli infatti avrebbe bisogno piuttosto di bagni caldi per essere annegato invece che per purificarsi! Costoro dunque, quali fondamenta illegali gettate per la Chiesa di Cristo o quali guide più che spregevoli del loro gruppo spregevole poste alla testa della Chiesa di Cristo, vi introducono quelli che fin dal passato condividevano le loro dottrine o che ora proclamano di pensare in accordo ai sacri troni delle chiese, uomini noti ai più perché non se ne conosce l'origine né il tipo di vita che hanno condotto.347 Di conseguenza, la Chiesa di Dio è riempita di vergogna e di disprezzo, e non siamo in grado di dirne né quanti né quali. Noi, una volta separati dalla comunione con loro, rimaniamo nella quiete per conto nostro, offrendo a Dio solo le ingiustizie, sperando che da lì verrà il giudizio su quanto è accaduto. Ma quelli che così tanto ci fanno torto non desiderano stare tranquilli senza trascinare giù anche noi nel loro stesso precipizio, e ci ordinano e ci spingono di essere in comunione con loro, considerando intollerabile . Quindi un momento ci mandano messi e ci fanno grandi promesse, un altro cambiano atteggiamento, commettono azioni persecutorie e tiranniche, ci rinchiudono sotto sorveglianza in modo che non possiamo vedere nessuno e in isolamento, come fanno i briganti con quelli che cadono nelle loro mani, ci tormentano per quanto è loro possibile, e a volte ci minacciano di farci cose ancora più violente. Poi elaborano anche lettere contro di noi, muovendoci l'accusa della separazione dalla comunione e nient'altro. Oltre a questo ci tolgono le chiese e le nostre rendite per il sostentamento in modo che una morte violenta ci sopraggiunga. Noi da parte nostra, per un certo tempo sopportiamo la loro demenza, ma poiché vediamo che essi non sono disposti a nulla di più ragionevole, facciamo ciò dobbiamo fare, dal momento che loro avevano iniziato a compiere il male. Componiamo un rapporto comune a loro rivolto, facciamo delle richieste e consigliamo di convocare un sinodo, se non di tutti i vescovi almeno di quelli che stanno vicini, per esaminare quanto era stato malvagiamente dogmatizzato e commesso e riunificare così le parti separate della Chiesa. Aggiungemmo al rapporto anche, per ciascuna delle azioni da loro compiute, i sacri e divini canoni in base alle cui proibizioni ci asteniamo dalla loro comunione. Testimoniamo anche questo: se le faccende non avranno la cura necessaria tramite un giudizio accurato,
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μένους κανόνας τῶν ἱερῶν Ἀποστόλων, καὶ τῶν ἁγίων καὶ οἰκουμενικῶν συνόδων ταῖς αὐταῖς αὐτοὺς ὑποβάλλομεν τιμωρίαις, καθαιροῦντες ὡς ἐκεῖνοι καὶ ἀναθεματίζοντες. Καὶ ἡμεῖς μὲν οὕτως ἐποιήσαμεν. Οἱ δέ, ἅπαξ τῆς εὐθείας ἀποπλανηθέντες χειρί τε μόνῃ καὶ δυναστείᾳ ἐπιθαῤῥοῦντες τῇ ἔξωθεν, ἀποπτύουσι νόμους καὶ δικαιοσύνην Θεοῦ, καὶ ξιφήρεις καθ’ ἡμῶν ἄντικρυς ἑκάστοτε ἐξορμῶσι πᾶν ὅ τι ἂν ἐπίῃ δεινόν, εἰς ὕ|βριν καὶ ἀτιμίαν διανοούμενοι, οὐκ εἰδότες οἱ τάλανες, ποίου καὶ τίνος ἐσμὲν πνεύματος ἀμφότεροι, οὐδ’ ἀρχὴν ἐνθυμούμενοι τὰ τῆς δικαιοσύνης τάλαντα, ὅπως ἑκάστοις ἐπιμετρεῖ τῶν πεπραγμένων τὰς ἀμοιβάς. Ἔδοξε τοίνυν ἡμῖν ἐπὶ τοῖς ἀλόγοις αὐτῶν ἔργοις καὶ λόγοις τρανοτέραν τὴν ἀποκήρυξιν ποιήσασθαι, ἐντάξαι τε τῷ παρόντι γράμματι καὶ ὀλίγα τῶν παρ’ αὐτοῖς πεπραγμένων. Καὶ δὴ συνελθόντες οἵ τε τῇ βασιλίδι ταύτῃ παρόντες ἀρχιερεῖς ὡσεὶ δέκα τὸν ἀριθμόν, οἵ τε ἔξωθεν διὰ γνωμῶν καὶ γραμμάτων ὑπὲρ εἴκοσιν ὄντες, προσλαβόντες δὲ καὶ τὰς καθαιρετικὰς σημειώσεις τῶν ἀνωτέρω εἰρημένων πατριαρχῶν, καὶ πρὸ τούτων τοὺς ἀποστολικούς τε καὶ πατρικοὺς ὅρους, ἥγουν περὶ τῆς ἀκανονίστου χειροτονίας τὸν τῶν Ἀποστόλων τριακοστόν, τὸν τῶν ἐν Νικαίᾳ τῆς πρώτης συνόδου τέταρτον, καὶ αὖθις τὸν ἐν Νικαίᾳ τῆς δευτέρας τρίτον· περὶ δὲ τῶν Ἐκκλησίας καθαιρεθέντων, εἶτα τολμηρῶς ἁπτομένων | τῆς λειτουργίας, τὸν ἐν Ἀντιοχείᾳ τέταρτον, καὶ αὖθις τῶν αὐτῶν ἕκτον, τὸν τῶν ἁγίων Ἀποστόλων εἰκοστὸν ὄγδοον, καὶ τῶν αὐτῶν αὖθις δέκατον· ἔτι περὶ τοῦ μὴ ἀφίστασθαι τοὺς πατέρας τῶν ἰδίων τέκνων δι’ ἄσκησιν τὸν τῶν ἐν Γάγγρᾳ πεντεκαιδέκατον· περὶ δέ γε τῶν νέα δόγματα καινοτομούντων, πρὸς δὲ καὶ βεβηλούντων ἅγια σκεύη, καὶ ἀλλοῖά τινα καθιερωμένα Θεῷ, τὴν ἐν Νικαίᾳ τὸ δεύτερον ἀκροτελεύτιον διαταγήν· πρὸς δὲ τούτοις καὶ ὅσα φασὶν οἱ θεῖοι πατέρες ἐπιτίμια κεῖσθαι τοῖς τὰς ὡρισμένας νηστείας ἀνευλαβῶς καταλύουσι· ταύτας δὴ τὰς ἱερὰς ἀποφάσεις, ὥς τινα παντευχίαν ἰσχυρὰν ἐνδυσάμενοι, λέγομεν οὕτω μετὰ τοῦ ἁγίου Πνεύματος, καὶ τῶν παρ’ αὐτοῦ σοφισθέντων ἱερῶν Ἀποστόλων καὶ ἁγίων συνόδων· Ἰσίδωρον τὸν ἐκ γένους ἐπονομαζόμενον Βούχειρα, ἀναξίως ἐπιβάντα τοῦ πατριαρχικοῦ θρόνου, καὶ μήτε τὴν συνοδικῶς ἐξενεχθεῖσαν κατ’ αὐτοῦ καθαίρεσιν ἐπὶ κακοδοξίᾳ εὐλαβηθέντα, μήτε εἰς νοῦν λαβόντα τὰ ἀναγεγραμμένα ἐγκλήματα, | οἷσπερ ἔπεσεν, ἀλλ’ ὑπὸ κοσμικῆς ἐξο[υ]σίας καθωπλισμένον τὴν ἀρχιερ[ωσύν]ην ἁρπάσοντα, εἶτα καὶ ἀργίαις καὶ ἐ[πιτι]μή[σεσι], καὶ διω[γ]μοῖς ἐπαναγκάζον[τα τὴν] πρὸς αὐτὸν κοινωνίαν, ἱερέων, [μ]ον[αστῶν] καὶ πρὸς τούτοις ἀρχιερέων, [καὶ κα]θ[αι]ρέσεις τὰς μ[ὲν] ποιοῦντα ἀκρί[τ]ως καὶ ἀδοκιμάστως, τὰς δὲ καὶ διαμελ[ετῶ]ντα, τοῦτον τὸν πᾶσι Χριστιανοῖς πρόσ-
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non saremo mai in comunione con loro, ma anche, in conformità ai canoni scritti dei sacri Apostoli e dei santi ed ecumenici Concili, li sottoporremo alle pene previste, li deporremo come questi prescrivono e lanceremo l'anatema su di loro. Noi abbiamo fatto così. Quelli, una volta deviato dalla retta via, fanno affidamento soltanto sulla mano e sul potere secolari, respingono le leggi e la giustizia di Dio, incitano ogni giorno contro di noi armati di spada, progettando per prepotenza e infamia ogni cosa malvagia che potrebbe essere compiuta, ignorando gli sventurati di che specie e di quale Spirito siamo gli uni e gli altri e senza considerare assolutamente la bilancia della giustizia quale misura delle ricompense per le azioni fatte da ciascuno. Ci è dunque sembrato opportuno di esprimere in modo più chiaro la scomunica circa le loro assurde opere e parole ed esporre nel presente documento alcune delle azioni da loro compiute. Riunitisi quindi i vescovi presenti in questa città imperiale, circa dieci di numero, mentre quelli che stavano fuori tramite procure e lettere erano più di venti, recepiamo le scomuniche dei summenzionati patriarchi e prima di queste i decreti degli Apostoli e dei Padri, e cioè: sulle ordinazioni non canoniche il xxx canone degli Apostoli,348 il iv del i Concilio di Nicea349 e di nuovo il iii del ii Concilio di Nicea350; su coloro che sono stati deposti dalla Chiesa che successivamente celebrano in modo audace la liturgia il iv canone di Antiochia351 e di nuovo il vi tra questi,352 il xxviii canone dei santi Apostoli353 e di nuovo il x tra gli stessi;354 e ancora sul non separare i padri dai propri figli a ragione dell'ascesi il xv canone di Gangre;355 su coloro che inventano nuovi dogmi e inoltre profanano le suppellettili sacre e gli altri oggetti consacrati a Dio la disposizione finale nel decreto di Nicea ii;356 e oltre a ciò le pene che i divini Padri impongono a coloro che senza timore di Dio infrangono i digiuni stabiliti.357 Avendo rivestito questi sacri decreti come una sorta di potente armatura, diciamo così con il santo Spirito, i sacri Apostoli e i santi Concili da lui istruiti: Isidoro, di cognome Boucheiras, che in modo indegno è asceso al trono patriarcale, e né ha tenuto conto della deposizione a cui è stato sottoposto per malvagia dottrina promulgata dal sinodo, né ha preso in considerazione le imputazioni messe per iscritto nelle quali era incorso, ma armato dal potere secolare ha rapinato la carica di patriarca e poi ha costretto alla comunione con lui, per mezzo di sospensioni, pene e persecuzioni, sacerdoti, monaci e oltre a questi vescovi, e di deposizioni, emettendo le une senza giudizio e senza prove, meditando con cura le altre, fatto che è diventato uno scandalo per tutti i Cristiani – a causa di ciò si privarono della comunione dei
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III. I documenti e i testi
κο[μμα] γεγονότα, δι’ὃν ἀπέστησαν κοινωνίας μ[υστη]ρίων Θεοῦ καὶ ἁγιασμοῦ ἀρχιερεῖς, ἱερεῖς, [μο]ναχοί, λαϊκοί, καθαιροῦμεν ὅλῃ ψυχῇ [τε] καὶ προθυμίᾳ, καὶ τῆς ἀναξίως αὐτῷ περιτεθείσης διὰ τῆς κοσμικῆς δυναστείας ἀπογυμνοῦ[μεν] πατριαρχικῆς ἐξουσίας. [Ἔτι] δὲ σὺν αὐτῷ καὶ Παλαμᾶν, τὸν ἀρχηγὸν [τῆς] κακοδοξίας, τοὺς πολλοὺς συνταξά[μενον] λόγο[υς], ἐφ’ ᾧ συ[σ]τῆσαι τὰ σαθρὰ καὶ μάταια τ[ῆς οἰ]κεί[ας φρε]νὸς κυήματα, καὶ τὴν τοῦ Θεοῦ Ἐκκ[λησί]αν ἀναμοχλεύσαντα, θεότησιν ὑπερκε[ιμέν]αις καὶ ὑφειμέναις, καὶ θεοὺς | καὶ θεότησιν ἀναπλάσαντα, ὁρα[τούς] τε καὶ ἀοράτους, [τὸ] δὲ παρὰ τῶν ἁγίων Πατέρων [τ]ῶν ἐν Νικαίᾳ κατασφραγισθὲν τῆ[ς] πίστεως τ[ῶν] Χριστιανῶν [ἅγιον σύμβολον, εἰ]ς ἕν[α Θεὸν καὶ μ]ίαν θεότητα πιστεύειν διακε[λευόμ]ενον, [κ]αὶ τ[ὰ]ς ἑτέρας οἰκουμενικὰς συ[νό]δους παρ’ οὐδὲν θέμενον, κ[αὶ νέ]ας ἐκ[τι]θέμενον [θ]εολο[γί]ας, α[ὐτ]όν τε ὑπ[ὲρ α]ὐτοῦ, [καὶ] τῶν τὰ αὐτὰ τ[ού]τῳ φρονούντων, προσέτι καὶ [αὐ]τὰ τῶν ἁγίων εἰκόνων καὶ ἱερῶ[ν σ]κευῶν, [κ]αὶ [τῆ]ς ἄλλης χριστιανικῆς εὐταξία[ς] χωρήσαντα, ὡς καὶ [ἱερ]ουργεῖν τολμᾶν [με]τὰ τὴν ἐπ’ αὐτῷ καθ[αί]ρεσιν. Τοῦτον τὸν παλαμναῖον ἢ Παλαμᾶν, καὶ εἴ τις ἕτερος τοῦ [πο]νηροῦ αὐτοῦ κόμματος ἔ[λ]αθεν ἐν τῷ παρόντι κλέψας τὴν ἀρχιερ[ωσύν]ην, ο[ὐχ] ἱερωσύνης ἀπογυμνοῦμεν ἁπλῶς, καὶ διηνεκεῖ καθαιρέσει καθυποβάλλομεν, ἀλλ[ὰ] καὶ πυρὸς καὶ [σ]ιδήρου ἀξίους κρίνομεν [ὡς] τέκνα [μ]ωμητά, καὶ γενεὰν σκολιὰν [καὶ διεστραμμέ]νην, καὶ τοιαῦτα ἀνταποδό[ματα ἀ]ν[τ]αποδιδόντας Θεῷ. Καὶ ταῦτα μ[ὲν ταῦτ]α | ἐννόμως καὶ κανονικῶς ἀπεφηνάμεθα κατὰ τῶν ἀναξίων τῆς τῶν ψυχῶν ἐπιμελείας καὶ τοῦ ἀρχιερατικοῦ ἐπαγγέλματος ἀνιέρων ἀρχιερέων, ἅτινα καὶ διαμενεῖ βέβαια, κανονικαῖς, ὡς εἴρηται, καὶ ἀρχιερατικαῖς ἀποφάσεσι νῦν τε καὶ πάλαι τὸ κῦρος ἔχοντα, καὶ οὐκ ἂν Χριστιανοῖς εὐσεβοῦσι παραβαθησόμενα. Ἡμεῖς δὲ ὃ λοιπόν ἐστι προνοουμένοις τοῦ μέλλοντος, τοῦ μὴ λανθάνειν τοὺς τοιούτους λύκους εἰσιόντας εἰς τὰ τοῦ Χριστοῦ πρόβατα, καὶ σπαράττειν ψυχὰς ἀπλουστέρας, τοῦτο δὴ καὶ προὔργου ποιησόμεθα. Καὶ δὴ παραγγέλλομεν πᾶσι τοῖς εἰς τὸν Κύριον ἡμῶν πεπιστευκόσι Χριστόν, καὶ ἕνα Θεὸν καὶ μίαν ὁμολογοῦσι θεότητα, φεύγειν πάσῃ δυνάμει τὴν πονηρὰν αὐτῶν κοινωνίαν καὶ ἃς ἀθέσμως ἐπὶ καταστροφῇ ψυχῶν ποιοῦνται διδασκαλίας, οὐδὲν λοιμώδους πάθους διαφερούσας, προσιέναι δὲ τοῖς τροφίμοις τῆς Ἐκκλησίας ἀνδράσιν, οἵτινες ὡς ἀπὸ πηγῆς τοῦ παναγίου Πνεύματος ἀρδευόμενοι, τὰ δι|δασκαλικὰ προχέουσι νάματα, ὧν οἱ καρποὶ εἰρήνη μὲν κατὰ τὸ παρόν, χαρά, ἀγαλλίασις, ἐν δέ γε τῷ μέλλοντι φωτὸς ἀπόλαυσις αἰωνίου, κλῆρος τῆς ἄνω Ἐκκλησίας τῶν πρωτοτόκων, καὶ βασιλείας οὐρανῶν ἐπίτευξις. Ταῦτα τοῖς τὰς πατρικὰς παραδόσεις μέχρι θανάτου συντηρεῖν διαγωνιζομέ272 τέκνα … 273 διεστραμμένην] Dt. 32, 5.
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misteri di Dio e della santificazione vescovi, sacerdoti, monaci e laici –, deponiamo con tutta l'anima e il nostro zelo e lo spogliamo dell'autorità patriarcale da lui indegnamente assunta grazie al potere secolare. E assieme a lui anche Palamas, l'autore della malvagia dottrina, che ha composto molti discorsi per dare fondamento alle difettose e vane creazioni della sua mente, che ha scassinato la Chiesa di Dio con divinità superiori e inferiori, e che ha inventato, oltre alle divinità, dei visibili e invisibili, non tenendo in nessun conto il santo simbolo di fede dei Cristiani sigillato dai santi Padri a Nicea che ordinava di credere in un solo Dio e in una sola divinità e gli altri Concili ecumenici, che ha prodotto una nuova teologia in difesa sua e di quelli che la pensano come lui, e inoltre ha commesso tali azioni contro le sante icone e le suppellettili sacre e il resto dell'ordine cristiano da osare celebrare dopo la deposizione a lui inflitta. Se questo scellerato Palamas o qualcun altro del suo malvagio partito si impadronisse di nascosto della carica vescovile, non soltanto lo spogliamo del sacerdozio e lo sottoponiamo alla scomunica perpetua, ma anche lo giudichiamo degno del ferro e del fuoco quali figli riprovevoli e generazione perversa che ricambia Dio con tali ricompense. Sanciamo dunque questo in conformità ai canoni e alle leggi contro gli inadatti alla cura delle anime e vescovi indegni del ministero vescovile; cosa che rimane sicura, perché ha la sanzione ora e nel passato delle decisioni dei canoni e dei patriarchi e non potrà essere violata dai pii Cristiani. Noi – cosa da aggiungere –, preoccupandoci che in futuro non penetrino di nascosto siffatti lupi tra le pecore di Cristo e dilanino le anime più semplici, facciamo apertamente questo. Esortiamo tutti quelli che credono nel Signore nostro Cristo e confessano un solo Dio e una sola divinità di fuggire con tutte le loro forze la loro malvagia comunione e gli insegnamenti che illegalmente impartiscono per la rovina delle anime, che non si distinguono per nulla dal morbo della peste, di avvicinarsi agli uomini educati dalla Chiesa, i quali come irrigati dalla sorgente del santissimo Spirito effonderanno correnti di insegnamenti, i cui frutti sono nel presente pace, gioia ed esultanza e nel futuro godimento della luce eterna, eredità della Chiesa celeste dei primogeniti e possesso del Regno dei cieli. Questi sono i premi per coloro che combattono per conservare sino alla morte
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III. I documenti e i testi
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νοις ἔπαθλα, ταῦτα καὶ κληρουχίαι τοῖς ὅρια Πατέρων μὴ μεταίρειν προαιρουμένοις. Ἐγράφη ὁ παρὼν τόμος μηνὶ ἰουλίῳ, ἰνδικτιῶνος ιε΄.
330 L’incipit è un’eco evidente di Sal. 48, 1–3 ed Ez. 29, 3, versetti che troviamo ripresi assieme in opere dell’età patristica e bizantina, così nell’incipit di Gregorio di Nazianzo, Discorsi, 4, 1: J. Bernardi, Grégoire de Nazianze, Discours 4–5. Contre Julien (SC 309). Paris 1983, 86. 331 Evocazione del sinodo del 10 giugno 1341, che si concluse con la condanna di Barlaam. 332 Rimando ironico agli scritti di Gregorio Palamas e dei suoi (come Giuseppe Kalothetos) che esibivano il Tomo sinodale del 1341 quale approvazione delle proprie dottrine. 333 Cfr. Tomo sinodale 1341: PRK ii, nr. 132, ll. 62–94, 216–218, 477–489, 254. 334 Cfr. più in basso ll. 163–165. 335 Nella parte finale della frase si riecheggia un passaggio del Discorso patriarcale di Giovanni xiv Caleca: PG 150, 894a1–5. 336 Sulla permanenza protrattasi per due mesi di Gregorio Palamas e altri monaci in Santa Sofia agli inizi del 1343, v. la testimonianza dello stesso Palamas, Refutazione del tomo del patriarca di Antiochia, 18: PS ii, 637; Lettera agli anziani, 7: ivi, 514; e anche Gregorio Acindino, Rapporto al patriarca, 13: Nadal 2002, 265; prostagma imperiale (marzo 1343): PRK ii, nr. 141, 308–310; cfr. Rigo 2018. 337 Rimando alla reclusione di Gregorio Palamas nella prigione del palazzo imperiale, cfr. Gregorio Palamas, Refutazione del tomo del patriarca di Antiochia, 20: PS ii, 639; Filoteo Kokkinos, Encomio di Gregorio Palamas, 76: Tsamis 1985, 512. 338 Riferimento alla convocazione di Gregorio Palamas da parte del patriarca Giovanni xiv Caleca e alla richiesta di presentare una professione di fede (primavera 1342), cfr. Darrouzès 1977, nr. 2231 e anche 2225 e 2233. Evidenti precedenti di queste righe sono due documenti dello stesso Caleca, Discorso patriarcale: PG 150, 892d6–8, 15–893a2 (per Isidoro, 893c2–3); Interpretazione del tomo: PG 150, 901d13–902a9. 339 Per la deposizione di Isidoro cfr. Darrouzès 1977, nr. 2250. Il successore qui evocato è Giacomo Koukounares (PLP 13408). 340 Per gli atti di Giovanni Caleca cfr. Darrouzès 1977, nr. 2249, 2252; poi v. 2250 e 2256 e più in basso, 163–166. Il tomo di Ignazio di Antiochia è perduto. Se ne conservano soltanto alcuni estratti in Gregorio Palamas, Refutazione del tomo del patriarca di Antiochia, 20: PS ii, 625–647. In merito a queste righe v. in particolare il passo parallelo di Arsenio di Tiro, Tomo, dove si menzionano, nello stesso ordine, Giovanni Caleca, Ignazio di Antiochia e i metropoliti: «Συναγαγὼν τοίνυν ὁ πατριάρχης τὴν ὑπ’ αὐτὸν θείαν καὶ ἱερὰν σύνοδον, θριαμβεύει τε τὰ τούτου ληρήματα καὶ ἀφορισμῷ καὶ τελείῳ παραπέμπει τῷ ἀναθέματι σὺν πᾶσι τοῖς αὐτοῖς γε ὁμόφροσι καὶ τόμον ἐκτίθησι τούτου ἕνεκεν, ἐν ᾧ ἀποφατικῶς οὕτω διαλαμβάνεται· Ἀ μέ λε ι ο ὐδ ὲ π α ρ ε θ ε ω ρή θ η καὶ τὰ ἑξῆς ζήτει [Discorso patriarcale]»: Polemis 1993, 257, ll. 93–97. E di seguito Arsenio di Tiro ricordava che Ignazio di Antiochia «ἔγγραφον ἐξέτο τὴν ἑαυτοῦ περὶ τούτου γνώμην καὶ [... Κωνσταντινουπόλεως] ἐνεχείρισεν οὕτω διαλαμβάνουσαν ἐν τῇ ἀποφάσει Δ ι ’ ἃ πάν τα. Καὶ ἕκαστος δὲ τῶν ὑπὸ τὸν ἁγιώτατον πατριάρχην Κωνσταντινουπόλεως τελούντων ἀρχιερέων μέλλων εἰς
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le tradizioni dei Padri, questi sono anche l'eredità per coloro che hanno scelto di non annullare i decreti dei Padri. Il presente tomo è stato scritto nel mese di luglio, indizione xv.
τὴν λαχοῦσαν αὐτὸν ἀπιέναι μητρόπολιν, τοιαύτην περὶ τούτου τὴν γνώμην ἐξέθετο»: ivi, ll. 114–119. 341 Rimando all'entrata di Giovanni Cantacuzeno in Costantinopoli durante la notte tra il 2 e il 3 febbraio 1347. 342 ������������������������������������������������������������������������������������������� Giovanni Caleca fu deposto il 2 febbraio 1347, alla vigilia dell'entrata di Giovanni Cantacuzeno in Costantinopoli. La deposizione fu poi confermata dal sinodo alla fine del mese di febbraio (e con la successiva redazione del Tomo sinodale). Il tomo è qui molto elusivo (e pour cause..., se pensiamo al ruolo giocato da Matteo di Efeso tra la fine del 1346 e l’inizio del 1347). 343 Sulla base dell'errata lettura di L. Allatius (Κυδωνίου) l’entrata in PLP 13885 (Κυδώνιος). Sapendo che Demetrio Cidone fu discepolo di Isidoro, è chiaro che si tratta della sua famiglia, e con ogni probabilità della maggiore delle sue tre sorelle, in merito cfr. Meyendorff 1959, 54 e, soprattutto, Tinnefeld 1981, 6, 161 n. 19. 344 Tzyrakis (PLP 28154), noto quale familiare di Anna Paleologa, fu membro di un'ambasciata da Cantacuzeno a Didymoteichon nell'autunno 1341 (Giovanni Cantacuzeno, Historiarum, lib. iii, 24: ii, 144–145). Agli inizi del 1347 fu tra coloro che intendevano facilitare l’ingresso di Cantacuzeno a Costantinopoli (ivi, iii, 97: ii, 598–600). 345 Su questo monastero cfr. Janin 1969, 218–222. Il soggiorno (o la visita?) di Palamas nel monastero della Peribleptos risaliva, stando al tomo, a qualche giorno prima («ieri», χθές), perciò al luglio 1347. 346 Sul monastero dell'Anastasis cfr. Janin 1969, 20–22; Thomas – Hero 2000, iv, 1374–1375. Gli avvenimenti narrati possono risalire soltanto al venerdì santo del 1347 (30 marzo) o a quello del 1342 (29 marzo). 347 Si ricorda qui la nomina di nuovi metropoliti dopo l'elezione di Isidoro a patriarca, cfr. più in alto, 42–45. 348 Canoni degli Apostoli, xxx (Περὶ ἱερατικοῦ τοῦ κοσμικοῖς ἄρχουσι χρησαμένου): «Se un vescovo, servendosi delle autorità civili, diventa grazie a loro titolare di una chiesa, sia deposto e scomunicato e assieme tutti quelli che sono in comunione con lui», Joannou 1962b, 21, ll. 14–20. 349 i Concilio di Nicea, iv (Ὑπὸ πόσων καθίστασθαι τὸν ἐπίσκοπον): «Il vescovo deve essere innanzitutto scelto da tutti i vescovi della provincia. Se tuttavia questo fosse difficile o per una necessità urgente o per la lunghezza della strada, tre vescovi devono assolutamente riunirsi e procedere all’elezione, provvisti del consenso scritto degli assenti, e allora si procede all’ordinazione. La conferma di quello che è stato fatto spetta di diritto in ogni provincia al vescovo metropolita», Joannou 1962a, 26, ll. 5–18. 350 ii Concilio di Nicea, iii (Ὅτι οὐ δεῖ ἄρχοντας ψηφίσθαι ἐπίσκοπον): «Ogni elezione di vescovo o presbitero fatta dalle autorità civili rimarrà senza valore in conformità del canone [Canoni degli Apostoli, xxx] (...). Il futuro candidato all’episcopato deve infatti essere proposto dai vescovi, secondo quanto fu definito dai santi Padri del Concilio di Nicea nel canone che
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III. I documenti e i testi
dice: [i Concilio di Nicea, iv]», Joannou 1962a, 250, l. 6–251, l. 14. 351 Sinodo di Antiochia, iv (Περὶ τῶν καθῃρημένων καὶ τολμώντων ἱερατεύειν): «Se un vescovo deposto da un sinodo, o un presbitero o un diacono deposti dal loro vescovo oseranno espletare qualcuna delle loro funzioni, sia il vescovo, secondo il costume in uso sinora, sia il presbitero sia il diacono, non sperino di ottenere la loro reintegrazione da un altro sinodo né di avere la facoltà di difendersi, ma anche tutti coloro che saranno in comunione con loro saranno esclusi dalla Chiesa, e soprattutto se oseranno essere in comunione con loro dopo aver saputo della sentenza emessa contro i suddetti», Joannou 1962b, 107, l. 20–108, l. 13. 352 Sinodo di Antiochia, vi (Περὶ τῶν ἀκοινωνήτων ὅτι οὐκ ἐξὸν αὐτοὺς δέχεσθαι): «Se uno è stato scomunicato dal proprio vescovo non può essere ammesso da altri se non è reintegrato dal suo, a meno che, riunitosi un sinodo, non si presenti per difendersi, convincendo il sinodo a prendere una decisione diversa. Questo decreto valga per i laici, i presbiteri, i diaconi e tutti i membri del clero», Joannou 1962b, 109, ll. 12–24. 353 Canoni degli Apostoli, xxviii (Περὶ παντὸς ἱερατικοῦ τοῦ μετὰ καθαίρεσιν λειτουργίας ἐφαπτομένου): «Se un vescovo, presbitero o diacono giustamente deposto per accuse manifeste, oserà riprendere la funzione che gli era stata affidata in precedenza, costui sia completamente escluso dalla Chiesa», Joannou 1962b, 20, l. 14–21, l. 2. 354 Canoni degli Apostoli, x (Περὶ παντὸς τοῖς ἀκοινωνήτοις συνευχομένου): «Se uno prega assieme a uno scomunicato anche in una casa privata, sia egli stesso scomunicato», Joannou 1962b, 12, l. 18–13, l. 2. 355 Sinodo di Gangre, xv (Περὶ τῶν ἐν προφάσει εὐλαβείας περιορώντων τὰ τέκνα): «Se uno abbandona i suoi figli e non li alleva e non inspira loro per quanto gli è possibile la pietà che si addice, ma con il pretesto dell’ascesi li trascura, sia anatema», Joannou 1962b, 95, ll. 10–18. 356 ii Concilio di Nicea, decreto: «Coloro dunque che oseranno pensare o insegnare diversamente, o rigettare in conformità con gli empi eretici le tradizioni ecclesiastiche e inventare delle novità (καινοτομίαν τινὰ ἐπινοεῖν), o gettar via qualcosa di ciò che è consacrato in chiesa, vangelo, croce, immagine dipinta, reliquia di un martire, o inventare astutamente e maliziosamente per sovvertire qualcuna delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica, e anche servirsi dei vasi sacri come di vasi comuni o dei venerandi monasteri, ordiniamo che se sono vescovi o clerici siano deposti, se monaci o laici siano esclusi dalla comunione», Mansi xiii, 380b. 357 Cfr. in primo luogo Giovanni il Digiunatore, Canonario: Morinus 1651, Appendix, 113– 114; v. anche Canoni degli Apostoli, lxix, Joannou 1962b, 43.
2. IL TOMO DI DEPOSIZIONE DI MATTEO DI EFESO (AGOSTO 1347) 2. 1 I MANOSCRITTI E L'EDIZIONE DI PORPHIRIJ USPENSKIJ Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso è stato a suo tempo pubblicato da P. Uspenskij (1892).358 Quest'edizione è stata in seguito utilizzata dagli studiosi che si sono occupati del periodo,359 ed è anche alla base della notizia consacrata al documento nei regesti del patriarcato di Jean Darrouzès.360 Da quanto ci risulta, il documento, assente nel registro patriarcale tra gli atti di Isidoro,361 è rinvenibile soltanto in tre manoscritti. Il più antico di questi è però considerevolmente danneggiato proprio nella parte che ci interessa. Come vedremo nel corso dell'analisi si tratta di un codice del XIV secolo, contenente la collezione delle opere di Gregorio Palamas, e di due suoi apografi più tardi. La diffusione di questo documento appare perciò oltremodo limitata, se raffrontata con quella degli altri tomi palamiti. Iniziamo con una presentazione dei manoscritti. İstanbul, Patriarchikê Bibliothêkê Ηaghias Triados 138, cart., XIV secolo (terzo quarto), mm 290 215, ff. 311. Descrizione: TSAKOPOULOS 1956, 158; GLABINAS 1976; SINKEWICZ 1988, 60–61; BINGGELI – CASSIN – CRONIER – KOUROUPOU 2019, I, 370– 372. Studio su microphiches dell'IRHT (Paris) e, in parte, su nuove riproduzioni digitali messe a disposizione da Matthieu Cassin. Un unico copista (scrittura su due colonne, 36 ll.). Il codice si trovava con ogni verosomiglianza sul Monte Athos, a Lavra, nel xv secolo (cfr. più in basso). Una nota al f. 246r attesta che il manoscritto era stato donato al monastero di Dousikou in Tessaglia. Mutilo all'inizio, il codice conserva una delle due colonne di testo per i ff. 206–245. A partire dal f. 246 sino alla fine si sono conservati soltanto piccoli frammenti dei H
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USPENSKIJ 1892, 728–737 (nr. 40). Cfr. così MEYENDORFF 1959, 134; KOUROUSIS 1972, 351, ecc. DARROUZÈS 1977, nr. 2289. Per le manipolazioni del registro in questo periodo cfr. le indicazioni di Otto Kresten, PRK II, 49–69.
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III. I documenti e i testi
fogli nella parte interna. I testi contenuti in questa ultima parte sono perciò identificabili, ma il testimone è praticamente inutilizzabile per l'edizione. Primo libro delle opere di Gregorio Palamas. (ff. 1ra–3rb ) I Trattato apodittico, inc. mut.: προαγόμενα παρὰ Λατίνων, PS I, 72, l. 5–77. (ff. 3rb–29rb) II Trattato apodittico. PS I, 78–153. (ff. 29rb–33ra) Refutazione delle Epigraphai di Giovanni Bekkos. PS I, 161–175. Ff. 33v–34v bianchi. (ff. 35ra–40vb) I Lettera a Gregorio Acindino. PS I, 203–219. (ff. 41ra–42va) II Lettera a Gregorio Acindino. PS I, 220–224. (ff. 43ra–54vb) I Lettera a Barlaam. PS I, 225–259. (ff. 54vb–66va) II Lettera a Barlaam. PS I, 260–295. (ff. 67ra–180va) Triadi in difesa dei santi esicasti, (I, 1: ff. 67ra–77ra, PS I, 359–389), (I, 2: ff. 77rb–80va, PS I, 391–406), (I, 3: ff. 80va–100va, PS I, 407– 463), (II, 1: ff. 101ra–115rb), (II, 2: ff. 115va–126rb, PS I, 465–506), (II, 3: ff. 126va–154ra, PS I, 507–536), f. 154v bianco, (III, 1: ff. 155ra–166va, PS I, 615, con des. mut.: γῆ καὶ σποδὸς, III, 1, 36: 649, l. 24), (III, 2: ff. 167ra–174rb, con inc. mut.: ἀκουστὴς ἐγένετο, III, 2, 1: PS I, 656, l. 17–678. Glossa: Ἐπεὶ δὲ καὶ θεωρίαι τοῖς ἁγίοις τούτοις ἀνδράσιν ἐπηκολούθουν ἀναλόγως τε καὶ καταλλήλως ταῖς πράξεσι κατὰ τὴν δεσποτικὴν ἐκείνην ἐπαγγελίαν, ἐμφανίζειν γὰρ ἑαυτὸν ἐπηγγείλατο τοῖς ἐν ἀγάπῃ τὰς αὐτοῦ τηροῦσι ἐντολάς· ταύτην δὲ τὴν ἐπαγγελίαν ὑποκρινόμενος ὁ διάβολος τοῖς οἰκείοις ἐπιφαίνεται μύσταις, ὁ σοφὸς οὗτος τὴν τοῦ Θεοῦ χάριν εἰς τὴν τοῦ Βελίαρ παραγνωρίζει καὶ μασσαλιανοὺς ἀποκαλεῖ παρρησίᾳ τοὺς τοῦ Χριστοῦ μαθητάς. (III, 3: ff. 175rb–180va, PS I, 679–684). (ff. 180vb–187ra) PHAKRASES, Racconto della discussione di Gregorio Palamas con Niceforo Gregoras. PS IV, 191–230. (ff. 187ra–241vb) I–IV Trattati antirretici contro Niceforo Gregoras, (I: ff. 187ra–198vb, PS IV, 231–264), (II: ff. 198vb–219va, PS IV, 265–320), (III: ff. 219vb–227ra, PS IV, 321–340), (IV: ff. 227ra–240vb, PS IV, 341–347). (ff. 240vb–243ra) Su un passo di san Basilio. PS IV, 382–389. (ff. 243rb–270ra) 150 Capitoli. PS V, 35–119, l. 11, con lacuna a f. 244v (τοῦ δεκάτου, 9: 41, l. 31); ultime parole visibili: διὰ τῶν κτισμά[των. F. 271v bianco. (ff. 272ra–274vb) Tomo aghioritico. PS II, 567–578. RIGO 2020. Prime parole visibili: Τὰ μὲν ἀρ PS II, 567, l. 1. (ff. 275ra–281r) Tomo sinodale del 1341, numerato κε´. PRK II, nr. 132, 208–256. Sottoscrizioni (ff. 280v–281r, ma all'origine terminavano al f.
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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281v): Gregorio di Sardi, Gregorio di Dyrrachion, Nilo di Lacedemonia, Isacco di Madyta, Malachia di Methymna, Macario di Bitzina, . Ἴσον τοῦ , ultime parole leggibili alla fine del f. 281r: κηρύττομεν. † Ὁ τα. Tipo DARROUZÈS 1977, nr. 2214, Texte C. a). Cfr., oltre a K e X, Oxford, Bodleian Library Laud. gr. 87, Athos, Monê Iviron 386 (4506), Athos, Megistê Lavra Ω 95 (1907). (ff. 281v–289r) Tomo sinodale del 1347. Prime parole visibili (f. 281v): ν ἑτέραν, PRK II, nr. 147, l. 14, 346, e alla fine del documento (f. 288r): ώτατον, nr. 147, l. 406, 380. Sentenza sinodale (DARROUZÈS 1977, nr. 2272), f. 288v ὺν αὐτῷ μοναχῶν – θείας βασίας καὶ ταῦτα : più in basso, 174, ll. 1–23. Dichiarazione sinodale (DARROUZÈS 1977, nr. 2280), ff. 288v–289r. Prime parole leggibili: ἱερὸν καὶ συνο, alla fine: ικάζοντες καὶ ἀποκηρ. Serie di firme leggibili solo in forma frammentaria sino a Giuseppe di Kallioupolis: più in basso, 174–175, ll. 26–47. (ff. 289v–293r) Tomo di deposizione di Matteo di Efeso. Prima parola leggibile: συνᾴδειν, più in basso, 144, l. 39; fine: † Ὁ ταπεινὸς μητ, 160, l. 300. (ff. 293v–308v, 310rv, 309rv) Tomo sinodale del 1351. Prime parole leggibili: τοῦτο λάφυρον, PG 151, 717C5; fine dell'ultimo frammento: καὶ θείαις συνο, 761A8. F. 311rv bianco. K Athos, Megistê Lavra Λ 135 (1626), cart., XV secolo, mm 210 140, ff. 782. Descrizione: SPYRIDON LAVRIOTIS – EUSTRATIADIS 1925, 287–289.362 Studio su microfilm e autopsia del manoscritto effettuata durante il mese di settembre 1995. Questo manoscritto monumentale (il koubaras di Lavra eseguito nel monastero stesso) presenta una sezione di testi e di documenti legati alle controversie teologiche del XIV secolo. (ff. 535v–570v) GREGORIO PALAMAS, I–II Trattati apodittici. PS I, 23– 153.
————– 362
Una nuova descrizione del codice è in preparazione a cura di Paolo Eleuteri e Antonio Rigo.
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III. I documenti e i testi
(ff. 570v–573v) GREGORIO PALAMAS, Refutazione delle Epigraphai di Giovanni Bekkos. PS I, 161–175. (ff. 573v–578r) GREGORIO PALAMAS, I Lettera a Gregorio Acindino. PS I, 203–219. (ff. 578r–579r) GREGORIO PALAMAS, II Lettera a Gregorio Acindino. PS I, 220–224. (ff. 579r–587r) GREGORIO PALAMAS, I Lettera a Barlaam. PS I, 225–259. (ff. 587r–591r) Racconto della discussione di Gregorio Palamas con Niceforo Gregoras. PS IV, 191–230. (ff. 591r–602v) GREGORIO PALAMAS, I, III Trattati antirretici contro Niceforo Gregoras, I (ff. 591r–598r): PS IV, 231–264. III (ff. 598r–602v): PS IV, 321–340. (ff. 602v–604v) Ἔκθεσις ἐν ἐπιτομῇ τῶν ζητημάτων τῆς τοῦ δόγματος ὑποθέσεως καὶ λύσις ἀπορίας σύντομος τῶν ἐπαπορούντων πῶς ἡ διαφορὰ τῶν ἐπιθεωρουμένων τῷ Θεῷ φυσικῶν ἐνεργειῶν θεωρεῖται καὶ ἐν ὀλίγῳ περὶ τοῦ ἐν Θαβωρείῳ φῶς, inc.: Ταῦτα ζητεῖται περὶ τῆς προκειμένης ἡμῖν ὑποθέσεως, des.: ἀσεβέστερόν τε καὶ ἀθεώτερον. Dopo alcuni testi di polemica antilatina inizia la serie dei tomi, preceduta dalla rubrica: Ἀρχὴ σὺν Θεῷ ἁγίῳ τῶν ἱερῶν τόμων, οἵτινες κατὰ τῶν κακοδόξων Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου καὶ τῶν τούτοις ὁμοδόξων παρά τε τοῦ Ἁγίου Ὄρους τὴν ἀρχὴν καὶ τῆς ἁγίας τοῦ Χριστοῦ καθολικῆς καὶ ἀποστολικῆς Ἐκκλησίας ὕστερον ἐν Κωνσταντινουπόλει συνοδικῶς ἐξετέθησαν (f. 617v). (ff. 617v–619v) Tomo aghioritico. PS II, 567–578; RIGO 2020. (ff. 619v–624r) Tomo sinodale del 1341. PRK II, nr. 132, 208–256. Sottoscrizioni (f. 624r) del tipo DARROUZÈS 1977, nr. 2214 Texte C. a). Cfr., oltre a H e X, Oxford, Bodleian Library Laud. gr. 87, Athos, Monê Iviron 386 (4506), Athos Megistê Lavra Ω 95 (1907). (ff. 624r–627v) Tomo sinodale del 1347. PRK II, nr. 147, 346–382. Sentenza sinodale (DARROUZÈS, Regestes, nr. 2272), Dichiarazione sinodale (DARROUZÈS 1977, nr. 2280). MEYENDORFF 1963, ll. 459–507 (224–226); cfr. più in basso, 174–176. (ff. 628r–630v) Tomo di deposizione di Matteo di Efeso. Più in basso, 142–160. Tav. I per f. 628r. (ff. 630v–643v) Tomo sinodale del 1351. PG 151, 717–762. Sulle sottoscrizioni (f. 643v) cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2326 Critique B. Athos, Megistê Lavra Ω 133 (1945), cart., XVIII secolo (a. 1708), 328 220, ff. I–III, 265. Descrizione: SPYRIDON LAVRIOTIS – EUSTRATIADIS 1925, 358–359. X
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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Autopsia del manoscritto effettuata durante il mese di settembre 1995. Un unico copista ha eseguito l'intero codice. Manoscritto eseguito per conto di Nicola Maurokordatos (1680–1730), come si evince dalla nota al f. 1r: Μετεγράφη ἀναλώμασι καὶ ἐπιμελείᾳ Νικολάου Μαυροκορδάτου Κωνσταντινουπολίτου τοῦ μεγάλου Λογοθέτου τῆς τοῦ Χριστοῦ Μεγάλης Ἐκκλησίας καὶ γενικοῦ ἑρμηνέως τῆς τῶν Ὀθωμανῶν αὐταρχίας κατὰ τὸ ˏαψηʹ ἔτος τὸ σωτήριον (Tav. II). Nel margine superiore del f. 2r nota di possesso del monastero di Lavra: Μ. Λαύρας. Primo libro delle opere di Gregorio Palamas (ff. 2r–5v) Refutazione delle Epigraphai di Giovanni Bekkos. PS I, 161– 175. F. 6rv bianco. (ff. 7r–12r) I Lettera a Gregorio Acindino. PS I, 203–219. (ff. 12v–13v) II Lettera a Gregorio Acindino. PS I, 220–224. (ff. 14r–24v) I Lettera a Barlaam. PS I, 225–259. (ff. 24v–35v) I Lettera a Barlaam. PS I, 260–295. (ff. 36r–144r) Triadi in difesa dei santi esicasti, (I, 1: ff. 36r–45r. PS I, 359–389), (I, 2: ff. 45v–49v. PS I, 391–406), (I, 3: ff. 49v–67v. PS I, 407–463), (II, 1: ff. 68r–81v. PS I, 465–506), (II, 2: ff. 82r–92r. PS I, 507–536), (II, 3: ff. 92v–118r. PS I, 537–613), f. 118v bianco, (III, 1: ff. 119r–131v. PS I, 615– 653), (III, 2: ff. 131v–139r. PS I, 655–678), f. 139r Glossa: Ἐπεὶ δὲ καὶ θεωρίαι τοῖς ἁγίοις τούτοις ἀνδράσιν ἐπηκολούθουν ἀναλόγως τε καὶ καταλλήλως ταῖς πράξεσι κατὰ τὴν δεσποτικὴν ἐκείνην ἐπαγγελίαν, ἐμφανίζειν γὰρ ἑαυτὸν ἐπηγγείλατο τοῖς ἐν ἀγάπῃ τὰς αὐτοῦ τηροῦσι ἐντολάς· ταύτην δὲ τὴν ἐπαγγελίαν ὑποκρινόμενος ὁ διάβολος τοῖς οἰκείοις ἐπιφαίνεται μύσταις, ὁ σοφὸς οὗτος τὴν τοῦ Θεοῦ χάριν εἰς τὴν τοῦ Βελίαρ παραγνωρίζει καὶ μασσαλιανοὺς ἀποκαλεῖ παρρησίᾳ τοὺς τοῦ Χριστοῦ μαθητάς, cfr. più in alto H. (III, 3: ff. 139v–144r. PS I, 679–694). (ff. 145r–150r) , Racconto della discussione di Gregorio Palamas con Niceforo Gregoras. PS IV, 191–230. (ff. 150v–197v) I–IV Trattati antirretici contro Niceforo Gregoras, (I: ff. 150v–160v. PS IV, 231–264), (II: ff. 161r–179r. PS IV, 265–320), (III: ff. 179v– 185v. PS IV, 321–340), (IV: ff. 186r–197v. PS IV, 341–347). (ff. 198r–200r) Su un passo di san Basilio. PS IV, 382–389. (ff. 200v–227r) 150 Capitoli. PS V, 35–119. (f. 228r) Rubrica: Ἀρχὴ σὺν Θεῷ ἁγίῳ τῶν ἱερῶν τόμων, οἵτινες κατὰ τῶν κακοδόξων Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου καὶ τῶν τούτοις ὁμοδόξων παρά τε τοῦ Ἁγίου Ὄρους τὴν ἀρχὴν καὶ τῆς ἁγίας τοῦ Χριστοῦ καθολικῆς καὶ ἀποστολικῆς Ἐκκλησίας ὕστερον ἐν Κωνσταντινουπόλει. (ff. 228r–230v) Tomo aghioritico. PS II, 567–578; RIGO 2020.
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III. I documenti e i testi
(ff. 231r–237v) Tomo sinodale del 1341. PRK II, nr. 132, 208–256. Sottoscrizioni (f. 237rv) del tipo DARROUZÈS 1977, nr. 2214 Texte C. a). Cfr., oltre a H e K, Oxford, Bodleian Library Laud. gr. 87, Athos, Monê Iviron 386 (4506), Athos, Megistê Lavra Ω 95 (1907). (ff. 237v–243v) Tomo sinodale del 1347. PRK II, nr. 147, 346–382. Sentenza sinodale (DARROUZÈS, Regestes, nr. 2272), Dichiarazione sinodale (DARROUZÈS 1977, nr. 2280). Più in basso, 174–176. (ff. 244r–246v) Tomo di deposizione di Matteo di Efeso. Più in basso, 142–160. (ff. 246v–264r) Tomo sinodale del 1351. PG 151, 717–762. Sulle sottoscrizioni cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2326 Critique B. (f. 264r) Sottoscrizione in tredici versi, Πόνημα λαμπρὸν τ' ανθάδ' ἐγγεγραμμένα. Porphirij Uspenskij ha pubblicato il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso sulla base di X, come ricordava esplicitamente alla fine del documento.363 I tre manoscritti presentano la raccolta dei Tomi sinodali (1341, 1347,1351), Tomo aghioritico, Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, preceduta dallo stesso titolo caratteristico: Ἀρχὴ σὺν Θεῷ ἁγίῳ τῶν ἱερῶν τόμων, οἵτινες κατὰ τῶν κακοδόξων Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου καὶ τῶν τούτοις ὁμοδόξων παρά τε τοῦ Ἁγίου Ὄρους τὴν ἀρχὴν καὶ τῆς ἁγίας τοῦ Χριστοῦ καθολικῆς καὶ ἀποστολικῆς Ἐκκλησίας ὕστερον ἐν Κωνσταντινουπόλει. Anche in H, f. 272r figurava una rubrica di sette righe, della quale è visibile la prima parola: Ἀρχὴ (Tav. III). Secondo Jean Darrouzès, X è una copia di K.364 Una collazione del testo del Tomo di deposizione di Matteo di Efeso presente in questi due testimoni mostra che X non può essere un apografo di K per la presenza in quest'ultimo di numerosi errori, inversioni e soprattutto delle seguenti omissioni, presenti invece in X: 21 καὶ, 70 καὶ πολλάκις ἐπισπασάμενοι, 158 τοῦ, 254 ἐπιόντος, 273 τοῦ Χριστουπόλεως. X, che contiene il I libro delle opere di Gregorio Palamas seguito da questa raccolta di tomi, è copia di H, come si evince anche dalla collazione dei testi. L'assenza in X dei due Trattati apodittici di Gregorio non è dovuta al ————– 363 364
USPENSKIJ 1892, 737. DARROUZES 1977, nr. 2289: «le manuscrit Laura Ω 133 (dit manuscrit de Mavrocordat) (...) est une copie de Laura Λ 135»
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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fatto che questi fossero stati pubblicati nel 1624 da Nicodemo Metaxas,365 ma piuttosto che nel 1708, quando fu effettuata la copia di X, H era già acefalo per la caduta di alcuni fogli e quindi il testo dei Trattati apodittici non era completo. In H il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso è conservato solo in frammenti. La loro collazione è utile in alcuni luoghi per la costituzione del testo: 113 θείου H: ἁγίου KX, 141 μετὰ ταῦτα δὲ HK, 191 ἐτύγχανεν HK, 193 οὗτος HK, 207 καὶ ἀκανονίστως HK, 207 μετ᾿ αὐτοῦ HK, 219 ἱεροὺς καὶ θείους HK, 222 ἀναπεφηνόσι HK, 282 Αἱ ὑπογραφαί HK. L'edizione del Tomo di deposizione di Matteo di Efeso è perciò basata su K e X e, come detto, dove è possibile, sui frammenti di H. 2. 2 TIPO DI DOCUMENTO E DATA L'atto è definito nel titolo "tomo di deposizione" (τόμος καθαιρετικός), mentre nella formula conclusiva è indicato quale gramma (τὸ παρὸν γράμμα, l. 266). La nota che compariva nel verso dell'originale del documento con la sottoscrizione di Lazzaro di Gerusalemme parla di συνοδικὴ πρᾶξις (l. 303). Il patriarca Isidoro I nel suo Testamento lo indicava semplicemente come "tomo",366 mentre il Tomo sinodale del 1351 lo menzionava con parole che riecheggiano il titolo (Τόμος ἐπὶ καθαιρέσει).367 La data, agosto 1347, è indicata nella conclusione (μηνὶ αὐγούστῳ, ἰνδικτιῶνος ιεʹ, l. 281); così anche nella nota dorsale con la sottoscrizione di Lazzaro di Gerusalemme (ll. 306–307). Le diverse riunioni sinodali, la stesura e la rilettura dello stesso documento, di cui è questione nella parte finale e i tre mesi (ἐπὶ τρισὶ μησίν, l. 122) trascorsi dall'elezione di Isidoro ci fanno credere che il tomo sia stato emesso verso la fine del mese di agosto.368 ————– 365 366 367
368
Come scriveva P. K. Chrestou in PS V, 31 e n. 2. Sull'edizione di N. Metaxas cfr. AUGLIERA 1996, 237, 241. «τόμος ἐξετέθη τῇ θείᾳ συνόδῳ τῆς ἱερωσύνης ἐκείνους ἀπορρηγνύς»: PRK II, nr. 156, l. 114, 436. Così in un passo che ricorda la lettura pubblica del documento all'inizio dei lavori conciliari: «Διὰ τοῦτο κελεύσει θείᾳ τοῦ κρατίστου βασιλέως ἡμῶν καὶ τοῦ ἁγιωτάτου καὶ οἰκουμενικοῦ πατριάρχου ἀνεγνώσθη τόμος ἐπὶ καθαιρέσει μὲν προβὰς πρὸ καιροῦ τινος τοῦ Ἐφέσου, τοῦ Γάννου καὶ ἑτέρων, ὡς τὰ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου νενοσηκότων», PG 151, 731A9–B2. Così già DARROUZÈS 1977, nr. 2289 Date; v. anche più in alto, 57.
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III. I documenti e i testi
2. 3 LISTA DI PRESENZA, PROCURE E SOTTOSCRIZIONI La lista di presenza (ll. 268–272) nel documento comprende sedici metropoliti: Eraclea, Tessalonica, Cizico, Filadelfia, Sebasteia, Eraclea del Ponto, Prousa, Traianoupolis, Mitilene, Ainos, Methymna, Bitzina, Gothia, Cherson, Garella e Kallioupolis. Questa lista va evidentemente avvicinata a quelle simili di due atti del registro patriarcale dello stesso mese di agosto369 e di uno del mese di settembre 1347.370 1. Filoteo Kokkinos metropolita di Eraclea Antico sodale di Gregorio Palamas, Filoteo fu nominato metropolita dopo l'elezione di Isidoro e firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.371 Figura nelle liste di presenza degli atti dell'agosto–settembre 1347.372 Nell'agosto 1347 il patriarca confermava un prostagma dell'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno che ristabiliva il vescovado di Charioupolis sotto la giurisdizione di Eraclea.373 2. Gregorio Palamas metropolita di Tessalonica Nominato metropolita dopo l'elezione di Isidoro,374 Gregorio firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.375 Il metropolita di Tessalonica compare nelle liste di presenza degli atti dell'agosto–settembre 1347 con il topos di Ancira.376 Nello stesso mese di agosto il patriarca confermava un prostagma dell'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno in favore della prima classe di arconti della metropoli di Tessalonica.377 ————– 369
370 371 372 373 374 375 376 377
Eraclea, Filadelfia, Tessalonica, Sebasteia, Eraclea del Ponto, Prousa, Traianoupolis, Ainos, Garella, Kallioupolis: PRK II, nr. 161. Eraclea, Tessalonica, Cizico, Prusa, Mitilene, Ainos, Garella: PRK II, nr. 164. Eraclea, Tessalonica, Cizico, Filadelfia, Sebasteia, Eraclea del Ponto, Prousa, Mitilene, Ainos, Sugdaia, Gothia, Bizye, Kallioupolis, Garella: PRK II, nr. 170. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161, 164, 170. PRK II, nr. 159. Cfr. per ora RIGO 2014, 136–137. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161, 164, 165, 170. PRK II, nr. 162.
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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3. Atanasio metropolita di Cizico378 Entrato in frizione con il patriarca Giovanni Caleca, Atanasio era stato uno dei firmatari del Rapporto dei metropoliti all'imperatrice Anna del settembre 1346. Egli sottoscriveva il Tomo sinodale del febbraio 1347.379 Il 17 maggio 1347 Atanasio consacrava il patriarca Isidoro.380 Il metropolita di Cizico figura nelle liste di presenza degli atti dell'agosto–settembre 1347.381 Nel mese di agosto 1347, il patriarca e il sinodo gli accordavano in supplemento la metropoli di Brysis, ma l'elezione di Teodoreto a quella sede annullava questo provvedimento e così nel mese di settembre gli veniva concessa la metropoli di Ganos.382 4. Macario Chrysokephalos metropolita di Filadelfia383 Macario sottoscriveva la dichiarazione dei metropoliti del 23 ottobre 1346, e in seguito il Tomo sinodale del febbraio 1347384 e la sentenza sinodale.385 Il metropolita di Filadefia figura nelle liste di presenza degli atti dell'agosto– settembre 1347.386 In quello stesso mese di agosto 1347 gli veniva attribuito il mandato di esarca patriarcale.387 5. Giacomo metropolita di Sebasteia388 La prima attestazione di Giacomo è la sua firma della dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.389 Durante il mese di agosto 1347, soltanto qualche giorno prima della riunione sinodale per la condanna di Matteo di Efeso e degli altri oppositori, a Giacomo era conferito il mandato di esarca patriarca————– 378 379 380 381 382 383 384 385 386 387 388 389
PLP 384; RIGO 2015, 312–314. PRK II, nr. 147, ll. 429–430, 382. Cfr. più in alto, 40. PRK II, nr. 164, 170. PRK II, nr. 161, 165, 166. PLP 31138; RIGO 2015, 321–322. PRK II, nr. 147, l. 431, 382. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161, 164, 170. PRK II, nr. 158. PLP 7903. Cfr. più in basso, 171.
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III. I documenti e i testi
le.390 Lo troviamo menzionato un'ultima volta nella lista di presenza di un atto del settembre 1347.391 6. Metodio metropolita di Eraclea del Ponto392 Il metropolita di Eraclea del Ponto compare per la prima volta nelle liste di presenza dell'agosto–settembre 1347393 e in una del settembre 1348.394 La prima sottoscrizione di Metodio è in un atto del settembre 1350,395 seguita da quella del Tomo sinodale del 1351.396 Con ogni probabilità, era ancora in carica nel 1365.397 7. Ieroteo di Prousa398 Ieroteo firma la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.399 Il metropolita di Prousa figura nelle liste di presenza degli atti dell'agosto–settembre 1347.400 Nel Tomo di deposizione di Matteo di Efeso, Ieroteo si sottoscriveva quale hypertimos e proedros di Kios, arcivescovado che evidentemente gli era stato concesso.401 8. Gerasimo di Traianoupolis402 Gerasimo firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.403 Il metropolita di Traianoupolis compare in una lista di presenza di un atto dell'agosto 1347.404 In questo stesso mese gli era stato concesso di risiedere nel ————– 390 391 392 393 394 395 396 397 398 399 400 401 402 403 404
PRK II, nr. 160, 450–452. PRK II, nr. 170. PLP 17596. PRK II, nr. 161, 170. PRK II, nr. 148. PRK III, nr. 178, ll. 138–139, 30. HONIGMANN 1954, 106 (nr. 8). Cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2475; MM I, nr. 212, 468–472. PLP 8131. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161, 170. DARROUZÈS 1977, nr. 2271 e 2272 ipotizzava la sua identificazione con Ieroteo di Lopadion. PLP 3752. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161.
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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vescovado suffraganeo di Mosynopolis.405 Gerasimo qui si sottoscrive quale esarca di tutti i Rodopi.406 9. Marciano metropolita di Mitilene407 Marciano firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.408 Il metropolita di Mitilene compare nelle liste di presenza di atti dell'agosto409 e del settembre 1347.410 10. Daniele metropolita di Ainos411 Probabilmente già in carica nel 1340, poi destinatario di una lettera di Gregorio Palamas durante la guerra civile, Daniele firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.412 Il metropolita di Ainos compare nelle liste di presenza degli atti dell'agosto–settembre 1347.413 Egli sottoscrisse anche il Tomo sinodale del 1351.414 11. Malachia metropolita di Methymna415 In carica dal 1315. Malachia firmò la dichiarazione dei metropoliti del 23 ottobre 1346,416 il Tomo sinodale del febbraio 1347417 e la sentenza sinodale.418 ————– 405 406 407 408 409 410 411 412 413 414 415 416 417 418
PRK II, nr. 164. Questo documento ci conferma anche che Gerasimo era stato nominato da poco (cioè dopo l'elezione di Isidoro). DARROUZÈS 1977, nr. 2324 proponeva la sua identificazione con Germano di Traianoupolis (PLP 3857), firmatario del Tomo sinodale del 1351, ecc. PLP 16996. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 164. PRK II, nr. 170. PLP 5129; con ogni probabilità identificabile con Charatzas (PLP 30614) cfr. RIGO 1987/89, 123–125. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161, 164, 165, 170. HONIGMANN 1954, 107 (nr. 16). PLP 16491. RIGO 2015, 322. PRK II, nr. 147, l. 435, 382. Più in basso, 171.
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III. I documenti e i testi
12. Cirillo metropolita di Bitzina419 Cirillo firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.420 Il metropolita di Bitzina compare nella lista di presenza di un atto del settembre 1348.421 13. Pietro metropolita di Gothia422 Pietro firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.423 Il metropolita di Gothia compare nella lista di presenza di un atto del settembre 1347.424 14. Metropolita di Cherson Un anonimo non altrimenti identificabile.425 15. Ioannikios metropolita di Garella426 Ioannikios firmò la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.427 Il metropolita di Garella compare nelle liste di presenza di atti dell'agosto428 e del settembre 1347.429 Sottoscrisse il Tomo sinodale del 1351430 ed è attestato sino al luglio 1356.
————– 419 420 421 422 423 424 425 426 427 428 429 430
PLP 14036. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 148. PLP 23089. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 170. Per il periodo i titolari conosciuti della sede sono Geremia, 1338/9–1340 (PLP 8107) e, più tardi (ante 1365), Cirillo (PLP 14037). PLP 8827. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 161. PRK II, nr. 170. HONIGMANN 1954, 107 (nr, 21).
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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16. Giuseppe metropolita di Kallioupolis431 Giuseppe firmò la sentenza sinodale e la dichiarazione sinodale con i nuovi metropoliti.432 Il metropolita di Kallioupolis compare nelle liste di presenza di atti dell'agosto433 e del settembre 1347.434 Sottoscrisse il Tomo sinodale del 1351435 ed è attestato sino al luglio 1354. Oltre a questi sedici, il tomo elenca sette metropoliti assenti, che avevano dato le loro procure (ll. 273–275): Adrianopoli, Christoupolis, Didymoteichon, Arkadioupolis, Selymbria, Rhosion, Xanthe, sui quali diamo alcune indicazioni. 1. Giuseppe metropolita di Adrianopoli436 Attestato a Costantinopoli tra il novembre 1344 e l'aprile 1345 a Costantinopoli quale membro del sinodo presieduto dal patriarca Giovanni XIV Caleca. Con ogni probabilità, Giuseppe fu poi tra i metropoliti che ad Adrianopoli scomunicarono e deposero Giovanni Caleca nel maggio 1346. Sottoscrisse la sentenza sinodale.437 Inviò la sua procura in occasione del Concilio del 1351.438 2. Macario metropolita di Christoupolis439 Macario fu uno dei firmatari del Rapporto dei metropoliti indirizzato ad Anna Paleologa nel settembre 1346.440 Sottoscrisse la sentenza sinodale.441 ————– 431 432
433 434 435 436 437 438 439 440 441
PLP 9031. Cfr. più in basso, 171. Secondo DARROUZÈS 1977, nr. 2280 Date, Giuseppe è, assieme a Daniele di Ainos, uno dei «métropolites anciens». Lo studioso evidentemente identificava G. con l'anonimo metropolita di Kallioupolis della lista di presenza di un atto dell'aprile 1343, PRK II, nr. 144, l. 71, 322. PRK II, nr. 161, 164. PRK II, nr. 170. HONIGMANN 1954, 107 (nr. 24). PLP 9026; RIGO 2015, 325, 326. Cfr. più in basso, 171. Tomo sinodale del 1351: PG 151, col. 720D. PLP 16257. RIGO 2015, 315. Cfr. più in basso, 171.
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III. I documenti e i testi
3. Teolepto metropolita di Didymoteichon442 Teolepto firmò la dichiarazione dei metropoliti del 23 ottobre 1346443 e il Tomo sinodale del febbraio 1347.444 4. Metropolita di Arkadioupolis Non identificabile.
445
5. Isaia metropolita di Selymbria446 Isaia firmò la dichiarazione dei metropoliti del 23 ottobre 1346,447 il Tomo sinodale del febbraio 1347,448 la sentenza sinodale449 e il Tomo sinodale del 1351.450 È attestato sino al 1356. 6. Teodulo metropolita di Rhosion451 Teodulo firmò la dichiarazione dei metropoliti del 23 ottobre 1346,452 il Tomo sinodale del febbraio 1347,453 la sentenza sinodale.454 È attestato quale metropolita dal 1340 al 1356.
————– 442 443 444 445 446 447 448 449 450 451 452 453 454
PLP 7506. RIGO 2015, 323. PRK II, nr. 147, l. 434, 382. L'unico titolare conosciuto del periodo è Malachia nel 1329 (PLP 16489). PLP 6732. RIGO 2015, 323. PRK II, nr. 147, l. 441, 382. Cfr. più in basso, 171. HONIGMANN 1954, 107 (nr. 13). PLP 7268. RIGO 2015, 323. PRK II, nr. 147, l. 439, 382. Cfr. più in basso, 171.
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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7. Paolo metropolita di Xanthe455 La sua prima attestazione risale al novembre 1344 (deposizione di Isidoro). Paolo sottoscrisse la sentenza sinodale.456 Il vescovado di Mosynopolis fu concesso a Paolo in una data anteriore all'agosto 1347.457 Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso è sottoscritto dal patriarca Isidoro e da dodici metropoliti. I primi dieci figurano nella lista di presenza del documento (Filoteo di Eraclea, Gregorio di Tessalonica, Atanasio di Cizico, Ieroteo di Prousa, Gerasimo di Traianoupolis, Marciano di Mitilene, Daniele di Ainos, Malachia di Methymna, Ioannikios di Garella, Giuseppe di Kallioupolis). A queste sottoscrizioni seguono quelle di Teodoreto di Brysis e di Giacomo di Madyta. Teodoreto metropolita di Brysis458 Questa è la prima attestazione di Teodoreto. Da un atto del registro patriarcale dell'agosto 1347, poi cancellato459 e sostituito con un altro del mese di settembre,460 apprendiamo che in quella data la metropoli di Brysis era concessa ad Atanasio di Cizico. Questa concessione fu poi sostituita con quella della metropoli di Ganos. Da ciò si evince che per la sede di Brysis, ancora vacante in agosto, Teodoreto era stato nominato, con ogni probabilità, verso la fine dello stesso mese o all'inizio del successivo. Egli è poi attestato sino al 1372 e sottoscrisse il Tomo sinodale del 1351461 e il Tomo di condanna di Procoro Cidone nel 1368.462 Giacomo metropolita di Madyta463 Questa è la prima attestazione anche per Giacomo. Sino alla fine di febbraio 1347, titolare di Madyta era Isacco che in quella data aveva appunto firmato ————– 455 456 457 458 459 460 461 462 463
PLP 22120. Cfr. più in basso, 171. PRK II, nr. 164, ll. 6–8, 462; cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2277. PLP 7332. PRK II, nr. 161. PRK II, nr. 165 e cfr. nr. 166. HONIGMANN 1954, 107 (nr. 18). RIGO 2004, 132, l. 921 PLP 7900.
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III. I documenti e i testi
il Tomo sinodale.464 Giacomo è poi attestato sino al 1354 e sottoscrisse il Tomo sinodale del 1351.465 La posizione di queste due ultime firme e le notizie sui metropoliti mostrano che queste furono apposte al tomo in un secondo momento rispetto alle altre, forse quando Teodoreto e Giacomo furono nominati metropoliti (fine agosto – settembre 1347). Al verso del tomo, dopo una nota che ricorda la lettura pubblica del documento alla presenza dell'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno, figurava la sottoscrizione di Lazzaro patriarca di Gerusalemme.466 2. 4 DOCUMENTI, SINODI E CONCILI CITATI I)
Tomo Sinodale del 1341 (τόμον ὁ τότε πατριαρχεύων συνοδικὸν ἐκθέμενος μετὰ τῆς περὶ αὐτὸν ὁμηγύρεως τῶν ἱερωτάτων ἀρχιερέων, ll. 44– 45). II) Deposizione di Giovanni XIV Caleca (καθῃρέθη ψήφῳ καὶ διαγνώσει συνοδικῇ, ll. 59–60); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2270. III) Convocazioni di Giovanni Caleca al sinodo (διαμηνύεται οὐχ ἅπαξ μόνον, ἀλλὰ καὶ δὶς καὶ πολλάκις, ll. 62–63); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2269. IV) Tomo Sinodale del febbraio 1347 (τὴν ... τῆς καταδίκης ... ψῆφον ... διά τε τοῦ ἐσύστερον καὶ τοῦ πρότερον ἐκτεθέντος τόμου, ll. 65–66); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2270. V) Scritti (γράμματα) degli oppositori (l. 75). VI) Sinodi che riesaminano la deposizione di Isidoro Boucheiras (ll. 85– 88). VII) Sentenza sinodale (ll. 88–92); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2272. VIII) Scritti contro Gregorio Palamas (τῶν τε κατὰ τοῦ νῦν ἱερωτάτου μητροπολίτου Θεσσαλονίκης, δηλονότι τοῦ Παλαμᾶ, δυσσεβῶν τε καὶ συκοφαντικῶν γραμμάτων, ll. 93–95). IX) Tomo sinodale del 1341 e Tomo sinodale del febbraio 1347 (ἱερῶν τόμων, ll. 96–97). X) Tomo sinodale del 1341 e Tomo sinodale del febbraio 1347 (συνοδικοὺς τόμους, l. 102). ————– 464 465 466
PRK II, nr. 147, l. 438, 382. HONIGMANN 1954, 107 (nr. 19). PLP 14350.
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347) XI)
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Rapporto dei metropoliti del settembre 1346 (τὰς οἰκείας ὑπογραφὰς ἀνατρέποντες, ll. 102–103); cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2263. XII) Sinodo di Antiochia, XIX (ll. 104–107); JOANNOU 1962b, 119, ll. 21– 25. XIII) Convocazioni al sinodo (ἅπαξ καὶ δὶς καὶ πολλάκις μηνύμασι συνοδικοῖς, ll. 125–126). XIV) Tomo degli oppositori del luglio 1347 (ll. 128–129, 133–134, 137– 141). XV) Tomo sinodale del 1341 e Tomo sinodale del febbraio 1347 (τοῦ πρώτου καὶ δευτέρου τόμου, l. 131). XVI) Sinodo di Antiochia, VI (ll. 152–153); JOANNOU 1962b, 109, ll. 17– 21. XVII) Concilio di Costantinopoli Primo – Secondo, 15 (ll. 165–184); JOANNOU 1962a, 473, l. 14–475, l. 16. XVIII) Deposizione di Isidoro Boucheiras (ἡ παρ᾿ ἐκείνου καθαίρεσις, l. 188); DARROUZÈS 1977, nr. 2250. XIX) Sinodo di Antiochia, VI (ll. 197–198); JOANNOU 1962b, 109, ll. 17– 21. XX) Concilio di Efeso. Gesta Ephesina 91, 4 Synodi Epistula generalis (ll. 213–219); ACO I/1/3, 28, ll. 3–7. XXI) Convocazioni al sinodo (πολλάκις καὶ διαφόρως δεῖν ἔγνωμεν προσκαλέσασθαι, l. 224) XXII) Lettere dell'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno agli oppositori (πολλοῖς τε μηνύμασι πρὸς αὐτούς, l. 229). XXIII) Tomo sinodale del 1341 (τῷ ὑπὲρ εὐσεβείας προτέρῳ τόμῳ, ll. 240–241). XXIV) Tomo sinodale del febbraio 1347 (τῷ ἐπικυροῦντι τοῦτον δευτέρῳ, l. 241). XXV) Scritto di Neofito di Filippi e di Giuseppe di Ganos (τετράδιον, l. 244). XXVI) Professione di fede scritta (περὶ τῆς εὐσεβείας ἐγγράφους ὁμολογίας, l. 249). XXVII) Tomo sinodale del 1341 e Tomo sinodale del febbraio 1347 (τὰς συνοδικὰς ... διαγνώσεις καὶ ἀποφάσεις καὶ τοὺς ἐπὶ ταύταις τόμους, ll. 250– 251). XXVIII) Tomo sinodale del 1341 e Tomo sinodale del febbraio 1347 (τοὺς ὑπὲρ εὐσεβείας ... τόμους, l. 256).
140 XXIX)
III. I documenti e i testi
Tomo sinodale del 1341 e Tomo sinodale del febbraio 1347 (κατὰ τὴν ... συνοδικὴν διάγνωσιν καὶ ἀπόφασιν ἐν τοῖς συνοδικοῖς τόμοις, ll. 261– 262).
2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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İstanbul, Patriarchikê Bibliothêkê Ηaghias Triados 138, ff. 289v–293r (frammentario) K Athos, Megistê Lavra Λ 135 (1626), ff. 628r–630v X Athos, Megistê Lavra Ω 133 (1945), ff. 244r–246r H
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ῖς ὐ ηαι εἰς ύεαὶ σε ῆς ας α-
ῦ υ υς ος ν οῆς ης υ άαὶ τε ὸς ις
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III. I documenti e i testi
Τόμος καθαιρετικὸς τοῦ χρηματίσαντος Ἐφέσου ὡς ἑτεροφρονήσαντος, διαλαμβάνων καὶ τὰ περὶ τῆς ἐκτροπῆς αὐτοῦ τε καὶ τῶν σὺν αὐτῷ Τοῖς ἐκεῖνα πράττειν ἠναγκασμένοις, ἃ πρὸ τῶν ἄλλων αὐτοῖς δὴ τοῖς πράττουσιν οὐ μετρίας αἴτια καθίστανται λύπης, τούτοις καὶ τὸ ἔργον οὐ μόνον ὀδυνηρόν τε καὶ βέβαιον, ἀλλά γε κατὰ πᾶσαν ἀνάγκην καὶ ἀνεμέσητον· τίς γὰρ ἂν τῶν εὖ φρονοῦντων καὶ ὀρθῶς κρίνειν εἰδότων ἐπενέγκαι τινὰ μέμψιν τοῖς μετ’ ὀδύνης πρὸς τὴν πρᾶξιν καὶ παρὰ τὴν οἰκείαν προαίρεσιν ἐρχομένοις; Ἦν μὲν οὖν οὐδὲ ἡμῖν γε πρὸς βούλησιν οὔμενουν οὐδὲ εἰς ἀποδοχὴν ὅλως τὰ τῆς παρούσης ἐργασίας· τοὐναντίον μὲν οὖν καὶ ἀβούλητα καὶ πολλὴν ἐμποιοῦντα τὴν καρδιακὴν ὀδύνην, ἐπ’ ἀδελφοῖς πεπραγμένα, μεθ’ ὧν χθὲς καὶ πρότριτα Θεῷ κοινῶς ἐτελοῦμεν τὰ μυστικὰ καὶ οὓς συνεῖναι ἀχωρίστως ἡμῖν τῶν πάνυ τοι εὐκτῶν ἐτύγχανεν ὄν· ἐσχεδίασε δ’ ὅμως ὁ καιρὸς καὶ τοῦτο, ὡς μὴ ὤφελεν, ὀδυνηρὸν μὲν ἡμῖν καὶ τῆς ἡμετέρας χωρὶς προαιρέσεως, ἀναγκαίως δέ, τοῦ σκληροῦ τῆς καρδίας αὐτῶν χάριν καὶ ἀνενδότου, ἀδελφῶν φανέντων, ἵνα καὶ μικρόν τι τῆς Γραφῆς ὑπαλλάξωμεν, σκληροκαρδίων καὶ ἀπεριτμήτων τῇ καρδίᾳ. Καί, ἵνα εἰς ἀρχὴν τὸν λόγον ἀγάγωμεν, ἐγένετο περιόντος ἔτι τῷ βίῳ τοῦ ἀοιδίμου καὶ μακαρίτου βασιλέως ἡμῶν κῦρ Ἀνδρονίκου τοῦ Παλαιολόγου ἐπεισφρῆσαι τῇ Ῥωμαίων τὸν ἐκ Καλαβρίας τὴν σειρὰν ἔχοντα τοῦ γένους μοναχὸν Βαρλαάμ, ὃς ὑπὸ τῆς ἀντικειμένης πάντως δυνάμεως ἐνεργούμενος τοῖς Θεῷ προσανέχουσι καὶ αὐτῷ τὸν βίον καθιερώσασι καὶ καθ’ ἡσυχίαν βιοῦσι τιμιωτάτοις μοναχοῖς ἐτόλμησεν ἀπόφημά τινα προστρίψασθαι συκοφαντικῶς τῆς εὐσεβείας αὐτῶν καθαπτόμενα, ταὐτὸ δ’ εἰπεῖν, τῆς κοινῆς τῶν χριστιανῶν εὐσεβείας. Καί, ἵνα τὰ ἐν μέσῳ παρῶμεν, συνόδου μεγάλης συγκροτηθείσης ἐν τῷ περιωνύμῳ καὶ θείῳ ναῷ τῆς ἁγίας τοῦ Θεοῦ Λόγου Σοφίας, προκαθημένου καὶ αὐτοῦ τοῦ ἀοιδίμου καὶ μακαρίτου αὐτοκράτορος, ἀπηλέγχθη κακῶς καὶ βλασφήμως καὶ κακοδόξως ἐπιβάλλων καὶ λέγων καὶ συγγραφόμενος ὁ Βαρλαὰμ ἐν οἷς κατηγόρει τῶν μοναχῶν περί τε θείας ἁπάσης ἐλλάμψεως καὶ ἐνεργείας, καὶ μάλιστα περὶ τοῦ θείου φωτὸς τῆς μεταμορφώσεως τοῦ δεσπότου καὶ σωτῆρος Χριστοῦ· ἐν τοῖς τοιούτοις
ῆνα
8 οὔμενουν] οὔμενουν (οὔμενον a. c.) Κ οὐ μὲν οὖν X. 18 κῦρ] κυροῦ X. 19 ἐπεισφρῆσαι] ἐπεισφῆσαι Κ. 21 τὸν βίον] τῷ βίῳ Κ. | καὶ2] om. Κ. 23 καθαπτόμενα] καταπτόμενα X. | τῆς2] τοῖς Κ. 25 θείῳ] οὐρανίῳ praem. Κ.
fr. is S, 2,
16 σκληροκαρδίων … καρδίᾳ] Cfr. At. 7, 51; Dt. 10, 16. 21 τοῖς … 22 μοναχοῖς] Cfr. Tomus synodicus a. 1341: PRK, II, nr. 132, ll. 20–21, 212; Gregorio Palamas, Pro sanctis hesychastis, II, 1, 1: PS, I, 465, ll. 15–16; Id., Refutatio epistulae Calecae patriarchae, 15: PS, II, 598, ll. 8–10. 27 ἀπηλέγχθη … 28 λέγων] Cfr. Tomus synodicus a. 1341: PRK, II, nr. 132, ll. 464–465, 254.
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2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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Tomo di deposizione del metropolita d'Efeso quale sostenitore di dottrine estranee, che tratta delle vicende legate alla sua deviazione e di quelli con lui Per quelli che sono costretti a compiere tali azioni, che prima che per gli altri costituiscono motivo di dolore insopportabile per quelli che le effettuano, quest'opera non è soltanto dolorosa e risoluta, ma anche assolutamente non biasimabile. Chi infatti tra coloro che sono provvisti di senno e capaci di retto giudizio potrà rivolgere qualche rimprovero a quelli che con dolore e contro la loro intenzione si apprestano a quest'opera? Quest'opera non era dunque con� forme al nostro volere e non era stata nemmeno da noi accettata. Al contrario, fare questo a fratelli con i quali ieri e l'altro ieri abbiamo celebrato in comune i misteri a Dio e con i quali ci capitava, tra le cose più desiderabili, di stare insieme in maniera inseparabile è cosa contraria al nostro volere e motivo di grande dolore per il nostro cuore.467 Le circostanze lo hanno tuttavia richiesto e – non fosse mai stato! – questo è doloroso per noi e senza intenzione da parte nostra, ma è necessario a causa della durezza e dell'ostinatezza del loro cuore, in quanto i fratelli si sono dimostrati, per modificare leggermente la Scrittura, duri e incirconcisi di cuore (cfr. At. 7, 51; Dt. 10, 16; Ger. 4, 4). Per iniziare il discorso, accadde che, mentre era ancora in vita il celebre nostro imperatore di beata memoria Andronico Paleologo, arrivò nel paese dei Romei il monaco Barlaam, originario della Calabria, che, completamente posseduto dalla potenza avversaria, ebbe l'ardire di attaccare con malvagità i molto onorati monaci dediti a Dio, al quale consacravano l'esistenza e che vivevano nella hesychia,468 e di assaltare calunniosamente la loro pietà, vale a dire la generale pietà dei Cristiani. Per entrare nel cuore del discorso, un grande sinodo fu riunito nel famoso e divino tempio della santa Sapienza del Verbo di Dio, presieduto dallo stesso celebre autocratore di beata memoria,469 e Barlaam fu giudicato colpevole per essersi scagliato, aver detto e scritto in modo malvagio, blasfemo e non ortodosso470 in opere nelle quali accusava i monaci per la realmente divina illuminazione e operazione e soprattutto per la divina luce della Trasfigurazione del Signore e Salvatore Cristo. In tali scritti
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III. I documenti e i testi
γὰρ καὶ καθάπτεσθαι αὐτῶν ὁ μάταιος ᾤετο, διθεΐτας ἀφρόνως τούτους καλῶν καὶ διθεΐας αὐτοῖς ἐπιχειρῶν προστρίβεσθαι ἔγκλημα, ὡς μὴ μόνον κατ’ οὐσίαν τὸν Θεὸν ἄκτιστον εἶναι διαβεβαιουμένοις, τὴν ὑπὲρ πᾶσαν παντάπασι καὶ ὅρασιν καὶ κατάληψιν, ἀλλὰ καὶ κατὰ τὴν ἀποῤῥήτως ἐκφαινομένην ταύτην τοῖς ἁγίοις θείαν ἔλλαμψίν τε καὶ ἐνέργειαν, ἣ καὶ αὕτη, κατὰ τοὺς ἱεροὺς θεολόγους, θεότης ὀνομάζεται. Ἀλλὰ μετὰ τὴν ἐκείνου καταδίκην καὶ τὴν ὑπ’ αἰσχύνης φυγήν, τῆς ἴσης αἱρέσεώς τε καὶ προαιρέσεως ὁ Ἀκίνδυνος ζηλωτὴς ἀναφαίνεται, κλέπτων μέντοι τοὺς πολλούς, ὡς ὑποκρινόμενος μὴ κατὰ πάντ’ ἐκείνῳ συνᾴδειν. Καὶ δὴ συνόδου πάλιν μεγάλης συγκροτηθείσης ἐν τῷ αὐτῷ περιωνύμῳ ναῷ, ἐξηλέγχθη καὶ οὗτος τὰ αὐτὰ τῷ Βαρλαὰμ βλασφημῶν εἰς τὸ θειότατον φῶς, καὶ πᾶσαν θείαν ἔλλαμψιν καὶ ἐνέργειαν εἰς κτίσμα φρενοβλαβῶς κατ’ ἐκεῖνον κατασπῶν, καὶ τὰ αὐτὰ πάλιν τῶν θεοσεβῶν κατηγορῶν. Εἶτα μετὰ καὶ τὴν τούτου συνοδικὴν καταδίκην τόμον ὁ τότε πατριαρχεύων συνοδικὸν ἐκθέμενος μετὰ τῆς περὶ αὐτὸν ὁμηγύρεως τῶν ἱερωτάτων ἀρχιερέων, Βαρλαὰμ μὲν ἐκεῖνον καὶ τοὺς κατ’ ἐκεῖνον φρονοῦντας, τὸν Ἀκίνδυνον δηλονότι τοῦτον καὶ εἴ τις ἄλλος τὰ αὐτὰ πάλιν τολμήσει τῶν μοναχῶν κατειπεῖν, κατεδίκασεν ὡς κακοδοξοῦντας καὶ τῆς Ἐκκλησίας ὡς μέλη σεσηπότα καὶ διεφθορότα τελέως ἀπέτεμεν, εἰ μὴ μετάμελον σχοῖεν. Τοῖς δ’ αὖ εἰρημένοις τιμιωτάτοις μοναχοῖς τὸ ἀκραιφνὲς καὶ ἀκίβδηλον τῆς εὐσεβείας διὰ τοῦ τόμου προσεμαρτύρησε καὶ ἅμα ὑπὸ ἐπιτίμιον ἀφορισμοῦ πεποίηκε δι’ αὐτοῦ καὶ ἀποκεκομμένους εἶναι χριστιανῶν ἀπεφήνατο τοὺς τοῦ λοιποῦ τῶν μοναχῶν κατηγορῆσαι ταῦτα τολμήσοντας, καὶ τῷ Βαρλαὰμ ἐπὶ τῇ κατηγορίᾳ τούτων ὁμοφρονήσαντας. Ἐπεὶ δὲ καὶ αὐτὸς οὗτος ἔπειτα ὁ τότε πατριαρχεύων, ὥσπερ ἐπιλελησμένος τῶν ἀποπεφασμένων, ἑτέραν ἐτράπετο καὶ ἀνεφάνη φρονήσας προδήλως τἀναντία τοῖς τότε διεγνωσμένοις ἔκ τε τῶν ἑαυτοῦ συγγραμμάτων καὶ ὧν διεπράξατο κατὰ διαφόρους καιρούς, προσθέμενος Ἀκινδύνῳ καὶ τοῖς ἄλλοις μαθηταῖς τῆς κακοδοξίας τοῦ Βαρλαάμ, καθῃρέθη ψήφῳ καὶ διαγνώσει συνοδικῇ. Ἐπεὶ δὲ προεφασίζετο τὸ μὴ προσκληθῆναι μηδὲ παρεῖναι τῇ τοιαύτῃ συνόδῳ, συνόδου πάλιν ἀθροισθείσης ἐν τῷ θεοφρουρήτῳ παλατίῳ, παρουσίᾳ καὶ τῶν ἐκ Θεοῦ κρατίστων καὶ ἁγίων ἡμῶν αὐτοκρατόρων, διαμηνύεται οὐχ ἅπαξ μόνον, ἀλλὰ καὶ δὶς καὶ πολλάκις· ὁ δὲ ὑποπτήξας, ὡς αὐτοκατάκριτον ἔχων τὸ συνειδός, οὐκ ἠθέλησεν ἀπαντῆσαι. Διὸ καὶ αὖθις 31 καθάπτεσθαι] θάπτεσθαι Κ. | αὐτῶν] αὐτὸν p. c. (αὐτῶν a. c.) Κ. 35 ἣ] ἢ Κ. | αὕτη] αὐτή X. 36 θεότης ὀνομάζεται] ὀνομάζεται θεότης Κ. 43 καὶ2 … 44 τὴν] τὴν καὶ Κ. 45 αὐτὸν] αὐτῶν Κ. 54 ὁμοφρονήσαντας] ὁμοφρονήσοντας X. 64 Διὸ] Δι’ ὃ X. 32 διθεΐας … ἔγκλημα] Cfr. Tomus synodicus a. 1341: PRK, II, nr. 132, ll. 30–31, 212.
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infatti l'insensato aveva anche ritenuto di attaccarli, chiamandoli stoltamente diteisti, e tentava di imputare loro l'accusa di diteismo,471 perché confessavano che Dio non è increato soltanto per quanto riguarda l'essenza, che è completa� mente al di là di ogni visione e comprensione, ma anche per quanto riguarda quella divina illuminazione e operazione ineffabilmente manifestata ai santi, che è anch'essa, secondo i sacri teologi, chiamata divinità.472 Ma dopo la sua condanna e la fuga causata dalla vergogna,473 apparve Acin� dino quale sostenitore della stessa eresia e intenzione, che purtuttavia ingan� nava i molti, perché fingeva di non essere in tutto d'accordo con Barlaam.474 Di nuovo fu riunito un grande sinodo nello stesso famoso tempio, e anche costui fu giudicato colpevole perché proferiva le stesse bestemmie di Barlaam sulla divinissima luce e perché, come quello, follemente abbassava a creatura ogni divina illuminazione e operazione e di nuovo muoveva le stesse accuse contro i timorati di Dio.475 In seguito, dopo la sua condanna sinodale, colui che allo� ra era patriarca emise un tomo sinodale, assieme all'assemblea di santissimi metropoliti riunita attorno a lui, che condannava quali sostenitori di dottrine non ortodosse ed estrometteva totalmente dalla Chiesa come membra corrot� te e putrefatte Barlaam e quelli che seguivano le sue idee, cioè Acindino, e qualsiasi altro avesse osato di nuovo ripetere quelle accuse contro i monaci. Egli attestò inoltre tramite il tomo la purezza e la genuità della pietà degli onoratissimi monaci summenzionati e con lo stesso minacciava di scomunica e dichiarava recisi dalla Chiesa quei Cristiani che avessero mosso in futuro queste imputazioni ai monaci e che avessero avuto le stesse idee di Barlaam nell'accusa contro di loro.476 Poiché in seguito anche l'allora patriarca, come dimentico delle sue dichia� razioni, mutò posizione, e si mostrò in modo manifesto, con i suoi stessi scritti e con quanto fece in diverse occasioni, pensare il contrario di quello che prima aveva deciso e si associò ad Acindino e agli altri discepoli dell'eresia di Bar� laam, fu deposto con voto e decisione sinodale.477 Dal momento che adduceva il pretesto di non essere stato convocato né di aver presenziato a tale sinodo, un sinodo fu di nuovo radunato nel palazzo sorvegliato da Dio, alla presenza anche dei potentissimi in Dio e santi nostri autocratori, ed egli fu convocato non una sola volta, ma due e più.478 Avendo paura, poiché aveva la coscienza che si autocondannava, non volle rispondere. Perciò ricevette un'altra volta lo stesso verdetto di condanna. La pena della deposizione fu una e la stessa con il tomo emesso in seguito e con il primo anche per coloro che in questo erano d'accordo con l'allora patriarca. A causa di ciò si rivelarono dalla sua parte
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τὴν αὐτὴν τῆς καταδίκης ἀπηνέγκατο ψῆφον, καὶ ἡ εὐθύνη διά τε τοῦ ἐσύστερον καὶ τοῦ πρότερον ἐκτεθέντος τόμου μία καὶ ἡ αὐτὴ ἀπεφάνθη τῆς καθαιρέσεως καὶ κατὰ τῶν ὁμοφρονησάντων ἐπ’ ἐκείνοις αὐτῷ τῷ χρηματίσαντι πατριάρχῃ. Ἀνεφάνησαν μὲν οὖν ἐξ ἐκείνου διὰ ταῦτα καὶ οἱ ἀρχιερεῖς, ὅ τε Φιλίππων καὶ ὁ Γάνου, καθ’ ἑαυτῶν τὴν ψῆφον ἐπισπασάμενοι, καὶ πολλάκις ἐπισπασάμενοι ταύτην, ἅτε συμφρονοῦντες ἀναφανέντες ἀμεταμελήτως τῇ τοῦ καθῃρημένου ἐκείνου κακοδοξίᾳ. Ἐπεὶ δὲ καὶ ψήφων ἐδέησε τῇ Ἐκκλησίᾳ Θεοῦ πατριαρχικῶν, καὶ διωρίσατο, ὡς ἔθος, ὁ κραταιὸς καὶ ἅγιος ἡμῶν αὐθέντης καὶ βασιλεὺς κατὰ ταὐτὸ συνελθόντας πατριάρχην ψηφίσασθαι τοὺς ἀρχιερεῖς, τὰ ἑαυτῶν κἀνταῦθα πράττοντες πάλιν ἐφάνησαν οἱ προῤῥηθέντες λόγους τε προδήλως λέγοντες καὶ γράμματα προτείνοντες συνηγοροῦντα τοῖς τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δυσσεβέσι δόγμασιν. Ὁ δὲ τῆς Ἐφέσου πρόεδρος, μετὰ τῶν τὰ τοῦ Ἀκινδύνου φρονούντων ἑνωθείς, καί τινας ἑτέρους ἀρχιερεῖς διαφθείρας καὶ προσεταιρισάμενος, συγχεῖν πολυειδῶς ἐπειρᾶτο τὰς ψήφους· καὶ δὴ συνθέσθαι μὲν οὗτος καὶ οἱ μετὰ τούτου ταῖς τῶν ἄλλων ἀπείπαντο γνώμαις, τῷ δὲ ἀθῴῳ τοῦ ψηφιζομένου ἀντιλέγειν οὐκ εἶχον, κακῶς μὲν καὶ ἀθέσμως καταψηφισθέντος πρότερον, ὡς συκοφαντικῶς ἀκρίτως τε προδήλως καὶ ἀναπολογήτως καὶ ἐλέγχῳ τῶν ἁπάντων οὐδενί, καλῶς δ’ ἔπειτα καὶ κανονικῶς πολλάκις δικαιωθέντος ψήφοις συνοδικαῖς, πρῶτον μὲν ἐν ταῖς δυσὶ τῶν συγκροτηθεισῶν τριῶν συνόδων κατὰ τὸ θεοφρούρητον παλάτιον, προκαθεζομένης ἐν τῇ προτέρᾳ καὶ τῆς θεοστεφοῦς βασιλίδος καὶ τοῦ ἐρασμιωτάτου υἱοῦ αὐτῆς καὶ ἁγίου βασιλέως ἡμῶν κῦρ Ἰωάννου τοῦ Παλαιολόγου, ἔπειτα καὶ ἐν τῇ γεγονυίᾳ ἐν τοῖς κατηχουμενείοις τῆς μεγάλης ἐκκλησίας, παρόντων καὶ προκαθεζομένων καὶ τῶν κρατίστων καὶ εὐσεβεστάτων ἡμῶν αὐτοκρατόρων, οἷς συμπαρῆν τε καὶ σύμψηφος ἦν καὶ ὁ ἁγιώτατος πατριάρχης Ἱεροσολύμων τῆς ἁγίας Σιών. Ὅτε καὶ λαληθείσης πάλιν τῆς περὶ τῶν δογμάτων ὑποθέσεως καί, ὡς ἐχρῆν, ἀκριβῶς ἐξετασθείσης, τῶν τε κατὰ τοῦ νῦν ἱερωτάτου μητροπολίτου Θεσσαλονίκης, δηλονότι τοῦ Παλαμᾶ, δυσσεβῶν τε καὶ συκοφαντικῶν γραμμάτων εἰς ἐπήκοον πάντων ἀναγνωσθέντων καὶ παρ’ αὐτοῦ παῤῥησίᾳ ἐξεληλεγμένων, ἀλλὰ καὶ τῶν ἀνωτέρῳ διαληφθέντων ἱερῶν τόμων εἰς ἐπήκοον πάντων ἀναγνωσθέντων καὶ ἔτι μάλιστα βεβαιωθέντων ὡς ὀρθῶν τε καὶ κατὰ πάντα ἀμέμπτων, οὗτοι μὴ μόνον οὐ συνέθεντο τῇ 70 καὶ … ἐπισπασάμενοι] om. Κ. 73 κατὰ ταὐτὸ] καταυτὸ Κ. | τες X. 74 κἀνταῦθα] κἀνταῦτα Κ. 79 διαφθείρας] διαφείρας Κ. 84 ἔπειτα] δὲ ἔπειτα Κ. 88 βασιλέως ἡμῶν] ἡμῶν βασιλέως Κ. | ηχουμενείοις] κατηχουμένοις X. 91 ὁ] om. X 93 τῶν] τὸν Κ. 98 ἀμέμπτων] ἀμέπτων Κ.
συνελθόντας] συνελθόν82 ἀθέσμως] ἀθέμως Κ. κῦρ] κυροῦ X. 89 κατ94 δηλονότι] δηλαδὴ Κ.
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anche i metropoliti di Filippi e di Ganos, che attirarono contro loro stessi il verdetto, e se lo attirarono più volte, perché si mostrarono condividere senza pentimento l'eresia del deposto patriarca. Poiché la Chiesa di Dio ha bisogno di un patriarca e il potente e santo nostro signore e imperatore aveva ordinato, come è costume, che in tale maniera i metropoliti si riunissero per eleggere il patriarca, anche in quell'occasione i summenzionati metropoliti, facendo i propri interessi, si mostrarono di nuovo, pronunciando discorsi e presentando scritti che in modo aperto sostenevano gli empi dogmi di Barlaam e Acindino. Il presule di Efeso, unitosi a quelli che seguivano le idee di Acindino e avendo anche corrotto e associato a sé alcuni altri metropoliti, cercò in ogni modo di turbare le elezioni. Egli e quelli con lui si rifiutavano di acconsentire all'avviso degli altri, ma non erano in grado di controbattere dinanzi all'inno� cenza dell'eletto, che in precedenza era stato condannato con un metodo chia� ramente malvagio e illegale, perché senza processo, in maniera calunniosa, ingiusta e senza nessuna prova da parte di qualcuno, ma che in seguito aveva più volte ottenuto giustizia in modo eccellente e secondo i canoni per mez� zo di votazioni sinodali, dapprima in due dei tre sinodi riunitisi nel palazzo sorvegliato da Dio, nel primo, presieduto dall'imperatrice incoronata da Dio e dal molto grazioso figlio suo e santo nostro imperatore, messer Giovanni Paleologo, e in seguito anche in quello che si tenne nelle tribune della grande chiesa, presenziato e presieduto dai molto potenti e pii nostri autocratori, ai quali si era anche unito nei suffragi il santissimo patriarca di Gerusalemme la santa Sion. Allora fu anche di nuovo discussa la questione circa i dogmi e fu, come necessario, esaminata con rigore: gli empi e calunniatori scritti contro l'attuale santissimo metropolita di Tessalonica, ovvero Palamas, furono letti in pubblico dinanzi a tutti e da lui francamente confutati, ma anche furono letti in pubblico dinanzi a tutti i summenzionati sacri tomi e ancor più confermati come retti e del tutto irreprensibili. Costoro non solo non concordavano con
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III. I documenti e i testi
συνόδῳ, ἀλλὰ καὶ ἐπὶ πολλοῖς ἐλεγχθέντες καὶ καταισχυνθέντες, ἐπεὶ μηδ’ οὕτω πειθηνίως καὶ συμφώνως ἔσχον, τῶν πατριαρχικῶν οὐκ εἰς μακρὰν ἐκτελουμένων ψήφων, ὡς φιλονείκως καὶ ἀμεταμελήτως ἔχοντες καὶ τοὺς ὑπὲρ εὐσεβείας μὴ στέργοντες συνοδικοὺς τόμους, ἅμα δὲ καὶ τὰς οἰκείας ὑπογραφὰς ἀνατρέποντες, ἐνθέσμως παρεωράθησαν. Εἰ γὰρ κατὰ τὸν ιθʹ κανόνα τῆς ἐν Ἀντιοχείᾳ δευτέρας συνόδου, ἡνίκ’ ἂν ἡ τῶν συνεληλυθότων διὰ τὰς ψήφους κατάστασις γίνηται, εἴπερ ἀντιλέγοιέν τινες δι’ οἰκείαν φιλονεικίαν, δεῖ κρατεῖν τὴν τῶν πλειόνων ψῆφον, πόσῳ μᾶλλον εὐλογώτατά τε καὶ δικαιώτατα κρατήσει καὶ κυρωθήσεται, ἡνίκα οἱ ἀντιλέγοντες καὶ φιλονεικοῦντες καὶ πρὸς αὐτὴν τὴν συνοδικῶς πολλάκις τρανωθεῖσαν τῶν εὐσεβῶν δογμάτων ἀλήθειαν ἀντιλέγοντες φαίνονται; Διὰ ταῦτα μὲν οὖν κανονικῶς, ὡς ἔφημεν, ἀπωσάμεθα τούτους, ὁ λοιπὸς δηλονότι τῶν ἀρχιερέων χορός· συνελθόντες δὲ καὶ συμφωνήσαντες τάς τε πατριαρχικὰς ψήφους, εἶτα δὲ καὶ τὴν χειροτονίαν χάριτι καὶ συνεργείᾳ τοῦ θείου Πνεύματος ἐτελέσαμεν. Ἀλλ’ οἱ κακῶς διαστάντες ἐκεῖνοι οὐδ’ οὕτω καλὸν ἔκριναν μεταβαλεῖν καὶ τῷ κρείττονι προστεθῆναι μέρει, ὑποκύψαι τε τῷ πατριάρχῃ καὶ παύσασθαι τῶν σχισμάτων, τῆς ἀρχῆθεν δὲ πονηρᾶς ἐνστάσεως ἀνενδότως ἐξεχόμενοι, παρασυναγωγαῖς ἔχαιρον οἰκείαις· ἀλλ’ ἡμεῖς γε, τοῦτο μὲν ὑπερπονοῦντες τῷ μικρῷ πρόσθεν ἡμετέρων τούτων ἀδελφῶν καὶ συλλειτουργῶν, τοῦτο δὲ καὶ τὴν ἐκκλησιαστικὴν γαλήνην καὶ εἰρήνην πραγματευόμενοι, οὐδεμίαν ἐπεθήκαμεν αὐτοῖς ἀνάγκην, οὐδέ τι τούτους παραλυπῆσαι δεῖν ἔγνωμεν ὡς παρασυνάγοντας, πρᾴως δὲ μᾶλλον καὶ ἀδελφικῶς ἐφέρομεν ἐπὶ τρισὶ μησὶν ἀνεχόμενοι ἃ κακῶς αὐτοῖς καὶ ἀκανονίστως καθ’ ἡμῶν εἴργασται. Ἀλλ’ οἷον τὸ τῆς κακίας, καὶ εἰς ὅσον κακὸν ἐκφέρεται τὸ μηδαμῶς μετὰ νοῦ πραττόμενον. Ἡμῶν γὰρ μηδὲ μετὰ τὴν ἐπὶ τοσοῦτον παράλογον αὐτῶν ἔνστασιν τὴν ἐκείνων διόρθωσιν ἀπεγνωκότων, ἀλλὰ καὶ ἅπαξ καὶ δὶς καὶ πολλάκις μηνύμασι συνοδικοῖς εἰς εἰρήνην τούτους καὶ ὁμόνοιαν προσκαλεσάμενοι, τολμῶσιν οὗτοι, τοῦ πρὸς αὐτοὺς ἡμετέρου ἐπιεικοῦς, ὡς ἔοικεν, εἰς τοῦτο ἐπάραντος, γράμμασιν ἀναισχυντίας καὶ ψεύδους γέμουσι χρήσασθαι καθ’ ἡμῶν καὶ ταῦτα πρὸς ἡμᾶς πέμψαι. Καὶ οἱ καθ’ ἑαυτῶν καὶ ἅπαξ καὶ δεύτερον τὴν τῆς καθαιρέσεως ἐπισπασάμενοι ψῆφον ἐνδίκως ἀπό τε τοῦ πρώτου καὶ δευτέρου τόμου καὶ ὑπὸ τῶν πολλῶν 100 οὕτω] μηδ’οὕτως Κ. 101 ἀμεταμελήτως] ἀμελήτως X. 108 τὴν] om. Κ. 113 θείου] ἁγίου ΚX. | ἐτελέσαμεν] ἐξετελέσαμεν Κ. 115 προστεθῆναι] προτεθεῖναι Κ. 117 ὑπερπονοῦντες] ὑπερποροῦντους Κ. 118 τῷ] τῶν Κ. | τούτων ἀδελφῶν] ἀδελφῶν τούτων Κ. 125 αὐτῶν ἔνστασιν] ἔνστασιν αὐτῶν Κ. 104 ἂν … 107 ψῆφον] Synodus Antiochena, XIX: JOANNOU 1962b, 119, ll. 212– 5.
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il sinodo, ma furono anche confutati e svergognati su molti punti, poiché non erano docili e concordi. Dal momento che l'elezione patriarcale doveva tenersi non molto dopo, e poiché essi erano animati da uno spirito di contesa ed erano privi di pentimento e non accettavano i tomi sinodali in difesa della pietà e allo stesso tempo rinnegavano le loro stesse firme, conformemente alle leggi furono lasciati da parte. Se infatti, secondo il xix canone del secondo Sinodo di Antiochia, quando l'ordinazione avviene con il voto dei convenuti, «se alcuni si oppongono per il loro spirito di contesa, deve valere il voto della maggioranza»,479 quanto di più ciò varrà e sarà stabilito in modo più che lodevole e giusto, allorché gli oppositori e amanti della contesa sono anche in modo inequivocabile oppo� sitori della stessa verità dei pii dogmi che è stata manifestata più volte sino� dalmente? Per queste ragioni dunque, in conformità ai canoni, come abbiamo detto, noi – cioè il resto della schiera dei metropoliti – li abbiamo rigettati. Essendoci riuniti ed essendo d'accordo, abbiamo proceduto all'elezione del patriarca e poi abbiamo anche celebrato l'ordinazione per grazia e ausilio del divino Spirito. Ma essi si separarono in maniera malvagia e non ritenevano giusto mutare posizione e passare dalla parte più eccellente, sottomettersi al patriarca e porre fine agli scismi, ma persistevano ostinatamente nella loro malvagia, sin dall'o� rigine, opposizione e si compiacevano nelle loro conventicole.480 Noi invece, da un lato soffrendo per loro, sino a poco prima nostri fratelli e concelebranti, dall'altro sforzandoci per la serenità e la pace della Chiesa, non imponemmo loro nessun obbligo, né pensavamo che si dovesse recare loro molestia per il fatto che organizzavano conventicole, ma piuttosto tollerammo in maniera mite e fraterna per tre mesi, sopportando quello che con fare malvagio e anti� canonico era fatto contro di noi. Ma quale enorme malvagità e a quanto grande male conduce ciò che è compiuto in modo totalmente dissennato! Noi infatti nemmeno dopo la loro così irrazionale ostinazione non abbiamo disperato del loro raddrizzamento, ma una, due e più volte li abbiamo invitati alla pace e alla concordia con convocazioni sinodali, e costoro hanno avuto l'ardire, mentre la nostra benevolenza nei loro confronti era, come sembra, a questo finalizzata, di rivolgere contro di noi scritti pieni di impudenza e di menzogna e di inviarceli. Essi hanno attirato a buon diritto una e due volte su loro stessi il verdetto di deposizione che deriva dal primo e dal secondo tomo e sono depo�
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καὶ μεγάλων ἐκείνων συνόδων, καὶ δὶς καὶ τρὶς καὶ πολλάκις καθῃρημένοι καὶ τῆς τῶν ὀρθοδόξων Ἐκκλησίας ἐκτετμημένοι τοιούτοις καθ’ ἡμῶν τε καὶ τῆς εὐσεβείας ἀναιδέσιν ἐχρήσαντο γράμμασιν, ἐν οἷς πρῶτον μὲν ὁμολογοῦσι καὶ αὐτοὶ πολλάκις ὑφ’ ἡμῶν διαμηνυθῆναι, ἔπειτα δήλους ποιοῦσιν ἑαυτοὺς ἀθετητάς τε τῆς κατ’ εὐσέβειαν ἀληθείας ὄντας καὶ κατηγόρους φανεροὺς τῶν συνηγόρων τῆς εὐσεβείας, καὶ ταῦτα διὰ γραφῶν καὶ ὑπογραφῶν οἰκείων αὐτοῦ τε τοῦ Ἐφέσου, τοῦ Γάνου καὶ τοῦ Ἄπρω· τούτου χάριν καθαιρέσεως ἄξιον ἀποφηναμένων εἶναι τὸν χρηματίσαντα πατριάρχην, ὃ καὶ εἰς ἐπήκοον πολλάκις ἐν ταῖς εἰρημέναις συνόδοις ἐνώπιον αὐτῶν ἀναγνωσθὲν οὐ μετρίως τούτους κατῄσχυνε· μετὰ δὲ ταῦτα ψεῦδος τιθέμενοι τὴν ἐλπίδα αὐτῶν καὶ ὄντως εἰπόντες· τῷ ψεύδει σκεπασθησόμεθα, φασὶν ἀποῤῥαγῆναι τῆς Ἐκκλησίας διὰ τὸ μὴ προσηκόντως, ὡς αὐτοὶ λέγουσι, γενέσθαι τὸν πατριάρχην, οἱ πρὸ τοῦ γενέσθαι τὸν πατριάρχην ἀποῤῥαγέντες, μᾶλλον δὲ ἀπελαθέντες τῆς συνοδίας τῶν ὀρθοδόξων, ὡς μὴ συμφωνήσαντες τῇ κατ’ εὐσέβειαν ἀληθείᾳ. Ἀλλὰ καὶ κανόνων μέμνηνται οἱ ἀθέσμως καὶ ἀκανονίστως τοσαῦτα διαπραττόμενοι καὶ οὕτως ἀφειδῶς τὴν τοῦ Θεοῦ Ἐκκλησίαν ταράττοντες, κανόνων ἐκείνων, οἳ περί τε τοῦ μὴ δεῖν ἄρχοντας ψηφίζεσθαι ἐπισκόπους διακελεύονται καὶ περὶ τοῦ μὴ δύνασθαι παρ’ ἑτέρου δεχθῆναι τὸν καθαιρεθέντα ὑπὸ τοῦ ἰδίου ἐπισκόπου, εἰ μὴ ὑπ’ αὐτοῦ παραδεχθείη τοῦ ἐπισκόπου ἢ συνόδου γενομένης ἀπαντήσας ἀπολογήσεται, πείσας τε τὴν σύνοδον καταδέξοιτο ἑτέραν ἀπόφασιν. Ὅτι μὲν οὖν ψεῦδος σαφὲς τὸ δι’ ἀρχοντικῆς ἐξουσίας ἐκτελεσθῆναι τὰς ψήφους ταύτας, ἀκριβῶς ἴσμεν ἡμεῖς, ὁ τῶν συνειλεγμένων καὶ συμψηφισαμένων χορός· καὶ οὐχ ὑπὲρ τῆς ἀληθείας αὐτῆς τοῦτο γράφομεν μόνον, ἀλλὰ καὶ τῆς περὶ τὰ θεῖα τοῦ βασιλέως ἀκριβοῦς εὐλαβείας, εἰς ὃν οὗτοι παροινεῖν ἐπιχειροῦντες αὐτοῦ τοιαῦτα φρενοβλαβῶς καταφθέγγονται. Ἐπίσκοπος δὲ τοῦ νῦν χάριτι Χριστοῦ πατριάρχου καὶ τῶν σὺν αὐτῷ πῶς ἐκεῖνος ἦν ἀληθῶς φανερῶς ἑτερόφρων ὑπάρχων, οὗ καὶ μᾶλλον κατὰ τοὺς ἱεροὺς κανόνας εἰκότως ὡς εὐσεβῶς φρονοῦντες ἀπεῤῥάγησαν οὗτοι, ἅτε τοῖς καὶ ὑπ’ αὐτοῦ καταδικασθεῖσι καὶ κακοδόξοις ἀναφανεῖσιν, ὕστερον προσθεμένου κακῶς κἀντεῦθεν ταῖς οἰκείαις ὑποπεσόντος φρικωδεστάταις ἀραῖς καὶ ἀναθεματισμοῖς καὶ ἀποκηρύξεσι; Φησὶ γὰρ ὁ πεντεκαίδεκατος κανὼν τῆς ἐν Κωνσταντινουπόλει πρώτης καὶ δευτέρας λεγομένης συνόδου ὅτι τὰ ὁρισθέντα ἐπὶ πρεσβυτέρων καὶ
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III. I documenti e i testi
141 δὲ ταῦτα] ταῦτα δὲ Κ. 158 τοῦ] om. Κ. 141 ψεῦδος … 142 σκεπασθησόμεθα] Is. 28, 15. 152 συνόδου … 153 ἀπόφασιν] Synodus Antiochena, VI: JOANNOU 1962b, 109, ll. 17–21. 165 τὰ … 184 ῥύσασθαι] Concilium Constantinopolitanum primum secundum, 15: JOANNOU 1962a, 473, l. 14 – 475, l. 16.
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2. Il Tomo di deposizione di Matteo di Efeso (agosto 1347)
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sti due, tre e più volte da quei molti e grandi sinodi e separati dalla Chiesa de� gli ortodossi per aver fatto rivolto contro di noi e contro la pietà tali spudorati scritti, nei quali in primo luogo essi stessi confessavano anche di essere stati più volte da noi convocati e poi rendevano evidente di essere loro stessi nega� tori della verità conforme alla pietà e accusatori manifesti dei difensori della pietà, e questo tramite quei medesimi scritti e le sottoscrizioni dello stesso metropolita di Efeso e di quelli di Ganos e di Apros. Difatti avevano detto che l'allora patriarca era degno di deposizione, documento che essendo letto ad alta voce più volte nei summenzionati sinodi li svergognò grandemente.481 In seguito, riponendo «nella menzogna» la loro «speranza» e dicendo davvero: «della menzogna ci siamo fatti un rifugio» (Is. 28, 15), essi affermavano di es� sersi separati dalla Chiesa perché il patriarca, come essi stessi sostengono, era stato eletto in modo non regolare, loro che prima che fosse eletto il patriarca si erano separati, meglio si erano dimenticati della comunità degli ortodossi, perché non concordavano con la verità conforme alla pietà. Ma essi, che in modo illegale e anticanonico compiono tali cose e così senza pietà sconvolgono la Chiesa di Dio, citano canoni, quei canoni che pre� scrivono che le autorità civili non devono nominare i vescovi482 e che chi è deposto dal suo vescovo non può essere ammesso da un altro se non è accolto dallo stesso a meno che, riunitosi un sinodo, non si presenti per difendersi, convincendo il sinodo a prendere una decisione diversa.483 Noi – la schiera di coloro che si sono riuniti e dei votanti – sappiamo con esattezza che è una ma� nifesta menzogna che questa elezione si svolse per mano delle autorità civili e scriviamo ciò non solo in difesa della stessa verità, ma anche della rigorosa pietà circa le cose divine dell'imperatore, al quale costoro cercano di arrecare molestie, urlando follemente tali cose. Come poteva essere vescovo dell'attua� le patriarca e di quelli con lui, colui che davvero era un eretico manifesto, dal quale piuttosto essi, poiché pensavano in modo pio, a ragione si separarono in conformità ai sacri canoni, dal momento che egli si era in seguito malva� giamente associato a coloro che era stati da lui stesso condannati e proclamati eretici e di conseguenza era caduto sotto le sue stesse molto tremende maledi� zioni, anatemi e scomuniche? Dice infatti il canone xv del concilio primo e secondo di Costantinopoli: «Quanto è stato stabilito per i presbiteri, vescovi e metropoliti ancora di più
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III. I documenti e i testi
ἐπισκόπων καὶ μητροπολιτῶν πολλῷ μᾶλλον καὶ ἐπὶ πατριαρχῶν ἁρμόζει. Ὥστε, εἴ τις πρεσβύτερος ἢ ἐπίσκοπος ἢ μητροπολίτης τολμήσειεν ἀποστῆναι τῆς πρὸς τὸν οἰκεῖον πατριάρχην κοινωνίας καὶ μὴ ἀναφέροι τὸ ὄνομα αὐτοῦ κατὰ τὸ ὡρισμένον καὶ τεταγμένον ἐν τῇ θείᾳ μυσταγωγίᾳ, ἀλλὰ πρὸ ἐμφανείας συνοδικῆς καὶ τελείας αὐτοῦ κατακρίσεως σχίσμα ποιήσοι, τοῦτον ὥρισεν ἡ ἁγία σύνοδος πάσης ἱερατείας παντελῶς ἀλλότριον εἶναι, εἰ μόνον τοῦτο ἐλεγχθείη παρανομήσας. Καὶ ταῦτα μὲν ὥρισται καὶ ἐσφράγισται περὶ τῶν προφάσει τινῶν ἐγκλημάτων τῶν οἰκείων ἀφισταμένων προέδρων καὶ σχίσματα ποιούντων καὶ τὴν ἕνωσιν τῆς Ἐκκλησίας διασπώντων. Οἳ γὰρ δι’ αἵρεσίν τινα παρὰ τῶν ἁγίων συνόδων ἢ πατέρων κατεγνωσμένων τῆς πρὸς τὸν πρόεδρον κοινωνίας ἑαυτοὺς διαστέλλοντες, ἐκείνου τὴν αἵρεσιν δηλονότι δημοσίᾳ κηρύττοντος καὶ γυμνῇ τῇ κεφαλῇ ἐπ’ ἐκκλησίᾳ διδάσκοντος, οἱ τοιοῦτοι οὐ μόνον τῇ κανονικῇ ἐπιτιμήσει οὐχ ὑποκείσονται, πρὸ συνοδικῆς διαγνώσεως ἑαυτοὺς τῆς πρὸς τὸν ἐγκαλούμενον ἐπίσκοπον κοινωνίας ἀποτειχίζοντες, ἀλλὰ καὶ τῆς προσηκούσης τιμῆς τῶν ὀρθοδόξων ἀξιωθήσονται· οὐ γὰρ ἐπισκόπων, ἀλλὰ ψευδεπισκόπων καὶ ψευδοδιδασκάλων κατέγνωσαν καὶ οὐ σχίσματι τὴν ἕνωσιν τῆς Ἐκκλησίας κατέτεμον, ἀλλὰ σχισμάτων καὶ μερισμῶν τὴν Ἐκκλησίαν ἐσπούδασαν ῥύσασθαι. Οὕτω μὲν οὖν καλῶς καὶ κατὰ τὴν τῶν πατέρων τούτων διαταγὴν διεπράξαντο οἱ τοῦ νενοσηκότος τὰ τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δυσσεβῆ δόγματα καὶ ταῦτα διαῤῥήδην καὶ ἀνερυθριάστως κηρύττοντος ἑαυτοὺς ἀποστήσαντες. Πῶς δ’ ἂν καὶ ἡ παρ’ ἐκείνου καθαίρεσις ὅλως καθαίρεσις λογισθείη, δι’ ἣν καὶ οὐ καθῄρηται μόνον ἐκεῖνος, ἀλλὰ καὶ τοῦ χριστωνύμου πληρώματος ἀπελήλαται, εἰ μὴ μετάμελον λάβοι καὶ ἀληθῆ καὶ γνησίαν ἐνδείξεται τὴν μετάνοιαν; Οὐ μήν, ἀλλ’ εἰ καὶ τῶν εὐσεβῶς φρονούντων ἐτύγχανεν ὢν κἀν τοῖς ὡς ἀληθῶς ἐπισκόποις κατειλεγμένων, εἶτά τινα μέμψιν ἐπήνεγκε τότε τῷ νῦν πατριάρχῃ, καὶ οὗτος ἀνεύθυνος νῦν ὅδε, ἐν ταῖς προῤῥηθείσαις συνόδοις πολλάκις ἀπολογησάμενος καὶ ἀποκατάστασιν δικαίαν λαβών, κατ’ αὐτὸν δὴ τοῦτον τὸν Ϛʹ κανόνα τῆς ἐν Ἀντιοχείᾳ συνόδου, ὃν καὶ αὐτοὶ προήνεγκαν, λέγοντα ἐκεῖνον ἀπαράδεκτον εἶναι, ὃς μὴ συνόδου γενομένης ἀπαντήσας ἀπολογήσεται, πείσας δὲ τὴν σύνοδον 166 πολλῷ] πόλλων Κ. 171 ποιήσοι] ποιήσει X. 175 γὰρ] γε X. | αἵρεσίν τινα] διαίρεσιν τινὰ Κ. 176 κατεγνωσμένων] lege κατεγνωσμένην. 182 ἐπισκόπων] ἐπίσκοπον X. | ψευδεπισκόπων] ψευδεπίσκοπον X. | ψευδοδιδασκάλων] ψευδοδιδάσκαλων X. 188 Πῶς] ὁ post. Κ. | λογισθείη] λογισθείην Κ. 191 ἐτύγχανεν] ἐτύγχανον X. 192 κἀν] κἂν Κ. | κατειλεγμένων] κατειλεγμένος Κ. 193 οὗτος] οὕτως ΚX. 197 δὲ] τε Κ. 197 συνόδου … 198 ἀπόφασιν] Synodus Antiochena, VI: JOANNOU 1962b, 109, ll. 17–21.
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conviene per i patriarchi. Così, se un presbitero o un vescovo o un metropolita avrà l'ardire di separarsi dalla comunione con il proprio patriarca e non com� memorerà il suo nome durante la divina liturgia, come è stabilito e ordinato, ma prima di un decreto sinodale e la definitiva sua condanna, provoca uno scisma, il santo sinodo stabilisce che costui sarà completamente privato di ogni ministero sacerdotale, se egli sarà condannato soltanto perché ha com� messo questa colpa. Ciò è stabilito e sancito per coloro che con il pretesto di alcune accuse si separano dai loro presuli e operano scismi e lacerano l'unità della Chiesa. Coloro invece che, a causa di qualche eresia condannata dai santi Concili o dai Padri, si separano dalla comunione con il loro presule, a condizione che quello predichi pubblicamente l'eresia e arditamente la insegni in chiesa, costoro non solo non saranno sottoposti alla punizione canonica, perché prima della deliberazione sinodale si sono separati dalla comunione con il vescovo accusato, ma anche saranno ritenuti degni dell'onore che spetta agli ortodossi. Infatti non accusano vescovi, ma falsi vescovi e falsi maestri e non lacerano l'unione della Chiesa con uno scisma, ma cercano di liberare la Chiesa da scismi e divisioni».484 Così dunque ottimamente e in conformità con l'ordinamento di questi Padri fecero quelli che si separarono da colui che era affetto dagli empi dogmi di Barlaam e Acindino e che li predicava pubblicamente e senza arrossire. Come potrebbe mai essere considerata una deposizione la deposizione emessa da quello, tramite la quale egli stesso non era soltanto deposto ma anche espulso dall'insieme dei Cristiani, se non si fosse ravveduto e non avesse mostrato un vero e autentico pentimento? Certamente, ma se anche a uno di quelli che pen� sano in modo pio, annoverato proprio tra i vescovi, fosse capitato per caso e allora avesse rivolto un rimprovero all'attuale patriarca, ora costui è innocente e quello nei summenzionati sinodi più volte si è difeso e ha ottenuto la giusta reintegrazione, in conformità allo stesso vi canone del sinodo di Antiochia, da loro addotto, secondo il quale è inammissibile che, non «riunitosi un sinodo, si presenti per difendersi, convincendo il sinodo a prendere una decisione diver�
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καταδέξοιτο ἑτέραν ἀπόφασιν τὴν ἀθῳοῦσαν πάντως αὐτὸν, ὃν δὴ καὶ ὁ νῦν πατριάρχης παρὰ πολλῶν, ὡς εἴρηται, συνόδων ἐδέξατο· ὥστε μάτην αὐτοῖς καὶ ὁ τοιοῦτος κανὼν προενήνεκται καὶ καθ’ ἑαυτῶν μᾶλλον ἢ καθ’ ὧν προενεγκεῖν τοῦτον ἐνόμισαν. Ἀλλὰ καὶ ἡ τὸν Νεστόριον καθελοῦσα ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ τρίτη σύνοδος πάντας τοὺς ἐπ’ ἐκείνου καθαιρεθέντας, ὡς μὴ ὁμοφρονήσαντας αὐτῷ, ἐδικαίωσε καὶ ἀκαθαιρέτους ἀνέδειξε καὶ εἰς τοὺς οἰκείους βαθμοὺς ἀποκατέστησεν ἕκαστον, μηδ’ ὅλως τούτους ἀναμένειν δεῖν κρίνασα πατριάρχην ἕτερον Κωνσταντινουπόλεως, ὥστε καταστῆσαι τούτων ἕκαστον εἰς τὸν οἰκεῖον βαθμόν, καθὼς ἀρτίως οὗτοι πάνυ ἀμαθῶς καὶ ἀκανονίστως περί τε τοῦ νῦν πατριάρχου καὶ τῶν μετ’ αὐτοῦ συκοφαντηθέντων διισχυρίζονται· οὐ μόνον δὲ ἀθῴους τούτους ἀπέδειξεν, ἀλλὰ καὶ τοὺς ἀπαντήσαντας τότε ἐπισκόπους καὶ μὴ συμφωνήσαντας τῇ συνόδῳ ἐπὶ τοσοῦτον καταδικάσασα φαίνεται, ὥστε μηδένα ὑποκεῖσθαι αὐτοῖς παῤῥησίᾳ διακελεύεται. Περὶ γὰρ τούτων πάντων ἡ εἰρημένη ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ τρίτη σύνοδος ἐν τῷ γʹ αὐτῆς κανόνι διαλαβοῦσα τάδε φησίν· Εἰ δέ τινες τῶν ἐν ἑκάστῃ πόλει ἢ χώρᾳ κληρικῶν ὑπὸ Νεστορίου καὶ τῶν σὺν αὐτῷ ὄντων τῆς ἱερωσύνης ἐκωλύθησαν διὰ τὸ ὀρθῶς φρονεῖν, ἐδικαιώσαμεν καὶ τούτους τὸν ἴδιον ἀπολαβεῖν βαθμόν, κοινῶς δὲ τοὺς τῇ ὀρθοδόξῳ καὶ οἰκουμενικῇ συνόδῳ συμφρονοῦντας κληρικοὺς κελεύομεν τοῖς ἀποστατήσασιν ἢ ἀφισταμένοις ἐπισκόποις μηδόλως ὑποκεῖσθαι κατὰ μηδένα τρόπον. Ἀλλ’ ἡμεῖς τούτους, καίτοι κατὰ τοὺς ἱεροὺς καὶ θείους κανόνας πάσης ἱερατικῆς ἀξίας καὶ ἐξουσίας ἀπελαυνομένους δικαίως, ὡς ἀποστατήσαντας καὶ μὴ συμφρονοῦντας τῇ τοῦ Θεοῦ Ἐκκλησίᾳ καὶ τοῖς συνοδικῶς ἀναπεφηνόσι καὶ ἀναγεγραμμένοις εὐσεβέσι δόγμασιν, ἀλλ’ ἀεὶ παρασυνάγειν καὶ συγχεῖν καὶ διαταράττειν τὴν Ἐκκλησίαν ἐπιχειροῦντας, ὅμως πολλάκις καὶ διαφόρως δεῖν ἔγνωμεν προσκαλέσασθαι, πρὸς μετάνοιαν καὶ τὴν τῆς Ἐκκλησίας ὁμοφροσύνην τούτους ἀνάγοντες. Οὐχ ἡμεῖς δὲ μόνον τοῦτο διεπραξάμεθα δι’ ἀρχιερέων τε καὶ προσώπων ἐκκλησιαστικῶν οὐκ ὀλίγων, ἀλλὰ καὶ ὁ κράτιστος καὶ ἅγιος ἡμῶν αὐθέντης καὶ βασιλεύς, τὴν ἔμφυτον αὐτοῦ χρηστότητα καὶ φιλανθρωπίαν καὶ πρὸς αὐτοὺς ἐνδεικνύ-
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III. I documenti e i testi
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198 ὃν] ἣν Κ. 203 ἀκαθαιρέτους] ἀκαθαίρους Κ. 204 οἰκείους] ἰδίους X. 206 τούτων] τούτον Κ. 207 καὶ ἀκανονίστως] om. X. | αὐτοῦ] μεθ’αὐτοῦ X. 208 οὐ … τούτους] οὐ μόνον δὲ τούτον οὐ μόνον δὲ τούτους ἀθῴους Κ. 213 γʹ] τρίτῳ Κ. 218 μηδόλως] μηδ’ ὅλως X. 219 ἱεροὺς … θείους] θείους καὶ ἱεροὺς X. 222 ἀναπεφηνόσι] ἐναπεφηνόσι X. 225 ἀνάγοντες] ἐνάγοντες Κ. | μόνον … 226 τοῦτο] τοῦτο μόνον Κ.
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213 Εἰ … 219 τρόπον] Concilium universale Ephesinum anno 431. Gesta Ephesina 91, 4 Synodi Epistula generalis: ACO I/1/3, 28, ll. 3 –7.
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sa»,485 che l'assolva completamente, come l'attuale patriarca che è stato accolto da molti, come si è detto, sinodi. Cosicché invano tale canone è addotto da loro, dal momento che è rivolto contro loro stessi più che contro quelli per i quali pensano di citarlo. Ma anche il santo ed ecumenico terzo Concilio che ha deposto Nestorio rese giustizia, e mostrò come non fossero stati in realtà deposti quelli da lui deposti perché non condividevano le sue idee; reintegrò ciascuno nel suo rango, e non stabilì che questi dovessero attendere un altro patriarca di Costantinopoli perché ciascuno fosse reintegrato nel suo rango, come ora costoro affermano in maniera del tutto ignorante e anticanonica in merito all'attuale patriarca e a quelli che assieme a lui sono calunniati. Non solo il Concilio dichiarò quelli innocenti, ma anche mostrò di condannare i vescovi, che allora si opponevano e non erano d'accordo con il Concilio su tale questione, da dare la facoltà che nessuno fosse loro subordinato. Di tutto ciò tratta il summenzionato santo ed ecumenico terzo Concilio nel suo iii canone, quando dice: «Se alcuni dei chierici in una città o campagna sono stati privati del sacerdozio da Nestorio e da quelli che erano con lui a ragione del fatto che pensavano rettamente, riteniamo giusto che anche questi riprendano il loro rango. In generale ordiniamo che quei chierici che aderi� scono a questo ortodosso ed ecumenico Concilio non debbano assolutamente e in nessun modo essere sottoposti ai vescovi che hanno apostatato e sono diventati avversi».486 Noi tuttavia, in conformità con i sacri e divini canoni pri� viamo giustamente costoro di ogni dignità e potere sacerdotale, perché hanno apostatato e non aderiscono alla Chiesa di Dio e ai pii dogmi che sono stati proclamati e messi per iscritto sinodalmente, ma cercano sempre di costituire conventicole e di turbare e sconvolgere la Chiesa. Nondimeno abbiamo più volte e in diversi modi giudicato nostro dovere convocarli, conducendoli al pentimento e alla concordia con la Chiesa. Non soltanto noi l'abbiamo fatto tramite diversi metropoliti ed ecclesiastici, ma anche il molto potente e santo nostro sovrano e imperatore, il quale, manifestando anche verso di loro la sua congenita bontà d'animo e benevolenza, inviò molti messaggi tramite arconti
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III. I documenti e i testi
μενος, πολλοῖς τε μηνύμασι πρὸς αὐτοὺς διὰ συγκλητικῶν ἀρχόντων ἐχρήσατο καὶ δὴ καὶ αὐτοπροσώπως οὐκ ὀλιγάκις τούτοις ὡμίλησε, συνετῶς ἄγαν διαλεγόμενος καὶ γενναίως ἐξελέγχων αὐτοὺς καὶ συμπαθῶς προτρεπόμενος εἰς μετάνοιαν. Οἳ δέ, τῆς τε ἡμετέρας πρὸς αὐτοὺς ἀδελφικῆς διαθέσεως ἀλογήσαντες καὶ τῆς βασιλικῆς εὐμενείας καταφρονήσαντες, τοῖς προτέροις ἐνέμειναν, ἀνίατα καθάπαξ νοσήσαντες ἀεὶ τάς τε παρασυναγωγὰς καὶ τὰ σχίσματα καὶ τὰς ἐντεῦθεν ταραχὰς ἐπιτείνοντες. Τοιγαροῦν ἣν οὗτοι καθ’ ἑαυτῶν ἐπεσπάσαντο συνοδικὴν καταδίκην ἔκ τε τῆς ἐνδιαστρόφου δόξης καὶ τῶν παρασυναγωγῶν καὶ τῆς ἀμεταμελήτου γνώμης, ταύτην καὶ ἡμεῖς αὐτοῖς ἐπιφέρομεν, καὶ τὸν μὲν Φιλίππων Νεόφυτον καὶ τὸν Γάνου Ἰωσήφ, ὡς διὰ πολλῶν καὶ λόγων καὶ πράξεων καὶ γραμμάτων ὁμοφρονοῦντας τοῖς Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δόγμασιν ἀναφανέντας καὶ μήτε τῷ ὑπὲρ εὐσεβείας προτέρῳ τόμῳ μήτε τῷ ἐπικυροῦντι τοῦτον δευτέρῳ συνθέσθαι θελήσαντας, ἀλλὰ καὶ τὰ παρὰ τοῦ Βαρλαὰμ κατὰ τῆς εὐσεβείας καὶ τῶν εὐσεβῶν προβεβλημένα τὴν ἀρχὴν καὶ αὐτοὺς προβαλλομένους διηνεκῶς Ἀκινδύνῳ παραπλησίως, ἔτι δὲ καὶ τετράδιον ἐπὶ συνόδου προενεγκόντας, ὃ πολλοῖς δυσσεβήμασιν ἐνόχους τούτους παρίστησι, διὰ ταῦτα τοίνυν, ἔτι δὲ καὶ τὴν κατὰ τῆς Ἐκκλησίας μέχρι νῦν ἀναισχυντίαν αὐτῶν, ἀπογυμνοῦμεν τούτους πάσης ἱερατικῆς ἀξίας καὶ λειτουργίας καὶ καθαιρέσει καθυποβάλλομεν. Τὸν δὲ Ἐφέσου, ὡς ἀθετήσαντα καὶ τοῦτον τὰς οἰκείας καὶ ταῦτα περὶ τῆς εὐσεβείας ἐγγράφους ὁμολογίας τε καὶ ὑπογραφάς, κἀντεῦθεν καὶ τὰς συνοδικὰς ἐκείνας ὑπὲρ τῶν ὀρθῶν δογμάτων διαγνώσεις καὶ ἀποφάσεις καὶ τοὺς ἐπὶ ταύταις τόμους παρ’ οὐδὲν θέμενον, τόν τε Παλαιῶν Πατρῶν καὶ τὸν Γάνου ἀργοὺς εἶναι ἀποφαινόμεθα, ὡς τούτοις ἀκολουθήσαντας, διδόντες αὐτοῖς καὶ προθεσμίαν μέχρι συμπληρώσεως τοῦ ἐπιόντος σεπτεμβρίου μηνός, ἵνα εἰ μὲν ἐντὸς ταύτης ἀπόσχοιντο τῆς πρὸς ἐκείνους ὁμοφροσύνης καὶ κοινωνίας, συμφωνήσωσι δὲ ἡμῖν κατὰ πάντα τοὺς ὑπὲρ εὐσεβείας ὑπογράψαντες τόμους, τὴν οἰκείαν ἀρχιερατικὴν ἀξίαν ἕκαστος αὐτῶν ἀπολάβῃ καὶ τοῖς ἀρχιερεῦσι τοῦ Θεοῦ πάλιν συγκαταλέγηται· εἰ δ’ οὖν τῇ αὐτῇ ψήφῳ καὶ καταδίκῃ καὶ τούτους καθυποβάλλομεν, πάσης ἱερατικῆς ἀξίας ἀναξίους τούτους ἡγούμενοι καὶ τοῦ τῶν ἀρχιερέων χοροῦ ἀποκόπτοντες, ἔτι τε καὶ τοῦ ὀρθοδόξου τῶν χριστιανῶν συστήματος τούτους τε κἀκείνους, ἐὰν ἀμεταμέλητοι μείνωσι, κατὰ τὴν προεξενεχθεῖσαν συνοδικὴν διάγνωσιν καὶ ἀπόφασιν ἐν τοῖς διαληφθεῖσι συνοδικοῖς τόμοις.
230 ὀλιγάκις] ὀλιγάκοις Κ. 244 καὶ] om. X. 254 ἐπιόντος] om. Κ. | σεπτεμβρίου] σεπτεβρίου Κ.
252 ἀποφαινόμεθα] ἀπεφαινόμεθα Κ.
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del senato e anche parlò con loro di persona varie volte, discutendo con grande saggezza, confutandoli nobilmente ed esortandoli con compassione al penti� mento. Essi non hanno tenuto in nessun conto la nostra disposizione fraterna verso di loro, hanno disprezzato la benevolenza imperiale, hanno persistito nelle loro posizioni, e malati in modo del tutto incurabile si sono sempre più dati da fare con le conventincole, gli scismi e i disordini che ne derivano. Co� storo hanno perciò attirato su di sé la condanna sinodale per la loro perversa opinione, le conventicole e un animo privo di pentimento, e anche noi inflig� giamo loro questa condanna. Neofito di Filippi e Giuseppe di Ganos, che con molti discorsi, azioni e scritti si sono dimostrati essere d'accordo con i dogmi di Barlaam e Acindino, che non hanno voluto concordare né con il primo tomo in difesa della pietà né con il secondo che lo ha confermato, che anche hanno riproposto di continuo in modo pari ad Acindino le dottrine contro la pietà e gli uomini pii formulate all'inizio da Barlaam, e che hanno ancora presentato al sinodo un quaderno, che li ha mostrati colpevoli di molte empietà; per que� sto motivo quindi, e anche per la loro impudenza sino a oggi contro la Chiesa, li spogliamo di ogni dignità e ministero sacerdotale e li puniamo con la depo� sizione. Il metropolita di Efeso – in quanto anche lui ha rifiutato di firmare la professione di fede scritta circa la pietà, e non tiene in nessun conto quei giu� dizi e decisioni sinodali e i tomi che ne derivano –, quello di Palaiai Patrai e di Ganos,487 decretiamo che siano sospesi, perché hanno seguito i primi, ma con� cediamo loro anche un termine sino al prossimo mese di settembre, in modo che, se entro questa scadenza si separeranno dalla concordia e dalla comunio� ne con quelli e saranno invece in tutto d'accordo con noi e sottoscriveranno i tomi in difesa della pietà, ciascuno di loro riotterrà la propria dignità vescovile e sarà di nuovo annoverato tra i metropoliti. In caso contrario, sottoponiamo anche loro allo stesso verdetto e condanna, ritenendoli indegni della dignità sacerdotale ed escludendoli dalla schiera dei metropoliti, e anche, loro come gli altri, dalla comunità ortodossa dei Cristiani, in conformità al giudizio e alla decisione sinodale pronunciati in precedenza nei successivi tomi sinodali.
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Ταῦτα οὕτω συνοδικῶς καὶ κανονικῶς ἡμῖν διαγνωσθέντα καὶ κυρωθέντα καὶ τὸ βέβαιον ἕξει καὶ ἀσφαλές, σύμφωνα προδήλως ὄντα τῇ ἀληθείᾳ καὶ ταῖς ἐγγράφοις συνοδικαῖς ἀποφάσεσι τῶν ὑπὲρ εὐσεβείας προβάντων ἱερῶν τόμων, οὓς ἐπικυροῦντες καὶ τὸ παρὸν ἐξεθέμεθα γράμμα. Ὃ προεγεγόνει μὲν καὶ ἀνεγνώσθη καὶ ἐστέρχθη προκαθημένου τοῦ παναγιωτάτου ἡμῶν δεσπότου τοῦ οἰκουμενικοῦ πατριάρχου καὶ συνεδριαζόντων τῶν ἱερωτάτων ἀρχιερέων, τοῦ Ἡρακλείας, τοῦ Θεσσαλονίκης, τοῦ Κυζίκου, τοῦ Φιλαδελφείας, τοῦ Σεβαστείας, τοῦ Ποντοηρακλείας, τοῦ Προύσης, τοῦ Τραϊανουπόλεως, τοῦ Μιτυλήνης, τοῦ Αἴνου, τοῦ Μηθύμνης, τοῦ Βιτζίνης, τοῦ Γοτθίας, τοῦ Χερσῶνος, τοῦ Γαρέλλης, τοῦ Καλλιουπόλεως, ἐχόντων τούτων καὶ γνώμας ἀπόντων τοῦ Ἀδριανουπόλεως, τοῦ Χριστουπόλεως, τοῦ Διδυμοτείχου, τοῦ Ἀρκαδιουπόλεως, τοῦ Σηλυβρίας, τοῦ Ῥωσίου καὶ τοῦ Ξανθίας. Ἀνεγνώσθη δὲ καὶ αὖθις πολλάκις καὶ πολλῶν παρόντων καὶ ἐστέρχθη παρὰ πάντων, ἔτι δὲ πάλιν καὶ τοῦ θειοτάτου βασιλέως προκαθεζομένου μετὰ τοῦ παναγιωτάτου καὶ οἰκουμενικοῦ πατριάρχου καὶ δὴ καὶ τοῦ ἁγιωτάτου πατριάρχου Ἱεροσολύμων καὶ τῶν ἄλλων πάλιν ἀρχιερέων. Ὕστερον δὲ ὑπεγράφη παρ’ ἡμῶν τῶν ἐνταῦθα παρόντων, μεθ’ ἡμέρας πλείους, ἀνασχομένων ἐπὶ πλέον καὶ τοὺς καταψηφισθέντας ἐκκαλουμένων εἰς μετάνοιαν. Μηνὶ αὐγούστῳ, ἰνδικτιῶνος ιεʹ. Αἱ ὑπογραφαί † Ἠσίδωρος ἐλέῳ Θεοῦ ἀρχιεπίσκοπος Κωνσταντινουπόλεως Νέας Ῥώμης καὶ οἰκουμενικὸς πατριάρχης. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Ἡρακλείας ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Θρᾴκης καὶ Μακεδονίας Φιλόθεος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Θεσσαλονίκης ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Θετταλίας Γρηγόριος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Κυζίκου ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Ἑλλησπόντου Ἀθανάσιος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης θεουπόλεως Προύσης ὑπέρτιμος καὶ πρόεδρος Κίου Ἱερόθεος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Τραϊανουπόλεως ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Ῥοδόπης Γεράσιμος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Μιτυλήνης καὶ ὑπέρτιμος Μαρκιανός.
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264 καὶ1] om. ΚX. 269 Φιλαδελφείας] Φιλαδελφίας Κ. 271 Μιτυλήνης] Μυτιλήνης X. 273 τοῦ Χριστουπόλεως] om. Κ. 282 Αἱ ὑπογραφαί] Ὑπογραφαί X. 283 Ἠσίδωρος] Ἰσίδωρος X. 289 Ὁ ταπεινὸς] Ταπεινὸς ὁ H. 295 Μιτυλήνης] Μυτιλήνης X.
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263 Ταῦτα … 266 τόμων] Cfr. Tomus synodicus a. 1347: PRK, II, nr. 147, ll. 417– 421, 380.
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Questo dunque, da noi deciso e decretato sinodalmente e canonicamente, ha una validità sicura, essendo chiaramente in accordo con la verità e i giudizi scritti sinodali dei sacri tomi emessi in difesa della pietà,488 a convalida dei quali emettiamo anche il presente documento. Questo è stato prodotto, letto e approvato, sotto la presidenza del nostro santissimo signore il patriarca ecumenico, essendo presenti i santissimi metropoliti di Eraclea, di Tessalonica, di Cizico, di Filadelfia, di Sebaste, di Eraclea del Ponto, di Prousa, di Traianoupolis, di Mitilene, di Ainos, di Methymna, di Bitzina, di Gothia, di Cherson, di Garella, di Kallioupolis, avendo questi anche le procure degli assenti, i metropoliti di Adrianopoli, di Christoupolis, di Didymoteichon, di Arkadioupolis, di Selymbria, di Rhosion e di Xanthe. Fu letto di nuovo più volte e alla presenza di molti e fu approvato da tutti. E ancora di nuovo, sotto la presidenza del molto divino imperatore, assieme al santissimo patriarca ecumenico, il santissimo patriarca di Gerusalemme e di nuovo gli altri metropoliti. Fu infine sottoscritto da noi allora presenti, dopo diversi giorni di attesa mentre invitavamo i condannati al pentimento. Mese di agosto, indizione xv. Le firme † Isidoro per misericordia di Dio arcivescovo di Costantinopoli Nuova Roma e patriarca ecumenico. † L'umile metropolita di Eraclea hypertimos ed esarca di tutta la Tracia e Macedonia Filoteo. † L'umile metropolita di Tessalonica hypertimos ed esarca di tutta la Tessaglia Gregorio. † L'umile metropolita di Cizico hypertimos ed esarca di tutto l'Ellesponto Atanasio. † L'umile metropolita della città di Dio Prusa hypertimos e proedros di Kios Ieroteo. † L'umile metropolita di Traianoupolis hypertimos ed esarca di tutti i Rodopi Gerasimo. † L'umile metropolita di Mitilene e hypertimos Marciano.
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† Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Αἴνου Δανιήλ. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Μηθύμνης καὶ ὑπέρτιμος Μαλαχίας. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Γαρέλλης Ἰωαννίκιος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Καλλιουπόλεως Ἰωσήφ. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Βρύσεως Θεοδώρητος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Μαδύτων καὶ ὑπέρτιμος Ἰάκωβος.
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III. I documenti e i testi
Εἶχε καὶ ὄπισθεν ταῦτα Τὴν παροῦσαν συνοδικὴν πρᾶξιν, ὡς τοὺς προβεβηκότας ὑπὲρ εὐσεβείας συνοδικοὺς τόμους ἐπιστηρίζουσαν καὶ βεβαιοῦσαν, στέργων καὶ αὐτός, ἅτε δὴ καὶ παρουσίᾳ τοῦ κρατίστου καὶ ἁγίου μου αὐτοκράτορος κἀμοῦ παρόντος ἀναγνωσθεῖσάν τε καὶ στερχθεῖσαν, οἰκειοχείρως ὑπογράφω. Μηνὶ αὐγούστῳ, ἰνδικτιῶνος ιεʹ. † Λάζαρος ἐλέῳ Θεοῦ πατριάρχης Ἱεροσολύμων.
Il patriarca Isidoro i più tardi, nel suo Testamento, ricorderà il dolore da lui sofferto per essere stato costretto a deporre i metropoliti oppositori: «Εἶδεν ὁ λογισμοὺς καὶ καρδίας ἐτάζων Θεός, ὡς πολλάκις ὑπὲρ τῶν καθαιρεθέντων ἀρχιερέων ἐπ’ ἐμοῦ καὶ δάκρυον συμπαθείας ἀφῆκα καὶ τὴ ψυχὴν οὐ μετρίως ἤλγησα ὑπὸ τῆς ἐκείνων διὰ τέλους ἐνστάσεως, καὶ τοῦ θείου δικαίου ἀναγκασθεὶς τῇ καθαιρέσει τῶν τοιούτων ἐπιψηφίσασθαι ἅπαξ προελόμενος μηδενὶ πικρίας αἴτιος καταστῆναι, ὅτι μὴ πᾶσα ἀνάγκη καὶ ὅτι τὴν ἐκείνων μετάνοιαν ἐκδεχόμενος ἡμέραν ἐξ ἡμέρας διετέλουν ἀναβαλλόμενος, πολλὰ καὶ δεινὰ καὶ παρὰ τῶν οἰκειοτάτων ἀκούσας, ὡς ὑπερτιθέμενος τὴν καθαίρεσιν», PRK ii, nr. 156, ll. 105–113, 434. 468 Frase che riecheggia il Tomo sinodale del 1341: «τισὶ τῶν παρ’ ἡμῖν μοναχῶν, οἳ τὸν ἡσύχιον προελόμενοι βίον, τοῖς ἄλλοις πᾶσι χαίρειν εἰπόντες Θεῷ προσανέχουσι», PRK ii, nr. 132, ll. 20–21, 212; v. anche Gregorio Palamas, Triadi in difesa dei santi esicasti, ii, 1, 1: PS, i, 465, ll. 15–16, Refutazione del documento di Giovanni Caleca, 15: PS ii, 598, ll. 8–10. 469 Evocazione del sinodo del 10 giugno 1341, che condannò Barlaam. 470 V. il passo del Tomo sinodale del 1341: «Ἀνεφάνη οὖν καὶ ἀπηλέγχθη ἐκ τούτων ὁ Βαρλαὰμ βλασφήμως καὶ κακοδόξως λαλῶν», PRK ii, nr. 132, ll. 464–465, 254. 471 Ripresa del Tomo sinodale del 1341: «διθεΐας αὐτοῖς ἐντεῦθεν ἔγκλημα προστρίψασθαι ἐπεχείρησεν», PRK ii, nr. 132, ll. 30–31, 212. 472 Espressione presente in molte opere di Gregorio Palamas, cfr. in particolare Dialogo di un ortodosso e di un barlaamita, 56: PS ii, 217, ll. 12–13, «ἡ θεοποιὸς χάρις, ἣ καὶ αὕτη παρὰ τῶν ἁγίων θεότης ὀνομάζεται». 473 ������������������������������������������������������������������������������������������� Parole ripetute spesso da Palamas e i suoi seguaci, cfr. in particolare Refutazione del do� cumento di Giovanni Caleca, 6: PS ii, 591, ll. 17–18, «μετὰ τὴν τοῦ Βαρλαὰμ συνοδικὴν καταδίκην καὶ τὴν μετ‘ αἰσχύνης φυγήν». 474 Cfr. in particolare il passo del Tomo sinodale del febbraio 1347: PRK ii, nr. 147, ll. 89–90, 352, «κλέπτουσι τοὺς πολλοὺς πάλιν ὡς μὴ τὴν βαρλααμίτιδα πλάνην ἐπεκδικοῦντες». 475 Riunione sinodale del luglio 1341 (Darrouzès 1977, nr. 2212). Il passo riecheggia 467
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† L'umile metropolita di Ainos Daniele. † L'umile metropolita di Methymna e hypertimos Malachia. † L'umile metropolita di Garella Ioannikios. † L'umile metropolita di Kallioupolis Giuseppe. † L'umile metropolita di Brysis Teodoreto † L'umile metropolita di Madyta e hypertimos Giacomo. Presentava al verso quanto segue: Il presente atto sinodale, che sostiene e conferma i tomi sinodali che sono stati emessi in difesa della pietà, approvo anche io – perché alla presenza del molto potente e santo mio autocratore, essendo io presente, fu letto e approva� to – e sottoscrivo di mio pugno. Mese di agosto, indizione xv. † Lazzaro per misericordia di Dio patriarca di Gerusalemme.
l'esposizione fatta dal Tomo sinodale del febbraio 1347: PRK ii, nr. 147, ll. 96–114, 354. Rimando al dispositivo del Tomo sinodale del 1341: PRK ii, nr. 132, ll. 477–483, 254. Il racconto riprende anche qui quello del Tomo sinodale del febbraio 1347: PRK ii, nr. 147, ll. 115–125, 354–356. 477 Deposizione di Giovanni xiv Caleca avvenuta il 2 febbraio 1347, cfr. più in alto, 18–20. 478 Cfr. l‘analisi in Rigo 2013, 746–747, sulla base del prostagma e delle Storie di Giovanni Cantacuzeno, e cfr. più in alto, 23. 479 Sinodo di Antiochia, xix: Joannou 1962b, 119, ll. 21–25. 480 «Παρασυναγωγαί», anche alle ll. 234–235, 237, e «παρασυνάγοντας», l. 121, termine ba� sato in primo luogo su Basilio, cfr. Joannou 1962b, 95, l. 11 e Lampe s. v. 481 Rimando al rapporto, vero e proprio atto di accusa contro Giovanni xiv Caleca, inviato all‘imperatrice Anna Paleologa nel settembre 1346 e sottoscritto, tra gli altri, dai metropo� liti di Efeso, Ganos e Apros, cfr. Rigo 2015. 482 Canoni degli Apostoli, xxx e ii Concilio di Nicea, iii, addotti dagli oppositori, cfr. più in alto, 73–77. 483 Canoni di Antiochia, vi: Joannou 1962b, 109, ll. 17–21. 484 Concilio Constantinopoli Primo-Secondo, 15: Joannou 1962a, 473, l. 14–475, l. 16. 485 Canoni di Antiochia, vi: Joannou 1962b, 109, ll. 17–21. 486 ACO i/1/3, 28, ll. 3–7. 487 Lege «Apros». 488 Ripresa quasi letterale dal Tomo sinodale del febbraio 1347: «Ταῦτα οὕτω συνοδικῶς ἡμῖν μετὰ τῆς ἐκ Θεοῦ βασιλείας ἐξετασθέντα καὶ διαγνωσθέντα καὶ κυρωθέντα τὸ ἀσφαλὲς ἐν πᾶσι καὶ βέβαιον ἕχει, σύμφωνα πάντως ὄντα τῇ τε ἀληθείᾳ καὶ τοῖς ἱεροῖς πατράσι πᾶσι καὶ ταῖς προγεγενημέναις τούτου χάριν ἱεραῖς καὶ θείαις συνόδοις καὶ τῷ ἐπ’ αὐταῖς συνοδικῷ τόμῳ, ἀλλὰ δὴ καὶ ταῖς προρρηθείσαις ψήφοις καὶ ἀποφάσεσι», PRK ii, nr. 147, ll. 417–421, 380. 476
3. L'APOLOGIA DI GIOVANNI XIV CALECA DEL 2 FEBBRAIO 1347 (E LA SCOMUNICA DI GREGORIO PALAMAS) 1. Diversi anni dopo gli avvenimenti narrati, Arsenio di Tiro nel suo Tomo sottolineava che nella stessa notte (2 febbraio 1347) il patriarca Giovanni Caleca era stato deposto e Giovanni Cantacuzeno era entrato in Costantinopoli. Egli ricordava anche che quando nel palazzo imperiale si era riunito il «malvagio e brigantesco sinodo», il patriarca aveva emesso la scomunica scritta contro Palamas e suoi seguaci e coloro che erano in comunione con loro.489 A queste righe di Arsenio deve essere affiancata la testimonianza di un altro antipalamita, Giovanni Ciparissiota, che per la redazione della sua opera ebbe accesso a documenti provenienti dal patriarcato e dagli oppositori del Palamismo. Nella narrazione di quegli eventi, e in particolare del sinodo del 2 febbraio 1347 che depose Giovanni Caleca, per il quale utilizzava lo stesso aggettivo presente nel Tomo di Arsenio (λῃστρικὴ σύνοδος), egli esordiva ricordando che «il grande patriarca di beata memoria Giovanni il confessore» (ὁ ... μακαρίτης καὶ μέγας ἐν πατριάρχαις ὁ ὁμολογητὴς Ἰωάννης) in diverse occasioni aveva dichiarato la scomunica di Palamas e dei suoi seguaci. Ciparissiota voleva qui menzionare l'ultima impresa del patriarca, «l'Apologia indirizzata a quel brigantesco sinodo», della quale forniva anche l'incipit (ἐν τῇ πρὸς τὴν λῃστρικὴν ἐκείνην σύνοδον ἀπολογίᾳ, ἧς ἡ ἀρχή· Προβάλλονταί τινες). Egli riportava poi due passi di questo documento. 1. Τοὺς Παλαμίτας οὖν ὡς συκοφαντοῦντας καὶ διαβάλλοντας τὴν ἀλήθειαν, καὶ σκολιῶς καὶ πανούργως ἀνατρέπειν πειρώμενους τὰς τῆς πρώτης συνόδου ἀποφάσεις, τῷ ἀπὸ τῆς ἁγίας καὶ ὁμοουσίου καὶ μακαρίου καὶ ζωαρχικῆς Τριάδος ἡ μετριότης ἡμῶν καθυποβάλλει, καὶ ἀρᾷ ————– 489
«Ἅμα γὰρ τῷ κατὰ τὰ βασίλεια συνελθεῖν τὸ πονηρὸν ἐκεῖνο κατὰ τοῦ πατριάρχου συνέδριον καὶ τὴν ἄδικον ἐκείνην καὶ λῃστρικὴν ἀπόφασιν προενεγκεῖν κατ' αὐτοῦ καὶ ὁ Καντακουζηνὸς τῶν τῆς πόλεως τειχῶν γίνεται, τῶν περὶ τὸν Παλαμᾶν τὴν προδοσίαν συσκευασαμένων αὐτῷ. Τούτων δ᾿ ἔτι μελετωμένων ὁ πατριάρχης συλλογισάμενος ὁποῖον ἔσται τὸ πρὸς αὐτοῖς ἐσχάτην ταύτην ἐγγράφως τὴν ἀποκήρυξιν κατὰ τοῦ Παλαμᾶ ἐκφαίνει Τ ὸ ν ἀ σ ε β ῆ φάσκουσαν κ α ὶ ἀ θ ε ώ τ α τ ο ν Π α λ α μ ᾶ ν καὶ τὰ ἑξῆς, πάντας τοὺς στοιχοῦντας τοῖς μιαιροῖς αὐτοῦ δόγμασιν, ἀλλὰ δὴ καὶ τοὺς τολμήσοντας εἰς κοινωνίαν ἱερωσύνης οὕτως φρονοῦντας αὐτούς ποτε δέξασθαι τῷ ἀπὸ τῆς ζωαρχικῆς καὶ ἁγίας Τριάδος ἀφορισμῷ», ll. 138–152: POLEMIS 1993, 258–259.
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III. I documenti e i testi
ἀναθέματος, ἕως ἂν μετανοήσωσι καὶ ἐπιγράφωσι καὶ ὁμολογήσωσι τὴν ἀλήθειαν. La nostra mediocrità sottopone alla scomunica proveniente dalla santa, consustanziale, beata e vivificante Trinità e alla maledizione dell'anatema i Palamiti, poiché calunniano e ingannano la verità e tentano tortuosamente e malvagiamente di capovolgere le decisioni del primo sinodo sino a quando si pentiranno e metteranno per iscritto e confesseranno la verità. 2. Δι᾿ ἃ καὶ αὐτὸν τὸν Παλαμᾶν, καὶ τοὺς ὁμόφρονας αὐτῷ καὶ πάντας τοὺς διεκδικοῦντας τὰ τοιαῦτα καινοφανῆ δόγματα καὶ μὴ ἀποβαλλομένους αὐτά, τῷ αὐτῷ ἀφορισμῷ καθυπέβαλεν. Per questo motivo sottomettiamo alla stessa scomunica lo stesso Palamas, coloro che sono d'accordo con lui e tutti quelli che difendono tali nuovi dogmi e non li rigettano.490 È evidente che Arsenio di Tiro e Giovanni Ciparissiota si riferivano alla stessa azione del patriarca, che reagiva alla deposizione decisa dal sinodo convocato a palazzo da Anna Paleologa con la scomunica rivolta a Palamas, ai suoi seguaci e a coloro che si trovavano in accordo con loro. Del documento emesso in quel occasione da Caleca si conservano, da quanto ci risulta, soltanto i due frammenti citati dal Ciparissiota.491 2. Giovanni Mercati, descrivendo il manoscritto Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 291, si soffermava tra l'altro su uno dei documenti del codice (f. 229rv) editi da L. Allatius e ripresi dalla Patrologia graeca, la scomunica di Gregorio Palamas.492 Egli qui ne pubblicava il titolo e riproduceva una nota che lo seguiva nel manoscritto, che erano stati omessi da Allatius. Secondo Mercati, il documento è posteriore alla deposizione di Giovanni Caleca per————– 490 491
492
Giovanni Ciparissiota, Palamiticarum transgressionum liber IV. 3: PG 152, 708C1–D5. POLEMIS 1993, 278 affermava invece: «This document is lost». J. Darrouzès distingueva invece due azioni diverse, una «Excommunication et anathème contre Palamas» in data «(Fin janvier) – 2 février», DARROUZÈS 1977, nr. 2265, per la quale utilizzava anche il passo di Arsenio di Tiro e una seconda di poco successiva, DARROUZÈS 1977, nr. 2268, per la quale si basava su Giovanni Ciparissiota. Come vedremo nel seguito del capitolo, il documento del nr. 2265 non risale al 1347 e perciò questa entrata dei Regestes deve essere cancellata. ALLATIUS 1644, 197–198 = PG 150, 863C15–864A2; MERCATI 1931, 195.
3. L'Apologia di Giovanni XIV Caleca del 2 febbraio 1347
165
ché riguarda la sospensione della commemorazione del patriarca, «quindi del 1347, ed è parallelo all'anatematismo da lui lanciato nell'apologia contro la sinodo che lo depone e che è riferito dal Ciparissiota». Le considerazioni di G. Mercati sono state semplicemente riprese da J. Darrouzès che ha fissato quale data del documento i giorni tra la fine gennaio e il 2 febbraio 1347.493 Una lettura dello stesso mostra invece che la scomunica è rivolta soltanto a Gregorio Palamas e ai suoi ed è mossa da due motivazioni: l'interpretazione del Tomo sinodale del 1341 fatta dai Palamiti e la loro interruzione della commemorazione del patriarca. Le due questioni erano all'ordine del giorno in un periodo precedente al febbraio 1347 e per questa ragione la data del documento deve essere anticipata. L'interpretazione del Tomo sinodale del 1341 da parte di Palamas e dei suoi seguaci è centrale negli interventi del patriarca Giovanni Caleca della fine del 1344494 e del 1345.495 L'interruzione della commemorazione del patriarca è facilmente spiegabile se consideriamo i diversi scritti dello stesso Palamas e dei suoi (in particolare Giuseppe Kalothetos) tra il 1345 e il 1346 nella loro campagna di delegittimizzazione del patriarca. Nel crescendo dei loro attacchi, essi giungevano ad affermare che Giovanni Caleca era scomunicato sulla base del dispositivo del Tomo sinodale del 1341 e non poteva essere patriarca.496 Ciò significava logicamente l'interruzione della sua commemorazione, di cui tratta appunto il documento patriarcale. Sulla base di tutto questo, riteniamo che il documento di scomunica di Gregorio Palamas fu emesso da Giovanni XIV Caleca nel 1345/6. Pubblichiamo il documento del patriarca, seguito dalla nota circa il suo utilizzo da parte degli oppositori nel luglio 1347, sulla base dell'unico manoscritto che lo conserva, Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 291, f. 229rv.497 Ἀφορισμὸς τοῦ πατριάρχου κῦρ Ἰωάννου, ἀφορίζων τὸν Παλαμᾶν καὶ ἀναθεματίζων τὰ αὐτοῦ ἀσεβῆ δόγματα Τὸν Παλαμᾶν καὶ τοὺς ὁμόφρονας αὐτοῦ καὶ πάντα τὰ ἀσεβῆ αὐτῶν δόγματα, οἰκειότερον δὲ εἰπεῖν παραληρήματα, τούς τε ἐκδικοῦντας καὶ ἐκλαμβάνοντας καὶ ἐκδεχομένους τὰ ἐν τῷ Τόμῳ κατὰ τὴν αὐτῶν ἐξήγησιν, ————– 493 494 495 496
497
DARROUZÈS 1977, nr. 2265. Τοῦ πατριάρχου περὶ τοῦ τόμου: PG 150, 900–903. Cfr. DARROUZÈS 1977, nr. 2260. V. a es. Gregorio Palamas, Refutazione dell'esegesi del Tomo sinodale di Giovanni Caleca, 29: PS II, 670, ll. 8–13; Giuseppe Kalothetos, Contro Giovanni Caleca, ll. 375–380: TSAMIS 1980, 297; cfr. RIGO 2015, 293–294, 299–302; v. anche più in alto, 85. Sul manoscritto v. più in alto, 97–98.
166
III. I documenti e i testi
μᾶλλον δὲ φλυαρίαν, καὶ οὐ κατ᾿ ἐννοίαν θεοπρεπῆ καὶ ὀρθόδοξον καὶ καθὼς οἱ τῆς Ἐκκλησίας φωστῆρες καὶ διδάσκαλοι, οἷς καὶ ἡμεῖς ἑπόμενοι καὶ ἀκολουθοῦντες τὰ τῶν ἁγίων ῥητὰ ἐνεγράψαμεν ἐν τῷ Τόμῳ, καὶ πάντας τοὺς δι᾿ αὐτὸ τοῦτο, ἤγουν ὅτι μὴ παραδέχομαι τὰ τοιαῦτα αὐτῶν παραληρήματα, ὧν τὰ μὲν ἀπεστάλησαν ἡμῖν παρ᾿ αὐτῶν, τὰ δὲ καὶ παρ᾿ ἑτέρων ἐνεφανίσθησαν, τολμήσοντας ἀκανονίστως καὶ ἀκρίτως ἀποκόψαι τὸ μνημόσυνόν μου, τῷ ἀπὸ τῆς ζωαρχικῆς καὶ ἁγίας Τριάδος δεσμῷ καθυποβάλλομεν, καὶ τῷ ἀναθέματι παραπέμπομεν. Εἶχε καὶ ὑπογραφήν· † Ἰωάννης ἐλέῳ Θεοῦ ἀρχιεπίσκοπος Κωνσταντινουπόλεως Νέας Ῥώμης, καὶ οἰκουμενικὸς πατριάρχης. Ὅπερ ἐζηθήτησαν οἱ ἀποσχισθέντες ἀρχιερεῖς καὶ μοναχοὶ καὶ λαϊκοὶ τῷ Παλαμᾷ καὶ τῷ χειροτονηθέντι πατριάρχῃ Ἰσιδώρῳ ἀναθεματίσαι ἐγγράφως, καὶ οὕτως αὐτοῖς κοινωνῆσαι καὶ οὐκ ἠθέλησαν τοῦτο ποιῆσαι, καὶ ἐντεῦθεν φανερῶς ἐγυμνώθη ἡ αἵρεσις τῆς διθεΐας αὐτῶν. Scomunica del patriarca messer Giovanni, che scomunica Palamas e anatematizza i suoi empi dogmi Sottomettiamo al vincolo in nome della vivificante e santa Trinità e consegniamo all'anatema Palamas, i suoi seguaci e tutti i loro empi dogmi, per parlare più propriamente deliri, coloro che difendono, intendono e ricevono il contenuto del Tomo secondo la loro interpretazione, meglio idiozia, e non secondo il pensiero degno di Dio e ortodosso e come i luminari e maestri della Chiesa, ai quali noi abbiamo ubbidito e seguito trascrivendo nel Tomo le parole dei santi, e tutti quelli che per questa ragione, cioè perché non accetto tali loro deliri, dei quali alcuni mi sono stati mandati da loro, altri sono stati resi pubblici da altri, hanno osato in modo anticanonico e illegittimo interrompere la mia commemorazione. Presenta anche la firma: Giovanni per misericordia di Dio arcivescovo di Costantinopoli Nuova Roma e patriarca ecumenico. Cosa che i metropoliti, monaci e laici che si erano separati deliberarono di anatematizzare per iscritto Palamas e il patriarca consacrato Isidoro e così di non essere in comunione con loro, e non vollero fare ciò, e così fu apertamente messa in luce l'eresia del loro diteismo.
4. LE SOTTOSCRIZIONI E LE NOTE SUPPLEMENTARI DEL TOMO SINODALE DEL FEBBRAIO 1347 (E LA DICHIARAZIONE AUTOGRAFA DI GREGORIO ACINDINO DEL LUGLIO 1341) Il Tomo sinodale del febbraio 1347, come quello del 1341, è stato inserito nel registro patriarcale di Costantinopoli.498 In seguito, un anonimo sostenitore dell'ex patriarca Giovanni Caleca è qui intervenuto, effettuando diverse rasure nel titolo (Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν [...) e nel testo del documento. All'azione di questo anonimo è ascrivibile anche la soppressione dei tre fogli successivi nel registro e, di conseguenza, il fatto che il tomo sia mutilo. La serie delle firme si interrompe infatti con la terza sottoscrizione (Lorenzo di Alania-Soterioupolis).499 Prima della pubblicazione del tomo nella nuova serie degli atti del registro patriarcale di Costantinopoli, l'edizione di riferimento era quella di J. Meyendorff (1963), basata su sei manoscritti e due edizioni più antiche, quella di F. Miklosich e I. Müller del registro patriarcale e quella di P. Uspenskij del tomo nel codice Athos, Megistê Lavra Ω 133 (1945). I difetti dell'edizione Meyendorff (indicazioni erronee delle sigle dei manoscritti, dei manoscritti per le sottoscrizioni, ecc.)500 riposavano soprattutto sulla poco accurata collazione dei testimoni e sul fatto che lo studioso si era limitato a osservare che «les manuscrits, tous indépendants les uns de l'autres, ne présentent pas de variantes majeures dans les textes», ma soltanto nelle serie delle sottoscrizioni e che «l'état du texte» non permette di stabilire con sicurezza la loro successione.501 1. Una riconsiderazione della tradizione manoscritta del Tomo sinodale del febbraio 1347 fornisce degli elementi interessanti per la storia del documento e sulle aggiunte successive che vi furono apportate nel corso del 1347. ————– 498 499
500 501
PRK II, nr. 147, 346–382. Cfr. le osservazioni di Otto Kresten, ivi, 54–55, che si interrogava se nei fogli mancanti non fosse stata registrata la decisione sinodale di cui trattiamo in queste pagine e il prostagma di Giovanni VI Cantacuzeno del marzo 1347. Cfr. già DARROUZÈS 1971, 102 n. 42, 165; DARROUZÈS 1977, nr. 2270, 2272. MEYENDORFF 1963, 210–211.
168
III. I documenti e i testi
Oltre alla copia inserita nel registro patriarcale, il tomo si conserva nei seguenti manoscritti: J Wien, Österreichische Nationalbibliothek jur. gr. 7, ff. 207v–212v.502 V Athos, Monê Vatopediou 262, ff. 142r–151v.503 A Athos, Monê Dionysiou 147 (3681), ff. 263r–272v.504 M Moskva, GIM Synod. gr. 206 (337), ff. 25rv, 27r–39r.505 H İstanbul, Patriarchikê Bibliothêkê Ηaghias Triados 138, ff. 281v– 289r.506 K Athos, Megistê Lavra Λ 135 (1626), ff. 624r–627v.507 X Athos, Megistê Lavra Ω 133 (1945), ff. 237v–243v.508 C Athos, Monê Dionysiou 192 (3726), ff. 165r–178v.509 Un esame dei manoscritti mostra, per il testo del tomo, che, oltre ad alcune varianti di poco conto, un passo presente in tutti i testimoni, ma assente nella copia del registro patriarcale, doveva figurare nell'originale del documento.510 Per quanto riguarda le sottoscrizioni, i manoscritti si possono dividere in tre gruppi. Gruppo a 11 sottoscrizioni (Atanasio di Cizico – Gregorio di Pompeioupolis). J, copiato da Macario Chrysokephalos, metropolita di Filadelfia, tit.: Τόμος ὁ γεγονὼς ἐπὶ τῇ καθαιρέσει τοῦ πατριαρχεύσαντος Ἰωάννου τοῦ Καλέκα.
————– 502 503 504 505 506 507 508 509 510
Cfr RIGO 2015, 327–328 (bibl.). Cfr. più in basso, 179. Cfr. più in basso, 179. Cfr. RIGO 2016, 15–17. Cfr. più in alto, 123–125. Cfr. più in alto, 125–126. Cfr. più in basso, 126–128. Cfr. RIGO 2015, 329. PRK II, nr. 147, l. 137 app., 357 (post οῠτος): ἐστι τοῦ μακαρίτου βασιλέως, νῦν δὲ κραταιὸς καὶ ἅγιος ἡμῶν αὐθέντης καὶ βασιλεύς, κῦρις Ἰωάννης ὁ Καντακουζηνός (qui indicato: add. MEY).
4. Le sottoscrizioni e le note supplementari del Tomo sinodale del febbraio 1347
169
Gruppo b 11 sottoscrizioni e quella di Isidoro metropolita eletto di Monembasia. copiato da Giovanni Holobolos, tit.: Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαιρῶν τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην, des.: Εἶχε καὶ ὄπισθεν ἑτέραν ὑπογραφήν· † Ὁ ταπεινὸς ὑποψήφιος Μονεμβασίας Ἡσίδωρος. Segue l'autentica di Macario Chrysokephalos di Filadelfia: Τὸ παρὸν ἴσον ἀντεβληθὲν καὶ κατάπαντα εὑρεθὲν ἐξισάζον τῷ πρωτοτύπῳ αὐτοῦ, ὑπεγράφη παρ᾿ ἐμοῦ δι᾿ ἀσφάλειαν. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Φιλαδελφείας Μακάριος. A, tit.: Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαιρῶν τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην, des.: Εἶχε καὶ ὄπισθεν ἑτέραν ὑπογραφήν· † Ὁ ταπεινὸς ὑποψήφιος Μονεμβασίας Ἰσίδωρος. Segue l'autentica di Macario Chrysokephalos di Filadelfia: Τὸ παρὸν ἴσον ἀντεβληθὲν καὶ κατὰ πάντα εὑρεθὲν ἐξισάζον τῷ πρωτοτύπῳ αὐτοῦ, ὑπεγράφη παρ᾿ ἐμοῦ δι᾿ ἀσφάλειαν. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Φιλαδελφείας Μακάριος. M, tit.: Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ' ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαιρῶν τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην, des.: Εἶχε καὶ ὄπισθεν ἑτέραν ὑπογραφήν· † Ὁ ταπεινὸς ὑποψήφιος Μονεμβασίας Ἡσίδωρος. La parte inferiore di questo ultimo foglio (f. 39) è stata tagliata (e la parte superiore del f. 39v è bianca). V,
Gruppo c 11 sottoscrizioni e quella di Isidoro metropolita eletto di Monembasia. Sentenza sinodale. 14 sottoscrizioni (Lazzaro patriarca di Gerusalemme – Paolo di Xanthe). Dichiarazione sinodale. 12 sottoscrizioni (Filoteo di Eraclea – Giuseppe di Kallioupolis). H Le condizioni attuali del manoscritto permettono comunque di vedere la successione delle serie: Sentenza sinodale, des: θείας βασίας καὶ ταῦτα . 12 sottoscrizioni.
170
III. I documenti e i testi
K,
apografo di H, tit.: Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαιρῶν τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην Ἰωάννην τὸν ἐπικαλούμενον Καλέκαν. 11 sottoscrizioni. Sentenza sinodale. 14 sottoscrizioni (Lazzaro patriarca di Gerusalemme – Paolo di Xanthe). Sottoscrizione di Isidoro metropolita eletto di Monembasia. Dichiarazione sinodale. 12 sottoscrizioni (Filoteo di Eraclea – Giuseppe di Kallioupolis) (Tav. IV per f. 627v). X, apografo di H, tit.: Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαιρῶν τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην Ἰωάννην τὸν ἐπικαλούμενον Καλέκαν. 11 sottoscrizioni. Sentenza sinodale. 14 sottoscrizioni (Lazzaro patriarca di Gerusalemme – Paolo di Xanthe). Sottoscrizione di Isidoro metropolita eletto di Monembasia. Dichiarazione sinodale. 12 sottoscrizioni (Filoteo di Eraclea – Giuseppe di Kallioupolis). C, tit.: Συνοδικὸς τόμος ἐπικυρῶν τὸν ἐπ᾿ ἐλέγχῳ καὶ καταδίκῃ τῶν τοῦ Βαρλαὰμ καὶ Ἀκινδύνου δογμάτων πρότερον τόμον· καὶ σὺν Ἀκινδύνῳ πάλιν ἐξελέγχων καὶ καθαιρῶν τὸν ὕστερον ὁμόφρονα καὶ προστάτην αὐτοῦ γενόμενον πατριάρχην Ἰωάννην τὸν ἐπικαλούμενον Καλέκαν. 11 sottoscrizioni e quella di Isidoro metropolita eletto di Monembasia. Sentenza sinodale. 14 sottoscrizioni (Lazzaro patriarca di Gerusalemme – Paolo di Xanthe). Dichiarazione sinodale. 12 sottoscrizioni (Filoteo di Eraclea – Giuseppe di Kallioupolis). I tre gruppi di manoscritti attestano momenti successivi dell'originale del Tomo sinodale. Il documento, redatto sul finire del mese di febbraio 1347 e riprodotto nel registro patriarcale, fu di lì a poco (marzo)511 copiato da Macario Chrysokephalos di Filadelfia in J, che testimonia la forma originale del documento. Con ogni verosomiglianza, nel corso dello stesso marzo (o al più tardi all'inizio del mese successivo), Isidoro Boucheiras appose la sua firma nel verso (ὄπισθεν) del documento (I.). Sappiamo questo dai manoscritti che derivano da una copia dell'originale, autenticata dallo stesso Macario Chrysokephalos (VAM). Sempre sull'originale fu poi aggiunta, nel corso del mese di aprile, la sentenza sinodale, seguita dalle sottoscrizioni (II.). Questa fu inserita in basso (κάτωθεν), nel recto del documento, di seguito al testo del ————– 511
Cfr. RIGO 2013, 754–755; RIGO 2015, 308, 332.
4. Le sottoscrizioni e le note supplementari del Tomo sinodale del febbraio 1347
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tomo e alle 11 sottoscrizioni originarie. Infine, dopo l'elezione di Isidoro al patriarcato (17 maggio 1347), la decisione sinodale con le firme dei metropoliti (III.) fu aggiunta nel verso dell'originale del documento (ὄπισθεν) (HKXC).512 L'esame della tradizione manoscritta del Tomo sinodale ha permesso perciò di vedere che all'originale del documento, dopo la copia fattane nel registro patriarcale, furono poi aggiunte di seguito, in basso, la sentenza sinodale dell'aprile 1347 e, al verso, in momenti successivi, le sottoscrizioni di Isidoro di Monembasia e dei nuovi metropoliti dopo l'elezione dello stesso Isidoro.513 La descrizione del Tomo sinodale del febbraio 1347 presente in quello del 1351 teneva conto di queste aggiunte successive, e ricordava le firme di trenta metropoliti, ai quali si era poi aggiunta quella del patriarca di Gerusalemme.514 Sottoscrizioni I. Isidoro hypopsephios della metropoli di II. 1. Lazzaro patriarca di Gerusalemme
Monembasia e futuro patriarca. (PLP 14350),515 2. Atanasio di Cizico (PLP 384), 3 Macario di Filadelfia (PLP 31138), 4. Giuseppe di Adrianopoli (PLP 9026), 5. Macario di Christoupolis (PLP 16257), 6. Malachia di Methymna (PLP 16491), 7. Metodio di Varna (PLP 17601), 8. Isaia di Selymbria (PLP 6732), 9. Teodulo di Rhosion (PLP 7268), 10. Ieroteo di Lopadion (PLP 8123), 11. Cosma di Lititza (PLP 13279), 12. Giuseppe di Kallioupolis (PLP 9031), 13. Giacomo di Makres (PLP 7901), 14. Paolo di Xanthe (PLP 22120). III. 1. Filoteo Kokkinos di Eraclea, 2. Gregorio Palamas di Tessalonica, 3. Giacomo di Sebasteia (PLP 7903), 4. Ieroteo di Prusa (PLP 8131), 5. Gerasimo di Traianoupolis (PLP 3752), 6. Marciano di Mitilene (PLP 16996), 7. Daniele di Ainos (PLP 5129), 8. Eusebio di Sougdaia (PLP 6329), 9. Cirillo ————– 512 513
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La diversa collocazione della firma di Isidoro di Monembasia e della sentenza sinodale spiega la successione diversa delle stesse in H (e nei suoi apografi K e X) e in C. In merito alle firme al verso effettuate in un secondo momento rispetto alla redazione dell'atto cfr. anche per i tomi del 1341, del 1347 e del 1351, DARROUZÈS 1977, nr. 2214, 2270, 2326. «Ὁ δὲ τόμος ὑπογραφαῖς ἀρχιερέων τριάκοντα τὸ βέβαιον ἔχων, οἱς συνεῖπε δι᾿ ὑπογραφῆς ὕστερον καὶ ὁ ἁγιώτατος πατριάρχης Ἱεροσολύμων», Tomo sinodale del 1351: PG 151, 719C14–D2. V. ora anche PAHLITZSCH 2005, 36–40.
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III. I documenti e i testi
di Bitzina (PLP 14036), 10. Pietro di Gothia (PLP 23089), 11. Ioannikios di Garella (PLP 8827), 12. Giuseppe di Kallioupolis (PLP 9031). 2. I manoscritti del gruppo c del Tomo sinodale del 1347 conservano anche la Dichiarazione autografa di Gregorio Acindino, in margine al passo del tomo con la narrazione degli avvenimenti del luglio 1341 e della sua sottomissione (sia pur momentanea).516 In quell'occasione Gregorio Acindino presentò una dichiarazione, che questo gruppo di manoscritti riproduce. La dichiarazione era già stata pubblicata da P. Uspenskij sulla base di 517 X, e di qui è stata poi ripresa da J. Meyendorff.518 Ne presentiamo il testo, sulla base dei testimoni utilizzabili, K, X e C. In K la nota marginale è solo parzialmente visibile per perdita di testo a causa della rifilatura del manoscritto (margine del f. 625r, Tav. V), mentre in H è andata perduta con la sezione corrispondente del tomo. Τὸ τοῦ Ἀκινδύνου οἰκειόχειρον γράμμα Ἐπειδὴ συνεληλύθαμεν καὶ συνεξητάσαμεν περὶ τῆς διαφορᾶς ἧς εἴχομεν πρὸς ἀλλήλους, ἐφάνη δὲ χάριτι Χριστοῦ, ὅτι οἱ πατέρες πρὸς οὓς εἶχον τὴν διαφωνίαν ἐν οἷς τε λέγουσι καὶ γράφουσι, σύμφωνοί εἰσιν ἀλλήλοις καὶ τοῖς ἁγίοις, κἀγὼ συμφωνήσας αὐτοῖς κατὰ πάντα, τὴν παροῦσαν συμφωνίαν εἰς ἀσφάλειαν οἰκειοχείρως ἔγραψα. Γρηγόριος ὁ Ἀκίνδυνος 1 Ἴσον τοῦ οἰκειοχείρου γράμματος τοῦ Ἀκινδύνου C ‖ 3 ἃ X τὴν om C ‖ 4 τε add. C
A questo biglietto di Acindino rimandavano evidentemente, oltre che il Tomo sinodale del febbraio 1347, Gregorio Palamas519 e i suoi seguaci (Giu————– 516
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«Μανθάνει ταῦτα πάλιν ὁ ἱερὸς Παλαμᾶς, ἐξελέγχει τὸν Ἀκίνδυνον οὐκ ὀλίγων ἀκροωμένων πολλάκις, ὡς καὶ μηδὲν αὐτὸν ἀντιλέγειν ἔχοντα οἰκειοχείρῳ γράμματι μαρτυρῆσαι τῷ Παλαμᾷ τὴν διὰ πάντων, ὧν λέγει τὲ καὶ γράφει, πρὸς τοὺς ἁγίους εὐσεβῆ συμφωνίαν, ὃ καὶ πάρεστι τοῖς βουλομένοις ὁρᾶν. Ἀθετεῖ μετ᾿ ὀλίγον καὶ τὴν αὐτόχειρα ταύτην ἑαυτοῦ γραφὴν καὶ ὑπογραφὴν καὶ πάλιν θορυβῶν περιῄει», PRK II, nr. 147, ll. 91–97, 352–354. USPENSKIJ 1892, 250 n. MEYENDORFF 1959, 86 n. 86; MEYENDORFF 1963, 226 (con collazione manchevole di K e C). «συμφωνοῦντας ἡμᾶς τοῖς ἁγίοις ἀκριβῶς ἐν πᾶσιν, οἷς τε γράφομεν οἷς τε λέγομεν, ἔγνω», Antirretici contro Gregorio Acindino, VI, 2, 5: PS III, 382, ll. 31–32.
4. Le sottoscrizioni e le note supplementari del Tomo sinodale del febbraio 1347
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seppe Kalothetos520 e Filoteo Kokkinos),521 e lo stesso interessato lo sembrava riecheggiare in un suo frammento.522 Questa nota marginale, della quale non c'è alcune traccia nel registro patriarcale, è assente nelle copie autenticate del tomo, ma è presente soltanto in c, gruppo di manoscritti contenenti la collezione delle opere di Gregorio Palamas, che proviene in ultima istanza dallo stesso. Ci sembra verosimile che questo marginale sia stato aggiunto in un secondo tempo da chi lo aveva conservato sin dal 1341 e ne desiderava un'ulteriore divulgazione. Presentiamo qui di seguito le note e le sottoscrizioni supplementari, che erano già state pubblicate da J. Meyendorff di seguito al Tomo sinodale di febbraio.
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Athos, Monê Vatopediou 262 Athos, Monê Dionysiou 147 (3681) Moskva, GIM Synod. gr. 206 (337) İstanbul, Patriarchikê Bibliothêkê Ηaghias Triados 138 (frammentario) K Athos, Megistê Lavra Λ 135 (1626) x Athos, Megistê Lavra Ω 133 (1945) C Athos, Monê Dionysiou 192 (3726) V A M H
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«Ἀσφαλιζόμενος δὲ τὴν συμφωνίαν καὶ οἱονεὶ ἐνέχυρα πιστὰ διδοὺς εἰς τὸ ἑξῆς, καὶ γραμματίῳ ταύτην ἐγχαράττει καὶ ὑπογραφικῶς ἀσφαλίζεται», Trattato, VI, 7, ll. 153– 154: TSAMIS 1980, 241. «τὴν ὁμολογίαν τῆς ἀληθείας, ἅμα καὶ γράμμασι τῆς ἰδίας χειρὸς καὶ ὑπογραφαῖς ἀσφαλισάμενος δῆθεν τοὺς ἑαυτοῦ λόγους καὶ τὴν διὰ πάντων πρὸς τοὺς ἁγίους κοινωνίαν ἅμα καὶ συμφωνίαν τοῖς τοῦ σοφοῦ Γρηγορίου προσμαρτυρήσας καὶ λόγοις καὶ γράμμασιν», Encomio di Gregorio Palamas, 64, 5–9: TSAMIS 1985, 497. «ἐπὶ γὰρ τῷ στέργειν αὐτὰ τὰ τῶν θεολόγων ῥήματα, ὡς ἔχουσι κείμενα, συνεφώνησα»: PG 150, 877AB.
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III. I documenti e i testi
Εἶχε καὶ ὑπογραφὴν ὄπισθεν· † Ὁ ταπεινὸς ὑποψήφιος Μονεμβασίας Ἡσίδωρος. Εἶχε καὶ κάτωθεν προσγεγραμμένην τὴν γενομένην συνοδικὴν ἀπόφασιν παρουσίᾳ τῶν θειοτάτων βασιλέων ἡμῶν καὶ τοῦ ἁγιωτάτου πατριάρχου Ἱεροσολύμων ἔχουσαν οὕτως· ἐγένετο δὲ πρὸ τοῦ γενέσθαι τὸν ἁγιώτατον πατριάρχην κῦρ Ἡσίδωρον. Καὶ οἱ ὑπὲρ εὐσεβείας τοῦ τιμιωτάτου ἐν ἱερομονάχοις κῦρ Γρηγορίου τοῦ Παλαμᾶ καὶ τῶν σὺν αὐτῷ μοναχῶν προβάντες τόμοι ὀρθοί τε καὶ ἄμεμπτοι εἰσί, καὶ αὐτὸς ὁ ῥηθεὶς Παλαμᾶς καὶ οἱ τοιοῦτοι σὺν αὐτῷ μοναχοί. Εἶτα καὶ τὰς ὑπογραφὰς ταύτας· † Λάζαρος ἐλέῳ Θεοῦ πατριάρχης Ἱεροσολύμων. † Ὁ Κυζίκου Ἀθάνασιος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Φιλαδελφείας Μακάριος. † Ὁ Ἀδριανουπόλεως Ἰωσήφ. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Χριστουπόλεως Μακάριος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Μηθύμνης καὶ ὑπέρτιμος Μαλαχίας. † Ὁ μητροπολίτης Βάρνης καὶ ὑπέρτιμος Μεθόδιος. † Ὁ Σηλυβρίας Ἡσαΐας. † Ὁ μητροπολίτης Ῥωσίου Θεόδουλος. † Ὁ Λοπαδίου Ἱερόθεος. † Ὁ Λιτίτζης Κοσμᾶς. † Ὁ Καλλιουπόλεως Ἰωσήφ. † Ὁ Μάκρης καὶ ὑπέρτιμος Ἰάκωβος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Ξανθείας Παῦλος. Εἶχε καὶ τὴν προσθήκην ταύτην ὄπισθεν προσγεγονυῖαν ὕστερον παρὰ τῶν ἱερωτάτων ἀρχιερέων, ἔχουσαν οὕτως· Τὸν ἐμπεριειλημμένον τοῦτον ἱερὸν καὶ συνοδικὸν τόμον στέργοντες ἐν πᾶσιν ἅμα τῷ προτέρῳ, στηριζομένῳ καὶ παρὰ τούτου, ταῖς οἰκείαις ὑπογραφαῖς σημειούμεθα, τοὺς μὲν παρ' αὐτῶν δικαιουμένους στέργοντες καὶ αὐτοὶ καὶ δικαιοῦντες, τοὺς δὲ καταδικαζομένους καὶ ἀποκηρυττομένους, Βαρ1 Εἶχε … 2 Ἡσίδωρος] om. HKX, sed ins. post. l. 33. | ἑτέραν] Suppl. VAM. | ὑπογραφὴν] ἐπιγραφὴν C. 2 Ἡσίδωρος] Ἰσίδωρος C. 3 Εἶχε … 6 Ἡσίδωρον] Εἶχε καὶ ταῦτα· Ἡ γενομένη συνοδικὴ ἀπόφασις πρὸ τοῦ γενέσθαι τὸν ἁγιώτατον πατριάρχην κῦρ Ἡσίδωρον, παρουσίᾳ τῶν θειοτάτων καὶ ἁγίων ἡμῶν βασιλέων καὶ τοῦ ἁγιωτάτου πατριάρχου Ἱεροσολύμων KX. 8 ὀρθοί] εὐσεβεῖς HKX. 9 τοιοῦτοι] ούτοι K. 11 Εἶτα … ταύτας] Αἱ ὑπογραφαί K. 12 ἐλέῳ] ἐλαίῳ C. 14 Φιλαδελφείας] Φιλαδελφίας K. 24 Ἰάκωβος] Δωρόθεος C. 25 Παῦλος] Εἶχε καὶ ὄπισθεν· Ὁ ταπεινὸς - Ἡσίδωρος K. 26 Εἶχε … 27 οὕτως] Εἶχε δὲ πρὸ τούτοις καὶ ταῦτα ὄπισθεν K.
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4. Le sottoscrizioni e le note supplementari del Tomo sinodale
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Presenta anche sul verso un'altra firma: † L'umile metropolita-eletto di Monembasia Isidoro. Presenta anche aggiunta in basso la sentenza sinodale emessa alla presenza dei nostri molto divini imperatori e del santissimo patriarca di Gerusalemme che suona così. Ciò avvenne prima che diventasse santissimo patriarca messer Isidoro. I tomi a favore della pietà dell'onoratissimo ieromonaco messer Gregorio Palamas e dei monaci con lui sono retti e irreprensibili e anche lo stesso ricordato Palamas e tali monaci con lui. Quindi anche queste firme: † Lazzaro per misericordia di Dio patriarca di Gerusalemme. † Atanasio di Cizico. † L'umile metropolita di Filadelfia Macario. † Giuseppe di Adrianopoli. † Macario di Christoupolis. † L'umile metropolita di Methymna e hypertimos Malachia. † Il metropolita di Varna e hypertimos Metodio. † Isaia di Selymbria. † Il metropolita di Rhosion Teodulo. † Ieroteo di Lopadion. † Cosma di Lititza. † Giuseppe di Kallioupolis. † Giacomo di Makres e hypertimos. † L'umile metropolita di Xanthe Paolo. Presenta anche sul verso questa aggiunta apposta in seguito dai santissimi presuli, che suona così: Accettiamo completamente questo santo e sinodale tomo qui contenuto assieme al primo, anche rafforzato da quest'ultimo, con le nostre firme lo sottoscriviamo, anche noi approvando e ritenendo giusti quelli che sono da questi ritenuti giusti, e assieme condannando e scomunicando coloro che sono condannati e scomunicati, cioè Barlaam, Acindino, colui che era patriarca e i loro
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III. I documenti e i testi
λαὰμ δηλαδὴ καὶ Ἀκίνδυνον καὶ τὸν χρηματίσαντα πατριάρχην καὶ τοὺς τούτων ὁμόφρονας, ἀμεταμελήτους μένοντας, συγκαταδικάζοντες καὶ ἀποκηρύττοντες. Εἶχε δὲ καὶ τὰς ὑπογραφὰς ταύτας. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Ἡρακλείας ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Θρᾴκης καὶ Μακεδονίας Φιλόθεος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Θεσσαλονίκης ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Θετταλίας Γρηγόριος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Σεβαστείας καὶ ὑπέρτιμος Ἰάκωβος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Θεουπόλεως Προύσης καὶ ὑπέρτιμος Ἱερόθεος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Τραϊανουπόλεως ὑπέρτιμος καὶ ἔξαρχος πάσης Ῥοδόπης Γεράσιμος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Μιτυλήνης καὶ ὑπέρτιμος Μαρκιανός. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Αἴνου Δανιήλ. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Σουγδαίας καὶ ὑπέρτιμος Εὐσέβιος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Βιτζίνης καὶ ὑπέρτιμος Κύριλλος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Γοτθίας καὶ ὑπέρτιμος Πέτρος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Γαρέλλης καὶ ὑπέρτιμος Ἰωαννίκιος. † Ὁ ταπεινὸς μητροπολίτης Καλλιουπόλεως Ἰωσήφ.
33 τούτων] τούτου K. 45 Μιτυλήνης] Μιτυλίνης K.
4. Le sottoscrizioni e le note supplementari del Tomo sinodale
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sostenitori che persistono senza pentimento. Presenta anche queste firme: † L'umile metropolita di Eraclea hypertimos ed esarca di tutta la Tracia e Macedonia Filoteo. † L'umile metropolita di Tessalonica hypertimos ed esarca di tutta la Tessaglia Gregorio. † L'umile metropolita di Sebasteia e hypertimos Giacomo. † L'umile metropolita di Theoupolis Prousa e hypertimos Ieroteo. † L'umile metropolita di Traianoupolis hypertimos ed esarca di tutti i Rodopi Gerasimo. † L'umile metropolita di Mitilene e hypertimos Marciano. † L'umile metropolita di Ainos Daniele. † L'umile metropolita di Sougdaia e hypertimos Eusebio. † L'umile metropolita di Bitzina e hypertimos Cirillo. † L'umile metropolita di Gothia e hypertimos Pietro. † L'umile metropolita di Garella e hypertimos Ioannikios. † L'umile metropolita di Kallioupolis Giuseppe.
5. IL BIGLIETTO DI SOTTOMISSIONE DI MATTEO DI EFESO (22 APRILE 1350) Il biglietto di sottomissione di Matteo di Efeso è conservato, da quanto ci risulta, in tre manoscritti. V Athos, Monê Vatopediou 262 (1370 circa).523 La seconda parte del codice conserva una raccolta di tomi sinodali e altri documenti del XIV secolo copiata da Giovanni Holobolos: (ff. 127r–131r) Tomo aghioritico, (ff. 131v–142r) Tomo sinodale del 1341 (ff. 142r–151v) Tomo sinodale del 1347, (ff. 152r–153v) Rapporto dei metropoliti all'imperatrice Anna Paleologa, (ff. 153v–155r) GIOVANNI VI CANTACUZENO, Prostagma, (f. 155v) MATTEO DI EFESO, Biglietto di sottomissione, (ff. 156r– 158v) GREGORIO PALAMAS, Professione di fede, (ff. 159r–193v) Tomo sinodale del 1351. Dopo due opere di Nicola Cabasilas, il Tomo sinodale del 1368 (ff. 205r–214r). A Athos, Monê Dionysiou 147 (3681) (terzo quarto del XIV s.).524 La prima parte del codice (ff. 1–247) contiene opere di Nilo Cabasilas, mentre la seconda (ff. 248–315) presenta una collezione di tomi. (ff. 248r–252r) Tomo aghioritico, (ff. 252v–263r) Tomo sinodale del 1341, (ff. 263r–272v) Tomo sinodale del 1347, (ff. 273r–274v)