Dominici Bandini Fons memorabilium universi libri XII-XIII
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DOMINICI BANDINI FONS MEMORABILIVM VNIVERSI LIBRI XII-XIII

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STUDI E TESTI ———————————— 490 ————————————

DOMINICI BANDINI FONS MEMORABILIVM VNIVERSI LIBRI XII-XIII introduzione, edizione critica e commento a cura di Elda Merenda prefazione di Piergiorgio Parroni

C I T T À D E L VAT I C A N O B I B L I O T E C A A P O S T O L I C A V AT I C A N A 2015

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La collana “Studi e testi” è curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian

Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va

Stampato con il contributo dell’associazione American Friends of the Vatican Library

—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2015 ISBN 978-88-210-932-7

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A don Giuseppe Tabarelli, S.D.B.

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SOMMARIO Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1. La vita e le opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7

2. Il Fons memorabilium uniuersi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

13

3. I libri XII e XIII del Fons e la presenza delle Naturales quaestiones di Seneca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Abbreviazioni bibliografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

32

Edizioni di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Criteri di edizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Sigla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Dominici Bandini Fons memorabilium uniuersi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Indici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Indice dei manoscritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Indice dei nomi e luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Indice delle cose notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

221

Tavole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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PREFAZIONE Le Naturales quaestiones di Seneca ebbero una fortuna che fin dal loro apparire fu piuttosto modesta1. È probabile che l’opera, prima ancora della sua pubblicazione, fosse nota a Lucano, che nel rappresentare le rovinose piogge che si abbatterono sull’esercito di Cesare in Spagna (Phars. IV, 76-117) sembra essersi ispirato alla descrizione apocalittica del diluvio universale presente nel III libro (nat. III, 27), così come non si può escludere che il X libro della Farsaglia, dedicato al Nilo, abbia attinto alla parte, purtroppo per noi perduta, del libro IVa. Dopo di lui le Naturales quaestiones figurano fra le fonti della Naturalis historia di Plinio, ma non si può provare che egli le abbia davvero lette, e altrettanta incertezza c’è riguardo a una loro presenza in Giovenale e Tacito. Più tardi, nel IV sec., ci sono buone probabilità che le Naturales quaestiones siano state conosciute da Ammiano Marcellino, come sembrano dimostrare alcune consonanze, che difficilmente potrebbero ritenersi casuali2. Intorno alla metà del VI sec. ne ebbe notizia, non sappiamo se diretta, Giovanni Lorenzo Lido, che nel IV libro del suo De mensibus descrivendo le piene del Nilo si rifece probabilmente a Seneca, tanto che è ormai invalsa negli editori la consuetudine di stampare in calce al libro IVa un estratto del trattatello per dare un’ idea al lettore dei contenuti della parte perduta. Nei secoli successivi non vi è quasi più traccia delle Naturales quaestiones, anche se Seneca fu uno degli scrittori più amati dagli autori cristiani. Nel IX sec. un esemplare delle Naturales quaestiones doveva essere nell’abbazia di Reichenau, ma dobbiamo attendere il XII sec. per trovare tracce del trattato scientifico senecano in manoscritti del nord della Francia e di area germanica. A partire da quest’epoca esso comincia nuovamente a circolare, anche se in forma limitata: nel XIII sec. è presente nell’Opus maius di Ruggero Bacone, nei Meteororum libri di Alberto Magno e nello Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais, mentre alla fine del secolo e nel successivo la sua diffusione si sposta dall’Europa settentrionale all’Italia, come attestano il fiorire di numerosi manoscritti e la conoscenza che ne ebbero gli umanisti a cominciare da Petrarca e Boccaccio. Ma la fortuna della Naturales quaestiones è ancora terreno in gran parte da esplorare ed è merito di Elda Merenda l’aver già da qualche anno rivolto le sue ricerche in questa direzione. 1 F. STOK, La discreta fortuna delle Naturales Quaestiones, in Giornale italiano di filologia 52 (2000), pp. 349-373. 2 I passi paralleli in Seneca, Ricerche sulla natura, a cura di P. PARRONI, Milano 2002, pp. XXXVI-XXXVII.

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PIERGIORGIO PARRONI

È infatti del 2006 uno suo studio su Hélinand di Froidmont, un compilatore del XII sec., la cui principale opera latina, il Chronicon, è costruita su una pluralità di fonti, tra cui appunto le Naturales quaestiones di Seneca3. Fondandosi sui due manoscritti noti che tramandano l’opera, un codice della Biblioteca Vaticana e uno della British Library, la Merenda ha fornito l’edizione critica delle citazioni senecane presenti nel Chronicon, affrontando spesso problemi editoriali di non facile soluzione. In qualche caso infatti i due manoscritti tramandano due versioni diverse dello stesso testo, specchio fedele della divisione esistente fra i due principali rami della tradizione senecana. La Merenda ha risolto il dilemma privilegiando le lezioni del ramo δ, che dagli editori moderni è ritenuto generalmente peggiore (al punto che l’ultimo editore teubneriano4 ne ha addirittura escluso le varianti dal suo apparato), ma che all’epoca di Hélinand era il più diffuso e lo sarà per lungo tempo ancora. Spostandosi poi sul versante umanistico la Merenda ha indagato la presenza delle Naturales quaestiones presso la corte aragonese, che favorì non solo studi di carattere filosofico e retorico, ma anche scientifico (almeno tre manoscritti delle Naturales quaestiones erano presenti nella biblioteca di corte)5. Qui infatti in breve giro di anni Giannozzo Manetti e Matteo dell’Aquila composero trattati sul terremoto che oltre ad Aristotele facevano spazio, cosa abbastanza inusuale per l’epoca, a Seneca scienziato. Il De terraemotu del Manetti, composto su suggerimento di re Alfonso I, prese spunto dal fenomeno sismico che aveva colpito il napoletano nel 1456, l’anno stesso in cui egli era approdato a Napoli dalla Roma papale. La Merenda, confrontando i passi senecani citati nel De terraemotu con i corrispondenti del codice delle Naturales quaestiones appartenuto al Manetti, il Vat. Pal. lat. 1540, ha messo in luce alcune difformità che si possono spiegare o con una conoscenza del latino da parte del dotto fiorentino tale da consentirgli di emendare ope ingenii passi corrotti o con la presenza sul suo tavolo di lavoro di un altro manoscritto, di cui peraltro non si ha notizia. Qualche anno dopo, in un clima culturalmente diverso (col successore di Alfonso I, Ferrante, la cultura scientifica virò di nuovo verso l’astrologia e la teologia), Matteo dell’Aquila compose un Tractatus de cometa atque terraemotu, che, sempre ispirandosi alle stesse fonti di Giannozzo, metteva in relazione il terremoto con gli influssi negativi delle comete e interpre3 E. MERENDA, La presenza delle Naturales quaestiones di Seneca nel Chronicon di Hélinand di Froidmont, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIII, Città del Vaticano 2006, pp. 435-492. 4 H. M. HINE, L. Annaeus Seneca Naturalium Quaestionum libros recognouit H. M. H., Stutgardiae et Lipsiae 1996. 5 E. MERENDA, Le Naturales quaestiones di Seneca nella Napoli aragonese: i trattati sul terremoto di Giannozzo Manetti e Matteo dell’Aquila, in Res publica litterarum 32 (2009), pp. 88-111.

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PREFAZIONE

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tava il fenomeno come una punizione divina contro l’umanità peccatrice. Come si vede, la Merenda, nell’indagare la sopravvivenza delle Naturales quaestiones è sempre attenta a interpretarne le testimonianze nel contesto culturale in cui esse si collocano. Questo atteggiamento trova piena conferma nel presente studio, che si distingue dai precedenti per maggior ampiezza e impegno. Al centro dell’indagine c’è Domenico di Bandino, la cui complessa figura è inquadrata nell’ambiente culturale della seconda metà del Trecento, in cui egli operò dividendo la sua attività di maestro di grammatica fra Arezzo (dove era nato intorno al 1335), Bologna, Firenze e Città di Castello. A Firenze Domenico entrò in contatto con Coluccio Salutati, come dimostrano alcune lettere a lui indirizzate (non possediamo invece le missive di Domenico), da cui risulta che l’aretino chiedeva al celebre umanista pareri circa alcuni dati da inserire nella sua opera maggiore, il Fons memorabilium uniuersi, a cui dedicò gran parte della sua vita. Il Fons, a cui la Merenda rivolge qui le sue attenzioni, è una enciclopedia dello scibile umano, un genere che, come si sa, godette di larga fortuna in età medievale ed ebbe un singolare risveglio durante la rinascenza del XII sec. I 34 libri che compongono l’opera sono divisi in cinque sezioni che abbracciano la teologia, la cosmologia e l’astrologia, la geografia (che comprende anche argomenti antropologici e naturalistici), e si concludono con un repertorio di uomini illustri, scuole filosofiche e rimedi dell’arte medica. Al Fons lavorò anche il figlio di Domenico, Lorenzo, che vi aggiunse due trattatelli, uno De magia, l’altro di argomento alchemico, e, dopo la morte del padre, ne allestì un’edizione, completa delle sue aggiunte e di indici, dedicandola a Martino V. Non solo l’impianto dell’opera di Domenico, ma anche il suo modo di lavorare, come possiamo rilevare dall’esame dei libri XII e XIII qui pubblicati per la prima volta (la scelta è motivata dal fatto che, essendo di argomento meteorologico, sono i più ricchi di citazioni senecane), ha ben poco di umanistico ed è essenzialmente legato alla prassi medievale. Egli infatti, come è stato osservato, ora “fagocita” le sue fonti facendo passare per proprie affermazioni altrui, ora le confonde tra loro scambiando tranquillamente Aristotele con Seneca o Seneca con Alberto Magno. Per quanto riguarda Seneca in particolare, questa circostanza ha fatto nascere il sospetto che Domenico non conoscesse direttamente le Naturales quaestiones, ma solo attraverso l’intermediazione di Alberto Magno, anche se l’autrice tende a scartare questa seconda ipotesi con ben motivate ragioni. E questa è la reale novità di Domenico, considerato che in età umanistica, come del resto era avvenuto durante il medioevo, la scienza era rappresentata principalmente da Plinio e dall’Aristotele latino. Singolare è anche il fatto che egli delle Naturales quaestiones apprezzi non solo l’aspetto scien-

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tifico con ampie e dirette citazioni, ma anche da un lato quello letterario, assumendone talvolta l’andamento dialogico, dall’altro quello didatticofilosofico-morale, con considerazioni che egli avverte particolarmente vicine al suo modo di sentire al punto di farle proprie. Accanto a Seneca e Aristotele Domenico utilizza una gran quantità di fonti, fra cui alcune rare e accessibili solo in edizioni cinquecentesche, altre non sempre facili da identificare e addirittura inedite, come le Quaestiones super libris Meteororum di Nicola Oresme, per il quale la Merenda è stata addirittura costretta a ricorrere a un manoscritto di San Gallo. Tutto questo rende prezioso il commento, dove non c’è dato, anche il più oscuro, che non sia adeguatamente chiarito e illustrato. Alla completezza del commento concorre anche l’identificazione dei numerosi rinvii interni (segnalati con la nota Require), a cui Domenico ricorre per non rendere ancora più farraginosa la sua opera: la Merenda li ha opportunamente riprodotti per esteso, impresa non agevole ma indispensabile per rendere meglio comprensibile il testo. Si aggiunga infine che sia l’introduzione che il commento si segnalano per la ricchezza della bibliografia, accuratamente selezionata e aggiornata. Resta da dire qualcosa dell’edizione critica, impresa anch’essa non facile, considerata la complessità della tradizione manoscritta del Fons, i cui numerosi codici che lo tramandano sono stati divisi, sulla base di aggiunte e omissioni, in tre gruppi risalenti a tre diversi archetipi. Per i libri da lei editi la Merenda ha utilizzato gli undici testimoni che li contengono, operando scelte filologicamente persuasive ed escludendo giustamente dall’apparato (positivo) le varianti ortografiche. L’apparato critico è preceduto da un apparato delle fonti, da integrare col commento nel caso di opere non a stampa. Per concludere, il presente volume, attraverso l’edizione di uno specimen della monumentale opera di Domenico di Bandino, non solo rappresenta un ulteriore contributo alla ricostruzione della fortuna delle Naturales quaestiones di Seneca in età umanistica, ma serve anche a illuminare la personalità di un dotto che all’epoca del Petrarca e del Salutati, se da un lato è in ritardo sull’umanesimo per il tipo di lavoro prescelto e per il modo di condurlo, dall’altro può dirsi all’avanguardia per la rivalutazione di un testo come l’opera scientifica senecana, fino a quel momento, e anche in seguito, generalmente trascurato. Che cosa abbia spinto Domenico in questa direzione non è facile dire. Forse, oltre l’ammaestramento scientifico del grande filosofo, a colpire Domenico fu la tensione morale che innerva le Naturales quaestiones, e anche questo non è di poco conto per definire meglio la personalità dell’umanista aretino. Piergiorgio Parroni

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INTRODUZIONE 1. La vita e le opere Domenico, figlio di Bandino1, nacque ad Arezzo intorno al 1335 da una famiglia di mercanti di lana e tessuti; persi tutti i suoi familiari in occasione dell’epidemia di peste del 1348, condusse i suoi studi sotto la guida del maestro Goro2, che nel frattempo era stato nominato suo tutore. Prima di dedicarsi completamente alla grammatica ed alla retorica coltivò anche la logica, la medicina e la giurisprudenza e per un breve periodo della sua vita esercitò l’avvocatura. In un documento del 1361 gli viene assegnato il titolo di notarius, mentre solo qualche anno più tardi, nel 1364, viene ricordato esclusivamente come magister gramatice3. Tra il 1364 ed il 1374 compose le sue prime opere, legate all’insegna1 Sulla vita di Domenico cfr. HANKEY 19572, pp. 110-128; EAD., Domenico di Bandino, in DBI 5, Roma 1963, pp. 707-709. In ordine di tempo l’ultimo lavoro su Domenico è quello di PAOLO VITI, Domenico Bandini professore e umanista, in STELLA, pp. 317-36. 2 È ipotizzabile che Domenico abbia ascoltato le lezioni di Goro direttamente ad Arezzo solo per un breve periodo prima della peste del 1348 e che poi abbia seguito il suo maestro a Siena o a Firenze: il suo nome infatti non compare nei numerosi documenti riguardanti lo studio aretino pubblicati da R. Black (cfr. BLACK 1996) e il fatto che lui stesso si definisse de Aretio fa pensare che egli abbia esercitato la sua professione per la maggior parte fuori dalla città. Su Goro cfr. T. D’ALESSANDRO, Goro d’Arezzo maestro di grammatica e commentatore di Lucano, in STELLA, pp. 299-316: questo importante rappresentate della vita culturale e scolastica di Arezzo del XIV secolo seppe contribuire attivamente all’arricchimento dell’ambiente culturale aretino occupando un posto di rilievo nella storia degli studi grammaticali per il minuzioso uso di Lucano nel suo insegnamento e per le sue citazioni di testi classici. Fu autore di alcune operette legate alla sua attività di maestro: un manualetto di grammatica intitolato Regule parue (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Panciat. 68), breve ma di grande interesse poiché anticipa di oltre un secolo le Regulae di Guarino Veronese (l’opera fu pubblicata da C. MARCHESI, Due grammatici latini del medio evo, in Bullettino della società filologica romana 12 (1910), pp. 45-56); un glossario bilingue, ricco di voci provenienti dal lessico quotidiano (Cfr. C. PIGNATELLI, Vocabula magistri Gori de Aretio, in Annali Aretini 3 (1995), pp. 273-339) ed infine le Regule ortographie per alphabetum compilate, ancora inedite (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliab. VIII, 1412, ff. 29v-35r). Scrisse inoltre un commento a Lucano, anch’esso inedito, tramandato da cinque testimoni: Milano, Biblioteca Ambrosiana, H 174 inf.; Wien, Schottenkloster Stiftsbibliothek, 249; Padova, Biblioteca universitaria 653; Paris, BN lat. 8047; London, British Library, Harl. 2458. 3 I due documenti si trovano in U. PASQUI, Documenti per la storia della città di Arezzo. Cronache, IV, Arezzo 1904, p. III; vd. anche ID., Raccolte di codici in Arezzo, in Atti e memorie della Reale Accademia Petrarca 8 (1907-8), pp. 127 e 146-7: Ser dominicus notarius olim Magistri Bandini Blanci maior XXV annis del 1361; Magister Dominicus olim Magistri Bandini Blanci, magister gramatice, del 7 marzo 1364.

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mento scolastico: la Laurea in arte dictaminis (Bruxelles, Bibliothèque Royale 1486 e Siviglia, Biblioteca Columbina 7.5.2), il Rosarium artis grammatice (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, XIII.47)4 e un vocabolarietto bilingue, latino-volgare (Firenze, Biblioteca Nazionale, Landau 260 e Modena, Biblioteca Estense, a.V.9.1)5. A partire dal 1374 in poi è possibile ricostruire più agevolmente i suoi spostamenti: Domenico infatti non soggiornò mai a lungo nella sua città natale, ma trascorse la sua vita tra i maggiori centri di cultura del tempo (soprattutto Firenze e Bologna), dove esercitò la sua professione di maestro di grammatica. Proprio a Bologna egli si trovava nel 1374 per sfuggire alla nuova epidemia di peste scoppiata in Toscana: fece visita al Petrarca ad Arquà pochi giorni prima della sua morte6, ed è probabile che abbia tenuto pubbliche letture della Rhetorica ad Herennium e di Stazio, anche se nessun commento ci è pervenuto7. 4 Questa grammatica, che probabilmente fu compilata per i suoi allievi di livello elementare, pur condividendo molte caratteristiche con le altre grammatiche trecentesche, ha in più il pregio di un ampio ricorso agli autori classici (in particolar modo Terenzio, Sallustio, Virgilio, Ovidio, Lucano e Giovenale), citati direttamente secondo un’impostazione propriamente umanistica, che differenzia Domenico dai suoi colleghi, i quali evitavano di citare direttamente gli autori. Proprio il Rosarium contiene un sentito elogio del maestro Goro: a f. 3r del codice Marciano si legge: (…) ego Dominicus de Aretio, minimus triuii propinator, egressus de magno stipite triuiali, scilicet reuerendissimo magistro meo, magistro Goro, quo tellus Italia gloriabitur in eternum. 5 Questo glossario ha numerosi aspetti in comune con i principali vocabolari della tradizione lessicografica latina medievale, come l’Elementarium di Papias o il Catholicon di Balbi, ad esempio nella scelta delle parole e della loro esemplificazione, ma da questi si discosta nell’impianto complessivo: proprio come aveva fatto per primo il maestro Goro, anche Domenico preferì al criterio alfabetico la divisione dei lemmi in sezioni in base alla materia trattata. Inoltre alcuni lemmi sono arricchiti da citazioni di versi, di cui non si specifica l’autore, che chiariscono il significato della parola, soprattutto nei casi di omonimia. Per l’edizione critica del testo cfr. C. PIGNATELLI, Vocabula magistri Dominici de Aretio, in Annali Aretini 6 (1998), pp. 35-166; per un’analisi delle caratteristiche linguistiche cfr. EAD., Les glossaires bilingues médiévaux: entre tradition latine et développement du vulgaire, in Revue de linguistique romane 65 (2001), pp.75-111. 6 Di questo incontro egli parla nella biografia di Petrarca, edita da SOLERTI 1904, pp. 286-87: (…) moxque uisitaui hoc lumen fulgidum sine fumo, cui post gratas familiares ac domesticas uisitationes aperui quid tentabam de Fonte [il Fons memorabilium uniuersi] meo; qui cum uarios quaternos diuersorum librorum meque etiam cum illis examinasset, post multas exhortationes, totis in me firmatis luminibus, “Vade, inquit, fili bonis auibus prosequens meritorie, laudabiliter quod cepisti. Exentera libros omnes et uoluendo atque reuoluendo eos nomen tuum in longissimum deducet euum.” Et infra paucos dies, heu mors! heu dolor! heu dico nec cesso deflere! hic uir diuinus Arquade rure inter colles Euganeos…morbo epilensiaco mortuus est. Le sue parole risultarono sospette alla Hankey, che notò che esse erano molto simili a quelle con cui nelle Genealogie di Boccaccio, opera ben nota a Domenico, il re di Cipro spronò il Certaldese alla prosecuzione del suo lavoro: Vade igitur, et bonis auibus uolue et reuolue et exentera libros, calamum arripe et (…) tuum nomen in longissimum deduc euum. 7 Nel codice Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Nuove Accessioni 412, databile alla

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INTRODUZIONE

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Poco più tardi, nel 1376, trovò impiego presso la Signoria di Firenze come maestro di grammatica e fu allora che conobbe Coluccio Salutati, entrando a far parte di quel circolo di intellettuali che gravitava attorno alla sua orbita e conquistandosi una certa fortuna nell’ambiente culturale del tempo. I due furono uniti da amicizia e stima reciproca, ma soprattutto la frequentazione del Salutati e del suo circolo influenzò, e non poco, la crescita “umanistica” di Domenico: a testimonianza di questo rapporto protrattosi nel tempo sta un gruppetto di lettere dell’epistolario di Coluccio, datate tra il 1377 e il 1403, certamente residuo di una più ampia corrispondenza della quale non si è salvata nessuna delle lettere di Domenico8, e che testimoniano le richieste di quest’ultimo di informazioni ed opinioni su questioni letterarie e temi filosofici, su autori e testi. In esse si coglie il rispetto che il grande Cancelliere nutrì per il suo amico, presentato come studioso e insegnante infaticabile e apostrofato spesso come uir optimus, facondissimus, egregius, insignis, peritissimus e multe peritie, ma anche la notizia di un continuo scambio di libri tra i due e la possibilità che Domenico possedesse opere ancora piuttosto rare, di cui neppure Coluccio disponeva9. Domenico tenne sempre in grande considerazione i suoi consigli, a tal punto da compilare dietro suo suggerimento un indice dettagliato delle Genealogie deorum gentilium del Boccaccio10, ed interpellò spesso l’amico chiedendogli informazioni11 a proposito di temi e questioni che avrebbe affrontato nella sua opera più importante, il Fons memorabilium seconda metà del XIV e di probabile provenienza bolognese, che contiene sia il testo pseudociceroniano, sia l’Achilleide di Stazio, la mano di uno studente ha annotato a f. 60v: Egregius doctor Magister Dominicus de Aretio disputabit cras XXa hora in scolis suis. Cfr. R. BLACK, Humanism and Education in Medieval and Renaissance Italy. Tradition and Innovation in Latin Schools from the Twelth to the Fifteenth Century, Cambridge 2001, p. 412. 8 Nella sua edizione Novati ha raccolto in totale otto epistole: l. IV, 7 (14 luglio 1377), 9 (11 novembre 1377) e 12 (4 agosto 1378); l. XI, 18 (27 giugno 1400), 21 (4 agosto 1400); l. XIII, 8 (21 luglio 1403), 13 (11 novembre 1403) e 14 (19 dicembre 1403). 9 Cfr. NOVATI, I, p. 276: a testimonianza della ricchezza della sua raccolta e del fatto che Domenico non si limitò solo a raccogliere libri per sé, ma li mise sempre a disposizione dei suoi amici, vengono le parole di Coluccio che nell’epistola dell’11 novembre 1377 gli scriveva di aver ricevuto l’elenco dei suoi libri, già richiestogli nella lettera precedente del 14 luglio, chiedendo chiarimenti su alcuni testi che comparivano in questo elenco e di cui il Cancelliere ancora non disponeva. 10 Di questo minuzioso indice rimane traccia nei codici Firenze, Biblioteca Riccardiana, 870, ff. 6r-33r, e Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.61, ff. 1r-17v. Cfr. E. H. WILKINS, The University of Chicago Ms. of the “Genealogia Deorum Gentilium” of Boccaccio, Chicago 1927, pp. 20-25 e 67-70. 11 Cfr. NOVATI, III, pp. 623-28: nella lettera datata 21 luglio 1403 Salutati cerca di soddisfare la richiesta del suo amico e di fornirgli delle informazioni sulle origini del nome di Città di Castello; ben due lettere, quelle dell’11 novembre e del 19 dicembre dello stesso anno, sono invece dedicate al tema della nobiltà e al rapporto con la virtù. In entrambi i casi Domenico riutilizzò nella sua opera le notizie fornitegli, nel compilare l’omonima voce su Città di Castel-

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uniuersi, una grandiosa enciclopedia alla cui composizione egli dedicò gran parte della sua vita. Il primo soggiorno fiorentino di Domenico durò soltanto un paio di anni, fino al 1379, quando egli fece nuovamente ritorno a Bologna, anche qui chiamato ad insegnare; certamente doveva trovarsi ad Arezzo nel novembre del 1381 in occasione del sacco dei mercenari di Alberico da Barbiano12, che gli causò la perdita di buona parte dei codici che componevano la sua ricca biblioteca e che solo in seguito, e con fatica, riuscì a recuperare. A Firenze Domenico fece ritorno nel 1382, stabilendosi qui fino al 1398 ed ottenendo anche la cittadinanza fiorentina: durante gli anni di questo che fu il più lungo soggiorno presso la Signoria lesse e commentò diversi autori classici da lui prediletti, come Lucano13, al cui studio egli era stato introdotto fin dalla gioventù dal maestro Goro, ma anche Valerio Massimo e Seneca tragico14, che erano in voga nelle scuole di grammatica dell’Italia del XIV secolo. Di questi ultimi, tuttavia, non si è salvato alcun commento, che soprattutto nel caso di Seneca avrebbe costituito un interessante termine di paragone rispetto alle direttive interpretative della scuola patavina15. Il suo insegnamento, però, non si limitò soltanto ai testi latini, ma contemplò anche alcune opere in volgare, come la Divina Commedia di cui iniziò a preparare un commento rimasto incompleto16; lo nel libro De ciuitatibus, dove impiegò soprattutto le informazioni a proposito della località di Tiferno, e nel capitolo De nobilitate morali del libro De anima. 12 Cfr. la voce su Alberico da Barbiano curata da P. PIERI in DBI, I, Roma 1969, pp. 639-42. 13 Il commento a Lucano si è conservato fino ai nostri giorni nel manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 9964. 14 Per la fortuna di questi autori e la fioritura di commenti tra XIII e XIV secolo si veda C. VILLA, La ripresa della tradizione classica, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. MALATO, II. Il Trecento, Roma 1995, pp. 1027-28. 15 Carla Maria Monti ha proposto di identificare proprio con Domenico di Bandino l’autore di una edizione tardo-trecentesca delle tragedie di Seneca, tramandata da sette codici che presentano caratteristiche comuni (sono tutti trecenteschi, italiani, miniati, con postille ed argumenta nuovi rispetto a quelli del Trevet, tra i quali l’argumentum dell’Hercules furens funge da introduzione all’intero corpus e cita come auctoritates Boccaccio, Coluccio Salutati e Benvenuto da Imola): questa silloge sembrerebbe essere stata approntata intorno agli anni ‘80 del Trecento, in un ambito culturale assai prossimo a quello del Salutati, qui fregiato del titolo di uates in mundo rarissimus. Secondo la studiosa Domenico si candida ad essere identificato con l’autore di questa particolare raccolta poiché con lui condivide gli stessi riferimenti culturali, cioè la vicinanza al Salutati, la conoscenza delle Genealogie del Boccaccio e del Commento a Dante di Benvenuto da Imola, da lui probabilmente conosciuto in occasione del suo primo soggiorno bolognese. Cfr. C. M. MONTI, Episodi della fortuna di Seneca tragico nel Trecento. I. Un’edizione tardo trecentesca delle tragedie di Seneca, in Aeuum 73 (1999), pp. 513-34. 16 Nel caso di Dante poteva trattarsi non di un’interpretazione continua del testo, ma di un’introduzione generale alla Comedia o semplicemente ad alcuni canti, preparata in vista della pubblica lettura. In almeno tre luoghi del Fons si legge un riferimento a questo commen-

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nel frattempo continuò senza interruzioni a lavorare all’indice delle Genealogie e al Fons. Conclusasi la lunga parentesi fiorentina di insegnamento, nel 1398 Domenico fece ritorno ad Arezzo dove era stato nominato “maestro del pubblico” e vi rimase fino al 140217, quando passò a Città di Castello dove era stato eletto professor gramatice poesis et retorice presso la scuola pubblica comunale, che proprio con l’arrivo del Bandino visse un forte rilancio. Domenico rimase qui per ben otto anni, e probabilmente proprio grazie a lui, alle sue relazioni con Petrarca e Salutati, la scuola tifernate venne a contatto con le direttive culturali del primo Umanesimo. Il comune gli concesse la cittadinanza castellana nel 140518, ma egli lasciò la città nel 1411 per fare ritorno a Bologna dove insegnò fino al 1412: allora decise di rientrare ad Arezzo, dove i priori gli assegnarono nuovamente l’incarico di maestro nella scuola pubblica, incarico che abbandonò dopo circa un anno a causa del mancato stanziamento del suo stipendio, per cui sembra che verso il 1413 o 1414 si sia ritirato definitivamente dall’insegnamento e abbia trascorso nella sua città natia il tempo che gli rimase da vivere, cioè fino al 28 agosto 1418. to: nel libro De uirtutibus (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 171, f. 25vb): (…) Scripsi autem super 5 c. Dantis, in quo puniuntur luxuriosi, quantum mali sit per inconcessam uoluptatem uirginitatem tollere; e poco più oltre (f. 67ra): (…) Sed fama ex gloria nascitur et honore: nam ex quo aliquis cum gloria honoretur in publica fama est. Require primum c. eius scripti quod feci super Paradiso Dantis; infine nel libro De uiris claris, nella biografia di Brunetto Latini (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 172, f. 74v): (…) Fecit et alium in latina et materna lingua, quem Thesaurectum dixit, in quo tractauit de moribus hominum, de casibus, de mobilitate fortune et humano statu. Require notanter in scripto quod edidi super Dante. In passato il Mehus e Angelo Maria Bandini gli avevano attribuito il commento alla Comedia presente nel codice Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. XXVI sin. 2, che in realtà è la traduzione latina del commento di Iacopo della Lana fatta da Alberico da Rosciate. Cfr. M. BARBI, Domenico di Bandino d’Arezzo e un suo scritto intorno a Dante, in Studi danteschi 25 (1940), pp. 215-16 e M. PETOLETTI, “Ad utilitatem uolentium studere in ipsa Comedia”: il commento dantesco di Alberico da Rosciate, in Italia medievale e umanistica 38 (1995), pp. 141-216. 17 Cfr. BLACK, pp. 174-176: molti dei documenti d’archivio qui pubblicati testimoniano gli incarichi ricevuti da Domenico e gli stanziamenti del suo stipendio disposti dal comune (cfr. ibid., pp. 371-77, 399, 402); già nel 1388 i priori aretini gli avevano affidato l’incarico di maestro di grammatica, come dimostra il documento numero 190 del 18 settembre 1388 (pp. 334-35), ma di fronte al rifiuto di Domenico che allora si trovava a Firenze essi procedettero alla nomina di Ser Feo di Nigi di Arezzo. Infine è pubblicato il testamento di Domenico, redatto in data 21 agosto 1418, pochi giorni prima della morte, in cui per altro non si fa cenno ai suoi libri e strumenti di lavoro (documento 341, pp. 410-15). 18 Cfr. U. JAITNER-HAHNER, Die öffentliche Schule in Città di Castello vom 14. Jahrhundert bis zur Ankunft der Jesuiten 1610, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 73 (1993), pp. 179-302; EAD., La scuola pubblica tifernate dal tardo Medioevo fino all’arrivo dei Gesuiti, Parte II, in Pagine altotiberine 24 (2004), pp. 48-49 e 74-76.

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La vita di Domenico di Bandino fu quella tipica di un umanista della sua generazione, trascorsa tra i maggiori centri di cultura del tempo e a contatto con gli scrittori e bibliofili più in vista. Con essi condivise l’amore per i classici, che era andato crescendo in lui fin dagli anni della prima giovinezza passati ad Arezzo, dove la tradizione di insegnamento della grammatica e di studi eruditi di alto livello aveva mosso i primi passi già nel Duecento, senza mai interrompersi, ma piuttosto rimanendo assai vitale fino al XV secolo19, a tal punto da rendere il comune toscano una delle grandi culle del sapere umanistico e patria di molti degli uomini di cultura e letterati di maggior prestigio. Un ambiente così fecondo non poté che alimentare da subito in Domenico la passione per la letteratura classica, che si accrebbe negli anni e che lo portò ad avere una conoscenza particolarmente approfondita di alcuni scrittori sia greci che latini e di opere anche piuttosto rare per la sua epoca, che verosimilmente riempirono gli scaffali della sua biblioteca20. Gli autori greci ne fecero parte soltanto attraverso le traduzioni medievali e umanistiche, dal momento che Domenico non imparò mai il greco, mentre la sezione latina della raccolta fu degna di un umanista di quei tempi e incluse tanto poeti quanto prosatori. A tal proposito non si può tacere il fatto che Domenico possedette una copia degli ultimi capitoli della terza e della quarta deca (ad eccezione del libro XXXIII) di Livio, il suo storiografo preferito, e che entrò in possesso degli Annales di Tacito, che lui però chiamava Historie, solo piuttosto tardi, verso il 1400; fu tra i pochi che riuscirono a procurarsi il rarissimo De uiris illustribus di Aurelio Vittore, attribuito ancora a Plinio, e l’Historia Augusta, che probabilmente circolava a Firenze attraverso la copia che Tebaldo della Casa aveva ricavato dal codice posseduto dal Petrarca. Ebbe sia la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio in una trascrizione posteriore al 1377, forse ottenuta attraverso Coluccio21, sia le cento lettere di Plinio il Giovane, mentre tra le altre rarità è doveroso ricordare l’Ibis di Ovidio, Curzio Rufo, e ancora Ausonio e Marziale, riscoperti di recente ed entrambi ignoti al Petrarca, e gli Antiqui sermones di Fulgenzio. La sua biblioteca fu altrettanto ricca di opere patristiche, medievali e anche contemporanee, 19

Cfr. H. WIERUSZOWSKI, Arezzo as a center of learning and letters in the thirteenth century, in Traditio 9 (1953), pp. 321-91 (l’articolo compare in traduzione in Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Arezzo n.s. 39 (1968-69), pp. 1-82). 20 Il lavoro più completo sulla biblioteca di Domenico rimane ancora adesso il lungo articolo di TERESA HANKEY, The library of Domenico di Bandino, in Rinascimento 8 (1957), pp. 177-207, che presuppone unicamente la lettura del libro De uiris (sul quale si veda infra) e, per ammissione della stessa autrice, senza una verifica di tutte le fonti effettivamente citate in questa parte dell’opera. 21 Sappiamo infatti che egli chiese, ma invano, a Coluccio una copia del testo che fosse anteriore a questa data; a riguardo si veda NOVATI, pp. 291-92.

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e di essa Domenico si servì nel corso della lunga composizione della sua opera più importante, il voluminoso Fons memorabilium uniuersi, nelle cui pagine sono ben rappresentate la vastità delle sue letture e la sua grande curiosità e dottrina. 2. Il “Fons memorabilium uniuersi” La stesura di questa imponente opera impegnò Domenico per alcuni decenni, già a partire dagli anni sessanta del 1300, se è vero che, come lui stesso volle sottolineare, nel 1374 poté mostrarne alcuni brani al Petrarca durante la visita che fece al grande maestro poco prima della sua scomparsa22. Lo scritto altro non è che una vasta enciclopedia di tipo tradizionale che segue, già nel titolo, l’impostazione della cultura scolastica medievale ed è organizzata in cinque parti ad honorem quinque magnorum uulnerum Christi, a loro volta articolate in 34 libri in cui è stata raccolta una materia eterogenea e “universale”: le prime quattro parti trattano rispettivamente di teologia, di cosmologia ed astrologia, degli elementi della natura, di geografia insieme a piante ed animali, mentre la quinta è dedicata agli uomini e alla loro storia. La volontà dell’autore era quella di raccogliere tutto lo scibile in una sola opera e questo proposito appariva evidente al lettore non solo attraverso il titolo, ma anche attraverso il frontespizio che Domenico stesso probabilmente aveva ideato e che raffigurava per l’appunto una fontana — che sgorga da una colonna su cui è posta un’urna contenente la testa di Cristo circondata dall’aureola — nei cui numerosi fiotti erano annotati i titoli dei libri che compongono l’enciclopedia. Con il passare del tempo però egli non riuscì a tener fede al proposito originario di dare alle varie parti uguale spazio, per cui si nota una certa sproporzione tra le prime tre, più brevi e basate per lo più su fonti tipiche della cultura scolastica, rispetto alle ultime due, più estese e costruite facendo un più ampio ricorso a fonti sia classiche che contemporanee23. Le prime tre parti iniziarono a circolare in sezioni staccate già prima del 1400, forse su consiglio di Coluccio Salutati che esortò Domenico a non aspettare che l’intero testo fosse completo; esso continuò ad avere larga fortuna in Italia almeno fino alla prima metà del XV secolo, come dimostrano i testimoni manoscritti attualmente noti, tutti anteriori al 1460. Probabilmente a causa della enorme mole di questa enciclopedia, che difficilmente poteva essere contenuta in meno di due volumi, oggi l’unica 22

Cfr. supra, p. 8, n. 6. Tra queste ultime si segnalano Petrarca, Boccaccio, Salutati, Domenico Silvestri e Filippo Villani, il cui utilizzo rende l’opera agli occhi dello studioso moderno un’interessante testimonianza dell’immediata fortuna di questi “nuovi” scrittori. 23

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copia del testo quasi completa conservatasi è quella dei codici Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 170-172 (E), che tramanda le parti I-V, ma che dell’ultima parte conserva unicamente il libro De uiris claris. Accanto ai manoscritti Laurenziani spetta un posto di rilievo i codici Oxford, Balliol College 238A-E, che contengono anch’essi le parti I-V, ma l’ultima non è completa, e ai codici conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, sebbene si tratti anche nel loro caso di testimoni meno completi di E: essi sono i Palatini latini 922-923 (parti I-IV), il Reginense latino 1140 (parti I-IV), i Vaticani latini 2028-2029 (parti I-V, ma dell’ultima solo i libri De uiris claris e De sectis philosophorum), i Rossiani 1155-1157 (parti I-V, ad eccezione del De uiris claris), e i Chigi G.VIII.234-237 (parti I-IV e in più il De uiris claris, in una versione incompleta che include soltanto le vite dalla A alla P). La tradizione dell’opera comprende però numerosi altri testimoni che sono invece copie parziali, contenenti soltanto alcune parti del testo alle quali il committente era più interessato o che facevano parte di un gruppo di codici originariamente completo, di cui ora è sopravvissuto unicamente un volume, come nel caso di London, Lambeth Palace Library, ms. 35 (parti I-IV), di Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 1983 (parti IIII), e di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb. 1279 (alcuni libri della IV e della V parte). Senza dubbio la monumentalità e complessità dell’opera hanno nuociuto in maniera significativa alla sua trasmissione, ma non solo, perché anche il nuovo contesto storico e culturale che andava delineandosi tra la fine del Tre e l’inizio del Quattrocento ne ha condizionato la sopravvivenza, trattandosi, in fin dei conti, di un’enciclopedia tipicamente medievale che non poteva più soddisfare le esigenze del nuovo pubblico, formatosi nelle scuole umanistiche all’ombra di una prospettiva intellettuale ben diversa da quella che aveva determinato in passato la fortuna di un’altra enciclopedia ben più famosa come lo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais. I 34 libri del Fons sono preceduti da una prefazione composta da Domenico stesso e conosciuta come Generale prohemium o Facit casus ducem24: il dux operis invocato dall’autore è Agostino, dal quale egli aveva imparato che la conoscenza del mondo e dell’uomo stesso permette di approdare alla comprensione dell’ordine divino che sta alla base del cosmo e che le diverse scienze concorrono a perseguire lo scopo di una conoscenza globa24 La prefazione è stata stampata la prima volta da A. M. BANDINI, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana, I, Firenze 1791-92, coll. 480-83, ed è stata poi ripresa da U. VIVIANI, Il ritrovamento di un codice rediano di Maestro Domenico di Bandino, in Atti e memorie della Reale Accademia Petrarca n.s. 25 (1938), pp. 321-23.

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le non disgiunta dalla contemplazione di Dio25. E a lui Domenico si rivolge chiamandolo excelsus litterarum princeps e invocandone la protezione sulla sua opera, prima di abbandonarsi alla confessione delle difficoltà incontrate nel cimentarsi in un simile lavoro, che lo aveva impegnato per gran parte della sua vita (hos libros iuuenis inchoaui, senex edidi), non da ultimo l’incursione della cohors daemonum guidata da Alberico da Barbiano26, che era stata la causa della momentanea dispersione della sua personale raccolta libraria, di fondamentale importanza per la stesura dell’enciclopedia, e lo sprone a portare a termine l’opera incominciata che gli era venuto da plures in sacra pagina magistri e multi saeculari uiri insignes, tra i quali il suo uates, Coluccio. Fatta questa premessa Domenico mette in luce una caratteristica importante del suo Fons, cioè l’essere stato compilato sulla base di diverse fonti, che hanno conferito autorevolezza e credibilità all’opera stessa, ma che inevitabilmente lo ha obbligato a destreggiarsi tra la prodiga copia, che avrebbe reso l’opera infinita, e la damnosa breuitas, che al contrario rischiava di rendere poco comprensibile la materia: (…) et ne in tam superexcellenti materia uidear somniare ex umbratili proprii capitis phantasia, decreui testes adducere sanissima capita, clarissima ingenia, famosissimos atque uenerandos doctores Catholicos, illustrissimosque Hebraicos et Gentiles (…) proposui nempe aliena scribendo decerpere, quae solida facerent dicta mea. Horum igitur excelsorum uirorum inniti laboribus cogitaui, sciolis autumans prodesse saltem intrando sanctissima illa uireta sacrosanctae Theologiae ab iis etiam postulando suffragia, quos philosophos, astrologos, geometras, cosmographos, historicos poetasque et altos quoscumque solidae ueritatis miramur autore hinc inde legendo flosculos, texendoque quasi in unam coronam gramen floridum, quod per librorum campos fuerat ante dispersum27.

Il Fons memorabilium uniuersi si pone perfettamente nel solco della tradizione dell’enciclopedismo medievale, rifiorito nel corso del XIII secolo — non a caso definito da Jacques Le Goff il “siècle encyclopédique”28 — da un lato grazie alla nascita delle università e all’apparizione di un nuova figura di intellettuale e di un pubblico sempre più vasto e sempre più avido di conoscenza, da un altro lato grazie alla diffusione dell’aristotelismo 25 Non a caso Agostino è stato definito “l’ispiratore e il teorico delle enciclopedie dei successivi mille anni”, sebbene egli abbia apertamente mostrato una certa insofferenza verso l’enciclopedismo e verso gli “ammassi di materiale destinato allo studio e all’insegnamento”: cfr. M. T. FUMAGALLI BEONIO-BROCCHIERI, Le enciclopedie, in Lo spazio letterario del Medioevo dir. da G. CAVALLO – C. LEONARDI – E. MENESTÒ, I, tomo II, Roma 1993, p. 636. 26 Vd. supra, p. 10. 27 Cfr. VIVIANI, Il ritrovamento cit., p. 322. 28 J. LE GOFF, Pourquoi le XIIIe siècle a-t-il été plus particulièrement un siècle d’encyclopédisme?, in L’enciclopedismo medievale, a cura di M. PICONE, Ravenna 1994, pp. 23-40.

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attraverso le traduzioni arabo-latine prodotte nel secolo precedente e alla scoperta della matematica euclidea, della filosofia naturale, dell’astronomia araba. L’essenza dell’enciclopedismo medievale si può racchiudere nell’apparente ossimoro “summa breve”: attraverso queste opere si cercava di mettere a disposizione di un pubblico non specializzato il più vasto panorama possibile di conoscenza, presentando le informazioni così come esse comparivano nelle fonti attestate, ma nello stesso tempo, e in un certo qual senso in contrasto con l’aspetto enciclopedico vero e proprio, mettendo in atto una brevità programmatica attraverso la trasposizione compilativa di numerose fonti. L’enciclopedista rimodellava gli estratti, li assemblava e li ordinava, scegliendo tra diversi schemi e classificazioni o a volte realizzando insieme alla trasposizione dei contenuti anche una trasposizione di modelli organizzativi, trovandosi nella necessità di unificare varie fonti, ognuna caratterizzata da un differente approccio sistematico alla materia, a tal punto che questi testi, o parti di essi, spesso possono apparire privi di una logica strutturale agli occhi dei lettori moderni. Inoltre, l’enciclopedista del XIII secolo, preoccupandosi dell’utilizzazione ottimale del testo, ha iniziato progressivamente ad impiegare un criterio alfabetico, procedendo per classi di oggetti, all’interno dell’organizzazione complessiva della materia, che consentiva anche una lettura frammentaria dell’opera. Una delle organizzazioni della materia più diffuse era proprio quella che trova applicazione nel Fons, basata sulle divisioni della natura e sulla gerarchia dell’universo: il punto di partenza era Dio, seguito nell’ordine dagli angeli, dall’anima e dalle proprietà dei corpi. La gerarchia degli elementi porta l’autore a trattare per primo del cielo e dell’aria, quindi di questioni di meteorologia e, tra gli animali, degli uccelli. Seguono l’acqua e la terra con i loro animali. Infine il corpo umano, fatto di umori e di elementi. Già all’interno della prefazione Facit casus Domenico ha descritto la suddivisione interna della materia trattata, che comprende caelestia, terrestria, aquatica et inferna e che può essere così schematizzata: I parte (De deo; De angelis; De anima; De inferno); II parte (De mundo; De celo et eius imaginibus; De stellis fixis; De stellis erraticis; De temporibus); III parte (De elementis in generali; De elemento ignis; De elemento aeris; De impressionibus aeris; De ornatu aeris siue De uolatilibus; De aquis salsis; De lacubus; fluminibus, fontibus, stagnibus et paludibus, conosciuto anche come De aquis dulcibus; De piscibus); IV parte (De prouinciis et regionibus; De insulis; De ciuitatibus et oppidis; De edificiis memoratu dignis; De populis et eorum moribus; De montibus; De arboribus, fructibus et arbustis cum eorum fructibus; De herbis, leguminibus et oleribus o De uirtutibus herba-

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rum; De quadrupedibus, che contiene anche un trattato privo di titolo sulla carne commestibile; De serpentibus, reptilibus et uermibus; De gemmis seu lapidibus pretiosis; De metallis); V parte (De uiris claris; De sectis philosophorum; De uirtutibus theologicis et moralibus; De sectis hereticorum; De mulieribus). La prima parte, di contenuto teologico, è arricchita in alcuni codici anche dalla presenza di un breve trattato De magia composto dal figlio Lorenzo. La seconda è dedicata alla cosmologia e all’astronomia e con tutta probabilità fu composta nell’ultimo decennio nel XIV secolo, come suggeriscono alcune notizie presenti al suo interno, che forniscono elementi utili per la datazione: infatti, se da un lato la prefazione del libro De mundo è di fatto una dedica a Rinaldo de’ Gianfigliazzi in cui si fa riferimento alla guerra degli anni 1389-9229, dall’altro nel libro De stellis erraticis, nei capitoli in cui si descrive la rotazione della luna e le sue eclissi, si leggono due date, quelle del 15 maggio e del 21 giugno 139630. Inoltre, a conferma dell’ipotesi che questa parte abbia iniziato a circolare dopo il 1396 va aggiunto che nella dedica a Romeo de’ Foscherari del libro De stellis erraticis il giurista bolognese viene fregiato del titolo di dottore in legge, titolo che egli ottenne nel 139431. È probabile, quindi, che questa sezione dell’opera sia stata ultimata e abbia iniziato a circolare già prima della fine del XIV secolo, ma in seguito dovette subire revisioni ed aggiunte: in effetti nel libro De stellis fixis si trova un riferimento alla cometa apparsa nel 1402, messa in relazione con la morte di Giangaleazzo Visconti32, e ancora il 29 Cfr. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Gadd. reliq. 126, f. 1r: Incipit prohemium libri De mundo editi a Magistro Domenico de Aretio ad nobilem uirum decusque militie dominum Rinaldum de Gianfigliatis de Florentia. Horribili atque tremendo bello, quod inter Commune Florentie ac uirtutum Comitem anno gratie MCCCLXXXXI per biennium gestum est, et utinam terminatum, strenuus miles, ymo decus militie Rinaldus de Gianfigliatis, clarus nobilitatis titulis, sed magis longe generosior in uirtute, dum nobilem ac strenuum Gallum quendam Comitem Armeniaci, a Gallia cum numeroso atque probissimo excercitu iam in Liguriam sub Florentino stipendio conduxisset, ut bellorum euentibus sepe accidit, ubi error minimus incorregibilis est (…). 30 Cfr. E , f. 118r : Nos sumus 15 maii anno Domini 1396; e f. 119va: Nunc uideamus eclip0 sationes aliquas inminentes: scias igitur quod anno gratie 1396 die 21 (…) luna tota eclipsata est fere per horas tres et 55 minutas [sic]. 31 Questa prefazione dedicatoria è andata perduta, come del resto la maggior parte dei prohemia del Fons: i rimaneggiamenti del testo operati da Lorenzo in vista della dedica dell’intera opera a Martino V (su cui si veda infra) possono essere alla base di queste perdite. Tuttavia, forse per caso, è sopravvissuta proprio la parte conclusiva del prohemium al libro De stellis erraticis, che contiene l’elogio di Romeo e del fratello Carlo, e che si è conservata unicamente nel codice Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 1155, f. 162r. Su Romeo de’ Foscarari (Foscherari) cfr. la voce di G. TAMBA in DBI 49, Roma 1997, pp. 288-91. 32 Cfr. Ro, f. 135va-b: Iudicium magistri Dominici de Aretio de duobus cometis que appa-

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libro De stellis erraticis è arricchito dalla presenza di una tavola lunare del 141233, poi aggiornata al 1418, che è sopravvissuta soltanto in alcuni codici. La terza parte tratta di tre degli elementi della natura, cioè fuoco, aria e acqua, con gli uccelli e i pesci, mentre la trattazione del quarto elemento, la terra, è rimandata alla quarta parte, che comprende non solo argomenti di tipo geografico, ma anche antropologico e naturalistico, dal momento che nei 13 libri che la compongono si parla sia della terra, della sua conformazione e divisione, sia dei popoli che la abitano, degli animali, delle erbe e dei metalli. A seguito del libro sui metalli in un codice soltanto tra quelli identificati compare anche un breve trattato sull’alchimia, composto dal figlio Lorenzo. Questa parte, come anche probabilmente la precedente, fu redatta negli ultimi anni del XIV secolo e i primi del XV: infatti, i libri De ciuitatibus e De populis contengono riferimenti ad eventi accaduti tra il 1398 ed il 1400, ma soprattutto sappiamo grazie alla testimonianza dell’epistolario del Salutati che ancora nel 1403, come già si è detto34, Domenico aveva consultato il suo amico sulla storia di Città di Castello; essa cominciò quindi a circolare tra il 1405 ed il 1410. Infine, la quinta parte è dedicata agli uomini ed è considerata da molti la più interessante dell’intera opera per via della presenza del libro De uiris claris, un vasto dizionario biografico che da solo costituisce circa la metà del Fons, la cui stesura dovette impegnare l’autore per oltre un ventennio35: in effetti la biografia di Salutati potrebbe essere stata composta tra le prime intorno al 1388-139036; la vita di Scipione Nasica fu composta ruerunt eodem tempore, licet unus fuerit uisus multis diebus ante alium, anno Domini 1402. (…) Circa exitum mensis februarii apparuit in occidente in signo arietis circa finem unus cometa (…). Sed sequenti mensis marcii apparuit alius cometa prope solem et per magnam partem diei itinerabat non multum remotus a sole. (…) scias quod in biennium ambo ista comete debebant producere effectus suos, sed orientalis, qui paucis diebus apparuit, citius debebat producere effectus suos, et occidentalis tardius, prout clare monstrat Ptholomeus. Dopo una lunga digressione contenente in sostanza una citazione tratta dal Centiloquium di Claudio Tolomeo, Domenico aggiunge: (f. 122va) Nam Iohannes Galeaz dux Mediolanensis dominusque maioris partis totius Lombardie (…) epydimico morbo moritur. Per l’uso tanto maschile quanto femminile del termine cometa, -ae nel latino medievale si veda LEXICON II, C 585-586. 33 Cfr. Ro, f. 157r-158r. 34 Cfr. supra, p. 9, n. 11. 35 Brani interessanti tratti da questo libro, ancora oggi inedito, si trovano in Ambrosii Trauersarii generalis Camaldulensium aliorumque ad ipsum, et ad alios de eodem Ambrosio Latinae Epistolae a domno Petro Canneto abbate Camaldulensi in libros 25 tributae (…). Accedit eiusdem Ambrosii uita in qua historia litteraria Florentina ab anno 1192 usque ad annum 1440, ex monumentis potissimum nondum editis deducta est a Laurentio Mehus (…), Florentiae 1759, p. CXXIX ss.; M. SARTI – M. FATTORINI, De claris Archigymnasii Bononiensis Professores, Bologna 1888-96, II, pp. 297-300; SOLERTI 1904, pp. 91-94 e 286 sgg., 677 sgg. 36 Cfr. NOVATI IV.2, pp. 501-2, n. 2.

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per lo più ricorrendo alle informazioni che lo stesso Coluccio inviò a Domenico nella lettera datata 4 agosto 1400; infine nella vita di Tiberio sembrerebbe potersi leggere un riferimento all’anno 1417, là dove a proposito di una invenzione scrive: que a Thyberio latuit usque ad nostra tempora per annos circa 1417. Questo libro XXX negli anni ha attirato l’attenzione degli studiosi che lo hanno giudicato il più originale e singolare di tutto il Fons, perché appare come il più omogeneo ed unitario, pur abbracciando un panorama culturale sconfinato che spazia dai personaggi dell’antichità, sia cristiani che pagani, fino ai contemporanei dell’autore. Non si tratta dunque di una rassegna delimitata da precise coordinate geografiche o storiche, come poteva essere stato il De uiris illustribus del Petrarca, ma una rassegna universale come universale era l’opera nel suo complesso; soprattutto essa testimonia lo sforzo di Domenico di applicare i nuovi metodi di critica storica e testuale da lui assimilati nel corso delle sue lunghe frequentazioni dell’ambiente umanistico fiorentino e di fare proprie le sue più recenti conquiste, come la distinzione di Plinio il Vecchio da Plinio il Giovane, e di Giulio Cesare da Giulio Celso Costantino, un revisore del De bello Gallico scambiato da alcuni con l’autore37. Sembra tuttavia che oggi vada ripensata l’attribuzione a Domenico della distinzione di Lattanzio Firmiano da Lattanzio Placido38, proposta in precedenza da Remigio Sab37 Un dibattito ancora in corso era quello riguardante Seneca: il padre retore ed il figlio filosofo venivano ancora confusi nella stessa persona, nonostante in un primo momento Petrarca avesse nutrito qualche dubbio sull’esistenza di un unico Seneca filosofo, tragediografo e retore. Sulla cosiddetta “questione dei due Seneca” si veda GIUS. BILLANOVICH, Petrarca letterato. Lo scrittorio del Petrarca, Roma 1947, pp. 109-16; ID., Pietro Piccolo da Monteforte tra il Petrarca e il Boccaccio, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi, I, Firenze 1955, pp. 3-76; G. MARTELLOTTI, La questione dei due Seneca da Petrarca a Benvenuto, in Italia medievale e umanistica 15 (1972), pp. 149-69; L. BOCCIOLINI PALAGI, Genesi e sviluppo della questione dei due Seneca nella tarda latinità, in Studi italiani di filologia classica 50 (1978), pp. 215-31; F. D’ALESSI, La questione dei due Seneca in epoca umanistica e il “Sermo symposiacus” di Girolamo Bologni, in Quaderni veneti 4 (1987), pp. 47-86. Neppure Domenico riuscì ad avvedersi di questo errore diffuso tra i suoi contemporanei e così compilò una breve biografia di Seneca che non si discosta molto da quelle composte da altri umanisti se non per una maggiore ricchezza di dettagli con cui vengono descritti gli ultimi momenti di vita del Cordovano grazie alla fedele citazione dei capitoli 60-65 del XV libro degli Annales di Tacito. 38 Cfr. E , f. 228ra: (ll. 6-27) Lactantius agnomen est, Firmianus at proprium, sed meruit 2 Lactantii nomen quia fuerit quidam fluuius eloquentie Tulliane, dicente Ieronimo in libro De uiris illustribus: “Firmianus, qui et Lactantius dictus est, Arnobii discipulus sub Dyocletiano principe (…) docuit, sed penuria discipulorum ad scribendum se contulit.” Habemus enim (…) et Institutiones diuinarum aduersum gentes digestas in septem libros. (ll. 28-41) Lactantius alius a superiori insignis homo doctusque ualde comentico stilo aperuit utrumque Statium, et quod sit a superiori diuersus hinc accipio quod super X Thebaide allegat Boetium quem constat fuisse illis temporibus quibus Theodoricus Gotus dominabatur Rome. Cum Lactantius Firmianus, qui libros diuinarum institutionum contra gentes edidit in extrema senectute, ut scribit Ieronimus et precedente capitulo [cioè la biografia che immediatamente precede e che

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badini e ripresa da Teresa Hankey39: in effetti sembrerebbe che la questio abbia un antecedente in alcune glosse apposte da Salutati a un suo codice con il commento della Tebaide posteriori al 1380, e che in questo caso Domenico si sia appropriato di una recente conquista della filologia umanistica, senza tuttavia specificarne la paternità40. Nella quinta ed ultima parte del Fons si trova anche una breve sezione, rimasta incompleta e inserita nel libro De sectis philosophorum, che Domenico volle intitolare Liber cronicarum e che nel suo proposito originario doveva essere probabilmente una breve sezione storiografica che potesse servire da quadro riassuntivo degli eventi e dei popoli menzionati nel resto dell’opera; è inoltre presente un breve trattato de aliquibus medicine remediis. In questa parte il solo libro De sectis hereticorum sembra aver ricevuto l’ultima revisione da parte dell’autore: egli iniziò la correzione del libro De uiris quando ormai la morte si stava approssimando e di questo suo labor limae è rimasta una traccia soltanto nelle parti autografe del codice Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 300 (U)41. Per agevolare il lettore nel suo approccio ad una materia così ampia e per facilitare la fruizione della sua enciclopedia, che l’enorme mole destinava comunque ad una lettura frammentaria, Domenico ha saputo tessere una fitta trama di rimandi interni all’opera nella sua totalità: quasi ogni capitolo contiene uno o più riferimenti ad un altro, sia nello stesso libro che in altri in cui venga trattato un argomento simile o in qualche modo connesso, introdotti da Require che svolgono la stessa funzione dei rimandi bibliografici delle note a piè di pagina di un testo moderno. La tradizione manoscritta del Fons rimane ancora oggi di difficile ricostruzione, essendo complicata innanzi tutto dalla mancanza di un testimone completo a cui si sono sostituite invece numerose trascrizioni parziali del testo, ma anche dal sicuro avvicendamento di diverse fasi redazionali: come già è stato sottolineato, le parti iniziali del Fons furono pubblicate è dedicata a Lattanzio Firmiano] adnotaui fuit in Gallia, Marci Cesaris Crispi filii Constantinique, que tempora distant sine dubio per centum annos, quapropter concluditur quod nullo modo potuerit Lactantius idem esse. 39 Cfr. SABBADINI 1914, p. 186; HANKEY 1957, p. 185. 40 Cfr. V. DE ANGELIS, Magna questio preposita coram Dante et Domino Francisco Petrarca et Virgiliano, in Studi petrarcheschi n.s. 1 (1984), pp. 206-08; G. BILLANOVICH – C. M. MONTI, Per Pietro da Parma: I. Petrarca auctoritas nel commento ai classici: il Preambulum a Lucano di Pietro da Parma, a cura di C. M. MONTI, in Studi petrarcheschi n.s. 11 (1994), p. 265, n. 175-76. 41 Il codice contiene poco più della metà delle vite previste (A-N), cioè quelle che l’autore era arrivato a correggere; esso è un testimone parzialmente autografo, copia di lavoro dello stesso autore in cui foglietti di carta contenenti aggiunte ed annotazioni per la revisione sono stati inseriti nei fascicoli di pergamena. Si veda G. POMARO, Scritture di scuola e per la scuola, in STELLA 2006, p. 281.

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prima ancora che tutta l’opera fosse completa e spesso vennero modificate nel corso di quegli anni dall’autore stesso, con frequenti aggiunte o cambiamenti anche sostanziali. Ai ritocchi voluti da Domenico vanno inoltre sommati gli interventi editoriali di suo figlio Lorenzo, che pochi anni dopo la morte del padre decise di pubblicare l’intera opera dedicandola a Martino V (1419-31), nella cui Curia egli era diventato auditor causarum. Egli intervenne sul testo con ulteriori cambiamenti ed aggiunte: tra queste si segnalano una prefazione intitolata Vt euitaret carus michi genitor, che contiene un elogio del Fons e un indice dettagliato dell’opera, e i trattati di magia e di alchimia (inseriti rispettivamente alla fine del libro De inferno e del De metallis), che non dovevano far parte del progetto iniziale di Domenico, dal momento che essi non vengono mai citati né nel Generale prohemium né nei rimandi interni da un libro ad un altro che ricorrono numerosi nei vari capitoli dell’enciclopedia, e che invece compaiono nell’index redatto da Lorenzo. Inoltre le caratteristiche stilistiche dei due trattati sono tanto lontane dal bel latino di Domenico quanto vicine allo stile della prefazione Vt euitaret e del De ecclesiastica potestate, sicuramente composto da Lorenzo42. Altrettanto difficoltoso è il tentativo di delineare uno stemma codicum attraverso il quale rendere ragione dei rapporti che intercorrono tra i 35 codici che tramandano parti diverse dell’opera o appartenenti a fasi redazionali differenti. Lo sforzo che al momento sembra aver portato i risultati più convincenti è stato quello di Teresa Hankey, che ha proposto di suddividere i più importanti codici da lei censiti in tre gruppi distinti, sulla base di alcune caratteristiche comuni che riguardano per lo più parti aggiunte oppure omesse, che permetterebbero di ricondurre i manoscritti ad archetipi differenti43. Al I gruppo (α) appartengono i codici: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1140, parti I-IV (Re); Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 170-172, parti I-V (E); Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb. 1279, alcuni libri delle parti IV e V (As); Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 1983, parti I-III (M); a questi inoltre si aggiungano due codici contenenti solo excerpta del libro De uiris, cioè Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliab. IX.127 e Prato, Raccolta Guasti, 32. Questi codici sono quelli in cui si sono conservati i due trattati composti da Lorenzo e un’altra prefazione che gli viene attribuita e che è intitolata Contra detractores huius libri, in cui venivano messi in luce in particolar 42 Esso si conserva nei codici Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4110-14. Cfr. J. A. CORBETT, The Fifteenth-Century “Review of Politics” of Laurentius of Arezzo, in Medieval Studies 11 (1949), pp. 62-76. 43 Cfr. HANKEY 1960, p. 12 e sgg.

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modo i giudizi di lode espressi dai contemporanei sul Fons44; inoltre essi sono accomunati da una lacuna che precede il libro De inferno e che doveva comprendere un breve capitolo di dedica alla fine del De anima, di cui conservano solo le parole iniziali: Accipe spes. Al II gruppo (β) appartengono: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi G.VIII, 234, 235, 237, parti I-V, ma il libro De uiris è tramandato in una versione incompleta (C); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi G.VIII, 236, De uiris, (H); London, Lambeth Palace Library, ms. 35 (parti I-III: La; parte IV: Lb); Oxford, Balliol College, 238A-E, parti I-V, ma l’ultima parte non è completa (B); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 1155-1157, parti I-IV ad eccezione del libro De uiris (Ro); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 922-923, parti I-IV (P); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2028, parti I-IV (V). Due dei codici che la Hankey attribuisce a questo gruppo, cioè B e V, per alcune parti sono il frutto della contaminazione del I con il II gruppo: infatti, B dipende certamente dall’archetipo del I gruppo (α) per quanto riguarda il De temporibus, ma non è escluso che questa dipendenza possa estendersi a tutta la parte I; la storia di V appare invece più complessa, perché esso sembrerebbe dipendere in parte dall’archetipo α e in parte da β, archetipo del II gruppo. A proposito di β va specificato che in realtà si può parlare nel suo caso non di uno, ma di due archetipi, i quali risalirebbero a diverse fasi di redazione del testo, databili rispettivamente al 1412 e al 1418, e che possono essere considerati entrambi antenati di V. I codici di questo gruppo contengono, oltre al Generale prohemium, che è presente in tutti i manoscritti che tramandano la prima parte del Fons, anche la prefazione Michi diu composta da Domenico stesso, che è una breve dedica a un personaggio anonimo invitato a correggere il testo, e un capitolo introduttivo sia alla II che alla IV parte, ma soprattutto condividono quelle aggiunte di materiale all’interno delle parti I-III che devono essere posteriori al 1400, come ad esempio i riferimenti alla cometa del 1402, il riferimento all’anno 1408 nel capitolo 8 del De temporibus come esempio del metodo moderno di datazione45, e quella tavola lunare del 1412 all’interno del libro De stellis erraticis. Sempre questi codici tramandano la prefazione Vt euitaret carus michi genitor e l’indice redatto da Lorenzo sulla base dei titoli già premessi ad ogni ca44 Cfr. Re, f. Iv: Quibusdam igitur licet paucis ueris oratoribus … ac uiris scientificis non ficte sed laudatis et cognitis iudicium derelinquam ut celebri Bergamico Guasperino, Antonio Luscho et sibi consortibus de quorum (sic) proch dolor paucus est numerus … hoc opus … uniformi eorum sententia comprobatum ac miris laudibus predicatum. 45 Cfr. Ro 1155, f. 163r: Ita ut cum nos dicimus anno Domini 1408. Ipsi dixissent Era millesima 408.

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pitolo da Domenico; normalmente essa è seguita da una carta bianca in cui doveva essere riportato il disegno della fontana ideato dall’autore e che doveva contrapporsi visivamente alle altre due prefazioni Michi diu e Facit casus. Inoltre essi sono accomunati dalla presenza di un’avvertenza di Domenico scivolata nel testo in un secondo momento (forse ad opera di un copista troppo zelante), che non avrebbe dovuto essere copiata. Nel De anima, infatti, alla fine del capitolo 99 si legge: Istud 100 capitulum posui in libro bombicino in quo scripsi prohemia multorum librorum fontis, ergo ibi quere. L’allusione dunque è a un liber bombicinus che fungeva da quaderno di appunti e in cui Domenico poteva aver annotato il testo del capitolo conclusivo del De anima, che manca del tutto nei codici del II gruppo, e di cui si sono conservate solo le parole iniziali nei codici del I gruppo, come già si è detto; le parole con cui invece il capitoletto s’inizia nei codici del gruppo III, e cioè fidissima nostre patrie, farebbero supporre la dedica ad un personaggio fiorentino, il cui nome è andato perduto. Infine, al III gruppo (γ) appartengono: Torino, Biblioteca Nazionale, D. I. 8, parti I-III (T); Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 117 inf., excerpta del libro De mundo della I parte (A); Fermo, Biblioteca Comunale, ms. 4, excerpta delle parti I-IV (F); Venezia, Biblioteca Marciana, lat. 3177, excerpta della IV parte (Ma); Pavia, Biblioteca Universitaria, Aldini 504 (Pa), excerpta delle parti II, III e IV. A questi va aggiunto anche Ro, già assegnato al gruppo II, che tuttavia mostra i segni della contaminazione di γ. Il testo conservato nei codici di questo ultimo gruppo sembra essere il frutto di una contaminazione tra α, dal quale dipende per quanto riguarda la I parte ed alcuni libri della II, e β. I manoscritti di quest’ultimo gruppo contengono la prefazione Vt euitaret, le aggiunte sulla magia, l’introduzione alla II parte e alcune delle aggiunte testuali caratteristiche del II gruppo: i libri sulle stelle, infatti, condividono il testo nella versione che si potrebbe dire posteriore al 1412, anche se il riferimento alla cometa del 1402 risulta essere abbreviato e in parte parafrasato e la tavola lunare è in realtà omessa. Al di fuori dei tre gruppi vanno segnalati due codici che sembrerebbero essere stati copiati quando Domenico era ancora in vita e da lui corretti, e cioè Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 300, De uiris A-N (U) e Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Gadd. reliq. 126, De mundo (Ga). Insieme a questi possono essere ricordati i manoscritti che testimonierebbero la circolazione separata di alcuni dei libri dell’enciclopedia, pubblicati singolarmente subito dopo la loro composizione: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3121, De celo e De stellis erraticis (Va); Venezia, Biblioteca Marciana, lat. 3379, De uirtutibus herbarum; Firenze, Biblioteca Riccardiana, 825, De uirtutibus herbarum;

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Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. Sopp. I.IX.2, De uirtutibus herbarum. Infine i manoscritti Paris, Bibliothèque nationale, lat. 16926; Paris, Bibliothèque nationale, Nouv. Acq. Lat. 880 e Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Fondo Redi 159 contengono soltanto excerpta e non sembrano potersi collocare all’interno degli altri gruppi ora illustrati. I rapporti tra i principali codici sono stati così schematizzati dalla Hankey46:

α (?) M

V

E

Re

B(parte I)

As

β (1412)

β (1418) V

B

Lb

P

Pa

Ro C

La

A T

M

F

A giudicare dalle loro caratteristiche sembra che il testo tramandato dai codici del gruppo II sia quello che deve essere considerato il più vicino alla versione dell’opera voluta dall’autore, visto che con la sua maggiore ricchezza di parti aggiunte, che mancano invece in altri manoscritti, testimonia lo sforzo di un lavoro continuo e protratto nel tempo, nel tentativo di giungere ad una redazione definitiva. Tuttavia il testo conservato nei codici del II gruppo non è quello su cui Lorenzo lavorò quando egli decise di dedicare l’opera al Papa: pur lasciando che la versione del II gruppo venisse liberamente copiata dopo essere stata corredata della scagionante prefazione Vt euitaret, egli scelse di presentare a Martino V il testo dei co46

Cfr. HANKEY 1960, p. 26.

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dici del I gruppo, che doveva essere in qualche modo più semplice da gestire per lui, dal momento che non presentava aggiunte marginali successive che dovevano essere integrate nel testo o spazi vuoti e lacune da colmare, ma soprattutto perché il testo del gruppo II era stato molto arricchito da Domenico dopo il 1400 nelle sue parti di contenuto astrologico e includeva energici attacchi alla simonia e agli abusi della Curia che avrebbero di certo suscitato l’ostilità degli ambienti ecclesiastici. Il testo del II gruppo, almeno per quanto riguarda le parti I-IV, potrebbe derivare da un esemplare autografo oggi perduto che Domenico non riuscì a rivedere prima della sua morte; per la V parte, invece, è il codice autografo U a fornire il testo più genuino, ed è il modello da cui discendono tutti gli altri codici contenenti il libro De uiris; il suo testo può essere opportunamente integrato nelle parti mancanti (vite O – Z) da E, l’unico testimone del I gruppo a contenere questa parte, che fu copiato e poi accuratamente corretto dal suo proprietario, Lorenzo Inghirami, proprio a partire da U e prima che questo codice ricevesse le correzioni del figlio di Domenico. 3. I libri XII e XIII del “Fons” e la presenza delle “Naturales quaestiones” di Seneca Al di là di complicate questioni filologiche e stemmatiche l’importanza del Fons oggi andrebbe rivalutata alla luce della copiosa mole di autori che trovano spazio al suo interno: se da un lato è inevitabile che il carattere compilativo ne riduca il valore e l’originalità complessiva, va riconosciuto che il costante e generoso impiego di auctoritates sia classiche che medievali rende l’opera un prezioso strumento di analisi della diffusione della letteratura antica nell’epoca in cui il suo autore ha operato. Il Fons oggi dovrebbe essere considerato una tappa importante nella ricostruzione del Fortleben umanistico di alcuni scrittori e questo discorso è valido più che mai per Seneca e per le sue Naturales quaestiones: l’ipotesi suggerita in passato da Fabio Stok, il quale sosteneva di poter annoverare Domenico di Bandino tra i suoi potenziali lettori47, trova conferma nell’analisi di alcuni libri dell’enciclopedia, ed in particolar modo del XII (De elemento aeris) e del XIII (De impressionibus aeris), entrambi di contenuto meteorologico48, in cui l’opera di Seneca è stata utilizzata ampiamente come fonte di informazioni di carattere erudito e scientifico. 47 Cfr. F. STOK, La discreta fortuna delle Naturales quaestiones, in Giornale italiano di filologia 52 (2000), p. 365. 48 Più che di meteorologia bisognerebbe parlare in senso moderno di geografia fisica

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Il libro XII è dedicato all’elemento aria: nei pochi capitoli che lo compongono Domenico fornisce l’etimologia del nome, facendo ricorso alle Deriuationes di Uguccione da Pisa, e spiega quali siano le caratteristiche e le proprietà, sia negative che positive, di questo elemento, chiamando a testimonianza Avicenna e il suo Canon medicinae. Inoltre riporta la suddivisione aristotelica dell’etere in tre parti, secondo la quale la parte più vicina alla sfera celeste è secca e immobile, quella prossima alla terra è riscaldata e turbata dalle esalazioni terrestri, infine la parte mediana è quella più fredda tra le tre e la più sottile. Il libro XIII De impressionibus aeris è dedicato ai fenomeni atmosferici e a questioni di carattere meteorologico: i fuochi celesti, l’arcobaleno, i lampi e i fulmini, i venti, i terremoti, i tuoni, le nubi, le “corone”, la pioggia, la rugiada, la brina, la grandine ed infine la neve, cioè tutti quei fenomeni che secondo la fortunata teoria di Aristotele sono originati dalle esalazioni umide o secche che la terra sprigiona per effetto del calore del sole e delle stelle. Nei 76 capitoli che compongono questo libro si ritrova la medesima impostazione già messa in evidenza per il libro XII: Domenico parte da una definizione di carattere generale, per poi passare ad una descrizione più dettagliata del fenomeno preso in esame, condotta attraverso l’ausilio di diverse fonti antiche e medievali, sia in prosa che in versi, sforzandosi di approfondire le proprietà delle cose della natura risalendo alle loro cause. Accanto a quelle fonti della scienza antica e medievale, che si potrebbero definire “tradizionali” (i Mετεωρολογικά di Aristotele, la Naturalis historia di Plinio ed i Meteora di Alberto Magno) se ne collocano altre di spicco nel panorama della cultura astronomica e astrologica del Basso Medioevo e dell’Umanesimo, come Michele Scoto, Nicola Oresme e Restoro d’Arezzo, quest’ultimo conterraneo di Domenico e noto per aver composto il primo trattato di scienza in lingua volgare intitolato La composizione del mondo con le sue cascioni49. Così nelle pagine del Fons queste fonti, tutte sostanzialmente caratterizzate dalla ripresa delle dottrine meteorologiche aristoteliche e dal loro commento, si mescolano e si sovrappongono di continuo, arricchendo con sempre nuovi elementi e dettagli il compendio di Domenico50. Ma una caratteristica di notevole rilievo che emerge dalla (osservazione dell’atmosfera e dei suoi fenomeni) e di dinamica terrestre (azione delle acque superficiali e sotterranee, azione del vento, terremoti). 49 Cfr. la nota del commento a XII.2, 21. 50 Né mancano inoltre riferimenti ad eventi ed aneddoti contemporanei all’autore: i fuochi celesti apparsi intorno agli anni 1350 e 1380, se le date riportate nel Fons non sono corrotte (XIII.3, 6 e 7) e la vampa che aveva rischiarato il cielo di Arezzo quando Domenico aveva circa 24 anni (XIII.31, 7-10); il fulmine che nell’anno 1370 aveva colpito l’abbazia di Arezzo

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lettura dei libri XII e XIII del Fons è proprio l’ampio uso che Domenico ha fatto delle Naturales quaestiones di Seneca: la precisione con cui alcuni luoghi dell’opera vengono citati e la stessa abbondanza ed estensione di queste citazioni autorizzano a considerare Domenico un assiduo ed attento lettore dell’opera, che fu senza dubbio sugli scaffali della sua biblioteca personale, a dispetto dello scarso interesse diffuso tra gli intellettuali della sua epoca. Come è stato accertato dagli studi più recenti, Seneca scienziato non godette di un’attenzione particolare da parte degli umanisti, che, come già i dotti del Medioevo, continuarono a preferire le sue opere filosofiche e le tragedie, recente riscoperta padovana, ovvero il Seneca stoicus, il filosofo morale per eccellenza. La sorte delle Naturales quaestiones era comune a quella di tutte le opere di scienza, in generale destinate a riscuotere minore interesse rispetto a quelle giudicate di più alto valore letterario, ma anche a livello scientifico esse erano sempre rimaste nell’ombra perché considerate meno autorevoli rispetto agli scritti di Aristotele e Plinio il Vecchio. L’opera di Aristotele, dopo la prolungata eclissi del pensiero greco all’inizio dell’era cristiana, fu restituita all’Occidente nel XII secolo grazie alla traduzione dall’arabo al latino di Gherardo da Cremona (Vetus translatio), e in seguito a quella direttamente dal greco di Gugliemo di Moerbecke (Noua traslatio, databile tra il 1260 e il 1270). Con la diffusione dell’aristotelismo anche il De meteoris, o Liber Metheororum come spesso fu chiamato, venne letto nelle università, seppur non con la regolarità dei trattati aristotelici principali, e suscitò l’interesse di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, che si accostarono al testo tentandone la mediazione con i principi della religione cristiana, così come fecero per le altre opere dello Stagirita. L’accettazione spesso acritica anche delle sue teorie sull’atmosfera e il proliferare dei commenti sono una prova tangibile dell’autorità indiscussa che gli veniva riconosciuta, a tal punto che le sue teorie in materia di scienza della natura avrebbero dominato la scena culturale e scientifica fino alle soglie dell’era moderna. La presenza della Naturalis historia di Plinio nel corso del Medioevo era stata pervasiva, a giudicare dal numero di manoscritti sopravvissuti, ma la sua lettura al contrario era stata piuttosto incompleta e discontinua e di epoca in epoca parti diverse dell’opera erano state privilegiate a discapito di altre, sorte comune questa a tutte le enciclopedie proprio perché nate per una consultazione ed un utilizzo occasionale. L’opera di Plinio nel corso della celebrazione dei vespri, mandando in frantumi la croce di marmo sul tetto della chiesa (XIII, 22.1-9); infine il riferimento presumibilmente al cosiddetto Lago di Pilato sul Monte Vettore, dove misteriosamente si generano dei venti (XIII.44, 5).

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suscitò l’interesse degli umanisti, a cominciare da Petrarca, Boccaccio e Coluccio Salutati, trattandosi di un esteso documento delle conoscenze dell’antichità: le sue pagine avevano garantito la sopravvivenza di fonti greche e romane altrimenti perdute e di numerose informazioni sulla storia dell’impero; inoltre, esse sarebbero servite da auctoritas linguistica per quei termini scientifici che nel corso del XV secolo si sarebbero diffusi nell’uso comune51. Nonostante la riscoperta delle Naturales quaestiones almeno in area francese ed anglo-tedesca grazie al fervore degli studi scientifici e filosofici della scuola di Chartres nel XII secolo, Seneca usciva sconfitto dal confronto con questi altri autori, ma il Fons memorabilium uniuersi dimostra che l’Umanesimo ha introdotto in tal senso il germe di un’inversione di tendenza, se in alcuni luoghi di questa enciclopedia il testo di Seneca e il suo dettato sono spesso privilegiati e costituiscono il punto di riferimento fondamentale di Domenico nella trattazione di numerosi argomenti. Le Naturales quaestiones sono oggetto non soltanto di frequenti citazioni dirette, come avviene anche per gli altri autori sopra citati, ma anche di moltissimi riferimenti impliciti che non potevano sfuggire ad un lettore attento e che sono il segno dell’importanza che l’autore gli riconobbe. A tal proposito si potrebbero ricordare numerosi esempi, a partire da brevi citazioni52 fino ad arrivare a passi più estesi, come nel caso del capitolo 45 del libro XIII in cui l’elogio delle virtù benefiche del vento altro non è che un sunto di nat. V, 1853. Questa tendenza a non specificare sempre l’opera da cui un’informazione è tratta, o addirittura a far passare per propria un’opinione altrui, che si riscontra in più luoghi all’interno del Fons, ha portato alcuni studiosi come Violetta De Angelis a mettere in dubbio la probità di Domenico in quanto scrittore, oltre che naturalmente l’originalità di alcune sue pagine, proprio per questa sua propensione a «fagocitare» le fonti, che lo avvicinerebbe più «all’etica medievale della citazione che non alla mentalità umanistica»54. La grande considerazione di cui Seneca ha goduto trova poi un’ulteriore conferma nel fatto che molto spesso Domenico ha preferito esporre alcuni argomenti e le notizie ad essi correlate attraverso le parole di Seneca e non citando direttamente la fonte da cui anche Seneca a sua volta dipendeva, come nel caso delle teorie di Aristotele: esse vengono esposte preferibilmente attraverso quei testi latini che le avevano acquisite e veico51 Si veda La Naturalis historia di Plinio nella tradizione medievale e umanistica, a cura di V. MARAGLINO, Bari 2012. 52 Si veda, a titolo esemplificativo: XII, 2.1-4; 3.1-4 e 8-12; XIII, 2.1-3; 4.6-7 53 Si veda anche XIII, 10.6-14 (con nota relativa); 47.1-8. 54 Cfr. V. DE ANGELIS, Magna questio cit., pp. 103-209 (in particolare p. 205).

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late nella cultura scientifica occidentale, a cominciare proprio da Seneca, fino ad arrivare all’Alberto Magno commentatore. È il caso dell’esposizione della teoria delle esalazioni (XIII, 4.13-25 e 15.35-39) o della descrizione delle cause del terremoto secondo le teorie di Talete di Mileto e di Anassimene (XIII, 48.5-15) e di altri luoghi in cui, nonostante la citazione sia introdotta da scribit Phylosophus, in realtà il testo citato sono proprio le Naturales quaestiones55. Per di più Domenico sembra fare proprio un metodo che era già stato tipico di Seneca, cioè il “presentare come citazione testuale ciò che sicuramente è ripreso di seconda o terza mano”56: è il caso, ad esempio, della descrizione dei tre tipi di fulmine, che è ripresa interamente da Seneca, sebbene nel testo Domenico citi anche Aristotele e Plinio, sia nel contenuto che nell’ordine di presentazione (XIII, 20-23). La posizione di rilievo di cui gode il testo senecano tra le pagine del Fons è dovuta probabilmente alla struttura stessa delle Naturales quaestiones: infatti, pur dipendendo strettamente dalla scienza greca e quindi in primis da Aristotele, Seneca non ripete in modo pedissequo le teorie di quanti lo avevano preceduto, ma le discute con autonomia di pensiero, talvolta prendendo posizione anche a favore dell’opinione meno diffusa e accettata, e le integra con osservazioni personali. Nel panorama della scienza antica, ma anche di parte di quella medievale, le Naturales quaestiones costituiscono un unicum per altri aspetti che in qualche modo dovevano aver affascinato la sensibilità “umanistica” di Domenico: da un lato per ragioni stilistiche e per “l’alta letterarietà” di queste pagine in cui si ritrovano tutte le caratteristiche più tipiche della prosa “ad effetto” di Seneca, che il filosofo non aveva sacrificato a vantaggio di un linguaggio freddamente scientifico e didascalico; da un altro per ragioni più strettamente filosofiche, ossia per il modo stesso in cui è condotta la trattazione e per il grande impegno morale che la caratterizza rispetto alle altre fonti e che fa sì che a momenti di pura speculazione se ne alternino altri di riflessione, che lo stesso Domenico non ha voluto estromettere dalla sua opera, pur essendo essa un’enciclopedia di carattere compilativo e divulgativo. In effetti sul piano dello stile Domenico spesso non rinuncia alle do55

Casi analoghi in XII, 2.3-4; XIII, 61.3-7; 62.1-10. Cfr. SETAIOLI, p. 401; vedi la nota a XIII, 2.38. Cosi Traglia descriveva il metodo di citazione delle fonti adoperato da Seneca: «Egli le rivive quasi dal punto di vista dell’autore, esponendole in quella sua caratteristica forma dall’andamento spesso discorsivo e dialogico, improvvisando persino delle citazioni (o pseudo citazioni testuali), o dando alle sue parole tale aspetto, anche a scapito dell’esattezza non solo filologica, ma anche storica … ne ricostruisce il discorso dando al brano l’aspetto di citazione testuale» (cfr. A. TRAGLIA, Il valore dossografico del De terraemotu di Seneca, in Medioevo e Rinascimento: studi in onore di Bruno Nardi: 2, Firenze 1955, p. 738). 56

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mande retoriche che enfatizzano il discorso (si veda XII, 1.10-12: quid enim producit fruges, arbores uirentes distendit in ramos et erigit in cacumine, nisi uirtus aerea et bonitas ipsius?) e ad altri aspetti caratteristici della prosa di Seneca, come l’andamento dialogico negli scambi di domande e risposte, che spesso l’Aretino ha conservato pressoché intatto nel Fons (XIII, 15.29-31 Ad hec, quare non quotidie cadit, ex quo semper ardet? Sed tu dices: ‘Nonne aliqui ignes ut fulmina de quibus agimus in inferiora cadunt?’; XIII, 24.1-4 Sed forsitan dicet quisquam: ‘Cum omne fulmen igneum sit et ignis natura semper ascendat, unde est quod fulmina terram petunt?’ Respondeo quod …), probabilmente apprezzandone il valore didattico, anche se esso poteva andare a discapito della linearità ed essenzialità del testo enciclopedico. Talvolta invece si notano delle variazioni nel lessico e nella sintassi, come se Domenico volesse evitare il rischio di una troppo pedissequa imitazione di un modello tanto caro, cercando di fare proprio il testo attraverso un’esposizione più personale, indubbiamente più semplice ed immediata, che rispettasse quell’esigenza fondamentale di un’opera enciclopedica, che deve essere di comprensione agevole e veloce. Da un punto di vista strettamente testuale non si può dire con esattezza quali fossero le caratteristiche della copia delle Naturales quaestiones appartenuta a Domenico. L’analisi delle lezioni seguite da Domenico, e riportate nel commento, induce a formulare l’ipotesi che il suo modello fosse sì una copia appartenente alla famiglia δ, ma contaminata dalla presenza di lezioni e varianti provenienti dalle altre famiglie del ramo Ψ. Numerosi sono gli esempi: tra questi si veda57 XII.3, 2 maxima δW2, ma maxime ζθPU, fort. W1 (che è la lezione comunemente accettata nelle edizioni di riferimento: cfr. Sen. nat. II, 11.1); XII.3, 12 terris ζθπ (cfr. Sen. nat. II, 11.2), ma terrarum δ; XIII.5, 24-25 suum fulgorem δ, ma fulgorem suum Zθπ (cfr. Sen. nat. I, 1.11); XIII.15, 8-9 iaculatio cum ictu: ista iaculatio cum ictu δ (fort. ex coniectura) W2 (cfr. Sen. nat. II, 12.1), om. ζθπ; XIII.15, 46 uirentium F (cfr. Sen. nat. II, 12.5): urentium ζδHπ; XIII.26, 13 olei δW2 (cfr. Sen. nat. II, 53.2): olet ζθPUW1; 26, 39 illa δFPUW2 (cfr. Sen. nat. II, 52.1): illam ζH W1; XIII.29, 3 nimborum ζθπ (cfr. Sen. nat. VI, 1.6): imbrium δ; 29, 4 propellunt ZθPW (cfr. Sen. nat. VI, 1.6): repellunt δ; XII.45, 17 satorum atque arborum Zθπ (cfr. Sen. nat. V, 18.13) segetum arborumque δ; 45, 18 gentium ZθρUW1 (cfr. Sen. nat. V, 18.14): ciuium δ; 45, 19 bonos δυ, ma bono Zθρ (cfr. Sen. nat. V, 18.14); XIII.52, 7 mala magna di ZBcV (cfr. Sen. nat. VI, 29.2), magna mala AB1θρU. La presenza delle Naturales quaestiones nell’enciclopedia di Domenico 57

Precede la lezione adottata da Domenico.

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costituisce un’ulteriore conferma al fatto che tra gli umanisti circolassero numerose copie dell’opera. Oltre a questo il Fons dimostra che in alcuni casi esse non rimasero inerti sugli scaffali delle biblioteche dell’epoca, ma vennero sfruttate come testo di scienza, sebbene la tendenza più diffusa fosse quella di preferire altri testi. Di conseguenza è necessario rivalutare il ruolo che Seneca ha svolto nella trasmissione del pensiero aristotelico al mondo degli umanisti, e più in generale, il ruolo della sua opera nel panorama delle opere di scienza anche rispetto alla Naturalis historia di Plinio, che molto a lungo è stata considerata quasi l’unico testo di riferimento per la scienza naturale ancora fino al XVI secolo, tralasciando completamente Seneca58.

58

Cfr. I. DÜRING, The Impact of Aristotle’s Scientific Ideas in the Middle Ages and at the Beginning of the Scientific Revolution, in Archiv für Geschichte der Philosophie 50 (1968), pp. 115-33,

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE1 BARATTA = M. BARATTA, I terremoti d’Italia, Torino 1901. BLACK = Studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento. I documenti d’archivio fino al 1530, a cura di R. BLACK, Arezzo 1996. BOSCHI = Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1980, a cura di E. BOSCHI…et al., Roma 1995. GUIDOBONI = Catalogue of earthquakes and tsunamis in the Mediterranean area from the 11th to the 15th century, edited by E. GUIDOBONI – A. COMASTRI, Roma 2005. HANKEY 1957 = A. T. HANKEY, The library of Domenico di Bandino, in Rinascimento 8 (1957), pp. 177-207. HANKEY 19572 = A. T. HANKEY, Domenico di Bandino of Arezzo, in Italian Studies 12 (1957), pp. 110-128. HANKEY 1960 = A. T. HANKEY, The successive revisions and surviving codices of the “Fons memorabilium uniuersi” of Domenico di Bandino, in Rinascimento 11 (1960), pp. 3-49. LEXICON = Lexicon Latinitatis Nederlandicae Medii Aeui, conditum a J. W. FUCHS, ed. O. WEIJERS – M. GUMBERT-HEPP, Leiden 1977-2004. LIMC = Lexicon iconographicum mythologiae classicae, 8 voll., Zürich – München 1981-1999. NOVATI = Epistolario di Coluccio Salutati, a cura di F. Novati, 4 voll., Roma 18911911 (Fonti per la storia d’Italia pubblicate dall’Istituto storico italiano, 15-18). RE = Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart 1893-. SABBADINI 1905 = R. SABBADINI, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, I, Firenze 1905 (ristampa anastatica 1967). SABBADINI 1914 = R. SABBADINI, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV. Nuove ricerche, II, Firenze 1914 (ristampa anastatica 1967). SETAIOLI = A. SETAIOLI, Seneca e i Greci. Citazioni e traduzioni nelle opere filosofiche, Bologna 1988. SOLERTI = A. SOLERTI, Le vite di Dante, del Petrarca e del Boccaccio scritte fino al secolo decimosettimo, Milano 1904. STELLA = 750 anni degli statuti universitari aretini. Atti del Convegno internazionale su origini, maestri, discipline e ruolo culturale dello “Studium” di Arezzo. Arezzo 16-18 febbraio 2005, a cura di F. STELLA, Firenze 2006. STOTZ = P. STOTZ, Handbuch zur lateinischen Sprache des Mittelalters, 5 voll., München 2002-2004. THORNDIKE = L. THORNDIKE, A History of Magic and Sperimental Sciences, 8 voll., New York 1929-1958.

1

Si danno in abbreviazione le opere citate per più di due volte.

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EDIZIONI DI RIFERIMENTO

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EDIZIONI DI RIFERIMENTO Alanus ab Insulis ALANE DE LILLE, Anticlaudianus, par R. BOSSUAT, Paris 1955 (Textes philosophiques du Moyen Age, 1). Albertus Magnus ALBERTI MAGNI De anima, ed. C. STROICK, Monasterii Westfalorum 1968 (Alberti Magni Opera omnia, 7.1); ALBERTI MAGNI De caelo et mundo, ed. P. HOSSFELD, Monasterii Westfalorum 1971 (Alberti Magni Opera omnia, 5.1); ALBERTI MAGNI De causis et processu uniuersitatis a prima causa, ed. W. FAUSER SJ, Monasterii Westfalorum 1993 (Alberti Magni Opera omnia, 17.2); ALBERTI MAGNI De causis proprietatum elementorum, ed. P. HOSSFELD, Monasterii Westfalorum 1980 (Alberti Magni Opera omnia, 5.2); ALBERTI MAGNI Meteora, ed. P. HOSSFELD, Monasterii Westfalorum 2003 (Alberti Magni Opera omnia, 6.1); ALBERTI MAGNI De uegetabilibus, ed. C. JESSEN, Frankfurt 1982 (Alberti Magni Opera omnia, 8). Alhazenus ALHAZENI ARABIS Opticae Thesaurus libri septem, nunc primum editi. Eiusdem liber De crepusculis et nubium ascensionibus. Item Vitellonis Thuringopoloni libri X. Omnes instaurati, figuris illustrati et aucti, adiectis etiam in Alhazenum commentariis a Federico Risnero. Basileae 1572. Ambrosius SANCTI AMBROSII Episcopi Mediolanensis Exameron, recensuit C. SCHENKL; introduzione, traduzione, note e indici di G. BANTERLE, Milano – Roma 1979. Aristoteles ARISTOTE, De l’âme, texte établi par A. JANNONE; traduction et notes par E. BARBOTIN, Paris 1966; ARISTOTELIS De mundo: translationes Bartholomei et Nicolai, ed. W. L. LORIMER, reuisit L. MINIO-PALUELLO, Bruges – Paris 1965 (Aristoteles Latinus, 11.1-2); ARISTOTE, Du ciel, par P. MORAUX, Paris 1965; ARISTOTELIS Metaphysica lib. I-X, XII-XIV, ed. GUNDRUN VUILLEMIN-DIEM, Leiden 1976 (Aristoteles Latinus, 25.2); ARISTOTE, Météorologiques, par P. LOUIS, 2 voll., Paris 1982; ARISTOTELIS Meteorologica: translatio Guillelmi de Morbeka, ed. G. VUILLEMIN-DIEM, 2 voll., Leiden 2008 (Aristoteles Latinus 10.2). Augustinus AVRELII AVGVSTINI Contra Faustum, ed. U. PIZZANI, L. ALICI, A. DI PILLA, Roma 2004; AVRELII AVGVSTINI De ciuitate Dei libri XXII, ed. B. DOMBART, A. KALB, 2 voll., Stutgardiae et Lipsiae 1993; AVRELII AVGVSTINI De quantitate animae, ed. W. HÖRMANN, Vindobonae 1986 (Corpus Scriptorum ecclesiasticorum Latinorum, 89).

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Auicenna AVICENNAE Liber Canonis medicinae, a M. Gerardo Cremonensi ex Arabico in Latinum translatus, cum Andrae Alpagi Bellunensis castigationibus ex complurium codicum Arabicorum collatione in margine positis, Venetiis 1544. Beda BEDAE De natura rerum, ed. CH. W. JONES – FR. LIPP, Turnholti 1975 (Corpus Christianorum, series latina, 123a). Bonactus GVIDONIS BONACTI FOROLIVIENSIS De astronomia tractatus X. universum quod ad iudiciariam rationem natiuitatum, aeris, tempestatum, attinet comprehendentes, Basilaeae [Jakob Kündig] 1550. Cato M. PORCI CATONIS De agri cultura liber, ed. P. CUGUSI, Torino 2001. Cicero M. TVLLII CICERONIS De diuinatione, ed. R. GIOMINI, Stutgardiae et Lipsiae 1975; M. TVLLII CICERONIS De natura deorum, ed. W. AX, Stutgardiae et Lipsiae 1980; M. TVLLII CICERONIS Tusculanae Disputationes, ed. M. POHLENZ, Stutgardiae et Lipsiae 1982. Colucius Salutati COLVCII SALVTATI De laboribus Herculis, ed. B. L. ULLMAN, 2 voll., Turici 1951. Comestor PETRI COMESTORIS Scolastica Historia. Liber Genesis, ed. A. SYLWAN, Turnhout 2005 (Corpus Christianorum. Continuatio Mediaeualis, 191). Eugenius Toletanus EVGENII TOLETANI EPISCOPI Opera omnia, ed. P. FARMHOUSE ALBERTO, Turnhout 2005 (Corpus Christianorum. Series latina, 114). Eutropius EVTROPII Breuiarum ab urbe condita, ed. C. SANTINI, Stutgardiae et Lipsiae 1992. Gellius A. GELLI Noctium Atticarum libri XX, ed. C. HOSIUS, Stutgardiae 1959. Geruasius Tilleberiensis GERUASE OF TILURY, Otia imperialia: recreation for an emperor, ed. S. E. BANKS – J. W. BINNS, Oxford 2002. Gregorius Magnus GREGORIO MAGNO, Storie di santi e diavoli (Dialoghi), a cura di S. PRICOCO – M. SIMONETTI, 2 voll., Milano 2005-2006. Iacopus de Varagine IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea (con le miniature del codice Ambrosiano C 240 inf.), testo critico riveduto e commentato a cura di G. P. MAGGIONI ; traduzione ita-

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liana coordinata da F. STELLA, 2 voll., Firenze – Milano 2007 (Edizione nazionale dei testi mediolatini, 20). Ioannes Damascenus IOANNIS DAMASCENI Expositio accurata fidei orthodoxae, opera et studio p. MICHAELIS LEQUIEN, Lutetiae Parisiorum 1864 (Patrologiae cursus completus. Series Graeca, 94). Ioannes Sarisberiensis IOANNIS SARISBERIENSIS Policraticus I-IV, ed. K. S. B. KEATS-ROHAN, Turnholti 1993 (Corpus Christianorum. Continuatio Mediaeualis, 118). Isaccus Iudaeus ISACCI IVDAEI, Salomonis Arabiae adoptiuii filii, De diaetis uniuersalibus et particularibus, libri 2, (…) ex Arabica lingua in Latinam conuersus, nunc uero opera D. Ioannis Posthij Germershemij sedulo castigatus & in lucem editus. Basileae: ex officina Sixti Henricpetri, 1570 mense Nouembri. Isidorus Hispalensis ISIDORI HISPALENSIS EPISCOPI Etymologiarum siue Originum libri 20, ed. W. M. LINDSAY, Oxonii 1911. Lactantius Placidus LACTANTII PLACIDI In Statii Thebaida commentum; Anonymi In Statii Achilleida commentum; Fulgentii ut fingitur Planciadis super Thebaiden commentarioluum, ed. R. DALE SWEENEY, Stutgardiae et Lipsiae 1997. Titus Liuius TITI LIVII Ab urbe condita libri, ed. W. WEISSENBORN – M. MUELLER, Lipsiae 19261930. Lucanus M. ANNAEI LVCANI Bellum ciuile, ed. D. R. SHACKLETON BAILEY, Stutgardiae et Lipsiae 1997. Lucretius T. LVCRETI CARI De rerum natura libri sex, ed. A. BRIEGER, Lipsiae 1914. Macrobius MACROBII Commentarii in Somnium Scipionis, ed. I. WILLIS, 2 voll., Stutgardiae et Lipsiae 1994. Martianus Capella Martianus Capella, ed. J. WILLIS, Leipzig 1983. Martinus Polonus MARTINI OPPAVIENSIS Chronicon pontificum et imperatorum, ed. L. WEILAND, Hannouerae 1872, pp. 377-475 (Monumenta Germaniae Historica, 22). Orosius OROSII Historiae contra paganos, ed. M. P. ARNAUD-LINDET, Paris 1990.

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Ouidius P. OVIDII NASONIS Fasti, ed. E. H. ALTON – D. E. W. WORMELL – E. COURTNEY, Stutgardiae et Lipsiae 1997; P. OVIDII NASONIS Metamorphoses, ed. W. S. ANDERSON, Leipzig 1982. Plinius Maior C. PLINII SECVNDI Naturalis Historiae libri XXXVII, ed. C. MAYHOFF, Stutgardiae 1967. Rabanus Maurus RABANI MAVRI De uniuerso libri XXII, ed. J. P. MIGNE, Lutetiae Parisiorum 1864 (Patrologiae cursus completus. Serie Latina, 111). Restoro d’Arezzo RESTORO D’AREZZO, La composizione del mondo colle sue cascioni, a cura di A. Morino, Firenze 1976. Richardus a Sancto Victore RICHARD DE SAINT-VICTOR, Liber exceptionum : texte critique avec introduction, notes et table publié par J. CHATILLON, Paris 1958 (Textes philosophiques du Moyen Age, 5). Seneca L. ANNAEI SENECAE Naturalium quaestionum libros, ed. H. M. HINE, Lipsiae 1996; SENECA, Ricerche sulla natura, a cura di P. PARRONI, Milano 2002; L. ANNAEI SENECAE Tragoediae, ed. CHAUMARTIN, Paris 1999. Seruius SERVII GRAMMATICI qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, ed. G. THILO – H. HAGEN, 3 voll., Hildesheim 1881-1902. Solinus C. IVLII SOLINI Collectanea rerum memorabilium, rec. Th. Mommsen, Berolini 1958. Suetonius C. SVETONI TRANQUILLI De uita Caesarum libri VIII, recensuit M. IHM, Lipsiae 1933. Vgutio UGVCCIONE DA PISA, Deriuationes, ed. E. CECCHINI … [et. al.], Firenze 2004. Vegetius P. FLAVII VEGETII RENATI Epitoma rei militaris, ed. A. ÖNNERFORS, Stutgardiae et Lipsiae 1995. Vergilius P. VERGILII MARONIS Opera, rec. R. A. B. MYNORS, Oxford 1969.

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CRITERI DI EDIZIONE

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CRITERI DI EDIZIONE La presente edizione dei libri XII e XIII del Fons memorabilum uniuersi di Domenico di Bandino, i più ricchi di citazioni delle Naturales quaestiones, si fonda sugli undici testimoni attualmente noti che tramandano la III parte della voluminosa enciclopedia1. Essi si posso dividere in tre gruppi2: GRUPPO I Re Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1140, carta e pergamena, sec. XV, ff. I + 566 (erroneamente numerate 557) + II, mm 402 × 275; composto da fascicoli di 12 carte ciascuno, eccetto che gli ultimi due in cui si contano 14 carte; le iniziali di libro sono in blu e rosso, solo in rosso le rubriche e le iniziali minori; due colonne, scrittura corsiva minuscola appartenente a due mani diverse, una delle quali è quella del possessore, Conzo de Zuola, che si riconosce nell’annotazione a f. 312r. Il codice contiene le parti I-IV. Spazi bianchi sono stati lasciati per le illustrazioni del De celo e per il cap. 5 del De prouintiis; il libro De stellis erraticis si interrompe bruscamente al cap. 126 e anche nell’indice non c’è traccia dei mancanti capp. 127-128. Dopo f. 183 i seguenti sono stati erroneamente numerati a partire da 173 e il numero 211 è stato omesso; infine i ff. 202 e 199 andrebbero scambiati tra loro. E0 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 170, cartaceo, sec. XV (prima del 1442, quando fu annoverato nel catalogo della biblioteca di Gemignano de’ Inghirami)3, ff. I + 290, mm 480 × 280; quinioni; due colonne; sono riconoscibili quattro mani diverse di provenienza italiana e tedesca. Il codice contiene le parti I-IV, fino alla penultima pagina del De ciuitatibus; esso reca in margine gli interventi di un’altra mano che spesso ha corretto il testo. Manca degli ultimi capitoli del libro De stellis erraticis; sono caduti due fogli, il primo dopo f. 80 (De celo), il secondo dopo f. 196 (De piscibus). M Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 1983, cartaceo palinsesto, Italia, sec. XV m., ff. 224 + XI, mm 420 × 3004; due colonne; sono distinguibili 1 Per una più dettagliata descrizione di questi e degli altri testimoni del testo si veda HANKEY 1960, pp. 27-48. 2 Tutti i codici vaticani sono stati esaminati autopticamente, gli altri sono stati collazionati attraverso riproduzioni fotografiche e microfilms. 3 Cfr. A. M. BANDINI, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana, I, Firenze 1791, coll. 480-83. 4 Cfr. J. DOMINGUEZ-BORDONA, Manuscritos con pinturas, notas para un inventario de los

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due mani, una per il testo, l’altra per il proemio e l’indice e per una annotazione marginale al De inferno, f. 88: de arte Magica. Contiene le parti I-III. Il libro De celo è illustrato. GRUPPO II C Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi G.VIII. 234, cartaceo, Italia, sec. XV (ante 1458: una delle due mani riconoscibili sui margini del ms. 235, che contiene la parte IV è quella di Gabriele Capodilista, morto nel 1458); ff. 245 + I, mm 405 × 273; la scrittura, attribuibile ad un’unica mano, è disposta su due colonne, le iniziali di libro sono dorate, rosse e blu tutte le altre. A f. 245r-v si legge la nota del copista: ne quemquam offendat nimia longitudo. Amen. Qui scripsit scribat semper, cum domino uiuat / Viuat in celis Iohannes, in nomine felix. Il libro De celo presenta ampi spazi bianchi destinati ad accogliere le immagini dei segni zodiacali. Contiene le parti I-III. È probabile che sia da ravvisare la mano di Lorenzo in quella che ha vergato le intestazioni lungo il margine superiore delle carte. Ro Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 1155, cartaceo, Italia, sec. XV; ff. V + 233; mm 430 × 290. Due colonne, scritto da due mani; è possibile riconoscere nelle annotazioni marginale la mano del Cardinale Capranica, a cui il codice appartenne; tutte le iniziali di libro sono dorate, le iniziali minori sono rosse e blu. Parti I-III. F. 12v contiene il disegno del Fons con i titoli dei diversi libri, forse realizzato da Lorenzo, comunque dalla stessa mano che poi ripete il titolo del libro su ogni carta. Spazi bianchi per i disegni del De celo. Il testo appartiene al II gruppo, ma è caratterizzato dalla presenza di molte contaminazioni provenienti dal gruppo III. P Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 922, cartaceo, Italia, sec. XV; ff. 241 + I; mm 430 × 285; scritto da almeno quattro mani, di cui due tedesche e due italiane. La mano del figlio di Domenico, Lorenzo, sembra riconoscibile nelle intestazioni di ogni carta, nell’indice, nel proemio Vt euitaret ed in alcune correzioni nella Parte I. Decorazioni molto simili agli altri codici, con iniziali di libro dorate. Parti I-III. Piccoli spazi lasciati bianchi per illustrazioni. V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2028, cartaceo, Italia, sec. XV; ff. I + 519 + I; mm 436 × 281; quinioni; scrittura

conservados en collectiones públicas y particulares de España, Madrid 1933, I, p. 265.

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umanistica appartenente a diverse mani; contiene le parti I-IV. Privo di decorazione, gli spazi destinati alle iniziali sono lasciati in bianco5. L London, Lambeth Palace Library, 35, cartaceo, Italia, sec. XV (a. 1450); ff. 312; mm 403 × 260; scrittura umanistica di due mani differenti, una tedesca e una italiana. Privo di decorazioni. Fu acquistato dal Cardinale Capranica. Contiene le parti I-IV6. B Oxford, Balliol College, 238B, cartaceo, sec. XV (a. 1448), ff. II + 194; mm 357 × 246; scrittura umanistica di mano tedesca, quella di T. Werken. Contiene le parti II e III. Fu copiato per conto di William Grey, vescovo di Ely (fa parte di un gruppo di cinque codici, di dimensioni uniformi copiati tra il 1445 e il 1448 a Colonia e a Roma)7. GRUPPO III8 T Torino, Biblioteca Nazionale, D. I. 8 (389), membranaceo, sec. XV (sul foglio di guardia è segnato l’anno 1443; ff. 207, mm 407 × 275; fascicoli di varia lunghezza; due colonne; scrittura umanistica; rubriche in rosso, solo alcune iniziali sono in blu o rosso9. Pa Pavia, Biblioteca Universitaria, Aldini 504, cartaceo composito, Italia, sec. XV; ff. 85 + 99; scrittura corsiva attribuibile a due diverse mani. Contiene una selezione di testi tratti dal Fons, tra cui i libri De elemento aeris e De impressionibus aeris (ff. 62r-78v)10. Il testo è accompagnato da un doppio apparato, uno per le fonti, l’altro, positivo, per le varianti: dal primo sono stati esclusi i riferimenti alle 5 Cfr. E. NOGARA, Catalogus Bibliothecae Apostolicae Vaticanae. Codices Vaticani Latini, III, Roma 1912, p. 415. 6 Cfr. M. R. JAMES – C. JENKINS, A descriptive Catalogue of the Manuscripts in Lambeth Palace Library, Cambridge 1930-32, pp. 49-52. 7 Cfr. F. SAXL – H. MEIER, Verzeichnis astrologischer und mythologischer illustrierter Handschriften des lateinischen Mittelalters, III. Handschrifiten in englischen Bibliotheken, London 1953. Su Werken si veda R. A. B. MYNORS, A 15th century scribe, T. Werken, in Transactions of the Cambridge Bibliographical Society 1 (1950), pp. 97-104. 8 Si noti che alcune porzioni di testo sono tramandate solo dai codici appartenenti a questo gruppo, Pa e T, che potrebbero quindi essere testimoni di una versione recentior del testo, rimaneggiato da Domenico nel tempo: si pensi ad esempio a XIII.29, 24-28; 33, 8-16; 34, 16-29; oppure 35, 13-17 (sed pretereo causa breuitate) e altri tagli simili, soprattutto di citazioni poetiche: XIII.54, 4-6; 68, 9 e 73-74; 76, 19-21. 9 Cfr. O. PASINI, Codices manuscripti Bibliothecae Regii Taurinensis Athenaei, Torino 1749, II, p. 30. 10 Cfr. L. DE MARCHI – G. BERTOLANI, Inventario dei Manoscritti della Regia Biblioteca Universitaria di Pavia, Pavia 1894, I, p. 294.

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Quaestiones super libris Meteororum di Nicola Oresme e il Liber introductorius di Michele Scoto, tramandati in forma esclusivamente manoscritta, di cui non è attualmente presente una edizione umanistica o moderna; dal secondo sono state escluse le varianti puramente ortografiche e le lezioni meno significative. Parimenti non si è tenuto conto delle differenze nel trattamento dell’assimilazione delle consonanti (es. eundem e eumdem, septentrio e septemtrio, obfuit e offuit), In generale, nella ricostruzione del testo è stato seguito un criterio tendenzialmente conservativo. Per questo sono stati evitati anche gli interventi di tipo ortografico al fine di conservare la patina originale del testo, ad esempio nell’assenza di dittonghi o nella presenza di grafie del tipo autumpnus, hyems, imo, phylosophus, yris, humida. Sono state conservate quelle lezioni che dal confronto con le edizioni di riferimento appaiono sicuramente corrotte, nell’impossibilità di poter distinguere con certezza tra palesi errori imputabili ai copisti e varianti trascritte fedelmente dall’autore perché presenti nei codici in suo possesso: in questa casistica rientrano le date, i numeri e alcuni nomi (es. i nomi dei venti atabulus e crageus tramandati come azabulus e cagneus nel cap. 43 del libro XIII). Tra parentesi tonde e in corpo minore sono posti i riferimenti interni agli stessi libri XII e XIII oppure agli altri libri del Fons. In questo secondo caso si è provveduto ad inserire all’interno del commento la trascrizione delle porzioni di testo alle quali l’autore rimanda di volta in volta, così come esse appaiono nel codice E, perché considerato il più completo tra gli altri testimoni noti. Nei punti in cui E presenta qualche lacuna, il testo è stato integrato attraverso la collazione del codice Re, ad esempio nel caso delle citazioni del libro De montibus, di cui E tramanda soltanto i capitoli iniziali e finali11. Le note di commento che accompagnano il testo vogliono chiarire alcuni aspetti sintattici e lessicali del latino medievale, e allo stesso tempo affrontare problemi sia di natura interpretativa che testuale, oltre che fornire informazioni essenziali sui numerosi autori poco noti citati da Domenico e sulle loro opere. Si è scelto di mettere in evidenza le corrispondenze tra il testo del Fons e la tradizione testuale delle Naturales quaestiones, riproducendo le lezioni dell’apparato edito da Piergiorgio Parroni per la Lorenzo Valla12 in tutti 11 Cfr. E f. 242v, dove una nota nel margine inferiore recita: Hic caret liber montium, 1, quin etiam non scripsi quia ce…[non legitur] inueni. 12 La scelta di questa pubblicazione come edizione di riferimento è stata determinata dall’assenza delle lezioni della famiglia δ (a cui sembra appartenere la copia di Domenico: vedi Introduzione, p. 30) nell’edizione teubneriana curata da Hine, perché da lui giudicate erronee in base ad un rigido criterio critico-testuale. Come sottolinea Parroni stesso, le lectio-

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quei casi in cui esso poteva servire a dimostrare la vicinanza del modello a disposizione di Domenico ad uno dei rami della tradizione del testo di Seneca, dando la precedenza alla lezione seguita da Domenico che non sempre coincide con quella accettata. Allo stesso modo, nel caso delle citazioni di altri autori classici viene riprodotto l’apparato dell’edizione di riferimento, ogni qual volta la variante presente nel Fons sia giustificata dalla tradizione del testo in questione. Un elenco di sigla codicum di questi autori è stato premesso al testo, al fine di rendere più agevole la comprensione delle differenze tra il testo compilato da Domenico e le diverse tradizioni testuali. Nel commento è stato riprodotto il testo delle Naturales quaestiones, così come delle altre opere classiche e medievali, quando esse vengono citate senza che Domenico ne faccia esplicita menzione, o in tutti quei casi in cui il testo citato si allontani di molto dall’originale. Inoltre è stato riportato il testo di quelle opere di cui attualmente non sono a disposizione delle edizioni moderne, come nel caso del Canon medicinae di Avicenna (citato secondo l’edizione di Venezia del 1544, curata da Andrea da Belluno), delle Quaestiones super libris Meteororum di Nicola Oresme (secondo il St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, che tra i tanti testimoni dell’opera ne tramanda la versione più completa), del De diaetis uniuersalibus et particularibus di Isacco Iudaeus (secondo l’edizione di Basilea del 1570), e infine quello delle opere originariamente in volgare, i cui passi citati sono stati tradotti da Domenico, come nel caso de La composizione del mondo con le sue cascioni di Restoro d’Arezzo. Per quanto concerne i Mετεωρολογικά di Aristotele si è scelto di prendere come edizione di riferimento quella della traduzione latina di Guglielmo di Moerbecke, di recente pubblicazione, dal momento che Domenico non leggeva l’opera in greco, e di inserire nel commento il testo dei passi citati.

nes singulares di δ non sono del tutto prive di interesse. Si veda P. PARRONI, La nuova edizione teubneriana delle “Naturales quaestiones” di Seneca in Rivista di filologia e di istruzione classica 125 (1997), p. 118.

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SIGLA o c U Ga Va Mc Ric Con Re E0 E1 E2 As Mg Gu M C L B Ro P V T A F Ma Pa

om

c

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 300 (saec. XV in.) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Gadd. reliq. 126 (saec. XIV ex.) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3121 (saec. XV in.) Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, lat. 3379 (a. d. 1429) Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 825 (saec. XV) Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. Sopp. I.IX.2 (saec. XV m.) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1140 (a.d. 1430) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 170 (saec. XV, ante 1442) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 171 (saec. XV) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Aed. 172 (saec. XV) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburn. 1279 (saec. XV) Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliab. IX.127 (saec. XVII) Prato, Raccolta Guasti (?), 32 Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 1983 (saec. XV) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi G. VII. 234-237 (saec. XV, ante 1458) London, Lambeth Palace Library, ms. 35 (a. d. 1450) Oxford, Ballion College, 238 A-E Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 1155-57 (saec. XV) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 922-23 (saec. XV) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2028-29 (saec. XV) Torino, Biblioteca Universitaria, D.I.8 (saec. XV, ante 1443) Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 117 inf. (saec. XV m.) Fermo, Biblioteca comunale, 4 (saec. XV) Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, lat. 3177 (saec. XV) Pavia, Biblioteca Universitaria, Aldini 504 (saec. XV)

m Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 16926 (saec. XV) Paris, Bibliothèque nationale de France, Nuov. Acq. lat. 880 (saec. XV) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Fondo Redi 159 (saec. XV)

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SIGLA

Stemma codicum ‘Naturalium quaestionum’ Senecae13 Ω ?

ζ

Y

Z

R

ψ

L2

α

γ

θ F

(I I 3, 2 – II 53,2)

π H

R (I praef. I-I 3,I; II 53,2 – III praef. I 8; VII I 5,2-32,4)

δ

A

ρ

B

V

P

υ

R

U

W

(III praef. I 8 – VII I 5,2)

o c Z R L2

ζ

A B V R

α

m

o

m

c

Genève, Bibliothèque Publique et Universitaire, lat. 77 (saec. XII med.) El Escorial, Real Biblioteca, O.III.2 (saec. XIII) (I 13.2 – II 53.2) Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. F. 69 (saec. XII2), manus altera consensus ZR Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. O. 55 (saec. XII) Bamberg, Staatsbibliothek, Class. I (M. IV. 16) (saec XII2) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1579 (saec. XIIXII) El Escorial, Real Biblioteca, O.III.2 (saec. XIII) (I praef. 1 – 13.1; II 53.2 – III praef. 18; VII 15.2 – 32.4) consensus ABRV

13 Si riproduce lo stemma ricostruito da Harry M. Hine (ed. Stutgardiae et Lipsiae 1996, p. XIII) e ripreso in seguito da Piergiorgio Parroni (ed. Milano 2002, p. XLVI).

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δ F H

θ

P R

ρ

U W

υ π Ψ

DOMINICI BANDINI FONS MEMORABILIVM VNIVERSI

consensus ABV Oxford, Merton College, 250 (saec. XII) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 8624-I (saec XII2) consensus FH Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 6628 (saec. XII-XII) El Escorial, Real Biblioteca, O.III.2 (saec. XIII) (III praef. 18 – VII 15.2) consensus PR München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 11049 (saec. XV) Venezia, Biblioteca Marciana, Lat. Z. 268 (1548) (saec. XIV) consensus UW consensus ρυ uel Pυ consensus αθπ uel δθπ uel θπ consensus ζΨ uel ZΨ

o c A E

C

m

c

Milano, Biblioteca Ambrosiana, E 146 sup. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, plut. 37.13

o c H G U V P Z F L D A2

o

c

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 869 (saec. X) Bruxelles, Bibliothèque Royale, 5330 (saec. X) Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. XIXF.63 (saec. X) Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. XIXQ.51 (saec. X) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7502 (saec. X) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 10314 (saec. IX) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3284 (saec. XI) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Crucis plut. XXIV, 3 (saec. XI) Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, fol. 35 (saec. XIII) correctiones codicis A (Ashburnhamensis, Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. Nouv. Acqu. 1626), quae in cod. Bernensi 45 inueniuntur commentum uel, si scholion discrepat, lemma commenti saec. X

o c M R b r

γ ω

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. XXXIX.I (saec. V) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3867 (saec. V) Bern, Burgerbibliothek 165 (saec. IX) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7926 Guelferbytanus Gudianus lat. 2°.70 consensus horum uel omnium uel quotquot non separatim nominantur

o c A a E F

mo

o o

consensus librorum manu scriptorum omnium London, British Library, King’s 26 (saec. XI) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1669 (saec. XII in.) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, San Marco 223 (saec. XI ex. – XII in.)

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SIGLA

L M N P U v W

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 36.12 (saec. XI ex. – XII in) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, San Marco 225 (saec. XI ex.) Napoli, Biblioteca Nazionale IV.F.3, (saec. XI ex. – XII in.) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 8001 (saec. XII) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 341 (saec. XI ex. – XII in.) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1593 (saec. XII) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5859 (a.D. 1275)

o c A G M U

ζ ς ω

45

o

m

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1709 (saec. X) Bruxelles, Bibliothèque Royale, 5369-5373 (saec. XI) Oxford, Bodleian Library, Auct. F 4.25 (saec. XV) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3262 (saec. XI) consensus codicum GM codices uulgares singuli uel aliquot codices uulgares omnes uel plerique

o c A D F E R T a d e f m p y

o v z B S

Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Voss. lat. IV (saec. IX ex.) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3861 (saec. XI) Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Lipsii VII (saec. XI-XII) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 6795 (saec. XI) Firenze, Biblioteca Riccardiana, 488 (saec. XI) codex Toletanus (saec. XIII) a Pintiano quondam diligenter excussus et adhibitus est Wien, Österreich Nationalbibliothek, lat. 234 (saec. XII-XIII) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 6797 (saec. XIII) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 6796 A (saec. XIII) codex Chiffletianus, a Dalecampio in editione passim ita adhibitus, ut insigniores eius lectiones margini adscriberet, postea oblitteratus. excerpta Codex Polliganus Latinus 11301 Monacensis (a.D. 1459) excerpta astronomica, physica, geographica e libris II.III.IV.VI, quae ex duobus codicibus, Voss. lat. IV, 69 e Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 4860. excerpta quae Robertus Crickladensis saeculo XII in usum regis Henrici II composuit ex omnibus Naturalis Historiae libris ueteres editores uel lectio uulgata inde a uetustissimis editionibus codex a Dalecampio excerptus et in editionis margine sigla M uel Man. notatus (cfr. Dalecampii editio Lugdunensis (1587) 1606 Hermolai Barbari castigationes Plinianae, Romae 1492-1493 Silligi editionis vol. I, Hamburgi et Gothae 1851

o c

β

consensus codicum IQX

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C I N Q X

DOMINICI BANDINI FONS MEMORABILIVM VNIVERSI

Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 6703 (saec. XIV) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 6492 (saec. XV) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 933 (saec. XIII) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 13959 (saec. XV ex.) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 993 (saec. XIVXV)

o c C I K L

Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 8298 (saec. XIII) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 11345 (a. D. 1455) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 15086 (saec. XII-XIV) Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 18568 (saec. XIII)

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Dominici Bandini FONS MEMORABILIVM VNIVERSI LIBER DVODECIMVS DE ELEMENTO AERIS 1. Malicia et bonitas aeris. Post ignem salutifer aer ueniat nostrosque sinus intret gratissimus hospes. Et, ni fallor, dicitur ab ‘a’, quod est ‘sine’, et ‘her’, quod est ‘lis’, quasi ‘sine lite’, quia cedat facile ferienti, uel dicitur per contrarium quia omnis uentorum rabies et uis fulminum in aere sit. Hic inter celum terramque medius uim siderum in terrena transfundit, ex quo omnis inconstantia tumultusque est, sed in ortu solis et occasu frequentius alteratur; idem uehementer concitatus arbusta siluasque conuellit, edificia frangit, interdum saxa maxima in minimos lapillos soluit, rupes, montes et scopulos precipitanter euertit. Nec tantum malitia sed etiam immensa bonitas inest aeri: quid enim producit fruges, arbores uirentes distendit in ramos et erigit in cacumine, nisi uirtus aerea et bonitas ipsius? Ad hec tribus seruit sensibus: nam per aerem uidemus, audimus et odoramus, quin etiam scribit Auicenna in libro I: «Cum aer temperatus est et clarus nec mixtus cum substantia extranea complexioni spiritus contraria sanitatem efficit et conseruat. Contrarius uero contrarium operatur». Et subdit ille: «Aer est bone subtantie cui non admiscetur ex uaporibus neque ex fumis res extranea et qui est discopertus celo nec est copertus intra parietes et tecta; sed si in aere accideret putrefactio, tunc discopertus magis eam susciperet quam constrictus et occultatus. Vitetur ergo semper aer cum quo miscentur uapores lacuum et stagnorum uel paludum et ubi oriuntur caules et arbores odoris putridi» (Require libro De edificiis memoratu dignis, capitulo 1). Et iterum subdit: «Aer calidus aperit et dissoluit.

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1, 1-2. Ou. met. VII, 813-14 (ueniat – hospes) 2-5. Vgut. deriu. A 17, 1 (dicitur – sit) 5-11. Sen. nat. II, 6.1 e 4-6 (Hic – cacumine) 13-15. Auic. Canon I (2), 2, 2 16-21. Auic. Canon I (2), 2, 5 22-31. Auic. Canon I (2), 2, 6. 1, 2. et ni fallor (et in fallor BMC) E post corr., ReLRoT: aer ni fallor Pa et ibi fallor PV 3. et heris quod est lis scripsi (cfr. Vgut. deriu. A 17, 1): eter quod est lis Pa et herlis EReBMCRoP ether (eter L) lis LVT 6. tumultusque BCLVRoPPaT: tumultus que EM tumultus qui Re 7. concitatus Pa (cfr. Sen. nat. II, 6.4): concitus EReBMCLVRoPT | conuellit EReBMCVRoPPaT: euellit alias conuellit L 11. distendit EPCRePa: discendit (descendit B) MVRoT descedit L 12. ipsius RoCTPa: impius EReBMVP, om. L 16. admiscetur EReBMCLVRoPT: aliud miscetur Pa 18. tunc EReBMCLVRoP: etiam PaT 19. susciperet EReBMCLVRoPa (suscipet T): acciperet P | quam LPa: quod EReBMCVRoPT

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XII.1,23-2,18

Et quamquam eius caliditas pauca fuerit, rubificat tamen colorem quia sanguinem ad exteriora trahit, at si multa fuerit, colorem citrinum efficit, facit multum sudare, minuit urinam, debilitat digestionem et causat sitim. Frigidus uero aer constringit, digestionem fortiorem reddit et facit urinam multam, quia constringit humores ideoque in sudorem minimum dissoluuntur, minuit egestionem quia uie clause non permittunt stercus descendere, quapropter eius aquositas in urinam resoluitur. Aer uero humidus cutem lenit humectans corpus; aer siccus cutem desiccat et denigrat corpus, sed aer turbatus tristificat animam et commiscet humores». 2. Quid aer facile alteratur; eius tercia diuisio cum qualitatibus. Meat aer a concauo orbis ignis usque ad terram fusus, non tamen ubique talis, quia mutatur a proximis; huius pars summa, prout scribit Phylosophus I Metheororum, siccissima ac tenuissima est cum sit ignibus eternis proxima, dicente Seneca III libro De ira et Tullio I De questionibus Tuscolanis. Aeris pars superior ac propinqua sideribus nec in nubem cogitur nec uersatur in turbinem, sed omni tumultu caret; at pars yma uicina terris densa atque caliginosa, calida et humida tonat, fulminat et coruscat quia terrenas exalationes recipit, de quo Lucanus libro II dixit: xii.1,23-2,18 «Fulminibus propior terre succenditur aer, imaque telluris uentos tractusque corruscos flammarum accipiunt; nubes excedit Olimpus. Lege deum minimas rerum discordia turbat, pacem summa tenent». Media autem pars frigidior est extremis: nam pars superior — prout diximus paulo supra — sentit calorem ignis et siderum uicinorum; inferior autem tepet primo terrarum halitu, qui multum calidi secum affert, secundo reuerberatione radiorum solarium, qui, quoad possunt redeuntes, 2, 1-3. Sen. nat. II, 10.1 (Meat – proximis) 3-4. recte uero Sen. nat. II, 10.2; Cic. Tuscul. I, 4243 (pars – proxima) 7-9. Sen. nat. II, 10.2 (pars – recipit) 10-14. Luc. II, 269-73 15-19. Sen. nat. II, 10. 3 (Media – fouent) 23. colorem PaT (cfr. Auic. Canon Medicinae, I (2), 2, cap. 6: tunc rubificat colorem): arborem cett. 24. at BMCLRoPT: ac EReVPa | colorem citrinum PPaT: c. curinum EB, dub. M c. curnium CV c. curuium RoRe calorem carnium L 28. uie EReBMCLPPaT: ille VRo 30. humectans EReBMCLVRoPT: humectat Pa 31. humores EReBMCLVPRo: humorem Pa humore T 2, 2. orbis: an orbe? 4. ac EReMCLVRoP: et BPPaT | ignibus eternis EReBMCLVRoP: igni eternis T igni ethereo Pa 6. propinqua sideribus EReBMCLVRoP: sideribus propinqua PaT 7. at EBMCRoPaT: ac ReLVP 10. propior L (cfr. Luc. II, 269): proprior EReBMCVRoP proprie PaT | succenditur (cfr. Luc. II, 269) BCLVPaT: succendit EReMRoP 11. corruscos: sic codd. Ω 15. prout EReBMCLVRoP: ut PaT 17. halitu E post corr., ReMCLVPaT: habitu BRoP 18. quoad possunt scripsi: quo adpossunt EReBMCLRoP: que dico adpossunt V per quod ad post PaT

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XII.2,19-3,12

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benignius aerem fouent. Media autem pars ab his semota in frigore eterno manet, cum hec pars, prout scribit Seneca II De questionibus naturalibus et Restaurus II libro De causis essentie mundi, frigida sit natura (Require libro elementorum in generali, capitulo 4); ob quod contendunt quidam in hac intemperie medii intesticii tamquam in penoso carcere demones habitare (Require libro De inferno, capitulo 8). Sed mirabitur forsan quisquam quomodo medium inter duo calida frigidissimum esse possit, quod possem philosophorum sermonibus aperire, nisi aqua, que in hoc medio intesticio congelatur interdum (sicut patet de grandine) nobis fidem faceret manifestam quod regio hec frigoribus inhorrescat. Propterea quis ignorat hanc partem ita subtilem esse quod in ea nil densitatis radii solares inueniant cui possint teporem inducere adherendo, quod in aliis partibus — seu mauis dicere intesticiis — non contingat? xii.2,19-3,12 3. De proprietatibus inferioris intersticii. Aer sic diuisus constat ex maxima sui parte uarius et, quia de inpressionibus aeris loquimur que in inferiori generantur parte, ideo noueris quod ipsa grossa, turbulenta, terrenisque uaporibus plena, inconstans et mutabilis est nature terrestris et aquee. Nam mota uentos facit, uehementius concitata tonitrua et corruscationes inducit, contracta nubila gignit, conspissatas pluuias, gelata niues, turbulentius densata grandines introducit. Serenitate uero tum ipse aer caret, quas quidem alterationes et mutabilitates omnes fieri cursu siderum phylosophi profitentur, ex quibus soli plurimum imputes: illum enim annus sequitur, ad illius flexum hyemes estatesque uertuntur. Sunt et alie stelle multe, quarum ortus et occasus modo frigora, modo ymbres et quandoque alias iniurias terris mouent, prout dixi pluries libro celi et libro stellarum fixarum et libro stellarum erraticarum.

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19-21. Sen. nat. II, 10.4; Rest. La composizione II, 7.1.4 (Media – manet; frigida – natura) 24-31. uide Rest. La composizione II, 7.1.4-7 3, 1-4. Sen. nat. II, 11.1 (Aer – uarius; inconstans et mutabilis) 5-7. Vgut. deriu. A 17, 1 (mota – introducit) 8-12. Sen. nat. II, 11.2 (fieri – mouent) 20. hec ReMCLRoPaT: hic dub.E,VBP 22. contendunt EReBMCLVPPaT: concedunt Ro 23. intemperie EReBMCLRoPPaT: temperie V | intesticii emendaui: intesticii (uide etiam l. 27, 31) 24. sed mirabitur ReBMCVLRoP: sed mirabiliter E sed mirabatur T et admirabitur Pa 27. congelatur EReBMCLVPPa: congelatum RoT 28. faceret EReBMLPaT, dub. Ro: facere V facent CP 30. teporem EReBMCLVRoP: temperiem PaT 3, 3. in inferiori CLVPa: inferiori EReMT inferiora BRo | noueris PaT: moueris dub.E, BMCLVRoP moneris Re 4. nature EReBMCLVRoP: non PaT 5. aquee EReBMCLVP: aque RoPaT 6. contracta EReMCVPPaT: contincta BLRo | conctracta nubila gignit om. Pa 7. serenitate PaT: serenitatem EReBMCLVPRo 7-8. tum … caret scripsi: cum … raret 10. hyemes estatesque EReBMCLVRoPaT: yems estasque P 13. fixarum – erraticarum om. Pa

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.1,1-2,16

LIBER TERTIVSDECIMVS DE IMPRESSIONIBVS AERIS

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1. Prohemium. Eius implorato subsidio, qui dat mortalibus post nubila serenum, decreui quocumque stilo impressiones aereas recensere. Sunt quippe impressiones aeree quecumque aer facit siue patitur, ut nubila, imbres, tonitrua, fulmina, grandines, pruine, procelle, motus terrarum, mugitus fulminum, uentorum prelia et cetera aerea infectiua mortalium. Quin etiam Deo auxiliante uidebimus: xiii.1,1-2,16 «Quis ligat in nube[s] pluuiam, cum mugiat aer, quis pariat uentos, quis eorum seminat iras, cur in tot facies exit substantia nubis, nunc pluuie plena lacrimis, nunc cana pruinis, nunc uestita niuis facie, nunc grandinis arma suscipit et celi miratur terra sagittas». 2. Que sit materialis causa impressionis aeris et que efficiens et quomodo fiat et de igne ‘capra’. Ignium multe uarieque species apparent nobis ipsumque ardere celum sepius uisum est (Require eodem libro, capitulis 31, 32); horum omnium causa materialis est terre et aque uapor, ad cuius pleniorem noticiam est sciendum quod duo tantum elementa uaporant, terra et aqua scilicet. Aer autem non uaporabilis est quia si rarefieret ultra modum nature sue non esset aer, sed fieret ignis inmediate; si uero spissaretur plus quam conueniat ipsi elemento similiter nullos uapores emitteret quia uapor — prout dicunt omnes philosophi — generatur per subtiliationem et rarefactionem corporum euaporantium: non ergo remaneret aer, sed fieret terra uel aqua secundum quam plus uel minus spissaretur. Vapor igitur tantum duorum elementorum est causa materialis omnium impressionum que generantur in imo uel aereo alto loco. Causa efficiens est duplex, calor scilicet et frigus: calor — prout hoc intendo — est calor solis et aliorum corporum supercelestium eleuando uapores usque ad certam altitudinem aeris; sed quia non ubique fit talis euaporatio, nota quod iste 1, 7-12. Alan. Anticlaud. II, 140-45 2, 2-3. Sen. nat. I, 1.1 e 15.5 (Ignium – est) 11-14. Alb. Meteora I, 4, 1 (Vapor – solis) 1, 1. post nubila L: nubila post EReBMCVRoPPaT 2. quocumque BCLVRoPPaT: quoquandoque EReM 9. substantia PaT: elementa EReBMCLVRoP 10. cana EBMCVRoPaT: caua Re, dub. L, P 2, 6. sed post scilicet add. Pa, om. cett. | autem post aer om. PaT 7. nature sue EReBMCLVRoPPaT: sue nature L | aer – spissaretur om. BV | spissaretur EReCLP: inspissaretur PaT spissaret Ro 9-10. subtiliationem – euaporantium om. B 13. generantur om. PaT | aereo alto loco EReBCLVRoPT: alto loco aereo Pa 14. prout hoc intendo, est calor solis EReCLVRoP, (et frigus – solis om. B): huius incendo est solis T prout est incensio solis Pa 16. nota VPaT, dub. ReBCLP: notandum E, post. corr. Ro notem fortasse M

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.2,17-3,5

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celestis calor est duplex, adurens scilicet et euocans. Adurens calor est in partibus suppositis signis estiualibus, ut sunt Gemini, Cancer, Leo et Virgo, super quibus perpendiculariter solares radii cadunt adurentes omnem uaporem priusquam eleuetur et ideo loca illa nil spirant et per consequens carent nubibus et pluuiis; alia autem loca tendentia ad aquilonem non habent calorem urentem, sed euocantem plus et minus secundum propinquitatem et elongationem a uia solis. Similiter est duplex frigus, constringens scilicet et temperatum; frigus constringens plus potens in constringendo superficiem aquarum et terre quam solaris calor; in actrahendo est precipue cum sol moratur in tropico hyemali, puta Sagittario, Capricorno et Aquario. Nam loca his supposita nequeunt euaporare ex constrictione superficierum terrarum et aque. Frigus temperatum continens solem ne incendat nec prohibens euocare uapores causatur a uia et motu solis. Ideo intensiora sunt frigora et calores in una parte anni quam alia (Require libro De prouinciis et regionibus, capitulo 6). Omnis ergo impressio aeris que nostris uisibus demonstratur in summo uel ymo aeris aut ex uapore sicco tantum aut ex humido tantum aut ex ui utroque fit, de quibus omnibus prosequar duce Deo. Scias ergo quod siqua impressio generatur ex uapore sicco tantum, materia talis impressionis erit uapor terreus; cum enim terra frigida sit et sicca, frigidum intensum fortius tenet in se calorem et siccum intensum acutius penetrat. De hoc ergo primo aliqua uideamus. Horum quoddam genus Aristotiles capram uocat: talis enim fuit, teste Seneca I De questionibus naturalibus, illius ignis forma qui lunari magnitudine apparuit tempore quo Paulus Emilianus contra Persen bella confecit (Require

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libro uirorum, ubi agitur de Paulo Emiliano filio et de Perse rege, et ubi agitur de Sulpicio Gallo sub littera G, et 31, 32 capitulis huius libri). xiii.2,17-3,5

3. De ignibus qui aliquando per aerem uolitare uidentur. Binis uicibus meo seculo ipse conspexi maximam flammam sereno tempore uolitare per aerem, que, si non repente in ipso cursu, sensim tamen paulo post consumpta fuit: primo cum Iohannes de Vicecomitibus archiepiscopus in Mediolanensi urbe magneque partis Lombardie dominus bellum cum Thuscis

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34-35. Alb. Meteora I, 4, 1 (siqua – terreus) 37-40. Sen. nat. I, 1.2 19. solares radii EReBMCLVRoPaT: radii solares P 20. loca illa ReBMCLVRoPPaT: illa loca E 23-24. constringens – frigus om. Ro 25. actrahendo BCLVRoPPaT: hoc trahendo E hac trahendo ReM 30. frigora EReBMVRoPPaT: frigida C frigida alias frigora L 30-31. Require – 6 om. Pa | nostris EReBMCLVRoP : in ueris PaT 32. uisibus EBMVRoPPaT: uicibus CL mensibus Re 33. ui om. B 36-37. siccum intensum PaT: siccum incensum L sic cum incensum (intensum B) EReMCVP sic cum incensum est Ro 38. genus ReBCLPaT: ergo EMVRoP 4042. Require – huius libri om. Pa 41. ubi1-et2 om. T | agitur Re (cfr. XIII.30, 31, 32, 50, 61, 68): agetur EBMCLVPRo 3, 5. magneque VTPa: magnoque EReMCLPRo magno B

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.3,6-4,20

habuit anno Domini 1350; secundo cum dominus Karolus de Durazo, qui anno gratie 1380 fuit ab Vrbano sexto Summo Pontifice coronatus in Vrbe rex Apulie, Sicilie ac Ierusalem, contra reginam Iohannam expedictionem faceret, in qua ipsa fuit strangulata in Neapolitana urbe loco quidem ab incolis dicto Castello dil’Ouo, nec multo post ipse in Pannonia cesus gladio in ciuitate Bude. Seneca etiam I De questionibus naturalibus narrat simile fuisse prodigium circa Augusti exitum (Require libro uirorum, capitulo Octauianus, in fine capituli). Scribit etiam Plinius II Historie naturalis ingentem apparuisse facem illo tempore quo Lacedemones classe uicti imperium Grece perdiderunt, et — ut presenti capitulo finem faciam — semper ingentium malorum ista fuere prenuncia (Require eodem libro, capitulis 31, 32). 4. Forme diuersorum ignium in aere apparentium, causa diuersitatis et cur diebus lucentibus non apparent. Scribit Albertus Magnus libro I Metheororum: «Quandoque uisos ignitos globos, quandoque accensas trabes, quandoque ardentes clipeos», et quod «quandoque apparuit corona ignea, quandoque ignis ut lancea, sepius ut candela, singulisque fere noctibus uolantia sydera», sed — ut alia pretermittam — quandoque uisi sunt ardores stare in tanta luce quod fugauerit tenebras quousque substitit alimentum. Ex hiis etiam quedam apparent in nubibus, quedam, que autem supra nubes sunt, mirabiliores apparent, et tamen non sunt aliud quam uapores igniti tracti ad propinquitatem ignis uirtute syderum in aeris regionem, que estus dicitur. Sed querat forsan aliquis, cum eadem sit materia omnium, que sit causa diuersitatis horum. Ad quod respondit Phylosophus, dicens substantialiter I Metheororum quod uaria euaporatio est in uario orbe terrarum: nam pars quedam emittit humida, quedam sicca, quedam calentia et quedam ignibus suscipiendis apta. Ergo necesse est quod aliqua pars in nubes ueniat que non modo collisa sed afflata radiis syderum incendatur, cum et apud nos fragmenta sulfure aspersa ex interuallo ignem trahunt. Igitur uerisimile est talem materiam in uisceribus nubium congregatam facile succendi et maiores minoresue ignes subsistere, prout illis fuit plus aut minus uirium. Sed tu fortius petes: ‘Cur non de die radiis xiii.3,6-4,20

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11-12. Sen. nat. I, 1.3 13-15. Plin. nat. II, 96 4, 3-6. passim Alb. Meteora I, 4, 5-8 6-7. Sen. nat. I, 15.2 (quandoque – alimentum) 13-25. recte uero Sen. nat. I, 1.7-9 e 11 6. 1350 PaT: 135 E BMCL 1305 P 1135 ReVRo 9. ipsa fuit EReBMCLVPRoT: fuit ipsa Pa 10. dil’Ouo scripsi: Diluono ECLRoPa Dilnouo P Diluouo fort. Re, BM: recte uero Muro Lucano, ubi Iohanna I occisa est | post ReLRoPaT: om. EBCVP 12-13. Require – capituli om. Pa 16. prenuncia EReBMCVPRoPa: primitiua L primitia T | Require – 6 om. Pa 4, 3. globos CLPPaT: globis EReBMVRo 8. quedam que autem PaT: quedamque (quedam BVRe) supra nubes EReBMCLVPRo 11. querat PaT: querit EReBMCVRoP quere L 13. dicens substantialiter EReBMCLVRoP: substantialiter dicens PaT 15-16. aliqua pars EReBMCLVPRo: pars aliqua PaT | nubes EReBMCLVPRo: nube PaT

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.4,21-6,7

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solaribus inflammantur?’ Ad quod falsa — dicam — peticio tua est: reris enim quod non uides non esse. Falleris. Sed quemadmodum stelle diurno fulgore latent sic ignitas faces abscondit diurni luminis claritas, sed quando tam prepotens uis emicuit, quod aduersus diem uendicare sibi suum fulgorem possit, apparet etiam interdiu pro uolantibus syderibus (Require eodem libro, capitulo 6). xiii.4,21-6,7 5. Quid uidetur quandoque in aere ignes ludere et igniti uolare dracones uomentes flammas et trabes ignee etc. Interdum quedam uidentur in aere, quorum causa ignorata, simillima monstris erunt, de quibus Albertus Magnus I Metheororum: «Quando — inquit — materia uaporum conglutinata est nec separatur et a commotione aeris ignita, et tunc apparet quasi globus quem ignis sursum trahit et pondus masse conglutinate deorsum, et ideo ascendit et descendit. Quapropter quidam rerum inscii uidentes hoc asseruerunt se uidisse in aere ludentes ignes», et — prout ipse scribit — bis suo seculo talis forma conspecta est. Et subdit: «Est quandoque materia inequaliter subtilis, tamen eleuata simul, cuius pars anterior tacta frigido expellitur, quam grossior pars sequitur, et ideo apparet in modum trabis: huic fugienti seu uerius impulse trabi si frigus obuiat, incuruatur et apparet in modum flexuosi draconis et hinc est quod multi pro ueritate, quin imo iuramento confirmant se uidisse dracones uolare per aerem uomentes flammarum globos». 6. Significationes premissorum ignium. Formas alias studens breuitati pretereo, tamen hic addiciam quod portendant. Est quippe Albertus Magnus auctor dicens I Metheororum: «Significationes omnium horum ignium sunt secundum effectum Martis et precipue quando fuerint anno illo in quo Mars et Iuppiter sunt coniuncti. Tunc enim tempestatem et hominibus iras et pestilentias ex aereo ueneno signant, quia scintillationes tales sepius discurrentes, cum sit uapor frigidus et siccus combustus, tamen

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5, 4-15. Alb. Meteora I, 4, 8 6, 3-13. Alb. Meteora I, 4, 9 23. fulgore EReBMCLPPaT: fulgure VRo 25. possit om. PaT | etiam EReBMCLVRoP: contra PaT | interdiu EReBMCLRoPaT: inter V interdum P 25-26. Require – 6 om. Pa om. Pa 5, 3. similima EReBMCLVRo: similia P similis T similimes Pa | erunt ReBMCLVPRoPaT: erant E 4. quando PaT (cfr. Alb.): quandoque cett. 5. ignita PaT: igniti Ro ignis L, dub. VP igni EReBMC 9. conspecta ReBMCLVRoPPaT: conscripta E 10. inequaliter subtilis EReBMCLVRo PT: subtilis inequaliter Pa 13. flexuosi EReBMCLVRoP: flamosi PaT | hinc EReBMLVPPa: hic CRo huic dub.T 14. imo (ymo) CLPRoPaT: uno VBM, dub. ERe | uolare EReBMCLVRoPT: uolitare Pa 6, 2. quod CVRoPPa: quid EReBML qui T 3. omnium horum EReBMCLVRoPT: horum omnium Pa 4. anno illo EReBMCLVRoPT: cum illo signo Pa 6. signant EReMVCPRo (cfr. Alb. Meteora I, 4, 9): significant BLT signat fort. Pa 6-7. tales sepius discurrentes post scintillationes add. PaT (cfr. Alb. Meteora I, 4, 9) 7. sit VT: cum sint EReBMRoPPa cum fuit C fiunt cum L

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.6,8-7,18

corrumpunt aeris tractum faciuntque ipsum uenenosum potissime apostemata generando (Require libro populorum, capitulo Mirmidones, et libro stellarum erraticarum, capitulis 14, 29, 25). Sed, cum hinc inde pelluntur, signant tempestatem propter collusionem uentorum ignes dispergentium ad uarios aeris tractus. Probat hoc nautarum experientia uerum esse timentium naufragium quotiens similis emergit casus». Confirmatur Albertus uero huiusmodi prodigiorum euentibus meo seculo anno quidem Domini 1388 Vrbano sexto Ecclesie Dei Pontifice residente Perusii, cum eadem nocte circa centum igniti uapores a Perusia currerent uersus Vrbem, primo guerra, mox fames ac pestis secuta est (Require eodem libro, capitulo 7). 7. De stellis que apparent cadere, quid portendunt et quedam mirabilia ipsarum. Videntur quandoque stelle de celo cadere uel celo ipso labi, dicente Virgilio I Georgicon: xiii.6,8-7,18 «Sepe etiam stellas uento impendente uidebis precipites celo labi, noctisque per umbras flammarum longos a tergo albescere tractus». Et Seneca in Troade dixit:

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«qualis cadit delapsa celo stella, cum stringens polum rectam citatis ignibus rumpit uiam». Sed rei ueritas est quod non sunt stelle, sed ab igne uapores accensi, cum dicat Phylosophus II Celi apparent quandoque stelle cadere que non sunt stelle sed uapor eleuatus in superiorem partem aeris ubi accenditur et apparet stella uera cum uapor sit. Quod confirmauit Scotus in prima distinctione sue Astronomie quam misit ad Fredericum Cesarem, quotiens dicens uentus fortissimus in aere nubibus puro ab altissimis aeris partibus condescendens secumque ignem deferens, uelut ex confricatione silicis atque chalybis, exalationes accendit accensasque secum deuehit.

7, 4-6. Verg. ge. I, 365-67 8-10. recte uero Sen. Phoen. 430-32 11-14. uide Alb. De caelo II, 3, 2 10. signant EReMVCRo: significant BLT signat fort. PPa 11. collusionem ReBMCLVRoP: collisionem EPaT | ignes EReBMCVRoPaT: igno L ignes P | uarios EReBMVRoPPaT: ualios C ualidos L 12. hoc EReBMCLRoPPa: hic VT 13. uerus EReBMCLVRoPT: ueros Pa 16. igniti EReBMCLVPPaT: igni Ro 7, 2. uidentur EBMCLRoPPaT: uident ReV | de celo om. EM 5. noctisque E2ReBMCLPPaT: noctique V notique Ro 6. longos EReBMVRoPPaT: longas CL 9. delapsa EReBMCLVPPaT: delapso Ro | cum stringens BCVRoP: constringens EReMLPaT 11. ab igne uapores EReBMCLVRoPT: uapores ab igne Pa 12. secundo EReMCLVRoP: primo PaT 14. apparet ECLRoPPaT: apparent ReBMV | cum LRoPaT: cui EReBCVP 15. quam – Cesarem om. Pa 16. aeris partibus ReBMCLVRoPPaT: partibus aeris E 18. accendit EReBMCL VRoPPa: ascendit T | accensasque LPaT: accensaque EReBMCVPRo

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.7,19-7,48

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Idem quod Scotus scripsit Lucretius, prout refert Seruius super V Eneidos. Imperiti autem credunt ueras stellas cadere aut partem quandam ab eis auferri et abradi aut ad loca uaria transilire, quod si uerum esset iam defecissent sydera cum fere nulla serena nox sit in qua non appareat discursus plurimum, et tamen stelle omnes suo reperiuntur loco, magnitudo etiam constat singulis. Restat igitur quod sint uapores tracti uirtute syderum usque ad concauum orbis ignis ubi facile accensi corruunt quia sine fundamento et sede certa sunt, et hoc sensit elegantissimus maternus uates quando dixit XV canto Paradisi: xiii.7,19-7,48 «Quali per li sereni tranquilli et puri discorre ad ora ad ora sùbito foco movendo gl’occhi che stavan securi

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et pare stella che tramuti loco se non che da la parte ond’è s’acende nulla saprende et esso dura pocho». Noueris insuper, teste Alchardiano libro De presagiis, quod stelle multe currentes aquam presagiunt seu uentos, et undecumque discurrant uentus uel aqua sequitur: sunt ergo future tempestatis presagium. Addit Alchardianus preallegato libro et Guido Bonactus in tractatu imbrium: «Quanto plures fuerint iaculaciones stellarum cadentium tanto magis augmentabitur et festinabitur significatum earum; si uero a diuersis partibus fiat cursus, hinc inde uentos inordinatos signant uidebisque undique apparere turbaciones aereas et tonitrua. Idem fere coniecturare poteris cum nubes lane floccis assimilari uideris» (Require eodem libro, capitulo 58). Scribit etiam Seneca I De questionibus naturalibus quod in magna tempestate iam stelle apparuerunt insidentes malo nauis, quo plurimum naute letati sunt credentes auxilia eis mitti a numine Castoris et Pollucis, sed portendebatur tranquillitas ex cessatione uentorum. Gilippo etiam Siracusas petenti uisa est stella super ipsam lanceam consedisse. Nec tantum rudes sed gentiles theologi, teste Seruio super II Eneidos, credebant illos flammarum tractus

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19. Lucr. II, 206-09; Seru. Aen. V, 527 20-26. Sen. nat. I, 1.9-10 (Imperiti – certa sunt) 28-33. Dante, Par. XV, 13-18 37-42. G. Bonacti De astromonia, VI, 20 43-47. Sen. nat. I, 1.13-14 47-49. Seru. Aen. II, 694 19. idem quod EReBMCLVRoPT: idemque Pa 20. partem EReBMCLVRoPPa: tempore T 2633. et hoc – dura poco om. Pa 35. discurrant (discurant Ro) ReBMCLPaT, dub. V: discurrunt EP 38. fuerint ReMCLVRoP: fuerunt EBPaT 39. significatum EReBMCLVRoP: significatis Pa signatum T | earum EReBMCLPT: eorum VRo rerum Pa 40. signant EBReMCVPRoT: significant LPa 42. assimilari EReBMCLRo: assimilare VPPaT | Require – 58 om. Pa 43. tempestate EReBMCLVRoP: potestate PaT 44. insidentes Pa: insedentes cett.

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nimbum esse descendentis numinis. Nunc transeamus ad ea que a uapore humido tantum generantur in aere, unde scias quod uapor humidus, cum sit aqueus, non est inflammabilis, eo quod in duabus qualitatibus, humido scilicet ac frigido, contrariatur igni. xiii.7,49-8,25 8. De yride: quando cepit yris, quando deus yrim fecerit, quid bonum presagit et eius ethymologia. Iris seu celestis arcus post Generale Diluuium primo conspectus creditur a Noe tamquam signum a Deo in aere positum constituti federis inter se et homines ne eos amplius diluuii clade mergeret. Cum legatur IX capitulo Genesis Deus locutus est ad Noe dicens: «Arcum meum ponam in nubibus et erit signum federis inter me et terram. Et cum obduxero celum nubibus et apparebit arcus meus recordabor federis mei nec ultra erunt aque diluuii ad delendam uiniuersam carnem» (Require eodem libro, capitulo 12, et libro uirorum, capitulo Noe). Nec tantum Scriptura Sacra sed Esiodiste Theologi, teste Alberto Magno III Metheorum et II Mineralium, hunc arcum signum omnipotentis clementie predicabant, suadentes colorem fore bonitatis indicium. Qui, quoniam ex igne et aqua permixtus est, portendit nec per ignem nec per aquam mundo periculum inminere Dei clementia preuidente. Quapropter in Historia Scolastica super Genesin legitur: «Per quadraginta annos ante Generale Iudicium non apparebit yris, quod quidem ostendit aeris desiccationem inceptam esse». Phylosophus etiam III Metheororum yridem uocat ‘arcum demonis’ quasi considerationis angelice: nam eius consideratio supra naturam est, ut patet 11, 12 et 13 capitulis presentis libri. Et dicitur yris quasi ‘arcus aeris’, nam similitudine arcus nostri per aerem descendit ad terram; uel dicitur yris, teste Seruio supra V Eneidos et Lactancio super I Achilleidos, quasi ‘heris’, eo quod est ‘lis’ quod mittatur ad litem uel discordiam commouendam, quamquam ego non uideam quam litem excitauerit abscidens crines Didonis morientis. Ideo sanius dictum, arbitror, quod mittatur ad sedandam uel commouendam litem.

8, 2-4. Comestor scol. hist. I, 37 (Iris – mergeret) 5-8. Gn. IX, 16 9-14. Alb. Meteora III, 4, 6, sed II Mineralium non inueni 15-16. Comestor scol. hist. I, 37 17. haec non inueni apud Aristotelem, sed uide Alb. Meteora III, 4, 6 19-20. Vgut. deriu. E 112, 2 (dicitur – terram) 2122. Seru. Aen. V 606, sed uide etiam Vgut. deriu. E 112, 2; Anonymi, in Achill. 220 23-24. uide Verg. Aen. IV, 704 (abscindens – morientis) 49. nimbum EReBMVT: nimbrum CL nibum P nimbus Pa rumbum Ro 52. ac EReBMCLVP: et RoPa a T | igni EReBMCLRo: ignis VP igitur T, om. Pa 8, 3. signum…positum EReBMCLVP PaT: signa…posita Ro 7. mei EBMCLPT: meis ReVRoPa 13. nec…nec EReBMVRoPPaT: neque…neque CL 15-16. per quadraginta – quod om. B 22. lis P: lix alias lis L lix cett. 25. uel – litem om. B

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9. Quid sit yris, quomodo fiat, quare non semper cum pluit apparet et quare statim deficit. Posidonius, teste Seneca suo De questionibus naturalibus, diffiniens arcum celi: «Iris — inquit — est speculum in rorante nube concaua figuratum», quam sententiam uerissimam dicit Seneca, sed forsan hec diffinitio apparebit clarior: «Iris est nubes soli opposita eiusque radiis multipliciter informata». Numquam enim fiet, prout experientia magistra probat, nisi cum aquosam nubem solis ardor irradiat, quod Virgilius cecinit in VIII, dicens: «Qualis cum cerula nubes solis inardescit radiis longeque refulget».

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Et Ouidius VI Methamorphoseon: «Qualis ab imbre solet percussis solibus arcus inficere ingenti longum curuamine celum, in quo diuersi niteant cum mille colores transitus ipse tamen spectantia lumina fallit».

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(Require eodem libro, capitulis 11, 12). Scribit namque substantialiter Alber-

tus Magnus III Metheororum, concordans cum Phylosopho similiter III Metheororum: «Dum sol in nubibus rarescentibus ex aduerso refulserit radiosque suos impresserit, fulgor emicat arcum faciens; nec unquam orbem implet nec fit maior semicirculo eritque tanto breuior, quanto altior sol existet; nec semper cum pluit apparet yris, sed semper cum celi rarescunt nubila (Require eodem libro, capitulo 12). Ergo si statim deficit non est mirum: patet enim ex dictis causa uelocis occasus eius cum ipsius generatio sit in materia iam cadente». xiii.9,1-10,5 10. Quid ad plus duo archus apparent, quid significant et quare omni hora uidentur in hyeme, sed in estate non. Numquam, teste Philosopho III Metheororum, plures quam duo arcus simul fiunt, de quo dixit Plinius XVIII Historie naturalis arcus duplices pluuias nunciant. Et Alchardianus libro De presagiis: «Fiunt — inquit — quandoque due irides una ab austro

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9, 2-4. Sen. nat. I, 5.13, sed uide Alb. Meteora III, 4, 8 et 9 5-6. Vgut. deriu. E 112, 3 (Iris – informata) 9-10. Verg. Aen. VIII, 622-23 12-15. Ou. met. VI, 63-66 18. uide Lucr. VI, 214 (nubibus rarescentibus) 18-22. Alb. Meteora III, 4, 7 22-24. Alb. Meteora III, 4, 18 10, 2-3. Aristot. meteor. III 2, 371b, 32-33; III 4, 375b, 12-15 3-4. Plin. nat. XVIII, 80 9, 3. diffiniens ELPaT: diffinimus ReBMCVP diffinit Ro 7. aquosam EReMVPPaT: adquosdam Ro a quosdam CL quosdam B 12. imbre EReMPa: umbre T more Ro in ore BCLVP 13. curuamine EReBMCLVP: curuamini Ro curuarium T cum uarium Pa 16. Require – 12 om. Pa 17-18. concordans – Metheororum om. Pa 18. refulserit PPaT: refulxerit ReMCLRo refluxerit EB, non legitur V 19. fulgor EReBMCLVRoP: fulgur PaT 21. nec ReLRo: et EVPaT hec BMCP 22. Require – 12 om. Pa 10, 3. III Metheororum om. V | quo BCLVRoPPaT: duo ReM duobus E 5. due EReBMCLPaT: duo VroP

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et alia a borea, et tales signant aquam celerem prouenire». Et subdit Philosophus: «Post autumnale equinoctium in breuioribus diebus fit celestis arcus qualibet hora diei, estiuali autem tempore nunquam meridie sed semper in occasu uel ortu». Cuius rei causam arbitror ueram esse quia, cum sol sit corpus luminosum, iaciens radios in oppositam partem eius, cum breuiores dies sunt, semper obliquus est: itaque qualibet diei parte etiam, cum altissimus est, habet nubes quas ex aduerso ferire potest. Estiuis uero temporibus supra uerticem nostrum fertur: itaque medio die sol altissimus rectius terras aspicit quam nubibus possit occurrere. 11. De coloribus celestis arcus. De uarietate yridis sic scripsit Seneca I De questionibus naturalibus: «Color igneus a sole est, ceruleus a nube, ceteri utriusque mixture». Et Plinius II De historia naturali: «Varietas colorum — inquit — ex mixtura nubium fit et ipso aere». At Vgo de Castello, magister in sancta theologia memorie celebris meo seculo, super tractatu Sphere: «Yris — inquit — uarietatem colorum trahit a quatuor elementis: nam ab igne rubeum, ab aere lucidum, ab aqua uiridem et a terra mutuatur obscurum» (Require libro celi, capitulo 14, ubi dicitur quod color causatur a qualitatibus elementorum, etc.). Sunt qui credant hos quatuor colores principaliores in yride, cum infiniti sint alii in ipsa lucida nube positi, dicente Virgilio IV Eneidos: xiii.10,6-12,3 «Ergo Yris croceis per celum roscida pennis mille trahens uarios aduerso sole colores deuolat», etc.

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Et Ouidius XI Methamorphoseon: «induitur uelamina mille colorum Iris et arcato celum curuamine signans tecta petit», etc. (Require sequens capitulum).

12. De significationibus yridis et quare dicatur minister Iunonis. Varius aspectus iridis uarios portendit effectus. Nam scribit Alchardianus libro De presagiis quod si ortus eius fuerit a meridie, pluuias magnas uehet, quia 6-14. Aristot. meteor. III 2, 371b, 30-31, recte uero Sen. nat. I, 8.6-7 11, 2-3. Sen. nat. I, 4.4 3-4. Plin. nat. II, 150 6-8. uide Vgut. deriu. E 112, 5 12-14. Verg. Aen. IV, 700-02 16-18. Ou. met. XI, 589-91 6. signant EReMVCPRoT: significant BL signat fort. Pa 10. iaciens BCLVRo, Pa post corr.: iacens EReMPT 12. ferire EReBMCLVRo: feriri P ferre PaT 14. possit om. EReM 11, 2. color igneus EMLRoPaT, B post corr.: color igneum ReP calor igneum CV 4. fit EReBMCLVPaT: sit RoP | at EReBMCLRoPaT: ac P ut V 8. obscurum EReBMCLRo: obscuritatem PaT 9. quatuor colores EReBMCLVRoP: qualitates colorum PaT 15-18. et – petit om. Pa 18. petit EReBMCLVP: petet Ro ponit T, om. Pa

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tanta uis ymbrium inest ei quod non poterit uinci feruentissimo estu solis, ob quod dicebat Ouidius I De transformationibus:

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«Nuncia Iunonis uarios induta colores, xiii.12,4-13,11 concipit Yris aquas alimentaque nubibus affert». Et Lucanus in IV loquens de arcu celesti dixit: «Oceanumque bibit raptosque ad nubila fluctus protulit et celo diffusum reddidit equor». Si circa occasum fulserit, tonabit et leuiter pluet; si ab ortu uel circa surrexerit, serena promittit et hac de causa Iunonis — id est aeris — pedisequa dicitur a poetis. Et eius colores uarii moraliter loquendo diuiciarum ornamenta signant. Que quidem fulgore suo admiranda sunt et quemadmodum cito effluunt, sic repente fugiunt diuicie temporales (Require libro mulierum, capitulo Iris). Addit Alchardianus quod plus est si circa lucernam aut per lucernam iris appareat australes aquas significat. Nunc ad theologiam redeo: uult Richardus super Biblia quod albus color yridis representet preteritum aque iudicium, rubeus futurum in igne, uiridis uarias clades seculi, niger purgatorii et inferni supplicia representet; nec est absonum si Deus yride in aere utitur pro signo federis quod pepigit cum Noe, ut supra diximus 8 capitulo presentis libri. 13. De yride nocturna cum qualitatibus et significationibus suis. Scribit substantialiter Albertus Magnus III Metheorum ex radiis solaribus die yris splendet, nocte autem ex radiis lune. Aristotiles tamen similiter in III Metheorum scripsit: «Iridem nocturnam non nisi quinta decima luna fieri et in eius occasu uel ortu semper et tantum bis uideri anno 50». Sed primam partem Phylosophi euertit Albertus asserens noctu se uidisse yridem non eo loco nec tempore quo Phylosophus esse dixerat. Secundam ab experto reprobat qui ueridicus experimentator asseruit eodem anno bis noctu uidisse iridem. Negat deinde posse conuinci quare tantum bis anno quinquagesimo possit conspici. Estque nocturna iris candida, dicente Alberto preallegato loco: sine dubio iris lune alba uidetur in modum lactis in nu-

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6-7. Ou. met. I, 270-71 9-10. Luc. IV, 81-82 18-20. fortasse Richardus de S. Victore, sed uide Comestor scol. hist. I, 37 13, 2-10. Aristot. meteor. III 2, 372a, 26-29; Alb. Meteora III, 4, 11 10-12. Alb. Meteora III, 4, 22 6. nuncia – colores om. Pa 11. si1 ELRo: sed ReBMCVP, om. PaT | circa om. T | occasum EReBMCLVRoPT: occasu Pa | fulserit P: fulxerit E post. corr., ReMPa fluxerit BCVRoT fluxerit alias fulserit L | si ab ortu om. PaT 12-13. serena – dicitur om. B | pedisequa Pa: pedisica cett. 14. signant ReMVCPRoT: significant EL signat fort. Pa 15-16. Require – Iris om. Pa 18. redeo BLRoPPa: reddeo EReMCV reddo T 19. preteritum EReBMCLVPPaT: prosperitatem Ro | aque PaT: atque cett. 13, 4. scripsit EReBMCLVPPaT: ex radiis solaribus Ro 6. noctu EReBMCLP PaT: nocte VRo

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bem fusi. Et Alchardianus libro De presagiis: «Quotiens nocturnus lune arcus apparet portenditur longa tempestas, cum raro ueniat sine multa materia humiditatis et uenti». xiii.13,12-15,23 14. De yride secundum poetas. Yridem Thaumantis filiam Iunonisque pedisequam non sine magno misterio poete dicunt (Require 12 capitulo presentis libri et libro mulierum, capitulo Iris). 15. Quid sit coruscatio seu fulgur, quomodo differt a fulmine; qualiter generantur cum tonitruo; unde sunt maiora et minora tonitrua. Coruscatio seu fulgur, teste Alberto Magno III Metheorum, est illuminatio sicci uaporis accensi in uapore humido, que ideo differt a fulmine quia coruscatio seu fulgur solum ostendit ignem, cum sit splendor micantis nobis, ob quod dicebat Lucanus in libro IV: «Moriuntur fulgura nimbis». Fulmen autem mucro est, rabie uentorum feruidus, e nubibus ad terram uiolenter inmissus. Illa, ut ita dicam, comminatio est et conatio sine ictu, huius uero iaculatio cum ictu est (Require eodem libro, capitulo 54). Et quamquam concordent auctores quod in nubibus ista fiant, non tamen de modo conueniunt. Scripsit nempe arte Phylosophus, prout textualiter legi in libro suo, dum in nubibus aer pendet, aer superior percutit nubes, similiter et inferior, uniri appetens qui a nubibus sit diuisus: pars ergo superior reuertitur inundando et undationibus percutit firmamentum, quo diuiso apparet celum igneum. Rediens deinde aer cum illo igne nubes diuidit sicque fit conflictus maximus comprimendo nubes a superiori et inferiori parte; ergo superior tractus ignem et inferior mittit lapidem in confusionem hominum. Anaxagoras enim, teste Alberto preallegato loco, uolebat ignem ex ethere distillari quem diu seruabant nubes que mediocriter impulse faciebant coruscationes seu fulgura, sed fortius agitate mittebant fulmina, iuxta quam sententiam dixit Lucanus in II: «uel, perdere nomen si placet Hesperium, superi, collapsus in ignes 14, 1-2. ex. gr. uide Ou. met. IV, 480; Verg. Aen. IX, 5; Stat. Theb. X, 81; Val. Fl. IV, 77 15, 2-5. Alb. Meteora III, 3, 1; Sen. nat. II, 12.1 (fulgur – ignem) 6. Luc. IV, 78 8-9. Sen. nat. II, 12.1 (comminatio – est) 9-10. Sen. nat. II, 12.2 (concordent – conueniunt) 11-18. locum laudatum non inueni 18-19. Alb. Meteora III, 3, 2, sed uide etiam Sen. nat. II, 12.3 (Anaxagoras – nubes) 22-24. Luc. II, 56-58 12. et – De presagiis om. Pa 14, 2. pedisequam (pedisiquam Pa) L: pedissequam P pedissicam (pedissecam B) ReCVRoT pedissiccam EM 15, 5. sit ReBMCLVPPaT: sic E dicit Ro 5-6. splendor – dicebat PaT, om. cett. 6. fulmen CLPaT: fulmine EReBMVPRo 7. ad terram EReBMCLVRoP: in terram Pa a terra T 8. conatio scripsi e Seneca: tonatio 9. est – 54 om. Pa 11. arte Phylosophus B: Artephius PT Arcephius ReM Arthephius CVRo Archephius EL Artipus Pa 13. qui a EReBMCPRo: quia LPaT que V 14. diuiso ReBCLVPRoPaT: diuisio EM 15. sicque PaT: undique E in marg., Ro2 unitque BLVP unicque ReMC 16. comprimendo EReBMCLVRoP: conseruando Pa conseruendo T 17. mittit LPaT: mittat EReBMCVPRo

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.15,24-15,55

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plurimus ad terram per fulmina decidat ether» xiii.15,24-15,55 (Require eodem libro, capitulo 54). Ego autem nulla ratione crediderim ut

ignis, quem natura sursum uehit, defluat; alia enim condicio est nostrorum ignium, ex quibus fauille cadunt, que aliquid ponderis habent secum. Sed in igne purissimo nichil est quod eum deprimat, et si qua pars potest decidere, totus in periculo est ex quo potest carpi. Ad hec, quare non quotidie cadit, ex quo semper ardet? Sed tu dices: ‘Nonne aliqui ignes ut fulmina de quibus agimus in inferiora cadunt?’ Respondeo quod aliqua potencia illos deprimit que non est in ethere ubi nulla fit iniuria, nec aliquid preter solitum euenit nec inde potest discedere (Require eodem libro, capitulo 24). Aristotiles autem, qui uerius sentit, non putat multo prius ignes colligi, sed illo momento exilire quo fiant. Cuius uerba sunt: «Duo fumos exalantia elementa subsistunt, terra et aqua scilicet, sed uapor terreus fumo similis, frigidus et siccus uirtute solis ac lune et aliorum syderum eleuatus uentos, tonitrua, fulmina et coruscationes facit. Aquarum uero uapor humidus est in imbres cadens». Ideo nota quod cum ipsi in alto sunt ad inuicem pugnant, quia terrestris illa exalatio comprehensa intra uaporem aqueum humectari fugiens agitatur et si non inflammatur uentum facit, sed quia exalatio illa subtilis et sicca est, ex hac collisione nubium leuiter inflammatur. Si ergo ignescit non tamen exiliens dicitur coruscatio, at si spiritus potentior sit magisque pressus et uberior sit materia, maiore cum impetu nubes lacerat tuncque cadunt fulmina et fiunt tonitrua grauiora, quomodo in nostris ignibus redditur cum flamma uitio lignorum uirentium crepat aut in igne castanea ponitur non incisa (Require eodem libro, capitulis 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25, sed preter omnibus capitulo 55). Habes ergo quare leuius uel grauius ether sonat et quod fulmen seu fulminatio et coruscatio non differunt natura sed impetu, de quo dixit Seneca I De questionibus naturalibus. Vbi uapores frigidi et sicci natura terris emissi in nubes inciderint diuque in illarum sinu uoluti sunt erumpunt nouissime, sed si repentinum late lumen emicuit, fulgur est, fulmen uero si exiliuerit ignis. Et dictis Phylosophi et uerbis Senece aperte monstratur quod omnis uapor a terra uel aqua est: non est uaporabilis aer quia si rarificare-

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25-33. Sen. nat. II, 13.1-3 (Ego – discedere) 34-39. Sen. nat. II, 12.4 (Aristotiles – cadens) 39-45. uide Alb. Meteora III, 3, 4 46-47. Sen. nat. II, 12.5 (quomodo – crepat); Alb. Meteora III, 3, 4 (in igne – incisa) 50. Sen. nat. II, 21.1(differunt – impetu) 51-54. Sen. nat. II, 57.3 (Vbi – ignis) 30. aliqui ignes EReBMCLVRoPaT: aliquid ignis P 39. imbres BCLV: imbris EReM | ideo BCLVRoPPaT: immo EReM | nota EReBMVRoPPaT: nata CL 40. comprehensa PT, dub. Pa: comprensa EReBMCLV compressa Ro 41. intra uaporem aqueum om. PaT 44. at EBMCRoT: ac ReLVPPa | potentior sit EReBMCLVRoPT: sit potentior Pa | magisque EReBMCLVRoP: magis quam PaT 51. primo: recte uero secundo 53. fulmen LPaT: fulmine EReBMCVRoP

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tur ultra modum sue nature non esset aer, sed ignis inmediate; si autem spissaretur plusquam sue nature sit non uaporaret quia uapor generatur per subtiliationem et rarefactionem corporum: fieret ergo terra uel aqua. Reuertor nunc ad Senecam dicentem in II eiusdem uoluminis nubes inter se compresse medium spiritum emittunt quem inflammant et ad instar tormenti cum terrifico sono eiciunt. Scribit etiam Plinius XVIII Historie naturalis quod tunc atrocissime erunt pluuie cum ex omnibus quattuor celi partibus fulgurabit; cum ab aquilone tantum, in posterum diem aquam portendent fulgura; a septentrione uentum. Cum ab austro uel coro uel fauonio nocte serena fulgurauerit, uentum et imbrem ex ipsis regionibus fulgura demonstrabunt (Require eodem libro, capitulis 17, 18 et 67). Addit Nicolaus Oresme XXXIV questione super libros Metheororum quod lumen coruscationis corrumpendo humores intrinsecus alterat et desiccat uegetabilia uiniuersa. Ob quod uult quod flores marceant, folia plantarum palleant et facies hominum dealbentur; uult etiam quod oculi plurimum coruscationibus offendantur propter siccitatem et malitiam illius exalationis, que coruscationum materia et causa est. 16. Quare prius ignem conspicimus quam audiamus tonitruum; quare interdum uidetur coruscatio sine tonitruo et quandoque e conuerso. Scias, ne reuocetur in dubium, quare prius uisu ignem conspicimus quam tonitrua percipiamus auditu, cum reuera primo sit collisio nubium unde ignes exiliunt, quod ideo euenire dicit Phylosophus III Metheororum quia uisus anticipat auditum, quod sit uelocior oculorum quam aurium sensus. Vel dic secundum Nicolaum Oresme XXXIV questione super libros Metheororum quia multitudo luminis non fit successiue ad uisum sicut multitudo soni ad aurem, sed si uideatur coruscatio nec audiantur tonitrua contingit quia tonitruum adeo remotissimum atque paruum est quod in uia deficit, seu quia uentus in contrariam partem flans in oppositam partem deferat; quandoque econtra quia percipimus tonitrua sine igne, quod quidem euenit nubium densitate posita inter nos et ignem cum tanta grossicie tantaque ignis debilitate quod eum oculus non secernit. xiii.15,56-17,3 17. Quo tempore maxime tonat et coruscat, quid sine nubibus non possint esse tonitrua et quid serene coruscationes significant. Tempus coruscationis et tonitrui estate maxime aptum est tempore magni estus, cuius causa est 59-61. Sen. nat. II, 16 62-66. Plin. nat. XVIII, 354 16, 2-6. Aristot. meteor. II 9, 369b, 9-10, sed uide etiam Sen. nat. II,12.6 (prius – auditu; sit – sensus) 17, 2-14. Alb. Meteora III, 3, 21 56. sue nature EReMCLVRoPT: nature sue BPa 57. uaporaret EReBMCLVRoP: uaporaretur PaT 59. suppleui 16, 3. prius emendaui: potius | uisu ignem EReBMCLVRoPT: ignem uisu Pa 5. tertio: recte uero secundo 14. oculus EBMLVRoPPa: oculis ReCT | secernit EReBMCVPaT senserit LP senciat Ro 17, 3. magni ReBLPaT: magis EMCVRoP

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secundum Albertum Magnum III Metheororum quia fiunt impressiones iste de uaporibus grossis, spissis et glutinosis, siue sint humidi, ex quibus fiunt nubes nigre, siue sint sicci, qui sunt terrestres materia tonitrui et uentorum et fulminum, ut dixi 15 capitulo huius libri. Nec eleuantur tales de superficie terre uel aque, ubi terra et aqua subtilis est, quia tales eleuati in regionem aeris distillando causant pluuiam, sed uapores isti facientes coruscationes et tonitrua eruuntur de profundo terre, ubi est terrestritas conglutinosa et grossa. Non tamen potest illos eruere de uisceribus terre nisi sit calor magnus qualis in estate est (Require eodem libro, capitulo 15), et, quia illa non fiunt nisi in nubibus, necesse est quod aer sit nubilosus ut fiat coruscatio uel tonitruum, ob quod Ouidius II Methamorfoseon, dicens fulmen sine nube missum ad interitum Phetonteum, non nature sed deo fulmen attribuit, cuius talia metra sunt: xiii.17,4-18,6

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«Sed neque, qua posset terris inducere nubes tunc habuit nec quos celo dimitteret imbres misit in aurigam». Et III libro Fastorum dixit:

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«Ter tonuit sine nube deus, tria fulmina misit. Credite dicenti: mira sed acta loquor». Virgilius etiam I Georgicon, ponens prodigia mortis Cesaris, dixit: «Non alias celo ceciderunt plura sereno fulgura, nec diri totiens arsere comete».

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(Require eodem libro, capitulo 15). Scribit etiam Plinius II Historie natura-

lis: «M. Herennius decurio sereno die fulmine ictus est» et XVIII libro subiunxit: «Cum sereno celo fulserit erunt pluuie» (Require eodem libro, capitulis 15 et 18, et capitulo 65). 18. Quid sit fulmen cum quibusdam aliis curiosis. Fulmen, secundum Ysydorum, nil est aliud quam compactus et ignitus uapor impetuose cadens a feriendo dictum, et Nicolaus Oresme XXXI questione super libros Metheororum: «Fulmen — inquit — nil aliud est quam spiritus ignitus et a uentre nubis uiolenter expulsus». De quo dixit Phylosophus II De anima: «Aer cum tonitruo scindit lignum», et Albertus I De causis proprie-

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17-19. Ou. met. II, 310-11 et 313 21-22. Ou. fast. III, 369-70 24-25. Verg. ge. I, 487-88 27-28. Plin. nat. II, 137; XVIII, 354 18, 1-3. Isid. etym. XIII, 9.2 6. Aristot. anima II 12, 424b11-12 5-6. humidi – sicci om. Ro 7. uentorum EBCLVRoPPaT: conuentorum ReM | 15-libri om. Pa 12. Require – 15 om. Pa 15. Phetonteum PaT: Phetontoyn EReBCLVRoP 23. etiam CLRoPaT: in EReP et BMV 26. Require – 15 om. Pa 28. fulserit LPPa: fulxerit EReBMCVRoT 18, 5. nubis E post. corr., LPPaT: nubes VRo nubeis ReM nubas C, om. B

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tate elementorum: «Dixerunt quidam — inquit — quod aer sit fortissimum omnium elementorum quia uidebant eum cum tonitruo deicere turres, rupes, ligna et alia quecumque fortissima, sed decipiuntur quia reuera aer facilius alteratur quam alia elementa. Ideoque facile sonis et uoce frangitur et cum dicunt quod fortia scindit est uerum quia sit uehiculum uirtutis percutientis. Non tamen quitquam scindit uirtute sua, sed uirtute primi mouentis aerem». Et in II Metheororum ponens idem Albertus generationem fulminis: «Ex terrestri — inquit — et grosso uapore generantur fulmina: nam talis uapor uehementissimo calore siccatus fulmen generat, quod ex impulsione uentorum et nubium pressione uiolenter expellitur», sed hoc clarius dixi eodem libro, capitulo 15. Hic uero non censeo omittendum quod scripsit Restaurus II libro De causis essentie mundi sensim dicens: «Dissoluitur uapor ille secundum qualitates materie ipsius, quantoque magis defluit a remotis tanto minus uirium secum portat; econtra etiam quanto fortius ferit tanto a loco proximiori deicitur more arcualis sagitte nostre que a longinquo debilis uenit, sed ledit fortius a propinquo». 19. Fulminum diuisio et que maxime gentilitas obseruabat. Plinius II Historie naturalis Tuscorum litteras undecim genera fulminum posuisse testatur, quorum tria profitebantur a Ioue iaci (Require libro stellarum erraticarum, capitulo 14), horum tantum duo diligenter obseruasse Romanos — dicit Plinius — diurna Ioui attribuentes et nocturna Summano, sed ea dicebant diligentius obseruanda que frigidioris celi brumali tempore erumpebant. Que infera dicebantur seua maxime et execrabilia cum ea crederent non a syderibus uenientia, sed ex proxima et turbidiori natura e terra prorumpere (Require eodem libro, capitulis 18, 25; require plene libro uirorum, capitulo Ayax Oylei). xiii.18,7-20,2 20. Alia diuisio fulminum. Est alia communis diuisio fulminum quam ponit Philosophus III Metheororum, Seneca II De questionibus naturalibus 7-13. Alb. caus. I, 2,10 14-16. uide etiam Alb. Meteora III, 3, 4 19-22. Rest. La composizione, II,7. 2.19 19, 1-9. Plin. nat. II, 138 20, 1-4. uide Aristot. meteor. III 1, 371a, 19-24; Sen. nat. II, 40; Plin. nat. II, 137 7. inquit om. L (dixit add. post elementorum, l. 8) | fortissimus EBCVRoPPaT: fortissimum ReML 9. rupes BCLVPRoPaT: rapies EM lapides Re 12. percutiens ante percutientis add. CVPRo | percutientis ECLVPRoT: quatientis Pa, om. ReBM 13. secundo: recte uero tertio 14. generantur om. LC 14-15. fulmina – uapor om. LC | Nam tali uapore generantur fulmina post fulmina add. Ro | uehementissimo EReBMVPRoPaT: ingentissimo CL 17. sed – 15 om. Pa | censeo BMCLVRoPaT: sentio EReP | omittendum EReBMCLVPRo: amittendum T admittendum Pa 18. scripsit om. B 19. qualitates ECLPaT: quantitates ReBMVPRo 19, 2-3. posuisse testatur EReBMCLVPRo: testatur posuisse PaT 3. Ioue LVRoPaT: Ioui EReBMCP 5. dicit EReBMCLVPRo: dixit PaT | Summano scripsi: Sumano T Summario EReBMCLVPRo Saturno Pa 9. terra prorumpere EReBMCLVPRo: etherea (ethera T) prorumpente PaT

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et Plinius in II Historie naturalis, ut alios taceam. Fulminum quidem tria sunt genera: penetrans scilicet, dissipans et adurens. 21. De primo genere, quod penetrans dicitur. De penetrali genere inquit Seneca II De questionibus naturalibus: «Fulmen penetrans subtile est atque flammeum, cui per angustissimum fuga sit, propter sinceram et puram tenuitatem flamme» (Require eodem libro, capitulo 15), agitque mirabilia et stupenda, ut patet eodem libro, capitulo 26. xiii.20,3-24,2 22. De secundo genere, scilicet dissipante. Secundum genus fulminum appellatur dissipans quia nec adurit nec penetrat, sed diuidit, frangit et dissipat omnem solidum ut ferrum, lapides et similia, quale cecidit 1370 super ecclesia abbatie ciuitatis Aretii tempore quo iam opus istud inceperam. Nam monacis celebrantibus uesperos repente incredibilibus imbribus horrisonoque fragore dissipans fulmen ingentem crucem marmoream more patrio positam super tecto basilice incredibiliter dissipauit non in puluurem sed in milia partium, contritum marmor ad torrentis instar iacens per contratam usque ad angulum porte Buie. Cuius tam procellosi impetus causam fuisse arbitror uehementem spiritum et exhalationis grossiciem que materia eius fuit: monet me Seneca, dicens II libro De questionibus naturalibus: «Fulmen quod dissipat conglobatum est habetque commixtam uim spiritus coacti et procellosi». Ideo uis eius non forat nec adurit, sed dissipat (Require eodem libro, capitulo 26). 23. De tertio genere, quod adurens dicitur. Tertium genus appellatur adurens: comburit enim quicquid inflammata exalatio illa tangit; hoc quidem, teste Seneca II De questionibus naturalibus, multum terreni habet estque igneum magis quam flammeum, et quamquam nullum fulmen sine igne ueniat, hoc tamen maiora ardoris signa imprimit tribus modis: nam urit et fuscat, uel afflat et leui ledit iniuria, uel accendit, uel conburit. Et hoc, teste Plinio II Historie naturalis, causatur a Marte cum tanto ardoris impetu quod non modo silue, sed quandoque integre ciuitates fulminibus sunt combuste, ut patet libro ciuitatum et oppidorum, capitulo Vulsinum, sunt cremate et urbium partes, ut patet dicto libro ciuitatum, capitulo Roma. 24. Ratio fulminis descendentis licet igneus sit. Sed forsitan dicet quisquam: ‘Cum omne fulmen igneum sit et ignis natura semper ascendat,

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21, 2-4.Sen. nat. II, 40.1 22, 12-14. Sen. nat. II, 40.2 23, 2-6. Sen. nat. II, 40.3-4 6-10. Plin. nat. II, 139 24, 1-9. Sen. nat. II, 24 (Sed – est) 4. et post scilicet add. ReCVPRoT, om. EBMLPa 21, 1. penetrali EReBMCLVPRo: penetrabili PaT 4. Require – 15 om. Pa 22, 5-6. Repente – imbribus ante nam PaT 6. fragore EReBMCLV RoPa: frangore P frigore T 8. torrentis emendaui: torrenti 9. buie om. B 12. conglobatum EReBMCLVPRo: globum T globus Pa 13. ideo uis EReBMVPRoPaT: ignis LC 14. Require – 26 om. Pa 23, 1. tertium EReBCLVPRoPaT: tertius EM 6. leui EBLPPaT: leni ReMCVRo

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unde est quod fulmina terram petunt?’ Respondeo quod non natura sed uiolentia impellentis descendunt fulmina: ignis enim natura, si nil prohibet, semper ascendit, sicut aqua defertur natura, sed si aliqua uis accessit, sequitur uim maiorem. Quod certe fiet clarius hoc exemplo: uirgultorum cacumina possunt agente uiolentia usque ad terram flecti, sed cum illa permiseris repente ad naturalem locum exiliunt. Si igitur descendit ignis non natura, sed seruitus eius est. Vel dic secundum Phylosophum I Metheororum: «Inclinatur coagulatio ad deorsum, propter quod fulmina deorsum cadunt». Et Albertus Magnus III Metheororum: «Ignis — inquit — in materia graui terrea pulsus a frigore quod in sublimi excellit cum magno impetu cadit, ideo inferius potius quam superius scindit nubem» (Require eodem libro, capitulo 15). xiii.24,3-26,12 25. Quomodo ignis potest esse in aquosa nube. Si iterum dicas quomodo ignis possit esse in aquosa et humida nube, non credas in nube ignem colligi quia simul fit et cadit, ut patet 14 capitulo presentis libri. Quamquam nullum credam errorem esse si concedam quod in parte aquose nubis colligatur ignis: uidemus enim quod in lignis una pars ardet et altera sudat. Teneas tamen quod in nubibus non sit aqua, sed aer spissus, dispositus ad gignendum aquam (Require eodem libro, capitulo 57). 26. Mirabilia opera fulminum non credenda nisi diuino instructu facta. Opera fulminum adeo mira sunt quod non iniuria credi possit ut diuina uirtus seu separata intelligentia insit eis. Scribit enim Seneca II De questionibus naturalibus et Nicolaus Oresme XXXVI questione super libros Metheororum et Plinius II Historie naturalis (quos mixtim sequar in hoc capitulo) quod loculis integris ac illesis argentum conflatum sit; manente uagina gladii ferrum fluxit inuiolato ligno; intacta ciroteca manus combusta est, uestimentis intactis quandoque hominem redegit in cinerem. Interdum ossa hominis tota combussit quamquam nil male uideretur in carne. Stat quandoque uinum fracto dolio, sed non durat ultra triduum rigor ille, cum tamen ad priorem habitum redit potum exanimat aut dementes facit, eo quod quandam uim pestiferam fulmen in eo linquerit; 10-11. Aristot. meteor. I 4, 342a, 13-14 11-13. Alb. Meteora III, 3, 11 25, 1-7. Sen. nat. II, 25 (quomodo – nube); 26.1 (non credas – cadit); 26.2 (in parte – sudat); iterum 26.1 (in nubibus – aquam) 26, 2-3. uide Sen. nat. II, 31.1 (opera – eis) 6-7. Sen. nat. II, 31.1 (quod – ligno) 10-14. Sen. nat. II, 31.1 (stat – ille); 53.1-2 (cum tamen – est) 5. sicut EReBMCLVPRo: sic PaT 8. permiseris Re: remiseris cett. | igitur EBMCPaT: ergo LVPRo ignis Re 11. cadunt EReBMCLVRoPaT: petunt P 13-14. Require – 15 om. Pa 25, 3. ut – libri om. Pa 7. Require – 57 om. Pa 26, 2. fulminum EBMCLVPRoPaT: fluminum ReV 6. loculis EReBMCLVPRo: oculis PaT 7. inuiolato ReBMCLVPRoT: inuiolata Pa uiolata E post corr. | ciroteca EReCLPRoPaT: aroteca BMV 10. dolio EReBMCLVPaT: doleo PRo 11. cum EReBMCLVRo: cumque P et PaT 12. linquerit Pa: liquerit EReBMCLVRo loquerit T, om. P

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non enim stetisset uinum nisi fulmen uinculum posuisset. Preterea olei et omnis unguenti teter post fulmina ac pestilens odor est. Scribit etiam Orosius libro V et Eutropius libro IV quod illis temporibus quibus de Iugurta Gaius Marius triumphauit uirgo quedam ab Vrbe in Apuliam pergens ui fulminis exanimata est, ademptis sine scissura aliqua omnibus indumentis ac pectoris pedumque uinculis dissolutis, monilibus etiam anulisque discussis illeso corpore in uita iacuit; equus quoque eius pari modo frenis et cingulis dissolutis peremptus corruit. Scribit etiam Plinius quod Marcia, Romanorum princeps, cum esset grauida icta fulmine partu exanimato sine alio nocumento uixit, et quod M. Herennius decurio sereno die fulmine ictus est. Dicit item Seneca quod serpentum et aliorum animalium, quibus inest uis mortifera, omne noxium perditur cum fulmine sunt percussa, et cum in uenenatis corporibus neutiquam nascantur uermes, icta tamen fulmine intra paucos dies uerminantur. Et Nicolaus Oresme questione XXXVI super libros Metheororum: «Est — inquit — quiddam genus fulminum quod hominem perimit etiamsi extrema tetigerit, aliud est quod etiam feriens non occidit». Negat etiam Plinius II libro Historie naturalis a fulmine quemquam percuti qui prior fulmina uiderit aut tonitrua audiuerit. Et subdit: «Vnum animal, hominem scilicet, non semper extinguit, repente cetera, hunc honorem sibi natura tribuit, cum tot belue magnitudine ac uiribus prestent. Vigilans ictus clausis oculis dormiens uero patentibus reperitur. Nullum animal nisi exanimatum fulmine accenditur; uulnera fulminatorum reliquo corpore frigidiora sunt». Addiciam hic unum ad uim fulminis declarandam quod non eodem modo, teste Seneca, omnem materiam uexat: certe ualentiora que resistunt uehementius dissipat, cum omne contumax uincat; cedentia sepius sine iniuria transit; cum lapide, ferro et durissimis quibusque confligit per illa cum impetu uiam querens (Require eodem libro, capitulo 22). Igitur non est mirum si antiqui fulmina Ioui dabant, quamquam in hoc altior sensus sit, ut patet libro stellarum erraticarum, capitulo 20 et libro uirorum, capitulo Iuppiter. 27. Quod fulmen tollebat cuncta presagia; et quod fulmen prosperum et quod abhominabile credebatur; et obseruatio diligens antiquorum. Pre-

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15-20. Oros. hist. V, 15.20-21; haec non inueni apud Eutropium 20-23. Plin. nat. II, 137 2326. Sen. nat. II, 31.2 29-35. Plin. nat. II, 145 36-40. Sen. nat. II, 52.1 15-16. illis temporibus – triumphauit PaT om. cett. 16. ui ReBMVPRoPaT: in EC ni L 17. ademptis EReBMLVRoPaT: coeptis C et demptis P 20. corruit ReVRoPaT: corauit EBMCP corauit alias corruit L 21. esset (icta T) grauida EReBMCLVPRo: grauida esset Pa 23. fulmine om. PaT | item EBMVRoPaT: iterum CL etiam Re enim P 25. neutiquam EReBMCLVPRoT: numquam Pa 30. quemquam LRoPa: quamquam EReBMVPT quod quam C 33. prestent EBMCLV PRo: prestant PaT presteat Re 38. cedentia BCLVPPaT: cadentia EReMRo 39. illa PaT: illam EReB MCLVPRo | impetu om. Pa 40. uiam ante querens PaT, om. cett. 42. et – Iuppiter om. Pa

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dictorum omnium uarii conati sunt reddere rationes quas prolixitas operis carte imprimi non permittit, ideo aliis linquo ista discutere quibus laxius tempus est. Ego autem malim fulmina non timere quam noscere. Scias tamen quod, quia talia omnia sunt miranda, gentilitas in portentis summam uim fulminum esse dixit tollebanturque cetera omina contradicente fulmine. Refert enim Seneca II De questionibus naturalibus: «Quidquid exta, quidquid aues et alii minabantur, secundo fulmine tollebatur», sed in hoc apparet mihi ridenda gentilitas. Scio enim quod uero nihil est uerius: igitur si exta uel aues futuram predixerant ueritatem, quomodo fulmina mutant uerum? Nec comparo exta, fulmen et aues, nisi prout sunt tria signa ueri, que, si unum significant, paria sunt necesse. Sed si dicas flamme maiorem uim esse quam fumi, non mentiris, sed consideres an in presagiis idem ualeat flamma quod fumus. Notes insuper quod fulmina, teste Plinio suo De historia naturali, leua parte missa prospera gentilitas extimabat, dira maxime, que ad septentrionem ab occasu ueniunt (Require eodem libro, capitulis 18, 19). Nec omiserim quod apud proauos magna fuit huius obseruationis uanitas. xiii.27,3-28,14 28. Quibus temporibus et quibus locis cadunt fulmina et quibus non; quare fulminat estate potius quam hyeme; quare sepius turres et montium cacumina quam depressa loca feriantur a fulmine. Hyeme ac estate contrariis causis rara sunt fulmina: nam hyeme densatus aer crassiore nubium corio et omnis terrarum exalatio gelida quitquid uenerit ignei uaporis extinguit, que ratio inmunem Scithyam et circa rigentes extremitates a fulminum casu facit. Econtra nimius ardor defendit Egyptum, ita exalationes attenuans quod uel nulle uel tenuissime nubes fiant, nec propter hoc fulminat in estate. Vere autem et autumno crebriora sunt fulmina, corruptis estatis et hyemis causis, qua ratione crebra in Italia mittuntur fulmina, potissime quando Saturnus regnat, ut patet libro stellarum erraticarum, capitulo 6. Imo partes ille que multum a septentrione discedunt et ad temperiem ueniunt, qualis est tractus Campanie, a fulminibus estate leduntur et hyeme: nam ibi mitior hyems et nubilosa estas semper 5. Sen. nat. II, 59.1 (malim – noscere) 8-15. Sen. nat. II, 34.1-3 (Quidquid – fumus) 15-17. Plin. nat. II, 142-143 28, 3-15. Plin. nat. II, 135-136 (Hyeme – uernat) 4. carte EReBMCLVPRo, supra l. Pa: cure PaT | ideo aliis linquo ista discutere EReBMCLVPRo: ista ergo discutienda linquo PaT | laxius EReBMCLVRoT: latius PPa 5. ego LPaT: ergo EReBMCVPRo | scias EReBMCLVPRoT: scio Pa 6. quod quia BPaT: quia ReMCLPRo quod EV 9. exta EReBMVPRoPaT: extra CL esca P | tollebatur BCLVPRo: tollebantur ERePaT 14. maiorem uim Pa (cfr. Sen. nat. II, 34.3): uim maiorem cett. 15. quod EBMCLVPRo: quam PaT et Re 16. parte EReBMCLPaT: partem VPRo 17-18. Require – 19 om. Pa 28, 10. crebra EReBMCLVPRo: crebrius Pa crebris T 12. imo BCLVPRoPaT: ideo EReM 14. hiems VRoPa: hiemis EReBMCLPT

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quodammodo uernat, ut patet libro prouinciarum et regionum, capitulo Campania. Estate tamen fulminat sepius quam in hyeme quia tunc aeris regio plurimum calida est, ideo attritu facilius ignis accenditur. Cadunt quandoque de nocte fulmina, ut patet libro uirorum, capitulo Summanus. Nec omiserim quod, quia fulmina pelluntur rabida ui uentorum, qui oblique flant, semper ideo turres et ecclesiarum nolaria et cacumina montium sepius fulminibus lesa sunt eo quod fulminibus proximiora sint per aerem discurrentibus oblique. 29. Remedia contra fulmina et omnia quecumque mala; que res non leduntur a fulmine. Seneca V De questionibus naturalibus, ponens remedia contra fulmina: «Nimborum — inquit — uim effusam et sine fine cadentes aquas tecta propellunt, fugientes non sequitur incendium; in epydimia mutare sedes experiencia tutum docuit» (Require libro populorum, capitulo Mirmidones); «aduersus tonitrua minasque celi subterranee domus et in altum specus fosse remedia sunt. Ignis ille celestis non penetrat terram sed exiguo eius obiectu retunditur». Roborantur dicta Senece auctoritate Plinii dicentis II libro Historie naturalis quod numquam altius quinque pedibus descendit in terram fulmen. Ideo pauidi altiores specus tutissimos putant aut tabernacula pellibus beluarum quas uitulos marinos dicunt, quoniam hoc solum animal e marinis non feriunt fulmina, sicut nec e uolucribus aquilam que ob hoc armiger Iouis fingitur (Require de ornamentis aeris, capitulo Aquila). Ex his etiam que gignuntur a terra lauri frutex a fulmine inmunis est (Require libro arborum, capitulo Laurus et libro herbarum, capitulo Barba Iouis). Ob quod Tiberius Cesar, prout scribit Policratus I De nugis curialium, turbato celo semper lauream coronam gestabat in capite, quia hoc genus frondis fulmine numquam afflatur. Et ipse fulmina et tonitrua uehementer exhorruit, sed longe magis tutior homo est si salutifero se impresserit signo crucis, illum mente firmissima uenerando qui suis cultoribus omnem metum excutit. Dixit enim X capitulo Ieremia: «A signis celi ne timueritis que timent gentes, quia ego uobiscum Dominus Deus uester». Hec quoque uerba inter tonandum uel audita uel dicta a

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16-17. Sen. nat. II, 57.2 (Estate – accenditur) 29, 3-7. Sen. nat. VI, 1.6 (nimborum – incendium; aduersus – retunditur) 9-15. Plin. nat. II, 146 16-24. Io. Sarisb. nug. I, 13, 214-225 15. uernat EReBCLRoT: uenatur V uenit Pa 15-16. ut – Campania om. Pa 19. qui ReBMC LVPPaT: quia E quod Ro 21-22. per – oblique om. ReV 29, 4. tecta om. B 5-6. Require – Mirmidones om. Pa 6. minasque Pa (cfr. Sen. nat. VI, 1.6): ruinasque cett. et Pa supra l. 8. exiguo ERe BMCVPRoPaT: ex igne LP 12. sicut EReBMCLVPRo: sic PaT | e ReBMVPPaT: est ERo, om. CL 13-14. Require – Aquila om. Pa 15-16. Require – Iouis om. Pa 20. illum (alias illud) L (cfr. Io. Sarisb. nug. I, 13, 220): illud cett. 23. Deus PaT, om. cett. (cfr. Io. Sarisb. nug. I, 13, 223)

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noxa fulminis tutum faciunt. Scribit etiam Suetonius in II libro De duodecim Cesaribus quod Octauianus Augustus tonitrua et fulgura in tantum expauescebat quod semper portaret secum pellem marini uituli pro remedio dicitque eum semel nocturno itinere constratum transcursu fulgurum, ob quod in Capitolium fecit edem construi Tonanti Ioui (Require plene in libro uirorum, capitulo Iouis). Vult etiam Plinius II libro Historie naturalis quod nemo sentiat ictum fulminis, qui aut tonitrui sonum aut coruscationem preuiderit. Vides igitur quod nullum malum sine effugio est. 30. Quid fulmen arte quadam euocatur a celo. Fulmen quibusdam carminibus et arte quadam gentiles faciebant cadere, scribente Plinio II Historie naturalis quod, cum Vulsinum opulentum Tuscorum oppidum usque ad menia monstruosa belua uastaretur, quam dicebant Oltham, fulmen e celo a Porsenna suo rege, et ante eum a Numa et Tullo regibus Romanorum, sepius euocatum fuerat, ut patet libro uirorum, ubi de Tullo tertio Romanorum rege agitur. xiii.29,24-31,18 31. De monstruosa forma celi mortalibus interdum uisa. Celum ardere uisum frequenter legimus in historiis, cuius interdum tam sublimis ardor conspectus est ut inter ipsa sidera fuerit creditus, nonnumquam tam humilis ut speciem humilis incendii prebeat. Scribit enim Seneca I De questionibus naturalibus quod tempore Tiberii Cesaris cohortes in auxilium Hostiensis colonie celeri cursu inerunt credentes Hostiam igne solui; apparuit enim celi ardor per maximam partem noctis. Simile Aretii oculis meis uidi anno uigesimo quarto etatis mee, mox quinto sequenti anno Liga Italica duce communi Florentie priuauit pastores Ecclesie dominio temporali. Scribit Plinius II libro Historie naturalis quod iam celum totum sanguinea specie uisum sit quo nil est terribilius timori mortalium, quale uisum est cum rex Phylippus Greciam quatiebat. Et Orosius refert in libro IV quod, tempore quo Hanibal apud Trahsimenum lacum maxima clade Romanos affecit, ut patet libro uirorum ubi agitur de G. Flaminio, uisus est sol pugnare cum luna, et apud Phaliscos uisum est hyatu maximo scindi celum, unde maximum lumen effulsit secundum Liuium II libro De secundo bello punico. Habetur etiam in Chronicis Martini quod imperante Lotario secundo circa annos Domini 955 sol apparuit totus sanguineus, 25-28. Suet. Aug. 90-91 29-31. Plin. nat. II, 142 31. Sen. nat. VI,1.6 (nullum – est) 30, 1-6. Plin. nat. II, 140 31, 1-7. Sen. nat. I, 15.5, sed uide etiam Alb. Meteora I, 4,9 10-12. Plin. nat. II, 97 13-14. Oros. hist. IV, 15.5-6 (tempore – affecit) 15-16. Oros. hist. IV, 15.1; Liu. XXII, 1.11 (sol – effulsit) 17-19. Mart. Chron. A.D. 938 (imp.) 24-29. Scribit – Iouis PaT, om cett. 27. transcursu Pa: transcursum T 28-29. Require – Iouis om. Pa 29. uult om. PaT 31, 6. inierunt scripsi: inerunt PaT inerint EReP, fort.MV iuerint BCLRo 10. quod EBMCLVPRo: de PaT, om. Re

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sed post paucos dies magna cedes hominum in Italia facta est. Nec esse futurorum signa quisquam ambiget, reminiscens Dei promissionis dicentis XXI capitulo apud Lucam: «Erunt signa in sole et luna stellis, etc.». 32. De prodigiis uisis in celo uel aere. Scribit Plinius II Historie naturalis: «Armorum strepitus et tubarum sonitus auditos e celo Cimbricis bellis accepimus, crebroque et prius et post. Quin etiam tercio consulatu Marii a Mamertinis et Tudertinis spectata sunt arma ab ortu et occasu inter se currentia et pulsa sunt que ab occasu erant». Idem Virgilius in VIII cecinit factum esse illo tempore quo Eneas uenit ad Italos sub hiis uerbis:

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«Arma inter nubem celi in regione serena per sudum rutilare uident et pulsa tonare». Et Orosius libro IV: «Tempore — inquit — quo Hanibal apud Trasimenum lacum maxima clade Romanos affecit (ut patet libro uirorum, ubi agitur de G. Flaminio), apud Arpos parmas in celo uisas duasque inde prolapsas». Scribit Liuius libro II De secundo bello punico: «Ita scriptas: ‘Mauros telum suum concutit’»; adiunxit solem uisum pugnare cum luna tresque lunas diuersis celi partibus ortas et alia multa (Require precedens capitulum et libro stellarum erraticarum, capitulis 46, 57, 58, 92 et libro ciuitatum, capitulo Ierusalem et libro uirorum ubi scripsi de Cesare primo imperatore sub rubrica ostenta). Post

necem Cesaris stella uisa est Ierosolimis ante ipsorum excidium minari cum gladio. Vise sunt etiam in celo currus quadrige et armate cohortes (Require libro ciuitatum et oppidarum, capitulo Ierusalem). Quando effera Lombardorum gens, de uagina sue habitationis educta, in cristianos Ytalos maxime crassata est, subuertendo urbes et castra, cremando ecclesias atque monasteria uirorum et feminarum, acies atque haste ignee in celo sunt uise ab aquilonis parte, prout scribit Gregorius III Dyalogorum. Multa alia eodem libro notata sunt, capitulis 2, 3, 4, 5, 6. 33. De uentis: de eorum principio et quare quandoque uentus spirat calidus. Volens de uentis tractatum facere, primo scias quod posui originem ipsorum secundum poeticas fictiones libro uirorum, capitulo Astrei et capitulo Eolus. Hic autem loquendo physice dicam cum Phylosopho II

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21. Lc 21, 25 32, 2-5. Plin. nat. II, 148 7-8. Verg, Aen. VIII, 528-29 9-11. Oros. hist. IV, 15.1 12-14. Liu. XXII, 1,11 19-23. Greg. Dial. III, 38.3 20. reminiscens ELVRoPaT: remiscens ReBMCP | Dei EReBMCLVPRoT: diuine Pa 21. et luna post sole add. PaT | suppleui 32, 4-5. inter – erant om. Ro 11. in – prolapsas om. P 12. Mauros: recte uero Mauors (cfr. Liu. XXII, 1,11-12) 13. telum EReBMVT: celum CLP, Ro post corr. tellum Pa 14-15. precedens – et om. Pa 15-16. 57 – Ierusalem om. Pa 16. uirorum post libro add. LPaT 16-17. sub – Cesaris om. P | ostenta ReBMCLVRo: ostensa E, om. PPaT 17. excidium EReBMCLRoPaT: exicidium V exidium P 19. Require – Ierusalem om. Pa 22. acies (aties B) EReMCLVPRoT: aereas Pa 24. eodem libro EReBMCLVP RoT: etiam Pa | capitulis 2, 3, 4, 5, 6 : ut infra in isto patebit Pa

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Metheororum quod uenti ex uno principio omnes fluunt, ob quod a poetis dicuntur fratres, eo quod ex eadem materia generentur. Hoc quidem principium Albertus Magnus III Metheororum aperit sub his uerbis: «Omnis uentus fit ex uapore frigido et sicco, sed talis duplex est: subtilis scilicet, qui ascendens sua frigiditate aerem percutit et uentum facit, sed quod propter grossitiem nequit ad superrimam aeris partem scandere, generat uentos in prima uel media regione aeris (ascendunt enim uapores plus et minus secundum quod plus et minus subtilitatem habent). Ille autem uapor grossus, corpulentus et terreus, qui remansit in uisceribus terre, nisi exitum inueniat, terremotum facit», prout etiam dicetur cum de terremotu scribam. Sed hic nota quod, quamquam uentorum materia sit uapor frigidus, tam quandoque calidus uentus spirat: «Ideo — subiunxit — spirat tamen uentus quandoque calidus, quia exitus flatus eius et principium eleuationis materie sit ex locis meridionalibus, que naturaliter calida sunt et sicca» (Require eodem libro, capitulo 40). Vlterius scias quod uentorum flamina Thales Milesius docuit ante omnes (Require libro uirorum, capitulo Thales Milesius). xiii.33,5-34,15 34. Quid sit uentus, quid semper spiret et quando magis et quando minus spirat et quid omni quadriennio idem uenti flant. Ventus, prout scribit Albertus III Metheororum, est terrenus uapor frigidus et siccus resolutus a terra uirtute celesti, mixtus, aerem mouens. Dixerat enim prius Algazel quod uapor terreus subtilis in estum uirtute solis eleuatur a terra, qui non possit ad superius intesticium aeris ascendere, uictus a frigore frigidatur, percutitur, spissatur, mouetur et aerem pulsat. Multi sunt alii dicentes uentum esse aerem pulsum et impellentem, quos omnino silentio preterirem, nisi Augustinus scriberet libro De quantitate anime uentum nil esse quam aerem motum et agitatum, et hoc idem asseruit Beda XXXVI capitulo libri De natura rerum. Albertus autem preallegato III Metheororum impugnabat omnes dicentes uentum aerem esse, ubi contra uentum ex materia aeris non esse possibile, cum uentus fiat ex uapore frigido et sicco et aer sit calidus et humidus temperate. Et Philosophus reprehendens eosdem II Metheororum dixit: «Secundum eosdem uentus 5. Aristot. meteor. II 4, 360a, 12-13 5-6. uide Ou. met. VI, 693 (a poetis – fratres) 7-14. Alb. Meteora III, 1, 1 16-19. Alb. Meteora III, 1, 2 34, 2-7. Alb. Meteora III, 1, 5 7-8. Alb. Meteora III, 27 9-10. Aug. quant. VI, 6; Beda, nat. XXVI 11-14. Alb. Meteora III, 1, 7 15-16. Aristot. meteor. II 4, 360a, 19-22 8. terrestri post uapore add. T 8-16. talis – tamen add. PaT, om. cett. 16. tam suppleui: tam PaT, om. cett. 17. quia ante quandoque habent EReBMCLVPRo, om. PaT 18. sit EReBMVP RoPaT: fit CL 34, 4. uirtute EReCTPa: uirtuti BMVLPRo 5. in estum emendaui ex Alberto Magno (Meteora III, 1, 5): inesse suo 6. suppleui 11. 36 , recte uero XXVI 12. post impugnabat usque ad XIII.40, 5 (et uentus) deest E

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erit nubis et aqua», sed hic potest obici contra Phylosophum et Albertum sic: si uera est diffinitio Phylosophi et Alberti quod uentus sit uapor frigidus et siccus, unde est quod zephyrum cunctosque uentos occidentales calidos dicimus et humectos? Respondeo phylosophos dixisse uerum et ad obiecta dico quod uenti occidentales in sua origine naturaliter frigida sunt et sicci, sed ueniendo ad nos transeunt per medium zone torride: ergo accidentaliter fiunt calidi et fugando nubes ad nostrum terre angulum pluuias operantur, ideo ab effectu dicimus eos calidos. Tunc ultra si flamina ista sunt humida, quo saluabuntur phylosophi dicentes quod omnes uenti flantes sine pluuia omnem humiditatem in superficie terre siccant, similiter siccant uestes, herbas et arbores madefactas? Respondeo propter suas siccas et frigidas qualitates, et si obicias de uentis occidentalibus, qui calidi sunt et humidi, respondeo quod ratione caliditatis sunt desiccatiui (Require in eodem libro, capitulo 37). Vlterius noscas quod semper spirat uentus, licet non eum semper auribus hauriamus: signum est quia semper uidemus corpuscula in radiis solis, alia sursum, alia deorsum sine ulla intermissione moueri. Nec tempus est quod magis uento careat quam cum sint nebule. Spirant tamen uenti fortius et remissius secundum uarias horas eiusdem diei, dicente Plinio II Historie naturalis: «Sol auget et comprimit flatus: auget quippe oriens et occidens comprimit meridianis et estiuis temporibus. Itaque medio die aut in medio noctis plerumque sopiuntur, quia ex nimio frigore aut estu soluuntur. Et imbribus sopiuntur uenti» (Require libro stellarum erraticarum, capitulo 35). Et Alchardianus libro De presagiis: «Diuturniores — inquit — et fortiores uenti fiunt, qui flare incipiunt die quam nocte». Et subdit: «Si autumnus fiet uentosus, hyems erit tranquilla, si uero e contrario et hyems modo contrario se habebit». Vult etiam Plinius preallegato II libro quod, si de uentis omnia obseruabis, redire comperies easdem uices quadriennio exacto et non modo uentorum, sed reliquarum tempestatum ex magna parte. Et est semper lustri eius principium intercalario anno in ortu Canicule. xiii.34,16-35,2 35. Venti ethymologia, eius impetus et generalia uentorum nomina. Ventus dicitur quasi ‘uiolentus’: est quippe uentorum tam grandis uiolentia ut

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20-23. uide Macr. somn. II, 5, 20 31-32. Sen. nat. V, 1.2 (corpuscula – moueri) 34-38. Plin. nat. II, 129 42-45. Plin. nat. II, 130 35, 1-2. Vgut. deriu. U 14, 1 (Ventus – uiolentus) 16. nubis ReMVPRoPaT: nubes CL 16-29. sed – 37 add. PaT, om. cett. 24. flamina Pa: flama T 30. hauriamus EReBCLVPRoT: audiamus Pa haunamus fort. M 31. uidemus ReBMCLVP PaT: eadem Ro 32. intermissione Pa: interpositione ReBMCLVPRoT 33. cum sint ReBMCLP RoT: c. sunt Pa quod stat V 36-37. die…sopiuntur om. Re 40. die LTPa: diei ReBMCVPRo 41. erit ReBMCLPRo: est V fiet Pa fit T | contrario post modo add. PaT 42. preallegato II ReBMCLV PRoT: capitulo superposito Pa

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non tantum pregrandes naues multiplici honustas pondere per mare uehat seu annosas quercus disruptis fractisque radicibus in aliam regionem defert, sed celsas turres arcesque sublimes et oppida tota subuertit. Quid plura? Inquietat tanta rabie uniuersa, quod omnem mundum, si rerum pateretur natura extra ueteres terminos, uideretur posse transferre, dicente Virgilio I Eneidos: xiii.35,3-36,9 «celsa sedet Eolus arce sceptra tenens mollitque animos et temperat iras. Ni faciat, maria ac terras celumque profundum quippe ferant rapidi secum uerrantque per auras». Et Lucanus in IX, describens partem Libie Sirtibus proximam per quam Cato duxit exercitum, cecinit sub his uerbis:

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«Regna uidet pauper Nasamon errantia uento discussasque domos, uolitantque a culmine rapte de tecto Garamante case», etc. (Require eodem libro, capitulo 39). Flatus, et flamen, dicitur quoniam flat;

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spiritus quia spirat; aura dicitur quasi ‘aerea’, nam leuis aeris motus est, ut patet capitulo 43; turbo est procellosi uenti impetus a ‘turbando’ dictus quia omnia turbet (Require eodem libro, capitulo 42). 36. Quot sunt uenti et uentorum differentia. Particularia uentorum nomina his uersibus comprehenduntur: «Sunt subsolanus, uulturnus et eurus eoi. Circius occasum zephyrusque fauonius afflant, sed ueniunt aquilo, boreas et corus ab arto. De die medio notus exit et affricus auster». Verum de his nominibus aliqui non concordant: nam Seneca IV De questionibus naturalibus uult quod ab oriente equinoctiali sit subsolanus, ab oriente hyberno eurus, qui etiam uulturnus dicitur secundum eum; ab

9-12. Verg. Aen. I, 56-8 15-17. Luc. IX, 458-60 18-21. Vgut. deriu. F 82, 1 e 7 (Flatus – flat); S 287, 4 (spiritus – spirat); A 17, 6 (aura – est); T 78, 36 (turbo – turbet) 36, 3-6. horum uersuum quis auctor sit prorsus ignoro 7-13. Sen. nat. V, 16.4-5 9-12. celsa – auras om. Pa 10. sceptra L: septra ReBMCVPRoT 11. maria om. P 12. secum MVT: secumque cett., om. Pa | uerrantque MCVPRoT: uenerantque ReB, fort, L 13. in om. PaT 13-17. Sirtibus – case, etc. ReBMCLVPRoT: sed pretereo causa breuitate Pa 16. rapte ReB MCVPRoPa: raptos T capte L 18. Require – 39 om. Pa | et flamen om. LC 19-20. nam – 43 om. Pa 20. dictus ReBMCLVPRo: dicitur PaT 21. Require – 42 om. Pa 36, 3. eoi ReCLVRo: ab eoo Pa eor T coi P, fort. M 4. circius ReMVRoPaT: curius BC cuius L circitius P | occasum ReBMV PRoPaT: occasus CL 9. oriente ReBMCLVPRo: occidente PaT | etiam ReBMCLVPPaT: contra Ro

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oriente solsticiali dicit Seneca uentum esse innominatum apud nos; ab occidente equinoctiali dicit esse fauonium, qui zephyrus alio nomine nominatur, sed uersus dicunt quod zephyrus et fauonius sunt diuersi; a solsticiali corus, quem uersus dicit de septentrionalibus esse, et Lucanus libro V dicit eum uenire ab Atlanteo oceano, id est ab occidente, cuius uerba sunt: «Primus ab oceano caput exeris Atlanteo, Core, mouens estus» etc. A hyemali africus, a septentrione aquilo est, et sic patet qualiter a predictis carminibus discordat Seneca et quomodo duodecim sunt uenti, quamquam ueteres, prout scribit Vegetius libro IV De re militari, tantum quattuor uentos a singulis celi partibus flare crediderint. Ideo nec plures Homerus nominat, prout scribit Plinius II libro Historie naturalis, quos unico carmine clausit Seneca dicens in Agamemnone, describens tempestatem quam passus fuit Agamemnon dum a Troiano reuerteretur excidio: «Rapiuntque pelagus infimo euersum solo aduersus euro, zephirus et boree nothus». Etas autem posterior nouit — ut dixit — duodecim esse uentos secundum numerum signorum celestium, nec inmerito: non enim semper eodem loco sol oritur aut occidit. xiii.36,10-37,11 37. De uentis orientalibus et eorum proprietatibus. Prosequamur nunc uentos eo ordine quo in preallegatis carminibus sunt collecti: subsolanus, quasi ‘sub sole natus’, surgit, teste Damasceno XXV capitulo sui libri Sententiarum et Seneca IV De quaestionubus naturalibus, ab oriente equinoctiali; uulturnus ab oriente solsticiali est, cum legatur in Glossario unde Papias decerptus est; subsolanus a dextero latere uulturnum habet, a leuo eurum. Similis sententia habetur his uersibus: «Ex oriente uenis qui subsolanus haberis. Est tibi uulturnus desiccans frigora uinctus; eurus adest ingens orientem nubibus inplens».

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Eurus, teste Damasceno, Plinio et Seneca IV De questionibus naturalibus, 15-16. Luc. V, 598-99 17. Sen. nat. V, 16.6 18-20. Veg. mil. IV, 38, 5 20-21. Plin. nat. II, 119 24-25. Sen. Ag. 475-76 37, 2-3. Vgut. deriu. S 185, 19 (subsolanus – natus) 2-5. Io. Dam. fide II, 8; Sen. nat. V, 16.4 (subsolanus – equinoctiali) 8-10. uersus ignoti 11-12. Io. Dam. fide II, 8; Plin. nat. II, 119; Sen. nat. V, 16.4 (eurus – ab oriente brumali) 10. Seneca om. Pa 11-12. alio – zephyrus om. Ro 12. sed emendaui: et 14-16. ab1 – etc. om. Pa 15. Atlanteo scripsi: Athalanteo | oceano – Atlanteo om. Re 17-18. a predictis – et add. PaT 18. quomodo Pa: qualiter ReBMCLVPRoT 19. libro – militari om. Pa 20. uentos ReBMCLRoPaT: uentus V uenti P | crediderint BMCLVRoT: crediderunt RePa crederint P 21. II Historie naturalis om. Pa 23. reuerteretur ReBMCLRoPaT: reuertetur VP 26. autem ReLPaT: aut BMVCPRo 37, 3-4. XXV – naturalibus om. Pa | sui – IV om. T 7. uerbibus ReBMCLVPRoT: carminibus Pa

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perflat ab oriente brumali: signum est quod nubes gignit, cum dicat tragicus in Agamemnone: xiii.37,12-38,11 15

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«Eurus orientem mouet, Nabathea quatiens regna et Eoos sinus». Et dicitur eurus eo quod ab Eoo, id est oriente, ueniat. Hi quidem nobis orientales uenti, prout scribit Philosophus II Metheororum, calidi sunt et sicci (Require eodem libro, capitulo 33): calidi quippe sunt quia morantur in eadem parte cum sole, sicci quia mare orientis remotissimum est a nobis, quapropter siquid humiditatis afferrent, solis ardore consumitur. Hi etiam, prout Auicenna profitetur, in principio diei corpus in sanitate custodiunt formamque bonam rebus tribuunt, si flauerint in ortu solis quia tunc temperatissimo aere spirant; in principio autem noctis non multum salubres sunt, quamquam eos dicat semper occidentalibus meliores, cum inter frigiditatem et caliditatem temperantiam ducant. Et subiunxit post unam cartam: «Ciuitas, que ab oriente aperta est in oppositione eius posita, est sana et boni aeris; sol enim in principio diei super eam eleuatur et clarificat aerem eius» (Require libro De edificiis memoratu dignis, capitulo 2). 38. De uentis occidentalibus. Circius secundum preallegata carmina est uentus occidentalis dictus quia zephyrum circuat, eo quod eius collateralis sit, uel a circuitione et turbine, uerius ut opinor, prout monstratur eodem libro capitulo 42, et quamquam sit niuosus et grandinosus, prout patet in hoc uersu: «Circius hinc gelidus niuibus seu grandine fretus».

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Dicit tamen Plinius II Historie naturalis quod in Narbonensi Gallia clarissimus uentorum sit, nec in uiolentia inferior aliquo, sed non modo in reliquis celi partibus dicit eum ignotum esse, sed — profitetur — ne Viennam eiusdem prouincie urbem attingat (Require eodem libro, capitulo 43). Zephirus, teste Lactantio super II Tebaide, dicitur a ‘zoe’ Grece quod Latine ‘uita’ 14-15. Sen. Ag. 482-83 16. Isid. etym. XIII, 11.4; Vgut. deriu. E 86, 2; Alb. Meteora III, 1, 22 (eurus – ueniat) 17-18. Aristot. meteor. II 6, 364b, 23-24 18-10. Bart. Ang. propr. XI, 3 21-28. Auic. Canon I (2), 2, 10 38, 2-3. Alb. Meteora III, 1, 22 (eo – sit) 6. uersus ignotus 7-10. Plin. nat. II, 121 10-12. Lact. Th. II, 4 12. perflat ReBMCLVPRo: proflat T cum proflat Pa | brumali om. Pa | quod ReBMCLVPRo: quia PaT 12-15. cum – sinus om. Pa 16. eoo B: eoos (eos Re) MPT edos CLVRo 18. Require – 33 om. Pa 19. mare ReBMVPRoPaT: maxime CL 21. profitetur ReBMVPRoPaT: defitetur CL | in principio diei Pa: principio C primo ReBMLVPRoT 23. autem ReBMLPPaT: ante VRo aut C 25. temperantiam ducant PaT: temperatas dicat cett. 26. post unam cartam om. Pa | aperta est ante ab PaT 27. enim LPaT (cfr. Auic. Canon I (2), 2, 10): est BMCVP cum Re etiam Ro 38, 3. a circuitione ReBMCLVPRo: acuitione PaT 3-4. prout – 42 om. Pa 11. zoe scripsi: zephs BCLVP Zephis PaT Cephs ReMRo

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interpretatur. Ipse enim, teste Damasceno preallegato XXV capitulo sui Libri sententiarum, adeo flat suauiter a meridie usque in noctem et a principio ueris usque in finem estatis, quod omnibus satis uideatur inferre animam. Fauonium equinoctiale occidens mittit, a ‘fauendo’ seu ‘fouendo’ dictum: nam fauet et fouet ita clementer quod omnia uirere faciat. Hi occidentales uenti sani sunt circa occasum lucis, prout Auicenne placet in libro I: nam tunc eos sol purificat et abstergit. «In ortu autem diei — scribit — eos spissiores et crassiores , eo quod sol nil cum eis fecerit». 39. De uentis septentrionalibus. Aquilo uentus frigidus et siccus a septentrionali plaga spirans dicitur quasi ‘aquas ligans’, id est nubes dissipans, quod sensit Ouidius ubi I De transformationibus, cum deus diluuio uoluit mundum perdere claudendo uentos qui nubila fugant, dixit: «Protinus Eoliis aquilonem clausit in antris et quecumque fugant inductas flamina nubes»

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(Require eodem libro, capitulo 40); et tamen fecundat uites, ut patet liber ar-

borum, capitulis 162, 163. Boreas septentrionale flamen ab Yperboreis montibus a quibus spirat dicitur secundum Ysydorum XIII Ethimologie, cuius miranda uis scribitur ab Ouidio sic de ipso loquente VI libro De transformationibus: xiii.38,12-39,22 «Apta mihi uis est: hac tristia nubila pello, hac freta concutio nodosaque robora uerto induroque niues et terras grandine pulso; idem ego cum fratres celo sum nactus aperto (nam mihi campus is est), tanto molimine luctor, ut mediis nostris concursibus insonet ether exiliantque cauis elisi nubibus ignes; idem ego cum subii conuexa foramina terre supposuique ferox imis mea terga cauernis, solicito manes totumque tremoribus orbem»

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(Require eodem libro, capitulo 35 et libro mulierum, capitulo Orithia). Corus

12-15. non inueni apud Damascenum 15. Sen. nat. V, 16.5 (fauonium – mittit) 15-16. Isid. etym. XIII, 11.8 (Fauonium – faciat) 16-19. Auic. Canon I (2), 2, 10 18. emendaui 39, 1-2. Isid. etym. XIII, 11.12; Vgut. deriu. A 306, 7 (Aquilo – ligans) 5-6. Ou. met. I, 262-63 8-9. Isid. etym. XIII, 11.13 12-21. Ou. met. VI, 690-99 12-13. preallegato – sententiarum om. Pa 39, 2. plaga post septentrionali add. Pa, om. cett. | nubes BMCLVPRoT: nubens Re imbres Pa 4. fugant ReBMCLVPRo: fugat PaT 7. Require – 40 om. Pa | tamen LRoTPa: tam ReBMCLVP 7-8. ut – 163 om. Pa 13. uerto L: uento cett. 15. celo ReBMCLVPRo: celum PaT 18. cauis B: canis ReMCLVPRo causis PaT 19. conuexa ReBMRoPaT: connexa CLP, dub. V

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quidem procellosus uentus est, quod in Agamemnone monstrauit Seneca quando dixit: xiii.39,23-39,53 25

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«quid rapidus ora corus oceano exerens? mundum reuelli sedibus totum suis ipsosque rupto crederes celo deos decidere», etc. Hic, teste Beda, nebulosum aerem facit in oriente, cum serenitatem faciat in occiduo. Hunc A. Gellius II Noctium atthicarum appellat caurum, quo nomine etiam eum dixit Virgilius III Georgicon, ut patet in his carminibus: «non, eure, tuos neque solis ad ortus, in boream caurumque», etc.

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Et paulo post subiunxit: «Semper hyems, semper spirantes frigora cauri»,

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super quo passu dixit Seruius, egregius Virgilii commentator: «Maronem ‘caurum’ posuisse pro ‘coro’ eo modo quo ‘saurex’ pro ‘sorex’ dicitur». Hi septentrionales uenti sunt, teste Plinio II libro Historie naturalis, salubriores ceteris, cum oriantur in excelsissimis septentrionis montibus et adeo congelata loca transeunt quod usque ad nos puri flantes ueniant. Ipsi enim frigidi sunt et sicci, ideo corpora infrigidant et desiccant, sed ratione sue puritatis subtiliant et decorant, quapropter in aquilonari plaga sunt homines elegantioris forme: nam ex frigido clauduntur pori corporum et intus calor naturalis clauditur cuius uirtute corpus extenditur et forma corporis decoratur. Et Auicenna in libro I: «Septentrionales — inquit — uenti corroborant corpora et indurant clauduntque poros et fortem faciunt digestiuam, constipant uentrem et prouocant urinam et aerem putridum ac pestilencialem sanant». Addit his bonitatibus Almansorus: «Tussim tamen faciunt et egritudines in gutture et pulmone» (Require libro eodem, capitulis 45, 55 et libro populorum, capitulo Mirmidones). Et subdit Auicenna preallegato libro I: «Post septentrionales saniores sunt orientales, post quos sunt occidentales et deteriores sunt meridionales». 25-28. Sen. Ag. 484-86 29. Beda, nat. XXVII 30-31. Gell. II, 22. 12 33-34. Verg. ge. III, 27778 36. Verg. ge. III, 356 37-38. Seru. ge. III, 278 38-46. haec uerba (Hi – decoratur) apud Plinium non inueni 46-49. Auic. Canon I (2), 2, 10 49-50. Liber Rasis III, 25 52-53. Auic. ibidem 25. exerens ReBMCVPRo: exherens PaT exterres L 27. crederes ReBMVPRo: credens CLPaT 31. etiam ante Vergilius habet Pa 31-38. III Georgicon – dicitur om. Pa 36. semper post hiems om. Ro 43-44. homines elegantioris (elegantiores ReLP) forme ReMCLVPRo: elegantes (elegant T) homines et elegantioris forme PaT 47. corroborant Pa (cfr. Auic. Canon I (2), 2, 10): roborant cett. 50-51. Require – Mirmidones om. Pa 52. sunt PaT, om. cett.

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40. De uentis meridionalibus. Notus, uentus meridionalis, secundum Senecam IV De questionibus naturalibus et A. Gellium II Noctium Atticarum Grecum nomen est, sed Latine nominari austrum, dicunt ab ‘hauriendo aquas’, sed in premissis carminibus notus ab austro distinctus est. Quidquid tamen sit, cum ipse et uentus quilibet natura frigidus sit et siccus accidentaliter, nichilominus siccus est, uult enim Beda, quod dum ad nos properat per torridam zonam transeat unde calorem accipiat et ab aquarum multitudine quas preteruolat humiditatem sumat sicque per accidens mutata natura calidus et humidus ad nos uenit (Require eodem libro, capitulo 34). Quod et Ouidius sensit quando dixit I De transformationibus:

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«Emittitque notum: madidis notus euolat alis xiii.40,1-40,30 terribilem picea tectus caligine uultum: barba grauis nimbis, canis fluit unda capillis, fronte sedent nebule, rorant penneque sinusque». Auster, ut dixi, ab ‘hauriendo aquas’ nomen accepit; hic, teste Alberto Magno III Metheororum, calidus est et humidus, quod intelligi debet nobis, et per accidens ut dixi paulo supra, ob quod nobilitat uites, ut patet in libro arborum, capitulis 162 et 163. Densat aerem et nutrit nubila, quia ratione caloris terre poros aperit et pluuiis habundat humore, quod clare monstrauit Ouidius I Methamorphoseon quando dixit:

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«Scythiam septemque triones horrifer inuasit boreas; contraria tellus nubibus assiduis pluuioque madescit ab austro». Et Macrobius II libro Super Somnium Scipionis: «Ventus — inquit — qui per meridianum cardinem ad nos uenit, id est auster, ita in origine sua gelidus est, quemadmodum septentrio apud nos, sed quia per torridam zonam ad nos commeat admixtus igni calescit et sic, qui oritur naturaliter frigidus, accidentaliter uenit calidus. Non enim rationalis natura pateretur ut ex duobus equo pressis rigore cardinibus dissimili tactu flatus emitterent, nec dubium est nostrum septentrionem ad illos qui austra-

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40, 1-4. Sen. nat. V, 16.6; Gell. II, 22, 14 (Notus Grecum nomen est); Isid. etym. XIII, 11.6 et Vgut. deriu. H 9, 4 (dicunt – aquas) 11-14. Ou. met. I, 264-267 15. Isid. etym. XIII, 11.6; Vgut. deriu. H 9, 4 (Auster – accepit) 16. Alb. Meteora III, 1, 2 21-23. Ou. met. I, 64-66 24-31. Macr. somn. II, 5, 20-21 40, 6. siccus L, E post corr.: secus cett. 8-9. sicque – calidus om. P 9. et ReBMCLVPRo: etiam PaT 17. uites EReMPRoPaT: uires BCLV 18. et nutrit EReMCLVPT: et mittit Pa connutrit BRo 24. II – Scipionis om. Pa 27. commeat EReBMCLVPRo: commoueat T deueniat Pa 29. rigore EReBMCLVPRo: uigore T, om. Pa 30. emitterentur suppleui e Macrobio: emitterent EReBMVPRoT emitteret CL mitterent Pa

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li plage adiacent propter eandem rationem calidum peruenire». De hoc uento Phylosophus II Metheororum: «Auster — inquit — magnitudine et spiritu uelocissimus uentus est et serenus his qui habitant circa Libiam, sed oppositis dat largissimos imbres» (Require eodem libro, capitulo 44). Hunc negat Plinius II Historie naturalis ad Egyptios penetrare, et amplians eius malitiam: «Austro — inquit — maiores eduntur fluctus quam aquilo uentus faciat, quoniam ille inferius ex imo maris spirat, hic summo. Ideoque post austros precipue noxii terremotus sunt. Noctu etiam auster, sed die aquilo uehementior est». Africus ab occiduo hyberno spirat secundum Senecam IV De questionibus naturalibus, sed in Glossario unde Papias decerptus est, cui de hoc maiorem fidem prebeo, sic scribitur: «Africus uentus meridionalis a propria regione nomen assumpsit». In Africa enim prima flandi sumpsit initia, ob quod Africus dictus est. Ipse quidem tempestuosus et furens facit fulmina et tonitrua. Hi omnes nobis Ytalis calidi sunt et humidi, et ut scribit Auicenna libro I, morbidi omnes sunt: «Aperiunt enim poros, laxant fortitudinem, turbant humores, sensibus inducunt grauedinem, faciunt recidiuationem, mouent epylensiam, afferunt sonnum et faciunt febres putridas», dicente Almansoro in tractatu III: «Venti meridionales plus omnibus uentis sunt egritudines afferre parati, maxime si flauerint in estate et in fine ueris». Habes ex dictis uentos duodecim. 41. Quid dicti uenti aliquando confunduntur. Non tamen credas ubique tot esse et isti sepius confunduntur. Nam Seneca uult IV De questionibus naturalibus quod eurus et uulturnus nomina sint eiusdem uenti; idem Seneca et Lactantius super I Thebaide uolunt fauonium et zephyrum esse eundem uentum, sed quod ‘zephyrus’ Grece, ‘fauonius’ sit Latine. Item corum appellat Seneca, quem A. Gellius libro II et Virgilius III Georgicon caurum nominant. Africum dixit Seneca uentum occidentalem, quem Latini omnes meridionalem affirmant, quamquam Lactantius super II Thebaide dicat quod ipsum Greci eurum nominant. Libs idem est quod africus, sed sic nominatur a Grecis, prout scribit Seneca; septentrio non fuit nomen positum in carminibus, reor tamen esse aquilonem uel borexiii.40,31-41,11

32-34. Aristot. meteor. II 3, 358b, 2-6 35-39. Plin. nat. II, 128-129 39. Sen. nat. V, 16. 5 4143. Vgut. deriu. A 94; Isid. etym. XIII, 11.9 et Alb. Meteora III, 1, 23 (in – initia) 45-48. Auic. Canon I (2), 2, 10 48-50 Liber Rasis III, 25 41, 3-10. Sen. nat. V, 16; Lact. Th. II, 4; Gell. II, 22; Verg. ge. III, 278 34. Require – 44 om. Pa 35. II Historie naturalis om. Pa | Egyptios ReBMCPRoPaT: Egyptos EL Egipticios V 36. eduntur EReBMVPRoT: educit Pa, om. CL 37. quoniam EReBMCLVPRo: quia PaT 38. contra ante etiam add. CL | auster post etiam om. Ro 42. assumpsit EReBMC LVPRo: accepit PaT 41, 3. sint ReBMCLPPa: sunt VRoT, dub. E 4. primo : recte uero secundo | uolunt Pa, in marg. E: uult EReBMCLVPRoT 5. sit EReBMCLVPRoT: dicitur Pa

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am, cum nomen indicet eum septentrionalem uentum esse et a circulo septem stellarum denominari. Vult etiam A. Gellius II Noctium atticarum quod ‘boreas’ Grece sit qui ‘aquilo’ Latine dicatur: Seneca etiam dicit quod ‘auster’ Latine et Grece ‘notus’ dicitur. Addit Seneca euronotum et libonotum, quos meridionales dicit, et sic apparet quod nec Greci nec Latini conueniunt de nominibus flaminum. 42. De uento turbinis. Flant quidam alii uenti quibus a mundi latere non est impetus, quorum primus, eo quod — teste Seneca VI De questionibus naturalibus — circa terram concipitur ac fertur, turbo ueniat uoluens paleas, puluerem et queque terrestria et si diutius luctatur cum impetu, ita fit spiritus turbidus quod arbusta radicitus uellit, et quocumque incumbit, denudat solum; quin etiam non modo armamenta, sed naues integras quandoque in sublime tollat atque mergat. Hic tamen impetus diu esse non potest; nulla autem magna tempestas durat: procelle quanto plus habent uirium tanto minus temporis. Nemo igitur tota die turbinem uidit nec duabus horis uixque una, quoniam mira est eius uelocitas et mira eius breuitas. Sed si tempestas a flamine septentrionis inciperit uel a flabris orientis uel occidentis, uult Alchardianus suo De presagiis ingentes pluuias inminere, quod et Virgilius tetigit quando I Georgicon dixit: «At boree de parte trucis cum fulminat, et cum euri zephyrique tonat domus, omnia plenis rura natant fossis atque omnis nauita ponto humida uela legit. Numquam imprudentibus imber offuit», etc. xiii.41,12-42,25

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(Require libro stellarum erraticarum a 41 capitulo usque ad 46 et capitulis 101, 102). Addamus signa quedam ab Alchardiano scripta libro De presagiis:

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«Grues — inquit — si mane uolauerint, inde coadunate manserint seu reuertantur, significant tempestatem (Require libro De ornamentis aeris, capitulo Grues; et capitulo Noctua; et capitulo Coruus; et capitulo Cornix); si a pelago aues fugerint indicant tempestatem (Require libro quadrupedum, capitulo Ouis; et capitulo Asinus; et capitulo Bos; et capitulo Canis); si multi taffani in

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14. Gell. II, 22, 9 15-17. Sen. nat. V, 16.6 42, 1-3. Sen. nat. V,17.5 (a mundi – impetus); VII, 5.1 (circa – fertur) 3-4. Alb. Meteora III, 3, 16 (turbo – terrestria) 5-6. Sen. nat. VII, 5.1 (arbusta – solum) 6-7. Sen. nat. V, 13.3 (armamenta – tollat) 7-11. Sen. nat. VII, 9.2-3 (diu – breuitas) 14-18. Verg. ge. I, 370-374 14. sit qui om. Pa, qui om. T 15. euronotum scripsi: euronthum | libonotum (cfr. Plin. nat. II, 120): leukonotum Sen. codd. 42, 3. ueniat EReBMCLVPRoT: uocat Pa 5. incumbit ReMCLVRoPaT: incubit EMP 9. igitur EReBMCLPPaT: ergo VRo 14-20. de parte – 102 om. Pa 20. scripta om. L, post Alchardiano habent PaT 21. inde EReMCLPRo: in T uel Pa 22-23. Require – Cornix om. Pa 24-25. Require – Canis om. Pa

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autumno fient, magnas significant tempestates; si oues et capre simul aggregantur indicant tempestatem» (Require libro De piscibus, capitulo Delphines et De impressionibus aeris, capitulo 65). Nunc rediens ad incepta dico quod uentus turbinis, prout scribit Albertus Magnus III Metheororum, fit cum due ex opposito aperiuntur nubes, ex quibus duo se inpellentes uenti flant ex opposita regione. Et subdit: «Secundum sententiam omnium Perypateticorum fit uentus turbinis in estate quando tonitrua sunt futura post paucos dies uel duas uel tres horas secundum impetum ipsius». Si uero hyemali tempore spiret turbo, uult Albertus quod omnino niues decidant (Require eodem libro, capitulo 55). xiii.42,26-44,2 43. De uentis regionum particularium. Sunt quidam alii uenti singularibus regionibus appropriati: scribit namque Seneca IV De questionibus naturalibus et A. Gellius II Noctium atthicarum: «Azabulus infestat Apuliam, Calabriam iapix (Require libro uirorum, capitulo Iapix), Athenas sciras infestat, Pamphyliam cagneus, Galliam circius, cui quamuis edificia quatiat, tamen incole gratias agunt, tamquam celi salubritatem faciat: nam diuus Augustus, dum in Gallia moraretur, illi templum uouit et fecit». Italiam auster impellit; ethesie, teste Plinio II libro Historie naturalis, noctu flare desinunt et oriuntur tertia hora diei flantque in Hyspania et Asya ab oriente, in Ponto ab aquilone, in reliquis partibus a meridie, nec flant omni tempore sed, ut scribit Tullius II De natura deorum, estiuis mensibus spirant suo flatu calorem canicule mollientes (Require libro uirorum, capitulo Icharus), «ab his maritimi cursus certi et celeres diriguntur». Sunt et alii uenti plurimi quibus incole in suis regionibus dedere nomina aut ex locorum uocabulis aut quibusdam proprietatibus suis, ut aura dicitur quasi ‘leuis aer’, quia leuiter flat, ut supra dixi capitulo 35. Altanus, teste Beda XXVII capitulo De natura rerum, pelagi uentus est, ideo ab ‘alto’ denominatur; procella dicitur eo quod cum pluuia flans euellat et, ut tandem finem faciam, nulla regio est que non habeat flatus in se cadentes uel orientes. 44. De uentis miraculose nascentibus. Scribit Plinius II Historie naturalis uentos quosdam generant quidam specus, qualis in Dalmatie ora est 29-34. Alb. Meteora III, 3, 16 43, 3-7. Sen. nat. V, 17.5 (atabulus – iapyx; Athenas – fecit); 18.2 (Italiam – impellit) 8-10. Plin. nat. II, 127 13. Cic. nat. deor. I, 53, 131 15-16. Vgut. deriu. A 17, 6 (aura – flat) 16-17. Beda, nat. XXVII; Isid. etym. XIII, 11.18 17. Vgut. deriu. C 128, 8; Isid. etym. XIII, 11.22 44, 2-7. Plin. nat. II, 115 (uentos – quin; et in – uoluit) 43, 3. azabulus: recte uero atabulus (cfr. Sen. nat. V, 17.5) 4. Require – Iapix om. Pa 4-5. sciras … cagneus: recte uero sciron … crageus (cfr. Sen. nat. V, 17.5) 5. cui scripsi e Seneca: qui 7. illi scripsi e Seneca: sibi | uouit ReBRoPaT: mouit E nouit MCLV uenit P 11. mensibus EReBMCLVPRo: temporibus PaT 15-16. ut aura – 35 om. Pa 16. supra ELPT: sibi ReMCV tibi Ro 44, 2. generant EReBMCLVPaT: generantur PRo

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iusto preceps hyatu, in quem deiecto leui pondere quamuis tranquillo die turbini similis procella emicat; nomen loci est Senta. Quin idem effectus meo seculo habetur ex Nursino lacu et in Cyrenaica prouincia rupes quedam austro sacra traditur, quam si manus hominis attractauerit, repente auster procellas mouens arenas uoluit. 45. De beneficiis flaminum. Sunt flaminum beneficia non permittere aerem pigrescere, sed assidua uexatione eum utilem atque uitalem facere. Nam subministrant terris imbres, adducunt atque deducunt nubes ut per totum orbem diuidi possint pluuie nec possent fruges percipi, nisi flatu ipsas excitarent et folliculos aperirent. Etiam, si recte uero conspicimus, uentus inter se populis commercia dedit dissipatasque locis gentes miscuit. Ingens quippe hoc uentorum beneficium est, si illud in iniuriam suam non uertat hominum furor! Voluit enim deus quod aer uentis impelleretur ne quid esset situ squalidum, non ut homines classibus implerent maria hostes querentes in mari aut post ipsum mare. Que uos dementia mouet ut uela uentis detis bellum pro premio suscepturi uel in lictore hostem obuium? Quid in fluctibus mortem petitis? Parumne ad mortem gentium late patet terra? Quid, miseri, mortem queritis que ubique uos querit, sequitur et inuadit? Nec tamen possumus de deo queri, si beneficia eius corrumpimus: dederat namque ille uentos ad creandam atque custodiendam temperiem aeris et terre nec non ad creandas et remouendas pluuias, ad alendos satorum et arborum fructus et ut commoda cuiusque regionis essent communia, non ut legiones perniciosa gentium arma transueherent. Sic uentos natura bonos, nostra malitia malos facit (Require eodem libro, capitulis 39, 55 et libro populorum, capitulo Mirmidones). xiii.44,3-46,7 46. Que portendunt uentos futuros in proximo. Scribit Alchardianus suo De presagiis quod stelle comete sepius portendunt uentos (Require libro stellarum fixarum, capitulo 26); si mare subleuatum fuerit et sonantia lictora, de proximo sequentur uenti; si montes mugire uidentur uentos significant procellosos; canis terra uolitans magnitudinem uenti significat (Require libro quadrupedum, capitulo Ericius et libro De impressionibus aeris, capitulo halo). Tonitrua matutina significant uentum, meridiana imbres; cum uehemen-

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45, 1-19. Sen. nat. V, 18 4. Senta. Quin scripsi: Sentaquin BCLRoPaT Sentquin ReM Senequin E Sentamquin V 4-5. loci – meo om. P 5. Cyrenaica scripsi: Cyranaica EReBMCVPPaT Ciraniayca L Cyranica Ro 6. attractauerit LV, ut uid. Pa: attratauerit BCRoT attrauerit EReM extractauerit P 45, 7. in ante iniuriam add. Pa, om. cett. | iniuriam EReBMLVTPa in iuriam MCRoP in uruam ut uid. Pa 8. uertat EReBMCLVPRo: uertit PaT 11. detis PaT: dentis Ere BMCVPRo dantis L 1213. gentium – mortem om. PaT 19. malos EReBMCLVPRo: male PaT 19-20. Require – Mirmidones om. Pa 46, 4. sequentur LPaT: sequantur EReBMCVPRo 5-6. Require – halo om. Pa

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tius estate tonauerit quam fulserit, uentos nunciant ipsa tonitrua, sed si minus tonauerit indicant imbrem (Require libro celi, capitulo 18 et libri presentis capitulo 56). 47. De hiis que terremotus facit in generali. Queramus nunc quid terram mouet ab infimo quidque sit quod tanti molem ponderis pellat; cur modo tremat, modo laxata subsidat, nunc in partes diuisa discedat, quas interdum longo tempore scissas seruat et interdum repente comprimit, quandoque aperit calentium aquarum uenas, quandoque fontes uel flumina numquam antea uisa per montis foramen emittat. Mille miracula mouet, faciem locis mutat, defert montes, extollit ualles, nouas in profundo insulas erigit. xiii.46,8-48,20 48. Quedam false oppiniones ueterum de terremotibus. Videamus ergo quid sit, propter quod ista eueniant, sed ante omnia ponende sunt quedam famosorum opiniones ueterum parum exacte, tamen ne rudes dicam, nec mirum, quia nulla res consummata est dum incipit. In aqua causam esse terremotuum dixere plures. Scribit Phylosophus II Metheororum quod Thales Milesius terrarum orbem aqua credidit sustineri uehique more alicuius grandis nauigii et, cum fluctuat, dixit terram tremere. Inepta hec sententia est dirupta a Phylosopho et Alberto et ideo, studens breuitati, pretereo ipsam impugnare. Anaximenes, eisdem phylosophis referentibus, asserebat terram naturali euentu tremere cum omnia uetustate labantur nec quitquam tutum a uetustate est, ipsa quippe omnia quecumque solida et magni roboris carpit. Et quemadmodum in edificiis ueteribus quedam, licet non percussa, tamen decidunt, cum plus ponderis habuerunt quam uirium, ita euenire dicebat in hoc terre corpore uniuerso ut partes eius uetustate soluantur, solute cadant et tremorem superioribus afferant. Refert Seneca V De questionibus naturalibus et Albertus Magnus III Metheororum quod quidam alii dicebant sicut in nostro corpore sunt uie sanguinis que sunt uene et uie spiritus que appellantur communi uocabulo arterie, sic hoc maximum terre corpus quasdam aquarum, inuicem sanguinis, subterraneas uias habet. Et quemadmodum in nostro corpore, dum bona uali47, 1-8. Sen. nat. VI, 4.1 48, 1-2. Sen. nat. VI, 4.2 (uideamus – eueniat) 3. Sen. nat. VI, 5.2 (opiniones – rudes) 4. Sen. nat. VI, 5.3 (nulla – incipit) 4-7. recte uero Sen. nat. VI, 6.1 (In – esse; Thales – nauigii) 9-15. Sen. nat. VI, 10.1-2 (Anaximenes – afferant) 17-26. Alb. Meteora III, 2,7, sed uide quoque Sen. nat. III, 15.1 (sunt uene – arterie); VI, 14.2 (Et quemadmodum – insaniebat) 8. fulserit PPa: fulxerit EReB MCLRo fluxerit T fulcerint V | uentos EReBMVPRoT: uentum CL uento Pa 9. indicant Pa: indicat EReBMCLVPRoT 9-10. et – 56 om. Pa 47, 2-5. mouet… aperit suppleui 6. emittat EReMCLVPRoT: emittit B mittat Pa 48, 2. ponende ReBCLVPRo: ponenda EPaT ponend M 3. ueterum EReBMLVPPaT: ueterorum L uentorum Ro 12. magni ReMCLPa: magnis E magnus RoV magis BPT | carpit post roboris add. PaT 18. arterie scripsi: artharie ReBMCLVPRoPaT artheria E

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tudo est, sunt uie sanguinis et spiritus libere, sed siquid aduersi uel spiritus uel sanguinis discursum impediat fiunt suspiria crebrius, grauitates et commotiones membrorum, ita terre dicebant accidere: [sed] dum illi positio naturalis erat, inconcussa manebat, sed siquid peccat hoc est impeditum, tunc uelut in egro corpore quod modestius perfluebat uehementius agitatum insaniebat, non aliter quam ille «pontem indignatus Araxes». 49. Vera causa que terremotum facit. Phylosophus et eius discipulus Teophrastus et Albertus Magnus III Metheororum uolunt esse uaporem duorum generum: sicut est uapor humidus et uapor siccus dicuntque: «Cum terra sit naturaliter sicca, humectatur tamen agente pluuia et de cursu aquarum per uiscera ipsius, moxque agente sole uapor humidus et uapor siccus in superiora deducitur». Vapor siccus, prout supra diximus, est materia et origo uentorum; hic tamen bifariam esse potest: nam si fuerit subtilis, a superficie terre motus aerem transcendit et concutit, si uero fuerit grossus, compactus atque conglutinatus de uisceribus terre motus non tamen ita potenter quod possit ad superna prorumpere propter terre profunditatem atque soliditatem, cum non habeat ulteriorem locum in quem exeat, retro fertur et per cauernosas terre latebras furens uoluitur. Sed dum rixa reciprocantis spiritus iactat obstantia, motum ac tumultum facit, quia spiritus ille latera inter que clausus erat non solum percutit, sed «magno cum murmure montis circum claustra fremit», cum tanto impetu ut nil sufficiens esse possit quod «luctantes uentos tempestatesque sonoras imperio premat uinculis ac carcere frenet». Erit ergo necesse quod aut prorumpat uentus aut considat terra que, nisi compacta sit erigitur, dicente Phylosopho II Metheororum quod iam in Lippara, una insularum Eoli, agente terremotu terra uelut collis ascendit molli cum sono, erupit tandem spiritus plenus cinerem ac fauillas eiciens ciuitatemque Lipparem haud longinquam totam incinerauit. Et Restaurus libro II De causis essentie mundi: «Nostris — inquit — temporibus, hoc est anno Domini 1320, in Italia prope ciuitatem cui Vulterre nomen est, in loco dicto Veliene, agente terremotu corruit magna terre quantitas moxque apparuit ingens

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26. Verg. Aen. VIII, 728; Sen. nat. VI, 17.1 49, 2-11. Alb. Meteora III, 2, 6 (uolunt – soliditatem) 11-14. Alb. Meteora III, 2, 7; Sen. nat. VI, 13.1 (non – facit) 15. Verg. Aen. I, 55-6 16-17. Verg. Aen. I, 53-4 19-22. Aristot. meteor. II 8, 367a, 2-8 23-34. Rest. La composizione, II, 6,4,6.5-6 21. sanguinis CLPPaT: sanguis cett 23. [sed] deleui 24. inconcussa CLVRoPaT: in occussa EReBM incussa P 24-25. impeditum (scilicet impedimentum Pa) ReMPRoPaT: impeditur EBCLV 25. modestius EReB MCLVPRo: modestus PaT 49, 2. uolunt om. Ro 3. suppleui 5. sole uapor humidus post agente Ro, om. cett. 8. motus om. Ro 13. rixa EReBMVPPaT: rixam CLRo 18. considat ReBMVPaT: confidat CLPRo desidat uel cecidat E | nisi PaT: ubi cett. 19. Lippara T: Lipparea Pa Yppara BMCL PRo Ypparia EReL 20. erupit EReBMCLVPRoT: erumpit Pa

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calidissime aque lacus que plusquam brachiis quadraginta iaculabatur in altum cum tanta sufflatione uentorum quod duobus diebus continuis emisit lapides ad similitudinem torrentorum per spatia sedecim stadiorum, quapropter fugerunt incole et siqua steterunt animalia uniuersa matata sunt; eodem spacio quotcumque fuerunt arbores colore mutate sunt et quasi duritie facte sunt ferree. Quin etiam proiecit illa uentositas septem diebus plus quam centum miliaribus remotis terram rubeam, que uidebatur adusta, eratque tamen in forma pulueris, cuius rei inscii crediderunt terram pluere». Et ob hoc dicebat Seneca V De questionibus naturalibus: «Antequam terra moueatur solet mugitus uentorum audiri tumultuantibus uentis in abdito» (de quo etiam dixit Plinius II Historie naturalis «terremotuum uentos causam esse sine dubio reor»), «nec naturaliter posset, ut scribit Virgilius ‘sub pedibus mugire solum et iuga celsa moueri’ nisi hoc esset uentorum opus» (Require sequens capitulum). xiii.49,26-50,16 50. Mala que terre motus facit. Recensui precedenti capitulo uarias phylosophorum sententias de terremotu; nunc scias eum publicum, auidum et ineuitabile malum esse quia non tantum deglutit domos aut singulas urbes, sed interdum integras regiones, cum scribat Seneca V De questionibus naturalibus simul urbes in Asya absortas esse, de quo dixit Plinius II Historie naturalis: «Terremotus omnium maximus fuit in Tiberii Cesaris principatu, duodecim urbibus Asye una nocte prostratis» (Require libro uirorum, ubi agitur de Sexto Lucio Cesare sub littera C). Thucydides circa tempus Peloponnensis belli insulam Athalanti proximam pro magna parte dicit fuisse suppressam, et in Chronicis Martini legitur quod circa annos Domini 1160 adeo magnus terremotus fuit quod ciuitas Anthyocena cum tripolitana Damasco multisque aliis subuerteretur et plusquam ducenta milia hominum perierunt et dicit tunc mare retrogradum factum esse; et quinque milia hominum in Sicilia sunt submersa. Et post pauca, circa annos Domini 1178 imperante Henrico III dum die dominico circa tertiam cantaretur solempnis missa in ciuitate Siracusana repente agente terre35-39. Sen. nat. VI, 13.5; Plin. nat. II, 192 (terremotuum – reor); Verg. Aen. VI, 256 (sub – moueri) 50, 2-4. Sen. nat. VI, 1.7 5. Sen. nat. VI,1.13 6-7. Plin. nat. II, 200 8-10. Sen. nat. VI, 24.6 (Thucydides – suppressam) 10-14. Mart. Chron. A.D. 1159 (pont.) 15-20. Mart. Chron. A.D. 1157 (imp.) 28. torrentorum om. PaT 29. fugerunt EReBMCLVPRo: fugierunt PaT | matata correxi 31. 7 ReBM: et ECLVPRo 32. diebus om. PaT 34. pluere EReBMCLVPRo: puluere PaT 50, 2. de terremotu om. Pa 5. dixit PaT, om. cett. 6. maximus EReBMCLVPRo: maximum PaT 7-8. Require – C om. Pa 8. Thucydides scripsi: Tuchydides (Tuchidides B)EReMCLPV Tuchitides PaT Tuchydedis Ro 10. circa EReMCLVPRo: certa T certeo tempore Pa 12. subuerteretur EReBMCLVPRo: subuertere T subuerteret Pa 13. dicit tunc PaT: tunc dicit cett. 14. post pauca Pa: prius puta cett.

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motu, ecclesia cattedralis corruit et oppressit populum et clerum in ea stantem, excepto sacerdote dyacono et subdyacono missam celebrantibus et unico alio sacerdote cum maxima admiratione omnium. Et imperante Henrico IV in ciuitate Verone cecidit maxima pars arene, ut patet libro De edificiis memoratu dignis, capitulo Arena. Et meo seculo Asculum totum corruit (Require librum ciuitatum, capitulo Asculum). Nec a peste ista locus aliquis tutus est, cum nichil illesum sinat quamquam quedam rarius et quedam sepius quatiat (Require eodem libro, capitulo 51). Scribit etiam Seruius supra IV Eneidos quod secundum aruspicum disciplinam nil tam incongruum est nubentibus quam terremotus. xiii.50,17-51,21 51. Quibus temporibus fiant frequentius terremotus, quantum extenditur, que partes expertes sunt et que edificia ledantur minus. Plinius II Historie naturalis, concordans cum Phylosopho III Metheororum: «Autumpno — inquit — ac uere mouentur sepius terremotus, ut fulmina. Ideo Gallia et Egyptus minime quatiuntur, quoniam hic estatis causa et illic hyemis obstat. Item noctu sepius quam de die, sed matutini atque uespertini maximi motus sunt. Interdum fiunt circa meridiem», quo tempore auctus calor uapores attrahit qui materia sunt uentorum, «fiuntque etiam circa solis luneque defectum, precipue quando sequitur imbrem estus imbresue estum». Et ut scribit Seneca V De questionibus naturalibus: «nuncquam per ducenta miliaria terre motus extenditur»; asseritque: «Egyptum numquam terremotibus» tremuisse. Et addit Plinius quod nuncquam Roma tremuit, quin alicuius maximi futuri euentus id esset prenuncium, et iterum subdit: «Parietes ex terreno latere facti minore noxia quatiuntur, maritima leduntur maxime nec montuosa tali carent malo. Nam mihi exploratum est Alpes, Apenninas sepius tremuisse». Illaque loca sepius leduntur clade que cauernosa sunt, maxime si marinis procellis propinqua sint: tunc enim ex repercussione flaminum retunditur uentus qui non habens exitum, fremens crescit adeo quod locum undique propinquum mouet et ob hoc tremunt sepius montes quoniam cauernosi sunt, ut patet libro montium; in plano econtra est, nisi planum mari terminet et montibus.

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25-26. Seru. Aen. IV, 166 51, 3-10. Plin. nat. II, 195 10-11. Sen. nat. VI, 25.3 (nuncquam – extenditur) 11-12. Sen. nat. VI, 26.1 (Egyptum – terremotibus) 12-13. Plin. nat. II, 200 14. Plin. nat. II, 197 (parietes – quatiuntur) 14-16. Plin. nat. II, 194 (maritima – tremuisse) 16-20. Alb. Meteora III, 2, 9 (Illaque – sunt) 20-21. ut – Arena om. Pa 22. totum – Asculum om. V | Require – Asculum om. Pa 24. Require – 51 om. Pa 26. est om. PaT | quam post nubentibus iterauit Pa 51, 9. luneque EReBMCLVPRo: et lune PaT 13. futuri euentus om. P 19. undique EReBMCLVPRo: ubique PaT 20 quoniam EReBMCLVPRoPa: qui T 21. planum BPPaT: planuum cett. | terminet EReMCLVPRo: terminent PaT terminentur B

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52. De malis que sequuntur terremotum. Scribit Seneca V De questionibus naturalibus: «Solere post magnos terrarum motus pestilenciam fieri nec est mirum. Multa enim mortifera tunc emittuntur in altum et ipse aer, qui eterna nocte torpuerat in latebris et culpa terrarum longoque situ corruptus fuerat, hunc purum aerem inficit affertque haurientibus noua atque monstruosa morborum genera. Nam quosdam insanis attonitisque similes discurrere fecit metus. Non enim facile est inter magna mala non desipere nec quisquam sine magna iactura sanitatis expauit». Interdum ita factus est aer pestilens quod haurientes necat: per hunc modum refert Seneca quod in Pompeiano agro Campanie grex sexcentarum ouium totus exanimatus sit, cum terremotu Pompeii, celebris Campanie urbs, corruit (Require eodem libro, capitulo 50 et libro ciuitatum, capitulo Pompeios). 53. De signis precedentibus terremotum. Nec hoc tam horrendum malum sine signo uenit: scribit namque Plinius II Historie naturalis signa terremotus sunt quod uolucres non impauide sedent, et paulo post occasum sereno celo porrigitur nubes in modum tenuis linee, et in puteis est aqua turbidior nec sine odoris tedio; neque umquam tremunt terre nisi sopito mari et celo adeo tranquillo quod omnis spiritus subtractus appareat. De quo Seneca V De questionibus naturalibus: «Cum terremotus — inquit — futurus est precedit aeris tranquillitas et quies, quia uis spiritus que concitare uentos solet in inferiori sede tenetur», et certe hoc fecit experientia uerum credi quod «numquam flante uento terra concussa est». Et subiunxit Plinius: «Non est aliud in terra tremor quam in nube tonitruum nec hiatus aliud quam cum de nubibus fulmen erumpit». xiii.52,1-54,4 54. Tonitrui ethymologia et quid sit tonitruum cum uariis oppinionibus. Tonitruum dicitur quasi ‘territiuum’ eo quod sonus eius terreat, id est moneat omnes gentes ne sint inmemores Creatoris, dicente Ouidio I Methamorfoseon: «Iussit et humanas motura tonitrua mentes». Et inter principes, 52, 2-6. Sen. nat. VI, 27.2 (Solere – genera) 6-8. Sen. nat. VI, 29.1-2 (Nam – expauit) 10-11. Sen. nat. VI, 27.1 (in Pompeiano – sit) 11. Sen. nat. VI, 1.1 (terremotu – urbs) 53, 3-5. Plin. nat. II, 196-197 (non – tedio) 5-6. Plin. nat. II, 192 (neque – appareat) 7-10. Sen. nat. VI, 12.23 (Cum – tenetur; numquam – est) 11-12. Plin. nat. II, 192 54, 2. Vgut. deriu. T 137, 4 (Tonitruum – terreat) 4. Ou. met. I, 55 52, 2. pestilenciam EPa: pestilencia ReBMCVPRoT pestilencias L 4. torpuerat EReBMCLVPRo: corpuerat T corruerant uel computriuerat Pa 7. fecit Pa: facti EReMCLVPRoT | metus om. V 8. desipere L: disipere P disipire (dissipere EV) ReBMCPaT discipere Ro 11. Pompeii correxi: Pompeios Ω 53, 3. sedent BCLVPRoPaT: sunt EReM 5. turbidior EReBMLPPaT: turbidiora L turbidinosa VRo | sopito LPaT: sopitu EMC sopita ReBLVRo 7. V questionibus naturalibus EReBMCLVPRoT: dixit capitulo preallegato Pa | dixit post naturalibus add. T | inquit om. Pa 9. tenetur PaT: tenentur L tenent cett. 11. in terra Pa: infra cett. 54, 2. territiuum Pa: territruum EBMCLVPRoT territuum Re 4-6. et inter – Caligola add. PaT, om. cett.

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prout scribit Suetonius in suo De duodecim Cesaribus, maxime tonitrua timuit Octauianus, Tiberius, sic Gaius Caligola. Nec est aliud tonitruum, prout scribit Albertus Magnus III Metheororum concordans cum Phylosopho, quam «sonus uaporis sicci egredientis de nube humida» (Require eodem libro, capitulo 15). Nec obstat Phylosophus ubi dixit: «Tonitruum est ignis exstinctio in aquosa nube, qualem sonitum, dum extinguitur, reddit ignitum ferrum», quia hic secundum Empedoclem et Anaxagoram locutus est, prout ipse aperte dicit preallegato Metheororum libro ubi: «Quidam — inquit — dicunt quod in nubibus fiat ignis: hunc autem Empedocles ait interceptum esse a solis radiis; Anaxagoras autem de ethere portiunculam ignis credebat descendere sonareque, cum se frigidis et humidis nubibus miscuisset. Dicebat igitur micationem huius ignis coruscationem esse sonumque eius in nubibus extincti tonitruum appellabat, uelut coruscatio prior esset» (Require eodem libro, capitulo 15). Tandem, postquam has opiniones euertit, multa — inquit — ab aliis de tonitruo et coruscatione sunt dicta; nos autem dicimus eandem naturam super terra uentum, terremotum sub terra et in nubibus esse tonitruum (Require libro celi, capitulo 18 et libro uirorum, capitulo Thales Milesius). xiii.54,5-55,13 55. Quomodo generantur tonitrua et tonitrui bonitas. De modo generationis tonitrui substantialiter scribit Restaurus libro II De causis essentie mundi et Nicolaus Oresme XXXIII questione super libros Metheororum. «Fiunt — inquit — tonitrua hoc modo: uirtute corporum supercelestium eleuantur in aerem uapores ignei, aerei, aquatici et terrestres, qui clausi intra sinum nubium ineunt simul proelia propter contrarias qualitates, et si aqueus et aereus multus fuerit, igneum sibi contrarium fugat, qui calidus et siccus non patitur humida nube claudi. Ergo contraria sibi fugiens a debiliore parte lacerat uaporem aqueum se claudentem, a quo tam uiolenter expellitur quod inflamatur et hunc sonitum tonitruum appellamus». (Require eodem libro, capitulo 15). Addit Nicolaus Oresme: «Finis tonitrui est purificare aerem: rumpit enim omnem uiscositatis malitiam»; demum post multa concludit: «Per tonitruum et uentos ita rectificatur aer quod

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5-6. Suet. Aug. 90.1; Tib. 69.1; Cal. 51.1 8. Alb. Meteora III, 3, 1 9-11. Aristot. meteor. II 9, 370a, 24-25; Sen. nat. II, 17 (Tonitruum – ferrum) 12-18. Aristot. meteor. II 9, 369b, 12-18 20-21. Aristot. meteor. II 9, 370a, 26-27 (nos – tonitruum) 55, 4-10. Rest. La composizione, II, 7.2.13-14 5. in suo – Cesaribus om. Pa 7. concordans cum Phylosopho om. PaT 8. egredientis LRoPaT: egredientes EReBMCP egredientet V 8-9. Require – 15 om. Pa 9. est BLPaT: esse cett. 10. exstinctio PaT: extintio V etincio EReBMCLPRo 13. inquit om. PaT 16. huius ignis post coruscationem habent EReBMCLVPRo 18. Require – 15 om. Pa 21-22. Require – Milesius om. Pa 21-22. et – Milesius om. T 55, 4. supercelestium Pa: celestium cett. 5. aerei BCLVPRoPaT: aeri EReM 6. simul om. Ro 11. Require om. Pa

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pestis de loco tollitur» (Require eodem libro, capitulis 39, 45 et libro populorum, capitulo Mirmidones). xiii.55,14-57,16 56. Presagia quedam tonitrui. Scribit Policratus I De nugis curialium: «Si tonitrua ferant aliquam fulminis lesionem, infausta gentiles dicunt, quod Maro tetigit I Egloga, quando dixit: ‘Sepe malum hoc nobis, si mens non leua fuisset, de celo tactas memini predicere quercus’. Tristius uero est, si una ruptione diffusos sparserit ignes. Dum enim Iulius Cesar esset intentus ciuili bello, quam fulminosus aer exciterit quotue ignium turbines fuerint uix historie sufficiunt enarrare. Si uero fulmina careant tempestate, si leuum tonet dei creditur nunciare fauorem» (Require libro celi, capitulo 18 et hoc eodem libro, capitulo 46). Scripsit etiam Alchardianus suo De presagiis: «Tonitrua matutina significant in hyeme pluuiam, estiualia uero in meridie et uespertina indicant futuram pluuiam». 57. Nubium ethymologia; quid sit diuersitas colorum in nubibus et quantum distat locus ad quem eleuantur uapores nubium. Nubes dicuntur quasi ‘nimborum naues’, non quia aquas habeant, sed materiam future aque (Require eodem libro, capitulo 25). Suntque nubes, prout habetur de mente Phylosophi, uapores humidi ab aquis et terre humiditatibus uirtute solis in aerem tracti, ubi aggregatis partibus condensati nequeunt diu segnes esse, quia intra modicum tempus aut sole consumuntur nubes uel maxime attenuantur aut uentorum flatibus lacerantur aut uentis compresse in pluuias resoluuntur implentque fontes, puteos, paludes et stagna. Cernitur in nubibus uarietas colorum et figurarum, prout ignis admixtus superat. Est namque in nubibus color quadruplex, albus, scilicet, niger, rubeus et uiridis: albus quidem monstrat raritatem et siccitatem in nubibus; niger uero densitatem et humiditatem signat; rubeus matutinus indicat eodem die futuras pluuias, sed uespertinus presagit serenitatem, prout latius scripsi libro stellarum erraticarum; uiridis autem color monstrat humiditatem: nam si nubes iam sit rorans, incipiens stillare aquas et in se re56, 2-9. Io. Sarisb. nug. I, 13, 198-210 (4-5. Verg. ecl. I, 16-17) 57, 3-4. Sen. nat. I, 5.4 (non quia – aque) 10-17. Alb. Meteora III, 4, 2 (Cernitur – uiridis) 14-15. populorum – Mirmidones om. Pa 56, 6. ruptione (cfr. Io. Saris. nug. I, 13, 204) EReBMCL VPRo: eruptione PaT 8. ignium ReLRoPa igniuum BCT,P post corr. igneum EV 9. tonet (ton et EReM) BCL: tonus VPRo tenus PaT 12. estiualia PaT: estiuali cett. | in ante meridie add. PaT, om. cett. 57, 3. nimborum BPRoPa: membrorum EReMCLVT 4. Require – 25 om. Pa 6. tracti CLPaT: tacti cett. | condensati EReBMCLVPRo: densati PaT 10. colorum CLPRoPa: celorum EReBMVT | admixtus PaT: admixtum cett. 12. et siccitatem om. PaT 14. presagit EReBMCLVPRo: presignat PaT 15. uiridis autem (autem om. T) color mostrat EReBMCLVPRoT: mostrat uero uiridis color Pa

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cipiat celeste lumen, fiet coloris uiridis. Sed si petas quantum distat locus ad quem eleuantur uapores nubium, non mihi plene compertum est, cum non sit omnibus idem horizon, sed aliqui in depressissimis et alii in altissimis locis habitent. Scribit tamen Restaurus libro suo De causis essentie mundi: «Vapores qui eleuantur a sole, ex quibus pluuia, nix, grando et omnis aerea impressio generantur, ad plus per octo miliaria surgunt et ab inde supra nulla generatio est». Aliabates autem in tractatu De crepusculis profitetur usque ad quinquaginta duo stadia miliorum uapores surgere. At Plinius II Historie naturalis: «Posidonius — inquit — non minus quadraginta stadiorum altitudinem a terra esse contendit, in qua nubila ac uenti perueniant», supra purum ac liquidum aerem et imperturbate lucis affirmat. Plures alii, eodem teste Plinio, nonaginta stadiis in altum nubes subire prodiderunt (Require libro montium, capitulo Olympus). Michi igitur incomperta atque inextricabilia punctualiter ista sunt, tum quia celebrium antiquorum opera non concordant, tum quia occupato ad alia uacua tempora non supersunt, cum uix sine aliquorum exercitio pandere queam et paucos seu nullum modernorum huic speculationi sciam deditum. Heu me! Deficit litterarum studium et toto affectu atque ardore anime pecunia queritur, ad quam coaceruandam omnis etas omnisque sexus studet! Huic oculi, huic manus, huic intellectus et anima seruit, sed ad sapientiam quis accedit? Quis inhyat studium liberale? Iam tot familie phylosophorum sine successore deficiunt, cum omnes studeant ne patrimonii nomen intercidat. Nihil igitur clarius inuenitur ex his que antiquitas obscura seu parum inuestigata reliquit. Fit in me igitur sepe tanta mentis dissensio quod, cum tam perplexa temptasse pigeat, ad hec tenebrosa in lucem ducere temptare libet, sed hoc presentialiter in discussione relinquam cui laxius tempus sit, si aliquo in secessu lateat quem studii odor uegetet, cum nichil tam difficile sit quin querendo ueritas sciri possit, quemadmodum nulla res tam facilis est quin difficilis fiat, si eam inuitus facias. 58. Presagia sumpta a nubibus. Scribit Alchardianus libro De presagiis, xiii.57,17-58,1

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21-23. Rest. La composizione, II,7.2.4 24. Alhazeni De crepusculis, 6 25-29. Plin. nat. II, 85 33-40. Sen. nat. VII, 32.1-4 (Heu – reliquit) 18-19. compertum – depressissimis om. Ro 18. compertum ReLVPROPaT: copertum EBM ceptum C 19. horizon EReBMCLVPRo: horizonta PaT | in … in om. Ro 22. generantur PaT: generatur cett. | surgunt PaT: surgit cett. 23. Aliabates EReBMVPRoPaT (Aliauates CL), recte uero Alhazenus 26. qua Pa (cfr. Plin. nat. II, 85): quo cett. 29. Require – Olympus om. Pa 31. tum quia occupato om. V 32. pandere scripsi: prandere 38. successore EReBMCLVPRo: successione PaT 40. reliquit EReBMCLVPT: relinquit VRoPa 42. discussione EReBMCLVPRo: discussionem PaT 43. secessu EReBMCLVPRoT: successu Pa | uegetet : uel excitet uel detegat in marg. Pa 45. facias Pa: facis EReBMCLVPRo faciam T

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.58,2-61,2

cum quo concordat Plinius XVIII Historie naturalis: «Si nubes multe ab oriente spargentur ut lane uellera, in triduum presagiunt multam aquam (Require eodem libro, capitulo 7). Hyemabit cum in cacuminibus montium sedent nubes, serenabitur uero si pura montium cacumina relinquuntur. Nube grauida candicante grando timenda est, quamuis serenitas celi sit» (Require eodem libro, capitulis 65, 74). xiii.58,2-61,2 59. Ethymologia nebule; quomodo fiat, quo tempore et remedia contra nebulas. Nebula dicitur quasi ‘nubes uolans’: ipsa namque ex uaporibus aque et terre fumositatibus fit ex principio nubis uel residuo, prout scribit Phylosophus libro De mundo, quem misit ad Alexandrum, et II Metheororum: «Nubes — inquit — ex aqueo uapore fit eleuato usque ad medium aeris intersticium». Nebula uero ex nube est; scias etiam quod nebule nec estate nec maximo existunt frigore, et quia satis uitibus et arboribus nocent nebule scias quod remedium fumus est: debes enim, teste Plinio XVIII Historie naturalis, ubi nocent nebule, sarmenta aut palearum aceruos et euulsas herbas et fructices per uineas et campos incendere. 60. Presagia sumpta a nebulis. Scribit Alchardianus libro De presagiis, cum quo concordat Plinius XVIII Historie naturalis: «Si descendant nebule aut in uallibus sedeant presagium serenitatis est», at pluuias indicant quando surgunt, quod aperte monstratur his uersibus: «Cum terras nebule pulsant, lux clara propinquat, ethera cum densant, imbribus arua rigant». Similiter, cum Virgilius I Georgicon dabat pronostica quibus futura serenitas nosci posset, dixit: «At nebule magis ima petunt, campoque recumbunt», etc.

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Et subdit Alchardianus: «Quando nebule fuerint globis lanarum similes monstrant pluuias inminere». 61. De halo siue corona. Videamus nunc de circulo qui sydera circumnectit: hunc Greci ‘halo’ et ‘parahelion’ uocant, quem nos dicere co58, 2-6. Plin. nat. XVIII, 356 (Si – aquas; Hyemabit – sit) 59, 2. Isid. etym. XIII, 10.10 (Nebula – uolans) 5-6. Aristot. de mundo 4, 394a, 20-24 6-7. Plin. nat. II, 152 (nebule – frigore) 9-10. Plin. nat. XVIII, 293 60, 2-3. Plin. nat. XVIII, 357 (si – est) 5-6. Eug. Tol. carm. LVI 9. Verg. ge. I, 401 61, 1-3. Sen. nat. I, 2.1 58, 5. relinquuntur LP: relinquentur PaT relinquitur EReBMLVRo 6. candicante EReBCLV PaT: candidante P, MRo post corr. 59, 6. intersticium M: intesticium 6-7. nec estate nec om. Pa 7. maximo ReMCLVP: maxime ERoPaT 8. scire post enim habent PaT 9. aut Pa: apud cett. 60, 2. XVIII Historie naturalis EReBMCLVPRoT: capitulo preallegato Pa 4. monstratur EReBMCLPPaT: demostratur VRo 6. ethera scripsi: hectera BCLVRo hec cera EReM hecterea PT hectherea Pa 11. inminere EReBMCLVPRo: incidere PaT 61, 1. circumnectit EReBMCLVPRo: circumnectat PaT

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.61,3-62,5

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ronam possimus (Require libro stellarum, capitulo 46). Hic, ut scribit Phylosophus III Metheororum, apparet nocte ac die, meridie et sero, nec minus occasu et ortu: noctibus notatur circa lunam et stellas alias, die autem adeo raro apparet quod quidam crediderunt die non fieri, sed hystorie cum Phylosopho illos coarguunt. Scribit enim Seneca I De questionibus naturalibus quod die illo quo Augustus urbem ex Apollonia reuersus intrauit uisus est circa solem coloris uarii circulus, ut patet liber uirorum, ubi agitur de Octauiano imperatore. Raritas igitur decepit eos; est enim, ut dicit Phylosophus preallegato III Metheororum, solis lumen tante potentie quod facile uapores illos disgregat, quod luna nequit nec alia sydera, quorum inertior uirtus est (Require libro stellarum erraticarum, capitulo 39). Et est halo, prout scribit Phylosophus preallegato III Metheororum et Nicolaus Oresme super eodem, corona quedam coloris albi circa solem uel lunam uel alia grossa sydera, tempore quo nubes non sint multum dense, de quo dixit Dantes X canto Paradisi: xiii.61,3-62,5 «Così cingiar la figla di Lathona ueden taluolta, quando l’aire è pregno sì che ritegna il filo che fa la zona». Scias tamen quod quandoque non apparet circa totam rotunditatem quia uel pauca uel indisposita sit materia in aliqua parte sui et, ut dicit Seneca, non credamus hoc siue halo, siue parahelion, siue corona dicatur, in uicinia syderum fieri, quamuis ea cingere et coronare uideatur. Non longe a terra fit talis effigies, quam uisus noster imbecillitate deceptus credit positam circa sidus (Require libro stellarum erraticarum, capitulo 52). 62. Quid significat halo siue corona. Vult substantialiter Phylosophus III Metheororum et Alchardianus libro De presagiis et Guido Bonactus in tractatu imbrium quod, si corona in semet ipsa euanuerit, significatur aeris quies, serenitas et tranquillitas, quia uapor ille, qui est materia huius circuli, non condensatur in nubem. Sed si fiat cum celum sit austro graue,

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4-5. Aristot. meteor. III 2, 371b, 23-25 (apparet – ortu) 5-7. Sen. nat. I, 2. 10 (noctibus – coarguunt) 8-10. Sen. nat. I, 2.1 11-13. Aristot. meteor. III 3, 373a, 27-31, sed uide etiam Sen. nat. I, 2.10 15-16. Aristot. meteor. III 2, 371b, 23-25; 373a 22-24 18-20. Dante, Par. X, 67-69 23-26. Sen. nat. I, 2.3 62, 3-4. recte uero Sen. nat. I, 2.8 (si – tranquillitas) 5-7. Sen. nat. I, 13.3 (si fiat – tempestatem); Arat. Phaen. 884-6 6. quod quidam EReBMCLVPPaT: et quidem Ro | crediderunt ELPaT: crediderint ReBMPVRo, C post corr. 8. reuersus EReBMCLVPRo: uersus PaT 9-10. ut – imperatore om. Pa 11. solis EReBMCLVPRoT: solare Pa 12. disgregat – alia om. P 13. inertior EReBMCLVPRo: inhertior T inhers Pa 14. preallegato om. Pa 16-20. de quo – zona om. Pa 21. tamen om. PaT 24. ea EReBMCLVPRo: eam PaT 62, 2. III Metheororum EReBMCLVPRoT: capitulo preallegato Pa 5. in nubem om. V | uapor post austro iterauerunt PaT | graue EMLRo1T: grauis Pa grauem ReBCVP grauatum Ro2

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uapor ille multus uertetur in magnam pluuiam, immo (si Arato phylosopho et astrologo credimus) tempestatem, at si ad unam partem cesserit, illinc naute uentum expectant unde contextus corone periit. Compertus est etiam uentosior circa lunam quam circa solem et si locis pluribus rumperetur, uentorum plurium tempestas apparet (Require libro stellarum erraticarum, capitulo 40). Scias etiam quod nulla potest corona colligi nisi stabili aere et uento pigro. Nam aer stans potest in aliquam fingi formam, sed qui fluit neutiquam formam recipit quia prior eius pars dispergitur. 63. Ethymologia pluuie; quomodo generantur et diuersitas pluuiorum. Pluuia, teste Ysydoro XIII Ethimologie, dicitur quasi ‘fluuia’, eo quod fluendo ad terram cadat ex multo uapore frigido et humido a terra et aqua uirtute solis attracto ad medium intersticium et in eius frigiditate densato, sed ex calore dissoluente humiditatem eius guttatim ad terram defluit tumultuosius et moderatius, prout cadit a remotiori parte uel proxima: nam quanto proximiori terre loco imber gignitur, tanto grauius descendere consueuit. Nec est uniformis pluuia: nam scribit Nicolaus Oresme XVII questione super I Metheororum quod quedam pluuia dulcis ac prepinguis est et talis mirabiliter satis et plantis prodest; aliam dicit per adustionem et admixtionem alicuius terrestris non aliter frugibus et plantis obesse quam si acetum esset uel urina. Quandoque ueneni gestat imaginem cum tanta putrefactione causata quod, teste Augustino libro VI Contra Faustum, mox cum terram tetigerit creet ranas, quin immo gignuntur, quod mirabilius est, interdum in ipsa nube (Require libro eodem, capitulo 68). 64. Quo tempore fit pluuia largior uel remissior. Pluuia apud nos Italos cadit hyeme lentius quam in uere: tunc enim defluit minuta pluuia et frequenter admixta niue, propterea flante aquilone minute sunt pluuie, sed procellosior imber est et pleniores gutte cum auster celum occupat. Nocte etiam fit maior pluuia quam de die et minor in estate quam hyeme, quia secundum Phylosophum III Metheororum illis temporibus sol magis elongatur a nobis. (Require eodem libro, capitulo 15 et capitulo 63 et libro prouinciarum et regionum, capitulo India). xiii.62,6-64,8

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7-8. Sen. nat. I, 2.8 (at si – illinc) 8. Sen. nat. I, 2.5 (naute – periit) 9-10. Sen. nat. I, 2.8 (si – tempestas) 11-13. Sen. nat. I, 2.6 (nulla – dispergitur) 63, 2. Isid. etym. XIII, 10.2 13-14. Aug. Faust. VI, 8 64,4-7. haec (Nocte – nobis) apud Aristotelem non inueni 7. si EBMLRoPaT: sit ReCP fit V | cesserit EReBMCLVPRo: crescerint PaT 8. illinc EReBMRoT: illic CLVPPa 11-13. scias – dispergitur om. Pa 13. prior om. T 63, 3-4. frigido – uirtute om. CL 4. intersticium EReM: intesticium cett. 8. uniformis EReBMCLVPPaT: quod informis Ro 9. prepinguis EReBMCLVPRo: propinguis PaT 11. terrestris EReBMCLVPRoT: terrestritatis Pa 14. creet EReBMCLVPRo: cresit T conficit Pa 15. Require – 68 om. Pa 64, 5. in ante hieme add. EVRo 7-8. Require – India om. Pa

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FONS MEMORABILIVM VNIVERSI XIII.65,1-67,5

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65. Signa indicantia pluuias. Scribit Alchardianus suo De presagiis quotiens ampulle plures generantur a pluuia significant aquam multam et frequentius atram; si fulices et anates alas quatiunt et se balneant, aquam significant, at solum quatientes uentum. Si coruus uel monedula sursum uolans garriat, significat aquam; si coruus multas mane permutauerit uoces et alas concusserit crocitando, significat aquam; si accipiter in arbore sedens depediculetur significat aquam. Cornix crocitans super petra quam fluctus attigerit seu aquam natans multotiensque uolans, pluuiam indicat procellosam; irundines uerberantes stagna indicant pluuias inminere; uniuersaliter aues et galli depediculantes se aquosum indicant tempus. Rane plus solito coaxantes, similiter rana uiridis quam †tarantala† dicunt multi in arboribus cantans presagit pluuias; bos anteriorem pedem mordicans aut pluuiam aut tempestatem significat. Quotiens mures cursitant fortiterque mordent aquosum tempus indicant; uermes multi dicti centipedes reptantes in muro aquam presagiunt. Si formice oua extraxerint de cauernis illaque tulerint ad alta loca, aquam significat, si uero portauerint in loca depressiora indicant serenitatem (Require eodem libro, capitulis 42, 71, sed plenius libro stellarum erraticarum, capitulis 51, 52 , 53, 54). 66. De ymbre et quantum ad plus descendit magna pluuia. Imber, ut scribit Rabanus XI De origine rerum, dicitur quasi ‘terram ad germinandum inebriet’, sed secundum hoc imber esset tantum salubris pluuia; alii autem communiter tenent quod imber sit pluuia procellosa, terram inebrians ex superfluitate cadens. Nec te pretereat quatenus, teste Seneca III De questionibus naturalibus, nulla est tanta pluuia quod terram madefaciat ultra decem pedes in altitudine. xiii.65,1-67,5 67. De nimbis et pluuis. Nimbi quandoque uentos significant, iuxta id Maronis I Eneidos:

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«Nimborum in patriam, loca feta furentibus austris, Eoliam uenit», etc. Quandoque, teste Seruio, significant nubes uel pluuias procellosas, sed

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66, 1-3. Rab. uniu. XI.14 5-7. Sen. nat. III, 7.1 67, 3-4. Verg. Aen. I, 51-52 5. Seru. Aen. I, 51 65, 3. atram EReBMCLVPRoT: a terram Pa | fulices et anates correxi: filices et anatres 6. crocitando BLVPaT: crocitanto EM crocicanto ReRo trocitanto CP 6-7. si accipiter – aquam om. BPaT 6. accipiter CLVPRo: ancipiter EReM 7. sedens EReMCLVP: cadens Ro 11. tarantala PPa cruces appinxi: tarantola E taratantala T tarantantola M tarantantolam Re tarantantala BCLVRo 12. multi PaT: Tusci cett. 14. multi dicti om. E 16. portauerint ReBCLRoPaT: portarent EM deportauerint P deportant V 17. indicant EPaT: in die aut BVRo in die autem ReM indie CP, om. L 17-18. Require – 54 om. Pa 66, 4. tenent EReBMCLVPRo: dicunt Pa, om. T 5. cadens Pa: cadentis EReBMCLVPRoT 67, 3. feta Pa: freta cett.

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proprie nimbi, ut scribit Beda XXXIII capitulo libri De natura rerum, sunt precipites ac repentine pluuie; pluuie autem sunt iuges et lente. 68. De mirabilibus pluuiis diuersarum rerum. Non semper aqua, sed interdum lapides, quandoque ferrum, quandoque sanguis, quandoque lac, quandoque caro, quandoque lana et similium rerum genera per modum pluuie ceciderunt, de quibus nulla reddi potest uera ratio naturalis, ideo has mirandas pluuias presagas semper futuri mali hoc loco censui colligendas. Scribit Orosius libro IV, quod prius scripserat Plinius II libro Historie naturalis, et ante omnes sed strictius dixit Tullius I Diuinationum, quod anno ab urbe condita 480 sanguis de terra multisque locis scaturiens e fontibus cruor fluxit et de nubibus guttatim in speciem pluuie imbres lactis irrigauere terram pro malo quod secutum est (Require libro populorum, capitulo Vulsinenses), quin etiam sequenti anno terribilis pestis Romanos inuasit. Scribit etiam Liuius libro II De secundo bello punico quod tempore quo Hannibal lacerabat Italiam aque mixte sanguini deciderunt e celo per modum pluuie, et libro IX De bello Macedonico: «Anno — inquit — quo decessit Hannibal per biduum sanguis pluuit». Tempore autem quo Iulius Cesar occisus fuit puteorum aque in sanguinem uerse sunt, dicente Virgilio I Georgicon: xiii.67,6-68,29 «Haud puteis manare cruor cessauit», etc.

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Et Iacobus de Voragine in Legendis Sanctorum, cum ageret de Sancto Pelagio, «Circa — inquit — annos Domini 860 in Italia apud Brissiam tribus diebus et tribus noctibus sanguis de celo cecidit in modum largorum imbrium». Et subdit: «Circa annos Domini 700 in Campania frumentum, ordeum et legumina ceciderunt a celo per modum pluuie» (Require libro uirorum, capitulo Rabanus, ubi ponitur imber similis). Reuertor ad Liuium qui sequitur apud Lucanos ferrum pluisse anno ante quem M. Crassus in Parthis occisus esset et omnes qui cum eo erant Lucani milites, quorum magnus numerus in illo fuit exercitu, huius ferri profitetur effigiem spungiis fuisse similem. Scribit Plinius preallegato II libro Historie naturalis quod L. Paulo et C. Marcello consulibus uera lana iuxta Cariphanum 6-7. Beda nat. XXXIII 68, 8-10. Oros. hist. IV, 5.1 (sanguis – irrigauere), sed uide Plin. nat. II, 147; Cic. diuin. I, 98 10-11. Oros. hist. IV, 5.6 13-15. Liu. XXII, 1.10 et 36.7; XXXIX, 56.6 18. Verg. ge. I, 485 20-22. Iac. leg. Sanct. CLXXVII, 266 22-23. Iac. leg. Sanct. CLXXVII, 188 25-30. recte uero Plin. nat. II, 147 68, 2. quandoque lac om. E 9. cruor – guttatim add. PaT, om. cett. 12. secundo om. PaT | quod om. PaT 15. sanguis ante pluuit add. Pa, om. cett. 25. anno om. PaT 28. preallegato om. PaT 29. iuxta EReBMCLVPRo: mixta PaT | Cariphanum Ω: Carissanum Plinii codd. plerique (sed Carifanum Robertus Crickladensis, Caruphanum cod. p) | iuxta – pluit om. L 30. Titus Mamilius , sed Titus Annius Milo Plinius

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castellum pluuit, iuxta quod exacto anno Titus Mamilius occisus est. Et Orosius libro VII dicit quod anno Vrbis condite 1120 imperante Gratiano apud Atrebatas uera lana de nubibus pluuie mixta defluxit; mox Athanaricus rex Gotorum crudellissime trucidando Christianos persecutus est. Tito illo Mamilio, de quo paulo supra dixi, dicente causam scribit Plinius lateres pluisse, quin etiam Tullius I Diuinationum prius scripserat et Liuius et Valerius, et sepius lapidum imbres legerim (Require libro uirorum, ubi

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agitur de Sexto Lucio Cesare sub littera C.; et ubi agitur de G. Terencio Varrone, et ubi agitur de Alexandro Magno et C. Tulius Hostilius; et libro ciuitatum, capitulo Preneste). Quin etiam Greci celebrant Anaxagoram predixisse scientia

litterarum quibus diebus saxum e sole casurum esset, idque factum de die in partibus Tracie ad Egos flumen, qui lapis, etate Plinii Secundi prout ipse scribit, monstrabatur magnitudine uehibilis, colore adusto. Alexander Magnus scripsit Aristotili, prout ipse narrat in Secreto secretorum, quod in partibus Indicis super exercitu dicti ducis cadebant ignite nubes quemadmodum in Europa niuium flocci cadunt, quas repente calcari sapiens rex precepit; cui rei maternus poeta mentionem faciens dixit XIV canto prime partis, illo quidem canto in quo uiolatores diuinarum rerum punit: «Sopra tutto ’l sabbion d’un cader lento xiii.68,30-68,61 piouen di foco dilatate falde chome di neue in Alpe senza uento.

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Quand’Alexandro in quelle parte calde d’India uide sopra ’l suo stuolo flamme cader in fine a terra salde per che prouide a calpestar lo solo colle sue schiere aciò che lo uapore mei se spegnesse mentro ch’era solo». Cuius quidem pluuie causa est, secundum Albertum Magnum I Metheororum, quia sub Cancro partes ille sunt humorumque uacue non possunt humidum eleuare, sed eleuat sol terrestre grossum quod repente, priusquam ueniat ad regionem estus, inflammat; igitur frigiditate medii intesticii pellitur et cadens ad modum niuis soluitur. Et Iacobus de Voragine in Le-

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31-33. Oros. hist. VII, 32.8-9 33-36. Plin. nat. II, 147, sed uide etiam Cic. diuin. I, 98; Liu. XXII, 1.9; Val. I, 6.5 39-42. Plin. nat. II, 149 (Greci – adusto) 42-46. Alb. Meteora I, 4, 8 4856. Dante, Inf. XIV, 28-32 57-61. Alb. Meteora I, 4, 8 31. imperante Gratiano add. PaT, om. cett. 32. Athanaricus Pa: Arthanaricus T Athanarcus EReBMCVP Athamaricus L Athanartus Ro 34. Mamilio , sed Annio Milone Plinius 35. quin etiam PaT: quod et EReBMCLVPRo 36-39. Require – Preneste om. Pa 37-38. et ubi – et2 om. B 47. illo quidem canto om. T | illo – punit om. Pa 58. cum post quia add. EReBMCLVPRo | sunt EReVPaT: sint BMCLPRo 60. intesticii emendaui

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gendis Sanctorum, tractans de Calixto Papa: «Anno — inquit — Domini 222 pars nobilior urbis Rome fuit diuino incendio concremata et Iouis sinistra manus aurea liquefacta, quam ob rem sacerdotes dixerunt imperatori ut irati dii sacrificiis placarentur. Sequenti mane stante serenitate celi diuino fulmine quattuor sacerdotes extincti sunt penes ipsorum ydola et sol adeo terribiliter eclipsatus est quod Romanus populus totus fugerit extra muros. Suadentibus igitur sacerdotibus Alexander illis temporibus imperator iussit ut cristicole sacrificarent ydolis aut occiderentur ubique». Scribit etiam Plinius preallegato II libro et Valerius sub rubrica De prodigiis «licet sepe et alias», inde contigerit quod G. Volumnio et Seruio Sulpicio consulibus carnes de celo in modum pluuie ceciderunt «nec putruisse quas non diripuerunt aues», quamquam per aliquod dies iacuerunt in humo neque odore tetro neque deformi aspectu mutate sunt, moxque Latinum bellum secutum est, prout plenius scripsimus in commentariis nostris super Valerio. Nec omiserim quod Alchardianus in suis physicis experimentis scripserit: «Si tempore estatis — dicens — uoles conseruare carnes ne putrescant, pone tantum salis in caldaria cum aqua quantum posuisses ad eas saliendas in hyeme teneasque aquam ad ignem quousque feruor incipiat: tuncque carnes saliendas apponas quousque parum ferueant, quas deinde ponas siccandas in clibano uel ad solem siccasque recondas duraturas quanto tempore uolueris». Circa annos Domini 555, prout scribitur in Chronicis Martini, in Brixia Italie urbe tribus diebus et tribus noctibus sanguis de celo pluisse fertur, nec multo post Normanni repetentes a Gallis terminos Aquitanie, cum eis occurrisset Ranulphus dux Aquitanie in proelio cesus est ceterique sui commilitones, ueluti oues lupis, consumpti sunt. Et Iohannes Scotus circa ista tempora fuit cum stilis a discipulis interfectus (Require libro uirorum, ubi agitur de Iohanne Scoto). Anno Domini 1320 terra rubea uentorum rabie de cauernis eruta in modum pluuie per uniuersam Tusciam septem diebus a celo decidit, ut patet eodem libro, capitulo 49, sed tremenda ponuntur libro uirorum, capitulo Pheton, et libro ciuitatum, capitulo Constantinopolis, et supra in hoc libro, capitulis 31, 32. xiii.68,62-68,92 62-69. Iac. leg. Sanct. CL, 2-4 et 15 71-73. Plin. nat. II, 147 (sepe – alias; G. Volumnio – aues) 73-74.Val. I, 6.5 (quamquam – mutate sunt) 82-88. Mart. Chron. A.D. 855 (imp.) 88-90. Rest. La composizione, II, 6,4,6.5-6 (Anno – decidit) 63. diuino EBMCLPRoPaT: diurno ReV 67. est post eclipsatus add. Pa, om. cett. 69. occiderentur EReBMCLVPRoT: trucidarentur Pa 71. inde EReBMCLVPRo: idem PaT | contigerit BCLVPPaT: contingerit EReMRo 73-74. quamquam – sunt add. PaT, om. cett. 80. incipiat Pa: incipiet EReBMCLVPRoT 82. uolueris EReBMCLVPRo: uis PaT | 555 : 855 Martinus 84. Normanni E: Normani PaT Normandi CL Normam ReBMVPRo 86. lupis EReBMCLVPRo: a lupi PaT 88. Require – Scoto om. Pa

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Quod moles glacei sedecim pedum longe, late autem sex et duorum grosse, ceciderint pluendo ponitur libro De sectis phylosophorum, ubi agitur de Lodouico I, filio Karoli Magni, et libro uirorum, capitulo Rabanus. 69. Quid sit ros; ethymologia roris; unde generatur et unde proueniat. Ros, prout scribitur libro De proprietatibus rerum, est impressio aeris generata ex uapore subtili, frigido et humido, non congregata in corpore nubis, sed in inferiori parte medii intesticii paruo rigore frigoris occurrente, ob quod poete fingunt rorem esse lune filium ex aere genitum (Require libro mulierum, capitulo Dyana). Et dicitur ros, prout scribit Rabanus XI De origine rerum, eo quod rarus sit ad differentiam niuis et pluuie, pruine uel grandinis. Et decidit, teste Phylosopho II Metheororum, non dominante gelu neque ardoribus neque uentis, sed existente serena nocte et quanto lumine plenior luna est, tanto fertur largior arua perfundere. Sed quia paulo post ad litteram subiunxit Phylosophus «ros fit quando flat auster, non septentrio», ne credatur Phylosophus sibi ipsi contradixisse, dicunt expositores non generatur ros quando spirant flamina, tamen flante austro eleuatur materia roris, que spiritu cessante cadit nec potest ros esse dum spirat. Geruasius autem I Imperialium otiorum: «Multi — inquit — autumant rorem descendere a quadam nebula uaporali, quam dicunt uocari ‘aquas que super celos sunt’, ut apparet in estate. Sunt et qui dicant rorem estiuum surgere ab inferiori euaporatione terre, quod probant experimento panni superstrati herbis, qui a superna parte siccus et infera humidus inuenitur, sed quicquid sit non tamen negandus est ros celestis, cum Ysaac impartiens benedictionem Iacob dixerit, prout legitur Genesi capitulo XXVII: ‘de pinguedine terre et de rore celi det tibi Deus’». 70. Quedam miranda opera roris. Messelach, probans quod humor roris sit subtilissimus: «Si rore — inquit — farciatur testa oui, deinde forti calore solis ponatur ad radios Phetonteos, eleuabitur a terra usque ad culxiii.68,93-70,3

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93-94. Mart. Chron. A.D. 815 (imp.) 69, 2-4. Bart. Angl. propr. XI, 6 (impressio – occurrente) 5. Macr. sat. VII, 16.31-32 (rorem – genitum) 6-8. Rab. uniu. XI. 19 (et dicitur – grandinis); sed uide Isid. etym. XIII, 10.9; Vgut. deriu. R 14, 3 8-10. Aristot. meteor. I 10, 347a, 22; 26-28 1112. Aristot. meteor. I 10, 347a, 37-38 15-22. Geru. otia I, 12 (17. Ps. 148.4; 22. Gn. XXVII, 28 70, 1-4. Alb. Meteora II, 1, 6 93. moles PaT: mole cett. 94. ceciderint EReBMCLRoT: ceciderunt VP ceciderit Pa 95. et – Rabanus om. PaT 69, 4. intesticii emendaui 5-6. Require – Dyana om. Pa 7. et pluuie post niuis add. Pa, om. cett. | uel grandinis om. T 8. II , sed de libro I agitur 13. suppleui 14. roris LPaT, E post corr.: rori Ro2 rationis ReBMCVPRo1 | que ECLVRoPaT: quem ReBMP 16. uocari ante rorem add. EReBMCLVPRo 19. panni EReBMCLVPRo: panno PaT | superstrati scripsi: superstrato | qui a superna EReB MCLVPRoT: quia in superna Pa 20. inuenitur EReBMCLVP, om. RoPaT | inuenitur – negandus om. Ro | Ysaac (Abraham alias Ysaac L) CTPa post corr.: Abraham cett. 22. et de PaT, om. cett. 70, 2. rore PaT: rorem cett. 3. Phetonteos EReBMCLVPRo: Phetontis PaT

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men haste, cui proxima fuerit imposita dicta testa». Scribit etiam Nicolaus Oresme X questione super I Metheororum: «Ros aliquando non modo herbas inficit, sed desiccat: causa — inquit — est quia cum illo uapore subtili, qui materia roris est, miscetur terrestre aliquod, quod remanet in modum farine postquam id subtile calore solis euaporatum est, ob quod dicit oues sepius mori quia uentrem soluit ad instar crudi mellis». Quandocumque tamen ros cadit futuram serenitatem indicat: ratio est quia tunc non eleuantur uapores grossi, qui sunt materia future pluuie. Nec scire pretereundum est quod mos inoleuit usque ad nostra tempora consuetudine obseruatus, prout mihi quidam incolarum fidem faciunt, quod in maiori Britannia nocte Natalis Domini sub diuo manipuli ponuntur auene seu uascula plena ordeo uel auena ut, si fortassis — ut assolet — epidimia eueniret, ex illa fruge respersa rore hora natiuitatis Domini pasta animalia tuta sint. Si uero nocte illa sub diuo ponatur panis, deinde comestus liberat ab omni febre, dum fides assit que homines saluos facit. Sunt et nostro euo potentes quidam qui sancto die Pentecostes nullum cibum sumerent nisi prius haurirent cadentem de celo rorem, qui quandoque serius et quandoque cicius stillat, sicut Ierosolimis in sepulcro Domini quotannis est solitum in uigilia natiuitatis Ihesu Christi, humani generis redemptoris, accendere lampades uniuersas. xiii.70,4-71,12 71. Ethymologia pruine; quid ipsa sit, quomodo generatur et quid significat. Pruina dicitur quasi ‘pyr urens’: conuenit enim adustio frigori et calori. Estque pruina, ut scribit Albertus Magnus II Metheororum, congelatus roris uapor in medio intesticio priusquam resoluatur in aquam. Dicit enim Phylosophus II Metheororum quod, cum uapor eleuatur ex aqua et frigus uehemens illi obuiat die ac nocte, ipsum aggregat spissando, qui decidens fit pruina. Quod quidem frigus, teste Alberto Magno preallegato loco, uenit ex tempore uel ex aere: tempore autem hyemali, quoniam sol a nobis remotus est, frequenter pruine decidunt, ex aere quia frigus est in uere potissime et autumpno. In uere quippe frigus est quod frigidi uapores et nubes hyemis induxerant, pellitur tamen adueniente sole, qui subtiles uapores eleuatos in aerem alterat in pruinam, in autumpno etiam propter 9-11. Alb. Meteora II, 1, 6 14-23. Geru. otia I, 12 (in – uniuersas) 71, 2. Vgut. deriu. P 92, 34; Isid. etym. XIII, 10.8 (Pruina – urens) 3-4. Alb. Meteora II, 1,10 5-16. Alb. Meteora II, 1,8 12. inoleuit EReBMCLVT: ineleuit Ro inoluit P inualuit Pa 13. quod LPaT: quam cett. 14. nocte – manipuli om. L | ponuntur Pa: ponantur EReBMLVPT ponnatur C 16. pasta EReMPRoPa: pasca VT pastha C pascha BL 17. sint ReBMCLVPRo: sunt EPaT | deinde ante comestus habet Pa, post comestus cett. 22. natiuitatis EReBMVPRo: natali Domini L natiuitalis C, om. PaT 71, 7. Magno CRoPaT, om cett. 9. ex PaT: et cett. | quia post aere add. PaT, om. cett.

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remotionem solis a nobis multiplicantur nubes frigide, quibus solutis remanet aer frigidus uapores solidans in pruinam. Et quia omnino calidum remouetur a generatione pruine, ideo fit ipsa rigens cum nil in eius generatione sit quod gelatum uaporem mollificet. Et, ut uulgo dicitur, ingens pruina signum est inminentis pluuie. 72. Ethymologia et diffinitio glaciei. Glacies, teste Rabano XI De origine rerum, dicitur quasi ‘gelacies’, hoc est gelata aqua, unde diffiniendo dicitur: «Glacies est aqua ex intensissimo frigore congelata». 73. Vnde dicitur grando; quid sit causa generationis eius; quare maxime grandinet in estate et uere; quare cadat magis et minus grossa et quantum mali secum aufert. Grando, ut scribit Ysydorus XIII Ethymologiae, dicitur quasi eius forma granorum similitudines representet et ut scribit Phylosophus II Metheororum: «Nil aliud grando est quam stilla pluuie congelata rigore frigiditatis et uenti», quod Ouidius tetigit dicens IX libro De transformationibus: xiii.71,13-73,24 «Vtque ferunt imbres gelidis concrescere uentis, inde niues fieri, nubibus quoque mole rotatis astringi et spissa glomerari grandine corpus». Causa generationis eius, ut scribunt phylosophi, est uapor multus et grossus in concauitatibus nubis clausus et ex frigiditate densatus, fractus tamen ardore solis seu uentorum flamine. Cadunt quippe grandines in estate et uere, de die etiam frequentius quam de nocte: ratio est secundum Phylosophum III Metheororum quia illis temporibus sol magis elongatur a nobis et per consequens aer riget. Ideo humor in aerem tractus non liquet cessante calore solis, sed stat condensatus in aere, qui postmodum agente calore solis redeuntis ad hemispherium nostrum non modo frangitur liquescendo, sed frustratim ad terram decidit: que quidem frustula communi uocabulo grandinem appellamus. Nam ex diuturna reuolutione per aerem fit rotunda, minoranturque partes eius ex caliditate aeris que pro magna parte resoluit grandinem. Ideo cum grandine cadit pluuia, sed grando que generatur in locis terre propinquis nec parua nec rotunda est, quia parum in aere uoluitur nec calor obuiat, quo soluatur. Nec preter-

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72, 1-3. Rab. uniu. XI.17 73, 3-4. Isid. etym. XIII, 10.5 5-6. haec apud Aristotelem non inueni 8-10. Ou. met. IX, 220-22 11-13. Alb. Meteora II, 1, 26 13-14. uide Aristot. meteor. I 12, 348b, 26-30 (Cadunt – nocte) 14-20. haec uerba apud Aristotelem non inueni 20-24. Alb. Meteora II, 1, 28 (Nam – soluatur) 14. et post remanet add. EReBMCLVPRo 16. mollificet EReBMLVPa: mollificus T mollicit P 11. eius post generationis Pa, om. cett. mollifit CRo 73. astringi correxi e Ouidio: astringit | scribunt phylosophi ReBMCLVPRoT: scribit phylosophus EPa 18. hemispherium scripsi: hemisperium EBCLPaT emisperium ReMVPRo 20. grandinem EReBMCLVPRoT: grandines Pa | diuturna EReBMCLVP: diurna RoPaT

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miserim quod scribit Albertus Magnus II Metheororum et VII libro Vegetabilium: «Grando» dicens «nocet plantis propter mortificatiuam frigiditatem radicum que in ea est, ideo sequenti anno consueuit sterilitas sequi semper». Fit etiam ex ea pestilentissimus potus, ut patet liber aquarum dulciarum, capitulo 15 (Require ultimum capitulum huius presentis libri). Non igitur per ethymologiam dicetur immerito grando quasi ‘grauamen do’, quamobrem agebat rudis gentilitas stupenda pro grandine euitanda, ut patet in sequenti capitulo. xiii.73,25-74,25 74. Quare ningat, non grandinet; et quid quidam predicant grandines inspecta nubes et ponunt sacra pro grandine. Sepius queri solet quare hyeme ningat, non grandinet, uere autem frequentius grando cadat, ad quod respondit Seneca III De questionibus naturalibus [quia] dicens «Hyeme aer riget, ideo humor in aerem tractus non in aquam sed in niuem uertitur», cum supra dictum sit quod grando sit stilla pluuie (Require precedens capitulum). De secunda parte quesiti Albertus Magnus II Metheororum: «Grando — inquit — generatur in uere frequentius quam estate quia calor estiualis fortis existens fere totum humiditatis absorbet quod eleuat, ideo preciditur materia grandinis et omnium humidarum impressionum. In uere autem calor inuenit circa superficiem terre humiditates plurimas, quas hyems peperit tum ex pluuiis tum ex conuersione aeris in humidum, ideo agente calore sit multa materia humidorum, quapropter nimbi graues magis quam pertinaces defluunt et quod erat futura pluuia grando fit frigore seuiente. In autumpno precedente calido estiuali est aer adustus et terra sicca, ita quod temperatum frigus autumpni non potest tantam humiditatem inducere quod uehemens illud siccum temperet quod estas induxerat». Nec omiserim quod cuipiam forsan uidebitur mirum: scribit Seneca III De questionibus naturalibus quosdam adeo peritos obseruandarum nubium esse quod predicant cum grando futura sit, quod — reor — ipsos intelligere potuisse longa rerum experientia, quia notauerint colorem nubium, quem sepius uiderint sequi grandinem (Require eodem libro, capitulo 58). Sed audi ineptias rudium antiquorum: cum illi dedissent signum grandinem iam adesse, discurrebant homines, pro se quisque alius agnum immolabat, alius pullum etc., mox alio nubes ille declinabant cum aliquid 26-28. Alb. Meteora II, 1, 29; id. ueget. VII, 19 74, 2-6. Sen. nat. IVb, 4.1-2 (quare – cadat; hyeme – uertitur) 8-18. Alb. Meteora II, 1, 25 19-26. Sen. nat. IVb, 6.1-2 (quosdam – grandinem; cum – sanguinis) 25. libro PaT: capitulo cett. 27. que – anno om. P 28-29. ut – libri om. Pa 30-31. grauamen do B: grauamendo EMCLPPaT, Ro ut uid. gramendo Re grauando V 74, 4. [quia] deleui 8. in EReBMVPRoPaT: ex CL 10. preciditur ReBMLVPRoPaT: preceditur EC 16. ita quod PaT: itaque cett. 16-17. temperatum – siccum om. PaT 22-23. Require – 58 om. Pa

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gustassent sanguinis, ob quod nos Maro monuit sacra facere quibus tempestates remouerentur et pluuie dicendo: xiii.74,26-75,13 «In primis uenerare deos, atque annua magne sacra refer Cereri» etc. Et ut magis rideas, reuertar ad id quod subiunxit Seneca: «Siquis non habuisset pullum aut agnum, digitum sue manus acutissimo pungebat graffio et hoc sanguine grandini sacra dabat. Nec minus ab huius agello se uertebat grando quam ab alio in quo maioribus hostiis honorata fuerat». Vides quanta sit uersutia demonum ut sub specie boni rudes illaqueet: petebant enim sacra sub nomine grandinis ne ipsorum uinee uapulassent aut segetes procidissent. Quis enim paciscatur cum grandine? Quis tempestates munusculis proprii sanguinis redimat? Satius erat dicere uel mendacium uel delusionem esse. Cato autem dicebat suo De agricultura carmine posse auerti grandines, cuius uerba subticui ne affectasse morderer magicam innouare. Et Albertus Magnus libro VII Vegetabilium: «Dicunt — inquit — aruspices ualere contra fulgur et grandinem si secures uel gladii cruentati tollantur minaciter contra celum». 75. Quid sit nix; unde dicatur; ex quo generatur cum causis suis; quare prius uidetur in montibus quam in planitie. Nix, prout scribit Secundus phylosophus Adriano Cesari, est ‘aqua sicca’ a nube dicta, unde uenit secundum Rabanum XI De origine rerum, et, ut placet physicis, generatur ex uapore frigido et humido in nubis corpore congelato et in ea parte aeris que terre propinqua est, unde Seneca III De questionibus naturalibus: «Nix — inquit — a parua altitudine in terram cadit cum circa terras inicium eius sit». Ad cuius generationem, ut scribit Albertus Magnus II Metheororum, intensius frigus necesse est quam in generatione imbrium, prout nos quotidiana experientia certos facit, ab Ambrosio doctore eximio confirmata dicente libro Exameron: «Plerumque glacialibus uentorum flatibus rigentes aque solidantur in niuem et rupto aere mittuntur ad terram». Remissius tamen frigus est quod parit grandinem eo quod, teste Alberto

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28-29. Verg. ge. I, 338-39 30-33. Sen. nat. IVb, 6.3 36-38. Sen. nat. IVb, 7.1-2 (paciscatur – esse) 39-40. Cat. agr. 150 40-42. Alb. ueget. VII, 170 75, 2-3. Secundi diffin. 62; Rab. uniu. XI, 16 6-8. Sen. nat. IVb, 3.5 8-10. Alb. Meteora II, 1, 15 11-12. Ambr. exam. II, 4, 16 13-16. Alb. Meteora II, 1, 16 26. sanguinis EReBMCLV1PaT: sanguis V2PRo 26-29. ob – etc. om. Pa 30. reuertar – Seneca om. Pa 33. honorata : exorata Sen. | fuerat Pa: fuerit EReBMCLVPRoT 34. sub ante specie add. Pa om. cett. | illaqueet EReBMCVPRo: illaqueent LTPa 37. satius ReBMCLPaT: satis EVPRo 38. mendacium LTPa: mendatum EReBMCVPRo 39. carmine EReBMCVPTPa: carmen L cariem Ro | morderer EReBMCLVPRo: uiderer PaT 75, 8. scribit EMCLVPaT: scripsit ReBPRo

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Magno, frigus niuem generans habet aliquid de calore, qui [calor] in uentre nubis clausus nec repente a frigiditate deuictus niuis substantiam rarefacit mollificando eam. Nec, eodem Alberto teste, nix decidit nisi sit frigus in aere sparsum, quod in hyeme tantum et principio ueris et autumpni fine contingit. Videmusque semper in montium cacuminibus primam niuem: causa est quia tollente Phebo uapores aqueos quibus potest nix gelari, frigus inductum uapores gelat et facit niuem que a dominio frigiditatis candorem recepit. Tamen propter debilitatem frigus a calore tantum debili non soluitur, sed in squamas seu latas partes frangitur, igitur equaliter ad terram cadit altioribusque montibus primo repertis heret. Inferiora uero quia sole agente calidiora sunt, cum inferius seu uallibus seu planitiei approximat, liquet fitque nobis pluuia quod nix uidetur in montibus, sed si sol tantum ab hemisperio nostro longinquus fuerit quod aer et terra infrigidata sint, equaliter in plano et monte cadet, sed in alto mari numquam legimus cecidisse niuem. Sed tu dices cacumina montium debent calidiora esse quia celo proximiora sunt. Erras enim si credis Apenninum et Alpes aliosque montes ob eximiam altitudinem solis uel ignis sentire calores: excelsa illa inferiora sunt cum inter se ipsa comparantur, sed si superna celi respexeris, omni sunt humillima; sin autem dicas altiorem montem, quia igni uel soli proximior sit, calere magis, dicas similiter longiorem hominem quam pusillum et caput citius calere quam pedes. Fateor tamen montes quos uidemus eterna niue canos soli propinquiores uallibus, sed eo modo quo pilus est pilo grossior et arbor arbore et mons monte maior dicitur. Que inter se collata discrimen habent, sed si uenies ad collationem immensi corporis, nil interest quanto sit alterum maius altero (Require eodem libro, capitulo 42). xiii.75,14-76,4 76. Quid niue terra pingueat et pereant male erbe et frigiditas ex calcatione niuis. Nec pretermiserim quod substantialiter scribit Albertus Magnus preallegato loco, niuis mora, dicens, terra pinguet dum frigiditate sua poros terre claudit; calore igitur reuocato intrinsecus radices humores

16-28. Alb. Meteora II, 1, 17 (nec – cecidisse niuem) 28-38. Sen. nat. IVb, 11 (sed tu – altero) 14. Magno post Alberto add. PaT | [calor] deleui 17. et post tantum Pa, om. cett. | fine om. P 18. contingit VRoPa: contigit EReBMPT contigerit CL 19. nix add. PaT, om. cett. | gelari EReBMCLVPRo: congelari Pa gellari T 20. inductum EReBMCLVPPaT: inductos Ro post corr. | a dominio EBMLPaT: a domineo ReRo, ut uid. a domino P 21. debilitatem CL: debilitatum EReBMVPRo debelitatum PaT 23. heret EBMCLVPPaT: adheret Re inheret Ro post corr. | inferiora Pa: infra cett. 24. inferius PaT: inferis cett. | approximat PaT: approximatur EReBMCLV approximatum Ro approximam P 27. sint RoPaT: sit cett. 35. canos LVRoPaT: caues EMP canes BC colles Re 37. uenies EReBMCLVPRoT: uenias Pa 38. corporis om. Pa

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attrahunt, unde pinguescit tellus. Et subdit: «Niue pereunt herbe male, sed utiles herbe pinguent: nam sensim nix illa distillat ad radices herbarum sicque, uelut ex ubere, alit eas». Et tamen plurimum arboribus nocet, cum scribat preallegatus Albertus, libro VII Vegetabilium: «Aqua autem niuium et grandinum, nisi diu stet, priusquam ad plantas defluat, plurimum plantis nocet frigiditate sua, que plantarum radices mortificat. Signum est quod terre niuose parum germinant et minus maturant. Agri etiam degrandinati uix tertio anno reuertuntur ad cultum. Aque uero pluuie habent aliquid caliditatis ex nube, ros autem quia sit calidus et humidus ac dulcis facile plantas nutrit» (Require 15 capitulo libro aquaruam dulciarum, ubi ponitur quod aqua niuis et grandinis pessima sit in potu). Scribit enim Auicenna in libro I sub rubrica De regimine aque et uini et Ysaac libro De dietis particularibus: «Nix et aqua niuis nocet dentibus et neruis omnibus et maxime senibus propter defectionem neruorum suorum: nam percutit pectus, stomachum et omnia uiscera, anhelitus facit angustiam, spasmum et paralisim, que omnia cito monstrantur in senibus; in pueris autem et iuuenibus uidetur serius propter naturalem calorem repugnantem niui, cuius malitiam tollerare nequit nisi natura uehementer sanguineus et colericus, quibus etiamsi non illico nocumentum fecerit, faciet tamen in tempore successiue». Dixit tamen Auicenna quod rectificatur si misceatur aceto. Quin etiam dicunt rustici, quod nec expertus sum nec audeo experiri, minus algere pedes eorum qui fixam et duram niuem calcant quam eorum qui per teneram et labefactam incedunt. Amen. xiii.76,5-76,27

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8-14. Alb. ueget. VII, 19 17-24. Auic. Canon I (3) 3, 8; Isaac diet. part. V 25-27. Sen. nat. IVb, 5.3 (nec expertus – incedunt) 9. plantas BCLVPRoPa: plantes EReMT 12. agri – cultum om. EReM 13. et Pa, om. cett. 14. ac Pa: et cett. 15. scribit Pa: scripsit cett. 16. regimine EReBMCLVPRo: regione PaT 20. paralisim (paralesim T) Pa: parale cett. 19-21. que – naturalem add. PaT 22. calidus ut uehementer post uehementer add. EReBMCLP 24. dixit EReBMCVPaT: dixerit PRo dicit L 25. rustici EReBMCLVPPaT: tusci Ro post corr. | audeo Pa: aueo cett. | experiri EReBMVPRoPaT: reperi C reperiri L

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COMMENTO

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LIBRO XII 1, 1-2. ueniat … hospes: si coglie in queste parole una chiara reminiscenza ovidiana: cfr. Ou. met. VII, 813-14 ‘aura’ (recordor enim) ‘uenias’ cantare solebam, / ‘meque iuues intresque sinus, gratissima, nostros’. 2-3. dicitur … ferienti: cfr. Vgut. deriu. A 17, 1 Hic aer dicitur ab a quod est sine et eris quod est lis, quasi sine lite per contrarium, quod omnimoda lis uentorum et fulminum sit in aere, uel ideo dicitur sine lite quia facile est et sine lite cedat ferienti. 5-11. Hic inter … in cacumine: Domenico tace la fonte delle informazioni generali sulle caratteristiche dell’elemento aria, ma tra le righe si coglie una chiara ripresa di Sen. nat. II, 6.1 e 4-6. In effetti le immagini utilizzate (l’aria presentata come elemento incostante e tumultuoso, in grado di portare distruzione se agitato, ma allo stesso tempo ricco di buone qualità, come quella di essere responsabile della crescita delle piante e dei frutti) sono le stesse proposte da Seneca: nat. II, 6 (…) sed tamen quidquid terra in alimentum caelestium misit, recipit, ut scilicet materia non pars intellegi debeat. Ex hoc omnis incostantia eius tumultusque est. (…) Hic, cum uehementius concitatus ipse se torsit, arbusta siluasque conuoluit, et aedificia tota corripiens in alto frangit. (…) in tantum conualescunt ut ingentia saxa deturbent et monumenta dissoluant; scopulos interim rupesque radices minutissimae ac tenuissime findunt. (…) quid autem aliud producit fruges et segetem inbecillam ac uirentem erigit, arbores aut distendit in ramos aut in altum exigit (…)? 5. uim siderum in terrena transfundit: l’analisi dell’impiego delle Naturales quaestiones nel Fons spesso mette in luce piccoli fraintendimenti da parte di Domenico: in questo caso, mentre Seneca scrive che l’aria, trovandosi in mezzo tra la terra e il cielo, riceve tutto quello che la terra invia come alimento dei corpi celesti (Sen. nat. II, 6.1 quicquid terra in alimentum caelestium misit, recipit), Domenico pone l’accento su un aspetto differente, si potrebbe dire su un “movimento contrario” che non va dalla terra al cielo, ma dal cielo alla terra, per cui è la uis siderum ad essere trasmessa alla terra grazie alla mediazione dell’aria. 7. uehementer: cfr. Sen. nat. II, 6.4 uehementer AVθπ, sed uehementius ζB et edd. 8-9. saxa maxima … euertit: ad un buon conoscitore delle Naturales quaestiones non sfuggirebbe il fatto che quando Seneca descrive massi rovesciati e monumenti frantumati non si sta riferendo direttamente al-

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l’azione dell’aria, ma a quella di paruula semina o radices minutissimae ac tenuissimae e solo indirettamente all’aria stessa (intentio spiritus), che rende possibile tali conseguenze. xii.1-2 13-15. Cum aer … operatur: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 2 (…) et aer quidem dum est temperatus et clarus, neque substantia extranea complexioni spiritus contraria ei admiscetur, est sanitatem efficiens et ipsam conseruat. Et cum mutatur sue operationis contrarium operatur. 16-21. Aer est … putridi: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 5 Aer bone substantie est aer cui non admiscetur ex uaporibus neque ex fumis res extranea et qui est discoopertus coelo neque est inter parietes et tecta constrictus. Cum uero in aere acciderit putrefactio, communis discoopertus tunc erit ipsam magis recipiens quam constrictus et occultatus. Aliter autem discoopertus melior exit. Et hic quidem bonus aer [permanet clarus, nisi cum eo uapores misceantur] (est mundus clarus, cum quo non miscentur uapores) lacuum et stagnorum et profunditatum aquam continentium et terrarum [que sunt laxe] (paludosarum) et locorum ubi nascuntur olera et praecipue ubi talia qualia sunt caules et eruca (del.) [oriuntur] et arbores [uiscose, et arbores malarum complexionum sicut sohat] (letihe, id est madefacte putrescentes et arbores male substantie sicut alsuhat-alluhat) et nuces et ficus odoris putridi [aut uenti putridi]1. 21-22. Require … capitulo I: nella parte iniziale del libro De edificiis memoratu dignis, in cui al catalogo degli edifici è premessa una breve introduzione sulle caratteristiche geografiche e fisiche delle parti della terra in cui è preferibile edificare oppure no, viene sottolineata la necessità di evitare i luoghi umidi: (E1, f. 168va) Loca palustria remotiora a meridie, uersa ad frigidiora climata, sunt [cfr. Re, f. 338rb] et humida, humore ita superfluo quod calor nequit illam superfluitatem consumere. Ergo corrumpit eam, quapropter loca illa fiunt uaporosa, quin etiam pestifera incolentibus ea. Nam aer ille humidus corruptus efficitur uenenosus, qui penetrans indigestus ad interiora uitalia repente perimit. Fiunt et ibi coruscationes sepius et multa tonitrua. Fugientur ergo non solum talia loca, sed fructus qui nascuntur in ea. 22-31. Aer … humores: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 6 Aer calidus dissoluit et laxat. Et si eius caliditas [pauca fuerit temperata tunc] (fuerit temperata, tunc) rubificat colorem, eo quod sanguinem ad exteriora trahit, quod si multa fuerit, colorem efficiet citrinum, propterea resoluit illud quod attraxit. Ipse quoque multum efficit sudorem et minuit urinam et digestionem debilitat, et 1 Si riportano tra parentesi tonde gli emendamenti alla traduzione di Gerardo da Cremona proposti da Andrea di Belluno sulla base di alcuni testimoni arabi, e tra parentesi quadre il testo latino a cui queste correzioni si riferiscono, così come esse appaiono nell’edizione veneziana del 1544.

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COMMENTO XII.1-2

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sitim facit. Frigidus uero aer constringit et digestionem fortiorem reddit, et urinam efficit multam, ideo quod humores constringit et propterea quod in sudorem paruum resoluuntur, et his simila, et minuit egestionem: propterea quod musculi ani se exprimunt et ideo quod rectum intestinum parum obedit; unde propter destructionem obedientie uie stercus non descendit, quapropter multum moratur et eius aquositas in uirinam resoluitur. Aer uero humidus cutem lenit et corpus humectat, et siccus exsiccat cutem desiccat et [denigrat](et arefacit uel exsasperat) corpus, et aer turbatus tristificat animam et [commiscet] (commouet) humores. 2, 1-4. Meat aer … eternis proxima: l’idea che l’aria si estenda dall’etere fino alla terra e che non sia sempre uguale a se stessa, ma subisca l’influenza degli elementi vicini, non è citata direttamente dall’opera di Aristotetele, come farebbe supporre l’incidentale prout scribit Phylosophus I Metheororum (ll. 3-4), ma da quella di Seneca, in una forma abbastanza vicina al testo del filosofo romano: cfr. Sen. nat. II, 10.1-2 Ab aethere lucidissimo aer in terram usque diffusus est (…) sed non per omne spatium sui similis est: mutatur a proximis. Summa pars eius siccissima calidissimaque et ob hoc etiam tenuissima est, propter uiciniam aeternorum ignium. 4. tenuissima: cfr. Sen. nat. II, 10.2 tenuissima ζAθ et edd. : pertenuissima BVPU pertimutissima W. est: il verbo è presente dopo tenuissima nei codici ζθ (cfr. Sen. nat. II, 10.2). Si noti che per connotare l’aria Seneca aggiunge un terzo aggettivo, calidissimaque, che non è presente nel testo di Domenico: in effetti esso non è presente in δ ed è tramandato solo da ζθπ. 5. et Tullio I De questionibus Tuscolanis: cfr. Cic. Tuscul. I, 42-43 (…) necesse est ferantur ad caelum et ab his perrumpatur et diuidatur crassus hic et concretus aer, qui est terrae proximus. (…) necesse est ita feratur, ut penetret et diuidat omne caelum hoc, in quo nubes imbres uentique coguntur, quod et umidum et caliginosum est propter exhalationes terrae. 7-9. yma uicina … recipit: cfr. Sen. nat. II, 10.2 illa pars ima et uicina terris densa et caliginosa est, quia terrenas exhalationes receptat. 14. summa: summa è tramandato unicamente dal codice H, mentre il resto della tradizione lucreziana tramanda concordemente magna (cfr. Luc. II, 273). 15-19. Media autem pars … fouent: cfr. Sen. nat. II, 10.2-3 Media pars (…) ceterum utraque parte frigidior. Nam superiora eius calorem uicinorum siderum sentiunt; inferiore quoque tepent: primum terrarum halitu, qui multum secum calidi affert; deinde quia radii solis replicantur et, quousque redire potuerunt, id duplicato calore benignius fouent. 19-21. Media autem … frigida sit natura: cfr. Sen. nat. II, 10.4 Media ergo

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pars aeris ab his summota in frigore suo manet; natura enim aeris gelida est. Nella citazione di Domenico si può ipotizzare un’alterazione consapevole del testo nella sostituzione del possessivo suo con l’aggettivo eterno, che rafforza l’idea della perennità della condizione in cui verte la media pars dell’aria. Si veda inoltre Rest. La composizione II.7.12 «L’altra tonica3 d’aere trovamo fredda, e questa è entra ambedoe le calde». xii.2 21. et Restaurus II libro De causis essentie mundi: il De causis essentie mundi, altrimenti noto come La composizione del mondo colle sue cascioni, fu composto da Restoro d’Arezzo nel 1282 nel comune toscano quand’egli era in età ormai avanzata, come recita il suo explicit4. Attraverso i pochi accenni autobiografici presenti nel testo si è ipotizzato che Restoro fosse, oltre che uno scienziato, anche un artista, orafo e pittore; oggi si esclude che fosse appartenuto al clero, come invece aveva sostenuto la critica del XIX secolo basandosi su un passo che in seguito è risultato essere interpolato5. Il suo trattato è la prima opera di carattere astronomico-geografico scritta in volgare, oltre ad essere l’unico documento di lingua letteraria aretina oggi noto: soltanto uno dei cinque testimoni attualmente conosciuti, cioè Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 2164, conserva il testo nell’originale dialetto aretino; gli altri quattro (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4110 e Chigi, M.VIII.169; Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 2229; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.viii.37) contengono la traduzione in dialetto fiorentino, segno che la tradizione del testo, per quanto limitata, fu affidata all’ambito culturale fiorentino. L’opera è strutturata in due libri di estensione disomogenea, composti rispettivamente da 24 e da 94 capitoli; nel primo libro l’autore descrive con acuto spirito d’osservazione il macrocosmo e il microcosmo, mentre nel secondo, che è suddiviso in otto “distinzioni”, discute di diversi fenomeni 2

Su Restoro d’Arezzo e la sua opera si veda la nota successiva. “Tunica” nel senso di “strato”. 4 La prima edizione completa del trattato fu pubblicata da Enrico Narducci (La composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo, testo italiano del 1282, Roma 1859); ad essa fece seguito nel 1888 l’edizione parziale dell’Amalfi, fondata sul Riccardiano 2164, per finire con l’edizione fiorentina del 1976 a cura di Alberto Morino (RESTORO D’AREZZO, La composizione del mondo colle sue cascioni). All’interno della ridotta bibliografia restoriana vanno segnalati: H. D. AUSTIN, Accredited citations Ristoro d’Arezzo’s “Composizione del mondo”; a study of sources, in Studi medievali 4 (1912-13), pp. 344-360; L. SERIANNI, Ricerche sul dialetto aretino nel secoli XIII e XIV, in Studi di filologia italiana 30 (1972), pp. 59-191; D. DE ROBERTIS, Un monumento della città aretina: “La composizione del mondo” di Restoro d’Arezzo, in Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di Arezzo, n.s., 42 (1976-78), pp. 109-128; A. CALECA, Restoro d’Arezzo. Le idee di un artista, 1282, in Critica d’arte, ser. 4, 5 (1985), pp. 41-46; A. MORINO, Restoro nella cultura scientifica e artistica del Duecento aretino, in STELLA, pp. 225-244. 5 Cfr. Rest. La composizione I, 15: «E stando noi nella città d’Arezzo, nella quale noi fummo nato [sic], nella quale noi facemmo questo libro, nel convento nostro (…)». 3

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COMMENTO XII.2

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e delle loro cause. La descrizione e l’interpretazione dei fenomeni della natura, portata avanti secondo il metodo empirico dell’indagine diretta, si fonda sia sulla dottrina aristotelica che sugli insegnamenti della scienza araba: infatti, prima ancora di Aristotele, l’autore più citato da Restoro è Alfraganus, l’astronomo arabo del IX secolo il cui trattato di astronomia venne tradotto in latino prima da Giovanni di Siviglia nel 1135 e poi da Gherardo da Cremona, che fu autore di una versione del testo molto più fedele all’originale che non la prima, e che è quella adoperata da Restoro. 21. frigida: cfr. Sen. nat. II, 10.4 frigida δ, sed gelida ζθπ et edd.. 22. libro elementorum in generali, capitulo 4: (E0, f. 135vb) Aer calidus est et humidus. (…) Sic aer humectus et calidus in calore aque frigiditate aduersatur. Conciliatione tamen socii co[m]pulatur humoris; sic et ignis cum calidus sit et siccus humorem aeris respuit siccitate, cui tamen iungitur societate caloris. Et ita fit ut singula queque elementorum duo sese amplectantur singulis qualitatibus, uelut alius aer, quem igni calor associat, sociatur aque similiter per humorem. 24. libro de inferno, capitulo 8: (E0, f. 79rb) Infernus iste uelut carcer demonum et cunctorum reproborum ab initio seculi a Deo factus, ut dixi in secundo capitulo huius libri, quamquam modo in tenebroso aeris carcere teneantur usque ad tempus Iudicii generalis. (…) Nulli mirum sit si demones post peccatum in ista caligine inferioris aeris detensi sunt, qui agitantur uentis, tonitruis et fulminibus concitantur, densantur in nubes, stillantur in pluuiam, pruinis, grandine aliisque multis quassationibus alterantur. 24-31. Sed mirabitur … non contingat?: cfr. Rest. La composizione II.7.1 «… e questa toneca6 molto fredda li se dea engenarare per rascione la grandine, e la neve, e la pluvia e altri accidenti, secondo el loco de la sua freddura, e en questo s’acordano tutti li savi. E cerchiamo la casione come questa toneca d’aere possa èssare fredda, e chi la mantene fredda, cum ciò sia cosa ch’ella sia entro doe calde, e l’aere sia naturalemente caldo. Noi vedemo che la fregidetà è naturalemente fondata ell’acqua, e se nulla cosa ha en sé frigidità, sì ha l’acqua; e specialmente la terra, secondo che ponono li savi, che de sé è secca; e emperciò trovamo la terra e le altre cose fredde. … E vedemo quanto più è grossa, tanto li s’apicia sù e più li riscalda; sì che movendose li raggi del sole e passando entro la spera del fuoco e scendendo giù entro per la spera de l’aere freddissimo, lo quale noi avemo detto de sopra, lo quale è gettato e enfreddato da la terra e da l’acqua, entra per esso, troval sutile, non rescalda e non li s’apicia sù, e remane quello loco freddo». 29. quod: l’uso di quod con valore consecutivo al posto di ut in correlazione con ita e adeo è molto ben attestato nel latino medievale (cfr. LEXI6

Vd. nota precedente.

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CON VII, Q 132-133; STOTZ, IX, 111.35-vol. IV, p. 414) ed è particolarmente frequente anche nella lingua del Fons. xii.2-3

3, 1-4. Aer sic diuisus … et mutabilis: cfr. Sen. nat. II, 11.1 Qui cum sic diuisus est, ima sui parte maxime uarius inconstans ac mutabilis est. 2. maxima: cfr. Sen. nat. II, 11.1 maxima δW2, sed maxime ζθPU, fort. 1 W et edd. uarius et: cfr. Sen. nat. II, 11.1 uarius et ψ, sed uarius ζ et edd.. 4. et: cfr. Sen. nat. II, 11.1 et AVW2, sed ac Gercke et edd. sic ζθPU. mutabilis: cfr. Sen. nat. II, 11.1 mutabilis δ et edd., mirabilis ζθπ. 5-7. Nam … introducit: cfr. Vgut. deriu. A 17, 1 Nam commotus uentum facit; uehementius concitatus, ignes et tonitrua; contractus, nubila; conspissatus, pluuiam; congelatis nubibus, niuem; turbulentius et densius congelatis densis nubibus, grandinem; distensus efficit serenum. Si veda anche Isid. etym. XIII, 7.1. 8-10. fieri cursu … uertuntur: sebbene non venga esplicitamente dichiarato da Domenico, le parole con cui egli spiega le cause della mutevolezza ed instabilità dell’aria sono la citazione di Sen. nat. II, 11.2: (…) alias siderum cursus, ex quibus soli plurimum imputes: illum sequitur annus, ad illius flexus hiemes aestatesque uertuntur. Domenico tuttavia tace la prima delle cause elencate da Seneca, ossia l’influenza esercitata sull’aria dalla terra stessa (alias terra praebet, cuius positiones hoc aut illo uersae magna ad aeris temperie momenta sunt). 10. flexum: cfr. Sen. nat. II, 11.2 flexum ψ, sed flexus Z et edd. 10-12. Sunt … mouent: il concetto espresso da Seneca in nat. II, 11.2 si fonda sulla convinzione diffusa tra gli antichi che il moto del sole e degli altri pianeti è opposto (occursus) a quello del cielo in cui le stelle sono infisse (cursus): Sed ceterae quoque stellae non minus terrena quam incumbentem terris spiritum afficiunt et cursu suo occursuue contrario modo frigora, modo imbres aliasque terris turbide iniurias mouent. Nel testo di Domenico all’idea del cursus e occursus è stata sostituita quella dell’ortus e occasus (l. 11), ma questa alterazione si spiega come frutto della tradizione: cfr. Sen. nat. II, 11.2 ortu δW2 (W1 non legitur), sed cursu E2f et edd., cultu ζθPUE1; occasuue δW2, sed occursuue ζθPU, fort. W1 et edd. 11. et aliae: la tradizione senecana è concorde nel tramandare ceterae quoque e per questa ragione, se per ciò che concerne l’uso di aliae al posto di ceterae si può pensare ad una uariatio dovuta ad un consapevole intervento dell’autore sul testo, diversamente nel caso di et va notato che la congiunzione è presente nella tradizione di δW2, a differenza dei codici ζθPUW1 che hanno sed ceterae (cfr. Sen. nat. II, 11.2). 12. terris: cfr. Sen. nat. II, 11.2 terris ζθπ et edd., terrarum δ.

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12-13. libro celi et libro stellarum fixarum et libro stellarum erraticarum: nei libri di contenuto astronomico, a cui Domenico rimanda per una trattazione più approfondita dell’argomento qui solo accennato, viene dato ampio spazio ai presagi meteorologici legati alle stelle e ai pianeti. Ad esempio, a proposito delle comete si legge nel libro de stellis fixis: (E0, f. 97rb-va) (…) comete diuerse significant secundum uarias regiones diuersaque signa in quibus apparent. (…) minatur futura mala et in hoc astrologi, poete et cuncti phylosophi nullo discrepante conueniunt. A questa affermazione generale fa seguito l’elenco delle molteplici catastrofi legate all’apparizione delle comete, come uragani, siccità, terremoti, inondazioni, carestie ed epidemie. Un discorso simile viene portato avanti anche nel libro successivo, dedicato ai pianeti o stelle erranti, in cui Domenico descrive l’influenza che ognuno di essi ha sulle vicende terrestri, da solo o in congiunzione.

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LIBRO XIII 1, 8. seminat: cfr. Alan. Anticlaud. II, 141 seminat CIKLw, sed seminet edd. 2, 2-3. Ignium multe … uisum est: cfr. Sen. nat. I, 1.1 Ignium multe uarieque facies sunt; ibid., 15.5 (…) quod frequenter in historiis legimus, caelum ardere uisum. xiii.1-3 3. Require eodem libro, capitulis 31, 32: cfr. XIII.31 e 32, dove Domenico riporta numerosi esempi di apparizioni prodigiose di fuochi celesti tratte dalle fonti antiche. 6. uaporabilis: cfr. LEXICON IX, V 34: uaporabilis, e: qui uaporare potest. 9. subtiliationem: cfr. LEXICON VIII, S 934: subtiliatio, onis: id est extenuatio. 10. rarefactionem: cfr. LEXICON VII, R 18-19: rarefactio, onis: id est actus uel effectus rarefaciendi. 11-14. Vapor … calor solis: cfr. Alb. Meteora I, 4, 1 Ascendit etiam uapor frigidus et uapor siccus, qui etiam est terrae naturae. Et ascendit ex ea (i.e. terra) uapor calidus et humidus, in quo est humiditas aquea uincens. Et ascendit ex ea uapor frigidus et humidus, quando uincit in eo natura aquae omnino. Et isti uapores materia sunt omnium impressionum in alto generatarum. Et calor solis est causa efficiens. 30-31. libro de prouinciis et regionibus, capitulo 6: il lungo capitolo, che in alcuni manoscritti reca il titolo De magnitudine terre, relata magnitudine celi, contiene una descrizione generale delle zone climatiche in cui è suddivisa la terra, a partire dalle zone settentrionali e australi, rese inospitali dal gelo perenne, passando per le zone torride fino a quelle temperate, al contrario rese vivibili dal clima più salutare e privo degli eccessi delle altre due (cfr. E0, f. 200va Due relique inter adustam et rigentes temperate atque habitabiles sunt. (…) loca uero in medio situata quia ab utraque nimietate recedunt habent temperiem salutarem: require libro De impressionibus aeris, capitulo 1). 34-35. siqua impressio … uapor terreus: cfr. Alb. Meteora I, 4, 1 Sed uapor calidus et siccus ascendit usque ad terminem ultimum, quo potest incendere in aere, quando non occurrit ei uapor frigidus impediens et ascendit usque ad concauum ignis. Quando autem peruenit illuc, tunc calefit calefactione uehementi et inflammatur propter continuationem suam ad ignem et

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propinquitatem ad motum orbis. Iste ergo est locus generationis ignium, de quibus dicturi sumus, et uapor calidus et siccus terrestris est materia eorum. 38. Aristotiles capram uocat: Domenico eredita l’inesattezza di Seneca (dovuta probabilmente a una citazione di seconda mano)7, il quale attribuisce ad Aristotele quella che in realtà, secondo lo Stagirita, è la definizione di “alcuni” (cfr. meteor. I 4, 341b, 3-4: οἰ καλούμενον ὑπό τινων … αἰγες). 38-39. talis enim fuit … illius ignis forma: cfr. Sen. nat. I, 1.2 fuit forma eius ZRθπ et edd., forma fuit eius BV forma eius fuit A. Il fatto che nel Fons il verbo fuit è collocato in posizione di rilievo rispetto al sostantivo e al pronome farebbe supporre una dipendenza dal testo di ZRθπ; diversamente la sostituzione del senecano eius con illius ignis potrebbe essere la conseguenza di un volontario intervento di Domenico. 40. tempore quo … confecit: la terza guerra macedonica (171-168 a.C.) si concluse con la sconfitta di Perseo ad opera del console L. Emilio Paolo. Seneca è l’unico a fare riferimento a questo prodigio. 40-42. libro uirorum … sub littera G: ogni qual volta Domenico nomina un personaggio storico puntualmente inserisce un rimando al libro de uiris, invitando così il lettore a cercare nella parte biografica dell’enciclopedia maggiori informazioni sulla persona citata. Su Lucio Emilio Paolo cfr. E2, f. 302rb …nec multo post contra Persen Philippi filium regemque Macedonie consul mittitur; su Perseo cfr. ibid., f. 305vb Cum Perse pugnauit Paulus uicitque (…) fuitque uictorie causa Sulpicius Gallus astrologus; su Sulpicio Gallo cfr. ibid., f. 371va-b Sulpicius Gallus astrologus plurimum cum astrologia Romane rei publice profuit. (…) Cum Paulus aduersus regem Persen bellum gereret et Sulpicius Gallus legatus inisset (Plinius ante dicit quod erat tribunus militum). Redeo ad Valerium: et luna in serena nocte subito defecisset et uelut eo diro monstro Romanus exercitus territus renueret cum hoste confligere in contione ab imperatore productus, de ratione celi ac natura siderum peritissime disputando eum alacrem in aciem misit sicque liberales artes Sulpicii Galli Paulo uictoriam pepererunt. Nam si Sulpicius non uicisset metum militum Romanorum Paulus uincere hostes non potuisset (cfr. Plin. nat. II, 53; Val. VIII, 11.1). et 31 … huius libri: cfr. nota a XIII.2, 3. 3, 4-5. Iohannes de Vicecomitibus … Thuscis: Giovanni Visconti (12901354), figlio di Matteo I e di Bonacosa Borri, fu eletto Arcivescovo di Milano nel 1317. Egli portò avanti il progetto di espansione del fratello Luchi7 Si veda A. SETAIOLI, Seneca e i Greci. Citazioni e traduzioni nelle opere filosofiche, Bologna 1988, pp. 443-444. A conferma della sua ipotesi egli sostiene che se Seneca avesse avuto sotto gli occhi il testo di Aristotele probabilmente non si sarebbe lasciato sfuggire la descrizione della “capra” come un fuoco che lancia scintille.

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no, che prima di lui e in soli dieci anni (1339-1349) era riuscito ad accrescere notevolmente il territorio dello Stato di Milano: acquistò Bologna dai figli di Taddeo Pepoli per la somma di 250.000 fiorini, nel 1351 conquistò Pistoia e l’anno dopo arrivò a minacciare la stessa Firenze, che però riuscì a contenere l’avanzata di quello che spesso viene ricordato come regulus super Lombardos. È dunque a questo episodio che si riferisce Domenico quando parla di una guerra portata avanti dall’arcivescovo contro i “Toscani” attorno al 13508. 6-11. cum dominus Karolus de Durazo … Bude: la regina Giovanna I d’Angiò (1325-1382) fu imprigionata a Castello dell’Ovo dal settembre del 1381 al marzo del 1382, dopo che Carlo di Durazzo, meglio noto come Carlo II d’Ungheria o Carlo III di Napoli, aveva invaso il Regno di Napoli, contando sull’appoggio di Papa Urbano VI, con il quale da tempo la regina era venuta in conflitto avendo dato il suo appoggio all’antipapa Clemente VII. Il 28 marzo 1382 il nuovo sovrano, temendo che l’ex regina potesse essere liberata dall’aristocrazia che le era rimasta fedele, preferì imprigionarla nel remoto castello di Muro in Basilicata e fu qui che Giovanna venne uccisa il 27 luglio dello stesso anno, probabilmente soffocata tra due cuscini9. Dopo la morte della regina e dopo aver consolidato il suo potere sul regno di Napoli, Carlo di Durazzo si recò a Budapest in seguito alla morte di Luigi I d’Ungheria, e prese il suo posto sul trono spodestando la regina Maria, figlia legittima del re. Ma la vedova di Luigi, decisa a vendicarsi dell’usurpatore, ordì un complotto contro di lui e nel 1386, dopo averlo fatto catturare e rinchiudere nella prigione di Visegrad, lo fece avvelenare10. 12-13. libro uirorum, capitulo Octauianus: cfr. E2, ff. 285rb-290rb. Si noti che nella biografia del primo imperatore di Roma non si trova alcun riferimento al prodigioso evento descritto da Seneca e qui ricordato da Domenico. 14-15. illo tempore … perdiderunt: la battaglia di Cnido del 394 a.C. 15-16. semper … prenuncia: la credenza che l’apparizione dei fuochi celesti, e soprattutto delle comete, preannunciasse eventi nefasti, come carestie o morte di principi regnanti e sciagure di vario genere, era molto diffusa nel Medioevo11. Questi segni vennero presi in seria considerazione e furono compilati elenchi di comete associate dai cronachisti alla morte 8

Cfr. A. CADILI, Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, Milano 2007. Cfr. A. KIESEWETTER, Giovanna I d’Angiò, in DBI 55, Roma 2000, pp. 455-477. 10 Cfr. M. MONTANARI, Storia medievale, Roma – Bari 2002, p. 254-55. 11 Si veda ad esempio Alb. Meteora I, 3, 11 Nunc autem quaerendum esset, si possemus comprehendere, quare dicitur cometes significare mortes magnatorum et bella futura; ibid. I, 4, 9 Vult etiam Albumasar quod etiam ista aliquando mortes regum et principum significent propter dominium Martis, praecipue quando fiunt in forma inconsueta et saepius solito. 9

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di re, nei quali figurano anche comete mai esistite, come ad esempio quella falsamente registrata nell’814 in occasione della morte di Carlo Magno12. All’origine di queste suggestioni e credenze sembra si possano collocare gli scritti astrologici di Claudio Tolomeo (90-168 d. C), che nel Τετράβιβλος o Quadripartitum discusse dell’influenza che le stelle esercitano sulle vicende umane e del ruolo delle comete, nel preannunciare morte di re, guerre, siccità o altre catastrofi13. xiii.3-4 16. Require eodem libro, capitulis 31-32: cfr. XIII. 31 e 32: alcune delle apparizioni prodigiose menzionate in questi capitoli furono seguite da eventi nefasti, come la disfatta dei Romani presso il lago Trasimeno ad opera di Annibale o la devastante discesa dei Longobardi in Italia. 4, 3-6. quandoque uisos … uolantia sydera: non è possibile trovare una corrispondenza diretta con il testo di Alberto Magno, che parla diffusamente dei fuochi celesti nei capitoli 5-8 del trattato 4 del I libro, riprendendo in sostanza le Naturales quaestiones di Seneca. L’impressione che se ne ricava è che Domenico, pur attribuendo ad Alberto Magno le notizie qui riportate, tenga comunque presente il testo del Cordovano: il sospetto è alimentato dalla presenza del termine clipeos (l. 4) che non è rintracciabile nei Meteora, ma che invece viene utilizzato da Seneca in due occasioni: in nat. I, 1.15 (Quando ergo fiunt trabes, quando clipei et uastorum imaginem ignium?), dove con il termine clipei in realtà si sta facendo riferimento ai globi, e in nat. VII, 20.2 (Hoc loco sunt illa a Posidonio scripta miracula, columnae clipeique flagrantes). In più luoghi delle Naturales quaestiones Seneca parla di globi, trabes, faces, coronae e ardores (si veda nat. I, 14.1, 15.2; VII, 4. 3-4, 5.2, 20.1), ma non si legge mai nel testo di fuochi simili a una lancia o ad una candela, di cui invece parla Alberto Magno, descrivendoli rispettivamente come fuochi allungati o larghi e arrotondati: cfr. Alb. Meteora, I, 4, 4 Si autem est uapor subtilis et minutus ubique, tunc non deprehenditur nisi sua longitudo et stat tunc ardens sicut lancea, et lancea etiam uulgariter appellatur. Si autem est uapor non prolungatus, sed magis dilatatus, non tamen magnae quantitatis, tunc stat ardens sicut candela, quia licet forte uapor sit quadratus uel pentagonus, tamen apparet rotundus propter longitudinem sui a uisibus nostris. Per il nesso uolantia sydera, pre12 Cfr. P. GARBINI, Corti e comete: lo scritto di Nicolò Conti sulla cometa del 1456, in Città e corti nell’Italia di Piero della Francesca. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Urbino, 4-7 ottobre 1992, a cura di C. CERI VIA, Venezia 1996, pp. 435-447: l’autore si sofferma soprattutto sul “terrorismo psicologico” che molti astronomi esercitarono sui regnanti del tempo ogni volta che veniva avvistata un cometa, segno nefasto per i principi. 13 Cfr. CLAUDIO TOLOMEO, Le previsioni astrologiche, a cura di S. FERABOLI, Milano 1985, pp. 156-157.

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sente nel testo di Alberto Magno (Meteora I, 4, 8: Et ideo Seneca nominat ‘globos’, ‘trabes, faces’, ardores et uolantia sidera) si veda nat. I, 1.5 dove Seneca cita il verso virgiliano crinemque uolantia sidera ducunt (Aen. V, 528), in cui il poeta paragona ad una stella cometa la freccia scagliata da Aceste, incendiatasi in cielo. 6-7. quandoque uisi … alimentum: si veda Sen. nat. I, 15.2 (…) tantum lucis emittunt ut fugent tenebras ac diem repraesentent, donec consumpto alimento primum obscuriora sint. La teoria stoica secondo cui gli astri ricevono nutrimento dalle esalazioni della terra è ribadita da Seneca anche altrove (cfr. nat. I, 1.8; VII, 20.2 e 21.4). 11. estus: il termine aestus non indica semplicemente il calore, ma anche la parte superiore dell’atmosfera14; lo stesso Alberto Magno illustra il duplice significato di questo termine quando scrive: Meteora, II, 1, 1 Vapor autem, qui est calidus et siccus et ascendit in altum, ex quo fiunt ignes (…) uocatur aestus. Regio autem ipsius etiam uocatur aestus, quia aestus est aequiuocum uel analogum ad proprietatem ignis et aeris regionis supremam et ad uaporem calidum et siccum, qui de terra eleuatur usque ad sphaeram ignis. Si veda anche ibid., I, 4, 4: in regione aeris, quae aestus dicitur; ibid., I, 4, 5: quia ille est unum et idem, scilicet regio aeris, quae aestus uocatur, ubi est uicinitas ignis et motus orbis; ibid., III, 1, 6: pars aeris superior, quae dicitur aestus. 13-25. uaria euaporatio … syderibus: la teoria aristotelica delle esalazioni viene presentata non attraverso la citazione diretta del I libro dei Μετεωρολογικά, come Domenico vorrebbe far credere al lettore (l. 12-13. Phylosophus, dicens substantialiter I Metheororum), ma attraverso le parole di Seneca: cfr. nat. I, 1.7-11: Aristoteles rationem eiusmodi reddit: ‘uaria et multa terrarum orbis expirat, quaedam humida quaedam sicca, quaedam concipiendis ignibus idonea’. (…) Necesse est ergo in magna copia corpusculorum quae terrae eiectant et in superiorem agunt partem, aliqua in nubes peruenire alimenta ignium, quae non tantum conlisa possint ardere sed etiam afflata radiis solis. Nam apud nos quoque ramenta sulphure aspersa ignem ex interuallo trahunt. Veri ergo simile est talem materiam inter nubes congragatam facile succendi, et minores maioresue ignes existere prout plus illis fuit aut minus uirium. (…) “Quare ergo non etiam interdiu transferuntur?” Quid si dicas stellas interdiu non esse quia non apparent? Quemadmodum illae latent et solis fulgore obumbrantur, sic faces quoque transcurrunt et interdiu, sed abscondit illas diurni luminis claritas. Si quando tamen tanta uis emicuit ut etiam aduersus diem uindicare sibi fulgorem suum possint, apparent. In effetti Aristotele parla solo di due tipi di esalazioni, umida e 14

Cfr. ALGAZEL, Metaphysica, II, 3, ed. J. T. MUNCKLE, Toronto 1933.

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secca (cfr. meteor. I 4, 341b, 5 sgg.; II 9, 369a, 10 sgg), e non di quattro, cioè umida, secca, calda e infiammabile, come invece si legge nelle Naturales quaestiones, dato questo che avvalora l’ipotesi secondo cui Seneca non conoscesse direttamente il testo aristotelico15. xiii.5-6 20-22. Sed tu fortius … Falleris: l’andamento dialogico conferito al ragionamento, tratto tipico della prosa senecana, è un altro punto a favore dell’ipotesi della dipendenza dalle Naturales quaestiones. 24-25. suum fulgorem: cfr. Sen. nat. I, 1.11 suum fulgorem δ, sed fulgorem suum Zθπ et edd., suum frigore R. 6, 3-13. Significationes omnium … casus: l’idea che tra i pianeti Giove e Marte abbiano il potere di influenzare l’aria e i fuochi celesti, in particolar modo quando entrano in congiunzione, è espressa da Alberto Magno anche nel De causis proprietatum elementorum II, 2, 1: Corrumpitur etiam aliquando aer ex causa caelesti; coniunctio enim duarum praecipue stellarum, quae sunt Iuppiter et Mars, cum aliis coadiuuantibus in signo Geminorum, quod est triplicitatis aereae, faciunt uentos pestilentes et aeres corruptos, qui subito necant multitudinem hominum et animalium. (…) Mars autem, cum sit intemperate calidus et siccus, ignit uapores eleuatos, et ideo incipiunt per aerem multiplicari fulgura et scintillationes et pestiferi uapores et ignes et ueneno peracuto inficiunt saerem et ideo inducunt frequenter pestilentias. 9. libro populorum, capitulo Mirmidones: il libro de populis contiene una lunga digressione intitolata de pestilentiis (E1, f. 222vb-227rb) in cui Domenico si propone di trattare diffusamente questo argomento al quale ha accennato parlando del popolo dei Mirmidoni, che secondo il mito erano formiche, poi tramutate in uomini per ripopolare Egina dopo una grave epidemia16. Là dove Domenico si sofferma a spiegare l’origine delle epidemie dal punto di vista degli astrologi viene espressa l’idea del legame esistente tra l’influenza esercitata dai pianeti e le epidemie stesse: (E1, f. 223ra) Concordant astrologi quod pestilentie causantur ex influentia corporum supercelestium coniunctorum in aliquo puncto celi. Poco più oltre aggiunge: (E1, f. 223va) Concludo tandem quod prima causa sit influentia corruptiua aliquorum planetarum coniunctorum in aliquo determinato signo (…). Secunda causa sunt uapores a terra et aqua consurgentes in aerem, qui facti sunt uenenosi ex determinata coniunctione planetarum: corrumpunt ergo uniuersa, corrupto aere. 9-10. libro stellarum erraticarum: sugli effetti negativi di Giove e Marte 15

Cfr. p. 110, n. 5. Cfr. E1, f. 223ra: Quia de pestilentia mentio facta est opere pretium ratus sum de ea loqui gramatice, astrologice, philosophice, medicinaliter, theologice et historice. 16

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quando entrano in congiunzione tra loro o con altri pianeti si pensi a titolo esemplificativo a quello che Domenico scrive a proposito del pianeta Saturno: (E0, f. 111vb) Si adiungitur ei Mars, cum quo conuenit in infortunio, sed in omnibus aliis rebus est sibi contrarius et inimicus quia ipsum infrigidat quod extinguit caliditatem, signat opera contrariorum. Di Giove in congiunzione con Marte invece scrive: (E0, f. 104vb) Si uero iungatur ei (i. e. Iuppiter) Mars signat scientiam medicine et maxime cirogie [sic! recte uero chirurgiae] (Require libro de impressionibus ignis, cap. 6). 15-17. Vrbano Sexto … secuta est: Papa Urbano VI soggiornò a Perugia tra l’ottobre del 1387 e l’agosto del 1388; le sventure a cui allude Domenico potrebbero essere le lotte interne e lo scontro con il Papa che seguì in quegli anni, ma anche la peste e la carestia degli anni 1397-140217. 7, 5. umbras: cfr. Verg. ge. I, 366 umbras ω, sed umbram MγRbr et edd. 11-14. Sed rei ueritas … uapor sit: in questo caso sembra possibile che pur adoperando il termine Phylosophus con cui normalmente Domenico si riferisce ad Aristotele, egli stia citando Alberto Magno. Va sottolineato che il commento di Alberto fu a lungo il vero tramite verso l’opera dello Stagirita, a tal punto che spesso il Filosofo e il commentatore vennero confusi tra loro18. Nel II libro del Περί οὐρανοῦ (289a11-293a14), infatti, Aristotele tratta esclusivamente degli astri veri e propri, della loro natura, movimento e sfericità19, e non accenna neppure a queste “stelle cadenti”. Diversamente nel De caelo et mundo II, 3, 2 Alberto Magno scrive: Secundum ueritatem autem dicuntur stellae ea quae similitudinem habent stellarum, sicut assub ascendens et cometes et ignis perpendicularis et huiusmodi; et illa dicuntur exacui propter multum calorem superioris aeris, cuius regio aestus uocatur, et est aer ignitus, qui est locus existens in circuitu talium stellarum, quae non in ueritate sunt stellae, sed stellae dicuntur propter similitudinem, quam habent ad stellas. Causa autem, quare tales stellae igniuntur, est, quia mouentur in aere illo ignito qui ex uicinitate motus stellarum et uicinitate luminis 17 Cfr. L. BONAZZI, Storia di Perugia dalle origini al 1860, I, Città di Castello 1959, pp. 398-400. 18 Lo stesso Dante non lesse direttamente l’opera del Filosofo, ma lo fece ora attraverso Alberto Magno, ora attraverso Averroé, come dimostrano alcuni errori e fraintedimenti rintracciabili nel testo della Questio de aqua et terra e nel Convivio: cfr. L. LIBRANDI, La Metaura d’Aristotile. Volgarizzamento fiorentino anonimo del XIV secolo. Edizione critica, Napoli 1995 (Romanica neapolitana, 29), I, pp. 23-27. 19 L’opinione più diffusa ai tempi di Aristotele riguardo agli astri era che essi fossero ammassi di fuoco o masse incandescenti di terra o di pietra, ma lo Stagirita sosteneva invece che essi fossero costituiti di etere e che la luce e il calore da essi emanati fossero provocati dall’infiammazione dell’aria circostante a causa dell’attrito delle sfere.

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fit aestus ignis. Et ideo tales uapores, qui dicuntur stellae, igniuntur ab eo et fiunt ignis. xiii.6-7 14-15. Scotus … Fredericum Cesarem: Michele Scoto (1190?-1236?)20, poliedrico intellettuale del XIII secolo, non fu un semplice traduttore di opere scientifiche e astrologiche21, ma attraverso la sua attività di filosofo e scienziato contribuì a diffondere in Occidente le teorie aristoteliche e, più in generale, gli scritti arabi e creò con il suo impegno un ponte fra le teorie filosofiche europee e quelle mediorientali e greche. Fu attivo presso la Curia pontificia e presso la corte di Federico II, ma fu anche legato agli ambienti delle università di Toledo, Bologna e Parigi, dove presumibilmente tenne delle lezioni intorno al 1230, commentando il trattato De sphaera di Giovanni Sacrobosco22. Al centro della sua produzione letteraria si trova una trilogia di opere astronomiche (il Liber quatuor distinctionum, il Liber particularis e il Liber physionomiae), dedicate a Federico II e pensate come parti di una più grande opera unitaria alla quale lui stesso attribuisce il titolo di Liber introductorius, che era stata pensata come un’introduzione all’astronomia destinata a quei lettori che non erano dotati di una profonda preparazione scientifica in materia. Il primo di questi trattati, il Liber quatuor distinctionum23, è suddiviso in quattro parti e raccoglie informa20 Cfr. L. THORNDIKE, Michael Scot, London 1965; L. MINIO-PALUELLO, Scot Michael, in Dictionary of scientific biography, IX, New York 1974, pp. 361-365; C. VASOLI, Michele Scoto, in Enciclopedia Dantesca, III, Roma 1984, pp. 950-951. 21 Sarton lo ha definito «a new type of translator; translation is no longer the whole of his activity, but only a part of it», confermando così la sensazione già diffusa tra molti studiosi che l’attività di traduttore di Michele Scoto fosse subordinata alla costruzione del suo pensiero filosofico e scientifico. Cfr. G. SARTON, Introduction to the history of science, II, Baltimore 1931, p. 491. 22 In generale si veda G. RUDBERG, Die Tiergeschichte des Michael Scotus und ihre mittelbare Quelle, in Eranos 9 (1909), pp. 92-128; J. D. COMRIE, Michael Scot, a 13th century scientist and physician, in Edinburgh medical journal, n.s. 25 (1920), pp. 50-60; C. H. HASKINS, Michael Scot and Frederic II, in Isis 4 (1922), pp. 250-275; THORNDIKE, II, pp. 307-337; R. MANSELLI, La corte di Federico II e Michele Scoto, in L’averroismo in Italia. Convegno internazionale (Roma, 18-20 aprile 1977, Accademia Nazionale dei Lincei). Atti dei convegni Lincei 40 (1979), pp. 63-80; C. BURNETT, Michael Scot and the transmission of scientific culture from Toledo to Bologna via the court of Frederick II Hohenstaufen, in Micrologus 2 (1994): Le scienze alla corte di Federico II, pp. 101-126. 23 A lungo si è creduto che il titolo Liber introductorius fosse riferito soltanto a questa prima parte dell’opera, che probabilmente non fu portata a termine da Michele Scoto e in seguito dovette subire varie aggiunte ed interpolazioni. Infatti il testo tramandato dai quattro codici superstiti differisce in molti punti, e nessuno di questi testimoni contiene l’opera nella sua interezza. Essi sono: Münich, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 10268, ff. 146; Oxford, Bodleian Library, Bodley 266, che è copia del manoscritto di Monaco; Paris, Bibliothèque nationale, Nouv. acq. lat. 1401, ff. 11-128v; El Escorial, Real Biblioteca, ms.f. III.8. Per una descrizione di questi codici si veda L. THORNDIKE, Manuscripts of Michele Scot’s “Liber introductorius”, in Didascaliae: studies in honor of A. M. Albareda, prefect of the Vatican Library,

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zioni di seconda mano destinate ad introdurre gli studenti all’astronomia, ma affronta anche altri temi legati all’astrologia, alla geografia e meteorologia, alla medicina e alla musica. Il Liber particularis è un supplemento al precedente trattato in cui alcuni temi già esposti, in particolare le questioni di meteorologia, vengono approfonditi, ricorrendo alle fonti dell’enciclopedismo del XII secolo24. In questo, la parte conclusiva è forse la più interessante perché Michele ha cercato di fornire una risposta ad alcune domande di varia natura postegli dall’imperatore, sforzandosi di conciliare esigenze differenti, come la religiosità medievale e l’indagine naturalistica, e di fondere insieme elementi della cultura occidentale cristiana con quelli della cultura araba. Infine, il Liber physionomiae, conosciuto anche come De secretis nature25, è stato pensato da Michele come parte di un più ampio progetto enciclopedico sulla filosofia della natura, che esalta la conoscenza scientifica dell’uomo e ricerca le relazioni tra le qualità interiori e gli influssi astrali, sviluppando una scienza del comportamento umano, il cui metodo di indagine è mutuato dall’etologia. 16-18. dicens uentus … deuehit: cfr. MICHELI SCOTI Astrologia cum figuris (Münich, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 10268, f. 35rb-va) Ventus fortissimus regnat plene in puro aere, nondum impedito ab altera impressione uel iam purificato ab impressionibus qui in ipso aere causaliter eleuantur. Et sic predictus uentus suo forti spiramine altiora petit et cum reuertitur ab illis altitudinibus quas concepit ascendendo, secum trahit illum ignem quandoque in modum stelle sine cauda et quandoque cum cauda longa uel in modum facis ignite (…). Sed quandoque est igniculus compositus ui spiritus; fit

presented by a group of American scholars, ed. by S. PRETE, New York 1961, pp. 425-447. Contengono invece degli estratti Edinburgh, University Library, ms. 132; Paris, Bibliothèque nationale, lat. 14070 (ff. 112-118v); Wien, Österreich. Nationalbibliothek, lat. 3124 (ff. 206-11) e 3394 (f. 214); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1363 (ff. 90-94), Pal. lat. 1370 e Vat. lat. 4087 (ff. 88-99v). Sull’opera in generale si veda P. MORPURGO, Il “Liber introductorius” di Michele Scoto: prime indicazioni interpretative, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, serie 8, 34 (1979), pp. 149-161; G. M. EDWARDS, The two redactions of Michael Scot’s “Liber introductorius”, in Traditio 41 (1985), pp. 329-340. 24 Il Liber particularis è conservato nei codici Oxford, Bodleian Library, Canon. Misc. 555 (ff. 1-59); El Escorial, Real Biblioteca E.III.14 (ff. 41-51); Münich, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 10663; Milano, Biblioteca Ambrosiana, L 92 sup. 25 La Physionomia è l’unica opera della trilogia ad essere stata pubblicata: la prima edizione a stampa vide la luce a Venezia nel 1477 e ad essa fecero seguito almeno una ventina di edizioni nel XV secolo e altrettante nel XVI. Per una lista di queste edizioni si veda A. H. QUERFELD, Michael Scottus und seine Schrift De secretis nature, Leipzig 1919; C. KLEBS, Incunabula scientifica et medica, in Osiris 4 (1938), pp. 297-299; D. JACQUART, La physiognomonie à l’époque de Frédéric II: le traité de Michel Scot, in Micrologus cit., pp. 19-37.

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in ea parte aeris, uelud apud nos sunt illa que componuntur ex collidatione calibis et silicis. Non enim possent stelle de celo cadere quia inmobiles sunt. 19. Idem … super V Eneidos: cfr. Seru. ad Aen. V, 527 «Ceu saepe refixa» poetice dixit secundum publicam opinionem: nam ut Lucretius dicit, uentus altiora petens, aetherium ignem secum torquet, qui tractus imitatur stellas cadentes. xiii.7 20-26. Imperiti … certa sunt: cfr. Sen. nat. I, 1.9-10 Illud enim stultissimum, existimare aut decidere stellas aut transilire aut aliquid illis auferri aut abradi; nam si hoc esset, iam defuissent: nulla enim nox est qua non plurimae ire et in diuersum uideantur abduci. Atqui quo solet quaeque inuenitur loco, magnitudo sua singulis constat: sequitur ergo ut infra illas ista nascantur et cito intercidant, quia sine fundamento et sede certa sunt. Nelle parole di Seneca si è voluta cogliere una possibile allusione ad Anassagora, che riteneva che gli astri si muovessero e che nessuno di essi conservasse il suo posto originario26. 21. iam: cfr. Sen. nat. I, 1.10 iam δ et edd., etiam ZRθπ. defecissent: cfr. Sen. nat. I, 1.10 defecissent H1, sed defuissent ZδFHcπ et edd., distituissent R. 23. plurimum: cfr. Sen. nat. I, 1.10 plurimum α, sed plurimae ζθπ et edd. 34. Alchardiano libro De presagiis: è difficile stabilire chi sia l’Alchardianus autore del liber de presagiis a cui molto spesso Domenico fa riferimento (cfr. XIII.10, 5; 12, 3; 13, 12; 34, 39; 42, 12 e 20; 46, 2; 58, 1; 60, 1 e 10; 62, 2; 65, 1; infine nel cap. 68, 76-77, dove si parla invece di physicis experimentis). Quest’autore di fatto potrebbe essere identificato con l’Alkardianus, o Alchardiandus, il cui nome è associato alla tradizione dell’Experimentarius attribuito a Bernardo Silvestre da Tours, un’opera di geomanzia di origine siriana di cui Bernardo fu il traduttore27: i codici London, British Library, Add. 15236, ff. 130-52r e Paris, Bibliothèque nationale, lat. 748628, f. 30v e 26 Cfr. O. GILBERT, Die meteorologischen Theorien des griechischen Altertums, Leipzig 1907, p. 688-89; N. GROSS, Seneca Naturales Quaestiones. Komposition, naturphilosophische Aussagen und ihre Quellen, Stuttgart 1989, p. 34; ed. P. PARRONI (Milano 2002), p. 485. 27 Cfr. THORNDIKE I, pp. 716-717; II, pp. 110-117 e 122-123; C. H. HASKINS, Studies in history of medieval science, Cambridge (Mass.) 1927, pp. 135-137; Un manuale di geomanzia presentato da Bernardo Silvestre da Tours (XII secolo): l’“Experimentarius”, a cura di M. BRINI SAVORELLI, in Rivista critica di storia della filosofia 14 (1959), pp. 283-342; C. BURNETT, What is the “Experimentarius” of Bernardus Silvestris? A preliminary survey of the material, in Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge 44 (1977), pp. 79-125 (ripubbl. in ID., Magic and divination in the Middle Ages: textes and techniques in the Islamic and Christian world, Aldershot 1996, n. XVII). 28 Per una breve descrizione del codice parigino si veda Les Alchandreana primitifs: étude sur les plus anciens traités astrologiques latins d’origine arabe (Xe siècle), par D. JUSTE, Leiden – Boston 2007 (Brill’s studies in intellectual history, 152; Brill’s texts and sources in intellectual history, 2), pp. 360-361.

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sgg., infatti, tramandano una versione alternativa del testo dell’Experimentarius, in cui risulta essere interpolata l’introduzione al manuale geomantico noto come Liber Alkardiani philosophi o Liber de iudicis futurorum29. Questa prefazione contiene la spiegazione delle regole di utilizzazione delle Sortes regis Amalrici, e più precisamente della Regula II, secondo la tipologia stabilita da Charles Burnett30, e può essere datata tra la fine dell’XI secolo e il 1260: essa infatti ricalca molto da vicino la prefazione del Viaticum, composto da Costantino l’Africano alla fine dell’XI secolo, e nel contempo essa stessa viene menzionata nella Chronica Marchie Triuiane di Rolandino da Padova31. L’opera appartiene al genere letterario delle sortes, che contengono previsioni sul destino dell’uomo fornite attraverso risposte stereotipate a domande di vario genere (per lo più organizzate in 28 gruppi corrispondenti a 28 fasi lunari), e determinate attraverso complessi calcoli matematici; la particolarità del Liber Alkardiani sta nel fatto che, ai nomi dei 28 giudici normalmente corrispondenti alle fasi lunari, sono sostituti quelli di 28 filosofi che l’autore sostiene di aver personalmente interrogato32. La sua versione in volgare fu stampata a Bologna nel 1483 da Heinrich von Köln con il titolo “Le cosse passate, presente e advenire” e sembra 29 Incipit liber Alkardiani phylosophi. Cum omne quod experitur sit experiendum propter se uel propter aliud. Il testo è conservato anche nei codici München, Bayerische Staatbibliothek, lat. 677 e Solothurn, Zentralbibliothek, S 386 e 474. 30 Cfr. BURNETT, What is cit., pp. 89-92. Secondo Burnett è possibile che l’autore avesse familiarità con il testo degli Alchandreana, ossia un corpus di trattati astronomici della tradizione araba databili al X secolo, conservato nel codice Paris, Bibliothèque nationale, lat. 17868. Essi contengono pronostici basati su differenti elementi di natura astronomica e astrologica (le fasi lunari, il segno zodicale natale o le congiunzioni dei pianeti) e giungono al calcolo dell’oroscopo mediante complessi calcoli che si fondano per lo più sui valori numerici attribuiti alle lettere del nome (onomatomanzia). Alchandreus o Alhandreus è l’autore di due dei trattati contenuti nel corpus, uno dei quali conosciuto come Liber Alchandrei philosophi o Mathematica Alhandrei summi astrologi (pp. 32-43), l’altro come Breuiarium Alhandrei summi astrologi, ma non sembra poter essere identificato con nessun astrologo conosciuto. Si è ipotizzato che questo nome sia derivato dalla corruzione di âl-Kindí, importante figura del mondo intellettuale arabo. Per una trattazione più ampia e per l’edizione del testo si veda Les Alchandreana primitifs cit. 31 Cfr. ROLANDINI PATAUINI Chronica facta, ed. PH. JAFFÉ, in MGH, Scriptores XIX, Hannover 1866, p. 123; cfr. Les Alchandreana primitifs cit., pp. 280-281. 32 Cfr. BURNETT, What is cit., p. 113: London, British Library, Add. 15236 ita posui 28 iudices de predictis capitulis futura dicentes manifeste; Paris, Bibliothèque nationale, lat. 7486 ita 28 philosophos presagos futurorum rogaui ut de capitulis et questionibus in hoc libello positis futura dicerent manifeste). Su questo genere letterario si veda in generale T. C. SKEAT, An early medieval “Book of fate”: the “Sortes XII Patriarcharum”, in Mediaeval and Renaissance studies 3 (1954), pp. 41-54; M. LEJBOWICZ, Le choc des traductions arabo-latines du XIIe siècle et des conséquences dans la spécialisation sémantique d’astrologia et d’astronomia: Dominicus Gundissalinus et la scientia iudicandi, in Transfert de vocabulaire dans les sciences, éd. M. GROULT, Paris 1988, pp. 213-276 (in particolare le pp. 248-251).

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aver avuto molta fortuna in quegli anni33. Tuttavia, il testo più volte citato da Domenico nel corso del libro XIII e da lui attribuito ad Alchardianus riguarda sostanzialmente previsioni del tempo frutto dell’osservazione del comportamento degli animali o di fenomeni naturali come la comparsa dell’arcobaleno o delle stelle cadenti, e quindi sembra non avere nulla a che fare con il genere delle sortes, poiché esse non contemplavano previsioni di carattere meteorologico, che invece erano oggetto dei cosiddetti iudicia, in cui le previsioni del tempo erano spesso associate alle previsioni astrologiche34. Al contrario, le citazioni di Domenico presentano molte più affinità con il testo di un breve trattato di meteorologia contenente previsioni del tempo a partire dall’osservazione diretta della natura, che si diffuse nel Medioevo con il titolo di De presagiis tempestatum. Il testo è stato rintracciato da Lynn Thorndike nei codici London, British Library, Laud. Misc. 594 e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1870, tuttavia senza che ne sia stato identificato l’autore35. I più recenti studi di Gerrit Bos e Charles Burnett36 hanno stabilito che quella che è stata considerata da Thorndike stesso un’opera a sé altro non è che una sezione del libro XVIII della Naturalis historia di Plinio, frutto della rielaborazione del Περί σημεῖων o De signis, operetta pseudo-aristotelica scritta attorno al 300 a.C., in cui erano mescolati materiali sui segnali del tempo tratti dalle opere di Aristotele e Teofrasto, e che fu tradotta in latino da Bartolomeo da Messina alla metà del XIII secolo. Questa parte del testo di Plinio ad un certo punto cominciò a circolare autonomamente rispetto al resto dell’enciclopedia. La forte somiglianza tra alcune delle citazioni presenti nel Fons, e alcune parti di questo testo De presagiis, e quindi di Plinio, induce a formulare due diverse ipotesi, alla luce dell’odierna impossibilità di rintracciare un testo De presagiis attribuibile con sicurezza all’Alchardianus autore degli iudicia tradotti in volgare con il titolo di “Le cosse passate, presente e ad venire”, e più volte nominato da Domenico. Da un lato infatti, Alchardianus potrebbe aver realmente scritto il De presagiis citato da Domenico, e se così fosse attualmente le sue citazioni ne sarebbero l’unica testimonianza, non essendo esse identificabili con nessuno dei testi fino a questo momento noti. Tutta33 Cfr. THORNDIKE, I, pp. 716-717; II, pp. 99-123; F. R. GOFF, Incunabula in American libraries: a third census, Millwood (N.Y.) 1964, p. 26; K. A. LOHF, Our growing collections, in Columbia Library Columns 20 (1970), p. 33. 34 Ne offre un esempio il Liber nouem iudicum, una miscellanea di iudicia di autori arabi edita da Pietro di Liechtenstein a Venezia nel 1509 e che comprende anche gli Iudicia di alKindí (i testi astro-meteorologici al-Kindí sono stati editi da G. BOS e CH. BURNETT, Scientific weather forecasting in the Middle Ages. The writings of al-Kindí: studies, editions and translations of the Arabic, Hebrew and Latin texts, London – New York 2000). 35 Cfr. THORNDIKE III, pp. 707-714. 36 Cfr. G. BOS-CH. BURNETT, Scientific weather forecasting cit., pp. 4-5.

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via, da un altro punto di vista, non si può escludere del tutto che Domenico attingesse ad un’altra operetta De presagiis, molto simile a quella edita da Thorndike, ed erroneamente attribuita ad Alchardianus, forse per l’affinità della tematica trattata rispetto al Liber de iudicis futurorum. 34-36. stelle multe … presagium: cfr. THORNDIKE III, p. 711: Si uolitare plures stelle uidebuntur quo ferantur absentes, uentos ex hiis partibus nuntiabunt. Aut sicuti stabunt certum si id in pluribus partibus fiet, inconstantes uentos indici. Si stellam aliquam orbis incluserit, ymbres; cfr. Plin. XVIII, 352 Si uolitare plures stelle uidebuntur, quo ferentur albescentes, uentos ex is partibus nuntiabunt aut si coruscabunt, certos, si id in pluribus partibus fiet, inconstantes uentos et undique. Si stellarum errantium aliquam orbis incluserit, imbrem. 37. Guido Bonactus in tractatu imbrium: Guido Bonatti, autorevole trattatista di astrologia del Medioevo italiano, nacque a Forlì nel primo ventennio del XIII secolo e in qualità di astrologo fu al servizio prima di Ezzelino da Romano, poi di Guido Novello I dei conti Guidi di Bagno-Raggiolo e dopo la battaglia di Montaperti (1260) si pensa che sia divenuto l’astrologo ufficiale del Comune fiorentino. Negli ultimi decenni della sua vita fu strettamente legato a Guido I di Montefeltro, che lo volle tra i suoi più fidati collaboratori e consiglieri; nulla si conosce sulla data e sulle circostanze della sua morte, che si fissa comunque orientativamente nell’anno 1298. La sua opera maggiore sono i Tractatus decem de astronomia, detti anche Liber astronomicus, che comprendono nella parte conclusiva il Tractatus de imbribus et de aeris mutationibus et quae circum circa illa uersatur, dedicato alle previsioni relative ai mutamenti meteorologici, da cui sono tratte le brevi citazioni presenti nel Fons. Il Liber è considerato la più importante opera astrologica in lingua latina composta nel XIII secolo; per l’ampiezza della materia trattata e per i suoi interessi pratici e quotidiani ebbe subito una larga diffusione, tanto da meritare un volgarizzamento ad opera di Angelo Sigaretti (oggi conservato nel codice Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 30, 30). Guido fu ricordato da Dante in Inf. XX, 118, dove viene punito nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio insieme a astrologi, indovini e falsi profeti37. 37-42. Quanto plures … assimilari uideris: cfr. G. Bonacti De astronomia VI, 20 (De iaculatione stellarum) In iaculatione quidem stellarum aspicies in temporibus serenis, quando uidentur ac si caderent stellae, moueri: qui motus et quae iaculationes a quacunque fuerint, flatum uentorum ea 37

Cfr. C. VASOLI, Bonatti, Guido, in DBI 11, Roma 1969; D. GUERRI, Un astrologo condannato da Dante: Guido Bonatti, in Bollettino della Società dantesca italiana 22 (1915), pp. 200254.

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ex parte uenturum [sic] nunciabunt, et quanto plures fuerint iaculationes ac spissiores, tanto magis augmentabitur et festinabit eorum significatum. Si autem a diuersis partibus fuerint, uentos hincinde in ordinatos uenturos portenderent. At si undique talia significara [sic] uideris apparere, aeris perturbationem undique, necnon et tonitrua similiter et coruscationes inde procurabuntur et contingent. Inde fere dicere poteris, cum nubes leue flochis [sic] uideris assimilari. xiii.7-8 42. Require eodem libro, capitulo 58: cfr. XIII.58, in cui Domenico tratta dei presagi legati alle nubi, a seconda del luogo del cielo in cui appaiono. 43-47. in magna tempestate … consedisse: cfr. Sen. nat. I, 1.13-14: In magna tempestate apparere quasi stellae solent uelo insidentes; adiuuari se tunc periclitantes aestimant Pollucis et Castoris numine. Causa autem melioris spei est iam apparet frangi tempestatem et desinere uentos (…). Gylippo Syracusas petenti uisa est stella super ipsam lanceam constitisse. Il fenomeno qui descritto, connesso all’apparizione dei Dioscuri, è oggi noto come “fuochi di sant’Elmo”. 44. malo: la lezione, che sostituisce il senecano uelo, induce a pensare che la citazione sia frutto di una contaminazione tra il testo delle Naturales quaestiones e Meteora I, 4, 9, in cui il medesimo passo è citato con questa variante. 48. Seruio super II Eneidos: cfr. Seru. ad Aen. V, 694 «multa cum luce cucurrit» nunc theologicam rationem sequitur, quae adserit, flammarum quos cernimus tractus nimbum esse descendentis numinis; alibi physicam, ut uento inpendente uidebis, flammarum longos a tergo albescere tractus. 52. contrariatur: cfr. LEXICON II, C 1110-1111 contrarior, ari: aduersum esse, opponi, contrarium esse; obstare, resistere. 8, 2-4. Iris … clade mergeret: cfr. Comestor scol. hist. I, 37 (…) Et in signum huius federis posuit arcum suum in nubibus, et est in signum duorum: iudicii per aquam preteriti ne timeatur, et futuri per ignem ut expectetur. 8-9. Require eodem libro, capitulo 12: cfr. XIII.12, 20-21. 9. libro uirorum, capitulo Noe: (E2, ff. 282va-283va, in particolare f. 283ra) Et in signum firmati federis posuit archum suum in nubibus celi. 10. Esiodiste Theologi: il termine Esiodiste potrebbe risalire ad Aristotele: è questa la traduzione che si legge nella translatio anonyma, o “media”, di Metaphysica III 4, 1000a09-10 per la perifrasi οἰ περὶ Ἠσίοδον: Igitur Esiodiste et omnes qui theologi erant. Esso ricompare anche altrove nelle opere di Alberto Magno: si pensi a Meteora, II, 3, 1 Dixerunt autem quidam theologi speculantes res diuinas et substantia caelestes, quae sunt orbes et effectus earum, qui sunt Hesiodistae (…). 10-14. Esiodiste … clementia preuidente: cfr. Alb. Meteora III, 4, 6 Et

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ideo Hesiodistae theologi, qui omnia diis attribuunt, quae apparent in naturis et praecipue in caelo, uocabant arcum daimonis, quod est intelligentiae uel sapientis, et dicebant arcum esse signum clementiae dei; quia nec igne nec aqua uellet nocere mundo, quia in iride apparet rubeus color, qui est ex humido inflammato. 17. Phylosophus: anche in questo caso Domenico potrebbe confondere Alberto Magno con Aristotele (si veda a tal proposito la nota a XIII, 7.1114), che quando nei Μετεωρολογικά tratta dell’arcobaleno (meteor. III 2-5, 371b18-377a27) non si esprime in questi termini né dà del fenomeno un’interpretazione di carattere teologico. Scrive Alberto Magno: Meteora III, 4, 6 (…) aliquando dicitur arcus daimonis quia daimon Graece multa signat, ut dicit Commentator super Ethicam38. arcum demonis: cfr. nota a XIII.8, 8-13. Cfr. ThLG III, Napoli 2008, coll. 860-863, δαίμων: Deus, ut et Plato uult in Cratylo. 19-20. dicitur … terram: cfr. Vgut. deriu. E 112, 2 Et hec iris -ris uel iridis, idest arcus celestis; (…) uel dicitur Iris, quasi aeris, quia per aerem ad terram descendit. 21. Seruio super V Eneidos: cfr. Seru. ad Aen. V, 606 «irim de caelo» ex magna parte seruatur, ut Mercurius ad concordiam, Iris ad discordiam mittatur: unde et Iris dicta est quasi ἕρις. Falsum est autem quod dicitur ministra esse tantum dearum, cum et a Ioue plerumque mittatur, ut (cfr. Verg. Aen. IX, 803) aeriam caelo nam Iuppiter Irim dimittit, germanae haud mollia iussa ferentem; Anonymi, in Achill. 220 Iris Thaumantis dicta secundum poetas, Thaumantis filia. Ceterum ex admiratione hoc nomen accepit, quae admiratio de eius coloribus nascitur. Iris dicta quod nunquam ad conciliationem mittitur sicut Mercurius, sed ad disturbationem, et est ministr non tantum dearum, sed et deorum. Si veda anche Vgut. deriu. E 112, 2 et dicitur Iris, quasi eris, quia raro mittitur nisi ad litem et discordiam concitandam. 23-24. abscidens … morientis: il riferimento è relativo ai famosi versi virgiliani in cui Iride, inviata da Giunone, si reca presso Didone morente, le recide il flauus crinis e lo consacra a Dite: cfr. Verg. Aen. IV, 693-704. 9, 2-4. Posidonius… figuratum: cfr. Sen. nat. I, 5.13: In eadem sententia sum qua Posidonius, ut arcum iudicem fieri nube formata in modum 38

Cfr. Anonymus In Ethicam Nicomacheam IV, 6, in The Greek commentaries of the Nicomachean Ethics of Aristotle in the Latin translation of Robert Grosseteste, bishop of Lincoln (†1253), vol. I: Eustratius on book I and the anonymous scholia on books II, III, and IV. Critical edition with an introductory study by H. PAUL F. MERCKEN, Leiden 1973, p. 329 (Corpus latinum commentariorum in Aristotelem graecorum, VI.1): Habet autem daimonion uel daimon plures significationes. Significat enim omnia scientem Deum. Significat etiam immundum et artificem et beatum et divitem et bene fortunatum et stellam et intellectu.

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concaui speculi et rotundi cui forma sit partis e pila sectae. La citazione sembrerebbe di seconda mano: infatti, Alberto Magno riporta la teoria di Posidonio in termini molto vicini a quelli che si possono leggere qui nel testo: Alb. Meteora III, 4, 7 Posidonius etiam naturalis indicat iridiem esse solis speculum in nube concaua figuratum; e più oltre (ibid. III, 4, 9) Posidonius autem singulariter dicit quod iris est confusum speculum solis in nube concaua. 5-6. Iris … informata: cfr. Vgut. deriu. E 112, 3 Et nota quod iris nichil aliud est quam nubes soli opposita, radiis solis multipliciter informata. 17-18. concordans cum Phylosopho III Metheororum: cfr. Aristot. meteor. III 5, 375b, 16-28: Quod autem neque circulum possibile est fieri iridis neque maiorem semicirculo portionem, et de aliis accidentibus circa ipsam, ex descriptione erit considerantibus manifestum. (…) Et si quidem in oriente aut in occidente astro refractio fiat, semicirculus absumetur circuli ab orizonte qui super terram fit. Si autem supra, semper minor semicirculo; minimum autem, cum in meridie fieri astrum. 18. Dum … rarescentibus: la reminiscenza lucreziana (Lucr. VI, 214 Fulgit item, cum rarescunt quoque nubila caeli) si deve alla penna di Domenico: non ve n’è traccia, infatti, nel testo di Alberto Magno, a cui Domenico vorrebbe attribuirla. 18-21. refulserit… existet: cfr. Alb. Meteora III, 4, 7 (…) resplendet de radio solis in nubibus, quae sunt in situ opposito soli. (…) Quia quanto sol est altior, tanto arcus est minor, et quanto sol fuerit inferior, tanto arcus est maior. xiii.8-10 22-24. Ergo si … cadente: cfr. Alb. Meteora III, 4, 18 (…) tunc statim dissiparet iris et non uidetur amplius. Et hoc est ex fragilitate materiae, in qua est arcus. 10, 2-3. Numquam … simul fiunt: cfr. Aristot. meteor. III 2, 371b, 32 Neque duabus plures irides non fiunt simul; III 4, 375b, 12-15 Tres autem non adhuc fiunt, neque plures irides, quia et secunda fit obscurior, ut et tertia refractio ualde debilis fiat et impotens sit pertingere ad solem. 4-5. Alchardianus libro De presagiis: cfr. nota a XIII.7, 34. 5-6. Fiunt … prouenire: cfr. THORNDIKE III, p. 711: Arcus cum sint duplices, pluuias nuntiant; cfr. Plin. XVIII, 353 Arcus cum sunt duplices, pluuias nuntiant. 6-14. Et subdit … occurrere: cfr. nota a XIII.4, 13-25. Contrariamente a quello che Domenico vorrebbe far credere al lettore (subdit Philosophus), la teoria della Stagirita sulla relazione che intercorre tra il momento della giornata in cui può formarsi l’arcobaleno e la stagione in corso non è espo-

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sta attraverso una citazione diretta dei Mετεωρολογικά39, ma di quel passo delle Naturales quaestiones in cui Seneca aveva sintetizzato e commentato l’assunto aristotelico: cfr. nat. I, 8.6-7: Aristoteles ait post autumnale aequinoctium qualibet hora diei arcum fieri, aestate non fieri nisi aut incipiente aut inclinato die. Cuius rei causa manifesta est: (…) deinde, cum arcum facere non soleat nisi aduersus his in quibus facit nubibus, cum breuiores dies sunt, semper obliquus est: itaque qualibet diei parte, etiam cum altissimus est, habet aliquas nubes quas ex aduerso ferire possit. At aestiuis temporibus supra nostrum uerticem fertur: itaque medio die excelsissimus terras rectiore aspicit quam ut ullis nubibus possit occurri. La spiegazione fornita da Seneca è di gran lunga più semplice rispetto alla dimostrazione geometrica di cui si legge in Aristotele, ma Domenico sceglie di semplificarla ulteriormente omettendo una parte delle argomentazioni del filosofo: infatti sorvola sulla spiegazione della mancata formazione dell’arcobaleno nelle ore centrali del giorno durante la stagione estiva a causa dell’eccessivo calore del sole che dissolve le nubi nelle quali dovrebbero riflettersi i suoi raggi (primum quia media diei … repercuti potest), limitandosi a riportare soltando la seconda parte della dimostrazione, secondo cui le nubi non riescono ad opporsi al sole e a consentirne la rifrazione dei raggi perché il sole stesso, essendo le giornate più lunghe, raggiunge la parte culminante del suo percorso (deinde, cum arcum facere … possit occurri). Ed è proprio qui che abbiamo un chiaro esempio di quello che la De Angelis ha definito “fagocitazione” delle opinioni altrui40: nel momento in cui Domenico scrive cuius rei causam arbitror ueram esse quia (l. 9) sta facendo passare per proprio quello che in realtà è il ragionamento di Seneca, del quale probabilmente ha deciso di riportare soltanto la motivazione che gli sembrava più congeniale, cioè la seconda parte della dimostrazione accuratamente esposta. 12. ex aduerso ferire: cfr. Sen. nat. I, 8.7 ex aduerso ferire ψ et edd., ferire ex aduerso Z. 13. supra: cfr. Sen. nat. I, 8.7 supra Zαυ et edd., super L2θP. 14. aspicit: cfr. Sen. nat. I, 8.7 aspicit ZRABF, H u. l., W et edd., accipit VH1PU. 11, 2-3. Color … mixture: si veda anche in Alb. Meteora, III, 4, 8 (…) cum Parianus dixerit ‘colorem igneum’ iridi ‘esse a sole, caeruleum’ autem ‘a nube, et ceteros’ colores ‘utriusque’ istorum esse ‘misturas’. Nel testo di Seneca l’accenno alla natura e all’origine dei colori che si distinguono nell’arcoba39 Soltanto la prima parte del testo (ll. 7-9) ricalca più da vicino il dettato aristotelico: cfr. Aristot. meteor. III 2, 371b, 30-31 Et post autumpnale quidem equinoctium, in breuioribus diebus, omni hora fit diei, in estiuis autem non fit circa meridiem. 40 Vedi introduzione p. 28.

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leno conclude la breve esposizione della precisazione, attribuita ad Artemidoro di Pario, alla teoria speculare dell’arcobaleno esposta da Posidonio. 4. mixtura nubium … aere: Plinio individua la causa della diversità dei colori dell’arcobaleno non solo nelle nubi e nell’aria, ma anche nel fuoco: cfr. Plin. nat. II, 60 colorumque uarietatem mixtura nubium, ignium, aeris fieri. xiii.10-11 4-6. At Vgo de Castello … tractatu Sphere: l’astronomo domenicano Ugo di Città di Castello visse nel XIV secolo. Gli si attribuiscono un commento al De sphera di Giovanni di Sacrobosco (In sphaeram Iohanni de Sacrobosco: Paris, Bibliothèque Mazarine 3643; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2226) scritto tra Parigi e Firenze e ultimato nel 1337, che è verosimilmente l’opera a cui si riferisce Domenico (super tractatu Sphere, l. 5); un trattato De eclipsis ultimato nell’agosto del 1337 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, J.5.4); un De diebus criticis, scritto a Perugia nel 1358 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.II. 457; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 178) ed infine un Comentum super Theorica planetarum secundum fratrem Ugonem episcopum Philadelphye ordinis praedicatorum (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.II. 457)41. 6-8. Yris … obscurum: è ipotizzabile che Domenico abbia erroneamente attribuito ad Ugo di Città di Castello e al suo commento al De spera mundi di Giovanni di Sacrobosco una notizia tratta invece da una fonte diversa. In primo luogo, infatti, il trattato del Sacrobosco non ha come oggetto la meteorologia, ma esclusivamente l’astronomia, tanto da essere stato un vero e proprio manuale di riferimento tra il XIII e il XVII secolo. Soltanto nella parte iniziale del cap. I egli, introducendo la generale divisione del mondo in una regione etherea e in una elementaris, accenna brevemente ai quattro elementi della natura42, e in corrispondenza di questa parte del testo il commento Ugo di Città di Castello approfondisce il discorso sugli elementi e sulle loro principali caratteristiche, però senza fare riferimento all’arcobaleno o al ruolo che gli elementi hanno nel determinarne la varietà di colori. Una notizia assimilabile a quella citata da Domenico si legge invece in Vgut. deriu. E 112, 5 Preterea nubes illa quoddam corpus est compositum ex quattuor elementis et aquosum, que, radiis solaribus accensa, a quattuor elementis et quadripertitum contrahit colorem, ab igne rubrum, ab aere ceruleum siue lucidum uel purpureum, ab aqua uiridem, a terra nigrum. 41 Cfr. R. CREYTENS O.P., Hugues de Castello astronome domenicain du XIVe siècle, in Archiuum fratrum praedicatorum 11 (1941), pp. 95-108; T. KAEPPELI, Scriptores ordinis praedicatorum Medii Aevi, II, Roma 1975, p. 254. 42 Cfr. L. THORNDIKE, The “Sphere” of Sacrobosco and its commentators, Chicago 1949, p. 78.

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8. libro celi, capitulo 14: (E0, f. 81rb-va) Et subdit Albertus prealegato loco [i.e. De caelo et mundo, sed hic non inueni] sine colore est, cuius probacione adducit ingens [sic, fortasse igneus?] color causatur ex qualitatibus elementorum. 9-10. Sunt … in yride: si veda Alb. Meteora III, 4, 14 (in finem) Causa autem ordinis colorum est, quia roratio parua habens fumosum admixtum propter naturam leuis tenet se superius in globo. Et ideo superior color, qui exterior est in iride, est uinosus. Et quia grossius aqueum resolutum descendit ex natura grauis, ideo inferior et interior color in arcu est uiridis. Aer autem humefactus spissus medius est. Et ideo caeruleus color est medius, qui aliquando in duos colores uersus extrema uariatur propter causam, quam diximus43. Ex his patet, propter quid colores iridis non sunt nisi tres uel ad plus, quod esse possunt, sunt quattuor. 17. arcato: cfr. Ou. met. XI, 590 arcuato: arquato E arcato N. 12, 2. Alchardianus: cfr. nota a XIII.7, 34. 10. diffusum: cfr. Luc. IV, 82 diffusum GUVA2, sed defusum P et edd. 12-13. Iunonis … a poetis: si veda più avanti la nota a XIII.14, 1-2. 15-16. libro mulierum, capitulo Iris: (E1, f. 128rb) Hiris secundum poetas dicitur Thaumantis, id est admirationis, filia, dicente Lactantio super I Achilleidos (cfr. Lact. Ach. 220): Hiris, hoc nomen Thaumantias ex admiratione sortita est. Nam Thaumas grece, latine admiracio est, que de ipsius coloribus nascitur. Sed quare appelletur hiris ponitur libro impressionibus aeris, cap. 7 ubi usque ad 15 semper de hiride sermo est. Quare autem dicatur pedissiqua Iunonis ponitur in dicto libro de impressionibus aeris, cap. 11 [sic, recte uero 15]. 18. Richardus super Biblia: potrebbe trattarsi di Riccardo di San Vittore (1110-1173), priore dell’abbazia benedettina di San Vittore dal 1162 fino alla sua morte e già discepolo del ben più noto Ugo, di cui adottò e sviluppò principi e metodi. La sua opera più conosciuta è il De trinitate che, insieme agli altri suoi numerosi scritti, gli fece guadagnare il titolo di Magnus Contemplator 44. Nel Paradiso di Dante (X, 131) è ricordato tra i grandi teologi e Padri della Chiesa. L’opera super Biblia a cui allude Domenico potrebbe essere di fatto il Liber exceptionum, testo che raccoglie quelle nozioni di filosofia, geografia e storia indispensabili per una corretta comprensione delle Sacre Scritture, e che allo stesso tempo si propone come commento 43

Alberto ha trattato più diffusamente dei colori dell’arcobaleno in Meteora III, 4, 7. Cfr. la voce Riccardo di San Vittore a cura di J. LECLERQ, in Enciclopedia dantesca V, Roma 1984, p. 904-905; si veda inoltre SORGE, «Ratio» et «contemplatio» nel pensiero di Riccardo di San Vittore, Napoli 1881; C. NARDINI, «Affectio» e «ratio» nell’itinerario mistico del «Beniamin minor» di Riccardo di San Vittore, Perugia 1987. 44

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allegorico ai principali libri storici dell’Antico Testamento e ai Vangeli. Il numero considerevole di manoscritti che ha trasmesso il testo è testimonianza del grande successo che esso riscosse, trattandosi di un libro dalle ambizioni enciclopediche destinato ad istruire e ad edificare. 18-20. albus color … representet: cfr. Ric. Liber exceptionum II, 1, 17 Yris, id est arcus celestis, duos habet colores: primus est uiridis, secundus rubeus. Viridis significat judicium quod Deus fecit in primordio per aquam diluuii; rubeus significat judicium quod Deus facturus est per ignem in fine mundi. Aquam namque uirescit, et ignis rubescit. Si veda cfr. Comestor scol. hist. I, 37 (…) Inde est quod duos habet colores: ceruleum, qui est aqueus et est exterior, quia preteriit, et rubeum qui est igneus qui est interior, quia futurus est ignis. Quando Pietro Comestor nella Scolastica historia parla dell’arcobaleno lo fa esprimendosi in termini molto vicini a quelli di Riccardo di San Vittore, che sembrerebbe essere stato la sua fonte diretta. Domenico ha ben presente l’opera di Comestor, e in effetti in questa parte del testo si avvicina a livello lessicale molto di più alla Scolastica historia che non al Liber exceptionum, come vorrebbe far credere al lettore. Tuttavia va sottolineato che entrambe le fonti parlano unicamente di due colori dell’arcobaleno (caeruleus, o uiridis, e rubeus), mentre nel Fons Domenico allude anche al colore niger, che rappresenta allegoricamente i tormenti dell’inferno e del purgatorio, e albus, che assume lo stesso significato che per Pietro Comestor e Riccardo di San Vittore ha il colore caeruleus / uiridis, ossia quello di ricordare il giudizio divino dei primordi che punì l’umanità attraverso il diluvio. 21-22. ut supra diximus: cfr. XIII.8, 5-8. xiii.11-13 13, 3-10. Aristotiles tamen … conspici: cfr. Aristot. meteor. III 2, 372a, 26-29: In plenilunio enim fieri necesse si debeat fore, et tunc in oriente aut occumbente; propter quod quidem in annis quinquaginta bis comperimus solum. Alla citazione di Aristotele segue la sintesi della confutazione di Alberto Magno, il quale dimostra attraverso la propria esperienza diretta e l’osservazione empirica che, contrariamente a quanto sostenuto da Aristotele, l’arcobaleno notturno si può formare a Nord e non esclusivamente ad oriente o ad occidente, così come esso può apparire anche due volte nello stesso anno: Meteora III, 4, 11 Adhuc autem, ut dicit Aristoteles, non apparet iris ex luna, nisi postquam fuerit in occasu uel in ortu suo. Dicit etiam quod uidetur iris lunae in quinquaginta annis nisi bis. (…) Potest iris noctis apparere in aquilone, cum luna est in meridie. (…) Ne autem hoc in dubitationem ueniat, dicam a me et a multis aliis uisum fuisse arcum per noctem in aquilone luna existente in meridie. (…) Non uideatur uerum quod dicit quod in quinquaginta annis non apparet nisi bis, quia ueridici experimentatores

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experti sunt quod in eodem anno iris noctis bis apparuit. Adhuc autem, ratio non esset, quare non appareret nisi bis in quinquaginta annis, cum hoc in nullo sit cursu superiorum nec in coniunctione eorum, nec super hoc aliquid tradiderunt observatores astronomorum. Et ideo puto ego quod istud Aristoteles recitauerit ex opinionibus aliorum et non ex ueritate demonstrationis uel experimenti (…). 10. nocturna Iris candida: cfr. Alb. Meteora, III, 4, 22 Arcus uero daemonis, qui uidetur ex luna, non est in coloribus similis iridi, qui fit ex sole, quia iris lunae uidetur albus. 12. Alchardianus: cfr. nota a XIII.7, 34. xiii.13-15 14, 1-2. Thaumantis filiam … poete dicunt: cfr. Hes. Theog. 265-66; Cic. de nat. deor. 3, 20, 51; Ou. met. IV, 480; XIV, 845; Sta. Theb. X, 123; ID. Ach. I, 220; ID. silu. III, 3, 81; V, 1, 107; Vgut. deriu. E 112, 2; Val. Fl. VII, 398; VIII, 116; Verg. Aen. IX, 5; Iride, figlia di Taumante e dell’oceanina Elettra, appartiene alla stirpe di Oceano sia dal lato paterno che da quello materno. È perciò la sorella delle Arpie e simboleggia il tramite tra Terra e Cielo, fra gli dei e gli uomini. Talvolta veniva considerata la madre di Eros e la moglie di Zefiro, il vento di ponente45. Era raffigurata con le ali e coperta da un leggero velo che al sole assumeva i colori dell’arcobaleno. 2. Require 12 capitulo presentis libri: cfr. XIII.12, 12-13. 3. libro mulierum, capitulo Iris: cfr. nota a XIII.12, 15-16. 15, 2-5. coruscatio … ignem: cfr. Alb. Meteora III, 3, 1 (…) Est autem ‘fulguratio’, ut dicit Seneca, quae ‘ostendit ignem, fulmen’ autem, quod ‘emittit ignem’; cfr. Sen. nat. II, 12.1 (…) Fulguratio ostendit ignem, fulminatio emittit. 6. moriuntur fulgura nimbis: cfr. Luc. IV, 78 moriuntur fulgura nimbis FLD, sed extinguunt fulgura nimbi G1 et edd. 8-9. Illa … ictu est: cfr. Sen. nat. II, 12.1 (…) Illa, ut ita dicam, comminatio est et conatio sine ictu, ista iaculatio cum ictu: cfr. Sen. nat. II, 12.1 ista iaculatio cum ictu δ (fort. ex coniectura) W2 et edd., om. ζθπ. 9-10. concordent … conueniunt: cfr. Sen. nat. II, 12.2 Quaedam sunt de quibus inter omnes conuenit, quaedam in quibus diuersae sententiae sunt. Conuenit de illis, omnia ista in nubibus et e nubibus fieri; etiamnunc conuenit et fulgurationes et fulminationes aut ignea esse aut ignea specie. 11-18. Scripsit … in confusionem hominum: la citazione non è così “testuale” come vorrebbe far credere Domenico (l. 11. Scripsit nempe arte Phylosophus, prout textualiter legi in libro suo). Se il riferimento è ad Ari45

Cfr. LIMC V.1, pp. 741-760.

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stotele, non si riesce a rintracciare nei Mετεωρολογικά il passo citato da Domenico. Nei capitoli dedicati al fulmine e al tuono (meteor. II, 9, 369a, 10 – 310a, 32) Aristotetele descrive l’origine del fulmine secondo la teoria della doppia esalazione di vapore acqueo e terrestre, ripresa in seguito da Seneca (nat. II, 12.4-6). Nessuno dei due si sofferma su questa condizione dell’aria divisa dalle nubi che lotta per ritrovare la sua unità. È impotizzabile che il passo in questione sia frutto della mescolanza di più fonti: infatti, soltanto attraverso Alberto Magno si riesce a spiegare il riferimento alla caduta verso il basso di pietre (ll. 17-18. lapidem in confusionem hominum): cfr. Alb. Meteora III 3, 3, 20 Oportet autem nos hic quaerere, quid est illud, quod in ictu descendit, eo quod hoc suppositum est in praemissis; autem enim illud est uapor aut aer aut utrumque aut neutrum horum. Videtur autem quibusdam neutrum horum esse, quia tenue facile cedens non comminuit corpora dura et fortia. Descendens autem de nube corpora dura et fortia comminuit. Videtur ergo uapor uel aer non esse. (….) Probant autem hoc quidam per experta, eo quod lapides et ferrum et quaedam alia mineralia aliquando ab alto descendunt, quorum ex simplici uapore non est generatio. 18-19. Anaxagoras … nubes: cfr. Sen. nat. II, 12.3 (…) Anaxagoras ait illum ex aethere destillare et ex tanto ardore caeli multa decidere, quae nubes diu inclusa custodiant. 19. distillari: la variante presente nel Fons coincide con la congettura proposta dal Mureto: cfr. Sen. nat. II, 12.3 destillare R et edd., distillare ZΨ distillari Muretus. 23. collapsus in ignes: cfr. Luc. II, 57 collapsus in ignis Z2GUV, sed conlatus in ignis ZMPC et edd. 25. Require eodem libro, capitulo 54: cfr. XIII.54, 14-16. 25-33. Ego autem … discedere: cfr. Sen. nat. II, 13.1-4 (…) Si de caelo cadit, quomodo non cotidie fit, cum tantundem semper illic ardeat? Deinde autem nullam rationem reddiderunt quare ignis, quem natura susum uocat, defluat. Alia enim condicio nostrorum ignium est, ex quibus fauillae cadunt, quae ponderis aliquid secum habent; ita non descendit ignis, sed praecipitatur et deducitur. Huic simile nihil accidet in illo igne purissimo, in quo nihil est quod deprimatur; aut si ulla pars eius exciderit, in periculo totus est, quia totum excidere quod potest carpi.(…) “Quid ergo? non aliqui ignes in inferiora ferri solent, sicut haec ipsa de quibus quaerimus fulmina?” Fateor. Non eunt tamen sed feruntur; aliqua illos potentia deprimit, quae non est in aethere. Nihil enim illic iniuria cogitur,nihil rumpitur, nihil praeter solitum euenit (…) hinc discendere non potest. Domenico sta chiaramente citando Seneca ma parla in prima persona (l. 25 ego … crediderim; l. 31 respondeo, ricalcato sul senecano fateor) e riadatta il testo senza seguirne il normale andamento: l’interrogativo che Seneca pone all’inizio del cap. 13, con il

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quale egli si chiede come mai i fulmini non cadono tutti i giorni, sebbene il fuoco arda nel cielo sempre con la stessa intensità (Si de caelo cadit, quomodo non cotidie fit, cum tantumdem semper illic ardeat?), è collocato da Domenico al centro del suo discorso (ll. 29-30). Egli inoltre esclude quelle domande che Seneca si pone per determinare la natura del fuoco che cade dall’alto, se esso sia leggero o pesante: a tal proposito si potrebbe supporre che Domenico sia stato condizionato dalla lacuna che caratterizza il testo nel ramo δ, in cui un “saut du même au même” ha generato l’omissione di cadit leue est an graue? Leue est? Non potest ruere: quod potest carpi, deinde illud quod, conservatosi solo in ζπ. 28. in igne: cfr. Sen. nat. II, 13.2 in igne δ, sed in illo igne Zθπ et edd. igne in illo R. xiii.15 29. decidere: cfr. Sen. nat. II, 13.2 deciderit δW2, sed exciderit ZθPUW1 et edd. 33. Require eodem libro, capitulo 24: cfr. XIII.24, 1-9. 34-39. Aristotiles … cadens: cfr. Sen. nat. II, 12.4 Aristoteles multo ante ignem colligi non putat, sed eodem momento exilire quo fiat; cuius sententia talis est: ‘Duae partes mundi in imo iacent, terra et aqua. Utraque ex se reddit aliquid: terrenus uapor siccus est et fumo similis, qui uentos, fulmina, tonitrua facit; aquarum halitus umidus est, in imbres et niues cedit’. Cfr. nota a XIII, 10, 7-14 e a 15, 25-33, dove parimenti le teorie aristoteliche vengono esposte attraverso le parole di Seneca. 38. uentos, tonitrua, fulmina: cfr. Sen. nat. II, 12.4 uentos tonitrua et fulmina AV, sed uentos fulmina tonitrua ζθPW et edd., uentos et fulmina et tonitrua B uentos fulmina et tonitrua U. 39. imbres cadens: i codici ζθπ tramandano et niues dopo imbres, che invece è omesso da δ. 39-45. Ideo nota … tonitrua grauiora: sull’origine dei tuoni e dei fulmini scrive Alberto Magno, seguendo in sostanza la teoria aristotelica: Meteora III, 3, 4 E regione autem cum ascendit uapor siccus, aut ascendit purus non comprehensus in uapore humido aut ascendit in uapore humido comprehensus. Et si quidem ascendit solus, tunc facit uentos (…). Si autem ascendit comprehensus in uapore humido, tunc quando uapor humidus peruenit ad locum frigoris et incipit comprimi, comprimitur etiam in ipso quasi in uentre eius uapor siccus calidus accidentali caliditate. In tali autem compressione uaporis sicci in uentre nubis fit agitatio uehemens uaporis sicci. Agitatio autem inducit actualem inflammationem in uapore calido et sicco, eo quod facillimae est inflammationis (…). 46-47. quomodo … crepat: cfr. Sen. nat. II, 12.5 (…) qualis in nostris ignibus redditus cum flamma uitio lignorum uirentium crepat. uirentium: cfr. Sen. nat. II, 12.5 uirentium F et edd., urentium ζδHπ.

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47. aut in igne … non incisa: cfr. Alb. Meteora III, 3, 4 Et praecipue inuenitur simile huius in castaneis quae non perforata et rupta cortice ponuntur in igne calido. 50. differunt … impetu: cfr. Sen. nat. II, 21.1 non natura ista sed impetu distant. 51-54. Vbi … ignis: cfr. Sen. nat. II, 57.3 (…) Ergo ubi calidi fumidique natura emissa terris in nubes incidit et diu in illarum sinu uolutata est, nouissime erumpit et, quia uires non habet, splendor est. 52. illarum: cfr. Sen. nat. II, 57.3 illarum AVFW2 et edd., illorum ZRBHPU, W1 ut uid. 55-58. non est uaporabilis … uel aqua: cfr. XIII.2, 4-10 59-61. nubes … sono eiciunt: cfr. Sen. nat. II, 16 (…) nubium inter se compressarum angustiae medium spiritum eiciunt, et hoc ipso inflammant ac tormenti modo emittunt. Nam ballistae quoque scorpionesque tela cum sono expellunt. 62. atrocissime erunt pluuie: in realtà, Plinio predice un inverno rigido, non abbondanza di piogge come si legge nel Fons, quando in una giornata serena le folgori provengono all’improvviso da ogni parte del cielo: cfr. Plin. nat. XVIII, 354 cum sereno caelo fulgetrae erunt et tonitrua, hiemabit, atrocissime autem, cum ex omnibus quattuor partibus caeli fulgurabit. 65. fulgurauerit: cfr. Plin. nat. XVIII, 354 fulgurauerit v, sed fulgurabit 2 F D et edd., fulgurauit d S. fulgorauit m schol. Germ. fulgur aut DGF1 fulgurant E fulgura H. 67. Nicolaus Oresme: Nicola Oresme (1320 ca.-1382)46, consigliere del re Carlo V di Francia e vescovo di Lieux, fu insigne rappresentante della rinascita scientifica e naturalistica alimentata dall’occamismo del XIV secolo e un fermo oppositore dell’astrologia: i suoi molteplici interessi spaziarono dalla matematica all’economia, dalla fisica all’astronomia, e si tradussero in numerose opere composte sia in latino che in francese, che da lui per la prima volta fu utilizzato per trattazioni scientifiche di alto livello47. Per 46

Cfr. F. MEUNIER, Essai sur la vie et les ouvrages de Nicolas d’Oresme, Paris 1857; THORNIII, pp. 398-471; M. CLAGETT, Oresme, Nicole, in Dictionary of scientific biography, X, New York 1974, pp. 223-30; U. TASCHOW, Nicole Oresme und der Frühling der Moderne: Die Ursprünge unserer modernen quantitativ-metrischen Weltaneignungsstrategien und neuzeitlichen Bewusstseins- und Wissenschaftskultur, Halle 2003. Nicolas Oresme: tradition et innovation chez un intellectuel du 14. siècle, par P. SOUFFRIN et A. PH. SEGONDS, Paris 1988; S. CAROTI, La critica contro l’astrologia di Nicole Oresme e la sua influenza nel Medioevo e nel Rinascimento, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filosofiche, serie 8, 23 (1979), pp. 544-684; Autour de Nicole Oresme. Actes du colloque “Oresme”, éd. par J. QUILLET, Paris 1990 (Bibliothèque de l’histoire de la philosophie). 47 Tra le sue opere più note vanno ricordati il trattato di geometria de configuratione qualitatum et motuum e il Tractatus de origine, natura, iure et mutationibus monetarum, in cui DIKE,

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incarico di Carlo V fu molto attivo come traduttore e commentatore delle opere di Aristotele (Le livre du ciel et du monde d’Aristote). Il suo commento ai Μετεωρολογικά, suddiviso in quaestiones e tramandato nella versione più completa dal codice St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839 (ff. 1-175v) è tutt’oggi inedito48. 68-70. lumen coruscationis … palleant: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 82v) (…) alique coruscationes ledunt uegetabilia et corrumpunt flores et aliqua folia plantarum discolorant et huius ratio est quia huius diexalatio inflammata corrumpit nutrimentum siue humidum intrinsecum illorum uegetabilium. 16, 2-6. Scias … aurium sensus: cfr. Aristot. meteor. II 9, 369b, 8-9: Fit [i.e. coruscatio] autem post percussuram et posterius tonitruo, sed uidetur prius quia uisus anticipat auditum. Il concetto è ripreso da Seneca (nat. II, 12.6 Ante autem uidemus fulgorem quam sonum audimus, quia uelocior sensus est et multum aures antecedit) e da Alberto Magno (Meteora III, 3, 7 Propter quid ergo ande uidetur fulgur, quam audiatur tonitruum? e sgg.) Secondo l’opinione comune, forse di matrice stoica, il fulmine e il tuono erano due fenomeni tra loro contemporanei; Aristotele, invece, sosteneva che il fulmine è posteriore al tuono49, ma viene percepito prima perché la vista precede l’udito. Domenico, dal canto suo, pone l’accento su un aspetto differente, e cioè che lo scontro delle nubi da cui scaturisce il fuoco è di necessità precedente al suono stesso che ne deriva e perciò il fatto di vedere

sintetizzò il pensiero economico scolastico e tentò di tenere distinta l’economia dalla morale e dalla politica. 48 Cfr. G. SHERRER, Verzeichniss der Handschriften der Stiftsbibliothek von St. Gallen, Halle 1875 (Hildesheim – New York 1975), p. 285; Katalog der datierten Handschriften in der Schweiz in lateinischer Schrift vom Anfang des Mittelalters bis 1550. Bd. III: Die Handschriften der Bibliotheken St. Gallen-Zürich, bearbeitet von M. VON SCARPATETTI, R. GAMPER und M. STÄHLI, Dietikon – Zürich 1991, p. 71; C. LOHR, Aristotelica Helvetica, Scrinium Friburgense 6, Freiburg 1994, pp. 259-260. Si veda inoltre H. SUTER, Eine bis jetzt unbekannte Schrift des Nicolaus Oresme, in Zeischrift für Mathematik und Physik 27 (1882), pp. 121-125; L. THORNDIKE, Oresme and the fourteenth-century commentaries on the Meteorologica, in Isis 45 (1954), pp. 145-152 (con una lista dei titoli delle quaestiones tratta dal cod. Paris, Bibliothèque nationale, lat. 15156); ID., More Questions on the Meteorologica, in Isis 46 (1955), pp. 357-360. Per un elenco degli altri testimoni dell’opera si veda C. H. LOHR, Latin Aristotle commentaries, I.2: Medieval authors M-Z, Firenze 2010 (Corpus philosophorum Medii Aevi subsidia, 18), pp. 34-35. 49 Dello stesso parere era anche Alberto Magno: Meteora III, 3, 7 Et ideo citius uidetur fulmen, quam audiatur tonitrus, licet secundum esse tonitrus sit ante fulgur, quia tonitrus est in ipsa scissione uel ruptura nubis et fulgur est illuminatio ignis, quod apparet nube iam scissa uel rupta.

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il fulmine prima di percepirne il tuono non dipende semplicemente dalla diversa sensibilità dei sensi. 7-14. secundum Nicolaum Oresme … secernit: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 82v) Sciendum quod si exalatio exit nubem antequam incendatur et tunc cum exit ueloci eius motu incenditur et inflamatur, tunc coruscatio uia generationis precedit tonitruum: natura exalatio incensa indiget loco ampliori et fortissime percutit aerem circustantem et facit tunc sonum seu tonitruum et ideo ex hoc infero … quod non semper tonitruum precedit coruscationem. Sed Aristoteles dixit quod coruscatio fit post scissuram nubis et post eum tono et sono…. Dico quod hoc est uidendum quando exalatio exit nubem non inflamata … incenditur post ea ex ueloci motu eius et incensa indigens loco ampliori finctissime? percutit aerem circustantem se et coruscatio uia generationis potest esse prior tonitruo. 8. successiue: cfr. LEXICON VIII, S 957-960: successiue, id est sensim, gradatim, paulatim. xiii.15-17 17, 2-14. Tempus … tonitruum: cfr. Alb. Meteora III, 3, 21 Tempus autem harum impressionum, quae sunt tonitruum et coruscatio, est praecipue in aestate et in aestate etiam post magnum cauma et tempore magni aestus. Cuius causa est, quia impressiones istae fiunt de uaporibus grossis spissis, siue sint humidae, ex quibus fiunt nubes nigrae spissae, siue sint siccae, quia tunc fiunt ex uapore terrestri inflammato. Vapor autem huiusmodi non eleuatur in superficie terrae, ubi terra subtilis est et aqua subtilis, quae per pluuias descendit ad terram. Sed uapor iste eruitur de profundo terrae, ubi aqua impura est et terrestris, et spissa et grossa et glutinosa, quia ex illis proprie fit uapor harum impressionum. Eruere autem de intimis terrae uaporem non potest nisi calor magnus ualde, et ideo non potest nisi in tempore aestatis. (…) Sed quia ista non fiunt nisi in nubibus, necesse est quod caelum obnubiletur in ipso descensu istorum. 7. ut dixi 15 cap. huius libri: cfr. XIII.15, 35-39. 17. qua: si conserva qua della tradizione, ma in Ovidio si legge quas. 21. fulmina: cfr. Ou. fast. III, 369 fulmina Aω, sed fulgura Uζς et edd. (cfr. met. XIV 817; Verg. ge. I, 488; Luc. I, 530). 27. M. Herennius … ictus est: il prodigioso evento, datato al 63 a.C., è riferito, tuttavia senza il nome del suo protagonista, da Cicerone, diu. I, 18, 11, dove egli cita un passo estratto dal De consulatu suo. 28-29. Require eodem libro, capitulo 15 … 65: cfr. XIII.15, 62-63; cfr. XIII.65: il capitolo contiene previsioni del tempo a partire dall’osservazione del comportamento degli animali. 18, 3. et Nicolaus Oresme: cfr. nota a XIII.15, 67.

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4-5. Fulmen … expulsus: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 83r) Fulmen autem est exalatio calida et sicca [et sicca] in nubibus urens et uelociter ueniens a nube cum magno impetu uersus terram. 6. Aer … scindit lignum: cfr. Aristot. anima II, 12 sed in quibus est, ut aer qui cum tonitruum est, scindit lignum. Si veda anche Alb. Meteora III, 3, 20 (…) dicit Aristoteles in libro De anima quod aer cum tonitru ictus scindit lignum. 13-16. Et in II … expellitur: il rimando al libro II dei Meteora è inesatto, dal momento che l’origine del fulmine è illustrata da Alberto Magno nel terzo trattato del libro III (si veda la nota a XIII. 15, 39-45). Si può pensare a una svista di Domenico, ma potrebbe anche trattarsi di una corruzione (sempre facile nella tradizione di numeri). 17. hoc clarius dixi: cfr. XIII.15, 35-45. 18. scripsit Restaurus II libro: cfr. nota a XII.2, 19-20. Cfr. Rest. La composizione II, 2.19 «E questo vapore se disolvarà a poco a poco, secondo la sua quantità; e quanto questo vapore scendarà da lato, tanto debilitarà, e quanto più verrà da presso, tanto sarà più forte: secondo la saietta mandata da l’arco, che quanto più vene delogne, tanto più debilita, e quanto vene dal loco più presso, tanto più forte percote.» 19, 2-9. Tuscorum … prorumpere: il confronto con il passo citato della Naturalis historia mette in evidenza i pesanti interventi di Domenico su questa parte del testo di Plinio: cfr. Plin. nat. II, 138 Tuscorum litterae nouem deos emittere fulmina existimant, eaque esse undecim generum; Iouem enim trina iaculari. Romani duo tantum ex iis seruauere, diurna attribuentes Ioui, nocturna Summano, rariora sane eadem causa frigidioris caeli. Etruria erumpere terra quoque arbitratur, quae infera appellat, brumali tempore facta saeua maxime et execrabilia, cum sint omnia, quae terrena existimant, non illa generalia nec a sideribus uenientia, sed ex proxima atque turbidiore natura. 3-4. Libro stellarum erraticarum, capitulo 14: (E0, f. 103va) (…) fulmina dedit antiquitas omni potenti Ioui ad coercendos animos superborum, ut supra nos aliquid timerent noxii. Vtile quippe fuit in tanta licentia scelerum unum ponere cui nil posse uideretur obsistere tamquam armatum seuerumque iudicem punientem et, ut noscas me sentire cum illis, scias quod Ioui tantum utile dabatur fulmen. A questa affermazione di carattere generale seguono le testimonianze delle auctoritates più care a Domenico, come Seneca (noxium numquam concessit antiquitas fulminare (…) dicente Seneca II de questionibus naturalibus «solum id fulmen quod mittit Iuppiter placabile est» [nat. II, 43.1]) e Alberto Magno (Albertus de Colonia III Metheororum dixit poetas ideo Ioui dedisse fulmina, quia maxime stella Iou-

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COMMENTO XIII.18-21

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is uapores terrestres eleuat materiam uentorum fortium et siccorum. Quod quidem maxime dicit fieri quando Iuppiter fuerit in uirtute aliqua iunctus Marti estatis tempore et aquilonaribus signis. Tunc enim dicit frequenter elidi fulmina et horrenda tonitrua [Meteora III, 3, 22]). 5. Summano: cfr. LIMC VIII.1, p. 422; 2, 212: nel 278 a.C., durante le guerre contro Pirro, un fulmine aveva staccato la testa all’immagine fittile arcaica di Giove, il quale era detto Summanus per via della collocazione di questa statua sul fastigio del tempio della Triade Capitolina sul Campidoglio, (Liv. perioch. 14; Cic. diu. I, 16) e, non ritenendosi possibile che il dio avesse colpito la sua stessa immagine, si ritenne che Summanus fosse una divinità autonoma e distinta da Giove, al quale si attribuivano i fulmini diurni. Vd. infra XIII.28, 18. 9. Require eodem libro … 25: si vedano i capitoli 18 e 15 in cui Domenico ha trattato dell’origine del fulmine, legata alle esalazioni terrestri e ignee. 9-10. libro uirorum, capitulo Ayax Oylei: E2, f. 19vb-20ra (…) Nec mireris lector si Pallas lesa uenereum fulminauit Aiacem, quamquam Ioui a pluribus fulminatio tribuatur. [Volunt enim philosophi et theologi quod per potentiam et sapientiam homo possit alios superare, sed Iupiter potentie et Pallas sapientie aput gentiles fuerunt numina, sed ne uidear a poetis discessisse, scias quod ignem dant Ioui, Palladi et Vulcano] (…) Plinius etiam scribit II libro Historiae Naturalis quod Tusci nouem deos emittere fulmina extimabant eaque esse XI generorum deos tamen non nominat nec alibi memini me legisse. Asserit tamen Iouem tria genera iaculari, ut patet libro de impressionibus aeris, cap. 19 (cfr. Plin. nat. II, 138 e la nota a XIII.19, 2-9). xiii.18-21 20, 1. communis diuisio fulminis: cfr. Aristot. meteor. III 1, 371a, 1924 si quidem ualde subtilis, non adurens propter subtilitatem, quem poete argeta uocant, si autem minus, adurens, quem psoloenta uocant; Sen. nat. II, 40 quod terebrat … quod dissipat … quod urit; Plin. nat. II, 137 Fulminum ipsorum plura genera traduntur. Quae sicca ueniunt, non adurant sed, dissipant; quae umida, non urunt, sed infunscant. Tertium est quod clarum uocant, mirificae maxime naturae, quo dolia exhauriuntur (…). Domenico segue, e anche nello stesso ordine, la suddivisione dei fulmini proposta da Seneca, che non trova altri riscontri nelle fonti antiche, dal momento che è probabile che il filosofo attingesse a notizie di provenienza etrusca. Si noti che la suddivisione di Seneca è ripresa anche da Alb. Meteora III, 3, 23. 21, 2. penetrans: il verbo usato da Domenico al posto del senecano terebro impoverisce lessicalmente il testo e indebolisce l’immagine descritta da Seneca.

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4. Require eodem libro, cap. 15: cfr. XIII.15, in cui Domenico tratta in generale del fulmine e della sua origine. 4-5. ut patet … 26: cfr. XIII.26, 5 sgg. 22, 4. tempore quo … inceperam: il testo conferma le supposizioni della Hankey che aveva fissato tra il 1370 e il 1373 la data di inizio della stesura del Fons50. 8. torrenti: il torrente Castro, che ha una lunghezza complessiva di 13 km, nasce sulle pendici dell’Alpe di Poti, e dopo aver attraversato la città di Arezzo, si getta nel Canale Maestro della Chiana. 13. commixtam: cfr. Sen. nat. II, 40.2 commixtam δ, sed admixtam ζθπ et edd. 23, 5. signa: cfr. Sen. nat. II, 40.3 signa δ, sed uestigia ζθπ et edd. 9. libro ciuitatum et oppidum, capitulo Vulsinum: il rinvio al capitolo dedicato a Volsinii, l’odierna Bolsena, per un approfondimento dell’argomento non è casuale, perché è lo stesso Plinio a nominare la città come esempio della potenza distruttrice del fulmine. Infatti nel Liber de ciuitatibus si legge: (E1, f. 168ra) scribit Plinius libro II Historiae naturalis: “Cum Vulsinis, oppidum Tuscorum opulentissimum, totum fulminibus fuisse crematum” (Require libro de impressionibus aeris, cap. 23). Cfr. Plin. nat. II, 139 A Saturni ea sidere proficisci subtilius ista consectati putant, sicut cremantia a Martis, qualiter cum Volsinii, oppidum Tuscorum opulentissimum, totum concrematum est fulmine. 10. Roma: (E0, f. 279vb) (…) anno sue originis 360 duce Brenno a Gallis capitur, quam integris 8 mensibus tenuerunt (…); recuperata tandem urbe Gallorum reliquie fulminibus sunt combuste, ut patet libro De impressionibus aeris, cap. 23. È il sacco di Roma ad opera dei Galli Senoni guidati da Brenno dell’anno 390 a.C. 24, 1-9. Sed forsitan … eius est: la parte iniziale del capitolo cela tra le sue righe l’impronta delle Naturales quaestiones: Sen. nat. II, 24 “Quomodo — inquit — cum dicatis ignis hanc esse naturam ut petunt superiora, fulmen terram petit? (…) Ignis enim natura in uerticem surgit et, si nihil illum prohibet, ascendit, sicut aqua natura defertur, si tamen aliqua uis accessit quae illam in contrarium circumageret. (…) Idem his ignibus accidit quod arboribus quarum cacumina trahi possunt ita ut terram spectent, si tenera sunt etiam ut attingant; sed cum permiseris, in locum suum exilient. (…) ubi est aliquid quod eum feriat et ab impetu suo auertat, id non natura sed 50

Cfr. HANKEY 19572, p. 115.

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COMMENTO XIII.21-26

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seruitus iussit. L’influenza del testo è palese e non limitata ai soli concetti (l’idea che il fuoco è destinato per natura a tendere verso l’alto e quindi se il fulmine si dirige verso il basso questo avviene per costrizione; il paragone con gli alberi che possono toccare il suolo con la cima, ma che tornano di scatto alla loro posizione naturale appena glielo è consentito) o al lessico; essa si estende anche alle movenze del discorso stesso, costruito come un dialogo con un anonimo interlocutore, secondo la caratteristica più tipica della prosa di Seneca. 10-11. inclinatur … deorsum cadunt: Aristot. meteor. I 4, 342a, 13-14 Deorsum autem iaciuntur, quia coagulatio ad deorsum inclinat propellens. Propter quod et fulmina deorsum cadunt. 25, 1-2. Si iterum … nube: cfr. Sen. nat. II, 25 «Dicis» — inquit — «nubes attritas edere ignem, cum sint umidae, immo udae; quomodo ergo possunt gignere ignem, quem non magis ueri simile est ex nube fieri quam ex aqua ex nube nascitur»? 2-7. non credas … cadit; Quamquam … aquam: cfr. Sen. nat. II, 26, 1-2 Primum in nubibus non aqua est, sed aer spissus et ad gignendum aquam praeparatus, nondum in illam mutatus (…); non est quod existimes eam colligi, tum effundi: simul fit et cadit. (…) potest ergo nubes salua quam continet aqua ignem parte aliqua sui reddere, ut saepe alia pars ligni ardet, alia sudat. 3. ut patet 14 capitulo: si tratta in realtà del capitolo 15. 7. eodem libro, capitulo 57: cfr. XIII.57 in cui si tratta diffusamente delle nuvole. xiii.21-26 26, 2-3. Opera … insit eis: cfr. Sen. nat. II, 31.1 Ceterum mira fulminis, si intueri uelis, opera sunt nec quicquam dubii relinquentia quin diuina sit illius ac subtilis potentia. 2. adeo … quod … ut: per l’uso di quod in correlazione con adeo si veda la nota a XII.2, 29. Per ut al posto del quod dichiarativo o in dipendenza da verbi impersonali si veda LEXICON VIII, U 112-114. 6. loculis … sit: il fenomeno era molto noto nell’antichità, e oltre che in Seneca (nat. II, 31.1 loculis integris et illaesis conflatur argentum) se ne trova testimonianza in Teofrasto, Meteor. 352b, 23-8; Plutarco, Mor. 665bc; Arriano, Phys. fr. 3; Giovanni Lorenzo Lido, de ostentis 44. Si veda anche Plin. nat. II, 137 aurum et aes et argentum liquatur intus; e Alb. Meteora III, 3, 19 (…) aliquando liquescere aurum et non laedere crumenam siue saccum, in quo est aurum. 6-7. manente … ligno: cfr. Sen. nat. II, 31.1 manente uagina gladius ipse liquescit et inuiolato ligno circa pila ferrum omne destillat. Si veda anche

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Aristot. meteor. III 1, 371a, 24-27 Propter quod et resistentia quidem patiuntur aliquid, que autem non, nichil, iuxta quod clipei iam eramen liquefactum fuit, lignum autem nichil passum fuit; Alb. Meteora III, 3, 19 (…) Aliquando uero comminuit uel ‘liquefacit gladium’ uel perforat multis foraminibus absque adustione ‘uaginae’; e Nicola Oresme (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 83v) Vnus effectus fulminis est quod aliquando liquefacit gladium non ledendo uaginam. 7. ciroteca: cfr. LEXICON II, C 412-13: chirotheca, -ae, id est digitabulum, manica. 9-10. ossa hominis … carne: vedi Nicola Oresme (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 83v) (…) eodem modo pecuniam in bursa [liquefacit], et non ledit bursam, et similiter ossa, et non carnes. Visum est enim quod aliquando ledebantur ossa et tamen nulla apparuit macula uel lesio in carne stante; Alb. Meteora III, 3, 19 Aliquando interficit, cum tamen nullum signum appareat adustionis uel uulneris. 10-11. Stat … ille: il fenomeno è riportato soltanto da Seneca: cfr. Sen. nat. II, 31.1 (…) stat fracto dolio uinum nec ultra triduum ille rigor durat. La citazione è presente anche in Alb. Meteora III, 3, 19 e in Nicola Oresme (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 84r) . 11-14. cum tamen … odor est: cfr. Sen. nat. II, 53.1-2 Illud est mirum, quod uinum fulmine gelatum, cum ad priorem habitum redit, potum aut exanimat aut dementes facit. (…) inest uis fulmini pestifera (…); nec enim alligari potuisset nisi aliquod illi esset additum uinculum. Praeterea olei quoque et omnis unguenti taeter post fulmen odor est. 13. olei: cfr. Sen. nat. II, 53.2 olei δW2 et edd., olet ζθPUW1. 15-16. illis temporibus … triumphauit: Gaio Mario trionfò su Giugurta nell’anno 104 a.C. 16-20. uirgo quedam … corruit: cfr Oros. hist. V, 15.20-21 Isdem diebus obscenum prodigium ac triste uisum est. L. Heluius eques Romanus cum uxore et filia de Roma in Apuliam rediens, tempestate correptus cum filiam consternatam uideret, ut citius propioribus tectis succederent, relictis uehiculis arreptisque equis filiam uirginem equo insidentem in medium agmen accepit. Puella continuo ictu fulminis exanimata est, sed omnibus sine scissura aliqua uestimentis ademptis ac pectoris pedumque uinculis dissolutis, monilibus etiam anulisque discussis, ipso quoque corpore inlaeso, nisi quod obscenum in modum nuda et lingua paulum exerta iacuit; equus quoque ipse, quo utebatur, straturis frenis et cingulis dissolutis passim ac dispersis exanimis procul iacuit. 22. M. Herennius … ictus est: cfr. nota a XIII.17, 27. 23-26. serpentum … uerminantur: la notizia si legge anche in Alb. Mete-

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COMMENTO XIII.26-27

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ora III, 3, 19 e Nicola Oresme (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 84v) 26-29. Et Nicolaus … occidit: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 84v) Vndecimus effectus est quod aliquando fulmen quidquid tangit de homine, sicut pedicam [i.e. digitum pedis] uel digitum, tunc hominem totum inficit ut moriatur. Aliud autem est fulmen quod ledit et percutit, non tamen interficit et huius ratio est quia fulmen ratione sue nature est magis uenenosum et inficiens unam partem priscam, inficit alias. 35. Addiciam: per la variante grafica addicio per adicio cfr. LEXICON I, A 135. Inoltre essa è attestata in Mittellateinisches Wörterbuch bis zum ausgehenden 13. Jahrhundert, herausgegeben von BAYERISCHEN AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN, I, München 1967, col. 184, 33. 36-37. eodem modo … uexat: cfr. Sen. nat. II, 52.1 eodem modo omnem materiam ψ, sed omnem materiam eodem modo ζ et edd. 39. illa: cfr. Sen. nat. II, 52.1 illa δFPUW2 et edd., illam ζH W1. 41. antiqui fulmina Ioui dabant: si veda anche Cic. diu. 2, 43; Luc. 3, 319; Ov. am. 2, 1, 15; fast. 1, 202 e 3, 439; Plin. nat. II, 82 et 138; Macr. sat. V, 3, 16; Sen. Thy. 290; Verg. Aen. IV, 25; XII, 200. Per altri esempi si veda THLL, VI, col. 1525-25 e LIMC, VIII.1, p. 422 e 428-31. altior sensus … libro stellarum erraticarum, capitulo 20: cfr. la nota a XIII,19.3-4. 42. libro uirorum, capitulo Iuppiter: cfr. E2, f. 216ra: Fulmen trisulcum loco sceptri Ioui dedere poete, quod plene posui libro stellarum erraticarum, capitulo 19, 20. Require etiam libro herbarum, capitulo Barba Iouis. Addit Plinius II libro Historiae naturalis (cfr. Plin. nat. II, 138) Tuscorum litteras dicere nouem deos emittere fulmina eaque esse XI generum deos tamen non nominat nec alibi legi. Profitetur tamen Iouem tria genera iaculari, prout plene posui eodem libro uirorum scribendo de Ayace Oyleo. Trisulcum uero dixere fulmen quia tres sunt species fulminum: nam quoddam omnia scindit, aliud cuncta comburit et tertium tantum afflat (Require plene libro De impressionibus aeris). 27, 2. abhominabile: cfr. LEXICON I, A 39: abominabilis, e, id est detestabilis, foedus. xiii.26-27 5. Ego … noscere: una delle sententiae più note al pubblico dei lettori delle Naturales quaestiones, con cui Seneca mette da parte l’indagine scientifica condotta sui fulmini e passa a considerazioni di carattere morale, secondo il vero spirito che anima l’intera sua opera, cioè non semplicemente quello di scrivere un testo scientifico che aggiungesse informazioni a quelle già esposte da altri, ma un testo che andasse oltre l’osservazione della natura e insegnasse all’uomo a liberarsi dai timori ad essa legati. Egli cerca di spiegare al suo Lucilio che solo inoltrandosi tra i segreti della natura

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egli potrà capirla e quindi non temerla, ma il suo interlocutore ancora non ha acquisito questa consapevolezza e continua ad insistere nel chiedergli un rimedio immediato ed efficace per scacciare le sue paure. Domenico fa propria l’affermazione di Lucilio («Malo» inquis «fulmina non timere quam noscere»), che in questo contesto suona più come il tentativo di giustificare il mancato approfondimento dell’argomento in questione, onde evitare un’eccessiva prolissità nell’opera (ll. 2-5. Predictorum omnium uarii conati sunt reddere rationes quas prolixitas operis carte imprimi non permittit, ideo aliis linquo ista discutere quibus laxius tempus est). Subito dopo, infatti, egli torna a ciò che gli è più congeniale, cioè la raccolta di dati a proposito del valore profetico che gli antichi assegnavano ai fulmini. 8-15. Quidquid exta … fumus: cfr. Sen. nat. II, 34.1-3 (…) quicquid exta, quicquid aues minabuntur, secundo fulmine abolebitur. (…) In quo mihi falli uidentur. Quare? Quia uero uerius nihil est: si aues futura cecinerunt, non potest hoc auspicium fulmine irritum fieri, aut non futura cecinerunt. Non enim nunc auem comparo et fulmen, sed duo ueri signa, quae, si uero significant, paria sunt.(…) Si dicas flammae maiorem uim esse quam fumi, non mentieris, sed ad indicandum ignem idem ualet flamma quod fumus. 12-13. tria signa ueri: Seneca parla soltanto di duo signa, riferendosi agli uccelli e al fulmine; a questi Domenico aggiunge anche le viscere, di cui Seneca parla all’inizio del cap. 34. 13. que si unum: cfr. Sen. nat. II, 34.2 quae si unum δ, sed quae si uerum ζθυ et edd., quesierunt R quasi uerum P. 16-17. leua … ueniunt: cfr. Plin. nat. II, 142 (…) laeua prospera existimantur, quoniam laeua parte mundi ortus est. ibid. II, 143 ex iis maxime dirae quae septemtriones ab occasu attingunt. xiii.27-29 28, 3-15. Hyeme … quodammodo uernat: come per le Naturales quaestiones, anche il testo di Plinio viene citato più volte senza che se ne faccia esplicita menzione: cfr. Plin. nat. II, 135-136 Hieme et aestate rara fulmina contrariis de causis, quoniam hieme densatus aer nubium crassiore corio spissatur, omnisque terrarum exhalatio rigens ac gelida quicquid accipit ignei vaporis exstinguit. Quae ratio immunem Scythiam et circa rigentia a fulminum casu praestat, e diverso nimius ardor Aegyptum, siquidem calidi siccique halitus terrae raro admodum tenuesque et infirmas densantur in nubes. Vere autem et autumno crebriora fulmina, corruptis in utroque tempore aestatis hiemisque causis, qua rationes crebra in Italia, quia mobilior aer mitiore hieme et aestate nimbosa semper quodammodo uernat uel autumnat. Italiaeque partibus iis, quae a septentrione descendunt ad teporem, qualis est urbis et Campaniae tractus, iuxta hieme et aestate fulgurat, quod non in alio situ.

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11-12. quando Saturnus … capitulo 6: (E0, f. 101rb) Noueris etiam quod Italis adeo est aduersus, ut scribit Seruius super I Georgicon: «Saturnus apud Italos in Capricorno grauissimas effudit pluuias, in Scorpione grandines, in alio fulmina, in alio uento, etc.» (cfr. Seru. ad ge. I, 336). 16. Campania: la voce dedicata alla Campania nel libro De prouinciis et regionibus (E0, f. 211rb-va) al quale Domenico rimanda contiene una breve descrizione della regione, in cui si accenna alla fertilità del territorio e alla salubrità dell’aria. 16-17. Estate … accenditur: l’affermazione è in contrasto con quanto detto poco prima (ll. 3-9), cioè che i fulmini cadono con più frequenza in primavera e in autunno, secondo quanto era creduto comunemente (cfr. Lucr. VI, 357-9 autumnoque magis stellis fulgentibus apta / concutitur (sc. fulminibus) caeli domus undique totaque tellus, / et cum tempora se ueris florentia pandunt; Plin. nat. II, 135-36 hieme et aestate rara fulmina … uere autem et autumno crebriora fulmina). Questa notizia si trova invece in Seneca: nat. II, 57.2 Ideo plurima aestate sunt fulmina quia plurimum calidi est; facilius autem attritu calidorum ignis existit. Cfr. anche Alb. Meteora III, 3, 21 per la cui citazione si veda la nota a XIII.17, 2-14. 17. calida: cfr. Sen. nat. II, 57.2 calida δW2 (W1 non legitur), sed calidi ZRθP et edd., calidum U. 18. libro uirorum, capitulo Summanus: (E2, f. 371vb) Sumanus fuit apud ueteres magnus deus, dicente Augustinus libro IV De ciuitate Dei «Romani ueteres nescio quem Summanum, cui nocturna fulmina tribuerunt, coluerunt magis quam Iouem ad quem diurna fulmina pertinebant» (cfr. Aug. ciuit. IV, 23, 84). Vd. supra XII.19, 5. 20-22. semper … oblique: una notizia simile si legge nel commento di Nicola Oresme: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 85r) In ista questione uidendum est quare templa et monasteria sepius percutiuntur a fulmine quam alia. (…) exalatio ignita quae est materia fulminis mouetur oblique et quia ex transuerso per aerem uolando magis sursum quam deorsum et quia templa et monasteria sunt magis alta quam alia. 20. nolaria: il sostantivo nolarium indica il campanile (cfr. J. F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, Leiden 1976, p. 720). 29, 2. Seneca V De questionibus naturalibus: il libro VI delle Naturales quaestiones viene numerato come quintus dai codici ZVH. Sulla complessa questione dell’ordinamento dei libri delle Naturales quaestiones si vedano le introduzioni alle edizioni di Hine (Stutgardiae et Lipsiae 1996, pp. XXIIXXV) e di Parroni (Milano 2002, pp. xlvii-l). 3. Nimborum: cfr. Sen. nat. VI, 1.6 nimborum ζθπ et edd., imbrium δ. 4. propellunt: cfr. Sen. nat. VI, 1.6 propellunt ZθPW et edd., repellunt

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δ. epydimia: cfr. LEXICON III, E 225: epidemia, ae (uel epidamia, epidimia, epydimia, epydemia, ypidimia), id est morbus contagiosus, lues. Il termine è usato in sostituzione del senecano pestilentia: cfr. Sen. nat. VI, 1.6 in pestilentia mutare sedes licet. 5-6. libro populorum, capitulo Mirmidones: (E1, f. 224ra) (…) Ideo pestilenciali tempore a loco repente fugere qui corrumpi incipit nosque transferre ad illa loca in quibus nec est nec antea sit pestis. 6. tonitrua: cfr. Sen. nat. VI, 1.6 tonitrua Z et edd., tonitruum ψ. 6-7. in altum … fosse: cfr. Sen. nat. VI, 1.6 defossi in altum δ, sed in altum acti Z et edd., in altum θρUW1. 13. armiger Ioui: cfr. Verg. Aen. IX, 561; Ou. met. XV, 386; Val. Fl. I, 156; II, 416; Sil. IV, 126; Avien. Arat. 694; 1008; Claud. XV, 468; carm. min. 27, 81. Per altri esempi si veda ThLL II, 370; per le rappresentazioni iconografiche di Giove insieme all’aquila si veda LIMC VIII.1, pp. 428 e 431-32. 13-14. De ornamento aeris, capitulo Aquila: (E0, f. 133rb) … teste Plino X Historiae naturalis (cfr. Plin. nat. X, 15) sola aquila ex animalibus a fulmine tuta sit (Require libro De impressionibus aeris, capitulo 29). (…) Armiger autem Iouis dicitur teste Seruio super I et IX Virgilii, quia in giganteo bello Ioui fulmina ministrasset, quod fictum creditur quia dum Iupiter cum patre Saturno de regno contenderet circa inicium proelii Iupiter aquile notauit augurium, cumque uicisset fictum est quod ei pugnanti ministrasset tela (cfr. Seru. ad Aen. IX, 561). 15. libro arborum, capitulo Laurus: (E1, f. 255rb) (…) ex hiis que terra gignuntur solum lauri fructicem non ferit fulmen, quapropter contra metum fulminum tonante celo ex lauro principes coronantur. 15-16. libro herbarum, capitulo Barba Ioui: (E1, f. 281ra) Barba Iouis, prout scripsit Albertus Magnus VI libro De uegetalibus est tante uirtutis quod ubicumque fuerit nil ledi patiatur a fulmine ideoque super tectis edificiorum experimentatores plantari consulunt. Cfr. Alb. ueget. VI, 288 Qui autem incantationi student, dicunt ipsam (i.e. Barba Iouis) fugare fulmen tonitrui: et ideo in tectis plantatur. 16-17. prout scribit Policratus I De nugis curialium: il Policraticus di Giovanni di Salisbury, conosciuto anche come De nugis curialium et uestigiis philosophorum51, viene spesso citato nel Fons: trattandosi di una delle più popolari opere del Medioevo, e presentandosi essa come uno speculum principis, ricchissimo di ritratti ed exempla tratti dal mondo classico, il Policraticus è stato per Domenico una importante fonte, soprattutto nel caso degli aneddoti di vita. La Hankey ha fatto notare che come Domenico 51 Cfr. THORNDIKE 1923, II, pp. 155-170. Si veda inoltre la lunga introduzione che precede l’edizione di Keats-Rohan.

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chiamava Alano di Lilla Anticlaudianus dal nome della sua opera, così fece anche con Giovanni di Salisbury, che è sempre citato come Policratus, con la differenza che in questo caso egli conosceva il suo vero nome52. 24-28. Scribit … Ioui: la citazione di Suetonio è tramandata esclusivamente dai codici Pa e T, che anche in altre occasioni (vedi XIII.33, 8-16; 34, 16-29) sono gli unici testimoni di porzioni più o meno lunghe di testo, altrimenti omesso negli altri manoscritti. Pertanto essi vanno considerati quali testimoni di una versione recentior del Fons, almeno per quanto concerne il libro XIII, e di quell’incessante lavoro di revisione dell’opera che Domenico portò avanti fino alla morte. 27. constratum: si conserva constratum della tradizione, ma in Suetonio di legge consternatus. 28-29. libro uirorum, capitulo Iouis: (E2, f. 215va) (…) Ioui Tonanti, prout scribit Suetonious in libro II de 12 Cesarum consecrauit Augustus a periculo fulminis liberatus, cum expeditione Cantabrica per nocturnum iter lecticam eius fulgur perstrinxerit et seruum precedentem exanimauerit (Require libro De impressionibus aeris, capitulo 28) (cfr. Suet. Aug. 29.3). 30-31. nemo … preuiderit: cfr. Plin. nat. II, 142 (…) nec quemquam tangi qui prior uiderit fulmen aut tonitrua audierit. xiii.29-31 30, 6. libro uirorum, ubi de Tullo: (E2, f. 490vb) Et hoc est mirum et forsan audacis credere nisi Plinius autor approbatissimus diceret in II libro Historiae naturalis quibusdam sacris et imprecationibus uel cogi uel impetrari fulmina, quod sepius factum a Numa et Porsenna et Tullo Hostilio profitetur, unde et Iouem Elicium nominatum dicit et in tantum hanc scientiam profecisse commemorat quo augur finito die fulgura uentura precineret (cfr. Plin. nat. II, 140). 31, 1-2. Celum ardere uisum: si veda anche Plin. nat. II, 148 ipsum ardere caelum minime mirum est et saepius uisum maiore igni nubibus correptis. L’esposizione dell’argomento “fuochi celesti” sembrava essersi conclusa con il cap. XIII.7, invece in questo e nel capitolo seguente, dopo aver interrotto bruscamente il discorso sui fulmini, Domenico torna ad occuparsi di simili apparizioni prodigiose legate al cielo, riportando per lo più le testimonianze e gli aneddoti narrati dagli storiografi antichi. Il fatto potrebbe essere verosimilmente spiegato come una conseguenza della mancata revisione del testo a causa della sopraggiunta morte. 4. humilis2: cfr. Sen. nat. I, 15.5 humilis δ, F u.l., sed longinqui ζF1HPU et edd., W non legitur. 52

Cfr. HANKEY 1957, p. 196.

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5-7. tempore Tiberii … noctis: lo stesso aneddoto è citato da Alberto Magno: cfr. Meteora I, 4, 9 Vnde sub Tiberio Caesare cohortes in auxilium Hostiensis coloniae exiuerunt tamquam conflagrantis, cum caeli ardor fuisset per magnam partem noctis. La vicinanza della citazione con il testo delle Naturales quaestiones induce a rafforzare l’ipotesi che Domenico leggesse direttamente il testo di Seneca, a differenza di molti altri umanisti, e non attraverso il tramite di Alberto Magno. 8. anno uigesimo quarto etatis mee: la data di nascita di Domenico, per quanto non del tutto certa, viene fissata dalla Hankey all’anno 133553: egli, dunque, doveva avere 24 anni intorno al 1359-60. 9-10. Liga Italica … dominio temporali: con il nome di “Lega italica” ci si riferisce convenzionalmente all’alleanza nata nel 1454 tra le grandi potenze del tempo (Milano, Firenze, Venezia e la Roma papale) in seguito alla Pace di Lodi, che segnò l’inizio di un periodo di pace e equilibrio. La Liga Italica di cui parla Domenico potrebbe essere quell’accordo stretto tra Siena, Pisa, Arezzo, Lucca e Firenze nel 1375, quando «per la prima volta degli avversari tradizionali, com’erano questi popoli della Toscana, s’unirono insieme contro il papato. L’intenzione, peraltro coronata dal successo, era quella di suscitare la rivolta dei territori appartenenti alla Chiesa. (…) Gregorio XI (…) lanciò subito dopo — contro Firenze — un interdetto, che doveva colpirla in ogni suo commercio in Italia e fuori, mentre Firenze reagiva confiscando tutti quei beni della Chiesa che erano nel suo territorio»54. 12. Phylippus Greciam quatiebat: si tratta dell’anno 349 a.C. 13-14. tempore quo … affecit: l’esercito di Annibale decimò le truppe romane guidate dal console Gaio Flaminio presso il lago Trasimeno nel giugno del 217 a.C. 14. libro uirorum ubi agitur de G. Flaminio: la biografia del console Gaio Flaminio descrive i momenti concitati dello scontro con Annibale (E2, ff. 169rb-vb) e alcuni prodigi allora verificatisi. A f. 169va si legge: (…) multarum urbium Italie magne partes prostrate fuerunt, flumina retro uerterit, montes lapsu ingenti prostrauerit, nullus pugnatium quicquam senserit. Fuerunt et alia prodigia que posui in libro de impressionibus aeris, cap. 30. 15. uisus … cum luna: la notizia si legge sia in Liu. XXII, 1.10 pugnantemque cum luna solem, sia in Oros. hist. V, 15.1 sol quoque pugnasse cum luna. 15-16. Phaliscos … effulsit: Domenico riporta questa notizia citando Orosio, come si deduce dalle lezioni Phaliscos e scindi (cfr. Oros. hist. V, 53

Cfr. HANKEY 19572, p. 111. Cfr. M. VANNUCCI, Storia di Firenze, I, Roma 2005, p. 98; si veda anche Storia d’Italia, diretta da G. GALASSO, VII.1, Torino 1987, pp. 661-662. 54

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15.1 Faliscis caelum scindi uelut magno hiatu uisum; ma Liu. XXII, 1.11 et Faleriis caelum findi uelut magno hiatu uisum quaque patuerit ingens lumen effulsisse); da Livio evidentemente trae la seconda parte del testo, relativa all’apparizione del maximum lumen. 17. in Chronicis Martini: Martino di Opava, storiografo domenicano del XIII secolo, è conosciuto anche come Martino di Polonia o Martino di Troppau. Cappellano presso la Curia di Alessandro IV e dei suoi successori, il 22 giugno del 1278 fu nominato Arcivescovo di Gniezno da Papa Nicola III, ma non poté mai ricoprire questa carica perché morì quello stesso anno prima ancora di raggiungere la sede assegnatagli. Il Chronicon pontificum et imperatorum, la sua opera più nota, è una storiografia nata come manuale per l’insegnamento che ha nella disposizione della materia la sua caratteristica più originale: in alcuni manoscritti ciascun foglio copre un arco di tempo di cinquant’anni e ad ogni anno è dedicata una riga; nella pagina di sinistra viene narrata la storia del Papato, in quella di destra la storia dell’Impero. I contemporanei, tuttavia, non colsero la rivoluzionaria importanza di questa sistemazione del testo e si limitarono a copiarlo senza rispettare il disegno dell’autore; l’opera ebbe comunque grande fortuna (si conoscono circa 400 manoscritti che la tramandano) e esercitò molta influenza sui cronachisti successivi55. 17-19. imperante Lotario … facta est: cfr. Mart. Chron. A.D. 938 (imp.) (p. 464): Lotharius II imperauit annis 2. Istius tempore sol factus est sicut sanguis. Vnde post paucos dies magna cedes hominum secuta est. Lotario II d’Italia (926/28-950), noto anche come Lotario di Arles, fu re d’Italia dal 947 fino alla sua morte. 19. magna cedes: forse una conseguenza delle incursioni ungariche che nella prima metà del X secolo interessarono l’Europa continentale: tra l’899 e il 930, infatti, gli Ungari devastarono l’Italia e nel 943 si spinsero fino a Roma56. Alla luce del dato storico e dal confronto con l’edizione del testo di Martino Polono, risulta che la data tramandata univocamente dal Fons è con grande probabilità corrotta. xiii.30 55 Cfr. A.-D. VON DEN BRINCKEN, Studien zur Überlieferung der Chronik des Martin von Troppau (Erfahrungen mit einem massenhaft überlieferten historischen Text), in Dissertation Abstracts 41 (1985), pp. 460-531; H. D. EMBREE, The Chronicles of Rome. An Edition of the Middle English “The Chronicle of Popes and Emperors” and “The Lollard Chronicle”, Woodbridge 1999; W. V. IKAS, Martinus Polonus “Chronicle of the Popes and Emperors”. A Medieval Best-seller and its Neglected Influence on English Medieval Chroniclers, Oxford 2002; ID., Neue Handschriftenkunde zum Chronicon pontificum et imperatorum des Martin von Troppau, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 58 (2002), pp. 521-537; ID., Martin von Troppau (Martinus Polonus), O.P. (gest. 1278) in England. Überlieferungs- und wirkungsgeschichtliche Studien zu dessen Papst- und Kaiserchronik, Wiesbaden 2002. 56 Cfr. Storia d’Italia, diretta da G. GALASSO, II, Torino 1978, pp. 172-182.

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20. futurorum signa: cfr. nota a XIII. 3, 12-13. 32, 3. tercio consolatu Marii: anno 103 a. C. 4. Mamertinis…Tudertinis: cfr. Plin. nat. II, 148 Mamertinis et Tudertibus ADFRdEav, sed Amerinis…Tudertibus B et edd. 9-10. tempore quo … affecit: cfr. nota a XIII.31, 13-14. 11. apud … prolapsas: si veda anche Liu. XXII, 1.9-10 et Arpis parmas in caelo uisas pugnantemque cum luna solem, et Capenae duas interdiu lunas ortas. Come Livio, così anche Orosio parla dell’apparizione di due lunae, e non di due parmae come fa supporre il testo di Domenico: Oros. hist. V, 15.1 et apud Arpos parmae in caelo uisae, sol quoque pugnasse cum luna, apud Capenas interdiu duas lunas ortas. 12. Mauros: cfr. Liu. XXII, 1.11-12 unamque excidisse ita scriptam: ‘Mauors telum suum concutit’. 13. solem … cum luna: cfr. nota a XIII.31, 15. tresque lunas: cfr. nota a XIII.32, 11: Livio in realtà parla dell’apparizione di duae lunae e non tre. Ma si veda Plin. nat. II, 99 Lunae quoque trinae, ut Cn. Domitio C. Fannio consulibus, apparuere. 14. et alia multa: i fenomeni prodigiosi narrati da Livio sono di altra natura: cfr. Liu. XXII, 1.13 Inde minoribus etiam dictu prodigiis fides habita: capras lanatas quibusdam factas, et gallinam in marem, gallum in feminam sese uertisse. 15. libro stellarum erraticarum: le parti del libro dedicato ai pianeti a cui fa riferimento Domenico sono quelle in cui egli tratta diffusamente del sole e della luna. Ad esempio a proposito delle apparizioni prodigiose del sole egli scrive: (E0, f. 108rb) Scribunt historici quandoque binos et quandoque plures apparuisse soles, unde Plinius II libro de historiis naturalibus «Tres — inquit — soles etas nostra uidit et antiqui sepius uiderunt». Poco più oltre aggiunge alle testimonianze delle fonti antiche e medievali anche un curioso fatto di cui egli stesso si dichiara testimone: Ego autem iuuentulus conspexi tres [i.e. soles] circa uespertinam horam de mense septembris anno gratie 1392. Due capitoli (quelli che nel De impressionibus aeris vengono numerati 57 e 58) sono dedicati alle eclissi di sole e di luna (cfr. E0, f. 110ra-vb) e anche a proposito di questo argomento Domenico fornisce numerosi esempi, molti dei quali avvalorati dalla sua esperienza. Infine, nell’ultima parte del libro, parlando della luna, ripropone in sostanza la medesima notizia tratta da Orosio: cfr. E0, f. 114rb Videntur simul eodem tempore, prout scribit Orosius libro V «uise tres lune in distantibus celi partibus, anno illo quo Flaminius romanus consul aduersus Gallos conflixit» (cfr. Oros. IV, 13.13-14). 15-16. libro ciuitatum, capitulo Ierusalem: (E0, f. 266ra) imminente Ie-

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rosoliminorum excidio eclipsis lune per 3 noctes facta est et multa alia monstrata sunt. 16. libro uirorum … Cesare: la lunga biografia di Giulio Cesare contiene un paragrafo interamente dedicato ai prodigi che seguirono la morte del dittatore (E2, f. 107rb). Dopo aver citato il I libro delle Georgiche, e il commento di Servio, a proposito dell’eclissi di sole che seguì l’omicidio, Domenico aggiunge: Scribitur enim in Historia Scolastica super libro Machabeorum quod die sequenti mortem Cesaris apparuerunt 3 soles in Oriente, qui paulatim in unum solare corpus redacti sunt. Portendebatur namque de proximo triplex esse dominium, scilicet M. Antonii, M. Lepidi et Augusti, quod in breui sub monarchia Augusti erat uniuersaliter claudendum. Segue questa citazione il riferimento all’apparizione della cometa durante i ludi organizzati in onore di Cesare, secondo il testo di Suetonio. 19. libro ciuitatum et oppidorum, capitulo Ierusalem: (E0, f. 266ra) Stella sub forma gladii stare uisa est quasi minans desuper ciuitati. (…) Die autem 21 maii prope occasum solis uisi sunt currus et quadrige in omni regione per aerem ferri et armatorum cohortes nubibus conmisceri. 19-23. Quando effera … parte: è questa la rappresentazione più drammatica delle invasioni barbariche che si legge nei Dialoghi di Gregorio Magno, in cui, alludendo a spaventosi segnali celesti che preannunciarono morte e rovina, egli offre un tentativo di interpretazione in chiave escatologica dell’invasione longobarda: cfr. Greg. Dial. III, 38.3 Mox enim illa terribilia in caelum signa secuta sunt, ut hastae atque acies igneae ab aquilonis parte uiderentur. Mox effera Langobardorum gens, de uagina suae habitationis educta, in nostra ceruice crassata est, atque hominum genus, quod in hac terra prae multitudine nimia quasi spissae segetis more surrexerat, succisum aruit. Nam depopulatae urbes, euersa castra, concrematae ecclesiae, destructa sunt monasteria uirorum atque feminarum. xiii.31-33 33, 3-4. secundum poeticas … capitulo Eolus: secondo il mito i venti erano figli di Astreo. Nella voce dedicata a questo personaggio nel libro De uiris si legge: (E2, f. 555ra) Astrei fuerunt plures. (…) Tertius est carminibus poetarum: fuit, teste Theodosio, sed referente Boccacio, Titani et Terre filius, quem dixit Esyodus — prout refert Seruius super I Aeneidos — concubuisse cum Aurora, ex qua dicebat Astreum genitum et uentos omnes. Quod Virgilius tetigit libro I cum Neptunus iratus sic loquitur contra uentos: «Tantane uos generis tenuit fiducia uestri / Iam celum terramque meo sine numine uenti / Miscere et tantas audetis tollere moles» (cfr. Verg. Aen. I, 132-34 e il relativo commento di Servio). Hos uentos omnes, dicit Lactantius super I Thebaidos [recte uero II], cum senex Titanus esset et fratres eius contra Iouem bella mouisset, non tantum armasse sed in Superos emisisse, sed uicti

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dedere penas: fuerunt enim clausi carcere superposito eis rege (cfr. Lact. Th. II, 4), prout patet e libro uirorum, capitulo Eolus. A proposito di Eolo Domenico scriveva: (E2, f. 153va) Hunc poete finxere uentorum regem. 5. uenti … omnes fluunt: Aristot. meteor. II 4, 360a, 10-13 Harum autem que quidem humidi plurem habens multitudinem exalatio principium pluentis aque est, sicut dictum est prius, sicca autem spirituum principium et natura omnium. 5-6. a poetis dicuntur fratres: cfr. Ou. met. I, 160; VI, 693. 7-14. Omnis … terremotum facit: cfr. Alb. Meteora III, 1, 1 (…) relinquitur in isto libro dicere ea, quae generantur ex uapore sicco, qui eleuatur de terra. Qui quidem triplex est, scilicet absolutus uel inuolutus in uapore humido; et absolutus quidem est duplex, scilicet subtilis et ideo ascendens aerem et impellens eum et grossus, qui residet in uisceribus terrae. Et subtilis quidem absolutus pertingens in aerem, cum ibi frigiditate percussus fuerit, facit uentos, (…). Grossus autem in uisceribus terrae conclusus facit terraemotum (…). 14-15. de terremotu scribam: si tratta dei capitoli 47-53 del libro XIII. 8-16. talis … tam: vedi nota a XIII. 29, 24-28; anche questa porzione di testo è stata tramandata unicamente dai codici Pa e T. 16-19. Ideo … et sicca: cfr. Alb. Meteora III, 1, 2 (…) Sed est calidus, quia exitus flatus eius est principium eleuationis materiae eius ex locis meridionalibus, quae sunt calida et sicca secundum naturam. 19. eodem libro, capitulo 40: è il capitolo dedicato alla descrizione dei venti che spirano da meridione (notus, auster e africus). 20-21. libro uirorum, capitulo Thales Milesius: (Vat. lat. 2029, f. 367va) (…) repperit enim uentorum flamina, ambitus temporum et tonitrui sonora miracula. 34, 2-7. Ventus … aerem pulsat: cfr. Alb. Meteora III, 1, 5 (…) uentus est uapor terreus aeris superiora transcendens et aerem fortiter percutiendo impellens. (…) Tertia autem est quantum ad locum suae generationis, quia uentus non ascendit usque ad aestum, sed potius usque ad partem aeris frigidam, et ibi, sicut dicit Algazel, frigiditate percutitur et spissatur et mouetur et impellit aerem. Ex quo etiam patere potest quod uapor uenti non congregatur frigiditati interiori, sicut quidam dicunt, sed potius exteriori frigiditate loci. propter quam etiam, sicut dicit Algazel, impeditus, ne uadat ad superius interstitium aeris, quod aestus uocatur. 5. estum: vd. nota a XIII.4, 11. 10-11. hoc idem asseruit Beda: cfr. Beda, nat. XXVI Ventus est aer commotus et agitatus; si veda anche Isid. etym. XIII, 11.1 Ventus est aer commotus et agitatus.

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12-14. Omnes … humidus temperate: cfr. Alb. Meteora III, 1, 7 Sicut autem nos supra diximus, quidam dixerunt quod uentus est aer motus, qui quando quiescit, fit aqua. (…) Sermo autem iste erroneus est. (…) Ibi enim caliditas permiscetur aeris humiditati et alterat eam et facit eam calidam et subtiliat partes eius et conuertit ea in aerem. Ex hoc non potest esse uentus, quia uentus est ex uapore grosso spisso fortiter aerem percutiente. Ibid. 8 (…) Et materia eius est uapor talis, qui est frigidus et siccus subtilitate sua aerem transcendens; et cum spissatur frigiditate aeris, fortiter impellit aerem. 15-16. Secundum … et aqua: Aristot. meteor. II 4, 360a, 19-22 Quoniam autem altera utriusque species, manifestum quod differunt, et non eadem est que uenti natura et que plute aque, sicut quidam aiunt: eundem enim aerem motum quidem uentum esse, consistentem autem iterum aquam. 16-28. sed hic … desiccatiui: vedi nota a XIII. 29, 24-28 e 33, 8-16. 20-23. in sua … eos calidos: Domenico parla di zefiro e di venti occidentali, ma dietro le sue parole si coglie l’eco del testo di Macrobio, che verrà citato più oltre, al capitolo 40.24-31: cfr. Macr. somn. II, 5, 20 sciendum est autem quod uentus qui per hunc ad nos cardinem peruenit, id est auster, ita in origine sua gelidus est ut apud nos commendabilis est blando rigore septentrio, sed quia per flammam torridae zonae ad nos commeat, admixtus igni calescit et qui incipit frigidus, calidus peruenit. 24. quo: cfr. LEXICON VII, Q 127, dove si attesta l’uso di quo al posto di quo modo. 29. desiccatiui: cfr. LEXICON III, D 299: desiccatiuus, a, um, id est siccans. Require in eodem libro, capitulo 37: nei codici Pa e T, unici testimoni per questa parte del testo, si legge il riferimento al capitolo 37, in cui però Domenico parla dei venti orientali: invece è nel capitolo successivo che tratta dei venti occidentali e tra questi di zefiro. Come si è visto anche altrove, la tradizione dei numeri è sempre facilmente corruttibile. 31-32. corpuscula … moueri: cfr. Sen. nat. V, 1.2 (…) uidemus corpuscula minima in diuersum ferri, alia sursum, alia deorsum uarie concursantia. 35. meridianis et: cfr. Plin. nat. II, 129 meridianis et oz, sed meridianus edd. meridianis F1R1ap. 36. die: cfr. Plin. nat. II, 129 die F1Ra, sed diei edd. 38. libro stellarum erraticarum, capitulo 35: tra le proprietà attribuite al sole c’è anche quella di influire sugli eventi atmosferici: cfr. E0, f. 135va Per solem fit decursus aquarum, motus uentorum, fiunt nubes et stillantur nubes. xiii.33-34 40-41. Si autumnus … se habebit: cfr. THORNDIKE III, p. 711: Autumpni serenitas uentosam hyemem facit; cfr. Plin. XVIII, 352 Autumni serenitas uentosam hiemem facit. 42. Vult etiam Plinius: nella sua citazione, per il resto abbastanza fedele

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alla fonte, Domenico attribuisce direttamente a Plinio quello che invece nella Naturalis historia è riportata come opinione di Eudosso: cfr. Plin. nat. II, 130 redire easdem uices quadriennio exacto Eudoxus putat. 35, 1-2. Ventus … uiolentus: cfr. Vgut. deriu. U 14, 1 (…) uentus -ti, quia ueniat, uel uentus quia uiolentus sit et uiolenter ueniat. 2-7. est quippe … transferre: la descrizione della forza dirompente del vento sembrerebbe scaturita direttamente dalla penna di Domenico. Essa cela numerose reminiscenze classiche, frutto delle assidue letture dell’autore: honustas (l. 3) era detto propriamente della nave (cfr. ThLL IX.2, 651), per il nesso annosas quercus (l. 4) cfr. Ou. met. VIII, 743; XIII, 799; Sen. Ag. 95; Oed. 727; Luc. IX, 452; Plin. nat. XVI, 130 uisa enim est annosa quercus euersa tempestatis ui; Sil. III, 688; Stat. Theb. I, 564; lo stesso per celsas turres (l. 5) Hor. carm. II, 10, 10; Ou. met. III, 61, Sil. XIII, 104; Amm. XXIII, 5, 2. xiii.34-36 13-17. Sirtibus … case: la citazione di Lucano è omessa nel codice Pa e sostituita da sed pretereo causa breuitatis: in un successivo momento di revisione del testo Domenico deve aver ritenuto più opportuno sacrificare la citazione precedentemente inserita in nome della brevità. Questa volta il codice Pa testimonia una fase redazionale posteriore con un’omissione, e non con un’aggiunta come nei casi già segnalati ai capitoli XIII.29, 33 e 34. 18-19. Flatus … est: cfr. Vgut. deriu. F 82, 1 Flo -as -aui -atum, idest flatum emittere, unde hic flatus -tus; e 7 Item a flo -as hoc flamen -nis, idest flatus; S 287, 4 Item a spiro hic spiritus -tus, idest flatus; A 17, 6 Item ab aer hec aura -re, quia motus aeris fit aura, leuis enim motus aeris est aura. 20. ut patet capitulo 43: cfr. XIII, 43.15-16. 21. eodem libro capitulo 42: a proposito del turbo cfr. XIII, 42.3-7. 20-21. Turbo … omnia turbet: cfr. Vgut. deriu. T 78, 36 Item a terra hic turbo -nis (…) uolubilitas uentorum, dictus a terra quotiens uentus consurgit et terram in circuitum mittit. 36, 3-6. Sunt subsolanus … affricus auster: questi versi, di cui si ignora l’autore, sono citati da Bartolomeo Anglico (propr. XI, 3 Sunt subsolanus, uulturnus et eurus eoi. / Circius occasu zephyrusque fauonius afflant. / Atque die medio notus haeret et africus austro. / Ac boreas aquilo ueniunt et corus ab alto.), da Alberto Magno (Meteora, III, 1, 23 De his autem sunt uersus: Sunt subsolanus, uulturnus et eurus eoi, id est orientis / Atque die medio notus haeret et africus austro. / Circius occasu zephyrusque fauonius afflant / Adueniunt aquilo boreas et corus ab arcto) e da Coluccio Salutati (De laboribus Herculis, III, 43, 26 Vnde sunt illi uersiculi: Sunt subsolanus, uulturnus et eurus eoi, / deque die medio notus exit et africus auster. / Circius

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occasum zephyrusque, fauonius afflant / Adueniunt aquilo boreas et corus ab archto). Essi compaiono anche in alcuni codici, tutti databili tra il XIV e il XV secolo: Berlin, Staatsbibliothek. Ham. 97, f. 3, e 101, f. 257; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1403, f. 107rb58; Glasgow, University Library, Ferguson 209, f. 52; London, Middle Temple Library, E.C. 4, f. 130v59. I moderni cataloghi identificano i versi come provenienti dal Regimen sanitatis, conosciuto anche come Flos medicinae scholae Salerni, famosa opera composta nell’ambiente della Scuola medica di Salerno ed entrata a far parte del sapere popolare come manuale di igiene e di medicina preventiva. A lungo assegnato al XII secolo, dopo gli studi condotti da Kristeller, il quale ha definito il tentativo di venire a capo della storia di questo testo una nuova “questione omerica”60, si tende a credere che non ci fosse una traccia palese del poema prima della metà del XIII secolo; e che esso all’inizio non avesse forma definitiva ma fosse costituito da un complesso disorganico di sentenze in versi e proverbi della tradizione popolare composti in vari luoghi attraverso parecchi secoli, che gradualmente furono riuniti in un unico corpus. Si pensa che in un primo momento questa stesura fosse indirizzata ai letterati o alle persone colte dell’epoca, ma che ben presto essa si sia diffusa negli ambienti popolari, grazie alla presenza di numerosi aforismi e versi brevi di facile memorizzazione. Dell’opera esistono tre versioni: una abbreviata di 365 versi, che conobbe la maggiore diffusione, e altre due rispettivamente di 2130 e 3520 versi. Il testo nella sua versione ridotta fu commentato da Arnaldo da Villanova (1240-1312)61, che potrebbe essere stato l’ordinatore di versi sciolti di varia provenienza. In questo assetto l’opera fu stampata per la prima volta forse a Lovanio nel 57 Cfr. H. BOESE, Die Lateinischen Handschriften der Sammlung Hamilton zu Berlin, Wiesbaden 1966, pp. 50-51 e 54-55. 58 Cfr. M. BUONOCORE, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (19681980), I, Città del Vaticano 1986, p. 514 (Studi e testi, 318); L. SCHUBA, Die QuadriviumsHandschriften der Codices Palatini Latini in der Vatikanischen Bibliothek, Wiesbaden 1992, pp. 176-178. 59 Cfr. N. R. KER, Medieval manuscripts in the British Library, I, p. 160 (7b); II, p. 895 (2c); Indexes and Addenda, ed. by I. C. CUNNINGHAM and A. G. WATSON, V, Oxford 2002, p. 425. 60 Cfr. P. O. KRISTELLER, Studi sulla Scuola medica salernitana, Napoli 1986, pp. 25-26. 61 Cfr. ARNALDI DE VILLANOVA Opera medica omnia, ediderunt L. GARCÌA-BALLESTER et M. R. MCVAUGH, vol. 10.1, Barcelona 1996; R. VERRIER, Études sur Arnaud de Villeneuve, 1240(?)-1311, in Le breviarum practicae ou Arnaud de Villeneuve et l’Italie. Tome II, L’étudiant de Naples, Leida 1949. Secondo quest’ultimo esisterebbero due famiglie di incunaboli che hanno tramandato il testo breve con il suo commento: l’una proveniente da Lovanio (14741480) che avrebbe facilitato l’assimilazione del Regimen tra le opere di Arnaldo da Villanova, perché conteneva anche il suo Regimen sanitatis ad regem Aragonum (Cfr. GARCIA BALLESTER – MCVAUGH cit., 10.1, Barcelona 1996); l’altra proveniente da Lione (1479-1480) secondo la quale Arnaldo sarebbe stato l’autore del commento.

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1479. Gli eruditi fecero a gara per rintracciare nei codici medievali altre isolate sentenze ritmiche e le introdussero senza discrezione nel testo, che arrivò così alla versione più estesa pubblicata dal De Renzi62. È proprio in questa versione che compaiono i versi sui venti citati da Domenico e prima ancora da Alberto Magno e Coluccio Salutati: Pars prima. Hygiene, cap. 3: Phisici influxus, art. 2, Venti, vv. 39-45: Sunt subsolanus, uulturnus et eurus, eoi: / Circinus occasum, zephyrusque, fauonius afflant : / Atque die medio nothus haeret, africus, auster : / Et ueniunt aquilo, boreas, et chorus ab arcto63. 7-8. Seneca IV De questionibus naturalibus: il V libro delle Naturales quaestiones è numerato come quartus nei codici ZB1VH. 8-13. ab oriente … esse: cfr. Sen. nat. V, 16.4-5 Qui surgit ab oriente aequinoctiali subsolanus apud nos dicitur, Graeci illum ἀφηλιώτην uocant. Ab oriente hiberno eurus exit, quem nostri uocauere uulturnum. (…) Ab oriente solstitiali excitatum καικίαν Graeci appellant, apud nos sine nomine est. Aequinoctialis occidens fauonium mittit, quem zephyrum esse dicent tibi etiam qui Graece nesciunt loqui. A solstitiali occidente corus uenit (…). 13-14. corus … ab occidente: Domenico sottolinea questa incongruenza riguardo al corus tra quanto tramandato dai versi appena citati, secondo cui si tratta di un vento di settentrione, come l’aquilone e borea, rispetto a Seneca e Lucano, secondo i quali esso spira dall’occidente solstiziale. Si veda anche Plin. nat. II, 119 ab occasu solstitiali corus. 62 Cfr. S. DE RENZI, Collectio Salernitana, ossia documenti inediti e trattati di medicina appartenenti alla Scuola Salernitana, raccolti e illustrati da G. Daremberg e S. De Renzi; premessa la storia della Scuola e pubblicati a cura di S. De Renzi, 5 voll., Napoli 1852-1859 (rist. anast. Bologna, 1967). Con questa versione maior l’opera è stata in qualche modo privata della sua natura di testo dietetico, dal momento che il De Renzi ha inserito versi riguardanti temi estranei all’argomento, rintracciati nei margini o nelle carte bianche di diversi codici in cui venivano presentati come versi salernitani, ma la cui provenienza è stata in seguito messa in dubbio, ed ha cercato di organizzarli secondo una progressione logica. 63 Cfr. S. DE RENZI, Collectio Salernitana cit., V, p. 2-3; Regimen sanitatis. Flos medicinae scholae Salerni, traduzione e note di A. SINNO, presentazione di S. VISCO, Milano 1987, p. 1819. Nel commento del Sinno si legge che la Scuola si occupò dei venti non per semplice divagazione scientifica ma perché essi, modificando la temperatura, la secchezza e l’umidità dell’aria, esercitano la loro influenza anche sulla sanità del corpo. Sul Regimen si veda inoltre: S. DE RENZI, Storia documentata della Scuola medica di Salerno, Napoli 1857 (rist. anast. Milano 1967), pp. 266-279; K. SUDHOFF, Zum Regimen Sanitatis Salernitanum, in Archiv für Geschichte der Medizin 7 (1914), pp. 360-362; 8 (1915), pp. 292-293, 395-73; 9 (1916), pp. 221249; 10 (1917), pp. 91-101; 12 (1920), pp. 149-180; Le regole salutari salernitane, a cura di L. FIRPO, Milano 1972; P. CAPONE, L’arte del viver sano: il “Regimen sanitatis salernitanum” e l’età moderna, Milano 2005; M. NICOUD, Il “Regimen sanitatis salernitanum”: premessa ad un’edizione critica, in La Scuola medica salernitana. Gli autori e i testi. Convegno internazionale, Università degli Studi di Salerno, 3-5 novembre 2004, a cura di D. JACQUART e A. PARAVICINI BAGLIANI, Firenze 2007, pp. 365-384.

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17. A hiemali … aquilo est: cfr. Sen. nat. V, 16.5-6 (…) Ab occidente hiberno africus, furibundus et ruens, apud Graecos λίψ dicitur. A septemtrionali latere summus est aquilo. 18-20. quomodo … crediderint: cfr. Veg. mil. IV, 38.5 Veteres autem iuxta positionem cardinum tantum quattuor uentos principales singulis caeli partibus flare credebant, sed experimentum posterioris aetatis XII comprehendit. 21. Homerus: cfr. Od. V, 295-296 σὺν δ᾽ Εὖρός τε Nότος τ᾽ ἕπεσον Ζέφυρός τε δυσαὴς / καὶ Βορέης αἰθρηγενέτης. xiii.36-37 37, 2-3. subsolanus … natus: cfr. Vgut. deriu. S 185 19 (…) hic subsolanus, quidam uentus qui sub sole nascitur; si veda anche Isid. etym. XIII, 11.4 nam Subsolanus uocatus eo quod sub ortu solis nascatur; e Alb. Meteora, III, 1, 23 Subsolanus autem dicitur, ‘eo quod’ ipse ‘nascitur sub sole’, cum oritur in aequinoctiali. 3. Damasceno XXV capitulo sui libri Sententiarum: con il titolo di Liber sententiarum o Sententiae durante il Medioevo spesso si alludeva al De fide orthodoxa di san Giovanni di Damasco (650-ca.749) nella traduzione latina approntata da Burgundione da Pisa intorno al 1148-1150 su sollecitazione di Papa Eugenio III (1145-1153)64. Questa versione alternativa del titolo si deve probabilmente alla stretta connessione che nella tradizione manoscritta l’opera di Giovanni Damasceno ebbe con le Sententiae di Pietro Lombardo, il quale sembra abbia utilizzato, seppure parzialmente, il testo del De fide orthodoxa nella traduzione di Burgundione: infatti i due testi sono stati spesso trascritti insieme, e in molti codici, così come anche negli antichi cataloghi delle biblioteche medievali, il De fide acquistò il titolo di Sententiae Damasceni. In seguito, forse dopo il 1224, la versione di Burgundione fu suddivisa in quattro libri, sempre sulla scia del Liber sententiarum. Intorno al 1235-1240 Roberto Grossatesta produsse una nuova traduzione (Translatio Lincolniensis) che in parte andò a correggere quella di Burgundione e a modificarla attraverso l’aggiunta di nuovi brani tradotti ex nouo dal greco65; la sua versione, tuttavia, fu copiata soltanto fino all’inizio del XIV secolo, mentre quella di Burgundione ebbe notevolmente più successo 64 Cfr. J. DE GHELLINCK, Le mouvement théologique du XIIe siècle, Bruges 1948, pp. 377 e 413-414. La critica non è concorde nel datare a quegli anni la traduzione di Burgundione e c’é stato chi come Buytaert ha proposto di spostare al 1153-1154 la sua data di composizione: si veda IOHANNES DAMASCENUS, De fide orthodoxa. Versions of Burgundio and Cerbanus, ed. by ELIGIUS M. BUYTAERT, St. Bonaventure, N.Y., Paderborn 1955 (Franciscan Institute Publications. Text series, 8), pp. IX-XV. 65 Cfr. J. DE GHELLINCK, L’entrée de Jean de Damas dans le monde littéraire occidental, in Byzantinische Zeitschriften 21 (1912), pp. 448-453; E. HOCEDEZ, La diffusion de la “Translatio Lincolniensis” du “De othodoxa fide” de saint Jean Damascène, in Bulletin d’ancienne littérature et archéologie chrétiennes 3 (1913), pp. 189-198.

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e ancora nel 1500 continuava ad essere trascritta. All’interno della vasta produzione letteraria di san Giovanni Damasceno, che abbraccia molti dei generi tipici della letteratura cristiana antica (dalla teologia alla filosofia, dall’apologetica alla polemica dottrinale, dall’esegesi biblica all’agiografia, all’encomiastica e all’omiletica), il De fide orthodoxa fu una delle opere più note al mondo occidentale ed ebbe una diffusione larghissima, a tal punto che si produssero anche molte raccolte di estratti. Essa si colloca al terzo posto di una trilogia a cui la tradizione occidentale ha dato comunemente il nome di Fons scientiae (Πηγή γνῶσεως) composta tra il 742 e il 749, nella quale l’autore ha trattato in maniera sistematica, e per la prima volta nella tradizione patristica, i principi fondamentali della filosofia e della teologia, dapprima mostrando quanto di positivo c’era nella filosofia greca (Dialectica), poi denunciando le eresie, specialmente del mondo greco e giudaico (Liber de haeresibus), ed infine esponendo la verità della fede. Le citazioni di Domenico provengono dal libro II in cui si tratta della creazione di ciò che è visibile e invisibile, dagli angeli ai cieli con i loro astri, dai quattro elementi costitutivi dei corpi materiali fino alla terra con i suoi venti. In particolare i capp. 6-9 del libro II possono sembrare estranei alla tematica complessiva dell’opera, perché si soffermano su questioni astronomiche e geografiche. Giovanni tratta dei venti in maniera molto generica nel capitolo 8 del libro II, in cui si limita a dire che i venti sono dodici e traggono la loro denominazione dal luogo da cui nasce il movimento dell’aria. Un elenco con i nomi dei venti è presente esclusivamente nell’edizione di Lequien pubblicata dal Migne nella Patrologia Graeca, ma in effetti esso non era presente nella traduzione di Burgundione, né in molti dei manoscritti greci più antichi così come nell’edizione del testo greco del 1531, curata da Donato di Verona66. L’indicazione del capitolo XXV così come compare nel Fons è sicuramente frutto di una corruzione, dal momento che nella tradizione manoscritta greca e in quella latina, precedente alla divisione in 4 libri, il capitolo De aere et uentis è il numero 22. Di conseguenza è possibile ipotizzare non solo che il modello a disposizione di Domenico fosse una copia precedente alla divisione in libri, di cui altrimenti con tutta probabilità l’autore avrebbe tenuto conto, ma anche che esso contenesse quella porzione di testo relativa ai nomi dei venti, forse frutto di una interpolazione al testo originario. 2-4. subsolanus … ab oriente equinoctiali: per Seneca si veda la nota a XIII, 36.7-13; per Giovanni Damasceno si veda PG 94, coll. 901-902 Gentes 66 Questa porzione di testo non è presente neppure nella più recente edizione greca di Kotter: cfr. Die Schriften des Johannes von Damaskos, herausg. von Byzant. Institut der Abtei Scheyern, 2.: Expositio fidei, besorgt von B. KOTTER, Berlin – New York 1973 (Patristische Texte und Studien, 12).

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autem quae in orbis finibus sedes habent, hae sunt. Ad subsolanum, Bactriani. Si veda anche Plin. nat. II, 119 ab oriente aequinoctiali subsolanus; Isid. etym. XIII, 11.2 ab oriente Subsolanus; Alb. Meteora, III, 1, 22 Et ideo secundum Varronem uentus, ‘qui surgit ab oriente aequinoctiali, subsolanus apud nos nominatur’. 5. uulturnus … solsticiali est: cfr. Plin. nat. II, 119 ab oriente brumali uulturnus. 5-6. in Glossario unde Papias decerptus est: con questa perifrasi l’autore è solito indicare le Deriuationes di Uguccione da Pisa67; essa sembrerebbe presa in prestito dal Salutati, il quale — secondo il Novati — scrivendo in glossario,unde Papias sumptus est, si riferiva al Liber grandis glossarum ex dictis diuersorum coadunatus, composto alla fine del VII o all’inizio dell’VIII secolo da un dotto che spesso è stato identificato con il vescovo goto Ansileubo, e che lo stesso Papias68 aveva ampiamente adoperato come fonte69. 6-7. subsolanus … leuo eurum: cfr. Isid. etym. XIII, 11.3 Subsolanus a latere dextro Vulturnum habet, a laeuo Eurum. 8-10. Ex oriente … inplens: i versi sono stati rintracciati nei codici Paris, Bibliothèque nationale, lat. 11125, f. 60 e Erlangen, Universitätsbiliothek I, 396, f. 86v. 11-12. eurus … brumali: cfr. PG 94, coll. 901-902 (…) ad eurum, Indi; Plin. nat. II, 119 ab oriente brumali uulturnus; per Seneca si veda la nota a XIII, 36.7-13. xiii.37 16. Eurus … ueniat: cfr. Isid. etym. XIII, 4 Eurus eo quod ab ἠῶ fluat, id est ab oriente; Vgut. deriu. E 86, 2 et hic eurus -ri, uentus flans ab oriente, quasi ab eo ruens; Alb. Meteora, III, 1, 22 Ab oriente autem hiberno eurus exit. 16-18. Hi quidem … et sicci: Aristot. meteor. II 6, 364b, 23-24 Estuosus autem Auster et Zephirus et Eurus. 18. eodem libro, capitulo 33: cfr. XIII, 33 in cui Domenico parla dei venti in generale. 18-20. calidi quippe … consumitur: cfr. Bart. Ang. propr. XI, 3 (…) sicci autem, quia mare orientale est a nobis ualde remotum, unde antequam uentus orientalis ad nos ueniat, si quid habeat de humore humido, totum calore solis est consumptum. Il De proprietatibus rerum, composto dal francesca67

Cfr. HANKEY 1957, p. 195. L’Elementarium doctrinae rudimentum di Papias, composto verso la fine dell’XI secolo, fu uno dei glossari più noti ed utilizzati durante il Medioevo. Sull’autore e l’opera si veda: PAPIAE Elementarium, littera A, recensuit V. DE ANGELIS, I, Milano 1977, pp. I-LII (in particolare p. VIII, dove Domenico di Bandino è considerato ‘l’autore del primo studio su Papias’). 69 Cfr. NOVATI, III, p. 8, n. 3. 68

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no Bartolomeo Anglico verso la metà del XIII secolo (1240 ca.)70, è insieme allo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais una delle più importanti enciclopedie composte nel corso del Medioevo. L’opera godette di una considerevole importanza, come attestano i numerosi manoscritti (oltre 200) che ci sono giunti, le traduzioni medievali, e le molte edizioni stampate tra il 1472 e il 1609. Una particolarità della sua tradizione consiste nell’esistenza di numerose copie parziali che riproducevano le parti di maggiore interesse per i lettori, soprattutto i libri VII (che contiene un trattato di botanica, zoologia e medicina) XVI (pietre e metalli) e XVIII (vegetali). 21-28. Hi etiam … aerem eius: cfr. Auic. Canon I, (2), 2, 10 Venti isti si in postremo noctis et in principio diei flauerint, uenient ab aere qui iam temperatus est propter solem, et subtiliatus, et huius humiditas iam fuit [imminuta] (minorata) ideoque sunt sicciores et subtiliores, quod si in fine diei et principio noctis flauerint erit res contraria. Orientales tamen uinuersaliter occidentalibus semper existunt meliores. (…) Ciuitas quae ab oriente est aperta ei in oppositione posita, est sana et boni aeris. Sol enim in principio diei super eam eleuatur, et aerem eius clarificat. 28. Require libro De edificiis memoratu dignis, capitulo 2: (E1, f. 169ra): Habitantes in loco detecto ad orientem, sed tecto ad alias mundi partes optime habitant quia super illis statim sol oritur purissimum uentum mouens, cuius radii temperant frigus eius purificantes at subtiliantes aerem, ideoque domus talium debent habere fenestras magnas in diluculo aperiendas. 38, 1. preallegata carmina: cfr. XIII.36, 3-6. 3. uel a circuitione: cfr. Vgut. deriu. C 201, 21 Item a circus hic Circius, -ii, idest uentus qui diuerse et circuitum faciendo circumuolat. 9. ne: per ne con valore di ne … quidem cfr. J. B. HOFFMANN – A. SZANTYR, Lateinische Syntax und Stilistik, München 1972, p. 447: «ist vulgar». 10. eodem libro, capitulo 43: è il capitolo in cui Domenico tratta di quei venti particolari tipici di alcune regioni. 10-12. Zephirus … interpretatur: scrivono diversamente Isidoro e Uguccione: cfr. Isid. etym. XIII, 11.24 Zephyrus Graeco nomine appellatus eo quod foueat fruges ac flores; Vgut. deriu. Z 24 Zephirus grece, latine interpretatur florens, quia flores et germina eius flatu uiuificentur. Alberto Magno, invece, riporta entrambe le spiegazioni etimologiche, cioè quella che fa de70 Cfr. BARTHÉLEMI L’ANGLAIS Le livre des propriétés des choses: une encyclopédie au XIVe siècle, introd., mise en français modern et notes par B. RIBÉMONT, Parigi 1999. Poco si conosce della vita di Bartolomeo: nato in Inghilterra verso il 1190, avviò gli studi a Oxford, ma presto si trasferì in Francia, a Chartres e poi a Parigi. Qui entrò nell’ordine dei Frati minori e verso il 1230 fu mandato a Magdebourg come lettore in un convento minore. Fu qui che diede inizio alla compilazione della sua opera.

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rivare il nome dal latino foueo e l’altra che lo fa derivare dal greco ζωή: Meteora III, 1, 23 Zephyrus autem, ‘Graeco nomine appellatur, eo quod flores et germina eius flatu uiuificatur’: zoa enim est vita et zoe est uiuere. ‘Hic Latine’ aliquando ‘fauonius dicitur’, eo quod ‘foueat’ ea, ‘quae nascuntur’ de terra. 15. Fauonium … mittit: cfr. Sen. nat. V, 16.5 Aequinoctialis occidens fauonium mittit; si veda anche Plin. nat. II, 119 ab occasu aequinoctiali fauonius. 15-16. Fauonium … faciat: cfr. Isid. etym. XIII, 11.8 Hic Latine fauonius dicitur propter quod foueat quae nascuntur. 16-19. Hi occidentales … fecerit: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 10 Venti isti si flauerint in fine noctis et principio diei uenient ab aere in quo sol operatus non fuit. Spissiores igitur et grossiores erunt, quod si in fine diei et noctis principio flauerint, erit res contraria. 39, 1-2. Aquilo … ligans: cfr. Isid. etym. XIII, 11.12 Aquilo dictus eo quod aquas stringat et nubes dissipet; Vgut. deriu. A 306, 7 Item ab aqua hic aquilo -lonis, quasi aquas ligans, quia uentus est serenus et aquas stringit; si veda anche Alb. Meteora, III, 1, 23 Aquilo autem ‘dicitur’, quia ‘aquas’ ligat et ‘stringit et nubes dissipat’. 5. clausit : si conserva clausit della tradizione, ma in Ovidio si legge claudit. 7-8. ut patet liber arborum: a proposito della vite Domenico scrive: (Re, f. 466vb) Timentque uentos preter omnibus procellosus aquilo, prout tamen scripsit Palladius libro I: «Vites sibi obiectas fecundas facit, auster uero nobilitat eas». 8. Boreas … Yperboreis: si veda anche Alb. Meteora, III, 1, 23 ‘Flat’ enim ‘ab hyperboreis montibus’, propter quod etiam dictum est (…) quod flat a montibus altis longe distantibus a nobis; et ideo purus uenit ad nos. 12-13. hac…hac: cfr. Ou. met. VI, 690-99 hac … hac Eav1, sed ui…ui Wv2 et edd., ut … ut FLMPe et … et N hac … et U. 17. mediis: si conserva mediis della tradizione, ma i testimoni del testo di Ovidio tramandano concordemente medius. 22. libro mulierum, capitulo Orithia: (E1, f. 151rb) Orithiam Erithei Athenarum regis filiam Boreas adamauit eamque in coniugem postulauit, sed cum sibi negaretur eam rapuit et in Traciam raptam detulit, cui peperit Zetum atque Calaym, dicente Ouidio in VI libro Methamorphoseos ubi extense hanc narrauit fabulam (cfr. Ou. met. VI, 687-702). Su Oreithyia cfr. LIMC VII.1, pp. 64-68. xiii.37-39 23. procellosus uentus: cfr. Sen. nat. V, 16.5 A solstitiali corus uenit, qui apud quosdam argestes dicitur (mihi non uidetur, quia cori uiolentia uis est

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et in unam partem rapax, argestes fere mollis est et tam euntibus communis quam redeuntibus). 25. rapidus: cfr. Sen. Ag. 484 rapidus A, sed rabidus E et edd. 38-45. salubriores … decoratur: la fonte di questa citazione rimane oscura: infatti queste parole non si trovano in Plinio e l’unica parte della sua opera accostabile al testo del Fons sembra essere nat. II, 126: Ventorum frigidissimi sunt quos a septentrione diximus spirare et uicinus iis corus. Hi et reliquos conpescunt et nubes abigunt. 42. subtiliant: cfr. LEXICON VIII, S 935: subtilio, -are, id est rariorem facere; polire, expolire. 45-48. Septentrionales … sanant: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 10 Septentrionalis corroborat et indurat, et quae manifeste fluunt prohibet, et claudit poros, et digestiuam fortem efficit, et stringit uentrem, et prouocat urinam, et aerem putridum pestilentialem sanat. Cum uero meridionalis septentrionalem praecedit, et sequitur eum septentrionalis, accidit a meridionali fluxus, et a septentrionali expressio interius. 48. Almansorus: lo scienziato persiano Abu Bakr Mohammad Ibn Zakariya al-Râzí, conosciuto anche col nome di al-Râzí, o Rhazes o Rasis in latino (864-930)71, viene qui identificato con il titolo della sua opera, il Liber Almansorius o Liber ad Regem Mansorem72, come già si è visto nel caso di Giovanni di Salisbury (Policratus, nota a XIII.29, 15). Al-Râzí fu per molti anni a capo dell’ospedale di Bagdad ed è considerato uno dei più grandi medici del mondo arabo: gli si riconosce il merito di aver fornito la prima descrizione nota del vaiolo, di aver scoperto l’asma allergica e di aver capito che la febbre è un meccanismo di difesa naturale del corpo. I suoi studi, tuttavia, non si sono limitati all’ambito medico, ma hanno abbracciato anche l’alchimia, la filosofia e la metafisica. Il Liber Almansoris (Kitab-ulMansuri), composto da 10 trattati, raccoglie tutte la sapienza islamica e greca in materia medica ed è dedicato al mecenate Mansur ibn Ishaq alSamani. L’opera fu tradotta da Gerardo da Cremona nel XII secolo ed ebbe larga diffusione nelle principali università d’Europa. Se ne conserva un volgarizzamento nei codice Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, plut. 73.43 e Antinori 150, che contengono rispettivamente i libri I-III e IV-VIII. 71

Cfr. L. LECLERC, Histoire de la medicine arabe, I, Paris 1876, pp. 337-354; G. S. A. RANKThe Life and Works of Rhazes, in Proceedings of the Seventeenth International Congress of Medicine, London, 1913, pp. 237-268; E. G. BROWNE, Arabian Medicine, Cambridge 1921, pp. 44-53; J. RUSKA, Al-Biruni als Quelle fur das Leben und die Schriften al-Razi’s, in Isis 5 (1924), pp. 26-50. 72 Nell’incipit dell’opera, nell’edizione di Venezia del 1508 (per Iacobum Pentium de Leucho), si legge: Albubetri Arazi filii Zazharie liber incipit, qui ab eo Almansor uocatus est eo quod regis mansoris Isaac filii precepto editus est. ING,

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48-49. Tussim … pulmone: cfr. Liber Rasis, tractatus III, cap. 25 Ventus a polo ueniens septentrionali, a parte uidelicet minoris urse ac maioris, frigidus est et siccus, qui corpora efficiens dura reddit robusta, sensus quandoque atque caput leuia facit. Ipse etiam omnibus uentis melior existens putrefactionem plus remouet, tussim tamen facit, egritudines quandoque que in pulmone et gutture fiunt, necnon reumatismum siue corizam [i.e. prefocatio narium, cfr. LEXICON II, C 1203] adducit. Ventrem insuper stringit, sed urinam prouocat. 50. libro populorum, capitulo Mirmidones: in generale, a proposito dell’aria si legge: (E1, f. 223va) Euenire propter triplicem rationem: prima est quia aer subtilior terra et aliqua facilius et frequentius alteratur. Secunda est quod aer continuo uos circundans actractus, per anhelitum serptus per poros et arterias, longe plusquam terra uel aqua alteratur. Tertia est quia non nisi mediante aere alteratur terra et aqua. Più oltre (E1, f. 223vb) aggiunge: Medici autem ponunt magis particulares causas. dicentes quod pestilenciali tempore uitentur domicilia multi aeris, quia citius suscipiunt nocumenta et quod domus et urbes exposite meridionalibus uentis et calide et humide plus et citius leduntur quam contrarie. xiii.39-40 51-52. Post … meridionales: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 10 (…) Orientales tamen uniuersaliter occidentalibus semper existunt meliores. 40, 3-4. dicunt … aquas: cfr. Isid. etym. XIII, 11.6 Auster ab auriendo aquas uocatus; Vgut. deriu. H 9, 4 (…) et hic auster -stri, uentus perflans a meridie, dictus est sic ab hauriendo aquas, quia uentus est piouosus. 4. premissis … distinctus est: per gli antichi Noto ed Austro erano due nomi, l’uno greco e l’altro latino, utilizzati per indicare lo stesso vento: invece, tenendo fede ai versi citati nel capitolo 36.3-6, in cui sembra si parli di due venti fra loro distinti, Domenico li tratta separatamente, seppur all’interno dello stesso capitolo, finendo con il riproporre sostanzialmente le medesime notizie, come nel caso dell’etimologia del nome (cfr. ll. 3-4 e15). 5-9. Quidquid … uenit: il riferimento a Beda (l. 6) è inesatto: infatti a proposito del Nothus egli scrive nel de natura rerum, cap. XXVI tertius cardinalis Auster, qui et Nothus, humidus, calidus, atque fulmineus. Si veda tuttavia il testo di Bartolomeo Anglico propr. XI, 3: (…) Ventus itaque australis oritur in zona, iuxta polum antarcticum, quae prae nimia eius frigiditate est inhabitabilis, unde naturaliter est frigidus et siccus, quantum est de suo ortu, sicut et septentrio, qui flat in axe opposito. Sed dum transit per torridam zonam, ibi calorem assumit, et quia uersus medie uenit, ubi est maior aquarum copia, et loca uapore et rore plena humiditatem contrahit. Vnde et apud nos calidus et humidus inuenitur (…). 6-9. dum … uenit: si veda oltre, XIII, 40.24-28.

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15. Auster: cfr. la nota a XIII.40, 3-4. 17-18. ut dixi … libro arborum: cfr. nota a XIII.39, 7-8. 18-19. Densat … humore: vd. Bart. Ang. propr. XI, 3 (…) densum facit aerem atque spissum, et nebulas nutrit, suo calores poros aperit et sua humiditate pluuias multiplicat et adducit. 23. pluuioque: cfr. Ou. met. I, 66 pluuioque A, sed pluuiaque Gilbert et edd. 24-31. Ventus … peruenire: cfr. Macr. somn. II, 5, 20-21 sciendum est autem quod uentus qui per hunc ad nos cardinem peruenit, id est auster, ita in origine sua gelidus est ut apud nos commendabilis est blando rigore septentrio, sed quia per flammam torridae zonae ad nos commeat, admixtus igni calescit et qui incipit frigidus, calidus peruenit. Neque enim uel ratio uel natura pateretur ut ex duobus aequo pressis rigore cardinibus dissimili tactu flatus emitterentur. Nec dubium est nostrum quoque septentrionem ad illos qui australi adiacent propter eandem rationem calidum peruenire, et austrum corporibus eorum genuino aurae suae rigore blandiri. Si veda anche la nota a XIII.34, 20-23. 32-34. Auster … largissimos imbres: cfr. Aristot. meteor. II 3, 358b, 2-6 Similiter autem et auster serenus hiis qui circa Libiam. Multum igitur in deorsum lata aqua confert quod tale, et autumpno late aque: necesse enim grauissima prima deferri. 37. inferius: cfr. Plin. nat. II, 128 inferius aTfopy, sed inferus edd. maris: cfr. Plin. nat. II, 128 maris dop vaS, sed mari edd. 40. in Glossario … est: vedi nota a XIII.37, 5-6. 41-43. Africus … dictus est: cfr. Vgut. deriu. A 94 Affrica (…) unde affricus (…) affricum uentum; Isid. etym. XIII, 11.9 Africus a propria regione uocatus; in Africa enim initium flandi sumit; Alb. Meteora, III, 1, 23 Africus autem dicitur, eo quod frequenter in Africa initium accipit flandi. 45-48. Aperiunt … putridas: cfr. Auic. Canon I (2), 2, 10 Meridionalis laxat fortitudinem, et aperit poros, et [turbat] (agitat) humores, et mouet eos ad exteriora ab interioribus, et in sensibus efficit grauitatem. Et ipse est ex eis que [exituras] (ulcera) corrumpunt, et aegritudinem efficit recidiuationem, et debilitat, et super [exituram] (ulceram) et podagram efficit pruritum, et commouet [epilensiam] (sodam) et affert somnum, et facit febres putridas, sed non exasperat guttur. 47. epylensiam: cfr. LEXICON III, E 229: epilepsia, ae (uel emphylentia; empylentia, epilencia, epilentia, epylentia), id est morbus caducus. STOTZ, IV 25.6 (I, p. 580). 48-50. Venti … fine ueris: cfr. Liber Rasis, tractatus III, cap. 25 Ventus autem a polo ueniens meridiano a parte suhel [sic] corpora dissoluit, sensus turbat atque dolorem capitis et oculorum egritudinem facit. Epilepsiam

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quandoque ante consueta tempora accelerare facit, febres itidem parit propter suam putredinem, gutturi tamen et pectori et pulmoni exasperationem non attribuit. Est etiam plus omnibus uentis egritudinem inferre paratus, et quandoque maxime si in estate flauerit uel in fine ueris. 41, 2. sepius confunduntur: in questo capitoletto Domenico ripropone al lettore, sintetizzandole, le questioni in parte già affrontate nei capitoli precedenti, riguardanti il nome con cui il medesimo vento è conosciuto ora nell’ambiente grecofono, ora in quello latino. 3. eurus … uenti: non solo in Seneca (nat. V, 16.4 Ab oriente hiberno eurus exit, quem nostri uocauere uolturnum), ma anche in Plinio è rintracciabile la stessa notizia: cfr. Plin. nat. II, 119 ab oriente brumali uulturnus. (…), hunc Graeci eurum appellant. 4-5. fauonium … sit Latine: cfr. XIII, 38.10-12, dove Domenico ha già riportato la testimonianza di Lattanzio Placido; Seneca scrive del fauonius: nat. V, 16.5 Aequinoctialis occidens fauonium mittit, quem zephyrum esse dicent tibi etiam qui Graece nesciunt loqui. 6-7. corum … caurum nominat: la diatriba tra corus e caurum è stata già affrontata in XIII, 39.22-33. 9-10. Libs … scribit Seneca: cfr. Sen. nat. V, 16.5 Ab occidente hiberno africus, furibundus et ruens, apud Graecos λίψ dicitur. Si veda anche Plin. nat. II, 119 A meridie auster et ab occasu brumali Africus, notum et Liba nominant; Gell. II, 22.12 tertius ‘africus’, qui Graece λίψ; e Beda, nat. XXVII qui et Libs, tempestuosus, tonitrua generans et fulmina. 10. septentrio: questo vento è nominato da Seneca (nat. V, 16.6 A septemtrionali latere summus est aquilo, medius septemtrio) e da Alberto Magno (Meteora, III, 1, 23 (…) tamen duo tantum dicuntur esse cardinales uenti, scilicet septemtrio et meridies, ubi maior est exsufflatio uentorum, et quia certis annis temporibus frequenter flant). Si veda anche Plin. nat. II, 119 A septentrionibus septentrio; Isid. etym. XIII, 11.4 porro Septentrio a dextris Circium, a sinistris aquilonem; Vgut. deriu. T 12 et uentus cardinalis flans ab illa parte similiter dicitur septentrio. Di septentrionarius invece parla Gellio (II, 22.15 Septentriones autem habent ob eandem causam unum. Is obiectus derectusque in austrum, Latine ‘septentrionarius’, Graece ἀπαρκτίας appellatus). xiii.40-41 15. euronotum et libonotum: Domenico attribuisce a Seneca la notizia dell’esistenza di due venti altrimenti non nominati nei versi trascritti nel capitolo XIII.36, cioè l’euronoto ed il libonoto: si noti, tuttavia, che se da una parte l’εὐρόνοτος è effettivamente menzionato in nat. V, 16.6, dall’altra Seneca non parla del λιβόνοτος, bensì del λευκόνοτος (cfr. RE XII 2, 22846). Il noto libico è in effetti anch’esso un vento meridionale, precisamente

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un vento che spira da sud-ovest, e di questo parla Plinio in nat. II, 120 item inter Liba et notum conpositum ex utroque medium inter meridiem et hibernum occidentem Libonotum. È probabile che in questo caso Domenico abbia fatto confusione mescolando le due fonti ed abbia attribuito soltanto a Seneca quello che invece doveva aver letto in Plinio. Sul libonoto si veda anche Veget. mil. IV, 38.9: (…) huic a dextra iungitur leuconotus, hoc est albus notus, a sinistra libonotus, id est corus. 42, 1-2. Flant quidam … impetus: cfr. Sen. nat. V, 17.5 Quidam sunt quorundam locorum proprii, qui non transmittunt sed in proximum ferunt; non est illis a latere uniuersi mundi impetus (…). La particolarità di “non ricevere impulso da una delle estremità del mondo” è assegnata da Seneca ai venti caratteristici di alcune regioni, come l’atabulo in Apulia, lo iapige in Calabria, lo scirone ad Atene, il crageo nella Panfilia e il circio nella Gallia, per i quali si veda XIII.43, 3-7. 3-4. turbo … terrestria: nel descrivere le caratteristiche del turbine Domenico contamina più luoghi delle Naturales quaestiones, mescolandoli ai Meteora, da cui trae la notizia che questo vento soffiando in estate sui campi è in grado di sollevare paglia, polvere, terra e altri corpuscoli creando un vortice: cfr. Alb. Meteora III, 3, 16 Per omnem eundem modum sub maiori tamen uiolentia egreditur de nube uentus turbinis. Et iste uentus est, qui frequentius uidetur in aestate in campis tollens involuendo paleas et terram et puluerem et alia quaedam corpora terrestria. (…) Et ideo per modum circuli rotundantur et inuoluendo se indice ascendunt in altum et trahunt secum puluerem et corpora minuta, quae sunt filaria sicut lini stipula et stuppa. 5. quod: cfr. nota a XII.2, 29. 5- 6. arbusta … solum: cfr. Sen. nat. VII, 5.1 (…) Turbo enim circa terras concipitur ac fertur, ideoque arbusta radicitus uellit et quacumque incubuit solum nudat. 6-7. armamenta … tollat: cfr. Sen. nat. V, 13.3 (…) Haec fere omnia pericula uenti erupti nubibus produnt, quibus armamenta rapiantur et totae naues in sublime tollantur. Un particolare tipo di turbine, chiamato dai Greci πρηστήρ, costituiva un pericolo per le navi, come ricorda anche Lucrezio (VI 430). 7-11. diu … breuitas: cfr. Sen. nat. VII, 9.2-3 (…) Haec diu non potest esse: nam cum uagus et incertus spiritus conuolutatus est, nouissime uni uis omnium cedit; nulla autem tempestas magna perdurat (procellae quanto plus habent uirium tanto minus temporis; uenti cum ad summum uenerunt, remittuntur; omnia uiolentia necesse est ipsa concitatione in exitum sui tendant). Nemo itaque turbinem toto die uidit, ne hora quidem: mira uelocitas eius et mira breuitas est.

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11-27. Sed … tempestatem: l’aver accennato alle tempeste, violente ma comunque di breve durata, così come succede con il turbine, fornisce a Domenico lo spunto per una breve digressione su quelli che sono i segni che preannunciano l’imminenza di una tempesta. Oltre alla citazione delle Georgiche di Virgilio e di Alchardianus, il testo contiene molti riferimenti al libro De ornatu aeris. 19. libro stellarum erraticarum: i capitoli del libro De stellis erraticis indicati sono quelli in cui Domenico parla rispettivamente del sole (E0, f. 108va-109vb), elencando numerosi pronostici di vento o pioggia legati al suo movimento, all’orientamento dei raggi, alle sue diverse sfumature di colore (E0, f. 108va Nunc de signis solaribus pronosticantibus aereas qualitater censeo prosequendum), e della luna. 21-24. Grues … tempestatem: cfr. THORNDIKE III, p.714: Cetereque aquatice aues concursantes graues in mediterraneo mergite ue [sic!] maria aut stagna fugientes grues per silentia sublime uolantes, serenitatem sicut noctua in ymbre garrula aut sereno, tempestatem; cfr. Plin. nat. XVIII, 362 Ceteraeque aquaticae aues concursantes, grues in mediterranea festinantes, mergi, gauiae maria aut stagna fugientes. Grues silentio per sublime uolantes serenitatem, sicut noctua in imbre garrula — at sereno, tempestatem (…). 22-23. libro de ornamentis aeris, capitulo Grues: insieme ad altre previsioni legate all’osservazione del volo delle gru (Serenitatem autem (…) significant quando uolant silenter, tempestates autem quando fugiunt maria uel stagna: si veda la nota precedente) si ritrova la medesima citazione di Alchardianus: (E0, f. 158va) Et Alchardianus: «Si mane uolauerint grues coadunate remanserint sue uolantes garriendoque redeant significat tempestatem». capitulo Noctua: (E0, f. 160rb) Vt scribit Plinius XVIII Historiae naturalis noctua in ymbre aut sereno garula indicat tempestatem, uel pluuiam si retinerit postquam sol occiderit (si veda la nota precedente). Idem confirmat Seruius super primo Georgicon ubi Maro dixerat: «Solis et occasio seruans de culmine summo nequitquam seros exercet noctua cantus» (cfr. Seru. ad ge. I, 403). Alchardianus: «Si notetur — inquit — noctua in tempestate serenitatem significat, sed si nocte serena cantet sepius tempestatem». capitulo Coruus: (E0, f. 156ra) Et Alchardianus libro de presagiis: «Multe — inquit — coruorum uoces indicant tempestatem». capitulo Cornix: (E0, f. 156rb) Alchardianus libro de presagiis: «Bis et tercio uelociter crocitabit indicat tempestatem»; et subdit: «Sunt que tempestuose quando ab austro uolant; si cornix mane clamauerit, confestim serenitatem indicat ut in uesperis uocitant tempestatem». xiii.41-42 24-25. libro quadrupedum, capitulo Ouis: cfr. E1, f. 313vb: Nunc ad presagia scripsit Alchardianus libro de presagiis: «Si oues aut boues pedibus

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terram fodiunt congregatique iacent ad inuicem tenentes capita hiemem tempestuosam significant». 25. capitulo Asinus: cfr. E1, f. 305rb: Nunc ad presagia scripsit Alchardianus libro de presagiis: «Si asinus plus quam solito aures quatiet indicat tempestatem». capitulo Bos: cfr. E1, f. 305vb Alchardianus libro de presagiis: «Bos — inquit — in sinistro iacens latere serenitatem indicat, a dextero tempestatem». capitulo Canis: cfr. E1, f. 306rb-307rb: nel lungo capitolo dedicato al cane in realtà Domenico non parla dei presagi legati all’interpretazione del comportamento di questo animale, come fa per altri. 27. libro de piscibus, capitulo Delphines: cfr. Re, f. 226vb: (…) Saltus quorum, teste Solino et Plinio VIII [sic] Historiae naturalis, futuram fluctibus indicant tempestatem (cfr. Sol. 12, 3-11; Plin. nat. XVIII, 361). 29-34. uentus … decidant: cfr. Alb. Meteora III, 3, 16 (…) Cum ergo e nubibus egredientes duae fuerint exsufflationes oppositae conuenientes in loco, ubi terram percutiunt, illae duae exsufflationes faciunt uentum turbinis, eo quod utraque aliam impellit et impellitur ab ea. (…) Est autem diligenter attendendum quod secundum omnium Peripateticorum sententiam traditur iste uentus ut multum fieri in aestate, quando est tempus tonitrui. Et ideo etiam signat tonitrua post futura infra paucos dies. Et si fortis est turbo, forte non precedi tonitrua nisi hora una uel duabus uel in parte unius horae. Et si fit in hieme, fit tempore niuis et non uehemens. 43, 3. azabulus: si tratta in realtà dell’atabulus, vento caldo dell’Apulia (forse l’odierno altino), ricordato, oltre che da Seneca, anche da Hor. serm. I, 5.78; Plin. nat. XVII, 232 e Gell. II, 22. 4. iapix: vento di nord-ovest (cfr. Verg. Aen. VIII, 709-10; Hor. carm. I, 3.4; III, 27.20). libro uirorum, capitulo Iapix: (E2, f. 207ra) Iapix rex Calabrie et Apulie Dedali fuit filius, a quo Calabria et Apulia Iapigea dicta est et uentus quidam qui, teste Seruio super VIII libro, optime ad orientem ducit (require libro de impressionibus aeris, cap. 42). sciras: lo sciron di cui parla Seneca è un vento di nord-ovest, che prendeva nome dagli Scironia saxa fra Megara e Corinto (cfr. RE III A 1, 544-5). 5. cagneus: il crageus è un vento non altrimenti noto, la cui origine sembra da collegare con il mons Cragus in Licia (Strabone, XIV, 3, 5, 665; Mela, I 82; Plin. nat. V, 100). circius: cfr. XIII.38, 1-9. 9. flare: cfr. Plin. nat. II, 127 flare d2pz, sed fere edd. oriuntur tertia hora diei: cfr. Plin. nat. II, 127 oriuntur hora d2a, tertia diei oriuntur edd., hora oriuntur E2pva.

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11-12. estiuis mensibus … mollientes: cfr. Cic. nat. deor. II, 131 quorum (sc. etesiarum) flatu nimii temperantur calores. 12-13. libro uirorum, capitulo Icharus: non si tratta del figlio di Dedalo, famoso protagonista della tragica fuga dal labirinto del Minotauro, ma del padre di Penelope, moglie di Ulisse, figlio del re Oibalos (o Perieres)73: (E2, f. 209rb) (…) Restat nunc placare Icharum quem exoriens canicula uindicabat uastando eorum loca et orbando fructibus agros et homines suis estibus morbo efficiendo. Pro quo consultus respondit Apollo mortem Ichari multis hostiis expiari et a Ioue petere ut quo tempore Canis oriretur diebus 40 uentum daret qui obsisterent feruenti Cani. Sic ergo impetratum est ut ethesie illis temporibus flarent (Require libro impressionum, capitulo 42 [recte uero 43]). 15-16. ut aura … capitulo 35: cfr. XIII.35, 19-20. 16-17. Altanus … denominatur: si veda anche Isid. etym. XIII, 11.18 Altanus, qui in pelago est, per deriuationem ab alto, id est mari, uocatus. 18. Procella … euellat: cfr. Vgut. deriu. C 128, 8 (…) unde hec procella -le, et est procella subita uis uentorum cum pluuiis quia procellat, idest percutiat; Isid. etym. XIII, 11.22 Procella ab eo quod percellat, id est percutiat et euellat. 44, 2. quidam: cfr. Plin. nat. II, 115 quidam ll.u., sed quidem pyH. et edd. quidaem i. Dalmatie: cfr. Plin. nat. II, 115 Dalmatiae E2aopv, sed Dalmatia E1d2y et edd., Delmatia F2R1dTS. Delmatiae r. 3. ora: cfr. Plin. nat. II, 115 ora E2op va S(D), sed ore Plinii edd. iusto: cfr. Plin. nat. II, 115 iusto op, sed uasto F2E2dT v et edd., uosto 2 R uisto r. 5. ex Nursino lacu: potrebbe trattarsi del cosiddetto “Lago di Pilato”, un piccolo lago di origine glaciale che si trova in prossimità della cima del Monte Vettore, la vetta più alta della catena dei Monti Sibillini, al confine tra Marche e Umbria, così chiamato perché secondo una leggenda popolare vi fu gettato il corpo di Ponzio Pilato. Secondo un’altra suggestiva credenza esso poteva essere identificato con il lago Averno, porta di accesso agli Inferi: per questo a partire dal XIII secolo fu meta per negromanti e stregoni, che si recavano sul posto per consacrare i loro libri. xiii.42-45 45, 1-19. Sunt flaminum … facit: le Naturales quaestiones furono apprezzate da Domenico non solo nelle parti propriamente scientifiche, ma anche in quei luoghi in cui Seneca ritaglia uno spazio privilegiato per le 73

Cfr. LIMC, vol. V.1, p. 647.

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sue riflessioni filosofiche e morali: l’intero capitolo, con la sua una lunga riflessione sui benefici dei venti e sull’uso distorto che l’uomo ne ha fatto da sempre, a tal punto da renderlo uno dei doni più dannosi che Dio ha concesso all’umanità, è un riassunto di nat. V.18, anche se Domenico vorrebbe farla passare come frutto della sua penna, non segnalando la vera paternità di queste osservazioni (cfr. nota a XIII. 10, 6-14 e Introduzione, p. 28). Per esigenza di brevità il lungo discorso di Seneca viene sunteggiato e viene omessa tutta la parte centrale in cui il filosofo spende molte parole per descrivere l’insensatezza dell’uomo, che è pronto a solcare i mari e ad affrontare le grandi insidie che esso nasconde per andare incontro alla guerra e alla morte, adducendo gli illustri esempi di Serse, Alessandro Magno e Crasso, e concludendo paradossalmente che se il vento non esistesse sarebbe provvidenzialmente posto un limite alla frenesia umana (cfr. nat. V, 18.9-12). 1-8. Sunt flaminum … hominum furor!: cfr. Sen. nat. V, 18.1 (…) non enim ex una causa uentos aut inuenit aut per diuersa disposuit, sed primum ut aera non sinerent pigrescere, sed assidua uexatione utilem redderent uitalemque tracturis, deinde ut imbres terris sumministrarent, idemque nimios compescerent. [2] Nam modo adducunt nubes, modo deducunt, ut per totum orbem pluuiae diuidi possint (…). [3] Quid quod fruges percipi non possent nisi flatu superuacua et mixta seruandis uentilarentur, nisi esset quod segetem excitaret et latentem frugem ruptis uelamentis suis, quae folliculos agricolae uocant, adaperiret? [4] Quid quod omnibus inter se populis commercium dedit et gentes dissipatas locis miscuit? Ingens naturae beneficium, si illud in iniuriam suam non uertat hominum furor! 4. possint: cfr. Sen. nat. V, 18.2 possint ZL2δ et edd., possent θπ. nec possent… percipi: cfr. Sen. nat. V, 18.3 percipi non possent Zθπ et edd., inciperentur AV exciperentur B. 8-11. Voluit enim … suscepturi: cfr. Sen. nat. V, 18.5 (…) deus aera uentis exercendum dedit et illos ab omni parte, ne quid esset situ squalidum, effudit, ut nos classes partem freti occupaturas compleremus milite armato et hostem in mari aut post mare quaereremus. [6] Quae nos dementia exagitat et in mutuum componit exitium? Vela uentis damus bellum petituri et periclitamur (…). 10-11. uos … detis: si noti il cambio di prospettiva nella sostituzione di nos (cfr. nat. V, 18.5-6 nos classem…nos dementia…damus bellum) con uos, come se Domenico prendesse le distanze dal quadro guerresco di battaglie descritto da Seneca, che evidentemente non lo tocca più. 11-14. in lictore … et inuadit?: cfr. Sen. nat. V, 18.7 (…) Bellum scilicet et obuius in litore hostis et trucidandae gentes (…). [8] (…) Quid maria inquie-

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COMMENTO XIII.45-46

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tamus? Parum uidelicet ad mortes nostras terra late patet! (…) [9] Miseri, quid quaeritis mortem, quae ubique superest? 14-19. Nec tamen … facit: cfr. Sen. nat. V, 18.13 Non tamen, ut paulo ante dicebam, queri possumus de auctore nostri deo, si beneficia eius corrupimus et ut essent contraria effecimus. Dedit ille uentos ad custodiendam caeli terrarumque temperiem, (…) ad alendos satorum atque arborum fructus (…). [14] (…) Dedit uentos ut commoda cuiusque regionis fierent communia, non ut legiones equitemque gestarent nec ut perniciosa gentium arma transueherent. [15] (…) Sic uentos quoque natura bono futuros inuenerat; ipsi illos contrarios fecimus. 14. corrumpimus: la lezione è tramandata concordemente da tutta la tradizione senecana, ma gli editori accolgono la congettura di Haase che proponeva corrupimus (cfr. Sen. nat. V, 18.13). 17. satorum atque arborum: cfr. Sen. nat. V, 18.13 satorum atque arborum Zθπ et edd., segetum arborumque δ. 18. gentium: cfr. Sen. nat. V, 18.14 gentium ZθρUW1 et edd. ciuium δ. 19. bonos: cfr. Sen. nat. V, 18.14 bonos δυ, sed bono Zθρ et edd. 20. libro populorum, capitulo Mirmidones: nella lunga digressione dedicata alle epidemie che il capitolo sui Mirmidoni contiene, anche il vento è considerato una possibile causa del loro scatenarsi e gli viene attribuito il potere di contaminare l’aria a seconda del luogo da cui spira: (E1, f. 224ra) Potest etiam uentus flare ab inquinatissimis locis ueniens, a cuius corrupione aer purissimus fit malignus. Mentre Seneca definisce il vento “buono per natura”, Domenico, considerandolo da un punto di vista più strettamente medico, ammette che esso possa essere anche malignus. 46, 2. stelle … uentos: cfr. nota a XIII, 7. 34-36. xiii.45-46 2-3. libro stellarum fixarum, capitulo 26: Domenico ripete sostanzialmente la stessa informazione, citando Alchardianus: cfr. E0, f. 97va (…) [cometa] signat uentos aut magnitudine aut multitudine. Ideo dixit Alchardianus libro De presagiis «stelle comete frequenter uentos significant». 3-4. si mare … uenti: cfr. THORNDIKE III, p. 713 Mare si tranquillum in portu gurgitabit murmurabitue intra se, uentum predicit. Si id hyemem et ymbrem littora rippeque resonabunt tranquillo, asperam hyemem. (…) Sepe et silentio intumescit inflatumque altius solito iam intra se esse uentos fatetur; cfr. Plin. nat. XVIII, 359 Mare si tranquillum in portu cursitabit murmurabitue intra se, uentum praedicet; si id hieme, et imbrem; litora ripaeque si resonabunt tranquillo, asperam tempestatem. (…) Saepe et silentio intumescit inflatumque altius solito iam intra se esse uentos fatetur. 5-6. libro quadrupedum, capitulo Ericius: (E1, f. 310va) Idemque preuidens de futuris cubile suum facit in saxis cum foramine duplici ad oriens et

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ad occasum et ea parte significat futurum uentum qua foramen clauserit. Et si obturaret utraque magnitudinem uenti monstrat. 6. capitulo halo: anche dall’osservazione degli aloni e della loro posizione era possibile ricavare previsioni riguardanti i venti (si veda in particolare XIII, 62.2 e sgg.). 7-9. Tonitrua … imbrem: cfr. THORNDIKE III, p. 711-12 Cum estate uehementius tonuit quam fulsit, solitos uentos ex ea parte denuntiat. Econtra, si minus tonuit, imbrem. (…) Tonitrua matutina uentum significant; ymbrem meridiana; cfr. Plin. nat. XVIII, 354 Cum aestate uehementius tonuit quam fulsit, uentos ex ea parte denuntiat, contra si minus tonuit, imbrem. (…) Tonitrua matutina uentum significant, imbrem meridiana. 9-10. libri presentis, capitulo 56: cfr. XIII, 56.10-12 per le altre previsioni di Alchardianus legate ai tuoni. 47, 1-8. Queramus … erigit: cfr. Sen. nat. VI, 4.1: Quaeramus ergo quid sit quod terram ab infimo moueat, quod tanti molem ponderis pellat; (…) cur modo tremat, modo laxata subsidat, nunc in partes diuisa discedat et alias interuallum ruinae suae diu seruet, alias cito comprimat; (…) aperiat aliquando aquarum calentium uenas, aliquando refrigeret, ignesque nonnumquam per aliquod ignotum antea montis aut rupis foramen emittat (…). Mille miracula mouet faciemque mutat locis et defert montes, subrigit plana, ualles extuberat, nouas in profundo insulas erigit. Sulla “fagocitazione” delle fonti cfr. nota a XIII. 10, 6-14 e Introduzione, p. 28. 5-6. quandoque … emittat: cfr. Sen. nat. VI, 4.1 ignesque nonnumquam per aliquod ignotum antea montis aut rupis foramen emittat, dove Seneca non parla dello scaturire di nuove fonti e fiumi in seguito al terremoto, ma di eruzioni vulcaniche. La notizia potrebbe essere desunta da un altro luogo dell’opera, ad esempio nat. VI, 25.2, dove Seneca ricorda la nascita del fiume Peneo (in seguito al terremoto che divise l’Ossa e l’Olimpo) e del Ladone, affluente destro dell’Alfeo. xiii.46-48 48, 1-2. Videamus … eueniant: cfr. Sen. nat. VI, 4.2. (…) Inspiciamus ergo quid sit propter quod haec accidant. 3-4. parum exacte … incipit: la riflessione sulla imprecisione e grossolanità delle teorie degli antichi sul terremoto viene da Seneca: nat. VI, 5.2: (…) opiniones ueteres parum exactas esse et rudes. (…) nulla res consummata est dum incipit. Il Cordovano, tuttavia, non si è limitato ad esprimere un parere negativo sulla scienza antica, ma ha anche espresso ammirazione per gli sforzi di quei pionieri dell’indagine scientifica che pur arrivando a risultati parziali, a cui il progresso delle epoche successive avrebbe portato rimedio, seppero rerum naturae latebras dimouere.

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COMMENTO XIII.46-48

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4-7. In aqua … nauigii: cfr. Sen. nat. VI, 6.1 In aqua causam esse nec ab uno dictum est nec uno modo. Thales Milesius totam terram subiecto iudicat umore portari et innari (…) uelut aliquod grande nauigium. 5. Scribit Phylosophus II Metheororum: alla dottrina di Talete Aristotele non accenna nei Μετεωρολογικά, ma in Cael. II 13, 294a, 28 sgg.74: qui il paragone è tra la terra e “un pezzo di legno o qualcos’altro di simile” (ὥσπερ ξύλον ἥ τι τοιῦοτον ἕτερον). Seneca è il solo a proporre la similitudine della nave portata dal mare, che è ripresa anche da Alberto Magno: Meteora, III, 2, 4 In idem fertur opinio ‘Thalis Milesii’, qui dixit ‘totam terram’ esse ‘subiectam’ humore et totum ‘Oceanum’ esse sub terra et superiorem terram esse, quam sit, ‘aqua’, et ideo ‘portari’ terram ab aqua sicut quoddam ‘magnum nauigium’. 7-8. Inepta hec … Alberto: l’infondatezza della teoria di Talete è dimostrata da Seneca (cfr. Sen. nat. VI, 6.2-4), non da Aristotele; il ragionamento del Cordovano viene ripreso anche da Alberto Magno in Meteora, III, 2, 5. 9-15. Anaximenes … afferant: cfr. Aristot. meteor. II 7, 365b, 6-11 Anaximenes autem ait plutam terram et exsiccatam rumpi, et ab hiis ruptis frustis incidentibus concuti; propter quod et fieri terremotus in siccitatibus et iterum in pluuiosis. In siccitatibus enim, sicut dictum est, exsiccatam rumpi, et ab aquis superhumectatam decidere; Alb. Meteora, III, 2, 2 Anaximenes ignem ponit esse causam terraemotuus, sed differt ab omnibus predictis; dicit enim naturalem esse calorem terrae et terram habere calorem naturalem, quo uiuificat eam, quae nascuntur ex ipsa. A dispetto da quanto dichiarato da Domenico (l. 9. eisdem phylosophis referentibus), è soltanto Seneca a porre l’accento su una causa che invece è ignota ad Aristotele, cioè la senectus della terra, e che, invece, è ripresa da Alberto Magno subito dopo la teoria aristotelica prima esposta (Meteora, III, 2, 2 Contigit autem terra senescente per calidum deficere humidum et tunc simul etiam euaporare calidum. Terram autem dixit senescere, sicut omnia alia senescunt). Se la fonte seguita per descrivere la dottrina di Anassimene fosse stata una di quelle dichiarate, allora quasi certamente Domenico avrebbe inserito nel testo anche un riferimento alla teoria della dipendenza del terremoto dal fuoco, che invece è taciuta da Seneca nel caso di Anassimene ed è da lui genericamente attribuita ad altri (cfr. nat. VI, 11 Quidam ignibus quidem assignant hunc tremorem). 16. Seneca V De questionibus naturalibus: il libro VI è numerato come quintus nei codici ZVH. Cfr. nota a XIII, 36.6-7. 17-26. sicut in nostro … insaniebat: il paragone tra il comportamento della terra e il funzionamento del corpo umano, ispirato al vitalismo stoi74

Cfr. H. DIELS – W. KRANZ, Die Fragmente des Vorsokratiker, I, Berlin 1951, 11 A 14.

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co75, è proposto da Seneca in due luoghi diversi delle Naturales quaestiones: prima in nat. III, 15.1 (…) ad nostrum corporum exemplar, in quibus et uenae sunt et arteriae, illae sanguinis, hae spiritus receptacula. In terra quoque sunt alia itinera per quae aqua, alia per quae spiritus currit; adeoque ad similitudinem illa humanorum corporum natura formauit ut maiores quoque nostri aquarum appellauerint uenas; poi in nat. VI, 14.2 Sed quemadmodum in corpore nostro, dum bona ualetudo est, uenarum quoque imperturbata mobilitas modum seruat, ubi aliquid aduersi est, micat crebrius et suspiria atque anhelitus laborantis ac fessi signa sunt, ita terrae quoque, dum illis positio naturalis est, inconcussae manent, cum aliquid peccatur tunc uelut aegri corporis motus est, spiritu illo qui modestius perfluebat icto uehementius et quassante uenas suas, nec, ut illi paulo ante dicebant, quibus animal placet esse terram. Ma Domenico poteva ritrovare lo stesso raffronto con le arterie e le vene del corpo umano anche in Alberto Magno, che di Seneca era debitore: Meteora III, 2, 7 Et sicut in corpore nostro sunt uiae sanguinis, quae sunt uenae, et uiae spiritus, quae sunt arteriae, ita dicunt in terra esse naturales uias aquarum et spiritus, qui ex aere circumquaque intrant in terram. Sicut autem fit in homine, quando est bonae ualitudinis, quod uiae sanguinis et spiritus sunt liberae, et si, quando intercipitur uia sanguinis uel spiritus, fit mala ualetudo et fiunt suspiria et grauitates et commotiones membrorum, ubi spiritus intercipitur uel sanguis et tandem rumpuntur, ita dicunt fieri in terra, quando bona ualetudo est elementi terrestris. Dunque, egli propone al lettore una combinazione tra queste due fonti, integrandole a videnda: come emerge dal confronto tra i due testi, infatti, è Alberto Magno a parlare di grauitates et commotiones membrorum (ll. 22-23), accostandoli ai suspiria di Seneca, ma è Domenico a completare il suo testo attraverso l’inserimento dell’avverbio senecano crebrius. 49, 1. Philosophus: cfr. Aristot. meteor. II 8, 365b21-366a5 (…) et ab humido et a sicco fieri exalationem. Existit enim terra per se quidem sicca, propter ymbres autem habens in se ipsa humiditatem multam, ut et a sole et ab eo qui in ipsa igne calefacta multus quidem extra, multus autem intra fiat spiritus. (…) Quare siquidem spiritus natura talis, maxime corporum spiritus motiuus: et enim ignis quando cum spiritu fuerit, fit flamma et fertur celeriter. Non igitur aqua neque terra causa utique erit, sed spiritus motus, cum intus fluxerit qui extra elatus. 2-11. uolunt … atque soliditatem: cfr. Alb. Meteora III, 2, 6 (…) quod uapor est duorum generum, scilicet uapor humidus et uapor siccus. Cum enim terra sit in natura sua sicca, humectatur tamen, cum pluit. Et sole tunc 75

Cfr. M. POHLENZ, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, I, Firenze 1967, p. 437 sgg.

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agente in eam eleuatur ex ea uapor humidus et upor siccus. Diximus autem in praecentibus quod uapor siccus eleuatus est uentus (…). Factus enim est per duos modos. Est enim aliquando subtilis in superficie terrae eleuatus et ille transcendit aerem et concutit ipsum. Aliquando autem extrahitur de profundo terrae et est grossus non potens exspirare propter terrae profunditatem et soliditatem et inuenit loca concaua subtus in terra; et ille coartatus in uentribus concauitatum terrae facit terraemotum. 6. prout supra diximus: cfr. XIII.34, 13-14. xiii.48-49 11-14. non habeat … tumultum facit: cfr. Sen. nat. VI, 13.1 In hac sentientia licet ponas Aristotilem et discipulum eius Theophrastum (…). Quid utrique placeat exponam: «Semper aliqua e terra euaporatio est, quae modo arida est, modo umido mixta; haec ab infimo edita et in quantum potuit elata, cum ulteriorem locum in quem exeat non habet, retro fertur atque in se reuoluitur; deinde rixa spiritus recriprocantis iactat obstantia et siue interclusus siue per angusta enisus est, motum ac tumultum ciet. Lo stesso passo è citato anche da Alberto Magno: Meteora III, 2, 7 Theophratus autem, ut dictum est ‘Aristotelis’ insecutor ‘et discipulus’, sic dicit: ‘Semper euaporatio aliqua est e terra, quae modo est arida, modo humido mixta. Haec’ autem euaporatio ‘ab infimo edita et in tantum elata, ut ulteriorem locum, in quem exeat, non habeat, retro fertur ac in se reuoluitur; deinde rixa spiritus recriprocantis iactat obstantia et, siue interclusus est siue per angusta enisus, motum ac tumultum’ facit. L’uso da parte di Domenico del verbo facit (l. 14) al posto del senecano ciet fa propendere per una maggiore vicinanza ad Alberto Magno. Per la mescolanza tra queste due fonti si veda anche XIII.48, 16-26. 11. habeat: cfr. Sen. nat. VI, 13.1 habeat δW2, sed habet ZθρUW1 et edd. La presenza di questa lezione accomuna il testo di Domenico a quello di Alberto Magno (cfr. nota precedente): qui il congiuntivo è retto dalla consecutiva tantum elata ut, ancora una volta caratteristica dei testimoni del ramo δ, ma che si è persa in Domenico, il quale fa dipendere il verbo da un cum (l.11), molto più vicino da questo punto di vista al testo di Seneca in cui le edizioni di riferimento preferiscono la lezione quantum potuit elata cum di ZθρUW1. 15. magno … fremit: si noti che gli stessi versi sono citati da Seneca in nat. VI, 18.2 con la variante fremit (la stessa presente nel testo) al posto del virgiliano fremunt. 16-17. luctantes … frenet: cfr. Sen. nat. VI, 18.4 e nota precedente. 19-22. in Lippara … incinerauit: cfr. Aristot. meteor. II 8, 367a5-8 tandem autem rupta exiuit spiritus multus et fauillam et cinerem eleuauit et Lipareorum ciuitatem existentem non longe omnem incinerauit et ad quasdam in Ytalia ciuitatum uenit.

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23-34. Nostris … pluere: cfr. Rest. La composizione, II, 6,4,6.5-6 «Onde in questa provincia appresso ad una città, la quale è chiamata Volterra, ad uno luogo ch’è chiamato Vechianne, per cagione del tremuoto profondò uno grandissimo spazio di terra, e apparvevi uno grandissimo lago d’acqua calidissima bogliente, la quale venendo e uscendo di sotto terra, tale salìa e gittavasi ad alti più di quaranta braccia; nel quale profondare n’uscìo fuori una grandissima e terribile ventosità, la quale più di due dì quasi continuo gittò fuori pietre e sassi d’attorno per tutta la contrada, per spazio di due miglia. Sì che gli abitatori della contrada spaventarono e fuggironsi tutti e li animali della contrada che non fuggirono morirono tutti e gli alberi, che erano intra quello spazio, in colore e ’n durezza diventarono quasi come ferro. La quale ventosità per ispazio di più di sette dì gittò e sparse d’attorno alla lunga più di cento miglia terra rossa, la quale parea che fusse arsa da foco, molto sottilissima, come polvere che fusse portata dal vento; e li abitatori di lunghe parti, che non sapieno lo fatto, maravigliavansi, e credieno che questa terra piovesse, e trovavano la terra, e altro, e li alberi e le loro foglie tutte rosse». 24. Veliene: il luogo vicino a Volterra qui chiamato Veliene è Vechienne o Vechienna (Vinclena), nella valle del Cornia, nei pressi del Monte Rotondo. La variante del nome adoperata da Domenico è attestata anche da Zacchia Zicchio Volterrano che parla dell’improvvisa comparsa di un lago presso Veliena (Veclena) in data 132076. 27. quod: cfr. nota a XII.2, 29. xiii.49-50 38. celsa: cfr. Sen. nat. VI, 13.5. La tradizione virgiliana tramanda concordemente coepta; la lezione celsa, che dimostra che la citazione di Domenico è di seconda mano, è presente esclusivamente nelle Naturales quaestiones, e viene spiegata dal Borucki come un adattamento imposto dal contesto per la presenza di posset77. Gli stessi versi, con la variante senecana, sono citati da Alberto Magno, Meteora III, 2, 7. 50, 2-4. publicum … integras regiones: è proprio Seneca a esprimersi in questi termini sul terremoto, definendolo insaziabile, inevitabile e funesto per l’intera collettività: cfr. nat. VI, 1.7: (…) hoc malum latissime patet, ineuitabile, auidum, publice noxium. Non enim domos solum aut familias aut urbes singulas haurit; gentes totas regionesque submergit. 5. absortas: per la forma absortus del participio di absorbeo, -ere invece che absorptus cfr. LEXICON I, A 55. 76 Cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, V, Firenze 1843, p. 684, coll. 1-2. 77 Cfr. J. BORUCKI, Seneca philosophus quam habeat auctoritatem in aliorum scriptorum locis afferendis, Borna – Leipzig 1926, p. 32.

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7. duodecim urbibus Asye: il terremoto di cui parla Plinio devastò l’Asia nel 17 d.C.; la notizia è confermata anche da Tacito (Ann. II, 47), che riporta anche un resoconto dettagliato degli eventi, e da Suetonio (Tib. 48)78. La mancanza del riferimento agli Annales confermerebbe l’ipotesi che Domenico sia venuto in possesso di quest’opera soltanto verso il 1400 e quindi dopo che questa parte del Fons era già stata composta79. 8. Sexto Lucio Cesare: si tratta in realtà di Sesto Giulio Cesare, padre del dittatore, a cui Domenico dedica una biografia non tanto per la grandezza delle sue gesta, ma propter terribilia que ipso stante consule acciderunt (E2, f. 92vb-93ra). Infatti, quand’egli fu console insieme a Lucio Marcio Filippo (91 a. C.) accaddero alcuni eventi prodigiosi: Addita sunt hec prodigia animorum consternatiua: in ortu solis globus ignis a regione septentrionis cum maximo fragore celi emicuit. Apud Aretinos cum panes per conuiuia frangerentur, cruor e mediis panibus quasi e mediis uulneribus corporum fluxit. Per 7 continuos dies grando lapidum inmistis testarum fragmentis, terram latissime uerberauit (cfr. Oros. V, 18.3-5). 8-10. Thucydides … suppressam: cfr. Sen. nat. VI, 24.6 Thucydides ait circa Peloponnesiaci belli tempus Atalanten insulam aut totam aut certe maxima ex parte suppressam. 9. circa tempus Peloponnensis belli: il maremoto ricordato da Tucidide (III 89, 3) si verificò nella primavera del 426 a.C. e investì la Grecia nordorientale80. 10-14. circa annos … submersa: cfr. Mart. Chron. A.D. 1159 (pont.) (p. 437) Alexander III nacione Tuscus patria Senensi ex patre Raynuncio sedit annis 21 (…). Per 15 annos sub eius temporibus terre motus magni fuerunt per loca ita, quod ciuitas Antiochena cum Tripoli cecidit atque Damascus cum multis aliis ciuitatibus submersa est. Tunc quoque Cathanensis ciuitas euersa est penitus et plus quam 20 milia hominum mortui sunt, et mare retrogradum tunc uersum est, et 5 milia hominum in Sicilia mortui submersi sunt. Tra il settembre del 1156 e il maggio del 1159 una vasta zona che comprendeva la regione di Antiochia, il nord-ovest della Siria e il nord del Libano fu interessata da una lunga serie di eventi sismici, che per la loro durata e intensità vennero a lungo ricordati nei secoli a venire81. Invece, il terremoto che interessò la città di Catania, distruggendola completamente, avvenne qualche anno più tardi (4 febbraio 1169) e a questo fece seguito un 78 Cfr. E. GUIDOBONI, Catalogue of ancient earthquakes in the Mediterranean area up to the 10th century, Rome 1994, pp. 180-185. 79 Cfr. Introduzione p. 12. 80 Cfr. I terremoti prima del Mille in Italia e nell’area mediterranea, a cura di E. GUIDOBONI, Bologna 1989, p. 651-52. 81 Cfr. GUIDOBONI, pp. 153-169.

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maremoto che investì anche la città di Messina82. Alla confusione tra i due eventi generata da Martino Polono si va a sommare nel Fons l’omissione del nome della città di Catania: come conseguenza il lettore è indotto a credere non solo che il terremoto di Antiochia e il maremoto in Sicilia siano stati contemporanei, ma anche che la morte di ben 20.000 uomini e l’arretramento del mare abbia riguardato la regione di Antiochia e Damasco. 14-19. circa annos … omnium: cfr. Mart. Chron. A.D. 1057 (imp.) (p. 468) Henricus III imperauit annis 49 (…) Circa hec tempora ciuitas Syracusana in Sycilia magnum terre motum sustinuit, adeo ut dominica die circa horam terciam, dum missa cantaretur, ecclesia maior cadens omnem populum et clerum opprimeret, sacerdote, diacono, subdiacono missam celebrantibus cum presbitero tantum saluis, non sine magna omnium hominum admiracione. Il forte terremoto ricordato da Martino Polono è datato alla domenica del 7 giugno 1125 e provocò il crollo dell’abside e del tetto della navata principale della cattedrale, delle mura di cinta e di molte abitazioni. Le fonti antiche, tuttavia, non concordano sulla data83. 19-20. Et imperante … arene: il terremoto a cui allude Domenico è quello che il 3 gennaio 1117 (durante il regno di Enrico V, 1106-1125) produsse grossi danni non solo nel Veneto, ma anche in Lombardia e nel nord dell’Emilia; nella città di Verona anche l’Arena subì gravi danneggiamenti ed in particolare il crollo di parte della cinta esterna, di cui rimase in piedi solo una piccola parte, cioè 5 pilastri e 4 fornici che oggi costituiscono la cosiddetta ‘Ala’84. Il terremoto viene ricordato da numerose fonti antiche, come gli Annales Veronenses antiqui: Terremotus maximus fuit, in quo etiam magnam pars Arene cecidit85, e gli Annales ueteres: Fuit magnus terremotus unde maxima pars arene cecidit die septimo intrante Ianuario86. Ancora Pier Zagata scriveva: «Nel 1117 fu grande terremoto il quale, oltre ad altri gravissimi danni a questa città causati, fece cadere la maggior parte del recinto, o sia Ala dell’Anfiteatro detto la Rena»87. La cinta esterna fu ulteriormente danneggiata dal terremoto del dicembre del 118388. Scriveva Parisio di Cesarea: Millesimo supradicto intrante mense Ianuario maxima 82 Cfr. GUIDOBONI, pp. 175-188: tra le numerose fonti citate, sia latine che greche che arabe, non viene fatta menzione di Martino Polono. 83 Cfr. GUIDOBONI, pp. 133-137. 84 Cfr. BARATTA, pp. 22-24; BOSCHI, pp. 188-191; GUIDOBONI, pp. 84-124. 85 Cfr. Annales Veronenses antiqui, ed. C. CIPOLLA, in Bullettino dell’Istituto storico italiano 29 (1908), pp. 24-81, in particolare pp. 31-32. 86 Cfr. Annales ueteres, ed. C. CIPOLLA, in Archivio veneto 9 (1875), pp. 89-95, in particolare p. 89. 87 Cfr. PIER ZAGATA Cronica della città di Verona, ampliata, e supplita da Giambatista Biancolini, Verona 1745, p. 15. 88 Cfr. BARATTA, p. 28; GUIDOBONI, pp. 211-212.

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pars alae arenae Veronae cecidit terrae motu magno per prius facto, uidelicet ala exterior89. Oltre a lui anche l’Historia Longobardica siue Veronensis (Biblioteca civica di Verona, ms. 958, f. 11) e lo Zagata90 ricordano questo terremoto altrimenti non registrato da altre fonti. Fu soprattutto grazie all’Historia Longobardica, scritta nel XV secolo, che prese piede la tradizione secondo cui la maggior parte della cinta esterna crollò in seguito al terremoto del 118391. xiii.50 20. Henrico IV: Enrico IV fu imperatore del Sacro Romano Impero tra il 1084 e il 1105, anno in cui abdicò in favore del suo successore. Ma nel Chronicon di Martino Polono in effetti si legge che Enrico IV regnò per 15 anni a partire dal 1107: l’errore dunque era già nella fonte di Domenico. Il confronto con il testo di Martino Polono fa pensare che la notizia del crollo dell’Arena a causa di un terremoto avvenuto durante il regno di Enrico IV non provenga da questa fonte, in cui non è possibile rintracciare la notizia. 20-21. ut patet libro De edificiis memoratu dignis: (E1, f. 170rb) Arena est sumptuosum edificium in ciuitate Verone spectaculi causa factum. Hoc quidem pro magna parte terremotibus corruit anno Domini 1306 die septima Ianuarii imperante Henrico quarto. Tunc etiam circa horam nonam dies uisus est pro tenebris in noctem uerti et sanguis per modum pluuie de celo cadere (Require libro De impressionibus aeris, capitulo 50). 21-22. Asculum totum corruit: il 17 luglio 1361 un forte terremoto sconvolse la città di Ascoli Satriano (Foggia)92, provocando grandissimi danni e la morte di 4000 persone stando alla testimonianza delle fonti antiche, come ad esempio la Cronica di Matteo Villani, che scrive: «Di grandi terremoti che furono in Puglia, e assai guastarono della città d’Ascoli. A dì XVII di luglio del detto anno, in sull’ora del vespero, furono in Puglia grandissimi terremuoti, e apersero la città d’Ascoli di Puglia, e quasi tutta la sobissarono con morte d’oltre a quattromila Cristiani»93. Il confronto con il capitolo Asculum del libro De ciuitatibus dissipa ogni dubbio sull’identificazione di Asculum con la città pugliese e non con Ascoli Piceno, che ugualmente nel XIV secolo fu danneggiata dal terremoto del 9 settembre 1349. Infatti, scrive Domenico: (E0 f. 248va) Asculum op

idum Apulie memorandum est clade illata Pirrho (…). Hec meo seculo anno 1363 tota terremotibus corruit 89 Cfr. PARASIO DI CESAREA, Annales, ed. G. H. PERTZ, in MHG 19, Hannover 1866, pp. 2-18, in particolare p. 5. 90 Cfr. PIER ZAGATA Cronica cit., p. 196. 91 Si veda ad esempio L. BESCHI, Verona romana: i monumenti, in Verona e il suo territorio, I, Verona 1960, p. 460. 92 Cfr. BOSCHI, p. 219; GUIDOBONI, pp. 490-492. 93 Cfr. MATTEO VILLANI, Cronica. Con la continuazione di Filippo Villani, ed. G. PORTA, II, Parma 1995, p. 536.

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perieruntque omnes incole, nisi qui tufeis cauernis subterraneis latuerunt. Nam ipsa ciuitas tufea tota est (Require libro De impressionibus aeris, capitulo 44). 51, 3. concordans cum Phylosopho: cfr. Aristot. meteor. II 8, 366a, 14-19 Nocte autem plures et maiores fiunt terremotuum; qui autem de die circa meridiem: tranquillissimum enim est ut in pluribus diei meridies (sol enim cum maxime optineat, declinat exalationem in terram; optinet autem maxime circa meridiem) et noctes autem diebus tranquilliores propter absentiam solis; 366b, 2-8 Et uere autem et autumpno maxime et in pluuiosis et in siccitatibus fiunt propter eandem causam: tempora enim hec maxime spirituosa. Estas enim et hyemps, hoc quidem propter gelu, hoc autem propter estum facit immobilitatem: hoc quidem enim ualde frigidum, hoc autem ualde siccum est. 3-10. Autumpno … estum: cfr. Plin. nat. II 195 et autumno ac uere terrae crebrius mouentur, sicut fulmina. Ideo Galliae et Aegyptus minime quatiuntur, quoniam hic aestatis causa obstat, illic hiemis. Item noctu saepius quam interdiu. Maximi autem motus existunt matutini uespertinique, sed propinqua luce crebri, interdiu autem circa meridiem. Fiunt et solis lunaeque defectu, quoniam tempestates tunc sopiuntur, praecipue uero cum sequitur imbres aestus imbresue aestum. 7-8. quo tempore … uentorum: il chiarimento non fa parte del testo di Plinio, ma probabilmente è da ricercare in Aristotele: cfr. nota precedente. 16-20. Illaque … cauernosi sunt: cfr. Alb. Meteora III, 2, 9 In locis enim concauis, ad quae uenit percussio procellarum maris, ibi ex procellis repercutientibus uentum in se uentus retunditur et multiplicatur, et ex humore maris uiae redeundi praecluduntur; et tunc multiplicatus mouet locus, qui est in circuitu. In locis autem cauernosis recipitur undique uentus per rimas terrae ueniens (…). Receptus autem in cauernis redire non potest propter alium uentum obuiantem et ita multiplicatus in cauerna tandem mouet cauernam. 20-21. ut patet libro montium: (Re, f. 427vb) Nota insuper quod quia terremotus fiunt sepius iuxta aquas claudentes poros terre, adeo quod uapor clausus in uisceribus eis nequit exalare ideo potissime iuxta mare, denique iuxta alias aquas grossas. 52, 2. magnos terrarum motus: cfr. Sen. nat. VI, 27.2 magnos terrarum motus Zθρ: motus terre δ. 7. magna mala: cfr. Sen. nat. VI, 29.2 mala magna di ZBcV et edd., magna mala AB1θρU. 11. cum terremotu … corruit: è il terremoto del 5 febbraio del 63 d.C., ricordato anche da Tacito (Ann. XV, 22), da cui Seneca prende spunto per

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trattare dei terremoti nel VI libro delle Naturales quaestiones, seppur partendo da una incongruenza temporale che lo porta a collocare questo devastante terremoto nel 62 d.C. (nat. VI, 1.2 Regulo et Verginio consulibus). Cfr. Sen. nat. VI, 1.1 Pompeios, celebrem Campaniae urbem (…) consedisse terrae motu. 12. libro ciuitatum, capitulo Pompeios: (E0, f. 277va-b) Pompeios et Herculanei ciuitas fuerunt dudum Campanie urbes celebres iuxta Vesuuium montem et Sarnum fluuium, quas terremotibus euersas, Seneca inter ceteros teste dicit libro VII (scil. VI) de questionibus naturalibus: «Tremuerunt tunc quecumque fuerunt in regione et quod mirabilius est hibernis diebus Februarii nonis quos a tali periculo tutos esse maiores nostri solebant promittere (cfr. Sen. nat. VI, 1.1), fuitque adeo terribilis terremotus quod plurimi amentes facti mencipes (i.e. dementes: cfr. LEXICON V, M 221) deerrabant (cfr. Sen. nat. VI, 29.1-2)». 53, 1-2. Nec hoc … uenit: il tema dei segnali che precedono il terremoto è trattato anche da Aristotele (meteor. II 8, 366b30 e sgg. e II 8, 367b8 e sgg.) e da Alberto Magno (Meteora III, 2, 11). 3-5. uolucres … tedio: cfr. Plin. nat. II, 196-197 (…) quin et uolucres non impauidae sedent. Est et in caelo signum praeceditque motu futuro aut interdiu aut paulo post occasum sereno tenuis ceu lineae nube in longum porrecta spatium. Est et in puteis turbidior aqua nec sine odoris taedio, sicut in isdem et remedium, quale et crebri specus praebent (…). 7-10. Cum terremotus … concussa est: è la teoria di Archelao, il quale sosteneva che, essendo provocati dall’aria, i terremoti avvengono in assenza di vento perché l’aria è imprigionata nelle cavità del sottosuolo. La stessa teoria, condivisa anche da Seneca, era sostenuta da Aristotele (meteor. II 8, 366a3 e sgg.) e da Plinio (nat. II, 192). xiii.50-54 9. inferiori: la lezione inferiori è presente unicamente nel codice B, mentre il resto della tradizione tramanda inferni (cfr. Sen. nat. VI, 12.2). 54, 2. Tonitruum … terreat: cfr. Vgut. deriu. T 137, 4 Tonus componitur cum terreus et dicitur hic tonitrus – trus, et hoc tonitrum, indeclinabile in singulari, et hoc tonitrum idem est, et dicitur sic quia sonus eius terreat. territiuum: cfr. LEXICON VIII, T 148: territiuus, a um, id est terrorem infligens. 5-6. tonitrua … Gaius Caligola: cfr. Suet. Aug. 90.1 tonitrua et fulmina paulo infirmius expauescebat (cfr. XIII, 29.25-28); Tib. 69.1 tonitrua tamen praeter modum expauescebat et turbatiore caelo numquam non coronam lauream capite gestauit, quod fulmine afflari negetur id genus frondis (cfr. XIII, 29.16-18); Cal. 51.1 nam qui deos tanto opere contemneret, ad minima

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tonitrua et fulmina coniuere, caput obuoluere, at uero maiore proripere se e strato sub lectumque condere solebat. 7-8. concordans cum Phylosopho: cfr. Aristot. meteor. II 9, 369b, 13 Quamuis quidam dicant quod in nubibus fiat ignis. Si noti ancora una volta che in realtà è Seneca a parlare del suono emesso dall’aria infuocata: nat. II, 17 Quidam existimant igneum spiritum per frigida atque umida meantem sonum reddere. 9. eodem libro, capitulo 15: cfr. XIII, 15.2-4. 9-11. Tonitruum … ignitum ferrum: cfr. Aristot. meteor. II 9, 370a, 24-25 tonitruum autem extincio, non intus facto secundum unamquamque passionem igne sed inexistente. Il paragone con il suono prodotto dal ferro incandescente immerso nell’acqua è di Seneca: nat. II, 17 nam ne ferrum quidem ardens silentio tinguitur, sed si in aquam feruens massa descendit, cum multo murmure extinguitur. Si pensi anche a Lucr. VI, 145-49. 12-18. Quidam … prior esset: cfr. Aristot. meteor. II 9, 369b, 12-18 Quamuis quidam dicant quod in nubibus fiat ignis. Hunc autem Empedocles quidem ait esse interceptum de solis radiis; Anaxagoras autem de eo qui desuper ethere, quod etiam ille uocat ignem, delatum desuper deorsum. Micationem quidem igitur huius ignis esse coruscationem, sonum autem intus extincti et sixim tonitruum, ut sicut uidetur et factum, sic et prius coruscatio sit tonitruo. Per sixis si veda LEXICON III, E 13: il termine di origine greca, attestato anche nella forma variante fixis, era usato come sinonimo di ebullitio, sebbene con una leggera differenza94. 20-21. nos autem … esse tonitruum: cfr. Aristot. meteor. II 9, 370a, 26-27 Nos autem dicimus esse eandem naturam super terram quidem uentum, in terra autem terremotum, in nubibus autem tonitruum. 22. Thales Milesius: cfr. la nota a XIII.33, 20-21. 55, 4-10. Fiunt … appellamus: cfr. Rest. La composizione, II, 7.2.13-14 «E stando l’aere grosso e nubiloso per vapori che siano levati dal sole, e anco per coniunzione de stelle, le quali hano a permutare l’aere, per stasio ne odimo tonare e vedemo balenare. E la casione de questo pò èssare secondo questa via: che stando sù ell’aere vapori acquei e vapori ignei, e vapori aerei e terrestri, per la contrarietà ch’è elloro combatte asieme l’uno coll’altro; e se ’l vapore acqueo moltiplica e l’aere trova entro per esso de 94 Cfr. LEXICON III, E 13: JACOBI TYMANNI DE AMERSFORDIA Aristotelis Meteororum secundum processum Albertistarum, Coloniae 1497 (f. 64ra) ebulitionem et feruorem quem facit calor in aqua non oportet fateri esse tonitruum et coruscationem. (…) Nota secundum Thoma quod differentia est inter ebulitionem et fixim. Quoniam ebulitio causatur in frigido humido a calido obtinente et in spiritum resoluente. Fixis autem a frigido humido calidum extinguente et similiter sonus consequens ipsam fixionem.

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li vapori ignei, le parti de quei vapori ignei se racolgono asieme, emperciò che ogne simile tra’ volentieri al suo simile; e anco per forza del vapore acqueo, ch’è multiplicato d’atorno a questo igneo ell’aere. E lo vapore acqueo, multiplicandose d’atorno a questo, combatte con esso e constregnelo ensieme per forza, sì che questo non pò patire en quello luoco, rompe lo vapore acqueo da lato più debele e corre entro per esso; e ’nfiambandose, e facendo fuoco e fugendo, va facendo rumore entro per lo vapore acqueo, come lo ferro enfiambato, che va facendo rumore entro per l’acqua; e alora odimo quello rumore, lo quale noi chiamamo tuono, e vedemo la fiamba, la quale noi chiamamo baleno». 11-14. Finis tonitrui … tollitur: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 79r) Nunc notandum de fine propter quid fit tonitruum potest ergo primo dici quod fit tonitruum propter expurgandum aerem ex tremore (…) et motu aeris facto per istum sanum diuisum est purum a uiscositate ipsius aeris. Vnde dico quod quondam fiebant post cessatione unius magne mortalitatis et pestilentie. Et ratio est quia per tonitrua aer purgatur et fiunt tonitrua et cum etiam similiter per uentos aer purgetur. 14. eodem libro, capitulo 39, 45: vd. XIII.39, 37-51, dove vengono descritti i benefici che i venti settentrionali arrecano all’aria e al corpo umano, e XIII.45 sull’utilità dei venti in generale. 14-15. libro populorum … Mirmidones: Domenico rimanda il lettore al capitolo dedicato ai Mirmidoni per un approfondimento sull’argomento, lì più ampiamente trattato nella lunga digressione De pestilencia. Vd. nota a XIII.6, 9. 56, 1. Policratus: vd. nota a XIII.29, 16-17. 7. fulminosus : cfr. LEXICON IV, F 424: fulminosus, a, um, id est fulmine plenus, modo fulminis. 10. eodem libro, capitulo 46: cfr. XIII, 46.7-9 per le altre previsioni legate al tuono. 10-12. Scripsit … futuram pluuiam: cfr. XIII, 46. 7-9 con la nota relativa. 57, 3. nimborum naues: cfr. XIII.67, 5. xiii.54-57 4. eodem libro, capitulo 25: cfr. XIII, 25.1-7 e nota corrispondente; qui, citando Seneca, Domenico spiega la presenza nelle nuvole non di vera e propria acqua, ma aria umida che può trasformarsi in acqua. 6. condensati: per l’uso medioevale di condenso, -are al posto di denso, -are cfr. LEXICON II, C 817. 10-17. Cernitur … coloris uiridis: cfr. Alb. Meteora III, 4, 2, dove si parla diffusamente dei diversi colori che caratterizzano le nubi. In particolar modo scrive Alberto Magno: Et hoc signat pluuiam in eodem die futuram, si

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fuerit in mane (…). Si autem nubes iam sit rorans et conuertens se ad aquas, quas iam incipit stillare propter frigus conuertens eam in aquas et recipiat in se lumen caeleste, tunc erit illa nubes uiridis coloris. 15. prout latius scripsi libro stellarum erraticarum: E0 f. 168vb (…) Causam huius regule ponit Albertus Magnus dicens III Metheorum: «Rubor matutinus indicat quod sol uapores eleuatos ab infimo hemisperio calore suo secum aduehit ad superiorem partem, ubi est generatio pluuiarum. In sero autem rubor ille indicat quod sol secum demergat omnes exalationes in hemisperio nostro stantes, et quod ipsum hemisperium purget a sordibus, unde pluuie generantur» (cfr. Alb. Meteora III, 1, 25). 21-23. Vapores … est: cfr. Rest. La composizione, II, 7.2.4 «(…) unde elevando lo sole li vapori sù alto a questa tonica95 (li quali vapori, secondo che pósaro li savi, vano alto al più otto milia, e da inde en sù non se ne fa generazione nulla) e questa tonica adopara secondo la sua freddura e secondo la quantità e la qualità del vapore; ché s’elli sarà vapore acqueo, farane acqua o neve o grandine». 23. Aliabates: potrebbe trattarsi del fisico, matematico e astronomo arabo Abu Alì al Hasan ibnl- Haytham (965-1040), meglio noto con il nome Alhazenus96, a cui è stato erroneamente attribuito il De crepusculis et nubium ascensionibus da cui è tratta la citazione inserita nel Fons. L’erronea attribuzione del De crepusculis è stata determinata dalla compresenza nel codice Vat. lat. 4595 (ff. 182, cart., sec. XV) di questo breve trattato con la più importante opera di Alhazen, il De aspectibus o Opticae thesaurus, già tradotta in latino nel XII secolo (forse da Gerardo da Cremona secondo 95

Cfr. nota a XII, 2.19-21. Egli è stato considerato da molti il padre dell’ottica moderna. Newton sostenne che con il De aspectibus egli aveva dato l’avvio ad una vera e propria rivoluzione scientifica a proposito della percezione visiva. L’opera contiene un celebre problema, noto come “problema di Alhazen” e risolto da Leonardo mediante un congegno meccanico: dato uno specchio sferico e una sorgente luminosa puntiforme, trovare il punto dello specchio in cui si riflette il raggio che giunge all’occhio di un osservatore. Sulla vita e sulle opere di Alhazen cfr. L. LECLERC, Histoire de la médecine arabe, I, Paris 1876, pp. 514 sgg.; G. SARTON, Introduction to the History of Science, I, Baltimora 1926, pp. 609 sgg.; ID., The Tradition of the Optics of Ibn al Haytham, in Isis 29 (1938), pp. 403-406 e 34 (1942-43), pp. 217 sgg.; tra i contributi più recenti: G. FEDERICI VESCOVINI, Contributo per la storia della fortuna di Alhazen in Italia: il volgarizzamento del ms. Vat. 4595 e il Commentario terzo del Ghiberti, in Rinascimento 5 (1965), pp. 17 sgg; EAD. Studi sulla prospettiva medievale, Torino 1965, pp. 258 sgg., (Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia, 16/1); EAD. Il problema delle fonti ottiche medievali del “Commentario III” di Lorenzo Ghiberti, in “Arti” e filosofia nel secolo XIV. Studi sulla tradizione aristotelica e i “moderni”, Firenze 1983, pp. 110-121 (p. 110, n. 17 per bibliografia); EAD. La prospettiva del Brunelleschi, Alhazen e Biagio Pelacani a Firenze, ibid., pp. 143-168; A. I. SABRA, The optics of Ibn al-Haitham, London 1989. 96

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l’attribuzione del Narducci97) e qui tramandata in una versione volgarizzata composta intorno alla metà del XIV secolo, che rese famoso il testo anche in quegli ambienti ancora chiusi alla cultura in lingua latina. In seguito il De crepusculis, pubblicato per la prima volta a Lisbona nel 1542, ricomparve insieme al De aspectibus nell’edizione di Friederich Resner (Basilea, 1572), con il titolo comune di Opticae thesaurus. Proprio a Resner si deve la forma latinizzata del nome nella variante Alhazenus, che nel tempo andò a sostituirsi a quella di Alhacen, sebbene quest’ultima fosse la traduzione più corretta del nome arabo. Il De crepuscolis, che oggi si considera frutto del lavoro di un autore anonimo, fu abbastanza noto agli uomini del Rinascimento: nei 6 capitoletti che lo compongono si definisce cosa sia il crepuscolo e quali siano le cause che lo determinano. Proprio dall’ultimo capitolo è tratta la citazione del Fons: esso è intitolato Posita peripheria a maximi in terra circuli 24000 milliarum Italicorum: erit summa uaporum in nubem coactorum a terra altitudo 52000 passum e contiene una complessa spiegazione geometrica di questa affermazione. xiii.57 26. qua: cfr. Plin. nat. II, 85 qua yrv, sed quam aopz et edd. 28. nonaginta: in realtà nel testo di Plinio si legge nongenta (cfr. Plin. nat. II, 85). 29. libro montium, capitulo Olympus: cfr. Re, f. 437vb Et uidebitur hoc quippiam forsan mirum quod scribit Martianus Capella libro de nuptiis Mercurii et filio (sic pro Philologiae) dicens «non enim summitatem aeris que a uolucribus permeatur quam Olimpi montis cacumen excedit, qui uix decem stadiorum altitudine sublimatur» (cfr. Mart. Cap. II, 149). 33-40. Heu me … reliquit: dopo aver ammesso la sua inadeguatezza a trattare un argomento per lui incompertus et inextricabilis (l. 30) e dopo aver deplorato la mancanza di indagini altrui su cui poter contare a causa del disimpegno nello studio e nell’indagine filosofica (ll. 32-33), Domenico si abbandona ad una lamentela che si ispira in maniera molto evidente al capitolo conclusivo del libro VII delle Naturales quaestiones, in cui Seneca presenta con grande rammarico la difficile situazione che la filosofia e la scienza attraversavano in quel tempo a Roma e ad Atene, dove gli uomini preferivano mettersi completamente al servizio della malvagità piuttosto che del sapere: nat. VII, 32.1-4: (…) huic oculi nostri, huic manus seruiunt. Ad sapientiam quis accedit? (…) Quis philosophum aut ullum liberale respicit studium (…)? Iam tot familiae philosophorum sine successore deficiunt. (…) At quanta cura laboratur ne cuius pantomimi nomen intercidat! 97

Cfr. E. NARDUCCI, Nota intorno a una traduzione italiana fatta nel secolo decimo-quarto del trattato d’ottica d’Alhazen, in Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche 4 (1871), pp. 1-40.

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(…) Itaque adeo nihil inuenitur ex his quae parum inuestigata antiqui reliquerunt. Nel suo discorso Seneca parla in generale di nequitia, Domenico invece parla chiaramente di pecunia (l. 34) e di uno smoderato desiderio di ricchezza, che doveva essere un problema sentito negli anni in cui egli scrive, tanto che, senza dubbio consapevolmente, egli ha alterato il testo del Cordovano sostituendo al suo pantomimi nomen, che non doveva avere più alcun senso nella sua epoca, il patrimonii nomen che leggiamo nel Fons (l. 38), al quale i suoi lettori non dovevano essere insensibili. 58, 1-6. Scribit Alchardianus … celi sit: cfr. THORNDIKE III, p. 71298: Si nubes ut uellera lane spargentur multe ab oriente, aquam in triduum presagient. Cum in cacuminibus montium nubes concident, yemabit. Si hec cacumina pura fient disserenabit nube grandula cadente quod uocant tempestatem albam minebit celo quamuis sereno nubia quamuis flatum procellosum dabit; cfr. Plin. nat. XVIII, 356 Si nubes ut uellera lanae spargentur multae ab oriente, aquam in triduum praesagient. Cum in cacuminibus montium nubes consident, hiemabit. Si cacumina pura fient, disserenabit. Nube grauida candicante, quod uocant tempestatem albam, grando imminebit. Caelo quamuis sereno nubecula quamuis parua flatum procellosum dabit. L’affinità tra il testo di Alchardianus e quello di Plinio è stata colta dallo stesso autore e sottolineata attraverso l’espressione cum quo concordat Plinius (l. 2): sulla corrispondenza tra i due testi si veda la nota a XIII, 7.34. 4. eodem libro, capitulo 7: cfr. XIII, 7.41-42. 59, 2. Nebula … uolans: cfr. Isid. etym. XIII, 10.10 Nebula inde dicta, unde et nubila, ab obnuendo scilicet, hoc est operiendo, terram, siue quod nubes uolans faciat. 5-6. Nubes … aeris intersticium: cfr. Aristot. de mundo 4, 394a, 20-24 (Translatio Bartholomei) Nebula autem est uapor grossus, uapor aque non generatiuus, aeris quidem densior, nubis autem rarior. Fit autem ex raritate in principio nubis aut ex inuolutione. Contraria autem dicitur et est aeria, nichil aliud existens nisi aer sine nube et sine nebula. (Translatio Nicolai) Est autem nebula quidem fumosa euaporatio sterilis aque, grossior quidem aere, rarior autem nube. Fit autem scilicet ex principio nubis uel ex residuo. Dicitur autem eius opposita et est serenitas, nichil aliud ens nisi aer sine nubibus et caligine. 6-7. nebule … frigore: cfr. Plin. nat. II, 152 nebulas nec aestate nec maximo frigore existere. 98 Si noti che nella sua edizione del De presagis tempestatum, Thorndike non interviene sul testo errato, ma lo stampa diplomaticamente.

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9-10. sarmenta … incendere: cfr. Plin. nat. XVIII, 293 sarmenta aut palearum aceruos et euulsas herbas fruticesque per uineas camposque, cum timebis, incendito: fumus medebitur hic; e paleis et contra nebulas auxiliatur, ubi nebulae nocent. xiii.57-61 60, 1-3. Scribit Alchardianus … serenitatis est: si veda la nota a XIII, 58.1-6; cfr. THORNDIKE III, p. 712: Nebule montibus discendentes an celo cadentes uel in uallibus scindentes serenitatem promittent; cfr. Plin. nat. XVIII, 357 Nebulae montibus descendentes aut caelo cadentes uel in uallibus sidentes serenitatem promitteret. 5-6. Cum terras … rigant: cfr. Eug. Tol. carm. LVI (Distichon prognosticum) Cum terras nebule pressant, lux clara propinquat; / aethera cum densant, imbribus arua rigant. Il vescovo Eugenio di Toledo (m. 657)99, noto per la sua edizione del De laudibus dei e della Satisfactio di Draconzio, compose un’antologia di 101 carmina, molto varii nei generi, nei temi e nei metri utilizzati, che lo rese agli occhi dei posteri uno dei migliori poeti dell’epoca visigotica. Sebbene il testo completo della raccolta non sia arrivato fino a noi, esso è stato ricostruito attraverso le più importanti antologie di epoca carolingia e i manoscritti spagnoli del IX secolo, che si completano a vicenda nelle lacune. Il carme 56 è stato tramandato unicamente da 3 codici, tutti databili alla seconda metà del IX secolo: Madrid, Biblioteca nacional, ms. 10029; León, Archivo de la catedral 22; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5530. In quest’ultimo, il carme 55 e il 56 sono stati copiati col fine di illustrare il capitolo 38 del De natura rerum di Isidoro di Siviglia, dedicato ai principali segni che presagiscono buono o cattivo tempo. 10-11. Et subdit … pluuias imminere: cfr. XIII, 7.38-39 e 58.2-3. 61, 1-3. Videamus … possimus: cfr. Sen. nat. I, 2.1 Videamus nunc quemadmodum fiat is fulgor qui sidera circumuenit. (…) Hunc Greci ἅλω uocant, nos dicere coronam aptissime possumus. 1. de circulo: il fatto che Domenico tratti degli aloni subito dopo le nuvole potrebbe non essere del tutto casuale, ma dovuto all’influenza di Alberto 99

La più importante fonte per ricostruire la biografia di Eugenio è il De uiris illustribus di Ildefonso di Toledo (cfr. El “De uiris illustribus” de Ildefonso de Toledo. Estudio y edición crítica, ed. C. CODOÑER, Salamanca 1972 (Acta Salmanticensia. Filosofia y letras, 65). Su Eugenio si veda L. A. GARCÍA MORENO, Prosopografía del reino visigodo de Toledo, Salamanca 1974 (Acta Salmanticensia. Filosofia y letras, 77), pp. 117-118, n. 248; F. BRUNHÖLZI, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters. I Band: Von Cassiodor bis zum Ausklang der karolingischen Erneuerung, München 1975, pp. 95-99 e 522; R. COLLINS, Early Medieval Spain. Unity and diversity, 400-1000, New York 19832, pp. 72-75; A. FERREIRO, The Visigoths in Gaul and Spain. A.D. 418-711. A bibliography, Leiden 1988, pp. 279-282.

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Magno, che in effetti esamina l’argomento nel quarto trattato del libro III, dedicato a quei fenomeni che, come lui stesso scrive nel titolo, apparent in nubibus. In questo egli si discosta tanto da Seneca quanto da Aristotele, che trattano entrambi questo tema insieme all’arcobaleno (cfr. Sen. nat. I, 2.1 sgg.; Aristot. meteor. II 2, 371b23-25 e II 3, 372b, 12 sgg.). 1-2. circumnectit: cfr. Sen. nat. I, 2.1 circumnectit AcBVFcW2 (W1 non legitur), sed circumuectit ZRA1F1HPU et edd. 2. et parahelion: attribuendo alle corone il nome greco ‘pareli’ Domenico fraintende sia la testimonianza di Seneca che quella di Alberto Magno: entrambe le fonti, infatti, distinguono chiaramente le corone, o ‘aloni’, dalle verghe, o ‘pareli’, per il fatto che le prime si producono in prossimità delle stelle o della luna, le seconde unicamente vicino al sole. Cfr. Sen. nat. I, 10 (…) hoc differunt quod coronae ubique fiunt ubicumque sidus est, (…) uirgae non nisi in uicinia solis. (…) Virgae soli tantum adiacent, (…) coronae omnium siderum; ibid. 11.3 [parhelia] Sunt enim imagines solis in nube uicina et spissa in modum speculi. Quidam parhelion ita definiunt: nubes rotunda et splendida similisque soli. (Si veda anche Alb. Meteora III, 4, 27 e 28 dove sostanzialmente vengono citate questi passi delle Naturales quaestiones). Anche Aristotele non associa mai il termine ἅλω a quello di παρήλια, ma distingue nettamente i due fenomeni celesti: cfr. Aristot. meteor. III 2, 371b, 23-26 Ipsius quidem igitur halo apparet sepe circulus totus, et fit circa solem et lunam et circa splendentia astrorum, adhuc autem nichil minus nocte quam die et meridie quam sero; ibid. 372a, 12-14 Parelii autem et uirge fiunt ex latere semper et neque desuper neque ad terram neque ex opposito, neque etiam de nocte, sed semper circa solem. Adhuc autem dum ascendit aut discendi semper; secundum plurima autem ad occidentem. In medio autem celi raro (…). 3. libro stellarum erraticarum, capitulo 46: cfr. E0, f. 108rb (…) Hanc figuram parahelion uocant Greci, a ‘para’, quod est ‘iuxta’, et helyos, sol, quia tales figure semper iuxta solem splendent nec longe uidentur ab eo. Cum Seneca et Arato concordat Albertus Magnus III Metheororum (cfr. Meteora III, 4, 27) ubi, monstrans parahelyos circa solem fore, dixit quod si opponerent soli fieret ex eis yris, sed quia calore solis trahuntur exalationes ille, ideo solem circumsepiunt et sunt tamquam speculum ipsius solaris globi. Posset ergo dici quod parahelyon sit quedam nubes soli similis et propinqua. 4-5. apparet … ortu: vedi nota a XIII. 61, 2. 5-7. noctibus … coarguunt: ancora una volta Domenico attribuisce ad Aristotele parole che sono sicuramente di Seneca, dal momento che è proprio lui a parlare della convinzione di alcuni Greci riguardo all’impossibilità per gli aloni di apparire di giorno: cfr. nat. I, 2.10 Hae coronae noctibus

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fere circa lunam et alias stellas notabuntur; interdiu raro, adeo ut quidam ex Graecis negauerint omnino eas fieri, cum illo historiae coarguant. 5. notatur: l’uso del verbo al singolare dipende dall’adattamento al nuovo contesto (hic…notatur), la forma al presente rimanda alla lezione notantur dei codici AcBVW2, alla quale si preferisce notabuntur di ZRA1ρPUW1 (cfr. Sen. nat. I, 2.10). 8-9. die illo quo … circulus: la notizia della prodigiosa apparizione di un cerchio luminoso attorno al sole nella primavera del 44 a. C. è riportata anche da Velleio Patercolo (II, 59.6), Plinio il Vecchio (nat. II, 98), Suetonio (Aug. 95), Cassio Dione (XLV, 4.4). 10. de Octauiano imperatore: (E2, f. 286ra) Et Seneca in I libro De questionibus naturalibus dicit quod occiso Iulio Cesare Octauianus ab Apollonia ubi uacabat studiis Romam reuersus est (cfr. Sen. nat. I, 2.1). Addit Plinius in II libro Historie naturalis cum Vrbem intraret apparuerunt stelle circa solem in modum corone posite (cfr. Plin. nat. II, 98). 11-13. solis … uirtus est: cfr. Aristot. meteor. III 3, 373a, 27-31 Sepius autem fiunt halo [sic] circa lunam, quia sol calidior existens citius dissoluit consistentias aeris. Circa autem astra fiunt quidem propter easdem causas, non significatiue autem similiter, quia paruas penitus insinuant consistentias et nondum fecundas. 13-16. Et est halo … sydera: cfr. Aristot. meteor. III 3, 373a, 22-24 Apparet autem quod quidem album, sol, circulo continue in unoquoque apparens speculorum et nullam habens sensibilem diuisionem. Si veda inoltre la nota a XIII.61,4. Per Nicola Oresme: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 100v) Sciendum est quod halo grece est, corona latine et est halo circulus paruus, albus, qui quandoque apparet circa solem et quandoque circa lunam quando aer est obscurus et quando nubes sunt multum dense, et aliquando apparet aliquid consimile uel proportionabile circa candelam ardentem. 23-26. in uicinia … sidus: cfr. Sen. nat. I, 2.3 (…) Non est autem quod existimemus istas, siue areae siue coronae sunt, in uicinia siderum fieri. Plurimum enim ab his absunt, quamuis cingere ea et coronare uideantur. Non longe a terra fit talis effigies, quam uisus noster solita imbecillitate deceptus circa ipsum sidus putat positam. 23. siue parahelion: cfr. nota a XIII, 61.2. xiii.61-62 62, 1-3. Vult … imbrium: l’intero capitolo altro non è che un “collage” di loci senecani, a dispetto di quanto dichiarato in apertura, dove Domenico cita come fonti Aristotele, Alchardianus e Guido Bonatti. Le previsioni legate all’apparizione degli aloni sono esposte da Aristotele in meteor. III 3, 372b, 18 e sgg. Propter quod et signum consistentia quidem aque est, tamen discerptiones et marcedines, hee quidem serenitatis, distractiones autem

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spiritus. Si quidem enim neque marcescat neque distrahatur, sed permittatur procedere propria natura, aque signum uerisimiliter est. Si noti anche THORNDIKE III, p. 710: Vbi coronam circa se habebit et eam serenam quoniam illo modo non ante plenam lunam hyematur ostendit; cfr. Plin. nat. XVIII, 348 (…) nisi si coronam circa se habebit et eam sinceram, quoniam illo modo non ante plenam lunam hiematurum ostendit. 3-4. si corona … tranquillitas: cfr. Sen. nat. I, 2.8: (…) et in semet ipsae euanuerunt, significatur quies aeris et otium et tranquillitas. 5-7. si fiat … tempestatem: cfr. Sen. nat. I, 13.3: (…) si a parte austri constiterunt, unde maxime nubes ingrauescunt; cum utrimque solem cinxit talis effigies, tempestas, si Arato credimus, surgit. Si veda anche Arato, Phaen. 884-86. 7-8. at si … illinc: cfr. Sen. nat. I, 2.8: cum ab una parte cesserunt, illinc. 7. ad unam partem: cfr. Sen. nat. I, 2.8 ad unam partem δFUW2, sed ab una parte Pincianus et edd., ob unam partem di ZRF1HPW1. 8. naute … periit: cfr. Sen. nat. I, 2.5: uentum nautici expectant unde contextus coronae periit. 9-10. si locis … tempestas: cfr. Sen. nat. I, 2.8: (…) si ruptae pluribus locis sunt, tempestas fit. 10-11. libro stellarum erraticarum, capitulo 40: cfr. E0, f. 108rb-va Et significat [parhelion], teste Arato (cfr. Arato Phaen. 877-89) et Policrato II libro De nugis curialium (cfr. Io. Sarisb. nug. II, 3), imbres plurimos ab ea parte uenturos ubi stat circa solem, sed si circumcirca fuerit grauem indicat tempestatem, eo quod ex uariis partibus aggregatur materia nubium et uentorum. Et ut dicit Nicolaus Orhem super Methaura talis aggregatio sit multum alte ideo est signum multe humiditatis; ibid. f. 109ra Et Alchardianus libro de presagiis: «Si circa — inquit — occiduum solem candidus fuerit circulus leuem noctis tempestatem significat, si nebula uehementiorem. (…) Si ater circulus ex qua regione se rumpet uentum predicit magnum». 11-13. nulla … dispergitur: cfr. Sen. nat. I, 2.6 : (…) numquam adice coronam colligi nisi stabili aere et pigro uento; aliter non solet aspici. Nam qui stat aer impelli et diduci et in aliquam faciem fingi potest; is autem qui fluit nec feritur quidem lumine (non enim resistit nec formatur, quia prima quaeque pars eius dissipatur). 63, 8-12. nam scribit … urinam: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 44r) (…) uidelicet de qualitate pluuiarum dicendum est quod quedam est pluuia que est pinguis et dulcis et magis aerea, et illa secundum Alberthum multum proficit plantis. Aliqua autem est pluuia que est aliqua re terrestris et adustiua et illa est magis pontic[i]a et illa quandoque exiccat terre

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nascentia et nocet eis multum et (…) sicut acetum uel urina. Per l’aggettivo ponticus, a, um si veda LEXICON VI, P 595: acer. xiii.62-65 64, 4-7. Nocte … a nobis: difficile stabilire la provenienza di questa notizia, che va a contrastare con quanto riportato dalle fonti principali. Infatti tanto Aristotele (cfr. meteor. I 12, 348b, 8-10) quanto Alberto Magno (cfr. Meteora II, 1, 21) sostengono che soprattutto in estate, o in generale nei giorni caldi, la pioggia è più abbondante e le sue gocce sono più grandi. 7-8. libro prouinciarum, capitulo India: (E0, f. 218rb) Quin etiam Marcus Polus, fere nobis contemporaneus, suo De uarietatibus prouinciarum orientalium «in India numquam pluit nisi de mensis Iunii, Iulii uel Augusti», dicens ibi fore tantum ardorem quod pro calore omnes incedant nudi et nisi pluuia temperaret cuncta animalia feruoribus morerentur. 65, 2. ampulle: cfr. LEXICON I, A 320: ampulla, ae id est guttus (ad usum liturgicum) et bulla. 3-17. fulices … serenitatem: cfr. THORNDIKE III, pp. 713-714: (…) tempestatem signabunt rane quoque ultra solitum uocales et fulices matutino clangore. Item conchi anates quoque penitus rostro purgantes, uentum. (…) Et cum terrestres uolucres circa aquam clangores dabunt profundentes sese sed maxime cornix, hirundo tamen iuxta aquam uolitans ut pennas sepe percutiat queque in arboribus habitantes fugiant in nidis suis et anseres continuos clangore intempestiue ardea in mediis harenis tristis. (…) Et boues celum olfactantes seseque lambentes contra pilum (…) uel formice concursantes aut oua progerentes. Item uermes terreni erumpentes (…); cfr. Plin. nat. XVIII, 362-64 Ranae quoque ultra solitum uocales et fulicae matutino clangore, item mergi anatesque pinnas rostro purgantes uentum. (…) et cum terrestres uolucres contra aquam clangores dabunt perfundentque sese, sed maxime cornix, hirundo tam iuxta aquam uolitans, ut pinna saepe percutiat, quaeque in arboribus habitant, fugitantes in nidos suos, et anseres continuo clangore intempestiui, ardea in mediis harenis tristis. (…) et boues caelum olfactantes seque lambentes contra pilum (…) uel formicae concursantes aut oua progerentes, item uermes terreni erumpentes. Tuttavia, i riferimenti ad alcuni animali, cioè ad esempio i galli e i millepiedi, non trovano riscontro nei due testi ora citati. Va sottolineato a tal proposito che dei pronostici legati all’osservazione del comportamento di questi animali in particolare, come degli altri citati nel testo, ha parlato Arato (Phaen. 957-58 καὶ ἀθρόοι ὦφθεν ἴουλοι / τείχε᾽ ἀνέρποντες, καὶ πλαζόμενοι σκώληκες e 960-62 Καὶ τιθαὶ ὄρνιθες, ταὶ ἀλέκτορος ἐξεγέοντο, εὖ ἐφθειρίσσαντο καὶ ἔκρωξαν μάλα φωνῇ οἴόν τε σταλάον ψοφέει ἐπὶ ὕδατι ὕδωρ) e questo induce a rafforzare l’ipotesi

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già in precedenza formulata100, secondo cui il libro De presagiis così spesso citato da Domenico era un’opera a sé stante rispetto al De presagiis pseudopliniano e agli iudicia di Alchardianus. 3. fulices: cfr Verg. ge. I, 362-63: (…) cumque marinae / in sicco ludunt fulicae. Si consideri che la forma filica per fulica è attestata in Dictionary of Medieval Latin from British sources, prepared by R. E. LATHAM and D. R. HOWLETT, I, Oxford 1975-1997, p. 1025. A questa variante grafica potrebbe essere accostata quella tramandata dai testimoni del testo, cioè filices al posto di fulices. 12. mordicans: cfr. LEXICON V, M 431: mordico, -are id est mordeo. 13. cursitant: cfr. LEXICON II, C 1367-68: cursito, -are, id est currere; STOTZ, VI 106.1 (Vol.II, p. 392). 18. sed plenius libro stellarum erraticarum: i capitoli del libro De stellis erraticis (E0, ff. 108va-109vb) a cui Domenico rimanda sono quelli in cui espone i presagi legati all’osservazione del sole, per lo più riproponendo la citazione di Alchardianus. 66, 2-3. terram … inebriet: si veda Isid. etym. XIII, 10.4 Imbres autem et ad nubes et ad pluuias pertinent, dictae a Graeco uocabulo quod terram inebrient ad germinandum; Vgut. deriu. C 117, 18 imber, -is pluuia et uis repentina; ad nubes et ad pluuias pertinet, dictus quia terram inebriet ad germinandum. 67, 5. teste Seruio: cfr. Seru. ad Aen. I, 51 ‘nimborum’ nimbi nunc uentos significant, plerumque nubes uel pluuias: ergo prout locus fuerit intellegamus. Proprie tamen nimbi uocatur repentinae et praecipitantes pluuiae; nam pluuias dicimus lentas et iuges. 6-7. nimbi … lente: si veda Isid. etym. XIII, 10.3 Sunt autem nimbi repentinae et praecipites pluuiae. Nam pluuias uocamus lentas et iuges, quasi fluuias, quasi fluentes. 68, 6. prius scripserat Plinius: cfr. Plin. nat. II, 147 Praeter haec inferiore caelo relatum in monumenta est lacte et sanguine pluisse M. Acilio C. Porcio consulibus (114 a.C.). xiii.65-68 7. dixit Tullius: cfr. Cic. diu. I.98 cum saepe lapidum, sanguinis non numquam, terrae interdum, quondam etiam lactis imber defluxit. 8-10. quod anno … irrigauere: cfr. Oros. hist. IV, 5.1 Anno ab Vrbe condita CCCCLXXX inter multa prodigia sanguis e terra, lac uisum est manare de caelo. Nam et plurimis locis scaturiens e fontibus cruor fluxit et de nubibus 100

Vedi la nota a XIII.7, 34.

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guttatim in speciem pluuiae lacte demisso, diri, ut ipsis uisum est, terram imbres inrigauerunt. 10-11. libro populorum, capitulo Vulsinenses: cfr. E1, f. 242ra (…) ut scribit idem Orosius preallegato libro inter multa prodigia sanguis de terra, lac de celo manare uisum est, (cfr. Re, f. 427rb) in pluribus locis scaturiens e fontibus cruor fluxit. Cfr. nota precedente. 11-12. quin etiam … inuasit: cfr. Oros. hist. IV, 5.6 Anno ab Vrbe condita CCCCLXXXI (266 a.C.) pestilentia ingens apud Romam conflagrauit. 12-14. Scribit … modum pluuie: cfr. Liu. XXII, 36.7 nam et Romae in Auentino et Ariciae nuntiatum erat sub idem tempus lapidibus pluuisse, et multo cruore signa in Sabinis, Caeretes aquas manasse. 14-15. Anno … pluuit: cfr. Liu. XXXIX, 56.6-7 Supplicatio extremo anno fuit prodigiorum causa, quod sanguine per biduum pluuisse in area Concordiae satis credebant, nuntiatumque erat haud procul Sicilia insulam, quae non ante fuerat, nouam editam e mari esse. Hannibalem hoc anno Antias Valerius decessisse est auctor. 20-22. In Italia … imbrium: la fonte dell’episodio è il Chronicon di Sigeberto di Gembloux101, che secondo Iacopo da Varazze data l’episodio all’anno 856. 24. Rabanus … imber similis: (E2, f. 331ra) Etiam his temporibus a celo cecidit per modum pluuie quedam ad nona [sic] grano similis; erant tamen breuiora grana. 25. qui sequitur: cfr. LEXICON VII, S 380: sequor, sequi conserva anche nell’uso medievale i significati che gli sono propri di “seguire, accompagnare, cercare di raggiungere”, e acquista anche quello di “dedurre, concludere da un ragionamento”: ex argumentis concludi. Il verbo è comunque usato impropriamente nel testo, forse con il significato di “proseguire dicendo”. Pertanto si può ipotizzare una correzione in prosequitur nel significato di deinde agere, tractare (cfr. LEXICON VI, P 1159). 25-30. anno ante … occisus est: probabile svista da parte di Domenico che attribuisce a Livio quanto invece leggeva in Plinio: cfr. Plin. nat. II, 147 item ferro in Lucanis anno ante quam M. Crassus a Parthis interemptus est omnesque cum eo Lucani milites, quorum magnus numerus in exercitu erat. Effigies quo pluit ferri spongiarum similis fuit. Haruspices praemonuerunt superna uolnera. L. autem Paulo C. Marcello cos. Lana pluit circa castellum Carissanum, iuxta quod post annum T. Annius Milo occisus est. 25-26. Crassus … esset: l’esercito di Marco Licinio Crasso fu annientato dai Parti nella battaglia di Carre del 53 a. C. 101 Cfr. SIGEBERTI GEMBLACENSIS Chronographia, ed. L. C.BETHMANN, in MGH, Script. VI, Hannouerae 1844, p. 341

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29-30. L. Paulo… occisus est: Lucio Paolo e Gaio Marcello furono consoli nel 50 a. C.; il castellum Carissanum di cui parla Plinio, oggi Cairano, era il presidio militare posto dai Romani a difesa della città di Conza, dove nel 48 a. C. morì Tito Annio Milone. 29. Cariphanum: cfr. Plin. nat. II, 147 carifanum (caruphanum) p, sed carissanum FEv et edd., carisanum R1a d capsanum R2. 31-33. Anno … persecutus est: cfr. Oros. hist. VII, 32.8-9 Horum anno imperii tertio Gratianus Valentiniani filius imperator est factus. Eodem anno apud Atrebatas uera lana de nubibus pluuiae mixta defluxit. Praeterea Athanaricus, rex Gothorum, Christianos in gente sua crudelissime persecutus, plurimos barbarorum ob fidem interfectos ad coronam martyrii sublimauit (…). 34. dicente causam: il ben noto processo per l’assassinio di Clodio Pulcro del 52 a.C. 35-36. quin etiam … legerim: per la testimonianza di Cicerone cfr. la nota a XIII, 68.6-7; cfr. Liu. XXII, 1.9 et Praeneste ardentes lapides caelo cecidisse; Val. I, 6.5 in Piceno lapidibus pluisse. 37. de Sexto Lucio Cesare: cfr. nota a XIII, 50.8. de G. Terencio Varrone: (E2, f. 395vb) (…) Tandem cum Hannibal infestauit Italiam cum maximo fauore plebis et auxilio tribunorum creatus est consul unus, ut in manu eius essent comitia in eligendo collegam, qui fuit L. Emilius Paulus anno quidem post Vrbem conditam 740 secundum Orosium in libro 4 (cfr. Oros. hist. IV, 16.1). Tamen priusquam ab Vrbe discederent uaria apparuerunt prodigia, quibus omnes territi sunt Romani. Nam Rome in Aduentino lapides pluit. 38. de Alexandro Magno: (E2, f. 25rb) (…) Scribit etiam Orosius libro III et Paulus supplector Eutropii libro II quod diebus quibus Magnus Alexander natus est saxea pluuia terram ueris lapidibus uerberauit (cfr. Oros. hist. III, 7.4). et Tulius Hostilius: (Vat. lat. 2029, f. 438ra): (…) Tullus Hostilius tertius rex Romanorum censum accepit quod adhuc per orbem terrarum incognitum erat nunciatum est Rome in Albano monte imbrem fuisse lapideum, quod cum uix crederetur a missis fide dignis teste oculo probatum est nec multo post Rome pestis incanduit. 38-39. libro ciuitatum, capitulo Preneste: (E0, f. 277vb) Liuius scribit II libro De bello punico ardentes pluuisse lapides eo tempore quo Hannibal uastabat Italiam (cfr. nota a XIII, 68.12-14). 39-42. Quin etiam … adusto: cfr. Plin. nat. II, 149 Celebrant Graeci Anaxagoran Clazomenium Olympiadis LXXVIII secundo anno praedixisse caelestium litterarum scientia, quibus diebus saxum casurum esset e sole, idque factum interdiu in Thraciae parte ad Aegos flumen, qui lapsi etiam

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nunc ostenditur magnitudine uehis, colore adusto, comete quoque illis noctibus flagrante. Cfr. H. DIELS – W. KRANZ, Die Fragmente der Vorsokratiker 59 A 11. xiii.68 42. uehibilis: cfr. Plin. nat. II, 149 uehibilis d2 et Robertus Cricklandensis, sed uehis edd. 42-46. Alexander Magnus … precepit: cfr. Alb. Meteora I, 4, 8 Admirabilem autem impressionem scribit Alexander ad Aristotilem in epistola de mirabilibus Indiae dicens quod ad modum niuis nubes ignitae de aere cadebant, quas ipse militibus calcare praecepit. In realtà nel testo dell’epistola attribuita ad Alessandro e diretta ad Aristotele si dice che egli diede ordine ai suoi soldati di calpestare la neve che era caduta abbondante, alla quale fece seguito una pioggia di fuoco102, per cui è evidente che sia Alberto Magno, sia Dante, citato immeditamente dopo, hanno confuso insieme i due fatti. 57-61. Cuius … niuis soluitur: cfr. Alb. Meteora I, 4, 8 Et hoc fuit ideo, quia sub Cancro est terra, ubi calor solis uaporem aqueum exurit et grossum terrestrem eleuat et statim exurit, antequam ad aestum eleuetur; et tunc a frigido loci expellitur et cadit ad modum niuis. 68-69. Alexander … imperator: Alessandro Severo, successore di Eliogabalo, fu imperatore dal 222 al 235 d.C. 71-74. licet … mutate sunt: cfr. Plin. nat. II, 147 (…) et saepe alias, sicut carne P. Seruio Sulpicio cos., exque ea non perputruisse quod non diripuissent aues; Val. Max. I, 6.5 Praecipue admirationis etiam illa prodigia, quae C. Volumnio Ser. Sulpicio consulibus in urbe nostra inter initia motusque bellorum acciderunt; bos namque mugitu suo in sermonem humanum conuerso nouitate monstri audientium animos exterruit. Carnis quoque in modum nimbi dissipatae partes ceciderunt, quarum maiorem numerum praepetes diripuerunt aues, reliquum humi per aliquot dies neque odore taetro neque deformi aspectu mutatum iacuit. L’anno del consolato di Publio Volumnio e Seruio Sulpicio è il 461 a.C. Si veda anche Liu. III, 10, 6 Inter alia prodigia et carne pluit, quam imbrem ingens numerus auium interuolitando rapuisse fertur; quod intercidit, sparsum ita iacuisse per aliquot dies, ut nihil odor mutaret. 75-76. in commentariis nostris super Valerio: cfr. Introduzione, p. 10. 76. Alchardianus in suis physicis experimentis: cfr. la nota a XIII.7, 34. 82-88. Circa annos … interfectus: cfr. Mart. Chron. A.D. 855 (imp.) 102 Cfr. ALEXANDRI MAGNI Epistola de mirabilibus Indie per Francisco Storella castigata, Neapoli 1555, f. 205v: (…) Cadere mox in modum uellerum in mense coperunt niues: quarum congregationem metuem ne castra cumularentur calcare militem iubebam. (…) una tamen res fuit saluti quod in momento temporis he delete sunt niues imbre superueniente largo, quem protinus atra nubes subsequuta est uiseque sunt nubes ardentes de celo tamquam faces decidere, ut incendio earum totus campus arderet.

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(p. 463) Ludouicus II imperauit annis 21. (…) Per idem tempus Normanni Aquitanie terminus repetentes, Andegauis, Turonis, Pictauis deuastant. Quibus Ranulphus dux Aquitanie occurrens perimitur, et ceteri a Normannis tamquam oues a lupis cunsumuntur. (…) Eodem etiam tempore in Brissia Ytalie tribus diebus et tribus noctibus sanguis de cello pluisse fertur. (…) Huius tempore Iohannes Scotus doctissimus in scripturis in Franciam uenit, et rogatu Ludouici Iherarchiam Dionisii de Greco transtulit in Latinum, qui postea per discipulos, quos docebat, stilis confossus mortuus est. 83-84. In Brixia … pluisse: cfr. XIII, 68.20-22 e la nota relativa. La data presente nel Fons, che fisserebbe il prodigioso evento all’anno 555 (l. 82), è chiaramente corrotta. 88. de Iohanne Scoto: (E2, f. 214ra-b) Iohannes ille theologus doctissimus in Scripturis a Scotia, unde sua erat ppago, nominatus Scotus cum uenisset in Galliam. (…) Demum a discipulis quos docebat cum stilis et graffiis occisus est. (…) His temporibus 3 diebus et 3 noctibus sanguis e celo cecidit in modum pluuie; locuste innumere apparuerunt in Gallia habentes alas senas, pedes senos et dentes lapidibus duriores. 88-90. Anno Domini … decidit: cfr. nota a XIII, 49.23-34. 91. sed tremenda … Pheton: (E2, f. 309va) Nam post multum temporis fit exorbitatio quedam, quam ut inflamationis uastitas consequatur necesse est, quod ponitur libro De elemento ignis sub rubrica De naturali diluuio ignis et aque. Legitur enim in Historia Scolastica super Exodum incendium sub Phetonte fuit illis temporibus quibus Dominus X plagis affligebat Egiptios. Idem dicit Orosius libro I et Phylosophus libro De mundo, quem misit ad Alexandrum, postquam incendium Phetontis fuisse dixit. Subiunxit subtiliter dicens flaminum et thyphonum incendia quandoque oppida subuerterunt (cfr. Oros. hist. I, 10.19 e Aristot. de mundo 6, 400a, 29-32 – Translatio Nicolai) 91-92. libro ciuitatum, capitulo Constantinopolis: (E0, f. 258ra) Hec ciuitas, ut scribit Orosius libro III temporibuis suis, id est anno post Vrbem conditam 1383, terremotibus fluctuabat et desuper celitus flamma pendebat, ut uerum esset quod scripsit Pamphilus dicens sepius impediunt iustos peccata malorum, stetitque fluctuans donec oraconibus Archadii principis Christiani populi presentem cladem Dominus exoratus auertit (cfr. Oros. hist. III, 3.2). È dunque al terremoto a cui Domenico allude quando scrive tremenda ponuntur riferendosi al breve capitolo dedicato alla città di Costantinopoli. 93-94. Quod … pluendo: cfr. Mart. Chron. A.D. 815 (imp.) (p. 462) Ludouicus I cum Lothario filio suo imperauit annis 25. (…) Huius etiam tempore in Gallia ante solsticium estiuale magna tempestate exorta cum grandine, ingens fragmentum glaciei cecidit, cuius latitudo 6 pedum et longitudo 15 et altitudo duorum fuit. 94-95. Libro De secte … Lodouico I: (E1, f. 14va) Eodem tempore ante

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solsticium estiuale orta tempestate cum grandine ingens fragmentum glaciei cecidit, cuius latitudo 6 pedum, longitudo 16 et altitudo duorum fuit. Sulla breve sezione storiografica inserita nella parte V del Fons cfr. Introduzione, p. 20. 95. libro uirorum, capitulo Rabanus: (E2, f. 331ra) Suo tempore in Gallia ante solsticium estiuale orta tempestate cum grandine ingens fragmentum glacei de celo cecidit per modum pluuie, cuius latitudo sex pedum, altitudo duorum, longitudo uero 15 fuit secundum quod scripsit Sigibertus. 69, 2-4. Ros … occurente: cfr. Bart. Angl. propr. XI, 6 Ros est impressio generata ex uapore frigido et humido, non congregato in corpus nubis, in inferiori parte medii intersticii aeris, paruo frigore occurrente. Sulla rugiada si veda anche Alb. Meteora II, 1, 3 (…) Inter uapores autem frigidos et humidos uapor roridus est, (…). Est uapor roris subtilior inter uapores humidos tempore serenitatis in die eleuatus numquam ascendens, nisi quando circa medium locum non inuenit uaporem frigidum se impedientem; et ideo ascendit altius inter uapores humidos. ascendit ergo ultra locum frigidarum inspissationum, qui est medium interstitium aeris. (…) In medio autem est temperatus, et ros generatur, qui temperatus est; e Aristot. meteor. I 10, 347a, 18-21 Ros autem cum concretus fuerit in aquam uapor, et neque sic fuerit estus ut exsiccetur sursum ductum, neque sic frigus ut congeletur uapor ipse, propterea quod aut locus calidior aut tempus it. 5-6. poete … Dyana: (E1, f. 111ra): Tullius autem in suo De natura deorum uult lunam nominari Dyanam quasi noctem, quasi diem faciat fulgure suo (cfr. Cic. nat. II, 68-69); (f. 111va) (…) Alcma tamen poeta lyricus dixit, referente Macrobio (cfr. Macr. sat. VII, 16.31), rorem ex luna ab aere genitum, quod quidem scientifice ac phylosophyce dictum est. Nam agente luna humidos uapores terre nec ualentes propter solis absentiam altius eleuari obstante frigiditate lune et aeris frigore alterati uertuntur in aquam tenuem que cadens estiuo tempore ros communi uocabulo appellatur. Sed in hyeme uapores illi condempsati a gelu in terram cadentes pruina sunt (Require libro de impressionibus aeris, cap. 69-70). xiii.68-69 6-8. Ros … uel grandinis: si veda anche Isid. etym. XIII, 10.9 Ros Graecum est, quod illi δρόσος dicunt. Alii putant ros dictum quia rarus est, et non spissus ut pluuia; Vgut. deriu. R 14, 3 Item a rarus hic ros -ris, quia rarus est et non spissus ut pluuia. 8-10. non … luna est: cfr. Aristot. meteor. II 10, 347a, 22 Fit enim magis ros in temperie et in temperate locis; 26-28 Fiunt autem ambo [i. e. ros et pruina] serenitate et tranquillitate: neque enim eleuabuntur non existente serenitate, neque constare poterunt utique uento flante.

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11-12. ros fit … septentrio: cfr. Aristot. meteor. II 10, 347a, 37-38 Fit autem ros ubique australibus, non borealibus. 13-14. flante austro: cfr. Alb. Meteora II, 1, 13 Dico autem iterum, quod licet ubique fiat ros quantum ad materiam humoris flante austro et materia eius abscidatur flante aquilonari uento. 15. Geruasius autem I Imperialium otiorum: Gervasio di Tilbury (Essex, 1150 / 1160 – 1230 ca.), giurista molto apprezzato presso le più importanti corti del suo tempo, passò parte della sua vita presso la corte prima di Enrico II e poi di Enrico III e negli ultimi anni del XII secolo presso Guglielmo II in Sicilia103. Gli Otia imperialia, l’opera che ha reso famoso Gervasio, sono tramandati da una trentina di manoscritti: essi erano dedicati all’imperatore Ottone IV e nati con lo scopo di provvedere all’istruzione del sovrano, ma anche al suo sollacium, come l’autore stesso dichiara nella prefazione. Il testo si divide in tre libri, detti dall’autore decisiones: il primo si presenta come un commento alla Genesi, attraverso cui si traccia la storia del mondo nei primi anni dopo la Creazione; il secondo è occupato dalla descrizione del mondo e dalla storia dei popoli che lo abitano; il terzo è una raccolta di mirabilia. Per quanto la materia cosmografica, geografica e storica trattata in alcune parti renda gli Otia vicini al genere enciclopedico ed accostabili ad opere quali lo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais o il De imagine mundi di Onorio di Autun, tuttavia essi non possono essere assegnati esclusivamente a questo genere letterario, ma si presentano come una compilazione letteraria che, senza alcuna presunzione scientifica, propone in una forma largamente accessibile e di piacevole lettura una summa delle conoscenze del tempo, in cui si alternano anche elementi di folklore e aneddoti di varia natura, ma che vorrebbe essere allo stesso tempo uno speculum principis. 16. uaporali: cfr. Geru. otia I, 12 uaporali CXQ, sed uaporabilis edd. 17. apparet … dicant: le due lezioni sono presenti solo nel codice N (cfr. Geru. otia I, 12). 18. euaporatione: cfr. Geru. otia I, 12 uaporatione β et edd., aporiatione N. xiii.69-70 70, 1-4. Messelach … testa: cfr. Alb. Meteora II, 1, 6 et dicit Messelach 103

In generale, si veda sull’autore e sulla sua opera l’introduzione all’edizione BanksBinns del testo degli Otia (pp. xxv-xcv), che contiene numerosi riferimenti bibliografici; altri importanti contributi sono quelli di R. BUSQUET, Gervais de Tilbury inconnu, in Revue historique 191 (1941), pp. 1-20; H. G. RICHARDSON, Gervase of Tilbury, in History 46 (1961), pp. 102-114; A. WOLF, Gervasius von Tilbury und die Welfen, Zugleich Bemerkungen zur Ebstorfer Weltkarte, in Die Welfen und ihr Braunschweiger Hof im hohen Mittelalter, ed. B. SCHNEIDMÜLLER, Wiesbaden 1995, pp. 407-438.

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quod si testa oui repleatur rore et claudatur optime foramen quod in calore forti solis ascendet a terra iuxta hastam positum, ideo quia humor roris subtilis est magis et ideo paucus, quia subtile separatum a grosso est paucum, et ideo paucus uapor praesupponit humidum spirituale subtile, quod est materia roris. 4-9. Scribit etiam … mellis: (St. Gallen, Stiftsbibliothek, cod. Sang. 839, f. 46v) At cadit ros fluens et fiscosus [uiscosus] ad modum mellis ad folia herbarum et ad flores et sole calefaciente et agente isto euaporatur illud humidum et comburit siccum terrestre et postea manet in poliis [foliis] herbarum ad modum farine, que sua siccitate exiccat herbas et nocet eis. Et quandoque ros cadit super gramina et illud humidum non est euaporatum, sed adhuc est sicut mel, animalia, precipue oues, uehementi appetitu comedunt illa gramina et herbas et quia mel non decoctum dissoluit uentrem, ideo etiam est quod oues comedentes illas ex fluxu uentris moriuntur. Si veda anche Alb. Meteora II, 1, 14 (…) Et non eleuatur ille nisi tempore caumatis, qui cum eleuatur, digeritur caliditate aeris humidum aereum digestione bona et permiscetur ei fortiter terrestre siccum. Et postea frigore temperato pinguescit humidum aereum et cadit ros fluens et uiscosus ad modum mellis super herbas et folia arborum. Sole autem agente in ipsum euaporat humidum, et comburitur in ipso terrestre siccum et efficitur, ac si forma subtilis sit sphaera super herbas et arborum folia, et sua siccitate exsiccat ea et comburit et inducit sterilitatem eis. Herbam autem, super quam cadit ros ille, appetitu uehementi comedunt animalia et praecipue oues. Et quia mel non decoctum soluit uentrem, ideo oues multum de ipso comedentes fluxu uentris moriuntur. 9-11. Quandocumque … pluuie: cfr. Alb. Meteora II, 1, 6 Ros autem omnis signum est serenitatis. (…) Vnde uapor paucus, qui est materia roris, subtilis est, quia non est paucus, nisi sit subtilis. Grossus enim uapor a calido ignito intra superficiem terrae existente et erumpente eleuatur. Sed subtilis eleuatur a calore superficiem terrae attingente, et ille est uapor roris et prior est uapor pluuiae. 13-23. quod in … uiniuersas: cfr. Geru. otia I, 12 (…) Non tamen negamus rorem alium de celo descendere, iusta illud: ‘De pinguedine terre et rore celi det tibi Deus’. Vnde apud antiquos maioris Britannie inoleuit quod in nocte natalis Domini ponunt manipulum auene sub diuo, aut uasculum aliquod plenum auene uel ordei, ut si fortassis, ut assolet euenire, pestis mortifera ceperit animalia tangere, ex illo uel ordeo uel auena cibentur, super quem asserunt rorem celestem nutu diuino quotannis hora natituitatis Domini descendere. Sed et de pane nocte illa sub diuo posito compertum habeo quod febricitantibus prodest, si tamen assit fides que operatur. Plurimos quoque uidimus potentes qui sancto die Pentecostes cibum non sumerent donec rorem

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de celis hausissent, uel super se descendentem sensissent, quod quandoque cicius, quandoque ardius eueniebat, sicut in sepulcro Domini solet nunc occius, nunc serius ignis cellestis in uigilia Pasce Ierosolimis quotannis uenire. Quello descritto da Gervasio è un costume legato ad una delle più antiche celebrazioni delle feste natalizie104; lo stesso si può dire per l’accensione delle lampade nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, la notte della vigilia di Pasqua, tradizione già descritta dal monaco Bernardo nel IX secolo105. 14. manipuli: cfr. LEXICON V, M 72: manipulus, i (uel manipla; manipula; -pola; maniplus; -plum), id est fascis frumenti aut straminis, aliter ad decimam pertinens. 15. assolet: la lezione è tramandata da N (cfr. Geru. otia I, 12). 20. quandoque: la lezione è frutto di un’aggiunta nel codice N (cfr. Geru. otia I, 12). 71, 2. pyr urens: cfr. Vgut. deriu. P 92, 34 Item a pir hec pruina -e, frigus uel gelu matutini temporis, quia urit sicut ignis; frigus enim sicut calor urit; Isid. etym. XIII, 10.8 Pruina est matutini temporis frigus, quae inde pruina nomen accepit quia sicut ignis urit; πῦρ enim ignis. 4-16. Dicit enim … mollificet: La citazione di Aristotele non è diretta, come invece farebbe supporre la consueta maniera di introdurre la fonte citata (ll. 4-5 Dicit enim Phylosophus II Metheororum quod), ma viene per intero da Alberto Magno. Domenico ce ne dà conferma precisando teste Alberto Magno preallegato loco (l. 7). A proposito della immedesimazione tra il filosofo antico e il filosofo medievale, si veda la nota a XIII.7, 11-14. Cfr. Alb. Meteora II,1, 8 (…) Dicit autem Aristoteles quod cum eleuatur uapor ex acqua et frigus, quod obuiat ei die et nocte, est uehemens ualde, illud frigus aggregat ipsum et spissat. (…) et hoc frigus frequenter est ex tempore uel ex aere, ex tempore quidem, sicut quando recedit sol per utrumque motum. (…) Ex aere autem est frigus in uere et in autumno, et ideo tunc multiplicantur pruinae. In uere enim adhuc in aere est frigus, quod induxerat frigidi uapores et nubes hiemis in ipsum, et illud sole accedente propellitur inferius. Ed ideo comprehendit subtilem uaporem eleuatum et conuertit ipsum in pruinam. (…) In autumno autem propter descensum solis a nobis multiplicantur nubes frigidae, quae eleuatae infrigidant aerem. Et ideo cum recedunt nubes, remanet aer frigidus et comprehendit uaporem et congelat ipsum in pruinam. 104 Cfr. F. LIEBRECHT, Des Gervasius von Tilbury “Otia imperialia” in einer Auswahl neu herausgegeben und mit Anmerkungen begleitet, Hannover 1856, pp. 54-56: l’autore elenca altre simili tradizioni di offerte di grano e fornisce anche altri esempi della credenza del potere terapeutico e profilattico della rugiada. 105 Cfr. J. WILKINSON, Jerusalem pilgrims before the Crusades, Warminster 1977, pp. 142144.

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(…) Cum autem sit subtilis uapor pruinae, uniuersaliter ab ipso expellitur calidum subito. Et ideo nihil est, quod mollificet uaporem conuersum et congelatum. 16. mollificet: cfr. LEXICON V, M 395: mollifico, -are, id est mollem facere. 72, 1-2. Glacies … aqua: si veda anche Vgut. deriu. G 39, 6 Gelu componitur cum aqua et dicitur glacies – ei quasi gelaquies, idest glacie stringere; Isid. etym. XIII, 10.6 et glacies a gelu et aqua, quasi gelaquies, id est gelata aqua. xiii.70-73 73, 3-4. Grando … representet: si veda anche Vgut. deriu. G 86, 6 Item a grandis hec grando -nis, quasi grandis data, uel grando deriuatur a grano propter similitudinem. 4-5. ut scribit Phylosophus II Metheororum: l’indicazione del libro dei Mετεωρολογικά è senza dubbio corrotta, dal momento che la grandine è oggetto della trattazione del libro I (347b, 13 – 349a, 11). 9. nubibus: in Ovidio si legge niuibus (cfr. Ou. met. IX, 221). mole: cfr. Ou. met. IX, 221 mole A., sed molle R. Regius et edd. 11-13. Causa … flamine: cfr. Alb. Meteora II, 1, 26 (…) Est autem materia grandinis nubes calidissima, hoc est, quae de uapore calidissimo in loco frigido est generata. Est autem haec calidissima dicta, non quod fortiter teneat caliditatem, sed accidentali caliditate calidissima est, quae facta est ex radiis solis, quando eleuabatur. Si enim fortiter teneret calidum, tunc non conuerteretur subito in grossas partes nec subito congelaretur. 13-14. Cadunt … nocte: la notizia che la grandine cade con maggiore frequenza in estate e in primavera era rintracciabile in Aristotele meteor. I 12, 348a, 1-2 grandines autem fiunt uere quidem et autumpno maxime, deinde autem et tempore fructuum, hyeme autem rarius, et quando minus fuerit frigus; 348a, 19-20 Propter quod et estate magis et in calidis regionibus fieri grandines, quoniam ad plus calidum sursum pellit a terra nubes. Poco più oltre segue una precisazione: 348b, 26-30 Minus autem estate fit quam uere et autumpno, magis tamen quam hyeme, quia siccior aer estate. In uere autem adhuc humidus, in autumpno autem iam humectatur. Diversamente, Alberto Magno sostiene che la grandine si produce con minore frequenza in estate perché il calore determinando un’evaporazione eccessiva consuma il vapore acqueo che è la materia costituente della grandine: Meteora II, 1, 25 (…) Sed tunc potest esse dubium, quare non generatur grando frequentius in aestate, cum hoc tempus sit calidissimum, et quare non frequentius generatur in autumno, cum autumnus secundum solis motum aequalis sit propinquitatis [sic] solis, sicut est tempus uernum. Cuius causa est, quia ideo raro generatur in aestate, quia calor solis tunc fortis existens plus se-

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cundum naturam consumit de humore quam eleuet; (…) et ideo praeciditur secundum plurimum materia grandinis et aliarum impressionum. In entrambe le fonti non è presente alcun riferimento al momento della giornata in cui la grandine sarebbe più frequente, cioè, stando a quanto scritto nel Fons, durante il giorno rispetto alla notte. 14-15. secundum Phylosophum III Metheororum: cfr. nota a XIII, 73.4-5. 20-24. Nam … soluatur: cfr. Alb. Meteora II, 1, 28 (…) Et ideo in lateribus, ubi cum impetu tangit aerem calidum, per quem est motus eius, resoluitur et rotundatur et minoratur eius mensura ante aduentum eius ad terram. Et cadit illa grando cum plurima aqua (…). Grandini autem, quae descendit ex locis, quae propinqua sunt terrae, contrarium accidit, quia nec parua est nec omnino rotunda est. 26-28. Grando … sequi semper: cfr. Alb. Meteora II, 1, 29 (…) grando cadens non solum destruit fructus, quos inuenit, sed etiam impedit fertilitatem terrae in sequenti anno et ea, quae percutit, reddit inutilia intantum quod etiam iumenta non delectabiliter accipiunt ea in cibum, quod non facit gutta magna; ID. ueget. VII, 19 Aqua autem niuium et grandinum, nisi diu stet, antequam ad plantas effluat, plurimum infert plantis nocumentum sua frigiditate. Est enim in ea frigiditas mortificans radices, et congelans humidum laetaminis: et hoc nocumentum non de facili aufertur. Cuius signum est, quia terrae niuosae parum proferunt germinis; et quod proferunt, est immaturum. (…) Hoc autem uidemus in terris grandinatis et agris, quoniam infra tres annos uix postea referuntur ad cultum. 28-29. ut patet liber aquarum dulciarum, capitulo 15: (E0, f. 171ra) Isaac aqua frigida est pessima neruis, stomachi et intestinorum, generat dolorem uentris, stricturam pectoris et in omnibus instrumentis hanelitus et crepatura in suius uenis, et utentes assidue ueniunt in spasmum et patienter membrorum dormitionem et epylensiam106. (f. 171rb, in fine) Aqua niuis secundum Auicennam mala est senibus et omnibus habundantibus, humore flegmatico nocet neruis et stomacho in quo generat humores frigidos (Require libro de impressionibus aeris, capitulo 74). Aqua grandinis est pessima, ut scribit Constantinus: «Aqua niuis et grandinis auget splenem, generat lapidem» etc. (Require libro de impressionibus aeris, capitulis 71, 74). 30. grauamen: cfr. LEXICON IV, G 146: grauamen, inis, id est grauitas, onus, damnum, molestia. 74, 2-5. Sepius … uertitur: cfr. Sen. nat. IVb, 4.1-2: (…) quaeritur autem quare hieme ninguat, non grandinet, uere iam frigore infracto cadat grando. 106 Per il termine epsylensiam si veda la nota a XIII.40, 47; Isaac è Isacco Iudeus, a proposito del quale si veda la nota a XIII. 76, 16-17.

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(…) hieme aer riget et ideo nondum in aquam uertitur sed in niuem. Domenico spiega il primo quesito (quare hyeme ningat) attraverso le parole di Seneca, ma, nonostante le Naturales quaestiones gli chiarissero immediatamente dopo per quale ragione in primavera sia più frequente la grandine della neve (cum uer coepit, maior inclinatio aeris sequitur, et calidiore caelo maiora fiunt stillicidia), egli ha preferito riportare la spiegazione di Alberto Magno, Meteora II, 1, 25 (ll. 8-18), forse ritenendola più esauriente. 3. grando cadat: cfr. Sen. nat. IVb, 4.1 grando cadat ψ, sed cadat grando Z et edd. 19-26. quosdam … sanguinis: cfr. Sen. nat. IVb, 6.1-2 (…) Quosdam peritos obseruandarum nubium esse affirmant et praedicere cum grando uentura sit. Hoc intelligere usu ipso potuerunt, cum colorem nubium notassent quem grando totiens insequebatur. illud incredibile, Cleonis fuisse publice praepositos χαλαζοφύλακας, speculatores uenturae grandinis. Hi cum signum dedissent adesse iam grandinem, quid expectas? Vt homines ad paenulas discurrerent aut ad scorteas? Immo pro se quisque alius agnum immolabat, alius pullum: protinus illae nubes alio declinabant, cum aliquid gustauerant sanguinis. La curiosa descrizione dei riti apotropaici che Seneca attribuisce alla città di Cleone (cfr. RE XI 1, 172 e sgg.) doveva aver colpito Domenico, che però nel citare le Naturales quaestiones omette il dato geografico e si limita a parlare in generale di “esperti” (l.19 peritos: sono i χαλαζοφύλακας di cui parla Seneca, ovvero gli speculatores uenturae grandinis) in grado di prevedere la grandine, e delle reazioni che facevano seguito all’annuncio del suo imminente arrivo, come se questa convinzione di allontanare le nubi attraverso il sangue — fosse quello di un agnello, di un galletto o, in mancanza di una vittima, addirittura quello che si ottiene pungendosi un dito (vd. infra) — fosse diffusa e condivisa tra tutti gli antichi, quando invece si legava esclusivamente ad una determinata realtà geografica. 21. potuisse: cfr. Sen. nat. IVb, 6.1 potuisse δ, sed potuerunt ZθρU, W1 ut uid. et edd., potusse W2. 22-23. eodem libro, capitulo 58: cfr. XIII.58, 6. 26. gustassent: cfr. Sen. nat. IVb, 6.2 gustassent ψ, sed gustauerant Z et edd. xiii.73-74 30-33. Siquis … fuerat: cfr. Sen. nat. IVb, 6.3 Hoc rides? Accipe quod magis rideas: si quis nec agnum nec pullum habebat, quod sine damno fieri poterat, manus sibi afferebat et ne tu auidas aut crudeles existimes nubes, digitum suum bene acuto graphio pungebat et hoc sanguine litabat; nec minus ab huius agello grando se uertebat quam ab illo in quo maioribus hostiis exorata erat. 33. uertebat: cfr. Sen. nat. IVb, 6.3 uertebat Zθρ et edd., auertebat δ. 36-38. Quis enim … delusionem esse: anche queste parole che commen-

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tano l’aneddoto degli speculatores grandinis uenturae e l’impossibilità razionale di scendere a patti con la grandine provengono da Seneca, sebbene il testo sia stato fortemente alterato da Domenico: cfr. Sen. nat. IVb, 7.1-2: (…) negant posse fieri ut cum grandine aliquis paciscatur et tempestates munusculis redimat (…). Quanto expeditius erat dicere: «mendacium et fabula est». 39. carmine … grandines: cfr. Cat. agr. 150, dove viene illustrato l’importante lustratio agri, il rito propiziatorio che aveva come fine la liberazione del campo da potenziali pericoli. In effetti qui non si parla esplicitamente della grandine, ma è invocato Mars pater affinché tenga lontano «mali visibili e invisibili, sterilità e devastazione, calamità e intemperie». 40. magicam: cfr. LEXICON V, M 11: magica, ae, id est ars magica, magia; per l’ellissi di ars cfr. STOTZ IX 89.1. 40-42. Dicunt … contra celum: cfr. Alb. ueget. VII, 170 Contra grandinem autem et fulgur dicunt ualere, si secures et gladii cruentati minaciter contra coelum eleuentur. 75, 2-3 Secundus phylosophus: il Neopitagorico Ateniese Secundus, detto Taciturnus, vissuto durante il regno dell’imperatore Adriano, era noto agli uomini del Medioevo attraverso una biografia che fu tradotta dal greco in latino da Willelmus Medicus (Guillaume La Mire), ma della quale esistevano anche una versione araba, una armena ed una siriaca; il testo conobbe ampia fortuna dal momento che nel mondo cristiano venne interpretato come un martirologio. Lo stesso Vincenzo di Beauvais ne inserì una versione abbreviata nel suo Speculum historiale (X, 71). In questa breve biografia si spiega l’origine del suo soprannome, dovuto alla volontà del filosofo stesso di non fare più uso della parola dopo aver causato con i suoi discorsi la morte della madre, e si descrive il suo incontro ad Atene con Adriano, che volle mettere alla prova il suo voto. Il filosofo resistette anche alla tortura e alle minacce di morte e questo convinse l’imperatore della sua forza. Allora Adriano lo invitò a rispondere per iscritto alle sue domande: questo breve e schematico elenco di risposte a quesiti di tipo filosofico comprende anche quella a proposito della neve, qui ricordata da Domenico (Quid nix? Aqua sicca), che però è tramandata soltanto da alcuni dei testimoni del testo e che, ad esempio, non è presente nello Speculum di Vincenzo di Beauvais107. 107

Cfr. R. REICKE, Vita Secundi Atheniensis Philosophi, in Philologus 18 (1862), pp. 523534; B. E. PERRY, Secundus, the silent philosopher, New York 1964; ID., Anonymus, Vita Secundi philosophi, in Catalogus translationum et commentariorum: Mediaeval and Renaissance latin Translation and Commentaries, ed. P. O. KRISTELLER – F. E. CRANZ, II, Washington 1971, pp. 1-3.

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COMMENTO XIII.74-75

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3. a nube dicta: si veda anche Vgut. deriu. N 62, 16 Item a nube hec nix -uis, quia a nube uenit; Isid. etym. XIII, 10.5 Nix a nube, unde uenit. 8-9. Ad cuius … imbrium: cfr. Alb. Meteora II, 1, 15 (…) Similiter frigus temperatum est generans rorem. Sed intemperatum non excellens generat pluuiam. Excellens autem generat niuem et pruinam. 11-12. Plerumque … terram: cfr. Ambr. exam. II, 4, 16 Plerumque etiam glacialibus uentorum flatibus rigentes aquae solidantur in niuem et rupto aere nix funditur. 13-16. Remissius … eam: cfr. Alb. Meteora II, 1, 17 (…) Est autem materia niuis (…) nubis calida. Cum enim sol radiis calefacit inferiora elementa, eleuat ex eis uaporem, in quo est uis caloris, qui calor etiam secum inducit multum de aerea substantia, qui postea eleuatus ad locum frigidum inspissatur in nubem, et frigidum loci incipit expellere calidum. Et si frigus illud est excellens, aut expellit subito calidum ante conuersionem nubis in aquam aut expellit non subito. Et si quidem subito expellit, tunc fit dura congelatio ex illo sicut pruina. Si autem non subito, tunc calidum aereum temperatum, quod congelationem impedire non potest, remittit tantum effectum maximi frigoris, qui effectus est indurare congelatum, et ideo nix cadit mollis manibus comprehensibilis de facili. xiii.74-75 16-28. Nec … cecidisse niuem: cfr. Alb. Meteora II, 1, 17 (…) Cum autem frigus in aere sparsum non sit nisi principaliter in hieme et secundario in fine autumni et principio ueris propter coniunctionem, quam habet cum hieme, patet iam causa, quare nix non generatur nisi in hieme uel in fine autumni uel in principio ueris. (…) Loca autem montuosa uaporosa sunt uehementer, et quia intra se praefocant uaporem, inspissant eum. Et frigus est diffusum intra loca illa omni tempore, eo quod attingunt ad locum medium frigidum. Et ideo ibi multae niues generantur et in altioribus montibus perpetuo conseruantur. Ex his patet etiam per oppositum quod loca plana meridionalia uel non habent niues uel paucas habent et non diu conseruant eas. 28-38. Sed tu dices … maius altero: cfr. Sen. nat. IVb, 11 Contra quidam aiunt cacumina montium hoc calidiora esse debere quo propiora soli sunt. Qui mihi uidentur errare, quod Appenninum et Alpes et alios notos ob eximiam altitudinem montes in tantum putant crescere ut illorum magnitudo sentire solis uiciniam possit: excelsa sunt ista quamdiu nobis comparantur; at uero ubi ad uniuersum respexeris, manifesta omnium est humilitas. (…) Qui dicit altiorem montem, quia solem propius excipiat, magis calere debere, idem dicere potest longiorem hominem citius quam pusillum debere calefieri et caput quam pedes (…). Montes isti quos suspicimus et uertices aeterna niue obsessi nihilominus in imo sunt; et propius quidem est a sole mons quam campus aut uallis, sed sic quomodo est pilus pilo crassior. Isto enim modo et arbor alia magis quam alia dicetur uicina caelo; quod est falsum,

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quia inter pusilla non potest magnum esse discrimen, nisi dum inter se comparantur. Vbi ad collationem immensi corporis uentum est, nihil interest quanto sit alterum altero maius, quia etiamsi magno discrimine, tamen minima uincuntur. Domenico trascura quei paragrafi in cui Seneca descrive l’uniformità della superfice terrestre, su cui anche le cose più grandi sono niente se confrontate con il cosmo, paragonandola ad una palla (nat. IVb, 11.2 Inter se uincuntur … collatione consumitur). Tralasciando le riflessioni del filosofo sulla posizione occupata dalla terra all’interno dell’universo, egli si limita a cogliere i concetti più strettamente legati all’argomento e quindi quelle pratiche osservazioni sul fatto che dire che un monte più elevato è più caldo è come dire che la testa si scalda prima dei piedi, concludendo che si può stabilire una scala gerarchica di grandezze soltanto quando si paragonano tra loro cose piccole, non quando queste vengono messe in rapporto a ciò che è incommensurabile. 29. celo proximiora: l’espressione, pur alterando il senso delle parole di Seneca, il quale parla del sole (propiora soli) e non vagamente del cielo come fa invece Domenico, sembrerebbe riproporre l’ordo uerborum conservato nel ramo δ che tramanda soli propiora rispetto a propiora soli di Zθπ (cfr. Sen. nat. IVb, 11). 30. montes ob eximiam altitudinem: come già si è detto nella nota precedente, l’ordo uerborum suggerisce una vicinanza al testo di δ (e della seconda mano di W) dove si legge montes ob eximiam altitudinem notos rispetto a notos ob eximiam altitudinem montes di ZθρW1. 36-37. eo modo … dicitur: si noti che in questo caso il testo del Fons si discosta dalla tradizione della famiglia δ, che è caratterizzata dall’omissione per ‘saut du même au même’ di campus aut uallis, sed sic quomodo est pilus pilo crassior. Isto enim modo et arbor alia magis quam (Sen. nat. IVb, 11.5). 76, 3-7. Niuis … alit eas: un riferimento alla fecondità della terra bagnata con neve sciolta si legge in Alb. Meteora II, 1, 16 (…) Et ideo etiam aquae niuis resolutae fecundant multum terras et faciunt crescere semina, quia calidum paulatim egrediens temperat in eis frigiditatem et sunt bonae commixtionis cum aereo et terrestri. 8-14. Aqua … plantas nutrit: cfr. la nota a XIII. 73, 26-28. Il testo citato prosegue in questo modo: Sed aqua pluuiae, licet sit frigida, tamen excellentiam frigoris non habet, et habet caliditatem ex nube, ex qua descendit, et uaporabilitatem. Ros autem est calidus et humidus et dulcis, qui de facili mouetur ad membra plantarum. 14. capitulo 15 libri aquarum dulciarum: cfr. nota a XIII.73, 28-29. 16. Ysaac libro De dietis particularibus: Isaac Iudaeus è la forma latiniz-

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zata del nome di un medico ebreo di origine egiziana, Isaac Israeli Ben Solomon (Ishâq ibn Sulaymân al-Isrâ’ílí), vissuto orientativamente tra l’855 e il 955, massimo rappresentante della medicina sviluppatasi nella città tunisina di Kairouan. I suoi interessi furono molteplici e riguardarono anche la filosofia: infatti compose trattati di metafisica e logica, un trattato sulla differenza tra l’anima e lo spirito e un commento filosofico alla Genesi in 2 libri108. Alcune delle sue opere di medicina generale si diffusero in Europa grazie alle traduzioni latine realizzate dal monaco Costantino l’Africano nell’XI secolo, che furono usate come libri di testo presso la Schola Medica Salernitana. Tra queste si possono ricordare il De febribus, il De urinis e soprattutto il De diaetis uniuersalibus et particularibus, qui citato nel Fons, che fu commentato da Pietro Ispanus109. Il testo fu edito per la prima volta a Padova nel 1487 da Matteo Cerdone e in seguito nel 1515 a Lione (Omnia opera Ysaac in hoc uolumine contenta, cum quibusdam aliis opuscolis…). Le due opere De diaetis sviluppano una completa teoria dell’alimentazione e divennero molto famose tra i medici per la loro ricchezza di contenuto e per la loro chiarezza espositiva, tanto che vennero incluse nel curriculum dell’università di Parigi come testi fondamentali già verso il 1270. La tematica del Liber diaetarum uniuersalium si congiunge direttamente alla tradizione classica, alla quale Isacco si richiama già nel prologo, e che viene sviluppata nei 66 capitoli che lo compongono. Egli riprende la tesi galenica sull’alimentazione, secondo cui ciò che si ingerisce ha la proprietà di incorporarsi alla sostanza del nostro organismo; molti alimenti inoltre hanno proprietà simili alle medicine, per questo è necessario mostrare in dettaglio le loro caratteristiche, argomento questo del Liber diaetarum particularium, diviso in 5 parti (cereali e legumi; frutta; verdure; animali; prodotti degli animali, pesci, acqua e vino). xiii.75-76 17-24. Nix … aceto: cfr. Isaac diet. part. V De niue: (…) Proinde omnibus corporis neruis nocet, et dentibus maxime senibus, propter defectionem suorum neruorum: percutit enim stomachum eorum, pectus, et omnia uiscera, generat in spiritus instrumentis angustiam, spasmum, paralysim: et omnia haec in senibus cito apparent. Pueris uero, et iuuenibus non cito talia eueniunt, pro naturali eorum calore frigiditati repugnante: sed tamen si ea assuescant, nocet eis: praecipue nerui eorum incidunt in hanc passionem, de qua nullo modo possunt euadere. Cfr. Auic. Canon I (3), 3, 8 Complexionibus temperatis aqua conuenientior est, quae in frigiditatis fortitudine temperata existit et cuius infrigidatio cum niue deforis sit, praecipue si nix mala fuerit. 108 Cfr. Isaac Israeli, a neoplatonic philosopher of the early tenth century, by A. ALTMANN – S. M. STERN, Oxford 1958. 109 Per un’analisi di questo commento si veda THORNDIKE II, pp. 502-510.

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Et in niue etiam bona huiusmodi existit dispositio: quoniam quod ex ea resoluitur neruis et membris anhelitus nocumentum facit et omnibus interioribus neque tolerat eam nisi uehementer sanguineus quod si non illico nocumentum alicui fecerit secundum longitudinem dierum faciet et cum in annis processerit. Empiricorum autem quidam dixerunt quod inter aquam putei et fluminis non est facienda coniunctio nisi cum una earum descenderit. Et aquae quidem electionem iam demostrauimus et similiter emendationem eius quae ex ea mala est, sed tamen si aceto misceatur rectificatur. 23. successiue: cfr. nota a XIII, 16.8. 25-27. nec expertus … incedunt: cfr. Sen. nat. IVb, 5.3 Illud quoque adiciunt, quod nec sum expertus nec experiri cogito (…) minus algere aiunt pedes eorum qui fixam et duram niuem calcant, quam eorum qui teneram et labefactam.

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INDICI

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INDICE DEI MANOSCRITTI Berlin, Staatsbibliothek Ham. 97 Bruxelles, Bibliothèque Royale ms. 1486

p. 159 p. 8

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Barb. lat. 178 p. 133 Barb. lat. 4110 p. 112 Chigi G.VIII.234 p. 14; 22; 37 Chigi G.VIII.235 p. 14; 22 Chigi G.VIII.236 p. 14; 22 Chigi G.VIII.237 p. 14; 22 Chigi M.VIII.169 p. 112 Ott. lat. 1870 p. 127 Pal. lat. 922 p. 14; 22; 38 Pal. lat. 923 p. 14; 22 Pal. lat. 1363 p. 124, n. 23 Pal. lat. 1370 p. 124, n. 23 Pal. lat. 1403 p. 159 Reg. lat. 1140 p. 14; 21; 22, n. 44; 37; 172; 189; 197 Ross. 1155 p. 14; 17, n. 31 e 32; 18, n. 33; 22 e n. 45; 23; 38 Ross. 1156 p. 14; 22; 23 Ross. 1157 p. 14; 22; 23 Urb. lat. 300 p. 20; 23 Vat. lat. 2028 p. 14; 22; 38 Vat. lat. 2029 p. 14; 198 Vat. lat. 2226 p. 133 Vat. lat. 3121 p. 23 Vat. lat. 4087 p. 124, n. 23 Vat. lat. 4110 p. 21, n. 42 Vat. lat. 4111 p. 21, n. 42 Vat. lat. 4112 p. 21, n. 42 Vat. lat. 4113 p. 21, n. 42 Vat. lat. 4114 p. 21, n. 42 Vat. lat. 4595 p. 188 Vat. lat. 5530 p. 191 Vat. lat. 9964 p. 10, n. 13 Edinburgh, University Library ms. 132 p. 124, n. 23 El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio f. III.8 p. 123, n. 23 E.III.14 p. 124, n. 24

Erlangen, Universitätsbiliothek I, 396 Fermo, Biblioteca Comunale ms. 4

p. 163 p. 23

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Aed. 170 p. 14; 17, n. 30; 21; 37; 134; 142; 144; 148; 149; 150; 154; 155; 171; 175; 183; 185; 192; 194; 195; 196; 198; 200; 206 Aed. 171 p. 11, n. 16; 21; 40, n. 11; 134; 144; 150; 165; 167; 171; 172; 175; 201 Aed. 172 p. 11, n. 16; 19, n. 38; 21; 129; 143; 147; 149; 151; 152; 154; 155; 172; 173; 193; 197; 198; 200; 202 ms. XXVI sin. 2 p. 11, n. 16 Antinori 150 p. 166 Ashb. 1279 p. 14; 21 Fondo Redi 159 p. 24 Gadd. reliq. 126 p. 17, n. 29; 23 plut. 30, 30 p. 128 plut. 73.43 p. 166 –, Biblioteca Nazionale Centrale ms. II.I.61 p. 9, n. 10 ms. II.II. 457 p. 133 ms. II.II. 457 p. 133 ms. II.VIII.37 p. 112 ms. J.5.4 p. 133 Conv. Sopp. I.IX.2 p. 24 Landau 260 p. 8 Magliab. VIII, 1412 p. 7, n. 2 Magliab. IX.127 p. 21 Nuove Accessioni 412 p. 8, n. 7 Panciat. 68 p. 7, n. 2 –, Biblioteca Riccardiana ms. 825 ms. 870 ms. 2164 ms. 2229 Glasgow, University Library ms. Ferguson 209

p. 23 p. 9, n. 10 p. 112 p. 112 p 159

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INDICE DEI MANOSCRITTI

León, Archivo de la catedral ms. 22

p. 191

London, British Library Add. 15236 Harl. 2458 Laud. Misc. 594 –, Lambeth Palace Library ms. 35

p. 125 p. 7, n. 2 p. 127 p. 14; 22; 39

–, Middle Temple Library ms. E.C. 4

p. 159

Madrid, Biblioteca Nacional de España ms. 1983 p. 14; 21; 37 ms. 10029 p. 191 Milano, Biblioteca Ambrosiana A 117 inf. p. 23 H 174 inf. p. 7, n. 2 L 92 sup. p. 124, n. 24 Modena, Biblioteca Estense a.V.9.1

p. 8

Münich, Bayerische Staatsbibliothek Clm 10268 p. 123, n. 23; 124 Clm 10663 p. 124, n. 24 lat. 677 p. 126, n. 29 Oxford, Balliol College 238 A-E

p. 14; 22; 39

–, Bodleian Library Bodley 266 Canon. Misc. 555

p. 123, n. 23 p. 124, n. 24

Padova, Biblioteca universitaria ms. 653 Paris, Bibliothèque Mazarine ms. 3643

–, Bibliothèque nationale de France lat. 7486 p. 125 lat. 8047 p. 7, n. 2 lat. 11125 p. 163 lat. 14070 p. 124, n. 23 lat. 15156 p. 140, n. 48 lat. 16926 p. 24 lat. 17868 p. 126, n. 30 Nuov. Acq. lat. 880 p. 24 Nouv. Acq. lat. 1401 p. 123, n. 23 Pavia, Biblioteca Universitaria Aldini 504 Prato, Raccolta Guasti ms. 32 Siviglia, Biblioteca Columbina ms. 7.5.2

p. 23; 39 p. 21 p. 8

Solothurn, Zentralbibliothek S 386 p. 126, n. 29 S 474 p. 126, n. 29 St. Gallen, Stiftsbibliothek cod. Sang. 839 p. 41; 140; 141; 142; 146; 187; 193; 194; 203 Torino, Biblioteca Nazionale D. I. 8

p. 23; 39

Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana lat. 3177 p. 23 lat. 3379 p. 23 ms. XIII.47 p. 8

p. 7, n. 2

Wien, Österreich Nationalbibliothek lat. 3124 p. 124, n. 23 lat. 3394 p. 124, n. 23

p. 133

–, Schottenkloster Stiftsbibliothek ms. 249 p. 7, n. 2

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI* Adrianus Caesar XIII.75, 3; comm. p. 208 Aegos (flumen) XIII.68, 41 Aegyptii XIII.40, 35 Aegyptus XIII.28, 7; 51, 5; 51, 11 Aemilianus uide Aemilius Paulus Aemilius Paulus, Lucius XIII.2, 40; 2, 41; comm. p. 117. Aeneas XIII.32, 6 Aeolia (insula) XIII.67, 4 Aeolus XIII.33, 4; 35, 9; 39, 5; 49, 20; comm. p. 155 Africa XIII.40, 42 Agamemnon XIII.36, 23 Aiax XIII.19, 10; comm. p. 143 Albertus Magnus XIII.4, 2; 5, 3-4; 6, 2-3; 6, 13; 8, 10; 9, 16-17; 13, 2; 13, 6; 13, 10; 15, 3; 15, 18; 17, 4; 18, 6; 18, 13; 24, 11; 33, 7; 34, 3; 34, 11; 34, 16; 34, 17; 40, 15-16; 42, 29; 42, 34; 48, 8; 48, 16; 49, 2; 54, 7; 68, 57; 71, 3, 71, 7; 73, 25; 74, 7; 74, 40; 75, 8; 75, 13-14; 75, 16; 76, 2-3; 76, 8 Alchardianus uide Alkardianus Algazel XIII.34, 5 Alexander Seuerus (imp.) XIII.68, 68; comm. p. 199 Alexander Magnus XIII.59, 4; 68, 38; 68, 42-43; 68, 51 Aliabates XIII.57, 23; comm. p. 188-189 Alkardianus XIII.7, 34; 7, 36-37; 10, 4; 12, 2; 12, 16; 13, 12; 34, 38; 42, 12; 42, 20; 46, 1; 56, 10-11; 58, 1; 60, 1; 60, 10; 62, 2; 65, 1; 68, 76; comm. pp. 125-128. Almansorus XIII. 39, 49; 40, 48; comm. p. 166 Alpes XIII.51, 16; 68, 50; 75, 29 Ambrosius (s.) XIII.75, 10 Anaxagoras XIIII.15, 18; 54, 11; 54, 14; 68, 39 Anaximenes XIII.48, 9 Annibal uide Hannibal Antiochia XIII.50, 11; comm. p. 181-82 Apennini montes XIII.51, 16; 75, 29

Apollonia XIII.61, 8 Apulia XIII.3, 8; 26, 16; 43, 3-4 Aquitania XIII.68, 85 Aratus XIII.62, 6 Araxes XIII.48, 26 Aretium XIII.22, 4; 31, 7; comm. p. 144 Aristoteles XII.2, 3; XIII.2, 38; 4, 12; 7, 12; 8, 17; 9, 17; 10, 2; 10, 6-7; 13, 3; 13, 7; 15, 11; 15, 34; 15, 54; 16, 5; 18, 5; 20, 2; 24, 9; 33, 4; 34, 14; 34, 16; 34, 17; 37, 17; 40, 32; 48, 5; 48, 8; 49, 1; 49, 19; 51, 3; 54, 7-8; 54, 9; 57, 5; 59, 4; 61, 3-4; 61, 7; 61, 11; 61, 14; 62, 1; 64, 6; 68, 43; 69, 8; 69, 11; 69, 12; 71, 5; 73, 4-5; 73, 15 Arpi XIII.32, 11 Asculum XIII.50, 21; comm. pp. 183-184. Asia XIII.43, 9; 50, 5; 50, 7; comm. p. 181. Astreus XIII.33, 3; comm. p. 155 XIII.68, 32-33 Athanaricus Athenae XIII.43, 4 Atlas XIII.36, 14; 36, 15; 50, 9 Atrebas XIII.68, 32 Augustinus XIII.34, 9; 63, 13 Augustus XIII.3, 12; 29, 25; 43, 7; 54, 6; 61, 8; 61, 10 Auicenna XII.1, 13; XIII.37, 21; 38, 17; 39, 46; 39, 51; 40, 45; 76, 15; 76, 24 Beda XIII.34, 11; 39, 29; 40, 6; 43, 17; 67, 6 Brissia uide Brixia Britannia XIII. 70, 14 Brixia XIII.68, 20; 68, 83; comm. p. 200 Buda XIII.3, 11; comm. p. 118 Calabria XIII.43, 4 Caligola XIII.54, 6 Callistus Pontifex XIII.68, 62 Campania XIII.28, 13; 28, 16; 52, 10; 52, 11; 68, 22; comm. p. 149 Capitolium XIII.29, 28 Cariphanum (castellum) XIII.68, 29; comm. p. 198 Castello Dil’Ouo XIII.3, 10; comm. p. 118 Castor XIII.7, 45

* L’indice comprende i nomi propri, di popoli e di luogo che compaiono nel testo dei libri XII e XIII del Fons memorabilium uniuersi. In grassetto si indicano il libro e il capitolo, in tondo la riga. Nei casi più significati viene data indicazione delle relative pagine del Commento.

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Cato XIII.35, 14; 74, 38 Ceres XIII.74, 29 Cicero XII.2, 5; XIII.43, 11; 68, 7; 68, 35 Costantinopolis XIII.68, 92 Crassus (M. Licinius) XIII.68, 25; comm. p. 198 Cyrenaica XIII.44, 5 Dalmatia XIII.44, 2 Damascenus uide Iohannes Damascenus Damascus XIII.50, 12; comm. p. 181-182 Dante XIII.7, 26; 61, 17; 68, 46 Diana XIII.69, 6 Dido XIII.8, 24; comm. p. 130 Egos (flumen) uide Aegos flumen Egyptus uide Aegyptus Empedocles XIII.54, 11; 54, 13 Eneas uide Aeneas Eolia (insula) uide Aeolia Eolus uide Aeolus Europa XIII.68, 45 Eutropius XIII.26, 15 Flaminius (Gaius) XIII.31, 14; 32, 11; comm. p. 152 Florentiae XIII.31, 9; comm. p. 152 Fridericus II XIII.7, 15; comm. p. 123 Gaius Marius XIII.26, 16; 32, 3; comm. p. 153 Galli XIII.68, 84-85 Gallia XIII.38, 7; 43, 5; 43, 7; 51, 4 Garamans XIII.35, 17 Gellius XIII.39, 30; 40, 2; 41, 6; 41, 13; 43, 3 Geruasius Tilleberiensis XIII.69, 15; comm. p. 202. Graecia XIII.3, 15; 31, 12; comm. p. 118 Graecii XIII.41, 9; 41, 10; 41, 16; 61, 2; 68, 39 Gratianus XIII.68, 31 Gregorius Magnus XIII.32, 23; comm. p. 155 Guido Bonactus XIII.7, 37; 62, 2; comm. p. 128 Gylippus XIII.7, 46 Hannibal XIII.31, 13; 32, 9; 68, 13; 68, 15; comm. p. 152 Henricus III XIII.50, 15; comm. p. 182. Henricus IV XIII.50, 20; comm. p. 183. Herennius (Marcus) XIII.17, 27; 26, 22; comm. p. 141 Hierusalem XIII.3, 8; 32, 15; 32, 17; 32, 19; 70, 21; comm. p. 204 Hispania XIII.43, 9

Homerus XIII.36, 21 Hostia XIII.31, 6 Iacobus XIII.69, 21 Iacobus de Voragine XIII.68, 19; 68, 61 Icharus XIII.43, 13; comm. p. 173 Ieremia XIII.29, 21 Iesus Christus XIII.70, 22 India XIII.68, 44; 68, 52 Iohanna I XIII.3, 8; comm. p. 118 Iohannes Damascenus XIII.37, 3; 37, 11; 38, 12; comm. pp. 161-162 Iohannes de Vicecomitibus XIII.3, 4; comm. pp. 117-118 Iohannes Sarisberiensis XIII.29, 16; 56, 1; comm. p. 150 Iohannes Scotus XIII.68, 87; 68, 88 Iris XIII.12, 7; 12, 16; 14, 1 Isaac XIII.69, 21 Isaac Iudeus XIII.76, 16; comm. pp. 210-211 Isidorus Ispanensis XIII.18, 2; 39, 9; 63, 2; 73, 3 Italia XIII.28, 10; 31, 19; 43, 7-8; 68, 13; 68, 20; 68, 83 Italii XIII.32, 6; 32, 20; 40, 44; 64, 1 Iugurta XIII.26, 15 Iulius (C. Caesar) XIII.17, 23; 32, 16; 32, 17; 56, 6-7; 68, 16; Iuno XIII.12, 6; 12, 12; 14, 1 Iuppiter XIII.19, 3; 19, 5; 26, 42; 29, 13; 29, 28; 29, 29; 68, 63 Iuppiter Summanus XIII.19, 5; 28, 18; comm. p. 143 Karolus de Durazo XIII.3, 6; comm. p. 118 Karolus Magnus XIII.68, 95 Lacaedemonii XIII.3, 14; comm. p. 118 Lactantius XIII.8, 21; 38, 11; 41, 4; 41, 8 Latona XIII.61, 18 Libia XIII.35, 13; 40, 33 Lippara uide Lipara Lipara (insula) XIII.49, 19; 49, 21 Liuius Titus XIII.31, 16; 32, 12; 68, 12; 68, 24; 68, 35 Lodouicus I XIII.68, 95 Lombardia XIII.3, 5; comm. pp. 117-118 Lombardi XIII.32, 19-20; comm. p. 155 Lotarius II XIII.31, 18; comm. p. 153 Luca XIII.31, 21 Lucani XIII.68, 25; 68, 26 Lucanus XII.2, 9; XIII.12, 8; 15, 6; 15, 21; 35, 13; 36, 13 Lucretius XIII.7, 19

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

XIII.40, 24 XIII.68, 30; 68, 33-34; comm. p. 198 Marcellus (Gaius Claudius, cos.) XIII.68, 29; comm. p. 198 Marcia XIII.26, 20-21 Marius uide Gaius Marius Martinus Oppauiensis XIII.31, 17; 50, 10; 68, 83; comm. pp. 152-153. Mauri XIII.32, 12 Mediolanum XIII.3, 4-5 Messellach XIII.70, 1 Mirmidones XIII.6, 9; 29, 6; 39, 51; 45, 20; 55, 15; comm. pp. 121, 175 Nasamon XIII.35, 15 Neapolis XIII.3, 9; comm. p. 118 Nicolaus Oresme XIII.15, 67; 16, 7; 18, 3; 26, 4; 26, 26; 55, 3; 55, 11; 61, 14-15; 63, 8; 70, 4-5; comm. pp. 139-140 Noe XIII.8, 3; 8, 5; 12, 21 Normanni XIII.68, 84 Numa XIII.30, 5 Nursinus (lacus) XIII.44, 5; comm. p. 173 Oltha XIII.30, 4 Olympus XII.2, 12; XIII.57, 29 Orosius XIII.26, 14-15; 31, 12; 32, 9; 68, 6; 68, 31 Ouidius XIII.9, 11; 11, 15; 12, 5; 17, 14; 39, 3; 39, 10; 40, 10; 40, 20; 54, 3; 73, 6 Pamphylia XIII.43, 5 Pannonia XIII.3, 10 Papias XIII.37, 6; 40, 40; comm. p. 163 Parthi XIII.68, 26 Paulus uide Aemilius Paulus (Lucius Aemilius Lepidus, cos.) XIII.68, 29; comm. p. 198 Pelagius (s.) XIII.68, 20 Peloponnesus XIII.50, 9; comm. p. 181 Perseos XIII.2, 40; 2, 41; comm. p. 117 Perusia XIII.6, 15; 6, 16 Phalisci XIII.31, 15 Phebus XIII.75, 19 Pheton XIII.17, 15; 68, 91; 70, 3 Phylippus XIII.31, 12; comm. p. 152 Phylosophus uide Aristoteles Plinius Secundus XIII.3, 13; 10, 3; 11, 3; 15, 61; 17, 26; 19, 1; 19, 5; 20, 3; 23, 7; 26, 5; 26, 20; 26, 29; 27, 15; 29, 9; 29, 29; 30, 2; 31, 10; 32, 1; 34, 34; 34, 42; 36, 21; 37, 11; 38, 7; 39, 39; 40, 35; 43, 8; 44, 1; 49, 36; 50, 6; 51, 2; 51, 12; 53, 2; 53, 11; Macrobius Mamilius (Titus)

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57, 25; 57, 28; 58, 2; 59, 8; 60, 2; 68, 6; 68, 28; 68, 34; 68, 41; 68, 70 Policratus uide Iohannes Sarisberiensis Pollux XIII.7, 45 Pompeii XIII. 52, 10; 52, 11; 52, 12 Pontus XIII.43, 10 XIII.30, 5 Porsenna Posidonius XIII.9, 2; 57, 25 Preneste XIII.68, 39 Rabanus XIII.66, 2; 68, 24; 68, 95; 69, 6; 72, 1; 75, 4 Ranulphus XIII.68, 85 Restaurus XII.2, 21; XIII.18, 18; 49, 22; 55, 2; 57, 20; comm. pp. 112-113 Richardus de S. Victore XIII.12, 18; comm. pp. 134-135 Roma XIII.3, 7; 6, 16; 23, 10; 26, 16; 51, 12; 68, 63; comm. p. 144 Romani XIII.19, 4-5; 26, 21; 30, 5; 30, 7; 31, 14; 32, 10; 68, 11-12; 68, 67 Scotus, Michael XIII.7, 14; 7, 19; comm. pp. 123-124 Scythia XIII.28, 6; 40, 21 Secundus (philosophus) XIII.75, 2; comm. p. 208. Seneca XII.2, 5; 2, 20; XIII.2, 38; 3, 11; 7, 7; 7, 43; 9, 2; 9, 4; 11, 1; 15, 50; 15, 54; 15, 59; 20, 2; 21, 2; 22, 11; 23, 3; 26, 3; 26, 23; 26, 36-37; 27, 8; 29, 2; 29, 8; 31, 4; 36, 7; 36, 10; 36, 18; 36, 22; 37, 4; 37, 11; 39, 23; 40, 2; 40, 40; 41, 2; 41, 3-4; 41, 6; 41, 7; 41, 10; 41, 14; 41, 15; 42, 2; 43, 2; 48, 16; 49, 34; 50, 4; 51, 10; 52, 1; 52, 10; 53, 7; 61, 7; 61, 22; 66, 5; 74, 4; 74, 18-19; 74, 30; 75, 6 Senta XIII.44, 4 Seruius XIII.7, 19; 7, 48; 8; 21; 39, 37; 50, 24-25; 67, 5 Sextus (Lucius Caesar, cos.) XIII.50, 8; 68, 37; comm. p. 181 Sicilia XIII.3, 8; 50, 14 Syracusae XIII.7, 46; 50, 16; comm. p. 182 Sirti XIII.35, 13 Serius Sulpicius, (Camerinus Cornutus, cos.) XIII.68, 71 Suetonius XIII.29, 24; 54, 5 Teophrastus uide Theophrastus Terentius uide Varro Tiberius Caesar XIII.29, 16; 31, 5; 50, 6-7; 54, 6 Thales Milesius XIII.33, 20; 33, 21; 48, 6; 54, 22

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Thaumas XIII.14, 1; comm. p. 136 Theophrastus XIII.49, 2 Thucydides XIII.50, 8 Thusci uide Tusci Tracia XIII.68, 41 Trasimenus (lacus) XIII.31, 13; 32, 9; comm. p. 152 Tullius uide Cicero Tullus Hostilius XIII.30, 5; 30, 6; 68, 38 Tusci XIII.3, 5; 19, 2; 30, 3 Tuscia XIII.68, 90 Vgo de Castello XIII.11, 4; comm. p. 133 Vrbanus VI Pontifex Maximus XIII.3, 7; 6, 15; comm. p. 118; 122 Vrbe uide Roma

XIII.68, 36; 68, 70; 68, 76 Varro, (M. Terentius) XIII.68, 37 Vienna XIII.38, 9 Vegetius XIII.36, 19 Veliene XIII.49, 24; comm. p. 180 Vergilius XIII.7, 3; 9, 7-8; 11, 11; 17, 23; 32, 5; 35, 8; 39, 31; 39, 37; 42, 13; 49, 38; 56, 3; 60, 7; 67, 2; 68, 17; 74, 26 Verona XIII.50, 20 Volumnius (Publius Amintinus Gallus, cos.) XIII.68, 71 Vulsinum XIII.23, 9; 30, 3; comm. p. 144 Vulterra XIII.49, 24 Ysydorus uide Isidorus Ispaniensis Valerius Maximus

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INDICE DELLE COSE NOTEVOLI* accipiter in arbore sedens XIII.65, 6 acies acies ignitae in caelo uisae XIII.32, 22 aer salutifer aer uenit XII.1, 1; omnis uentorum rabies et uis fulminum in aere est 1, 4; immensa bonitas aeris 1, 10; seruit tribus sensibus 1, 12; temperatus est et clarus 1, 13; bonae substantiae est 1, 16; si in aere acciderit putrefactio 1, 18; aer uitandus 1, 20; uirtutes aeris calidi 1, 22; mala aeris frigidi 1, 26; aer humidus 1, 29; aer siccus 1, 30; 1, 31; meat a concauo orbis ignis usque ad terram fusus 2, 1; pars superior 2, 5; pars ima 2, 10; media pars 2, 19; diuisio aeris 3, 1; de impressionibus aeris 3, 2; serenitate caret 3, 8; causa materialis impressionis aeris XIII. 2, 1; non uaporabilis est 2, 6; aer factus ignis immediate 2, 7; 2, 10, 2, 16; impressio aeris 2, 31; 2, 32; aer corruptus 6, 8; aer percutiens nubes 15, 12; non uaporabilis est 15, 55; aer nubilosus ut fiat corruscatio et tonitruum 17, 13; aer cum tonitruo scindit lignum 18, 6; fortissimum omnium elementorum 18, 7; spissus et dispositus ad gignedum aquam 24, 6; aer densatus 28, 4; aestate calidus aer 28, 16; motus a terreno uapore 34, 4; calidus et humidus temperate facit uentum; 34, 14; nebulosus 39, 29; putridus 39, 48; densatus 40, 18; concussus a uapor siccus 49, 8; corruptus 52, 4; 52, 5; pestilens 52, 9; aeris tranquillitas precedit terremotuum 53, 8; fulminosus 56, 7; aeris quies 62, 3-4; frigidus 71, 14; aer rigens 73, 16; 74, 4; adustus 74, 15 aestus aeris regio quae aestus dicitur XIII.4, 12; 34, 5; tempus magnus aestus 17, 2; comm. p. 120 aether ignem ex aethere distillari XIII.15, 19; in aethere ubi nulla fit iniuria 15, 32; leuius uel grauius ether sonat 15, 49; de aethere portiunculam ignis descendere 54, 14 africus uentus a hymali spirans XIII.36, 17;

ab occiduo hyberno spirans 40, 39; uentus meridionalis 40, 41; 40, 43; uentus occidentalis 41, 7; nominatur a Grecis libs 41, 10; comm. pp. 158-160 altanus pelagi uentus XIII.43, 16; comm. p. 173 anas alas quatientes et se balneantes XIII. 65, 3; comm. p. 195 apostema XIII.6, 8-9 aqua elementum uaporabilis XIII.2, 6; 2, 11; praenuntiata ab stellis currentibus 7, 35; 7, 36; praesagium aquae 10, 6; 12, 17; 12, 19; 58, 3; 65, 2; 65, 3; 65, 5; 65, 6; 65, 7; 65, 8; 65, 15; 65, 16; elementum exalans fumos 15, 36; defert natura 24, 5; non est in nubibus 25, 6; 25, 7; sustinens orbem terrarum 48, 6; turbidior in puteis nec sine tedio odoris 53, 4; aqua niuis nocens 76, 8; 76, 12; 76, 17 Aquarius XIII.2, 27 aquila armiger Ioui XIII.29, 13; comm. p. 150 aquilo regio XIII.2, 21; 15, 63; 32, 23; 43, 10; uentus XIII.36, 5; a septentrione spirans 36, 17; uentus frigidus et siccus 39, 1; inferius ex imo maris spirat 40, 36; die uehementior est 40, 39; Latine dicitur 41, 14; flante aquilone minute sunt pluuie 64, 3; comm. pp. 158-160 arcus iris seu celestis arcus XIII.8, 2; arcum Deus ponit 8, 5; 8, 7; signum omnipotentis clementiae 8, 11; arcum daemonis 8, 17; arcus aeris 8, 19; 8, 20; arcus factus ab fulgore solis 9, 19; duo arcus 10, 1; 10, 3; 10, 4; tempore quo arcus factus est 10, 8; de coloribus 11, 1; nocturnus lunae arcus 13, 13 arena Verone cecidit maxima pars arenae XIII.50, 20; comm. pp. 182-183 argentum conflatus loculis integris et illesis XIII.26, 6; comm. p. 145 atabulus uentus XIII.43, 3; comm. p. 172

* L’indice comprende alcuni dei temi più significativi che sono affrontati nei libri XII e XIII del Fons memorabilium uniuersi. In tondo si indica la parola citata, in corsivo si riporta l’argomento. In grassetto si indicano il libro e il capitolo, in tondo la riga. Infine, in alcuni casi più interessanti viene data indicazione delle relative pagine del Commento.

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INDICE DELLE COSE NOTEVOLI

aura leuis aer motus XIII.35, 19; 43, 15 auster regio XIII.10, 5; 15, 64; uentus 36, 6; ab hauriendo aquas dictus 40, 3; 40, 15; ueniens per meridianum cardinem 40, 25; uelocissimus et serenus 40, 32; summo spirans 40, 36; noctu uehementior 40, 38; Latine dictus 41, 15; Italiam impellens 43, 8; procellas mouens 44, 7; grauans celum 62, 5; occupans celum 64, 4; generans rorem 69, 11; eleuans materiam roris 69, 14; comm. pp. 158-160, 167 auis predicens futura XIII.27, 9; 27, 11; 27, 12; indicans tempestatem 42, 24; indicans tempus aquosum 65, 10; carnem non diripiens 68, 73; comm. pp. 148; 171; 199 azabulus uide atabulus boreas regio XIII.10, 6; uentus 36, 5; 36, 25; 39, 34; 40, 22; 42, 14; septentrionalis flamen 39, 8; 41, 11-12; Grece nominatus 41, 14; comm. pp. 158-160 bos XIII.42, 25; mordicans anteriorem pedem 65, 12; comm. pp. 171-172, 195 caelum caelum ardere uisum XIII.2, 3; minas caeli 29, 6; signa caeli timenda 29, 22; caelum ardere uisum 31, 1; ardor caeli 31, 7; sanguinea specie uisum 31, 10; scissum hiatu maximo 31, 16 cagneus uide crageus calor causa materialis omnium impressionum ... calor solis et aliorum corporum supercelestium XIII.2, 14; celestis calor est duplex ... adurens calor 2, 17; euocans 2, 22; intensior calor una parte anni 2, 30; in aestate magnus 17, 12; calor caniculae 43, 12; dissoluens humiditatem 63, 5; calor estiualis 74, 8; 74, 11; debilis 75, 21 Cancer XIII.2, 18; 68, 58 candela in aere apparens XIII.4, 5 canicula XIII.34, 45 capra genus ignis XIII.2, 2; 2, 38; indicans tempestatem 42, 26; comm. p. 117 Capricornus XIII.2, 26 caro non combusta a fulmine XIII.26, 10; cadens per modum pluuiae 68, 3; 68, 72; modus conseruandi ne putrescat 68, 77; 68, 80; caurus nomen pro coro XIII.39, 30; 39, 34; 39, 36; 39, 38; 41, 7 circulus sidera circumnectens XIII.61, 1; circa solem coloris uarii 61, 9; materia circuli 62, 5

clipeus in aere apparens XIII.4, 4; comm. p. 119 circius uentus XIII.36, 4; uentus occidentalis 38, 1; 38, 6; infestans Galliam 43, 5; comm. pp. 158-160 ciroteca non combusta a fulmine XIII.26, 7 cohors in auxilium Hostiensis coloniae XIII.31, 5; in caelo uisae 32, 18 cometa uide stella cornix crocitans super petra XIII.65, 7; comm. pp. 171, 195 corona in aere apparens XIII.4, 4; laurea 29, 17; sidera circumnectens 61, 1; 61, 2-3; coloris albi corona 61, 15; in uicinia siderum facta 61, 23; significatus 62, 1; 62, 3; 62, 8; 62, 11; comm. pp. 119-120 corus regio XIII.15, 65; uentus 36, 5; uentus septentrionalis 36, 13; idem caurus 41, 6; comm. pp. 158-160 coruscatio quid sit coruscatio XIII.15, 1; est illuminatio sicci uaporis 15, 2; solum ostendit ignem 15, 4; facta a nube mediocriter impulsa 15, 20; non exiliens 15, 43; differens impetu 15, 49-50; alterat humores intrinsecus et desiccata uegetabilia 15, 68; offendes oculos propter siccitatem 15, 71; uisa sine tonitruo 16, 2; 16, 9; tempus coruscationis maxime aptum 17, 2; preuisa 29, 30; micatio ignis 54, 16; 54, 17-18 coruus sursum uolans XIII.65, 4; mane permutans uocem 65, 5; comm. p. 195 crageus Pamphyliam infestans XIII.43, 5; comm. p. 172 draco uomens flammas XIII.5, 1; ignis in modum draconis 5, 13; uolans per aerem uomentes globlos flammarum 5, 14 epidimia XIII.70, 16; comm. p. 149 etesiae noctu flantes XIII.43, 7 euronotus uentus meridionalis XIII.41, 15; comm. pp. 169-170 eurus uentus XIII.36, 3; 37, 10; 37, 14; ab oriente hyberno 36, 9; ab oriente brumali 37, 11; ab Eoo dicitur 37, 16; nomina eiusdem uenti 41, 3; Grece nominatus 41, 9; comm. pp. 158-160 euaporatio uaria euaporatio in uario orbe terrarum XIII.4, 13 exalatio terrestris XIII.15, 40; subtilis et sicca 15, 42; 15, 72; gelida 28, 5; 28, 7-8 exta predicens futura XIII.27, 9; 27, 11; 27, 12; comm. p. 148

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INDICE DELLE COSE NOTEVOLI

fauonius regio XIII.15, 65; uentus 36, 4; ab occidente aequinoctiali dictus 36, 11; 38, 15; uentus diuersus a zephyro 36, 12; Grece dictus 41, 4; 41, 5; comm. pp. 158-160 fax illo tempore quo Lacedemones Greciam perdiderunt XIII.3, 14; ignitae faces adscondentes diurni luminis claritas 4, 23 ferrum dissipatus a fulmine XIII.22, 3; ferrum gladii fluens 26, 7; a fulmine conflictus 26, 39; ignitum ferrum sonum reddens 54, 11; cadens per modum pluuiae 68, 2; 68, 25; 68, 27 flamen humidum XIII.34, 24; dictus quoniam flat 35, 18; 41, 17; beneficia flaminum 45, 1; ex repercussione flaminum 51, 18; non generans rorem 69, 13; causa generationis grandinis 73, 13; comm. pp. 173-175 flamma uolans sereno tempore XIII.3, 2; globi flammarum dracone uomiti 5, 2; 5, 15; tenuitas flammae fulminis penetrantis 21, 4; predicens futura 27, 13; 27, 15 flatus dictus quoniam flat XIII.35, 18; nulla regio est quae non habeat flatus 43, 19; lacerantes nubes 57, 8; glacialibus uentorum flatibus 75, 11-12 formica oua extrahens de cauernis XIII.65, 15; comm. pp. 195-196 frigus causa materialis omnium impressionum XIII.2, 14; constringens 2, 23; temperatum 2, 24; 2, 28; claudens poros corporum 39, 44; ex tempore uel ex aere ueniens 71, 7; 71, 9; 71, 10 frumentum cadens a caelo per modum pluuiae XIII.68, 22 fulgor fulgor emicans arcum faciens XIII.9, 19; illuminatio sicci uaporis accensi est 15, 2; 15, 3; solum fulgor ostendit ignem 15, 5; lumen repentinum late est 15, 53; significatus fulguris 15, 64; 15, 66; remedium contra fulgura 74, 41 fulix alas quatientes et se balneantes XIII.65, 3; comm. pp. 195, 196 fulmen quid sit fulmen XIII.15, 1; differens a coruscatione 15, 4; mucro est 15, 6; missum a nube fortius agitata 15, 21; inferiora cadens 15, 30; fulmen est si exiliuerit ignis 15, 53; missum ad interitum Phetonteum 17, 15; deo fulmen attribuit 17, 16; compactus et ignitus uapor esse 18, 1; spiritus ignitus a uentre nubis uiolenter expulsus 18, 4; ex terrestri et grosso uapore generatur 18,

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14; uapor siccatus generat fulmen 18, 15; genera fulminum 19, 2; diuisio fulminum 20, 1; penetrans 21, 2; dissipans 22, 1; 22, 6; 22, 12; adurens 23, 4; igneus 24, 1; 24, 2; quod fulmina terram petunt 24, 3; deorsum cadit 24, 10; mirabilia opera fulminum 26, 2; 26, 12; 26, 13; 26, 17; 26, 23; 26, 24; 26, 30; 26, 34; 26, 36; 26, 41; praesagia fulminum 27, 1; 27, 5; 27, 7; 27, 9; 27, 11; 27, 15; quibus temporibus et quibus locis cadunt 28, 1; hieme et aestate rara 28, 4; 28, 7; uere et autumno crebriora fulmina 28, 9; 28, 11; 28, 13; de nocte cadunt 28, 18; quod ledunt fulmina 28, 19; 28, 21; remedia contra fulmina 29, 1; 29, 2; 29, 3; 29, 10; 29, 12; 29, 18; 29, 24; 29, 30; arte euocatum fulmen 30, 1; 30, 4; si careant tempestate 56, 8; fulmen exstinguit quattuor sacerdotes 68, 66; comm. p. 143 fumus predicens futura XIII.27, 14; 27, 15; remedium contra nebulas 59, 8; comm. p. 148, 191 gallus indicans tempus aquosum XIII.65, 10; comm. pp. 195-196 Gemini XIII.2, 18 glacies moles glacei sedecim pedum longe XIII.68, 93; etymologia 72, 1; 72, 3; comm. pp. 201, 205 globus igniti globi in aere apparentes XIII.4, 3; 5, 6; globi flammarum dracone uomiti 5, 15; comm. p. 119-120 grando presagia sumpta a nubibus XIII.58, 6; 69, 8; etymologia 73, 3; grando est stilla pluuiae congelata 73, 5; 74, 6; in aestate et uere cadens 73, 13; est rotunda ex diuturna reuolutione 73, 20; cadens cum pluuia 73, 22; generata in locis terrae propinquis 73, 23; nocens plantis 73, 26; 76, 9; quasi grauamen do dicta 73, 30; frequentius in uere 74, 3; 74, 7; materia et generatio grandinis 74, 10; presagium grandinis futurae 74, 20; 74, 22; remedia contra grandinem 74, 24; 74, 32; 74, 33; 74, 35; 74, 36; 74, 39; 74, 41; comm. pp. 207, 208 grus significans tempestatem XIII.42, 21 halo sidera circumnectens XIII.61, 1; 61, 2; coloris albi corona est 61, 14; in uicinia siderum factus 61, 23; significatus 62, 1 hasta hastae ignitae in caelo uisae XIII.32, 22 herba a uento siccata XIII.34, 26; reme-

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dium contra nebulas 59, 10; experimento panni superstrati herbae 69, 19; desiccata rore 70, 6; niue pereunt herbae male 76, 5; niue pinguent utiles herbae 76, 6 homo redactus in cinerem a fulmine XIII.26, 8; 26, 28; non semper extinctus fulmine 26, 31; tutior ad fulmina 29, 19; homines elegantioris formae in aquilonari plaga 39, 43-44; fides quae homines saluos facit 70, 18 hordeum cadens a caelo per modum pluuiae XIII.68, 23; uascula plena hordeo 70, 15 iapix Calabriam infestans XIII.43, 4; comm. p. 172 ignis ignis uolitans per aerem XIII.3, 1; formae diuersorum ignium in aere apparentium 4, 1; ignes in aere ludentes 5, 1; 5, 6; 5, 8; significationes ignium 6, 1; 6, 3-4; ignes despergentes propter collusionem uentorum 6, 11; ignis ex aethere distillari 15, 18; ignis defluens 15, 26; aliquid ponderis habet 15, 27; exiliens illo momento quo fit 15, 34; ignis uisus prius quam tonitruum auditus 16, 1; 16, 3; 16, 4; sine igne tonitrua 16, 12; 16, 13; 16, 14; natura semper ascendit 24, 2; 24, 4; 24, 8; descendit non natura 24, 11; in aquosa nube esse 25, 1; 25, 2; 25, 5; in nubibus fit ignis 54, 13; 54, 16; turbines ignis 56, 8; comm. pp.118-119; 136-137 imber procellosior XIII.64, 4; dicitur quasi ‘terram ad germinandum inebriet’ 66, 1; tantum salubris pluuia esse 66, 3; pluuia procellosa esse 66, 4 impressio aereae impressiones XIII.1, 2; 1, 3; causa materialis impressionis aeris et generatio 2, 1; 2, 12-13; 2, 31; 2, 34; 2, 35 iris de iride XIII.8, 1; iris post Generale Diluuium 8, 2; 8, 16; ‘arcum daemonis’ dictus 8, 17; ‘arcus aeris’ dictus 8, 19; quasi ab ‘heris’ et ‘lis’ dictus 8, 21; quid sit 9, 1; speculum in rorante nube concaua est 9, 3; nubes soli opposita est 9, 5; non semper cum pluit apparens 9, 21; duae irides 10, 5; de uarietate et coloribus 11, 1; uarietatem colorum tracta a quattuor elementorum 11, 6; quattuor colores principaliores in iride 11, 10; de significationibus 12, 1; uarios effectos portendit 12, 2; 12, 17; 12, 18; signum Dei 12, 21; nocturna iris 13, 1; 13, 2; 13, 4; 13, 6; 13, 9; iris candida 13, 10; iris lunae alba

13, 11; Thaumantis filia 14, 1; comm. p. 131-132; 133; 135; 136 irundo uerberans stagna XIII.65, 9; comm. p. 195 Iuppiter (stella) coniuncta Marti XIII.6, 5; comm. p. 121, 122 lac cadens per modum pluuiae XIII.68, 2; 68, 10 lana cadens per modum pluuiae XIII.68, 3; 68, 32 lancea in aere apparens XIII.4, 5; comm. pp. 119-120 lapis a fulmine fractus XIII.22, 3; a fulmine conflictus 26, 39; emissus ad similitudinem torrentorum 49, 28; cadens per modum pluuiae 68, 2; 68, 36; 68, 41 legumen cadens a caelo per modum pluuiae XIII.68, 23 libonotus uentus meridionalis XIII.41, 1516; comm. pp. 169-170 libs uentus Grece nominatus XIII.41, 9 lignum uirens XIII.15, 46; castaneum 15, 47; scissum ab aere cum tonitruo18, 6; deiectum a tonitruo 18, 9; in lignis una pars ardet et una sudat 25, 5; inuiolatum 26, 7 lis aer dicitur quasi ‘sine lite’ XII.1, 3 (bis); iris missa ad sedandam litem XIII.8, 22 (bis); 8, 23; 8, 25 Leo XIII.2, 18 luna pugnans cum sole XIII.31, 15; 31, 21; 32, 14; lunae filium 69, 5 Mars (stella) effectum super ignes XIII.6, 4; 6, 5; causa fulminis adurentis 23, 7; comm. p. 121, 122 monedula sursum uolans XIII.65, 4 mons mugiens mons portendit uentos procellosos XIII.46, 4; sepius montes tremere 51, 20; 51, 21 mus indicans tempus aquosum XIII.65, 13 nauta nautarum experientia de impressionibus aeris XIII.6, 12; 7, 44; 62, 8 nebula etymologia XIII.59, 1; ‘nubes uolans’ dicta 59, 2; ex nube est 59, 6; remedium contra nebulas 59, 8; 59, 9; presagia sumpta a nebulis 60, 1; 60, 2-3; 60, 5; 60, 9; globis lanarum similis 60, 10; comm. p. 191 nimbus etymologia XIII.57, 1; 57, 3; uentos significans 67, 1; 67, 3; pluuias procellosas significans 67, 6 nix a uento turbine causata XIII.42, 34; ignitae nubes cadens per modum niuis floc-

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ci 68, 45; 68, 61; etymologia 75, 1; 75, 2; a parua altitudine cadens 75, 6; rigentes aquae solidatae in niuem 75, 12; niuis substantia 75, 15; decidens si frigus sit in aere 75, 16; prima niuis in cacuminibus montium 75, 18; 75, 19; 75, 20; 75, 25; terram pinguefacens 76, 1; 76, 2; 76, 3; nocens herbas malas 76, 5; pinguefacens utiles herbas 76, 6; nocens arboribus 76, 8; nocens hominibus 76, 17; 76, 21; duram et fixam calcari 76, 26 nolarium a fulminibus lesum XIII.28, 20; comm. p. 149 notus uentus XIII.36, 6; 36, 25; uentus meridionalis 40, 1; ab austro distinctus 40, 4; Grece dictus 41, 15; comm. pp. 158-160; 167 nox eterna XIII.52, 4 nubis similis lanae floccis XIII.7, 41-42; mediocriter impulsa facit coruscationes et fulgura 15, 19; 15, 42; 15, 45; collisio nubium 16, 4; sine nubibus non esse tonitrua 17, 1; 17, 6; 17, 21; aquosa nubis quae continet ignem 25, 1; 25, 2; 25, 4; 25, 6; in modum tenuis lineae 53, 4; etymologia 57, 1; dicitur quasi ‘nimborum naues’ 57, 2; nubes sunt uapores humidi ab aquis et terrae humiditatibus tracti 57, 4; intra modicum tempus consumuntur sole 57, 7; uarietas colorum et figurarum 57, 10; in nubibus color quadruplex 57, 11; 57, 12-13; 57, 16; locus ad quem eleuantur nubes 57, 18; significatus nubis 58, 1; spargens ut lanae uellera 58, 2; sedens in cacuminibus montium 58, 5; grauida 58, 6; ex aquaeo uapore eleuato fit 59, 5; a nimbis praenunciata 67, 5; ignitae nubes cadens per modum niuis flocci 68, 44; praesagium grandinis 74, 20; 74, 21-22; 74, 25 oleum teter post fulmina XIII.26, 13 ouis significans tempestatem XIII.42, 26; grex exanimatus 52, 10; testa oui farciata rore 70, 2; moriens causa roris 70, 9 parahelios sidera circumnectens XIII.61, 2; in uicinia siderum factus 61, 23; comm. p. 192 parma in caelo uisas parmas XIII.32, 11 pluuia arcus duplices nuntiant pluuias XIII.10, 4; atrocissima cum a quattuor partibus caeli fulgurat 15, 62; causata ab uaporibus de superficie terrae et aquae 17,

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9; praenuntiata a fulmine sereno caelo 17, 28; praesagium ingentis pluuiae 42, 12; praesagia futurae pluuiae 56, 11; 56, 12 57, 14; 60, 3; 60, 11; 62, 6; 65, 1; 65, 2; 65, 8; 65, 9; 65, 13; etymologia 63, 1; dicitur quasi ‘fluuia’ 63, 2; non est uniformis 63, 8; 63, 9; fit largior uel remissior 64, 1; 64, 2; 64, 5; non madefacit terram ultra decem pedes 66, 6; praesagium pluuiae procellosae et repentinae 67, 5; 67, 7; pluuiae mirabiles 68, 1; 68, 4; 68, 5; 68, 9; 68, 14; 68, 23; 68, 32; 68, 72; 68, 89; cadit cum grandine 73, 22; habet aliquid caliditatis 76, 12 procella uentus XIII.43, 18 prodigium circa Augusti exitum XIII.3, 12; igniti uapores currentes (anno Domini 1388) 6, 14; mortis Caesaris 17, 23 pruina etymologia XIII.71, 1; dicta quasi ‘pyr urens’ 71, 2; est uapor roris congelatus 71, 3; frequenter tempore hiemali 71, 9; 71, 12; 71, 14; 71, 15; signum imminentis pluuiae 71, 17 rana a pluuia gignuntur XIII.63, 14; coaxans 65, 11 ros etymologia XIII.69, 1; est impressio aeris 69, 2; dicitur quod rarus est 69, 6; fit quando flat auster 69, 11; non generatur quando spirant flamina 69, 13; 69, 14; descendens a nebula uaporali 69, 16; ros estiuus 69, 18; celestis 69, 20; miranda opera roris 70, 1; 70, 2; 70, 5; 70, 7; 70, 10; 70, 16; 70, 20; 76, 13; comm. pp. 203-204 Sagittarius XIII.2, 26 sanguis rubificatus ab aere calido XII.1, 24; arteriae uiae sanguinis XIII.48, 17; 48, 19, 48, 21; sanguinis discursum 48, 22; cadens per modum pluuiae 68, 2; 68, 8; 68, 13; 68, 15; 68, 16; 68, 21; 68, 84; remedium contra grandinem 74, 26; 74, 32; comm. p. 207 Saturnus XIII.28, 11 sciras uide sciron sciron infestans Athenas XIII.43, 4; comm. p. 172 septentrio regio XIII.15, 64; 27, 17; 28, 12; 36, 13; 36, 17; 40, 26; uentus 41, 10; 69, 13 serpens percussus a fulmine XIII.26, 23 sidus uolantia sidera XIII.4, 6; 4, 25; discursum siderum 7, 22 sol refulgens in nubibus rarescentibus et faciens arcum XIII.9, 18; 9, 21; corpus luminosum 10, 14; pugnans cum luna 31, 15;

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32, 13; sanguineus 31, 18; augens et comprimens flatus 34, 34; purificans uentos occidentales 38, 18; 38, 19 specus remedium contra tonitrua XIII.29, 7; 29, 10; generans uentos 44, 2 spiritus ignitus XIII.18, 4; dictus quia spirat 35, 19; turbidus 42, 5; uiae spiritus arteriae dictae 48, 18; 48, 21; causa terraemoti 49, 14; 49, 21; 53, 8 stella diurno fulgore latent XIII.4, 22; cadens 7, 1; 7, 2; 7, 4; 7, 9; 7, 11; 7, 12; 7, 13; 7, 14; 7, 20; 7, 23; 7, 34; 7, 38; 7, 44; uisa super lanceam 7, 47; cometa 17, 25; 46, 2; uisa post necem Caesaris 32, 17; comm. p. 115; 118-119 subsolanus uentus XIII.36, 3; ab oriente aequinoctiali 36, 8; ‘sub sole natus’ dictus 37, 2; a dextero latere habet uulturnum 37, 6; ex oriente ueniens 37, 8; comm. pp. 158160 taffanus significans tempestatem XIII.42, 25 tempestas a ignibus celestis praenuntiata XIII.6, 5; 6, 11; a stellis cadentis praenuntiata 7, 36; 7, 43; ab arco nocturno praenunciata 13, 13; nulla magna tempestas durat 42, 8; a flamine septentrionis incipiens 42, 11; ab animalibus praenunciata 42, 22; 42, 24; 42, 26; 42, 27; 65, 13; ab halo praenunciata 62, 7; 62, 10 terra uaporabilis elementum XIII.2, 5; 2, 11; frigida et sicca 2, 35; elementum exalans fumos esse 15, 36; orbem terrarum aqua sustineri 48, 6; terra tremens cum fluctuat 48, 7; naturali euentu tremere 48, 10; corpus terrae 48, 14; 48, 19; 48, 23; naturaliter sicca 49, 4; motum terrae 49, 8; 49, 9; 49, 10-11; 49, 12; 49, 18; magna terrae quantitas corruit 49, 25; rubea 49, 32; 68, 89; pluens 49, 34; numquam flante uento concussa esse 53, 10; tremor in terra 53, 11 terrae motuus quid sit XIII.47, 1; opiniones ueterum de terre motibus 48,1; causa in aqua esse 48, 5; uentus causa est 49, 1; 49, 36-37; breuis catalogus terrae motuum 50, 2; 50, 6; 50, 11; 50, 16-17; 50, 26; quibus temporibus frequentiur 51, 1; 51, 3; 51, 12; mala quae sequuntus 52, 1; 52, 11; praesagium terrae moti 53, 1; 53, 2-3; 53, 7; comm. p. 181-185 tonitruum auditus post fulmen et contra

XIII.16, 1; 16, 2; 16, 3-4; 16, 9; 16, 10; 16, 12; tempus tonitrui 17, 2; 17, 3; materia tonitrui 17, 6; 17, 10; factum cum aer nubilosus est 17, 14; cum aere scindit lignum 18, 6; 18, 8; remedia contra tonitrua 29, 6; 29, 25; significatus tonitrui 46, 7; 46, 8; etymologia 54, 1; quasi ‘territiuum’ dictus 54, 2; est sonus uaporis sicci 54, 6; est ignis exstinctio in aquosa nube 54, 9; 54, 17; generatio tonitrui 55, 1; 55, 2; 55, 4; 55, 10; finis tonitrui 55, 11; 55, 13; praesagium tonitrui 56, 1; 56, 2; 56, 11-12; comm. p. 140-141 trabs in aere apparens XIII.4, 3; 5, 2; 5, 12; comm. pp. 119-120 turbo uentus procellosus XIII.35, 20; 42, 1; 42, 3; 42, 9; 42, 29; 42, 32; causa niuis 42, 34; ignium turbines 56, 8 turris lesa a fulminibus XIII.28, 2; 28, 20; subuersa a uento 35, 5 uapor causa materialis impressionis aeris XIII.2, 4; 2, 11; generatur per subtiliationem et rarefactionem corporum euaporantium 2, 9; 15, 57; eleuatus usque ad certam altitudinem 2, 15; siccus et humidus 2, 32; 2, 34; 15, 3-4; terreus 2, 35; uapores igniti tracti in aeris regionem 4, 9; materia uaporum conglutinata 5, 4; frigidus et siccus combustus 6, 7; igniti uapores currentes 6, 16; uapores accensi ab igne 7, 11; 7, 13; 7, 24; uapor humidus non est inflammabilis 7, 50; terreus, frigidus, siccus 15, 36; frigidus, siccus 15, 51; a terra uel aqua est 15, 55; grossus, spissus et glutinosus faciens coruscationes et tonitrua 17, 5; 17, 9; ignitus impetuose cadens 18, 2; grossus et terrestris generans fulmina 18, 14; uehementissimo calore siccatus generat fulmen 18, 15; dissoluens 18, 19; frigidus et siccus generans uentos 33, 8; 33, 11; grossus, corpulentus et terreus generans terrae motuum 33, 1213; terreus eleuatus 34, 5; 34, 13 frigidus et siccus facit uentum; 34, 17; duorum generum uaporum 49, 2; humidus et siccus 49, 3; 49, 5 49, 6; 54, 8; materia uentorum esse 51, 8; uapores ignei, aerei, aquatici et terrestres 55, 5; uapores generantes aereas impressiones 57, 21; ad quinquaginta duo stadia miliorum surgere 57, 24; materia circuli coronae 62, 4; 62, 6; uapores grossi materia futura pluuiae 70, 11; subtiles ua-

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pores alterati in pruinam 71, 12; multus et grossus generans grandinem 73, 11; frigido et humidus generans niuem 75, 5 uermes in uenenatis corporibus XIII.26, 25; uermes dicti centipedes 65, 14 uentus praenuntiatus a stellis currentibus XIII.7, 35; praenuntiatus a fulmine 15, 64; 15, 65; de uentis 33, 1; 33, 2; ex uno principio omnes fluunt 33, 5; fit ex uapore frigido et sicco 33, 8; 33, 9; 33, 15; quandoque spirat calidus 33, 16; 33, 17; uapor frigidus et siccus resolutus a terra est 34, 2; aer pulsus et impellentis est 34, 8; uentus est aer motus et agitatus 34, 10; 34, 12; factus e uapore frigido et sicco 34, 13; nubis et aqua est 34, 15; occidentalis 34, 17; 34, 20; 34, 27; 38, 1; 38, 2; 38, 8; 38, 17; 41, 7; semper spirat uentus 34, 30; diuturniores et fortiores uenti 34, 39; etymologia uenti et nomina 35, 1; dicitur quasi ‘uiolentus’ 35, 2; uentorum nomina 36, 1; a quatturo caeli partibus flantes 36, 20; duodecim esse 36, 26; orientales 37, 1; septentrionales 39, 1; 39, 4; 39, 39; 39, 46; 41, 12; procellosus 39, 23; meridionales 40, 1; 40, 5; 40, 24; 40, 37;

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40, 42; 40, 48; 40, 49; 40, 50; flantes ex opposita regione 42, 30; de uentibus regionum particularium 43, 1; 43, 14; de uentibus miraculose nascentibus 44, 1; 44, 2; beneficia uentorum 45, 6; 45, 7; 45, 8; 45, 11; 45, 15; 45, 19; praesagia uentorum futurorum 46, 1; 46, 2; 46, 4; 46, 5; 46, 7; 46, 8; 65, 4; 67, 1; mugitus uentorum ante terrae motuum 49, 35; causa terrae motuum esse 49, 37; 49, 39; comm. pp. 155; 158-160 uinum stans fracto dolio XIII.26, 10; comm. p. 146 uirgo stella XIII.2, 18; fulminis exanimata 26, 16 uitulus (marinus) remedium contra fulmines XIII.29, 11; 29, 26 uulturnus uentus XIII.36, 3; 36, 8; ab oriente solstitiali 37, 5; dexter subsolani 37, 6; desiccans 37, 9; idem eurus 41, 3; comm. pp. 158-160 zephirus uentus XIII.34, 18; 36, 4; idem fauonius 36, 11; 41, 4; uentus diuersus a fauonio 36, 12; uentus occidentalis 38, 2; a ‘zoe’ dictus 38, 10-11; Grece dictus 41, 5; comm. pp. 158-160

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Tav. I – Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1140, f. 12v.

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Tav. II – Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 1155, f. 12v.

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Tav. III – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2028, f. 15v.

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Tav. IV – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2028, f. 9r.

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Tav. V – Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2028, f. 9v.

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Tav. VI – Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. G.VIII.234, f. 1r.

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Tav. VII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. G.VIII.234, f. 7r.

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Tav. VIII – Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. G.VIII.234, 7v.

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