Dione di Prusa: un intellettuale greco nell' impero romano


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Dione di Prusa: un intellettuale greco nell' impero romano

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PAOLO DESIDERI

DIONE DI PRUSA UN INTELLETTUALE GRECO NELL'IMPERO ROMANO

CASA

EDITRICE

G.

MESSINA-FIRENZE

D'ANNA

a Marisa e Serena

PREMESSA L'unico libro d'assieme su Dione fu scritto giusto ottanta anni fa da Hans Von Arnim, e fu la degna conclusione di un la voro iniziato parecchi anni prima con uno studio sull'ordine dei 4

PROPRIETA LETTERARIA RISERVATA

discorsi della raccolta dionea (Hennes XXVI 1891, 366/407), e ?roseguito con l'edizione in due volumi ( 1893; 1896) del testo; un'edizione forse discutibile dal punto di vista strettameote filologico, ma che a mio parere resta ancora la più utile per la ric 4

chezza dei suggerimenti contenuti nell'apparato, senza contare che essa è per cosi dire complementare con la monografia, che sostiene e da cui è viceversa sostenuta: sl che insieme le due opere costi 4

tuiscono tuttora un punto di passaggio obbligato per chi voglia leggere e capire Dione.

Tuttavia anche il migliore dei libri, inteodo nel campo della saggistica storica e letteraria, inevitabilmente invecchia; e in que~ sto caso il tempo trascorso è davvero troppo, con la conseguenza che l'impostazione e i ristÙtati dell'indagine non offrono più suffi. ciente copertura a quanti, rivolgendosi per i più vari motivi a frammenti e porzioni dell'opera dionea, continuano a compiere 4

l'atto spesso purameote rituale di richiamo al classico Leben und W erke des Dio van Prusa: né bastano a colmare la lacuna i brevi profili dedicati a Dione in tempi più recenti (geoeralmente con angoli visuali parziali: Nestle, 422/425; Sandbach, 682/685; Pohlenz, II, 183/187; Sinclair, 419/426; Nilsson, II, 400/401; Palm, 16/30; Taeger, II, 507 /508; Kennedy (b), 566/582; Roca Ferrer, 31/32), neppure quello particolarmente peoetrante del Momigliano (c), o quello più ampio e un po' caotico dell'Anastasi (a)*. Un riesame globale di questa personalità «ppare dun-

FIRENZE 1978 • GRAFICA TOSCANA s.a.s.

• Appere ora, sul num. XCVIII del Journ. of Hell. Studies fresco di stampa, un articolo di J.L. Moles (The Career and Conversionof Dio Chrysostom) che rappresentaun sostanzialepasso avanti (sulla linea del

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Diane di Prusa

Premessa

que necessario, anche perché da piU parti sono manifesti i segni di un consistente ritorno d'interesse sia per l'uomo che per la funzione che la sua opera ha avuto nel •contesto storico in cui è vissuto, o anche semplicemente per la testimonianza che egli fornisce in merito a situazioni e realtà particolari; ed io credo che sia rischioso, con un autore come Dione, utilizzare passi singoli

Ma il debito maggiore l'ho nei confronti di Emilio Gabba, mio professore ,all'università di Pisa tra il 1959 e il 1966 e poi sempre guida sicura ed amica: a lui devo di essermi molto tempo fa indirizzato a questo tipo di indagine, e se questo libro vede finalmente la luce ciò dipende in larga misura dal suo costante stimolo e incoraggiamento, oltre che dal suo contributo di pensiero e di dibattito; nessuna giustificazione ho per gli errori che esso ancora contiene, dopo le numerose e lunghe conversazioni avute con lui, nelle quali ho potuto liberamente usufruire della sua dottrina e del suo interes-se. Parti più o meno ampie del libro sono state discusse anche con altri amici, che tutti ringrazio per la disponi• bilità e la competenza con cui mi hanno fornito consigli, emenda• menti, critiche: Lellia Cracco Ruggini di Torino, che ho avuto in questi anni interlocutore attento e sensibile per i problemi legati alla mia indagine; Antonio Carlini e Salvatore Settis di Pisa; Franco Caviglia di Roma. A Lellia e agli altri colleghi d'Istituto debbo ancora esprimere la mia gratitudine per la loro affettuosa costante collaborazione che mi ha permesso di conciliare senza difficoltà questo lungo e assorbente lavoro di ricerca con gli impegni della vita universitaria. Non posso infine fare a meno di ricordare, al momento di congedare questo volume, il « gruppo » di amici torinesi con i quali in questi quattro anni ho trascorso, insieme a mia moglie, gran parte del tempo libero a discutere, spesso in maniera accesa, i problemi dell'organizzazione scolastica e della vita sociale del nostro quartiere: persone assai diverse di origine, di carattere, di orientamento politico, di preparazione culturale, ma tutte animate dal comune intento di migliorare la quaHtà della vita, pur nella consapevolezza delresiguità dei margini di movimento, e d.i quanto sia difficile vincere le diffidenze della gente, a parte gli interessi consolidati, e soprattutto trovare la via giusta di comunicazione con gli altri in un contesto sociale disgregato quale quello in cui qui viviamo; se quakl1no di loro leggerà questo libro si renderà conto di come abbiano contribuito all'elaborazione di certe ipotesi di lettura di Dione quelle discussioni su problemi cosi lontani nel tempo e nello spazio. Il libro è dedicato a mia moglie e a mia :figlia, che hanno vissuto con me giorno per giorno la lunga fatica di questo lavoro.

VI

o anche interi discnrsi o gruppi di discorsi senza disporre di un

quadro di riferimento generale accettabile. Il mio lavoro intenderebbe dunque proporre un simile quadro di riferimento, tale da rappresentare una prospettiva unificante per una serie di ricerche che si sono -ultimamente svolte o si stanno svolge:1.1do su Dione in varie parti del mondo: Anastasi, Andrei, Brancacci, Bravo Garda, Crimi, Ferrante, Highet, C. P. Jones (del quale, stando al Bowersock (ed.), 37,. si attende anche un libro sui discorsi alle città), Jouan, Jozefowicz-Dzielska, Kienast, Kindstrand, Luzzatto, Malherbe, Mussies, Quet, Szarmach1 Touloumakos, Trisoglio, Wilmes (per tacere di queHe a carattere specificamente filologico o linguistico, per cui vd. alle pp. XIII/XIV e 628); ricerche che si riconducono a vari settori d'indagine· attualmente attivi sulla società alto-imperiale, da quello storico-culturale (Bompaire, Bowersock, Bowie, Brunt, Fears, Gabba, Oliverj Palm, Réardon), a quello politico-amministrativo (Burton, Grelle, Habicht, Millar, Norr, Sherwin-White, Stahl), a quello ora aperto sui Dialogues d'Histoire Ancienne (1977), e che si prospetta particolarmente fecondo, sull'ideologia della classe dirigente greca (Panagopoulos, Carrière). L'utilizzazione in questa prospettiva dell'esperienza e del] a testimonianza dionea presuppone chiarezza sui caratteri dell'uomo, sui suoi orientamenti politici e culturali, sulla sua storia individuale. A tutti gli studiosi sop-ra ricordati sono debitore di idee e suggestioni, di carattere particolare e generale, di cui mi sono sforzato di segnalate sistematicamente la paternità a suo luogo; di eventuali, non volute, omissioni -spero mi sia concessa venia. Momigliano) per un recupero a11'indaginestorica della personalità di Dione, I punti in cui concordo con la ricostruzione del Moles sono molti e importanti; Tihadisro tuttavia (confermando quanto ho scritto nel 1972/1973} che a mio parere la t~ria della conversione è da attribuire in realtà a Sines{o. Nulla invece posso dire dd saggio di I. M. Nachov sul cinismo di Diane, nei VKF del 1976 a mc inaccessibili, segnalato nell'ultimo APh.

Torino, 12 novembre 1978

VII

Paolo Desideri

INTRODUZIONE Questo è un tentativo di scrivere un capitolo di storia dell'impero attraverso la ricostruzione di una personalità di rilievo in campo intellettuale, che ci ha lasciato una testimonianza consistente della propria attività politica e culturale; non si tratta dunque in senso stretto di una biografia, ma della storia di un tessuto sociale in evoluzione e del ruolo in esso giocato da un protagonista se non di prima certo di seconda grandezza, profondamente radicato in quel tessuto e impegnato ad operare su di esso, con strumenti e secondo linee e programmi precisi di azione politica. Da questa prospettiva risulta evidenziato un certo tipo di problemi, quelli che si riconducono al concetto metodologico di « storia qualitativa», non perché vengano programmaticamente ignorati quelli che sono i condizionamenti reali, economici e politici, della vita sociale, ma perché questi appaiono come il punto di partenza non messo in discussione, il quadro di riferimento del processo storico, mentre l'accento batte sulla varietà degli avvenimenti che all'interno di quel quadro si svolgono, e sulle iniziative, sul movimento, sui progetti che lo animano. Il tema forse più importante che emerge da questa lettura storica di Dione è l'esistenza a cavallo fra il primo e il secondo secolo, e almeno nella parte orientale del mondo romano, di una doppia realtà politico-amministrativa, l'impero come struttura centrale, sede del potere reale, istanza potente di centralizzazione, e la città, la piccola patria, sede dell'attività economica e commerciale locale e insieme luogo di aggregazione sociale e di polarizzazione di energie intellettuali; da questa doppia realtà, vissuta dalle menti più avvertite come esperienza non lacerante, scaturiscono i due settori di impegno politico che rivivono nella let-

X

Dione di Prusa

tura delle pagine di Dione: da una parte la collaborazione critica col principe, dall'altra l'azione politica diretta nella vita cittadina, Ma gli scritti di Diane consentono anche di afferrare un a~t~o importante aspetto della società imperiale in quest'epoca, c10e la notevole omogeneità culturale, almeno ad un certo livello, fra le popolazioni delle diverse province e città, e quindi la possibilità di muoversi per le più varie parti dell'impero con la certezza di capire e di essere capiti; presupposto necessario dell'esplicazione da parte di Diane di un terzo mandato politico•culturale, quello in cui lo vediamo impegnato in una nutrita serie di discorsi indirizzati agli abitanti di varie città dell'oriente, e quasi certamente anche a popolazioni non cittadine. Nel loro complesso i discorsi che compongono la raccolta dionea offrono una documentazione adeguata di questo tipo di realtà, in cui Dione si muove, e naturalmente forniscono le coor• dinate dell'azione di Diane sui vari piani, consentendo il recu• pero di motivazioni, interessi, obiettivi; ma essi si prestano anche ad essere analizzati in funzione di una ricostruzione delle tecniche e degli strumenti d'intervento politico che Dione mette in opera nella sua qualità di intellettuale impegnato, alle prese con la varietà dei contesti operativi che abbiamo indicato, cioè dei destinatari del suo messaggio. Una lettura siffatta dei discorsi è di necessità poco sensibile agli aspetti propriamente letterari del testo, ai problemi di tipizzazione formale e di collocazione dei singoli scritti nella storia dei « generi » ai quali sono bene o male riconducibili· ciò non significa che chi scrive neghi l'interesse di una simile indagine, ma solo che questa sarebbe poco produttiva ai fini dei risultati a cui qui si mira. Tuttavia non ci si deve nascondere che al limite i. due tipi d'indagine, quella letteraria e quella storica, possono rivelarsi reciprocamente conflittuali: quasi un secolo fa, fu proprio questa divergenza negli interessi di partenza che portò su posizioni antinomiche, nella valutazione della personalità di Diane, due dei suoi maggiori conoscitori, Hans Von Arnim e Rudolf Hirzel; il fatto era, ed è, che un approccio rigidamente letterario alla produzion~ dionea rischia di distruggere un personaggio che si mimetizza nella tradizione e inventa una dimensione fuori del tempo, mentre l'approccio storico può portare a sottovalutare le molteplici effettive connessioni di Dio-

I ntroduziane

Xl

ne col passato, e di accreditargli per conseguenza un'originalità che certo non ha. In realtà di originale in Diane c'è solo il fatto che egli rivela, come persona storicamente determinata, e quasi suo malgrado, la volontà di operare e incidere sul mondo che lo circonda: ciò è comunque più che sufficiente a legittimare un'indagine storica su di lui, e mi auguro che i risultati di questo lavoro possano apparire come una conferma di questa convinzione. II modo migliore per affrontare Diane era dunque quello dell'Arnim, che riteneva la gran parte degli scritti dionei legati a_ s~tuazioni particolari, testi di discorsi effettivamente pronunClatl, e su questa base compi il grande sforzo di ricostruire una cronologia della sua vita; il suo errore fu quello di creare, adattando alle sue necessità la malfida interpretazione che di J?ione avev~ dato Sinesio, una specie di limbo, il cosiddetto periodo sofistico, per collocarvi tutti quegli scritti che difficilmente si_immaginano pronunciati o che viceversa sono del tutto privi d1 connotazioni situazionali, possono cioè pensarsi recitati, con maggiori o minori varianti, più e più volte: si trattava in verità del travestimento, forse inconscio, di una ripartizione degli scritti di Dione per «generi». lo credo che l'elaborazione di testi da pronunciare in situazioni determinate non sia inconciliabile con la stesura di documenti per i quali è prevista una diffusione solo scritta o con l'adattamento ad uso personale di temi tradizionali da servire per conferenze o sermoni moraleggianti, né che si possa ipotizzare una distinzione di tempi sulla base di siffatta presunta inconciliabilità; la cronologia si costruisce sulla base dei testi ·che consentono precisazioni di carattere situazionale, e quanto agli altri, si cerca di avvicinarli, tenendo conto dei contenuti, cioè delle idee espresse, a quelli della cui collocazione cronologica siamo relativamente certi: quando ciò non sia possibile, rinunceremo ad una collocazione cronologica. Sinesio aveva i suoi buoni motivi, e li ho messi altrove in luce, per dividere in due la vita di Dione, prima squallido sofista e poi, a seguito della miracolosa « conversione » connessa al provvidenziale esilio, serio filosofo; ma nessuno degli scrittori antichi che parlano di Dione prima di Sinesio (il quale scrive circa tre secoli dopo la sua morte) fa il minimo accenno a questa conversione e relativa bipartizione della vita, pur essendo relativamente ben noto l'episodio che ne sarebbe stato la causa

Dione di Prusa

Introduzione

scatenante, l'esilio: dall'esilio dunque, momento realmente cen• trale dell'esperienza biografica di Dione, e non dalla presunta conversione alla :filosofia,si dovrà partire. Una ricognizione ac• curata delle testimonianze che si hanno su Dione fino all'inizio del terzo secolo (Filostrato) consente di rendersi conto di quale sia stato, nel giudizio dei contemporanei e dei più immediati posteri, il peso e il significato della personalità di Dione, di verificare in particolare il valore dell'episodio dell'esilio; assicura anche l'acquisizione di una serie di dati (trascurati dall'Arnim), relativi a ciò che era stato Dione prima dell'esilio, cioè durante il regno di Vespasiano e di Tito: tutto questo suggerisce conclusivamente l'opportunità di orientare l'indagine sul piano, già descritto all'inizio, del ruolo svolto da Dione nella storia politica del suo tempo. Dione si rivela cosl, al di là della vicenda individuale, che pure ha il suo interesse, un possibile « campione» di una classe sociale dai connotati abbastanza precisi, il cui peso politico è rilevante; dai suoi scritti affiora con i suoi connotati essenziali quella classe dirigente orientale che ha a suo tempo visto in Roma la garanzia dell'instaurazione di un ordine mondiale, e preme ora per veder riconosciuto il tuolo che ritiene spettarle a livello di gestione del potere centrale: una compartecipazione sul piano delle decisioni politiche con l'aristocrazia italica e lo stesso principe. Tutta l'opera di Dione, in tutti e tre i settori di intervento politico-culturale che abbiamo indicato all'inizio, è animatada un principio ispiratore costante, lo sforzo di rivitalizzazione di questa classe, che da una parte deve trovare la giusta via di mezzo fra il servilismo e la petulanza nel trattare con gli uomini di Roma; dall'altra, proprio per riaffermarela propria indispensabilità come elemento direttivo dell'impero, deve consolidare le proprie posizioni di potere in sede locale, muovendosi con agilità alla ricerca di un consenso popolare che riduca le opportunità di intervento della forza armata di Roma: l'esperienza dell'esilio è assai importante per Dione perché, al momento stesso che gli rivela crudamentel'inesistenzadi un'alternativa a Roma, gli rappresental'urgenza indilazionabiledi un'azione di recupero almeno dei ceti medi, da ricondurresotto l'egemonia politica e culturale della tradizionale classe di potere locale.

Dione è dunque un esponente di questa classe e si adopera per consolidarne le posizioni; ma li tipo di attività che egli svolge, nella varietà delle articolazionia cui abbiamo accennato,non si configura come politica in senso stretto: anche se è probabile che dopo la fine dell'esilio Dione abbia rivestito cariche pubbliche in Prusa, la sua dimensione fondamentale resta quella del!'« intellettuale » che si impegna sul piano politico con le armi della parola e dello scritto, per diffondere messaggi di unificazione sociale ed elaborare un'ideologia. Dione ha certamente dedicato tempo e studio al perfezionamento della propria strumentazione espressiva, allo scopo di raggiungere con le sue parole i più ampi strati possibile di popolazione; un grosso e originale lavoro di M. H. Quet, in corso di stampa nei « Dialogues d'Histoire Ancienne » e che ho potuto esaminare per la gentilezza dell'A., mette assai bene in luce uno degli aspetti più significativi dell'oratoria dionea, cioè il fatto che essa tenda a suscitare l'impressione dell'assolutezza e dell'intangibilità della realtà politica contemporanea, garantita dall'ordine cosmico e dalla storia del passato. Con questo non si è detto tutto: il discorso dionea ha dei contenuti, oltre che una forma; ma è esatto che la forma sia quella di far leva sul complesso dei dati mitologici, storici, religiosi che costituiscono il generico patrimonio culturale degli ascoltatori per restituirglielo, attraverso un'abile manipolazione,provvisto di quei connotati che meglio si adattano alle esigenze della dimostrazione contingente dell'oratore. :fl con questa straordinaria capacità di convincere gli uditori che ciò che egli dice non è altro che quello che essi stessi pensano, che si spiega a mio parere l'epiteto « boccad'oro» col quale Dione era noto, forse già presso i contemporanei.

XII

XIII

AVVERTENZA Il testo dioneo seguito è quello dell'Arnim (voli. I/II, Berolini 1893/ 1896); me ne sono distaccato tutte le volte che mi è parso opportuno, motivando la mia scelta. Naturalmente ho tenuto presenti anche l'edizione teubneriana del De Budé (I/II, Lipsiae 1916/1919) e quella della Loeb Classica! Library (specialmente per la traduzione), curata per la prima parte (disc. I/XXXI) da J. W. Cohoon, e per la seconda (disc. XXXII/ LXXX) da H. I.amar Crosby (I/V, London-Cambridge, Mass. 1932/19'1, con varie ristampe); di qualche utilità mi è stata anche la traduzione (e

XIV

Dione di Prusa

il commento) di W. Elliger (Ziirich, 1%7). Tra coloro che hanno dedicato le loro cure al testo di Diane dopo le due edizioni più importanti (Amim e De Budé) credo si debba ricordare soprattutto E. Wenkebach (Philologus XCIV 1941, 86/124); segnalo anche i recenti contributi del Garzya (Maia Xli 1960, 43/47; SIFC N.S. XXXVI 1961, 246/248) e deil'Anastasi (SicGymn XXIV 1971, 234/240). SIGLE. Con A. faccio riferimento, ove non sia diversamente specili-

cato, a H. VoN ARNrM,Leben und Werke des Dio von Prusa; con C. (= Cohoon) e L. C. (= Lamar Crosby) rispettivamente alla prima e alla seconda parte dell'ed. dionea della Loeb; con E. alla trad. e comm. di W.Elliger.

Capitolo I

DIONE NEL GIUDIZIO DEGLI SCRITTORI ANTICHI DA PLINIO A FILOSTRATO 1. PLINIO

L'autore piU antico che ci parla di Dione è, in una lettera a Traiano 1, Plinio il giovane, uno dei pochissimi contemporanei che danno sue notizie (oltre a Traiano nella lettera di risposta 2, Epitteto e, forse, Plutarco). Nella lettera Plinio chiede consiglio all'imperatore sulla linea da seguire in una vertenza che oppone in Prusa Dione, in veste di accusato, a Flavio Archippo, l'accusatore, assistito daJl'avvocato Claudio Eumolpo 3• Dione si sarebbe rifiutato di rendere conto al consiglio cittadino della conduzione di un'opera pubblica di cui gli era stata affidata la cura; inoltre gli si faceva carico di aver fatto collocare nei pressi di quello stesso edificio, dove era stata anche eretta una statua dell'imperatore, la tomba della moglie e di un figlio. Il testo di Plinio viene a confermare e a precisare opportunamente, in particolare sul piano della cronologia, una situazione risultante anche con chiarezza da alcune pagine dei discorsi bitinici: cioè la difficoltà che incontra Dione a portare avanti una politica di rinnovamento edilizio della sua città, una politica che ha d~Ile evidenti implicazioni di carattere politico. Ma di tutto ciò tratteremo a suo luogo 4 • Qui, in sede di valutazione globale della figora di Dione quale emerge dalle due lettere dell'epistolario pliniano, è da rilevare anzitutto il preminente interesse di Dione, in questa fase, che come vedremo è l'ultima, della sua vita, alle questioni politiche interne della sua città. Dal resoconto di Plinio, che dovrebbe essere obiettivo, sembra risultare anche la sostanziale correttezza del suo comportamento sul piano giuridico: egli si dimostra infatti pronto a fornire la

Dione di Prusa

I. Dione nel giudizio degli scrittori antichi

« memoria » chiesta da Plinio, contenente la sua linea difensiva,

samente a quel capitolo del terzo libro in cui si tratta di « Coloro che leggono e discutono a mo' di conferenzieri » 1• Epitteto intende mostrare che essenziale per distinguere il senso delle azioni umane è sapere il fine cui tendono; e per valutarle sapere se il fine è giusto. Non basta dunque che un conferenziere dichiari di avere di mira l'interesse dell'uditorio, e di non tenere alle lodi; bisogna indagare che cosa intenda per interesse, e solo dopo potremo correre ad ascoltarlo. Si chiarirà cos{ che il conferenziere non tratta i temi di reale interesse filosofico, non si pone il problema del miglioramento morale dell'ascoltatore; e infatti l'ascoltatore non ne ricava alcuno stimolo alla riorganizzazione della propria esistenza: vede nel conferenziere semplicemente chi gli insegnerà« come bisogna parlare», e lo ammira per questo. « Ecco che cosa dice: - Quest'uomo scrive con la massima perfezione formale, molto meglio di Dione -. Ma non è questo il punto» 2 • Non è questa l'ammirazione che bisogna suscitare; non bisogna estasiarsi per il numero dei propri ascoltatori: « Oggi sono molti di piU - Sl, certo - Diciamo cinquecento - Ma no, facciamo mille - Mai Dione ne ha avuti tanti » 3 • Qui possiamo fermarci; il discorso procede sullo stesso tono, per chiarire ulteriormente la distinzione da farsi fra il vero filosofo e il conferenziere d' apparato. Ma è già chiaro che Diane rappresenta per Epitteto il modello caratteristico e comunemente riconosciuto per tale proprio del conferenziere d'apparato; il che è molto importante quando si consideri che le Diatribe sono il frutto delle lezioni epittetee seguite da Arriano a Nicopoli d'Epiro al piu presto fra il 110 (Arriano è nato verso il 95 4 ) e il 125/130 (presunta data di morte di Epitteto 5 ): cioè ben oltre la pretesa conversione di Dione alla filosofia di cui parla Sinesio. Su tutto il problema torneremo esau~ rientemente in un apposito capitolo; ma è :fin d'ora chiaro che Epitteto non sapeva nulla di questa conversione, o che, se Dione aveva già cominciato a diffondere l'interpretazione fortemente idealizzata del proprio esilio attestata per noi soprattutto dal discorso In Atene sull'esilio 6, preferiva non darle alcun peso. Occorre in ogni caso sottolineare che la polemica di Epitteto non è diretta contro i conferenzieri che ammettono senz'altro di mirare a divertire l'uditorio, ma contro quelli che magari si considerano dei filosofi, gente che dichiara a parole di volere il miglioramento etico degli uomini, ma che in realtà non svolge né piU né meno

2

mentre non fanno altrettanto i suoi accusatori, i quali anzi nella fase finale dell'indagine appaiono piuttosto preoccupati di dissociare le loro responsabilità nell'accusa 5 • Infine, la risposta di Traiano è una chiara dimostrazione, pur nella freddezza dello stile burocratico, del favore di cui Dione gode presso l'imperatore: questi impone infatti di lasciar cadere l'acaisa di maiestas, e per quanto riguarda l'altra imputazione, pur disponendo che Dione renda conto della conduzione dell'opera, dimostra di esser convinto che Dione stesso non abbia nulla in contrario a tale ovvio procedimento 6• Il favore di Traiano è un dato biografico ricavabile anche da un paio di passi dei Bitinici 7 nonché, per via indiziaria ma in modo pressoché certo, da alcuni dei discorsi Sulla regalità 8 ; e compare nella forma pill esplicita, anche se con tono fortemente aneddotico, nella Vita filostratea, come vedremo più avanti. Resta da dire, per concludere con Plinio, che il nome di uno degli accusatori di Dione, Flavio Archippo, ricorre anche in un altro luogo del decimo libro 9 , dove è lui ad essere accusato, e precisamente di essersi sottratto con la fuga al compimento di una pena in metallum che gli era stata comminata in quanto colpevole di falso; mentre dalla stessa lettera risulta che reclama il diritto di esenzione dall'obbligo di prestare servizio civile come giudice, per la sua qualità di filosofo 10• Appare dunque probabile che l'accusa di Archippo a Diane, e quella indirizzata contro Archippo stesso, siano in qualche modo collegate, episodi forse di una lotta fra partiti e consorterie cittadine svolta senza esclusione di colpi da una parte e dall'altra, in cui pub aver giocato un ruolo anche la rivalità intellettuale fra i due personaggi. Tuttavia, dato il carattere ipotetico di questo collegamento e delle conclusioni che se ne possono trarre, è prudente riservarne l'approfondimento alla parte in cui si cercherà di ricosti-uire la situazione politica e sociale della Bitinia in età traianea, piuttosto che sforzarsi di ricavarne ulteriori dubbi elementi per una caratterizzazione del Dione pliniano. 2.

EPITTETO

Epitteto fa a Diane un breve, ma molto significativo riferimento. Il passo relativo appartiene alle Diatribe arrianee, e preci-

Dione di Prusa

I. Dione nel giudizio degli scrittori antichi

che l'attività dei conferenzieri riconosciuti: a parte l'elemento polemico contenuto in questo giudizio, ci renderemo conto procedendo nella ricostruzione della personalità di Dione che questa valutazione del personaggio e della sua attività ha qualche fondamento.

risultano, nonostante l'enormità della produzione, scritti riconducibili ad una possibile partecipazione ad un dibattito del genere •, salvo appunto i due« dionei » 10 e i numeri 217 e 219 del Catalogo di Lampria, A coloro che cercano di ingannare 11 e A coloro che per esercitare la retorica non si dedicano alla filosofia; non sarà forze azzardata Pulteriore ipotesi che tutti e quattro questi opuscoli plutarchei siano da considerare nel loro complesso un articolato intervento sul problema della responsabilità e della funzione del lavoro intellettuale, un intervento con cui Plutarco, magari in occasione di un pubblico dibattito ad Olimpia o comunque in relazione ad esso, ha preso pubblicamente le misure rispetto alle posizioni dionee (ed eventualmente di altri) sullo stesso problema. Pil.l avanti di cosi non penso si possa andare: dobbiamo rinunciare a scendere sul terreno del merito avanzando delle ipotesi che sarebbero indimostrabili circa il giudizio complessivo di Plutarco sull'attività di Dione, e in particolare circa la possibilità (o l'impossibilità) di vedere in Dione (nel giudizio d Plutarco) uno di « coloro che per esercitare la retorica non si dedicano alla filosofia», o di « coloro che cercano di ingannare». Resta però acquisito, credo, il fatto che in Plutarco la personalità di Dione appare saldamente legata ad un dibattito vivace sulla funzione dell'intellettuale nella società; e, se si accetta l'idea di Olimpia come sede occasionale di un confronto su questo argomento, che l'Olimpico dioneo rappresenta un punto di riferimento obbligato dell'indirizzo di Plutarco. La tematica dunque è ancora quella epittetea, ma non possiamo esser certi che il giudizio di Plutarco su Dione fosse negli stessi termini di quello di Epitteto: occorre tener presente tra l'altro che l'Olimpico è un discorso in cui la polemica di Dione contro sofisti e retori è particolarmente accesa 12; e occorre soprattutto tener presente che le posizioni ideologiche e i modi di vita di Plutarco e di Epitteto sono molto distanti fra loro.

4

3.

PLUTARCO

Ci piacerebbe sapere che cosa pensava di Diane un altro grande contemporaneo, che ha con lui indubbi punti di contatto 1 : Plutarco; purtroppo nessuno dei due parla mai dell'altro 2, anche se è preswnibile che ci siano stati dei rapporti diretti fra di loro. La presunzione si appoggia essenzialmente su due titoli del Catalogo di Lampria, relativi a scritti plutarchei a noi non pervenuti: il Discorso tenuto a Diane in Olimpia e la Conversazione con Dione 3• Che si tratti del nostro Dione non è in realtà provato da nulla, salvo forse il fatto che il primo dei due titoli fa espresso riferimento ad un discorso effettivamente pronunciato, e al luogo dove fu pronunziato: ciò suggerisce evidentemente l'ipotesi che il destinatario del discorso sia un contemporaneo di Plutarco, e a questo punto diventa economico supporre che si tratti proprio del nostro Dione, giacché non conosciamo alcun omonimo che abbia un minimo di notorietà in quest'epoca 4 • Anche l'altro titolo, del resto, fa pensare a un discorso realmente pronunciato 5, avvalorando le ipotesi precedenti e invitando a procedere innanzi, sia pure con le dovute cautele, nel tentativo di definire con qualche concretezza i termini di questo dialogo o dibattito fra Plutarco e Dione. È stato escluso, non si capisce perché 6 , che il discorso olimpico di Plutarco abbia a che vedere con l'Olimpico di Dione 7 ; a priori questa connessione non pare priva di verisimiglianza, dato che Diane in quel discorso si impegna fra l'altro a chiarire il senso della propria attività culturale, e a distinguere la sua posizione da quella, a suo parere errata, di altri conferenzieri (sofisti, retori) che sono anch'essi presenti a Olimpia: è l'unico caso, in tutti i discorsi dionei che possediamo, che è presupposta una specie di pubblico confronto fra modi diversi di concepire il dovere dell'uomo di cultura 8 , e non sorprenderebbe dunque che quella di Plutarco sia stata una delle voci intervenute nella discussione. Ma poiché neppure per Plutarco

4.

5

FAVORINO

Con Plutarco termina lo scarno elenco dei contemporanei che ci parlano, non molto per la verità, di Diane 1; la loro è una testimonianza importante, perché di prima mano, forse derivante da una conoscenza diretta della persona; ma può anche essere parziale, perché essi possono non aver avuto il tempo di seguire fino

Dione di Prusa

I. Dione nel giudizio degli scrittori antichi

in fondo l'evoluzione della sua personalità, nel caso ci siano state grosse modificazioni. Segue immediatamente, in ordine cronologico, un importante riferimento a Dione da parte di quello che fu l'allievo suo piu noto, Favorino 1a; siamo nella generazione successiva a quella di Dione, ma qui è sicura la conoscenza diretta, nonché la possibilità di uo giudizio complessivo e definitivo sulla personalità: Dione infatti è già morto al momento cui si riferisce l'aneddoto. Racconta dunque Filostrato che quando Favorino fu designato alla carica di sommo sacerdote nella sua città 2 chiese di essere dispensato da questa liturgia come filosofo 3 ; ma poiché ciò lo pose in urto con l'imperatore, Adriano, il quale puotava ad alleggerire le proprie responsabilità di governo affidandole appunto a sofisti e filosofi, ed era perciò pronto anche a negare a Favorino la qualifica di filosofo, questi decise infine di far buon viso a cattivo gioco. Si recò allora dall'imperatore e gli disse: « Ho fatto uo sogno, o re, che devo narrarti. Il mio maestro Dione mi è apparso e mi ha ammonito, nel nome della giustizia, ricordandomi che non siamo venuti al mondo solo per noi stessi, ma anche per la nostra patria. Accetto dunque, o re, la liturgia, e dò retta al maestro». Per Favorino Dione rappresenta evidentemente uo modello di comportamento politico.culturale, che egli in questo caso segue, sia pure a denti stretti: il modello è quello dell'integrazione reciproca tra attività culturale ed impegno politico: ed effettivamente Dione in pi-6.luoghi dei suoi scritti teorizza la necessità di un simile comportamento, ed appare in altri ( specialmente, ma non soltanto, i Bitinici) concretamente impegnato nelle lotte politiche cittadine 4 • È particolarmente significativo che questa connessione fra cultura e politica sia stata attribuita a Dione come elemento caratterizzante della sua personalità proprio da un discepolo: evidentemente Dione doveva farne uno dei puoti principali del suo insegnamento 5•

fra :filosofia, retorica, e società; ma nel giudizio su Dione emergono elementi di indubbia novità, con una progressiva accentuazione del ruolo politico giocato dal personaggio, non pill soltanto, come in Favorino, nell'ambito della città, ma al massimo livello centrale. In questo contesto assume importanza determinante il dato biografico dell'esilio, per la prima volta ricordato da Luciano, ma evidentemente presente alla mente di Marco Aurelio. Frontone menziona Dione in uoa lettera diretta probabilmente a Marco Aurelio 1, assai lacunosa, ma il cui significato globale è ricostruibile senza eccessive difficoltà. La lettera s'inquadra in generale nel contesto della polemica anti-stoica di Frontone, e piti in particolare della lunga guerra da lui sostenuta per ricondurre l'imperiale allievo ai lidi della retorica sottraendolo al malefico influsso della filosofia stoica 2 ; si tratta quasi certamente di una delle ultime battute della contesa', perché Frontone dichiar~ di non poter cambiare le proprie idee, dato che è ormai vecchio 4 • Il tono, falsamente rassegnato 5 , preannuncia comunque una linea difensiva all'interno di un rapporto che si è ormai rovesciato nei suoi termini: l'antico allievo ha ora l'atteggiamento del maestro, e cerca di convincere il vecchio maestro a seguirlo per la sua strada, mentre questo riafferma vivacemente le sue convinzioni di tutta una vita. Lo stile, egli afferma, è tutto: questo principio vale per i pittori, vale per i poeti, vale per gli storici, vale per gli oratori, vale per gli avvocati; e vale anche per i filosofi, come dimostra la differenza fra Zenone, Socrate, Diogene, Eraclito, Pitagora, Clitomaco, ciascuoo dei quali affida la specificità del proprio messaggio ad un modello espressivo particolare 6 • Come può dunque permettersi Marco di suggerire a Frontone di mutare i caratteri del proprio messaggio? Qui, nella difesa del proprio ideale culturale, il vecchio pedagogo trova accenti di vera, e pericolosa, indigna• zione: non solo accusa senza mezzi termini l'imperatore di essere assai scorretto nei suoi confronti 7 ; ma si lancia, nel finale della lettera (o meglio, di quel che resta della lettera) 8, malauguratamente la parte pi6. malandata, in un pesante attacco ad Epitteto 9 , il nuovo idolo di Marco. L'allusione a Dione fa parte per l'appuoto di quest'attacco, di cui dovremo dunque cercare di precisare i termini. La menzione di Dione ( e di altri uomini di cultura, come vedremo) è preceduta da una grande lacuna, prima della quale Frontone iniziava la contestazione delle opinioni di Marco in me•

5.

FRONTONE

La seconda generazione dopo Dione ci pone di fronte, con le allusioni di Frontone, di Marco Aurelio e di Luciano, ad un quadro culturale sostanzialmente omogeneo col precedente: i temi centrali del dibattito intellettuale sono ancora quelli del rapporto

7

Dione di Prusa

f. Dione nel giudizio degli scrittori antichi

rito alla scelta delle parole 10: Marco negava evidentemente che fosse lecito impegnare studio e fatica per fornire il proprio eloquio di termini ricercati e raffinati 11; Frontone domandava, polemicamente, che cosa dunque poteva fare lui stesso, cui le parole eleganti venivano spontaneamente e senza alcuna sollecitazione o ricerca: doveva forse rinunciarci comunque? Qui si apre la grande ~acuna, di una ventina di linee 12 secondo le indicazioni del Mai 13, interrotta solo dalle parole baud igitur iudicarent ea si dopo le prime undici; segue il passo che ci riguarda direttamente: Quid nostra memoria Euphrates, Dio, Timocrates, Athenodotus? Quid horum magister Musonius? Nonne summa facundia praediti neque minus sapientiae quam eloquentiae gloria incluti exstiterunt? La frase successiva è di nuovo lacunosa: An tu - (lacuna di 11 lettere) - consulto verbis usum - (nuova lacuna di 95 lettere 14) ne pallium quidem sordibus obsitum candido et pure lauto praetulisset. Nisi forte eum tu arbitrare claudum quoque consulto factum et servum consulto natum. Quid igitur est? Tam facile ille - e il testo si interrompe definitivamente. Possono aiutarci nella ricostruzione del senso del discorso alcune preziose note marginali della « seconda mano», e precisamente le seguenti: a) Epictetus incuriosus; b) Socrates, Xenophon, Antisthenes, Aeschines, Plato 15 (che vengon per cos1 dire a riempire le ultime nove linee della grande lacuna, tra il frammento haut igitur iudicarent ea si e la ripresa Quid nostra memoria etc.); d) Nisi forte Epictetum arbitrare etiam claudum consulto factum. Nunquam voluntarias verborum sordes induisset. Forte et servus consulto natus est sapiens? Sed ita eloquentia caruit pedum incolumitate 16 ( che riassume e completa l'ultimo passo conservato prima dell'interruzione definitiva). Appare chiara, nel complesso, la volont~ di Frontone di esorcizzare il modello epitteteo: Frontone sostiene che lo stile di Epitteto, né piU né meno che il suo sistema di vita e la sua con• dizione sociale, non è il frutto di una scdta consapevole, ma è semplicemente la conseguenza di una situazione di partenza cui egl~ non poteva sfuggire, nemmeno se lo avesse voluto; certo Ep1tteto non ha programmato di nascere schiavo, né di divenire zoppo: allo stesso modo non ha evitato di proposito l'eloquenza elegante, ma si è espresso in uno stile rozzo e volgare perché solo quello gli era accessibile e solo quello possedeva. Se avesse potuto, anch'egli avrebbe preferito una veste candida e ben lavata ad

una piena di macchie, Appare dunque attraente un'eventuale integrazione An tu (censes Epictetum) consulto verbis usum (rudibus (o qualcosa del genere) esse) 17... ?, che metterebbe nel giusto rilievo il principio dell'assoluta casualità della rozzezza stilistica epittetea, Questo principio è lo stesso di quello dell'eleganza stilistica spontanea di Frontone, che abbiamo visto affermato subito prima della grande lacuna. È presumibile a questo punto che nella lacuna fosse contenuta una negazione (attribuita evidentemente a Marco) del principio della spontaneità/necessità, in cui Epitteto era portato come prova della possibilità di un programmatico abbandono da parte del saggio di ogni raffinatezza espressiva: il saggio può, e quindi deve, semplificare al massimo il suo linguaggio, fino alla piU assoluta ineleganza formale; cosi si rende ragione della nota marginale Epictetus incuriosus 18• La risposta di Frontone era sia sul potere che sul dovere. Già abbiamo visto che contro il potere egli riaffermava, rafforzandola con un attacco personale ad Epitteto, la sua concezione spontaneistico-deterministica dello stile; quanto al dovere, egli non faceva che stendere un elenco di pensatori che eran stati anche maestri di stile. L'elenco distingue due gruppi, rispettivamente di pensatori del passato e del presente: tra i primi Socrate, Senofonte, Antistene, Eschine, Platone 19; tra i secondi Eufrate, Dione, Timocrate, Atenodoto, col maestro comune Musonio; almeno a proposito di questi ultimi ricompare, ad abundantiam, anche il tema del potere: nonne summa facundia praediti etc ... ? Il nostro Dione si trova cos{ inserito, in Frontone, in un insieme di elementi che hanno, per l'autore del raggruppamento, almeno un carattere in comune: essi costituiscono il parallelo moderno di un gruppo di personaggi dell'antichità ai quali nessuno, secondo lui, potrebbe seriamente contestare il diritto al titolo di filosofi; sono dunque anch'essi dei filosofi, e precisamente di quel tipo di filosofi, ben attestato anche nell'età classica, « tanto famosi come sapienti quanto come maestri di stile ». Tra i due gruppi Frontone istituisce un parallelismo chiaro: in entrambi i casi si tratta di scuole, quella di Socrate e quella di Musonio; gli elementi dei due gruppi sono sempre quattro (oltre al maestro), che rappresentano evidentemente delle possibili varianti dell'unico tipo fondamentale; è probabile che anche tra i singoli elementi ci sia un preciso parallelismo, ma è difficile

Diane di Prusa

I. Dione nel giudizio degli scrittori antichi

poterlo dimostrare, dato che solo di Diane, tra i« moderni», abbia. mo una conoscenza adeguata e soprattutto diretta 20, Ci limitiamo pertanto a tentare una breve analisi interna del gruppo dei « moderni », non senza aver osservato però che nel gruppo degli « antichi » la presenza di Senofonte è la spia di una concezione del tutto particolare del1a fìloso6a. Atenodoto è per noi poco piU che un nome; Frontone lo definisce suo maestro 21; Marco Aurelio lo cita come esempio di devozione nei confronti del maestro (che non dice chi sia) 22• Per Timocrate (di Eraclea Pontica) il discorso è pill articolato. Luciano parla di lui come di un filosofo, ma riconoscendogli, al pari di Frontone, una grande potenza espressiva 23; ne dà un giudizio positivo in quanto maestro di Demonatte 24, e in quanto i suoi seguaci sono accaniti avversari di Alessandro di Abonuteico 25• Questa valutazione è confermata, con abbondanza di dettagli e con maggiore accentuazione della componente retorica della personalità di Timocrate, da Filostrato nella Vita del sofista Palemone 26, che fu suo allievo per quattro anni. Filostrato ne sottolinea la tempra morale e ricorda che fu Eufrate di Tiro a portarlo ad abbracciare la filosofia vera e propria (prima si occupava soltanto di medicina)"; parla poi della sua irruenza oratoria 28 e della sua contesa con Scopeliano che divise in due fazioni la gioventli studiosa di Smirne 29; ricorda infine un suo giudizio sprezzante su Favorino 30, servilmente condiviso da Polemone.Probabilmente, se Filostrato avesse voluto dedicare a Timocrate una biografia a parte, lo avrebbe inserito tra i « filosofi che avevan fama di capacità sofistica » 31, cioè in quella prima sezione della sua opera in cui figura tra l'altro proprio la biografia di Dione 32: infatti lo chiama sempre « il filosofo»; sia da Luciano che da Pilastrata emerge dunque una sostanziale conferma, corroborata dall'apporto di dati di fatto precisi, della scheletrica valutazione frontoniana di Timocrate come « filosofo letterato ». Le cose si fanno pili complicate con Eufrate, che Filostrato ri~ corda, lo abbiamo visto, come maestro di Timocrate, e di cui ci danno abbondanti notizie Plinio, Epitteto, e lo stesso Filostrato nella Vita cliApollonia 33, Per Plinio l'attività educativa e culturale che il filosofo Eufrare svolge a Roma è un segno tangibile della fioritura culturale che al momento ha luogo in città, come mai in passato. È probabile che, nonostante la circospezione con cui

si esprime, Plinio alluda qui al clima di euforia instauratosi in Roma dopo l'uccisione di Domiziano, di cui è celebre testitnonianza l'inizio dell'Agricolatacitiano 34; ma non appare giustificata l'illazione che Eufrate sia stato bandito da Roma nel 93 /94, al tempo della cacciata dei filosofi 35, perché in tal caso qualcosa ne sarebbe pur trapelato, magari da Plinio stesso che altrove fa un elenco di vittime illustri della persecuzione 36• La figura del filosofo emerge in ogni caso dalle parole di Plinio come quella di un moderato benpensante, alieno da atteggiamenti almeno scopertamente ostili all'establishment: « Tante sono le qualità che primeggiano e rifulgono in Eufrate, da essere notate e ammirate anche da gente mediocramente colta. Egli discute con sottigliezza, solidità, bella forma, e sovente raggiunge quell'elevatezza e pienezza di espressione che sono proprie di Platone. Ricco, vario, soprattutto persuasivo è il suo parlare: si aggiunga un'alta persona, un nobile aspetto, capelli abbondanti, una candida barba fluente, le quali cose se possono esser considerate casuali e di poco conto, gli conciliano tuttavia grande venerazione. Nessuna rozzezza nel modo di vestire, nessuna durezza nel tratto, una grande serietà; trattare con lui ispira rispetto, non ti.more. Una grande purezza di vita e pari affabilità: egli persegue i difetti, non gli uomini, e coloro che sbagliano non li punisce, ma cerca di correggerli... » 37• Piu avanti Plinio lamenta il fastidio delle incombenze della sua carica di prefetto dell'aerarium Saturni, che gli impediscono di dedicarsi alle sue occupazioni preferite. « Talvolta (o quanto di rado!) ma ne lamento con Eufrate. Ed egli mi consola, affermando che anche le occupazioni d'interesse pubblico come l'istruire procedimenti e emettere sentenze, cioè il promuovere e amministrare la giustizia, e il eompiere nei fatti ciò che i filosofi insegnano, è una parte, anzi la pill bella, della filosofia» 38• La valorizzazione in senso etico di un'attività aministrativo-politica a carattere essenzialmente esecutivo, quale quella svolta da Plinio", è la prova piu chiara del fatto che la nota dominante della personalità di Eufrate (almeno come Plinio ce la presenta) è un atteggiamento assai indulgente, comprensivo e tranquillizzante nei confronti dei membri della classe dirigente romana bisognosi di facili conforti spirituali 40• Questa valutazione è sostanzialmente confermata dagli accenni ad Eufrate contenuti nelle Diatribe e nel Manuale di Epitteto 41• Eufrate è in un luogo la

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personificazione del tipo di filosofo che, volendo essere giudicato per gli atti che compie, e non per le parole che dice, evita ad.dirittura di definirsi filosofo. Epitteto riporta anzi una sua lunga dichiarazione di principio, introdotta da un « bene diceva Eufrate », a proposito dell'opportunità che il vero filosofo nasconda la sua identità: ù.oaoq,fia~ !v 36~TIwU aoq:ita't'Waat(V.S., I, 8, p. 208 K.). 32 Per una discussione, sia pure da un'angolatura diversa, della concezione filostratea, vd. il mio lavoro su Sinesio, 551/557. 33 Filostrato ne parla poi ancora una volta nelle Vite dei sofisti (1, 7, p. 206 K.), a proposito dei suoi rapporti con Diane. Cassio Dione (LXIX, 8, 3) ricorda le circostanze della sua morte: egli si uccise bevendo la cicuta, malato e annoiato della vita, non prima però di aver chiesto ad Adriano il relativo benestare. 34 Per la datazione e la ricostruzione del contesto politico.culturale dell'ep. I, IO vd. Sherwin-White (a), !08; 115. 35 Cosfper l'appunto Io Sherwin-White; di diverso avviso il Grimal (a), il quale pensa anzi che Eufrate sia venuto a Roma al tempo del processo di Apollonio, nei primi mesi del 96 (il che escluderebbe evidentemente che egli fosse all'epoca un filosofo di professione) per rimanervi almeno fino a un paio d'anni dopo la fine di Domiziano. "III, 11, 2/3.

v.s.,

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37 I,

10, 5/7 (nella traduzione di F. Adorno, II, 316, il quale cosl'.pertinentemente commenta: « Senza dubbio ritrattino di maniera - divenuto oramai un t6pos - esso sembra, comunque, riflettere abbastanza bene quale fosse l'ideale dell'uomo per bene, per una società per bene, in un mondo piuttosto per male » ). 38 I, 10, 9/10. Un'analisi di questo passo, con l'individuazione dei modelli stoici presenti nella tematica, dà il Grimal (a), 380. 39 Sul rivestimento di questa carica da parte di Plinio vd. SherwinWhite (a), 75/78. 40 In questo senso già il Grimal (a), 372/373, il cui giudizio complessivo su Eufrate appare però troppo condizionato dalla malfida rappresentazione filostratea. 41 Il quale per altro non è neppure lui immune da atteggiamenti accomodanti nei confronti del bel mondo: pensiamo per esempio al tatto che manifesta nei confronti dei giovani aspiranti filosofi di buona famiglia (Diatr., III, 1), o all'accettazione delle buone regole della società civile che traspare dalla sua polemica contro i filosofi che vanno in giro come straccioni e non si lavano (Diatr., IV, 11); per una connotazione sociale dei destinatari del messaggio filosofico di Epitteto vd. Brunt (c), 19/30. 42Diatr., IV, 8, 17/20. 43 Ciò è rilevato già dal Grimal (a), 371/372. 44 Su questi elementi caratteristici della figura del filosofo vd. anche Diatr., II, 23, 21; III, 1, 24. Avremo occasione di tornare piU avanti sulla problematica ad essi connessa in Diane (c. II, 71 e il finale di III, 3). 45 Vd. in particolare la Diatr. II, 9 ("On. oU!3oviiµ.tvoL1'T)V dv-&p&lmlu 1tÀ1)pix «ù-rotç npiiyµ«T« lfflC~yetv. Segue una interessante distinzione tra il comportamento di Trasea Peto, cui Elvidio si richiamava, e quello di Elvidio stesso, il quale non si li~ mitava a non collaborare col principe (come Trasea); su ciò vd. il bellissimo scambio di battute che Epittcto attribuisce a Vespasiano ed Elvidio in Diatr., I, II, 19/21. Quanto al fatto che la filosofia non deve insultare quelli che hanno il potere, lo stesso concetto abbiamo trovato nello scolio a Luc., Per., 18, citato supra, n. 5 p. 47. 44LXV (LXVI), 12, 2/3 (exc. Val. 273). 45 LXV (LXVI}, 12, 1. Lo stesso concetto, riferito (a quanto pare) ad un contesto diverso anche se analogo, in Svetonio (Vesp., 25': «fu sempre talmente sicuro dell'oroscopo suo e dei suoi figli, che dopo una serie continua di congiure ebbe il coraggio di dichiarare in senato che gli sarebbero successi i suoi figli o nessuno » ). 46 V, 36/37. 47 È importante notare che la stessa espressione è usata nell'Historia Augusta per definire lo stato del regno di Marco Aurelio (IV, 12, 1; cfr. Cass. Dio, LXXI, 33, 2): « col popolo si comportò in maniera non diversa da quanto avveniva quando la città era libera». Sulla concezione politica di MarcoAurelio, che dichiarava di richiamarsi, fra gli altri, anche ad Elvidio,

cfr. supra, c. I, 6. 48 Conclusioni analoghe a quelle qui raggiunte in A. Michel (a} (45 sg.). 49 Marcello Eprio, nel primo scontro riferito da Tacito (Hist., IV, 8), mette in guardia Elvidio dal « voler salire sopra il principe » nel tentativo di « costringerlo entro direttive precise»; nel secondo (IV, 43) lo accusa di « regnare in presenza di Cesare (se. Domiziano)». 50 Il collegamento è istituito da Xifilino, nel passo riportato nel testo. 51 Vd. su ciò A. Garzetti (b), 248, che contesta per altro, giustamente, la possibilità ipotizzata dal Rostovzev (a), 133/134, n. 14, di attribuire ad Elvidio la teoria dell'optimus (il Rostovzev, come si sa, è contrario al riconoscimento di un'ispirazione repubblicana ai movimenti Politici di opposizione cinico e stoico: vd. n. 60 p. 44. 52 Di diverso avviso E. Gabba (a), 324. 53 Mi pare chiaro che questa è un'allusione alla diversità della situazione attuale rispetto ai tempi di Nerone: allora s{ che aveva senso l'oppoSi2ione dei filosofi al potere; oggi che le cose vanno bene non ce n'è piU motivo (questa la posizione di Cassio Dione). Una tematica analoga incontreremo nel discorso XXXIIdi Diane (infra, c. II, 2). 54 •-r1to8tiq>&t:tpm, letteralmente « corrodevano». 1

62 III,

49.

53

63To&rv µiv oW 6 >.6yoç &llçim:µ.v-1)a&rj, 1t0llà: n«&l)µ«T« xa.l ouµ.cpopà:t;l:xticrn;ç a.ò-r&>vix -roU 1tpo-r!pou xp6vou &t;a., 8uvliµnoç. Diversa l'interpretazione del C. che si appoggia, pur senza re:epirlo nel

54

I. Dione nel giudizio degli scrittori a11tichi

Dione di Prusa

testo, sull'emendamento &).tç: del Capps (al posto di &Uooi;); la mia interpretazione tiene conto dell'accenno di XXII, 3 (vd. infra, 348, n. 15). 64-Fra l'altro non si ha notizia di scritti di Eufrate, a parte gli tlieo39) yp&:!J,µot-rot contro Apollonia, citati da Filostrato stesso (V.A., I, 13); da quest'opera il Pohlenz (II, 234, n. 4) pensa che possa derivàre la frase con cui alla :fine dell'incontro Eufrate mette Vespasiano in guardia da Apollonia (V.A., V, 37: c:pV.ocroqiUlv '"Jv µèv xix-r&: cpUo-wt'lt'octve:t,'")v 8S &wµLrxvTctOT'lj'I.

8è: rra:p~l.&ov ii;

Dione di Prusa

60

s Il primo di questi scritti ci è conservato (VII) e, come già osservava Sinesio (Dio, 2, 2 Garzya), è tutt'altro che un 1t01:lyvtov. 6 Eocpurroù yòtp

'ro

x«t òn-tp -rotOU't'.Si tratta evidentemente di un'immunità in piU, concessa in via del tutto eccezionale (come risulta dal par. 29, che immediatamente precede) oltre le normali esenzioni da un certo gruppo di munera civilia, quelli sttettamente cittadini; un passo di Filostrato (V.A., V, 38), già ricordato (supra, 49, n. 25), ci conferma :fin dal periodo alessandrino la disponibilità di Vespasiano a quest'interpretazione estensiva delle precedenti norme regolanti le esenzioni per gli « intellettuali », verosimilmente prima del rescritto menzionato da Carisio. Diversa l'opinione del Marrou (396). L'immunità totale si avrà solo con Antonino Pio (Dig., XXVII, 1, 6, 8). 22 Secondo il Barbagallo (46/50) il rescritto di Vespasiano (e quello di Adriano) alludono a misure neroniane; mi pare pill probabile, dato il plurale principibus, che ci sia in realtà una qualche continuità d'intenti su questo piano fra tutti gli imperatori della casa giulio-claudia, a partire da Augusto (sui cui provvedimenti vd. Herzog, 980). 23 Sulla differenza fra i due tipi di munera vd. Kuhn, I, 49/50. 24 L'iscrizione è stata pubblicata, con ampio commento e ancor pili ampie integraZioni, da R. Herzog (perplessa meraviglia di fronte all'audacia

delle integrazioni, in particolare delle nove linee iniziali, di cui non c'è traccia, esprimeva V. Arangio-Ruiz, in « SDHI », V (1939), 598; riserve, su altri punti, di H. Bardon, 301, n. 4); modifiche minori sono state suggerite da N. Festa, che l'ha riedita; con le integrazioni dello Herzog l'hanno ripresentata il Riccobono, F.I.R.A., I, 73, e M. Mc Crum - A. G. Woodhead, n. 458. 25 Quest'ultimo punto è tutt'altro che certo, in quanto il termine chiave auv63ouç; è completamente frutto di un'integrazione; vd. comunque le argomentazioni di R. Herzog, 981, e la massiccia documentazione di collegi di medici e di insegnanti che egli produce sia per l'Occidente sia (soprattutto) per l'Oriente a partire dal II secolo (1001/1009). :e.in ogni caso esagerato parlare dell'editto pergameno come della « Magna Charta dell'insegnamento universitario ►> (1004); vd. le giuste riserve di H. Bardon, 301. 26 L'osservazione è dello Herzog (983), il quale però ne ricava indebitamente l'inattendibilità del passo di Carisio. 27 Lo Herzog (980/981; 983; 993/994), seguito di recente dal Bowersock ((a), 32/33}, ritiene di non dover accettare la testimonianza di Carisio per quanto riguarda l'inserimento dei :filosofifra le categorie d'insegnanti privilegiate. Gli argomenti sono due: 1) nel concetto di 7t'ctt3euTal(;;:: praeceptores) non rientrano i filosofi: di conseguenza l'editto di Pergamo che parla di -rnxt3eu't'al,esclude i :filosofi, ed erroneamente Carisio, che si basa su quell'editto (pur chiamandolo rescritto), attribuisce anche ai filosofi i privilegi ivi indicati; 2) Vespasiano perseguitò i filosofi, ed è quindi impossibile che li abbia al tempo stesso favoriti. Il primo argomento non regge, per due motivi. A) Non si capisce perché i filosofi non debbano esser compresi fra i 7t'ctt8eu-cal;non può essere infatti pili che un'opinione personale quella di Ulpiano (Dig., L, 13, 1, 4), il quale del resto tratta la questione specifica degli onorari di insegnanti privati, quando già Antonino Pio (almeno questa testimonianza, proveniente da Modestino, non è stata messa in dubbio), in una sua lettera al xow6" d'Asia ma valida per tutto l'impero ripresentava (conformemente a quanto aveva fatto Adriano) come aventi diritto all'esenzione le stesse quattro categorie d'insegnanti cli cui parla Carisio (Dig., XXVII, 1, 6, 8) - filosofi, retori, grammatici, medici - e precisava che già quella di suo padre non era stata che una conferma (i:f3s:'3i:i(ro(W.I) di onori e privilegi precedentemente concessi ( ciò non è stato notato dal Bowersock, il quale considera a torto Adriano come iniziatore di questa politica di esenzioni anche nei confronti dei filosofi; lo Herzog invece, 993, interpretando correttamente il passo di Modestino, riteneva di dover risalire almeno a Traiano). B) Non è assolutamente detto (come si vede nel testo) che il rescritto di Carisio e l'editto di Pergamo siano la stessa cosa (dubbi in proposito espresse già V. Arangio-Ruiz, « SDHI », V (1939), 597). Per quanto riguarda poi il secondo argomento, il discorso che svolgiamo nel testo mira appunto a dimostrare che non c'è contraddizione fra la cacciata da Roma di certi filosofi e la politica di coinvolgimento di larghi strati del mondo intellettuale, ivi compresi altri filosofi. Ma non basta: conosciamo bene almeno un caso cli filosofo che fa appello, sotto Traiano, all'imperatore, in quanto non viene rispettato dalle autorità locali il suo diritto all'esenzione, ut philosophus, dall'obbligo di fungere da giudice: si tratta di Flavio Archippo, l'accusatore

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Dione di Prusa

II. Il discorso di Alessandria

di Dione di cui abbiamo già avuto occasione di occuparci (1/2; esami-

suo regno in rapporto alle vicende a noi note della biografia di Dione: cft. infra, cap. IV). Ora Kindstrand (e) ripropone, contro Jones, la datazione dell'A. a Vd. a pag. 110/111. . . 4 Vd. Cass. Dio, LXV (LXVI), 8; Svet., Vesp., 19, 5; e la d1scusstone

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neremo meglio tutta la storia infra, 402/403), e Plinio ci conserva parte della documentazione che l'appellante allegava per far valere i suoi diritti (X, 58). A questo proposito lo Hetzog (993), seguito dal Bowersock ((a), 33), argomenta che Domiziano e Nerva, nel concedere e convalidare ad Archippo particolati benefici, non si richiamano ad una norma generale; ma, lasciando state l'editto di Nerva, che non riguarda personalmente Archippo, nelle lettere di Domiziano la qualifica di philosophus che gli è riconosciuta gioca un ruolo decisivo; è chiaro che egli ritiene sufficiente dimostrare questa sua qualità per vedersi riconosciuto automaticamente il suo buon diritto all'esenzione in questione (cosf anche lo Sherwin-White (a), 640/641, a torto criticato dal Bowersock). Non entra invece in questa discussione, perché di età adrianea, il caso di Favorino, il quale chiedeva anche lui, bs~ Èi:ptÀoa6i:pet, di esser dispensato dall'obbligo di esercitare nella sua città la carica di d:px:ispsUi;(Philostr., V.S., I, 8; vd. supra, 6). 28 Vd, Barbagallo, 108/110; Qarke, 78; Oliver, « Hesperia », XXXVI

(1967), 42/44. 29 Peter, I, 41; il Barbagallo (84/86) minimizza invece il significato politico delle misure culturali di Vespasiano. 30 Certamente cosi si spiega la polemica di Quintiliano (specialmente nel libro XII dell'I.O.), che parla indistintamente di filosofia, e accusa chi la pratica cli disinteressarsi della cosa pubblica (vd. supra, 89/90); in questo senso mi paiono troppo rigide le posizioni di I. Lana (a), 151 sgg. Il passo citato tra virgolette è di Cassio Dione (vd. supra, 52, n. 42). 31 Un po' paradossale è la posizione dell'Anastasi (a), il quale parla di una conversione di Dione « dalla filosofiaalla sofistica » al momento della cacciata dei filosofi (46); tuttavia egli ha colto bene gli aspetti sociali del provvedimento di Vespasiano, e la realtà della vita romana di Dione sotto i primi Flavi (42 sgg.). 2. I FONDAMENTI IDEOLOGICI DELL'IMPEGNO POLITICO DI DIONE NEL DISCORSO DI ALESSANDRIA

,xxxn. 2 In realtà si tratta delle due ipotesi pill plausibili che finora son state fatte, la prima dall'A. (435/438), che ha trovato largo credito (per ultimo l'accetta il Wilmes, nell'App.; dr. anche Fraser, I, 798, e Crimi (a), 362), la seconda dal Rostovzev (a), 132 e recentemente ripresa e sviluppata da C. P, Jones (b). i!: stata però proposta anche l'attribuzione all'età di Tito, da parte di C. Lemarchand (86/110), il quale spezza il discorso in due redazioni, una contrapposta all'altra (la prima, non-violenta: parr. 1/31; 33; 95/96; 99/100; la seconda, violenta: tutto il resto), entrambe fittizie (mai pronunciate), ed entrambe, infine, dell'età di Tito: questo per l'affinità di argomento col Rodiese, per il quale il L. accetta la datazione dell'A. all'80 circa. In effetti gli unici elementi cronologici sicuri sono: 1) la menzione di Nerone come imperatore passato; 2) gli evidenti buoni rapporti intercorrenti fra Dione e l'imperatore dd momento; rimane dunque da scegliere fra Vespasiano, Tito e Traiano (Nerva è comunque da escludere per la brevità del

?1

a pag5~a,o~i/72. C. P. Jones (b), ha rilevato inoltre che il Chronicon Gerolamo ricorda una a-&:c:ni;in Alessandria forse al 74/75 (p. 188 H.: « m Alexandria facta seditio »· in realtà dovrebbe trattarsi del 73), che potrebbe essere quella di parla Dione (secondo lo Stein (a), 664, la notizia di Gerolamo sarebbe da riferirsi agli episodi di lotta di cui parla Giuseppe Flavio (B.]., VII, 429/435), ma il Jones (b) ~ude giustamente tale ix:ssibilità), Il Jones (b) ricorda infine che lo scoliasta Ba XXXII, 60 _wv~uv cipxov't'cx,considera Vespasiano l'imperatore reg~nte al momento m cui è pronunciato il discorso, e osserva acutamente che 11comandante delle truppe romane di stanza ad Alessandria che Dione chiama K6vv-ruxoUaixi)ye:µ6voov,se. n6Àr.v comporta il riconoscimento che il termine KUVLx&; non abbia di per sé per Dione un valore negativo; Dione si pone cioè a mio parere, qui, a XXXII, 62 e a XXXIV, 2 (gli unici passi in cui si parli espressamente di cinici) sulla linea di Epitteto (cito per tutti la Diatriba III, 22 Ilept xuvu:rµoU),di Luciano (se si accetta la tesi interpretativa del Peregrino, del Fugitivi, del Piscator etc. data dallo Helm (b), 355/367, tesi a mio parere attraente e convincente, anche se viziata da un eccesso di « letterarietà » ), o almeno di un certo Luciano (quello del Cinico, se è lucianeo ): accettazione del cinismo come filosofia valida, ma rifiuto di buona parte delle manifestazioni « moderne » di questa filosofia, in quanto «pseudo-ciniche». Dal punto di vista linguistico si deve osservare che nell'espressione in oggetto Àéj'6> è usato nel senso in cui Diane di regola usa K!Ù-.tw (TOò.:;xoù.ouµivoui; qn).oo6tpouç: XIII, 11; XXXII, 8; LXXVIII, 34 e 35; XLV, 12; vd. anche XXXIII, 6 T&lvx. laTp&lv,e IV, 98 -r:Clvx. {3aai.).i:6>v), il cui valore è ben definito a LXXVIII, 16. L'opinione pili comune (se si eccettua il recente lavoro del Malherbe, su cui torneremo) è comunque che qui Diane attacchi i cinici come tali: cosi la pensava l'A. (446), il quale però si dimenticava di spiegare come fosse possibile un attacco ai cinici tout-court in un uomo che portava il Tptj3Wvtov(22; questo accenno è fra l'altro uno degli argomenti di cui l'A. si serve per datare l'Alessandrino a « dopo la conversione»: 435/436); cosi il Dill, il quale utilizza l'Alessandrino, insieme al Peregrino di Luciano, per dimostrare la diffusa diffidenza dell'epoca nei confronti del cinismo (349/367: il quadro generale di riferimento è molto incerto); cosi'. il Rostovzev (a), 132/133; cosi C. P. Jones (b) (vd. supra, pag. 68). In realtà è tutt'altro che improbabile che proprio la persecuzione di Vespasiano nei confronti dei filosofi «sovversivi», per lo pi6 gente al limite fra stoicismo e cinismo, abbia provocato l'emergere di una serie di «distinguo», .atta da una parte a salvaguardare posizioni personali, dall'altra a consentire opportune auto-candidature ad un ruolo di mediazione fra le esigenze del potere e le tumultuose istanze delle masse. In questo modo si spiega l'ambiguità di Diane, che nell'Alessandrino sembra considerare se stesso, pur senza dichiararlo esplicitamente, un vero cinico oltre che un vero filosofo (vd. specialmente 11/12, un passo di cui il Malherbe ha messo bene in luce

II. Il discorso di Alessandria

151

la stretta connessione con pi6 luoghi epittetei, 214/215, nonché con Paolo, I Thess., II: 216/217), e lascia trasparire nel suo discorso elementi di pensiero tipicamente cinici (ad esempio la polemica contro l'etica agonistica al p. 20: cfr. il diogenico Istmico), come altri ne troveremo nei discorsi di quest'epoca: naturalmente le posizioni ciniche emergeranno in maniera assai pili vistosa nel periodo dell'esilio (vd. infra, cc. III, 2 e III, 3). 22b La rappresentazione dionea di questo tipo di « predicazione popolare» ha i suoi pi6 ovvi paralleli in passi lucianei famosi (Fug., 12/16i Peregrino, passim), ma già in Epitteto (Diatr., III, 22, 50) e poi in Appiano (Mithr., 28); sono anche evidenti i punti di contatto con la rappresentazione mucianea dei filosofi sovversivi espulsi da Vespasiano in Cassio Diane (LXV (LXVI), 13, la; il passo è stato analizzato supra, pag. 29 e nn.): su ciò vd. Rostovzev (a), 132/133; Peretti (b), 43/44; Gabba (b), 4, n. 1; 103. L'uso che faccio, qui e altrove, dell'espressione « predicazione popolare» si richiama, pili che all'immagine un po' oleografica e «salesiana» del « predicatore morale popolare » che si trova in un capitolo del resto sempre utile di un libro ormai ultta•secolare del Martha, alla concezione del Wendland di « filosofia popolare », che dà il titolo al quinto capitolo di un suo libro famoso (a), e all'impostazione politico-culturale ivi implicita (egli si serve di espressioni come « philosophische Massenpropaganda », « kynische Prediger », e infine « Volksprediger »); egli osservava (44) che « molto prima che i predicatori cristiani portassero per il mondo il nuovo messaggio, hanno percorso le stesse strade, vestiti di un rozzo mantello, armati di bastone e zaino, scalzi e privi di mezzi, per portare all'umanità un nuovo messaggio, dei predicatori pagani » (la connessione fra predicazione cinica e cristiana fu rilevata dallo Zeller (b); vd. anche Friedlander, III, 295/297). :B singolare come questa prospettiva sia stata recepita e approfondita in un ampio set• tote di studi sul cristianesimo primitivo, e sia stata invece per lo pi6 trascurata dagli studiosi della cultura antica: anche ultimamente trovo un atteggiamento stranamente e ingiustificatamente ostile all'ipotesi di una circolazione di idee all'interno delle masse popolari, e quindi dell'esistenza di operatori culturali in quel settore. Cosi lo Schouler (35) arriva a sostenere che persino Peregrino era un conferenziere che serviva le classi elevate, e che « la predicazione cristiana ha sl ovviamente ripreso i procedimenti della dialexis moralinante dei cinico-stoici, ma ciò non significa che questi l'avessero già usata per la conversione degli umili, e che avessero praticato come gli altri il proselitismo fra gli schiavi o i proletari». Si capisce che i cinici non andavano a convertire gli umili; ma è sicuro che quelli di cui si tratta nel Fugitivi avevano una terribile capacità di proselitismo, e Luciano si prospetta con autentico sgomento il rischio concreto di un abbandono delle attività lavorative da parte del prolet.ariato urbano (vd. specialmente 17): la differenza sta nel contenuto del messaggio, ma non nella composizione sociale del pubblico né nel modo di presentarsi ad esso. Ma le posizioni dello Schouler sono state riprese e ribadite ancora ultimamente dal Kindstrand (b), che le ritrova in Bione (13/14), e le estende senz'altro al cinismo in generale (46 ), Dovremo dunque concludere che l'unico modo per avvicinare le masse sia quello di andar loro a proporre una conversione? (Su tutta la questione vd. entrambe le Appendici).

152 •

Dione · di Prusa 23

Nessuno degli emendamenti proposti per x«l wòç i:lµa:&ei:,;mi pare

convincente. 24

:XXXII, 7/11. Questo importante passo è stato di recente analiz.. zato (insieme agli altri di cui trattiamo al c. II, 7) dal Malherbe, che è ap~unto interessato alla ricerca nel mondo pagano di un modello di predicazione popolare affine a quello proprio del cristianesimo primitivo in particolare di Paolo (analoghi gli interessi che presiedono all'utile ra~olta di passi paralleli fra Nuovo Testamento e scritti dionei compiuta dal Mussies) Sulla scorta specialmente dell'A. (445/447) e dell'analisi del Friedlinde; egli cerca di identificare i vari gruppi di « pseudo-filosofi» di cui Dione parla nell'Alessandrino, ma finisce per considerare vari tipi di cinismo tre dei quattro gruppi distinti da Diane (206/213), o addirittura tutti e quattro (214/~17);. nc_mosta~te che l'articolo nel complesso rappresenti il migliore tentativo di r1costrwre lo sfondo storico-culturale della polemica dionea non è accettabile questa « reductio ad unum » dei vari comportamenti d~nunciati da Diane sotto il denominatore comune del cinismo né la mancanza di ogni tentativo di identificazione delle diverse situazioni in cui sono pronunciati i v:ari discorsi di Dione utilizzati {su ciò vd. il c. II, 7). Bisogna ancora considerare degli spunti importanti presenti nell'Alessandrino e che si ritro~ano ~trove in Dione. 1) Tema dell'identità: Dione rivendica' per sé la qualtfica di «filosofo», accusando vicerversa gli altri intellettuali che si prete-?do-?~tali di :ssere dei« falsi filosofi» (sull'abuso del termine ipù..6ao-r&:xotYIÌ:3mtxoiiv't's:ç,Eùrccd8s:o't'Ot n&w x,d yev,ioti:ot't'à:c;xptGeu; yev6µtVot, òqi' (i)v xoaµoUµevov -r6 n qip6vtµov T'ij~ n6Mooç µépoi; li:t µiiUov !m3é8ooxev xa:l -rò IXVOOJ-rov 'YJv&.yxa;GTtr:t voiiv fx«v (p. 5, 24/6, I ed, U, e R.), A. H. M. Jones ((b), 120/121; 170/171 e passim) ha sottolineato come il passaggio d.ai regni ellenistici all'impero romano abbia significato la fine delle strutture democratiche delle città greche. 5 Per Seneca come filosofo politico, in particolare per il De clementia, ci limitiamo a rinviare al recente lavoro dell'Adam e naturalmente al capitolo relativo (4 - Ideology for a new régime) del libro d'assieme di M. T. Griffi.o (vd. anche infra, 333}. 6 Anonimo, Del sublime - Testo, traduzione e note di A. R., Milano, 1947. Si tratta della trad. del cap. 44. Per una discussione sul significato di questo capitolo 6.n.ale del n. 6. rispetto a tutto il resto dell'operetta rimandiamo all'ultimo degli articoli che il Donini le ha dedicato, in cui viene assai acutamente collegata l'argomentazione della risposta al :filosofo con l'ideologia sottesa a tutta la trattazione (trovo )?erò esagerata l'accentuazione del contrasto fra filosofo e anonimo autore). Vd. anche S.andbach, 680. 7 Postumio Terenziano è il destinatario dell'opuscolo.

154

Dione di Prusa 8 La

qualifica di ipù.60-oipoi;attribuita all'anonimo interlocutore sembra

servire a definirne tautologicamente l'atteggiamento polemico nei confronti dell'impero, secondo un uso corrente nel I sec., ma fuorviante almeno da Vespasiano in poi (vd. la discussione ai cc. I, 8 e II, 2). 9 Ci rifacciamo su questo punto alle conclusioni del Rostagni nell'introduzione all'ed. citata dell'opuscolo. Esclusa l'attribuzione a Cassio Longino per l'impossibilità di ret:Jerire nel testo alcunché di riferibile al III o anche al II secolo d.C.; esclusa l'attribuzione a Dionigi, oltre che per altri motivi indicati dal Rostagni, anche per l'ovvia impossibilità di assegnare ad uno stesso autore prese cli posizione tanto contrastanti proprio sul problema che ci interessa (in maniera non convincente cerca di conciliarle il Marin, 159/160); resta che questa tematica del Sublime è chiaramente riconducibile ad un dibattito in corso in particolare nel primo secolo dell'impero, come del resto dimostrò alla fine del secolo scorso il Kaibel in un saggio famoso (b). Aggiungerei, a parziale correzione di quanto dice il Rostagni, proponendo 1a paternità di Ermagora, che il punto già riportato nel testo dove l'anonimo filosofo parla degli « uomini d'oggi» come « allevati alla scuola di una sia pur legittima schiavitu, negli usi e nelle istituzioni di essa poco meno che fasciati mentre erano tenere ancora le nostre menti, senza aver gustato le piU belle e feconde sorgenti dell'eloquenza etc.» fa pensare senz'altro ad una cesura netta tra gli uomini di oggi e l'età di Cicerone (cosi già P. Donini, 191, n. 4): questi son nati in un'epoca in cui l'impero era una realtà ben assestata e non pi6 messa in discussione, dunque gli ultimi anni del I sec. avanti o i primi del I sec. dopo Cristo {di recente L. Herrmann propone come autore dell'opuscolo proprio il nostro Dione, ma anche qui mi pare difficile attribuire a Dione le posizioni politiche espresse sia dall'anonimo filosofo che dall'autore del Sublime). 10 La datazione risulta da 17, 3: «sextam iam felicis huius principatus stationem, qua Vespasianus rem publkam fovet ». Anche per quanto riguarda il Dialogo, non entro nelle complesse questioni critiche poste da questo testo (che io considero comunque tacitiano) e rinvio senz'altro al buon lavoro del Michel (c); segnalo anche la ricca discussione del Flach (198/208), dai cui punti di vista però dissento. 111, 1. 12 Espressa nei due discorsi: 5, 3/10, 8 e 16, 4/23, 6. 13 8, 3. 146, 15

1/8, 4.

11, 3/4.

16 16, 17

4/18, L 18, 1/23, 6.

l&Naturalmente

se il « sofista Materno » di cui parla Cassio Diane (LXVII, 12, 5) si identifica con il Materno del Dialogo (vd. infra, 192). 19 15; 16, 4: « hac vestra (se. di Materno e Messalla) conspiratione » (parla Apro). 20 Come si sa, il Dialogo ha una grossa lacuna (6 pagine) poco prima della fine; questa lacuna ci toglie la seconda parte del secondo discorso di Messalla (iniziato a 33, 4; il primo va da 28, 1 a 32, 7), e l'inizio del discorso conclusivo di Materno. Rispetto alle posizioni di questi, quelle di

II. Il discorso di Alessandria

155

Messalla sono di carattere piU moralistico, ma basate su un'attenta analisi di fatti di costume; anche per lui la crisi dell'oratoria dipende dalle mutate condizioni storiche, ed è anzitutto una crisi di coscienza morale (crisi dell'organismo familiare che produce lassismo nell'educazione dei figli; insegnamento retorico, superficiale, non filosofico, artificioso), in secondo luogo di costume politico (il padre non inizia pill il figlio, mettendolo a fianco di uno degli otatori pill reputati del momento, all'uso vivo dell'oratoria politica). Non mi pare però il caso di accentuare, come fa il Michel (c} (29 sgg.), il contrasto fra Messalla e Materno: Messalla, nella sua esaltazione dei costumi antichi, non prende posizione circa il valore positivo o negativo della lotta politica; e Materno, d'altra parte, quando parla della positività della lotta politica ai fini dello sviluppo dell'oratoria, non ha niente da dire sui costumi. Ma entrambi concordano sul fatto della decadenza attuale: le due posizioni sono dunque complementari e non antinomiche. 21 Tuttavia l'accento posto da Messalla sulle mutate condizioni dell'educazione dei giovani richiama anch'esso il discorso del filosofo circa l'abitudine, contratta fin da bambini, ad « una sia pur legittima schiavitu ». 22 36, 1/4. 2340, 3. 24 40, 4, 25 41, 3/4. 26 Trovo insodisfacente il giudizio del Miche! sulla posizione cli Materno nei confronti del principato di Vespasiano (52/60), e in generale sul personaggio stesso di Materno; egli non ha infatti colto il tono sarcastico di questa parte del secondo discorso. :n 13, 4. Questo passo me ne richiama uno di Diane (XIV, 24; vd. infra, 206). 28 :e,quindi piena di sarcasmo anche quella parte del primo discorso dove Materno giustifica il suo dedicarsi alla poesia col fatto che anche nell'età dell'oro («come oggi si dice») non c'erano delitti né oratori, ma solo poeti e vati, « che cantavano le buone azioni, non certo difendevano i delinquenti » (12, 2/4). 29Cosf_ Materno la definisce (4, 2) « sanctiorem illam et augustiorem eloquentiam »; evidentemente rispetto all'attività forense di Apro. 302, 1. 31 Vd. infra, 192. 32 Quintiliano esercitò la sua attività di insegnante di retorica tra il 68 e 1'88; non molto tempo dopo si accinse alla stesura del De causis corruptae eloquentiae (fine del 91), e successivamente (fine del 93) dell'lnstitutio, completata entro la primavera del 96 (su tutto ciò vd, I. Lana (b)). Quintiliano ebbe dunque modo di assistere a ben due cacciate cli filosofi, ma evidentemente quella che piU pesò sulla sua formazione fu quella di Vespasiano, anche perché, come si è già osservato, l'imperatore ebbe la grande abilità di far apparire il provvedimento come l'inevitabile conseguenza di una resistenza testarda e insensara rispetto ad un atteggiamento conciliante e disponibile del principe. 33 Vd. Kennedy (a), 23/24. 34 Per questa concezione ciceroniana vd. supra, 77.

Diane di Prusa

II. Il discorso di Alessandria

J5 XII, Prooem.,4. 36XII, 2, 6/7. Per quanto riguarda l'accusa di incoerenza rivolta ai filosofi per il loro atteggiamento nei confronti dell'amministrazione dello stato, si tratta di un rimprovero mosso di frequente agli stoici (cfr. Plut., Mor., 1033 b/c, infra, 333/334, n. 4.

12 LXX, 7 /8. Un buon esempio di questo tipo di vita Dione stesso ci fornisce nell'attacco del disc. LII (vd. Vischer, 157), in cui è rappresentato l'inizio della sua giornata: sveglia all'alba, cura personale, preghiera, esercizio fisico nell'ippodromo, passeggiata distensiva, riposo, unzione, bagno, colazione, e infine lettura di poeti (nel caso tragici). Dione conferma il valore di questa 8(iX~-rcx(oò ip0tUÀou npciyµcx-roç~e; tyùl 3oxW) a XXXII, 44/45; alla sua frequentazione dell'ippodromo allude anche a XX, 10. Questa giornata è caratterizzata dal rispetto delle esigenze di « perbenismo » e di « presentabilità » sociale, quelle esigenze di cui anche Epitteto raccomandava il rispetto al cinico ideale a Diatr., III, 22, 86/90.

156

37 I,

Prooem., 15.

38 XII, .3, 11/12. Qui s'impone il parallelo col piU volte ricordato discorso di Muciano in Cassio Dione (vd. specialmente 29 e nn.). l9 Vd. supra, 27/29 (Elvidio in Tacito); Diatr., I, 2, 19/24 (in Epitteto). 40 Come fa ad es. R. G. Austin (Quintiliani Institutionis Oratoriae liber XII, Oxford, 1965, XVI); il motivo è che « Quintiliano non era un uomo di questo genere». 41 Basta pensare che gli affida l'educazione di due suoi pronipoti, destinati alla successione (Lana (a), 153 e n. 16; il Lana fa anche un'assai oppor• tuna lettura «obliqua» del XII libro della Institutio, dalla quale risulta al di là di ogni dubbio quanto sia in realtà compromissoria e accomodante col potere l'integrità morale del vir bonus dicendi peritus alle prese con la realtà della vita politica romana).

4,

DIONE COME FILOSOFO

1 A XXIV, 3 Dione parla in senso negativo di coloro che sono µe-&6pt.et: -r6)v cp!.Ào0"6cp(l)V xixt -rWvrroÀmxWv; se si tiene conto che altrove invece (XXII, 2) loda i cpt.Ào0"6qmuç t\l -rroÀLtd~e, in epoca certamente tarda, parla di se stesso come di un qaÀOOocpoç rroÀL-rdcxç &~iiµevoç (XLVIII, 14; cfr. XLIX, con l'apprezzamento rivolto ai cpù.oa6i:povç &p!;cxv-rw;), si può ritenere che su questo punto Dione abbia avuto una certa evoluzione (vd. infra, 140/162; 378/380). 2 XXXII, 22 (su ciò vd. supra, 150/151, n. 22a. 2a XXXII 12 e 21. L'ambiguità consiste nel fatto che apparentemente Dione si presenta come inviato del elio (forse qui da intendere come Serapide), secondo lo stile e la concezione del cinismo, per cosf dire, epitteteo (vd. per tutti Diatr. III, 22, 23 sgg., e cfr. Laurenti); ma in realtà insinua di essere inviato di un dio assai pili concreto e minaccioso, l'imperatore (su ciò vd. meglio alle pp, 109-110). 3 Cosi ancora nella tarda Concione in patria (XLVII, 25). 4 Anche qui siamo su posizioni epittetèe (vd. supra, 12/13).

•LXXI, 9. 6 LXX.È su questo testo dionea che la Malingrey ha costruito, utilizzando anche XXII, 3/4 (nonché, naturalmente, passi di Musonio, Epitteto, Plutarco), il capitolo sulla filosofia come « art de vivre » (100/103); a mio parere c'è qualche differenza tra il Sulla filosofia e il Sulla pace e sulla guerra (vd. infra, 378/379).

7 LXXII.

• Infra, 235/237. •LXX, 3. 10 l:-rol.~ (cfr. XIII, 10; I, 50; LXXII, 2; 11). 11Accetto qui l'integrazione dell' A.

157

13 LXXI, 2. 14 LXXI, 3: «un uomo superiore per senno e per capacità di orientarsi nelle situazioni, abilissimo a parlare sia in mezzo a una folla che con poche persone che con una sola {su questo vd. infra, pag. 193), e per Zeus tanto in occasione di un'assemblea quanto in simposi quanto, se capita, camminando con qualcuno per una strada, e infine sia con un re che con un privato, con un libero e con uno schiavo, essendo egli stesso ora un uomo famoso e un re, ora viceversa uno sconosciuto e un mendico, e allo stesso tempo con un uomo, con una donna, con una fanciulla » (per una valutazione dell'Odissea dionee vd. infra, 174/175, n. 2). 15 LXXI, 4 -roùc;xdpovcxc; -roiç &:ycx&oii;; a~cxxoveto:-8-cxt; Dione riporta qui le parole stesse di Od.isseo in o, 321/324. Sul diverso valore sociale delle varie tecniche o mestieri, vd. infra, 409). 16 LXXI 5

6:

11 LXXI:

18 Son qui

citati i due vv. E, 59/60.

19 LXXI 8 20 Mi funi;o

a rinviare al bel libro recente di G. Cambiano, che ha ripreso in mano la questione in maniera del tutto originale, 21 TWv vUv ~ai).é(l)V TLi;; l:1te&oµ.etaoipòi;;t?vcxL'n)v 'r..oç ... 'C'iò°>v iµoO xpet'C''C'6VCù\l, 59 Su ciò vd. 156, n. 2a e 166, n. 85. "'71/72. 61 14: X.Pl)O"t'iò°>V +Jyeµ6v(l)\I (sul valore del termine vd. supra, 149/150, n. 21). 62 Ibid. 6315; l'idea torna spesso in Dione (e.g. XXIII, 10), ma non manca neppure l'altra che tutto viene dagli dei, sia il bene che il male, e che l'uomo deve sopportare correttamente entrambi: su tutto ciò vd. E. Wilmes, ad, loc., dove sono indicati i passi paralleli, e infra, 324/326), 64 17/18; cfr. quanto si è osservato a 71/72. Qui Dione differenzia bene le competenze rispettive della classe dirigente in senso stretto e degli

II. Il discorso di Alessandria

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intellettuali che complessivamente abbiamo sopra definito « classe egemone»; xixt v61J,O~ xixt 8f.Xoca'C'«l, la prima è definita in questo passo prima &pxOY't'e'C'tpouç '"-tijç 7t'6Af:wç:il comparativo indica la divisione in due gruppi della cittadinanzai nello stesso modo Dionigi distingueva, come si ricorderà, « la parte migliore della città, quella cioè fornita di raziocinio», dalla « parte che difetta di ragione» (vd. supra, 79/80). Pill avanti Diane (45); ancora il compadistingue nello stesso senso ot 1toÀÀole ot /3e::ÀTlouç rativo con valore «sociale» ot µdl:ouç a 31 (l'A. (438) pensa invece che Diane alluda ai Romani). Il Boristenitico offre la formulazione piU limpida del diritto di partecipazione al governo o!ç µheO"'C'L Myou xixt ippovfiaewç (XXXVI, 38; vd, infra, 322), 67 Col « comportamento a teatro» (.fh:wpe:!n; cfr. 33 q:iixUì.w; &rope:!v) Dione fa riferimento all'accusa principale da lui rivolta agli Alessandrini, cioè di eccitarsi e sfrenarsi indegnamente in occasione degli spettacoli specialmente musicali, che per lui è simbolo di disordine interiore (vd. specialmente 42/50; 55/58; 61/62), 68 XXXII, 51. 6'J Tutto questo passo è costruito su un parallelismo sarcastico fra il popolo di Alessandria e le Baccanti; la citazione è dei vv. 689 sg. dell'omonima tragedia euripidea. Analoga l'immagine con cui Luciano raffigura le pretese irragionevoli dei lavoratori che si danno a far la vita dei «cinici»: -r«U'C'«O htt Kp6vou ~(oç 8oxei ix&ro!ç xixl !Xn:;cvG>ç 't'Ò µéÀL cxù-rò!ç 'C'à. O"C'6µaTix !ape!v bt 't'OOoòpi:a:voO (Fug., 17). 70 Il testo greco è pi6. pregnante: oò8è:'n)v µ&l:txV ~tre b., !~oua{q 8~"ou1lev. 71Tiìiv x.pe~n6vwv (XXXII, 59): dr. gli altri comparativi «sociali» alla n. 66.

72 XXXII, 74.

73I v«O'C'fXt sono infatti l'unica categoria di lavoro specificamente menzionata da Diane quando parla della composizione del pubblico piU attento degli pseudo.cinici (9 &:ye(pouaLx«l d:1t«'C'iò°>at 1t'«t&ipta:x«l va:6'C'ca:ç xca:l 'C'OLoU'C'ov lS:x.ì.ov);pi-6. avanti, nella narrazione della sommossa (71), osserva che la maggior parte della folla raccolta non aveva alcuna voglia di combattere, ma se ne stava già andando verso il porto « con l'intenzione di ubriacarsi come per una festa» (L.C. traduce bd 't'oùç 8pµouç -fie:aixv con « anda~ vano a cercare corone»); infine a 86 è citato, a proposito della dissolutezza degli Alessandrini, un verso di poeta comico che dice, « per situazioni dello stesso genere», dx6ì.ocO"C'oç lSxì.oçvcxu-rtx.YJ 'C''d:'C'«~kt(in realtà si tratta di vocu'C'L>.6aoqioçij).eyxe x.cd tvou&ént). 2 XXXIII, 13/16. L'apprezzamento positivo che qui Dione manifesta nei confronti della dimensione « violenta » dell'insegnamento :filosofico pub-

15 XXXV,7/8. 16 9/10.

xxxv,

17 XXXV,

10. Per l'interpretazione di questo passo vd. infra, 180, n. 1. supra, 92. c. VI, 6. c. VI, 1. 21 In 19/20 si allude senza possibilità di dubbio ad una spedizione imperialistica (U7t'èpdpx~ç xod 8w&.µetòç) romana sul Danubio (16), e non può trattarsi che di una delle due spedizioni traianee (cosi già l'A,, 405/407; di avviso diverso il Viclmetti, 91, che pensa a questo accenno a preparativi bellici come a un « motivo retorico » ( !) e attribuisce l'Olimpico al 97 (vd. anche infra, 267). 22 Sul problema della cronologia della vita di Dione dopo la morte di Domiziano vd. infra, cap. IV. 23Il testo tradito -roU-ro8è w;O"(ix) di Nerone, che è visto qui però come frutto cli una irresponsabilità collettiva di chi l'ha eletto solo per la sua ricchezza (Schmid (a), 854; un concetto analogo, in contesto diverso, a XXXIV, 1, a LI, 3, nonché, ma con i toni piU violenti propri del periodo dell'esilio, a LXXVlll, 34/36: vd. alle pagg. 215/216; .tufq:(vd. infra, 378), cosi come a XLIX (6 qiV..60-0,:pm &pçixvffç), mentre a XXXI, 69 viene giustificato il suo provvedimento di X()eù>v IXnoxomJ, data l'eccezionalità della situazione; qualche riserva, comune a tutto il gruppo dei « filosofi in politica», a LXXX,3. Non sono viceversa d'accordo che il termine co,:ptO"TIJi;: abbia valore neutro nei passi indicati dallo Stanton (b) (354, n. 30): XII, 10 (dove il termine non compare, mentre figura, in senso chiaramente sarcastico, 001.p6ç};XIX, 4 (tono fortemente ironico); XLVII, 16 (il senso è spregiativo, come si ricava dal fatto che Dione definisce cosf una persona che vuole insultarlo); LIV, 1/2; 4 (qui si tratta dei sofisti classici, Ippia, Gorgia, Polo, Prodico, e dunque il valore del termine dovrebbe essere quello platonico, visto che vengono messi in contrapposizione a Socrate: cfr. III, 27); LXVI, 12 (8l}µotywyol-re x.otl~ixyol Xottcr0µiX't'Oç e:U-rov!«çè un'opportuna correzione dell'A. in luogo di a@µ«TOçTj L(TT'(Xl xcxl 3'1)µcxyooyol), o dei candidati alla corruzione (XXXIII, 14 37jµou,; xcxl acxt"p&rtct,; >.doc,la « nobile servitu », fusa con l'idea romana della statio principis, la « postazione dell'imperatore » 24• Quello di re è un mestiere particolarmente difficile e impegnativo, che sottrae all'individuo che ne è investito ogni sfera di vita privata, lo sottopone al continuo sfibrante impegno della cura degli altri, e gli ripresenta in ogni momento la sfida delle condizioni alle quali il dio affida questo compito: essere superiore a tutti gli altri in virtu. La sezione termina con l'istituzione di un parallelismo fra il re e il sole, che riporta il discorso sul tema del significato cosmologico dell'ordinamento monarchico, pur dall'interno della trattazione sulle virtù: « anche il sole si potrebbe dire che è tenuto ad un servizio » 25• Ma l'accento batte, come osservavamo, sui ristrettissimi margini di autonomia e di iniziativa che spettano al re, come al sole: « se avesse anche un minimo di trascuratezza, e se tralignasse anche di poco rispetto all'ordine che gli è proprio, il risultato certo sarebbe quello di una rovina per tutto il cielo, tutta la terra, tutto il mare; tutto questo cosmo cosi bello e felice si trasformerebbe nel pili turpe e piU insopportabile disordine » 26• PiU importante ed esplicita dal punto di vista politico è l'ultima sezione, dedicata al tema dell'amicizia. Il re, questo è detto chiaramente fin dall'inizio, non ha da solo la forza politica necessaria a reggere il regno; ha dunque bisogno di un aiuto, gli amici: « è piU ignominioso e piU pericoloso mancare di amici che di ricchezze, e si conserva più facilmente la serenità quando si dispone di amici leali che con le rendite statali, gli eserciti e le altre forme di potere; da solo infatti nessuno, neppure un pri-

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vato, è in grado di far fronte ad alcuna difficoltà: e quanto ai re, pill numerose e pill importanti sono le cose che devono com: piere, piu bisogno hanno di collaboratori e di lealtà » rr. Che si tratti di un problema di alleanze politiche e non semplicemente di organizzazione tecnica del lavoro viene subito dopo precisato con termini degni di Machiavelli: « Ai privati le leggi offrono la possibilità di non essere tanto facilmente ingannati da coloro con i quali istituiscono un rapporto d'affari, affidando loro del denaro, o ponendoli a dirigere una proprietà o prendendoli come soci di qualche impresa: le leggi infatti puniscono chi commette un torto; invece i re che hanno affidato delle incombenze non possono assicurarsi contro eventuali torti con le leggi, ma solo con la lealtà: infatti è ovvio che coloro che stanno vicino ai re e collaborano con loro al governo siano i pill forti di tutti, e da loro non c'è altra difesa che l'esserne amati» 28• Dopo alcune considerazioni sui vantaggi e le gioie dell'amicizia, che appartengono alla pitl comune letteratura sulPargomento 29, Dione torna all'amicizia come fatto politico, con suggerimenti e proposte il cui valore è evidente. Il vero re, secondo Dione, « vuole essere superiore ai privati solo per quanto riguarda l'amicizia. Non crede che la sua felicità consista tanto nel fatto di potersi procurare i cavalli, le armi, le vesti, etc., migliori, quanto nel fatto di poter avere gli amici migliori; e pensa che sia molto più vergognoso per lui essere inferiore ai privati per quanto riguarda l'amicizia, che in qualunque delle altre cose. Quando infatti uno ha la possibilità di scegliere tra tutti gli uomini gli amici piu fedeli, e non c'è nessuno, per modo di dire, che non sarebbe felice di eseguire i suoi ordini se solo volesse darglieli, non sarebbe ridicolo che non si servisse degli elementi migliori? Il fatto è che molti dei potenti vedono solo quelli che comechessia son loro vicino e son disposti ad adulare, e allontanano invece tutti gli altri, in particolare gli uomini migliori. Ma il vero re fa la sua scelta fra tutti perché ritiene assurdo che si facciano venire i cavalli di Nisa, in quanto sono migliori di quelli tessali, e i cani indiani, e ci si serva solo degli uomini che sono a portata di mano» 30• L'imperatore, questa mi pare in sostanza la raccomandazione di Dione a Nerva, non può pitl reggersi sulla collaborazione dei soli elementi dell'aristocrazia romana o italica; è ormai necessario coinvolgere e cointeressare anche esponenti

delle aristocrazie provinciali, che fra l'altro lo desiderano ardentemente, e offrono maggiori garanzie degli altri, anche perché, come si può ricavare da successive argomentazioni di Dione 31, sono forse piU sensibili alle distinzioni e ai segni di riconoscimento che l'imperatore concede loro. È appena il caso di ricordate che un paio di generazioni piu tardi Elio Aristide riconoscerà nella collaborazone delle aristocrazie provinciali uno dei più potenti fattori di stabilità dell'impero, nonché uno dei piu geniali strumenti di governo escogitati dai Romani; ma al tempo di Dione questo processo di provincializzazione era appena iniziato, ed è interessante notare che Dione se ne fa promotore prima di tutto per motivi di ordine sociale: a suo parere solo in questo modo si potrà evitare il disastro della demagogia imperiale. È anche probabile che Dione abbia inteso qui spezzare una lancia a favore del principato per adozione, come sembra risultare dalle considerazioni sul tema della superiorità dell'amicizia sulla parentela 32; Dione auspica e consiglia un ridimensionamento del peso che la famiglia dell'imperatore, sia con i Giulio-claudi che con i Flavi, ha avuto sulla gestione della politica romana, anche se naturalmente 1'amore per i consanguinei resta una delle virtll del re: « egli è s1 amantissimo dei congiunti e della casa, ma considera l'amicizia un bene maggiore della parentela: infatti gli amici sono utili anche senza legami di sangue, mentre senza amicizia neppure le persone piU vicine ti sono d'aiuto» 33• E ancora: « come non sarebbe amante della sua casa e dei suoi congiunti pill di ogni altro, lui che considera familiari e congiunti come parte della sua vita? Anzi si preoccupa che essi non solo godano con lui della cosiddetta felicità 34, ma molto piu che appaiano degni di partecipare alle cure del governo, e in tutti i modi si adopera ad evitare l'impressione che li predilige per la parentela e non piuttosto per la virtù » 35• Una valutazione complessiva di questo discorso non può non prendere le mosse dal fatto che secondo ogni verosimiglianza qui siamo di fronte ad un discorso ufficiale, o almeno ad una rielaborazione di un originario discorso ufficiale: qualcosa di simile al Panegirico di Plinio. Sarebbe tuttavia errato ricavare da ciò automaticamente che Diane sia passato di colpo sul piano della piu squallida adulazione; il fatto di essere da gran tempo amico personale del nuovo imperatore ha certamente giocato un ruolo

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decisivo nel determinare il nuovo atteggiamento nei confronti del potere: ma non si deve neppure dimenticare che il discorso contiene delle precise richieste, seppure espresse in forma garbata, e lascia intendere che l'assenso e la collaborazione sono subordinate all'accoglimento nei fatti di quelle richieste. Se l'intellettuale rinuncia a porsi di fronte al potere per cosi dire alla pari, non per questo rinuncia a fornirgli delle direttive tutto sommato abbastanza rigide: dietro Diane si intravede sempre il Nestore .dell'Agamennone o sulla regalità.

Dione fa una retrospettiva sulla sua esperienza esilica, perché il mito che intende narrare l'ha saputo appunto durante l'esilio 6 • Il finale è occupato dal mito, che è poi quello di Eracle al bivio travestito in forma politica 7 • La varietà degli stili, della quale ci si può fare un'idea adeguata solo attraverso la lettura diretta, è una prova dell'impegno che Dione ha dedicato alla redazione di questo scritto; si tratta di un impegno del resto non solo letterario ma anche ideologico, Nella parte iniziale dunque una nuova coppia esemplare del rapporto Dione-imperatore: questa volta si tratta di Timoteo ed Alessandro. Il personaggio di Alessandro non è naturalmente nuovo per sé, ma perché visto con occhi diversi: non è piU il ragazzino spaurito del quarto Sulla regalità, in balia di un Diogene di volta in volta sarcastico e magnanimo; è ancora un essere facile all'ira 8, ma ora la responsabilità morale di ciò viene in certo senso fatta risalire all'insufficienza del suo moderatore, il musico Timoteo, abile a spingere Alessandro alle imprese belliche, ma del tutto inadeguato a frenarlo nei momenti di passione. Pare che Dione istituisca un parallelismo abbastanza stretto fra Traiano ed Alessandro, mentre a se stesso attribuisce senz'altro il possesso di una strumentazione tecnica assai superiore a quella di Timoteo per svolgere un'opera proficua presso il sovrano: « È verosimile che noi non siamo peggiori di un flautista nel nostro lavoro, e che sappiamo trovare discorsi non meno virtuosi e magnanimi dei suoi suoni, e per di pill non accordati tutti sullo stesso tono, ma insieme violenti e mansueti, bellicosi e pacifici, discorsi di giustizia e veramente regali, quali è opportuno che vengano indirizzati ad uno che intende essere un capo valoroso e giusto, ed ha perciò bisogno sl di grande coraggio, ma anche di molta moderazione» 51• Diane riconferma qui la sua netta avversione all'esperienza musicale, di cui abbiamo visto esempi cospicui 10; ritengo che in questo atteggiamento giochi, oltre ad un'impostazione filosofica rigorosamente razionalistica, anche e forse soprattutto le negative, per lui, esperienze politiche di imperatori amanti della musica come Nerone e Domiziano 11• « Solo il discorso degli uomini assennati e sapianti, quali furono la maggior parte u di quelli del passato, può essere una guida e un aiuto completo e totale » 13; come al solito, i grandi uomini appartengono al passato 14, e Dione, « vagabondo e manovale di sapienza » 15, nel descrivere i caratteri

4. IL PRIMO DISCORSO SULLA REGALITÀ

Una conferma indiretta di ciò si ricava dalla lettura del primo Sulla regalità, che deve essere indirizzato a Traiano 1 : mancando il rapporto personale tra Diane e il nuovo imperatore, il tono è qui molto piU. formale e piU rigido, anche se la tematica svolta ha numerosi punti di contatto con quella del discorso appena esaminato, e la linea politica è praticamente la stessa. Questo rivolto a Traiano, a differenza di quello di Nerva, ha certamente ricevuto l'ultima mano da Dione: si può anche pensare che l'elaborazione del primo sia rimasta interrotta per la morte prematura del destinatario, e che Dione abbia preferito dedicare le sue cure al perfezionamento del secondo. Fatto sta che il primo discorso Sulla regalità ha un'impronta fortemente unitaria, pur nella varietà degli argomenti trattati e, potremmo dire, degli stili impiegati. Anzitutto riassumiamo brevemente questa successione di stili. L'inizio è in chiave storico-mitica: il rapporto fra il musico Timoteo e il re Alessandro funge da termine di riferimento del ruolo che Dione si appresta a svolgere presso Traiano; dal confronto con Timoteo Dione si convince che il suo compito è di esporre all'imperatore quali siano le prerogative e le caratteristiche del vero re 2 • Chiarito che la sua guida sarà Omero e gli altri sapienti 3, Dione fa all'imperatore il suo memorandum secondo uno schema assai simile a quello del terzo Sulla regalità, che si conclude con la parte che li mancava, cioè l'esaltazione di Zeus in veste di modello principe dell'imperatore 4• A questo punto (siamo circa alla metà del discorso) si propone all'imperatore « un mito, o meglio un racconto sacro e sano detto in forma di mito » 5, per introdurre il quale

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del buon re, si appoggerà su Omero e « sugli altri uomini saggi e degni cli fede» 16, evidentemente dell'età classica, anche se mancano ulteriori specificazioni. La prima cosa che insegna Omero è che « non tutti hanno da Zeus lo scettro e il potere regio, ma solo il buon re» 17, nella misura in cui è « davvero pastore e guida dei popoli» 18; viceversa « uno che sia malvagio, sfrenato, avido, incapace di dominare e controllare se stesso o alcun altro, costui non sarà mai un re, neppure se lo diranno gli Elleni e i barbari tutti 19, uomini e donne, e se Io esalteranno e gli ubbidiranno non solo gli uomini, ma gli uccelli che volano e le bestie nei boschi lo accetteranno ed eseguiranno i suoi ordini non meno degli uomini • 20• Il re non è dunque tale solo perché ha il potere nelle sue mani o perché è riconosciuto dall'universale consenso; la regalità viene da Zeus, ed è dimostrata dal possesso e dall'esercizio delle virtù connesse. È un tema che abbiamo già trovato nel « diogenico » quarto Sulla regalità 21, ma H Dione ne faceva scaturire la necessità che un'istanza autonoma, il filo. sofo, rivelasse per cosi dire il re a se stesso e agli altri, verificando l'esistenza in lui del famoso sigillo divino; qui la verifica è un fatto spontaneo, che non è affidato a un potere indipendente: « questo discorso, fatto con semplicità, senza adulazione e senza acrimonia, di per sé solo consentirà di identificare e di apprezzare chi ha i caratteri del buon re, nella misura in cui gli somiglia, e di smascherare e infamare chi non li ha» 22, Nell'elencazione delle virtU del re la chiave è questa volta costituita dalla esigenza di affermazione dell'umanità del re; su questa base viene poi piU adeguatamente impostato il tema dell'amicizia, che si ripropone come momento centrale della concezione e della strategia politica di Diane. Dopo aver rapidamente accennato al rispetto che il re deve alla divinità 23, Dio ne approfondisce infatti il concetto della « cura di uomini », sottolineando in particolare come la comune natura umana di governante e governati non possa non tradursi in una comunione reciproca ben maggiore di quella che lega il pastore o il bovaro alle proprie greggi 24; il re sarà dunque il primo non nel sodisfacimento delle passioni, ma nell'impegno e nella preoccupazione per gli altri (è il tema della « nobile servitu » già visto nel terzo Sulla regalità), alla cui serenità e al cui bene dedicherà senza risparmio tempo e fatiche 25• « Lui solo può chiamare i soldati commilitoni, i vicini

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amici, senza profanare il nome dell'amicizia; lui solo può essere di fatto, e non solo a parole, padre dei cittadini e dei sudditi 26; non gli piace esser chiamato padrone degli schiavi, non che dei liberi: ritiene infatti di regnare non per sé, che è uno, ma per tutti gli uomini» Il_ La chiara allusione all'impostazione autocratica e centralizzatrice data all'esercizio del potere da Domi• ziano 28 porta per converso il discorso di Diane ad esaltare nel re il piacere di beneficare 29, la sicurezza che infonde a chi gli sta vicino 30, la franchezza e la lealtà 31, l'ostilità rivolta solo verso i nemici e comunque la guerra concepita come mezzo e non come fine 32• L'esercito deve però esser sempre tenuto in perfetta efficienza e seguito con particolare impegno: « chi infatti trascura i soldati e mai, o di rado, passa in rassegna coloro che affrontano pericoli e fatiche in difesa del governo, mentre colma di lusinghe la folla inutile e inerme, si comporta come il pastore che si disinteressi dei cani 33 che insieme a lui sorvegliano il greg• ge, e non dia loro nutrimento e non vegli mai con loro: questi spinge non solo le fiere, ma anche i cani, ad assalire il gregge» 34• A parte il rilievo dato all'attenzione da dedicare all'esercito, riflesso forse delle difficili vicende che aveva dovuto affrontare Nerva, e dalle quali era scaturita l'adozione del generale Traiano come successore 35, è assai importante per noi l'accenno polemico, apparentemente stonato in questo contesto, all'atteggiamento demagogico nei confronti del popolo. Non si tratta di un fatto casuale: il discorso si porta ormai decisamente sul piano delle alleanze politiche del sovrano, nella terminologia dionea delle sue amicizie: « e se uno si comporta in maniera corretta nei confronti dei soldati, ma scredita coloro che stanno vicino a lui e son chiamati i suoi amici, e non cura che appaiano a tutti felici e invidiabili, senza accorgersene tradisce se stesso e il suo go• verno, perché scoraggia quelli che gli sono amici e fa sf che nessuno degli altri desideri la sua amicizia; si priva cosi del bene pili bello e pi6. vantaggioso » 36• L'elenco sommario di questi vantaggi, che ricalca quello più ampio già visto 37, è presto chiuso da una considerazione che a Dio ne pare decisiva: « in una parola, c'è un segno di riconoscimento 38 sicuro del buon re: è quello che le persone per bene non si vergognano di lodare né ora né in futuro 39, e che da parte sua non aspetta la lode della gentuccia dedita a lavori servili, ma quella dei liberi e delle persone di 21

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rispetto, la cui franchezza è garantita con la vita » 40• Qui sembra veramente di essere di nuovo al tono « diogenico », salvo che piu francamente la verifica della legittimità del re non viene postulata come competenza di un improbabile intellettuale astratto, ma di un ceto sociale concreto: se non c'è accordo fra re e ceto benestante, il re non è vero re, sottinteso nei suoi confronti è legittima la resistenza, anche violenta, La conclusione di questa prima parte del discorso ripropone il tema dell'esemplarità per il re terreno del re degli dei Zeus, annunciato, come si ricorderà, nel terzo Sulla regalità41, ma non svolto; Dione tratta ora l'argomento, ma in maniera che giudica insufficiente, e augurandosi di poterci tornare sopra in un altro momento 42: io penso che sia il Boristenitico 43 che l'Olimpico 44 possano essere considerati per molti versi un adempimento di questo augurio, ed è perciò che li prenderò subito dopo in esame. In ogni caso a me pare che sia qui, sia nella parte dedicata al sole nel terzo Sulla regalità, sia nel Boristenitico, sia nell'Olimpico, il punto di partenza di Dione resti sempre lo stesso: l'impegno teorico a far rientrare l'ordine politico terreno nell'ambito dell'ordine cosmico risponde all'esigenza di fissare delle regole di gestione e di comportamento che travalichino la persona del sovrano e gli facciano sentire il peso della responsabilità morale e religiosa, oltre che politica, che grava su di lui; questo dovrebbe essere per Dione un modo di limitarne l'arbitrio e di controllarne lo smisurato potere. Nel discorso che stiamo attualmente esaminando Dione, dopo aver ripetuto l'appellativo « alunni di Zeus», che Omero dà ai re 45 , ed essersi rifatto, sempre da Omero, a Minosse « discepolo di Zeus » 46, passa in rassegna i vari appellativi che la pietà religiosa rivolge nei vari luoghi a Zeus, e che a suo parere ben deJiniscono nel loro complesso l'ambito delle virru che si richiedono al re: anche il re sarà dunque IloÀurUç,« per il rispetto della legge e la cura dell'interesse collettivo» 47, '0µ6yvwç « perché dei ed uomini appartengono alla stessa stirpe » 48, (À,oç e 'ETaop,foç « perché tiene insieme tutti quanti gli uomini e vuole che siano fra loro amici, e nessuno ostile o nemico ad un altro», 'IxYjcnoç « perché ascolta benevolmente i supplici », U~toç« perché evita i malvagi », :Eévtoç « perché anche questo è principio di amicizia, il non trascurare neppure

gli stranieri e il non considerare esttaneo nessun uomo», K'"Jatoç ed 'E·mx')Tld xixl 3-tJµtoupyotn>..&.ttOUat Ke:vT1XUpoui; Te: xixl I:q;ilyyoo:;xrd X~µixlpixi;,!x rtixv-ro8ixttwv q,Uae:oov µllX'I µop;:pljvd8~>..ou~,r-m&Me:i;; è l'immagine del Centauro quella che a Diane appare la pi-6 significativa (cfr. 53 e soprattutto 95), tanto che si ritroverà 't'Ò Tb>vKe:v't'('tUpoov yévoi; 7t'OLxlÀov nl ouµ:r.e:qioplJµévov,frutto mostruoso del desiderio di fama, nel quarto Sulla regalità (IV, 130; cfr. l'immagine analoga in Luciano, Fug., 10). Sul valore simbolico delle rappresentazioni dei poeti e degli artisti vd. infra, 343, n. 45; le premesse ideologiche sono nell'Olimpico (infra, 477/478 e nn.). 4 Su ciò cfr. supra, c. II, 3. Per quanto riguarda in particolare il De clementia di Seneca, che può considerarsi l'incunabolo delle teorizzazioni sulla regalità nel mondo latino, assai bene ne ha messo a mio parere in luce l'ispirazione fondamentale il Giancotti (594/597); egli ne ha rilevato, a partire dall'iniziale immagine dello specchio (su cui vd. soprattutto Adam, 18/19), l'oscillazione fra il tono parenetico e quello encomiastico, in cui si esprime insieme lo sforzo di far passare per essere il dover essere, e di esaltare il ruolo decisivo del filosofo (Seneca stesso) come elemento di connessione fra il principe e l'opinione pubblica (vd, anche Lana (c), 213/222; Adam, 72/78; Griffin, 136/141). 8 stata specialmente la filosofia stoica che ha sottolineato la necessità che il filosofo si adoperi nell'interesse della società in cui vive (per i principi vd. Kaerst, II, 135/142; Pohlenz, I, 279/ 281; 413/414; per Seneca Il, 77/78), in particolare come consigliere del principe; naturalmente, questa collaborazione deve cessare quando il re si trasformi in tiranno (su tutto ciò ultimamente, per quanto riguarda Seneca e l'età alto-imperiale, vd. Griffin, 315/366; Brunt (a), 16/21). Dione considera situazione ideale quella in cui il filosofo governa (l'attività di consigliere viene immediatamente dopo: !1m8Yjoò Suvixnix~&e:l~IXO'~Àe:\)ii:a&«t U7.òTWv q;itÀoa6q,oov, èmO't'IX">'i:ti; Toi:i;~.xaù.e:uatxixt &pxovTixi;ToUToui;(se. i filosofi) &:7tt8ttl;ixv:XLIX,7; cfr. 1/3); dopo il ritorno a Prosa infatti egli si dedicherà senz'altro all'attività politica diretta (per i principi vd. infra, c. VI, 1). i:: appena il caso di ricordare che il contemporaneo di Dione Plutarco ha dedicato una serie di scritti ai problemi relativi all'impegno politico dell'intellettuale (vd. Sinclair, 431/433), sia come consigliere del principe (Maxime cum principibus philosopho esse disserendum, spec. 777 f/778 b; 778 f; 779 b; Ad principem ineruditum) che come operatore e consigliere nella « piccola patria» {An seni respublica gerenda sit; Praecepta gerendae rei publicae; su questi scritti, per i consistenti punti di contatto con i Bitinici, torneremo nel corso del c. VI); lo stesso Plutarco rileva altrove l'incoerenza per cui i maggiori filosofi della Stoa, Zenone, Cleante, Crisippo etc.,

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mentre han teorizzato ampiamente la necessità dell'impegno politico, si son poi limitati a scrivere trattati, senza dedicarsi affatto alle questioni concrete

della loro patria (De stoic. rep., c. 2, 1033 b/c; vd. Pohlenz, I, 281 n. 19; Babut, 104; Griffin, 340, che ricorda i passi paralleli in Seneca): Diane {XLVII, 2/3) fa la stessa osservazione, ma giustifica il comportamento di quei filosofi che abbandonano la loro città con le enonni difficoltà che si incontrano, come egli stesso sa bene, nell'attività politica (su ciò infra, 380/381). 5 XLIX, 3. Su questo importante discorso torneremo anche infra, 379. 6 11 rapporto Nestore/ Agamennone è oggetto di specifica indagine nei due scritti Agamennone o sulla regalità (LVI) e Nestore (LVII), che analiz. ziamo alle pagg. 296/297. Per il metodo dionea della proposizione di esempi (o pseudo.esempi) mito-storici vd. infra, 480/484 e, per quanto rìguarda i discorsi LVI e LVII, 486/487. Il Kindstrand (a) (135/136) ritiene di poter assegnare questi due discorsi (nonché il Criseide, LXI) al genere retorico della GUyxpLaLç,per il confronto che vi sarebbe istituito fra coppie di personaggi (Nestore/Agamennone; Criseide/Agamennone); quest'ipotesi non è a mio parere sostenuta dal concreto sviluppo dell'argomentazione svolta da Diane; anche il Focke, che pure ha accertato il ricorso dionea a quello schema retorico in altre situazioni (e.g. XXXVI, 10; 27; XXXIII, 11/13) o interi discorsi (LII; LV), non ritiene di estenderlo al confronto tra personaggi mito-storici (neppure il Valgimigli è di quest'avviso). 7 II. Aristotele è una presenza invisibile nel dialogo fra Alessandro e il padre (vd. 79, con riferimento a LXVII, 9); analogo triangolo (Peleo/ Chitone/Achille) Diane presenta nell'Achille (LVIII, 3). 8 Pp, 312 sgg.; vd. anche 303 e 317. 9 XLIX, 4; piU avanti Dione dichiara che « Filippo fu molto superiore ai preeedenti re di Macedonia » (XLIX, 5), Direi che questa strana esaltazione di Filippo deve essere spiegata con l'eccezionalità del carico ideologico che Diane pone qui sulla sua figura (basta pensare all'uso ben diverso che ne viene fatto a LXXIV, 14). 10 In questo stesso discorso (6) nonché in XXII, 2 Diane considera Epaminonda un filosofo (in politica, naturalmente). Su ciò dr. infra, 436, n. 9. 11 XLIX, 4/5. Sui rapporti Liside-Epaminonda vd. Nep., Epam., II, 2. 12 Un saggio dell'attività dei maghi Diane la fornisce a XXXVI, 39 (dr. 41), dove li definisce « discepoli di Zoroastro»; vd. a pag. 323 (e dr. anche LXXIII, 2). 13 Ad un sacerdote egiziano Diane metterà in bocca ( vd. infra, 498 sgg,) la rettifica d~l racco~to omerico sulla guerra di Troia (XI, 37 e passim); in questa occaSlone egli esalta con maggiori dettagli la sapienza dei sacerdoti egiziani (sul loro prestigio nel mondo greco, che risale ad Erodoto, e poi a Platone, vd. Froidenfond, 196/199; 303/305). 14 Ben diversa è la connotazione che dei Bramani fornisce Diane in XXXV, 22, dove appaiono come degli uomini che vivono dediti alla ricerca della verità, remoti dal commercio con tutti gli altri (ma il contesto è ironico: vd. supra, 130/131). In realtà noi sappiamo che proprio la civiltà indiana (o meglio indU) presenta come elemento caratteristico la figura del bramano consigliere del principe.

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15 Ritengo

che Diane faccia riferimento a tutti i casi di « controllo e governo sui re»- precedentemente elencati, e non solo all'ultimo, quello dei Druidi (di diverso avviso il Valdenberg (a), 161). 16 XLIX, 7 /8. In questa presentazione del re come elemento puramente rappresentativo è facile cogliere echi di spunti ben piU. violentemente anarchici di discorsi esilici: vd. e.g. XIV, 20; LXXX, 13. II Sinclair (420/421) vede in questo passo una proposta di creazione di « un organismo permanente, e quindi potente, di filosofi inserito nella costituzione, e che rappresenti un'autorità indipendente fondata su basi religiose i>; ciò è esagerato se riferito al Rifiuto di carica, ma corrisponde assai bene in realtà a quelle che sono le posizioni di Dione che emergono ad esempio dal Boristenitico (vd. infra, 321/322). 17 Ciò non significa che Diane non parli mai dei popoli ai margini della civiltà di allora: fra l'altro egli ha scritto un I'eTLx& (vd. supra, 240, n. 43) e fa spesso riferimento ai Geti, agli Sciti, nonché naturalmente agli Indiani, agli Egiziani, ai Persiani etc.; quello che è inusitato è il tipo di argomentazione, che si potrebbe definire di civiltà comparate, presente qui. 2,

IL QUARTO DISCORSO SULLA REGALITÀ 1 Per

questa datazione vd. a p. 297, piU importante fra questi potrebbe essere Quintiliano (vd. supra, pp. 87/90): Diane non nomina mai intellettuali della sua età, né greci né latini. 3Aéyoo 811:TOtÙ'ra. oÙ>ed;yvoiì'>v6Tt T(Ì Pll&b.iravUv Un' tµoU bJ nM:(ovt -rt xoÀor.xe(q: x_p6v

e1) tÀtj'Xecr.S-or.t • &:ll' oÒ>efo-rt aéoç µ'1)1to-retych q;,or.vil> ).lyoov. Per l'emendamento &.éyx.ea&cxt(al posto di ).é-yea&0tL)qui accolto vd. infra, 346, n. 8. •nr, 12/13. 5 VI; vd. supra, 201/204. 6 XLV, 1; per questo passo vd. alle pp. 188 e 326. 7 LVI. 8 LVII. Per questioni linguistiche e filologiche del IV S.r. vd. D. Ferrante. soL' A. ha pensato che questo discorso fosse indirizzato a Traiano, precisamente in occasione di una festa in onore del genius dell'imperatore, e arriva al punto di proporre come data dell'esibizione dionea il 18 settembre (genetliaco di Traiano) del 103 (399/405); egli considera i toni aspri di Diogene nei confronti di Alessandro una conseguenza della diversa forma di argomentazione usata qui da Dione rispetto a quella dei discorsi I, II, III: in sostanza egli rappresenterebbe il quadro negativo, da cui Traiano dovrebbe guardarsi (405). Già lo Hirzel, il quale esprimeva grandi perplessità ma riteneva di posul rapporto fra il secondo e il quarto Ilepl [,,or.mÀe(.:x;, ter superare le difficoltà col passe-partout della diversità delle fonti di Dione (II, 77, n. 2), aveva sostenuto che anche il quarto era indirizzato a Traiano (II, 80); e cosi piU tardi W. Hoffmann, che minimizza troppo scopertamente gli evidenti elementi anti-alessandrèi presenti in questo discorso: per lui l'utilizzazione di Alessandro da parte di Diane è necessariamente da collegarsi (come del resto per lo Hirzel) alla traianea imitatio Alexandri, e anche 2 Il

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Dinedi Prusa

le varie rappresentazioni che Dione presenta di Alessandro ci consentirebbero di ricostruire per cosi dire le varie fasi di questa imitatio (74/80). In realtà, come han ben puntualizzato il Beaujeu (98/101), le scarse testimonianze relative a questa imitatio assicurano almeno di una cosa, e cioè che tutto il discorso relativo deve essere collegato con la spedizione partica di Traiano (che richiamava quasi inevitabilmente il classico Drang nach Osten di Alessandro) e si imposta quindi verso il 111/112: di questo non ha tenuto conto il Béranger (a) (296), e soprattutto il Fears (a) (250; G. Wirth, 198/199, ha cercato di superare questa difficoltà, ma in maniera assai poco convincente: vd. già le riserve del Badian, 219/220). Non si vede dunque come si possa rifarsi al tardo richamo traianeo ad Alessandro per spiegare il quarto Sulla regalità dioneo che oltre tutto, come si è detto, è piuttosto ostile al re: Alessandro era da secoli al centro di un dibattito serrato, insieme storico, filosofico, e di pubblicistica spicciola, e uno dei temi principali attorno ai quali verteva la discussione era quello della natura del potere monarchico e del rapporto fra il re e il filosofo; né si può dire che in generale fosse prevalso un atteggiamento favorevole al re, vincitore dell'impero persiano ma uccisore di Clito e di Callistene (qui non è possibile neppure fornire una rassegna dei piU importanti srudi sull'argomento; mi limito a rinviare al saggio del Fears (b ), che ha tentato di recente di contestare, non so con quanto successo, la tesi tradizionale risalente allo Stroux di un'ostilità dello stoicismo nei confronti di Alessandro, e ora al Brunt (c), 37/48). ti inutile dire che, a fronte di questa tendenziale ostilità degli intellettuali, era stata massiccia l'utilizzazione e l'esaltazione di Alessandro da parte dei dinasti ellenistici, che da lui ripetevano in ultima analisi il loro potere; nonché, negli ultimi tempi della repubblica romana, da parte dei grandi condottieri in procinto di realizzare il dominio personale, da Pompeo in poi: su questo non è naturalmente possibile soffermarsi qui (rinvio all'ampia notizia bibliografica di L. Cracco Ruggini (c), 6, n. 8), cos{ come neppure sull'importante tema entrato per ultimo nella discussione su Alessandro, ma che ne ha fortemente condizionato i successivi sviluppi, quello del rapporto fra Alessandro e i Romani (e della rispettiva virtu o fortuna; per questo tema vd., per quanto riguarda l'età augustea, la recente messa a punto di L. Braccesi). Da rutto ciò si evince comunque che per spiegare l'Alessandro del IV Sulla regalità, potrebbe bastare quello senecano del terzo libro del De ira, dell'inizio del De beneficiis, o dell'ep. 94, o quello lucaneo della Pharsalia,dove è denunciata la bassezza delle motivazioni reali di Alessandro visto come prototipo di tutti gli ambiziosi in veste di tiranni: Pompeo, Cesare, Antonio, Nerone ... ; esattamente come Diogene irride in Diane (6/7; 72) il TUrpoçdel giovane re (specialmente questo tema del 'ruipoi;fa pensare naturalmente alla presenza in Diane anche di spunti diatribici: vd. infra, 339, n. 14; quanto a Seneca e Lucano, il loro anti-alessandrismo è espressione dei loro spiriti anti-tirannici, in particolare anti-neroniani: su ciò vd. Heuss, 87 /89). Bisogna però considerare che (come risulta dal testo) Dione dichiara espressamente di voler sovvertire la tradizionale rappresentazione dell'incontro Diogene-Alessandro; appare dunque preferibile riconoscere a Dione una certa originalità, almeno su questo punto, dati anche gli elementi di contatto con il Diogene o sulla tirannide: Dione intende ribadire la superiorità del filosofo sul re, ma ora

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fra i due si instaura bene o male un dialogo, il cui significato è che il filosofo almeno riconosce l'esistenza dell'organizzazione politica, e se ne fa in certo senso tutore. Io non so a questo punto se sia possibile far propria senz'altro la posizione dell'Eicke, il quale sostenne contro l'A., lo Hirzel e lo Hoffmann che questo discorso appartiene all'epoca dell'esilio (37/53): l'ipotesi di una stesura in due tempi non è entusiasmante, ma rende l'idea di una certa duplicità d'ispirazione, mentre quella della diversità delle fonti rispetto al secondo Ile:pl ~a.aLMloo;(sviluppata specialmente dal Thomas, 67/81) semplicemente non è una soluzione; pill rigorosamente fondata è la teoria dell'HOistad (213/220), che per meglio sostenere la datazione dell'Eicke al periodo esilico nega la rilevanza politica della rappresentazione di Alessandro: solo che questo non è vero. Al Lepper (b) (195/197) sembrava impossibile che Dione avesse avuto il coraggio di pronunciare certe cose di fronte a Traiano - ad es. la polemica contro gli ornamenti esterni del potere, al par. 61, doveva suonare un po' forte all'orecchio di un imperatore che aveva, secondo la datazione dell'A., appena celebrato il primo trionfo dacico -; tuttavia egli preferiva tener fermo a quella datazione, e spiegare gli elementi anti-alessandrèi (cioè per lui anti-traianèi) con l'assai improbabile ipotesi di una successiva resipiscenza in senso ostile a Traiano che avrebbe indotto Dione ad inserire quegli elementi in occasione di ripetizioni del discorso in sedi remote (ma dove?): il testo che noi abbiamo sarebbe quello della definitiva pubblicazione, avvenuta secondo il Lepper dopo l'ascesa cli Adriano ( !) (quando a suo parere sarebbe stato ripubblicato anche il III II~pt (3a:aù..da.ç:203). La Forte si limita ad ignorare questo discorso (vd. specialmente 283 sgg., dove si parla de « i tre discorsi sulla regalità»), mentre il Fears (b) (123, n. 62) tende a ridurre il contrasto fra II e IV, ma non si pone seriamente il problema della cronologia relativa (nel volume appena uscito (a) egli si allinea sulle posizioni dell'HOistad, ma con poca chiarezza: 157 e n, 44 ). In conclusione credo si possa sostenere che Dione ha originariamente recuperato l'incontro Diogene-Alessandro in funzione della sua polemica esilica contro Domiziano: questo modulo avrà costituito la base di discorsi cli opposizione, del tipo di quelli di cui parla con orgoglio alcuni anni pill tardi (vd. supra, 287); finita la « tirannide» domizianea Dione ha tentato un'operazione di riorientamento del modulo, in funzione della nuova realtà politica: a questo corrisponde l'attuale redazione del quarto Sulla regalità. Il fallimento di quest'operazione, che è dimostrato dalle difficoltà interpretative che il discorso tuttora presenta, indurrà successivamente Diane a utilizzare moduli diversi (negli altri discorsi Sulla regalità) e specialmente a lasciar cadere il personaggio di Diogene (su questo vd. a pag. 298): ma Traiano non ha niente a che vedere con questo Alessandro. Bb La migliore analisi degli aspetti « drammatici » di questo dialogo tra Alessandro e Diogene è quella del Heuss (90/91), che tuttavia attribuisce senz'altro il discorso all'età di Traiano. 9 Infra, c. VII, 4. 10Accetto qui l'emendamento oòx ~xLcr-ra.del Reiske. Quanto alla interpretazione errata dell'episodio, cui Diane allude, la migliore versione se ne trova in Plutarco (Ad princ. iner., c. 5, 782 a/b): L\.,oyb.lrp,1 -&ea.alXµevoç

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Dione di Prusa

(se. Alessandro) m.t a~• eùq1uta.v&:ya:7djaa.çxcd &ocuµ.&cra:i; "TÒ q:ip6V"t)µv, l'opera dionea a noi non pervenuta, Rochefort, in app. dell'ed. giulianea delle Belles Lettres, ad l. ). Il 'l';.ò TY)i;; µe:y(a'n'ji;;è!;ouaEa:i;; -re Ka:t Suv&.µe: (6) è nelle intenzioni di Dione una scusante per l'arroganza di Alessandro; in realtà non si può accettare l'idea di un atteggiamento favorevole del ci• nismo nei confronti di Alessandro (come voleva F. Weber, 93/94): il papiro pubblicato nel 1959 dal Martin, con il frammento di diatriba relativo all'incontro fra Alessandro e Dandamis, prova ancora di recente la validità della posizione tradizionale (la connessione di questa diatriba con il IV Sulla regalitàè stata sottolineata ultimamente da M. Szarmach (a), 175; ma vd. già L. CracooRuggini (e), 48 e n. 119).

~ IV, 16 IV, 17 Vd.

6/7. 8/10. e.g. VI, 60 per la libertà di movimento di Diogene; VI, 35 per

l'affermazione diogenica della propria superiorità sul re persiano (dr. IV, 10). 18 Supra, n. 13. 19 Vd. XIV, 18 e 23; XIII, 24; e in questo stesso discorso 25 e 61 (dr. anche LXXX, 13). Per l'analogo simbolo del platano d'oro (su cui vd. Her., VII, 27, 2; Xen., Hell., VII, 1, 38): VI, 37; XLVII, 15; LVII, 12. 193 Ma neppure del tutto positivi. A parte i discorsi IV e II, di cui trattiamo ampiamente nel testo, bisogna ricordare che nell'Alessandrino (XXXII, 95) c'è una misteriosa allusione, apparentemente malevola (gli Alessandrini sono invitati a non farsi prendere dalla passione per Alessandro, il quale « anche lui diceva di esser figlio di Zeus »); anche nel Sul demone (XXV, 6) non si può dire che Alessandro sia visto con particolare favore, mentre nell'attacco del I Sulla regalità Diane scarica sul flautista Timoteo la responsabilità di certi comportamenti di Alessandro (I, 1/8, dove Dione pare porsi su una pili. antica linea difensiva che intendeva giustificare Alessandro con l'inettitudine del pedagogo Leonida: Quint., I.O., I, 1, 9, mal interpretato a mio parere dallo Stroux, 224 sgg., mentre Sen., De ira, III, 17, 1 sembra una risposta a questa difesa; vd. anche Fears (b), 114/115, che mi pare troppo sottile). Quanto al passo « alessandrèo ». in LXIV, 19/21, non lo considero perché ritengo non dionea il discorso, seguendo l'Emperius (A., 158/160; lo stesso vale per il LXIII). 20 Per l'immagine cfr. LXVI, 22. 21 Anche il III discorso Sulla regalità prende le mosse da questa tematica; H però il protagonista non è pill Diogene ma Socrate, e la persona di cui si deve conoscere l'animo è il re dei Persiani (vd. a pag. 298).

Diane di Prusa

V. Dione consigliere del principe

221v, 17/18. La tradizione relativa alla visita di Alessandro ad Ammone, con tutto ciò che essa significa per la storia della monarchia divina, è stata studiata dal Gitti (vd. specialmente 65 sgg., 96 sgg.); per la sostanza vd. Taeger, I, 191/208; Dvornik, 211/217. ~ superfluo notare che tutta questa tra.dizione « alessandrèa » deve aver avuto un grosso rilancio al tempo della permanenza di Vespasiano in Egitto nel 69 (vd.supra, 34). 22aCiò che di solito è stato fatto, con qualche eccezione, dal Valdenberg in poi (e.g. L. Delatte, 151/152; Dvornik, 537/542). 23 I testi piU importanti sono raccolti in L. Delatte, 195/207; sul contesto socio-politico nel quale si sviluppa l'idea della regalità divina vd. Sinclair, 384/385; pili specificamente per l'età romana Bowersock (b). 24 IV, 22/23. Sulla vacuità dei a-t)µei:a ufficiali dei re cfr. XIV, 24 (supra, 247, n. 25, e qui, n. 19). Ora emerge il concetto di a-t)µeto" t\l 'f114ux,TI,che piU avanti viene esplicitamente contrapposto a O'ljµeta: quali la tiara e la porpora (25; 61), e che ritroveremo anche in I, 33 (su questo 'lt'otV'C'l xa:M1't'6lnpov"fiOU!J,1t&:v't'(,)\Iµèv 'Ell~vrov, auµn&:VT(l)\I 8è '3otp~!iprov [,«o-ù.e6ew), ma specialmente nella trattazione del tema della regalità: vd. I, 14; LXII, l; 4. Si tratta in ogni caso di un'idea assai comune da Socrate in poi (Goodenough, 69/70). 37 lV, 46; anzi, come si è già visto pill volte, è il simbolo della tirannide: vd. anche in questo stesso discorso, 44/45. Quanto al fatto che una vittoria militare non sia prova valida di superiorità morale, dr. XIII, 23/25 (supra, 169, n. 20 e 221); Dione ricorre all'imagine di un certo gioco della palla {cui abbiamo accennato sopra, 176, n. 5; non direi che qui ci sia un riferimento al teatro, come vuole la Decleva Caizzi (b), 100, n. 29) per dare l'idea dell'aleatorietà della vittoria di un re su un altro: analogo valore simbolico (il termine GUµf30Àovè qui usato da Diane: dr. XII, 59; XXXIII, 39; 52; XXXIV, 5; LXXV, 9) di denuncia dell'artificiosità e della falsità della coreografia regale Diane attribuisce alla festa persiana dei Saci (IV, 66/68), modificando liberamente, a quanto risulta dal confronto con Strabone (Xl, 5), i dati reali. 38 IV, 47/51. L'isola dell'Oceano non può essere che quella di cui parla, attribuendone la descrizione originaria a Giambulo, Diodoro nella presentazione delle terre al di là dell'Arabia (Il, 5-'/60); è chiaro che Dione non crede alla reale esistenza di quest'isola (et 1toU-r!ç !GTt v~a:o-tÀLx.6ç: su questo vd. ora M. Szarmach (a), 167/168) ad una certa astrattezza nelle sue formulazioni (secondo il Wifstrand, 534, ciò dipende soprattutto dalla volontà di proporre modelli di portata pill universale, specialmente per la varietà delle esperienze politiche convergenti nell'impero); ma l'uso che dei discorsi Sulla regalità hanno fatto, per non citare che qualche nome, il Taeger, il Béranger, il Kloft, l'Adam, il Dvornik, il Sinclair, è una prova concreta della validità dell'approccio del Rostovzev. ua Procedimento analogo nel discorso XIII; cfr. però soprattutto la scomparsa del sacerdote egiziano nel Troiano. 13 III, 43. Il principio dell'« irresponsabilità» del re sembra risalire a Crisippo (Valdenberg (a), 157 e n. 3; Szarmach (a), 171). Il Valdenberg (ibid.) ha giustamente osservato che non c'è contraddizione fra il definire l' &:px-fi come v6µ.tµ.oi;e l'affermare che la ~al.Mb: è &:wmò&uvoi;;fatto sta che qui Diane rinuncia al principio del controllo sull'operato del governante, anche se riafferma la necessità della legalità del suo comportamento. Ancora il Valdenberg (a) (161/162) ha rilevato il contrasto di questo passo con LVI, 5, e lo spiega con la diversità delle circostanze e delle sedi in cui sono pronunciati i due discorsi. Il tema del rapporto fra re e legge è affrontato anche altrove da Dione (III, 10; LXII, 3) nella stessa maniera •solo apparenten_iente contraddittoria: egli afferma che il re è superiore alle leggi, ma insieme che deve essere v6µ.LtJ,Oç (vd. Trisoglio, 37/39 e n. 368); si tratta in realtà della stessa formula pliniana dell'imperatore che si sottopone volonta• riamente alle leggi (vd. Valdenberg (a) 1 158/160). Sulla concezione ellenistica e poi imperiale del re come v6tJ,or;;!µ4uxoi; vd. Goodenough, passim; Fi-

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personalmente dal medesimo Usener) dovrebbe consentirci di superare le difficoltà di comprensione lamentate dall'A. nell'edizione (in app.); in realtà lo stesso A., l.c., non rimane del tutto sodisfatto: cfr. 25, dove sembra che il pericolo dell'adulazione sussista ancora). 9 III, 12. Si tratta di un topos assai comune, naturalmente; vale ci; munque la pena di rilevare l'immagine del 3ta:q,&e(petv TÒ v6µu:rµa: ( 18), che compare anche in XXXI, 24 (nella formula piU comune Tt'Gtpi:xxcxp&:Tn:tv -rò v6µtaµa:; cfr. XXXI, 33): Diane rileva il pericolo della perdita di credibilità del linguaggio (cfr. una situazione analoga in XXXII, 9 e XXXIV, 3 a proposito del termine (j)tÀ6v -.p61tov. Anche Musonio vedeva nel re lo ~'l')ÀCù't"1)v -roù dtòç ... xa:1 nct't'ipct 'tfilv &:p;ico!,l,&\/Àt't'cxt(A., 124/125), dall'altro la consapevolezza dell'opportunità che tutti indistintamente gli abitanti dell'impero vedano nell'imµ6vov, peratore un buon padre. Aggiungerò ancora che l'oU À6y'I)xex.À~a-&cxt cl).).(%"t'Ot,;lpyot,; -roU-rotm&txwa&«t è un parallelo perfetto di Plin., Pan., 21, 2, dove si parla del lungo rifiuto traianeo di accettare l'appellativo p.p. (vd. il comm. del Durry). 11 I, 22/23. Su questo principio cosmopolitico vd, Kloft, 166/167. Esso è meglio sviluppato da Diane nel terzo discorso: 8-rou 8' iiv ncxµn-À,i&i:c; µ.èv\lncxxo6filatn6Mte, 7r&:µnoÀÀcx 8t ~ xu~epvéi-rrxt 8tà. -cijc;!xe('Vouyv00µ1J,;, clvf)pt&(-1,CX at tpUÀCX dv&p001t.oc;.A XL, 15 Dione definisce Traiano ipV.cxv&pwn-6-rcx-ro xpWµtvoç il:a:uTci>; per L. Delatte è pacifico (175/179) che Ecfanto, pur seI11,a menzionarli, ha in mente la categoria ontologica dei S«{µovtç, e trova riferimenti di questa concezione in Pin~ daro ed Empedocle - ma è altrettanto evidente (L. Delatte, 202/203; Dvornik:, 253/258) che molte delle immagini connesse a quella « intermedietà » regale (vd. specialmente Stob., VII, 64, p. 273, 1/17) sono da considerarsi strettamente affini ad immagini proprie della concezione monarchica persiana. Di questa concezione si ritrovano tracce in età imperiale romana in manifestazioni di devozione nei confronti dell'imperatore: in documenti ed egli stesso si definisce egiziani Nerone è acclamato Néoç 'Ayc:t&òç.6.oeLµc,:iv, •A ya:~ &xtµrovnj,; olxouµh.,'ljçin una circolare che annuncia il suo avvento al trono (su questi documenti vd. Nock (e), 34/38; Taeger, II, 315; Mon• tevecchi (a), 219/220; Forte, 218); e del resto il Genius dell'~peratore, il cui culto inizia con Augusto (Taeger, II, 133/135; non posso qw entrare nel controverso problema dei rapporti numen/genius: vd. Paladini, 18/19 e nn.; 60/61; Béranger (d), 433/434) finisce coll'assumere i connotati del 8«!µc.>• T9ji; olxouµ.É:\l'ljç (vd. specialmente Dione, III, 5/6, citato supra, n. 42). Per concludere, conviene accennare alla possibilità che nell'elaborare questa concezione di 3cdµ«d &µtlvovoc;3«(µovccc;;ma si ij!Jh)v oòx oiv&pi~1JY1lTÌJv xett npoipl'j't'Y)v 'tijç 48-cxvci-rouipOaeooi;clÀ1J.&éO"ffl't'OV foooi;xat -rw~6't'lX-ro'\I (47), è chiaro che

Diane qui non intende occuparsene; in ogni caso si tratta della piU tarda forma di i:rrfX't'Y)'t'O,; Mota.. 13 Vd. VII, 10/63 (racconto del cacciatore); XIII, 16/28 (discorso di Socrate); I, 55/84 (sacerdotessa rustica); XI, 39/154 (?) (sacerdote egiziano). Il Ferri avanzò l'ipotesi che le idee qui attribuite a Fidia siano in qualche modo riconducibili davvero al grande artista (170/184), facendo cosi credito a Diane di una capacità di ricostruzione storica pressoché eccezionale. Nonostante la suggestione, -l'ipotesi non è sostenibile, anche perché, come si vede continuamente in questo libro, la cospicua esemplificazione storica riscontrabile in Diane non ha di regola nessuna attendibilità scientifica, ed ha viceversa una funzione puramente strumentale; resta però il valore delle riflessioni di natura propriamente storico-artistica che il Ferri acutamente recupera dall'Olimpico: ma queste andranno messe all'attivo di Dione e non di Fidia.

V. Diane consigliere del principe

373

14Vd. specialmente 69/71. Di recente uno studioso polacco, il Tatarkiewicz (che conosco attraverso Szarmach (b), 466/467), ha svolto una serie di considerazioni molto acute sulla concezione estetica che emerge dall'Olimpico, che in sostanza rappresenterebbe una rivalutazione, di lontana origine aristotelica, dell'aspetto tecnico-artigianale del fatto artistico; non si rinuncia al concetto dell'ispirazione divina del poeta, ma la si estende anche allo scultore (c. III, 88 sgg., specialmente 118/123). Questa tesi mi pare assai convincente, anche se messa in rapporto col resto della produzione dionea; è vero infatti che Dione manifesta spesso concezioni anti-tecnicistiche, ma la loro valenza è prevalentemente, per non dire esclusivamente, politica (vd. supra, 94/95). Il discorso del Tatarkiewicz si ricollega comunque alla antica discussione (vedila specialmente in Valgimigli (a), 79/82) sulla possibile origine pergamena delle idee di Dione sul rapporto fra poesia e arti figurative. 15 Il Oerc, le cui pagine sono forse le migliori di tutta la letteratura sull'Olimpico, certo le piU «partecipate», (198/229), ha definito questo discorso « un trattato che ha per tema principale la difesa dell'immagine scolpita» (214); ma si può dire di piU: Dione fa un'esaltazione dell'immagine scolpita, poiché in nessun luogo dell'Olimpico si mette in discussione il diritto o la legittimità dell'uso delle statue degli dei a scopo di devozione. Anzi, come vedremo meglio nel capitolo VII, le rappresentazioni figurate degli dei sono uno dei modi di conoscenza del divino; e a questo punto non è pi\J questione di andare cercando col lumicino se non ci sia stato qualche stoico un po' pii.i portato al compromesso che abbia lasciato scritto di essere disposto a chiudere un occhio sulla trasgressione di uno dei capisaldi della teologia stoica: che la divinità non è antropomorfa (D.L., VII, 147). È meglio ammettere che siamo fuori dello stoicismo, come sostenne giustamente lo Heinemann (II, 124/134), confutando la tesi « posidoniana » che era la piU diffusa, e sostenendo che caso mai in questo discorso si può vedere una polemica contro la concezione posidoniana. Ciò naturalmente non significa che si debba vedere qui un Dione epicureo, come voleva il Geel (citato dal Binder, 41), anche se sono sorprendenti i paralleli fra passi importanti dell'Olimpico e il succo del discorso di Cotta nel I libro del De nat. deor. (vd. specialmente 76): una conclusione del genere è assurda, quando si tenga conto del già ricordato durissimo attacco di Diane (ai pp. 36/37) proprio alle concezioni teologiche degli epicurei. La verità è piU semplice, se si entra nell'ordine di idee cli restituire a Diane quello che è di Dione; egli aggiunge la conoscenza del divino attraverso le immagini alle tre forme classiche stoiche (infra, 507, n. 27) perché per lui il problema è quello di trovare gli strumenti piU adeguati a realizzare un controllo ideologico della gente: e l'attribuzione alla statua piU famosa di tutto il mondo greco di un messaggio relativamente plausibile era un modo decisamente intelligente per assicurare la diffusione di quel messaggio. In sostanza si può dire che l'idea-forza dell'Olimpico è che sia necessario sfruttare le immagini figurate, in quanto piU facilmente si imprimono nella memoria e nella fantasia, come tramite di una comunicazione di massa. 16 Q(he: m(fTCQov-.e:i; othe: 1t'poO"qo\l't'E" &:rro).foooµev? Sugli aspetti finan. ziari dell'operazione di ristrutturazione vd. a p. 406. 3XLVIII, 12: o!c:cr&e6-ri mpl a-ro«ç; ijv &v!µol A6yot; fi n>.ou •tw&;? 4XLVIII, 9: o(ea&e ciyop«")((XlG"fOW" xc:tl XP1lfUX't6>\I e!yct(-rt ~q>e:Àet; 't'Ol'ça't'IXO"ui~01.>a,v? (cfr. per il concetto XXXII, 37; 95; XXXIII, 28). Tuttavia la aTO!Xè l'edificio pill frequentemente men-

443

zionato: vd. XLVII, 17; 19; 20; 21 (nulla a che vedere, nonostante l'ipotesi avventurosa del Sautel, 433/434, con la cnoii privala di cui Dionc parla a XLVI, 9). Su tutto il complesso dei lavori vd. specialmente A., 340/358; Broughton, 775/776; Magie, RRAM, 589/590; Domer (b), 1079/1080. Sulla posizione di responsabilità di Dione in relazione a questi lavori vd. p. 395. 5 Sull'assemblea nelle città greche in età imperiale vd. Levy (a), 205/ 218; A. H. M. Jones (b), 177. Sul suo significato politico e piU specialmente sui suoi rapporti con il consiglio cittadino vd. infra, n. 21. Sull'assemblea di Prusa in particolare, e sulla (scarsa) documentazione epigrafica della sua attività vd. Dorner (b), 1081. 6 TY)vrr6Àtv&µe:tvovXc:t't«oxeu&.,etv Xc:tlaeµvo't'épcxvTt'Ote:l'v (XL, 5/6). Anche altrove (XLV, 15/16) Dione ricorda questa vicenda, e sottolinea che comunque« nessuno si oppose o parlò contro, tra i magistrati (-rii>,èv TéMt)». Sulla presenza del governatore vd. Burton, 104/105, 7 A questo XIXÀxe:tov Dione allude anche a XLVII, 11, dove si autodefinisce ironicamente & -rOO,: rr6À≪ n-op&ii>v xo:tTOO,: v&X.pon-6).e~. 8 Questo passo, in cui accetto con l'A. l'emendamento &U.oae:dell'Emperius, è quello che tratta pill chiaramente gli aspetti di « razionalizzazione urbanistica» implicita nell'opera intrapresa da Dione; il contesto dell'accenno può far pensare che gli oppositori del piano dioneo spalleggiassero probabili lamentele degli artigiani costretti a spostare dal centro la sede delle proprie attività (cfr. XLIII, 11). 9 XL,

8/9.

l0XL, 9/10 (vd. supra, 384). Particolarmente significativo a questo proposito è il passo in cui (XLIII, 9) Dione riporta, naturalmente per contestarla, l'accusa che gli viene rivolta di a«aµoì..oyetv ••• 'tiiY xOOpc:tv 'tl)v Uµe-répct.Y. 11XLV, 13: oòx l~c:tpv6çdµt 't'Ò xo:t owotx(!;&tv c&éì..e:tY 'n]v n6ì..tv xa.l n).ij.0,oç &:v&pOOm,>v et,;ctÒ'njv6aov 80\lctµ«t awc:ty«yeiy (cfr. 14 auvotn-6ÀC6>Y vale « città xtaµ6,;; a XXXVI, 5 Tii>vµtv oòxé-rt OUYotxta&&,a(l)v a XIII, 17). Il Rostovzev (a), n. 3 a pp. 301/ disabitate»; cfr. Xc:t-ro,xU:::6> 302, pensò che il progetto di Dione fosse quello di « inserire i contadini nelle liste dei cittadini», e rinviò a due iscrizioni di Prusias ad Hypium, dalla prima delle quali (I.G.R., III, 69) risulta la distinzione fra -rotç cioè « (cittadini) registrati bnccxptµ.évotçxa.l -roi'çTT)y&:ypotxl«vXc:t'tOtxoUm., e contadini», mentre la seconda (I.G.R., III, 65), cli età severiana, parla di magistrati dal titolo q>ÒÀIXpXOt tnl 'Nji;:Oµovo(~ l)p'rJµévot, cioè (ritiene il Rostovzev, andando per la verità oltre il giudizio del Koerte) nominati per realizzare un «sinecismo» come quello dioneo (su questa posizione si è posto anche il N0rr (a), 50, n. 50; A. H. M. Jones, sia in CERP2,161 che in (b), 172, utilizza solo I.G.R., III, 65 per documentare la netta separazione in Bitinia fra l'elemento greco e quello indigeno; il Broughton, 810/ 811, sembra condivedere la posizione del Rostovzev, ma non pecca per chiarezza). A mio parere il Rostovzev è nel giusto, e lo dimostra l'ampiezza del respiro «regionale» di Dione (infra, c. VI, 5); ma qui egli parla anche di un trasferimento effettivo della popolazione dalla campagna alla città (cosi Domer (b), 1078).

Dione di Prusa

444

12 Di questa lettera di Aristotele a quanto pare parla solo Dione (vd. Gigon, 56). 13 XLVII, 8/10. 1!.evidente che Diane tende a presentare i rapporti fra Alessandro e Aristotele come una specie di modello « mitico » di quelli che intercorrono fra Traiano e lui stesso (cfr. quanto si è osservato altrove: 285/286 e 317). Quanto alla sostanza dell'apologo, da Plutarco (Alex., 7, 2) risulta che la città di Stagira fu ricostruita, e la Vita Aristotelis Marciana (278 a, 83 sgg. Gigon) si dilunga sulle manifestazioni di riconoscenza degli abitanti nei confronti di Aristotele; ma Strabone (VII, fr. 35) dice che la città è abbandonata, !'.p'1)µo~.Sulla questione vd. la discussione del Gigon (56/57). Il Mitteis (20; cfr. anche NOrr (a), 77) ha rilevato l'importanza di questo passo, in cui Diane riafferma con particolare vigore il tradizionale concetto greco per cui la città è l'unico sistema di insediamento civile, mentre i barbati abitano xet'C'!X xWµ.a:«:; (il termine compare anche, sempre con valore spregiativo, a XL, 10; XXXIV, 29; III, 38; con valore neutro a XXXIV, 14 e XLVII, 9); dal canto suo A. H. M. Jones (b) ha notato che nel terzo .discorso Sulla regalità (III, 127) Diane considera fra i compiti piU importanti dell'imperatore quello di fondare città (60; cosi anche il N0rr (a), 9). 14XLVII, 11. L'emendamento vexpo7roÀe:t,;per cbc.pol't"6Àet«:;, proposto dal Wilamowitz e accettato dall'A., mi pare particolarmente felice: non è improbabile che i lavori dionei abbiano comportato la rimozione di qualche sepoltura (e poco piU avanti, 16/17, Diane accenna a operazioni di questo tipo avvenute di recente a Tarso e a Nicomedia, dove addirittura !1'1J,:pLmtv-ro -ri:ìµ.v-fi114-rot fl,tt"ot(pe:tv,nonché a Prusa stessa: vd. Vidman, 76/77). Oltre alle sepolture, sembrerebbe che anche dei templi, o comunque edifici sacri, siano stati abbattuti (XLVII, 18); da Plinio (Ep., X, 49) risulta che anche ai Nicomediesi si pone il problema di che cosa fare, al momento della costruzione del nuovo foro, di un'« aedes vetustissima » di Cibele che ostacolava i lavori (vd. Ruge (b), 491; Gaudemet, 343/344; Vidman, 79; Polverini, 209/210).

::it~(tg:

Dione ricorda oltre l'Asia anche la Siria e la Cilicia, e in Bitinia in particolare le città di Nicomedia, Nicea, Cesarea ( su cui vd. Broughton, 773/775; 777). 17 Ibid. Si tratta evidentemente (nonostante Vielmetti, 94) di una lettera diversa da quella con cui Dione rientra in P.tusa, e che legge alla fine del Discorso di ringraziamento CXLIV, 12; vd. supra, 264): deve essere infatti un documento recente, appena arrivato, se Diane Io legge per sostenere la sua attuale posizione. Quanto al carattere di questa lettera, si può pensare ad una lettera privata a Dione, scrittagli da Traiano magari su sua soJlecitazione (vd. XLV, 8, oltre a XLIV, 12 per la possibilità di Dione di rivolgersi direttamente all'imperatore: il Millar (a), 470, osserva che si tratta cli un privilegio eccezionale); ma non è escluso che Traiano avesse inviato una lettera ufficiale alla città di Prosa: in questo caso si dovrebbe pensare che Diane sia in questo momento arconte (vd. la discussione supra, 277 /278, n. 27). Sull'impulso impresso da Traiano ad iniziative

VI. Il potenziamento delle strutture cittadine

445

nel campo dei lavori pubblici, specialmente in ambito provinciale, vd. Bodei Giglioni, 199/204. 18 Nulla si sa di questo Macrino (A., 351), che secondo lo Stein (d), potrebbe essere un governatore romano. 19 Sull'eòepyealot come virni tipicamente regale vd. supra, 353, n. 29; l'appellativo può naturalmente essere attribuito anche a benefattori locali (dr. XLI, 3; XLIX, 1), allo stesso modo che possono estendersi a personaggi locali appellativi regali quali 'OMµnto«:; e a..-fip,-rpo,:pe:0; (XLVIII, 10; cfr. per l'uso di 'OMµmo; XXXI, 116 e Touloumakos, 38 e n. 61, che richiama iscrizioni onorarie; per o-oot7)pXXXII, 3 e 26); per il titolo 'OMµmo«:;, il Dorner (a), 21, richiama, oltre a I.G.R., III, 67 e 63, un'altra iscrizione di Ptusias ad Hypium (n. 19); per -rpocpe0«:; e «Xt dei codici, che esime dalla necessità di postulate la lacuna dopo &.v8puiv-ro:«:;). 20a Su questo discorso vd. A., 353/357. Nella seconda parte di esso compaiono sullo sfondo concrete figure cli avversari politici di Diane: al par. 16 si parla di «qualcuno» che ha definito Diane ih)86va: -r&v o-oq>ta't"&v, Àot8op1)o-0Ct ~ouÀ6[J,t'Jo«:;; a 20/23 si espongono, al limite fra sarcasmo e sincerità, gli argomenti di « qualcuno » che invita Dione a togliersi di mezzo e a dedicarsi ai suoi studi: egli ribatte che proprio questo potrebbe augurargli &6\lo~e ~oxet\lloc compaiono spesso, insieme ai

loro derivati, come uno dei motivi piU forti di contesa politica all'interno delle città (e.g. XL, 10; 17; 18; XLV, 5; LI, 1; dr. in senso pi6 generico LXXVIII, 15; 16 etc.; in senso pill propriamente economico ( « concorren.za») LXXVII: vd. supra, 409), o anche tra città e città (:XXXIV, 10; 13; 14; 19; 27); è da ricordare che Plutarco definisce lo vxoLvC>v non dà senso; tenendo conto del ragionamento che segue giustamente l'A. propone di leggere oò8' i:aTlv ht -rfily xot'\lù>Y«hl>. La successiva esemplificazione di comportamenti politici errati (dr. anche 51) ricorda quella del discorso di Ales-sandria (XXXII, 8/11) sugli errati comportamenti «intellettuali» (supra, 73/74). 25 Accetto l'emendamento dell'Emperius 6 8Ltn: (dr, I, 58) dove Dione parafrasa. l'attacco della Teogonia(vd. Kambylis, 61, n. 123). Pokhé qui Dione passa subito a parlare dei tragici, è difficile dire quale giudizio abbia su Archiloco, per il quale comunque a XXXIII, 12 richiama la definizione apollinea di Mouo-lOOV .&epcbt(JlV (vd. il fr. 1 D.). Una tn1tta2ione sistematica relativa alle testimonianze epiche, liriche etc. di invo-

509

e.azioni alle Muse e agli dei, e quindi alle concezioni arcaiche sul poeta. e la sua fumione alle quali Dione sembra qui richiamarsi, è costintlta dalla dissertazione del Faltetj è impoSSJÒile, e anche inutile, fornire qui una rassegna bibliografica su un tema cosi ampio. Aggiungerò solo che in questo passo Dionc non parla di Orfeo, altrove definito « figlio di Musa» I, .58; XXXII, 5lj 64, Calliope; LXXVIII, 19), e costantemente esaltato come esempio di poeta ispirato (vd. anche XIX, 3; XXXV, 9): ciò forse dipende dal contesto «limitativo»- in cui è inserita la valutazione dell'attività poetica. 42 XXXVI, 35. Per la polemica contro i poeti moderni vd. supra, 249, n. 50; l'inserimento anche dei tragici antichi fra i poeti non ]spirati non ha paralleli in Diane (a parte il caso esaminato supra, 474/476) ed è difficilmente spiegabile. Per l'interpretazione dell'espressione :finale vd. L.C., ad l.

.3. COME

SI LEGGONO I POETI

I Rispettivamente LIII e LV. 1 LV, 1/8. Questo discorso

è stato analizzato dal Kindstrand (a),

126; 134/135.

9. Giustamente il Tate (e), 7, collega questo pnsso con LIII, 4/5 (vd. infra, n. 28). 4 Sull'i.mrnagioe delle nutrici vd. 241, n. 44. Quanto a quella di Omero «incantatore», essa compare anche in XII, 67 \61toocX"flÀ-liOJJ 't'ÒV 3 LV,

1b:poocrl)vµe't'' 6)(1tÀ'tj~ x.ccril')'{ll)'tciaoo;; cfr. XII, 69, dove si parla degli ingredienti tecnici con i quali Omero 3uva:'t'6,; fj.., 6:rotovè~oÒÀeTOÌ!J.m.rij &.v-0-ptlmout; O)~oi:. 6 LV, 11. Il contrasto era.naturalmente dovuto al fatto che mitografi e storici non sempre raccontavano verità « educative •; Diane vede qui in Socrate un autorevole precursore della sua propria tecnica di libera rielaborazione di racconti mitici o storici in funzione delle esigenze etiche e politiche del momento. 7Vd. specialmente ù1fra, 515/516, n. 15. Naturalmente Diane distingue con relativa precisione i campi rispettivi della storia e del mito (vd. anche XVIII, 10; XX, 10), come risulta dal fatto che egli non usa mai a

511

Dione di Prusa

VII. Tec,,ica della predicazione popolare

proposito di lawpt« espressionidel tipo cl XP"¾ m.om»" xcd 't'W'\Ij.t&TCÌ-nti'.it!X xctl 't'b)v lv..,m:it~µ«cn x«l.._"ro:lv &,),).c,:it;laTOpoup.bt1tilV. Sostanzialmente Diane fa una questione insieme cronologica. e letteraria: i miti sono relativi agli avvenimenti pili antichi e sono raccontati ruù poeti, la storia invece riguarda le epoche successive ed è narrata dagli storici; in tutto ciò non c'è niente di originale. Sul rapporto mito.storia nel mondo greco mi limito a rinviare alle penetranti osservazioni del Finley. 'LV, 12. 9 Nel Su Socrate (LIV, 4; vd. Declcva Caizzi (b), 97, n. 15), che è una specie di sketch della personalità morale di Socrate, visto specialmente in conuappasizione con il comportamento dei sofisti suoi contemporanei; questi sono rappresentati con i caratteri che Diane attribuisce di regola a quelli del suo tetnpo (avidità di denaro; vo]ontà di compiacere la 1Zente), mentre Socrate tende a divenire il prototipo di Dione stesso, come lo è del resto in altri discorsi tenuti a Prosa (vd. XLIII, 8/10; supra, 449, n. 51: per non parlare della situazione dell'In Atene, 192/193; 220/221): da questo punto di vista è importante la definizione di Socrate come 81)f.1-0'rtx6 xo~Ybcx«l ipù..«v3pc,moi; (3), e l'osservazione che i discorsi dei solisti sono scomparsi mentre que1li di Socrate sono rimasti e rimarranno sempre (4) - da mettere in sintonia con i passi in cui Diane parla della grande diffusione dei propri discorsi (supra, 255, n, 11). 10 Vd. in particolare LV, 14: « mi pare che anche questo Socrate abbia preso da Omero». Anche se Dione parla sempre di Socrateanziché di Platone, questo collegamento istituito fra Omero e il dialogosocratico-platonico conisponde bene al generale movimento di rivaluw.ione in funzione etica di Omero che si ha a partiredalla metà del I seVYjpÒv n,;xp&:8"e1,yµ.cx (nelle accuse dei suoi avversari) per giovani e vecchi CXLIII, 12). 12 Str., I. 2, 3: o! xx)~tol ~tÀocrorpC«v-:-,v¼)jyou1:n 11:p©'tTjv':7jv n-OtYffUC-/iv ••• ol lf iip.éffpot (se. gli Stoici) xetl µ6\IQ-vmitl)-ri;v fq>«aixv dva.t -rov {cfr. S.V.F., III, 654 655). "LV, 14.

•o~ov

e

175, n. 2) i contesti nei quali compare più di frequente; aggi.Wlgercmo q~ che a XLVII, 6 Dione ipotizza addirittura che attraverso questo personagg10 Omero riveli propri personali sentimenti (analogamente Odisseo condivide con Omero il carico delle accuse dionee di falsità in XI, 17, mentre a LII, 5 l'Odisseo eschileo è giustificate del frequente ricorso alla menzogna che gli è congeniale: esempio particolarmente vistoso delle libertà che Dione ::;iconcede nell'uso del mito); e vd. anche a p. 484. Quanto a Nestore, per Dione ipostasi della figura del consigliere: del principe, vd. supra, 2%/297 e 486/487. 17 LV 20/21. Per questo tipo di lettura cli Omero (e di altri poeti), che trova ia sua applicazionein tanta pane della critica omerica antica ed è poi confluita massicciamentenei commenti ad Omero fino ad Eustazio, il miglior quadro d't1.ssiemeè ancora, a mio parere, quello tracciato pit1 di cinquanta anni or sono dal Kroll (a), 64/86. 18 Sui caratteri di questa polemica, e sulle sue conscgueme nella storia della cultura antica è ancora fondamentale il saggio del Weinstock (anche se non è accettabile l'interpretazione che egli dà a U7 /138 e n. 40; 142, di Llll, 4/5: vd. infra, nn. 27 e 28), t9

LIII, 3.

20 S.v. Akiw O IIcza~x~. Non è affatto detto che in questo scritto Dione sostenesse l'opportunità dell'interpretazione allegorica di Omero (cosi giustamente già il Valgimigli (a), 4/5; da ultimo vd . .Kindstrand (a), 131/ 133, in polemica con A., 1.52; Hagen, 68 sg.; anche il Weinstock, 147, pensava che in questo scritto si valesse dell'aiuto dell'allegoria); mi pare però probabile che il 16yoi; cui Dione alJude nel Su Omero corrisponda al titolo della Suda (vd. Valgimigli, ibid.; contrario il Kindsttand, ibid.), 21 Di questo discorso il Valgimigli (b) ha messo bene in luce i punti di contatto col Borist~niticoe col I Sulla regtllità. 22 LIII, 1 (Fr. B 21 D.) Su questo disccrso vd. Kindsrrarul {o), 115/ 116; 130; 140/141. Diane ribadisce piu volte, e attribuisce ai suoi ascoltatori, la convinzione della sapienza divina e della filosoficità di Omero (vd. LXXX, 7; XXIII, 5; XLIV, 1: XLVII, ,; XII, 63). 23 LIII,

2. Per l'espressione n0>-~ ,e da ciò la conclusione che in particolare Omero non era utilizzabile come fonte d'informazione geografica o storica: Strabone rispondeva ribadendo che Omero aveva come obiettivo primario l'educazione del popolo e che quindi non poteva aver trascurato la verità. l! evidente che Strabone (o chiunque sia stato la sua fonte) spostava i termini della questione; il discorso di Eratostene verteva sulla « scientificità & e non sulla « moralità » dei poemi omerici, e la sua tJ,uxaylùyi\'& non era necessariamente incompatibile con l'educazione morale (come lo stesso Stra· bone confe.tma a 11 2, 8); vicevers4 a Strabone premeva affermare il principio che alla base dell'educazione d deve essere la verità, storica e soprattutto scientifica (sulla polemica Eratostene-Strabone vd. Neumann; Valgimigli (a), 11; Kroll (a), 49/52; 78; Weinstock, 143/144 e nn.; De Lacy, 250/251; 267/270; Pfeiffer, 267/270; Koster, 95; 144/145; Strasburger, 17; infine Schenkeweld1 il quale giustamente osserva, 54/55, che nonostante la sua difesa di principio Strabone non usa quasi mai Omero come fonte di conoscenze geografiche). Diane ribadisce l'identità straboniana fra verità etica e verità storica (a quella propriamente scientifica pare non interessarsi) dal racconto poetico, ma rovescia il rapporto cli consequenzialità: non - il racconto è educativo perché è storkamente esatto -, ma - il racconto è storicamente esatto perché è educativo -. Questa affermazione del primato della morale e della ragion politica rispetto al valore dell'indagine critica e rariona1e, fatta in maniera cosl plateale, costituisce di per ~ un documento di estremo interesse per la ricostruzione deUa temperie culturale e ideologica del tempo; rimando per questo aspetto alle penetranti osservazioni del Burckhardt. 16 Il Libico è un «ben noto tipo di mito• (Hittel, II, 108, n. 3), come risulta da Quintiliano (I.O., V, 11, 20), Tcone (Prog.,3, in Rh. Gr., II 1 73, 2 Sp.), Ermogene (Prog., 1, in Rh. Gr.>II, 1 Sp.); insieme al Sibaritico, al Frigio, al CilicUJ,al Cario, all'Egizio e al Ciprio costituisce il complesso degli Bropici. L'uso abbastam:a frequente del mito-favo]a da parte di Dionc (una rassegna dei vari tipi presenti nella sua opera dà L. Herrmann, 73/7') è naturalmente da ricondurre al tono popolaresco del suo stile oratorio; nello stesso senso è da valutare l'ammirazione che eg]i manifesta per Esopo (mcsBOa LXXII, 13 sullo stesso piano di Socrate e di Diogene, proprio per il significato emblematico delle sue favole; per il parallelo istituito fra favole e nutrici dr. Quint., I.O., I, 9, 2). C'.omeha ricordato i1 Nc,ignard (I, 466/467), l'alto impero è comunque l'età d'oro della favola antica. La coo.nessione del Mito libico con Lamia (Scobie, 7/10) non mi pare certa. 17 Il periodo iniziale del Mito libico è espunto dall'A. perché manca nei codici piU importanti; però in questo modo il discorso attacca in maniera del nmo incomprensibile~ di conseguenza mi pate opportuno accettare l'autenticità anche del periodo iniziale, pur riconoscendo che il testo non è chiarissimo. 18 Anche da Teone risulta che Ja favola si compone del vero e proprio

VII. Tecnica della predicazione popolare

517

µu&oç e del >.~ la morale, che può precederlo o seguirlo; sulla piu complessa concaione dionea vd. anche Kindstrand (a), 129/130. 19 È un'allusione all'interpretazione allegorica, per la quale per altro Dione dimostra scarso entusiasmo (vd. UII, 3 e supra, 482/48.3). 'lf>V, 1/4. L'accenno finale sembra ricollegarsi alla teoria esposta a XII, 27 sgg. (cfr. supra, 477 e nn.), e non è escluso che il riierimento puntuale sia a Posidonio. 21 Che Diane tenesse lezioni è provato almeno dal fatto che Favorino dichiara di essere un suo allievo (.rupra, c. I, 4); ma anche Polemone era andato a se.ntirlo (40, n. 5). "VIII, 21/26; LXXVIII, 34 sg.; XXXIII, 58; IV, 105; una specie di parodia • XXXII, 64/65. 2lXXXI!, 47; XXXIII, 35; 41. "VIII, 32. 25 XXXIII, 48/49. Ricordo anche che a II, 14 Dione (Alessandro) afferma che Esiodo riconobbe la sua inferiorità rispetto a Omero, perché compose il Catalogo delle tk,nn~, mentre il ptirno aveva scritto il Catalogo degli eroi; che a XII, 36 il piacere è definito « demone veramente femminile»; e cfr. anche XXI, passim; LVIII, 2; LX, 7; LXXIV, 10. Naturalmente non manca in Dione l'elogio delle virtU femminili tradizionali: vd. specialmente VII, 65/80 {cfr. Vischer, 165); eccezionale, come si è rilevato .a suo Juogo (supra, 350, n. 3'), l'apl)re22amcnto di III, 122. "V, 14/15. "V, 16. "V, 18 (dr. supra, 338, n. 12).

"'V, 22. YJV, 16. Jl

V, 24/28.

32Vd. supra>c. VI, 7. 33 Vd. supra, c. VII, .3. MVd. XI, 14. L'uso di Omero a fini scolastici è un fenomeno trc,ppo noto per dover essere qui documentato; sulla scuola dei sofisti vd. Kindstr.and (a), 148. È il caso di leggere quanto scrive alla :fine dei Seicento, a mio parere traendo spunto da questa introduzione al Troiano di Diane, un autore m cui torneremo alla fine di questo capitolo, il D'Aubignac: « Cela (l'ammirazione per Omero) fut encore soutcnu des Grammariens et des tous ceu.x qui tenoient les éco.les publiques; car n'ayant point d'auteur plus ancien, plus ampie, et plus diversifié qu• ils pils:sent enseigner, ils etoicnt obligés dc le loi.ier, non seulement pour donoer de l'autorité et du poids à ]eurs instructions, mais encore pour conserver le profit qa'ils cn recevoi~t, et les jeunes gens imbues de cette opinion dès leur enfance, ne s'en defalsoient pas aisé.ment, ou parce qu'ils ne vouloicnt pas se donner la peine d'en examiner les ouvrages, ou parce qu'ils n'avoient pas de règle pour y discerner le bien et le mal, ou pl0t6t qu'ils ne pensoient pas qu'il fut honnéte ni possible de contredire 1eut maìtre, qu'ils avoient reconnu plus savant qu'eux: » (24; cfr. 42, dove si parla degli « idolitres d'Homere • e dei 4r miserablcs Pcdants, qui ne croioient pas avoir de quoi vivte sana le secours qu'ils en tiroient par l'instruction dcs enfans ,,.),

,1s

Dione di Prusa VII. Tecnica della predicazione popolare

35XI, 1/2. La stessa immagine in IV, 18, dove Diogene paragona se stesso alla luce e Alessandro al malato .agli occhi. 36 XI, 2/3. Sul carattere cinico di questo attacco alla 86!;1%ha posto bene l'accento il Kindstrand (a), 146/147. J7XJ, 6.

38Supra, 242/243,

n. 6.5a.

39 XI, 11. Per l'A. ( 166) questa dichiarazione appartiene alla « forma d'arte» (?). 40 Un accenno polemico contro i sofisti è già prima al par. 6, perfettamente analogo a questo: +: Vi preannuncio che questo discorso sarà fatto anche in altre città, e molti ne verranno a conoscenza; alcuni non lo capiranno, altri fingeranno di non tenerne alcun conto, altri ancora cercheranno di confutarlo, e penso soprattutto i disgruiati sofisti». L'A. espungc questo passo perché, essendo convinto che il discorso sia anteriore all'esilio, non trova conveniente una polemica contro i sofisti (168/169); non c'è bisogno di confutare questo argomento, data l'impostazione generale di questo lavato, 41 E. stato osservato (Valgimigli (a), 34; Lemarchand, 391 n. 4; Kindstrand (a), 152) che la rappresentazione che Dione dà qui di Omero corrisponde a quella che dà di Diogc:ne (IX, 8; cfr. VIII, 36); ma è forse piU importante notare che altrove Diane rappresenta se stesso come uno che rischia, a causa della sua vita vagabonda da « cinico », di essere scambiato per pazzo (XXXII, 24; XXXIV, 2; 4, e soprattutto LXXII, 78; in termini meno pesanti I, 56), e ammira coloro che si trovano in quc:sta. situazione: LXXVIII, 41 ). "XI, 15/16, 43 Vd. supra, 482/483. L'espressione con cui Dione definisce il presupposto logico dell'interpretazione allegorica, cioè che Omero abbia detto certe cose ot:t'il~-n:O~o,;xal IJ.S'ffl(?ipO1a morte dell'autore {1676), fu compcsto tra il 1666 e il 1670; la correttezza dell'attribuzione è fuori dubbio {vd. la lettera dd Bosclit:ton, nei Mémoires de litteraturecompari di A.-H. dc Sallengre,Paris, 1716, t. I, p. II, 317/319). Di quest'opera dà notizia però già nel 1692 il Perrault (vd. nota precedente); l'anno successivo il Boileau, nella Troisième reflexion sur Longin (vd. Rigault, 412; Arnaad,

523

Appendice I. Atticismo, asianismo, seconda sofistica

Appendice I

AITICISMO, ASIANISMO, SECONDA SOFISTICA E POLITICA CULTURALEDI DIONE Forse è stato il Blass il primo a dare una moderna rappresentazione dei caratteri deIForatoria greca dopo Alessandro Magno; ma fu certamente il Rohde che, nel suo libro famoso sul romanoo greco («), del 1876, inserl il discorso della crisi dell'oratoria politica dopo Demostene in una pi6 globale ricostruzione della nuova temperie culturale dell'età ellenistica e romana: ciò gli parve necessario a spiegare la fioritura del romanzo, l'unica vera grande novità letteraria dell'età post-classica.L'otigine del romanzo greco è per il Rohde da ricondursi comunque alla crisi delle strutture politiche e culturali della Grecia classica, alla crisi cioè della polis e di quella figura di intellettuale integrale che era il poeta epico, o tragico, interprete e guida dei sentimenti e delle aspirazioni collettive di un popolo o di una comunità (2/3; 12/20): la disgregazione politica priva questo intellettuale del suo pubblico, sospingendolo verso l'individualismo, il passionale, il frammentario, che costituiscono l'essenza della poesia ellenistica e del romanzo (20/28)j m·a lo sviluppo piU completo di quest'ultimo genere presuppone l'innesto di un ulteriore elemento, sempre connesso ai fenomeni storico-sociali sopra indicati: la fine dell'oratoria politica e il formarsi cli un'oratoria. d'apparato e di scuola, vivace specialmente in Asia e detta perciò (specialmente dalle fonti latine) « as-iana» (310/ 311). Questo tipo di oratoria non fu sufficiente ai Romani della tard-i repubblica, ancora impegnati nel fuoco delle contese politiche: essi la condannarono come retorica e barocca, e preferirono attingere dirett11~ mente ai modelli deIJa vera oratoria, quella politica del IV secolo («attica » ); ma con l'instaurazione del regime imperiale anch'essi si volsero ,aJl'asianismo, il quale tifi.od, improntando di sé tutte le ma~ nifestazioni culturali :fino alla fine dell'età antica: e fu la Seconda Sofistica di Filostrato e insieme il fiorire del roman?,o (312/31.3). Come risulta dal seguito dell'esposi:rJone, quello che al Rohde premeva non

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era tanto il carattere asiano dell'oratoria o pili in generale della letteratura della Seconda Sofistica {egli riconosce fra l'altro la forza della componente atticistica: 351/3.56}, quanto la chiave « retorica & del romanzo: questo genere ignoto alla trattatistica antica era per lui l'emblema del venir meno delle forze creative del mondo -greco,il riHesso inevitabile della scomparsa dell'autonomia politica e del frammentarsi delle compagini sodali; i suoi artefici o i suoi ispiratori erano quei medesimi personaggi che si pavoneggiavano sulle ,piazze o nei teatri delle cittA, esibendosi in sterili manifestazioni oratorie che dovevano dare l'illusione della vita alle città ormai spiritualmente morte, perché cosi'.volevano gli imperatori di Roma (vd. tutto il capitolo Die griechische Sophistik der Kaiserteit, 310/387). Se dunque dieci anni dopo (1885) il K.aibel attaccava la teoria del carattere asiano della Seconcia Sofistica1 il suo vero obbiettivo era quelio di rovesciare la valutazione che il Rohde aveva dato della cultura greca di età imperiale: non era veto che la retorica consistesse in una serie di giochi formali; la Se-conda Sofistica, nei suoi esponenti piU qualificati, Dione, Favorino, Erode, Palemone, Aristide, non solo poggiava su un« rigorosa teoria dell'imitazione (µ.CµY)at!;); e richiedeva quindi serietà e studio degli antichi («atticismo»). ma rilanciava l'ambiziosa sfida dell'antica, e di Isocrate, alla :filosofia,e a Platone, riproponendosi portatrice e garante dell'èyx6Xht0i;m1t3&:tc:ci come risulta da numerosi passi di Dionigi d'Alicarnasso, che può esser considerato una specie di mediatore fra l'antica e la nuova sofistica, la vera retorica doveva essere una q>tMaoq;,o; ?lJ-ropLx~, cioè uno strumento di azione politica che presup-poneva una formazione filosofica - Aristide identificherà retorica e filosofia. Il Rohde replicò subito (b) (1886) con estrema asprezza radicalizzando le sue precedenti _posizioni: era semplicemente assurdo collegare il passo di Dionigi, dall'introduzione al primo libro Sugli oratori antichi (da noi citato nel testo, 78/79), alla Seconda Sofistica; !'-atticismo fu un movimento che poté avere qualche ripercussione al massimo sulla letteratura, ma non certo sulla pratica oratoria, che rimase asfana e continuò a manifestlll'Si in forme di .&c«~p~x1) 4v!:d&i~ con un nuovo impulso a partire daU'età di Vespasiano (Nicete di Smirne); Elio Aristide 1 con il suo attidsnio esasperato, rappresentava un'eccezione di oratore da tavolino e per di piU valetudinario. Con ciò le posizioni si erano irrigidite e da allora in poi fu piU difficile inter~ venire serenamente nella polemica; nia da ciò non consegue che la questione fosse oziosa o di poco conto, o mal posta, come sembrarono ritenere prima il Boulanger, che pure dà un ampio sommario degli interventi (58/69), poi il Marrou (533, n. 31), poi il Bowersock (a) (9/10), e ultimamente il Réardoo (74; 81): nel nodo della Seconda Sofistica venivano -a confluite i fili di tutti i grossi temi del dibattito

Appendice I. Atticismo, asianismo, seconda sofistica 526

52~

Dùme di Prusa

stotiografìco dei decenni a cavallo tra Otto e Novecento sul significato storico-culturaledi quel grande periodo « di tnetzo • della civiltà antica che corrisponde ai primi due secoli dell'Impero. In questa prospettiva io credo che si possa dire che la discussione sul carattere asiano o atti~ cista della Seconda Sofistica rappresentò forse il momento di maggiore intensità dello scontro di forze culturali che proponevano diversi modelli di organizzazione sociale e politica, che avevano un diverso con~

cetto del ruolo dell'intellettuale nella società, e che individuavano nell'alto impero un terreno particolarmente favorevole per una verifica sperimentale delle varie possibilità: ciò di cui si discuteva era del tipo di connettivi cultut.ali che operavano o non operavano nella composhtt realtà sociale dell'impero, del tipo di linguaggio che gli intellettuali usavano o non usavano per parlare col « popolo », dell'incidenza po. sitiva o negativa dei fattori religiosi; insomma della vitalità e della validità, misurata sul metro dell'effidem.a dei canali di comunicazione, di quello che è stato recentemente definito (Perty} un modello di « open sodety ». La tesi asiana del Rohde importava. come si è detto, la denuncia del carattere del tutto artificiale della presunta rifioritura delle città e ddla vita culturale- nel secondo secolo; il mondo antico è al suo esaurimento e non potrà pili. a lungo nutrirsi di parole: il Cristianesimo rjpartirà da zero. Viceversa la tesi atticista del Kajbel assicurava una decorosa prosecw:ione della vita culturale e sociale di quel mondo, e ron ciò la •possibilità di figurarsi J'impatto col Cristianesimo in termini di formazione di una civiltà pagano-cristiana, di continuità dunque e non di rottura con Ia tradirione dassicai va da sé che la pretesa dionigiana di ricreare l'oratoria politica antica era, nelle condizioni rappresentate dall'esistenza dell'impero romano, puramente v~eitaria e mistificatoria; ma proprio i discorsi cittadini di Dione di Prosa provano che una qualche forma di oratoria politica con contenuti reali esisteva ancora, e ciò è sufficiente a rendere proponibile la tesi del Kaibel. Dione anzi è prezioso testimone (supra, 73 etc.) dell'esistenza di oratori asiani (nel senso lato io cui user~ il termine il Norden), rispetto ai quali egli più volte precisa i propri connotati atticisti {naturalmente non usa questi termini, ma rispettivamente « sofisti » e « filosofo » ), mche se il Norden si limita a ricordare di Dione, nell'ampia rassegna di testimonianze che fornisce sul conflitto asianismo-atticisroo in età alt~imperiale, solo un passo dell'Alessan• drino {XXXII, 68: I, 376); il fatto è che Diane, come si cerca di far vedere in questo libro, riporta la differenza oratoria sul piano politico: da una parte c'è la demagogia di chi irresponsabilmente seconda il gusto popolare, dall'altra il serio atteggiamento deireducatore che non si lascia corrompere. Tuttavia l' Atnim, che pure ha ben ricostr.uim le premesse e i modelli ideali dell'attività dionea di « filosofo popola.re » in

quel capitolo introduttivo che è un vero e proprio lib:to nel libro, non si è posto seriamente il problema dello strumento di questa predicazione popolare; sbrigativamente prende posizione m~lla querelle a favore del Rohde, seppure con riserve, parlando di « asianismo moderato (con atticismo)» (128/1.31): ma il problema viene accantonato, e questo consente all'Amim di non impegnarsi in una discussione sugli evidenti rapporti di molti passi dionei con il proemio dionigiano. In effetti a questo momento (1898) è ormai completa la pubblicazione dei quattro volumi (piu l'indice) del celebre Atticismus dello Schmid (1887/ 1897), nel primo del quali (1887) emerge con preoccupante chlarezza plpop~x1j o 9!.Àocro9~ l'inconciHabilità fra l'esigenza di una q>V.6a-oqioi;; no>.,-mc.-t, e gli strumenti che vengono messi a disposizione di chi vuole esercitarla: imitazione dello stile classico, uso del linguaggio attico, rifiuto della .Oe, {70; dr. 81 e 88 sulla categoria degli uomini di cultura sofisticati etc.); qui si deve rilevare che Dione non si esaurisce nell'Euboico, e che del resto-anche quest'interpretazione delPEuboico non sembra esatta. Ma a parte il giudizio su Dione, è senz'altro giusta la valutazione complessiva del romanzo e le connesse considerazioni sul carattere della società ellenistica e alto-imperiale, in particolare sull'espansione de1 fatto cultutale a ceti che .tinallora ne erano stati esclusi o vi avevano partecipato in forma corale ( epica e soprattuto tragedia) e soi,tanzfalmentc irriflessa; da questo punto di vista il Perry dà la mano -alla tesi dell'Higgins sul recupero di forme proprie del linguaggio popolare nella letteratura di quest'epoca (sul carattere ambiguo del neologismo in letteratura, e sia pure con considerazioni limitate a quella latina, si sofferma bene il Pennacini). Totalmente assente questo tipo di problematica è invece nel libro del Bowersock sui sofisti nell'impero (a): l'autore vede nella Seconda Sofistica, come già il Boulanger e piU di recente il Gabba. (e}, un fenomeno storicamente assai significativo di collaborazione intellettuale alla gestione del potere, ma rimane sul piano empirico-descrittivo, e non spiega perché questa collaborazione vi fu né cbe rosa ebbe di specificamente

sull'attendibilità dei risultati dello Schmid, e questi dubbi sono stati ~ recente ripresi e amplificati dal Réardon (76/96),

il quale sostiene: « la sofistica coraggiosamente si arrischia ad elevare, ad arricchire la lingua letteraria con un apporto atticistico - senza per questo rinunciare alla lingua comune» (90)i questo sarebbe il primo atticismo, quello inaugurato da Dionigi, che corrisponderebbe per l'Higgins alla nascita dello « Standard Late Gteek »: esso sarebbe un misto di asianismo e atticismo, e Diane ne sarebbe un esempio caratteristico. Seguil'ebbe un secondo atticismo, dalle tendenze veramente arcaizzanti (da Erode AtJico in poi); ma il fatto che sia continuata per tutto il secolo la popolarità dei sofisti dimostra che questo secondo atticismo ha inciso ben poc() sulla pratica oratoria: « la sofistica non era un fatto che riguardasse una piccola consortetìa » (93). Il Réardon si muove sulla scia del magistrale lavoro del Bompaite su Luciano, ed è quindi dominato dal problema di distinguere il « nuovo» dall'« antico » nella letteratura del II secolo, di individuarne l'originalità (sempre difficile da identificare, anche quando esiste): ma egli risente anche di un tipo di interessi piU generalmente storico-culturali, che lo avvicinano ad uno studioso come B. E. Perry, assai sensibile al problema del contesto storico-sociale nel quale si colloca necessariamente l'attività letteraria. Forse è proprio il libro del Perry sui romanzi antichi {1967) quello che meglio risponde, pur restando nell'ambito di un settore particolare, all'esigenza del Rostovzev di un quadro della cultura nell'età alto-imperiale. Lll. polemica del Perry nei confronti del Rohde non è sempre giustificata; non è vero che il Rohde concepisse 1a letteratura come un fatto partenogenetico e il suo libro ha molte importanti pagine sui caratteri della società in cui si sviluppò il romanzo e sulle differenze che la separano da quella dell'età dassica della polis; solo che egli era convinto che il romanzo fosse nato nel secondo secolo dell'impero, ed è ,proprio Pesigen2a di collegarlo con la società di quel tempo che l'ha indotto in quegli errori che si sono rivelati evidenti quando i papiri han documentato l'esistenza del romanzo già nel I sec. a.C. È chiaro che a questo punto ]a sua ipotesi di una connessione fra i temi delle controversiaesviluppati nelle scuole di retorica e la nascita del romanzo non regge, e il Perry ha ragione, io credo, a considerare viceversa lo sviluppo di questo genere letterario una risposta alle esigenze di un « mercato di lettura » dominato dall'emergenza di un nuovo esteso ceto medio-hasso che richiedeva qualcosa di facile, di avventuroso, di dilettevole (vd. anche Kleberg, 33; Cavallo (a), XX/XXI; Cavallo (b), 480/483), ma anche il Perry è costretto ad ammettere resistenza di un tipo di romanzo «sofisticato», che per lui è uno sviluppo secondario della « forma ideale», e che è destinato invece al consumo delle classi superiori. Va in

533

534

Diane di Prusa

Appendice I. Atticimo,

intellettuale, cioè se e come si adoperò nella realizzazione del consenso popolare alle istituzfoni (riserve di questo tipo sono già state espresse da L. Cracco Ruggini (g) ); cosicché non era ancora passato un anno

dalla pubblicazione cli questo libro (1969) che E. L. Bowie poteva sostene.te~passando in rassegna in un grosso articolo parte della produzione letteraria in greco dell'epoca, che i Greci del I/II secolo erano viceversa piuttosto ostili a Roma e lo dimostravano volgendosi nostalgicamente verso il loro grande passato. Io penso che su questo punto abbia ragione il Bowersock, e nel mio libro cerco di spiegare perché (almeno per quanto riguarda Dione): per me i frequenti riferimenti al passato devono essere interpretati da una parre come appelli ad un comportamento dignitoso nei confronti dei Romani (esempio tipico il Rodiese: cfr. supra, 113 sgg.), dall'altra come strumento di comunicazione con gli uditori: episodi mitici e storici dell'antica grecità, proprio perché da tempo passati in forma assiomatizzata nelle scuole (con questo penso si possa rispondere alla domanda del Bowie, n, 1), dovevano costituire un elemento sicuro di intelligibilità dei cliscorsi dei sofisti (su questo vd. specialmente il cap. VII). Ciò fa naturalmente pensare ad una diffusione piuttosto larga dell'insegnamento scolastico, almeno nei gradi inferiori e almeno nelle città, presupposto necessario della possibilità d'instaurazione cli una comunicazione fra

oratore e pubblico (ma vd. G. Cavallo (b), 468/469).

t

chiaro che un

discorso completo su un tema di questo genere richiederebbe un'informazione accurata su metodi e risultati d'indagini di carattere propriamente linguistico; ritengo che un approccio di tipo storico, come il presente pretenderebbe di essere, dovrebbe contribuire a realizzare un terreno d'incontro e di verifica degli approcci linguistico e letterario alla medesima situazione socio-culturale, ma confesso di non es. sere in grado di sviluppare osservazioni sul piano linguistico che vadano al di là dell'elementare: per cui cercherò di raccogliere qui dì seguito quello che mi pare phi importante, dal mio punto di vista, del recente lavoro del Frosén sulla lingua greca nei primi secoli dell'impero. Egli pensa che occorra una volta per tutte smantellare la teoria del bi-polarìsmo fra koiné e atticismo che dai retori antichi fino ad oggi ha rappresentato il criterio fondamentale per l'interpretazione dei fenomeni linguistici, letterari e no, del mondo greco nei primi secoli deU'impero {ma già dall'età ellenistica)~ a questo scopo, dopo aver enunciato nella sezione 1 i principi metodologici sui quali si muoverà (la sezione O contiene una critica dei metodi fin qui seguiti), affronta separatamente (sC'-ioni 2 e 3) i concetti storie{ di koiné e atticismo per dimostrare l'efiettiva insussistenza del bi-polarismo; le successive sezioni, che hanno carattere costruttivo, sono dedicate rispettivamente al significato linguistico del concetto di stile (4), ad una rappresen-

asianismo seconda sofistica 3

535

tv.ione della varietà di sistemi linguistici rintracciabili nell'epoca indicata (5), alle possibilità di plurilinguismo (6), infine all'incidenza dei fatti linguistici nella trasmissione dei testi antichi {7). Sostiene il FrOSén che l'atticismo è un fenomeno apprezzabile solo a livello retorico-letterario, e non linguistico, è un fatto cioè di « competence » e non di «performance• (specialmente 97 /106; cfr. 27/28); ma che d'altra parte non si può parlare di uno Standard Late Greek, come voleva l'Higgins, perché in realtà esistono diversi standard linguistici in quest~epoca, a partire dalla principale distinzione fra lingua scritta e lingua parlata, per scendere alle phl. articolate distinzioni su base so-

ciale, geograficaetc. (148/179). Tuttavia la tesi de!l'Higgins mi pare riconfermata nella sostanza dalle argomentazioni della sezione 6 (The MultiUngua! Individual) 1 dalle quali emerge che vi è sf una grande varietà di aree (o standard) linguistiche, ma che tutte o molte di queste aree, a seconda delle capacità o disposizioni dei singoli soggetti, sono compresenti nello stesso individuo, che in altri termini ciascuno ha la possibili1à di usare, e specialmente recepire, linguaggi diversi propri del contesto di comunicazione in cui si trova in un momento determinato; ciò equivale ad ammettere di fatto {ed è questo quello che interessa al nostro tipo di indagine) una larga area di interscambio linguistico, di comunicazione, tra ceti e classi sociali, nonché tra gruppi etnici, diversi, e in particolare assicura la recettività di pubblici non selezionati (come, per intenderci, quelli che ascoltano alcuni discorsi di Dione) rispetto alle prestazioni oratorie dei sofisti o filosofi o come li si vog]ia chiamare. Questa conclusione sembra offrire finalmente una risposta teorica all'interrogativo che già si era posto lo Schmid, come cioè fosse possibile conciliare le contraddittorie istanze atticistiche di un rilancio dell'impegno politico (ora.torio) degli intellettuali, e di una contemporanea adozione di un linguaggio raffinato e« classico »-; l'appello di Dionigi aveva un sapore decisamente conservatore, e un isolamento dei ceti privilegiati rispetto al resto della popolazione deve essersi in effetti verificato nei primi decenni dell'impeto; ma ciò, pex usare la terminologia del Froséo.,fu piu un fatto di « performance » che di « competence »: Dione fa, come si è visto, dichiarazioni di tipo linguistico-retorico di segno « atticistico }), ma non pare che ciò abbia conseguenze apprezzabili quanto all'affettiva adozione di un linguaggio « dotto », ci~ che egli si sia preclusa la possibilità di farsi capire dalle masse, avendo deciso (qui sta la differenza) di -affrontarle sulle piazze, Se i risultati del Ftosén hanno un minimo di attendibilità, risu1ta dunque superata la necessità di definire Dione atticista o asiano, mentre vengono .fissati i presupposti storico-linguistici dell'esplicazione della sua attività politica e culturale; sembrano anche in linea di massima convalidati i risultati e le intuizioni del Rostovzev in merito al

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Dione di Prusa

carattere della società alto-imperiale. Naturalmente Dione userà « registri » diversi a seconda del tipo di pubblico che ha di fronte, ma .in generale il suo stile, che l' Arnim aveva definito di un « asianismo moderato », pare dominato dall'esigenza primaria di realizza.re il massimo di capacità comunicativa: in questo senso parlano la semplicità sintattica, le frequenti ripetizioni e anche banalizzazioni dei concetti, l'adozione del tono narrativo e favolistico {nonostante Perry ), e a mio parere iUICheil costante riferimento a modelli mito-storici del repertorio retorico, che rappresentano un termine di confronto supposto presente alla mente di tutti (o quasi) gli ascoltatori. Un'ulteriore semplificazione è forse poSSibile riscontrare nei discorsi dell'epoca esilica, che dovrebbero avere come destinatari prevalentemente 11bitanti di regioni perifetiche dcJJ'impero, comunque popolazioni non urbanizzate; oltretutto qui sono presenti in maniera piuttosto consistente trac~ ce di elementi espressivi tipici della predicazione cinica, senza che ciò implichi l'abbandono degli strumenti stilistici piU comunemente riscontrabili in Dione (:suquesto vd. l'Appendice Il). Come si è già osservato, di moduli cinici si può parlare anche a proposito della prima predicazione cristiana {ora Szarmach (d} 84/85); ma le conn~sioni non si esauriscono nell'adozione di comuni strumenti espressivi, riscontrabili in tutto l'arco della produzione dionea raffrontata con la letteratura neo-testamentaria (il lavoro svolto da.l l\-1ussiessul piano lessicale è significativo, ma risultati phi consistenti si otterrebbero estendendo l'analisi al complesso dei fatti linguistico-letterati). A prescindere dalla diveristà degli obiettivi finali dei due tipi di predicazione, esse hanno in comune l'intento di realizzare un'egemonia culturale sulle masse, di senso fondamentalmente normativo, in concorde avversione alla via sovversiva dei diffusi filosofi di strada: naturalmente il messaggio di Dione è scopertamente politico e ancorato ad una serie di condizionamenti sociali e storici da cui l'altro è esente; ma è difficile negare .le affinità che d sono ad esempio fra Dione e un personaggio come Tertulliano, felicemenie soprannominato (Bames (b), 211/232) • sofista. cristiano" (vd. specialmente la considerazione di -p. 231). Anche se d~gli intellettuali ati.Su questa linea qualche anno piu tardi (1895), dedicando a Diane un capitolo del secondo volume del suo Der Dia/og,lo Hirzel afferma che egli « fu un eclettico, incoerente e come cinico e come stoico e come platonico» (91}; che per quanto in particolare riguarda il cinismo, egli oscillò pauro!>amente fra la destra e Ja sinistra del movimento (93 e n. }: su quest'idea feconda vd. infra, 543 sg.), e che « forse sarà piU facile trovare in lui elementi di divergenza dal catechismo cinico che non e!ementi di convergenza » (9,:); che infine i pregi (non eccessivi) di Dione stanno tutti nella sua arte di rielaborazione letteraria di materiali antichi (98/114) (su questo vd. il cap. VII e l'Appendice I). In questi anni si sta intanto svolgendo il massiccio Iavoro dionea del1'Arnim; ad esso partecipa attivamente il Wilamowit?., il quale contemporaneamente è anche l'ispiratore di tre dissertazioni, discusse nella sua sede di Gottinga nel 1895 (e pubblicate nel 1896): nel loro insieme esse sono come l'espressione delle perplessità del grande maestto nei logianef/'etd dei Flavi, Annl'acMagUniv LecceI 1963/1964, 5/36: 144; 149. I. BRUNS, De Dione Chrysostomo et Aristotele critica et exegetica, Progr. Acad. Kiel 1892: J67. P. A ila.UNT(a), Stoicism and tbe Principale, PBSR XLIII 1975, 7/35: 45; 252; 333; 349. - (b), Aspects o/ the Socia/ Tbougbt o/ Dio Chrysostom and the Stoics, PCPhS N.S. XIV 1973, 9/34: 247; 255 (bis); 256; 257; 452. - (e), From Epictetus to Arrian, AtbenaeumN.S. LV 1977, 19/48: 38; 43; 336; 353. - (d), Marcus Aure/ius in bis Meditations, JRS LXIV 1974, 1/20: 47. - (e), Charges of Maladministraticn under tbe Early Principate, Historia X 1961, 189/227: 281; 459; 460. J. BRZOsKA,Cornelius 157, RE IV 1, 1900, 1312/1340: 40. F. B11FF1w, Les mytbes d'Homère et lo pensée grecque, Paris 1956: 511. R. BuLTMANN, Der Stil der paulinischen Predigt unti die kynisch·Sloische Diatribe, Gottingen 1910: 529. J. BuRCKHAJtDT, Ueber das Werth des Dio Chrysostomus frir die Kenntniss seiner Zeit, NSchweizMus IV 1864, 97 /122: 505; 516. W. BURKBRT, Zur geistesgeschichtlichen Einordnung einiger Pseudo-pytbagorica, in PsrooEPIGRAHAI • Entretiens sur l'Antlqulté Oassique publiés par O. Reverdin, Tome XVIII, Fondation Hardt pour l'étudc de l'Antiqui~ Classiquc, Vandoeuvre. • Genèvc 1972, 25/55: 55; 59; 346. G. P. BURTON, Proconsuls,Assites (111d the Administration of Justice under the Empire, JRS LXV 1975, 92/106: 181; 439; 443; 448; 449. F. CA.,zz1 (a), Antistene, SrndUrb XXXVIII 1964, 48/99: 541.

La tradizione antistenicrrcinicain Epitteto, in G1ANNANTONI (ed.), Scuole socratiche minori cit., 93/113: 43; 246; 253; )42; 351; 445; 510; 541; 542; 546.

F. DEcLEVA CAIZZI (b),

G.

554

A.

Dione di Prusa

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n. 17.

blica, 16, 1/5: 257, n. 33. De ,rie poetica, 23: 520, n. 48, De philosophia, l. III: 508, n. 29. Epistula quaet.UJma Dione (XLVII, 9/10; 13) laudata: 444, n. 12. [ARtsTOTBLEs], De mrmdo, 6, 398/ 399: 366, n. 26. ARlUS

HrstORICUS (ed. JACOFGrHist 747): 504, n. 1. ANTISTHENES, *Archelaus: 531; 538. *Protrepticum: 2531 n, .3. Fr. S8 DECLBVA Ù.IZZI: 512, n. 27. ANTIOCHUS BY,

APOLLODORUS, Epitome. 5,5: 521, n. 62. APPIANUS,Bella Civilia,IV, 64: 178,

DmYMUS,

Epitomes

Frag-

menta Ph')lsica (ed. Drus, Dox. Gr., 445/472), ft. 29, 3/4: 364, n. 16.

ARRIANUs, Atuibasis, I, 11, 1: 359, n. 3. AURELIUS VicTOR, De Caesaribus~ 5, 1/4: 161, n. 43; 13, 4: 450, n. 66.

Cl-1AEJsrus, De muneribu1 civilibus (Dig., L, 4, 18, .lO): 65; 143, n. 21. Cbronicon Paschale, p. 249b P.: 240, n. 34. XVII: 366, n. 26. Crcuo, De legibus, I, 22/23: 364, ARCFHLOCHUS,Er. 1 D.: 508, n. n. 16. De natura deorum, I,, 76: 41; h. 286 WEST: 515, n. 3. 373, n.15; 77: 374, n. 21; II, 5: AIUSTEAS, Epistula ad Philocratem, 372, n. 8; 78: 364, n. 16; 133: 190: 345, n. 7. 364, n. 16. De oratore: 88/89; Ili, ARISTIDES~ XXIIl (De concordia), 54 ssg.: 153, n, la, De re publica, 42/52: 458, n. 47; 60/63: 458, II, 28/29: 166, n. 81. n. 49; 63/64: 459, n. 58; 6J: CosMAs Hma.osoLYMITANUS, Com462, n. 12. XXIV (Rbodienm), mentarli in Sancii Gregorii Na32 sg.: 169, n. 16. XXVI (Laudes :danzeni Carmina (P. G., t. Romae): 303; 457, n. 33; 31/32: XXXVIII, coli. 341/679), ool. 354, n. 52; 91: 176, n. 5; 103/ 461: 371, n. 53. 105: 354, n. 52. CURIATJUS MATERNUS, "'Cato,

n. 27; 65/74: 171, n. 39; 67: 171, n. 37. Mithrìdatica, 28: 1,1, n. 22 b; 66: 367, n. 31. APULEIUS, De mundo, XXIV/

ARISTOTELES,

Atheniensium Respu-

*Thyestet: 87/88.

601

=

602

Dione di Prusa

Geographica (ap. Strabonem), SnAB., I, 2, 3/12: 516, n. 15; 520, n. 48.

ER.ATOSTHBNES,

E-t.11tIPIDEs, *A!exander (?)~ 540, n.

3. *Antiope (?): 504, n. 3. Jlac. chae, 689 &g.: 165, n. 69. Electra, 233/236: 242, n. 62; 426/429: 505, n. 13. Hecuba, 607: 165, o. 73. *Philoctctes: 505, n. 10, EUSHBIUS

ÙESA.RIENSIS,

Cbroni-

con, p. 160, 161 S.: 240, n. 34.

EusTAnuus, Commenlarii ad Dionysium Periegctam (ed. MOu.u.,

in G. G. M., Il), 867 (G. G. M., II, 371): 179, n. 37 a. Commentarii ad Homeri Iliadem, .:1, 163/16) (4S9, 27/460, O): 465, n. 3; 519, n. 46. EUTROPrnS, VIII, 2, 2: 450, n. 66. FAVORlNUS,De exilio: 242, n. 60. M. CoRNELruS FRONTO, Epistulae (ed. V AN DEN HouT). Ad. M. Caes., I, 8, p. 16, 17: 42, n. 21; Ili, 16, p. 47/49: 40, n. 2; 42, n. 19; p, 48: 41, n. 6; IV, 12, p. 66, 17: 42, n. 21; IV, 13, p. 68/69: 40, n. 2. (Ad. M. Ani. Imp. ), 1, p. 131/133: 40, n. 1; 41, n. 4; 41, n. 5; 41, o. 7; 41, n. 12; 41, n. 15; 41, n. 16; 41, n. 17; 41, n. 18; 41, n. 19; 2 (Liber de El04uentia)1 p. 140: 42, n. 19.

I, 5': 242, n. 63; III, 80: 348, n. 14; m, 102: 182, n. 8; V, 6, 1: 247, n. 23; VII, 27, 2: 339, n. 19; VII, 43, h 467, n. 7; VII, 63: 175, n. 5. HBsronus, Oper1Jet dies, 2,: 453, n. 17, Theogonia, 1 sgg.: 508, n. 41. HIR.RONYMUs, Chronicon, p. 188 H.: 147, n. 5; p. 189 H.: 143, n. 5. Historia Augusta - vd. Sc11.1PT01tESHlSTORIAl!. AUGUSTAE. HoMERUS,llias: 182, n. 8; 466, n. 7; ,20, n. 48; 521, n. 63; A/B: 343, n. 58; A, 115sg.: 514, n. 57; A, 260/274: 513, n. 49; B, 1 su,: 513, n. 45; B, 196: 354, n. 45; A, 163/165: 519, n. 46; E, 59/60: 157, n. 18; Z, 447/449: 519, n. 46;0, 106/ 112: 513, n. 46~ I, 189: 513, n. 34; A, 267: 252, n. 83; II, 447: 368, n. 34; II, 689/690: 167, n, 88; P, 177/178: 167, n. 88; 'I', 91: 521, n. 62. Odyssea:466, n. 7; i:x, '7 sgg.: 242, n. 62i a, 244/246: 174/175, n. 2; 1to, comico: 140,

anche CACCIATORI;

508. 500. NEJ.ONBimp,: 17; 23; 27; 30; 33; 44; 51 (bis); 54; 69; 90; *93; *94/95; 96/104: 106/107 e on. (e !'=no); 111; 114; 144; 146; 148/149; 161; 161/162 (le due fa,i del principato); 162 {la poliNEOT!0LEM0:

)22/

115.

MITRIDATE:

196; 201.

NAVE, immagine dello STATO: 222;

481.

MITRAISMO:

MEDIA: MEGARA: 377. MBGASTENE: 182. MELANCOMAS, atleta amato 139 (XXVIIIe XXIX).

MESna1/A1TIVITA

493/496 (V).

MITOGRAFI:

217. 121; 197; 214; 125,

MEN'ONE:

della GO.ERRAdi TROIA: 432 sgg.;

496/498.

vd. ISOLA DBLL'OCEANO, ODISSEO: 94; 122; 128; 174/17' (= D.); 193; 195; 240; 242; 261 (= D.); 293; JlJ; 437; 482; 491; 501; 511; 520; 544. OLBIA: 361; 362; vd. anche BQIU~

OCEANO -

e SCHTAVITU: 205/208. e STATO: 201/204; 209/210.

-

323.

MAZDEIS.MO: 371. MEANDRO: 129. MECENATE: 53. MEDEA:

ERA·

o

N

D[ONE-QUMTIO-

NI 5. MINOSSE: 308; ]41. MISIA: 279; 331.

imp.: 7; 10; 17; 26;

619

Indice analitico

Dione di Prusa

618

137; 139;

158; 258; 378; 409. 139/141; 158;

J78; 524; vd. anche :UTORI; RETORICA; SOFISTI; DIONE-VITA 6, e STATO TE.JUlENO:

108/309; )20/322; 328; 36); 414; 478. ORESTE:

217; 242.

620

Dione di Prusa

o•••'"214; 252; 509. 129.

ORGA, fiume: OSTANE: 371. OTTAVIANO-

PERstO:

p

458. PIACEltE,come divinità: .327. PIACERI: 204; 225; vd. anche VALORI

)90; 428,

PB.OVlNCIA -

PITAGOJ.ISMO / PSEUDO-PITAGORISMO:

PONTO. PONTO EUSSINO:

486, )71. 325.

PJREO:

PAOLO,

PISIDIA:

223/226; ]10; 317; V, anche u come P. PATALIPUTRA vd PALIBOTRA. PATERPAnIAB, appellativo dell'IMPASTOR[:

PATllOCLO:

44; 55; 56; 166; 347; 349; 365; 366; 371. PLATONB / PLATONISMO: 8; 60; 77; 94; 95; 286; 335; 347; 362; 363; 379; 482; 510; 512; 525; 540; - PLATONICO.

256.

P.ELLA:

PLINIO IL GIOVANE:

prefetto

d'EGII'TO:

3J4; 490. 124; J25.

PEJ.OPE: 249. Pl!LOPJDA: 286;

comico: 241. 10/11; 80j 30.3; 347; 350; 356; 357; 455. - la missione in BITINIA: 264; 270; 401/406; 435; 446; 448 (bis). - su D.: c. I, 1. PLATONE,

*147. PBLEO:

,-41; vd. anche DIALOGO socu.nco

224; 500,

PEDUCEO COLONO,

PLOTINA:

436.

PLUTARCO:

PELOPIDI: 499. PELOPONNESO: 206; PENELOPE: 47'.

PERBGJUNOPROTEO:

-

19/20; 47; 57i

65.

scuola d'arte cli P.: 373; 374. PERICLE: 142; 216; 325; 378; 380, PERSEO, eroe mitologico: 127. PERSEO, filosofo stoico: 48). PERSIA; 123; 169; 221; 2J4; 286; 294; 323; 325; 371; 433; vd. anche RE DEI PERSIANI.

-

3.50. 156; 166; 333/334; 341;

422; 437; 450; 463; 485. su D. (?): c. I, 3.

PLunONE,oratore: 140. POETI

respoosabilità dei P.: 197; 22Ji 242; c. VII, 2. - come strumento di formazione politica: 140; c. V, 5 (del RE), -

-

comÀt'T2:Lx la6vo1,Loçin MD.CO AUREUO: 45. POUT1CA come educazione popolate: 69/73; 91/92; 1)4/135. rouncr: 137; 139/141; 296. - a TARSO: 429/4JQ,

PANFILTA:

PilTENONE: PASIFE: 94.

-

PESCBNNJO NIGI.O:

nei P.: 482/485;

491.

come modelli di

COlll:ENTI.

PALIBOTJ.A.: 182. ffCCÀtyyr.,&crlcx.:*366. PANDAJtO:

POETICI

comportamento: c. VII 1 J.

PIANETI: PAF.SE __ / VILLAGGIO: t, 145.

- 116~~e ,Il,~"'

27,

PDSONAGGt

vd. AUGUSTO imp.

621

Indice analitico

PB.USJAS!r.t&«Macnoe: 438.

o/1-)X,«"(6:t'Yl.a:, in EltATOSTENE!

,16;

520.

Q (teoria ddle): *llJ /176; 234. 88/90; 91; 144; 146;

QUATTI.O MONA.RCHtE QUINTILL\NO:

185; 335. -

8U D.

(?): 40; 184.

R RÀMiYANA: ] '{?.. .R.APPR.ESBNTAZIONE

ANTROPOMCll'ICA

clella divinità: 328/330; 373/,74; 478/479. BAPPB.ESENTAZIONJ SCENICHE SPETTACOLI RASATURA:

vd.

'IEATRALI.

128.

cc. V, 2 (IV); V, J (III); V 4 (I); V, J (Il); V, 6 (XXXVI). Temi parlico/,:rl, •• -

ltE / REGALITÀ:

come

*95; 379; 437

FILOSOFO:

come essete interrnc--

lNUMA); -

dio: 308/309; 313/314; 32J/326 (DEMONE); 348/349; 368; 371; 375_:- come SOLE: 301 e 349; - come tnodello di comportamento: 298 (NBltVA); 320 (CAPI de1 POPOLO); come PASTORE: 306 e 352. ll'E / TlRANNO (vero e falso re): 14/15; 202; 289/292; 304;

306; vd. 1tnche JtE TIRANNO

DEI PERSIANI;

etc. Responsabilità o irre-

sabilità del

296; 299; 347/

R,:

348; vd. anche LEGGE e kE. Reliligiosità del. R.: 300; 304; 306; 308. Virtù varie del R.: 301; 306. divina:

REGALITÀ

49

{VESPASIA-

NO}; 97 e 102 (NERONE); 291/29];

346/347. REGALITÀ stoico-cinica: 245/246; 347; 543. ltRGAL!'J'À e 1MPERO: 248; 347. REGALITÀ per-

contro ROMA (?}: 10.5 e 107 ( ad ALESSANDRIA); c. VI, 6 (a TARSO).

RIVOLTA

c. Il, 6 (XXXI); 123; 147; 163; 259. (città): 166; 192/193; 221/ 222; 229; *232/233; 353; 360; 370/371; 415; 431; 433; 519. ROMA (stato): 71; 111/115; *123/ 124; *134/lJJ; .l03 (Elio ARI• snDE); 321; 32J/326; 421/422; 445/446; 534; vd. anche ALES· SANDRO e i Romani; RlVOL'l'A contro R. (?); VIRTÙ e FOR.TUNA dei

MONARCHtA;

IMPERO

/

Romani; ROMANZO

DWNE - QUESTIONI

(antico):

4,

255; 515; 524/

525; 532/533.

202/204; 205; 206; 288; 290; 298; 338; 339; vd.

etc. RE DI SPARTA: 391; vd. anche MOTIRANNO

NARCmA

SPARTANA.

REFUTATIO: 518. REMISSIONE DEI DEBITI { di SOLONE

e cli AUGUSTO): 112.

anche ORATORIA; 7

SOPISTI

ROMANZO); RICICLAGGIO

etc.

88/89 e 532 {R, e

528; 540.

vd, POVERTÀ. dei MITI: 289;

sgg.

369;

DIVINO:

328; 331; vd.

anche {fwom}; !tt-(voux.

35, 49; *110; *156; 167.

SERAPEO: SERAPIDB: SERI:

232.

SERSE; )69i SERVILISMO

467; 484. degli

ELLENI:

c. Il, 6;

418/420; 4J6. SETTIMIO

.

SEVEKO

SEVERI! 22;

32;

imp.: 458.

34.

filosofo stoico: 17; 19; 26. JJJ; 495. alessandrina:

286 (egiziani); 167; 3341 347, 372 e 498 (egiziano di Onufi); 310 e 372 (sacerdotessa rustica). SACI> popolazione asiatica: 142. SAMO: 381; 388. SARDANAPAW: 179; 349, SATIRI:

69.

116; 366; 379; 390; vd.

SCOPELIANO, sofista: 10. SECONDA SOFISTICA; 25);

504; Ap-

pendice I.

falsi;

POETI

MODERNI;

ad ope-

(dell'A'ffICA

ra di TESE.O); 436 {della

BEOZIA

ad opera di EPAMINONDA); 389/ 390 {di STAGII.A ad opera di ARI-

RETORI.

vd. BE come s.

SOLI: 462, SOLONE: 76;

77; 11J; 142; 209; 242/243; 378; 380; J08. POPOLARI: 68>105 e 107 (ad ALESSANDRIA); 133/135 {a

SOMMOSSE

PRUSA). SOUK EL KMIS:

226. 70; 112; 114; llj~ 204; 216; 242; 322; 325; 377; 391; 418; 422; 42J; 448; 463.

SPARTA:

SPARTIATI:

322,

SPECULUM PR.INCIPIS: 345; 346; 352.

sANDRIA); MUSICA SPETTACOLI

202,

257

anche tJO(j)LO'-rljt;; FILOSOFI veri e

SPETTACOLI MUSICALI:

71,

69 (ad

AI.ES·

120; 360; vd. anche

etc.

SPORTIVI: 413. 221 (t.rageNE); 496; 497/498; 530; 535; vd.

SOLE -

SIBAEI: 123. SIMAlUSTI, consorteria

REPREHEi\'SJO: 518. anche cro:·t-prhtl]r;;, (idee repubblicane a Ro. SCAMANDRIO: ,01, ma nel 69 d.C.): 14 (11UFRATE); SCHIAVltU come fatto morale e so15; 26; Zl/29 (HLVIDIOPRISCO); ciale: 20J/210 (XIV; XV; X; J0/31 (D. I); J} (EUFRATI!); 63; LXXX); 213; 222; 227. vd. anche DEMOCRAZIA. - come fatto politico: 114/115; vd. RETOlll: 4; 20/21 (D. in LUCIANO, anche LIBERTÀ; NATURA. Parassita); 22, 24> 25, 48 (n. in SCILLA: 480. APOLLONIO di T.); 64; 74; 120; SCIZIA: 181; 188; 197; 230; 246; 1)6/137; 158 (D.); 212; 241; vd. 311; 318; 335; 361; 381.

RICCHEZZA -

SENSO

SFINGE:

REPUBBLICA

RETOIUCA:

349.

540; 541; 547.

SACERDOTI:

RE DEI PERSIANI:

8; 140/141;

SENOFONTE:

SEVERO,

ROMANZO COMICO: 533. ROMOLO: 166; )26,

90; 344;

44; 80; 103; 285; 333; 336; 351; 374.

RODI:

IM-

PERATORE.

anche

SEMIRAMIDE: 484. SENATO romano: 27; SENECA:

ROMA

sonificata: 312; 314/31'; 323; vd.

anche

623

Indice anfllitico

Diane di Prusa

622

STORICI: 140; 472; 481; 500. STORIOGRAFIA LOCALE: 504.

624

Diane di Prusa

STRATEGHI -

etc.;

vd,

CAPI

del

POPOLO,

TIESl'E:

a-tpa:'TIJy6r;.

SULPrcro VIITOJU!: SUSA: .J2J.

252.

-

TIMOCKATE, filosofo stoico: 8;

518.

10;

35. TIMOCRAZIA:

aU)'v.ptm.ç: 334.

461/462

(a

23

(IMPERATORl

T.);

32; 37

(DO·

MIZWrn); 116; 201; 202 (VI); 205; 211; 234/236 (DOMIZIANO); 311 e .312 (ERACLE abbatte j T.); 321; 325; 328; 381 (T. di SAMO); 393 (DOMIZIANO); 397 (T. di BI• TIN!A}. TIRANNIDE personificata: 312; 314/316; 323; vd. anche DE-

TACITO:17; 55; 84/88 (Dialogus de oratoribus); 90; 91; 201; .357.

12). 117; c. Il, 8; 273; c. VI, 6;

TARANYO;

444; 446; 456; 459; 460; 495; 504.

MAGOGIA; JtF. DEI PERSIANI; DlONE - VITA 16. resistenza al T.: 308; *351. TIRESIA: 198,

TAXILA:5'. TEBE: 115; 381; 398; 463. TECNICHE: 93/94; 121; 229/230;

-

37]; 407; vd, anche MESTIERI etc. "TITO imp,: 59; 137/139; 146; 168; TELEMACO: 475. 191; 317. TOLOMEO AULBTE: 71; 105. TEMISTIO: 139 (M'.ELANCOMAS); 347. SU D.: 48; 62, TRACIA: 12.3; 127; 206; 246; Jll; 381. TEMISTOCI.B: 216; 325; 378. TRAGICI: 192; 473; 475; 480; J08. TEMPO, giudice delle cose: 498 e l'RAIANO imp. vd. anche LETTERE 518. - di 'r. a D. e viceversa ; - di TEO: 2)2, T. a PRUSA (?); PRUSA; DIONETEOCRITO: 256, VITA 12. TEODORO, oratore: 140. - caratteri generali della sua poliTEODORO METOCH!TA su D.: 22. tica: 145 (scolastica); 226 (agraria); TEOPOMPO: 140; 510. 356 (religiosa); 399; 434; 446. TERENZIO MASSIMO, procuratore di - giudizio sul quinquennium NeBlTlNIA: 451. rcmis: 161. TERMOPILI; 169i 216. - profezia sul suo impero: J8j, TERRE ABBANDONATE: 226. guerra dacica - vd. GUE'llRA daTER.SITE: 250; 506. cica di T. TF.RZO STATO; 441. - guena partica - vd. GUERRA parTESEO: 230; 257; 450; 474, tka di T. TESSAGLIA; 204. - e il processo a VAllENO RUFO: TETIDE: 490,

&o«"l)IX~v (DEMO_NE): 367I 369, n. JJ; I'«""!'~., ( ➔ ALLf.OORIA), 518, n. 43); talora al riferrmento segue ancora, preceduta da +, l'indicazione di uno o più pnsi dionei di cui non si è tenuto conto nella discussione (es. &1.0il: vd.

z,). 6µowL

18. ,6µ,~ voµ.o~ç:

!&fx~),347/348, n. u. vd.

LEGISLATORI

+

II,

44; VII, 1.36; 140; XXXVI,32. "61,A,or;: vd. LEGGE,

!!

'""'Y"', 250, •· 59. Bi'\ltoç;: vd. zrus (appellativi di z.). o ot.,,6xoo,; ➔ MESTIERI

etc.: XIII, 1;

LXVI, 10; LXXI, 4. b,-,y«nkx (vd. OLIGARCHIA), III, 49; XXXVI,31.

II

ISOLA DEL-

352, n.

(?): XLV, 1.

dxi.o,; (vd. POPOLO etc.): I, 28; IV, 9; 14; 35; 124; 125; VII, 23; 24; 29; 33; 122; IX, 14; 22; XII, 48; XIII, 21; XV, 22; XXVII, 5; XXXII, 9; 19; 22; 24; 87; XXXIV, 21; 41; XXXV, 16; XXXVIII, 1.

Vl'jo-LWTJ)ç;:

L'OCEANO. voµ&ut; (RE come PASTORE):

➔ SPARTA

)66, n. 26; 437, •· 34; 448, n. 40. 0µ6~""°'' 352, n. 18 + II, 69; XXXVIII, 17. q,y~ ➔ POPOLC, VII, 24; 25; 39; XXXI,124; XXXIV,17; 33; XLVI, 1; 6; Il; 12; XLVIII, 10. oòpa:v6i;(vd. UNIVERSO): XII, 58; XXXIII, 4: XXXV,21 (?); XL, 35; LXXIV, 26. 0µ6"!1Gt« (CONCORDIA):

mx~Setor.:vd. 8LT't"Ì'j Tta.t8efo:. n-tt'hrrJpLç (vd. CERIMONIE etc.): IX, 1; 3; 4; XII 48; XXVII, 1; 5; XXXI, 102; XXXII, 37: XXXIII, 14; XL, 28; XLI, 10; LXVI, 29. 7'C'~~ety~ (MODELLO): 365, n. 18j 510, n. 11 + I, 65; VII, 81; 130; 131; XXXVIII, 10; 27; XL, 11. ff°'pa.x_a.p:iff'(i)(TÒ Y6tJ.t(f(,UX): )46, 11,

9.

11:ot:pp'l)O"Eor.: 460,, n. J. ni:t-rpli;(vd. PICCOLA PATRIA): II, 79; XII, 20; XIII, 4; 19; XVII, 11; XXXI, 95; 119; 158; XXXII, 48; 92; 95; XXXIII, 46; XXXIV, 3: 19; 23; 29; 30; XL, 3; 10, XLI, 2; J; 4; 6; 7; XLIII, 1; 3; 4;

11: XLIV, 4; 6; 7; 8; XLV, 6; XLVII, 2; 5; 6; 7; 9; IO; XLVIII,

4, 11: L, l; LXI, 6; LXXIII, 4; 5; LXXIV, 12. XIV, 24; XXXV,

J72, n. 6 + I, 52; VII, 127; XL, 39.

1tÀ('.(.vcir.i>:

1tM.v71,;:vd.

ARTE FJ-

GURATIVA.

ttx&:~vo,;( ➔

3J9,

RB DEI PERSIANI):

n. 19. r:Movc~~: 4-'6, n. 28

+

20i XXXVIII, 1;: 42; XXXIX, 1; 2; 5; 7; XL, 29; XLlll, 12; XLV, 13; XLVII, l; L, l; LVI, 10; LVII, 3; LIX, 1; LXVI, 8; LXXI,

3; LXXIII, 9; LXXIV, B. n:ÀoU-roi;;:vd. 11.ICCHE.zZA.

vd.

POETij

POETI

MO-

DBRNI.

1mx(>.o,: 333, n. 3 + Il, 49; ,1; XLVIII, 7. 'ff'Ol!',~\I (RE come PASTOllE): JJ2, n. 18. IloÀte:&;: vd.

ZEUS

(appellativi

di z.).

rn>Àt':'elot(vd. FORME di GOVBRNO): Il, 59: III, 45: VII, 125; 127; 130; XXXI,86; 146; 157; XXXVI, 23; 37; XXXVIII, 2; XXXIX,2;

XL, li 22; XLVIII, 14; CITTADI· NANZA.. 7t"OÀ~'Tw6µsvo, (vd. POLITICI):

( ot)

XXXI, 95; 160; XLVII, LXXIII, 8. no),tTtx6,;

XXXIV, 29; XXXV, 10; XLVII, 25. n-psc~1JTepot: cfr. vfu~ etc. npos8pLx ➔ ONORIFICENZE CITTADINE:

XXXII, 53;

XXXIV, 13; 14; 19; 38; XL, 37; LXXVIII, 39. 7').'ij-llo~ (&-.-llp.,_,) (vd. POPOLO etc.), II, 22; 52; 69; 71; 73; VII, 26; 30; 33; 100; IX, 14; XIII, 21; 23; 35; XVIII, 16; XX, 9; XXVII, 6; XXXI, 121; XXXII, 8; Il; 20; 24; 29; 37; 72; 87; XXXIV, 21; 31; 33; 39; 41; XXXV,9; 15; 17; 19; 24: XXXVI,

Trot'lp1jç:

( Q) nol.t-roypa.1Fo; ➔ ONORIFICENZE CITTADINE:

7.

DIONE~IUDIZI

">.oan>/4(o,ro).~~•