Dimensioni del Tempo


208 78 8MB

Italian Pages 169 Year 1987

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Dimensioni del Tempo

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

FRANCO ~GELI

DIMENSIONI DEL TEMPO Scritti di P. Budinich, M. Cacciari, U. Curi, G. Heinemann, W. Kaempfer, D. Kamper, H.D. Kittsteiner, G. Mattenklott, P. Rossi, C. Sini, U. Sonnernann, C. Wulf, K. Wiinsche a cura di Umberto Curi

FRANCO ANGELI

INDICE

Avvertenza Introduzione, di Umberto Curi

pag.

9

})

11

))

19

))

29

))

38

Sonnemann

»

52

La morte del tempo. di Massimo Cacciar!

»

71

Sul rapporto tra il tempo della vita e il tempo della storia, di Heinz D. Kittsteiner

»

79

Pigrizia, di Gert Mattenklott

»

90

Cronocrazia, di Christoph Wulf

)>

118

L'arresto del movimento pedagogico, di Konrad Wunsche

»

126

Sacrificio del tempo: dal calendario perpetuo alla quotidianità delle scadenze. di Dietmar Kamper

»

143

Il tempo nelle teorie a simmetria conforme della fisica, di Paolo Budinich

})

148

»

163

L'ordine del tempo. Nota in margine ad Anassimandro, di Gottfried Heinemann

La fine del tempo pubblico e il problema del tempo•immagine, di Carlo Sini

La senescenza del mondo e la Grande Rovina nella cultura moderna, di Paolo Rossi Il tempo è una forma di ascolto. Sulla natura e le conseguen• ze di un disconoscimento kantiano dell'orecchio, di Ulrich

La tempesta in quiete. Speculazioni su tempo e spazio, di Wolfgang Kaempfer

AVVERTENZA

I saggi che compongono .questo volume costituiscono una rielaborazione, talora in forma di vero e proprio rifacimento, in altri casi di semplice riaggiustamento, delle relazioni pronunciate in occasione del Convegno internazionale di studio sul tema· « 11 tempo morente » (Venezia, 13-14 dicembre 1984), organizzato dall'Istituto Gramsci Veneto, con la collaborazione del Goethe-Institut, del Max-Planck-Institut di Gottingen, della Libera Università di Berlino. Il periodo di tempo relativamente lungo trascorso fra il Convegno e la pubblicazione di questo libro, si spiega con l'intenzione di non dare alla stampa gli « Atti » del!'incontro veneziano, ma piuttosto di partire da qu.ell'appuntamento per approfondire - mediante saggi meditati e fin dall'inizio finalizzati alla pubblicazione - il tema generale scelto per questa riflessione a più voci. Rispetto al Convegno, la presente raccolta conserva quelli che ci sono sembrati gli aspetti più significativi e più positivi: l'impostazione dell'argomento, il metodo di confronto interdisciplinare, il « taglio » dei ragionamenti, talora anche « arrischiato », ma certo mai banale o ripetitivo, l'ampiezza dell'orizzonte storico-critico tenuto presente. Si è, inoltre, conservato lo stimolo al confronto scaturito dall'incontro e dalla collaborazìone fra istituti di aree culturali e linguistiche diverse, accomunati dallo sforzo di un dialogo reale e di un fecondo scambio di esperienze di ricerca. Si comprende, in tale prospettiva, per quale ragione in questo testo compaiano scritti di filosofi (Cacciari, Heinemann, Rossi, Sini, Sonnemann) e di scienziati (Budinich), ma anche di studiosi della letteratura (Kaempfer, Mattenklott), della storia (Kittsteiner), della pedagogia (Wulf, Wtinsche) e de11a sociologia (Kamper). Mediante il con-tributo e l'interazione di approcci disciplinari diversi - e più ancora attraverso la deliberata contaminazione di differenti quadri categoriali abbiamo così tentato di fornire un orizzonte problematico quanto più pos· sibile articolato, capace di far emergere le molteplici dimensioni concettuali 'della nozione di tempo. Non è ovviamente possibile anticipare, nel breve spazio di questa Avvertenza, le principali linee di indagine che percorrono un testo così ricco di spunti di riflessione; d'altra parte, non è senza significato sotto· lineare il frequente ricorrere di richiami alla nozione classica di tempo - così come essa già si delinea nella speculazione arcaica -, a conferma

IO

della necessità di superare, attraverso l'approfondimento critico-filologico e il lavoro ermeneutico, l'unilateralità di taluni schemi dualistici di interpretazione storiografica. Il fatto che nei più recenti sviluppi della termodinamica dei processi irreversibili, secondo le fondamentali ricerche condotte da Ilya Prigogine, ricompaia, seppure in termini diversi, la tensione fra una accezione cronica ed una nozione eonica di tempo, costituisce anzi un indizio della strutturalità e della persistenza con cui l'interrogazione sul tempo caratterizzi, e per certi aspetti perfino esaurisca, l'orizzonte dell'indagine filosofica e scientifica. Mi è grato ricordare, concludendo questa breve presentazione, l'insostituibile e preziosa collaborazione che hanno offerto, all'organizzazione del Convegno e alla preparazione di questo volume, il prof. Friedrich Cramer, direttore del Max-Planck-Institut di Gottingen, il prof. Wolfgang Kaempfer, direttore del Goethe-Institut di Trieste, e i professori Dietmar Kamper e Christoph Wulf della Freie Universitat di Berlino. Un vivo ringraziamento, e un caloroso apprezzamento, va infine tributato al dottor Carlo Sandrelli, il quale ha curato, con grande perizia filologica e con ammirevole rigore, la traduzione italiana dei testi tedeschi qui riportati. Venezia, marzo 1986

Umberto Curi

INTRODUZIONE di Umberto Curi

1. Come è noto, nella scienza classica l'accento era posto principalmente su princìpi indipendenti dal tempo: una volta stabilite le condizioni iniziali, era possibile formulare leggi capaci di prevedere il futuro e di determinare il passato; più esattamente, soprattutto nell'ambito dei fenomeni studiati dalla dinamica, il tempo era -ridotto ad un parametro geometrico che consentiva di seguire il dispiegarsi della successione degli stati. Il mondo appariva perciò come un tutto ordinato, governato da leggi eterne ed immutabili, nel quale gli unici eventi che potevano accadere erano quelli da sempre deducibili dallo stato istantaneo del sistema. Come ha osservato Ilya Prigogine 1, la descrizione della natura secondo il modello del sistema dinamico conduceva in un certo senso ad una tatltologia, poiché il presente contiene contemporaneamente il passato e il futuro: ordine matematico, reversibilità dei fenomeni, determinismo, semplicità, immutabilità, erano le caratteristiche principali di una scienza che, allo scopo di ricondurre il diverso e il mutevole all'identico e al permanente, aveva dovuto eliminare il tempo. Questa concezione dell'impresa scientifica muta profondamente nel corso degli ultimi centocinquanta anni, a partire dai primi studi , di Fourier sulla propagazione del calore, vale a dire su un fenomeno inconcepibile per la dinamica classica, quale è appunto un processo irreversibile. Gli sviluppi successivi della termodinamica, la scoperta dell'entropia, come grandezza che può crescere soltanto in seguito a proce·ssi irreversibili, i nuovi confini raggiunti dall'analisi scientifica riel dciminio microscopico e nell'ambito della cosmologia, hanno radicalmente modificato l'immagine « classica » del mondo fisico, imponendo una drastica revisione di alcuni concetti fondamentali, primo fra tutti quello di tempo. Si può forse affermare che l'esplorazione dell'infinitamente piccolo e deU'infinitamente grande, i pro1. L Pl'igogine, L Stengers, La nuova alleanza, tr. it., Torino, 1981.

12 gressi compiuti nel campo della fisica delle microparticelle e dell'astrofisica, hanno portato ad un nuovo modo di intendere il tempo, più ancora che ad una nuova visione dello spazio. Come ha sottolineato, ad esempio, Jacques Merleau-Ponty, la posizione del problema della struttura dell'universo ha trasformato il senso della questione cosmogonica, poiché non si tratta più del divenire delle cose nello spazio (come si riteneva nelle antiche cosmogonie), ma piuttosto del divenire dello spazio e dell'essere stesso del tempo, essendo, il « contenuto » del tempo inseparabile dal tempo in quanto tale 2 • Analogamente, l'introduzione di un tempo « locale )> associato ad ogni osservatore - secondo quanto stabilisce la teoria della relatività speciale - induce ad assumere, in termini più generali, che il tempo non è più un semplice parametro geometrico del moto, ma misura evoluzioni interne ad un mondo in non equilibrio 3. " · In questo· modo, Ù tempo è penetrato all'interno dei due livelli da cui era stato tradizionalmente escluso, in favore di una legge eterna, e cioè nel livello microscopico fondamentale e nel livello cosmico globale; non soltanto la vita, dunque, ma anche l'insieme dell'universo possiede una storia, scandita da un processo evolutivo irreversibile e da mutamenti che infrangono ogni visione continuista e deterministica, facendo emergere, quali caratteristiche principali della nuova concezione della natura, instabilità, non linearità, fluttuazioni, indeterminismo, Il nucleo principale di questa decisiva trasformazione concettuale nell'ambito della scienza contemporanea, rispetto alla interpretazione « intemporale » della fisica classica, è la nozione di tempo; ancora con Prigogine si può affermare che « oggi la fisica non nega più il tempo, né la sua direzione. Essa riconosce il tempo irreversibile delle evoluzioni verso l'equilibrio, il tem• 2. J. Merleaµ-Ponty, Cosmologie au XX' siècle, Paris, 1961. Sull'argomento, si vedano anche D.W. Sciama, L'unità dell'universo, tr, it., Torino, 1968; M.K. Munitz, Spazio, tempo e creazione, tr. it., Torino, 1959; P. Caldirola, Dalla microfisica al/a macrofisica, Milano, 1977; A. Cavaliere, La struttura e la storia dell'universo, « Scienza e cultura», nov. 1979, pp. 115-146; L. Gratton, Relatività, cosmologia e astrofisica, Torino, 1968. Ho già esaminato alcune fra queste posizioni, soprattutto in relazione allo « Standard Big-Bang Model )), in Osservazioni sul rapporto scienza-ideologia, « Giornale di astronomia», 1981, pp. 35-43, 3. Su questi problemi, si vedano: A, G!'iinbaum, Philosophical Problems oj Space and Time, London, 1964; E. Schrodinger, L'immagine del mondo, tr. it., Torino, 1963; BJ. Cohen, La nascita della nuova fisica, tr. it., Milano, 1912; G. Toraldo di Francia, L'indagine del mondo fisico, Torino, 1976; Aa.Vv., Le frontiere del tempo, a cura di R. Romano, Milano, 1981. Sulla critica einsteiniana alla nozione « classica » del tempo assoluto, si veda, infine, U. Curi, Analisi operazionale e operazionalismo, Padova, 1970.

13 po ritmico delle strutture; il tempo biforcante delle evoluzioni per instabilità e amplificazioni di fluttuazioni e perfino il tempÒ che ma.. nifesta l'instabilità dinamica a livello microscopico. Ogni essere com.·· plesso è costituito da una pluralità di tempi, ognuno dei quali è legato agli altri con articolazioni sottili e multiple» 4 • Il superamento della concezione classica del tempo come parametro del moto, e dunque come grandezza quantitativa, trova riscontro anche in settori della ricerca scientifica diversi da quelli fin qui ricordati. Alla formulazione della teoria matematica dei punti critici - meglio nota come teoria delle catastrofi 5 - è sottesa, ad esempio, una visione del tempo per molti aspetti vicina a quella implicita nella termodinamica dei processi irreversibìli. Secondo l'interpretazione fornita da René Thom, il mutamento catastrofico, inteso come transizione fra stati diversi di relativa stabilità strutturale, implica non solo la singolarità e dunque l'irreversibilità del cambiamento, ma anche una concezione del tempo come variabile discontinua, caratterizzata da salti e rotture che non sono riconducibili ad una successione di fasi temporali omogenee. Il processo di produzione di forme, su cui insistono René Thom e Christopher Zeeman 6, restituisce nel suo insieme una interpretazione. del divenire in cui la morfogenesi è strettamente connessa alla rottura della nozione lineare e quantitativa del tempo, in favore di un tempo ritmico, fortemente scandito, intrinsecamente discontinuo 7 . Pur con tutta la cautela necessaria, allorché si tratti di istituire paragoni fra .settori scientifici differenti, e pur evitando ogni generalizzazione, si può in un certo senso affermare che se con la temodinamica il tempo fa la sua comparsa nella fisica, e con l'ipotesi dell'espansione la storia entra a fare parte della cosmologia, allo stesso modo con la teoria delle catastrofi il tempo penetra nell'ambito della matematica e più in generale all'interno di ogni descrizione scientifica di fenomeni irregolari e discontinui. Uno sguardo, anche sommario, a quanto è accaduto dopo la seconda metà del secolo scorso, può indurre a concludere che pressoché in tutti i domini scientifici si scopre l'importanza essenziale del tempo: evoluzione delle formazioni geolo4. I. Prigogine, 1. Stengers, la nuova alleanza, cit., p. 54. 5. R. Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, tr. it., Torino, 1980; id., Modèles mathématiques de la morphogénèse, Paris, 1974; id., Parabole e cata• strofi, a cura di G. Giore!lo e S. Morini, Milano, 1981. 6. I principali contributi dl C. Zeeman allo sviluppo delle tesi thomiane si trovano in Catastrophe Theory: Selected Papers, Cambridge (Mass.), 1977. 7. Ho proposto un'applicazione del modello «catastrofista» all'interpretazione dello sviluppo storico della scienza in Katastrophé. Sulle forme del mutamento scientifico, Venezia. 1982.

14

giche, delle specie, delle società, della morale, del gusto, del lin• guaggio 8 • Ma la scoperta della molteplicità del tempo, e della sua ìnsoppri· mibilità nella descrizione scientifica del mondo, si accompagna anche • alla constatazione della « direzione » verso cui esso è orientato, e dunque della sua intrinseca e ineliminabile ) imperfetta, tanto quanto il divenire regolato dal tempo cronico è mimesis dell'essere che se ne sta immobile nella durata eonica 14 , Di conseguenza, alla scienza, come conoscenza di ciò che è, appartiene non il tempo chronos, ma solo il tempo aion: con Parmenide, Platone ripete dunque che non è possibile conoscere in termini scientifici il mondo della generazione e della corruzione, ma solo il mondo eterno delle forme immutabili 15 • Il riferimento al problema del tempo si ripresenta proprio nel cuore dei libri dedicati da Aristotele all'indagine della fisica; scomparso ogni accenno al tempo come aion 16, il tempo è qui trattato in 13. « La natura dell'anima era eterna, e questa proprietà non era possibile conferirla pienamente a chi fosse stato generato: e però (il padre) pensa di creare un'immagine mobile dell'eternità (aionos), e ordinando il cielo crea del!'eternità che rimane nell'unità un'immagine eterna che procede secondo il numero, quella che abbìamo chiamato tempo (chronos). E i giorni e le nott.i e i mesi e gli anni, che non erano prima che il cielo nascesse, fece allora in modo che anch'essi potessero nascere, mentre creava quello. Tutte queste sono parti di tempo (mere chronou), e I' 'era' e il 'sarà' sono forme generate di tempo, che noi inconsapevolmente riferiamo a torto all'eterna essenza (aidion ousian). Invero noi diciamo ch'essa era, che è e che sarà, e tuttavia solo l' 'è' le conviene veramente, e l' 'era' e il 'sarà' si devono dire della generazione che procede nel tempo (chrono): perché sono movimenti, mentre quello, che è sempre nello stesso modo immobilmente, non conviene che col tempo diventi né più vecchio più giovane» (Plat., -Tim., 37d-38a). 14. Al tempo-aion « niente conviene di tutto ciò che la generazione presta alle cose che si muovono nel sensibile, ma sono forme del tempo (chronou) che imita l'eternità (aiona mimoumenou) e si muove in giro secondo il numero» (Plat., Tim., 38a-b). Come osserva giustamente E. Degani, « Platone distingue e contrappone chiaramente due forme di tempo: la puntuale extratemporalità di aion e la temporalità molteplice di chronos. L'uno è caratte• rizzato dal permanere nell'unità ... l'altro dal procedere secondo il numero e dal suo distendersi in una molteplicità d.i parti, precedenti e successive. Per aion, fisso nella puntualità aoristica dell' 'è', ogni concetto di estensione temporale ... è fuori luogo .... Invece chronos, tempo del 'questo' e del divenire di ogni giorno, non conosce la stabilità del!' 'è'» (Aion, cit., p. 80). 15. Ho cercato di dimostrare questa ipotesi di interpretazione nel mio La linea divfsa, Modelli di razionalità e pratiche scientifiche nel pensiero occidentale, Bari, 1983, 16. Ancora E. Degani sottolinea che « 'eternità' è il valore costante ed abituale di aion per la filosofia post•platonica; e la proposizione platonica



17

relazione al mutamento, e sopraggiunge solo come chronos 17 • Ma il superamento della aporia segnalata da Platone con la contrapposizione tra il dominio intemporale delle forme, oggetto della scienza, e il regno del divenire cronico, di cui non è possibile scienza, è ottenuto da Aristotele mediante un'assunzione eonica del chronos 18 , vale a. dire attribuendo al tempo che misura Io svolgimento del divenire i medesimi caratteri che Parmenide e Platone assegnano all'eternità dell'essere 19 • Chronos è, infatti, per Aristotele, a-rythmos, « numero del movimento secondo il prima e il poi »; il divenire diventa, con ciò, oggetto di scienza, perdendo, tuttavia, il proprio rythmos, la scansione irreversibile degli eventi, la processualità qualitativamente diversa dell'accadere. Come numero-arythmos del mutamento, il tempo si costituisce inevitabilmente come parametro geometrico del moto, come misura di un mutamento privo ormai di ogni effettivo dinamismo, perché trasformato nella fissità immutabile di eventi spazialmente

del tempo come 'immagine mobile dell'eternità' diede ongme ad una ricchissima serie di figurazìoni mitiche nell'ambito del neoplatonismo» (Aion, cit., p. 83). 17. Si veda la celebre definizione aristotelica del tempo-chronos come « numero (arithmos) del movimento secondo il prima e il poi » (Aristot., Phys 219 b 1); la connessìone fra tempo e movimento è altresì ribadita in Aristot., De gen., 337a 23. 18. Mi pare che questa interpretazione sia confermata da quanto osserva al proposito E. Degani: « Si può dire che con Aristotele la nìtida formulazione platonica sull'eternità si fa poco chiata e che - sul piano strettamente filosoficq - viene a mancare una precisa distinzione fra aion e chronos » (Aion, cit., p. 87). Non a caso, Aristotele attribuisce ripetutamente a chronos i caratteri - afthartos, aghenetos - che dovrebbero essere propri di aion: cfr. Aristot., Phys., 222a 27 ss., 251b 10 ss., 263 a 15 ss.; Meteor., 353 a 15 ss.; De Lin. ins., 969 a 29; su questi passi, si vedano N. Abbagnano, La nozione del tempo secondo Aristotele, Lanciano 1933; A. Levi, Il concetto del tempo in Aristotele, « Athenaeum », 25, 1948. 19. « Questo nome di aion è stato pronunciato per ispirazione divina da parte degli antichi. Infatti la forma compiuta e perfetta (telos) che abbraccìa il tempo di vita di ciascuno, al di fuori del quale nulla esiste secondo natura, si chiama aion di ciascuno. Secondo il medesimo significato (logos), anche il compimento dell'intero cielo e il compimento che abbraccia tutto il tempo (chronos) e l'infinità, è aion che ha ricevuto la sua denominazione dal!' 'essere sempre' (aei einai), immortale e divino,, (Aristot., De Coelo, 279 a, 22-25). Si può dunque affermare che « in queste proposizioni, Aristotele usa il concetto di aion come durata nel suo duplice significato: nella prima propo• sizione vale Ja durata del tempo di vita cronico, lìmitato e conforme a natura, di ogni .singolo essere. Ma nella seconda proposizione Aion sta ... come eterna durata come eternità, poiché ha tratto il suo nome dall' 'essere sempre' » (P. Phi!ip;son, Il concetto greco di tempo nelle parole Aion, Chron?s, Kairos, Eniautos, « Rivista di storia della filosofia», 4, 1949, pp. 81-97; qm p. 89).

18

contigui e intrinsecamente equivalenti 20 • Se la rappresentazione numerico-quantitativa del tempo consente, da un lato, la formulazione di leggi scientifiche perenni, dall'altro lato essa conduce ad ignorare gli aspetti qualitativi dei fenomeni, l'irreversibilità dei processi natu· rali, la realtà stessa del divenire come dinamica incessante di generazione e corruzione 21 • Questo modo di intendere la scienza, come ricerca di una verità eterna nascosta dietro la mutevolezza dei fenomeni, fondata su una visione {< senza ritmo}> del tempo, resterà dominante per molti secoli 22 , fino a che termodinamica e microfisica, cosmologia e sociologia, non imporranno una concezione nuova della scienza, fortemente ancorata al riconoscimento del carattere qualitativo e plurale del tempo. Ma 1a riabilitazione - verificatasi con la scienza contemporanea - della dimensione « cronica >> del tempo, della sua funzione tattico- ordinatrice, della irriducibile tassonomia che esso impone ai sistemi complessi, fisici e sociali, finisce per ripresentare lo scenario descritto nel frammento di Anassimandro, riguardante l'inevitabile deperimento e poi la morte di tali sistemi e, con essi, del chronos che ne è lo stratega ordinatore. n ritorno della scienza ad una visione del tempo come processo irreversibile e orientato, come successione di fasi non equivalenti, provvista di un rythmos non riducibile a mera scansione quantitativa, ripropone infatti, anche se in termini differenti, gli interrogativi antichi sul destino dell'uomo e del cosmo. Indubbiamente, la « nuova alleanza >> stipulata fra scienza e filosofia, nella comune assunzione di una nozione « cronica >> di tempo, è in grado di superare la ), Da ciò si può comunque desumere che tutto quello che esiste (infatti non si parla di eccezioni) suole commettere ingiustizie, che poi verranno vendicate - o addirittura non vendicate, ma ricambiate con un'ingiustizia ancora maggiore. Questo concetto diventa tangibile mediante un artificio filologico. Si può cioè argomentare che la prima parte del frammento non riproduce le esatte parole di Anassimandro, ed è una 3, cioè è opera dì Teofrasto; e che la formulazione originaria è stata conservata in un frammento di Eraclito, cioè: « Ciò che è freddo si scalda, ciò che è caldo si raffredda, ciò che è umido si secca, e ciò che è secco viene bagnato )> 4, dev'essere aggiunta alle parole « secondo la necessità » 5, riferite da Simplicio. Nella seconda parte del passo si parla cioè di queste qualità fondamentali, o forze fondamentali, o, forse, « parti del mondo >> 6 : del caldo, del freddo, del secco e dell'umido. Questi, dice Anassimandro, non pervengono mai ad un equilibrio permanente, ma, sempre, uno di essi viene a prevalere, per essere poi superato da un altro, e così via. 2. Schadewaldt, 1978, pp. 240, 245. 3. Bréicker, 1956, p. 211. 4. B 126. 5. Cfr. in generale Brocker, 1956. 6. Così Hi.ilscher, 1953, p. 118. Queste parti del mondo formano in Anassimandro una serie: terra, mare e fuoco. Esse non sembrano ancora organizzate in coppie di elementi contrastanti; forse quest'ultima è un'aggiunta di Eraclito, ma allora, di nuovo, non costituirebbe più un'interpretazione letterale.

21

Questa è, letteralmente, (infatti Anassimandro stesso si è servito della metafora giuridica) la prima formulazione di una legge di natura. Tutto questo accade « secondo necessità», dice Anassimandro - o per essere più precisi Teofrasto, le cui parole conosciamo con una certa sicurezza, e che ha interpretato « secondo necessità» nel significato di « necessariamente » 7 • Il contenuto di questa legge, ,::. come abbiamo detto, è formulato in riferimento al diritto arcaico: come costrizione alla riparazione, che col tempo non verrà a mancare; quindi, in termini moderni, come un equilibrio temporaneo, oscillante, non statico; un equilibrio di una specie superiore,._furmato da squilibri che seguono l'uno all'altro. Solo recentemente la fisica ha riscoperto quest'idea. È vero che una struttura simile, come gioco alterno di energia potenziale e cinetica, la si trova già nel paradigma della scienza classica della natura, cioè nel pendolo. Ma il pensiero di un equilibrio continuamente ricostituito si manifesta solo nell'analisi di complicati processi chimici, in particolare organici, o d1 s1stem1 ecologig. Certo, qui non si parla affatto di equilibrio, ma di una stabilità nello squilibrio, delimitando strettamente il concetto di equilibrio al senso che ha in termodinamica; ma si tratta di una semplice questione terminologica senza· importanza per le nostre considerazioni. Ritornerò poi alla fisica moderna, ma per ora vorrei occuparmi ancora del frammento di Anassimandro. I filologi sono uomini terribili. Uno di loro ha appena ricostruito un testo sul quale possiamo iniziare a lavorare, quando arriva un altro che vuole di nuovo bloccarci. Qualcuno asserisce che le parole 'kata tèn tou chrònou tàxin', per me così importanti, sarebbero apocrife, e conterrebbero soltanto l'interpretazione di Teofrasto. Questi ha riconosciuto, scrive Franz Dirlmeier, che Anassimandro non ha lasciato inarticolato il sorgere dall'apeiron, dall'infinito. Così egli, nel linguaggio del quarto (terzo) secolo formulò questo giudizio sull'ipotesi di Anassimandro, secondo cui la necessità (chreòn) domina nel >: nascita e morte avvengono anche in Anassimandro katà tén tou chronou tàxin, cioè secondo la scansione periodica prodotta dal tempo 8 • ·

Chi ha ragione: Schadewaldt, al quale più sopra mi sono richiamato, o Dirlmeier? Io non posso deciderlo, e nemmeno lo voglio. Ma immagino che l'ipotesi di Dirlmeier sia giusta. Cosa significano allora queste parole di Teofrasto? Dirlmeier stesso ce lo dice: « se7. Cfr. Dirlmeier, 1938, p. 91 ss. 8. Dirlmeier, 1938, p. 93; il corsivo è nell'originale.

22 • tondo la scansione periodica prodotta dal tempo ». Ma con Schadewaldt avevamo letto: « in una successione temporale)>, Il tempo non era un'istanza che potesse produrre una scansione periodica; questo poteva farlo soltanto Dìke (ammesso che di una tale istanza si possa parlare), la giustizia compensativa personificata 9 • Ma la successione nella quale si compie la compensazione è una successione temporale proprio in virtù del carattere del principio compensativo. Questa differenza di significato è decisiva. Come può la scansione periodica di cui parla Anassimandro essere « prodotta dal tempo»'? Come può il tempo fare ciò? E cos'è in generale il 'tempo', perché da esso possa uscire un simile prodotto? Secondo la tesi di Dirlmeier la domanda dev'esser posta a Teofrasto. Cosa intende egli per 'tempo'? - Di nuovo una biforcazione nel labirinto filologico, ma anche un'indicazione: « Riguardo al tempo ... egli era completamente d'accordo con Aristotele » 10 • Il concetto aristotelico di tempo lo conosciamo, gli scritti ci sono stati tramandati: il tempo è « una proprietà del movimento»,~ in_qm;_st'ylJ:hgo può essere numerato u. Una proprietà di quale movimento, si domanderà. In teoriadi tutti, risponde Aristotele, ma, iuratica, del_moviment,o circolare degli astri 12 ; infatti questo è il prototipo del movimento, e ~ m e n t i che rendono possibili tutti gli altri: (< l'uomo è generato dall'uomo, ma anche dal sole » e dall'eclittica 13 • Il corso periodico del mondo è in tal modo ricondotto alla periodicità dei movimenti celesti, così come in riferimento ad essi contiamo il tempo con il quale misuriamo tutto il resto, anche il corso delle vicende umane e di ogni accadere naturale 14. Dire che la scansione periodica di Anassimandro è « prodotta dal tempo», come fa Teofrasto, significa dunque attribuire ad Anassimandro una versione ridotta del pensiero aristotelico che ho appena riferito. E a questo riguardo non ha nessuna importanza sapere se Teofrasto abbia trovato le corrispondenti parole greche in Anassimandro o se le abbia aggiunte come sua interpretazione: mi sembra che anche se le avesse trovate già scritte avrebbe dovuto interpretarle come se il tempo producesse una scansione periodica (e queste, naturalmente, sono 9. Così anche Dirlmeier, 1938, p. 90, rìferito a Solone: « Il tempo è solo un 'alleato' di Dìke >>. 10. Zeller, 1879, p. 831, nota 8. 11. Phys., IV, 11, 219 a 10, b 7. 12. Phys., IV, 14, 223 a 29 ss., b 12 ss. 13. Phys., II, 2, 194 b 13; Met., XII, 5, 1071 a 15 ss.; cfr. De gen. corr., II, 10, 336 a 31 ss. 14. Cfr. Phys., IV, 14, 223 b 24 ss.

23 le parole di Dirlmeier), ma Anassimandro non aveva certo pensato a ciò. Per comprendere questa oggettiva differenza dovremmo anzitutto aver presente quello che è comune ad entrambi, all'Anassimandro di Schadewaldt ed al Teofrasto di Dirlmeier e Heinemann: il

fatto, cioè, che l'ordine temporale ha origine dalla periodicità dei processi ciclici. In Anassimandro questo è l'equilibrio continuamente ricostituito di cui parlavo: solo dalla regola che esso segue (cioè

dìke, se si vuole la divinità) risulta l'ordine del tempo; è cioè questa scansione periodica che viene intesa anche come un ordine del tempo. Non diversamente in Aristotele: il tempo è un ordine ciclico dei movimenti celesti, e ci si manifesta come numero se in esso distinguiamo diversi « ora » 15 ; ed io attribuisco a Teofrasto la stessa concezione. In base a quanto ne ho qui riferito (ci sono altre pagine, almeno altrettanto importanti), la teoria aristotelica del__t~illJ?.o_Lima te.aria della misurazione del tempo. Ca-maggiore difficoltà di una simueleoriae;--come..iioio;·cfìe'·iilfii' fine la misurazione del tempo dev'essere ricondotta. a movimenti· la. cui uniformità è fuori. discussione, cioè ;;n:··Jeye··-~-s~oT~-;~r~~-ità~Iili~:::ni~i,ff~.ii1i··•~~~---~isyr__1gio11e.&~-rnR-o. I movimen.ti celesti nei quali secondo··"':Ai'.fs·fotele cogliamo il tempo soddisfano questa condizione. Essi sono eterni ed immutabili, sìa che ciò si fondi sul loro immutabile rapporto col Primo Motore (Met., XII), sia che si fondi sulla natura del quinto elemento, l'elemento celeste (De caelo, I). Il cielo aristotelico è un orologio._ Cioè: esso compie un movimento periodico; e nol. ci possiamo convincere dell'uniformità di questo movimento osservando come esso funziona. Come si sa, uniformità di un movimento si-gnifìca (nel caso più semplice) che in tempi uguali vengono percorse distanze uguali (oppure, in questo caso: vengono coperti angoli uguali). Se l'uniformità del movimento viene già dedotta dal tipo di movimento e dal modo in cui esso funziona, si può rovesciare la defi• nizìone: si dicono uguali quei tempi nei quali vengono percorse distanze uguali (o vengono coperti angoli uguali). Questo è quello che intendo per orologio: un movimento periodico che funziona in

modo che 1) nella definizione dell'espressione 'tempi uguali' e 2) nel confronto pratico delle durate temporali possiamo riferirci ad esso. La scienza classica della natura dell'epoca moderna è sorta, come si sa, differenziandosi polemicamente da quella aristotelica. Perciò sfugge facilmente ciò in cui entrambe sono concordi. Ma 15. Sulla distinzione degli "ora» vedi Phys., IV, 11, 219 a 23 ss.

24

J

I

solo a partire da questa concordanza la polemica diventa comprensibile. 11 tempo continua ad essere letto nelle stelle; ancora nel XVIII secolo il cfil?jtano ~ok __ E?!t~on sé un osservatorio pers_on_1;tle n~L,~uo viaggio g.tto_rno J!.L:!l}QP~@- (riferito poi da Georg Forster}, pe!:J?I~Y?L?._JLP..QI:t?.gg§1;::,;Lil... \:.9Xt~-.4~L~QQ__çrn.nametr:o. I I cielo rimane l'orologio rispetto al quale si regolano tutti gli altri orologi. Anche ora la loro uniformità dev'essere ricondotta al funzionamento dei movimenti celesti, che anziché nell'immodificabile ràpporto con il Primo Motore si esplica nella derivazione diretta da un movimento inerziale, che a sua volta viene da Newton ipostatizzato a « tempo assoluto, vero e matematico » 16 ; in questo modo il regresso della misurazione del tempo si arresta a quei movimenti. E, ancora, ogni altro movimento dev'essere misurato in relazione al tempo la cui nozione traiamo dalle stelle: il corso delle vicende umane, come di ogni altro accadimento sulla terra deve conformarsi a questo orologio. Certo, questo legame di tutto ciò che è terreno con il cielo non è più inteso come un influsso o una partecipazione - come sempre indiretta -, per cui, anche se è l'uomo a creare l'uomo, il sole contribuirebbe a ciò con la sua orbita ellittica. Infatti, il corso delle cose terrene è ora in certo modo identico al corso degli astri. Già Cicerone diceva di Archimede, il quale aveva costruito il primo planetario meccanico, riuscendo a stabilire mediante un ingranaggio rapporti numerici costanti nel corso degli astri, che così aveva fatto a suo modo le stesse cose del demiurgo di Platone, quando questo aveva creato il cielo 11 • Il tocco incrociato di Jost Bilrgi e il pendolo di Galilei danno al meccanismo un corso uniforme a!.!_!1!..Yf.t~~-!.~- ~?.stanza ~deL. r..appor~L nurp.erici (cioè la costanza non solo della proporzione rispettata nel meccanismo, ma anche delle gtandezze che vengono introdotte nella proporzione) 18 • Così il corso dell'orologio moderno è simile sotto ogni aspetto al corso degli astri: « l'immagine eterna, e che procede secondo il numero, dell'eternità che rimane nell'unità» (Tim., 37 d), che Platone riconosceva in esso 19 , viene raddoppiata nell'orologio. E con questo orologio misuriamo tutti gli altri movimenti. Riferendosi ad esso, lo ~volgimento delle vicende umane appare dominabile, anziché controllato dai movimenti celesti 16. Principia, p. 25. 17. Tusc., I, 63; cfr. Price, 1974, p. 57. 18. Posso rimandare solo sommariamente alla letteratura: Fraser, Lawrence (eds.), 1975, pp. 363 ss.; Maurice, Mayr (eds.), 1980. 19. Platone chiama tempo questo stesso movimento. A ciò replica Aristotele: ìl tempo non è identico a questo movimento; il tempo è soltanto il suo aspetto numerabile, e perciò dev'essere concettualmente distinto da quel movimento. Ma questa differenza non è importante per il nostro discorso.

25 e sottoposto al loro influsso; infatti, l'orologio dal quale esso viene dominato. è diventato fabbricabile 20 • Alla fine gli dei sono scesi di nuovo sulla terra, ed abitano in idoli ticchettanti. E tutto è pieno di dei; Talete avrebbe in essi i suoi amici. I rapporti umani devono essere espressamente regolati dall'orologio, invece il corso della na• tura Io segue spontaneamente. II mondo intero è originariamente un orologio; e se poi nel XIX secolo la metafora dell'orologio viene sostituita dalla metafora della 'natura come una macchina che la·fora' 21 , non possiamo mai dimenticare il regolatore che siede in cima alla macchina a vapore (ora divenuta paradigmatica): nella rappresentazione di una macchina che trasforma energia, e converte il calore in lavoro meccanico è sempre già contenuto il presupposto che questo movimento venga misurato in base ad un tempo sempre uguale, con il ben noto orologio. Nel XX secolo, infine, l'orologio atomico prende il posto dell'orologio meccanico, ~a questo non camb~lla__yJ:cchia-.§.u.2erstizione; .. infatti, .. la. sostitµzi.on~. av:v:imne soltanto dopo che i fisici ebbero rilasciato una fattura univer;;le per l'oscillazione dell'atomo e la rotazione degli astri: è pur sempre il o~èlogi. Tutto questo non c'entra con Anassimandro. ·Egli avrebbe respinto l'idea di fondo di tutto lo sviluppo successivo: che il corso sempre uguale degli astri è un'immagine dell'eternità, e che nel cielo nulla si trasforma. Circondato da vortici d'aria, il fuoco che vediamo nel cielo è solo uno degli elementi del mondo che combattono l'uno con l'altro, sopraffacendosi vicendevolmente. In esso non c'è niente di eterno; eterno è soltanto l'infinito (apeiron), il dk-dove e il verso-dove di una scansione periodka di. secondo grado, nella. quale i mondi nascono e muoforìo.Tnfattil'ordhie der··mondo-· il suo cÒrso periodfoo è transitorio. L'equilibrio continuamente ricostituito si sposta, fino a quando l'intero processo si dissolve nell'infinito, e dall'infinito sorge un nuovo kosmos 22 • I dettagli di questa rappresentazione sono difficilmente ricostruibili, ma questo non è nemmeno importante. Per me è importante solo la legge, 9~lla co_n:i:ri::n.$§?:ÌQ11~, di cui parl~ .AQ~$_sjmµn4rn; ... ne$Sttrl;'\ tiisgr~ssi.one: :·seQZf,l . ·1,11}fl P~n?, Dev'essere pagato il fio e la pena, e nulla di più. Il ritmo al quale ciò accade si impone da sé. Al di fuori di esso, non c'è nessun tempo rispetto al quale lo si potrebbe misurare, ma è esso stesso la propria misura. Solo recentemente i fisici sono pervenuti all'idea secondo cui PO..ti:.tb~e.. çsse,re,_ p_riv9 _di senso misurare il ç_9rs2.... P~r1Q_gi_ço

·tempo···asironomfco che· ricavia~~----d~•- questi-

·~on

O,-••

-

••

·e

,a-,,.

' '

~• w•Ou•••~•~~m•·••~-•> - la commedia è finita, l'{< all the world's a stage», « quella scena che è la terra intera >) 3 (Shakespeare 'traduce' Plotino!), ha finalmente terminato la sua paga la sua evoluzione ad un caro prezzo, cioè con un trapasso geneticamente programmato in una sola direzione e irreversibile, come tutti sanno. Se si volesse esprimere teologicamente questo stato di cose - poiché la morte è la paga del peccato (Rom., 6,23) bisognerebbe ricercare il peccato nell'evoluzione stessa. Ora, la vita umana non vive immediatamente nel cosmo, ma tra di essi, per garantire la sopravvivenza sociale, si è introdotta una terza istanza: la storia. Il suo « tempo» è incomparabilmente più giovane del tempo cosmologico e del tempo della vita. Fino a quando esso trascorse pigramente, non richiamò l'attenzione su di sé e poté tranquillamente inserirsi tra « alfa )> e « omega>>. Per chiarezza: il passo completo di Rom.,· 6,23 suona così: « Infatti la morte è la paga del peccato; ma il dono di Dio è la vita eterna in Gesù Cristo nostro Signore». Per questo rapporto della vita con la morte fondato sulla storia della salvezza, la storia profana è marginale; esso è circondato da un « tempo » per il quale Dio funge da fondatore e da amministratore 11 • La storia è un esame che ha come finalità l'accettazione o il rifiuto del Vangelo 12 • Infatti, come afferma Agostino contro la dottrina dell'eterno ritorno dell'uguale, che Cristo sia morto per noi è l'unico fatto nuovo nel tempo 13 , 10. F. Hund, Zeit als physikalischer Begriff, in The Study of Time, a cura di J.T. Fraser, F,C. Haber, G,H. Mliller, Berlin/Heidelberg/New York, 1972, p. 49. 11. Agostino, La città di Dio, tr. e commento di D. Pesce, La Nuova Italia, Firenze, 1974, XI, 6. , 12. K. Lowith, Weltgeschichte und Heilsgeschehen, Stuttgart, 1961, p. 154 (cfr. Significato e fine della storia, tr. it. di F. Tedeschi Negri, Ed. Comunità, Milano, 1979, pp. 149 ss.). 13. Agostino, La città di Dio, cit., XII, 14.

83 Con l'ìnizìo della cosiddetta età moderna, questo involucro teologico in cui era avviluppata la storia divenne fragile. La storia si estese e si allargò, fino a darsi a conoscere come il « nuovo dio», che detronizza con uno spintone i vecchi idoli. Essa si era sottratta alla cronologia messianica 14 , producendo il proprio tempo, in confronto alla cui mobilità anche l'allineamento al tempo cosmologico passa in secondo piano. « Il 'tempo' non è più la forma esteriore nella quale si svolgono tutte le storie; esso stesso, piuttosto, possiede una qualità storica. Allora la storia non si compie più nel tempo, ma attraverso il tempo. Il tempo viene dinamizzato, e trasformato in una forza della storia stessa » 15 • Questa scoperta di un tempo genuinamente storico va perduta con la fissazione concettuale del passaggio dalle molte storie all'unica « storia » negli ultimi trentacinque anni del XVIII secolo. La storia diventa concepibile come un movimento che avviene alle nostre spalle (Hegel), e, come tale, soggetto di sé stessa. Questo soggetto non è più, come prima, in balìa di sé stesso o di un disorientato su e giù, ma si proietta su una linea diritta: L'universo - dice Fichte - non è più per me quel· circolo che gira su se stesso, quel gioco che si ripete incessantemente, quel mostro che inghiotte se stesso per rigenerarsi nuovamente, come era prima: esso è spiritualizzato per il mio occhio, e porta l'impronta vera dello Spirito: continuo progredire verso una maggiore perfezione, lungo una linea diritta che va all'infinito 16 •

Per la ·{< vita » nella sua limitatezza biologica questa irruzione di un tempo storico sentito come « lineare » ebbe conseguenze rilevanti. Già Kant manifesta sorpresa di fronte al fatto che le generazioni più vecchie si affannano per quelle successive senza però poter prendere parte alla futura felicità che queste sperimenteranno 17 • Eppure, gli illuministi avevano bisogno di questa « posterità ». « La posterité pout le philosophe, c'est l'autre monde de l'homme religieux » 14. I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, AA, vol. VII, p. 194 ss. (cfr. Antropologia pragmatica, tr. it. di G. Vidari, rivista da A. Guerra, Laterza, Bari, 1969). 15. R. Koselleck, Neuzeit. Zur Semantik moderner Bewegungsbegriffe, in Studien zum Beginn der modernen Welt, Stuttgart, 1977, p. 279. 16. J.G. Fichte, Die Bestimmung des Menschen, Werke, a cura di LH. Fichte, voL II, Berlin, 1845, p. 317 (cfr. La missione dell'uomo, a cura di R. Cantoni, Laterza, Bari, 1970, pp. 180-181). 17. I. Kant, I dee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbilrgerlicher Absicht, AA, vol. VIII, p. 20 (cfr. [dea ... , cit., pp. 51-52).

84

dice Diderot 18 • ~< Amo le generazioni dei secoli f1,1turi )>, afferma Holderlin. La sua affeffrmazione mostra come la vita reagisse al tempo storico lineare: essa rivolse alla storia l'amore tolto a Dio. Futuro e posterità ricevettero un'aura religiosa. La storia non poteva sopportare tanto m;nore.

3. La caduta nel cristallo « Si, corri...corri pure, figlio del diavolo ... dentro il cristallo presto cadrai... dentro il cristallo! » Dalla venditrice di mele che lancia maledizioni nel racconto di E.T .A. Hoffmann Il vaso d'oro all'analisi marxiana delle merci il passo è breve. Si può supporre che Marx, che sperava ancora che « la società odierna non sia un solido cristallo, ma un organismo capace di trasformarsi e in costante processo di trasformazione>) 19 , abbia scritto contro la paura che questa società possa invece rivelarsi davvero un « solido cristallo >>. Quanto più ci distanziamo dai presupposti storici delle sue convinzioni rivoluzionarie, tanto più chiaramente appare ciò che esse erano: un tentativo geniale di soffocare un mostro nella culla. Nonostante queste premesse, rivoluzionarie, la consueta interpretazione del feticcio del capitale in termini di critica della cultura, avviata dal romanticismo, è fuori luogo. Non soltanto perché oggi non si può più pensare sul serio di rendere fluido ciò che è irrigidito e cristallizzato, cioè di riportare alla luce un rapporto « umano » nascosto sotto il rapporto di merce e denaro. Anche la lettura di Marx consente di liberare il concetto di « oggettivazione » dalle incrostazioni in definitiva storico-teologiche che lo hanno ricoperto nella problematica della reificazione e dell'alienazione 20 • Come tutti i fenomeni che si manifestano sull'asse del tempo, anche 1a caduta nel cristallo è irreversibile. Ciò che va osservato con interesse è come la vita reagisce al lavoro sociale oggettivato e universale-astratto. La vita reagisce - darwinisticamente - adattandosi. A questo scopo essa si impossessa della merce come di un feticcio, ma la utilizza in un altro modo, come si può leggere nel capitolo marxiano sul feticcio. Nella Filosofia della religione di Hegel il

18. D. Diderot, Oeuvres, voi. XVIII, p. 101; dr. C.L. Becker Der Gottesstaat der Philosophen, WUr,:burg, 1946, pp. 80 ss. 19. K. Marx, Das Kapital, 1867, p. Xìl (cfr. Il Capitale, a cura di D. Cantimori, libro 1, Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 34). 20. H.D. Kittsteiner, Walter Benjamins Historismus, in N. Bolz, B. Witte (a cura di), Passagen. Walter Benjamins Urgeschichte des XIX. Jahrhunderts, MUnchen, 1984, pp. 184 ss.

85

feticcio è rappresentato come l'« oggetto magico » con il cui aiuto l'uomo osa prendere parte alla lotta delle cose per il potere. « L'io è quello che produce l'incantesimo, ma è attraverso la cosa stessa che esso vince la cosa )> 21 • Leggendo Hegel di nuovo a partire da Marx: si possono interpretare le forme feticistiche del valore d'uso come reazioni della vita alla percezione dell'impotenza storica di fronte ai rapporti capitalistici. La « forza plastica )) della vita è molto più ridotta di quanto credeva Nietzsche. La vita non è una cate.goria che si contrapponga efficacemente al processo storico. Essa non si impossessa della storia, ma solo delle merci, e si salva nel loro design. La linea sfiora soltanto il cristallo del valore, di cui non si può disporre; ma lo fornisce di un potere magico. Noi viviamo entro un orizzonte tracciato più dalle mode che dai miti. Le mode - anche quelle intellettuali - sono quell'« atmosfera misteriosa» di cui ogni essere vivente ha bisogno per poter esistere. Esse sono il segnale della corazzatura nella quale la vita crede di poter combattere 1a battaglia con le cose. Nella moda la pelle del corpo si identifica con la pelle delle merci; se si distrugge questa difesa, la vita reagisce con comprensibile paura.

4. Adattamento, alleggerimento e paura Ma questo adattamento, che mette in grado di sopravvivere, ha il suo prezzo. Infatti, ogni adattamento - dice Ferenczi - è una morte parziale, la perdita di una parte di individualità 22 • Questa sarebbe proprio una parafrasi della vecchia massima secondo la quale il più saggio cede, o meglio, chi cede diventa più saggio. Tuttavia questo passaggio è doloroso, poiché sotto il dominio di un processo storico anonimo i soggetti non possono decidere a loro piacimento quando e dove devono ricordarsi di morire la loro morte parziale. L'incorporamento nel feticcio non è un atto di autoaffermazione, « non è un progetto cosciente, un programma esistenziale al quale l'uomo sottopone la propria esistenza in una situazione storica, e nel quale sono prefigurate le intenzioni dell'uomo riguardo al modo in cui egli vuole cogliere le sue opportunità )> 23. Alla formazione dei feticci concor21. G.W.F. Hegel, Vorlesungen ilber die Philosophie der Religion, Werke, Frankfurt, 1969 ss., voi. 16, p. 288 (cfr. Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di G. Bonuso e E. Oberti, Zanichelll, Bologna, 1973-74). 22. S. Ferenczi, Aphoristisches zum Thema Totsein-Weibsein, in Bausteine zur Psychoanalyse, Btrn, 1964, voi. IV, pp. 248 ss. 23. H. Blumenberg, Siifcularisierung und Selbstbehauptung, edizione ampliata e rielaborata di Die Legitimitiit der Neuzeit, Frankfurt, 1974, p. 159.

86

rono la storia coscientemente realizzata e l'inconscio. Il fatto che essi in una situazione caratterizzata da impotenza siano oggetto delle illusioni necessarie alla sopravvivenza si spiega con la loro forma fantasmagorica. In essa si manifesta, come in un caso ideale, il modo in cui le pretese del principio di piacere devono essere conciliate con il padroneggiamento della realtà. Il fantasma è il « prodotto di una sublimazione, operata mediante elaborazione secondaria, di una percezione e di una rappresentazione originariamente inquietante. Il fantasma nasce da una funzione congelante dell'inconscio - la rappresentazione irritante dovette essere raffreddata e sostituita da un'altra che non creava un così profondo disagio all'io» 2\ Il lavoro culturale per il rafforzamento dell'io, che costituisce anche un accesso privo di timori all'inconscio, almeno in una misura socialmente tollerata, si compie in relazione al feticcio delle merci, nella cui forma esteriore si sono condensate le immagini dell'inconscio, anche se deformate. L'appropriazione di parti dell'Es avviene per la via traversa della formazione di fantasmagorie. In questo modo i feticci delle merci consentono - conformemente alla liberalità della società - l'adattamento dell'io alla realtà. Essi lo alleggeriscono da una rivolta permanente, e lo mettono in grado di compiere lavori di riparazione della società e della storia, lavori coscienti, adeguati alla realtà ed equilibrati 25 • Questo equilibrio precario corre il rischio di essere spezzato quando a causa del brusco movimento del tempo si rendono necessarie formazioni feticistiche di una nuova generazione. Cristallizzazioni delle merci, modelli di pensiero, teorie ed immagini familiari allora scompaiono o improvvisamente non svolgono più la loro funzione. Questa distruzione genera paura. Nel ritmo accelerato della storia e nel rapporto tra tempo della vita e tempo della storia, da esso determinato, la vita è l'elemento inerte, quasi immobile. 11 salmista poteva ancora dire: « gli anni passano e noi dileguiamo» (Salmo 90, v. 10). Allora la vita era rapida, e scorreva attraverso un ambiente appena mosso, statico. Oggi, al contrario, l'invecchiamento biologico è lento in confronto al tempo delle forme che gli passano davanti in rapida successione. La vita è l'elemento regressivo che cerca di conservare la propria precedente condizione e non riesce a separarsi senza traumi dai suoi feticci di ieri. 24. M. Erdheìm, Die gesellschaftliche Produktion von Unbewu/Jtheit. Eine Einfilhrung in den ethnopsychoanalytischen ProzefJ, Frankfurt, 1982, p. 216, 25. Cfr. a questo proposito P. Parin, Das !eh und die Anpassungsmechanismen, in Der Widerspruch im Subjekt. Ethnopsychoanalytische Studien, Frankfurt, 1978, pp. 78 ss.

87 Questo processo dev'essere differenziato per classi. Ogni gene• raziom: ha elaborato determinate tecniche con cui abbandonare il vec• chio e cogliere il nuovo. In questo secolo l'intelligenza si è più volte dimostrata particolarmente pigra. Se non riesce a fornire adeguata risposta ad una spinta civilizzatrice, dà luogo ad una critica anti-illuministica che, semplicemente, rifiuta ogni adattamento in quanto compito della « vita ». Già Ferenczi ha notato che non è possibile adattarsi conformandosi all'ambiente senza avere allucinazioni com• pensatorie. Anziché diventare sismografi del nuovo, esse ipostatizzano il tributo richiesto a confronto di principio per la vita e la morte. Esse rimpiangono la « forza plastica » considerata perduta, tna non producono più plasticità.

5. Splendido mondo nuovo L'intelligenza sembra aver subìto il più recente schock da adattamento con l'irruzione della posthistoire, e alcune malelingue affermano che se la storia rovina soltanto la vita, la posthistoire rovina anche il pensiero. Eppure, l'idea di una post-istoria· non è tanto nuova. Quella che A. Gehlen azzardava come « previsione », cioè che la storia delle idee è finita, e che entro questa cornice andrà avanti ormai soltanto il progresso tecnico 26 , si può leggere - anche se ha un'altra motivazione - già in Leopold von Ranke 27 • Perciò non è così certo che la storia sia alla fine, ma ci si può chiedere -con Hegel quale « forma della vita }> sia invecchiata. Il discorso sulla posthistoire non sembra significare altro che la graduale consapevo• lezza che soltanto adesso siamo arrivati al capitalismo. Le « grandi 26. « Azzardo una previsione: la storia delle idee si è conclusa e ormai siamo entrati nella posthìstoire, cosicché il consiglio che Gottfried Benn dà al singolo: 'fa i conti con le tue condizioni' può essere esteso all'umanità in generale. Pertanto la Terra, nell'epoca ìn cui la dominiamo con lo sguardo sia dal punto di vista ottico che da quello della disponibilità delle informazioni, nell'epoca in cui nessun evento di una certa importanza può passare sotto silenzio, è diventata priva di sorprese, anche dal punto di vista menzionato ... Ma c'è progresso ovunque il funzionamento di una società ad alto sviluppo tecnologico e industriale necessiti della scienza». (A. Gehlen, V ber kulturelle Kristallisation, in Studien zur Anthropologie und Soziologie, Neuwied, 1963, p. 232). 27. « Non si dovrebbe parlare di progresso nella vita morale o religiosa degli individui, poiché essa ha anche un rapporto immediato con la Divinità ... Invece, si può parlare di un progresso per tutto ciò che riguarda la cono• scenza e il dominio de1la natura ». (L.v. Ranke, Vber die Epochen der neueren Geschichte, Darmstadt, 1965, p. 11).

88

narrazioni » della sinistra 28 cominciano a sbiadire; l'occupazione libidinosa del tempo storico, la sua acquisizione teleologica per un fine in ultima analisi filosofico-morale della specie umana è ormai estranea al processo reale. Nel lungo e movimentato periodo di transizione che parte dal 1789 ogni evento rivoluzionario sembrava avere un significato storico-universale, come se il corso della storia avesse potuto prendere un'altra direzione. Nel frattempo è diventato chiaro che anche dove la rivoluzione vince si assiste soltanto all'adattamento di un nuovo territorio, con le proprie specifiche condizioni, alle esigenze del mercato mondiale capitalistico. L'espansione del capitale nel mondo - come pronosticato da Max Weber - non è affatto terminata, così come non lo è l'affermazione interna delle società industrializzate; entrambe le cose non avvengono senza produrre eventi incisivi, ma questi eventi hanno perduto il loro fulgore in quanto parte della « grande narrazione>>. Nel generale regresso dal pensiero storico-filosofico al pensiero storico-teologico non può pertanto destare meraviglia se al posto della moda rivoluzionaria subentra quella apocalittica. Questo mutamento di posizioni può essere inteso come una ostinata reazione storico-filosofica: se la storia non si piega al nostro umano volere deve almeno scomparire. Lo strumento per questo scopo è già disponibile, le opportunità non mancano affatto. Se tuttavia non se ne fa nulla, questo non dipende dai teorici della tendenza alla fine del tempo. Dipende semmai da quelle classi e da quei settori sociali che si aggirano con grandi sacrifici nel labirinto costruito per loro e che in un'opposizione divenuta sublime trasformano anche la più recente generazione di merci capitalistiche in feticci della sopravvivenza. Chi vuole, può imparare: solo adattaidoci alla nuovissima configurazione della morte possiamo metterci nella condizione di apportare al processo storico correzioni rea• lizzabili nel quadro del possibile. Confrontata con questo compito, la vecchia maledizione espressa dalla critica della cultura è diventata una formula vuota: « Specialisti senza intelligenza, gaudenti senza cuore: questo nulla si immagina di esser salito ad un grado di umanità, non mai prima raggiunto » 29 • E in fondo cosa c'è di male? Per consolarci, un saluto dallo splendido mondo nuovo di Huxley: 'Tutti dicono che sono straordinariamente penumatica' rifletté Lenina 28. J.F. Lyotard, odipus oder Don Juan, ìn Das postmoderne Wissen, Bremen, 1982, pp. 128 ss.

29. M. Weber, Asketischer Protestantismus, cit., p. 380 (cfr. L'etica protestante ... , cit., p. 306)

89 battendosi sulle gambe. 'Straordinariamente'. Ma c'era un'espressione di pena negli occhi di Bernardo. 'Come della carne' pensava. Lenina alzò gli occhi con una certa inquietudine. 'Ma voi non trovate che sono troppo, troppo florida?, Egli scosse la testa negativamente. 'Proprio come della carne, molta carne'. 'Trovate che vado bene così?' Altro cenno del capo. 'Sotto ogni p~nto di vista?' 'Perfetta' disse lui ad alta voce. E tra sé: 'Si considera così da se stessa. Non le dispiace di essere della carne' 30 .

30. A. Huxley, Il mondo nuovo, tr. it. di L. Gigli, Mondadori, Milano, 1983, p. 92.

PIGRIZIA* di Gert Mattenklott

Il tema che qui trattiamo è una forma storicamente e fenomenologicamente particolare di scolorimento e svanimento: il tempo morente. È un tempo che trascorre e si consuma senza essere utilizzato: tempo stagnante (Faulzeit). Esso si presenta nel suo moderno significato al più presto verso la fine del XVIII secolo (e anche qui la ffe)Ua presenza è dubbia). Da allora esso entra come un'infestazione di funghi nel mondo coltivato, e dà origine alla dissoluzione dei modelli di comportamento e delle norme etico-sociali. Non si tratta di un tempo sprecato per qualche sottile piacere, ma di tempo trascorso con l'unico scopo di abbandonarsi al ristagno (Fiiulnis): pigrizia (Faulheit), quando si manifesta come una caratteristica durevole,. che si ripresenta o che incombe continuamente. La sua valutazione da parte di coloro che ne sono coinvolti va dall'evforia introversa e dal piacere acritico attraverso una debole messa in discussione di sé stessi fino ad una chiara .disperazione ed all'odio di sé. La pigrizia è il vizio considerato almeno a parole come il più spietato. II pigro non è altro che una non-persona, non è quasi più un essere umano, ma addirittura un bradipo (Faultier), l'animale fannullone. Solo per gli animali è ammissibile ciò che si permette il poltrone (Faulpelz) umano. Il pigro è semplicemente ripugnante, e questa impressione è confermata dal suo accostamento nei modi di dire con ciò che è malsano (faulig); ad esempio, in espressioni come faul wie die Sunde (pigrissimo; lett.: pigro come il peccato n.d.t.) o come stinkend faul (pigraccio; lett.: pigro da puzzare n.d.t.), l'aggettivo faul emana odore di decomposizione morale. Non è facile spiegare perché il pigro susciti una disapprovazione tanto aggressiva. Egli è perfino troppo sonnolento per essere aggredito. Certo, che uno non faccia nulla quando gli altri lavorano e sudano davanti a lui è abbastanza irritante. Ma la società borghese non

* Traduzione di Carlo Sandrelli.

91

tratta con la stessa rabbia tutti quelli che non fanno niente: non chi vive di rendita, indipendentemente dalla classe di appartenenza o dall'ordine di grandezza delle rendite, non i bambini né i vecchi, e in generale nemmeno chi_è inattivo, cosa che è estremamente signìrfoaTiva--per la distinzione che stiamo compiendo.' Se si possa supporre nella tranquilla tolleranza dell'inattività di chi vive della rendita di un capitale una segreta complicità con quello che ce l'ha fatta, una complicità dietro la quale si nasconde la speranza di poter fare altrettanta strada; se i bambini possano non essere ancora e i vecchi non essere più capaci di intendere e di volere; oppure se la pazienza. nei confronti di chi non fa niente possa essere giustificata come qualcosa da mettere nel conto della prestazione e del guadagno, del lavoro e del tempo libero: sono 9.:!:lestioni che certi nullafacenti filosofici _non si _pongono_ aff?tto,-·Perché? Essi devono. pur dare una spiegazione. E non è nemmeno necessario che questa sia al di sopra di ogni dubbio. Come può essere contestata la concezione della vita dello stoico che considera la tranquilla contemplazione come l'attività più degna dell'uomo, così può essere messa in discussione la concezione del moralista puritano che sostiene un'etica fondata sul lavoro, e considera rigorosainente sacra la domenica di riposo, per poter darci dentro con particolare energia il lunedì. Ma entrambi recano il segno della nobiltà di una ragione superiore. L~op:Eosità fa yart~ __ di_l,!.IJ,.PX()g~~~Itlfl 4i .vit~, e_ A9.!1.~ un_)empo non definito'. anche ~~-.J circoscritt9 e ddimiU'ltO solo come--tempo-senia· 1avoì:o:··Ar contrario·, questo tempo è addirittura circondato dalle più alte pretese: tempo di riflessione sul senso metafisico della vita per gli uni, tempo di dispiegamento non deformato della propria personalità, sia sotto l'aspetto intellettuale che sotto quello materiale per gli altri; per i terzi tempo di ristoro delle energie lavorative. La corona spetta però ai santi, che un filosofo della società cattolico di questo secolo ha definito « la più pura realizzazione dell'individuo creativo senza lavoro»: nessuna attività esteriore, poiché è tutto volto alla propria interiorità. Talvolta un'azione nel mondo esterno, ma senza comunicazione con esso, senza necessità causale: un miracolo. Infatti quella valvola che l'individuo intellettualmente creativo dovrebbe aprire per sé nel mondo degli atti umani, qui, nell'individuo spiritualmente creativo, è aperta nel regno interiore, dove gli eventi accadono in silenzio. L'atto scorre dall'oscura sorgente nel fiume oscuro. La mancanza di lavoro è questo atto, cioè la formulazione e la conservazione del puro principio di produttività; il

92 porsi come meta al proprio 2t1elito, il vedersi del proprio occhio, lo spiritualizzarsi della sensazione a1la sua origine. 11 santo non conosce alcuna professione (Profession), ma segue una vocazione (Beruf), cioè quella dell'inoperosità per la confessione. ... E il popolo lavoratore concede al1'individuo spirituale ciò a cui, nel caso dell'intellettuale, ha solo cercato di daf> è stato riconosciuto senza difficoltà un atto d'omaggio a Schopenhauer, e il 31° paragrafo del III libro, capitolo II, de il mondo come volontà e rappresentazione, intitolato Del genio, è stato giudicato un appropriato commento alla vita contemplativa di Stopfkuchen. Il genio poetico e filosofico, vi leggiamo, ha a che fare con la conoscenza delle idee dell'esistenza, che però non « si riceve in ab19. W. Raabe, Stopfkuchen, in Samtfiche Werke, a cura di K. Heppe, vol. 18, pp. 66 ss.; il passo citato è a p. 117.

103

stracto, ma solo intuitivamente». Mentre i semplici talenti devono accontentarsi della conoscenza discorsiva, il genio è dotato della facoltà di una conoscenza intuitiva: Chi possiede talento discorsivo pensa pm m fretta e più correttamente degli altri; il genio, invece, vede un mondo diverso da tutti gli altri, anche se solo guardando più in profondità lo stesso mondo che sta di fronte a loro, perché nella sua testa se lo rappresenta in modo più oggettivo, e quindi più limpido e chiaro.

Presupposto di una simile intuizione è l'emancipazione delle facoltà rappresentative dell'intelletto dalla volontà. Stopfkuchen è dipinto come una personificazione di questo genio schopenhaueriano, e precisamente in modo tale che il significato allegorico dell'individuo Stopfkuchen sì manifesta come il suo lato comico, e in questo modo è messo in rilievo il suo significato universale; infatti, non possiamo ridere di ciò su cui sorridiamo, ma dobbiamo invece riconoscere come « realmente » significativo il suo vero nome, Schaumann, celato dal nomignolo. Se il motto di Stopfkuchen è « Esci dall'arca », e nello stesso tempo veniamo a sapere che da quando si è sposato non ha più lasciato casa sua, sorridiamo per questa comica contraddizione. Ma le cose si contraddicono solo sulla superficie realistica, non secondo il loro senso. Infatti, « uscire dall'arca », · in base ad un segreto ordin_1!msn.tg_"4,el mon~:i_iiiq .~t,:tçhe_gy:eie.JJ.P signllicato-contrarlo- a-··-que)l.9_ c;h& . -4all 'i:m1rnrenza... i< .t~?U~tica »: cioè quello di rimanere nell'arca quando tutti corrono fuori e sf agitano. Il nostro eroe è grasso e pigro in un senso universale, poiché il suo rapporto con la realtà è completamente ricettivo, e sempre contemplativo. La sua pigrizia ed il suo appetito, con un nome più distinto, sono facoltà poetiche. Tuttavia, non ci si può nascondere che la sua esistenza è assolutamente miserabile, e ciò vale anche per la sopravvivenza dell'immagine del mondo del piccolo-borghese; questa è la più meschina variante di una vita poetica prodotta dal XIX secolo, definito perfino come una forma di atrofia. In ciò, la simbolizzazione del poetico si sottomette al mondo di questo romanzo, a questi tristi rapporti fondati sulla stupidità insensata e sul rancore, sulla millanteria, il pregiudizio, la malvagità, l'avidità e la sete di sangue. Alla domanda se non considerasse lo Stopfkuchen anche un'opera particolarmente riuscita del suo humor, il vecchio Raabe rispose velenosamente: « Macché, ho soltanto sistemato come si deve la canaglia umana » 20 • E Stopfkuchen, il pigro, loquace ge-

rt~iita-·

20. W. Raabe, da una conversazione con M. Adler: W. Raabes

«

Stopfku-

104

nio nella sua trincea? Isolato dagli odiati concittadini, tenuti a debita distanza da siepi spinose, e ritiratosi in un « confortevole disprezzo del mondo », è il figlio desiderato per la sopravvivenza di un'esistenza poetica nella società borghese, la figura di una rabbiosa rassegnazione che ·vuol conservare il suo humor e la sua compostezza, oltre alla consapevolezza che gli inetti e i fannulloni, gli emarginati e i deboli in fin dei conti non necessariamente devono essere sempre anche gli sconfitti. Finora, a ben guardare, ci siamo occupati solo della preistoria della pigrizia. Fin qui essa è nostalgia e sogno che si. realizzj_JJ}} cle~ siderio, _una corit!::()ig1magine e una rapprésenfazione··semÌseria dell'età dell'oro; occasionalmente è ritrosia e riluttanza, sempre di durata limitata, poiché la vita doveva essere guadagnata col lavoro 21 • Ora però si può prevedere la fine della maledizione di Adamo, e per qualcuno. è ·gia·a vvéiùbiie:··-La ·s"enza· lièeriza .viene ~ovescfat"a".da. caso a regola, Solo duecento anni fa erano necessarie ttecento persone addette all'agricoltura e all'allevamento per nutrirne altre mille. Oggi ne bastano venti. Nell'industria le cose non stanno diversamente. Anche se i progressi nell'automazione fossero lenti, già nel duemila potrà essere prodotta la medesima quantità di merci del giorno d'oggi impiegando solo il 75% della manodopera attuale; più realisticamente, se ne dovrebbe impiegare il 50%. Oggi, è vero, i robot saldano ancora più lentamente dell'uomo, ma lo fanno a tempo pieno e senza soste. Altre macchine superano già i loro predecessori umani nel tempo di lavoro relativo. La limatura delle teste dei cilindri nell'industria automobilistica oggi, senza l'intervento dell'uomo, avviene in modo due volte più veloce e con meno scarto. Inclusa la riserva occulta, attualmente il numero di disoccupati i11: Fèdért1le sL aggirà ?tJqiµq ai quattro lfoni. Essi potrebbero essere impiegati solo con· un tasso di crescita del 6- 7 % annuo, senza tener conto dell'ulteriore l'iduzione di posti di lavoro prodotta da nuove automatizzazioni. Un tasso di crescita tanto elevato non solo è illusorio, ma costituirebbe anche una catastrofe ecologica. Pertanto, il numero dei disoccupati aumenterà in continuazione. André Gorz cita un rapporto commissionato dal ministero dell'industria britannico all'università del Sussex. Secondo

ecce~iÒ-~ale

··cèrm~ni._a

·provocazlone

rnj-

chen », Wissenschaftliche Beilage des Programms Nr. 346 vom Salzwedeler Gymnasium, Ostern 1911, p. 3. 21. Ulteriori materiali su questa preistoria in G. Dischner, Friedrich Schlegels « Lucinde )> und Materialien zu einer Theorie des Mii{Jiggangs, Hil- ·· desheim, 1980; cfr. anche G.K. Kaltenbrunner, Faulheit und Revolution, « Zsch. f. Re!igions-und Geistesgeschichte », XVI (1964), pp. 141-167 (su Lafargue).

105

tale rapporto, entro il 1990 la microelettro.Qlg_t_toglierà~Jaygr9_.a qu!!t\'Q__o..cinqJ.!J/. Jn1UQni.AiJ~gI~_~i, « se la divisione e la durata del lavoro non saranno radicalmente riviste>> 22 • Il rapporto sulla situazione della Repubblica Federale Tedesca calcola che a media scadenza verrà colpito dalla rivoluzione elettronica dal 40% al 50% della popolazione attiva, mentre quasi la metà di tutti gli investimenti mir.a al risparmio di posti di lavoro. Mentre prima il tempo libero. er~.-~9J.tanto,_Jt margine di. tempo che sep?.i:a.Ya j gtornr.Tavorativf;·· ò"ra .as_su"me proporifoni -"moffo" pJ(i'_ :iiifo, e, J11y~ç~ . i.l. _lavoro dfyé.tità-i.tna Ernif ha rintracciato questa prognosi già profeZfa':filosofico-culturale di Cari Hilty, del 1890: « Di solito, un principio si sviluppa fino alle sue estreme conseguenze, per poi rovesciarsi nel suo contrario. E allora, se l'Europa sopravviverà, dovrebbe attenderci d:(n"-secolcrctJgf?nde pigrizia·; di cui, del resto, abbiamo già qualche tràèda » 23 • A parte. il suo hegelismo. questa affermazione è valida ancor oggi: e lo è pienamente. Dopo la fine della prima guerra mondiale, durante la quale milioni di forze lavoro erano state sottratte alla produzione e sostituite da un'organizzazione ottimale, senza che l'approvvigionamento avesse a soffrirne, Bertrand Russel constatava già che la sopravvivenza del lavoro otrr:.~L .t .t~~nziajm~nte___ .J,!n____ p_rql;ilslwa_ ~i_ 9r,g_zg1j_:q;_a~!Q:tlf 24 • ---·~Dunque, ciò che per millenni era stato ardentemente desiderato, si realizza solo come una conseguenza oggettiva che - per esprimersi un po' enfaticamente - nessuno ha motivo di volere. Essa si manifesta inesorabiimente come P.~~Iit:!.....dLh1._y.9ro. Il significato epocale dell'esaurirsi del lavoro viene però tenuto semin...asco13to_dacondizfoni che se111.~!1.lQCl ~ta_.t~__iq_:i:a,ppqi;tg=~on~fa~linamica.. tecnica che è il veicolo della creazione di lavoro. Diesendruch le ha descritte nel 1917 nel suo saggio per Summa di Franz Blei. Secondo questo autore la pigrizia può essere ed è perfino ordinariamente piacevole nelle con_dizioni della tecnicizzazione; la tecnica risponde al tempo che si prolu_~~---l}()i()s~~~nt: ___ e_ _ ~~~!_1'~ =~-~!1_:la_. po.r~8:!~- g.i~:n.:If~cl~ li:Csua riduzione e còn l'aumento della sua tensione e concentraz10ne: « Essa tende alla riduzione>>, per questo porta al miriimo

in Ùna

-merce·'rifri:

Benz

--~~-~~'.con

22. André Gorz, Das goldene Zeitalter der Arbeitslosigkeit, in Abschied von Proletariat, Frankfurt a,M., 1980, p. 125 (tr. it. dall'originale francese: Addio al proletariato, Edizioni del lavoro, Roma, 1982). 23. Cari Hilty, Das Glilck (1909); cit. da E. Benz, Das Recht auj Fau/heit, cit., pp. 1O ss. 24. B. Russe!, Lob des Mu{Jiggangs (1935). Sulla problematica psichica della disoccupazione cfr. B. B1och, Psyco-soziale Folgen von Arbeìtslosigkeit (con bibliografia), in « Frankfurter Hefte }>, 39 (1984), H. 8, pp. 24-32.

106

il tempo dei singoli processi, e congiunge

i tempi delle singQ_le parti del processo 'naturale', coordinandoli con precisione ed eliminando, per quanto possibile, i_ teml'!. morti_ cl_l.tJPJl!lkDJ@o. Ma a tutto questo è anche connesso l'aspetto negativo per cui con la crescente compressione dell'azione H_t~~IJ9 _ viene __ semprep)ù __frazionato, anche se con il van• taggio che ogni frazione ha una produttività pur sempre maggiore del precedente tempo più lungo. Le conseguenze negative di un'eccessiva lunghezza dei singoli processì sono eliminate, ma sono anche sostituite dalla sempre maggiore difficoltà di una catena di processi i cui anelli, raggiunta autonomamente la propria compiutezza, diventano sempre più numerosi ed entrano in collisione l'uno con l'altro. Al posto degli attriti interni alle singole componenti subentrano conflitti che coinvolgono nella 19E'?..J9t!J:UtàJ. processi produttivCevffalCE qul sta il motivo dell'enigma per cui la tecnica, ·che lavoro - quel solerte affaticarsi allo smembramento del tempo -, alla fine richiede più lavoro di prima. Di artigiani ce n'erano gruppi; di operai ce ne sono masse. La tecnica non è andata alle radici, ma si è limitata a porre un rimedio 25 •

purè risparmià'

Le cose non stanno più in questi precisi termini. Il lavoro « che pone un rimedio », e che ha a che fare con le conseguenze della tecnicizzazione, ha sempre meno bisogno dei lavoratori. Non ci si può più attendere che, così come spesso si ipotizzava, l'aumento dell'occupazione nel settore terziario possa compensare o superare il calo nel primario e nel secondario: tutte le inchieste e le ricerche pubbliche e private condotte di recente sulla 'rivoluzione dei microprocessori' giungono alla conclusione che come conseguenza dell'automazione il numero di 'colletti bianchi' sarà ridotto altrettanto drasticamente che quello dei 'colletti blu' 26 •

Da una statistica (che si fonda su questi dati) si ricava che a partire pressapoco dal 1975 il tempo libero ha superato per la prima volta, in cifre assolute, il tempo effettivo di lavoro. Tuttavia, è sorprendente che la metà di coloro che esercitano una professione o un mestiere in Germania Federale dia il medesimo valore alle « ore di lavqro » ed_ al tempo libero, come dimostia-T'annuario. demoscopiè~ Allensbacker dei 1983. Il numero di coloro che danno più valore al tempo libero che al tempo lavorativo, con il suo trenta e oltre per cento è aumentato di un buon cinque per cento rispetto a dieci anni fa, ma la reazJ911_ç 11,l_nygvg __ t~:gipQ gt1,aci_:J,gQfàJO. .,,non . .è... affatto euforica. ESso viene spesso trascorso come tempo di. attesa, come 25. W. Diesendruck, op. cit., p. 124. 26. A. Gorz, op. cit., p. 124.

107 l'altra metà del lavoro. La statistica lo cita sotto la voce « occupazioni ex:tralavorative », ma sarebbe più corretto parlare di « lavoro del tempo libero »: giardinaggio, viaggi in auto, cura e manutenzione dell'auto, ~< pranzi fuori casa>}. Tra i più giovani, al loro posto subentra una mobilità senza regole. In effetti, nonostante la diminuzione di lavoro, ~ p o s s o n o sempre essere molto impegnati, ma più che di un vero e proprio lavoro si tratta di un'attività: ad esempio, il confronto dei differenti dati elaborati dai computers, o l'adattamento dell'apparecchio elettronico alle prestazioni più raffinate e razionali. Già oggi a_b:_1!.nL~E~ quasi completa!!lynt~__ i\}.§Qil:iJti dalla ge_~!h:me d~gl.L ...§Jni_menti che dovrebbero . rendere loro la vita pflt~H~éni,. quei video:freaks ~éhe···soiio ·sempre·· occupaiT· i "r"e~ gfstrare nastri filmati, la cui proiezione richiederebbe l'intero tempo di una seconda vita, mentre il tempo della, prima si esaurisce nella _ registrazione e nei suoi preparativi tecnici. La nuova pigrizia è posta/ in genere sotto il segno della tecnica: come prodotto della raziona-I lizzazione tecnica, o come una delle mille tecniche di distrazione,\ un'attività del genere di quelle appena descritte può significare sol-\ • , • K tanto pigrizia. Il tempo che ristag~ (faulende Zeit), il tempo che muore, Io vediàmocliiaramente, può anche essere, in determinate situazioni, tempo ridotto, che non ha soltanto perduto ogni dimensione in cui si esplica un'attività, ma che oltre a ciò ha Ìosgffimlo su··s·e··'sfèsso piecliisO dàJfa ··s'fniufazione del lavoro. La pigrizia non deve necessariamente essere sempre quel caos sgradevole di resti di cibo, letti da fare, polvere e letargia, non deve necessariamente presentarsi in questa versione romantica e bohèmienne. Può anche insinuarsi nell'ordine meticoloso del piccolo: matite appuntite, fogli per appunti messi in un angolo, un luogo di lavoro predisposto con cura e zelo in modo esteticamente o tecnicamente perfetto. Ma qui Ja volontà si___esaurisce _completamente ___ ne!_p_!.ccolo. In questo caso la pigrizia, che fa l'effetto di una massa appiccicosa di colore sgradevole e di ripugnante densità, che paralizza e soffoca ogni impulso vitale, non è soltanto la lussuria edonistica di chi gode a sazietà. :B piuttosto un oziare (Faulenzen) meschino, con la coscienza troppo sporca per poter godere, e con troppo amor proprici per abbandonarsi completamente alla forza letargica. Ognuna di queste _mic_rnfs1~S:Yndç_Jmitft un'attività, ma tutte quante sono-sospese come piccole nullità sull'~Ì::ÌÌsséì deÌla pigrizia. La grande azione in sé compiuta, l'opera concepibile vengono atomizzate, ma perciò anche svalorizzate. Infatti, l'agire ridotto non diventa soltanto pratico, ma perde anche una sua dimensione. La qualità si modifica impercettibilmente con il calo del-

~ome

108

la quantità. Così dalla testimonianza di una _Y.clQUt~ di fare giungono indizi di pigrizia. Questa non è necessariamente la letterale mancanza di movimento pratico. Può anche designare la relazione con un'azione che si può prevedere o che è attesa. L'inoperosità, per riportare il confronto su questo piano, sarebbe il temporaneo scostarsi dal lavoro come professione nel tempo guadagnato per farne l'uso che si preferisce. La pigrizia rifiuta, semplicemente, il lavoro, anche quando è affaccendata in qualcosa, per ingannare sé stessa o qualcun altro. Se questa rinuncia sia il risultato dell'obiettiva mancanza di senso di tutte le possibili azioni o>, per salvare per sé l'autonomia delle t~orie. « Tuttavia il risultato non si condensa in forme stabili di autoconoscenza intersoggettivamente certa. Così non si produce alcuna verità. Così si produce dinamica». Il movimento pedagogico credeva di puntare in una direzione. Esso doveva la sua forma di sistema educativo del Moderno ad una cara ideologia: « Tutto ciò che é umano deve prima divenire, e crescere e maturare, e il tempo formativo lo porta di figura in figura)>, si legge nella poesia Gliick di Schiller. Nella misura in cui questa ideologia viene fatta propria dalla società, la pedagogia trova delle motivazioni per il suo agire, in particolare nel senso di riforme sociali. Essa aiuta a spezzare quei circoli nei quali si irretisce la vita delle generazioni che si susseguono: il figlio prende il posto del padre; quando è diventato adulto, ricostituisce di fronte alla morte l'ordine della vita. Questo non era il modello della pedagogia, essa non pensa per cicli; essa si attende che la vita del singolo e quella della società si trasformino « di figura in figura », e progrediscano sino all'umano, e che ciò si manifesti per il singolo come per la società entro i limiti di una generazione. Questa costruzione dell'educazione, che si chiama pedagogia, una volta resa attuale deve riprodursi regolarmente. Conformemente alla sua struttura teleologica, questo non può avvenire come riproduzione di una esperienza pedagogica prima accumulata; la cosiddetta prassi scolastica o prassi didattica, così come gli approcci scientificamente garantiti alla comprensione dei processi edu~ cativi, nella forma della loro generalizzazione scadono a semplice routine, a « tran-tran da novantenni », L'oggetto della pedagogia, il

129

muta, così come Lyotard caratterizza la teoria: « essa si circondò di silenzio », la teoria consiste solo nel suo gioco linguistico « e}>, probambino ed il suo futuro, richiedevano un modo di procedere anticircolare. Il sistema educativo dovette essere costantemente rinnovato, riforma dopo riforma, e questo valse anche per le teorie dell'educazione che esso produceva. Perciò il discorso pedagogico e ciò a cui esso dava luogo costituiva un elemento propulsivo dell'evoluzione sociale. La pedagogia trasformò effettivamente il sapere generale su quell'accadere che, in quanto riproduzione, trasmissione ereditaria, successione di generazioni e storia rende possibili le attese umane relative a una vita futura, e come sapere istituzionalizzato trasforma questi medesimi processi. Quanto a ciò, i pedagoghi si sono sempre concepiti e rappresentati nelle loro attività chiamate 'riforma', come se simili trasformazioni fossero processi pianificabili, dal rapporto madre-bambino e dalla politica educativa attraverso l'operazionalizzazione degli obiettivi didattici di una lezione, sino all'allineamento del livello tra gli strati sociali. Mi sembra problematico stabilire quale possa essere stato il soggetto dell'agire pedagogico nelle ultime dieci generazioni; io penso però, e questo è il tema del mio intervento, che in .questo arco di tempo si siano verificate delle trasformazioni nelle quali si può scorgere una direzione, una tendenza.

2. La pedagogia scopriva, distruggeva e costruiva La sostituzione dello schema ciclico padre-figlio mediante lo schema teleologico maestro-scolaro riflette ciò che è avvenuto nel cuore del processo educativo: il bambino non è più pensato, come finora, come ultimo anello di una catena, ma è liberato e corre verso il suo futuro. Dal bambino della pedagogia devono essere distinti i bambini che i pedagoghi incontrano, e si attendono di incontrare nell'ambiente reale. Tra il bambino come grandezza, standard, elemento di un calcolo pedagogico ed i bambini empirici ai quali il calcolo si riferisce sussiste necessariamente una differenza; la pedagogia e le sue scienze sussidiarie, dalla psicologia alla tecnologia didattica, cercavano mezzi e vie per scoprire e sviluppare ulteriormente i bambini (e i maestri) come casi singoli del bambino (e del maestro). la coppia concettuale conoscenza e costruzione (o scoperta e distruzione) designa i poli tra i quali si muove l'educazione moderna. Dispensata dalla ripetizione del mondo familìare; essa entra nel vortice della scoperta. Emile viene per prima cosa interrogato, e qui si mostra cosa ciò significhi. Quindi egli viene educato e di nuovo interrogato ed

130

educato, e così via; o, come voleva Baudelaire: « plonger ... au fond de l'Inconnu pour trouver du nouveau », immergersi nel profondo dell'ignoto per trovare il nuovo. Il nuovo? Sì, nella misura in cui nel mondo di questa società l'originario deve apparire come nuovo, profondamente radicato e promettente. Gli appelli del movimento pedagogico compiono continui tentativi di por fine ad una dannata condizione dopo l'altra. I pensieri dei padri facevano parte del mondo che bisognava superare, o, meglio, distruggere; i fondamenti della cultura non erano rappresentati mediante i simboli di cui si disponeva, ma potevano essere immaginati sotto la superficie: nel bambino. Tuttavia, la pedagogia non voleva affatto produrre un mondo, e lo proclamava con particolare insistenza. Poiché la nostra cultura, questa è l'immagine che se ne faceva la pedagogia, si era completamente allontanata dagli irremovibili fondamenti e dai modelli fondamentali dell'umanità realmente validi, questi potevano essere rinvenuti nei loro bambini: tribunale mondiale retto dal bambino, il bambino divide gli spiriti. Andersen istruiva i suoi contemporanei: Cos1 l'imperatore andò in processione sotto il baldacchino e tutti gli uomini... esclamavano: 'Dio, come sono belli i vestiti nuovi dell'imperatore ... , come gli stanno bene!' ... 'Ma non è mica vestito!' disse ad un certo punto un bambino. 'Santo cielo, ascoltate la voce dell'innocenza!' disse il padre, e ognuno sussurrò agli altri quello che aveva detto il bambino ... 'Ma non è mica vestito!' esclamò infine tutta la gente. Oggi, separare lo spontaneo dall'artificiale in qualsiasi uomo odierno significa distruggere lui e la sua cultura. Questo per conoscere una condizione che non c'è più e della quale - al di là del movimento pedagogico - supponiamo che non ci sia stata e non ci sarà mai, ma nella quale sembra che continuiamo ancora a riporre qualche speranza, come dice Lévi-Strauss: >, , ma per l'autentico scopo dell'educazione c'è bisogno del maestro di scuola che trasmette la formazione elementare, che, se riesce, può essere definita una « rinascita umana». Questo chiaro riferimento alle promesse del sacramento del battesimo si trova anche in Hegel: La formazione elementare della natura umana è l'educazione della nostra specie all'amore, non però l'educazione ad un amore cieco (K.W.: che dà luogo alla nascita dalla madre), no, questo no, essa è un'educazione della natura umana all'amore spirituale,

cioè una rinascita. Così alla pedagogia viene assegnata una posizione straordinaria, e si solleva un'ondata di speranze. Wilhelm Liebknecht trasformò la sua associazione per la formazione dei lavoratori in un partito operaio, e nonostante il fallimento dei suoi tentativi di riforma in politica e nella politica scolastica, ancora dieci anni dopo il crollo della monarchia imperialregia l'ex ministro dell'istruzione Otto Glockl dichiarava: Abbiamo visto sorgere una serie di nuove repubbliche democratiche, ma spesso queste repubbliche democratiche sono soltanto una cornice. Dobbiamo ancora produrre il contenuto, cioè dobbiamo educare uomini dalla mentalità democratica ... Ai giorni nostri Heydorn ha concepito la strada della pedagogia come quella di un'avanguardia dell'umanità. Secondo la sua idea l'insegnamento non ha seguito a una certa distanza lo sviluppo culturale generale, come si potrebbe considerare naturale, ma questo rapporto si è rovesciato. Berthold Otto chiamò il suo tentativo « scuola del futuro», Ferrer legò la sua scuola al concetto del Moderno, e questo immediatamente dopo che Ellen Key aveva dichiarato: Le singole .riforme della scuola moderna non significano nulla fino a quando attraverso di esse non si prepara coscientemente la grande rivoluzione, quella che distrugge completamente l'attuale sistema, del quale non lascia nemmeno una pietra sopra l'altra. Si, dovrebbe verificarsi un diluvio universale della pedagogia, nel quale l'arca potesse contenere· soltanto Montaigne, Rousseau, Spencer e la moderna letteratura sulla psicologia infantile!

137

Cìò che è stato sinora, ciò che precede la pedagogìa vale solo come preistoria, il fanciullo sta sempre sulla soglia del futuro, in lui i pedagoghi scoprirono l'umanità bambina: Frobel la riconobbe nella sua interiorità, Pestalozzi nel suo riso, Hegel nel suo grido, e l'autore di 'Guerra e pace' diceva che lui doveva imparare a scrivere dai figli dei contadini, non loro da lui.

5. La pedagogia superò la successione delle generazioni La pedagogia sorse in contrasto con la successione. Quando ancora sussistevano le condizioni economiche ed i rapporti di potere dello stato dei ceti, la pedagogia attirava già con la diseredazione dei poveri e dei ricchi, dei neri e dei bianchi, dei credenti e dei pagani. Chi si muove in queste grandi fantasie (di onnipotenza), inscena anche il proprio fallimento; in effetti non c'era bisogno del sistema di governo tradizionale, del proprietario capitalista, delle masse incorreggibili per disperdere in mille rivoli e far rifluire questa ondata intesa come diluvio universale. Anche se la corporazione dei maestri non si fosse affermata con le immagini corrotte della propria crescita (daj tempi di Bernfeld sappiamo che il maestro ha a che fare sia con il bambino che gli sta davanti sia con quello che è in lui), la pedagogia appariva condannata al fallimento, e con piacere. Il fallimento con tinuo delle sue attività fa parte di essa, è paragonabile ad un destinc di nevrosi. Nell'arco di tempo di questa successione di dieci generazioni nel quale operò, essa ripeté le proprie esperienze, rimase pervicacemente ferma allo scenario della scuola, mutato solo in apparenza, fraintese quello che vi accadeva secondo formule sempre diverse, e tuttavia secondo la stessa regola di pensiero: il processo di miglioramento, o di apprendimento del bambino è condotto in nome di un, si vede confermato che la coscienza è essenzialmente coscienza comune (Mitbewuf3tseln). che l'educazione all'autonomia è stata una strada sbagliata, che è giusta un'« educazione al vivere insieme (Mitsein) ». Esigenze morali, dunque; il movimento pedagogico cerca di ritrovare un nuovo slancio. Esso è diventato un'istituzione, e non vuole ritirarsi. La formula del « tempo aperto», quella di un « mondo del divenire>>, che contiene ancora tutto, e quella del « mondo temporalmente aperto», queste formule mi sembrano però applicabili a soggetti finiti. La finitezza degli individui - padre, figlio, insegnante, scolaro - esclude una simbiosi con tutti i sistemi viventi attraverso un atto intenzionale di volontà, ma questi atti sono pur sempre considerati possibili e necessari per l'agire pedagogico; un sistema educativo privo di soggetto non sarebbe più un sistema pedagogico. Tuttavia esso è possibile, e forse storicamente ricostruibile, e a questo riguardo forse le autorità citate avrebbero senz'altro qualcosa da dire. La mia ipotesi va in questo senso: gli sguardi retrospettivi al movimento pedagogico lo hanno mostrato coinvolto in sviluppi che non superano i suoi ele1,11enti in quanto appartenenti al passato, ma li con-

142

tengono in modo oggettivamente durevole. Il movimento pedagogico era una condizione transitoria del sistema educativo; la sua presenza ci rimane manifesta in una cultura scolastica, nel rapporto di scambio con la scienza, l'arte e la sfera della produzione; inoltre, esso reagisce ancora allergicamente ai disturbi dei suoi legami latenti con le modalità della riproduzione vigenti nella società. Se questo processo generale potesse essere inteso nel senso di una storiografia non antropocentrica, i concetti temporali della pedagogia diventerebbero superflui per la sua interpretazione.

SACRIFICIO DEL TEMPO: DAL CALENDARIO PERPETUO ALLA QUOTIDIANITA DELLE SCADENZE'~

di Dietmar Kamper

Le scadenze sono punti del tempo fìssati sul calendario. Si parla, a ragione, del « grigiore » della loro quotidianità. In essa si vedono molti uomini che, impalliditi per la mancanza di tempo, percorrono in fretta luoghi illuminati artificialmente, per essere comunque puntuali. Il ritmo del frettoloso passaggio di scadenza in scadenza dai tempi di Napoleone è stato costantemente accelerato. Forse qualcuno si ricorda ancora del perdigiorno che all'inizio della primavera se ne stava sdraiato nel prato di fronte al mulino di suo padre, senza fare nulla. Ma, ora come allora, non esiste più alcuna seria difesa. La mancanza di colore nella quotidianità, una contraddizione stridente rispetto al succedersi delle stagioni e dei giorni lavorativi e festivi, fagocita ogni elemento variopinto, con il quale - secondo la leggenda - una volta gli uomini trascorrevano il tempo. Come può essere spiegato un atteggiamento così ambivalente, che fa soffrire, anche se presuppone (almeno negli uomini) un tacito consenso? L'ipotesi illustrata nelle seguenti dieci tesi, può essere sintetizzata così: Nel rapporto dell'uomo col tempo si possono attualmente scorgere i tratti di un « culto sacrificale » che vttole allontanare la fine incombente del tempo mediante un raddoppiamento mimetico, cioè con l'uccisione del tempo o con la sua distribuzione organizzata, oppure con l'esagerazione delle scadenze,

Spero che quanto di azzardato può contenere questa ipotesi corrisponda all'effettiva follia del fatto da spiegare. 1. Ogni economia - secondo la profezia di Karl Marx - diventa alla fine economia di tempo. Ciò non era inteso soltanto nel senso di una riduzione del tempo di lavoro, ma anche nel senso di una regìa * Traduzione di Carlo Sandrelli.

144

economica del tempo, di un {< ordine » dei tempi, le cui rispettive legalità dovrebbero essere rìcostruite come razionali. - Uno sguardo retrospettivo agli ultimi centocinquant'anni mostra tuttavia una tendenza che contrasta questa ipotesi di una cronopolitica razionale, secondo il modello dell'economia: quanto più tempo è stato risparmiato, tanto meno ce n'è. La diffusione della formula « il tempo è denaro » non ha affatto comportato che quelli che hanno soldi abbiano guadagnato tempo. L'esito dell'abbreviamento delle vie non è stata una maggiore disponibilità di tempo, ma soltanto una sua riduzione. L'intenzione di dominare il tempo come lo spazio portava ad un risultato paradossale: il tempo diminuisce, il tempo svanisce, il tempo muore. 2. La paradossalità di una simile economia del consumo di tempo è riscontrabile anche nella quotidianità delle scadenze, nel calendario zeppo di impegni, nel corso della vita dei singoli individui, ed in circostanze tali che anche nei convegni sul tempo il tempo è estremamente limitato; tuttavia, essa può essere riscontrata più chiaramente considerando il destino globale ed orbitale dell'umanità. Le due guerre mondiali hanno completamente sincronizzato il mondo. Quasi tutti gli uomini vivono sotto. la pressione di un unico tempo. Esso non consiste in nient'altro che nella lieve differenza tra il primo e il secondo lancio di razzi micidiali. La cronopolitica della Terra era ed è in primo luogo di carattere militare. Ciò risulta dalla connessione tra potere e accelerazione. Solo chi è più veloce - si dice - può vincere la guerra. Il tempo accelerato è tempo di guerra. Ma, al giorno d'oggi, la guerra è autoannientamento, 3. Il fatto che sia impossibile volgere a proprio favore questa guerra rende completo il paradosso. Esso può divenire ancor più stridente con il mantenimento delle strategie tradizionali; ma ciò conduce necessariamente alla reciproca immobilizzazione delle superpotenze ... o aUo scoppio della guerra, che renderebbe terribile anche la sopravvivenza, Tutto dipenderà dal guadagnare tempo all'ombra di una catastrofe così sospesa, senza però che finora sia chiaro come ciò possa avvenire. Infatti il panico prodotto da questa situazione finirebbe sicuramente nel cortocircuito dell'economia delle soluzioni razionali dei problemi, che ha ormai dimostrato la propria impotenza di fronte al tempo. Forse ciò può riuscire per mezzo di un'intensivizzazione dell'insicurezza e - poiché l'utilità non è d'aiuto - per mezzo di alcune questioni « inutili ». Le prognosi di pensatori così diversi come Leopold Ziegler, Martin Heidegger, Rudolf Kassner ed · Eugen Rosenstock-Huessy accennano ad un passaggio storico-univer-

145

sale dalla fissazione degli uomm1 nello spazio ad una comunitarietà fondata sul tempo (Zeitgenossenschaft). Secondo quest'ipotesi, l'umanità si libererà dall'originaria identificazione con i territori per pervenire a nuovi legami partendo dall'esperienza del tempo planetario. Il paradosso del tempo morente - se non si tratta di qna fine - sarebbe dunque il passaggio per la cruna di un ago? 4. Devono tutti i tempi essere ridotti ad uno solo, cioè a quello linearmente accelerato, perché diventi possibile una crisi del primato dello spazio e del tempo? È davvero necessario un sacrificio a questo tempo degli orologi e dei cronometri, alla quarta dimensione del continuum spazio-temporale delle scienze çlella natura? Ma cosa sarebbe il tempo se non la sua misurazione? J?, chiaro che non è sufficiente sottolineare la differenza tra il tempo misurato, che determina la quotidianità delle scadenze, ed il tempo ciclico del calendario astronomico ed astrologico, che struttura gli anni grandi e piccoli in base all'eterno ritorno dei ritmi delle stelle, della Terra, della vita. Rispetto all'ipotesi formulata, questa differenza, che da qualche tempo suscita molta attenzione soprattutto nelle scienze sociali, non è incisiva come lo è l'elemento invariabile e continuo di un· possesso del tempo che è volto contro un caos pretemporale, e che esorcizza la minaccia di una sua irruzione catastrofica dall'esterno per mezzo di sacrifici, cioè di « piccole » catastrofi. 5. Proprio questo è ciò che Leroi-Gourhan definisce la « puntualità del sacrificio », una cronopolitica che nasce solo circa diecimila anni fa, con la cultura delle comunità stabili, e che vuole ostacolare il trascorrere del tempo inscenando interruzioni, feste sacrificali stilizzate a } e « piccolo » perdono significato. Altra novità del gruppo conforme è la comparsa di una trasformazione detta « inversione conforme » per la quale ad ogni punto x" si fa corrispondere un punto x,, / x2• Una inversione conforme, seguita da una traslazione di Poincaré e da un'altra inversione conforme, dà luogo ad una trasformazione conforme speciale. Si può mostrare che l'invarianza conforme può essere rigorosamente valida solo per sistemi fisici privi di massa (che di per se fissa una lunghezza: raggio di· curvatura nella relatività generale, lunghezza d'onda Compton nella meccanica quantistica): la luce appunto non ha massa (e per questo deve sempre muoversi a velocità massima). Il fatto che una legge fondamentale della natura come quelle

=

155 della luce abbia una simmetria maggiore di quella relativistica, ha subito colpito la fantasia dei fisici facendo balenare il sospetto - e la speranza - che l'invarianza conforme, di cui quella relativistica è un caso particolare, possa essere alla base della spiegazione anche di altre leggi fondamentali della natura e possa permettere una più approfondita comprensione anche dello stesso spazio-tempo. Durante questi 75 anni sono venuti, dall'esperienza (con i grandi acceleratori: invarianza di scala nei processi con particelle elementari ad alte energie) e dallo studio della relatività generale, segni che hanno suffragato l'ipotesi del ruolo fondamentale dell'invarianza conforme in natura; e su tale argomento sono stati scritti centinaia di lavori. Tuttavia solo con parziale successo a causa delle difficoltà geometrico-matematiche che le trasformazioni conformi presentano. La principale di queste difficoltà è rappresentata dal fatto che alcune trasformazioni del gruppo, le cosidette conformi speciali, presentano singolarità o « divergenze » ovvero trasformano i punti dello spazio tempo (più precisamente le loro coordinate) dal finito all'infinito 3 • Per aggirare queste difficoltà è stata emessa l'ipotesi che lo spazio-tempo sia costituito da una superficie chiusa e compatta immersa in uno spazio a 6 dimensioni delle quali quattro di spazio e due di tempo (il cosidetto spazio-tempo compattificato); più precisamente che lo spazio-tempo consista di un cerchio (il tempo) e una superficie sferica tridimensionale (lo spazio), aventi raggi dell'ordine di grandezza di quello dell'universo. Questa ipotesi è stata a lungo studiata dal matematico americano Segal e dai suoi collaboratori. Il motivo principale per il quale i fisici sono restii ad accettare questa idea è quello del tempo circolare; infatti una tale ipotesi, se accettata, darebbe tra l'altro un colpo mortale alla causalità (globale) su cui ancora poggia tutto l'edificio della scienza. (Se io sono la causa di mio figlio, mio figlio viene dopo di me nel tempo; ma se il tempo è circolare mio figlio ha me, sua causa, nel suo futuro, anche se lontano, il che viola il principio di causalità). L'altra via seguita per aggirare la difficoltà delle trasformazioni conformi singolari è stata quella di evitare, nello studio della covarianza conforme, le zone dello spazio-tempo dove appaiono le divergenze. Ciò è possibile e la corrispondente teoria è detta « locale ». La covarianza conforme locale è stata studiata e provata per molte 3. È consuetudine della natura di segnalarci la scarsa comprensione delle sue leggi attraverso « divergenze >> (ben note nelle teorie quantistiche dell'elettrodinamica e della gravitazione, queste ultime ancora del tutto incomprensibili e irrisolubili).

156

parti della fisica dei sistemi senza massa. Ma una delle scoperte più importanti della recente fisica teorica è quella della· rilevanza che le trasformazioni globali hanno nella determinazione delle proprietà anche locali dei sistemi fisici. Così la non invarianza delle leggi delle interazioni deboli rispetto alle riflessioni 4 determina la non conservazione di parità dell'interazione di Fermi della radioattività (queste leggi sono quindi le uniche in natura a distinguere destra da sinistra). Studiando appunto le proprietà globali delle trasformazioni conformi è stato dimostrato che la sola invarianza conforme prevede la possibilità d'esistenza di due tipi di strutture spinoriali, che sono poi lo scheletro geometrico delle particelle elementarì più semplici: i fermioni (e la natura infatti sembra presentarci queste particelle sempre in coppia: elettrone-neutrino; muone-neutrino del muone; protone-neutrone eccetera). È quindi necesario proseguire nello studio delle proprietà globali ma, se non vogliamo abbandonare il fondamentale principio di causalità e se vogliamo pensare che in assenza di massa lo spaziotempo non abbia curvature ma sia euclideo e se vogliamo operare globalmente sullo spazio-tempo col gruppo conforme, non ci resta che da affrontare, con strumenti matematici adeguati, le menzionate singolarità delle trasformazioni conformi speciali e cercare di capirle. Si può così mostrare che quelle trasformazioni conformi speciali se rigorosamente trattate con strumenti di geometria topologica possono portare un qualsiasi punto dello spazio•tempo a un punto con coordinate di spazio e di tempo infinito. Tali punti sono infiniti ed essi costituiscono un insieme detto da Penrose « cono della luce all'infinito ». I punti di tale insieme sono tali che tempi positivi (futuri) e negativi (passati) debbono considerarsi rigorosamente equivalenti ad un solo punto. L'insieme dei punti del « cono della luce all'infinito », se aggiunti allo spazio·tempo, danno ad esso proprietà geometriche (topologiche) non banali, di uno spazio chiuso (non semplicemente connesso); si può cioè affermare che « il cono della luce all'infinito chiude lo spazio tempo}>. Si ha inoltre che, nell'insieme spazio·tempo più cono della luce all'infinito, il gruppo conforme può agire globalmente e transitìvamente; il che vuol dire che ogni punto può essere portato in ogni altro punto con trasformazioni del gruppo conforme (si dice 4. Che consistono per esempio nel cambiamento di verso di uno degli assi di riferimento; che è « globale » perché il verso va cambiato in tuHo l'asse da meno infinito a più infinito. Questa trasformazione equivale ad una riflessione speculare che trasforma «destra» in ~} a - t'.

160

locità v, misura un intervallo di tempo mo l'intervallo di tempo t dato da 6

t

noi dalla terra misurerem-

't'

=- . v

f

2

1---

c2

dove c è la velocità della luce. Immaginiamo ora, per un momento, di poter portare la nave spa•

v2 ziale alla velocità della luce; in tal caso 1 -

- - diventa 1 -

c2

1 ... O

e quindi t diventa infinito anche se -e è infinitamente piccolo. Se poi l'intervallo di tempo -e comprende l'istante presente per il quale -r O, corrisponde cioè all'intervallo di tempo (sulla nave}

=

't'

't'

't'

= (- - + -) 2

2

il corrispondente intervallo visto da noi sulla terra sarà t,,,:,,; { - "",

+

oo}

e si può dimostrare che t andrà a finire proprio sul cono della luce all'infinito, di cui abbiamo detto prima, se 't' è infinitamente piccolo. Se poi opero una traslazione di Poincaré ho che ogni intervallino dello spazio-tempo può essere così portato sul cono della luce ali 'infinito, cioè « fuori del tempo ». Ecco che quindi il cono della luce all'infinito si può immaginare come un qualsiasi intervallo di tempo infinitesimo (ma non nullo) su un sistema di riferimento che si muova con la velocità della luce. Ma sappiamo che la nostra ipotesi di portare la nave spaziale alla velocità della luce è fallace perché solo i sistemi con massa zero possono farlo. Quindi la nostra transformazione sul cono della luce 6. Questa relazione, detta anche dilatazione relativistica del tempo, è ben nota e sperimentalmente verificata nei raggi cosmici e in laboratorio.

161

all'infinito o « fuori del tempo » sarebbe possibile solo se potessimo far perdere alla nostra nave spaziale, e ai viaggiatori, tutta la loro massa. Possiamo quindi dire che le nostre trasformazioni conformi speciali che portano « fuori del tempo » potrebbero anche pensarsi come usuali trasformazioni di Poincaré (tra sistemi ·di riferimento inerziali) purché ammettessimo di poter far perdere tutta la massa ai sistemi fisici che si muovono entro detti sistemi di riferimento. t naturale invece che per i sistemi fisici che presentano simmetria conforme, che possono essere solo sistemi senza massa, queste trasformazioni fino al cono della luce all'infinito, cioè « fuori del tempo », sono legittime e ammissibili. Naturalmente anche l'inverso è possibile. Ci sono trasformazioni del gruppo conforme che portano dal cono della luce all'infinito (da « fuori del tempo }>) ad un pl\nto qualsiasi dello spazio tempo ed esse si possono legittimamente pensare come trasfonnazioni di Poincaré di un sistema senza massa a simmetria conforme che si trovi sul cono della luce all'infinito, e quindi « fuori del tempo » (e dello spazio), sistema che acquistando massa, è necessariamente proiettato in una regione dello spazio-tempo ordinario dove vige la causalità e quindi l'ordine temporale. · Queste affermazioni sono una letterale traduzione in parole di quanto espresso dalle equazioni matematiche-geometriche delle teorie a simmetria conforme globale; indubbiamente però richiamano alla mente antiche intuizioni del mito e della filosofia. La fisica arriva fino a qui, anzi, a dire il vero, non vi è ancora del tutto arrivata. Non sappiamo ancora con assoluta certezza se, a parte le equazioni di Maxwell, la covarianza conforme globale sia una simmetria fondamentale della natura, lo sospettiamo fortemente ma c'è ancora molta strada da fare non solo per provarlo rigorosamente ma anche per scoprire quali siano tutte le conseguenze fisiche di questa simmetria più grande di quella relativistica; quel che è facile prevedere è che esse sarebbero molto importanti. Quello che ho voluto qui suggerire è che una delle più antiche intuizioni del pensiero umano connessa col concetto di tempo, quella d'eterno parmenideo, che sembrava essere l'unica a non dover trovare riscontro nel pensiero scientifico, potrebbe forse avere qualche affascinante relazione con le misteriose singolarità del gruppo conforme. Se poi potremo provare che la simmetria conforme, oltre ad essere la simmetria delle leggi della radiazione elettromagnetica, e quindi della luce, è fondamentale anche per altre leggi della natura, potremo forse ancora una volta ottenere, da un nuovo passo sulla strada della conoscenza scientifica, un contributo alla compren-

162

sione dell'origine di antiche intùizioni filosofiche e riavvicinare così modi di concepire ed esplorare il reale che sembravano destinati a percorrere strade divergenti senza rimedio, ridando così fiducia a quelli che credono nella profonda unità del meditare e immaginare. Riferimenti bibliografici A. Trautman, Deformation oj the Hedge map and optical geometry, Geometry and Physics (in corso di stampa). E. Cunningham, The principle of relativity in electrodynamics and an extension thereof, « Proc. London Math. Soc. », 8, 77 (1909). H. Bateman, The transformation of the electrodynamical equations, « Proc. London Math. Soc. », 8, 223 (1909). L.T. Todorov, M.C. Mintchev, V.B. Petkova, Conformai invariance in quantum field theory, pubblicazione della Scuola normale superiore di Pisa, 1978. I.E. Segai, Proc. Nat. Acad. Sci. Usa, 73, 335 (1976). P. Budinich, Groups, Fields and Particles, Dordrecht, 1983. L. Dabrowski, Nuovo Cimento, A80, 177 (1984). P. Budìnich, L. Dabrowski, in corso di stampa. R. Penrose, Structure of space-time, Bottelle Rencontres 1967, Benjamin, New York, 1968.

Ringraziamento Mi è gradito ringraziare ìl prof. Livio Pesante per illuminanti consigli nella redazione dell'introduzione storica.

LA TEMPESTA IN QUIETE. SPECULAZIONI SU TEMPO E SPAZIO,:, di Wolfgang Kaempfer

Secondo una vecchia tesi, ripresa e aggiornata, il tempo è uguale allo spazio. Ciò che Einstein constatava a proposito della massa e dell'energia, cioè che si tratta di « due aspetti di una medesima cosa», è fatto valere anche per il tempo e lo spazio. Tempo e spazio sarebbero due « forme » della stessa cosa. Tutto questo non è nulla più di un'asserzione indimostrata (e indimostrabile). Come tale, essa ha avuto la sua « ora di gloria )> ... nel convegno documentato da questo volume, su « Il tempo morente », e pertanto va inserita nel suo contesto. Friedrich Cramer ha mostrato con due immagini intuitive l'affinità tra la struttura di un albero e quella di un lampo. Io le ho identificate « intuitivamente » con due « linee temporali >> di differente velocità. Nella mia fantasia tempo e spazio erano identici. Paolo Budinich ha parlato della necessità per la fisica di introdurre il concetto di eternità. E il mio pensiero è corso alla « costante della natura » costituita dalla velocità della luce. Come se la velocità assoluta fosse l'unica che non si muove, movendosi assolutamente. In un processo più lungo, le cui « tappe » non possono più essere ricostruite con precisione, potrei aver fuso l'idea dell'eternità con il concetto del

tempo tout 1court. All'inizio delle mie speculazioni sta il tempo. Secondo un antico modello esso è posto come assoluto, e ciò che chiamiamo spazio è la sua realizzazione. Lo spazio sarebbe il « dimensionamento )>, l'« estensione )>, il > del tempo. Il tempo, il tempo assoluto, sarebbe presente e nient'altro che presente, e « futuro >) solo nella misura in cui, essendo assoluto (una « costante della natura >) ), precorre sé stesso « raggiungendosi » sempre. Il futuro sarebbe perciò pura ), seme e germoglio, codice Dna, e in ultima analisi sarebbe pur sempre un passato, il deposito che la natura allestisce per collocarvi i collaudati veicoli che garantiscono il movimento ... cioè il presente e l'atto di render presente (Vergegenwartigung). ~

Traduzione di Carlo Sandrelli.

164

---- p

--- ➔

---------4 T

s

+---+-------:---! loF---+--

(al

)I

(bi

I I

I I

---IF--P ➔

1-----~f- - -

-I

t (P)

I

T ---""")!

(e)

I

I

IO!!(''----- T ..,__ _;:,,.

I I

I

{di

I I I

t = tempo assoluto S = spazio (realiz:.:azione, « realtà») N = « nascita » (a) (b) (c) (d) = stadi del processo P = potenzialità (« futuro ») T = tempo di vita C = « collasso >> {morte)

Fig. 1

Il tempo è la presentificazione (Vergegenwartigung) del tempo. 11 tempo è il nuovo annullamento dello spazio come movimento. Esso « si muove » alla velocità della luce, rispetto alla quale ogni movimento « resta indietro», è negativo, come se avvenisse nella direzione opposta.

165

Spazio, realizzazione, {< realtà » (S) aumentano nella misura in cui la potenzialità (P) diminuisce. Nel momento della nostra nascita (N; (a) ) il . In questo caso, la velocità della luce avrebbe assorbito sé stessa al suo interno, e la « tempesta in quiete )> sarebbe diventata una pa-

170 radossale realtà - similmente a quanto avviene alla fine energetica della scala, una fine che consiste. nella pura energia (priva di massa), Per così dire, il meccanismo di trasmissione, che sincronizza la velocità esterna e interna - la velocità del sistema e quella, immanente, dei suoi « orologi » - le ricompone attorno alla velocità della · luce. Lo possiamo paragonare ad un meccanismo differenziale che regola la velocità del veicolo e la velocità del motore in proporzione alla velocità della luce, assicurando in tal modo la sua « presenza costante». Pertanto, ogni velocità è accoppiata ad una seconda (« interna») velocità, che compensa la sua (proporzionale) partecipazione alla velocità della luce. I casi-limite della materia - del « processo >> materiale -: la materia assolutamente concentrata e la pura energia (priva di massa), costituiscono qualcosa come i limiti di un campo, che può essere paragonato ad un campo da gioco. Essi sono indispensabili per il gioco, si trovano sul campo, ma solo in via eccezionale vengono difesi. Normalmente, uno si trasforma nell'altro (e viceversa). La retta temporale, che rappresenta la misura assoluta del tempo per tutti ì « processi », deve costituire una « massa », deve « piegarsi », deve formare un campo gravitazionale ... e la massa a sua volta deve « muoversi », deve « invecchiare», « ricadendo dietro » la retta temporale nel momento in cui viene da essa attraversata ... proprio in quanto massa. A sinistra della retta temporale dobbiamo sempre collocare la costituzione di una massa, la spazializzazione, l'accele• razione degli orologi, ìl passato, il « collasso »; a destra della retta temporale, che non è nient'altro che l'assoluto presente: il futuro, la potenzialità, la particella, il seme, ìl germe, il codice Dna. Essa viene costantemente « occupata» dal presente « nella misura in cui» il movimento assoluto « raggiunge » necessariamente anche il pro• prio futuro. A sinistra della retta temporale si' estende lo spazio, percepito dai sensi, mentre alla sua destra si estende il tempo, percepito dal « senso interno », dal senso del tempo (lo « spirito »). Per questo non ho fatto distinzioni tra il tempo interiore e quello esterno. Detto hegelianamente, questa distinzione diventa estrinseca e apparente (iiusserlich) nella prospettiva proposta. Ne deriva il paradosso per cui l'occhio percepisce quello che vede solo in quanto viene riflesso dalla luce. Esso percepisce la luce come riflesso: (< Nel riflesso colorato abbiamo la vita >> (Goethe). Esso percepisce il « riflesso >> di « oggetti » che senza l'energia priva di massa che urta contro di loro rimarrebbero « invisibili ». Nell'occhio la pura energia della luce diventa mediale, e oggetto fattuale, mentre in realtà le cose stanno in modo opposto: l'oggetto è

171 il medium, e la pura energia è « fattuale». Una testimonianza del fatto che questa « energia invisibile » è stata intuita ben presto dall'uomo potrebbe essere costituita dall'oscuro concetto di mana, che ritroviamo nella maggior parte delle religioni magiche. In effetti, l'occhio è « affine al sole » (sonnenhaft), secondo la definizione di Goethe. Iride e retina riproducono il sole come specchio colorato, e sono

-E-------

Pres. --- t I+ f

-------➔

s

p

/

I I I

I

I

/

I

I

I

p

s

I

I

/

I

I

(a)

/

I I

I

I

o

I

I

I

I

o

=

Pas. = passato; t = tempo; Pres. = presente; O occhio; S lizzazione, « realtà »); P = potenzialità (« futuro »).

= spazio

(rea-

Fig. 2

Il tempo trascorre (apparentemente) ad ogni attimo (Pres.), cioè diventa spazio. Perciò di fatto la vita « muore )> ad ogni istante, e continua a « rinascere » fino a quando resta definitivamente dietro la retta temporale.

(b)

172

o

Fig. 3

Così si può avere l'« impressione» che il tempo fugga ... così come, ad esempio, anche per l'occhio il sole « tramonta>>. Solo l'Augen-Blick permette il « Blick » (lo sguardo) sul e nel tempo assoluto. Esso è la stretta fessura (che nella nostra figura procede in senso antiorario) attraverso la quale scorgiamo ciò che non si muove, e ciò che si muove in modo assoluto: il presente assoluto, che perciò può anche apparirci come , si ritrasforma poi continuamente in tempo. Esso deriva, « scaturisce », ritmicamente dallo spazio. Tempo e spazio non si trasformano scorrendo, ma secondo piccoli e grandi ritmi, come ha potuto dimostrare la meccanica quantistica. La misurazione temporale, la mi-

173 surazione della velocità, porta ad un implicito rapporto topografico, allo spazio «strutturato» (all'« onda»), e la misurazione topografica conduce ad un implicito rapporto temporale: il quanto non occupa alcuno spazio, ma è un punto che sulla « linea del tempo» potrebbe essere seguito solo da un }, e diventa « spaziale». Pertanto, il ritmo è il ponte mobile tra il tempo e lo spazio. In quanto « mosso >} esso è tempo; in quanto « fermato }> (cioè in quanto « battuta ritmica >>) esso è spazio (e viceversa). È proprio il ritmo a dimostrare che il tempo è una ~rsistenzà cn cw L'immagine del "tempo mpreit J!inteb-ogazion,e :su_l. tempo caratte, te", nelle sue molteplici implicarizza, e per certi "às_petti per(ino zioni filosoficJ1e, e neJ significato esaurisce-, l'oriz QQte dell'indagiIJe , che ad essa hanno conferito· le re- - filosqfiça e ~c~~n · cen.ti ricerche sulla termodinah1i- ,:· · : ~ ca dei processi irreversibili, è ~ta4l, i_[. ,Curj è_doce ripresa nell'on'Jonimo convegno velos.ofi.a neziano. Lsaggi che compongono · presso questo volume, pur profondamend1rdt te rielaborati, riprendono gli aspe · · · •· ti più significativi del dibattiti svo1tosi in quell'occasione: l'imp . , stazione dell'argomento, il metpcl del confrontd interdisciplinare, -il " 'te1 "taglio" dei ragiòhàmenti, talcìra ·qua ema anche "arrischiati", ma certo non ' s~p ~port ba.pali ,o dpetiti_vi, l'ampiezza. del(Pa ), "Anali l'orizzonte' storico-critico tenuto nà ionalismo prèsente. Agli sèrfrt~ dei filosofl.•1 1 à sc~ni · (Caccil!ri, Hejnemann', Rossi, ,Sini, " ila'nÒ, l Sonnemann) e di scienziati (Bud.i- ' t e fonne nich), si affiancano perciò quel- ; n :ti.ficb' 1 li di studiosi della letteratura 19 linea divis (J(aempfer, Mattenklott), della 1983). J>resso ((editore F pedagogia (Wulf, Wilnsche) e della • geli 1'a ·curato "L'analisi ociologia (Kamper). nale della psicologia'' Mediante il contributo e l'intera1973) e ' · zione di approcci disciP,linari diverna'' p 985 V