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Italian Pages 364 Year 1991
A CURA DI
MARISA MALAGOLI TOGLIATTI UMBERTA TELFENER
DALL'INDIVIDUO AL SISTEMA Manuale di psicopatologia relazionale Contributi di: M. Andolfi, C. Angelo, L. Cancrini, M. G. Cancrini, S. Cbieppa, S. Cingo/ani, M. Ciucci, M. R. Consegnati, A. Cotugno, R. de Bernart, P. De Giacomo, A. De Pasca/e, L. Ferraris, L. Fruggeri, G. Gaspari Boi, K. Giacometti, L. Harrison, C. Loriedo, M. Malagoli Togliatti, M. Mariotti, C. Martino, M. Matteini, S. Mazzoni, A. M. Nicolò-Corigliano, L. Onnis, G. Pierri, S. Scamperle, A. M. Sorrentino, U Telfener, G. Todini, M. Tomai, V. Ugazio, G. Velia
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BOLLATI BORINGHIERI
Indice
Prefazione PARTE PRIMA
I I
LA DIAGNOSI
Il rapporto terapeuta-paziente, ovvero il sistema osservante (Umberta Telfener) L'osservatore inevitabile 2
La diagnosi come ipotesi complessa
2
r
Riferimenti bibliografici
La diagnosi della diagnosi (in terapia familiare) (Sergio Cingo/ani)
3I
Introduzione Valutare è intervenire Fare una diagnosi non è (solo) identificare una malattia L'atto diagnostico: ordine da rumore La diagnosi della diagnosi: uno sguardo ai concetti di secondo ordine Conclusioni Riferimenti bibliografici 3
La relazione nel processo decisionale del terapeuta familiare (Katia Giacomettz)
44
Introduzione La relazione famiglia-individuo La relazione terapeuta-famiglia Diagnosi: come mantenere vivo un processo di riflessione I parametri della scelta: i «contenuti» della famiglia e la relazione terapeuta-famiglia Il caso della famiglia Isola Riferimenti bibliografici PARTE SECONDA
4
Il contesto nella psicoterapia relazionale (Marisa Malagoli Togliatti) Il concetto di contesto
5
I CONTESTI
Il contesto in campo clinico
63
Riferimenti bibliografici
I contesti della psicoterapia: pubblico e privato (Laura Fruggeri)
72
Definizione del problema I termini della discussione Mappe degli operatori e interventi terapeutici: una tipologia Riflessioni conclusive Riferimenti bibliografici 6
Lo psichiatra in ospedale (Massimo Matteini)
85
Il punto di vista del richiedente Il punto di vista del paziente Il punto di vista del consulente Proposta per una metodologia della consulenza Il punto di vista del terapeuta Un paio di esempi Riferimenti bibliografici 7
Il bambino con problemi scolastici. Scuola, famiglia, servizi: dalla contrapposizione alla collaborazione (Mirella Ciucci, Susanna Scamperle e Giovanna Todini) Dall'approccio diagnostico a quello sistemico Riferimenti bibliografici
Un modello di intervento
95 Conclusioni
PARTE TERZA
8
IL CICLO VITALE
Il ciclo vitale (Marisa Malagoli Togliatti) Breve rassegna storica del concetto vitale Riferimenti bibliografici
9
109
Il ciclo vitale della famiglia
Eventi critici e ciclo
La famiglia e il bambino (Mauro Mariotti)
11 8
Desiderare un figlio. Il concepimento Il bambino nella letteratura sistemica Le nevrosi infantili Disturbi relazionali e della personalità collegati a handicap Ritardo mentale Disturbo da deficit di attenzione con iperattività (DDAI) Disturbi d'ansia Fobia scolare Balbuzie Autismo infantile precoce Conclusioni: la relazione terapeutabambino Riferimenti bibliografici 10
I bambini psicotici (Anna Maria Sorrentino) Il problema
La terapia
138
Il bambino psicotico attore del dramma terapeutico
Riferì-
menti bibliografici 11
Fainiglia e adolescenza (Anna Maria Nicolò-Corigliano e Luisella Ferraris)
149
Il punto di vista sistemico Il punto di vista psicoanalitico Le patologie a insorgenza adolescenziale Il lungo processo di crescita nell'adolescenza Adolescente e famiglia in co-evoluzione Cenni sulle modalità di trattamento Riferimenti bibliografici
12
L'intervento sistemico-relazionale con anziani affetti da disturbi organici o psichici (Lieta Harrison, Marisa Malagoli Togliatti, Sabatina Cbieppa, Anna Cotugno, Maria Rita Consegnati e Manuela Tomai) 166 Premessa Il rapporto anziano-famiglia I problemi psicopatologici Le possibilità di intervento psicoterapeutico Il lavoro con le coppie Riferimenti bibliografici
13
Anziani in terapia (Carmela Martino)
178
Premessa Gli «assiomi» delle coppie anziane richiedenti la terapia Il significato della terapia per la coppia Tattiche per la terapia con coppie anziane Conclusioni Riferi-
menti bibliografici PARTE QUARTA
14
LE SINDROMI
La psicopatologia riconsiderata (Umberta Telfener) Dall'individuo alla famiglia La diagnosi familiare L'ottica costruttivista Il recupero della sintomatologia
15
191
Il rifiuto della psicopatologia
Riferimenti bibliografici
I disturbi alimentari psicogeni (Adele De Pasca/e)
202
L'approccio sistemico orientato in termini di processo, per una prospettiva unitaria dei disturbi alimentari psicogeni Sistemi comportamentali, relazionali e cognitivi nell'analisi dei disturbi alimentari psicogeni L'intervento terapeutico Riferimenti bibliografici 16
La costruzione relazionale dell'organizzazione fobica (Valeria Ugazio)
214
Premessa Il valore manipolativo del sintomo fobico Attaccamento ed esplorazione: un'opposizione soggettivamente costruita Genesi dell'organizzazione fobica: un'ipotesi sistemico-costruttivista Conclusioni Riferimenti bibliografici 17
Il disturbo ossessivo-compulsivo nell'ottica sistemica (Piero De Giacomo e Giampaolo Pierri) L'individuo e la famiglia Il sintomo e la relazione clinici Riferimenti bibliografici
18
Gli interventi terapeutici
2 29
Casi
La depressione in un'ottica sistemica (Camillo Loriedo e Gaspare Velia) 239 La relazione di coppia Modalità comunicative Modalità di relazione Il sistema familiare L'intervento terapeutico Aspetti da non trascurare Riferimenti bibliografici
19
Che fine ha fatto l'isteria? (Gabriella Gaspari Boi) Il caso clinico
20
2 53
Riferimenti bibliografici
Dal corpo al contesto: storia e percorsi dell'approccio sistemico alla malattia psicosomatica (Luigi Onnis)
262
Introduzione La costruzione del modello: dall'individuo al sistema L'evoluzione attuale del modello Il contributo del nostro gruppo di ricerca Un modello sperimentale di terapia, basato sulle «sculture familiari» Un esempio clinico: il caso di Gianni Conclusioni Riferimenti bibliografici 21
La famiglia del borderline (Rodolfo de Bernart) Il trattamento
22
277
Riferimenti bibliografici
Famiglia e droga: dall'autoterapia alla richiesta di aiuto (Luigi Cancrini e Silvia Mazzoni)
2 86
Le relazioni interpersonali nella famiglia del tossicodipendente La tossicomania come autoterapia Verso una tipologia delle situazioni in cui si determina la tossicomania La tipologia Riferimenti bibliografici
23
Schizofrenia: dalla malattia alla situazione relazionale (Maria Grazia Cancrini, Lieta Harrison e Marisa Malagoli Togliatti)
301
Breve rassegna storica Premesse teoriche L'approccio terapeutico Una lunga storia di «malattia» Una prima crisi Verso una nuova descrizione Riferimenti bibliowafici PARTE QUINTA
24
L'ANALISI DELLA DOMANDA
La famiglia come unità di analisi La ricerca di altre soluzioni Il sistema determinato dal problema Riferimenti bibliowafici
25
317
Tanti possibili interventi (Umberta Telfener)
Le terapie sistemiche
Tre generazioni in terapia (Maurizio Andolfi e Claudio Angelo) Scelta del partner e famiglia d'origine
Sintomo e famiglia trigenerazionale
328 Riferimenti
bibliowafici 26
La terapia di coppia (Maria Grazia Cancrini e Lieta Harrison) Cenni storici Il nostro modello di coppia Conclusioni Riferimenti bibliowafici
27
Esempio di un caso
La terapia individuale sistemica (Umberta Telfener)
338
Teoria della tecnica
351
Rassegna della letteratura La terapia come azione epistemologica Il distanziamento dal proprio pensiero Il pattern che connette: l'ampliamento delle lenti di osservazione L'osservatore parte dell'osservazione: ricorsività e costruzione La duttilità: la scelta di non sposare le proprie idee L'introduzione del tempo La responsabilizzazione Il terapeuta: perturbatore e stratega Una prima seduta Conclusioni Riferimenti bi-
bliowafici
Indice degli autori Indice degli argomenti
375
I contributori
MAURIZIO ANDOLFI, neuropsichiatra infantile, professore associato al Dipartimento di Psicologia dei Processi di sviluppo e di socializzazione dell'Università «La Sapienza» di Roma. Direttore scientifico dell'Istituto di Terapia familiare di Roma. Socio fondatore della SIPPR (Società italiana di Psicologia e Psicoterapia relazionale). CLAUDIO ANGELO, neuropsichiatra infantile, aiuto psichiatra del Servizio psichiatrico della USL Centro-sud di Bolzano. Didatta dell'Istituto di Terapia familiare di Roma. LUIGI CANCRINI, psichiatra, professore associato di Clinica psichiatrica e Psicoterapij all'Università «La Sapienza» di Roma. Presidente del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. Socio fondatore della SIPPR (Società italiana di Psicologia e Psicoterapia relazionale). MARIA GRAZIA CANCRINI, psichiatra. Ricercatore confermato presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. SABATINA CmEPPA, psicologa, borsista della Regione Lazio, cultore della materia presso la cattedra di Psicopatologia generale e dell'età evolutiva dell'Università «La Sapienza» di Roma. SERGIO CINGOLANI, psichiatra, psicoterapeuta sistemico e cognitivo. Medico specialista del Servizio di Salute mentale LT / 4. MIRELLA CrnccI, psicologa del Servizio materno-infantile della USL RM/3. Didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. MARIA RrTA CONSEGNATI, psicologa, comandata presso la cattedra di Psicopatologia generale e dell'età evolutiva dell'Università «La Sapienza» di Roma. ANNA CoTUGNO, psicologa, borsista della regione Lazio. Allieva didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. RODOLFO DE BERNART, psichiatra. Direttore dell'Istituto di Terapia familiare di Firenze. PIERO DE GIACOMO, psichiatra, professore ordinario di psichiatria e direttore dell'Istituto di Clinica psichiatrica dell'Università di Bari. Direttore del Centro interdisciplinare di Ricerca e Intervento sui Sistemi umani di Bari. Socio fondatore della SIPPR (Società italiana di Psicologia e Psicoterapia relazionale). ADELE DE PASCALE, psicologa e psicoterapeuta sistemica e cognitiva. Lavora presso la prima Clinica psichiatrica dell'Università «La Sapienza» di Roma. LUISELLA FERRARIS, psicologa della USL 60 di Palermo. Collaboratrice presso la cattedra di Psicologia dinamica dell'Università di Palermo.
LAURA FRUGGERI, psicologa, ricercatore presso l'Istituto di Psicologia dell'Università di Parma. Didatta del Centro milanese di Terapia familiare. Didatta della SIRTS (Società italiana di Ricerca e Terapia sistemica). GABRIELLA GASPARI Bm, psicologa, didatta del Centro milanese di Terapia familiare. Didatta della SIRTS (Società italiana di Ricerca e Terapia sistemica). KATIA GIACOMETTI, psicologa, psicoterapeuta familiare e ricercatrice. LIETA lliRRISON, psicologa della USL RM/3. Collaboratrice presso la cattedra di Psicopatologia generale e dell'età evolutiva dell'Università «La Sapienza» di Roma. Didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. CAMILLO LoRIEDO, psichiatra, ricercatore confermato di Clinica psichiatrica all'Università di Roma. Direttore del Centro Studi e Ricerche per la Psicoterapia della Coppia e della Famiglia di Roma. Socio fondatore della SIPPR (Società italiana di Psicologia e Psicoterapia relazionale). MAURO MARIOTTI, primario neuropsichiatra infantile della USL r r di Modena. Codirettore dello Studio di Psicoterapia familiare di Modena. CARMELA MARTINO, psicologa, didatta del Centro milanese di Terapia familiare. Didatta della SIRTS (Società italiana di Ricerca e Terapia sistemica). MAssrMo MATTEINI, psichiatra del Servizio di Salute mentale della USL 16 di Modena. Didatta del Centro milanese di Terapia familiare. Didatta della SIRTS (Società italiana di Ricerca e Terapia sistemica). SILVIA MAzzoNI, psicologa, dottore di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia dei Processi di sviluppo e di socializzazione dell'Università «La Sapienza» di Roma. Didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. ANNA MARIA NicoLò-CoRIGLIANo, neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta familiare e psicoanalista. Presidente dell'Istituto di Psicoterapia psicoanalitica della Famiglia di Roma. LUIGI 0NNIS, psichiatra, ricercatore presso L'Istituto di Psichiatria dell'Università «La Sapienza» di Roma. Didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. GIAMPAOLO PIERRI, psichiatra, professore associato di Clinica psichiatrica e psicoterapia all'Università di Bari. Segretario del Centro interdisciplinare di Ricerca e Intervento sui Sistemi umani di Bari. Socio fondatore della SIPPR (Società italiana di Psicologia e Psicoterapia relazionale). SusANNA ScAMPERLE, psicologa, psicoterapeuta familiare del Servizio materno-infantile della USL RM/rr. Didatta del Centro milanese di Terapia familiare. Didatta della SIRTS (Società italiana di Ricerca e Terapia sistemica). ANNA MARIA SORRENTINO, psicologa, didatta del Nuovo Centro per lo Studio della Famiglia di Milano. GIOVANNA TomNI, neuropsichiatra infantile, responsabile del Servizio di Neuropsichiatria infantile della USL RM/3. Didatta del Centro Studi di Terapia familiare e relazionale di Roma. MANUELA ToMAI, psicologa, cultore della materia presso la cattedra di Psicologia di comunità dell'Università «La Sapienza» di Roma. VALERIA UGAZIO, psicologa e psicoterapeuta, professore associato di Psicologia sociale all'Università di Venezia. Didatta e già presidente della SIRTS (Società italiana di Ricerca e Terapia sistemica). GASPARE VELLA, professore ordinario di Clinica psichiatrica all'Università «La Sapienza» di Roma. Socio fondatore e già presidente della SIPPR (Società italiana di Psicologia e Psicoterapia relazionale).
Prefazione
Quando i pazienti entrano nel mio studio li accolgo a mente sgombra e li esamino per vedere chi e che cosa sono e perché sono venuti, senza dare niente per scontato. Guardo semplicemente una persona, so soltanto che ho di fronte un essere umano. Milton Erickson
Secondo un 'ottica medica tradizionale, il sistema della psicopatologia clinica si pone come un settore di indagine che tende a individuare regole generali e rapporti costanti tra stati, manifestazioni ed elementi della psiche onde stabilire termini che definiscano per tutti coloro che operano in questo campo categorie e concetti ben precisi. Le classificazioni ottenute secondo tale procedura non sono da considerarsi come «oggettive» descrizioni della psiche, in quanto sono un prodotto in stretto collegamento con il metodo utilizzato dall'operatore, dallo studioso, dal ricercatore, sì che all'interno dei diversi indirizzi teorici sono state elaborate differenti metodologie per organizzare in modo sistematico i dati fondamentali, gli «assiomi» di quella specifica dottrina. Possiamo osservare che la storia della classificazione delle malattie mentali è anche la storia di come gli studiosi hanno concepito il funzionamento della psiche e l'etiologia dei disturbi psichici, e che tale storia è in continua evoluzione. Schematicamente individuiamo due tendenze finora contrapposte in relazione al riferimento culturale dello studioso al modello medico o al modello psicologico. All'interno dell'ottica medica sono stati prevalenti i problemi diagnostici legati alla classificazione e alla descrizione delle varie forme cliniche: coerentemente con il modello medico, si sono andati a ricercare i danni organici a carico del sistema nervoso centrale, a livello macroscopico, microscopico, metabolico. I metodi terapeutici, pur cambiando a seconda dei progressi scientifici, sono stati ricercati in un ambito «biologico». All'interno del modello psicologico le ipotesi psicodinamiche, fenomenologiche, psicosociali o sistemico-relazionali hanno individuato in modo sempre più preciso e puntuale le possibilità di un 'etiologia psicogena dei disturbi mentali, ma in genere hanno rifiutato qualsiasi forma di classificazione e descrizione del materiale clinico. Negli ultimi anni nell'ambito dei vari modelli presenti nel settore si stanno ponendo problemi importanti a livello di diagnosi, di teoria della personalità, di catamnesi. Il «rifiuto» di ogni forma di classificazione, di organizzazione dei dati, è ora
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Prefazione
meno assoluto perché meno ideologico, mentre i problemi presentati dajla pratica psicoterapeutica nei servizi sociosanitari territoriali pongono a tutti l'esigenza di trovare elementi di conoscenza in comune a psicologi e psichiatri indipendentemente dalle teorie di riferimento. Il dibattito culturale si è ora spostato dalle affermazioni di principio (origine biologica o origine psicogena) al confronto e alla discussione sui criteri diagnostici utilizzati. La ricerca in tale direzione è in continua evoluzione. Così nell'ambito del modello medico si è passati dal primo manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali elaborato nel 1952 (DSM-I) al terzo manuale già rivisto, e nel 1993 avremo anche il DSM-IV, per non parlare delle varie edizioni dell'ICD (International Classification of Diseases). Naturalmente il metodo di classificazione proposto dagli autori del DSM-III non è né «oggettivo» né «neutro», ma oltre a esplicitare i criteri diagnostici e quindi a lanciare una sfida in tale direzione ai vari modelli psicologici, tiene conto della complessità del disturbo mentale cercando di correlare tra di loro le sindromi cliniche con i disturbi della personalità e dello sviluppo e con la gravità di eventuali fattori psicologici e psicosociali. Utilizzando un concetto tipicamente relazionale potremmo dire che in tal modo gli autori del DSM-III tendono a porsi a un «metalivello», in quanto legittimano la possibilità di correlare tra di loro una determinata sindrome clinica con gli elementi psicogeni o psicosociali messi in evidenza dalla ricerca scientifica in campo psicologico durante questi ultimi cinquant'anni. Questo «metalivello» è la sfida che attualmente ci sembra più interessante discutere e raccogliere, in quanto oltre a riconoscere la complessità del disturbo mentale dobbiamo anche riflettere sul nostro modo di semplificare la realtà che ci circonda, analizzando le procedure che utilizziamo per far fronte alla complessità e riconoscendo i tagli metodologici secondo cui operiamo. Non sembra più sufficiente fermarsi a criticare la pretesa oggettività della descrizione multiassiale del DSM-III o ad osservare che nella prassi quotidiana gli operatori della salute mentale utilizzano spesso in modo inappropriato tale tipo di classificazione, in quanto il loro obiettivo spesso sembra solo quello di individuare il farmaco più utile a contenere le manifestazioni sintomatologiche. Da più parti, in campo psicologico, si avverte la tendenza a una sistematizzazione che contemperi la necessità di rapportarsi a ogni singolo individuo in modo specifico e personalizzato ma anche l'importanza di quanto il «sapere» e il «saper fare» ci possono aiutare di volta in volta. Qual è e qual è stato l'atteggiamento degli psicoterapeuti a orientamento sistemicorelazionale nei confronti della ricerca di tipo psicopatologico? Sintetizzando potremmo affermare che solo negli ultimi anni ci si è cominciati a confrontare con questi problemi in modo non ideologico, ponendosi l'obiettivo di una metodologia corretta e coerente.
Prefazione
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Ad esempio, per quel che riguarda il processo diagnostico si sono sempre rifiutate le procedure utili a raccogliere gli elementi necessari a una diagnosi di tipo psichiatrico, in quanto in un lavoro diagnostico di tipo tradizionale si amplificano gli aspetti devianti attraverso la concentrazione delle indagini sul paziente designato e per ciò stesso si collude con il processo patologizzante messo in atto dal contesto relazionale. Il lavoro del terapeuta sistemico-relazionale è un lavoro sulla relazione che inizia fin dai primi atti costitutivi della relazione terapeutica stessa. L'attenzione agli elementi contestuali è finalizzata fin dall'inizio a modificare il processo che ha portato alla diagnosi, all'etichettamento della devianza, attraverso la trasformazione dei significati ovvero, per utilizzare la terminologia di Bateson, la trasformazione delle cornici e dei contesti. In questa direzione va la ricerca delle ipotesi relazionali sul sintomo e sui comportamenti a esso collegati. Tutto il processo terapeutico è teso a cercare un significato al di là del comportamento sintomatico e ad eliminare gli effetti pragmatici che la diagnosi ha sulle dinamiche interpersonali del sistema relazionale in esame. Queste considerazioni riassumono i principali motivi per cui negli scritti dei più importanti studiosi ed esperti del mondo sistemico-relazionale fino a pochi anni or sono erano scarsi i riferimenti ai sintomi e alle sindromi ed era addirittura «fuori moda» parlare di tipologie specifiche o di qualsiasi forma di classificazione. Negli ultimi tempi però nell'ambiente ampio e variegato dei «sistemici» più voci si sono levate per dare spazio a ricerche che siano capaci di delineare in modo coerente al modello una «teoria forte della personalità». In questa direzione molti sistemici hanno cominciato a porre attenzione al processo diagnostico e alle ipotesi secondo cui costruire una ricerca catamnestica. La stessa attenzione data all'individuo, visto non più come monade di cui studiare le funzioni o le caratteristiche ma come persona che costruisce la propria progettualità a partire dalle matrici psicologiche del pensiero familiare, è significativamente correlata all'attenzione con cui viene riconsiderato il discorso psicopatologico. Tale fatto è così evidente che in America si è formato un gruppo di studio comprendente terapeuti familiari delle più importanti associazioni che hanno proposto di introdurre i «disturbi relazionali» negli assi del futuro DSMIV. Così anche coloro che stanno elaborando l'edizione del futuro ICD-10 pur movendosi in un 'ottica medica fanno attenzione «alle condizioni delle famiglie e alle condizioni relazionali». Il nostro libro si inserisce in questo processo evolutivo. Riteniamo infatti che il modello sistemico-relazionale, dopo essere passato dal lavoro di ricerca sulla tecnica, sulla teoria della tecnica, e infine sull'epistemologia, abbia ormai acquisito una sua dignità scientifica, e che pertanto sia giunto il momento di lavorare per una sistematizzazione ovvero per una ridefinizione dei vari quadri clinici, capace di fornire al terapeuta un primo orientamento nella costruzione del suo progetto terapeutico. Tale tentativo di sistematizzazione può inoltre permettere una crescita attraverso il confronto con il più vasto ambito scientifico.
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Prefazione
Non vogliamo però proporre di ridurre il concetto di psicopatologia alla mera diagnosi né alla descrizione del sintomo con l'identificazione della relativa sindrome. Vogliamo rispettare la complessità della situazione psicopatologica prendendo in considerazione più logiche e griglie di lettura, anche se ben diversi sono gli «assi» che riteniamo utile prendere in considerazione, rispetto a quelli del DSM. Abbiamo individuato cinque parametri che riteniamo essere costitutivi e intrinseci a un 'ipotesi complessa di psicopatologia in chiave sistemico-relazionale. La scelta da noi compiuta può sembrare arbitraria perché i cinque elementi prescelti sono di ordine logico e livello metodologico diverso. Il tentativo è stato compiuto per rispettare e utilizzare quei parametri che in questi trentacinque anni sono stati maggiormente studiati, analizzati e presi in considerazione dai terapeuti sistemici, anche se con differenze legate sia allo stile personale che alle considerazioni teoriche sulle modalità tecniche utilizzate. Nell'accingerci a costruire un manuale abbiamo utilizzato quelli che secondo noi sono i concetti guida emergenti dall'esame della nostra letteratura scientifica: r) Il contesto, inteso come luogo ma anche come cornice che dà significato alla domanda di aiuto del singolo e del suo gruppo familiare, elemento dei fattori istitutivi della relazione terapeutica soprattutto ove l'intervento terapeutico si svolga nell'ambito di un servizio pubblico. 2) Il rapporto tra osservatore e sistema osservato, ossia la diagnosi, intesa come diagnosi relazionale di secondo livello (la conoscenza della conoscenza). 3) La fase del ciclo vitale in cui si trovano sia il «paziente» che il suo sistema relazionale significativo (in primo luogo la famiglia). 4) Le sindromi e i sintomi, ovvero i problemi per cui le persone chiedono aiuto o le etichette diagnostiche che hanno ricevuto. 5) Infine il sistema con cui il terapeuta può scegliere di lavorare in seduta: famiglia, coppia o individuo, che dipende dalla domanda e dalle modalità in cui tale domanda viene posta. Abbiamo tenuto in considerazione la presenza di diverse teorie all'interno di una. stessa cornice di pensiero, per cui abbiamo chiesto ai nostri autori una riflessione teorica sul proprio stile personale, illustrato da ciascuno attraverso l'esposizione di un caso clinico. Un 'ulteriore riflessione ci porta a giustificare il nostro modo di procedere: se coerentemente con le nostre teorie riteniamo che l'osservatore sia parte integrante del processo di osservazione e che le sue scelte contribuiscano alla «costruzione» della realtà che viene presentata, dobbiamo sempre più coerentemente riflettere sulle nostre procedure per tendere a un processo autori.flessivo che garantisca consapevolezza e rigore metodologico. Molte nostre scelte pertanto potranno essere giudicate «arbitrarie»; altri autori, con altri parametri, avrebbero costruito un libro totalmente differente. Ci assumiamo perciò la totale responsabilità, sia per la scelta degli autori che abbiamo invitato a collaborare sia per la suddivisione e la scelta degli argomenti.
Prefazione
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Coerentemente con i limiti indicati consideriamo questo libro un work in progress, una base per ulteriori approfondimenti, destinato soprattutto a chi nell'ambito
scientifico vuole utilizzare la riflessione come momento prevalente sulle questioni relative alla teoria e alla tecnica. In tal senso il libro, pensato come «strumento di lavoro» di coloro che del campo psicoterapeutico hanno esperienza e consuetudine, può essere utile anche agli psicoterapeuti agli inizi della loro «formazione», non per sminuirne l'entusiasmo, data la complessità del lavoro che viene presentato, ma per raf forzarne lo spirito critico. Nel «sistematizzare» gli argomenti trattati, ci siamo preoccupate per ogni capitolo di assicurare una breve rassegna storica e bibliografica sul tema, prima di procedere all'aspetto nuovo, ovvero al punto di vista dell'autore. Grossa cura abbiamo prestato alle bibliografie alla fine di ciascun capitolo, che si riferiscono alle citazioni nel testo. Abbiamo poi aggiunto, dove lo abbiamo ritenuto opportuno, un secondo elenco di testi, per integrare i riferimenti proposti dagli autori e offrire un 'analisi bibliografica il più possibile completa sull'argomento. Cogliamo l'occasione per ringraziare i nostri autori sia per la loro collaborazione, sia per avere scritto un lavoro inedito e originale sull'argomento specifico trattato da ciascuno. Un grazie naturalmente anche ai nostri lettori, da cui speriamo di avere utili «informazioni di ritorno». M.M.T.-U.T.
Dall'individuo al sistema
Parte prima La diagnosi
Capitolo 1 Il rapporto terapeuta-paziente, ovvero il sistema osservante Umberta Telfener
La diagnosi è stata considerata dalla medicina e dalla psichiatria «ufficiali» un punto di partenza irrinunciabile che prende in considerazione l'anamnesi medica, gli elementi clinici obiettivi, i dati di laboratorio, le condizioni di vita del paziente, tenendo in grandissimo conto la valutazione professionale e intuitiva del medico. Il suo scopo è fornire una descrizione della situazione, rintracciare la causa del disturbo e stabilire il punto da cui partire per la cura, considerata una fase temporalmente successiva. Nelle psicoterapie a indirizzo psicoanalitico l'attenzione, dai sintomi e dai dati anamnestici, si sposta al piano empatico prendendo in considerazione il rapporto emozionale che si costruisce fra terapeuta e paziente: la relazione diventa funzionale a stabilire le qualità interne del soggetto. La terapia familiare, sin dal suo primo avvento, tende a mettere in discussione il modello medico delle precedenti terapie e rifiuta di focalizzarsi sulla patologia e di intervenire direttamente su di essa. Cambia il modo di considerare i sintomi, vengono criticati i metodi tradizionali di trattamento e con questi il concetto di diagnosi, intesa come la ricerca dell'origine della patologia. Il rifiuto di un modello tradizionale e l'attenzione a parametri alternativi fanno sì che la «diagnosi» venga messa al bando e che per un lungo periodo chi parla di «processo diagnostico» venga guardato con severità. Le critiche più frequenti da parte dei terapeuti relazionali comprendono il ritenere la diagnosi: a) un'etichetta senza tempo che rischia di congelare e bloccare la realtà; b) un'etichetta che sottolinea la patologia: unicamente gli aspetti negativi e le debolezze del sistema; e) uno strumento per separare l'osservatore dall'osservato, il paziente dal terapeuta; d) una modalità per interrompere una conversazione tra pari, imponendo una gerarchia, imponendo il controllo di uno sull'altro;
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Capitolo primo
e) un salvagente, un alibi dietro il quale si può nascondere chi non sa come intervenire; f) un modo per imporre la visione personale del terapeuta; g) un tentativo di ricondurre a una norma; h) uno strumento per bloccare la ricerca e la curiosità; i) una modalità per autodeterminare le proprie profezie. Nella realtà è chiaro a tutti che i terapeuti fanno più cose di quelle che dichiarano e insegnano esplicitamente, e nella maggioranza dei casi una corretta diagnosi differenziale rimane il punto di partenza, magari tacito, dei più, e la diagnosi, scacciata dalla porta, rientra comunque dalla finestra. L'osservatore inevitabile Ogni clinico fa una diagnosi, sceglie cioè tra i dati di realtà e cerca alcuni parametri rispetto ai quali costruire le proprie ipotesi. Minuchin ritiene che sia la struttura della famiglia il livello cui prestare attenzione sin dai primi minuti in terapia, e fornisce alcuni indicatori diagnostici nei confini, nelle relazioni tra i membri e nel funzionamento della famiglia rispetto a una norma. Haley ha considerato come parametro privilegiato il rispetto della gerarchia da parte della famiglia. La terapia strategica considera le mosse del gioco interattivo tra i familiari, mosse che coinvolgono anche il terapeuta fin dal primo momento della richiesta di terapia. I parametri o le categorie che si potrebbero utilizzare sono infiniti: tutte scelte o invenzioni di chi osserva, che deve suddividere la realtà in base a parametri che dobbiamo considerare soggettivi, «oggettivi» solamente perché spesso culturalmente condivisi. Una scelta che coinvolge intrinsecamente chi sceglie, poiché, come scrive Varela (1979), colui che descrive non può uscire dall'unità per considerare i confini e l'ambiente ma è associato con il funzionamento dell'unità in quanto componente che la determina: in ogni fase il rapporto dell'osservatore con il sistema modifica la sua relazione con il sistema stesso. Troppo spesso le indicazioni arbitrariamente evidenziate rischiano di diventare dimensioni immutabili ed eterne, reificate. Troppo spesso si è arrivati ad analizzare le fainiglie cercando di individuare i pattern relazionali, la struttura, i comportamenti comunicativi, i giochi ... come se si trattasse di verità ultime. Come se l'osservatore fosse esterno al sistema osservato, alla realtà descritta: un meccanico il cui compito è quello di aggiustare la fainiglia, come una macchina di cui si devono riparare le strutture difettose. Definirsi sistemici non vuol dire solamente credere che la diagnosi sia uno dei possibili livelli descrittivi rispetto a una situazione. Definirsi sisteinici significa interrogarsi sulle operazioni di connessione che collegano noi e ciò che vediamo con la situazione e con il contesto socioculturale più vasto: le
Rapporto terapeuta-paziente
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griglie, i pre-giudizi e le azioni che costituiscono e poi mantengono una determinata realtà. Conoscere non è più considerato un'operazione di scoperta. Le descrizioni non sono proprietà del paziente ma qualcosa che è nato nell'interazione ed è riflessivamente collegato alle mappe del terapeuta. La diagnosi ci dice infatti molto del terapeuta e di quali categorie egli abbia amplificato o inventato ex novo nel rapporto col paziente o la famiglia. Già Sullivan (1953) sosteneva che la diagnosi include il terapeuta che è parte del campo di osservazione: il clinico non osserva il paziente ma osserva la propria interazione con il paziente. Haley e Minuchin, all'inizio degli anni settanta, si arrabbiavano con i loro studenti se questi non si includevano nella descrizione e quindi nella diagnosi relazionale. Sarà comunque l'ottica legata alla cibernetica di secondo ordine e al costruttivismo (Telfener, 1987) a sottolineare, esplicitare e rendere inderogabile un aspetto che tutti i «buoni clinici» di tutti i tempi hanno sempre conosciuto e messo in atto: la connessione ineluttabile fra terapeuta e paziente, l'interazione fra i due, unico elemento che permetta la costruzione di ipotesi. Il sistema terapeutico diviene un sistema autoreferenziale; il terapeuta non potrebbe conoscere il sistema se non ne fosse parte integrante. Il terapeuta perde la sua neutralità, la distanza, e perde l'illusione del potere e del controllo sul sistema per diventare co-partecipe e responsabile delle risposte che assieme al/ai pazienti co-costruisce. L'attenzione è sempre più rivolta al sistema terapeutico, agli elementi che vengono amplificati fra i tanti possibili, frutto dell'incontro fra singolarità e organizzazioni differenti, frutto specifico dell'accoppiamento fra quel particolare sistema e quel particolare clinico. Clinici diversi infatti tendono a percepire, organizzare e dare significato agli eventi in maniera differente. Informazioni significative per un sistema possono essere considerate irrilevanti da un altro. La diagrr.osi come ipotesi complessa
La realtà è multidimensionale e le descrizioni non possono essere uniche e univoche. Differenti livelli di analisi, differenti descrizioni e differenti sistemi di riferimento categoriale offrono punti di vista molteplici, e non è sempre opportuno utilizzare elementi comuni nel valutare i problemi, nel fare una diagnosi, nel ricercare le soluzioni. La diagnosi non è mai la ricerca della verità ma un processo attraverso il quale costruire il proprio agire organizzato da ipotesi complesse e processuali. Boscolo e Cecchin, per non cadere in un processo di reificazione, sostituiscono il concetto di diagnosi con quello di «ipotizzazione», inteso come la capacità del terapeuta di formulare una o più ipotesi come punto di partenza
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Capitolo primo
della propria investigazione. Non un punto d'arrivo, quindi, ma una o più congetture, con cui incontrare la famiglia o l'individuo che si presentano. Una descrizione da falsificare,. da non trattare assolutamente come verità evidente. Boscolo e Cecchin (1988) sostengono anzi che il primo intervento è quello di sfidare la diagnosi tradizionale e di introdurre il dubbio su tutte le definizioni di patologia. Cecchin in altra sede (1988a) aggiunge: «A me non interessa se un problema è organico o meno. Mi metto a un metalivello e mi chiedo quali siano le conseguenze del fatto che il sistema abbia deciso che un membro della famiglia sia organico. Se decido io che un'ipotesi è vera e un'altra è falsa, entro nel pensiero del sistema e divento inutile. Devo invece osservare come loro hanno costruito la diagnosi e cominciare proprio da lì.» Che il problema sia organico o meno non fa differenza rispetto alle conseguenze relazionali. Il terapeuta deve infatti allearsi con tutti e permettere la pluralità e la multiparzialità dei punti di vista. La diagnosi viene a far parte del pacchetto di messaggi con cui si viene in terapia e che ha portato a determinate conseguenze. La ricerca del significato del comportamento va al di là di quelle che nel tempo sono diventate etichette parziali, quasi giudizi sull'altro, emessi da una posizione privilegiata e asettica. Il rifiuto di una categorizzazione semplificata ed esterna è univoco. Quali sono allora le alternative? La risposta sembra essere concorde: utilizzare più parametri diversi nel costruire le proprie ipotesi e considerarle ipotesi e non assiomi dai quali si parte. È necessario, se non indispensabile, fare distinzioni che però debbono essere relazionali, temporalmente e storicamente definite, e che debbono necessariamente includere l'osservatore: diagnosi autoriflessive relazionali e complesse. La diagnosi come un'assunzione di responsabilità da parte del clinico, una riflessione esplicita sulle proprie griglie di lettura, sulle proprie aspettative e azioni. Se l'osservatore è connesso al sistema in maniera ricorsiva la diagnosi non può essere fatta dal di fuori né si può costruire l'oggetto come esterno da sé. I terapeuti possono affrontare l'ecologia delle idee dei pazienti attraverso la verbalizzazione delle proprie idee e un processo di autoriflessione sulle proprie premesse e sulle proprie modalità operative. Per Keeney (1983) variare il proprio comportamento significa intervenire, mentre riconoscere gli effetti degli interventi può essere definito «diagnosi»: due momenti inseparabili di un processo cibernetico. Cade la distinzione tra conoscere e fare: conoscere è agire, e diagnosticare non è più un momento primario e separato dalla cura quanto un costante processo di scelte terapeutiche all'interno di un rapporto fatto di retroazioni costanti. Un tentativo di prendere in considerazione l'interrelazione tra osservatore e osservato, tra conoscere e agire, coinvolgendo in prima persona il terapeuta, ci sembra l'ipotesi di Ugazio (1989): « Una via privilegiata per comprendere l'organizzazione relazionale fonte dello stato di disagio è analizzare le intera-
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zioni tra sistema osservato e sistema osservatore, il che comporta per l'équipe terapeutica il porsi in una posizione autoriflessiva (...) In una prospettiva costruttivista sono inizialmente proprio il pattern di collegamento e le aspettative verso la terapia a costruire una sorta di filo di Arianna per ricostruire le dinamiche del sistema osservato e conseguentemente per permettere la formulazione di un'indicazione di trattamento.» La famiglia, secondo questa autrice, si collega alla terapia mettendo in gioco le stesse premesse che sono alla base della patologia. Per fare questo collegamento la Ugazio analizza i comportamenti che la famiglia mette in atto quando richiede la terapia e le aspettative, ovvero ciò che i richiedenti domandano e desiderano ottenere. Sempre di più cade la separazione tra osservatore e osservato. Basta pensare al metodo del rejlecting team ideato dal gruppo di Tom Andersen in Norvegia (1989): il team terapeutico osserva la famiglia e conseguentemente sarà la famiglia a osservare il team. Un vero dialogo, il vedersi attraverso gli occhi dell'altro e un rispecchiarsi vicendevole nella costruzione di identità alternative. Non diagnosi come momento statico ma una danza polifonica di punti di vista processuali e positivamente connotati sulla medesima situazione. Ci viene anche in mente \Vhite, un clinico australiano di cui si parla in questi ultimissimi anni: egli (\Vhite e Epston, 1989) consegna alla fine di ogni seduta un riassunto-reframing che costruisce un collegamento tra la situazione, la rilettura terapeutica e le opportunità future. La diagnosi viene così condivisa con la famiglia, organizzata e scritta in modo da sottolineare aspetti positivi e proporre narrazioni che abbiano un potenziale terapeutico. La terapia sistemica sempre più favorisce la perdita dell'anonimato e della distanza, la rinuncia a una posizione gerarchicamente rigida in favore di una maggiore apertura e condivisione. La diagnosi e la cura diventano un unico processo e non possono essere separate né bloccate nel tempo. Viene messa in crisi una terminologia prettamente medica: «paziente», «malattia», «sintomo», «cura», «trattamento» ... Il concetto stesso di «diagnosi» rischia di essere limitante e riduttivo perché tra l'altro distingue un prima da un dopo, il conoscere dall'agire. La lettura della situazione diventa una CO-costruzione, un'invenzione che unisce terapeuta e paziente nel cammino per comprendere ed evolvere. Come dice Watzlawick (1981), la comunicazione è la capacità di creare una realtà condivisa di secondo ordine. La diagnosi sistemica è un processo di secondo ordine, la conoscenza della conoscenza, come ben ci spiegherà Cingolani nel prossimo capitolo. Il rapporto, quello che gli psicoanalisti chiamano