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Italian Pages 132 [125] Year 2011
AION ANNALI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI «L’ORIENTALE» DIPARTIMENTO DI S TU DI DE L M O NDO CL A S S IC O E D E L M E D I T E R R A N E O A N T I C O S EZIO NE FILO LO G ICO -L E T T E R A R I A
QUADER NI · 1 6 .
ANNALI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE” dipartimento di studi del mondo classico e del mediterraneo antico Sezione filologico-letteraria AION (filol) Direttore responsabile Amneris Roselli Comitato scientifico Dagmar Bartonˇ k ová · Albio Cesare Cassio · Giovanni Cerri Jacques Jouanna Comitato di redazione Giorgio Jackson ∙ Luigia Melillo · Luigi Munzi Riccardo Palmisciano · Roberto Velardi * Registrato al n. 2926 del Registro periodici del Tribunale di Napoli ai sensi del D.L. 8-2-1948 n. 47. I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi microfilms, microfiches e riproduzioni fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. I volumi degli Annali possono essere richiesti in scambio da altre Università o istituzioni culturali rivolgendosi all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Dipartimento di Studi del Mondo classico e del Mediterraneo antico, Palazzo Corigliano, Piazza S. Domenico Maggiore, 80134 Napoli, tel. 081 6909712, fax 081 6909631. Manoscritti e contributi per la pubblicazione dovranno essere inviati allo stesso indirizzo. http://www.iuo.it/dipmcma/pubblicazioni * issn 1128-7209 isbn 978-88-6227-426-5 isbn elettronico 978-88-6227-427-2 © 2011 by Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
C U S T OS L A T I N I S ER MO N IS TESTI GRAMMATICALI LATINI DELL’ALTO MEDIOEVO sa g g i e n o te te stua l i di luigi munz i
PISA · ROM A FABRIZIO SERRA EDITORE MMXI
Volume pubblicato nell’ambito del Progetto di ricerca di interesse nazionale “Testi grammaticali e metricologici antichi: tradizione manoscritta e dottrinale, edizioni critiche, commenti e lessici”, grazie al cofinanziamento del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (prin 2007) e al contributo dell’unità di ricerca dell’Università di Napoli ‘L’Orientale’. * Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved Uffici di Pisa : Via Santa Bibbiana 28, i 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax + 39 050574888, [email protected]
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Stampato in Italia · Printed in Italy www.libraweb.net
SOMMAR IO Insegnamento grammaticale ed esegesi biblica nell’alto medioevo: un itinera rio condiviso
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Tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini fra tardoantico e alto medioevo
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Per il testo della Adbreviatio artis grammaticae di Orso di Benevento e dell’Ars Bernensis
65
‘Omnia et furibunde explicabat’ : una Vita parodica del grammatico Donato
73
Ancora sul ‘Donato furioso’
89
Sigle e abbreviazioni
103
Edizioni di testi
103
Bibliografia
107
Indici degli autori classici
115
Indice biblico
115
Indice dei testi di esegesi biblica
117
Indice dei testi grammaticali
119
Indice dei manoscritti
125
Indice degli studiosi moderni
127
Ne quis igitur tamquam parva fastidiat grammatices elementa, non quia magnae sit operae consonantes a vocalibus discernere ipsasque eas in semivocalium numerum mutarumque partiri, sed quia interiora velut sacri huius adeuntibus apparebit multa rerum s u b t i l i t a s, quae non modo acuere ingenia puerilia, sed exercere altissimam quoque eruditionem ac scientiam possit. Quintiliano, Institutio oratoria 1, 4, 6 Eo liquidius potueris sacras perscrutari paginas, quia peritia grammaticae artis in sacrosancto scrutinio laborantibus ad s u b t i l i o r e m intellectum, qui frequenter in sacris Scripturis inseritur, valde utilis esse dinoscitur, eo quod lector huius expers artis in multis Scripturarum locis usurpare sibi illa quae non habet et i g n o t u s s i b i ipse esse conprobatur. Bonifacio, Ars grammatica p. 11, 76-81
INSEGNAMENTO GR AMMATICALE ED ESEGESI BIBLICA NELL’ALTO MEDIOEVO : UN ITINER AR IO CONDIVISO
A
partire dal settimo secolo, gli autori cristiani che hanno composto manuali grammaticali si sono sforzati di conferire una specifico colorito cristiano al loro insegnamento, pur senza rinunziare all’efficacia didattica garantita dalla continuità delle dottrine grammaticali tardoantiche. Questo intento è stato realizzato in primo luogo con l’introduzione, a fianco delle canoniche citazioni di Virgilio o di Cicerone, di auctoritates tratte dalla Bibbia o da poeti cristiani, 1 dando luogo a soluzioni di diversa tipologia e spessore. Si può in effetti individuare una coerente linea di sviluppo che trova le sue basi nel primo libro delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e nel testo noto come Isidorus iunior 2 e che attraverso la successiva ars di Giuliano di Toledo 3 – ove si può constatare un equilibrio quasi perfetto fra le citazioni di autori classici e cristiani – raggiunge il suo culmine in trattati rigorosamente tecnici come il De arte metrica e il De schematibus et tropis del venerabile Beda, che al contrario accolgono soltanto, salvo rare eccezioni, exempla di origine cristiana. Tuttavia, il piano tradizionale di queste opere mantiene in generale una fedeltà assoluta all’organizzazione didattica delle antiche artes, e in particolare ai rinomati manuali di Donato : “a fundamentally classical tradition overlaid with a Christian veneer”, per riutilizzare una felice immagine di V. Law, Irish Symptoms, 82. Fra settimo e ottavo secolo, la situazione muta rapidamente : il latino è sempre più una lingua ‘altra’, non solo in località periferiche o insulari quali l’Irlanda o la Gran Bretagna, ma anche in quelle regioni d’Europa in cui si fa uso di un sermo vulgaris non del tutto lontano dal latino ‘classico’, ma anch’esso in rapida evoluzione. D’altra parte – in un mondo che ha posto al centro della sua cultura la Bibbia, il ‘libro’ per eccellenza – la scienza che studia i testi scritti, la grammatica, non può più presentarsi come disciplina neutra e puramente tecnica, ma deve al contrario assumere un rango elevato e un colorito decisamente più cristiano. Nelle
1 Soprattutto da una rinnovata quadriga cristiana, costituita dai poeti Prudenzio, Sedulio, Giovenco e Aratore. 2 Edito da U. Schindel, Die lateinischen Figurenlehren des 5. bis 7. Jahrhunderts und Donats Vergilkommentar (mit zwei Editionen), Göttingen 1975, pp. 204-41. 3 La grammatica attribuita a Giuliano di Toledo presenta un commento all’Ars minor e alle sezioni i e iii dell’Ars maior di Donato : si può leggerla nell’edizione, non sempre soddisfacente, di M. A. H. Maestre Yenes, Ars Iuliani Toletani episcopi. Una gramática latina de la España visigoda, Toledo 1973. Chi scrive ha pubblicato la sezione relativa a Ars maior ii, trasmessa soltanto dal Bernensis 207 : vedi Il De partibus orationis di Giuliano di Toledo, « Annali dell’Ist. Univ. Orientale, Dipartim. di Studi del Mondo classico, sez. filol.-letteraria » 2-3, 1980-81, pp. 153-228.
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scuole monastiche insulari come nella Spagna Visigotica, nelle contrade italiane come nel regno franco in pieno sviluppo, l’ars grammatica si vede affidata il compito nuovo e delicatissimo di condurre all’apprendimento della sacra Scrittura : e poiché solo una corretta interpretazione della Scrittura assicura l’incontro con Dio, la dottrina grammaticale dovrà da questo momento entrare in un rapporto ancora più stretto con lo studio della Bibbia, e proporsi essa stessa come instrumentum salvationis. Lo stesso manuale grammaticale, lungi dal promuovere un sapere squisitamente tecnico, si presenterà sempre più come un enchiridion che deve condurre a quella che l’enigmatico personaggio noto come Virgilio grammatico aveva definito come sapientia aetrea telleaque, saggezza divina e terrestre. 4 Pertanto i misteriosi sentieri della grammatica, gli oscuri saltus grammaticorum che tanto intimoriscono i principianti, 5 devono trasformarsi per tutti gli allievi in un itinerario esistenziale che li conduca alla pienezza della fede : a buon diritto il grammatico Smaragdo di Saint-Mihiel, nella prefazione in esametri che precede la sua ars, potrà dire che « grandi sono le ricompense che lo studio della grammatica può fornire agli studenti di buona volontà ». 6 In una parola, allo sforzo di cristianizzare le masse incolte è strettamente necessario unire l’educazione primaria del clero, e dunque l’insegnamento del latino, essenziale intermediario linguistico della cristianizzazione : questo conferisce ai manuali grammaticali elaborati fra settimo e ottavo secolo – soprattutto in regioni, come quelle insulari, ove la particolare situazione linguistica presenta difficoltà ancor maggiori per l’apprendimento del linguaggio della Bibbia – uno statuto sconosciuto alle consimili opere della tarda antichità. È uno statuto eminente, di alta dignità, che la renovatio studiorum carolingia manterrà e accrescerà ancora, con qualche significativa innovazione. Sulla traccia delle Institutiones di Cassiodoro, il manuale grammaticale abbraccia ormai la conoscenza umana e la scienza divina : deve docere, ma fornire al contempo esempi edificanti, commuovere le anime, condurle alla corretta conoscenza della sacra Scrittura e alla pienezza della fede. In esso debbono riversarsi ormai tutti gli insegnamenti delle scienze antiche, dalla retorica alla dialettica, dalla linguistica alla filosofia, senza escludere alcuni rudimenti di discipline più
4 Virg. gramm. Epit. i 1, p. 2 Polara, 104 Löfstedt. Anche le Epistolae dello stesso autore si aprono con una solenne visione di tipo profetico, nella quale il maestoso fiume della saggezza celeste, ove scorre vino, si unisce al più modesto corso d’acqua della saggezza umana, mentre vitelli e agnelli si bagnano lietamente in queste acque ‘sapienziali’ (Epist. praef. 1, p. 174 Polara, 1-2 Löfstedt). 5 L’immagine della ’foresta grammaticale’ è messa a frutto sia da Bonifacio (Vynfreth), all’inizio della sua ars (Bon. p. 9, 16-20) ut antiquam perplexae silvam densitatis grammaticorum ingrederer ad colligendum tibi … quae passim dispersa per saltum grammaticorum inveniuntur, sia da Smaragdo nel prologo poetico al Liber in partibus Donati (Smar. p. 4, vv. 50-56) citius campos, tu candide lector/ …ingredere…/ possis ut ignotos calles dinoscere grammae ... nos lapides nocuos tulimus de calle, viator / … aspera propulimus, dumas truncavimus omnes. Per altre occorrenze di questa metafora in testi grammaticali, vedi Munzi, Prefazione 120 ; per la parallela e ugualmente fortunata immagine del possibile ‘naufragio’ fra gli scopuli grammaticales, rinvio a Munzi, Renovatio 354, n. 5 (agli esempi ivi raccolti si potrà aggiungere il testo delle Regulae dello pseudo Palemone, GL v 543, 3-4 = p. 51, 6-7 Rosellini : si quis diligenter animadverterit, quasi ex vado vitiorum emergens citius ad portum Latinitatis accedet). 6 Grandia retribuit caro seduloque legenti / praemia grammatica ars miserante Deo (Smar. p. 4, vv. 44-45).
13 insegnamento grammaticale ed esegesi biblica ‘tecniche’ come il computo, l’astronomia, la medicina. 7 In parallelo a questa tendenza ‘enciclopedica’, il manuale stesso si propone come atto di fede, come si può vedere nell’Anonymus ad Cuimnanum, che fa debuttare la sua Expositio Latinitatis con una vera e propria preghiera, nella quale le octo partes orationis di Donato sono programmaticamente paragonate alle otto beatitudine bibliche : Domine Jesu Christe, qui nos o c t o tuas, discipulis cum tuis, beatitudines docere dignatus es, orationis partium t o t i d e m Donati grammatici mihi scientiam, ad tuae ornamentum sapientiae, […] scire prestes (ad Cuimn. p. 1, 4-8). Si deve d’altra parte notare che, ancora in quest’epoca, gli studi grammaticali vanno difesi non solo dagli attacchi di malevoli detrattori, ma anche dal generico pericolo della pigrizia mentale e del conformismo : molti dovevano essere coloro che, proprio come certi fedeli cui alludeva Agostino nel proemio del De doctrina christiana, 8 si dicevano convinti, in nome della sancta simplicitas, di poter interpretare la scrittura sine duce homine, senza ausilio di maestri, con l’aiuto della sola illuminazione divina. Si trattava senza dubbio di voci destinate a rimanere alquanto isolate – anche per i pericoli obbiettivi che potevano venire alla gerarchia ecclesiastica da questo tipo di lettura dei testi sacri del tutto ‘spontanea’ e priva di guida – ma comunque temibili, 9 poiché potevano farsi forte di un famoso quanto veemente monito risuonato agli inizi del vii secolo : il famoso invito di Gregorio Magno a non ‘ridurre’, a non ‘soffocare’ entro le ‘regole di Donato’, ossia entro l’erudizione grammaticale, la ricchezza del testo biblico. 10 Se persino un papa – sia pure in un contesto chiaramente apologetico – ribadiva che Cristo aveva parlato a pescatori e che per questo l’esegesi del verbo divino poteva fare a meno
7 Si vedano in proposito i numerosi excursus che caratterizzano la Expositio Latinitatis dell’Anonymus ad Cumnanum, ad esempio sulle sfere celesti (p.6) o su mirabilia zoologici (pp. 48 e 52). 8 De doctrina christiana, praef, 5 : quoniam cum christianis nobis res est, qui se scripturas sanctas sine duce homine nosse gaudent. 9 Contro la ‘santa ignoranza’ si schierano molti testi esegetici, in particolare nel corso dell’viii secolo : si vedano ad esempio le Sententiae sanctorum patrum, tipico catechismo discipulo interrogante et magistro respondente (pls 4, 1515 : cf. Clavis lat. 1754), ove si legge : ea quae petisti et interrogasti in doctrina, prout potui, iuxta exemplar sanctorum magistrorum Athanasii, Cyrilli, Gregorii Nazianzeni, Iohannis os aurei, Hieronymi, Augustini, Eucherii, tuae dilectioni responsiones debitas obtuli […] ut orthodoxorum pulcherrimos thesauros sciendo ingrediaris et eligendo Christi margaritas fida mente possideas, quia s a n c t a r u s t i c i t a s, ut Hieronymus ait, solum sibi prodest, et quantum aedificat ecclesiam Christi ex merito vitae, tantum n o c e t, si contradicentibus catholicae fidei non resistet. 10 Sono le celebri parole della epistola missoria dei Moralia in Job, indirizzata a Leandro : indignum vehementer existimo ut verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati (MGH epist. I 357). Questa frase ha fatto versare molto inchiostro : segnalo in particolare i contributi recenti di J. Fontaine, Isidore de Séville et la culture classique dans l’Espagne wisigothique, Paris 1959, i, pp. 33-36 ; P. Riché, Éducation et culture dans l’Occident barbare (VIe-VIIIe siècle), Paris 1962, pp.182-99 ; N. Scivoletto, I limiti dell’Ars grammatica in Gregorio Magno, « Giornale Italiano di Filologia » 17, 1964, pp. 210-258 (ora ristampato in Scivoletto, Filologia e cultura latina, a cura di C. Santini – L. Zurli, Napoli 2000, pp. 365-98 : l’autore coglie alcune « contraddizioni » e « affrettate conclusioni » nell’opera di Riché) ; C. Dagens, Grégoire le Grand et la culture : de la « sapientia huius mundi » à la « docta ignorantia », « Revue des Études Augustiniennes » 14, 1968, pp. 17-26. Di questo testo famoso e famigerato invita « à la fois à restreindre et à aggraver la portée » un brillante articolo di L. Holtz : Le contexte grammatical du défi à la grammaire : Grégoire et Cassiodore, dans Grégoire le Grand, Colloque de Chantilly 15-19 sept. 1982, Actes publiés par J. Fontaine-R. Gillet-S. Pellestrandi, Paris 1986, pp. 531-39, in particolare 537.
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delle ‘leggi’ della grammatica, le sue parole non potevano che essere soppesate e valutate con attenzione, e, se del caso, confutate con un impegno proporzionato al rilievo dell’argomento in discussione. Non era peraltro difficile ricorrere alle parole e all’esempio di grandi autori cristiani. Cassiodoro, ad esempio, resta in tutta la sua opera un grammatico e un retore antico prima ancora che un esegeta ; torna alla mente il suo solenne elogio della grammatica come fundamentum pulcherrimarum litterarum nonché mater gloriosa facundiae, quae cogitare novit ad laudem, loqui sine vitio. Per parte sua Gregorio « n’a jamais condamné ouvertement la culture séculière ; il la met simplement au second plan …c’est sous cet angle qu’il faut comprendre l’attitude de Grégoire le Grand vis-à-vis de la culture classique sans en faire un contempteur de toute formation intellectuelle profane ». 11 Si ricordi anche come Gregorio Magno definisca S. Benedetto scienter nesciens et sapienter indoctus (Dial. 2 prol. : PL 66, 126) : a prima vista, le sue parole sembrano esaltare una ‘sapiente ignoranza’, ma il doppio, elegante oxymoron fa riconoscere in lui un attento allievo della schola grammaticorum. Anche nelle In primum Regum expositiones (CCsl 144 p. 83) Gregorio ribadisce il fatto che saecularem scientiam omnipotens D e u s a n t e p o s u i t ut nobis ascendendi g r a d u m faceret, qui nos ad divinae scripturae altitudinem levare debuisset. D’altra parte, se Gregorio Magno nei suoi Moralia in Iob non intende certo insegnare un sapere profano sulla base di procedimenti grammaticali, tuttavia la sua tecnica esegetica – che procede parafrasando e illustrando in ogni minuzia il testo biblico, parola per parola, riga per riga – ci ricorda da vicino il procedimento espositivo di numerosi commentatori di Donato, 12 per esempio di Servio, di Consenzio e in particolare di Pompeo, un grammatico capace, con la sua incontinenza verbale e il suo gusto innato per la digressione, di consacrare due o tre pagine all’illustrazione di una sola riga del testo dell’Ars di Donato. Come aveva giustamente notato qualche anno fa la rimpianta Vivian Law, Insular 81, « in spirit if not in style, Pompeius approached the methods of the patristic Bible-commentators ». Non sarà dunque un caso se in età carolingia Godescalco di Orbais, nelle sue Quaestiones grammaticales, lo considererà il commentatore di Donato per eccellenza e lo porrà a stretto contatto proprio con i più autorevoli esegeti biblici : cum liber a quolibet exponitur, ut Hieronymus in Matthaeum, Beda in Marcum, Ambrosius in Lucam, Servius in Virgilium, Pompeius in Donatum, Donatus in Terentium (GL viii 175, 19-21). Bonifacio, ad esempio, nel prologo della sua Ars grammatica mette a frutto tutte le risorse della sua scaltrita eloquenza per spronare il diletto discepolo Sigeberto agli studi grammaticali, indispensabile prodromo per l’approccio della Sacra Scrittura : eo liquidius potueris sacras perscrutari paginas, quia peritia grammaticae artis in sacrosancto scrutinio laborantibus ad s u b t i l i o r e m intellectum, qui frequenter
11 Riché, Éducation (cit. supra, n.8), pp. 198-199. 12 Vedi al riguardo P. Cazier, Analogies entre l’encyclopédie chrétienne des Moralia et l’enseignement du grammaticus : l’exemple de l’angélologie, dans Grégoire le Grand, Colloque de Chantilly 15-19 sept. 1982, Actes publiés par J. Fontaine-R. Gillet-S. Pellestrandi, Paris 1986, pp. 419-428.
15 insegnamento grammaticale ed esegesi biblica in sacris Scripturis inseritur, valde utilis esse dinoscitur, eo quod lector huius expers artis in multis Scripturarum locis usurpare sibi illa quae non habet et i g n o t u s s i b i i p s e esse conprobatur (Bon. p. 11, 76-81). Lo stesso precetto appare sviluppato, non senza un tocco di popolaresca vivacità, in un breve testo, presumibilmente risalente all’ottavo secolo, che prende le mosse dalla citazione di un passo geronimiano, 13 rafforzata da una incalzante quanto eterogenea serie di immagini : “scrivere senza le regole della grammatica è come tessere una tela senza ordito ; dunque, chi ama il vino, non disprezzi i bicchieri, 14 […] chi ama il latte non disprezzi le mucche, che desidera figli non disprezzi il matrimonio […] e chi desidera la sapienza, non inorridisca di fronte alla grammatica, senza la quale nessuno può essere riconosciuto come sapiens”. 15 Questa pittoresca ‘difesa’ della grammatica, e quindi di Donato princeps grammaticorum, risulta particolarmente necessaria « dans la mesure où Grégoire semblait remettre en cause le délicat équilibre entre les Arts libéraux et la foi esquissé dans le De doctrina christiana ». 16 All’ars grammatica si riconosce, dunque, uno statuto via via più ‘alto’. Assai significativa mi sembra al riguardo la sezione iniziale di un anonimo commento all’Ars minor di Donato, che ho edito di recente e che indico per comodità come Aggressus, utilizzando faute de mieux la prima parola del testo :
Haec vero editio secunda Donati grammatici iuxta h i s t o r i c a m doctrinam primitus intellegenda est, deinde in m o r i b u s consideranda, postea vero in a l t i o r i b u s rebus observanda est. Istae partes orationis, quasi d u a e inter se personae conloquantur, sic discurrunt : verbi gratia, cum dicitur ‘partes orationis quot sunt ?’ quasi h o m o interroget, et cum dicitur ‘octo’ quasi r a t i o respondet (Munzi, Mult. Latinitas p. 75 : in maiuscoletto i lemmi di Donato).
In questa pagina, in sostanza, da una parte ci si propone di estendere a Donato la triplice lettura, storica, morale e anagogica, che è abitualmente riservata alle Sacre Scritture ; dall’altra, si interpreta l’alternanza di domande e risposte che caratterizza l’Ars minor di Donato non come un dialogo fra maestro e allievo, ma come un soliloquio, in cui agiscono personaggi di ben più alto rilievo : l’uomo e la sua ragione. Ora, immaginare Donato assorbito in un colloquio con se stesso, non è
13 Hier. Epist. 58, 9, 1 (csel 55, p. 538, 6) 14 �������������������������������������������������������������������������������������������������� Non è privo di interesse notare come Agostino, in un diverso contesto, avesse utilizzato una metafora del tutto opposta (Conf. 1, 16) : il cristiano deve diffidare dei vasa electa et pretiosa della poesia pagana, perché contengono vinum erroris, quod in eis nobis propinatur ab ebriis doctoribus. 15 Sententia sancti Hieronimi de utilitate grammaticae artis (ed. Munzi, Renovatio, p. 379) : Inter philosophos et grammaticos et rhetores pene ab incunabulis nutritus sum [Hier. Prol. in Iob 41, ove si legge detriti sumus ; cf. Anon. ad Cuimn. 12, 384, che ha depotatus sum] ; et sicut tela non habens licium ad nullum opus bonum sine ipso proficitur, ita etiam cetera scriptura absque grammatica i n o r d i n a t a videtur. Item, qui amat vina non exsecret crateras, et qui nucleos non crinos, qui oleum non amurcam, qui lac non vaccas, qui segetes non boves, qui fidem non opus, qui Deum non proximum, qui filios non coniugium : et qui sapientiam desiderat, non h o r r e a t artem grammaticam, sine qua nemo eruditus et sapiens potest esse (cf. Anon. ad Cuimn. 17, 547-552). Per altri manoscritti che conservano questo testo, vedi Löftedt, Fragmente 123-24 : una versione accorciata si legge nelle Excerptiones patrum, trattato dell’viii secolo di verosimile origine insulare, edito fra i dubia di Beda in PL 94, 547C. 16 L. Holtz, art. cit. supra (n. 10), p. 537.
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particolare privo di importanza : l’antico grammatico, infatti, è significativamente paragonato ad Agostino, che spiegava la genesi dei suoi Soliloquia appunto nei termini di un dialogo interiore : me interrogans mihique respondens, tamquam d u o essemus, ratio et ego, dum solus essem (Aug. Retractationes ii 4, 1). 17 Sullo stesso piano interpretativo mi sembra si ponga anche l’ignoto magister che, nell’intento di citare qualche rinomato esempio di opere strutturate per interrogationem et responsionem, non esita ad accostare ancora una volta l’auctoritas di Donato a quella di S. Agostino, apponendo nel ms. Bernensis 363 il seguente titolo all’Ars rhetorica di Fortunaziano : C. Consulis [sic] Chirii Fortunatiani incipit ars rhetorica per peusin et apokrisin, idest per interrogationem et responsionem, more Augustini et Donati grammatici, ut per vii circumstantias 18 artis rhetoricae rhetores continua locutione per singulas regulas noscant. Siamo dunque di fronte a una concreta consacrazione dell’auctoritas di Donato, di cui mi sembra utile fornire anche un’immagine, a mio avviso molto significativa : 19 in essa Donato, colto nell’atto di scrivere il suo manuale, 20 si presenta ormai come un monaco, con la tonsura ecclesiastica, e presso di lui una iscrizione recita : Hic est Donatus ad regna Dei trabeatus. 21 La raffigurazione è ricca di particolari, anche curiosi : dal tendaggio che inquadra l’elaborata cathedra del grammatico pende una sorta di laccio che contorna il capo di Donato, accompagnato dalla singolare iscrizione non te suspensum / volo sed regat hoc / tibi sensum, forse uno scherzoso accenno alla fatica dello scrivere ; un allievo o aiutante, di cui si legge il nome Heinze, appare seduto sullo sfondo ; sopra l’arco che abbraccia l’intera sce
17 La stessa interpretazione appare anche in un trattato grammaticale inedito, di cui C. Jeudy, Commentaire 135, ha pubblicato solo qualche capitolo : quae [ma si dovrà leggere, verosimilmente, quem] grammaticus hic interrogat aut quis ei respondit ? Evideter idest ratio ei respondit, sicut Agustinus dixit ‘ego interrogo et ratio mihi respondit’. 18 Di antica tradizione retorica, la tematica proemiale delle vii circumstantiae – che caratterizzerà per tutto il Medioevo gli accessus ad auctores – è ben illustrata nell’incipit del coevo commento di Sedulio Scoto in Donatum minorem, p. 3, 5-10 : Septem sunt species peristaseos, idest circumstantiae, sine quibus nullae quaestiones proponuntur, nulla argumenta tractantur nullaeque artes constare possunt, idest persona, res vel factum, causa, locus, tempus, modus, materia vel materies sive facultas. Quis fecit ? Quid fecit ? Quare fecit ? Ubi et quando, quomodo et unde fecit ? (Vel qua facultate seu materia fecit, ut est ‘utrum veneno illum occidit an gladio’ ?), ove compare anche il motivo della uccisione veneno aut gladio, estesamente utilizzato nei testi grammaticali, come si vedrà infra, 60-61. Per la tematica delle vii periochae vedi anche Sed. mai. p. 55, 18-26. Una versione ‘ridotta’ delle vii circumstantiae si può ravvisare nella triade locus, tempus, persona di cui si tratterà infra. 19 Fig. 1, tratta dal manoscritto London, British Library, Arundel 43, che ci trasmette il doppio commento all’Ars minor e all’Ars maior di Donato composto da Sedulio Scoto (l’edizione del testo è stata curata da B. Löfstedt, CCsl 40 B e 40 C). Il manoscritto del xiii secolo, proveniente dalla certosa di Magonza, è verosimilmente copia di un exemplar che risale forse al ix secolo, come pensa anche L. Holtz, « Revue d’Histoire des Textes » 2, 1972, 54 ss. ; l’immagine del grammatico Donato, che segna la fine del testo (f. 80v), potrebbe quindi rimontare anch’essa a un modello figurativo di età carolingia. Per altre immagini di Donato, verosimilmente di provenienza tardoantica, vedi infra, p. 98 e fig. 3 e 4. 20 Si legge con chiarezza l’incipit canonico dell’Ars minor, che gli allievi dovevano conoscere a memoria : Partes orationis quot sunt ? Octo. 21 L’iscrizione si legge a destra del leggio, in verticale, ed è ripetuta altre due volte al di sotto della cathedra sulla quale siede Donato.
insegnamento grammaticale ed esegesi biblica
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Fig. 1. Foglio finale, 80v, del codice London, British Library, Arundel 43. Nella raffigurazione a piena pagina, Donato, vestito di una lunga tunica, scrive il suo manuale : si riconosce sul libro posto sul leggio il ben noto incipit dell’Ars minor : Partes orationis quot sunt ? Octo. Al di sotto della cathedra sono ripetute due volte in orizzontale – come pure sulla destra del leggio, disposte in verticale – le parole Hic est Donatus ad regna Dei trabeatus : sullo sfondo la figura dell’allievo Heinze, che sembra porgere un copricapo ( ?) e un cartiglio. In basso si noti l’ex libris della certosa di Magonza : codex carth Mogunciae.
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na sono riportati due carmi in versi leonini, 22 il secondo dei quali costituisce un chiaro omaggio ai tre ‘produttori’ del manoscritto, scriba, illustratore e autore : merces scriptoris perpes sit vita decoris / dextera pictoris vigeat pro iure laboris / et caput auctoris obnubat laurus honoris. Di questa ‘consacrazione’ si fa testimone anche l’irlandese Murethac, quando commenta la dottrina dell’antico grammatico facendo ricorso alle parole dell’apostolo Paolo :
quaestio igitur non minima oritur, ut quid Donatus definit barbarismum esse unam partem orationis vitiosam, cum tota illa pars non sit corrupta […] ad hoc respondendum est r e c t e dixisse Donatum, quia sicut P a u l u s ait Apostolus Si unum membrum patitur, omnia membra compatiuntur, simili modo quando aliqua littera syllabaque aut accentus corrumpitur, tota illa pars deformis redditur (Mur. 188, 29-36) ;
parimenti l’Anonymus ad Cuimnanum nota, per ribadire ulteriormente la pari dignità dei due testi, che anche Donato, come l’apostolo Paolo, ha voluto scrivere sponte sua il suo manuale :
sed ne hoc hic etiam omittendum est, quod in librorum prochemis percunctari solet, utrum idem scripsit Donatus has regulas quodam postulante […] aut a quoquam coactus, ut lxx scripturas veteris Ptholomeo cogente ex Ebreo transtulisse in Grecum leguntur, aut etiam spontis incitamento, ut P a u l i apostoli quaedam aepistulae scriptae sunt. Certe scripsit nemine vel rogante vel cogente suas regulas ad emendationem loquendi et scientiam proficientes (Anon. ad Cuimn. p. 13, 417-25). 23
Allo stesso modo Remigio di Auxerre, commentando la serie delle canoniche quattro forme del verbo elencate da Donato (perfecta, meditativa, frequentativa, inchoativa), si permette dapprima un garbato dissenso nei confronti del princeps grammaticorum, per poi vedersi costretto ad ammettere che Donato ha convenientemente iniziato dalla forma perfecta, non diversamente da Dio al momento della creazione di Adamo :
Sciendum quod non rectum ordinem Donatus tenuit in his formis. Primum enim debuerat ponere meditativam formam, dein inchoativam, tertio loco perfectam, quarto .i. ad ultimum frequentativam. Primum enim meditamur acturi, priusquam inchoamus, postea inchoamus, tertio inchoata perficimus, quarto in usu frequenti tenemus. Notandum vero, quia Donatus naturam imitatus est : natura enim a p e r f e c t i s inchoavit. Donatus aequali modo a perfecta forma bene inchoavit. Deus enim omnia perfecte fecit : quando hominem fecit, non puerum, sed perfectum plasmavit virum in aetate triginta annorum. Similiter arbores, non fructus fecit, volatilia quoque, non ova. Hanc causam considerans Donatus a p e r f e c t i s initium semper sumpsit (Rem. min. 47, 21-48, 3). 24
Ugualmente significativo, infine, è notare come le parole con cui il Commentarius in Genesim di Remigio di Auxerre rivendica la ‘verità’ del testo biblico ripetto agli 22 I due carmi – non presenti nell’incipitario del Walther – sono stati editi da D. Brearley, Two Medieval Postscripts, “Classica et Mediaevalia” 28, 1967, 405-407. 23 ������������������������������������������������������������������������������������������������ Altri commentatori spingono questa ‘consacrazione’ di Donato fino al punto di indicare un pontefice come committente dell’Ars : cf. Munzi, Renovatio 367 ; Munzi, Mult. Latinitas 50 n. 8. 24 Vedi anche i passi paralleli di Rem. mai. 253, 8-15 e Sed. mai. 208, 44-209, 56.
19 insegnamento grammaticale ed esegesi biblica errores philosophorum concordino quasi ad litteram, nell’ars del grammatico irlandese Murethac, con un solenne elogio di Donato, la cui dottrina è tesa ad indaginem veritatis di contro alle inanes aestimationes dei suoi predecessori :
in principio huius voluminis philosophi confutantur […] sicut Plato, qui tria dixit esse principia, Deum videlicet, exempla et materiam […] Aristoteles autem duo dixit esse principia, materiam scilicet et speciem, tertium quiddam nescio quid volens dicere operatorium appellavit. Quorum e r r o r i b u s obvians Moyses, utpote a Deo electus, v e r i t a t e m dicitur demonstrasse, ostendens Deum cuncta simul ex nihilo formasse […] : ‘Creavit enim caelum et terram’ (Remigius Autissiodorensis In Genesim PL 131, 53-54) ; 25 illud praeterea quaeritur, quae necessitas compulit Donatum hanc cudere artem. Ad quod dicendum, quod tempore illius erant multi grammaticae artis regulas varie proferentes, unusquisque prout sentiebat. Horum Donatus e r r o r e s abstulit et successores suos a d i n d a g i n e m v e r i t a t i s perduxit, deliberans artem grammaticam comprehendi sub brevitate, rei veritatem proferens inanesque aestimationes repellens (Mur. 4, 44-51).
Testi di questa tipologia indicano con chiarezza come fra commenti biblici e manuali grammaticali si istituisca una vera e propria osmosi di metodi e di procedimenti esegetici. In particolare, se il manuale di Donato occupa nel corpus dei testi grammaticali lo stesso posto che la Bibbia ricopre fra i testi sacri, appare naturale che si debba analizzarlo e commentarlo con le stesse tecniche esegetiche sviluppate per le sacre scritture. Questo concetto appare fondamentale in maniera particolare per i manuali grammaticale di presumibile origine ‘iberno-latina’ ; per utilizzare le parole di L. Holtz, « pour juger à bon escient de la culture chez les Irlandais, il faudrait étudier à la fois leur pédagogie grammaticale et leur exégèse scripturaire. Ce sont deux domaines fondamentalement liés pour eux et il y a tout moyen de croire que les méthodes employées ici et là se recoupent » (Donat, p. 267 n. 17). Le manifestazioni storiche di questa osmosi seguono un complesso di percorsi che possono essere ricostruiti con ragionevole approssimazione. A suo tempo, l’esegesi biblica di Clemente d’Alessandria o di Origene, si era appropriata, senza opposizioni pregiudiziali, dei metodi e degli strumenti interpretativi che dal terzo secolo a. C. la grande filologia alessandrina aveva messo a punto per commentare i testi omerici. Più tardi, nel De doctrina christiana, Agostino, pur mettendo in luce come il rude linguaggio del popolo possa talvolta giungere a una chiarezza sconosciuta alla raffinatezza linguistica dell’uomo di cultura, inviterà esplicitamente a sfruttare per l’esegesi biblica la dottrina grammaticale, in particolare lo studio delle tropicae locutiones, attardandosi specificamente sui tropi dell’ironia e dell’antiphrasis, che ritiene di particolare utilità per far fronte all’oscurità di alcuni passaggi biblici. 26 Anche i commenti biblici di Gerolamo riservano ampio spazio
25 Una versione del Commentarius in Genesim qua e là diversa rispetto a quella pubblicata nella Patrologia Latina è conservata nel Vat. lat. 646, ff. 1-92v, sec. ix-x, con esplicita attribuzione a Remigio nell’incipit e nell’explicit. 26 Aug. De doctrina christiana iii, 7 e 40-41 (CCsl 32, p. 81 e 101-102).
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ai metodi del grammatico : l’autore stesso, peraltro, è fiero di presentarsi come antico allievo di un magister insignis come Donato. 27 Non è dunque sorprendente che tracce di questa dottrina siano ancora nettamente percepibili nei manuali grammaticali come nei commentari biblici prodotti tra vii et ix secolo. 28 Alla stessa osmosi corrisponde anche il metodo onnipresente dell’excerptio, che è alla base della proliferazione delle ben note ‘catene’ bibliche, ma nutre d’altra parte anche le similari ‘catene grammaticali’ : è questa l’epoca, in effetti, in cui notiamo spesso, negli stessi manoscritti, gruppi di Explanationes o di Quaestiones di soggetto grammaticale fare da pendant a serie di Quaestiones o Quaestiunculae super Evangelia, tratte dai grandi esegeti come Gerolamo, Agostino, Ambrogio o Gregorio Magno. 29 Questo fenomeno di osmosi mostra inoltre caratteristiche del tutto speculari, sia in una direzione che nell’altra. Da una parte, concetti e materiali esegetici propri ai commentari delle sacre Scritture sono trasmessi ai manuali grammaticali : è il caso, ad esempio, del peculiare interesse per le tres linguae sacrae, ossia le lingue che, secondo i Vangeli di Luca e di Giovanni, compaiono con pari dignità sulla iscrizione posta sulla Croce e che si rivelano pertanto indispensabili, secondo una nota testimonianza isidoriana, a chiarire i passi più oscuri delle scritture. 30 Questo motivo esegetico – che persino Colombano metteva a frutto per nobilitare il suo nome 31 – è ben attestato nei commentari biblici riconducibili alla cultura insulare ed esemplificato attraverso il nome ebraico dei salmi, del Cantico dei cantici e delle tre persone della Trinità, non senza inevitabili incongruenze linguistiche :
psalmus quomodo vocatur in tribus linguis, idest ebrea et graeca et latina ? S p i t a m i s in ebrea, psalmus in graeca, laus in latina (‘Pauca problesmata’ : Bischoff, Mitt. Studien i, p. 233) ; 32
27 « Saint Jérôme, très prisé des Irlandais, avait à plusieurs reprises esquissé dans son œuvre une théorie du commentaire de texte, laquelle était passablement redevable à son maître Donat. Il a donc existé au cours des siècles un échange perpétuel entre commentaire profane et commentaire sacré » : così L. Holtz, nella prefazione alla sua edizione del commento In Donati artem maiorem di Murethac (CCcm 40, p. xxxi). Gerolamo ricorda Donato come praeceptor meus in più occasioni : nel Chronicon s. a. 358, nell’Apologia adversus libros Rufini 1, 16 e nel Comm. in Ecclesiasten 1, 9-10. 28 L. Holtz giudica « frappant » il parallelismo fra il metodo grammaticale di Murethac e i commenti biblici di Aimone di Auxerre : « ils traitent dans le même m o u l e grammaire et théologie » (Mur. p. xxxi). 29 Un tipico esempio è offerto dal contenuto del codice Bruxelles, Bibliothèque Royale, ii 2572 (CLA x 1553), per il quale rinvio a Luhtala, Pietro da Pisa 328 e a Munzi, Renovatio 373. 30 Tres sunt autem linguae sacrae : Hebraea, Graeca, Latina, quae toto orbe maxime excellunt. His enim tribus linguis super crucem Domini a Pilato fuit causa eius scripta. Unde et propter obscuritatem sanctarum Scripturarum harum trium linguarum cognitio ncessaria est, ut ad alteram recurratur dum siquam dubitationem nominis vel interpretationis sermo unius linguae adtulerit (Isid. Etym. 9, 1, 3). 31 Mihi ‘Ionae’ hebraice, ‘Peristerae’ graece, ‘Columbae’ latine : S. Columbani Opera, ed. G.S.M. Walker, Dublin 1970, p. 54. 32 Questo singolare tratttato di esegesi biblica, che nei manoscritti reca l’elaborato titolo Pauca problesmata de enigmatibus ex tomis canonicis e che gli studiosi moderni hanno a lungo citato con l’indicazione un po’ fuorviante di Bibelwerk o Reference Bible, è stato composto attorno al 750 in un ambiente culturale caratterizzato da forte influsso insulare : se ne conoscono due recensioni, di diversa lunghezza. Ad oggi, solo il prologo e la sezione relativa al Pentateuco sono stati oggetto di una edizione moderna,
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sam in eb, eleos in greco, panib in philosophia, Feb apud Syrus, Tytan apud Aegyptius, sol apud Latinos (‘Pauca problesmata’ : Bischoff, Mitt. Studien i, p. 235) ; Cantica canticorum quod vocatur aebraice s y r a s e r i m, grece epitholamion vel canticum idest asma in greco (commentario biblico inedito, viii-ix secolo, ms. Wolfenbüttel, Novi 535, 8, f. 1) ; sciendum nobis quomodo ‘dies’ in tribus linguis principalibus vocatur : ‘ella’ in ebreo, ‘emera’ in greco, ‘dies’ in latino (Cummianus, De ratione computandi p. 130 Walsh-Ó Cróinín) ; Pater, Filius et Spiritus sanctus, quae tres personae apud Hebraeos sic vocantur : ‘abba’, ‘ben’, ‘ruba’. Apud vero Graecos ‘pater’, ‘bar’, quomodo autem graece spiritus dicitur adhuc non inveni : illi tamen dicunt ‘ageos’ quod latine sonat sanctus. ‘Abba’ pater, ‘ben’ filius, ‘ruba’ spiritus sanctus ; ‘pater’ tamen graecum est et latine sonat genitor ; ‘bar’ graece, filius latine (Liber de numeris, trattato irlandese dell’viii secolo, PL 83, 1302) ; dic mihi, ‘abba’ quae lingua dicitur ? Hebreice. Graeci ‘pater’, latin[a]e genitor (‘Quaestiones S. Hysidori’, viii sec., Script. Hibern. I 159, 55-56).
Il motivo delle tres linguae sacrae è parimenti sfruttato anche dagli autori di artes grammaticae, come ad esempio nel trattato Quae sunt quae. L’anonimo redattore inizia la sua trattazione facendo uso di quel tipico esercizio scolastico che i Greci chiamavano merismov~, ossia l’analisi minuziosa delle differenti sezioni che compongono una parola. E poiché l’esercizio viene in questo caso condotto sulla inscriptio del manoscritto di Donato a sua disposizione, ovvero Incipiunt partes Donati, la prima parola, incipiunt, è analizzata dapprima attraverso la prima lettera, poi attraverso la sillaba in, offrendone i significati nelle tre lingue sacre :
‘I’ littera quomodo dicitur in hebraeo, in greco, in latino ? In hebraeo iot, in graeco iota, in latino i […] iota apud Graecos decem significat, iot in hebraeo principium interpretatur […] ‘In’ […] quomodo in hebraeo, in graeco, in latino ? ‘Ba’ in hebraeo, ut dicitur ‘basuban’ idest in tempestate ; ‘en’ in graeco, ut dicitur ‘en bule asibon’, idest in consilio impiorum (Quae sunt quae p. 17).
Identico procedimento viene utilizzato per il titolo del capitolo De nomine dell’Ars di Donato, facendo ancora una volta la lista degli equivalenti greci e ebrei della preposizione de e del sostantivo nomen :
‘DE’ quae pars orationis est ? Praepositio est … Quomodo dicitur in tribus linguis ? ‘Ma’ in hebraeo dicitur : ‘madian’, de iudicio ; ‘apo’ in graeco, ut dicitur ‘apocalypsis’, hoc est revelatio vel declaratio. ‘de nomine’ : ‘sem’ in hebraeo, idest nomen vel nominatio ; ‘onoma’ in graeco, ut dicitur ‘en onoma Chyri’, idest in nomine Domini (p. 20).
D’altra parte e in maniera del tutto simmetrica, sono i trattati di esegesi biblica a nutrirsi di procedimenti e di categorie grammaticali. Questa abitudine è già ben attestata nella patristica, in particolare presso S. Agostino, che ebbe una completa a cura di G. McGinty (CCcm 173, Turnhout 2000), mentre R. Gryson nei Commenta minora in Apocalypsin Iohannis (CCsl 107, Turnhout 2003) ha pubblicato i capitoli relativi all’Apocalissi.
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formazione grammaticale di stampo classico 33 e che dedica a suo figlio un’opera intitolata proprio De magistro, nella quale, per riprendere le parole famose di Henry-Irénée Marrou, « nous assistons à une véritable c l a s s e de grammaire ». 34 Si può trovare un esempio significativo di questa attitudine anche in un altro trattato agostiniano, l’Enchiridion (2, 8 : CCsl 46, p. 51) : qui Agostino discute sulla differenza fra spes e fides, e argomenta che non si può sperare in ciò che non si crede, ma che si può credere in qualcosa che si spera tuttavia che non debba mai verificarsi, e che si teme, come per esempio le pene dell’Inferno : quid autem sperari potest quod non creditur ? Porro aliquid etiam quod non speratur, credi potest. Quis namque fidelium poenas non credit impiorum, nec sperat tamen ? Et quisquis eas imminere sibi credit ac fugaci motu animi exhorret, rectius timere dicitur quam sperare. Quae duo quidam distinguens ait ‘Liceat sperare timenti’ (Lucan. 2, 15). Non autem ab alio poeta, quamvis meliore, proprie dictum est ‘Hunc ego si potui tantum sperare dolorem’ (Verg. Aen. 4, 419) : denique n o n n u l l i in arte g r a m m a t i c a verbi huius utuntur exemplo ad ostendendam i m p r o p r i a m d i c t i o n e m, et aiunt ‘sperare dixit pro timere’ . Dunque, per chiarire la differenza fra ‘sperare’ e ‘temere’, Agostino si comporta esattamente come un grammaticus, allegando due note citazioni di Lucano e di Virgilio, e citando infine la definizione di Donato di acyrologia, ovvero impropria dictio. 35 Di questa discussione pienamente grammaticale, 36 Agostino approfitta anche per rivelarci i suoi gusti letterari, perché pur senza citare espressamente i nomi di Lucano e di Virgilio, a proposito del verso virgiliano ribadisce che appartiene a un poeta sicuramente preferibile, melior … 37 Ma è tempo di tornare alla nostra epoca, l’alto Medio Evo. Proprio sull’esempio di Agostino e utilizzando i procedimenti propri del grammaticus, anche l’anonimo redattore di una Expositio in septem epistulas catholicas, attorno all’ottavo secolo,
33 Sull’argomento, dettagliata analisi in Bellissima, Agost. gramm., 45 sgg. In particolare, V. Law, Augustine 168-70 nota come nel De sermone Domini in monte i 9, 23 (CCsl 35 p. 24) Agostino, trattando del vocabolo ebreo racha, parta dalla consolidata definizione scolastica della interiectio ; vedi anche infra, n. 36. Significativa anche la ‘invenzione’ del vocabolo avidentia per tradurre al meglio il greco ajorasiva : un escamotage tipico della scuola del grammaticus (Quaest. in Heptateuchum CCsl 33 p. 17, 550-553). 34 Per Marrou, Agostino “resta toute sa vie un grammairien. De là le goût qu’il conservera toujours pour les divisions et les dèfinitions qui donnent à certains de ses exposés une allure un peu scolaire” (Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1938, 15). 35 Nel testo di Donato (Ars maior 3, 3 p. 658, 10 Holtz), la definizione di acyrologia veniva illustrata proprio dall’esempio virgiliano Hunc ego si potui tantum sperare dolorem, seguito dalla nota sperare dixit [scil. Vergilius] pro timere. Sono le parole famose di Didone abbandonata che, rivolgendosi alla sorella, le dice « se ho potuto temere un dolore così grande, potrò anche sopportarlo sino in fondo ». 36 Trovandosi a consigliare alcune monache di clausura, nel trattato De vita eremitica (PL 32, 1451), di tenersi ben lontane dalle chiacchiere di una anus nugigerula et garrula, Agostino trae verosimilmente dalle sue memorie scolastiche il raro vocabolo nugigerulus, classico esempio di nomen compositum nell’Ars Donati (p. 624, 4 Holtz). 37 Per il nostro assunto, non è privo di interesse notare come gli stessi concetti, attraverso i quali Agostino conduce da grammatico una originale esegesi biblica, saranno poi sfruttati quasi ad litteram da grammatici ‘professionisti’ come il cosiddetto ‘Isidoro iunior’ : Acyrologia est non propria dictio ut (Aen. 4, 419) ‘hunc ego si potui tantum sperare dolorem’, proprium enim est dolorem formidare non sperare. Spes enim non nisi bonarum rerum est. Nullus enim poenas impiorum sperat sed vel imminentes vel futuras abhorret. Rectius ergo timere dicitur quam sperare dolorem. Quae Lucanus duo distinguens ait (2, 15)‘ liceat sperare timenti’ (Schindel, Figurenlehren 204,18-205, 3 ; cf. anche Schindel, Beruf 186-87).
23 insegnamento grammaticale ed esegesi biblica propone un’esegesi – sicuramente assai meno articolata e sofisticata – fondata sul concetto di metonymia, riportando sia la definizione ben nota di Donato, sia la citazione virgiliana che l’accompagna in tutti i manuali grammmaticali : Iacobus : cur a nomine Iacobi incipit epistola ? Per m e t o n o m i a m dicitur, ostendens per inventum inventorem, ut ‘ vina coronant’ (Verg. Aen. 1, 724 ; 7, 147), cum vasa vini fecerint. 38
Questa concomitanza di procedimenti esegetici, come già detto, è facilmente identificabile nei commentari grammaticali e biblici del settimo-ottavo secolo, in maniera particolare per quelli di probabile origine ‘insulare’, o comunque riconducibili ad autori irlandesi emigrati sul continente :
a) comune, in primo luogo, è la presenza di quella che potremmo definire ‘tematica incipitaria’, ossia l’indagine sul ruolo significativo che titoli, prologhi e prefazioni rivestono nell’identificare l’auctoritas specifica di ogni testo scritto. Conviene citare qui le parole di un altro famoso commentatore di testi biblici, Cassiodoro, che, commentando la sezione iniziale dell’Apocalisse, ribadisce la basilare importanza del prologo come garanzia della ‘dignità’ del testo commentato : ‘Apocalipsis Iesu Christi, quam dedit illi Deus palam facere servis suis’ […] : quidam p r o l o g u s praemittitur, ut praesentis libri d i g n i t a s breviter iudicetur. 39 Uguale interesse per l’analisi di prologhi e prefazioni è testimoniato, attraverso l’accumulazione di una lunga serie di sinonimi, da una serie di testi di esegesi biblica :
inter principium et initium et originem et exordium et prohemium hoc interest : principium et initium ad divinitatem pertinet, ut est (Apc 1, 8) Ego sum alfa et O, hoc est principium et finis […] Origo autem ad genelogiam pertinet, ut dicitur per generationem Ioseph origo Mariae demonstratur. Exordium ad initium mundi seu sermonis convenit. Prohemium librorum, ut Iudas dicit. Auctoritas librorum ex prohemiis cognoscitur, ut (Is 1, 1) Visio quam vidit Isaias, item (Rm 1, 1) Paulus servus Christi Ihesu (Pauca problesmata, CCcm 173 p. 31) ; praefatio latine, prologus vel proœmium graece dicitur idest breviatio. Ymen graece, latine dicitur via (Remigius Autissiodorensis In Genesim, PL 131, 51 C) ; prologus, idest prelocutio sive prefatio. Logos enim dicitur sermo sive locutio. Idem est proemium sive proimium : imen siquidem dicunt Graeci viam…unde dicitur proemium sive proimium, previatio ; 40 Incipit liber expositionum parcium veteris et novi testamenti. Prologus, praelocutio, prohemium, initium dicendi vel previatio. Sunt enim prohemia principia librorum. 41
Parallelamente, un buon numero di commentatori di Donato esprime il proprio interesse linguistico e classificatorio per i sinonimi di prologus e praefatio :
38 Expositio in vii Epistolas catholicas, ed. Amelli, Spic. Casinense 3,1, p. 207, ora in PLS 3, p. 59 ; ed. McNally, CCsl 108 B p. 54, 1-4. 39 Cassiodoro, Complexiones in Apocalypsi, ed. Gryson, CCsl 107, p. 113, 1-3. 40 Glosse ai prologhi biblici di Gerolamo, pubblicate da J.J. Contreni, The Biblical Glosses of Haimo of Auxerre and John Scottus Eriugena, “Speculum” 51, 1976, p. 417 (sul manoscritto, ibid. n. 32). Le glosse, che per Contreni « deserve separate study », trovano la loro origine nella scuola di Auxerre. 41 Si tratta di un commento biblico dell’viii-ix secolo, a mia conoscenza inedito, il cui p�������������� rologo è attestato nel solo Oxford, Bodl. Library, Bodley 186, f. 1 : cf. Law-Carley, Grammar pp. 147-48.
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incipiunt feliciter et reliqua : interrogandum est quid est hoc, si prologus vel capitulum aut argumentum, sive praefatio aut salutatio vel titulus, sive pronuntiatio vel testimonium, sive sumptio vel consumptio sermonis. Hoc proprium est inscriptio […] (Quae sunt quae, p. 19) ; Primo nobis interrogandum est quot nomina habeat ista praephatio. Quinque. Quae ? Dicitur titulus, capitulum, clavis artis sequentis, argumentum, praephatio (Praefatio in arte Donati, viii-ix sec., ed. Jeudy, Ripoll p. 46) ; Hanc praefatiunculam alii adfirmant a Donato esse conscriptam […] alii vero eius discipulos tradunt eam scripsisse […] Inscriptio autem est, hoc est sequentis artis clavis (Ars Ambrosiana, viii sec., CCsl 133 C, p. 1) ;
Non può dunque sorprendere che anche l’anonimo autore del trattato Aggressus (Munzi, Mult. Latinitas p. 75) colga nel titulus dell’ Ars di Donato un simbolo di auctoritas paragonabile a quella dei Vangeli. Anche in questo caso siamo di fonte a un ulteriore, significativo indizio di quel fenomeno che ho altrove indicato come ‘sacralizzazione’ di Donato : Auctoritas scripturarum in tribus modis dinoscitur, aut ex titulis et proemiis, ut propheticos Libros et apostoli Epistolas, aut ex titulis tantum, ut E v a n g e l i s t a vel A r s ista D o n a t i grammatici, aut ex traditione veterum, ut Moyses traditur scripsisse V primos libros historiae ; 42
b) Al sistema di questa tematica incipitaria, utile a rafforzare l’autorità e la verità del testo da commentare, appartiene anche lo schema delle tre domande canoniche circa locus, tempus et persona, per mezzo delle quali l’allievo potrà conoscere la personalità dell’autore, la sua origine, la sua cronologia. Il sistema delle tre interrogazioni si prestava perfettamente ad analizzare passaggi biblici ben noti, come ad esempio il racconto della nascita di Gesù nel Vangelo di Matteo : Cum ergo natus esset Iesus in Bethleem Iudaeae in diebus Herodis regis… (Mt 2, 1). D’altra parte, già Gregorio Magno lo considerava fondamentale per definire la ‘verità’ di ogni testo scritto e, nel caso della Bibbia, per rafforzarne la lettura ‘storica’ prima di passare all’interpretazione spirituale e allegorica : Usus p r o p h e t i c a e locutionis est ut prius p er s o n a m, c o r p u s, l o c u m q u e describat, et postmodum dicere m y s t e ri a prophetiae incipiat : quatenus ad v e r i t a t e m solidius ostendendam ante h i s t o r i a e radicem figat, et post fructus spiritus per signa et a l l e g o r i a s proferat (Hom. in Hiezechielem 2, 1 : CCsl 142 p. 17). A partire dai testi patristici, lo schema delle tre interrogazioni ha quindi conosciuto un rimarchevole successo nell’esegesi insulare :
‘Ego Iohannes frater vester […] fui in insula quae appellatur Patmos […] fui in spiritu in dominica die’ [Apc 1, 9-10] : p e r s o n a m, l o c u m, t e m p u s causamque visionis insinuat […] ne a carnali fantasmate putaretur inlusus (Beda, Expositio Apocalypseos, CCsl 121 A, p. 231) ;
42 Si confronti il passo parallelo del trattato Pauca problesmata (CCcm 173, p. 17) : Δ. Scriptores divinorum librorum tribus modis cognoscimus ? M. Aut ex titulis, ut evangelia, aut ex prohemis, ut liber prophetarum et apostolorum, aut ex traditione veterum, ut Moysi liber et Iosue et Regum. Sia l’anonimo autore di Aggressus, sia il compilatore dei Pauca problesmata dipendono da Iunil. 1, 12, p. 480 e 482 Kihn (= PL 68, 21 A-B).
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‘ In civitate David quae dicitur Bethlem’ [Lc 2, 4] : iii c o m m e n d a n t omnis rei v er i t a t e m, l o c u s Bethlem, t e m p u s Augusti, p e r s o n a Christi (trattato esegetico, definito ‘catechesi celtica’ : ed. Wilmart, Analecta p. 97, 98-99) ; l o c u s est Iudaea, p e r s o n a est Matheus in t e m p o r e Claudii imperatoris ������ (trattato esegetico inedito : Bischoff, Mitt. Studien I p. 248) ; primum quaerendum est omnium librorum t e m p u s l o c u s p e r s o n a (Expositio quattuor Evangeliorum, PL 30, 549) ; 43 ‘Factum est in diebus illis’ (Lc 2, 1) …confirmatio in t e m p o r e et in p e r s o n a et in l o c o fit. Tempus, in diebus ; persona, Caesaris ; locus, totus mundus, quia Dominus totius mundi nascitur anno quadragesimo secundo imperii Octaviani Caesaris, sicut in quadragesimo secundo anno Nini regis est Abraham natus (Commentarius in Lucam, Script. Hibern. ii , p. 13, 1-5) ;
lo ritroviamo parimenti attestato anche nell’inedito commento al Vangelo di Matteo trasmesso da un manoscritto di Würzburg (sec. viii2 : CLA ix 1415), dove sembrano ben testimoniate « traditional eighth-century Irish exegetical practices ». 44 Un procedimento del tutto simile appare in una vera e propria folla di testi grammaticali coevi, in particolare – con concordanze lessicali significative – all’interno di numerosi commenti a Donato. Anche in questo caso, la presenza delle tre indicazioni di luogo, tempo e persona garantisce la veritas scripturarum, e dunque ogni tipo di scrittura provvista di autorità :
si autem lector harum interrogetur regularum tria, quibus omnis v e r i t a s et omne negotium c o m m e n d a r i solet et confirmari, l o c u m scilicet, t e m p u s, p e r s on a m, respondeat locum Romam […] personam esse Donati, tempus vero Liberii episcopi, xxxvi post Petrum apostolorum principem (Anon. ad Cuimnanum p. 13, 406-11) ; primitus sciendum est quia omnis a u c t o r i t a s s c r i p t u r a r u m in tribus consistit temporibus, idest praeterito praesenti et futuro, vel in tribus modis commendatur, idest l o c u m, t e m p u s et p e r s o n a (Aggressus p. 75) ; sciendum est primo quia a u c t o r i t a s s c r i p t u r a r u m vel a r t i u m plerumque tribus c o m m e n d a t u r modis, idest confirmatur p e r s o n a, l o c o et t e mp o r e (Excerpta grammaticalia ms. Bern 432, ed. Hagen, Anecdota p. xliii) ; Quae sunt quae omnem v e r i t a t e m scripturarum c o m m e n d a n t ? Tria : l o c u s t e m p u s p e r s o n a . Donati requiritur locus, tempus et persona : locus scribendi Roma, ut dicitur ‘urbis Romae’ ; persona Donati grammatici ; tempus Liberii episcopi, qui fuit xxxvi post sanctum Petrum (Quae sunt quae p. 19) ; in capite uniuscuiusque libri, licet iiii generaliter, tamen, ut beatus Ieronimus ait, specialiter iii requirenda sunt, et si haec inveniuntur a u c t o r i t a s libri c e r t i o r habetur, scilicet l o c u s, t e m p u s, p e r s o n a . Sed unum reticuit Donatus ad investigandum, duo autem ostendit, locum et personam : locum quando dicit urbis Romae, personam cum dicit Donati grammatici. Invenimus autem quod hic Donatus artigraphus tempore
43 Trattato attribuito nei manoscritti a Gerolamo, ma di origine insulare : “the Irish character of this Gospel Commentary is beyond question”, secondo R.E. Mc Nally, Two hiberno-latin Texts of the Gospels, « Traditio » 15, 1959, p. 387. 44 Vedi D. Ó Cróinin, Würzburg, Universitätsbibliothek, M.p.th.f. 61 and Hiberno-Latin exegesis in the viiith century, in Lateinische Kultur im viii. Jahrhundert, hrsg. von A. Lehner und W. Berschin, St. Ottilien 1989, pp. 209-16.
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sub principibus romanis Contantini et Constantis anno xii imperii eorum, cuius sanctus Ieronimus ita in cronica, quae de Caesariensibus [ma si dovrà leggere, presumibilmente, de Caesariensi Eus] composuit, meminit dicens ex greco in latinum transferens ‘Victorinus rhetor et Donatus grammaticus praeceptor Romae insignes habebantur, e quibus Victorinus etiam statuam in foro Traiano meruit’ […] qui fuit mag urbis Romae temporibus Liberii papae, ut quidam aiunt (commento marginale all’ ars minor di Donato, viii-ix sec. : Jeudy, Ripoll p. 4) ; quaeritur a nonullis p e r s o n a l o c u s t e m p u s et c a u s a istius conscriptionis, praeter quas quattuor species haud facile liber quilibet c o m m e n d a b i t u r (Erchamb. p. 1) ;
c) Assai frequente è altresì l’utilizzazione delle differentiae verborum. Poiché la metodica sia degli esegeti della sacra Scrittura sia dei commentatori di Donato prevede che l’auctoritas di un testo debba essere illustrata per mezzo di un’analisi serrata di ciascuna parola in esso presente, vediamo aprirsi in questo caso una digressione sui differenti concetti di genus, gens, generatio, e assistiamo all’inserimento di una tipica differentia verborum, strumento ordinario della ‘officina’ del grammatico. Ne riporto due esempi significativi tratti rispettivamente, a testimonianza ancora una volta di comuni metodi d’indagine, dal trattato Aggressus – laddove l’anonimo compilatore si accinge a commentare il testo di Donato relativo al genere dei nomi – e da un testo di esegesi biblica di probabile ascendenza insulare : 45
inter genus et gentem et generationem hoc interest : g e n u s dicitur omne genus humanum ab Adam, g e n s unaquaeque gens dicitur ut Gothus, Hispanus, g e n e r at i o vero dicitur quae per parentes descendit in filios (Aggressus p. 76) ; Moyses in veteri Testamento : Hic est liber generationis Adam. Liber generationis : non dixit generis, sed generationis, quia inter genus et gentem et generationem ista est d i ff e r e n t i a . G e n u s dicitur omne genus humanum qui de Adae generis descendit. G e n s unaquaeque gens sicut Persi, Syri vel Greci. G e n e r a t i o tantum modo, quod de patribus descendit in filios, quia non convenit, ut per maternam sed paternam stirpem generatio conscribatur (Script. Hibern. I, p. 146) ;
d) Per quanto si riferisce all’utilizzazione di etimologie, menziono qui solo un esempio fra i molti che si potrebbero citare : l’etimologia di gusto ‘isidoriano’ fornita per la parola sacerdos, intesa nel significato di sacer dux, si incontra identica sia in testi di esegesi biblica :
sacerdos : ‘dux sacer’, eo quod s a c r u m d u c a t u m praebeat populo (commentario anonimo in Lucam, circa a. D. 715, Script. Hibern. ii, p. 4) ; sacerdotes dicuntur eo quod s ac r u m d u c a t u m praebeant (ps. Hieronymi Collectio hiberniensis, p. 12 Wasserschleben) ;
sia in quelli di ‘esegesi grammaticale’, testi che fra l’altro ci indicano anche la pa45 L’excursus riappare quasi ad litteram nell’Adbreviatio artis grammaticae di Orso, arcivescovo di Benevento dall’anno 831 : Inter genus et gentem et generationem hoc differt : g e n s regionis est, ut Hispania ; g en u s familiae est, ut genus humanum ; g e n e r a t i o est quae de patribus descendit in filios … (excerpta editi in Morelli, Trattati p. 293).
27 insegnamento grammaticale ed esegesi biblica ternità di questa etimologia, tratta dalla Regula pastoralis di Gregorio Magno (2, 7 : PL 77, 42) :
sacerdos compositum ex integro et corrupto, idest sacer dux, quem G r i g o r i u s dicit, eo quod s a c r u m d u c a t u m praebeant populo (Anonymus ad Cuimnanum, p. 46) ; Commune, ut hic et haec sacerdos quare dicitur ? Sacerdos commune est, quia viri et feminae similiter idolis immolabant […] G r e g o r i u s dixit eo quod s a c r u m d u c a t u m praebeant populis (Quae sunt quae, p. 19) ; sacerdos nomen compositum ex integro et corrupto idest sacer et dos […] quasi sacer et dux, dicente Gregorio ‘sacerdotes dicuntur’ et reliqua (ibid. p. 23) ; alii asserunt compositum a ‘sacer’ integro et ‘dux’ corrupto, et dictum ‘dos’ eo quod s a c r u m d u c a t u m praebeat (Ursus ep. Beneventanus a.D. 831, Adbreviatio artis grammaticae : Morelli, Trattati p. 295) ;
d) L’abitudine costante a proporre classificazioni, sia per aiutare la memoria degli allievi sia per strutturare il discorso, si colora anch’essa di finalità cristiane. Nel trattato Aggressus, per esempio, si può notare nella presentazione del termine oratio (p. 76), una significativa mescolanza fra osservazioni grammaticali ed etimologiche e l’analisi tripartita della specifica oratio cristiana, la preghiera : Apud grammaticos, sicut diximus, o r a t i o de oris ratione tria tempora tenet, praeteritum, praesens et futurum ; similiter et o r a t i o de Deo tribus modis constat, dum de adeptis gratias agimus, aut dum petimus quod cupimus, aut dum pro aliis rogamus ; 46
e) Più in generale, una chiara tendenza alla trattazione della materia grammaticale sub specie aeternitatis si fa sempre più evidente, come appare nella significativa rielaborazione di alcuni exempla tradizionalissimi, che debbono ormai essere adeguati alle nuove esigenze dottrinali della fede cristiana. Ad esempio, nella classica definizione aristotelica dell’uomo come animal rationale mortale risu capax, ampiamente discussa da ‘Sergio’ nel capitolo de nomine del suo commento a Donato, si rende necessario sostituire l’accenno ai numina pagani con un riferimento agli angeli della tradizione cristiana : la soluzione messa a punto da Isidoro di Siviglia – e con maggiore ricchezza di dettagli da Giuliano di Toledo – troverà numerosi estimatori, anche se almeno un artigrafo preferirà parlare di daemones :
Habemus in Aristotelicis et in Stoicis praeceptis et fere omnium hanc esse p e r f e ct a m definitionem, quae separat a ceteris communibus rem et suam proprietatem ostendit, ut puta ‘homo est animal rationale mortale risu capax’. Vide, quem ad modum et separat a communibus et dicit proprium. Nam dicendo ‘homo est animal’ separavit a lapide, dicendo ‘rationale’ separavit a beluis, dicendo mortale separavit a n u m i n i b u s : ‘risus capax’, iam hoc proprium est ipsius. Ista ergo est plena definitio. Hoc secuti sunt etiam grammatici in definiendis rebus (‘Sergio’ Expl. GL iv 489, 22-29 ; cf. GL viii 157, 23-25) ; ‘homo est animal rationale, mortale, terrenum, bipes, risu capax’. 47 Genus animal cum
46 In un excerptum pubblicato in GL viii, p. xxv – una versione dell’Ars di Pietro da Pisa, secondo il parere di B. Bischoff – questa dottrina è attribuita a Agostino : oratio, sicut sanctus Augustinus dicit, duobus modis dicitur. Quomodo ? Idest quando rationabiliter loquimur, vel quando pro peccatis aut pro vita Deum rogamus ; si veda anche GL viii 161, 14 ; Jeudy, Commentaire p. 135, 3. 47 Alla classica definizione aristotelica dell’uomo riportata da ‘Sergio’, Isidoro aggiunge terrenum e
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dictum est, substantia hominis declarata est. Est enim ad hominem genus animal, sed quia late patebat, adiecta est species, terrenum : iam exclusum est id quod aut aethereum aut humidum [suspicabatur]. Differentia vero, ut bipes, quae propter animalia posita est, quae multis pedibus innituntur. Item rationale, propter illa quae ratione egeant : mortale autem propter id quod a n g e l u s non 48 est. Postea discretis atque seclusis aduectum est proprium in parte postrema [risus capax] : est enim solum hominis, quod ridet. Sic p e rf e c t a est omni ex parte definitio ad hominem declarandum (Isidoro, Etym. ii 25, 3) ; Unde et Audax : ‘Definitio quid est ? Oratio quae id de quo quaeritur aperte describit et determinat, ut puta veluti si quaeras a me, quid sit homo, respondebo : animal rationale mortale risu capax’ [cf. GL vii 324, 2-4]. Dum dixit ‘animal’, communem rem dixit, quia omne quod vivit et per se movetur super terram animal dicitur ; nam arbores et cetera inanimalia moventur, sed non ex se, nisi a tactu aut inpulsu cuiuslibet rei. Dum dixit ‘rationale’, segregavit ab animalibus brutis, et hoc dixit quod commune habet homo cum a n g e l i s, quia et angeli ratione capaces sunt sicut et homines. Dum dixit ‘ mortale’, segregavit ab angelis, et hoc dixit quod commune habet homo cum animalibus brutis, quia et animalia bruta moriuntur sicut et homines. Dum dixit ‘risu capax’, segregavit ab angelis et ab animalibus brutis, et hoc dixit quod tantundem homini accidit, non aliis rebus, quia solus homo ridet et non alia res (Giuliano di Toledo, Ars grammatica p. 11, 48-62) ; Definierunt philosophi quid homo haberet proprium, et quid commune cum ceteris animalibus, et ita dixerunt : homo est animal rationale, mortale, risu capax. Dicendo ‘homo est animal’, separaverunt eum a lapide et ab omni re insensibili, quae carne et spiritu caret ; tamen adhuc proprietatem eius non ostenderunt, quia sicut homo animal dicitur, ita et omnia quae per carnem et spiritum vivunt animalia dicuntur. Dicendo ‘rationale’, separaverunt eum a cunctis animalibus, quae ratione carent ; sed adhuc proprietatem illius non ostenderunt, quia sicut homo rationis capax est, ita et angeli rationales esse noscuntur. Dicendo ‘mortale’, separaverunt eum in hoc ab a n g e l i s, qui semper vivunt et non moriuntur, tamen adhuc proprietatem ipsius non ostenderunt, quia sicut homo mortalis dicitur, ita et omnia quae per carnem vivunt mortalia dicuntur. Dicendo ‘risu capax’, hoc est iam proprium hominis, quod nulla alia creatura habere potest nisi solummodo homo. Iuxta hanc definitionem definierunt grammatici etiam nomen […] dicendo ‘nomen est pars orationis’, separaverunt eum a sybilis, plausibus et ab omni confusa voce ; tamen adhuc proprietatem illius non ostenderunt, quia sicut nomen pars orationis dicitur, ita ceterae partes orationis esse dicuntur. Cum autem dixerunt ‘cum casu’, separaverunt eum a verbo, adverbio, coniunctione, praepositione, interiectione, quae sine dubio casu funditus carent ; tamen adhuc proprietatem illius non ostenderunt, quia sicut nomen casus habet, ita pronomen et participium casus habent. Dicendo ‘corpus aut rem’, hoc iam proprium nominis , corpus et rem significare (Hild. 48, 8-25) ; Legitur in praeceptis aristotelicis vel stoicis et fere omnium hanc esse p e r f e c t a m definitionem, quae et separat a ceteris communibus rem et si iam propriam ostendit, ut puta ‘homo est animal rationale mortale risu capax’. Vide, quem ad modum et separat a communibus et dicit proprium. Nam dicendo ‘homo est animal’ separavit a lapide, di
bipes. Una ulteriore variante offre Sed. mai. p. 264, 1 : homo est animal rationale mortale d i s c i p l i n a e capax. 48 Il senso del passo mi sembra rimanga accettabile anche senza procedere – come fa l’editore Lindsay – all’espunzione di non, attestato in particolare nella famiglia ‘spagnola’ dei codici delle Etymologiae isidoriane.
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cendo ‘rationale’ separavit a beluis, dicendo mortale separavit ab a n g e l i s : ‘risus capax’, iam hoc proprium est ipsius (Ars Augiensis) ; 49 ‘homo est animal rationale, mortale, risu capax’. […] quia dixit ‘homo est animal’ separavit a lapide, quia lapis animam non habet ; quia dixit ‘rationale’ separavit a beluis, quia beluae inrationales sunt ; quia dixit ‘mortale’ separavit a d a e m o n i b u s, quia immortales sunt (inedita ars in Erfurt, Amplon. Fol. 10, f. 47v). 50
Allo stesso modo, poichè il linguaggio umano appare invariabilmente divinitus inspiratum, lessico e peculiarità grammaticali del ‘Libro’ per eccellenza debbono, a maggior ragione, obbedire a una pratica esegetica che ne illumini incessantemente la specifica funzione. Questa tendenza si rafforza via via nel passaggio tra età tardoantica e alto Medioevo. Nel manuale grammaticale a lui tradizionalmente attribuito, 51 Agostino difende ad esempio l’uso di forme verbali non classiche, se necessarie alla divina interpretatio :
[…] praeterito ‘fuisse’, futuro ‘fore’, in quarta specie deficit et in participio praesentis temporis. Sed docti quidam temporis recentioris, cum haberent necessitatem m a g n a et d i v i n a quaedam interpretandi explicandique, et ‘essendi’ et ‘essendo’ et ‘essendum’ et ‘essens’ dixerunt, quem ad modum scribendi scribendo scribendum scribens (GL v 494, 23-495, 2).
Di pari passo, nella sua esegesi biblica Agostino si sofferma in due diverse occasioni sul peculiare plurale sanguines 52 proprio del latino biblico, giustificando la traduzione geronimiana e invitando ancora una volta i cristiani a non sottomettere la sacra Scrittura alla ferula dei grammatici :
‘Qui non ex sanguinibus’ : tamquam maris et feminae. ‘Sanguines’ non est latinum : sed quia graece positum est pluraliter, maluit ille qui interpretabatur sic ponere, et quasi minus latine loqui secundum grammaticos, et tamen explicare veritatem secundum auditum infirmorum. Si enim diceret ‘sanguinem’ singulari numero, non explicaret quod
49 L’inedita e anonima Ars Augiensis (fine viii-inizi ix sec.) è contenuta nei ff. 61v-101v del codice Karlsruhe, Badische Landesbibl. Aug. Perg. cxii, originario di Reichenau. Ringrazio la dott.sa Maria Antonietta Scappaticci per la possibilità di citare la sua recente tesi di dottorato, discussa presso l’Università di Cassino il 4 febbraio 2010 e dedicata appunto all’analisi dell’ars, con edizione provvisoria del testo (p. 10). Poiché l’ignoto compilatore segue paene ad litteram il già citato testo di ‘Sergio’ Expl. GL iv 489, 22-29, si dovrà forse leggere suam proprietatem in luogo di si iam propriam, lezione attestata nel manoscritto. 50 Su questa inedita compilazione grammaticale verosimilmente risalente al secolo viii (inc. Unde debet incipere grammatica), si veda la dettagliata analisi di Barbero, Liber Glossarum, 255 sgg. ; vd. anche Munzi, Renovatio, 369-72. 51 È la cosiddetta Ars S. Augustini pro fratrum mediocritate breviata, edita prima dal Mai, Nova patrum bibliotheca I, 2, Romae 1852, pp. 165 sgg., poi da C. F. Weber, Marburgi 1861. Il Keil ritenne operae pretium non esse […] breviatam artem denuo edere, e ne publicò solo scarni estratti, Weberi copiis usus (GL v, 494-96). La ritiene “very possibly a genuine work of the young Augustine” Law, Augustine, 183 ; della stessa autrice vedi anche Auctoritas, consuetudo and ratio in St. Augustine Ars grammatica, in De ortu grammaticae, Studies in memory J. Pinborg, Amsterdam 1990, 191-207. 52 Escluso dall’insegnamento di Donato (623, 1-2) sunt semper singularia generis masculini, ut sanguis, pulvis ; sconsigliato da Prisciano (GL ii 175, 18-21) : sicut alia quoque plurima, ut ‘sanguis’, ‘pulvis’, ‘ p a x ’, quae tam singulariter quam pluraliter prolata idem possunt significare ; sed pluraliter non utimur eis, quia auctoritas deficit, cui si collibuisset quomodo ‘cruores’ dicere ‘sanguines’, vel quomodo ‘cineres’ sic ‘pulveres’, nihil impediret.
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volebat : ex sanguinibus enim homines nascuntur maris et feminae. Dicamus ergo, non timeamus ferulas grammaticorum, dum tamen ad v e r i t a t e m solidam et certiorem perveniamus (In Iohannis Evangelium Tractatus cxxiv, CCsl 36, p. 18) ; ‘erue me de sanguinibus’ […] maluit pius interpres minus latine aliquid dicere, quam minus proprie [...] hoc est ‘libera me de iniquitatibus’ (Enarrationes in Psalmos 50, 16).
Dal passo agostiniano trarrà materia di discussione una lunga schiera di grammatici : l’Anonymus ad Cuimnanum, il trattato Quae sunt quae, la terna di artigrafi variamente legati alla cultura insulare costituita da Murethac (88, 96-89, 3), Sedulio Scoto (In Don. mai. 132, 98-102) e dall’anonimo compilatore dell’Ars Laureshamensis (42, 57-63), Smaragdo di Saint-Mihiel, Ermenrico di Ellwangen nella Epistola ad Grimoldum, Aelfric nelle sue Excerptiones de arte grammatica anglice, 53 Orso di Benevento nella sua Adbreviatio e – ormai alla fine del xii secolo – Paolo Camaldolese :
Sed neminem turbare debet lectorem invenientem ‘sanguines’ et ‘pulveres’ : duobus enim modis lecta inveniuntur, aut auctoritate veterum aut diversitate linguarum. Verbi causa ut apud Oratium ‘nundinales’ inquit ‘diis parem pulveres’ ; sed hoc auctoritate lectum probamus [il passo di Orazio Epod. 17, 48 era citato sia da Servio GL iv 432, sia da Consenzio GL v 42]. Et alibi : ‘libera me de sanguinibus, Deus’ (Ps 50, 16) : et hoc Latinus interpres in Greco inveniens ‘nazon’, quod ‘sanguines’ sonat, aliter interpretari non valens utilitatemque interpretationis rationi praeferens Latinitatis, ‘sanguines’ etiam contra rationem transferre non dubitavit (Anon. ad Cuimn. p. 56, 21-30) ; quae sunt quae frangunt regulam grammaticorum ? […] auctoritas Scripturae, ut (Ps 50, 16) ‘libera me de sanguinibus’ (Quae sunt quae 29, 35) ; frequenter ea pluraliter posita in Divinis invenimus scripturis, ut de sanguine in Psalmo ‘Libera me de sanguinibus, Deus Deus’ (Smar. p. 65, 18-20) ; ‘libera me de sanguinibus’ […] quando enim sanguis pluraliter ponitur, non de cruore, sed de peccatorum magnitudine sentiendum est (Ermenr. pp. 86-88 Goullet) ; sunt semper singularia masculina ut ‘pulvis, fimus, cruor, sanguis’, quamvis legatur (Prv 29, 10) viri sanguinum et (Ps 50, 16) libera me de sanguinibus (Ursus p. 295 Morelli) ; sed quare dicimus haec nomina semper esse singularia, cum legamus in Psalmis : Qui non ex sanguinibus ? Ad quod dicendum, quod in illo loco maluit interpres frangere regulam grammaticorum quam reticere proprietatem Graecae interpretationis (Paul. Cam. p. 67, 35-39 Sivo).
Ancora qualche secolo dopo, il De orthographia di Beda, che si presenta essenzialmente come un proficuo testo di riferimento per gli studiosi, ma soprattutto per i copisti del testo biblico, 54 ribadisce come anche Gerolamo non si sia fatto scrupolo di frangere regulam grammaticorum nella sua traduzione della Bibbia :
53 Vedi Law, Grammar and Grammarians 210. 54 Non c’è dubbio che nel testo di Beda note del tipo cunabula sunt panni infantiae, sed Iohannes Constantinopolitanus episcopus scribit Lazarum in monumento cunabulis involutum (GL vii 268, 14-15) siano destinate a studiosi del testo sacro, piuttosto che a giovani alunni. Specificamente a copisti del testo biblico sembrano invece rivolte raccomandazioni del tipo (GL vii 268, 25-26) ‘columna’ cum scripto dividendum est, m sequenti syllabae nectis ; ‘calumnia’ similiter, come nota Dionisotti, Bede 122, che ritiene a ragione che il De orthographia sia stato composto “not as a text-book for the schoolroom, but as a reference work for the library, or scriptorium, or the desk of the studious monk”.
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noceor noceris recte dicitur, quamvis aliqui grammatici asseverent non debere dici noceor, sed nocetur mihi. Neque enim Hieronymus grammaticorum regulam ignorabat, qui in propheta Habacuc [Hab 1, 2 cod. A] ita transferre non timuit : ‘et non salvabis, dum noceor’ (GL vii 281, 18-21).
Di rilevante interesse è anche il passo del grammatico Asporio – ovvero Aspro ‘minore’ – che, sulla base del latino biblico e di categorie eminentemente etiche, giunge sostanzialmente a rifondare sub regulis christianis la dottrina elaborata da generazioni di grammatici per l’uso dell’accusativo e dell’ablativo con la preposizione in :
Utriusque casus praepositiones, idest accusativi et ablativi, hae sunt : in, sub, super, subter, quae tunc accusativo casui serviunt, quando aut gressu aut verbo aut iniuria aut lapsu aut labore aut ira motus adsignatur, quod ita intellegi potest : in carcerem et in carceres mitto, in mortem et in mortes prosterno […] ablativo vero casui tunc hae praepositiones serviunt, quando nihil cum iracundia dicitur, nihil cum labore fit vel non ad malum curritur, quod ita intellegi potest. Dicimus enim : in domo et in domibus sum, in ecclesia et in ecclesiis sto […] Sciendum est tamen specialiter quod, quoties ad b o n a m partem gressus dirigitur, ponitur in ablativo casu, sicut dictum est : ‘Benedictus qui venit in nomine domini’ (Mt 23, 39 ; Io 12, 13 ; cf. Ps 117, 26). ‘Venit’ enim motum videtur habere, sed quod in b o n a m rem venit, bene in ablativo, et iterum dictum est ‘deduc me, domine, in via tua et ambulabo in veritate tua’ (Ps 85, 11 : et ingrediar), licet ‘ambulabo’ motum videtur habere ; sed ibi, quod ad bonam partem pertinet, recte in ablativo ponuntur. Ceterum si diceret : ‘propter peccatum meum deduc me in perditionem et ambulabo in poenam’, quod ad m a l a m rem pertinebat, accusativo casui adscribendum erit, et illud denique in ablativo : ‘et induxisti nos in refrigerio’, ‘induxisti’ motus esse videtur, sed quod in refrigerio, merito in ablativo complicatur. Si enim dixisset : ‘induxisti nos in incendium’, quod ad poenam pertinebat, accusativum posuisset (Asporius 59, 5-60, 10).
Sulle sue orme si muoveranno poi gli anglosassoni Tatuino e Bonifacio : anche nelle loro artes, la costruzione di in con l’ablativo per i verbi di movimento è giustificata con le stesse parole : quia ad b o n a m rem pertinent (Tat. 87, 51-57), quotiens ad b o n a m rem motus dirigitur (Bon. 98, 307). 55 In tal modo, la cristianizzazione dell’ars grammatica sembra talora cedere il passo a una vera e propria ‘grammatica cristiana’, ove l’analisi del linguaggio articolato è condotta quasi esclusivamente in funzione della esegesi religiosa ; su simili basi costruisce il suo discorso grammaticale l’anonimo autore del trattato Quae sunt quae (p. 27), quando coglie nelle tre persone della flessione verbale un rinvio evidente alle tre persone della Trinità : Tres personae sunt in verbo, quia res divina amplius non sinit nisi t r e s personae esse : sicut in T r in i t a t e tres personae sunt, ita et genus humanum. Anche la canonica opposizione infectum / perfectum nei tempi del verbo è messa a frutto da un anonimo commentatore, verosimilmente di origine irlandese, 56 per il suo trattato di esegesi biblica :
55 Virgilio grammatico, p. 10, 66-68 Löfstedt, discute i diversi significati di prex e preces sulla base della stessa distinzione ‘etica’ : cum dicis ‘preces’ inpudica et procax erit et malae rei maxima postulatio, at ‘prex’ ad b o n a m semper partem dirigetur. 56 Cito da Ó Cróinín, Genesis 247-48, che data l’anonimo trattato al vii secolo, e lo ritiene composto (p. 264) “in Ireland (or perhaps on Iona, or in Irish-influenced Northumbria)”.
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Terra enim dixit informem materiam rerum, quae inperfecta iacuit, quia necdum ad formam producta est, ut fieret creatura formata. Ideo elegit verbum inperfectum, ut significaret et rem inperfectam, hoc est non formatam. Ideo grammatici dicunt : ‘Perfectum dicimus de re facta, ut scripsi, ac si diceret modo definivi finitatem […] Inperfectum dicimus, ubi omisimus, necdum complevimus, ut scribebam. Qui enim dicit scribebam, monstrat se dedisse ad scribendum, nec complesse per totum’. Sic erat mundi materia incepta per substantiam, necdum consummata per formam. Propterea usus est praeterito inperfecto ‘erat’, quia de inperfecta re narrabat. Propterea ergo usus est in hoc capitulo praeterito inperfecto semper, ut est (Gn 1, 2) Terra erat, tenebrae erant, ferebatur super aquas. Verba sunt inperfecta, quia inperfectam rem significabant.
Non diversamente, l’altrettanto ignoto compilatore del già citato trattato esegetico di probabile ascendenza insulare noto come Pauca problesmata (viii sec.) ritiene opportuno utilizzare le sue conoscenze di metrica classica – conoscenze, a dire il vero, alquanto confuse – per illuminare ulteriormente il testo biblico. Posto a confronto con le parole Ego sum alpha et omega, il nostro commentatore si sforza di trarne una spiegazione dotta : per lui, la lettera greca a, che considera una vocale lunga, simbolizza l’eternità divina, mentra la lettera w, ritenuta invece una breve, starebbe a indicare la ridotta durata dell’esistenza umana : ‘Ego sum alfa et omega’ : cur istas litteras dicit hic ? Ut indicarent quia Dominus primus et novissimus est […] vel ideo dixit illas duas litteras, quia a l f a apud Graecos p r o d u c t a sit, significat aeternitatem divinitatis, o m e g a vero c o r re p t a, significat brevitatem humanitatis (CCcm 173, pp. 246-47). Al termine di questa esauriente – forse sovrabbondante – serie di loci similes, s’impone una rapida quanto succinta conclusione. Il nono secolo si presenta tradizionalmente come il momento iniziale della ‘rinascenza carolingia’, che annovera fra i suoi elementi caratterizzanti un vivace sviluppo degli studi di grammatica e retorica : non si dimentichi che proprio queste due discipline saranno oggetto di altrettanti trattati composti dall’intellettuale più rappresentativo dell’epoca, Alcuino. Vorrei allora far notare come, nell’ambito dell’insegnamento scolastico e degli studi grammaticali ed esegetici, il secolo ottavo segni già una sorta di ‘prerinascenza’ . Le numerose opere grammaticali che questo secolo ci ha trasmesso si sono poste l’obbiettivo – attraverso lo studio della ‘parola’, studio tanto più fondamentale quando si tratta del Verbo divino – di esorcizzare la diffidenza di Gregorio Magno e di fare delle ‘regole di Donato’ non più un vincolo, una costrizione, ma piuttosto uno strumento imprescindibile per l’esegesi biblica. In conclusione, gli anonimi e oscuri autori di questi manuali di grammatica hanno portato a termine con successo un compito di portata storica : riavvicinare i testi sacri ai canoni della scuola antica, ricollegare il sermo piscatorius con il sermo oratorius, in una sola parola, riconciliare Donato con la Bibbia*.
* Questo contributo costituisce una versione ampiamente rielaborata e annotata di una relazione da me presentata in lingua francese in occasione del Convegno internazionale ‘Ancient Grammar and its Posterior Tradition’ (St. Petersburg, 20-23 aprile 2005), di cui non sono ancora stati pubblicati gli Atti. Colgo l’occasione per ringraziare il collega Vladimir Mazhuga per il prezioso e infaticabile coordinamento scientifico e organizzativo svolto in quell’occasione.
TIPOLOGIA DEGLI EXEMPLA FICTA NEI TESTI GR AMMATICALI LATINI FR A TAR DOA NTICO E ALTO MEDIOEVO Tempus enim me citius quam exempla deficient Eutiche GL v 462, 17-18
I
manuali grammaticali scritti dagli artigrafi latini – le cosiddette artes grammaticae – sono ovviamente basati sul concreto insegnamento svolto nella scuola. Questo contributo si propone di invitare il paziente lettore a compiere una full immersion nelle tecniche di insegnamento del passato, e precisamente nelle aule scolastiche della tarda antichità e dell’alto Medioevo, prendendo in esame un arco di tempo assai ampio e significativo, in cui, nonostante il rapido evolversi delle situazioni storiche e il profondo mutamento dei livelli culturali, è talvolta sorprendente notare come le forme dell’insegnamento grammaticale mantengano nei secoli una sostanziale continuità. Come guida di questo itinerario – connotato in pari modo da Kontinuität und Wandel – mi è sembrato opportuno scegliere l’ampia e multiforme utilizzazione, da parte degli antichi insegnanti, di uno strumento didattico insostituibile e onnipresente per secoli nell’insegnamento linguistico : l’esempio. Appare superfluo ribadire che già nella prassi dell’insegnamento grammaticale antico, sia in ambito greco che latino, l’uso di una copiosa esemplificazione era considerato fondamentale per una didattica chiara ed efficiente. Pertanto, un’ampia panoramica dell’utilizzazione dell’exemplum nei principali manuali grammaticali latini consente di cogliere concordanze e discrepanze significative, e permette di seguire le tappe di un percorso lento e non senza ostacoli che dalla scuola tardoantica, sostanzialmente programmata per formare il cittadino e l’oratore capace di eccellere nelle pubbliche assemblee, conduce alle scuole altomedievali, tese a plasmare soprattutto lettori esperti dei testi sacri, in grado di percorrere con successo le vie della sapienza e della salvezza oltremondana. Attraversando la varietà delle epoche storiche, l’analisi del ruolo e della funzione degli esempi utilizzati dai diversi artigrafi non solo ci introduce nella prassi concreta dell’insegnamento scolastico, ma ci permette soprattutto di cogliere il ‘taglio’ specifico di un manuale e la sua destinazione, e di individuare al contempo, in ciascuna ars, percorsi tradizionali e sfumature innovative : in una parola, di valutare la concretezza e l’elasticità di cui sa dar prova, in epoche diverse, un testo programmaticamente ‘rigido’ qual è il manuale grammaticale. L’insostituibile utilità dell’esempio nella didattica linguistica, e in particolare nell’insegnamento grammaticale, è sotto gli occhi di ogni docente, antico o moderno ; se la scelta dell’esempio più conveniente risulta di sovente consegnata al
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magister da una secolare tradizione didattica, altrettanto spesso può essere suggerita da situazioni educative che mutano di continuo nello spazio e nel tempo, in una costante dialettica che riunisce ancora una volta tradizione e innovazione. Per limitarmi a un riferimento personale, se mi trovo a spiegare ai miei studenti di latino dell’Università di Napoli che cos’è una enclitica – ossia quella particella che in latino non possiede un accento proprio, ma si appoggia alla parola precedente – parto ovviamente dalla definizione grammaticale, corroborandola magari col canonico incipit virgiliano Arma virumque cano, ma mi piace aggiungere anche un esempio tratto dal dialetto napoletano, ove in espressioni popolari come ‘patrete’, ‘soreta’, ‘fratreme’ – ossia ‘tuo padre’, ‘tua sorella’, ‘mio fratello’ – sono appunto contenute delle enclitiche ; allo stesso modo, se debbo parlare del fenomeno della metatesi, ossia dello spostamento di consonanti all’interno di una parola, viene naturale citare ancora il dialetto napoletano, per esempio il caso dell’it. ‘fabbrica’ che diviene ‘fraveca’, oppure l’it. ‘febbre’ che si trasforma nel dialettale ‘freve’. 1 Prima di passare ora – è proprio il caso di dirlo – a qualche esempio, debbo attirare subito l’attenzione su un concetto generalissimo : la dottrina di ciascuna ars grammatica è per lo più ripresa integralmente nei manuali posteriori, spesso ad litteram : la ragione è facilmente intuibile : per lunga e consolidata tradizione ogni magister si ricollega – spesso con un rispetto quasi sacrale, come avviene in primis nei confronti del princeps grammaticorum, ossia di Donato – alla dottrina dei suoi predecessori : dunque, se una formula di insegnamento funziona, se rivela concretamente la sua efficienza nella pratica didattica di tutti i giorni, non c’è ragione di modificare o di innovare : e questo è il motivo per cui i manuali grammaticali possono apparire a uno sguardo superficiale davvero assai simili fra loro, anche a distanza di secoli. Altrettanto si può dire per gli esempi che vi sono contenuti : se un esempio si rivela particolarmente adatto, in una parola se è funzionale sul piano didattico, può rivelarsi praticamente immortale. È il caso di una peculiare espressione di Sallustio, mare Ponticum dulcius quam cetera, 2 che i grammatici latini hanno l’abitudine di citare con assoluta assiduità quando trattano dei gradi dell’aggettivo, per esemplificare come talvolta il comparativo non indichi qualcosa ‘in più’, ma qualcosa ‘in meno’ ; in questo caso Sallustio parla del mar Nero, dicendo che è ‘più dolce degli altri mari’, ma intendendo ovviamente che è appena più dolce, ossia meno salato rispetto ad altri mari. L’esempio appare così calzante, che intere generazioni di grammatici continuano ad utilizzarlo, anche se spesso
1 Il fenomeno della metatesi, frequente in molti dialetti italiani (il napoletano ‘fraveca’ trova corrispondenza ad esempio nel romanesco ‘frabbica’), è in realtà di lontana origine, poiché affonda le sue radici nel latino medievale parlato nelle diverse aree geografiche : nel Chronicon Salernitanum, che cito dall’edizione di U. Westerbergh, Stockholm 1956 (Studia Latina Stockholmiensia, 3), frabice si legge a p. 72,23 e frebis a p. 92, 27. Interessante anche il caso di uxor strupata (p. 92, 16), in luogo di stuprata, da cui traggono origine, con ulteriore scambio di consonanti, forme dialettali italiane come ‘sturbo, sturbato’. 2 Proveniente dalle Historiae, opera di cui ci sono giunti solo frammenti : qui si tratta di Hist. frg. 3, 65 Maurenbrecher. Nel vasto quanto omogeneo panorama della tradizione grammaticale, solo gli excerpta Andecavensia conservano una versione plenior di questo frammento : cf. De Nonno, Exc. And. 247, 186-187 e relativo apparato.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 35 non ne conoscono più né l’autore né l’origine : a mia conoscenza è attestato a partire dall’ars di Donato, a metà del iv secolo, 3 poi chiosato da una miriade di commentatori di Donato, per essere sfruttato ancora, attorno al primo quarto del vi secolo, dall’altro ‘principe’ dei grammatici latini, Prisciano ; 4 la sua popolarità non scema nemmeno in età carolingia, quando viene ancora utilizzato da Sedulio Scoto, che fu un rinomato magister della diocesi di Liegi attorno all’anno 850, 5 fino a trovare ancora posto nell’ars di Papia, in pieno xii secolo. 6 Assai simile è il caso di un noto esametro enniano, che Vahlen riferisce alla battaglia di Canne : Marsa manus, Peligna cohors, Vestina virum vis (Ann. 276 Vahl.2). Il verso doveva essere già popolare nei primi secoli dell’impero come classico esempio di schesis onomaton, ossia di una figura che Carisio definiva come una serie di successive antonomasiae (p. 370, 21-23 Barwick) e Donato ancor più succintamente multitudo nominum coniunctorum quodam habitu copulandi (Don. mai. 665, 10-11) : proprio da una reminiscenza di ambito scolastico sembra infatti prender forma la citazione allusiva di Giovenale 14, 179-182 ‘vivite contenti casulis et collibus istis, / o pueri’ Marsus dicebat et Hernicus olim / Vestinusque senex, ‘panem quaeramus aratro / qui satis est mensis …’, posta non a caso in un contesto ‘nostalgico’ – e forse lievemente ironico – in cui le solenni parole del pater Ennius venivano evocate a garanzia delle tradizionali virtù delle popolazioni delle province italiche. La tradizione grammaticale latina utilizza questo exemplum in maniera massiccia (Carisio, Diomede, Donato, Pompeo e altri commentatori di Donato) fino all’età altomedievale (Giuliano di Toledo, Murethac, Sedulio Scoto) ; ma il verso subisce frattanto un processo di banalizzazione, che ne oblitera via via la funzione, di ascendenza omerica, di ‘catalogo’ di popolazioni combattenti. Già i codici di Donato, infatti, leggono festina in luogo di Vestina e così fa, ovviamente, tutta la tradizione artigrafica posteriore ; 7 con Pompeo – e poi con Giuliano di Toledo –
3 In Donato l’esempio appare senza indicazione d’autore : saepe autem comparativus … minus a positivo significat et nulli comparatur, ut ‘mare Ponticum dulcius quam cetera’ (Don. mai. 618, 9-10 Holtz). Servio ne conosce invece la paternità sallustiana : at cum Salustius dicit ‘mare Ponticum dulcius quam cetera’, modo invenitur comparativus non solum comparativus non esse, sed nec positivus : nam mare non modo dulcius non est, sed nec dulce quidem (GL iv 431, 11-14). 4 Est quando ad contraria comparatur et minus positivo significat, ut : mare Ponticum dulcius quam cetera. Hic enim non ad dulcia, sed ad amara facta comparatione ostendit parvum aliquid dulcedinis quam cetera habere Ponticum mare (GL ii 92, 15 Hertz) ; cf. Prisc. GL iii 74, 27, con attribuzione a Sallustio. 5 Sedulio Scoto, nel suo commento in Donati artem maiorem, edito nella continuatio mediaevalis del Corpus Christianorum (d’ora in poi CCcm), sente la necessità di far seguire un breve excursus geografico : mare Ponticum dicitur a Ponto insula. Mare autem aquam amaram solet habere, sed hoc mare dulcius esse dicitur (id est parum dulce) quam cetera, in quod multa fluunt flumina, maxime Danubius, a quibus aliquid dulcedinis accipit (p. 106, 41-50 ; simile esegesi in Ambros. p. 34, 257-260). Proprio in Ponto insula, ossia in una presunta isola del mar Nero, molti commentatori medievali localizzavano il luogo d’esilio del poeta Ovidio. 6 Si noti che nell’ars di Papia, sostanzialmente basata sul testo di Prisciano, si sente il bisogno di corroborare la trattazione con un interessante exemplum fictum ispirato alla Bibbia : aliquando [scil. comparativus] etiam minus significat et nulli comparatur et minus positivo significat, ut ‘melior Pilatus quam Iudas’. Hic enim comparatio non ad bonum, sed ad malum facta, ostendit Pilatum parum bonum, idest minime malum, quam Iudam esse. Unde et dicitur ’melius illi fuerat, ut natus non fuisset homo ille’ et ‘mare Ponticum dulcius est quam cetera maria’ idest minus amarum (GL viii p. clxxxiii, 4-7). 7 Vestina, mai attestato nella tradizione grammaticale – peraltro l’unica a conservarci questo verso
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anche Marsa si banalizza in magna. Dalle parole di Pompeo appare, peraltro con la consueta vivacità espressiva, da una parte che la schesis onomaton è ormai considerata qualcosa di ‘archeologico’ – non per niente l’unico esempio disponibile sembra quello enniano : habebant hanc consuetudinem antiqui, modo nemo facit hoc – dall’altra che viene ridotta a una semplice figura di accumulazione, coacervatio nominum, nell’ambito della quale l’unico nome di popolazione che venga ancora riconosciuto è quello dei Peligni : ‘magna manus, Peligna cohors, festina virum vis’ : magna nomen est, manus nomen est, Peligna cohors, festina virum vis, omnia ista nomina sunt ; nullam aliam partem orationis habes in istis. Hoc est schesis onomaton (GL v 303 16-25). Proprio per questo, non credo sia necessario, come fa il Keil, espungere la frase immediatamente seguente, Peligna, id est de Peligno, unde fuit Ovidius, che appare come una di quelle improvvise ma non ingiustificate digressioni che spesso caratterizzano l’insegnamento del grammaticus tardoantico, e in particolare del tumultuoso e torrenziale Pompeo. Questo estremo conservativismo dei manuali grammaticali antichi – ma direi non solo di quelli antichi – è un concetto da tenere sempre presente, anche perché vedremo dei casi in cui un determinato exemplum continua pervicacemente ad essere tenuto in vita, non solo quando non se ne conosce più il contesto di provenienza, 8 ma persino nel momento in cui non è più compreso a fondo. In effetti, riprendere esempi già utilizzati in manuali precedenti non significa in alcun modo per il grammatico antico rinunciare ad ogni ambizione di originalità e indulgere a semplice pigrizia intellettuale, ma porsi al contrario nel solco di una secolare e sacra tradizione d’insegnamento, di cui anche il più modesto degli artigrafi si sente l’inflessibile custode – il titolo di un noto libro di R. A. Kaster 9 parla a buon diritto di “guardians of language” – e, per molti versi, anche il devoto sacerdote. Gli esempi utilizzati dai grammatici latini si possono classificare in due grandi categorie : le citazioni di origine letteraria – come quelle appena trattate – e gli exempla ficta, ossia quelli creati ad hoc dal grammatico stesso. La prima categoria è costituita per la maggior parte da citazioni poetiche, attinte soprattutto al ‘poeta nazionale’ Virgilio e in secondo luogo anche al commediografo Terenzio, autore assai apprezzato per l’eleganza dello stile ; tuttavia presso alcuni grammatici – in
enniano – è una brillante congettura apportata al testo enniano dal filologo olandese Jan van der Does (Ianus Dousa). Nella sua edizione di Donato (665, 11), Holtz stampa Vestina, sulle orme di Keil : ma avverte in apparato “festina codd. Donati et aliorum. Quid Donatus ipse scripserit incertum est (an Festina ?)”. Nelle artes dei vari commentatori che leggono festina nei lemmi di Donato, sarà metodicamente corretto mantenere sempre tale lezione, ad esempio nel testo di Pompeo (GL v 303, 16-25) e in Giuliano Toletano p. 200, 121 (dove l’editrice Maestre Yenes stampa a torto non solo Vestina, ma anche Marsa in luogo di magna concordemente attestato dai codici). 8 Ilderico di Montecassino, che scrive attorno alla prima metà del ix secolo la sua Ars grammatica, riprende da Prisciano un passo sallustiano circa alcuni nomi di fiumi (GL ii 201, 15-21) : ma l’antico storiografo è ormai per lui un puro nome, tanto da definirlo Sallustius poeta (cito dalla parziale edizione contenuta in A. Lentini, Ilderico e la sua ‘Ars grammatica’, Montecassino 1975, p. 66). Persio, a sua volta, diviene un grammaticus (p. 64). 9 R. A. Kaster, Guardians of Language. The Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles-London 1988.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 37 primis Prisciano – risulta cospicua, anche se complessivamente minoritaria, l’utilizzazione di brani prosastici : in questo caso gli autori canonici sono soprattutto Cicerone e Sallustio. 10 Gli esempi di matrice letteraria costituiscono, in effetti, la spina dorsale dei manuali antichi. Per noi moderni, la parola ‘grammatica’ evoca immediatamente dei sistemi di regole, delle classificazioni, delle liste di eccezioni, e ai nostri studenti di latino suscita immediatamente il ricordo dei meccanismi dell’analisi logica – almeno quando è stata adeguatamente insegnata – e poi del sistema delle declinazioni, delle coniugazioni, dei paradigmi dei verbi, e così via : tutto sommato un universo del tutto teorico e magari un po’ noioso. Non avveniva lo stesso per gli studenti dell’antichità, a cui la parola ‘grammatica’ evocava invece immediatamente la grande letteratura, o per meglio dire quella che veniva definita la enarratio poetarum, la lettura e il commento dei grandi poeti : persino quando due grandi padri della Chiesa come S. Gerolamo e S. Agostino ritornano con la memoria alla scuola del grammaticus, ciò che ricordano immediatamente non sono regole o classificazioni, ma invece l’emozione, o addirittura la commozione, con cui avevano seguito gli infelici amori di Enea e Didone : Agostino dice di aver pianto su questa vicenda, e si ricorderà come Gerolamo abbia sognato di essere fustigato perché, appassionato conoscitore di retorica latina, si sentiva più ‘ciceroniano’ che cristiano. Alla enarratio poetarum, come fine specifico degli studi grammaticali di epoca classica, fa chiaro riferimento la classica definizione di Diomede : Grammatica est specialiter scientia exercitata lectionis et expositionis eorum quae apud poetas et scriptores dicuntur […] grammaticae partes sunt duae, altera quae vocatur exegetice, altera horistice : exegetice est enarrativa, quae pertinet ad officia lectionis, horistice est finitiva, quae praecepta demonstrat, cuius species sunt hae, partes orationis vitia virtutesque. Tota autem grammatica consistit praecipue intellectu poetarum et scriptorum et historiarum prompta expositione et in recte loquendi scribendique ratione (GL i 426, 18). In ultima analisi, il contatto con il testo letterario costituisce la missione specifica della scuola classica : la visuale del grammatico antico si può definire più pratica che teorica, più filologica che linguistica, e il suo fine principale è sempre, praecipue, quello del commento dei testi. 11 La pura teoria linguistica viene trattata, sì, ma all’interno dell’esegesi testuale e non in primo luogo : è una sorta di prodotto secondario, anche se non di secondaria importanza : uno schema di insegnamento che anche la scuola moderna potrebbe ancora applicare con risultati non privi di efficacia.
10 Insieme con i poeti Virgilio e Terenzio, i prosatori Sallustio e Cicerone costituiscono un ben noto canone di letture raccomandate, che Cassiodoro definisce per antonomasia quadriga Messii (Inst. i 15, 7) : in effetti l’opera grammaticale di Arusiano Messio (fine iv sec.) si richiamava a questi auctores fin dal titolo Exempla elocutionum ex Vergilio, Sallustio, Terentio, Cicerone digesta per litteram (GL vii, 449). Le audacie stilistiche dello stile di Seneca non riscuotevano invece le simpatie dei magistri tardoantichi, che solo raramente ne citano qualche passo, per lo più dalle tragedie. Stesso discorso per Lucano, cui nuoceva anche l’annosa querelle sulla reale natura del Bellum civile : epica o storiografia ? 11 Soprattutto, come già si è ribadito, dei testi poetici : per quanto riguarda la prosa, solo oratoria e storia sono considerate veramente degne di interesse per il cursus scolastico.
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L’insieme delle citazioni letterarie che appaiono nelle artes grammaticae latine è stato tuttavia oggetto in tempi recenti di valide ricerche specifiche. 12 Per questa ragione, nelle pagine che seguono limiterò il mio excursus alla seconda tipologia, quella degli exempla ficta, categoria che per molti versi si rivela di non modesto interesse per il moderno ricercatore. Proprio in quanto foggiati direttamente dal grammatico per le necessità della lezione, questi exempla ficta utilizzati nella scuola tardoantica e altomedievale lasciano un qualche spazio al ‘taglio’ personale dell’insegnamento del grammaticus e possono pertanto fornire indicazioni significative, pur se non mancano anche in questo settore fenomeni evidenti di riutilizzazione e di conservativismo. Analizzare con attenzione questo tipo di esemplificazione può risultare proficuo per molti versi : ci può far respirare l’atmosfera stessa delle aule, ma soprattutto può introdurci nelle strategie di comunicazione del docente. Un particolare esempio può essere utilizzato non solo per illustrare un determinato fenomeno grammaticale, ma anche per trattare argomenti di diverso genere : per toccare tematiche morali o religiose, per introdurre riferimenti alla storia recente e a personaggi illustri, o magari – attraverso un aneddoto o una dialogo inventato sui due piedi – per concedere agli studenti un meritato momento di relax. Aggiungo che le artes grammaticae sono opere impersonali per definizione, perché per secolare tradizione nella stesura di questi manuali solo raramente l’originalità della riflessione linguistica o la novità dell’impostazione didattica trovano occasione di manifestarsi ; al contrario queste opere si presentano programmaticamente come una attenta selezione di dottrine precedenti, di cui non è in alcun modo fondamentale indicare le fonti, in quanto si mira piuttosto a fornire ai fruitori un ‘distillato’, uno status quaestionis dell’intera tradizione grammaticale : di qui il frequente uso nella tradizione grammaticale del significativo termine di collatio. Proprio perché autori di opere massimamente impersonali, molti grammatici latini appaiono in effetti figure storicamente evanescenti, talora sovrapponibili (si pensi ai numerosi Servii o Sergii tramandati dalla tradizione manoscritta), talora del tutto anonimi, spesso di problematica collocazione temporale e geografica. Orbene, l’analisi degli esempi utilizzati da ciascun autore ci consente talvolta di cogliere qualche riferimento biografico e persino qualche aspetto peculiare della personalità del grammaticus : vedremo fra breve come l’esempio può conservare in qualche caso il nome stesso dell’autore, o le sue coordinate geografiche e temporali, e talora persino informarci su personali simpatie e antipatie. 13 Per far questo, si rivelano di proficua lettura anche grammatici comunemente trascurati, come l’africano Pompeo, che scrive verso la meta del v secolo un voluminoso commento alla famosa Ars maior di Donato : commento che ebbe pessima stampa presso i filologi dell’Ottocento, tanto che Heinrich Keil lo definiva il
12 Rinvio in particolare al corposo saggio di De Nonno, Citazioni ; sulle pratiche dell’insegnamento ‘in aula’ vedi ancora De Nonno, Filocalus ; soprattutto alle citazioni letterarie specificamente utilizzate nelle sezioni de schematibus et ceteris vitiis dedica la sua analisi Vainio, Examples. 13 Per un altro spazio in cui è talora possibile individuare qualche aspetto della personalità dell’artigrafo, ossia prologhi e prefazioni, rinvio a Munzi, Prefazione, 211 sgg.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 39 più puerile, verboso e ripetitivo fra i grammatici tardoantichi, e quasi si scusava di averne accolto il testo nel monumentale corpus dei Grammatici Latini (d’ora in poi GL). 14 Al contrario, come vedremo, l’ars di Pompeo è per noi preziosa proprio perchè, in luogo delle secche e telegrafiche definizioni di Donato, ci conserva, viva voce, il sapore di una lezione in classe, con il maestro che parla, parla, ripete infinite volte il concetto, sviscera pedantescamente ogni minimo dettaglio del testo che sta commentando, 15 si lancia in torrenziali digressioni, talora si confonde e riprende daccapo il discorso, previene le obiezioni degli allievi, 16 distribuisce note di merito e demerito agli altri grammatici, 17 svolge in una parola la sua performance sul palcoscenico scolastico. 18 Si è notato a ragione che l’ars di Pompeo non si presenta come un’opera licenziata dall’autore dopo un’attenta rilettura e revisione, ma come una sorta di trascrizione stenografica 19 sia di vere e proprie lezioni te
14 Una sostanziale rivalutazione del grammatico Pompeo è ora nelle pagine di Holtz, Pompèe 50-51, che ne apprezza in particolare il tentativo di porsi “au niveau exact de son auditoire”, e in particolare di Kaster, Guardians 139-168, che nota come la lettura del suo enorme commento all’Ars di Donato, “the most garrulous of grammatical texts and […] perhaps the least esteemed […] can pay generous dividends to the modern reader, for it is expressed in a distinctive, lively voice that strikingly reveals the concerns of a late-antique teacher” (p.139). Anche De Nonno, Filocalus 179-185, ne sottolinea con simpatia, al di là della indubbia ripetitività dell’esposizione, la novità e l’efficacia di alcuni peculiari espedienti didattici. 15 Si veda la capziosa discussione sul positivus gradus, che a rigor di termini non dovrebbe esser definito gradus : gradus dicitur ascensus quidam : si hoc est, positivus non debet dici gradus, nam positivus nullus ascensus est, incipit esse ascensus a comparativo et superlativo. Sed tamen, licet ipse positivus non est ascensus, tamen, quoniam per ipsum positivum fit ut intellegamus postea quid est ascendere in comparativum et superlativum, idcirco appellatur et ipse gradus. Ideo ergo nominativus, licet non est casus, tamen quoniam facit nomen stare et postea cadere, ideo appellatus est casus (GL v 182, 16-23). 16 Un buon esempio è in GL v 269, 23-25 coniunctiones pro coniunctionibus posse poni apud auctores ; nobis non licet. Ne dicas mihi ergo : ‘quoniam usus est Vergilius copulativa pro disiunctiva, debeo et ego ita facere ?‘. Nequaquam licet : ille enim habuit auctoritatem artis poeticae. Ho lievemente modificato l’interpunzione dell’edizione Keil, per far meglio risaltare la vivacità dell’obiezione messa in bocca all’allievo, ancora una volta in un tipico latino ‘popolare’. Anche per De Nonno, Filocalus 179, “il carattere delle lezioni di Pompeo è in più punti quello di una vivace ‘sceneggiata’, […] con continua sollecitazione diretta dell’attenzione degli ascoltatori”. 17 Pompeo si mostra più volte in disaccordo con altri artigrafi, talora persino col più illustre fra loro, Donato (in una occasione afferma addirittura che dicit rem stultam, GL v 180, 32) : ma non mancano critiche – espresse peraltro con la consueta e popolaresca vivacità lessicale – rivolte a intere ‘scuole’ grammaticali, ad esempio quelle elleniche : per quanto riguarda le regole degli accenti, Graeci vero chaos fecerunt, totum confuderunt, ut, quamvis mille legas tractatus, non te convenias (GL v 130, 1-2). Peraltro, con identiche parole si stigmatizza talvolta anche la pratica linguistica dei Latini, anch’essa, a parere di Pompeo, non priva di mende : multum interest inter articulum et inter pronomen. Latini confuderunt illud, istam rem perturbaverunt (GL v 212, 14-15). 18 Palcoscenico scolastico, dove la categoria dei grammatici non deve mai mostrarsi titubante o impreparata, specie in presenza di agguerriti ‘contestatori’, come nell’episodio narrato dallo stesso Pompeo in GL v 142, 8-14 : ne conseguono le ripetute avvertenze in responsionibus callidi debemus esse (GL v 142, 35) ovvero idcirco c a u t i esse debemus, ne male interrogati aut male respondentes soloecismos faciamus (GL v 144, 8-9), e le altrettanto pressanti raccomandazioni non te decipiat ista res nec fallat (GL v 141, 25) e vide ergo ne te fallat [scil. Sallustius], quoniam masculinum fecit (GL v 163, 7-8). Appare chiara la destinazione del testo di Pompeo non a principianti – per i quali le stesse dimensioni del manuale sarebbero esorbitanti – ma a futuri magistri : cf. infra, nota 20. 19 Di ‘trascrizione stenografica ha parlato per primo Lindsay, Grammarians 35. A uno schiavo stenografo si riferisce peraltro lo stesso Pompeo : puta notarium meum volo vocare ‘Africanum’. Si hoc nomen accepit quando natus est […] iam non erit agnomen, sed erit cognomen (GL v 141, 28-30 : nelle righe precedenti si ribadisce che solo il cognomen compete allo schiavo).
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nute in classe dal magister, sia di dotte disquisizioni che pongono in luce tecniche e sistemi d’insegnamento, 20 evidenziando fra l’altro l’uso di un sermo cotidianus di notevole interesse per l’evoluzione del latino parlato, 21 e che stranamente non ha finora attirato la specifica attenzione di studiosi interessati alla Umgangssprache.
1. La menzione di autorevoli predecessori La secolare e rispettata tradizione dell’insegnamento grammaticale svolge un ruolo fondamentale nel garantire il ruolo professionale dell’antico magister e rafforzarne la posizione sociale. Basilare aspirazione del grammaticus tardoantico è dunque quella di inserire il proprio nome in una lignèe di rinomati insegnanti : ed è buona strategia non soltanto menzionare i propri maestri, in genere oggetto di un ricordo affettuoso e spesso di una pietas quasi filiale, ma anche citare più lontani predecessori, sotto la cui auctoritas si intende porre la propria opera, come appare nei testi qui raccolti :
adde illi coniunctionem, et vides quoniam prior syllaba perdet accentum, puta ‘doctusque Palaemon’ (Pompeo GL v 131, 28-30) ; septimus vero (scil. casus) modis quattuor profertur … secundo, cum duo ablativi copulati genetivo Graeco interpretentur, velut […] ‘studente Sacerdote differentia inventa est’ […] spoudavzonto~ Sakevrdwto~ hJ diaforav huJrevqh (Anon. Bobiensis 4, 6-8 De Nonno) ; ’Aristophanes Aristarchum docuit’ (Prisc. GL iii 15, 12) 22 ; ad nomina se applicant, quae propriam qualitatem demonstrant, ut ‘homo sum’, ‘Apollonius vocor’ (Prisc. GL iii 152, 11-12) ; ‘Priscianus ego vocor, tu vocaris Herodianus’ (Prisc. GL iii 12, 15-16) ; ‘tua et patris tui, Herodiane, proficimus arte’ (Prisc. GL iii 224, 6) ; vocativus … ut ‘Theoctiste’ vel ‘tu, noster doctor, legis’ vel ‘lege’ (Prisc. GL iii 147, 19) ; ‘ego doceo illum’ vel ‘Theoctistus docet Priscianum’ (Prisc. GL iii 148, 2-3) ; ‘quis est Trypho ?’ vel ‘quis nominatur Trypho ?’ (Prisc. GL iii 129, 9) ; ‘et Dionysius loquitur et Trypho’, ‘et Apollonius scripsit et ego’ (Prisc. GL iii 160, sulle congiunzioni copulative) ;
20 A ragione R. Kaster (Guardians 159) ritiene che il vero destinatario dell’ars di Pompeo non sia un semplice studente, ma piuttosto la categoria degli scholastici, ovvero studenti avanzati destinati a divenire a loro volta magistri, cui si rivolge ad esempio l’avvertenza di GL v 130, 31-32 si male distinguas, potest errare puer. Proprio questi giovani docenti in fase di formazione dovranno essere messi al corrente di quei ‘trucchi del mestiere’ che consentono di evitare le spiacevoli situazioni già precedentemente menzionate supra, nota 18. 21 Nel testo precedentemente citato a nota 15, ad esempio, l’insegnamento orale del docente è connotato da una sintassi ‘volgare’ (non debet dici, facit stare), nonché dall’accumularsi e dal ripetersi delle congiunzioni (tamen, ideo, ergo, idcirco), anch’esso tipico della Umgangsprache. 22 Sulla falsariga dell’esempio priscianeo Aristophanes Aristarchum docuit Alcuino foggia il suo Priscianus Donatum docuit : al di là dell’inverosimiglianza cronologica, l’exemplum foggiato da Alcuino è altamente significativo per valutare la novità della sua opera grammaticale, che per la prima volta utilizza estesamente l’insegnamento di Prisciano per completare e arricchire la dottrina di Donato. Vedi in proposito L. Holtz, Alcuin et la redécouverte de Priscien à l’époque carolingienne, in History of Language Sciences – Histoire des sciences du langage, ed. by S. Auroux, I, Berlin-New York 2000, 525-532, in particolare 531-32.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 41 imperativa verba […] ut ‘Apolloni doce, Trypho disce’ (Prisc. GL iii 239, 2) ; ‘ferio Tryphonem’ (Prisc. GL iii 271, 12) ; ‘perfectus’ […] quomodo significat qualitatem et quantitatem ? ut puta, si dicas mihi ‘quid scit Audax ?’, dico ‘grammaticus est’ : dicis mihi ‘quomodo illud scit ?’, dico ‘perfectus est’ : ecce qualitas (Iul. ars p. 17, 193-95 Maestre Yenes) ;
si può notare come Pompeo abbia cura di nominare nei suoi esempi il famoso Remmio Palemone, ‘padre’ della grammatica romana, vissuto nei primi anni dell’impero, mentre il cosiddetto Anonymus Bobiensis propone Plozio Sacerdote come inventor di un genere canonico dell’insegnamento grammaticale, lo studio delle differentiae verborum. Quanto a Prisciano, utilizza più volte come exempla dapprima i nomi di due famosi intellettuali dell’età alessandrina, Aristofane di Bisanzio e Aristarco, poi di altri famosissimi grammatici greci quali Apollonio Discolo summus artis auctor grammaticae, Dionisio Trace ed Erodiano, infine del suo maestro diretto, il venerato Teoctisto, definito noster doctor ; 23 appare più volte citato anche un altro rinomato autore di testi grammaticali, Trifone, cui viene riservato lo scherzoso ‘ferio Tryphonem’. Non stupisce infine che Giuliano di Toledo definisca dottrinariamente perfectus il grammatico Audace : il suo manuale costituisce in effetti una delle fonti più cospicue dell’ars del vescovo toletano.
2. Il ‘sigillo’ dell’autore Oltre che vantare la sua formazione intellettuale e la sua appartenenza a una ‘scuola’ autorevole, il grammatico antico desidera spesso ‘firmare’ la sua opera, lasciandovi un qualche ricordo del suo nome : compito non facile, poiché le artes grammaticali sono, come si è detto, opere anonime per eccellenza. Soccorre, anche in questo caso, la possibilità di sfruttare all’uopo le potenzialità degli exempla : 24
Agroecius cum latine scribis, per diphthongon scribendum, non, ut quidam putant, per i Agricius (GL vii 114, 7-8) ; ‘ego Priscianus scribo’, ‘tu Priscianus’ vel ‘Prisciane scribis’, ’mei Prisciani eges’, ‘tui Prisciani egeo’, ‘illius Prisciani eget’, ‘mihi Prisciano das’, ‘tibi Prisciano do’, ‘illi Prisciano placet’, ‘me Priscianum videt’, ‘te Priscianum video’, ‘illum Priscianum videt’ ; similiter ablativus tribus adiungitur personis : ‘a me Prisciano accipis’, ‘a te Prisciano accipio’, ‘ab illo Prisciano accipit’ (Prisc. GL ii 186, 23-187, 4) ; ‘Priscianus vocor, nominor, nuncupor, appellor’ (Prisc. GL ii 414, 19-20) ; ‘Priscianus sum, Priscianus vocor, Priscianus nominor, Priscianus nuncupor’ (Prisc. GL ii 448, 23-24) ; ‘ego Priscianus scribo intellegens’ et ‘nos oratores scribimus intellegentes’ (Prisc. GL iii 183, 5) ;
23 Con lo stesso rispetto si rivolge al suo maestro anche in altra occorrenza : accepimus, teste sapientissimo domino et doctore meo Thectisto, quod in Institutione artis grammaticae docet (GL iii 231, 24-25). 24 ������������������������������������������������������������������������������������������������ “Ist es allbekannte Grammatikersitte, den eigenen Namen als Beispiel in seinen Schriften zu verwenden” : così Barwick, Palaemon 169. Tra i primi a ‘firmare’ in questo modo i propri trattati sarebbe stato il grammatico Pansa, di età augustea : proprio sulle basi dell’occorrenza del nome Pansa in vari passi di artigrafi latini, Barwick ritiene (170 sgg.) di poter ricostruire almeno parzialmente la dottrina dell’antico magister.
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‘ego Priscianus ambulo, tu Plato philosopharis, Aristoteles disputat’ (Prisc. GL iii 210, 12) ; ‘ego Priscianus scribo, Apollonius ambulat, Plato philosophatur’ (Prisc. GL iii 211, 21) ; excipiuntur ab humo ‘humanus’ et mundo ‘mundanus’ et ‘priscus Priscianus’ ; sed hoc magis a Priscio videtur esse derivatum (Prisc. GL ii 79, 8-10) ; hic videtur falli Donatus, cum dicit genetivo tantum plurali superlativum gradum adiungi, non autem singulari, cum legamus ‘doctissimus populi Murethac’ vel ‘doctissimus plebis’ (Mur. p. 79, 42-45) ; coniunctio […] ligat enim duo nomina, ut ‘Murethac et Aimo’ (ibid. p. 171, 1) ; pronomen est pars orationis, quae pro ipso posita nomine, minus quidem plena est, e idem tamen significat. Nam cum debeam dicere ‘artem Scaurus scripsit’, dico ‘artem ille scripsit’, et pro ‘artem, Scarus, scripsit’ dico ‘artem tu scripsisti’ (ars inedita in München Clm 6281, f. 58r).
Come si può notare, non manca di inventiva Agrecio, autore di una Ars de orthographia, che proprio con un’osservazione sulla corretta ortografia del nome Agroecius fa iniziare il suo trattato ; 25 alquanto ripetitivo appare Prisciano, che inserisce di continuo il suo nome all’interno di declinazioni e di schemi verbali, e in un caso ne fornisce anche una etimologia ; 26 mentre un po’ … immodesto appare il maestro irlandese Murethac, attivo a Metz e a Auxerre verso la metà del ix sec., che nel definirsi doctissimus populi non perde l’occasione di dare una lezione nientemeno che a Donato (hic videtur falli Donatus …), e ci conserva altresì il nome del discepolo Aimone. 27 Per ultimo ho citato l’anonimo trattato presente nel codice München, Bayerische Staatsbibl. Clm 6281 (ix sec., Freising), poiché in questo caso non è possibile definire con sicurezza se nell’esempio artem Scaurus scripsit si debba ravvisare il sigillo dell’autore o semplicemente un omaggio a un suo magister o predecessore. 28 Tra questi artigrafi, la ‘firma’ più raffinata – e anche la più pervasiva – si rivela comunque quella di Mario Sacerdote. Se nel capitolo dedicato al ‘settimo
25 Due codici del trattato di Agrecio conservano un diverso testo, forse una variante locale : Agroetius sicut apud Grecos scribitur cum diptongo scribendum quia grecum nomen est, siagrius vero absque diptongo : nella seconda metà del v secolo, un Siagrio fu in effetti vescovo di Autun. Siagrio era anche – come mi fa notare il collega Paolo De Paolis – il nome del generale che, proprio negli anni in cui Agrecio era vescovo di Sens, creò un effimero regno gallo-romano nel nord della Gallia. 26 Si noti che, laddove Prisciano ritiene il suo nome magis a Priscio… derivatum, alcuni manoscritti leggono prescio : di qui verosimilmente tra origine la grafia Prescianus – comune ad esempio nel commento a Prisciano di Sedulio Scotto (CCcm 40 C, 64, 3 ; 79, 28 e passim) – e il tentativo di spiegare il suo nome come prescius, sporadicamente attestato nei secoli dell’alto Medioevo. 27 Nella sua edizione del trattato In Donati artem minorem, L. Holtz ritiene di identificare l’allievo di Murethac in Aimone di Auxerre, “véritable fondateur de la célèbre école d’Auxerre, même si l’histoire a retenu surtout les noms d’Heiric et de Rémy” (CCcm 40, p. xxix). 28 La paternità dell’anonimo e inedito trattato presente nel codice monacense è stata recentemente rivendicata, con convincenti argomenti, proprio al grammatico Terenzio Scauro : vedi Law, Scaurus 67-89. L’esempio artem Scaurus scripsit, che appare nel capitolo de pronomine, mi sembra sicuramente significativo ai fini di questa attribuzione : si noti anche che il termine ars con cui Scauro designerebbe il proprio manuale è, sì, del tutto comune, ma corrisponde perfettamente al titolo de arte preposto all’opera nel manoscritto, f. 52r. Law si limita a una breve discussione a p. 73, n. 13 – da cui traggo, con qualche minima modifica, il testo del passo – ma non sembra considerlo un indizio tranchant per la paternità del testo.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 43 caso’, sembta limitarsi a proporre la sua stessa attività di docente come sigillo dell’opera :
septimus casus fit duobus ablativis pariter copulatis […]ut ‘oratore declamante’, ‘Sacerdote docente’ (GL vi 447, 14-17) ;
nella corposa sezione metrica, al contrario, si cimenta in un vero e proprio tour de force, confezionando una sostanziosa serie di versi mnemonici nei quali, oltre a riassumere il numero esatto delle species di ciascun verso rispettivamente prese in esame, non manca di rivendicare la peculiarità della sua iniziativa, di definirsi – con un pizzico di autoironia – comes Musarum e persino di ‘scusarsi’ per non aver reperito un adeguato esempio letterario :
‘non me carminibus superet nec Phoebi cultor’ (GL vi 504, 13) ; ‘non me Musarum comitem M a r i u m non laudo’ (GL vi 504, 19) ; ‘schemata carminibus cecini haec vobis plane’ (GL vi 505, 14) ; ‘Musarum cecini nunc cuncta metra tibi’ (GL vi 505, 19) ; ‘exempla vero nos omnia nostra damus’ (GL vi 508, 14) ; ‘defuit exemplum tibi ponere lectum prius’ (GL vi 505, 8) ; ‘undecim sunt de trochaico fonte rivi / quos habemus supra titulis bene refusos’ (GL vi 531, 1-2) ; ‘anapaesto pede bis senae sunt species et species una’ (GL vi 534, 7) ; ‘hae sunt sedecim vere choriambo pede lectae species’ (GL vi 537,14) ;
in questo ambito, Sacerdote può mostrare appieno la sua abilità compositiva, sia nominando espressamente i due destinatari dell’opera in altrettanti pentametri, sia proponendo per tre volte il proprio nome, che viene inserito dapprima in una coppia di esametri, poi in un elegante esempio di trimetro giambico ‘zoppo’, poi ancora in un ricercato tetrametro saffico :
‘accipe carmina nunc, Maxime, iussa tua’ (GL vi 509, 24) ; ‘hoc metrum coeptum Simplici iussa tenet’ (GL vi 509, 26) ; dactylicum metrum et eius species xvii […] ‘has tibi dactylici species per carmina metri / bis senas et quinque simul dedit ore Sacerdos’ (GL vi 517, 23-24) ; exemplum clodi hipponactii […] ‘Latina trado carmina sic Sacerdos’ (GL vi 534, 7) ; ‘istaec composui metra Sacerdos optima nunc’ (GL vi 539, 15).
Infine, a un divertissement d’autore – come già aveva intuito il Keil nella prefazione, GL vi 420 – debbono verosimilmente ricondursi anche gli esempi raccolti nella sezione dedicata alle terminationes casuum, ove si gioca abilmente fra sacerdos e Sacerdos e si approfitta della contiguità di vari esempi per definirsi ancora una volta grammaticus e doctus :
breviter doceamus, quot modis singuli casus utriusque numeri terminentur […] genetivus singularis fit modis quattuor, ae i s u, huius poetae grammatici sacerdotis cornu. Dativus singularis fit modis quattuor, ae i o u, huic Aeneae sacerdoti docto genu (GL vi 483, 11-17).
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custos latini sermonis 3. Coordinate cronologiche e geografiche
Anche la nazionalità del magister può costituire oggetto del discorso scolastico. È il caso di Pompeo, di cui possiamo evincere uno dei pochi dati biografici certi – ossia l’origine africana – dalla trattazione del pronome nostras : 29
si interroges, verbi causa, de Mauro, aut siqui me interroget ‘iste homo cuias est ?’, ‘nostras est’, id est Maurus : ille interrogavit gentem, ego respondi (Pompeo GL v 205, 4-6) ;
parimenti, l’analisi di quegli exempla in cui sono contenute precise indicazioni geografiche è sicuramente proficua per definire vicende biografiche e luoghi di attività di molti artigrafi tardi. Si può notare, ad esempio, come nei luoghi e centri conventuali citati da Godescalco di Orbais nelle sue Quaestiones grammaticales si siano altresì consumati i momenti più drammatici della sua tormentata esistenza : proprio nel sinodo tenuto presso la residenza imperiale di Quierzy (Carisiacum) verrà in effetti pronunciata la sua condanna come eretico incorreggibile, e il monasterium Altumvillare (Hautvillers, presso Epernay) lo vedrà a lungo prigioniero dall’anno 849 all’870 circa :
‘civitas quod Mediolanum dicitur’, ‘coenobium quae Corbeia vocatur’ [Corbie], et ‘cella quod Altumvillare nuncupatur’ [Hautvillers], et ‘villa qui Sparnacus vocatur’ [Epernay], et ‘oppidum quae Troia nominatur’ [Troyes], et ‘palatium qui Carisiacus appellatur’ [Quierzy] (Godesc. GL viii 178, 5-9) ; ‘cis Rhenum est civitas Magontiae’, id est de ista parte ; Rhenus est fluvius dividens Galliam et Germaniam (Rem. min. GL viii 214, 20) ; similiter hominum seu civitatum propria nomina ut ‘Maria, Cecilia, Scolastica, Lucia ; Roma, Uuintonia, Lundonia, Eboraca’ et similia (Beatus quid est, testo grammaticale anglosassone, inizio xi sec., p. 93 Bayless).
Di sicuro interesse per la cronologia dei vari artigrafi risultano altresì le citazioni di autorevoli personaggi storici. Si può notare in proposito come i grammatici della tarda antichità, forti di una identità solida e di una figura sociale ancora rispettata, non avvertano in maniera particolare la necessità di rendere omaggio a imperatori o condottieri della loro epoca. Al contrario gli autori di artes altomedievali, siano essi illustri vescovi o autorevoli abati, non ignorano come la sopravvivenza delle loro scholae dipenda essenzialmente dal favore del sovrano, e in più di una occasione si impegnano a citarne il nome. In età carolingia il fenomeno si iscrive, in particolare, nell’ambito di una ambiziosa riproposizione dell’onomastica imperiale romana, come appare evidente sia nel Liber in partibus Donati di Smaragdo abate di Saint-Mihiel, che – pur conscio di quanto diverso fosse l’usus apud Romanos (p. 28, 406) – si sforza tuttavia di adattare il sistema dei quattuor nomina di età classica alla regalità di Carlomagno, presentandolo come imperator Carolus Francus prudens ; sia nel consimile Tractatus super Donatum del doctissimus Ercamberto, 30
29 Ma si veda anche infra, p. 62, lo scherzoso superlativo Aferrimus foggiato su Afer. 30 L’editore di Ercamberto, W. V. Clausen, ritiene “most improbable” l’attribuzione dell’opera – composta verosimilmente nella prima metà del ix secolo – all’omonimo vescovo di Frisinga (836-854), pro-
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 45 che prende spunto da Scipio Africanus per nominare Carlomagno col tronfale titolo di Carolus Saxonicus e allinearsi così alla diffusa propaganda che mirava a presentare il potere carolingio come renovatio dell’impero romano. 31 Lo stesso Smaragdo non manca di sottolineare la sua famigliarità con le sedi del potere, come nell’esempio de palatio venio Caroli et Carolus fuit mihi locutus : 32
puta, si dicam ‘scis domnum Ervigium ? ipse est princeps Hispaniae’ (Iul. ars 40, 150) ; puta, si interroges me : ‘cuius equus ?’, respondeo tibi per genitivum casum ‘domni Ervigii regis’ (ibid. 24, 378-79) ; praenomen quid est ? Ut puta ‘Flavius dominus’, ‘Egica rex’, ‘vir illustris Trasemundus’ (Iul. part. 171, 22-23) ; superlativus […] ut ‘Chlotarius fortissimus Francorum est’ (Mur. p. 79, 39-45) ; agnomen est quod extrinsecus ab aliquo venit eventu, ut Scipio ‘Africanus’ ob hoc dictus quia rebellem semper Africam imperio Romanorum adiecit, et Carolus ‘Saxonicus’ quia Saxoniam viriliter regno Francorum subegit (Ercamb. p. 67, 6-9) ; genitivus ideo vocatur, quia per eum et genus ostendimus et gentem, ut ‘Carolus, Pipini filius’ et ‘Troianae gentis rex’ (Smar. 76, 33-34) ; ergo si placet, sic istas quattuor propriorum nominum species iam hodie apud nos teneantur, ut dicamus praenomen ‘imperator’ et sit illi proprium dignitatis, quod nulli alio in suo convenit regno ; dicamus nomen ‘Carolus’ et sit illi proprium, quod accepit in baptismo ; dicamus ‘Francus’ et sit illi appellativum in genere suo cum ceteris ; dicamus ‘prudens’ et sit illi agnomen appellativun accidens et extrinsecus (Smar. 29, 446-30, 452) ; propriae qualitatis nomen sine alterius nominis adminiculo suum absolute debet ostendere intellectum, ut si dicas ‘de palatio venio imperatoris et imperator mihi fuit locutus’, sic plenum habet intellectum, ac si proprium ponas nomen et dicas ‘de palatio venio Caroli et Carolus fuit mihi locutus’ (Smar. 29, 437).
Si può notare infine come fra i luoghi citati dal grammaticus non manchi talora … la sua stessa dimora : ad essa – e forse alla sua passione per il giardinaggio – sembra infatti riferirsi Pompeo quando improvvisa, per trattare della pronuncia di vocali lunghe e brevi, il vivido esempio bene olebant in hospitio meo rosae (GL v 102, 8).
4. Preferenze letterarie e idiosincrasie personali Si è detto che attraverso la selezione degli esempi talvolta è possibile cogliere qualche raro accenno ai gusti personali dell’autore. Nei due casi che qui trascrivo :
posta per primo dal Manitius, “Philologus” 68, 1909, 396 : in effetti, nei due soli manoscritti che recano un’indicazione d’autore si parla soltanto di un magister Erchambertus. Tuttavia, Clausen stampa il tiolo dell’opera nella forma Erchamberti Frisingensis Tractatus super Donatum. 31 Identico espediente propagandistico – uso del sistema dei tria nomina per sottolineare la translatio imperii da Roma ad Aquisgrana – mette a frutto Alcuino nel comporre un noto carme figurato in onore di Carlomagno, nei cui versus intexti si leggono gli esametri Flavius Anicius Carlus, laetare tropaeis e Flavius Anicius Carlus, tibi carmina dixi (MGH Poet. i 226-27). 32 È di un certo interesse rilevare come nel codice B di Smaragdo l’esempio venga ‘aggiornato’ nella forma de palatio venio Chluduvici : la trascrizione del codice non dovrebbe dunque risalire oltre l’anno 818, quando divenne re dei Franchi Luigi (o Ludovico) il Pio, succedendo al padre Carlomagno.
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eligendi [scil. adverbia] dicuntur quia electionem demonstrant vel significant, ut ‘plus diligo Virgilium Lucano’ (Sed. mai. 250, 38-40) ; interdum comparativus gradus praeponitur superlativo, ut ‘stultior stultissimo’ et ‘maior maximo’ : nam aliquem Gallorum stultum, idest nihil rationis scientem, possumus dicere stultiorem Grecorum philosopho stultissimo (Tat. p. 15, 344-47) ;
il maestro carolingio Sedulio Scoto – come già Agostino, supra p. 22 – sembra ricollegarsi a una secolare tradizione critica che giudicava l’opera di Virgilio di gran lunga superiore all’epica storica di Lucano ; invece Tatuino – grammatico di origine anglosassone che fu arcivescovo di Canterbury nella prima metà del secolo viii – proprio mentre svolge la sua neutrale lezione di grammaticus, non resiste alla tentazione di esprimere il suo personale giudizio su altre popolazioni : come si può vedere, sta spiegando che il comparativo si unisce talvolta al superlativo, come nell’espressione stultior stultissimo, e a questo punto aggiunge ‘infatti possiamo dire che un Gallo stolto, uno che proprio non capisce nulla, si può comunque definirlo più stolto del più sciocco fra i filosofi greci’. 33 In effetti, in quest’epoca fra gli eruditi delle antiche Gallie e i magistri che provenivano dalle isole – i cosiddetti Scoti, denominazione che abbracciava sia anglosassoni che irlandesi – non correva assolutamente buon sangue ; gli intellettuali del continente ricambiavano cordialmente i pregiudizi di Tatuino, definendo assai spesso i dotti insulari vanagloriosi, arroganti e venditori di fumo. 34 Per inciso ricorderò che a dare alle stampe una edizione parziale della grammatica di Tatuino fu per primo, attorno al 1820, il dotto cardinale Angelo Mai, il quale essendo – come il più giovane Leopardi – un po’ ‘misogallo’, commentò con un certo divertimento le affermazioni di Tatuino : d’altronde erano tempi in cui le turbinose vicende delle guerre napoleoniche avevano creato non pochi grattacapi a Santa Romana Chiesa.
5. Exempla attinti all ’ ambiente e alla suppellettile scolastica I grammatici antichi amavano trarre esempi dall’ambiente stesso della scuola : l’aula dove si fa lezione, gli strumenti che vi si usano, l’arredamento stesso della scuola. Quale dei moderni docenti, d’altra parte, non ha mai usato esempi come ‘questa penna’, ‘questa cattedra’, ‘questa lavagna’ ?
33 Naturalmente i filosofi greci sono ‘sciocchi’ in quanto pagani, non toccati dunque dalla rivelazione divina. 34 Talvolta non a torto : si è già visto come nella stessa epoca il maestro irlandese Murethac non brillasse propriamente per modestia nel presentarsi come doctissimus populi. Una certa sfumatura di fastidio per l’arrivo sul suolo francese di intere ‘greggi’ di dotti irlandesi si può forse cogliere – pur nel contesto di una calorosa lode rivolta a Carlo il Calvo per averne favorito la circolazione in tutte le regioni del regno – nelle parole del maestro Heiric di Auxerre : quid Hiberniam memorem, contempto pelagi discrimine, paene totam cum grege philosophorum ad litora nostra migrantem ? (MGH Poet. iii p. 429, 24). Frodeberto, vescovo di Tours nel 665, usa come proverbiale la colorita espressione “mentire come un irlandese” (citata da D. Norberg, Au seuil du Moyen Âge, Padova 1974, 11) ; altrettanto popolari erano nelle provincie galliche i giochi di parole fra Scotus e sotus, che offrono l’occasione a un noto bon mot di Giovanni Scoto Eriugena : invitato a un banchetto di corte, il filosofo irlandese si vede porre da Carlo il Calvo la scherzosa domanda quid distat inter sotum et Scotum ? e, confidando nella familiarità col monarca, risponde seccamente : tabula (Rerum Britannicarum medii aevi Scriptores 52, Londinii 1870, p. 392).
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 47 Un adeguato punto di partenza può in questo caso essere fornito proprio dall’ars di Donato e dalla nutrita serie dei suoi commentatori :
Genera nominum sunt quattuor […] masculinum […] ut ‘hic magister’, femininum […] ut ‘haec Musa’, neutrum […] ut ‘hoc scamnum’ (Don. mai. p. 619, 7-12 Holtz) ; masculinum, ut ‘hic iustus’, femininum, ut ‘haec ecclesia’, neutrum ut ‘hoc ieiunium’ (Asporius GL viii 40, 11-12) ; masculinum, ut ‘hic stilus’, femininum, ut ‘haec tabula’, neutrum […] ut ‘hoc lignum’ (Smar. p. 43, 27-44, 29) ; ‘hic magister’, ‘haec mussa’, quod genus lapidis pretiosi ; et mussa idest ‘carmen’ interpretatur, in quo ostenditur, ut dicunt, Appollo cithaera tenens ; ‘samum’ vero misticum quidam nomen cum gentibus, de quo non est temporis loqui (Anon. ad Cuimnanum p. 46, 49-53) ; ‘magister’ […] ‘musa’ […] ‘samum’ monticulus est sub quo mortuorum ossa congregantur (Ursus p. 295 Morelli) ;
come si può notare, Donato trattava dei tre generi del nome, masculinum femininum neutrum, utilizzando per ciascuno di essi i tradizionalissimi esempi magister, Musa, scamnum, tutti strettamente collegati al mondo della scuola : la figura dell’insegnante, la principale materia di insegnamento – la ‘Musa’ sta qui a indicare la enarratio poetarum di cui si è già detto 35 – e infine il semplice sgabello su cui sedevano gli allievi. Nel v secolo, ‘Aspro’ o ‘Asporio’ 36 si propone di cristianizzare il suo insegnamento con exempla più consoni a un ambito monastico : per i tre generi del nome sceglie dunque iustus, ecclesia, ieiunum ; 37 altrove si mantiene magister ma si inseriscono ecclesia e templum. 38 Ancora più tardi, un grammatico dell’epoca carolingia, Smaragdo abate del monastero di Saint-Mihiel sul corso della Mosa, si sforza anch’egli di rinnovare gli esempi di Donato : ricorrendo nuovamente alla suppellettile scolastica, propone stilus, tabula, lignum (Smar. 43, 27-29). Numerosi grammatici dell’alto Medioevo continuano tuttavia a ripetere gli esempi di Donato, anche se il contesto appare ormai nebuloso. Degno di nota è quanto avviene nella Expositio Latinitatis di un ignoto autore, comunemente noto come Anonymus ad Cuimnanum : il grammatico – forse di origine irlandese, ma attivo probabilmente in Francia nei primi anni del vii secolo – al momento di riportare gli esempi di Donato, ha i suoi problemi nel tentare una esegesi del termine ‘musa’ : haec mussa, quod genus lapidis pretiosi ; et mussa idest ‘carmen’ interpretatur, in quo ostenditur, ut dicunt, Appollo cithaera tenens. Ma le cose vanno
35 Che il termine Musa indicasse ogni tipo di testo poetico utilizzato nell’aula del grammaticus, appare evidente da un passo di Prisciano : gerundia vero […] utrosque numeros sibi coniungunt, ut ‘ legendi Virgilium’ et ‘Musam ‘ et ‘Musas’ ; similiter ‘ legendo Virgilium, legendo Musas’ et ‘ legendum est mihi Virgilium’ et ‘Musas’ (Prisc. GL iii 234, 2-9). 36 Non si tratta naturalmente dell’antico grammatico Emilio Aspro, ma di un omonimo magister attivo verosimilmente attorno alla metà del v secolo, forse di origine insulare, variamente definito nei manoscritti come Asperius o Asporius. 37 Lo stesso avviene per l’esemplificazione dei nomi propri : i classici esempi di Donato Roma, Tiberis sono strategicamente sostituiti da Hierusalem, Iordanis, Sion. 38 È il caso della versione interpolata dell’ars minor di Donato edita da Law, Erchambert p. 231 e della Ars Donati quam Paulus Diaconus exposuit.
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ancor peggio per scamnum, parola che da quanto ci è dato capire dovette essere oggetto di corruttela in alcuni manoscritti di Donato : sembra infatti evidente che il nostro anonimo legga, nel codice di Donato a sua disposizione, samum in luogo di scamnum, 39 e che, troppo rispettoso dell’auctoritas di Donato per scegliere un altro esempio ma privo al contempo di una convincente interpretazione dell’ignoto vocabolo, si limiti a dire che ne parlerà in un altro momento : samum vero misticum quidam nomen cum gentibus, de quo non est temporis loqui (CCSL 133 D 46, 49-53). La stessa singolare lezione samum è testimoniata proprio nell’Adbreviatio di Orso, che fu arcivescovo di Benevento nell’anno 831 : mostrando maggiore audacia dell’Anonymus ad Cuimnanum, Orso affronta anche il rischio di una esegesi, presumibilmente basata sul greco sh`ma, nell’accezione di ‘rialzo, tumulo‘ : magister […] musa […] samum monticulus est sub quo mortuorum ossa congregantur (f. 13vb). Ancora alla suppellettile scolastica attingono in più punti, per l’esemplificazione necessaria a un excursus sulla ‘nascita’ del nomen, le Explanationes in Donatum ; come pure, per illustrare le diverse costruzioni di super, l’ars di Cledonio e il Commentarium de partibus orationis Donati di ‘Sergio’ : 40
nomen dictum quasi notamen : notas enim rerum tenet. Cum maiores nostri viderunt rerum naturam et nescirent, quem ad modum appellarent, constituerunt sibi nomina, quibus diversa appellarent, ita ut propriis nominum vocabulis absentia praestolarent, sic ut dicerent hominem, leonem, avem et cetera : item inanimalia, hoc est quae animam non habent, scamnum cathedram lectum, aut quae incorporalia sunt, ut dignitas gloria. Si enim non videam scamnum aut cathedram, sed tantum audiam, necesse est ut eius rei notitia ad animum veniat : ergo ideo nomen dixere, quod rem notam faciat, quod unam quamque speciem in notitiam deducat (Serg. Expl. 488, 3-12) ; ‘super’ […] quando itineralis fuerit ablativo servit, quando localis accusativo, ut ‘est codex super armarium’, non ‘super armario’ (Cled. 25, 33-26,2) ; 41 ut si dicas ‘hic codex meus est’ : meus possessivum pronomen est (Serg. Expl. 500, 32-33) ; ‘super’, ‘subter’ ablativo iunguntur et locum significant, velut ‘super cathedra sedit’ (Serg. comm. 106, 3-4 Stock) ;
6. La lectio e il ruolo del magister Davvero sterminata è la mole degli esempi che riguardano le attività scolastiche, racchiuse nei concetti fondamentali di lectio, legere, scribere, discere, docere, e quasi 39 Un codice di Donato legge effettivamente samum per scamnum : è il Berolinensis lat. fol. 641, per il quale rinvio al mio recente contributo Un nuovo codice dell’Ars minor di Donato, ‘‘Annali dell’Univ. di Napoli ‘L’Orientale’, Dipartim. di Studi del Mondo Classico, sez. filol.-lett.’’, 22, 2010, 131-36. 40 Sembra palmare identificare nel magister il soggetto dell’esempio super cathedra sedit ; tuttavia C. Stock, l’editore del Commentarium de partibus orationis Donati, ritiene – ma sembra assai difficile sostenerlo – che nell’exemplum potrebbe ravvisarsi una reminiscenza del passo evangelico (Mt 23, 2) super cathedram Moysis sederunt scribae et pharisaei (ove alcuni manoscritti biblici leggono cathedra). 41 Il testo di Cledonio, nell’unico codice che lo conserva, è chiaramente corrotto a causa di uno scambio fra le lezioni accusativo e ablativo, che il Keil non ha ritenuto di sanare : preferisco quindi stampare il testo dell’invecchiata ma valida edizione van Putschen. Su questo passo, cf. De Nonno, Filocalus 175 n. 21, con convincente rinvio ad altro passo della stessa ars, GL v 77, 17-19.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 49 sempre congiunte al tema ricorrente della fatica dello studio e delle veglie notturne, come nel significativo exemplum di Prisciano Virgilii causa vigilo, in legendo Virgilio laboro. 42 Non stupirà dunque che per spronare i suoi allievi, qualche secolo dopo, il magister Remigio di Auxerre si veda costretto a proporre come calzante exemplum dapprima un affettuoso lege, quatenus non sis stultus, poi un più preoccupante lege, ne vapules. 43 Il continuo e pressante invito alla lectio rivolto a discepoli non sempre volenterosi – cantabas, sed non legebas lectionem, stigmatizza Pompeo (GL v 266, 32) – alimenta una vastissima serie di exempla : particolarmente significativa appare l’evocazione di attività scolastiche quando si fa ricorso a verbi come lecturio, scripturio ‘ho desiderio di leggere, voglio scrivere’ per esemplificarne la forma frequentativa :
frequentativa, ut puta ‘lecturio’ non ‘lego’, sed ‘legere volo’, ‘scripturio’ idest ‘scribere volo’ (Serg. suppl. 152, 9-10).
L’esortazione a impegnarsi negli esercizi di lettura e di scrittura si ripropone sostanzialmente immutata anche quando, col trascorrere dei secoli, lo scopo della lectio diviene sempre più la conquista della salvezza dell’anima, piuttosto che del sapere terreno. Così nel manuale di ‘Asporio’, chiaramente destinato a una scuola conventuale, l’impegno a legere, insieme con la preghiera e il digiuno, si propone come il fondamento stesso della vita monastica ; nei commenti a Donato di Sedulio Scoto e di Remigio di Auxerre è interessante cogliere l’evoluzione del canone degli autori scolastici, che vede ormai l’allegorico Marziano Capella a fianco di Virgilio ; nel Tractatus super Donatum di Ercamberto di Freising – un artigrafo che scrive nella prima metà del ix secolo – il ricordo della vita conventuale è affidato in primis alla figura del praeceptor ; nell’ars di Sedulio Scoto si invitano gli allievi ad amare ‘più dell’oro’ il maestro che li condurrà alla verità rivelata :
ergo quid est expletiva ? quando dico ‘lege lectionem’, et quando dico ‘saltem lege lectionem’ […] quo modo ? qui tibi dicit ‘lege lectionem’, hortatur te ad unam rem faciendam : et forte aliam rem facis, sed istam solam non faciebas : cantabas, sed non legebas lectionem. […] Qui autem tibi dicit ‘saltem hoc facito’, ostendit te omnia nihil facere, sed vel hoc unum facere debere (Pompeo GL v 266, 25-35) ;
42 Nella tradizione grammaticale tardoantica, la proficua fatica dello studio è spesso illustrata dalla fortunata metafora ‘cogliere un dolce frutto da una pianta dalle radici amare’, che il grammatico Diomede attribuisce a Catone il Censore (GL I 310, 3 sgg. Marcus Porcius Cato dixit litterarum radices amaras esse, fructus iucundiores ; poi ripresa dall’Anon. ad Cuimanum 122, 107-8) e che appare anche nel poeta Ausonio (Epist. 22, 70-72 mox pueros molli monitu et formidine leni / pellexi ut mites peterent per acerba profectus, / carpturi dulcem fructum radicis amarae) e in Anth. Latina 716, v. 45. 43 Le punizioni corporali erano moneta corrente nell’insegnamento del grammaticus, come lamenta anche S. Agostino (Conf. 1, 9, 14-15), e la tradizione si mantiene inalterata nelle scuole monastiche altomedievali. Nel manuale di conversazione composto dall’anglosassone Ælfric, ad esempio, quando il maestro, a cui un gruppo di giovani monaci si è rivolto per apprendere il latino, chiede senza troppi giri di parole ‘accettate di essere picchiati per imparare ?’, gli alunni – certo più motivati nella ricerca della sapientia dei moderni studenti – rispondono in coro, con grande fiducia nella aequanimitas del maestro e con stoico sprezzo del pericolo, ‘è meglio essere picchiati che restare ignoranti ; ma sappiamo che non ce le darai, se non lo meritiamo’ (cito da Riché, Écoles p. 377 dell’edizione italiana). Cf. anche De Nonno, Filocalus 177-78.
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‘ut’ causalis coniunctio […] imperativa et optativa bene possunt his adiungi, ut ‘lege ut discas ; utinam discas ut doceas’ (Prisc. GL iii 255) ; nam si dicam ‘utinam legerem heri quoque, quomodo nudiustertius’, ostendo coepisse quidem, non finisse tamen ; sin autem dicam ‘utinam legerem heri saltem’, ostendo non coepisse ; similiter si dicam ‘utinam adhuc legerem’, ostendo coepisse quidem in praeterito, in praesenti autem cessare ; sin autem dicam ‘utinam legerem vel nunc’, ostendo nec coepisse adhuc […] licet enim vel multo ante vel paulo esse perfecta haec eadem intellegere nos optare, ut si dicam ‘utinam legissem ante quinquaginta annos’ et ‘utinam legissem ante horam’ (Prisc. GL ii 408, 6-15) ; in ‘dus’ desinentia nomina verbalia et eorum obliquos casus proferre solent Romani pro infinitis in Graeca elocutione prolatis, ut ‘legendi Virgilii causa vigilo’ ‘ajnagnwstevou Bergilivou cavrin ajgrupnw`’ ajntiv tou ‘ajnagnw`nai Bergilivou carivn ajgrupnw`’ […] ‘intellegendi Homerum causa venio’ […] ‘intellegendo Homerum profeci’ (Prisc. GL ii 410, 8-24) ; ‘legendi Virgilii causa vigilo, legendo Virgilio vigilo, legendum Virgilium puto, ad legendum Virgilium venio, in legendo Virgilio laboro’ ; […] gerundia vero […] utrosque numeros sibi coniungunt, ut ‘legendi Virgilium’ et ‘Musam ‘ et ‘Musas’ ; similiter ‘legendo Virgilium, legendo Musas’ et ‘legendum est mihi Virgilium’ et ‘Musas’ (Prisc. GL iii 234, 2-9) ; potest infinitum coniungi verbum, ut ‘studeo legere, stude legere, utinam studerem legere, cum studeam legere’, et infinitum infinito, ut ‘video filium studere legere’ (Prisc. GL iii 235, 4-7) ; ‘eris doctus, si legas’ (Prisc. GL iii 95, 6) ; significantiae causa imperativis adiunguntur subiunctiva : ‘vigila, ut legas’, id est ‘diligenter legendo vigila’ (Prisc. GL iii 237, 22-23) ; ‘invideo condiscipulum libri et libro et librum’ fqonw tw sumfoithth tou biblivou (Idiomata casuum GL iv 572, 9-10) ; per impersonalem dicis […] ut ‘ieiunatur, oratur, legitur’ (Asporius GL viii 48, 20) ; hic autem modus [scil. optativus] aut a se ipso aut ab alia qualibet particula intellectus plenitudinem spectat, ut est : ‘nunc mihi magis placeret, si ol[l]im libros legissem’, item [Ps 50, 17] ‘si voluisses sacrificium, dedissem’ (Tat. 54, 209-212) ; tropice dicendum est ‘lego Donatum’, idest per metonimiam inventum per inventorem ostendentem […] ut est ‘ut in David legitur’ et ‘ut in Plato lectum est’ et ut dicitur habent Moysen et prophetas [Lc 16, 29] : sed per haec dicta eorundem ostendens scriptura et inventa (Anon. ad Cuimnanum p. 13, 412-416) ; dativus a dando, eo quod per illum damus : dicitur et commendativus, quia per illum commendamus, ut ‘commendo tibi meum librum’. Accusativus ab accusando, dicitur enim et activus, quia activis verbis adiungitur, ut ‘lego librum’, ‘laudo Deum’ (Rem. mai. 241, 15-18) ; participium si proferas pro aliquo verbo et adiungas ei verbum, bene sine coniunctione profers, ut ‘legens disco’ pro ‘lego et disco’ et ‘docente me discis’, pro ‘doceo et discis’ (Sed. mai. 263, 72-74) ; quando gerundivi sunt modi iunguntur cunctis generibus et numeris et temporibus […] ut ‘causa legendi librum laboro’, ‘causa legendi paginam laboro’, ‘causa legendi folium laboro’ : ecce omnia genera. ‘Legendo Vergilium, paginam et folium proficio’. ‘Legendo Martianum artem et volumen venio’. Et significat necessitatem, ut ‘legendum est mihi’ (Sedulio Scoto in Donati artem maiorem p. 197 Brearley) ; 44
44 Cito in questo caso da Commentum Sedulii Scotti in Maiorem Donatum Grammaticum, ed. D. Brearley (Pontifical Institute of Medieval Studies, Studies and Texts 27), Toronto 1975 ; questa breve sezione del
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 51 quando gerundivi modi sunt, iunguntur cunctis generibus … ut ’causa legendi librum laboro’, ’causa legendi paginam laboro’, ’causa legendi folium laboro’ … ‘legendo ������������� Virgilium paginam et folium proficio’, ‘legendum Martianum artem et volumen venio’. Et significat necessitatem, ut ‘legendum est mihi tibi illi nobis vobis illis’. Quando vero participia sunt, cum suis generibus numeris casibus iunguntur, ut […] ‘causa ��������������������� legendae paginae, legendi folii veni’, ‘legendo libro insisto’ etc. (Rem. mai. 210, 14-23) ; ‘potius volo legere quam vagari’, et est comparativum a nomine, quod est ‘potis’ indeclinabile (Rem. mai. 213, 11-12) ; ‘quatenus’ pro ‘ut’ ponitur, ut ‘lege, quatenus non sis stultus’, idest ut non sis. ‘Sin’ quodsi significat : ‘sin legeris, doctus eris’ (Rem. min. 77, 3-4 Fox) ‘ne’ […] pro ‘ut non’ ponitur, ut ‘lege, ne vapules’ (Rem. mai. 213, 18) ; mille non intellegitur, qui casus sit. Dicimus et ‘mille homines docuit’ et ‘mille hominum magister’ : talis est accusativus qualis et genitivus (Ambros. p. 60, 199-201) ; quando dico ‘meus praeceptor in illo conventu quotus stat vel sedet ? quintus an sextus ?’, ordinem significo ; respondet aliquis ‘totus est’, idest illum ordinem tenet quem dixisti, quasi diceret quintus vel sextus (Ercamb. 89, 8-11) ; comparandi adverbia dicuntur, quia per eas quasdam res comparamus, ut ‘plus diligo magistrum quam aurum’ (Sed. mai. 251, 64-66).
7. Esempi tratti dai programmi di studio ‘Materie’ e programmi scolastici costituiscono un campo d’elezione per la confezione di numerosi exempla : è questo uno dei casi in cui più evidente appare il ruolo svolto dall’esempio nella strategia dell’insegnamento. La mitologia greca fornisce ampia materia : particolarmente abbondante, poi, è l’esemplificazione relativa ai poemi omerici e all’Eneide, testi canonici dell’insegnamento scolastico. Si può notare come Prisciano riesca, accumulando i comparativi, a condensare in nuce buona parte delle vicende della guerra di Troia nella frase fortior Achilles Hectore, fortiore Patroclo ; a sottolineare le differenti personalità di eroi come Enea e Ulisse (l’uno pius, l’altro astutus) ; e da ultimo a mettere in guardia i suoi allievi dal confondere i due Aiaci che combatterono sotto le mura di Troia. La continuità della tradizione scolastica tardoantica trova in piena età carolingia un significativo riscontro negli elaborati exempla ficta proposti nel suo manuale da Pietro da Pisa, come pure nel commento in Donatum maiorem di Remigio di Auxerre, che evoca ancora il mondo di Virgilio, inserendolo fra exempla di stretta osservanza cristiana :
stesichorium constat pentametro catalectico, ut est hoc ‘Marsya cede deo, tua carmina flebis’ (Servio De centum metris GL iv 461, 4-6) ; stesichorium constat heptametro catalectico, ut est hoc ‘Aeacides iuvenis trahit Hectora, plangite Pergama, Troes’ (Servio De centum metris GL iv 461, 20-21) ; comparativus ad comparativum comparatur, ut ‘fortior Achilles Hectore, fortiore Patroclo’ (Prisc. GL iii 92-93) ; ‘Aiax se interfecit’ (Prisc. GL iii 15, 16) ;
capitolo de verbo non è infatti pubblicata da B. Löfstedt che la ritiene una interpolazione, peraltro sicuramente “hibernolateinisch” (Sed. mai., p. xiv).
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’Aeneas quidem pius fuit, Ulixes vero astutus’ (Prisc. GL iii 102, 17) ; ‘duorum Aiacum alter Telamonis, alter Oilei filius fuit’ (Prisc. GL iii 125, 12-13) ; quid est enim ‘Priameium regnum’ nisi ‘Priami regnum’ ? […] Quid est ‘Priamides’ nisi ‘Priami filius’ ? (Prisc. GL ii 185, 19-23) ; cum dico ‘Troiani Sicania litora lustrant, illi Lavinia arva ceperunt’, ecce ‘Troiani’ nomen est pluralis numeri, quod praecedit, et ‘illi’ pronomen est pluralis numeri, quod sequi videtur (Pietro da Pisa GL viii 165, 10-12) ; ‘Aeneas filius Veneris, is tenuit Troiam, idem superavit Turnum’ (Rem. mai. 246, 3233) ; relativa, idest reportativa, eo quod praecedentem personam ad memoriam reportant, ut ‘Aeneas filius Veneris : is est qui vicit Turnum’, ‘Christus filus Dei est, is est qui superavit diabolum’, ‘Sancta Maria est, quae genuit Salvatorem’ (Rem. mai. 247, 25-28) ;
Anche nel campo degli studi filosofici, è con la confezione di esempi ad hoc che lo stesso Prisciano rammenta ai suoi allievi alcune opere divenute canoniche nei rispettivi settori disciplinari – come i manuali di Nicomaco e Aristarco – o invita a memorizzare la non meno canonica triade dei filosofi greci (il fatto che Aristotele sia colto nell’atto di passeggiare rientra ovviamente nella canonica tradizione della scuola peripatetica) :
qualitatem demonstrat [scil. nomen] rerum communem, ut ‘disciplina’, ‘ars’ ; propriam ut ‘arithmetica Nicomachi’, ‘grammatica Aristarchi’ (Prisc. GL ii 57, 4-7) ; absoluta [scil. verba] … cum nominativo habent constructionem, ut ‘Plato vivit, Aristoteles deambulat, Socrates philosophatur’ ; nec solum tamen his, sed omnibus verbis licet ablativum adiungere […] ut ‘Plato vivit anima, Aristoteles deambulat pedibus, Socrates philosophatur sapientia’ (Prisc. GL iii 270, 11-20).
Parimenti, in ambito letterario, sono i nomi dei più noti scrittori latini che si affollano alla mente del grammaticus ogni volta che si debbano proporre brevi frasi create sul momento, e in particolare quelli della coppia canonica dei poeti oggetto di insegnamento scolastico, Virgilio e Terenzio, o quella altrettanto canonica dei prosatori, l’oratore Cicerone e lo storico Sallustio :
vox […] articulata est, qua homines locuntur et litteris comprehendi potest, ut puta ‘scribe, Cicero’, ‘Vergili, lege’, et cetera (ps. Probo Instituta artium GL iv 47, 1-6) ; absolute dicitur [id est intransitive] ut ‘Terentius ambulat, Sallustius quiescit’ (Prisc. GL iii 223, 19-20) locutio cum nominativo casu […] ut puta Cicero dixit, Caesar clamavit, ego legi, Terentius dicturus, Vergilius emendavi, et cetera talia […] locutio cum vocativo casu […] ut puta Cicero lege, Terenti scribe, Salusti recita, et cetera talia (Appendix Probi GL iv 196, 14-15 e 34-35) ; ‘lege Terentii, poeta cane, Salustii recita, Virgilii scribe, Plato pronuntia’ (Anon. ad Cuimnanum p. 134, 309-310).
Allo stesso tempo, exempla adeguatamente scelti si rivelano ugualmente proficui per definire più esattamente il canone degli auctores scolastici : in primis, come di consueto, l’onnipresente Virgilio, di cui Prisciano mette a frutto il nome per esemplificare ogni possibile uso del pronome relativo e ribadirne al contempo l’assoluta preminenza poetica :
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 53 ‘Virgilius, qui scripsit’, ‘Virgilius, cuius scripta extant’, ‘Virgilius, cui gloria contigit’, ‘Virgilius, quem laudant’, ‘Virgilius, quo docente bene proficitur’ […] ‘qui scripsit Bucolica Virgilius magnus poeta fuit’, ‘qui scripsit Aeneida Virgilii sunt georgica’, ‘qui scripsit Aeneida Virgilio gloria contigit’, ‘qui scripsit Aeneida Virgilium laudo’, ‘qui scripsit Aeneida, Virgili, vivis memoria’, ‘qui scripsit Aeneida Virgilio florent studia’ […] ‘qualis Homerus, fuit Virgilius’. Relativa autem, nisi sint posita, intellegi minime possunt, nisi in demonstratione. Tunc enim et sine relativis possumus redditiva proferre, ut si ostendentes Virgilium aiamus ‘talis fuit Homerus’ (Prisc. GL iii 127, 24 – 129, 3),
mentre Pompeo sembra quasi dilettarsi a metterne in scena la morte, per chiarire il rispettivo uso delle interiectiones laetantis e dolentis :
interiectio dicta est, quia interponitur ad exprimendos animi affectus. si dixeris ‘mortuus est Vergilius’, dixisti quidem ille mortuus esse ; sed quo affectu hoc pertuleris, non est expressum, nisi interponas illam particulam. nam si dicas ‘va mortuus est Vergilius’, laetantis est ; si dicas ‘heu mortuus est Vergilius’, dolentis est (Pompeo GL v 97, 33-37).
Parimenti risulta utile al magister richiamare alla memoria degli allievi i titoli delle opere dei più famosi oratori e poeti di età classica, 45 ovvero di rinomati commentatori di testi biblici : 46
totiens dicere ‘Virgilius scripsit Bucolica, Virgilius scripsit Georgica, Virgilius scripsit Aeneidos’ odiosum est, cum possis variare, ut dicas ‘Virgilius scripsit Bucolica, idem Georgica, ipse Aeneidos’, et ‘Statius scripsit Thebaidos, idem Achilleidos, ipse scripsit Silvularum’ (Serg. Expl. 499, 33-35) ; quando dico ‘Cicero scripsit Verrinas’ et quis scripserit et quid scripserit plene significo : quando dico ‘ipse scripsit Philippicas’ quid scripserit plene significo, quis scripserit semiplene (Serg. Expl. 499, 13-16) ; ‘Cicero defendit Roscium, ipse etiam Sullam’ (Serg. Comm. 87, 9-10 Stock) ; coniunctio […] aut enim nomina sociat, ut ‘Augustinus et Hieronymus’ ; aut verba, ut ‘scribit et legit’ (Isid. Etym. i 12, 24-25) ‘in’ pro ‘super’ ponitur […] cum liber a quolibet exponitur, ut ‘Hieronymus in Matthaeum’, ‘Beda in Marcum’, ‘Ambrosius in Lucam’, ‘Augustinus in Iohannem’, Servius in Virgilium’, ‘Pompeius in Donatum’, ‘Donatus in Terentium’ (Godesc. GL viii 175, 18-21) ; nomen enim demonstrat quid est et quid vocatur, verbum autem quid agit et quid patitur. Ceterae [scil. partes] absque his nihil valent. Verbi gratia : ‘Augustinus magnus orator, filius Monicae, stans hodie in templo infulatus, disputando fatigatur’. ‘Augustinus’ substantia, ‘magnus’ qualitas, ‘orator’ qualitas, ‘filius Monicae’ ad aliquid, id est ad
45 Particolarmente interessante la testimonianza offerta dal Commentarium de partibus orationis Donati di ‘Sergio’ – opera un tempo attribuita a Cassiodoro – dalla quale appare che orazioni ciceroniane come la Pro Sex. Roscio Amerino e la Pro Publio Sulla dovevano essere presenti nel curriculum scolastico. Cito dalla recente edizione curata da Christian Stock : Sergius (Ps. Cassiodorus), Commentarium de oratione et de octo partibus orationis artis secundae Donati, Leipzig 2005, p. 87 e note di commento, p. 296. 46 Nell’esempio fornito dal magister Godescalco (Gottschalk) di Orbais, che scrive attorno alla metà del ix secolo, appare evidente come nella cultura di età carolingia l’attenzione riscossa da opere squisitamente grammaticali come il commento di Donato a Terenzio o quello di Pompeo a Donato non è in alcun modo inferiore a quella riservata ai canonici commenti sui quattro Vangeli composti da Gerolamo, Agostino, Ambrogio e Beda.
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matrem, ‘stans’ situs, ‘hodie’ tempus, ‘in templo’ locus, ‘infulatus’ habitus, ‘disputando’ agere, ‘fatigatur’ pati : ecce sine ‘Augustinus’, quod est nomen, et sine ‘fatigatur’, quod est verbum, nihil valet contextus aliarum partium (Sed. mai. 61, 48-62, 58) ;
come pure ribadirne il luogo di nascita :
anacreontium constat dimetro et antibaccho, ut est hoc ‘Vergilius, Mantua quem creavit’ (Servio De centum metris GL iv 463, 10) ; ‘Anacreonta Teium’ (M. Sacerdote GL vi 520, 16) ; ‘salve, o Lesbia Sappho’ (M. Sacerdote GL VI 520, 21) ; 47
ovvero riassumerne le vicende biografiche :
‘Cicero accusans vicit ; Ciceronis accusantis oratio valuit ; Ciceroni accusanti contigit gloria ; Ciceronem accusantem timuit Catilina ; o Cicero accusans Catilinam patriam servasti ; Cicerone accusante victus est Verres’ (Prisc. GL iii 223, 2-5) ;
o semplicemente evocarne rapporti reciproci :
‘obsecrat Cicero Varronem, ut suum erudiat natum’ (Prisc. GL iii 169, 5).
Fra le materie scolastiche, infine, un ruolo importante era naturalmente assegnato alla storia di Roma. Non stupisce dunque, nella trattazione dell’ablativo, di imbattersi in exempla atti a ribadire le mitiche origini troiane di Roma :
ablativus uno modo profertur, cum a persona […] ablatum quid significetur, velut ‘ab Aenea stirpem deducit Romulus’ (Anon. Bob. 3, 19-21 De Nonno) ;
oppure di vedere menzionati, come classico esempio della costruzione del comparativo, i due grandi avversari delle guerre annibaliche in significativa compagnia dei mitici duellanti dell’Iliade :
in comparationibus quoque ablativos ponimus pro genetivis, ut ‘Scipio fortior Hannibale’ ; licet autem et nominativum cum nominativo interposita ‘quam’ comparare, ut ‘Scipio fortior quam Hannibal’, et quod saepe superius docuimus, flexis quoque nominativis in obliquos casus eadem constructio obliquis quoque casibus servatur, ut ‘fortioris Hectore Achillis maxima virtus fuit’ et ‘Scipionis quam Hannibalis mirabilis strenuitas erat’ (Prisc. GL iii 222, 19-24) ; septimus vero (scil. casus) modis quattuor profertur. Primo, cum in persona aut in loco aut in re intellegatur, velut ‘in Scipione militaris virtus enituit’ (Anon. Bob. 3, 23-25) ;
ovvero di ripercorrere, attraverso la dottrina dei manuali grammaticali, le vicende della congiura di Catilina e del turbolento periodo delle guerre civili :
septimus vero (scil. casus) modis quattuor profertur. Primo, cum in persona aut in loco aut in re intellegatur, velut […] ‘in statua Ciceronis victoria coniuratorum inscribitur’ (Anon. Bob. 3, 23-25) ;
47 Ma Saffo, per la disordinata vita amorosa, è anche un bersaglio consueto della misoginia tardoantica : si veda in proposito l’esempio di metrum aeolicum foggiato da Servio, De centum metris GL iv 465, 24 : ‘Sappho composuit male casta poemata’. Non è da meno la misoginia altomedievale, per cui rinvio a Rem. mai. GL viii 216, 9-11, che per esemplificare la declinazione ‘alla greca’ di doma, domatis cita un passo biblico dai Proverbia Salomonis : ‘melius est sedere in angulo domatis, quam cum muliere litigiosa’ (Prv 21, 9).
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 55 ‘Sulla victore perierunt Romani’ pro ‘cum victor fuerat Sulla’ (Prisc. GL iii 222, 1) ; ad nominativum casum verba accedunt ‘dicitur, fertur, nominatur’ ut ‘dicitur Cato se occidisse’, ‘fertur Pompeius in litore Aegypti iacuisse’ (ps. Probo GL iv 207, 20) ; ‘Quis homo vicit Pompeium ? Caesar’ (Prisc. GL iii 130, 10) ; ‘Maecenam Romani fecerunt summum’ (M. Sacerdote GL vi 540, 9, come esempio di metro molossico).
Anche per i grammatici della tarda latinità, vicende e personaggi esemplari della storia romana compresa fra la fine della repubblica e l’inizio dell’impero costituiscono lo scenario ideale per conferire adeguato color ai propri esempi, come nella serie di forme verbali raccolta da Isidoro :
‘deprecatur Cato, calumniatur Cicero, praestolatur Brutus, dedignatur Antonius’ (Isid. Etym. i 24, 15) ;
parimenti Giuliano di Toledo con l’esempio si dicam […] ‘doctior Vergilius a Catone’, ostendo ut quod Vergilius scit, a Catone hoc didicisset (Iul. ars 17, 212-14 ; cf. Iul. part. 180, 22-23)
proietta su uno sfondo storico di piena classicità un uso linguistico cristiano, quello del comparativo costruito con ab e l’ablativo. 48 Prisciano per parte sua, nell’intento di fornire uno schema di declinazione, prende le mosse dall’esempio ‘victor Caesar’ e riunisce in poche righe un piccolo manuale di storia romana, 49 ricordando le doti diplomatiche di Cicerone, la rinomata ‘clemenza’ di Cesare, infine la caduta della respublica :
‘victor Pompeii Caesar interfectus est a Bruto’, ‘victoris Pompeii Caesaris filia fuit Iulia’, ‘victori Pompeii Caesari cessit res publica’, ‘victorem Pompeii Caesarem placavit Cicero’, ‘ victor Pompeii, Caesar, clemens fuisti’, ‘victore Pompeii Caesare Romana libertas periit’ (Prisc. GL iii 223, 24-28) ;
Lo stesso Prisciano, per offrire esempi di ‘ablativo assoluto’, reputa opportuno celebrare le conquiste territoriali dei Romani e i lontani successi militari di due grandi figure dell’impero : Augusto imperante, Alexandria provincia facta est (GL iii 221, 27) e Traiano bellante, victi sunt Parthi (GL ii 190, 22), e suggellare le prerogative dell’imperium romano in una sententia declinata in più varianti stilistiche : ‘gentis Romanae pars fuit fortis, pars sapiens’ vel ‘gentis Romanae alii fuerunt fortes, alii sapientes’ vel ‘gens Romana fuit, alii fortes, alii sapientes’ (GL iii 181, 26-27). Alla superiorità militare romana si ricollega anche Diomede quando – come esempio del raro
48 L’uso di comparativi del tipo doctior ab illo è menzionato, con generica esemplificazione, anche da Pompeo (GL v 183, 12 doctior ab oratore) e dall’anonimo autore dell’Ars Bernensis (GL viii 77, 33) : risulta però ignoto alla latinità classica, tanto che il Thesaurus linguae latinae annota in proposito ‘exempla in schedis nostris non extant’ (vol. v, 1751 s.v. doctior). Ve ne sono esempi, invece, nelle versioni latine della Bibbia anteriori alla Vulgata : si veda al riguardo C. Deroux, Un problème de syntaxe : ‘doctior ab illo’, « Latomus » 32, 1973, 709-719. 49 Si tenga presente che ribadire alcuni dati storici essenziali sui primi secoli dell’impero romano poteva essere particolarmente conveniente per un pubblico di madrelingua greca, cui prevalentemente l’ars di Prisciano si rivolge.
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metro molossico, che egli stesso definisce durissimum in quanto formato, al pari dell’esametro spondiaco, da sole lunghe – cita un verso che attribuisce al poeta e metricista Cesio Basso : molossicum metrum mihi durissimum videtur. Huius exemplum dat Caesius Bassus tale, ‘Romani victores Germanis devictis’ (GL i 513, 15-17).
In questo ambito, la scelta degli esempi può aprire talvolta uno spiraglio su qualcosa che difficilmente traspare nei manuali grammaticali, ossia le convinzioni ideologiche e politiche dell’autore : si può notare che Prisciano, che pure scrive nella Costantinopoli del vi secolo, nei confronti della nascita dell’Impero sembra ricollegarsi alla ideologia di Lucano, e in generale alle simpatie ‘repubblicane’ di quella storiografia del i sec. d. C. che imputava al nascente Impero la fine della libertas romana : propone infatti all’attenzione dei suoi studenti frasi del tipo Bruto defensore, liberata est tyranno respublica (GL iii 127, 4) e la già citata victore Pompeii Caesare, Romana libertas periit (GL iii 223, 27-28), fino al più generico qui interficiet tyrannum, praemium accipiat (GL iii 127, 4). 50 Anche queste ideologie ipertradizionaliste sembrano costituire un ulteriore frutto del conservativismo storicamente connesso alla pratica degli studi grammaticali. 51
8. Precettistica morale e religiosa La scuola tardoantica mirava ancora a plasmare il civis romanus nell’accezione resa canonica dall’espressione catoniana vir bonus dicendi peritus. Non stupisce dunque che anche l’esemplificazione presente nei manuali grammaticali si presti spesso a proporre ammaestramenti morali, nell’intento di coltivare soprattutto il valore della pietas e il sempre tradizionale concetto del decorum. Diomede invita dunque a colere divos componendo raffinati esempi di sotadei e di versus reciproci e indirizzando la sua apostrofe a Pansa, rinomato magister di età augustea ; Prisciano esorta i suo allievi a coltivare il pudore come virtù fondamentale ; di pari passo i versus ficti raccolti nel De centum metris di Servio e gli exempla bilingui offerti dagli Idiomata casuum mirano soprattutto a distogliere i giovani da ogni allettamento amoroso, e a spronare le giovani a curare la modestia dell’aspetto. Fra tanti pressanti inviti ai boni mores, un versus fictus di Mario Sacerdote – ‘contro la forza del denaro, nulla può l’ingegno del povero’- racchiude invece un tipico motto di saggezza popolare, dal retrogusto inevitabilmente amaro :
ionicus ajpo; meivzono~ superiori contrarius. Nam ex duabus longis et duabus brevibus constat, cuius exemplum Pansa optime, divos cole, si vis bonus esse (Diomede GL i 510, 3032) ; reciprocus alter huiusmodi est, esse bonus si vis, cole divos, optime Pansa / Pansa optime,
50 Uguale adesione alla tradizionale propaganda filorepubblicana si può ravvisare nell’exemplum – di fonte ignota – dedicato all’esaltazione della figura di Catone Uticense da Isidoro di Siviglia (Etym. I 37, 34, poi ripreso da Giuliano di Toledo nella sua Ars grammatica, p. 220, 463) : paradigma vero est exemplum dicti vel facti alicuius aut ex simili aut ex dissimili genere conveniens eius, quam proponimus, rei, ita ‘ Tam fortiter periit apud Hipponem Scipio quam Uticae Cato’. 51 Anche S. Agostino (De musica 2, 1) considera la historiae custodia come l’attributo fondamentale del magister tardoantico.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 57 divos cole, si vis bonus esse : hic in procursu hexameter est, in recursu Sotadicus (Diomede GL i 516, 28-31) ; reciprocus item qui est talia pio precare ture caelestum numina / numina caelestum ture precare pio hic decurrit iambicus, recurrit elegiacus. Sed iambicus recipit novam syllabam ab ultima tertiam, ut possit recurrere (Diomede GL I 517, 10-14) ; ‘enim’ quoque, cum sit causalis, to; ‘gavr’ significat, ut ‘cole pudicitiam, haec enim fundamentum est omnium animi virtutum’ (Prisc. GL iii 103, 15) ; alcmanium constat tetrametro hypercatalecto, ut est hoc : ‘vita quieta nimis caret ingenio’ ; anacreontium constat dimetro hypercatalecto, ut est hoc : ‘sapientes amor odit’ ; paroemiacum constat dimetro catalectico, ut est hoc : ‘aditum Veneris fuge, virgo’ ; anacreontium constat trimetro catalectico, ut est hoc : ‘fuge, virgo, fuge munus Veneris’ ; anacreontium constat trimetro hypercatalecto, ut est hoc : ‘amor puellae pectus improbe fatigat’ ; alcmanium constat tetrametro acatalecto, ut est hoc : ‘virgo decens, comulas religa tibi’ (Servio De centum metris GL iv 461,1 ; 464, 18 ; 462, 7 ;464, 20 ; 458, 22 ; 460, 31) ; ‘damno mihi est luxuria’ Zhmioi` me hJ ajswtiva […] ‘studio mihi est pudicitia’ spoudavzw th`/ aijdoi` (Idiomata casuum GL iv 572 26-28) ; compositum pindaricum fit penthemimerico iambico ex utraque parte posito et in medio penthemimerico dactylico, […] ‘contrane lucrum pauperis ingenium nihil valere’ (M. Sacerdote GL vi 545, 3-6).
Qualche secolo più tardi, nell’ambito di un insegnamento ormai profondamente cristianizzato, un ignoto grammatico altomedievale sentirà invece il bisogno di riproporre alla meditazione dei suoi allievi le pregnanti parole di Agostino sulla ‘bontà’ della Creazione divina (Haec tua sunt, bona sunt, quia tu bonus ista creasti : Aug. De civ. Dei 15, 22, CCsl 48 p. 488, 26), racchiudendole però in uno schema esametrico : omnia sunt bona, sunt quia tu bonus omnia condis, che troviamo ripreso in Murethac (p. 27, 26). 52 Ma gli exempla che compaiono nelle artes altomedievali sono spesso finalizzati a ricordare e rinforzare le regole della vita religiosa e in particolare quelle della comunità monastica – fra cui spicca il continuo richiamo all’importanza della lectio – come ad esempio nei capitoli de adverbio e de praepositione dell’ars di Remigio di Auxerre :
seorsum sedent iuniores […] extra terminos non debet ire monachus […] intra moenia scribo […] propter disciplinam venisti […] ultra fines civitatis pergit episcopus […] supra caelos sedet Dominus […] usque Oceanum gubernat Dominus (Rem. mai. 212, 31 ; 214, 30-215, 25) ;
anche se non manca, a fianco dell’edificazione religiosa, il richiamo a semplici regole di comportamento valide anche per i laici, poiché fra le necessità più immediate della nuova cultura cristiana è preminente quella di raggiungere un conveniente modus vivendi fra potere civile e autorità religiosa. Così, l’anonymus ad Cuimnanum (vii sec.) elogia nei suoi exempla la fedeltà al re e il valore militare, mentre ancora Remigio di Auxerre (ix sec.) si premura di stigmatizzare disertori e adulteri, ribelli al potere terreno del monarca e all’autorità spirituale del vescovo : 53
52 Il testo di Murethac riprende l’esempio anche a p. 45, 54, suggerendo di porre il colon dopo omnia sunt bona. 53 In realtà Remigio, trattando di adulteri e disertori, si limita a riformulare in maniera significativa-
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‘pro rege ac patria demicandum est’ (Anon. ad Cuimnanum p. 153, 160) ; ‘in’ accusativo servit, ut ‘in adulterum iratus est episcopus’ […] ‘in desertorem iratus est rex’ (Rem. mai. 217, 13-14) ; ubi autem ratio habetur, iam causa praecessit, sicut est ‘Cur occidisti hominem ? Adulterium ergo fecit’ (Rem. min. 75, 27-28 Fox).
9. ‘Vivacizzazione’ dell ’ insegnamento Anche i docenti dei giorni nostri sanno che una certa dose di ironia, diciamo pure di istrionismo, può essere salutare nell’insegnamento ; una battuta, una riflessione scherzosa sono sempre utili, visto che, come già si è detto, quella del docente è pur sempre una performance. Far sorridere gli studenti con una battuta o una riflessione scherzosa, significa non soltanto procurare un momento di pausa comunque gradito, ma anche scuotere chi ascolta dalla routine della lezione e quindi rinforzare l’attenzione dei più distratti. I procedimenti che permettono di ottenere quasto ‘rinforzo’ dell’attenzione possono essere svariati : i numerosi e variegati testi dei grammatici latini sembrano anzitutto privilegiare un primo espediente, che definirei brevemente come ‘mutamento improvviso del livello linguistico’. Per intenderci : lo studente si attende che il magister dia prova di assoluta padronanza linguistica, e che si esprima altresì in un linguaggio di livello piuttosto alto, se non addirittura aulico : se invece il docente passa d’improvviso a un registro più ‘basso’, lo studente resta – diciamo così – spiazzato e la sua attenzione ne trae beneficio. Un buon esempio al riguardo è presente nel manuale di Giuliano di Toledo, 54 opera che riscosse un buon successo nella Spagna visigotica della fine del vii secolo, pochi decenni prima che la conquista della penisola iberica da parte degli Arabi suggellasse la fine dell’insegnamento tardoantico. È l’epoca che un noto latinista del secolo scorso, Gino Funaioli, ebbe occasione di definire ‘l’ultimo raggio del tramonto romano’ ; immagine di sapore forse un po’ romantico, ma che ha il pregio di cogliere una concreta realtà storica : l’organizzazione scolastica di Roma antica, in effetti, si estingue in Francia già attorno al 500 d.C., in Italia sopravvive di qualche decennio, fin quando le terribili distruzioni delle guerre fra Goti e Bizantini distruggono ogni residuo di insegnamento, 55 mentre in Spagna si mantiene ancor viva e vivace sino al 711, anno della definitiva conquista araba. Orbene, Giuliano di To
mente più adatta alla sua temperie culturale il corrisponente passo dell’Ars maior di Donato : ‘in’ quam vim habet ? etiam tunc accusativo casui servit, cum significat contra, ut in adulterum, in desertorem (601, 14-15). 54 Poiché l’ars non rientra nella lista delle opere di Giuliano trasmessaci dal suo biografo – verosimilmente perché considerata di trascurabile importanza rispetto a ponderosi scritti teologici – alcuni studiosi hanno espresso dubbi circa la paternità dell’opera, chiaramente asseverata in uno solo dei manoscritti conservati : non si può escludere del tutto, in effetti, che si tratti della trascrizione di sue lezioni operata da discepoli. In ogni caso, l’ars ci conserva le caratteristiche genuine dell’insegnamento impartito presso la scuola episcopale di Toledo negli anni fra il 680 e il 690. 55 Proprio in quegli anni inizia la completa decadenza della città di Roma : in particolare, il taglio degli acquedotti da parte dei Goti provoca un inarrestabile esodo della popolazione.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 59 ledo – anche lui non solo un grammaticus, ma un altissimo esponente della chiesa di Spagna, destinato prima a succedere al grande enciclopedista Isidoro di Siviglia nel ruolo di arcivescovo di Toledo, sede primaziale di Spagna, e poi ad essere santificato – si trova a spiegare ai suoi allievi il pronome interrogativo quis :
‘quis’ pronomen est infinitae qualitatis. Quare dicitur infinitum ? quia de incognita re mihi interrogare videor, ut puta si dicam ‘quis plantavit istud pomarium ?’ : numquid si sapuissem, interrogare debui ? Et ideo dicitur infinitae qualitatis (Iul. ars p. 44, 223-26) ;
da buon grammatico, inizia come si vede con una stringata definizione : quis è un pronome indefinito, perché se lo utilizziamo significa che ci stiamo interrogando su qualcosa che non ci è noto. Poi viene l’esempio, tratto dalla realtà di tutti i giorni : ‘chi ha piantato questo frutteto ?’ E qui Giuliano inserisce un’espressione colorita, di vera e propria Umgangssprache : ‘e che, se lo sapessi, starei qui a chiederlo ?’, ove si noti l’uso, tipico del sermo cotidianus, del verbo sapere in luogo di scire e l’altrettanto popolaresca costruzione debui interrogare. 56 Questa incursione nella vivacità del linguaggio popolaresco sembra soddisfare l’autore, che la ripropone in un’altra sezione della sua opera grammaticale, il De partibus orationis : 57
puta si dicam ‘quis scripsit Etymologiarum ?’ : numquid si sapuissem, interrogare debui ? […] puta si dicam ‘quis scripsit Differentiarum ? ’ : numquid si scissem, interrogare debui ? (Iul. part. p. 197, 21 e 198, 16) ;
in questo caso, all’immediatezza del linguaggio si unisce anche una sorta di ’strizzata d’occhio’ a chi ascolta : Giuliano finge di ignorare chi sia l’autore dei libri sulle Etimologie e sui Sinonimi, ma sia lui che i suoi stessi allievi sanno bene che si tratta proprio del suo grande predecessore, Isidoro di Siviglia. 58 Far finta di non conoscerlo, in un certo senso, significa dar prova di famigliarità : con la sua cultura e la sua autorevolezza, Giuliano può permettersi di scherzare anche su un nome così illustre. Un secondo espediente di frequente utilizzato anche dai grammatici antichi per risvegliare gli studenti dal torpore scolastico è costituito dal ricorso ad argomenti ‘forti’, quali ad esempio le fantasmagoriche risse descritte da Pompeo
56 Non escluderei che nella domanda ‘chi ha piantato questo frutteto ?’ si nasconda – come nel successivo esempio – un identico intento scherzoso : il frutteto era forse curato dallo stesso magister, e risultava probabilmente ben visibile dall’aula stessa in cui si teneva la lezione. Anche Pompeo – come si è già notato – sembra riferirsi con un exemplum al proprio giardino : bene olebant in hospitio meo rosae (GL v 102, 8). 57 Ne ho curato alcuni anni fa la prima edizione : L. Munzi, Il De partibus orationis di Giuliano di Toledo, “Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, Seminario di Studi del Mondo Classico, sez. filologico-letteraria” 2-3, 1980-1981, 153-228. Per la paternità giulianea di questa sezione, valgono le considerazioni svolte supra, nota 54 : in favore di una comune origine dell’ars di Giuliano e dell’anonimo tractatus de partibus orationis parla, fra l’altro, proprio la scelta e la disposizione degli exempla. 58 Come d’altronde è ribadito in un altro esempio, che ricorre nel capitolo de pronomine dell’ars giulianea : si dicas mihi : ‘quis scripsit Etymologias’ ?, dico ‘Esidorus’. Ecce dictum nomen Esidori : et res quae factae sunt et qui fecisset ostendo. Item dicis mihi : ‘Synonima quis’ ?, dico ‘ipse’. Ecce tultum nomen Esidori, positum pronomen ‘ipse’, res quae factae sunt ostendo, nam quis eas fecisset non ostendo, quia nomen eius qui fecit non dixi (p. 34, 16-35,2 Maestre Yenes).
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nella sua ars (‘con un pugno mi ha rotto i denti’, ‘gli ha spezzato le gambe a bastonate’) :
acyrologia est impropria dictio […] ut si dicas ‘dentes meos pugno fudit’, non est proprium, sed ‘dentes meos pugno fregit’, nam ossa frangi possunt, non fundi : ista acyrologia est ; et ut puta si dicas ‘fuste crura eius pertudit’, nec hoc proprium est, sed ‘fuste crura eius fregit’ (Pompeo GL v 293, 3-9) ;
e se non bastano gambe e denti spezzati, si possono sempre spaventare a morte gli allievi parlando di belve feroci che divorano uomini interi (esempio che riscuoterà buon successo anche nel posteriore manuale di Giuliano di Toledo), o evocando rapine e saccheggi propri di un clima di guerra :
puta ’totus homo comestus est ab urso’ : ecce modo quid significat ? totum simul hominem, ut nihil remaneret : t o t u s homo comestus est, id est manibus, pedibus, dorso, omnibus rebus (Pompeo GL v 204, 12-14) ; sed ‘quotus’ tantundem ad ordinem pertinet, ‘totus’ et ad ordinem et ad aliquam rem semel gestam. Puta si dicam ‘fera devoravit hominem, caput, brachia, pectus, pedes : t o t u s comestus est homo’ (Iul. part 199, 3-6 Munzi) ; ‘totus’ aliquando aliquid simul fieri significat, aliquoties ordinem per consentionem […] ut puta ‘t o t u s domus census raptus est ab hoste’, id est simul omnia domus utensilia totaque vasa indicat esse rapta ; ecce vides sic totam esse substantiam ablatam domui (Anon. ad Cuimnanum p. 79, 120-124).
oppure introdurre argomenti che oggi definiremmo da mistery novel, mettendo in scena – con dovizia di dettagli che sembrano evocare l’atmosfera di certe arringhe ciceroniane – da una parte rei confessi, dall’altra potenziali omicidi che si interrogano su quale sia l’arma più adatta per non essere scoperti, per puntare infine sull’uso del veleno e sulle tenebre notturne. Quest’aura delittuosa ha garantito a quest’esempio – utilizzato per chiarire la differenza fra congiunzioni rationales e causales – un duraturo successo anche fra gli artigrafi dell’alto Medioevo :
ut puta si dicas ‘occido hominem et tollo eius hereditatem’, causa est. ratio est qua quis utitur in faciendo. quo modo eum debeo occidere ? v e n e n o, ferro, per mediam noctem, per diem. quo in loco ? 59 quotiens ergo de causa loqueris, causali utere ; quotiens de ratione, rationali utere. ‘si illum occidam, tollo eius hereditatem’ : si causalis est, bene dixisti ‘si’. ‘debeo v e n e n o occidere, debeo clam, ergo latebo’ : quoniam ‘ergo’ coniunctio rationalis est, bene dixisti (Serg. expl. 516, 22-29) ; ‘occidam, ut tollam hereditatem’ ; si autem dico ‘sed solus debeo occidere illum, ne deprehendar’, ratio est. Ideo ubi est ratio, utimur et causa ; ubi est causa, non statim utimur ratione (Serg. suppl. 157, 24-26) ; siqui dicat ‘occido illum hominem, ut tollam rem ipsius’, haec causa est, quae nos inpingit ad faciendum […] quae est causa ? res lucri. ratio est qua utimur in faciendo. Si dicas ‘debeo illum occidere ; sed si illud dixero alicui, prodo me : sed v e n e n o, sed per noctem, nequis me videat’. , quantum interest inter causam et rationem. plane ubi est causa, non statim est ratio ; neque enim, quoniam spero hereditatem, debeo il
59 Dato il contesto, mi sembra preferibile interpungere : per mediam noctem, per diem, quo in loco. Quotiens etc.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 61 lum occidere. quid ? si pater meus fuerit, numquid, quoniam spero hereditatem, debeo patrem meum occidere ? ergo non ubi causa est, statim et ratio est. e contrario non ante potest inveniri ratio, nisi causa praecedat. Quae causa ? quia, si dicam ‘ in solis regionibus solus faciam’, necesse est ut praecedat etiam causa, quare occidam. […] ut puta si dicas ita, ‘si occidam illum, habebo eius hereditatem’, quoniam de significatione lucri tractas, quia spes lucri te cogit ad facinus, bene uteris causali : causa enim est, et causali debes uti. E contrario si ratione utaris, melius uteris rationali : si dicas ‘solus illum occidam, debeo in desertis locis, debeo veneno : ergo latebo : igitur latebo si hoc fecero’, ‘ergo’ magis istam ponis in re rationali : quoniam de ratione loqueris, bene uteris rationali coniunctione (Pompeo GL v 267,17-268, 5) ; causales dicuntur a causa, eo quod aliquid cogitent facere, ut puta ‘occido illum, quia habet aurum’ : causa est. rationales dicuntur a ratione qua quisque utitur in faciendo, ut ‘quomodo eum occidam, ne agnoscar ? v e n e n o an ferro ?’ (Isid. Etym. i 12, 4) ; ergo non ubi causa est statim adest ratio, quae numquam est sine causa, sed tamen ratio inveniri non potest nisi causa praecedat : verbi gratia, ‘interficio virum quia possidet aurum’. Ecce causa cur interficiatur aurum est : quam ratio subsequitur discutiens qualiter interficiatur, utrum nocturno tempore ne aliqui videntes huius facti conscii sint, vel in desertis locis ferro an v e n e n o occidatur ne commissum piaculum palam fiat (Ercamb. 56, 17-23 Clausen) ; ‘siquidem’ compositum est ex si causativa et quidem, ut est ‘occido hominem, siquidem habet aurum’ (Rem. min. 75, 18-19 Fox) ; rationales dicuntur a ratione, quia rationem rei reddunt, ut ‘habuit aurum, itaque occidi eum’ : haec est ratio (Rem. min. 76, 22-24 Fox) ; coniunctiones […] rationales, quae rationem habeant, ut ‘dic mihi, quomodo occidam eum : quatinus lateat, v e n e n o ; nam si gladio, patebit’ (Rem. mai. GL viii 264, 18-20) ;
ma si può ‘vivacizzare’ la lezione, anche incalzando l’uditorio con successive e popolaresche interrogazioni sull’uso degli avverbi di luogo (‘cosa vuol dire ‘ivi’ ? si muove o sta fermo ? senza dubbio indica chi sta fermo …’) :
‘ibi’ quid ? proficiscitur aut permanet ? sine dubio permanentis est ibi ; ergo ‘ibi’ non debet tenere verbum, nisi quod verbum in loco significet, puta ‘stat, permanet, quiescit’ (Pompeo GL v 247, 23) ;
oppure facendo ricorso a vere e proprie ‘scenette’ dialogate, in cui persino l’ansiosa esclamazione di chi si sveglia all’alba in spasmodica attesa degli spettacoli del circo (‘hodie circenses sunt’) viene ricondotta dal pedante maestro al necessario rispetto dei tempi del verbo (‘hodie circenses erunt’ !) :
si quis tibi hoc iterum dicat ‘exponis mihi hodie lectionem ?’, si dicam ‘expono’, soloecismus est : non enim exponis, non adhuc facis, sed facturus es, ergo non debuit dicere ‘expono’, sed ‘exponam’ (Pompeo GL v 236, 19-22) ; si quis velit tibi dicere ‘quid facis ?’, puta ‘lego’, non solum dixit quid faceret, sed etiam se ipsum ostendit legentem ; ceterum si tibi dicat ‘expecta, ego tibi lego’, abundat. Hoc enim ipsum ‘lego’ numquid significat etiam nisi ‘ego’ ? […] et numquid possum dicere ‘ego tibi lego’ ? ecce dixisti ‘ego tibi lego’ […] nam puta quinque stant, et ab omnibus speras accipere lectionem : quando dico ‘expecta, ego tibi lego’, non id ago ut me ostendam, sed ut a ceteris segregem, ne incipias ab aliis expectare. Melius est tamen si prima persona non accipiat nominativum [scil. pronomen] (Pompeo GL v 236, 33-237, 6) ;
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futurum est quod erit, non quod est. et hic enim fit saepius soloecismus. surgit aliquis mane et dicit ‘circenses sunt’, diluculo surgit aliquis, antequam equi veniant et aliquid agatur in circo, et dicit ‘circenses sunt’. atquin adhuc non sunt. sunt enim praesens tempus significat et id in quo res geritur. cum autem adhuc nihil geratur, sed post horam gerendum sit, non debemus dicere ‘circenses sunt’, sed ‘circenses erunt’ (‘Sergio’ Expl. GL iv 508, 12-18).
Un terzo escamotage – nemmeno questo ignoto ai moderni docenti – è infine quello che consiste nel fingere una comica indignatio riguardo a marchiani errori di ortografia e di grammatica ; solo chi è senza cervello – dice lo pseudo Capro – può sbagliare così gravemente, e verrebbe voglia di ‘saltargli addosso’ :
‘y’ littera nulla vox nostra adsciscit : ideo insultabis ‘gylam’ dicentibus (ps. Capro De orthographia GL vii 105, 17) ; ‘hoc cerebrum’ est : nam ‘cereber’ qui dicunt, sine cerebro vivunt (ps. Capro De orthographia GL vii 103, 6) ;
ovvero nel proporre esempi chiaramente assurdi o ‘impossibili’, destinati a provocare il sorriso degli studenti : 60
alia enim significant […] gentem, […] ut Grecus, spanus. Horum omnium suprascriptorum nullum recipit| comparationem ; neque enim Grecus Grecior aut Hispanus| Hispanior potest fieri (anonima ars in München Clm 6281, f. 54r) ; 61 ‘Latinus Latinior Latinissimus’ quaeritur utrum dicamus. Si a gente volueris, non dicis […] numquid possum dicere ‘Afrior Aferrimus’ ? quem ad modum ‘Gallus’, numquid dico ‘Gallior Gallissimus’ ? sic ‘Latinissimus’. Si autem ad elocutionem , recipit comparationem (Pompeo GL v 204, 12-14) ; ut puta ‘senex’ : quid habet facere in genetivo ? ‘senecis’ non potest facere, sed ‘senis’ facit (Pompeo GL v 108, 20-21) ; per ‘ex’ in genere masculino unum nomen est quod vadit per gradus, ut ‘senex senior’ ; superlativum non habet, nec enim dicimus ‘senissimus’ (ps. Palemone, Regulae 17, 13-15 Rosellini) ; ecce puta ‘lavo’, puta de me ipso possum dicere ‘lavo ego’ et ‘lavor ego’ : de balneo quid possum dicere ? ‘balneum lavat’, hoc bene dicimus, ‘balneum lavatur’ quem ad modum possumus dicere ? nam lavat balneum nos : numquid a nobis balneum lavatur ? homo enim lavatur (Pompeo GL v 233, 25-28) ; quando dicimus ‘torvum clamat’, torvum modo adverbium est, et positum est torvum pro torve. Numquid licet mihi dicere, puta ‘torvi clamat’, torvo clamat’, ‘a torvo clamat’ ? non licet, sed illum unum casum sumo ad usurpationem (Pompeo GL v 136, 29-31) ; ceterum qui declinaverit hic Iuppiter huius Iovis, potest declinare et hic Apollo huius Phoebi et hic Herculis huis Amphitrioniadae et haec Minerva huius Palladis ! (Pompeo GL v 172, 21-23) ;
60 La citazione di forme ‘impossibili’ doveva essere comune nell’insegnamento del grammatico fin dai tempi di Donato. In alcuni codici dell’Ars minor, infatti, dopo la presentazione dei verbi stare e currere come intransitivi, si legge ‘stor’, ‘curror’ non dicitur : parole che Holtz (p. 592, 20) pone fra parentesi discontinue, a indicare che “il n’est pas possible de savoir s’ils figuraient dans l’original ou s’ils représentent une interpolation postérieure” (p. 565). Di questo espediente Pompeo farà, come si vede, un uso frequente, per suscitare la curiosità e l’ilarità dell’uditorio. 61 Sulla paternità dell’anonimo trattato vedi supra, n. 28. Il testo è tuttora inedito : ne prepara un’edizione G. Bonnet, che qui ringrazio per la cortese trascrizione del passo.
tipologia degli exempla ficta nei testi grammaticali latini 63 ceterum qui ita declinant, hic Iuppiter huius Iovis, stultum est. et illa enim ita habebis declinare, hic Herculis huius Amphitrioniadae, et haec Minerva huius Palladis ! (Pompeo GL v 186, 12-14) ; 62 ‘fero’ dicimus, ‘ferui’ nemo dicit : quamquam temptat Probus mutare hoc ipsum, ut dicas ‘fero, tuli’ [GL iv 38, 5-7]. Sed si ‘fero, tuli’ facit, ‘tollo’ quid habes dicere ? quomodo erit praeteritum tempus ? sed ‘fero’ deficit praeterito tempore (Pompeo GL v 241, 1-3). 63
È tempo di concludere. Dalla viva voce degli insegnanti antichi – quale ci è testimoniata da deliziosi quanto misconosciuti dialoghi raccolti raccolti nel Corpus glossariorum latinorum 64 – possiamo apprendere che l’esistenza del grammaticus tardoantico non è sempre facile, anzi è spesso accompagnata da ristrettezze economiche e da una certa frustrazione dovuta sia alla modesta considerazione sociale, 65 sia al continuo contatto con allievi distratti o poco desiderosi di impegnarsi a fondo nello studio e con genitori più ricchi di pretese che di spirito di collaborazione. 66 Se è vero che si tratta di problemi che assai spesso tormentano anche gli insegnanti del giorno d’oggi, è pur certo però che i moderni docenti godono per lo meno del sicuro vantaggio di non essere costretti a inseguire a casa gli allievi svogliati, come invece erano costretti a fare i grammatici antichi : “Ieri mattina eri assente, e ieri pomeriggio non eri nemmeno a casa ! Io ti ho cercato e mi sono fatto raccontare tutto […] la verità è che cerchi qualunque occasione per perdere tempo, e non vuoi capire che la vacanza fa diventare ignoranti i ragazzi.
62 La ripetitività delle formule d’insegnamento è una delle caratteristiche più note, e famigerate, dell’ars di Pompeo. Il fenomeno si ripete a fortiori con l’uso di queste affermazioni ricche di ironia, di cui l’artigrafo si mostra assai orgoglioso : saranno riprese ad litteram nell’Ars Ambrosiana 61, 214-221. 63 Quando tratta del verbo difettivo fero, Pompeo palesa una sana indipendenza di giudizio nei confronti dello pseudo Probo, tanto da rifiutare a buon diritto, e con la consueta vivacità verbale, che si possa attribuire a questo verbo un perfetto tuli : altrimenti, quale sarebbe il perfetto di tollo ? Più sfumata la posizione di Diomede (GL i 372, 2-3 e 380, 11-20), che continua a ripetere la pigra formula scolastica fero fers tuli. Non stupisce dunque che, dopo oltre millecinquecento anni, il conservativismo grammaticale mantenga appieno il suo vigore, e molti moderni studenti restino convinti dell’esistenza di un verbo latino dal mirabolante paradigma fero tuli latum ferre. 64 La sezione finale (pp. 637-659) del terzo volume del Corpus Glossariorum Latinorum, edito a Lipsia nel 1892 da G. Goetz, comprende quattro Colloquia, ossia quattro serie di conversazioni bilingui, in greco e in latino : un altro interessante colloquio è stato recentemente pubblicato, con stimolante commento, da Dionisotti, Ausonius 97-106. I testi risultano assai simili a quelli riuniti ancor oggi nei moderni manuali di conversazione, destinati a viaggiatori digiuni di altre lingue ma desiderosi di apprendere rapidamente le frasi necessarie a cavarsi d’impaccio in paesi stranieri. In effetti nei Colloquia, esattamente come nelle pubblicazioni odierne, si passano in rassegna una serie di ‘situazioni’ – il risveglio mattutino, la vestizione, l’uso delle terme, gli inviti a pranzo, le visite di cortesia, gli acquisti al mercato – per ciascuna delle quali si fornisce il lessico e la fraseologia più conveniente. Passa così sotto i nostri occhi uno straordinario ‘spaccato’ di vita quotidiana, in particolare quella che riguarda un giovane studente : l’ambiente della scuola, gli strumenti di scrittura, le lezioni del grammaticus trovano infatti ampio spazio. Sono testi di grande vivacità e freschezza, di sicuro interesse anche per lo studio del sermo cotidianus in età tardoantica : non ne conosco traduzioni in lingue moderne, cosa che limita la loro conoscenza a un ristretto settore di ‘addetti ai lavori’. 65 Significativa è la Stimmung del prologo all’ars di Foca, per la quale rinvio a Munzi, Prefazione 119. 66 Qui mi riferisco ovviamente a una società tardoantica ancora sufficientemente opulenta e socialmente articolata. Ben differente è la situazione dell’alto Medioevo : essere ‘oblati’ a un monastero e ricevervi i primi rudimenti culturali può costituire per alcuni adolescenti una occasione irripetibile di riscatto sociale.
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Adesso fammi vedere come hai scritto : bravo, meriti proprio una bella bastonata ! E va bene, ti lascio stare : per oggi vai pure a casa, mangia, ma torna subito dopo pranzo” ; 67 né tantomeno si trovano a dover sottostare alla consolidata abitudine delle famiglie a ritardare sempre i pagamenti dovuti al maestro, 68 magari con la scusa di controllare di persona i progressi del discente : “Hai portato i soldi ? – Li ho chiesti a mio padre, e mi ha detto : prima o poi verrò io stesso, intendo anche assistere a una verifica”. 69 Tuttavia, ad onta di tante difficoltà, al grammaticus antico non manca né la benevolenza verso gli allievi, né la consapevolezza di svolgere una missione di grande importanza per la società. Il grammatico Foca, che compone nel v secolo una Ars de nomine et verbo, è sicuro, scrivendo il suo manuale, di fare opera proficua per molti, in particolare ‘per i miei allievi, ai quali desidero essere utile contro il generale oblio degli studi’ : fateor me negotium suscepisse pluribus profuturum, nisi qui novellam artis expositionem tractare fastidiant, praecipueque discipulis nostris, quibus adversus oblivionis iacturam […] consultus esse desidero. In hoc namque nostrae professionis summa versatur, ut in aliorum scientia tui periculum facias, nec si ipse scias, sed si alios docueris, eruditus esse videaris (GL v 411). Dunque, la summa dell’insegnamento consiste proprio in questo, ut in aliorum scientia t u i p e r i c u l u m f a c i a s : bella espressione, quella di Foca, poiché nella professione dell’insegnante è effettivamente implicita una sfida a se stesso, un ‘mettersi alla prova’ attraverso la capacità di trasmettere il proprio sapere : nec si ipse scias, sed si alios docueris, eruditus esse videaris, perché per essere docenti a pieno titolo, non basta effettivamente sapere, ma bisogna saper insegnare ad altri. Questo significa anche sapersi aggiornare, rinnovare i propri metodi di insegnamento, in una parola continuare ad apprendere : senza bisogno di scomodare i moderni pedagogisti e la loro ‘educazione continua’, questo aureo concetto è già espresso dall’antico grammatico ‘Sergio’ con sole tre parole : cum enim docemus, discimus (Expl. 486, 11) : ‘quando insegniamo, impariamo’.
67 Qui e infra traduco dai capitoli 8 e 10 del cosiddetto Colloquium Harleianum (CGL iii, pp. 639-40). 68 L’editto dei prezzi di Diocleziano fissava per l’onorario mensile dei grammatici un tetto massimo di 200 denarii, 250 invece per i retori : ma la gran parte dei docenti doveva contentarsi di molto meno, con la speranza di qualche omaggio ‘in natura’ che i genitori degli allievi potevano far giungere, ad esempio in occasione dei Saturnali. Significativa la risposta che Giovenale (7, 157-58), dopo la sconsolata constatazione nosse volunt omnes, mercedem solvere nemo, mette in bocca ad un alunno : ‘mercedem appellas ? quid enim scio ?’. Bisognava anche guardarsi da vere e proprie pratiche truffaldine poste in atto da studenti di pochi scrupoli, di cui fu vittima anche Agostino nei suoi anni di insegnamento : ne mercedem magistro reddant, conspirant multi adulescentes et transferunt se ad alium (Conf. 5, 12, 22). 69 I difficili rapporti fra docenti e genitori degli allievi ci sono testimoniati fin dalla tarda età repubblicana : il De grammaticis di Svetonio ricorda come Orbilio Pupillo – il plagosus magister di Orazio, che aveva insegnato nella Roma di Cicerone maiore fama quam emolumento – volle dare alle stampe un libro continentem querelas de iniuriis, quas professores neglegentia aut ambitione parentum acciperent.
PER IL TESTO DELLA ADBR EVIATIO ARTIS GR AMM ATICAE DI OR SO DI BENEVENTO E DELL’ARS BER NENSIS
L
a Adbreviatio artis grammaticae ex diversis doctoribus ab Urso composita, conservataci da un manoscritto in scrittura beneventana che racchiude un corpus grammaticale e retorico di notevole importanza, 1 è un trattato grammaticale assai poco noto. Della figura dell’autore, Orso, che divenne arcivescovo di Benevento attorno all’anno 831, solo oggi si comincia a delineare un quadro più esauriente : 2 del suo peculiare interesse per l’insegnamento grammaticale ci dà conferma uno scambio di lettere col monaco Ildemaro di Corbie. 3 La dottrina grammaticale di Orso è per la gran parte attinta a Prisciano : ma l’opera testimonia anche l’utilizzazione – come attesta il titolo – di un’abbondantissima serie di altre fonti, che la rendono di sicuro interesse per gli studiosi della materia. Sfortunatamente, del manuale di Orso è attualmente possibile leggere soltanto i brevi excerpta che ne stampò – in un articolo ormai di un secolo fa 4 – un giovane e promettente studioso, Camillo Morelli, poi prematuramente scomparso nel corso della prima guerra mondiale : un articolo di buon livello, ancor oggi assai utile, anche se le trascrizioni del testo possono qua e là essere migliorate. 5 Va ribadito peraltro che il lavoro pionieristico del Morelli fu comunque degno di lode, considerate le condizioni del codice, la cui scrittura è in alcuni fogli fortemente evanida e poco leggibile. In occasione di un recente convegno di studi sul testo di Prisciano, mi è sembrato opportuno dedicare una specifica relazione al paziente lavoro di epitomatore del vescovo Orso, che costituisce un episodio non secondario del Fortleben
1 Il codice è oggi conservato a Roma, presso la biblioteca Casanatense (nr. 1086) : una tavola dei contenuti, imprecisa in qualche dettaglio, nella scheda di V. Jemolo in “Studi Medievali” 34, 1968, p. 1139. Ampia descrizione e informazione, anche sull’abbondante bibliografia stratificatasi sul manoscritto, è ora fornita da B. M. Tarquini, I codici grammaticali in scrittura beneventana, Montecassino, 2002, pp. 79-83. 2 Una succinta scheda in Clavis Scriptorum Latinorum Medii Aevi : Auctores Italiae 700-1000, a cura di B. Valtorta, Firenze 2006, 275-276 ; più ampia informazione nel recente articolo di G. G. Cicco, La scuola cattedrale di Benevento e il vescovo Urso (secolo ix), « Rivista di Storia della Chiesa in Italia » 60, 2006, pp. 341-373. 3 Pubblicato nella Patrologia Latina, 106, col. 393. 4 C. Morelli, I trattati di grammatica e retorica del cod. Casanatense 1086, « Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei », ser. v, 19, 1910, pp. 287-328. L’articolo del giovane studioso era stato autorevolmente presentato all’Accademia dei Lincei dal famoso papirologo G. Vitelli ; C. Wessner ne presentò brevemente il contenuto in “Berliner Philologische Wochenschrift” 51, 1912, col. 1827. 5 Anche per il testo retorico di Aquila Romano, presente nel codice Casanatense e illustrato dal Morelli nello stesso articolo, si possono evidenziare varie omissioni ed errori di trascrizione, come nota G. Ballaira, Un codice dimenticato di Aquila Romano, “Studi italiani di filologia classica” 49, 1978, pp. 275-282. Va notato in proposito che alcuni fogli del codice Casanatense appaiono poco leggibili e che in generale la grafia di questo manoscritto non risulta troppo dissimile da quella del Paris. Lat. 7530, a ragione definita ‘assez fatigante pour l’oeil‘ da uno specialista come L. Holtz, Le Parisinus latinus 7530, synthèse cassinienne des arts libéraux, « Studi Medievali », iii serie, 16, 1975, p. 99.
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dell’Ars di Prisciano nell’Italia meridionale. 6 Grazie all’opportunità di rileggere direttamente sul codice ampie sezioni dell’Adbreviatio e di analizzarle in dettaglio, ho potuto così raccogliere una serie di noterelle testuali relative agli excerpta editi da C. Morelli : mi spinge ora a pubblicarle l’auspicio che possano costituire in nuce una prima anticipazione di una edizione critica completa, che questo testo sicuramente meriterebbe ma che altrettanto sicuramente richiederà – proprio per la molteplicità delle fonti e degli auctores utilizzati – tempi non brevissimi. Vi unisco anche alcune note testuali relative a un altro trattato grammaticale dell’alto Medioevo, la cosiddetta Ars Bernensis, pubblicata da Hermann Hagen nei suoi Anecdota Helvetica (GL viii, pp. 62-142). Come vedremo, infatti, l’Adbreviatio di Orso coincide spesso col testo dell’ Ars Bernensis, talora anche ad verbum, e può costituire pertanto un prezioso ausilio ‘indiretto’ per sanare alcuni dei non pochi loci desperati presenti nel testo ‘bernese’. 7
1. Adbreviatio p. 290, n. 3 Morelli : Decem nominibus appellatur verbum : primum praecipua pars, secundo maximum membrum orationis, tertio caput orationis, quarto fundago, quinto crepido, sexto ministratrix, septimo significatrix, octavo praecipua pars (sic), nono verbum, decimo octava pars. La compilazione di robuste liste di sinonimi è un tour de force cui spesso si sottopongono gli artigrafi altomedievali, nel loro sforzo di padroneggiare il mare magnum della Latinitas. Alle dieci denominazioni del verbo raccolte da Orso fanno pendant, ad esempio, altrettante definizioni della coniugazione (f. 32ra) : coniugatio nominatur modis decem, idest coniugatio, collectio, ordo, qualitas, modus, distinctio, differentia, declinatio, syschema, synzigia : syschema idest figuratio, synzigia conclusio, che trovano a loro volta riscontro nei decem nomina coniugationis citati nell’Ars Malsachani (p. 210, 19-20) : coniugatio ordo qualitas modus distinctio deferentia vel declinatio siscema sinsugia accidens. 8 Nel testo di Orso,
6 La relazione da me tenuta in occasione del Colloque internationale ‘Priscien’ (Lione 10-14 ottobre 2006), è apparsa ora, col titolo “Prisciano in Italia meridionale : l’Adbreviatio grammaticae di Orso di Benevento”, negli Atti del Convegno : M. Baratin-B. Colombat- L. Holtz (édd.), Priscien. Transmission et refondation de la grammaire. De l’Antiquité aux Modernes, Turnhout 2009, pp. 463-479. 7 Una nuova edizione dell’Ars Bernensis – già Hagen aveva intuito l’interesse di questo testo : vedi infra, n. 22 – sarebbe sicuramente auspicabile, nella direzione aperta dalle breve trattazione di V. Law, The Insular Latin Grammarians (Studies in Celtic History, iii), Woodbridge (Suffolk) 1982 (reprint 1987), pp. 74-77, e da due ampi e brillanti interventi di L. Holtz : Una nuova fonte manoscritta dell’Arte Bernese, in Problemi di edizione e di interpretazione nei testi grammaticali latini, Atti del Colloquio internazionale Napoli 10-11 dicembre 1991, a cura di L. Munzi, Napoli 1994 : « Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, Dipartim. di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo antico, sez. filolologico-letteraria » 14, 1992, 5-29 (si segnala nel codice Barcelona, Ripoll 46 un nuovo e importante testimone per la constitutio textus del trattato), e più recentemente L’Ars Bernensis, essai de localisation et de datation, in J.-M. Picard (ed.) Aquitaine and Ireland in the Middle Ages, Dublin 1995, pp. 111-126. In quest’ultimo contributo, lo studioso francese avanza, con convincenti argomenti, l’ipotesi che “l’Ars Bernensis serait née à Bobbio dans la seconde moitié du viiie siècle” (p. 125). 8 L’interesse per queste liste di sinonimi sembra particolarmente vivo negli artigrafi per i quali è possibile ipotizzare un qualche legame con la cultura ‘insulare’ : Virgilio grammatico, Malsacano, l’anonimo autore del trattato Quae sunt quae, la cosiddetta grammatica di Würzburg. Rinvio per tali esempi al mio volume Multiplex Latinitas. Testi grammaticali latini dell’Alto Medioevo (« Annali dell’Università di Napoli ‘L’Orientale’, Dipartim. di Studi del Mondo Classico, sez. filol.-letteraria » : Quaderni, 9), Napoli 2004, pp. 19 e 46-48 ; a V. Law, Notes on dating and attribution of anonymous latin grammats of the early middle ages,
67 per il testo della adbreviatio artis grammaticae l’ottava denominazione del verbo risulta peraltro sicuramente corrotta, poiché praecipua pars appare già all’inizio dell’elenco. Si legga piuttosto principalis pars, definizione che è presente, in un contesto pressoché identico, nell’inedito trattato De verbo conservato nel Paris. lat. 7491, f. 89r e presumibilmente databile alla fine dell’ottavo secolo : 9 Haec pars decem nominibus vocatur, idest pars orationis, pars praecipua, membrum maximum, caput, fundago, crepido, ministratrix, significatrix, p r i n c i p a l i s pars, verbum. Per quanto riguarda la definizione del verbo come ‘fondamento’ (fundago) e ‘basamento’ (crepido) del discorso, un interessante passo parallelo è quello dell’Anonymus ad Cuimnanum, pp. xvi ; 84, 14 ; 85, 67. 10 Un piccolo problema esegetico pone invece la decima definizione fornita da Orso, octava pars, che dovrà essere intesa non come ‘ottava parte’ ma piuttosto come ‘una delle otto parti’. Questa singolare accezione dell’aggettivo ordinale è a mia conoscenza testimoniata solo da altri tre testi coevi, e precisamente ancora l’Ars Bernensis (GL viii 64, 12-15) : Quando autem dixit (scil. Donatus) ‘nomen est pars orationis cum casu corpus aut rem proprie communiterve significans’, quot continentur in hac definitione ? Quinque. Quae ? Primum ostendit, quod nomen o c t a v a pars orationis est etc. ; 11 il Tractatus super Donatum di Ercamberto, manuale grammaticale databile alla prima metà del ix secolo e verosimilmente dipendente dalla stessa Ars Bernensis ; 12 infine l’anonimo commento all’Ars minor di Donato conservato nel codice Berlin, Statsbibliothek Lat. fol. 641, f. 216vb. 13
2. Adbreviatio p. 293 Morelli : Inter genus et gentem et generationem hoc differt : gens regionis est, ut Hispania ; genus familiae est, ut genus humanum ; generatio est quae de patribus descendit in filios : inde et hominum genera dicta sunt a generando eo quod homines ab aliis hominibus generantur. Hoc nomen derivativum est a terra ex qua gignuntur
« Peritia » 1, 1982, pp. 265-66, e a B. Löfstedt, Eine wenige beachtete hibernolateinische Grammatik, in Ireland un die Christenheit. Bibelstudien und Mission, her. von P. Ní Chatháin und M. Richter, Stuttgart 1987, p. 273. 9 B. Löfstedt, Zur Grammatik in Paris Bibl. Nat. ms lat. 7491, « Peritia » 12, 1998, 95-97, offre una breve quanto densa presentazione di questo interessante testo grammaticale, cui attribuisce una “hibernolateinische Ursprung” (p. 96) ; succinti accenni anche nell’edizione dell’Anon. ad Cuimnanum, p. xvi e 84. Conto di darne presto un’edizione critica. 10 Cito – indicando numero di pagina e riga – dall’edizione Bischoff- Löfstedt apparsa nel Corpus Christianorum, ser. lat. 133 D, Turnholti 1992. 11 L. Holtz, Les grammairiens hiberno-latins étaient-ils des anglo-saxons ?, « Peritia » 2, 1983, p. 180 n. 3, considerava quest’uso dell’aggettivo ordinale come tipico del gaelico, ritenendolo significativo per una possibile localizzazione dell’Ars Bernensis ; si veda però la successiva retractatio in L. Holtz, L’Ars Bernensis cit. (supra, n. 7), pp. 120-21. 12 Edito da W. V. Clausen, Erchamberti Frisingensis Tractatus super Donatum, Chicago 1948, p. 8 : in hac diffinitione […] continentur modi quinque : primo modo ostenditur quod nomen sit octava pars orationis, cum dicit ‘nomen est pars orationis’. 13 Solo brevi estratti sono stati sinora editi da C. Jeudy, Un commentaire anonyme de l’Ars minor de Donat, in De ortu grammaticae. Studies in medieval grammar and linguistic theory in memory of Jan Pinborg, ed. by G. L. Bursill-Hall -S. Ebbesen- K. Koerner, Amsterdam-Philadelphia 1990, pp. 133-146 (p. 140 per il passo in questione : verbum … octava pars orationis) : alcuni utili suggerimenti testuali sono contenuti nella recensione a questo volume curata da B. Löfstedt in “The Journal of Medieval Latin” 2, 1992, 237-239. Per una descrizione del manoscritto berlinese rinvio anche al mio recente contributo Un nuovo codice dell’Ars minor di Donato, “Annali dell’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’, Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del mediterraneo antico, sezione filologico-letteraria” 22, 2010, 131-136.
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omnia : ‘gis’ graece terra dicitur, genus oritur a verbo genero vel genuo vel antique geno. In questo passo una maldestra congettura del Morelli, di cui l’editore dà conto in nota, ha alterato il significato genuino del testo : è necessario dunque ripristinare la lezione del manoscritto, leggendo u n d e et n o m i n u m genera dicta sunt a generando, eo quod n o m i n a ab aliis n o m i n i b u s generantur (f. 11r). Appare evidente che l’autore intende mostrare ai suoi allievi come non sia fuori luogo parlare di ‘generazione’ per i nomi, poiché anche i nomi – come gli uomini – generano altri nomi, ossia nomina derivativa : di cui si fornisce immediatamente un esempio, ricavato dalle onnipresenti Etymologiae di Isidoro di Siviglia. 14 Simile discussione dei termini genus, gens e generatio compare anche nell’anonimo trattato altomedievale Aggressus : rinvio alla mia recente edizione di questo testo per numerosi loci similes ben testimoniati sia in commentari biblici, sia nella coeva tradizione grammaticale. 15 Si noti anche come l’ultima sezione del nostro testo riecheggi pressoché ad litteram la cosiddetta Ars Bernensis (GL viii 82, 8-9) : Genus unde dirivatur ? Genus oritur a verbo genero vel gigno aut etiam genuo vel antique geno ;
3. Adbreviatio p. 295 Morelli : Sunt semper singularia masculina ut ‘pulvis fimus fumus cruor sanguis’, quamvis legatur ‘viri sanguinum’ et ‘libera me de sanguinibus’… Sunt semper singularia femminina ut ‘thorax lux spes fides fames sitis’, quamvis legatur ‘spes suas’ et spebus intentis’ ; et ‘pax’ quasi pluralis dicitur eo quod triplex in sacra scriptura invenitur, idest inter corpus et animam. Anche in questo frangente l’editore inserisce nel testo una sua congettura, thorax (nel manoscritto, riteneva infatti di leggere thrax) : ma il codice ha in effetti pax, come confermano le righe seguenti – con una ulteriore disquisizione sull’uso di pax nel testo biblico – e come ribadisce la tradizione grammaticale dall’Ars maior di Donato (623, 1-3 Holtz : sunt semper singularia generis masculini, ut pulvis, sanguis […] semper singularia generis feminini, ut p a x, lux) nonché la fonte diretta di Orso, ossia Prisciano : sicut alia quoque plurima, ut ‘sanguis’, ‘pulvis’, ‘ p a x ’, quae tam singulariter quam pluraliter prolata idem possunt significare ; sed pluraliter non utimur eis, quia auctoritas deficit, cui si collibuisset quomodo ‘cruores’ dicere ‘sanguines’, vel quomodo ‘cineres’ sic ‘pulveres’, nihil impediret (GL ii 175, 18-21). L’insegnamento impartito dal vescovo Orso è frequentemente orientato verso quelle peculiarità grammaticali che trovano riscontro nel linguaggio biblico ; in questo caso, dello specifico uso del plurale sanguines, concordemente escluso dalla tradizione grammaticale antica, il nostro autore si affretta a fornire due attestazioni nella sacra Scrittura (Prv 29, 10 viri sanguinum oderunt simplicem ; Ps 50, 16 libera me de sanguinibus, Deus), attinte verosimilmente alla ricca tradizione esegetica offerta da S. Agostino, che più di una volta commenta incisivamente proprio questi passi biblici : ne ho trattato in questo stesso volume (pp. 29-30). Sulle orme agostiniane, anche l’ampia trattazione dell’Anonymus ad Cuimnanum giustifica, di contro alle stringenti regulae Donati, l’ammissibilità del plurale san
14 Etym. 11, 1, 3 : Genus a gignendo dictum, cui derivatum (dirivativum K) nomen a terra, ex qua omnia gignuntur ; ghv enim Graece terra dicitur. 15 Munzi, Mult. Latinitas., pp. 76 per il testo e 90-91 per il commento ; vedi anche questo stesso volume, p. 26.
69 per il testo della adbreviatio artis grammaticae guines in base alla necessità del Latinus interpres di tradurre efficacemente il testo biblico. 16 Parimenti, già la precedente tradizione artigrafica ‘pagana’ si interrogava circa la possibilità di usare pax al plurale 17 e un passo del Bellum Iugurthinum di Sallustio (31, 20 iudicia, bella atque paces) veniva spesso citato al riguardo. 18 Orso non lascia cadere l’occasione di dimostrare che anche nella Bibbia vi sia un uso quasi pluralis di pax : sfortunatamente ci sfugge – forse per una lacuna del testo 19 – l’esatta comprensione delle sue parole circa la triplice valenza di pax nelle sacre Scritture ; 20
4. Adbreviatio p. 296 Morelli : ‘Triticum’ eo quod pedibus trituratur. ‘Oleum’ de olere crescendo, unde et oliseus dicitur. Qui olere è congettura dell’editore, poiché il codice ha ole : quanto al poco perspicuo oliseus, Morelli ipotizza in nota che si debba piuttosto leggere oliserus, ossia “una specie di olus”. Credo invece che per meglio chiarire questo passo, ci si debba rivolgere all’ampia tradizione etimologica che vede riuniti i verbi (ad)olescere e crescere. Mi riferisco in particolare a Festo p. 309 suboles ab olescendo idest crescendo, ut adolescens quoque et adultus ; Festo-Paolo Diacono p. 5 exoletus qui excessit olescendi, idest crescendi modum ; Nonio p. 373 Lindsay ab olescere, crescere : unde adolescentem dicimus ; Isidoro, Etym. 11, 2, 15 adolescens dictus eo quod sit ad gignendum adultus, sive a crescere et augeri ; Isidoro, Diff. 2, 19 adulescens autem dictus ab adolendo atque crescendo. Di particolare interesse, anche perché verosimilmente coevo dell’Adbreviatio di Orso, è il testo delle Quaestiones grammaticales di Godescalco di Orbais, 21 parzialmente pubblicate da Hagen : ‘Adulescens’, ut Caper
16 Sed neminem turbare debet lectorem invenientem ‘sanguines’ et ‘pulveres’ : duobus enim modis lecta inveniuntur, aut auctoritate veterum aut diversitate linguarum. Verbi causa ut apud Oratium ‘nundinales’ inquit ‘diis parem pulveres’ ; sed hoc auctoritate lectum probamus [il passo di Orazio era citato sia da Servio GL iv 432, 20, sia da Cledonio GL v 42, 20]. Et alibi : ‘libera me de sanguinibus, Deus’ : et hoc Latinus interpres in Greco inveniens ‘nazon’, quod ‘sanguines’ sonat, aliter interpretari non valens utilitatemque interpretationis rationi praeferens Latinitatis, ‘sanguines’ etiam contra rationem transferre non dubitavit (Anon. ad Cuimn. p. 56, 21-30). 17 Nel trattatello De Barbarismis et metaplasmis, p. 18, 24 Niedermann, il grammatico Consenzio si domanda ad esempio se paces e luces debbano considerarsi solecismi . 18 Ad esempio da Pompeo (GL v 176, 21-22) e dall’Anonymus Bobiensis (p. 25,26-27 De Nonno) : da quest’ultimo, o dalla sua fonte, dipenderà la più tarda attestazione di Beda nel De orthographia (GL vii 283, 17 = CCsl 123 A, p. 40, 829-30), come ha ben dimostrato A. C. Dionisotti, On Bede, Grammars, and Greek, “Revue Bénédictine” 92, 1982, pp. 111-141. Anche l’Anonymus ad Cuimnanum (p. 57, 38) cita l’exemplum sallustiano nella forma corrotta bello atque invenit paces, attribuendolo però a Petronio, forse per errata interpretazione della sua fonte, che è verosimilmente Servio GL iv 432, 21-25 : item pax lux dicit [scil. Donatus] numeri singularis : sed legimus apud Salustium paces et luces. item Quirites dicit numero tantum plurali ; sed legimus apud Horatium hunc Quiritem, ut sit nominativus hic Quiris : item idem Horatius ‘quis te Quiritem’, cuius nominativus erit hic Quirites, ut dicit P e t r o n i u s ; vedi anche Pompeo GL v 166, 30-167, 12 e 176, 21-35. 19 Come nota anche il Morelli, dopo le parole corpus et animam nel codice appare uno spazio bianco di circa mezza riga, come se il copista si trovasse in difficoltà nella lettura dell’antigrafo. Si noti peraltro che una delle caratteristiche salienti di questo manoscritto è costituita proprio dalla presenza di ampi spazi lasciati in bianco fra un capitolo e l’altro, quasi fossero previste delle aggiunte (ulteriori appunti dalle lezioni di Orso ?) al testo programmato. 20 Anche l’Anonymus ad Cuimnanum (p. 57, 37) afferma di leggere duae paces sunt in un presunto passo di Gregorio Magno, che non ho potuto individuare. 21 La paternità di Godescalco di Orbais è rivendicata, con convincenti argomentazioni, da C. Lambot, Oeuvres théologiques et grammaticales de Godescalc d’Orbais, Leuven 1945, pp. 353-355.
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in orthographia sua testatur, nullomodo est dicendum ; venit enim, sicut idem evidenter pandit, ab ‘adoleo’ idest cresco verbo participium ‘adolescens’ et nomen ‘adoliscens’, et utrumque per o videlicet, eo quod ab olendo, idest crescendo dictum sit : propter differentiam tamen nomen ipsum per i dici debere dicit. Alcuinus etiam …’adoliscentem’ per omnem bibliothecam, ubi videlicet non participium, sed semper nomen id repperit, iure per i proferendum correxit. (GL viii 179, 23-30). In base a questa nutrita serie di loci similes, mi sembra verosimile proporre la seguente integrazione al testo di Orso : ‘Oleum’ de ole crescendo, unde a d o l e s c e n s dicitur ;
5. Adbreviatio p. 297 Morelli : Inter terminales et terminationes hoc distat, quia terminalis una est littera sive vocalis sive consonans quando mens tua tantum ad litter respicit : terminatio vero duae vel plures sunt litterae quando mens tantum ad potestatem hoc est ad syllabam respicit. A litter l’editore annota : “supplisco il testo, che fu corroso nel margine”. Ma converrà piuttosto supplire litter, come indica il testo pressoché identico dell’Ars Bernensis, cui Orso verosimilmente attinge, uniformandosi al consueto intento di abbreviare : Interrogandum est autem, quae sit differentia inter terminalem et terminationem in his nominibus in a desinentibus. Scimus enim, quoniam terminalis una littera est seu vocalis seu consonans sit, terminatio autem est vocalis sive sola vel vocalis cum consonante. Haec ergo est differentia inter terminalem et terminationem in illis nominibus in a desinentibus : quando enim mens tua respicit ad potestatem, idest ad syllabam, tunc terminationem ; quando autem ad l i t t er a t u r a m, hoc est ad extremitatem soni, quae aut vocali aut consonante terminatur, tunc terminalis est (GL viii 91, 27-35) ;
6. Ars Bernensis GL viii 71, 24-30 : Homonyma, hoc est uninomina, quare dicuntur ? Eo quod una appellatione plura significant, ut’ nepos’ dicitur luxuriosus, item alia significatione’ nepos’ dicitur rei avitae consumptor, hoc est qui disperdit illas res, quas sibi sui parentes demiserunt. Tertia significatione dicitur ‘nepos’ certus cognationis gradus, hoc est filius filii. Sic et acies dicitur oculorum et acies ferri et acies exercitus. Secondo l’apparato di Hagen, l’unico codice allora noto di questo importante trattato grammaticale 22 (il Bernensis 123, ‘responsabile’ per il nostro testo dell’immeritato titolo di Ars Bernensis) offre la lezione uninomya. In questo caso, riterrei inutile ‘normalizzare’, come fa l’editore, il raro uninomya (o uninomia, data l’estrema frequenza nel codice dello scambio i-y e viceversa) in uninomina, tanto più che anche l’Adbreviatio di Orso – un testo, come già detto, che attinge assai spesso, e pressoché ad litteram, all’Ars Bernensis, al punto da proporsi in molti luoghi come portatore di una sorta di tradizione indiretta – testimonia tale forma : Omonima 23 idest quasi u n i n o m i a dicta eo quod uno nomine multa significat, ut ‘nepos’ et filius filii, et luxu
22 Già Hagen aveva posto l’accento sul valore dell’Ars Bernensis, manuale che spicca non solo come significativo specimen dell’insegnamento grammaticale dell’alto Medioevo, ma soprattutto per la molteplicità delle fonti grammaticali utilizzate e per la ricca esemplificazione tratta da rinomati auctores classici e dalle sacre scritture : haec ars, quamquam non integra ad nos pervenit eius notitia, quippe quae non ultra pronominis expositionem extendatur, multis tamen nominibus virorum doctorum attentione digna est (GL viii, praef. p. lxxxiii). 23 Mantengo naturalmente la grafia testimoniata dal manoscritto di Orso.
71 per il testo della adbreviatio artis grammaticae riosus, et consumptor rerum suarum intellegitur ; acies et ferri et oculorum et exercitus intellegitur…(f. 2vb). Alla base di simili neoformazioni sembra essere la necessità di trasferire in latino termini tecnici greci, attraverso veri e propri calchi, come si può notare ancora nell’Adbreviatio di Orso per l’altrettanto raro unicasualia : 24 monoptota graece, latine unicasualia (f. 16 vb) ;
7. Ars Bernensis GL viii 113, 25-30 : In ‘on’ dua masculina tantum nomina terminantur, ut Memnon Agamemnon Chiron Amfion Zenon Platon : haec propria nomina sunt. Item appellativa, ut hic canon † elagon gedeon, et indeclinabilia, ut hic Aaron et Sion. Questo passo dell’Ars offre un chiaro esempio dello stato assai corrotto del testo quale ci è conservato dal Bernensis 123 : un testo, per citare le parole stesse di Hermann Hagen, gravissimis undique librariorum vitiis circumfusum atque obtunsum, tanto che si potrebbe dire hanc artem a librario satis indocto corruptam magis quam scriptam esse (praef. p. lxxxviii). A destare sospetti è in primo luogo l’espressione dua masculina : come si può vedere, infatti, seguono non due, ma cinque esempi di nomi greci con desinenza on (e molti altri saranno stati presenti alla mente dell’autore). Dua è sicuramente corrotto : io credo si debba congetturare productam, poiché è abitudine di questo artigrafo distinguere costantemente le desinenze con vocale breve da quelle con vocale lunga. 25 La genesi dell’errore andrà ricercata in una abbreviazione del tipo pducˆ presente nell’antigrafo, che avrà tratto in errore l’inesperto copista. Si legga dunque : In on productam masculina tantum nomina terminantur etc. Quanto all’incomprensibile elagon, credo vi si nasconda non tanto agon – come sospettava Hagen – quanto un nome proprio ebraico, quale è, immediatamente dopo, Gedeon, e poco oltre anche Aaron e Sion : si legga, dunque, Dagon . In effetti, l’interesse per le tres linguae sacrae, caratteristica peculiare dei trattati di esegesi biblica di origine insulare, è una costante anche nell’insegnamento grammaticale dell’Ars Bernensis : pertanto, l’esemplificazione relativa ai nomina Hebraica si affianca continuamente a quella dei nomi greci e latini. 26 Poiché quelli citati sono nomi propri, e non appellativa come hic canon, credo anche che si debba postulare l’esistenza di una lacuna proprio là dove Hagen apponeva la crux desperationis : lacuna che proverei a sanare, exempli gratia, come segue : Item appellativa, ut hic canon < et propria Hebraica declinabilia, ut hic> Dagon Gedeon, et indeclinabilia, ut hic Aaron et Sion. Anche in questo caso, un passo pressoché parallelo dell’Adbreviatio di Orso ci offre una preziosa conferma : In on tantum propria masculina greca, ut Memnon Platon, et pauca appellativa, ut canon leon dracon, unde Latini abiciunt n et faciunt in o leo draco, et feminina, ut Babylon Amazon, et Hebraica, ut Salomon Dagon Gedeon, et
24 Testimoniato anche nell’Ars Ambrosiana, CCsl 133 C, p. 59, 1, nell’Ars di Tatuino, CCsl 133, p. 23, 640 e nel commento di Sedulio Scoto in Donatum maiorem, CCcm 40 B, p. 150, 52 : monoptota dicuntur unicasualia. 25 Si veda ad esempio, poche righe prima, la trattazione della desinenza en : In en correptam neutralia nomina terminantur […] in en productam masculina Latina etc. (p. 112, 28 e 113, 2) 26 Questo interesse per il linguaggio biblico, ovviamente assente nella tradizione artigrafica ‘classica’, è anzi rivendicato dall’ignoto autore – e a buon diritto – come un tratto distintivo della sua dottrina : Quare dixit grammaticus ‘Graeca sunt tantum’, cum inveniuntur Hebraica nomina in eus, ut Bartholomeus Thaddeus Mattheus ? Quia inter Graeca et Latina est regula aput grammaticos, non de Hebraicis nominibus (p. 105, 29-32).
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indeclinabilia, ut Aron Sion (f. 22vb) ; di materia assai simile tratta anche l’Ars Malsachani : 27 in on masculinum invenitur in Grecis et Ebreicis, ut hic canon huius canonis et huic similia, ut Salomon Simon Dagon (p. 180, 20-21 Loefstedt). Si noti altresì che un testo assai perturbato offre, nella stessa pagina dell’Ars Bernensis, anche la trattazione sui nomi in ar, in particolare alle rr. 31-32 : Neutra, ut hoc far farris : genus est panis, et hoc † inuar inuaris, hoc exemplar, † hoc infar. Già K. E. Georges 28 aveva proposto di sanare le cruces apposte da Hagen, proponendo di leggere hoc iubar iubaris, hoc exemplar, hoc instar ; anche in questo caso, il testo conservato dall’Adbreviatio di Orso (f. 22vb) assicura un significativo riscontro : in ‘ar’ correptam et masculina inveniuntur, ut hic ‘Caesar’ et ‘ lar’, idest ignis, et neutra ut ‘ i n s t a r, exemplar, i u b a r, far’, et omnis generis ut ‘par’ et [h]ab eo ‘compar’ etc.
27 L’Ars Malsachani, quale è stata edita da B. Löfstedt (Der hibernolateinische grammatiker Malsachanus, Uppsala 1965), si presenta come un trattato sulle parti declinabili del discorso, costituito da una sezione relativa al nome e al pronome (pp. 173-194, da cui qui cito) e da una sezione su verbo e participio ; V. Law, The Insular Latin Grammarians, Woodbridge (Suffolk) 1982, pp. 90-92 offre convincenti argomenti per rivendicare all’irlandese Malsacano, o Mac Salcháin, solo la seconda sezione dell’opera, quella che nell’explicit di uno dei manoscritti è per l’appunto definita Congregatio Salcani filii de verbo. 28 Nelle Miscellen apparse nei “Neue Jahrbücher für Philologie und Paedagogik” 51, Band 123, 1881 (= “Jahrbücher für Classische Philologie” her. von A. Fleckeisen 27, 1881), p. 807 ; ma si veda su questo passo anche la più recente messa a punto di S. Timpanaro, Note a testi latini : iii. Anecdota Helvetica p. 113 e 305 Hagen, « La parola del passato » 6, 1951, p. 132.
OMNIA ET FUR IBUNDE EXPLICABAT : PER UNA NUOVA EDIZIONE DELLA VITA PARODICA DEL GR AMMATICO DONATO
The medieval mind could p l a y as well as pray. E. K. Rand
S
e per molti nomi della letteratura latina i dati biografici a nostra disposizione sono davvero scarsi, per quel che riguarda la maggior parte degli autori di testi grammaticali la situazione si rivela assai spesso disperata, in quanto ci si trova avvolti dal buio più completo. Tanto meno si può sperare che, in mancanza di testimonianze esterne, qualche spiraglio di luce possa ricavarsi dal testo stesso di opere che, per la loro stessa natura, sono squisitamente impersonali : 1 anche perché alcune di queste artes rinunciano ad avvalersi anche di quel modestissimo spazio – ossia la prefazione – in cui l’autore, sia pure con grande discrezione, può far risuonare qualche accento personale. 2 In certo qual modo, questi artigrafi sono davvero dei personaggi in cerca d’autore. Nemmeno il più famoso di essi, quel Donato grammatico autore di due famosi manuali grammaticali destinati a un successo incredibilmente ampio e duraturo, sfugge a questa regola : per lui, in effetti, le emergenze biografiche sono modestissime, e tutto ciò che sappiamo si riduce in sostanza alla definizione di grammaticus urbis Romae e alla data del suo floruit, attorno al 350 d.C : nulla conosciamo invece circa la nascita, gli studi, la condizione sociale, le circostanze della morte. Solo qualche secolo dopo – sfortunatamente quando già la figura di Donato, come quella di altri famosi auctores come Virgilio o Ovidio, si collocava in una sorta di favolosa e sfumata lontananza – un ignoto personaggio decise tuttavia di redigere proprio una Vita domini Donati grammatici, nel trasparente intento di colmare questa lacuna biografica e, al contempo, di ‘dissacrare’ un po’ l’aulica figura di Donato, una figura che sicuramente suscitava, sia nei maestri sia negli studenti, sentimenti ambivalenti : amore e odio, ammirazione e repulsione, attrazione e fastidio. Più che un goliardo ante litteram o uno studente ‘contestatore’, magari animato dal desiderio di vendicarsi delle
* Riunisco qui di seguito, per una più comoda consultazione, due articoli dedicati allo stesso argomento – una singolare ‘biografia’ medievale di Donato – e già apparsi in sedi diverse (il primo in “Incontri triestini di filologia classica” 3, 2003-2004, 261-276, il secondo in Amicitiae templa serena. Studi in onore di G. Aricò, a cura di L. Castagna e C. Riboldi, ii, Milano 2008, 1159-1173). Questo ha consentito anche di riprodurre alcune illustrazioni che a suo tempo non era stato possibile utilizzare. Per il resto, ho eliminato qualche refuso e aggiunto qualche brevissima integrazione, segnalata da parentesi quadre. 1 Di “ouvrages impersonnels par définition” parla a ragione Holtz, Donat 30. 2 Rinvio in proposito a Munzi, Prefazione 103-105.
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lunghe ore trascorse a imprimere nella memoria le canoniche definizioni di Donato, in questo anonimo autore si dovrà più probabilmente individuare un ignoto magister, spinto da sana autoironia nei confronti dell’intera categoria dei grammatici, e forse anche da un pizzico di invidia nei confronti del più fortunato collega, ormai ‘santificato’ come nume tutelare della grammatica romana. 3 Comunque, l’ignoto estensore di questa Vita Donati dispone sicuramente – come vedremo – di buona conoscenza delle regole del genere biografico, e non solo : mostra altresì di avere alle spalle letture di una certa ampiezza e sfoggia uno stile elaborato e spesso adorno di poetismi : la sua Latinitas, infine, si rivela un singolare impasto di Umgangsprache e di scelte lessicali spesso abbastanza ricercate. Per tutte queste ragioni, non mi sembra fuori luogo dedicare un minimo di attenzione a un testo singolare che non è del tutto “wertlos”, come lo definiva un po’ seccamente lo Schanz, 4 e nemmeno merita il poco simpatetico giudizio di scriptiuncula ineptissima formulato da Hermann Hagen, un filologo alla cui onnivora curiositas dobbiamo peraltro la ‘riscoperta’ e la meritoria divulgazione di numerosissimi testi pressoché ignoti, fra i quali anche questo singolarissima Vita Donati.
1. Tradizione manoscritta e edizioni La Vita è stata pubblicata per la prima volta nel 1773 da J.A. Fabricius nella sua Bibliotheca Latina, 5 e dopo circa un secolo da H. Hagen, nei ben noti Anecdota Helvetica (pp. cclix-cclxi), pubblicati come ottavo volume del monumentale corpus dei Grammatici latini curato da H. Keil. Oggi sappiamo che il testo è presente in due manoscritti, il lat. 7730, sec. ix, della Bibliothèque Nationale di Parigi (d’ora in poi P) 6 e il philol. 4° 1, sec. xi, della Murhard’sche der Stadt und Landesbibliothek di Kassel ; sia Fabricius sia Hagen lo pubblicarono invece sfruttando un altro manoscritto, il codice Bern, Burgerbibliothek 189, di gran lunga meno attendibile in quanto ‘di seconda mano’ : questo codice, infatti, altro non è che una raccolta di appunti filologici integralmente redatti dall’erudito Pierre Daniel, e fra questi compare anche la nostra Vita, che il Daniel trascrisse dal codice parigino aggiungendo a margine sia sue annotazioni, sia osservazioni risalenti a un altro valente filologo francese, Pierre Pithou. Hagen, in verità, avrebbe desiderato ricorrere al manoscritto parigino, 7 antigrafo del bernese : ma ne fu impedito – come ci dice nella brevissima prefazione (p. cclix), in cui definisce il testo, come già detto,
3 Se non proprio ‘santificato’, Donato fa oggetto, nell’alto Medioevo, di una capillare opera di cristianizzazione, di cui ho trattato supra, in particolare pp. 15-18 (e fig. 1). 4 Non a torto definito « un critique privé du sens de l’humour » da E.K. Rand, Les esprits souverains dans la littérature romaine, Paris 1936, 42. 5 Io. Alb. Fabricii Bibliotheca Latina, nunc melius delecta, rectius digesta et aucta diligentia Io. Aug. Ernesti, t. iii, Lipsiae 1774, 407-409. [Nella editio princeps, la Vita Donati è estratta ex schedis Petri Danielis e severamente stigmatizzata come abortum ingenii nulla fide dignum, insulsum et ridiculum : la sua pubblicazione è in effetti giustificata per una sola ragione, quia brevis est …] 6 È importante notare che il testo che qui ci interessa è stato vergato al f. 39v, in uno spazio probabilmente rimasto inutilizzato, da una mano diversa da quella che trascrive il resto del manoscritto e non necessariamente coeva. 7 Che gli era noto dalla descrizione del Keil, GL iv, p. xl.
75 per una edizione della vita parodica di donato di modesto valore e ne giustifica la pubblicazione quasi soltanto per il carattere ‘curioso’ e per il peculiare dicendi genus inusitatum – da eventi bellici, ossia dall’incalzare della guerra franco-prussiana : la pubblicazione degli Anecdota Helvetica è infatti del 1870. Dovrà passare ancora un secolo perchè un altro studioso si occupi di questo testo e ne dia una edizione critica sulla base di uno dei due testimoni diretti, per l’esattezza del codice parigino : si tratta di Giorgio Brugnoli, recentemente scomparso, che lo pubblicò nell’ambito di un breve articolo, 8 frutto ‘minore’ delle ben più corpose ricerche dedicate al genere biografico e in particolare al complesso delle Vitae virgiliane. 9 L’edizione di Brugnoli sostituisce autorevolmente quella di Hagen : 10 l’apparato critico, assai esauriente, comprende anche – trascritti dall’edizione Hagen – tutti i marginalia di Daniel, non privi di interesse per la peculiare latinitas dell’autore. 11 Il testo costituito da Brugnoli 12 mi sembra in gran parte condivisibile : aggiungo solo, in attesa di poter collazionare anche il manoscritto di Kassel, alcune suggestioni, in parte suggerite da una mia ulteriore ricognizione del codice parigino : 13 1) r. 8 : Hagen stampa capellas paucinumero pascendas, poiché paucinumero (forse da intendere paucas numero ?) è annotato a margine sia nel codice bernese che in quello parigino ; Brugnoli preferisce non accoglierlo nel testo, forse ritenendolo una glossa al precedente pauperculo, ma la menzione del modesto numero delle caprette non appare del tutto irrilevante in un contesto in cui si insiste sulla ‘miseria’, materiale e morale, del protagonista, che in un successivo episodio verrà per l’appunto definito ‘pastore di un gregge striminzito’ (m o d i c a r u m opilio ovium) ; 2) r. 11, aestu calente, tempore 14 laborabat intolerabili : non soddisfa del tutto la punteggiatura di Brugnoli : poiché aestu sembra da collegare a intolerabili, proporrei piuttosto di interpungere aestu, calente tempore, laborabat intolerabili ; rimane tuttavia da domandarsi se calente tempore non sia una glossa inseritasi nel testo [vedi ora infra p. 93] ;
8 Questioni biografiche ii : la ‘Vita Donati grammatici Parisina’, « Giornale italiano di Filologia », 48, 1989, pp. 291-95. 9 Gli autorevoli contributi di Brugnoli alla vexata quaestio delle biografie virgiliane sono condensati nella ampia voce Vitae vergilianae : 2. La tradizione biografica virgiliana nel vol. v della Enciclopedia Virgiliana, pp. 575-85. 10 Solo un esempio : capillis raris, r. 31, era letto da Hagen col codice bernese capillis rasis, lezione poco plausibile vista la precedente allusione alla perdita dei capelli avvenuta già in età giovanile. 11 A r. 22, ad esempio, Daniel annota ‘suapte’ apud Gellium. 12 Lo riporto integralmente in appendice, con l’avvertenza che a riga 42 si dovrà correggere in Ianuarii l’evidente refuso Iaunuarii. 13 L’articolo dedicato alla Vita Donati si presenta, come afferma l’autore stesso (p. 295), come una “prima sommaria verifica” : probabilmente Brugnoli avrebbe voluto tornare sull’argomento, ma non ne ha avuto il tempo. Questo mio contributo vuole anche essere un modesto atto di omaggio alla memoria di uno studioso di valore, di cui ci mancherà non solo l’acribia filologica, ma anche lo spirito acuto e anticonformista, l’inconfondibile humour e l’eloquio scintillante e scanzonato. 14 P legge tepore : tempore è correzione del Daniel, che anche Brugnoli ha ritenuto indispensabile accogliere nel testo. Sembra tuttavia possibile sostenere che tepor, anziché ‘calore moderato’, possa qui indicare una temperatura torrida e canicolare, data la presenza di una latinitas alquanto singolare quale quella del nostro anonimo.
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3) r. 21, nacta cavillatione : si dovrà forse leggere na[c]ta cavillatione ? [vedi ora infra p. 93] ; 4) r. 25 : Brugnoli stampa maturato Romam adiens, riprendendo una congettura del Pithou, che mi sembra superflua : la menzione di Roma non è infatti assolutamente necessaria nel contesto, e singolare sarebbe il tipo di abbreviazione usato ; la lezione genuina sembra piuttosto quella offerta da Hagen, ossia maturato rediens ; 5) r. 25, discendae pueritiae studens : la lezione discendae pueritiae, poco perspicua, era apparsa dubbia già a Hagen, che infatti congetturava in apparato docendae pueritiae : a una prima lettura del testo, a me è sembrato che si dovesse intendere discendae peritiae, ipotesi che ho avuto poi il piacere di vedere confermata dallo stesso codice parigino, che ha per l’appunto discende periciae, lezione dunque genuina, evidentemente sfuggita alla pur attenta collazione di Brugnoli ; 6) r. 27, hominem exuit : dall’apparato di Brugnoli sembra che P legga exuit, che è invece congettura di Hagen ; P legge al contrario hominem exiuit, espressione piuttosto inusitata ; ma il debole che l’anonimo sembra nutrire per alcuni ben noti stilemi ecclesiastici, qual’è appunto hominem exuere, presente in grandi scrittori come Gerolamo e Agostino, 15 fa propendere appunto per la congettura di Hagen [ma vedi ora infra p. 94] ; 7) r. 35, omnia habitudine servo consimilis : mi domando se non si debba procedere a una modesta espunzione e leggere omni[a] habitudine servo consimilis 8) r. 36 : Brugnoli stampa calaumaco, ma non si vede la necessità di alterare la lezione calamauco del codice parigino, che corrisponde anche alla grafia dei glossari : ma su questo vocabolo alquanto raro torneremo fra breve.
2. Possibili fonti della trattazione La Vita si presenta sotto forma di lettera inviata da un Fl. Rebio a un altrettanto ignoto Minucio Rutilo (o forse Rutilio, come già ipotizzava il Fabricius) ; come è d’uso in una prefazione, Fl. Rebio dice di non aver redatto l’opera di sua iniziativa, ma su richiesta di consodales ; accenna alla brevitas, sempre necessaria in questi casi ; e come d’abitudine sottomette l’opera al destinatario, che si suppone dotato dell’autorevolezza necessaria a un articolato giudizio. La vera e propria biografia ha inizio con quello che si deve considerare come l’unico dato degno di fede, ovvero sicuramente documentato : e cioè che Donato fu maestro di grammatica ‘in sincrono’ con il maestro di retorica Mario Vittorino : notizia che l’anonimo attinge a un notissimo passo di Gerolamo, abitualmente riportato negli accessus medievali che precedono numerosi commenti alle artes di Donato. 16 Di qui in poi l’ignoto autore dà libero sfogo alla fantasia – o, più verosimilmente, alla sua volontà parodica – dapprima tracciando il quadro brutal
15 In Gerolamo, Epist. 1, 3, 4 una presunta adultera dichiara cupio invisum hoc corpus e x u e r e ; vedi anche Agostino, In Evang. Ioh. Tract. lxvi, 1 e x u t o vetere, induit nos h o m i n e m novum. 16 Ho raccolto una serie di passi di artes grammaticali relativi al floruit di Donato nel mio Mult. Latinitas, p. 45. Il passo di Gerolamo, in particolare, è riportato infra, n. 32.
77 per una edizione della vita parodica di donato mente realistico di una giovinezza trascorsa tra miseria e abbrutimento fisico, poi narrando l’improvvisa ascesa sociale di Donato, che da modesto pastore di capre diviene addirittura senatore per intercessione di Cicerone ( !) ; segue l’altrettanto rapida katastrofhv, suggellata dal ritorno in schiavitù, da una morte ignobile e dall’estremo oltraggio della sepoltura in una fossa comune. Da notare che giorno e mese della morte, secondo i canoni del genere biografico, sono dettagliatamente indicati, ma nulla si dice invece dell’anno, chiaramente ignoto al giocoso redattore di quello che a buon diritto si può definire un “portrait macaronique de Donat”. 17 Giorgio Brugnoli ha avuto il merito di attirare l’attenzione sulla Vita Vergilii svetoniana-donatiana, e in particolare sulla lettera di dedica ad essa premessa, come referente diretto per il nostro testo. 18 Dei cinque passi che Brugnoli considera direttamente ispirati alla Vita Vergilii, almeno tre mi sembrano sicuramente condivisibili. In primis, l’intestazione della nostra biografia sarebbe speculare a quella della Vita Vergilii, salvo che l’anonimo avrebbe sostituito al nome di Donato quello di un altro grammatico ben noto attraverso il Chronicon di Gerolamo, ossia Verrio Flacco, qui nascosto, con abile anagramma, sotto le mentite spoglie di un ‘Flacco Rebio’ (o Revio ?) ; quanto al destinatario, il Munazio della Vita Vergilii sarebbe stato parodicamente ‘ridotto’ a un ‘Minuzio’. 19 Pressoché sicuro mi sembra anche che il riferimento alla toga virile abbia ispirato il gioco paronomastico Donato – donatus toga, e lo stesso dicasi per la facies rustica attribuita a Donato, che sembra seguire ad litteram l’espressione facie rusticana della Vita Vergilii. Meno convincente mi sembra invece che le parole vitam Donati grammatici breviter commentavi debbano considerarsi direttamente dipendenti dal brevitati admodum studens della Vita virgiliana : il richiamo alla brevitas è talmente diffuso in questo tipo di prefazioni da divenire persino banale. Parimenti, non mi sento di condividere del tutto l’ultima proposta di Brugnoli, e cioè che la menzione della fossa comune, in cui viene ignobilmente sepolto Donato, sarebbe ispirata alla fossa in cui è costretta a partorire la madre di Virgilio. 20 Brillante, ma non pienamente
17 Così Holtz, Donat 318 n.7. 18 “È un fatto, tanto evidente quanto incredibilmente sottaciuto, che questa Vita Donati grammatici è fittamente intessuta su elementi desunti dal testo della Vita Vergilii cosiddetta Suetoniana-Donatiana e dal testo dell’Epistula con l’inscriptio Fl. Donatus L. Munatio suo salutem, che è premessa alla Vita Suetoniana-Donatiana nel solo ms. Paris, Bibl. Nationale, Lat. 11038, del secolo ix … e che, con la lettura del tradito Fl. come (A)l(ius), viene attribuita comunemente a Elio Donato e considerata da alcuni quale lettera dedicatoria del suo pressoché perduto Commentum virgiliano” : Brugnoli, art. cit. a nota 8, p. 293. 19 Brugnoli immaginava (vd. nota precedente) che l’anonimo leggesse la inscriptio della epistola prefatoria premessa alla Vita Vergilii – forse avendo accesso allo stesso manoscritto che ancor oggi la tramanda, il Parisinus lat. 11038, sec. ix, ovvero a un codice similare – nella forma Fl Donatus L. Munatio salutem ; sulla stessa linea interpretativa, mi sembra di poter aggiungere che se l’anonimo avesse inteso invece Fl Donatus etc, questo consentirebbe di ipotizzare nel nome del destinatario della Vita Donati un ulteriore, possibile travestimento parodico : come un Verrio Flacco sarebbe divenuto ‘Flacco Rebio’, come Munazio darebbe giocosa origine a ‘Minuzio’, così le chiome bionde di un ‘Flavio’ si trasformerebbero in quelle rosse di un ‘Rutilo’ ! 20 Nella Vita Vergilii, la fossa si presenta come un luogo magico che racchiude una sorta di miracolosa fertilità, tanto che un ramo di pioppo ivi piantato si trasforma in albero in tempo brevissimo.
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convincente, mi sembra anche l’ipotesi che la menzione del macellaio presso cui Donato finisce in schiavitù possa esser suggerita all’anonimo autore da un possibile collegamento parodico con la “tradizione parabiografica virgiliana” (art. cit., p. 295), e precisamente con una delle tante leggende fiorite nel Medio Evo su Virgilio stregone e operatore di miracoli, ossia quella del magico macellum di Napoli, in cui le cui carni venivano magicamente preservate per mesi e mesi dal marcire : 21 leggende ben difficilmente note all’anonimo, dal momento che le prime attestazioni letterarie non sembrano risalire oltre il xii secolo.
3. I luoghi comuni del genere biografico Si è già detto che l’anonimo conosce bene i canoni compositivi delle biografie antiche, e in particolare di quelle dei grandi personaggi letterari : anche se spesso fantasiose o francamente grottesche, le informazioni che ci vengono fornite obbediscono in effetti abbastanza puntualmente alle leggi del genere. A una lettura attenta, il numero di tovpoi biografici che è possibile riscontrare si rivela abbastanza elevato. Ripercorriamone alcuni : a) all’inizio della epistola missoria, sono almeno tre i luoghi comuni consolidati in questo tipo di testi : anzitutto la precisa richiesta dei ‘consodali’, probabilmente alllievi di una scuola monastica, come sembra indicare l’espressione nobiscum degentium, 22 il consueto tovpo~ della brevitas, 23 infine l’altrettanto tradizionale offerta dell’opera (tibi obtuli legendam) perché possa essere letta e soppesata dal destinatario ; b) tradizionale è anche il tema dell’infanzia trascorsa poveramente. Le Vite antiche di Virgilio 24 e di Orazio si soffermano spesso sulla famiglia di provenienza : il padre di Virgilio è, nella Vita attribuita a Svetonio-Donato, un vasaio oppure un semplice mercennarius al servizio di un mercante, altrove è un contadino ; il padre
21 Su questa e su altre leggende medievali sorte sulla vita e la figura di Virgilio, si è stratificata una vasta bibliografia moderna : ma resta sempre fondamentale il ricchissimo quadro d’insieme offerto da D. Comparetti, Virgilio nel Medio Evo, Firenze 1872, 18962 (rist. 1937 a cura di G. Pasquali). 22 Una espressione assai simile è utilizzata per designare la vita conventuale in un testo di età carolingia, la Vita del pontefice Leone IV (847-855) : in studio sanctae conversationis non quasi puer, ut tunc erat, sed velut perfectus monachus avidius mansit. Cuius etiam pie conversationis exemplo, alii sub eodem monachico d e g e n t e s ritu omnipotenti Domino plus devotius serviebant (Duchesne, Liber pontificalis ii p. 106). Si veda anche la lettera inviata dall’erudito monaco Ildemaro a Orso, vescovo di Benevento dall’anno 831, su argomenti grammaticali : mementote nihilominus, flagito, omnium fratrum hic d e g e n t i u m (MGH Epist. 5, 322, 23 ; PL 106, 398 C). 23 Oltre che a r. 3 breviter commentavi, al tovpo~ della brevitas si allude ancora alla r. 29 con l’espressione habitum corporis breviter p e r s t r i n x i m u s, peraltro paradossalmente seguita da una fluviale quanto divertita descrizione di grottesche caratteristiche fisiche. Per perstringere come verbo ‘tecnico’, si confronti la prefazione ai Praecepta artis rhetorica di Giulio Severiano : denique si haec quisquam digna existimet quae in manus sumat, reperiet ea me de veteribus p e r s t r i n x i s s e (Halm, Rhetores latini minores p. 355). Si ricordi altresì che proprio Donato era considerato un virtuoso della brevitas, come attesta ad esempio Pompeo, GL v 289, 6-8 : quot modis, aiunt, fiunt soloecismi ? Donatus redegit se ad summam brevitatem et dixit ‘duobus tantum’. Lucilius autem dixit ‘centum’ et enumeravit omnes […] interim iste (scil. Donatus) breviter s t r i n x i t ‘omnis soloecismus fit duobus modis etc’. 24 Le citerò secondo il testo curato da C. Hardie, Vitae Vergilianae antiquae, Oxonii 19372.
79 per una edizione della vita parodica di donato di Orazio, nella Vita pure attribuita a Svetonio, è rispettivamente un esattore di imposte pubbliche o addirittura un salumiere ; in entrambi i casi, si delinea una infanzia modesta ma dignitosa, da cui poi nascerà il ‘miracolo’ della vocazione poetica. Il nostro anonimo sembra al contrario calcare un po’sadicamente i toni, tracciando un quadro, più che di povertà, di miseria e di squallore, con dettagliate sofferenze di fame e sete, cui invece veniva riservato soltanto un fugace accenno nella vita virgiliana di Servio (tenui facultate nutritus). L’insistenza sull’argomento appare chiaramente parodica : dormire sulla dura terra, alimentarsi a malapena, avere come unico riparo una capanna di frasche potrebbero evocare alla mente del lettore quelle esperienze ascetiche che occupano ampio spazio nelle pagine di tante pie agiografie – pagine che costituivano probabilmente la lettura quotidiana dei consodales – ma l’anonimo insiste maliziosamente sul fatto che nel caso della pueritia di Donato non si può certo parlare di frugalitas innata, ma soltanto di egestas ; c) povertà e privazioni delineano, nella Vita Donati, una condizione sostanzialmente servile, peraltro rafforzata anche dall’aspetto, di cui tratteremo fra breve. È inevitabile il ricordo della tremende vicissitudini che la tradizione attribuisce a Plauto, che sarebbe stato oberato dai debiti al punto di ridursi a spingere la macina della farina presso un fornaio ; 25 d) anche la minuziosa collocazione topografica del recinto in cui Donato custodiva le sue capre (saepta sibi ab urbe miliario secundo vindicans), un particolare peraltro del tutto irrilevante per lo svolgersi degli avvenimenti narrati, nasconde probabilmente una precisa intenzione parodica. Abitualmente, l’indicazione del miliarium o del lapis è sfruttata in molte Vite per indicare con una certa solennità il luogo della nascita, 26 della morte 27 ovvero quello della sepoltura ; 28 e) l’aneddoto dello sconosciuto che si rivolge a Donato in greco, e lo prende in giro come ‘rustico pastore di ben poche pecore’, appare ispirato alla Vita svetoniana di Orazio, che viene insolentito da un tale che gli dice ‘quante volte ho visto tuo padre pulirsi il naso col braccio !’. 29 Sembra comunque impresa disperata
25 Sulla scorta della nota testimonianza di Gellio, Noctes Atticae iii 3, 14 in p i s t r i n o eum scripsisse Varro et plerique alii … ; si veda anche Euseb.-Hier. Chronicon ad Olymp. cxlv, 4, pp. 135-136 Helm. 26 Vita Ovidii I del codice Monacensis 14809 (olim Sancti Emmerami Ratisbonensis, sec. xii-xiii) Sulmonensis poeta fuit de Peligno oppido quod nonaginta m i l i a r i i s distat ab urbe […] ubi O natus fuit die quo Paulus et Terentius consules Romanorum commiserunt bellum cum Hannibale apud Cannas ; Vita Vergili attribuita a Probo : P. Vergilius Maro natus idibus octobris […] rustico vico Andico, qui abest a Mantua m i l i a passuum iii . 27 Vita Persii attribuita a Probo : natus est in Etruria […] decessit ad viii m i l i a r i u m via Appia in praediis suis (cito da A. Persii Flacci et D. Iuni Iuvenalis Saturae, ed. W.V. Clausen, Oxford 1959). 28 Vita Vergilii donatiana : ossa eius Neapolim translata sunt tumuloque condita, qui est via Puteolana intra l a p i d e m secundum. 29 L’aneddoto, che qui riporto con qualche altro passo utile al nostro discorso, è narrato nella Vita Horatii attribuita a Svetonio, che cito dall’edizione curata da F. Villeneuve, nel suo Horace, t. i. Odes et Épodes, Paris 1927, pp. lxxxv-lxxxviii : Q. Horatius Flaccus Venusinus, patre ut ipse tradit libertino et exactionum coactore, ut vero creditum est, s a l s a m e n t a r i o, cum illi quidam in altercatione exprobrasset : ‘ Quotiens ego vidi patrem tuum bracchio se emungentem ! ‘ […] habitu corporis fuit b r e v i s atque obesus […] ad res venereas i n t e m p e r a n t i o r traditur, nam specula toto cubiculo scortans dicitur habuisse disposita ita ut quocumque respexisset sibi imago coitus referretur […] decessit v kal. decembris C. Marcio Censorino et c. Asinio Gallo consulibus […] humatus et conditus est extremis Esquiliis iuxta Maecenatis tumulum.
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stabilire se nel clamoroso guazzabuglio di lettere greche che si legge nel codice parigino si debba tentare di leggere qualcosa di preciso (come ha tentato di fare Hagen, a prezzo di un totale restauro del testo) o se vi si debba intuire piuttosto l’ennesimo divertissement di un autore presumibilmente abbastanza ignaro di greco, ma comunque desideroso di far sfoggio di una lingua all’epoca pressoché ignota : in questo caso appare assai prudente la soluzione di Brugnoli, che ricorre alle cruces desperationis [ma vedi ora infra p. 97] ; f ) l’episodio relativo al pudore dimostrato dal giovane Donato nel prender parte a una conversazione intellettuale (la cavillatio di r. 21) non può non ricordare l’altrettanto pudico rossore che spesso imporporava il viso di Virgilio e la sua proverbiale timidezza. L’aneddoto può apparire paradossale di fronte all’arroganza e alla obscenitas di cui si tratterà poco dopo : ma non si deve dimenticare che il genere biografico latino procede spesso per paradossi e per marcate contrapposizioni. 30 In questo ambito del ‘ritratto paradossale’, si può portare a riscontro quanto tramandato di Virgilio, sempre nella Vita svetoniana, ossia che il poeta mantovano – pur così eloquente nella creazione poetica – una sola volta si era provato a discutere una causa in tribunale, essendo in sermone tardissimum et paene indocto similem ; g) anche l’incontro con Cicerone, in qualche modo, rientra in un tovpo~ abbastanza frequentato, quello dei rapporti con altri famosi letterati o con uomini politici. Certo, resta difficile stabilire se l’incredibile ‘salto’ cronologico che rende contemporanei Donato e Cicerone (quest’ultimo fra l’altro indicato con la singolare qualifica di magistrato edile) debba intendersi come un ennesimo lusus dell’anonimo ovvero – come forse è più verosimile ipotizzare – sia piuttosto una spia delle fitte tenebre che oscurano la conoscenza di una età ormai lontanissima ; h) l’aspetto fisico di Donato è rustico e ignobile, del tutto simile a uno schiavo : 31 si è già detto che qui è evidente l’influenza sia delle Vitae di Virgilio, che parlano di un viso da contadino e del colorito scuro di chi è spesso esposto al sole (facies rustica, aquilo colore), sia delle biografie di Orazio, più volte descritto come brevis atque obesus ; i) per quanto riguarda infine la catastrofe finale, che inizia con la cacciata dal Senato per ‘oscenità’, non è facile stabilire se in questo caso si debba intendere arroganza e aggressività verbale, o vera e propria oscenità a sfondo sessuale. Della prima si dirà fra breve ; ma anche il disordine nei comportamenti sessuali non risulterebbe affatto estraneo ai canoni delle biografie – sia degli uomini politici (Svetonio docet !) sia dei letterati – poiché assai spesso si indugia, come per Virgilio e Orazio, in dettagli su costumi sessuali in qualche modo singolari : di Virgilio si cita spesso la nota inclinazione per i pueri, di Orazio la intemperantia sessuale, concretizzata nel famigerato cubiculum rivestito di specchi. Fra i grammatici, pessima
30 È appena il caso di rinviare al fondamentale contributo di A. La Penna, Il ritratto‘paradossale’ da Silla a Petronio, “Rivista di Filologia e Istr. Classica” 104, 1976, pp. 270-93, ora ristampato in A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, Torino 1978, pp. 193-221. 31 Si ha l’impressione che l’anonimo redattore della Vita Donati ricerchi appunto un effetto ‘a rovescio’ rispetto alle edificanti descrizioni di dignitari ecclesiastici che appaiono ad esempio nel Liber pontificalis : aspectu pulcher, forma decorus, doctus in verbo, loquela humilis … (Duchesne ii, p. 152).
81 per una edizione della vita parodica di donato fama si era conquistata, ad esempio, il famoso Palemone, 32 al punto che Svetonio ricordava come egli rivestisse principem locum inter grammaticos […] quamquam i n f a m i s omnibus vitiis, palamque et Tiberio et mox Claudio praedicantibus nemini minus institutionem puerorum vel iuvenum committendam (De gramm. 23, 1). Data per scontata una certa scostumatezza dei docenti, non c’era poi da stupirsi se anche il loro magistero indugiava spesso su argomenti francamente ‘pettegoli’ o pruriginosi : persino Seneca, in effetti, lamenta che dotte discussioni si intrecciassero sul problema se Anacreonte fosse più portato per l’ebbrezza alcoolica o per il sesso, ovvero se Saffo fosse da considerare donna ‘pubblica’.
4. Iracondia e onniscienza del grammatico Vorrei soffermarmi infine sull’icastico ritratto finale : il grammatico Donato, col famigerato calamaucus calcato in testa, che spiega qualunque ramo dello scibile umano con furibondo accanimento, di fronte a un uditorio intimorito e ridotto al più religioso silenzio. 33 Sul furibunde non c’è probabilmente molto da aggiungere : l’iracondia e la litigiosità sono caratteristiche proprie della professione grammaticale – basterà ricordare Apollonio, che era per antonomasia duvskolo~ – e vengono particolarmente esaltate fra tardoantico e alto Medioevo ; le altercationes fra professori sono descritte, verso il v secolo, con ricchezza di dettagli dal grammatico Pompeo, 34 così come nell’enigmatico testo di Virgilio grammatico, abitualmente collocato nel VII secolo, possiamo assaporare il divertente aneddoto, tanto spesso citato, di due grammatici che rispondono ai roboanti nomi di Regolo di Cappadocia e Sedulo Romano : 35 i quali, per venire a capo di una vexata quaestio sui verbi incoativi, giunsero quasi ad gladiorum conflictum, e si fronteggiarono per quindici giorni e quindici notti rimanendo insomnes et indapes, avendo ciascuno al suo fianco un esercito di ben tremila sostenitori … 36 Quanto a breviter, il fatto
32 Ciò nonostante era ben conosciuto da Gerolamo, e solennemente presentato con le parole Palaemon Vicetinus insignis grammaticus Romae habetur (Euseb-Hier. Chronicon ad Olymp. ccvi, p. 180, 1920 Helm) ; la stessa formula già usata per menzionare Verrio Flacco, Athenodorus Tarsensis stoicus philosophus et M. Verrius Flaccus grammaticus insignes habentur (Chron. Ad Olymp. cxcvi, p. 170, 19-21 Helm), e poi ancora reiterata per ricordare il suo stesso maestro, Donato : Victorinus rhetor et Donatus grammaticus magister meus Romae insignes habentur (Chronicon ad Olymp. cclxxxiii, p. 239, 12-13 Helm). 33 Predisposizione all’iracondia, marcata sicumera e forte aggressività verbale sembrano caratterizzare la figura del grammaticus, e più in generale dell’intellettuale dotato di tratti ‘profetici’, già in epoca tardoantica : anche nella Expositio vergilianae continentiae di Fulgenzio, ad esempio, Virgilio appare mormorando rabbiosamente arcanum quiddam fra sé e sé e si rivolge all’autore con un cipiglio pauroso, apostrofandolo come homuncule. 34 Pompeo GL v 205, 10-12 : nam potest aliquis c a l u m n i a r i tibi : dicit tibi ille ‘quare non dicis cuias, sed cuiàs ? ’ et incipis in a l t e r c a t i o n e m venire. 35 Si tratta con ogni probabilità di nomi ‘parlanti’ : non è improbabile che Virgilio grammatico conoscesse l’etimologia popolare che faceva di Sedulus un nome canonico per uno studioso, quia qui bene studet, diu sedet (etimologia testimoniata ad esempio dal commento all’Ars maior di Donato di Remigio di Auxerre, GL viii 259, 32-33). D’altra parte, anche Regulus si rivela un nome sicuramente ‘professionale’ per un grammatico ! 36 Virgilio grammatico, Epist. 3, 10 p. 242 Polara : De his formis verborum inter Regulum Cappadocem et Sedulum Romanum non minima q u a e s t i o habita est, quae usque ad gladiorum paene conflictum pervenit : quindecim namque noctibus totidemque simulque diebus insomnes et indapes mansere, tribus milibus utrimque
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che Donato sappia spiegare tutto in poche e succinte parole, conferisce alla sua dottrina una dimensione quasi oracolare. Sul fatto di dover spiegare omnia, è il caso invece di dire qualcosa di più, poiché il discorso investe la ‘sostanza’ stessa dell’attività del grammaticus, e la trasformazione della sua figura fra età tardoantica e alto Medioevo. La teorizzazione più chiara al riguardo era stata proposta dal grammatico Eutiche, un discepolo di Prisciano : egli definiva infatti come elemento caratterizzante – direi anzi come fondamento ‘legale’ – della professione grammaticale la ‘necessità’ di rispondere a ogni quesito. 37 Ma già precedentemente, questa stringente necessitas aveva attirato l’ironia di un brillante scrittore di epigrammi 38 che narrava come Valerio Catone fosse stato costretto dai debiti a vendere il suo Tusculanum ; non rispondeva a verità, dunque, che il vecchio e dottissimo grammatico potesse s o l v e r e omnes quaestiones ! Anche Giovenale deplora che il maestro di scuola, persino quando si reca al mercato o alle terme, debba esser costretto a rispondere a pedantesche interrogazioni sul nome della nutrice di Anchise e su quanti anni visse Aceste ; 39 a sua volta, Agostino lamenterà la condizione dei grammatici, che si non responderint quid vocata sit mater Euryali, accusantur inscitiae, mentre non vengono mai imputati di sterile curiosità i loro tormentatori (De ordine 12, 37 : csel 63, p. 173, 20-26). In età carolingia, questa singolare ‘onniscienza’ richiesta ai maestri inquieta non poco Sedulio Scoto, che nel suo commentario al De verbo di Eutiche si pone proprio questo problema : è obbligato il grammatico a sapere tutto, ma proprio tutto, e a rispondere ad ogni domanda dei discepoli ? magari anche quando dorme, quando è somno impeditus ? Il quesito può oggi apparire futile o grottesco : ma Sedulio si impegna tuttavia in una elaborata doppia risposta, in base alla quale ‘sempre’ deve più ragionevolmente essere inteso nel senso di ‘spesso’, ovvero ‘sempre’ indica che il grammatico è ‘legato’ all’obbligo di rispondere in ogni tempo, in ogni generazione. 40 In realtà, non deve stupire che Sedulio Scoto – un
sumptis. Nello stesso autore si può anche notare come Cicerone sia ormai divenuto una figura favolosa e senza tempo, simile a quella che nella nostra Vita diviene deus ex machina della carriera di Donato : hic Cicero inventuosissimus est in omni arte, ut in proverbium veniret aput omnes filosophiae auctores ‘non legit qui non legit Ciceronem’ (Epist. 1, 9 p. 196 Polara). 37 Eutiche, Ars de verbo GL v 447, 5-7 : Cum semper novas q u a e s t i o n e s doctoribus auditorum acutiora commovere solent ingenia […] i n e x c u s a b i l i s quodam modo r e s p o n d e n d i n e c e s s i t a s praeceptoribus i u r e videtur imponi. 38 L’aneddoto è narrato da Svetonio, De gramm. 11, che attribuisce l’epigramma a Furio Bibaculo. 39 Iuv. 7, 229 sgg. … sed vos saevas imponite leges / ut praeceptori verborum regula constet, / ut legat historias, auctores noverit omnes / tamquam digitos suos, ut forte rogatus / dum petit aut thermas aut Phoebi balnea, dicat / nutricem Anchisae, nomen patriamque novercae / Anchemoli, dicat quot Acestes vixerit annis / quot Siculi Phrygibus vini donaverit urnas. 40 Sedulio Scoto in Eutychem, CCcm 40c, 88, 33 sgg. [il testo commentato dal grammatico irlandese, qui evidenziato in maiuscoletto, è quello di Eutiche GL iv 447, 5-7, già citato a nota 37] : Cum semper novas quaestiones et reliqua. Quo pacto discipuli s e m p e r interrogare magistros possunt, cum saltem somno impediantur, perquirendum est. Itaque aut ‘semper’ pro eo quod est ‘saepe’ positum intellegitur et hoc per synecdochen accipiendum, totum videlicet tempus pro parte nominando […] aut certe ‘semper’ pro omni tempore, saeculis videlicet et generationibus, intellegendum […] nulla enim generatio […] in qua non discipuli magistri interrogent. Signanter vero dixit quia quodam modo inexcusabilis necessitas respondendi magistris imponitur . Non enim omni modo, sed ‘quodam modo’ haec necessitas inexcusabilis esse cernitur, cum neque discipuli vi neces
83 per una edizione della vita parodica di donato grammatico forse pressoché coevo all’ignoto redattore della nostra Vita – senta il bisogno di difendere il magister dall’assalto di aggressivi discepoli che intendono ‘estorcergli’ risposte in qualunque ora del giorno e della notte. Fra la scuola di Eutiche e quella di Sedulio corre storicamente un vero e proprio abisso : gli studenti tardoantichi di Eutiche in gran parte aspirano ancora a far propria una cultura linguistica e retorica che darà loro prestigio e visibilità sociale ; per gli scolari di Sedulio Scoto invece la norma grammaticale è soprattutto un tramite, uno strumento : essi cercano la padronanza dei testi sacri per giungere alla rivelazione, ossia chiedono ‘la verità’ : ecco perché le loro domande sono insistenti e accanite, e richiedono risposte altrettanto secche e furibonde, da ascoltare in quel reverente silenzio che ho già definito ‘religioso’ : proprio come quelle che l’iroso magister Donato dispensa al suo impaurito auditorio. In questa luce, anche le interminabili dispute rievocate da Virgilio grammatico non appaiono più del tutto inverosimili : in fondo, sono dispute di stampo teologico, in cui è in gioco la verità dottrinale e ci si divide inesorabilmente tra ‘ortodossi’ ed ‘eretici’. 41
5. Collocazione storico-geografica della ‘Vita Donati’ Per giungere a definire in qualche modo la personalità dell’anonimo ed emettere una prima ipotesi di datazione dell’opera, 42 sembra opportuno tornare ad analizzare quel genus dicendi inusitatum che tanto aveva intrigato Hermann Hagen. Anche l’esame della latinitas dell’anonimo autore della Vita Donati rafforza l’impressione che egli stesso sia un insegnante, o che per ragioni professionali abbia comunque profonda dimestichezza con i procedimenti dell’ars grammatica : non si spiegherebbe altrimenti la sua predilezione per una serie di vocaboli assai desueti, attestati in autori non di comune lettura, che egli poteva conoscere facilmente soltanto attraverso glossari e manuali grammaticali. È il caso di obsonatus (r. 16), attestato in Plauto e nell’arcaizzante Apuleio, e poi quasi soltanto presente nelle artes grammaticali. 43 È il caso di famulitium (r. 39) altro vocabolo desueto, caro ad Apuleio e a Marziano Capella ; ed è ancora il caso di opilio (r. 24), che appartiene al lessico comico – plautino e terenziano – e che al nostro anonimo sarà probabilmente noto ancora attraverso Apuleio, ovvero per suggestione delle
sitatis e x t o r q u e a n t responsum a magistris, sed tantum ‘quodam modo […] necessitas ipsis doctoribus imponitur’ […] ne, si respondendo defecerint, officium magisterii cum erubescentia et ignorantia sibi usurpent. [Sullo stesso argomento si veda anche Anon. ad Cuimn. p. 96 : praeceptori necessitas respondendi u r g e t ]. 41 Donde la necessità di convocare veri e propri concilia super verbi explanatione, come avviene in Virgilio grammatico (Epist. 3, 2, p. 230 Polara). 42 Nessun aiuto viene da Hagen, che sorvola del tutto su questo argomento : solo un rapido accenno in Brugnoli, che vede nell’opera “ un canovaccio di colore scolastico-monastico” (art. cit, p. 294) e ne ricava la “prova, indiretta ma sicura, che all’altezza del ix-x secolo certamente l’Epistula ad Munatium e la Vita Vergilii Suetoniana-Donatiana erano letti in blocco e attribuiti a Donato” (p.295). 43 Al di fuori della commedia, obsonatus appare solo in Apuleio (Apol. 21 vivo gracili lare … levius vestio, minus o b s o n o ; Apol. 29 quis enim ab illis o b s o n a r e audebit, si quidem statuitur omnia e d u l i a quae depenso parantur non cenae, sed magiae desiderari ?), in Tertulliano, ma soprattutto nei grammatici, che lo citano di frequente come esempio di verbo insieme attivo e passivo : vedi ad esempio Pompeo GL v 233, 9 e Prisc. GL ii 393, 11-12.
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Etymologiae di Isidoro di Siviglia (x 200) : opilio custos ovium, quasi ovilio. Ma si noti anche il caso del singolare calamaucus, che all’anonimo sembra provenire da testi ecclesiastici 44 ovvero da glossari, 45 e che sembra alludere a un copricapo specificamente connesso alla iconografia dell’insegnamento. 46 Peraltro, anche il suo stile narrativo aspira ad essere immaginoso e ricercato, trovando facile alimento sia nella magniloquente poesia tardoantica, 47 sia nella semplicità del dettato biblico. 48 Inoltre, già Brugnoli aveva attirato l’attenzione su particolari narrativi che appaiono verosimilmente attinti a testi agiografici, come il particolare del tugurio carice compacto ; 49 posso aggiungere al riguardo che anche una tipica espressione come eius vita et conversatio (r. 5) proviene con ogni probabilità dalla lettura della stessa biografia di un famoso asceta, la Vita Hilarionis di Gerolamo. 50 L’insieme di questi tratti stilistici, il colorito lessicale, i testi messi a frutto, inducono a una collocazione temporale più vicina all’alto Medio Evo che all’età tardoantica, e più precisamente in una ‘forbice’ cronologica che spazia dal vii al ix secolo ; per la collocazione geografica, si potrà ragionevolmente pensare alla Francia del Nord o, più probabilmente, alle abbazie della Loira. 51 La datazione più alta appare meno convincente ma non da escludere : l’anonimo potrebbe essere coevo a Virgilio grammatico, attorno alla metà del vii secolo, e forse legato proprio a determinati tipi di lusus grammaticali diffusi in ambienti di cultura insulare. Ma più verosimile è forse ipotizzare che scriva nel ix secolo e che la sua cerchia intellettuale sia quella di Pietro da Pisa, di Paolo Diacono, di Alcuino ; o che appartenga piuttosto a quella generazione, di poco posteriore, che annovera altri valenti insegnanti, dotati di dottrina e di curiositas, come Martino di Laon o Remigio di Auxerre. Di
44 Cassiodoro Hist. trip. 7, 16 Eusebius Samosatenus episcopus […] habitu militari sumpto et c a l a m a t o caput operiens, Syriam peragrabat ; Beda De tabernaculo (CCsl 119 A, p. 117, 948) super caput autem gestat pilleum in modum parvuli c a l a m a u c i. 45 Nella forma maschile calamaucus vd. Gloss. iv 198, 12, in quella neutra iv 553, 25 ; nella forma calamancus vd. Gloss. v 600, 30, sempre chiosato come pilleum o galerus. Si tratterebbe dunque di un copricapo appuntito, sorta di ‘berretto frigio’, che nel Medio Evo diverrà il prototipo della tiara ecclesiastica e del kamhlauvkion (kamhlauvki, kalimauvki) usato ancora in tempi recenti dal clero greco. 46 In un disegno presente nel codice Firenze, Bibl. Laurenziana, S. Marco 190, f. 47v (sec. xii), la Retorica appare in “ricche vesti con velo e c a m a l e u c o”, secondo la descrizione (a firma di G. Lazzi) pubblicata in Vedere i classici. L’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età romana al tardo Medioevo, a cura di M. Buonocore, Città del Vaticano 1966, p. 214-215, fig. 127. 47 Si possono notare ad esempio iuncturae di solenne stampo poetico come solo canente pruina, r. 14, verosimilmente ispirate all’anonimo dai testi di Ausonio, p. 361, 13 Peiper rara p r u i n o s i s c a n e b a t gemma frutetis o di Claudiano, Epith. Honorio Aug. 10, 52 hunc neque c a n e n t e s audent vestire p r u i n a e. 48 Nell’espressione pauperculo conductus peculio sembra difficile non ravvisare l’eco di una famosa similitudine biblica : simile est enim regnum caelorum homini patri familias qui exiit primo mane c o n d u c e r e operarios in vineam suam (Mt 20, 16). 49 Hier. Vita Hilarionis 9 : Igitur a sexto decimo usque ad vicesimum suae aetatis annum a e s t u s et pluvias brevi t u g u r i u n c u l o declinavit, quod iunco et c a r i c e texuerat […] ut sepulcrum potius quam domum crederes. 50 Hier. Vita Hilarionis 1 : mihi tanti viri c o n v e r s a t i o v i t a q u e dicenda est ; per un exemplum piae conversationis riferito al papa Leone IV, si veda altresì il passo citato supra, n. 22. 51 Il luogo in cui P fu redatto non è definibile con certezza : sicuramente appartenne per un certo periodo alla biblioteca di Fleury-sur-Loire : vd. M. Mostert, The Library of Fleury. A Provisional List of Manuscripts, Hilversum 1989, p. 220.
85 per una edizione della vita parodica di donato certo, conosce le leggi della parodia e le sa maneggiare con sottile ironia, e nel costruire il suo pastiche linguistico rivela doti non comuni : merita insomma da parte nostra una certa dose di interesse e forse anche di divertita ammirazione. Se poi, oltre a conoscere perfettamente la lettera prefatoria premessa alla Vita virgiliana di Donato, il nostro anonimo parodista fu anche uno di quei fortunati personaggi che ebbero l’occasione di leggere integralmente il commento vigiliano di Donato, 52 questa sarebbe un’altra buona ragione per nutrire nei suoi confronti anche un pizzico d’invidia…
P. S. Solo quando l’articolo era già in stampa ho potuto prender conoscenza dell’articolo di H. Silvestre, Notes sur la “Vita Evracli” de Renier de Saint-Laurent, “Revue d’Histoire Ecclésiastique” 44, 1949, 30-86. Nell’ampio contributo dello studioso belga, alcune pagine (69-74) sono dedicate proprio alla nostra Vita Donati, in quanto sicuramente nota all’autore della Vita Evracli : Renier de Saint-Laurent, un agiografo del xii secolo, contrappone infatti la pazienza e la disponibilità pedagogica del personaggio di cui compila la biografia, qui non exspectabat interrogari sed insistebat quo interrogaretur, all’irosa misantropia del magister Donato, da lui definito obscenis […] tam membris quam moribus e descritto pressoché ad litteram con le parole inequivocabili di ‘Fl. Rebio’ : dicebat breviter omnia et furibunde, ita ut nec a discipulis auderet interrogari. Nella Vita Donati, Silvestre coglie “une série de détails burlesques et evidemments fictifs sur les moeurs du célèbre grammairien antique” – fra i quali annovera tuttavia, in conseguenza di un evidente lapsus memoriae, il particolare di un “cadavre jeté au Tibre”, del tutto ignoto alla Vita Donati – e delinea la personalità del suo autore con queste parole : “l’auteur est sans doute un clerc facétieux qui, au souvenir de larmes verseés pendant sa jeunesse sur sa grammaire latine, aura voulu épancher sa bîle, de bien innocente façon du reste, en brossant un portrait bouffon et caricaturel du maître de S. Jerôme » (pp. 72-73).
52 Sulla possibile sopravvivenza di sezioni del commento virgiliano di Donato nel secolo ix, utile messa a punto in J. J. Savage, Was the commentary on Virgil extant in the ninth century ?, “Classical Philology” 26, 1931, 405-411.
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custos latini sermonis Appendice
per una edizione della vita parodica di donato
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A NCOR A SUL ‘DONATO FUR IOSO’
I
n tempi recenti, ho avuto occasione di dedicare un articolo alla Vita Donati grammatici, un testo singolare e per molti versi enigmatico : 1 sia per l’obbiettiva difficoltà di cogliere quella che i commentatori medievali avrebbero definito intentio auctoris (biografia ‘dissacratoria’ ? parodia delle Vitae dei santi ? puro divertissement letterario ?), sia per l’indubbio interesse offerto dalla sua peculiare latinitas, sia per la non facile datazione e collocazione geografica. 2 Alcune nuove ricerche, le preziose suggestioni di numerosi colleghi e, non ultima, la possibilità di consultare in fotografia il manoscritto di Kassel, 3 sinora non messo a frutto dagli studiosi, mi permettono di raccogliere ora una serie di ulteriori note di commento che, sia pure in maniera cursoria e non sistematica, spero possano essere utili a fornire nuova luce su questo singolare ‘ritratto maccheronico’ del grammatico Donato. 4
1. Il nuovo manoscritto della Vita Donati Già il più recente editore del nostro testo, Giorgio Brugnoli, aveva segnalato la presenza della Vita Donati in un codice della città tedesca di Kassel, senza però utilizzarlo per il suo testo critico. Può dunque essere utile fornire qualche chiarimento relativo a questo nuovo testimone. Il codice, prodotto presso l’abbazia di Fulda, è oggi conservato presso la Landesbibliothek und Murhardsche Bibliothek der Stadt Kassel, con la segnatura 4° Mss. philol. 1 : una succinta descrizione è offerta da un catalogo del 1930, 5 che pone la datazione al sec. xi ; non escluderei tuttavia che tale datazione possa essere anticipata al sec. x, ma questa ipotesi richiederebbe un più approfondito esame del manoscritto, che indicherò d’ora in poi con la sigla K. Il testo della Vita Donati – che, a differenza del codice parigino (d’ora in poi P) non appare preceduto dal titulus, ossia Incipit Vita Donati grammatici – si legge al f. 1r [vedi fig. 2], e costituisce dunque la sezione iniziale di K : come si è già visto, l’incipit, ossia Flaccus Rebius Minutio Rotilo salutem, corrisponde all’intestazione tipica di una epistola missoria – chiaramente esemplata su quella che apre la Vita Vergilii attribuita a Dona
1 “Incontri Triestini di Filologia Classica” 3, 2003-2004, pp. 261-277. Rinvio a questo articolo [ supra, pp. 73-87] per le informazioni fondamentali sul testo, per un rapido quadro della tradizione manoscritta e per alcune ipotesi di interpretazione e di datazione. 2 L’edizione più soddisfacente resta al momento quella del compianto G. Brugnoli, apparsa nel “Giornale Italiano di Filologia” 48, 1989, pp. 291-295, che per comodità si trova anche riprodotta in appendice al mio già citato articolo [supra, pp. 86-87] : una nuova edizione della Vita Donati è attesa sulle pagine dello stesso “Giornale”, a cura di una valente allieva di Brugnoli, Silvia Conte [vedi ora S. Conte, Vita Donati grammatici : testo, trasmissione e milieu culturale, “Giornale italiano di Filologia” 57, 2005, 285-311, che rielabora l’edizione Brugnoli e offre numerosi e pregevoli spunti esegetici]. 3 Ho potuto disporre di diverse fotografie, per le quali sono debitore alla cortesia dei colleghi Fabio Stok e Lucio Cristante. 4 Tale è la gustosa definizione che del testo in questione offre Holtz, Donat 318 n. 7. 5 Die Landesbibliothek Kassel 1580-1930, her. von W. Hopf, ii, Marburg 1930, pp. 17-18 : “die Herkunft aus der alten Fuldaer Benediktiner-bibliothek ist unzweifelhaft”.
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to 6 – e già da queste prime righe la testimonianza di K appare preziosa, in quanto conferma che l’abbreviazione Fl presente in P debba sciogliersi per l’appunto in Flaccus. 7 Tralasciando per il momento l’esame minuto delle varianti testuali, su cui ci soffermeremo infra, il testo di K si distingue da quello di P in almeno tre punti sostanziali : a) è omesso l’inciso huic operae pretium infetigatum promulgare labor est (rr. 9-10 dell’edizione Brugnoli), alquanto farraginoso nella costruzione della frase ; b) ad aggressus est (r. 22) seguono le parole quod dicitur latine (r. 23) : sono dunque del tutto assenti le presunte e poco comprensibili parole vergate in alfabeto greco in P, nelle quali sarebbe racchiuso l’insulto rivolto da un ignoto personaggio a Donato, definito ‘rustico pastore di poche pecore’ e per questo drasticamente invitato a tacere ; c) manca del tutto anche il quadretto finale del ‘Donato furioso’ che, calamauco caput fovens, di fronte a una platea di alunni atterriti breviter omnia et furibunde explicabat, e così pure le notizie finali sulla caduta in disgrazia del magister, scacciato dal Senato e finito in schiavitù cuiusdam macellarii, nonché sulla sua ignobile sepoltura in una fossa comune quo peregrini aggregabantur. In K il testo della Vita termina infatti con la descrizione per singula membra di Donato, e precisamente con le parole omni habitu seruo consimilis (r. 35). Alla Vita segue, nello stesso f. 1r, un ampio commento all’ars minor di Donato, preceduto da un titulus assai evanido, ma che mi sembra di poter leggere nella forma, assai diffusa in consimili commentari grammaticali di età carolingia, Incipit ars [o forse aed] prima Donati grammatici urbis Romae. Trascrivo qui, a mo’ di esempio, le prime righe del trattato :
Iste titulus varie et dissimiliter invenitur, in quibusdam enim codicibus ‘ars’, in aliis vero ‘edicio’ invenitur ; quocirca necesse est ut iuxta positionem loci utrumque exponatur. ‘Titulus’ dicitur a Titane, 8 idest a sole ; nam ut sol inluminat quaeque oscura, sic titulus libri sequentia. Dicitur ‘titulus’ etiam helencus a greco, quod est helios idest sol. ‘Incipit’ compositum est ex integro et corrupto, scilicet ex ‘in’ prepositione et verbo ‘capio’ quod corrumpitur ; dicitur ‘incipit’ quasi ‘incapit’ […].
Il commento inizia dunque con un tipico esercizio di ‘merismo’, ossia con la minuziosa analisi grammaticale di ciascuna parola del titulus ; 9 segue la canonica serie delle tre domande circa locus, tempus, persona 10 e l’altrettanto canonica citazio
6 Che si apre con l’intestazione Ael. (così l’editore, ma il codice ha FL) Donatus L. Munatio suo salutem : rinvio all’edizione curata da C. Hardie in Vitae Vergilianae antiquae, Oxonii 1957, p. 1. 7 Ne esce consolidata l’ipotesi di Brugnoli che l’ignoto autore del testo ‘giocasse’ col nome dell’erudito Verrio Flacco, trasformato in ‘Flacco Rebio (Revio ?)’. 8 L’equivalenza Titan / sol è assai frequente nella tradizione glossografica altomedievale, e trae verosimilmente origine da un passo delle diffusissime Etymologiae di Isidoro di Siviglia (viii 11, 53) : Apollinem, quamvis divinatorem et medicum vellent, ipsum tamen etiam Solem dixerunt, quasi solum. Ipsum Titan, quasi unum ex Titanis, qui adversus Iovem non fecit […]. 9 Vengono progressivamente presi in esame i vocaboli incipit, ars, editio – quest’ultimo in quanto alternativo ad ars – prima, grammaticus, urbs, Roma, il che mi sembra confermare la lettura del titulus precedentemente ipotizzata. 10 K, f. 2r : Sciendum autem quia in titulo t r i a requiri solent : persona, locus et tempus. Persona igitur est
ancora sul ‘donato furioso’
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Fig. 2. Foglio 1r del manoscritto Kassel, Landesbibliothek und Murhardsche Bibliothek der Stadt, philol. 4° 1. Subito dopo il testo della Vita Donati - inc. Flaccus Rebius Minutio Rotilo sal.- inizia, preceduto da un titolo rubricato e largamente evanido, un commento a Donato da attribuire a Remy d’Auxerre, inc. Iste titulus varie et dissimiliter invenitur: in quibusdam enim codicibus ‘ars’, in aliis vero ‘edicio’ invenitur, nella cui riga iniziale si possono individuare due abbreviazioni di origine ‘insulare’, e precisamente et in forma di 7 e enim in forma di H.
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ne del Chronicon di S. Gerolamo circa il floruit di Donato, definito praeceptor meus. 11 La sezione iniziale del trattato si conforma dunque allo schema classico degli accessus a Donato di età carolingia : si possono utilmente confrontare la cosiddetta ars Laureshamensis, il commento a Donato di Murethac e quello curato da Sedulio Scoto, 12 nonché il trattato Quae sunt 13 e altri commenti coevi ancora inediti. 14 Non è difficile riconoscere nel testo presente in K una versione del commento all’ars minor di Donato di Remy d’Auxerre – pubblicato all’inizio del secolo scorso da W. Fox 15 – non dissimile, in particolare, dalla redazione offerta dai codici che Fox riunisce sotto la sigla z e che, a suo parere, “textum amplificatum exhibent”. È interessante notare come l’ambivalenza di cui si è già più volte parlato per la Vita Donati – un testo al contempo serio e scherzoso, che unisce insieme, in un enigmatico mélange, sia topiche del tutto consone al genere biografico sia numerosi dettagli che appaiono partoriti da una sbrigliata fantasia e inseriti al solo scopo di provocare il sorriso dell’uditorio – sia in qualche modo ribadita dalla posizione che il testo della Vita assume nei due manoscritti di Parigi e di Kassel. In P – che si presenta come un’ampia miscellanea scolastica di testi retorici (Fortunaziano), dottrinali (Boezio, Mario Vittorino, Beda) e metrico-grammaticali (De centum metris di Servio ; trattatello De metris Boethii ; glosae al Prisciano maior, ivi compresi i libri finali de constructione) – il testo della Vita costituisce sostanzialmente un ‘corpo estraneo’ , in quanto appare vergato da mano diversa, e forse più tarda, approfittando di uno spazio rimasto libero nella parte bassa del foglio 39v : l’impressione è che un ignoto scriba abbia voluto trascrivere qui, a mo’ di riempitivo, un breve testo scherzoso, un divertissement faceto e irriverente nei confronti dell’intera categoria dei grammatici. Diversamente in K – un corpus esclusivamente grammaticale – la collocazione del nostro testo appare tutt’altro che scherzosa o irriverente, ma ispirata piuttosto a un preciso programma didattico : la biografia di Donato – che qui sembra intesa in senso nient’affatto parodico – è convenientemente disposta in testa a un commentario donatiano, che racchiude nell’accessus iniziale, come si è visto, ulteriori dati cronologici sull’antico grammatico. Ma quale delle versioni della Vita che ci vengono testimoniate dai due codici è quella originaria ? Si deve ipotizzare che sia
Donatus, locus Roma, tempus reliquit ut lectorem acueret inquirendo. Per la presenza canonica della ‘triade’ introduttiva locus, tempus, persona negli accessus di testi grammaticali e nell’esegesi biblica, rinvio al mio Mult. Latinitas, pp. 41-43 [vedi anche supra, pp. 24-25]. 11 K, f. 2r : Repertum est autem a studiosis Donatum fuisse regnantibus Constante et Constantio : quod beatus Hieronimus in catalagi (sic), idest in superscriptione virorum illustrium, ostendit dicens temporibus Constantis et Constantii, filiorum magni Constantini, quo ‘Victorinus rethor et Donatus grammaticus praeceptor meus insignes Rome habentur’ : cf. Euseb.-Hier. Chronicon p. 239, 12-13 Helm. 12 Laur. pp. 3-4 ; Sed. min. 4-6 ; Mur. 3-4. 13 Recentemente edito nel mio Mult. Latinitas, in particolare pp. 17-19 e relativo commento, 40-52. 14 Ad esempio i commenti a Donato presenti nel codice Barcelona, Ripoll 46 : ampi estratti sono stati pubblicati da Jeudy, Ripoll, in particolare pp. 59-61 e 66-67. 15 Remigii Autissiodorensis In artem Donati minorem commentum, ad fidem codicum mss. ed. W. Fox, Lipsiae 1902. Questo ampio commentario a Donato, frutto dell’indefessa capacità di studio di uno dei più importanti magistri carolini, meriterebbe nuove cure editoriali e un commento specifico.
93 ancora sul ‘donato furioso’ stato lo scriba ‘faceto’ di P ad ampliare e rendere più gustosa una stesura simile a quella fornita da K, ‘inventando’ di suo pugno sia quello che ho già definito un ‘clamoroso guazzabuglio di lettere greche’ sia la sezione finale (non presente in K), ove i particolari più vergognosi – accenno alla obscenitas di Donato, espulsione dal Senato, caduta in schiavitù e sepoltura in una fossa comune – si accumulano, suggellati dalla significativa chiosa plura pudet referre ? O si deve piuttosto pensare che sia stato l’anonimo compilatore di K, ansioso di ribadire la collocazione ‘seria’ della Vita Donati in testa al suo corpus grammaticale, a omettere ciò che non gli era perfettamente chiaro 16 e a ‘censurare’ i dettagli biografici più sconvenienti ? Si tratta di una good question, che allo stato delle nostre conoscenze su questo testo è probabilmente destinata a rimanere senza risposta.
2. La costituzione del testo Il codice di Kassel offre un buon contributo a una migliore comprensione del testo. Faccio qui seguire una serie di osservazioni, sempre riferendomi al testo e alla numerazione delle righe dell’edizione Brugnoli : r. 4, tibique obtuli legendam ; la variante di K , ad legendum, appare preferibile : P ha legendum, legendam era correzione del Fabricius, mantenuta da Brugnoli ; r. 8 : Hagen stampava capellas paucinumero pascendas excepit, Brugnoli capellas pascendas excepit, in quanto in P paucinumero appare trascritto in margine. Nel mio precedente articolo avevo osservato come la menzione della modesta entità del gregge curato dal giovane Donato non fosse del tutto irrilevante in questo contesto, e proponevo di leggere paucas numero ; conferma ora questa ipotesi il testo di K, che ha capellas paucas numero pascendas excepit ; r. 11, aestu calente : K mostra la variante difficilior, e probabilmente poziore, squalente ; r. 18, partim teterrima partim rufa induebatur pelicia ; K legge deterrima e pellicula ; nel primo caso sembra preferibile la lezione di P, nel secondo caso siamo di fronte a lezioni sostanzialmente equivalenti ; r. 21 : avevo a suo tempo proposto di leggere na[c]ta cavillatione ; nata cavillatione è ora la lezione fornita da K ; r. 25 : maturato rediens Fabricius, Hagen ; maturato Romam adiens Brugnoli, sulla base di una congettura non necessaria del Pithou ; P ha maturato r…diens, mentre K tramanda quella che mi sembra, a questo punto, la lezione genuina : maturato regrediens ; r. 25 : discendae p e r i t i a e studens, già in P, è confermato da K ; r. 25 : aedili innotuit Ciceroni : sia P che K leggono edili. Già nel mio precedente articolo avevo notato (supra, p. 80) la singolarità della qualifica di Cicerone come magistrato edile – a mia conoscenza ignota anche alla tradizione storiografica – anziché come orator o consul, definizioni senza dubbio più note ai maestri di scuola dell’alto Medioevo. Da allora mi sono convinto che non si possa in alcun modo
16 Si noti che il compilatore di K mostra una qualche conoscenza del greco, a giudicare dalla peculiare grafia c un cro non (r. 7), poi evidenziata, forse da altra mano, nel margine sinistro [vedi fig. 2].
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intendere edili, e che il testo sia corrotto in entrambi i codici. Ho provato quindi a congetturare et ibi e poi ancora et ili ; ora l’amico e collega Antonio Martina mi suggerisce una congettura brillante e forse ancor più ‘economica’, et illi : nel senso, ovviamente, che Donato divenne ben presto ‘noto a quel famoso Cicerone’ ; r. 27 : K concorda con P nella lezione hominem exiuit, che sarà a questo punto da preferire al congetturale hominem exuit di Hagen. Proprio hominem exire, d’altra parte, è una delle iuncturae consigliate da un magister altomedievale in un testo di esercitazione alla parafrasi retorica, che leggo nel codice Vatic. Ottob. lat. 1354, f. 94r (xi sec., Montecassino) : Mortuus est ; uiam uniuerse carnis intrauit ; extremum spiritum exalauit ; carnea est egressus ergastula ; diem clausit extremum ; uenit ad mortem ; mortem obiit ; hominem exiuit, etc ; 17 r. 28 : a Cicerone ordinatus, sextum in senatu subiit locum ; la lezione attestata da K, o r d i n a t i m a Cicerone sextum subiit locum, appare sicuramente preferibile nel contesto ; r. 31, capillis admodum raris et sabiosis : scabiosis di K (già proposto da Pierre Daniel a margine del codice miscellaneo – oggi Bern, Burgerbibliothek 189 – in cui aveva trascritto da P la Vita Donati) risulta sicuramente poziore, data l’evidente intenzione dell’ignoto compilatore della Vita di arricchire la già vivace descrizione dell’aspetto fisico di Donato (i piedi enormi, le braccia corte, la testa perfettamente tonda in modum vesicae porci) con alcuni dettagli che definirei clinico-patologici : infatti oltre che per i capelli scabiosis atque melancolico 18 humore madentibus, Donato si distingue altresì per essere luscus da un occhio, lippus dall’altro [come il personaggio descritto in un epigramma di Marziale : 6, 78, 2] ; r. 33, collo gracili et grosso : nella lezione offerta da P sembra nascondersi una evidente contraddizione ; meglio quindi dar fiducia a collo breui et crasso di K, che aggiunge un ultimo tocco fisiognomico alle fattezze non proprio apollinee dell’antico grammaticus urbis Romae ; r. 35 : nel precedente articolo avevo proposto di leggere omni habitudine servo consimilis, anziché omnia habitudine etc. secondo P ; anche questa ipotesi sembra ora confortata da K, che legge omni habitu servo consimilis. Habitu è verosimilmente da preferire a habitudine di P, poiché lo stesso paragrafo si apre con le parole Igitur quia h a b i t u m corporis eius breviter perstrinximus …
3. Fonti e stile della trattazione Giorgio Brugnoli aveva giustamente attirato l’attenzione sulla Vita Vergilii di Svetonio-Donato come verosimile modello del nostro testo. Personalmente ritengo ipotizzabile che anche l’insieme delle biografie raccolte nel De grammaticis dello stesso Svetonio possa aver fornito spunti utili all’ignoto, ma sicuramente colto, 17 [ Due esempi assai simili di esercitazioni scolastiche alla parafrasi retorica, verosimilmente destinate a predicatori, sono costituiti dai brevi testi Obtrectant tibi homines e Moriturus es, che ho pubblicato in Litt. legitera, pp. 153-170 ]. 18 Melancolico è la lezione di K, da preferire a melanconico di P. Melancholico era già stato proposto congetturalmente dai precedenti editori Fabricius e Hagen.
95 ancora sul ‘donato furioso’ compilatore della Vita Donati. La condizione servile di Donato, in gioventù modicarum opilio ovium, corrisponde a quella di molti grammatici di età classica : Epicado fu liberto di Silla, Leneo di Pompeo Magno, Igino di Augusto. Il mirabolante incontro di Donato con Cicerone ( !), avvenuto al suo rientro a Roma dopo gli anni trascorsi in miseria come umile pastore, 19 potrebbe ad esempio essere ispirato a un passo della biografia del plagosus Orbilius di oraziana memoria : Orbilius Pupillus Beneventanus […] professus diu in patria, quinquagesimo demum anno Romam consule C i c e r o n e transiit docuitque maiore fama quam emolumento ; 20 mentre il particolare che l’adolescente Donato fosse costretto a pascere il modesto gregge cuiusdam viduae potrebbe avere la sua origine in un consimile passo della biografia del vicentino Remmio Palemone : m u l i e r i s verna primo, ut ferunt, textrinum, deinde, erilem filium dum comitatur in scholam, litteras didicit. Postea m a n u m i ss u s docuit Romae […] quamquam infamis omnibus vitiis. 21 Infine, per quanto riguarda l’iracondia e la superbia propria dei grammatici, basterà citare M. Pomponio Marcello sermonis latini exactor molestissimus, che osa dire all’imperatore Tiberio Tu enim, Caesar, civitatem potes dare hominibus, verba non potes ; come pure il già citato Remmio Palemone, che adrogantia fuit tanta ut M. Varronem porcum appellaret, secum et natas et morituras litteras iactaret, nomen suum in Bucolicis non temere positum sed presagante Vergilio fore quandoque omnium poetarum ac poematum Palaemonem iudicem. Alquanto enigmatico permane il passo della Vita Donati in cui si parla di un giuramento non ben specificato, in virtù del quale Donato perse un occhio, 22 ut peculatus aboleret infamiam (rr. 20-21). Mi domando se non agisca in questo caso – sia pure in maniera paradossale – una reminiscenza cristiana, e per l’esattezza un episodio narrato nelle biografie dell’evangelista Marco : pressato da continue richieste, egli avrebbe preferito amputarsi un pollice, perdendo così l’integrità fisica richiesta ai sacerdoti dal rigido culto ebraico. 23 Su questa falsariga, se l’altro
19 La manumissio di Donato avviene in effetti ad opera di Cicerone, a quo toga donatus est, quod erat signum libertatis : se cognizioni alquanto modeste di cronologia e di storia romana permettono al nostro autore di far incontrare Donato e Cicerone, non stupisce che il rituale della toga virilis possa vagamente sovrapporsi a quello della manumissio. Peraltro le Explanationes in Donatum attribuite a ‘Sergio’ ci testimoniano che il grammatico Tirannione ottenne contemporaneamente dal suo dominus la manumissio e il diritto di cittadinanza : Tyrannion vero Amisenus, quem Lucullus Mithridatico bello captum Lucio Murenae concessit, a quo ille libertate simul et civitate d o n a t u s est (GL iv 529, 10-11). 20 Qui e infra cito dall’edizione teubneriana del De grammaticis curata da G. Brugnoli, Lipsiae 1963. 21 Anche la non ben specificata obscenitas imputata all’antico grammatico nella Vita Donati potrebbe trarre spunto dagli sconvenienti comportamenti sessuali attribuiti a Remmio Palemone da Svetonio, in particolare la famigerata infamia oris, su cui vedi la messa a punto ancora di G. Brugnoli, Studi sulle Differentiae verborum, Roma 1955, pp. 97-99 n. 2. Alcuni colleghi mi suggeriscono tuttavia che la obscenitas che al grammatico romano a naso defluebat assidua (così P : in K manca questa sezione del testo) può realisticamente essere intesa come ‘muco nasale’ : si tratterebbe in questo caso di un ulteriore tocco a un ritratto ‘paradossale’, già caratterizzato da una dovizia di particolari espressionistici. 22 Donato potrebbe esser divenuto orbus proprio in reminiscenza di O r b i l i o Pupillo, così avvezzo a maneggiare ferulam e scuticam nei confronti dei suoi alunni ? La suggestione mi giunge a margine di un divertente colloquio sulla Vita Donati con l’amico Maurizio Bettini, che ringrazio. 23 Denique amputasse sibi post fidem pollicem dicitur, ut sacerdotio reprobus haberetur (PL 103, 280, col commento di Sedulio Scoto, Explanatiuncula in argumentum secundum Marcum, ibid. 284 : mos fuerat Hebraici populi ut nullus, inhonestam habens in corpore maculam, ad sacerdotium perveniret).
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evangelista Matteo era stato simbolicamente donatus, ossia arricchito di ogni dono divino, 24 in via più prosaica – o più probabilmente parodica – il princeps grammaticorum Donato risulta nel nostro testo donatus toga dall’illustre Cicerone. Ho già avuto occasione di notare, nell’anonimo estensore della Vita Donati, una sicura conoscenza delle regole di composizione e della topica propria del genere biografico. A chiusura di questo contributo, mi sembra utile raccogliere qui di seguito alcune annotazioni al riguardo e un certo numero di loci similes, che potranno forse contribuire ad chiarire meglio il contesto dell’opera e a fornire spunti ulteriori per una più precisa collocazione cronologica : r. 3, rogatus a consodalibus. Sulla falsariga della Vita Donati si muove ad esempio il grammatico Sedulio Scoto, che nel suo commento in Eutychem afferma di aver redatto il suo trattato rogatu fratrum. 25 Su consimili committenze si soffermano anche testi di esegesi biblica, come il trattato Pauca de libris catholicorum scriptorum in evangelia excerpta, forse del vii-viii secolo : Marcus vero, Petri discipulus, iuxta quod Petrum audierat Romae, rogatus a fratribus brevi scripsit evangelium 26 […] Iohannes rogatus ab Asie episcopis evangelium scripsit ad hereticos. 27 Che tali indicazioni compaiano assai spesso anche nel genere biografico di epoca altomedievale, lo dimostra sia una Vita Vergilii, che ricorda come il poeta mantovano scripsit Bucolica rogatu consulum quorundam, per quos in sede suas et in agros rediit, 28 sia la Vita S. Cuthberti di Beda : sciat autem sanctitas vestra quia vitam eiusdem […] quam vobis prosa editam dedi, aliquanto quidem brevius sed eodem tandem ordine, rogantibus quibusdam e nostris fratribus, heroicis dudum versibus edidi ; 29 r. 5, eius vita et conversatio : si tratta di una iunctura canonica nelle biografie ecclesiastiche, a partire dalla Vita Hilarionis di Gerolamo (cap. 1, mihi tanti viri conversatio vitaque dicenda est) e da Rufino, apol. Orig. 1 (praemia bonae conversationis et vitae) sino alla già citata Vita Cuthberti di Beda (p. 142, diligenter exordium, progressum et terminum gloriosissimae conversationis ac vitae illius ab his qui noverant investigans) ; rr. 6-7, grammaticae professionis industria claruit sinkronos (così P : CYNCRONON K), ut fertur, rhetoris Victorini. Per l’uso peculiare di suvgkrono~, è degno di inte
24 Che il nomen/omen di Matteo significasse donatus in lingua ebraica, è dottrina comune nei commentari evangelici, divulgata in particolare da Isidoro di Siviglia, Etym. 7, 9, 17 : Matthaeus in hebraeo donatus exprimitur. Si veda altresì il commentario biblico edito da R.E. Mc Nally nel “Corpus Christianorum”, ser. latina 108 B, p. 214 : cur dicitur donatus ? Ideo quia donauit ei Deus viii idest divitias, nonché il commento al vangelo di Matteo di Sedulio Scoto : Mattheus Ebraicum nomen est, dirivatum a nomine quod est ‘mattha’ quod interpretatur ‘donum’ ; unde Mattheus ‘donatus’ dicitur, quod ei donatum est ut non solum apostolus, sed et primus evangelista esset : cito da B. Löfstedt, Sedulius Scottus Kommentar zum Evangelium nach Matthäus (Vetus Latina : Die Reste der altlateinischen Bibel, 14), Freiburg 1989, p. 14. 25 Corpus Christianorum, cont. mediaevalis 40 C, p. 87, 13. 26 La notizia è attinta al De viris illustribus di Gerolamo, cap. 8 : Marcus discipulus et interpres Petri […] r o g a t u s Romae a fratribus, breve scripsit evangelium. 27 Corpus Christianorum, ser. latina 108 B (Scriptores Hiberniae minores I, ed. R.E. Mc Nally), p. 216. 28 Si tratta della cosiddetta Vita Philargyriana I, di non sicura datazione ma verosimilmente coeva della Vita Donati : la cito da I. Brummer, Vitae Vergilianae, Lipsiae 1912, p. 179. Su questa edizione teubneriana si tenga presente il secco giudizio di R. Sabbadini in “Rivista di Filologia e Istr. Classica” 41, 1913, p. 425 : “si sarebbe desiderato che l’editore fosse più preparato all’arduo argomento”. 29 Two Lives of Saint Cuthbert. A Life by an anonymous Monk of Lindisfarne and Bede’s prose Life : texts, translations and notes by B. Colgrave, Cambridge 1940, p. 146.
97 ancora sul ‘donato furioso’ resse il riscontro fornito dal brevissimo accessus che nel codice Paris, Bibl. Nationale, lat. 7581 – secolo IX2, prodotto a Fleury-sur-Loire secondo B. Bischoff – precede immediatamente (f. 47v, alia manus) il commento a Prisciano, Institutio de nomine et pronomine et verbo curato da Remy d’Auxerre : Priscianus iste s i n c r on o n fuit Euticio grammatico et Cassiodoro espositori Psalmorum, Aratorique subdiacono, beato quoque Benedicto regule monachorum auctori. Iohannes vero Scottus longe fuit post istos. Remigii expositio super Priscianum ; 30 r. 9, septa sibi ab urbe miliario secundo vindicans. Come già accennato nel mio precedente articolo [supra, p. 79] l’indicazione del miliarium ricorre con cospicua frequenza nelle biografie di poeti e uomini di lettere, per definire il luogo di nascita o di sepoltura, e si estende ben presto alle biografie di stampo ecclesiastico. Ad esempio, nel Liber de ortu et obitu patrum – opera tradizionalmente attribuito a Isidoro di Siviglia, ma verosimilmente prodotta verso la metà dell’viii secolo in ambiente di cultura irlandese, forse nel circolo del vescovo Arnone di Salisburgo, frutto comunque di un milieu culturalmente e cronologicamente compatibile col nostro testo – il luogo di sepoltura dell’apostolo Paolo è minuziosamente determinato Romae in via Ostiensi […] tertio ab urbe milliario (PL 83, 150 C) ; rr. 22-23 : la sequenza di lettere dell’alfabeto greco, trascritte solo in P e prive di un senso immediatamente percepibile, è stata correttamente posta fra cruces desperationis da Brugnoli, e costituisce uno dei più gustosi ‘enigmi’ della Vita Donati. In K appaiono omesse, ma la presenza di una frase in greco sembra tuttavia funzionale al contesto, visto che se ne offre poi una traduzione latina : quod dicitur latine ‘Cede loco, rustice modicarum opilio ovium’. L’ignoto autore della Vita potrebbe aver tentato di trascrivere – con risultati sicuramente modesti – qualche parola in greco ascoltata in una non ben specificata occasione, o a lui parzialmente nota, 31 allo scopo di ‘nobilitare’ il suo testo con l’autorevole presenza di una delle tres linguae sacrae. Anche la poesia carolingia fa uso, con le stesse finalità, di sporadiche sequenze di vocaboli greci : cito ad esempio un carme – edito in MGH, Poet. 3, pp. 255-57, vv. 95-99 – in cui si celebra Carlo il Calvo per l’offerta di una preziosa Bibbia : 32 Ergo nec hunc David nec Iob magis esse probatos / apparet plane pro te nec plura tulisse / quanta tuus Karolus mitis, pius atque benignus / nhfaleoc (nefraleos cod.) fronimoc c poudaioc kai de dikaioc ; come si vede, l’elogio di Carlo termina con una solenne serie di epiteti in greco, la cui traduzione latina è trascritta nell’interlinea : sobrius sapiens fortis atque iustus. Si può anche ipotizzare, tuttavia, che il nostro autore conoscesse del greco soltanto la forma di alcune lettere, e che le abbia indiscriminatamente accumulate in un insieme del tutto casuale, soltanto
30 Cito da C. Jeudy, L’Institutio de nomine, pronomine et verbo de Priscien. Manuscrits et commentaires médiévaux, « Revue d’Histoire des Textes » 2, 1972, p. 74. 31 Sia che gli errori di trascrizione risalgano all’autore stesso, sia che che la loro origine debba ricercarsi nell’avvicendarsi di numerosi copisti totalmente inesperti di greco, sembra si possano riconoscere – come mi suggerisce l’amico Antonio Martina – alcune parole greche assai deformate, ad esempio wkswn per o{sswn, amwn per hJmw`n, pou~ per povda : con una certa dose di fantasia si potrebbe forse ricostruire una frase del tipo “porta via dai miei occhi il tuo piede, o pastore di greggi non principesche”. 32 La ricerca di uno stile elevato è connotata da numerosi grecismi fin dal titolo del carme : B i b l or u m seriem Karolus rex inclitus istam contexit c h r y s o , corde colens c a t h a r o.
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per conferire una patina di colta letterarietà al suo testo. Ciò non doveva essere estraneo alle abitudini dell’alto Medioevo, se si tiene conto di una interessante testimonianza contenuta in una lettera di Incmaro di Reims al nipote Incmaro di Laon, che condivideva, a quanto pare, il suo nome ma non la sua stessa sobrietà stilistica e lessicale : la lettera consiste infatti in una severa reprimenda rivolta al giovane congiunto, che non esitava, per dar prova di preziosismo letterario, a utilizzare verba Scottica et barbara […] cum suppeterent sufficienter verba latina, ma soprattutto a sfoggiare parole greche, che egli stesso non comprendeva : Greca verba, quae ipse non i n t e l l i g i s, inconvenientissime posuisti, sed ad o s t e n t a t i on e m illa insipientissime inseruisti, ut omnis qui illa legerint, intelligere possint te illa v o m e r e, quae non glutiisti (PL 126, 448 B) ; r. 29, quia habitum corporis eius breviter perstrinximus : si confronti il passo di una Vita Ambrosii di epoca carolingia : quia de ortu et vita saepe admirandi pontificis Ambrosii quaedam, inculto licet sermone, p e r s t r i n x i m u s ; 33 r. 36, calaumaco (calamauco P) caput fovens : segnalo che il calamaucus (camelaucum, camilaucium), che il lessico del Du Cange definisce pilei genus ex camelorum pilis confectum, è anche un copricapo utilizzato dai pontefici, come testimonia la Vita del papa Costantino (708-715), che nel corso di una visita a Costantinopoli si presentò cum camelauco, ut solitus est Romae procedere ; 34 r. 39, cuiusdam macellarii famulitio susceptus est. Ho già avuto occasione di notare nel mio precedente articolo (supra, pp. 83-84) come all’ignoto compilatore della Vita Donati sia gradito far sfoggio di vocaboli desueti, presumibilmente attinti a lessici e glossari. È il caso di famulitium, che gli è verosimilmente noto dal glossario di Festo-Paolo Diacono, p. 77 Lindsay, [o forse attraverso Serg. expl. GL iv 557, 25, che lo trae dalla Historia Alexandri di Giulio Valerio]. Un’ultima riflessione : in P il nostro testo si chiude con la nota Explicit Vita domni Donati grammatici. Il solenne epiteto dominus è forse scherzoso in questo contesto, ma non è isolato nella tradizione grammaticale : cito ad esempio il Vat. lat. 6018, importante insieme di erudizione biblica e grammaticale, prodotto forse in Italia centrale nella prima metà del ix secolo, 35 ove un breve testo de littera [ora edito nel mio Litt. legitera 82-85] è introdotto dalle parole Item de littera ex libro domni Donati grammatici. Parimenti interessante si rivela l’iscrizione Dominus Donatus eximius grammaticus, che accompagna una rara raffigurazione di Donato [fig. 3] nel manoscritto Bamberg, Staatsbibliothek Patr. 61, f. 41v : anche questo un codice di grande rilievo, in particolare per la storia della cultura nell’Italia meridionale. Scritto in protobeneventana dell’viii secolo e recante un testo delle Institutiones molto vicino a quello della edizione ufficiale approntata a Vivarium da Cassiodoro stesso, di cui sembra riprodurre il programma figurativo e la sottoscrizione
33 P. Courcelle, Recherches sur Saint Ambroise. « Vies » anciennes, culture, iconographie, Paris 1973, p. 105. 34 L. Duchesne, Liber Pontificalis, Paris 1955, i, p. 390, 15. 35 Descrizione del contenuto in Holtz, Donat 379 (vd. anche Codices Latini Antiquiores I 50). Secondo J. Bignami Odier, Une lettre apocryphe de Saint Damase à Saint Jerôme sur la question de Melchisédech, « Mèlanges d’Archéologie et d’Histoire de l’école Française de Rome » 63, 1951, p. 184, « ce manuscrit est un recueil de textes et de glossaires qui ne dépassent pas le vii siècle ».
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Fig. 3. Il raro ritratto di Donato presente nel manoscritto Bamberg, Staatsbibliothek Patr. 61, f. 41v, ricorda la tipologia dei ritratti clypeati di età tardoantica : di verosimile origine tardoantica è anche la gran parte delle personificazioni e delle raffigurazioni di animali, che accompagnano in questo codice gli schemi ‘ad albero’ utilizzati per illustrare le divisioni delle artes liberales. Sulla fronte di Donato si legge dominus ; sulle pieghe della veste, in verticale, Donatus eximius grammaticus.
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codex archetypus ad cuius exemplaria sunt reliqui corrigendi (f. 67v), il manoscritto è figlio dello stesso ambiente culturale cassinese che diede vita al rinomato corpus grammaticale costituito dall’attuale Paris. Lat. 7530. Un ritratto quasi identico [fig. 4], ma senza alcuna iscrizione e ancora come simbolo della rethorica argumentatio, compare anche nel codice Paris, Bibl. Mazarine 660 f. 114r, sec. ix-x, anch’esso testimone di un modello iconografico tardoantico. 36 Queste significative testimonianze confermano ad abundantiam come, fin dal vii-viii secolo, la figura di Donato non corrisponda soltanto, come in epoca tardoantica, a quella del princeps grammaticorum, rinomato custode di una ars che schiude le porte dell’universo dei testi letterari. Donato assume piuttosto i connotati del sommo erudito che sovrintende all’intero sistema linguistico latino, fondamentale per una corretta interpretazione del ‘Libro’ per eccellenza, la Bibbia : in tal modo la sua figura si carica di implicazioni pressoché sacrali. 37 Già nelle pagine delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, laddove si tratta della divisione delle partes orationis (i 6, 1), Donato giganteggia al fianco del grande Aristotele nell’affermazione perentoria Aristoteles duas tradidit, deinde Donatus octo definivit . Alcuni secoli più tardi, sarà addirittura in uno dei cieli del Paradiso (xii 137-38) che Dante Alighieri vedrà apparire “quel D o n a t o ch’alla prim’arte d e g n ò por la mano”.
36 Su entrambi i manoscritti si veda Virgilio e il chiostro. Manoscritti di autori classici e civiltà monastica, a cura di M. Dell’Omo, Roma 1996, rispettivamente pp. 109-10 e 128-29, con riproduzioni fotografiche a colori. 37 Vedi in proposito le note di commento al trattato grammaticale Quae sunt quae nel mio già citato volumetto Multiplex Latinitas 49-50 [e supra pp. 16-19].
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Fig. 4. Il ritratto frontale di un magister, simile a quello di fig. 3, è ancora utilizzato nel codice Paris, Bibliothèque Mazarine 660, f. 114r, anche questa volta per illustrare, nell’ambito delle Institutiones di Cassiodoro, lo schema della rethorica argumentatio.
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114
custos latini sermonis
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INDICE DEGLI AUTOR I CLASSICI In corsivo il riferimento alle pagine del presente volume Anth. Lat. i, 2 Riese 716, v. 45
49 n. 42
Suetonius De grammaticis cap. 11 82 n. 38
Ausonius (ed. Peiper) p. 361, 13
84 n. 47
Vergilius Aeneis 1, 724 4, 419 7, 147
Claudianus Epith. Hon. Aug. 10, 52 84 n. 47 Ennius Annales 276 Vahlen2
35
Gellius Noctes Atticae iii 3, 14
79 n. 25
Horatius Epod. 17, 48
30
Iuvenalis 7, 157-158 7, 229 sqq. 14, 179-182
64 n. 68 82 n. 39 35
Lucanus Bellum civile 2, 15
22
Martialis 6, 78, 2
94
Sallustius Historiae frg. 3, 65
34 n. 2
23 22 e n. 37 23
Vita Donati (GL viii) pp. cclx-cclxi 74 sqq. Vita Horatii (ed. Villeneuve)
79 n. 29
Vita Ovidii i (ex cod. Monac. 14089) 79 n. 26 Vita Persii (ed. Clausen)
79 n. 27
Vita Vergilii donatiana (ed. Hardie) p. 2
77, 79 n. 28
Vita Vergilii philargyriana i (ed. Brummer) p. 179
96 n. 28
INDICE BIBLICO Genesis 1, 2
32
Psalmi 50, 16 85, 11 117, 26
30 ; 68 31 31
Proverbia Salomonis 29, 10
30 ; 68
Isaias 1, 1
23
Matthaeus 2, 1 20, 16 23, 39 23, 2
24 84 n. 48 31 48 n. 40
Iohannes 12,13
31
Epist. ad Romanos 1, 1
23
Apocalipsis 1, 8 1, 9-10
23 24
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INDICE DEI TESTI DI ESEGESI BIBLICA Augustinus De doctrina christiana praef. 5 iii 7 iii 40-41 Confessiones 1, 9, 14-15 1, 16 5, 12, 22 De civitate Dei 15, 22 De ordine 12, 37 De serm. Domini in monte i 9, 23 De vita eremitica PL 32, 1451 De musica 2, 1 Enarrationes in Psalmos 50, 16 Enchiridion 2, 8 In Iohannis evang. CCsl 36 p. 18 CCsl 36 p. 490,7 Retractationes ii 4, 1 Quaest. in Heptateuchum CCsl 33 p. 17, 550-3
13 n. 8 19 n. 25 19 n. 25 49 n. 43 15 n. 14 64 n. 68 57 82 22 n. 33 22 56 n. 51 30 22 30 76 n. 15 16
Beda Expos. Apocalypseos CCsl 121 A p. 231 De tabernaculo CCsl 119 A p. 117
22 24 24
Cassiodorus Comp. in Apocalypsi CCsl 107 p. 113, 1-3 23 Historia tripertita 7, 16 84 n. 44 ‘Collectio Hiberniensis’ (ed. Wasserschleben) p. 12 Columbanus Opera (ed. Walker) p. 54 Commentarius anon. in Lucam CCcm 108 C p. 4 p. 13, 1-5
26 20 n. 31 26 25
Excerpt. Patrum PL 94, col. 547 C 15 n. 15 Expositio in vii Epist. Catholicas PLS iii 59 23 n. 38 Expositio iv Evangeliorum PL 30, 549
25
Gregorius Magnus Moralia in Iob, ep. missoria 13 n. 10 Dialogi prol. 2 14 Hom. in Ezechielem 2, 1 24 In i Regum expositiones CCsl 144 p. 83 14 Regula pastoralis 2, 7 27 Hieronymus Apol. adv. Rufinum i 16 Comm. in Ecclesiastem i 9-10 De viris illustribus cap. 8 Epistolae 58, 9, 1 1, 3, 4 Prologus in Iob 41 Vita Hilarionis cap. 1 cap. 9
20 n. 27 20 n. 27 96 n. 26 15 n. 13 76 n. 15 15 n. 15 84 n. 50 84 n. 49
Hincmarus Remensis Pl 126, 448 B
98
Iunilius Inst. regul. (ed. Kihn) p. 480 24 n. 42 p. 482 24 n. 42 ‘Pauca in Evangelium Excerpta’ (CCsl 108 B) p. 216 96 n. 27 ‘Pauca Problesmata’ (CCcm 173) p. 17 p. 31 p. 246-47 (Bischoff Mitt. St. i ) p. 235 Remigius Autissiodorensis Comm. in Genesim PL 131, 53 PL 131, 51 C ‘Sententia sancti Hieronimi’ (ed. Munzi) Sedulius Scottus Comm. in Matthaeum p. 14 Expl. in Marcum PL 103, 284 Sententiae Sanctorum Patrum PLS iv, col. 1515
24 n. 42 23 31 21 19 23 15 n. 15 96, n. 24 95 n. 23 13 n. 9
Vita Bedae (ed. Colgrave) p. 146 96 n. 29
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INDICE DEI TESTI GR AMMATICALI ‘Aggressus’ (ed. Munzi, Mult. Lat.) p. 75 15 ; 25 p. 76 26 ; 68 n. 15 Agroecius (GL vii) p. 114, 7-8 41
Anonymus ad Cuimnanum (CCsl 133 D) p. xvi p. 1, 4-8 p. 6 p. 12, 384 p. 13, 406-411 p. 13, 412-416 p. 13, 417-425 p. 17, 547-552 p. 46 p. 46, 49-53 p. 48 p. 52 p. 56, 21-30 p. 57, 37 p. 57, 38 p. 79, 120-124 p. 84, 14 p. 85, 67 p. 122, 107-108 p. 134, 309-310 p. 153, 160
67 13 13 n. 7 15 n. 15 25 50 18 15 n. 15 27 47 ; 48 13 n. 7 13 n. 7 30 ; 68 n. 16 69 n. 20 69 n. 18 60 67 67 49 n. 42 52 58
Anonymus Bobiensis (ed. De Nonno) p. 3, 19-21 54 p. 3, 23-25 54 6-27 69 n. 18 Appendix Probi (GL iv) p. 196, 14-15 p. 196, 34-35 Ars Ambrosiana (CCsl 133 C) p. 1 p. 34, 257-260 p. 60, 199-201 p. 61, 214-221 Ars Amploniana (inedita) f. 47v
Ars Augiensis (inedita)
29
Ars Breviata (GL v) p. 494, 23
29
Ars Berolinensis (inedita) Ars Bernensis (GL viii) praef. p. lxxxiii praef. p. lxxxviii p. 64, 12-15 p. 71, 24-30 p. 77, 33 p. 82, 8-9 p. 91, 27-35 p. 105, 29-32 p. 113, 25-30
16 n. 17 ; 67
70 n. 22 71 67 70 55 n. 48 68 70 71 n. 26 71
Ars de Verbo (inedita) f. 89r
67
Ars Laureshamensis (CCcm 40 A) pp. 3-4 91 n. 10 Ars Monacensis (Scaurus ?) (inedita) f. 54r 42 ; 62
Ars Ripollensis (exc. ed. Jeudy, Ripoll) p. 4 26 p. 46 24 Asporius (GL viii) p. 40, 11-12 p. 48, 20 p. 59, 5-60, 10
47 50 31
‘Beatus quid est’ ( ed. Bayless) p. 93 44
52 52
Beda De orthogr. (GL vii) p. 268, 14-15 p. 268, 25-26 p. 281, 18-21 p. 283, 17
30 n. 54 30 n. 54 31 69 n. 18
24 35 n. 5 51 63 n. 62
Bonifacius (CCsl 133 B) p. 9, 16-20 p. 11, 76-81 p. 98, 307
12 n. 5 15 31
29
ps. Caper (GL vii) p. 103, 6 p. 105, 17
62 62
120
indice dei testi grammaticali
Charisius (ed. Barwick) p. 370, 21-23
35
Cledonius (GL v) p. 25, 33-26, 2 p. 41, 20 p. 77, 17-19
48 68 n. 16 48 n. 41
Consentius (GL v) p. 42 De barbarismis et met. p. 18, 24
30 69 n. 17
Cummianus De rat. computandi p. 130 21 Diomedes (GL i) p. 310, 3 p. 372, 2-3 p. 380, 11-20 p. 426, 18 p. 510, 30-32 p. 513, 15-17 p. 516, 28-31 p. 517, 10-14
49 n. 42 63 n. 63 63 n. 63 37 56 56 57 57
Donatus Ars minor (ed. Holtz) p. 592, 20
62 n. 60
Ars maior (ed. Holtz) p. 601, 14-15 p. 618, 9-10 p. 619, 7-12 p. 623, 1-2 p. 623, 1-3 p. 624, 4 p. 658, 10 p. 665, 10-11
57 n. 53 35 n. 3 47 29 n. 52 68 22 n. 36 22 n. 35 35 n. 7
Erchambertus (ed. Clausen) p. 1 p. 8 p. 56, 17-23 p. 67, 6-9 p. 89, 8-11
26 67 61 45 51
Ermenricus (ed. Goullet) pp. 86-88
30
Eutyches (GL V) p. 447, 5-7
82 n. 37
Exc. grammaticalia (GL VIII) p. xliii 25 Festus ex Paul. Diac. (ed. Lindsay) p. 5 p. 77
69 98
Godescalcus Saxo Quaest. grammaticales GL viii 175, 18-21 53 14 GL viii 175, 19-21 44 GL viii p.178, 5-9 70 GL viii p.179, 23-30 Hildericus (exc. ed. Lentini) p. 48, 8-25 p. 64 p. 66 Idiomata casuum (GL iv) p. 572, 26-28 p. 572, 9-10 Isidorus Hispalensis Etymologiae i 6, 1 i 12, 4 i 12, 24-25 i 24, 15 i 37, 34 ii 25, 3 vii 9, 17 viii 11, 53 ix 1, 3 x 200 xi 1, 3 xi 2, 15 Differentiae 2, 19
28 36 n. 8 36 n. 8 74 50 100 61 53 55 56 28 96 n. 24 90 n. 8 20 n. 30 84 68 n. 14 69 69
‘Isidorus Iunior’ De vitiis (ed. Schindel) 204, 18-205, 25 22 n. 37 ps. Isidorus De ortu et obitu patrum PL 83, 150 C Iulianus Toletanus Ars grammatica p. 11, 48-62 p. 17, 193-95 p. 24, 378-379 p. 34, 16-35, 2 p. 40, 150 p. 44, 23-26 p. 200, 121 p. 220, 463 De part. orationis p. 171, 22-23 p. 180, 22-23
97
28 41 45 59 n. 58 45 59 35 n. 7 56 n. 50 45 55
indice dei testi grammaticali p. 197, 21 p. 198, 16 p. 199, 3-6
59 59 60
Liber de Numeris (PL83) 1302
21
Malsachanus (ed. Löfstedt) p. 210, 19-20
66
Murethac (CCcm 40) p. xxxi p. 4, 44-51 p. 27, 26 p. 45, 4 p. 79, 39-45 p. 79, 42-45 p. 171, 1 p. 180, 20-21 p. 188, 29-36
20 n. 28 19 57 57 n. 52 45 42 42 72 18
Nonius (ed. Lindsay) p. 373
69
ps. Palaemon Regulae (ed. Rosellini) p. 17, 13-15 62 p. 51, 6-7 12 n. 5 Papias (GL viii) p. clxxxiii, 4-7
35 n. 6
Paulus Camaldulensis (ed. Sivo) p. 67, 35-39 Petrus Pisanus (GL viii) p. xxv p. 161, 14 p. 165, 10-12 Phocas (GL v) p. 411 Pompeius (GL v) p. 97, 33-37 p. 102, 8 p. 108, 20-21 p. 130, 1-2 p. 130, 31-32 p. 131, 28-30 p. 136, 29-31 p. 141, 28-30 p. 142, 8-14 p. 142, 35 p. 142, 8-14 p. 144, 8-9 p. 163, 7-8 p. 166, 30-167, 12
30
p. 172, 21-23 p. 176, 21-22 p. 176, 21-35 p. 180, 32 p. 182, 16-23 p. 183, 12 p. 186, 12-14 p. 204, 12-14 p. 205, 4-6 p. 212, 14-15 p. 233, 9 p. 233, 25-28 p. 236, 19-22 p. 236, 33-237, 6 p. 241, 1-3 p. 246, 23 p. 266, 28-35 p. 267, 17-268, 5 p. 269, 23-25 p. 289, 6-8 p. 293, 3-9 p. 303, 16-25
121 62 69 n. 18 69 n. 18 39 n. 17 39 n. 15 55 n. 48 63 60, 62 44 39 n. 17 83 n. 43 62 61 61 63 61 49 61 39 n. 16 78 n. 23 60 35 n. 7
Priscianus (ed. Hertz, GL ii-iii) GL ii p. 57, 4-7 52 42 GL ii p. 79, 8-10 35 n. 4 GL ii p. 92, 15 29 n. 52 ; 68 GL ii p. 175, 18-21 41 GL ii 186, 23-187, 4 55 GL ii p. 190, 22 36 n. 8 GL ii p. 201, 15-21 83 n. 43 GL ii p. 393, 11-12 50 GL ii p. 408, 6-15 50 GL ii p. 410, 8-24 41 GL ii p. 414, 19-20 41 GL ii p. 448, 23-24 40 GL iii p. 15, 12 51 GL iii p. 15, 16 35 n. 4 GL iii p. 74, 27 51 GL iii p. 92-93 50 GL iii p. 95, 6 52 GL iii p. 102, 17 57 GL iii p. 103, 15 52 GL iii p. 125, 12-13 56 ; 57 GL iii p. 127, 4 53 GL iii p. 127, 24 53 GL iii p. 129, 3 40 GL iii p. 129, 9
27 n. 46 27 n. 46 52 64 53 59 n. 56 62 39 n. 17 40, n. 20 40 62 39 n. 19 39 n. 18 39 n. 18 39 n. 18 39 n. 18 39 n. 18 69 n. 18
122
indice dei testi grammaticali
GL iii p. 130, 10 GL iii p. 147, 19 GL iii p. 148, 2-3 GL iii p. 160 GL iii p. 169, 5 GL iii p. 181, 26-27 GL iii p. 183, 5 GL iii p. 185, 19-23 GL iii p. 210, 12 GL iii p. 211, 21 GL iii p. 221, 27 GL iii p. 222, 19-24 GL iii p. 223, 2-5 GL iii p. 223, 19-20 GL iii p. 223, 24-28 GL iii p. 224, 6 GL iii p. 231, 24-25 GL iii p. 234, 2-9 GL iii p. 235, 4-7 GL iii p. 237, 22-23 GL iii p. 239, 2 GL iii p. 255 GL iii p.270, 11-20 GL iii p. 271, 12
55 40 40 40 54 55 41 52 42 42 55 54 54 52 55 ; 56 40 41 n. 23 47 n. 35 ; 50 50 50 41 50 52 41
ps. Probus (GL iv) p. 47, 1-6
52
‘Quae sunt quae’ (ed. Munzi, Mult. Lat.) p. 17 21 p. 19 24 ; 25 p. 20 21 p. 19 26 p. 23 26 p. 27 31 p. 29, 35 30
Remigius Autissiodorensis In Don. min. (ed. Fox) p. 47, 21-48 p. 75, 18-19 p. 75, 27-28 p. 76, 22-24 p. 77, 3-4 In Don. mai. (GL viii) p. 210, 14-23 p. 212, 31 p. 214, 30-215, 25 p. 213, 11-12 p. 213, 18 p. 217, 13-14
18 61 58 61 51 51 57 57 51 51 58
p. 241, 15-18 p. 246, 32-33 p. 247, 25-28 p. 253, 8-15 p. 259, 32-33 p. 264, 18-20 ‘Quaestiones S. Hysidori’ (CCsl 108 B) p. 159, 55-56 Sacerdos (GL vi) p. 420 p. 447, 14-17 p. 483, 11-17 p. 504, 13 p. 504, 19 p. 505, 8 p. 505, 14 p. 505, 19 p. 508, 14 p. 509, 24 p. 509, 26 p. 517, 23-24 p. 520, 16 p. 520, 21 p. 531, 1-2 p. 534, 7 p. 537, 14 p. 539, 15 p. 540, 9 p. 545, 3-6 Sedulius Scottus In Don. mai. (CCcm 40 B) p. 55, 18-26 p. 61, 48-62, 58 p. 106, 41-50 p. 208, 44-209, 56 p. 250, 38-40 p. 263, 72-74 p. 264, 1 p. 197 Brearley In Don. min. (CCcm 40 C) p. 3, 5-10 In Eutychem (CCcm 40 C) p. 87, 13 p. 88, 33 sqq. ‘Sergius’ Comm. (ed. Stock) p. 87, 9-10 p. 106, 3-4
50 52 52 18 n. 24 81 n. 35 61 21 43 43 43 43 43 43 43 43 43 43 43 43 54 54 43 43 43 43 55 57 16 n. 18 54 35 n. 5 18 n. 24 46 50 28 n. 47 50 16 n. 18 96 n. 40 82 n. 25 53 48
indice dei testi grammaticali ‘Sergius’ Expl. (GL iv) p. 488, 3-12 p. 488, 3-12 p. 489, 22-29 p. 499, 13-16 p. 499, 33-35 p. 508, 12-18 p. 516, 22-29 p. 529, 10-11 p. 557, 25 ‘Sergius’ Suppl. (GL viii) p. 152, 9-10 p. 157, 24-26 Servius Comm. in Don. (GL iv) p. 431, 11-14 p. 432 p. 432, 20 p. 432, 21-25 De centum metris p. 458, 22 p. 460, 31 p. 461, 1 p. 461, 4-6 p. 461, 20-21 p. 462, 7 p. 463, 10 p. 464, 18 p. 464, 20
64 48 27 ; 29 n. 49 53 53 61 60 95 98
49 60 35 30 68 n. 16 69 n. 18 57 57 57 51 51 57 54 57 5
Smaragdus (CCcm 68) p. 4, vv. 44-45 p. 4, vv. 50-56 p. 28, 406 p. 29, 437 p. 29, 446 p. 43, 27-29 p. 65, 18-20 p. 76, 33-34 Tatuinus (CCsl 133) p. 15, 344-47 p. 54, 209-212 p. 87, 51-57 Ursus (exc. ed. C. Morelli) p. 290 n. 3 p. 293 p. 293 p. 295 p. 295 p. 296 p. 297 Virgilius grammaticus Epitomae i 1 Epistolae praef. 1 i3 i9 iii 2 iii 10
123 12 n. 6 12 n. 5 44 45 45 47 30 45 46 50 31 66 26 n. 45 67 27 ; 30 47 ; 68 69 70
12 n. 4 12 n. 4 31 n. 55 82 n. 36 83 n. 41 82 n. 36
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INDICE DEI MA NOSCR ITTI Bamberg, Staatsbibliothek Patr. 61 98 Barcelona, Arxiu de la Corona d’Aragon, Ripoll 46 92 n. 14 Berlin, Staatsbibl. Lat. fol. 641 48 n. 39 ; 67 Bern, Bürgerbibliothek 123 70 Bern, Bürgerbibliothek 189 74 ; 94 Bruxelles, Bibl. Royale, ii 2572 20 n. 29 Kassel, Landesbibl. und Murhardsche Bibliothek der Stadt, philol. 4° 1 74 ; 89 München, Staatsbibliothek Clm 6281 42 Oxford, Bodl. Library, Bodley 186 23 n. 41 Paris, Bibl. Nationale, Lat. 7491 67 Paris, Bibl. Nationale, Lat. 7581 96-97
Paris, Bibl. Nationale, Lat. 7530 100 Paris, Bibl. Nationale, Lat. 7730 74 Paris, Bibl. Nationale, Lat. 11038 77 n. 19 Paris, Bibl. Mazarine 660 100 Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek, Novi 535, f. 1 21 Würzburg, Universitätsbibliothek, M. p. th. f. 61 25 n. 44 Città del Vaticano, Bibl. Apost. Vaticana, Ottob. lat. 1354 94 Città del Vaticano, Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 6018 98
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INDICE DEGLI STUDIOSI MODER NI Ballaira, G. 65 n. 5 Barwick, K. 41 n. 24 Bellissima, G. 22 n. 33 Bignami Odier, J. 98 Bischoff, B. 20 ; 21 ; 27 n. 46 ; 97 Brearley, D. 18 n. 22 ; 50 n. 44 Brugnoli, G 75 ; 77 ; 90 n. 7 ; 93 Cazier, P. 14 n. 12 Cicco, G.G. 65 n. 2 Conte, S. 89 n. 1 Contreni, J.J. 23 n. 40 Dagens, C. 13 n. 10 Daniel, P. 74 De Nonno, M. 34 n. 2 ; 38 n. 12 ; 48 n. 41 ; Deroux, C. 55 n. 48 Dionisotti, A.C. 30 n. 54 ; 69 n. 18 Fontaine, J. 13 n. 10, Funaioli, G. 58 Georges, K.E. 72 Hagen, H. 74 ; 83 Holtz, L.13 n. 10 ; 15 n. 16 ; 19 ; 20 n. 27 ; 20 n. 28 ; 39 n. 14 ; 62 n. 60 ; 65 n. 5 ; 66 n. 7 ; 73 n. 1 ; 89 n. 4 Jeudy, C. 27 n. 46 Kaster, R. 39 n. 14
La Penna, A. 80 n. 30 Law, V. 11 ; 14 ; 22 n. 33 ; 29 n. 51 ; 42 n. 28 ; 47 n. 38 ; 66 n. 7 ; 71 n. 27 Lindsay, W.M. 39 n. 19 Löfstedt, B. 15 n. 15 ; 67 n. 9 ; 67 n. 13 Luhtala, A. 20 n. 29 Marrou, H.-I. 22 Mc Nally, R.E. 25 n. 43 Morelli, C. 65 Norberg, D. 46 n. 14 Ó Cróinin, D. 25 n. 44 ; 31 n. 56 Picard, J.M. 66 n. 7 Pithou, P. 74 ; 93 Rand, E.K. 74 n. 4 Riché, P. 14 n. 11 Sabbadini, R. 96 n. 28 Savage, J.J. 85 Schindel, U. 22 n. 37 Scivoletto, N. 13 n. 10 Silvestre, H. 85 Tarquini, B.M. 65 n. 1 Timpanaro, S. 72 n. 28 Vainio, R. 38 n. 12 Wessner, C. 65 n. 4
c o mp osto in car atter e dan t e m on ot y p e d a l l a fabrizio serr a editor e , p i s a · r oma . s tamp ato e rileg a t o n e l l a t ip og r afia di ag n an o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) .
* Settembre 2011 (cz2/fg3)
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