Costruzioni Metalliche [2 / 2023]
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COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 3

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SOMMARIO COSTRUZIONI METALLICHE - FONDATA NEL 1949 REDAZIONE DIRETTORE RESPONSABILE: BRUNO FINZI EDITOR IN CAPO: ELIDE NASTRI Università di Salerno, Italia COMITATO DI REDAZIONE:

NADIA BALDASSINO Università di Trento, Italia ANDREA CAMPIOLI “Politecnico” di Milano, Milano, Italia PAOLO CASTALDO “Politecnico” di Torino, Torino, Italia MARIO DE MIRANDA IUAV Università di Venezia MAURO EUGENIO GIULIANI Redesco Progetti srl, Milano, Italia RAFFAELE LANDOLFO Università di Napoli “Federico II”, Italia EMANUELE MAIORANA, Università di Bologna, Italia ELENA MELE Università di Napoli “Federico II”, Italia GIOVANNI METELLI University of Brescia, Italia PAOLO NAPOLI “Politecnico” di Torino, Torino, Italia EMIDIO NIGRO Università di Napoli “Federico II”, Italia VINCENZO PILUSO Università di Salerno, Italia SHAHAB RAMHORMOZIAN University of Auckland, New Zealand ATSUSHI SATO Nagoya Institute of Technology, Japan SERGIO SCANAVINO Istituto Italiano di Saldatura, Italia MARCO SIMONCELLI “Politecnico” di Milano, Milano, Italia LUCIA TIRCA Concordia University of Montreal, Canada

COMITATO EDITORIALE ESECUTIVO: GIANCARLO CORACINA,

BENEDETTO CORDOVA, RICCARDO DE COL, ALBERTO VINTANI

COMITATO SCIENTIFICO:

GIULIO BALLIO “Politecnico” di Milano, Milano, Italia CLAUDIO BERNUZZI “Politecnico” di Milano, Milano, Italia MARIO D’ANIELLO Università di Napoli “Federico II”, Italia LUIGINO DEZI Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia ERIC DUBOSC Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris, France DAN DUBINA Polytechnic University of Timisoara, Timisoara, Romania MASSIMO MAJOWIECKI Università di Bologna FEDERICO M. MAZZOLANI Università di Napoli “Federico II”, Italia ROSARIO MONTUORI Università di Salerno, Salerno, Italia RENATO MORGANTI Università degli Studi dell’Aquila, Italia VITTORIO NASCÈ “Politecnico” di Torino, Italia D.A. NETHERCOT Imperial College London, London, UK MAURIZIO PIAZZA Università di Trento, Trento, Italia COLIN ROGERS McGill University, Montreal, Canada LUÌS SIMOES DA SILVA University of Coimbra, Portugal ENZO SIVIERO Università Telematica E-campus, Italia CARLO URBANO “Politecnico” di Milano, Milano, Italia RICCARDO ZANDONINI Università di Trento, Trento, Italia SEGRETERIA: VALERIA PASINA EDITORE: GIANGIACOMO FRACCHIA EDITORE Srl Via C. Goldoni 1, 20129 Milano, tel. 02 49524930 C.F./P.Iva: 07153040964 - CCIAA Milano REA nº 1939256 UFFICIO ABBONAMENTI: CTA Collegio Tecnico dell’Acciaio, 20129 Milano, Viale dei Mille, 19 tel. 02 784711; [email protected] http://www.collegiotecniciacciaio.it/costruzionimetalliche/ CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ: Agicom srl, Viale Caduti in Guerra, 28, 00060 Castelnuovo di Porto (RM) Tel. +39 069078285 www.agicom.it Dott.ssa Manuela Zuliani, Cell: +39 3467588821 [email protected] IMPAGINAZIONE E GRAFICA: Hutter Edgardo | SINAPSI | www.sinapsiweb.info STAMPA: GIERRE PRINT SERVICE Srl, Via Carlo Goldoni, 1 20129 MILANO Tel. 02 49524930 e-mail: [email protected] ABBONAMENTI PER L’ANNO 2021 (6 NUMERI): Italia: € 60,00 - Estero: € 150,00 - Studenti: € 20,00 Prezzo a copia: € 15,00 Garanzia di riservatezza per gli abbonati: l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico dell’Editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati eventuali proposte commerciali (legge 675/96 tutela dati personali) La rivista non assume alcuna responsabilità delle tesi sostenute dagli Autori e delle attribuzioni relative alla partecipazione nella progettazione ed esecuzione delle opere segnalate dagli stessi Autori La rivista è inviata ai soci del Collegio dei Tecnici dell’acciaio (C.T.A.) Iscrizione al Tribunale di Milano in data 8 febbraio 1949, n. 1125 del registro. Iscrizione ROC n. 020654 (Art.16 Legge 62 - 7/03/2001) ISSN n. 0010-9673

COSTRUZIONI METALLICHE ANNO LXXV MAR APR 23 www.facebook.com/CMrivista

[email protected] In copertina: Il Ponte sul Firth of Forth in Scozia, costruito nel 1890, con due campate centrali da 500 m di luce, è ancora in servizio con 200 treni al giorno e tre milioni di passeggeri all’anno. Costituisce una chiara dimostrazione delle elevate capacità ingegneristiche di fine 800 e della possibile grande durabilità dei ponti in acciaio, come illustrato in occasione del recente Convegno CTA-AIM di Milano sulle costruzioni metalliche storiche.

9 EDITORIALE MICHELE LANZA

Ponti storici e ponti recenti: strutture indispensabili e loro tutela

11 RICERCA LUCA BOMBEN, MARCO FASAN, CLAUDIO AMADIO, CHIARA BEDON

VALUTAZIONE DELL’EFFETTO DELLE SEQUENZE SISMICHE SU CONTROVENTI IN ACCIAIO A DIAGONALE TESA ATTIVA IN EDIFICI INDUSTRIALI MONOPIANO

20 RICERCA CLAUDIO AMADIO, CHIARA BEDON

DISPOSITIVI INNOVATIVI PER LA MITIGAZIONE DEGLI EFFETTI DEL BLAST SU FACCIATE IN VETRO-ACCIAIO SOSTENUTE DA CAVI

28 REALIZZAZIONI GIOVANNI COSTA, LEONARDO BALOCCHI

CAPANNONI PER POWER HOUSE ED ERECTION BAY PER IL NUOVO IMPIANTO IDROELETTRICO G.E.R. DAM (ETIOPIA)

41 MONTAGGI GIOVANNI COSTA, LEONARDO BALOCCHI, ENRICO ZAMBELLA, SIMONA PAONE

STABILIMENTO “ACCIAIERIE D’ITALIA” DI TARANTO. COPERTURA DEL PARCO MATERIE PRIME (OMO). PROGETTO DELLE ATTREZZATURE E DELLA STRUTTURA IN FASE DI MONTAGGIO

53 RICERCA GIAN CARLO GIULIANI

STRUTTURE INNOVATIVE IN ALLUMINIO

59 INGEGNERIA SALVATORE GIACOMO MORANO

CONTROLLO DEI DISPOSITIVI ANTI SOLLEVAMENTO E DELLE SELLE GERBER METALLICHE DEL VIADOTTO ALL’INDIANO A FIRENZE

66 REALIZZAZIONI FABIO MASOTTI

VIADOTTO DEL LOT - PRIMO PONTE STRADALE IN DOPPIA AZIONE MISTA IN FRANCIA

71 REALIZZAZIONI MICHELANGELO MICHELONI, GIANBATTISTA MIGLIORATI

I PONTI METALLICI MODULARI GALLEGGIANTI

78 INGEGNERIA MATTIA MAIRONE, REBECCA ASSO, PIETRO PALUMBO, DAVIDE MASERA

ANALISI DEL COMPORTAMENTO TORSIONALE DI UN VIADOTTO ESISTENTE IN ACCIAIO CON IMPALCATO CURVILINEO A CASSONE

96 REALIZZAZIONI DAVIDE GATTI, PIERFRANCO MOCCHETTI, ANDREA FRIGERIO, SERGIO MENOTTI, ALBERTO CAVATORTA

Stabilizzazione e restituzione della verticalità di una struttura di processo in un impianto petrolchimico

114 CULTURA DELLE COSTRUZIONI METALLICHE RENATO MORGANTI, ALESSANDRA TOSONE, MATTEO ABITA, DANILO DI DONATO 129 LE AZIENDE INFORMANO

Ponti pensili della prima metà dell’Ottocento nel Regno di Sardegna Steel Project Engineering

Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27.02.14 N. 46) - Art. 1 comma 1 CNS PD

Questo numero della rivista è stato chiuso in redazione e stampato nel mese di Maggio 2023

È vietata e perseguibile per legge la riproduzione totale o parziale di testi, articoli, pubblicità ed immagini pubblicate su questa rivista sia in forma scritta, sia su supporti magnetici, digitali, ecc.

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S E L’ACC I A I O È Z I N C ATO, IL FUOCO FA MENO PAURA.

La zincatura a caldo, come confermato da studi internazionali, è un trattamento in grado di rallentare il surriscaldamento degli elementi strutturali in acciaio sottoposti all’azione del fuoco. Questo si traduce in tempo prezioso in caso di evacuazione da un edificio in fiamme. Il trattamento di zincatura a caldo si rivela una difesa importante per contrastare l’avanzata di un incendio.

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EDITORIALE

Ponti storici e ponti recenti: strutture indispensabili e loro tutela Il recente convegno sui ponti storici ha messo in evidenza diversi aspetti interessanti, legati alla efficace ed economica gestione delle opere: oltre alle opere uniche che fanno storia a sé stante e per Ing. Michele Lanza le quali qualunque IIS – Istituto Italiano della Saldatura tentativo di codifica stretta delle modalità ispettive e delle competenze necessarie alla loro manutenzione sarebbe velleitario, ci sono tante opere metalliche e non, che pur non rivestendo ancora carattere di storicità, è conveniente che svolgano ancora a lungo il loro servizio a vantaggio di chi ne ha la proprietà o la gestione e in generale a vantaggio della comunità degli utenti. La migliore garanzia di mantenere efficiente e sicura un’opera è verificarne lo stato attraverso ispezioni dirette. Oggi si parla molto di monitoraggio strutturale e le tecniche di rilievo si sviluppano a tutto vantaggio della economicità e della sicurezza. L’ispezione diretta non si deve intendere come un arcaico metodo che sopravvive solo in virtù della non ancora completa maturazione del monitoraggio da remoto; anzi la verifica saltuaria ma puntuale dello stato dell’opera è integrativa del monitoraggio, tutt’altro che sostitutiva o conflittuale con esso. La base di tutto il complesso castello di informazioni e della loro gestione per la piena disponibilità dell’opera e per la programmazione della manutenzione sta, a mio parere, nella competenza del personale ispettivo. È necessario cogliere in poco tempo cosa è causa di preoccupazione, quanto estesa tale preoccupazione sia, se ciò che si è visto è sufficiente a esprimere un giudizio “esperto” o se occorra altro e con quale urgenza. Perciò è importante l’esperienza dell’Ispettore, ma è opportuno che una formazione qualificata renda confrontabile il giudizio di persone diverse in presenza di un medesimo problema. Ovviamente la questione non è nuova: per garantire la durabilità del patrimonio infrastrutturale, è necessaria una efficace manutenzione che a sua volta è fortemente condizionata dalle modalità di valutazione dello stato di conservazione dell’opera e quindi dall’ispezione e dal controllo. Tra i tanti fattori che condizionano il risultato ispettivo (disponibilità dei dati geometrici e ambientali, di pregresse ispezioni, accessibilità

al sito e agli elementi strutturali principali e altri ancora), vogliamo in questa sede soffermarci sulla necessità di competenza specifica delle figure professionali coinvolte in tutte le fasi di gestione e di esecuzione diretta delle attività di ispezione e controllo. Per tali figure è stato anche coniato un nome che si è consolidato negli ultimi lustri e consente, almeno per gli addetti ai lavori, una certa riconoscibilità. Si tratta dell’Ispettore di Strutture in Servizio o In Service Inspector, figura non ancora codificata normativamente ma già nei fatti riconosciuta da Committenti maggiormente strutturati. L’In Service Inspector è un professionista con competenze di tipo trasversale, che si adatta alla interpretazione delle anomalie rilevabili su un’opera e fornisce le informazioni necessarie per la progettazione degli eventuali interventi di approfondimento di indagine, progettazione di interventi di rinforzo e ripristino funzionale, manutenzione in genere. È quindi figura diversa dall’operatore dei controlli non distruttivi, così come ovviamente dal manutentore o dal progettista; tuttavia, di queste competenze specialistiche ha le nozioni indispensabili per una fruttuosa interazione e collaborazione con le altre figure professionali coinvolte nella garanzia di affidabilità di un’opera. Per tali caratteristiche la figura, che ci proponiamo di contribuire a formare, è richiesta sempre con maggiore frequenza da enti gestori di primaria importanza nazionale e costituisce titolo preferenziale anche in bandi ove non venga esplicitamente richiamata. La figura di In Service Inspector si pone in analogia a quanto già da decenni disponibile nel campo della impiantistica industriale, dove ad esempio le figure API 510 Pressure vessel Inspector, API 653 Storage Tank, API 570 Process Piping Inspector, ASME Plant inspector, trovano costante impiego nella gestione in sicurezza delle attrezzature e dei componenti. A questo scopo e proprio a partire dalla pluridecennale esperienza nella formazione e certificazione di Ispettori di Impianto, il Gruppo Istituto Italiano della Saldatura ha avviato un programma didattico dedicato, e da alcuni anni IIS CERT, società del Gruppo Istituto Italiano della Saldatura, ha accreditato uno schema proprio di certificazione del In Service Inspector di opere civili che è dal 2021 riconosciuto da ACCREDIA e che si cerca di proporre anche in sede di normazione nazionale. In estrema sintesi, le figure di In Service Inspector sono immaginate su tre livelli con competenze e responsabilità crescenti: • il livello di base (Basic) che è chiamato solo alla diligente compilazione delle schede di valutazione con riferimento a documenti specifici come il catalogo dei difetti, le tavole sinottiche delle tipologie di strutture e delle caratteristiche dei materiali; • il livello intermedio (Standard) che deve inoltre acquisire la COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 9

capacità di comprendere se i parametri registrati nelle schede siano accettabili rispetto ad una scala di danneggiamento, ad una eventuale soglia di allarme elaborata in precedenza o alla valutazione qualitativa dell’evoluzione del fenomeno; • il livello completo (Comprehensive) che, oltre a quanto sopra indicato, deve avere la capacità di interpretare l’insieme delle registrazioni effettuate per fornire al Committente un quadro di danno interpretabile per la programmazione di ispezioni successive o di interventi integrativi di indagine che si rendessero necessari, oppure di monitoraggio o di ripristino strutturale. Per ultimo, ma non certo per importanza, deve essere in grado di progettare un programma di indagine compatibile con i tempi disponibili e ottimizzando le risorse economiche (piano di ispezione e controllo) scegliendo la tipologia e l’estensione dei controlli efficaci per consentire ad una figura terza la valutazione degli interventi di ripristino. A titolo di esempio mostriamo qui un fac simile del certificato che si ottiene a seguito della fruizione del corso, del superamento di un esame e della documentazione di esperienza. Segnalo infine che un corso per In Service Inspector è in preparazione presso L’Ordine degli Ingegneri di Genova e sarà fruibile anche on line; per chi fosse interessato riportiamo la tabella degli argomenti trattati.

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RICERCA

VALUTAZIONE DELL’EFFETTO DELLE SEQUENZE SISMICHE SU CONTROVENTI IN ACCIAIO A DIAGONALE TESA ATTIVA IN EDIFICI INDUSTRIALI MONOPIANO ASSESSMENT OF THE EFFECT OF SEISMIC SEQUENCES ON MONO-STOREY INDUSTRIAL BUILDINGS WITH STEEL X– CONCENTRALLY BRACED FRAMES Luca Bomben, Marco Fasan, Claudio Amadio, Chiara Bedon* Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura - Trieste, Italy Il presente articolo tratta lo studio dell’effetto delle sequenze sismiche su edifici industriali monopiano in acciaio con controventi concentrici a croce di Sant’Andrea (a X), allo scopo di stimare eventuali modifiche normative necessarie a tenere in debito conto questo problema. Il fenomeno delle sequenze sismiche, come noto, non è considerato dalle vigenti normative tecniche, per cui le strutture vengono progettate per resistere ad un singolo evento sismico, senza tenere in conto il possibile accumulo di danneggiamento causato dagli aftershocks. Nel lavoro di ricerca alla base del presente articolo, si dimostra invece come questo fenomeno dovrebbe essere adeguatamente considerato e valutato. A tale scopo, viene inizialmente analizzato un caso studio preliminare, rappresentato da un edificio industriale monopiano controventato con controventi ad X. Vengono quindi costruite le corrispondenti curve di fragilità sia per sequenze sismiche che per singoli mainshock, ottenendo un significativo confronto di tipo quantitativo e qualitativo. Successivamente, lo studio si concentra sul comportamento del solo controvento concentrico ad X, facendo riferimento ad un modello numerico opportunamente validato attraverso prove sperimentali da letteratura. Il sistema così calibrato, quando assoggettato sia a sequenze sismiche che ai corrispondenti mainshock, consente di eseguire analisi parametriche considerando diversi profili per la diagonale di controvento. I risultati finali così ottenuti mostrano una significativa influenza delle sequenze in termini di incremento di richiesta di duttilità alla struttura. Conseguentemente, per poter adeguatamente rappresentare l’effetto delle sequenze, si ritiene necessario imporre una riduzione del fattore di struttura disponibile, sulla base di alcune prime stime cautelative. Tale operazione, come mostrato, fornisce una valutazione preliminare dell’incremento di rischio sismico solo dal punto di vista della vulnerabilità sismica di questa particolare tipologia strutturale. Tuttavia, rappresenta un’importante risultato verso sviluppi futuri. The present study focuses on the assessment of the effect of seismic sequences on mono-storey industrial buildings equipped with steel X-concentrically braced frames, aiming at addressing possible modifications in standards and regulations to account for this issue. The phenomenon of seismic sequences, as known, is not taken into account by existing technical standards, and thus buildings and structures are designed to resist a main shock event, disregarding the effects of possible cumulative damage due to aftershocks. In this research study, it is indeed shown that seismic sequences and their effects should be properly addressed and considered in design. To this aim, a preliminary case-study system is analysed, which consists of a mono-storey industrial building made of steel and equipped with steel X-concentrically braced frames. The corresponding fragility curves are numerically derived for the building system subjected to seismic sequences as well as to single mainshock events, with evidence of relevant qualitative and quantitative modifications in the observed responses. Successively, the investigation is focused on the performance assessment of the steel X-concentrically braced frame only, by taking advantage of a numerical model which was preliminary validated towards literature experimental data. The so-calibrate model, as shown, when subjected to seismic sequences or individual mainshock events, can be efficiently used for parametric analyses aimed at address the global structural behaviour but also the effect of various steel members and details. The so-obtained parametric numerical results prove that there is a major effect of seismic sequences on a given steel bracing system, especially in terms of increase of ductility demand for the structural system object of investigation. Consequently, to properly account for the effects of seismic sequences, a reduction of the traditional building factor is preliminary proposed. Such a kind of simplified approach, as shown, allows obtaining a realistic estimation of the seismic risk increment due to the effects of seismic sequences, even it preliminary accounts for seismic vulnerability only for the examined structural typology. In this sense, the proposed approach suggests a good potential for future research developments. *Corresponding author. Email: [email protected] COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 11

1 INTRODUZIONE Come noto, gli eventi sismici non sono in generale eventi isolati. Spesso, infatti, possono essere seguiti da aftershocks, con intensità anche comparabile a quella del mainshock. Ruiz Garcia in [3] ha sottolineato che, mentre il mainshock sia sempre da considerare come l’evento con magnitudo massima, in un determinato sito un aftershock può essere caratterizzato da PGA anche superiore a quella del mainshock. Questo può condurre ad un progressivo accumulo di danneggiamento, se il tempo che intercorre tra gli eventi non è sufficiente a permettere la riparazione della struttura. Le vigenti normative tecniche [1], [2] non considerano il possibile accumulo di danneggiamento in presenza di eventi ripetuti. L’obiettivo del lavoro è dunque quello di valutare quali modifiche normative possano essere adottate per tenere in conto di questa problematica su strutture controventate con controventi concentrici ad X. Diversi studi hanno recentemente investigato sui possibili effetti negativi delle sequenze sismiche sulle strutture in acciaio. In [4] sono stati analizzati gli effetti di eventi ripetuti sulla risposta di sistemi SDOF con comportamento non-lineare e su telai con un comportamento prevalente a flessione; in esso si è sottolineato come il ripetersi in un tempo sufficientemente breve di eventi sismici possa comportare un significativo accumulo di danno ed una conseguente riduzione del fattore di struttura disponibile. In per tenere in conto degli effetti negativi del fenomeno, è stato proposto uno spettro di risposta a duttilità costante per sistemi SDOF assoggettati a eventi multipli, lontani e vicini alla sorgente, esaminando sequenze artificiali generate da combinazioni di reali eventi sismici. In [6] è stata valutata la risposta di sistemi SDOF e di reali strutture MDOF sottoposte a sequenze: telai a flessione con giunti rigidi, telai a flessione con giunti semirigidi e telai controventati. È stato inoltre proposto un criterio di progetto semplificato volto al controllo del danneggiamento dei telai in acciaio, che consiste nell’esecuzione di un’analisi elastica utilizzando un fattore di struttura ridotto rispetto a quello utilizzato per la progettazione in caso di singolo evento. Ruiz Garcia et al. in [7] hanno investigato sull’influenza degli aftershocks in termini di aumento di drift di interpiano su telai a flessione esistenti, evidenziando l’importanza del fenomeno su tali strutture. In [8] sono stati analizzati sistemi SDOF caratterizzati da diversi comportamenti isteretici; è stato in particolare sottolineato come le sequenze dovrebbero essere adeguatamente considerate nelle regioni ad elevata sismicità, quelle caratterizzate da una probabilità di accadimento della sequenza superiore. Nello stesso articolo, per mitigare l’aumento di vulnerabilità in seguito ad eventi multipli, è stato proposto l’utilizzo di dissipatori viscosi oppure, anche qui, la riduzione del fattore di struttura. In [9] lo studio dell’effetto delle sequenze si è focalizzato in particolare sui sistemi controventati, analizzando sia sistemi MDOF che SDOF equivalenti. Così come la presenza di eventi ripetuti comporta una maggiore probabilità di accumulo del danno su una struttura, e dunque un incremento della sua vulnerabilità/fragilità, allo stesso modo si ha un aumento della probabilità di superamento di una certa soglia di accelerazione spettrale o di PGA. In tal senso, dunque, le

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sequenze sismiche influenzano non solo la vulnerabilità ma anche la pericolosità sismica. Diversi studi, come [10] e [11]2001, sono rivolti alla valutazione dell’effetto delle sequenze in termini di incremento della pericolosità sismica. Nel presente lavoro viene approfondito il problema relativo all’influenza delle sequenze sismiche sull’incremento di vulnerabilità di strutture controventate dotate di controventi concentrici a croce di Sant’Andrea. Nella Sezione 2 viene analizzato un tipico edificio monopiano industriale assoggettato a sequenze sismiche; sono costruite le curve di fragilità sia per i controventi che per i telai trasversali, allo scopo di identificare l’elemento più vulnerabile della struttura. Successivamente, nella Sezione 3, lo studio si concentra sul comportamento del singolo controvento concentrico ad X, con lo scopo di valutare il massimo possibile effetto delle sequenze. Le analisi vengono condotte su un modello numerico opportunamente validato attraverso prove sperimentali da letteratura, considerando diversi profili di diagonale. Viene proposta una adeguata riduzione del fattore di struttura disponibile, rappresentativo dell’effetto delle sequenze sismiche. Si sottolinea come tale approccio sia mirato alla sola valutazione dell’incremento di vulnerabilità sismica, mentre l’influenza sulla pericolosità sismica non viene qui considerata ed è rinviata ad altri studi.

2 CASO STUDIO PRELIMINARE Come caso studio preliminare viene analizzato l’edificio industriale monopiano, controventato con controventi concentrici ad X, progettato da Scozzese et al. [12], [13] in accordo alla normativa italiana [14] ed ubicato a L’Aquila (figura 1). La struttura è modellata mediante il software Seismostruct [15], che utilizza un approccio a fibre per la modellazione del comportamento inelastico degli elementi, secondo una formulazione agli elementi finiti basata sulle forze. Per rappresentare il legame ciclico uniassiale sforzodeformazione dell’acciaio viene adottato il modello di MenegottoPinto [16]. Il modello implementato è validato attraverso la conduzione di una serie di analisi pushover sull’intera struttura e sul confronto tra

Fig. 1 | Schema strutturale del caso studio preliminare.

Tab. 1 | Eventi componenti la sequenza sismica di Friuli – Forgaria Cornino.

Fig. 2 | Accelerazione al suolo in funzione del tempo per la sequenza naturale di Friuli– Forgaria Cornino.

sforzo assiale critico da calcolo analitico (in accordo alle relazioni da Eurocodice 8) e di output del modello numerico. Il sistema validato è dunque assoggettato ad analisi dinamiche non lineari, attraverso l’applicazione sia di sequenze sismiche che del corrispondente mainshock. Vengono selezionate una serie di 40 sequenze significative naturali italiane e giapponesi. Gli eventi costituenti le sequenze sono ottenuti attraverso l’Engineering Strong Motion database (ESM- INGV) [17] per gli eventi italiani e lo Strong-Motion Seismograph Networks [18] per i giapponesi. Le sequenze sono composte dai segnali registrati lasciando 30 secondi di pausa tra essi, con l’obiettivo di bloccare completamente la struttura prima di assoggettarla ad un nuovo evento della sequenza. A titolo di esempio la caratterizzazione della sequenza di Friuli-Forgaria Cornino è riportata in tabella 1 e in figura 2. In totale vengono analizzate 40 sequenze sismiche, da comparare con i rispettivi 40 mainshocks. Successivamente vengono costruite le curve di fragilità, con l’obiettivo di valutare la vulnerabilità della struttura. In generale, una curva di fragilità definisce la probabilità di superamento di un certo livello di danno (definito da uno stato limite) al variare di un

parametro di misura dell’intensità sismica (IM – Intensity Measure). In questo lavoro si adotta la metodologia “Cloud Analysis” [19]– [22] considerando la PGA come IM e il drift di interpiano come “Engineering Demand Parameter” (EDP). Come valori limite di drift si considera quanto riportato nella normativa americana [23], secondo gli stati limite di “limitate damage” (DL), “severe damage” (SD) e “near collapse” (NC). In totale vengono condotte 160 analisi dinamiche time-history, considerando per ogni segnale due diverse combinazioni delle componenti orizzontali dell’azione sismica. Le curve di fragilità vengono costruite distinguendo tra la risposta del controvento e quella dei portali trasversali. I risultati finali, forniti in figura 3, mostrano come in generale le curve di fragilità dovute alle sequenze siano a sinistra rispetto a quelle dovute ai singoli mainshocks, indicando dunque un certo accumulo di danno in seguito alla successione di eventi. Tuttavia, l’incremento di probabilità di superamento degli stati limite risulta piuttosto limitato e intorno ad un valore del 6% per lo stato limite NC, con valori inferiori per gli altri stati limite. In particolare, si osserva come l’effetto delle sequenze sia più rilevante per i controventi ad X che per i telai trasversali, per i quali gli effetti sono ancor più ridotti. COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 13

Fig. 3 | Curve di fragilità con differenziazione tra controventi ad X e portali trasversali, con PGA assunta come IM, sia per la valutazione del solo mainshock (MS) che dell’intera sequenza sismica (SS) e per tutti e tre gli stati limite indagati (DL: limitate damage; SD: severe damage; NC: near collapse): (a) caso con componente di accelerazione Nord-Sud (N) applicata in direzione longitudinale (Y) sul controvento; (b) caso con componente di accelerazione Nord-Sud (N) applicata in direzione trasversale (X) sul telaio trasversale; (c) caso con componente di accelerazione Est-Ovest (E) applicata in direzione longitudinale (Y) sul controvento; (d) caso con componente di accelerazione Est-Ovest (E) applicata in direzione trasversale (X) sul telaio trasversale.

3 ANALISI SUL SINGOLO CONTROVENTO In questa sezione vengono studiati gli effetti delle sequenze sismiche su singoli controventi ad X. In particolare si considera il modello “BC0” testato sperimentalmente da Wakabayashi [24] (le caratteristiche geometriche dei giunti, non descritte da Wakabayashi, sono desunte da [25]). Il modello numerico è implementato in Seismostruct [15]. Le imperfezioni geometriche iniziali sono state prese pari a L/1000 (valore suggerito dalla relazione di Dicleli e Calik [26]) e applicate nel piano di controvento nel punto di mezzeria di ogni semi-diagonale. In figura 4 viene mostrata la grande corrispondenza tra cicli taglio-spostamento sperimentale e numerico, garantendo la validazione del modello di calcolo. Successivamente, allo scopo di valutare un sistema caratterizzato

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da più elevate masse sismiche, vengono applicate due masse concentrate pari a 70 tonnellate ciascuna, nei due nodi di sommità (Fig. 5). Tali valori corrisponderebbero alle masse applicate ai controventi ad X appartenenti alla struttura industriale monopiano analizzata in Sezione 2 ma con un maggior numero di portali trasversali, 13 anziché i 5 presenti nel caso studio preliminare. Oltre alla configurazione data da modello di prova sperimentale, vengono analizzati altri due controventi con diversi profili di diagonale,_caratterizzati da un diverso valore di snellezza normalizzata ​​ λ​​ . Si valutano in particolare i seguenti tre profili: _

• RHS 120×40×4 _(​​ λ​   =  1,47​) • H100×50×4×6 (​​λ​   =  2,12​; profilo utilizzato nel modello BC0

Fig. 5 | Modello calibrato con applicazione di masse concentrate in sommità.

Fig. 4 | Confronto tra i cicli taglio-spostamento ottenuti da modello numerico (in rosso) e da prova sperimentale (curva BC0 in tratto nero continuo; immagine adattata da [24])

di Wakabayashi) _

• R50×20 (​λ​ ​    = 4,21​ )

L’effetto delle sequenze sismiche viene anche qui valutato, come fatto per il caso studio preliminare, andando a confrontare le richieste di spostamento da singoli mainshock e da intere sequenze. A titolo esemplificativo si riportano alcuni risultati ottenuti con la sequenza di Forgaria Cornino (caratterizzata in tabella 1 ed in Successivamente vengono costruite le curve di fragilità, con l’obiettivo di valutare la vulnerabilità della struttura. In generale, una curva di fragilità definisce la probabilità di superamento di un certo livello di danno (definito da uno stato limite) al variare di un parametro di misura dell’intensità sismica (IM – Intensity Measure). In questo lavoro si adotta la metodologia “Cloud Analysis” [19]– [22] considerando la PGA come IM e il drift di interpiano come “Engineering Demand Parameter” (EDP). Come valori limite di drift si considera quanto riportato nella normativa americana [23], secondo gli stati limite di “limitate damage” (DL), “severe damage” (SD) e “near collapse” (NC). In totale vengono condotte 160 analisi dinamiche time-history, considerando per ogni segnale due diverse combinazioni delle componenti orizzontali dell’azione sismica. Le curve di fragilità vengono costruite distinguendo tra la risposta del controvento e quella dei portali trasversali. I risultati finali, forniti in figura 3, mostrano come in generale le curve di fragilità dovute alle sequenze siano a sinistra rispetto a quelle dovute ai singoli mainshocks, indicando dunque un certo accumulo di danno in seguito alla successione di eventi. Tuttavia, l’incremento di probabilità di superamento degli stati limite risulta piuttosto limitato e intorno ad un valore del 6% per lo stato limite NC, con valori inferiori per gli altri stati limite. In particolare, si osserva come l’effetto delle sequenze sia più rilevante per i controventi ad X che per i telai trasversali, per i quali gli effetti sono ancor più ridotti.). Tale sequenza costituisce un tipico caso di eventi ripetuti di intensità comparabile. In particolare, questa sequenza è

confrontata con il suo sesto evento, caratterizzato dalla massima accelerazione spettrale in corrispondenza dei periodi di vibrazione principale delle tre diverse strutture analizzate. I cicli tagliospostamento da sequenza e da singolo mainshock sono riportati in figura 6, per ogni controvento valutato. L’incremento di richiesta di duttilità viene valutato misurando, sia per la sequenza che per il mainshock, le seguenti quantità: - - - -

​​δ​  max,+​​​: massimo spostamento in direzione positiva; ​​δ​  min,-​​​: massimo spostamento in direzione negativa; ​​δ​  max​​​: massimo spostamento in valore assoluto; Δ: massima escursione di spostamento (differenza tra massimo positivo e minimo negativo).

-

In tabella 2 si riportano tali valori per sequenza e per mainshock, insieme al rapporto tra i due. Si può osservare come essi varino significativamente, in funzione della snellezza considerata e del parametro di confronto considerato. Si osserva infatti come tale sequenza abbia un effetto particolarmente significativo sulla struttura con diagonale più tozza (quella con snellezza normalizzata pari a 1,47), con rapporti di spostamento superiori ad 1. Viceversa, per i controventi con diagonali più snelle si riscontrano rapporti più bassi.

Tab. 2 | Richieste di spostamento per le analisi condotte con gli accelerogrammi relativi alla sequenza sismica di Friuli-Forgaria Cornino; SS = Sequenza sismica; MS = Mainshock; SS/MS = rapporto tra i due; le misure sono in millimetri. _ λ​​ ​​  

1.47

2.12

​​δ​ max,+​​​

​​δ​ min,-​​​

δ​ ​​  max​​​

Δ

SS

22,2

-27,3

27,3 49,5

MS

16,6

-23,1

23,1 39,7

S S / 1,34 MS

1,18

1,18 1,25

SS

30,7

-29,2

30,7 59,9

MS

26,2

-33,6

33,6 59,8

0,87

0,91 1,00

S S / 1,17 MS

COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 15

Fig. 6 | Confronto tra i cicli dinamici da sequenza sismica e da Mainshock per il caso di sequenza di Friuli–Forgaria Cornino e per ogni snellezza normalizzata: 1.47 (a); 2.12 (b); 4.21 (c).

4.21

SS

30,2

-32,4

32,4 62,6

MS

30,2

-36,3

36,3 66,5

0,89

0,89 0,94

S S / 1,00 MS

​​M2​ j​ =  ​_     ​n°seq​ ​ ​​ ​∑ i​n​ °seq​ ​​ Δ ​ ​ seq,i​ / ​Δ​ main,i​ j

j

Vengono dunque analizzate in totale 40 sequenze sismiche per ogni gruppo di analisi, determinando gli incrementi di richiesta di duttilità per le diverse strutture. Si considerano degli incrementi medi dati dai seguenti indicatori M1 ed M2, relativi ad ogni j-esimo gruppo di analisi (corrispondenti alle tre diverse strutture, con snellezze normalizzate pari a 1,47, 2,12 e 4,21): ​M1​ j​ =  ​ ___________      ​n°seq​  ​​ ​ ​∑ i​n​ °seq​ ​​ δ​ ​ seq,max,i​ / ​δ​ main,max,i​ j

j



16 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

(1)



(2)

nei quali i rapporti sono quelli precedentemente definiti, riferibili alle sequenze sismiche (“seq”) o ai singoli mainshock (“main”): M1 viene calcolato considerando i rapporti tra spostamenti massimi in valore assoluto mentre M2 valutando le massime escursioni di spostamento. Tali indicatori sono forniti in Ziemian, R.D. (2010) Guide to Stability Design Criteria for Metal Structures, Horizontally Curved Steel Girders. 6th Edition, John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, New Jersey, 412-455. per ogni gruppo di analisi insieme alle rispettive deviazioni standard. Vengono inoltre forniti i valori finali medi, ottenuti mediando i risultati ottenuti con le diverse snellezze normalizzate.

Fig. 7 | Curve di frequenza cumulata, medie Mi e medie sommate a deviazioni standard Mi+σi per i due rapporti ​​δ​  max,seq​​  /  ​δ​ max,main​​​ e ​​Δ​  max,seq​​  / ​Δ​  max,main​​​, per il caso di diagonale con snellezza normalizzata pari a 1,47.

Tab. 3: Incrementi di richiesta di spostamento per i diversi gruppi di analisi e indicatori medi finali. Aumento medio di richiesta di spostamento Gruppo di analisi _ ​​λ​=   1,47​ _   2,12​ ​​λ​= _   4,21​ ​​λ​= Medie

M1

M1+​​σ​ M1​​​

M2

M2+​​σ​ M2​​​

4,71%

18,11%

6,45%

19,86%

1,78%

11,34%

3,77%

16,68%

0,97%

5,20%

3,10%

14,70%

2,49%

11,55%

4,44%

17,08%

A titolo esemplificativo si riportano in Fig. 7 | Curve di frequenza cumulata, medie Mi e medie sommate a deviazioni standard Mi+σi per i due rapporti ​​ δ​ max,seq​​  / ​δ​  max,main​​​ e ​​Δ​  max,seq​​  / ​ Δ​ max,main​​​, per il caso di diagonale con snellezza normalizzata pari a 1,47. le curve di frequenza cumulata dei due rapporti di spostamento insieme agli indicatori Mi and Mi+σi, per il caso particolare di snellezza normalizzata pari a 1,47; si può osservare chiaramente come tali valori medi siano superiori ad 1 e dunque come ci sia un incremento di richiesta di duttilità passando da singoli mainshock a sequenze. Generalmente, valutando i risultati di tutte le sequenze sismiche analizzate, si può osservare come le sequenze che conducono a significativi incrementi di richiesta di duttilità siano quelle caratterizzate da aftershocks con intensità paragonabile a quella del mainshock. Per le altre gli effetti riscontrati sono risultati minimi. L’effetto è inoltre variabile in base all’indicatore considerato e alla struttura analizzata. Si osserva infatti un incremento di richiesta passando da alta a bassa snellezza normalizzata delle diagonali; ciò è dovuto probabilmente ai periodi dei modi principali di vibrazione, più alti per snellezze alte e che conducono ad accelerazioni spettrali inferiori.

4. CONCLUSIONI Nel presente lavoro sono stati analizzati gli effetti delle sequenze sismiche sulla vulnerabilità di sistemi controventati industriali monopiano, in acciaio, con controventi concentrici ad X. Dapprima, come caso studio preliminare, è stata analizzata un’intera struttura

industriale monopiano, in modo tale da identificare la principale vulnerabilità di questa tipologia strutturale. Successivamente, lo studio si è concentrato sul comportamento del singolo controvento ad X, attraverso l’implementazione di un modello numerico calibrato su prove cicliche sperimentali di letteratura. A tale scopo, sono state valutate tre diverse strutture controventanti, caratterizzate da diversi profili per le diagonali. Al fine di fornire una stima dell’incremento di richiesta di duttilità, sono stati quindi definiti gli indicatori medi M1 e M2, entrambi in funzione degli spostamenti massimi richiesti, come effetto di singolo mainshock o di intera sequenza sismica. I risultati complessivi così ottenuti dalle analisi numeriche parametriche hanno mostrato in generale una grande variabilità, come effetto principale delle caratteristiche delle sequenze, alla snellezza della diagonale di controvento ed all’indicatore M1 o M2 considerato. I valori medi finali, sommati alle deviazioni standard con l’obiettivo di stimare il massimo effetto possibile delle sequenze, sono risultati pari a 11,55% e 17,08%, per M1 ed M2 rispettivamente (Ziemian, R.D. (2010) Guide to Stability Design Criteria for Metal Structures, Horizontally Curved Steel Girders. 6th Edition, John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, New Jersey, 412-455.). Dal momento che una maggiore richiesta di duttilità corrisponde in generale ad un minore fattore di struttura, viene pertanto proposto un fattore di struttura ridotto, qseq, da definirsi come: ​​q​  seq​​   =  ​η​  seq​​  q​

(3)

nel quale il fattore di riduzione può essere prudenzialmente considerato pari a ​ ​η​ seq​​       0,8  ÷0,9​ , come risultato delle analisi condotte. Da notare che questo fattore di struttura ridotto consente di ottenere solo una stima preliminare conservativa, ma comunque di rilievo, dell’effetto delle sequenze sismiche su controventi dissipativi ad X in edifici industriali monopiano. Come già sottolineato, si tratta infatti di un approccio volto alla valutazione dell’incremento della vulnerabilità di questa particolare tipologia strutturale. Diversamente, l’influenza della pericolosità sismica non è ancora considerata. Sviluppi futuri saranno focalizzati sulla valutazione di un set più ampio di sequenze sismiche e di un maggiore numero di strutture da analizzare. COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 17

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18 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

Luca Bomben Dottorando di Ricerca in Tecnica delle Costruzioni (ICAR/09) presso l’Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Ingegneria Civile – Curriculum Strutture nel 2020. La sua attività di ricerca riguarda la modellazione avanzata di strutture in muratura e di strutture intelaiate con presenza di tamponamenti, lo studio di sistemi di retrofit per telai in c.a. e la valutazione del comportamento sismico di strutture controventate in acciaio.

Marco Fasan Assegnista post-doc in Tecnica delle Costruzioni (ICAR/09) e docente a contratto di Costruzioni di Ponti presso l’Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura, dove ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca nel 2013. La sua attività di ricerca riguarda la valutazione della pericolosità e del rischio sismico, la progettazione e l’analisi non lineare di strutture antisismiche.

Claudio Amadio (1954-2023) È stato Professore Ordinario in Tecnica delle Costruzioni (ICAR/09) presso l’Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura, dove si è dedicato, fin dal 1983 si è dedicato all’attività di ricerca e alla didattica nei moduli di insegnamento di Costruzioni in Acciaio, Progetto di Strutture, Costruzioni in Zona Sismica per la Laurea Magistrale in Ingegneria Civile. La sua attività scientifica, particolarmente ricca e ampia negli anni, ha riguardato ricerche teoriche, numeriche e sperimentali dedicate a temi di base e applicativi, relativi a strutture in acciaio, composte acciaio-calcestruzzo, legno, vetro, tanto per nuove costruzioni sismoresistenti quanto in termini di intervento e adeguamento di strutture esistenti.

Chiara Bedon Professore Associato in Tecnica delle Costruzioni (ICAR/09) presso l’Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura, dove ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca nel 2012. Già docente di Costruzioni in Acciaio per la Laurea Magistrale in Ingegneria Civile, si occupa di modellazione, analisi numerica e sperimentale di sistemi costruttivi sottoposti ad azioni eccezionali (sisma, impatto, incendio), con particolare attenzione per l’uso di materiali e tecniche costruttive innovative e per le strutture in vetro.

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RICERCA

DISPOSITIVI INNOVATIVI PER LA MITIGAZIONE DEGLI EFFETTI DEL BLAST SU FACCIATE IN VETRO-ACCIAIO SOSTENUTE DA CAVI INNOVATIVE DEVICES FOR THE MITIGATION OF BLAST EFFECTS ON CABLE-SUPPORTED GLASS-STEEL FAÇADES Claudio Amadio, Chiara Bedon* | University of Trieste. Department of Engineering and Architecture - Trieste, Italy

Questo articolo è focalizzato sulla risposta strutturale di facciate in vetro-acciaio sostenute da cavi pretesi e sottoposte a carichi da esplosione di forte intensità. Sulla base di risultati di contributi precedenti, i benefici strutturali di dispositivi innovativi multipli sono analizzati numericamente. Connettori a ragno viscoelastici (VESCs) sono introdotti nei punti di connessione tra i pannelli di vetro e i cavi pretesi, in sostituzione dei ragni “rigidi” comunemente usati nella pratica. Allo stesso tempo, dispositivi rigido-plastici ad attrito (RPDs) sono installati in sommità dei cavi di sostegno, per mitigare ulteriormente il sistema controventante. Come illustrato, grazie all’uso combinato di VESCs e RPDs opportunamente dimensionati, le componenti critiche della facciata possono essere fortemente migliorate, con evidenti benefici per la stabilità globale di questi sistemi strutturali tipicamente fragili. The paper focuses on the structural response of a high-level air blast loaded cable-supported façade. Based on numerical results of previous contributions, the structural benefits of multiple innovative devices are numerically investigated. Viscoelastic spider connectors (VESCs) are introduced in the points of connection between glass panels and pretensioned cables, to replace “rigid” spiders commonly used in practice. At the same time, rigid-plastic frictional devices (RPDs) are installed at the top of the bearing cables, to mitigate furthermore the bracing system. As shown, due to the combined use of VESCs and RPDs opportunely calibrated, the critical components of the façade can be strongly improved, with obvious benefits for the global stability of these typical brittle structural systems.

1 INTRODUCTION The effects of air blast loads on the dynamic behaviour of glazing façades constitute a topic of great interest and actuality. Because of this reason, numerous authors recently focused on the typical behaviour of simply supported glass plates subjected to explosions, providing interesting analytical formulations [1-10]. In general, under blast events, a typical brittle glass system should be able to deform significantly and to resist to extremely high pressures, thus absorbing part of the incoming energy, in order to prevent the stability of the structure and thus to safeguard people and occupants. To obtain these important aims, two different fields of study have been carried out by researchers and companies. The first trend is the use and development of new materials able to improve the blast resistance of “traditional” PVB-laminated glass units. Several technological solutions have been proposed in the last years, and interesting structural benefits have been achieved [11-13]. In any case, especially in presence of high-level explosions *Corresponding author. Email: [email protected]

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or geometrically complex glazing systems, the use of “glassreinforced” sections could not guarantee appropriate levels of structural performance, due to the large amount of input energy. As result, special bearing systems and mechanisms able to dissipate part of the incoming blast energy should be preferred or used in conjunction with them [14-18]. When affected by high-level air blast loads, glass façades typically undergo large deflections and are subjected to elevated tensile stresses in the glass panels as well as in the supports [17, 18]. Although explosions represent an exceptional loading condition, anyway, the possible collapse of these fascinating curtain walls can be avoided if opportunely designed devices are introduced in the points of connection between the glass panels and the bearing system (e.g. frame, cables, etc.), as well as in the points of connection between the supporting system and the structural backup, with obvious benefits for their stability. Based on numerical results discussed in [17, 18], this paper focuses on the behavioural trends of the same cablesupported façade subjected to high-level blast loads. Multiple

Fig. 1 | Blast pressure (Level D-GSA).

a simplified pressure-time function [7]. Whereas a fluid-interaction calculation is extremely expensive but accurate, a simulation performed with a pressuretime function does not consider several effects typically associated to real explosive events (e.g. reflections and channelling), but especially in the structural analysis of simple systems, it allows to correctly estimate the maximum effects of the design explosion avoiding computational costs. In this contribution, a numerical code developed at University of Trieste was used to describe the time varyingpressure blast wave characterizing a high-level (Level-D of GSA) air blast

Fig. 2 | Anti-shatter films for blast mitigation of glazing systems (cross section) [11].

Fig. 3 | Pittsburgh Conrining’s blast resistant glass block system [13].

devices [17, 18] are introduced in the traditional glazing system, so that the capabilities of each dissipative mechanism could be strongly improved by the combined use of different devices, with obvious benefits for the façade.

load considered in following sections [19]. The corresponding pressure-time curve (figure 1) consists in a triangular pulse (positive phase) which instantaneously reaches its maximum value (static overpressure peak prD = 68,9 kPa) and decays to zero pressure in a relatively short positive phase (duration tdD = 0,025 s). The negative phase is in general of longer duration and lower intensity than the positive one, but in some structures could involve larger effects than the positive phase only, thus its effect should be considered carefully. Based on numerical results collected in [17, 18], in this work only the positive phase of the design blast load was taken into account in performed dynamic incremental analyses.

2 BLAST LOAD As known, an explosion is defined as a large-scale, rapid and sudden release of energy. From a numerical point of view, the simulation of an air blast wave can in principle be performed in two ways, that is by means of an advanced fluid-interaction calculation, or a by taking into account

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3 TRENDS AND DEVELOPMENTS RESISTANT GLAZING SYSTEMS

IN

BLAST

3.1 Use of new materials Undoubtedly, in the last years glass façades has made good progress in blast resistance by utilizing glass lamination and framing techniques to allow the glass panes to flex, so that although glass cracks, the laminated layer could be able to hold the panes together, thus limiting the scattering of glass fragments. The so obtained resisting cross section, composed of a plastic PVBlayer sandwiched between two glass sheets, has been considered for several decades the “conventional” blast-resistant glazing system, since able to provide additional plasticity to typical brittle glass structures, hence guaranteeing large post-cracked deformations and blast energy absorption. However, recent studies highlighted that the structural efficiency of PVB-laminated glass systems strongly depends on the thickness of glass panes (usually very thick, thus expensive) and on the mechanical properties of the interlayer foils. Commonly, as noticed by means of full-scale experiments and real explosive events, glass panes must be very thick, thus expensive. At the same time PVB-films, as known, are strongly time loading and temperature dependent, thus not able to guarantee appropriate stiffness properties under extreme loading conditions. Moreover, the collapse of the glazing system could occur due to tearing of PVB-foils. Based on these preliminary considerations, further research developments have been carried out in the last years by several Companies and Universities. Anti-shatter and blast mitigation films, for example, have been proposed for the blast mitigation of glass systems (figure 2), so that flying glass due to explosions could be avoided, hence preventing major damages and injuries due to shards. New iono-plastic interlayers, typically less temperaturesensitive than PVB, have been investigated and tested [11], resulting in extremely resistant and flexible sandwiched sections.

An innovative blast-resistant “super-strong” glass, able to replace traditional PVB-laminated glass sheets, obtained by assembling together two thin glass sheets and a reinforced transparent interlayer, is currently under development and study at University of Missouri [12]. The additional blast-resistance, in this case, is due to the middle “glass-reinforced” layer, consisting in long glass fibres soaked with liquid plastic and bonded with adhesive [12]. Special blast resistant “glass block systems” have also been proposed (figure 3), enhancing traditional glass block structures, by introducing in conventional modular panels appropriate silicone sealants and spacers, thus resulting in flexible, resistant and partly blast pressure absorbing units [13]. 3.2 Use of special connectors and dissipative bracing systems In presence of high-level explosions, as well as of hurricanes or natural hazards, the use of “glass-reinforced” systems and not thermally-degrading laminating materials could not guarantee appropriate structural robustness, due to the large amount of input energy terms – not totally absorbed by the glazing system – or to the geometrical complexity of the glass structure (e.g. large curtain walls, façades, etc.). In special loading conditions, satisfactory structural performances can be obtained from glass structures only by means of additional components, able to activate in presence of exceptional events and to increase the dissipative / blast-resistant capabilities of traditional glazing systems. In the case of frame-supported curtain walls, for example, these special connectors could consist in metallic devices able to yield when the explosion occurs, as well as in dissipative mechanisms able to introduce additional flexibility in traditional restraints, thus resulting in significant blast pressures dissipation and structure mitigation. An example of viscoelastic dissipative brackets applied to modular units of unitized curtain walls has been recently discussed in [14]. For cable-net façades, in which glass panels are sustained by a bearing net of pretensioned steel cables, Wellershoff [15, 16] has recently proposed the use of special glass connectors composed of cash-absorbers, so that a local plasticization could occur between each glass pane and the supporting cable, in presence of explosive events. In this contribution, based on numerical and analytical results discussed in previous works [17, 18], multiple dissipative devices are introduced in a cable-supported façade, so that the combined use of special connectors appropriately designed could improve the global dynamic response of the steelglass system, with obvious structural benefits for all the critical components (e.g. glass panes, steel cables).

4 CASE STUDY

Fig. 4 | Schematic view of the studied facade.

22 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

The studied cable-supported façade consists in 1,55 × 3,00 m, 10/4,52/10 mm laminated glass panels, obtained by assembling two fully tempered glass sheets and a middle PVB-film [17, 18]. The façade is L = 9,00 m tall and large enough to study a

Fig. 5 | Viscoelastic spider connector (detail).

Fig. 6 | Frictional rigid-plastic device.

singular 1,55 × 9,00 m modular unit (B>>L, figure 4). High carbon content harmonic steel cables (diameter f = 36 mm, axial stiffness kcable ≈ 11.300 kN/m) subjected to an initial pretension H0 = 300 kN support the cladding wall. Each laminated glass panel is sixpoint fixed, by means of four-hole (corners) and two-hole spider connectors (mid-span of vertical edges). 4.1. DISSIPATIVE DEVICES 4.1.1. Viscoelastic spider connectors (VESCs) The primary characteristic of the proposed viscoelastic system consists in the partly absorption/dissipation of the incoming energy due to explosions and in the mitigation of the main components of the curtain wall, especially glass panes. A similar effect can be achieved, as deeply discussed in [17], by replacing each conventional “rigid” spider with viscoelastic devices, thus obtaining a viscoelastic spider connector (VESC, figure 5). Generally, the effectiveness of a VE device is expressed in terms of stiffness kd and damping ratio cd, which depends on the mechanical properties and on the size (e.g. thickness hVESC and length LVESC) of the dissipative layer. Specifically: η ​k​ d​​ ​,   ​​c​ d​​ =​_ ω ​

(1)

with ω the operating frequency of the system. The capabilities of VESCs, at the same time, are directly proportional to their sliding​​ s​  VESC ​ ​​: the higher is ​​s​  VESC ​ ​​and the higher is the dissipation of the max max incoming energy due to blast, thus the higher is the mitigation of the façade. Consequently, an optimal calibration of kd is fundamental. As kd increases cd increases (Eq.(1)) but VESCs behave as “rigid” spiders. In contrary, if kd is low, the viscoelastic layer could crack due to an excessive sliding. In this work [17], the mechanical properties of a rubber with high dissipative capabilities were taken into account (G’ = 1 MPa, h = 0,6). To do not trouble the aesthetic of the studied façade, the dissipative layer was considered hVESC = 0,02 m thick and LVESC = 0,03 m long (cd= 283 kN/m ≈ kcable/40, cd = 3,4 Ns/m). As result, when the explosion occurs, the inner cylinder slides through

the external one and the viscoelastic system partly absorbs and dissipates the incoming energy, with obvious structural benefits for the entire façade. 4.1.2. RIGID-PLASTIC FRICTIONAL DEVICES (RPDS) The second typology of devices consists in a frictional system installed at the top (or at the bottom) of pretensioned cables [18]. The primary characteristic of rigid-plastic devices (RPDs) consists in limiting the axial forces in the cables to a pre-established maximum value of sliding force Fs. A frictional device can made up of three metallic plates joined together by pretensioned bolts: the outer plates are connected to the backup structure, whereas the middle plate is connected to the cable (figure 6). When the axial load in each cable exceeds Fs, the frictional device slides, thus partly dissipates in heat the input energy. As result, RPDs exploit their effectiveness in specific loading scenarios (e.g. high-level blast loads), whereas they provide a rigid connection to the cables in presence of low-intensity explosions or ordinary loads [18]. Obviously, it should be noticed that the sliding  ​​s​ RPD  ​​​ of the metallic max plates causes a loss of pretension in the cables, thus Fs should be opportunely calibrated to avoid the collapse of the façade. However, in optimal design conditions, RPDs can be extremely efficient, especially if used in conjunction with VESCs. 4.2 FE-MODELLING OF THE FAÇADE EQUIPPED BY MULTIPLE DEVICES 4.2.1 Geometry description The studied façade was modelled using the finite element computer program ABAQUS/Explicit and a single modular unit consisting in three laminated glass panels, a series of half viscoelastic spider connectors, a pair of cables and two frictional devices was taken into account in numerical simulations (figure 7, [17, 18]). Laminated glass panels were described by means of four-node three-layer composite shell elements (S4R). Glass was described as an isotropic linear-elastic material (Eg = 7x1010 N/m2, ng = 0,23, rg = 2490 Kg/m3), whereas for the PVB-film an elastoplastic characteristic curve was taken into account (EPVB = 5×108 N/m2, nPVB = 0,49, rPVB = 1100 Kg/m3, with sy,PVB = 8 MPa and eu,PVB = 300%). COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 23

Fig. 7 | FE-model of the facade-module and detail of half-VESC.

Fig. 8 | Tensile stresses in glass (ABAQUS).

Fig. 9 | Axial forces in cables (ABAQUS).

Harmonic steel (cables) and stainless steel (connectors) were assumed to behave linear-elastically (Ehs = 1,3×1011 N/m2 and Ess = 2,1×1011 N/m2 respectively, with nhs= nss= 0,32 and rhs= rss= 7300 Kg/m3).

The pretensioned cables (H0 = 300 kN) were modelled in the form of truss elements (T3D2). RPDs were described by means of axial connectors joined at the top of each cable and rigidly connected to

24 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

Fig. 10 | Cable deflection (ABAQUS).

the structural backup. A rigid-plastic characteristic curve, with Fs = 650 kN ≈ 2,15 H0, was taken into account. Each half-VESC was then described by means of three (four-hole spiders) or two (twohole) beams (B31), rigidly connected all together. The interaction between glass panels and vertical cables was guaranteed by additional join connectors. The single VE device was then introduced in the form of a linear elastic axial spring (figure 7, detail). To avoid an excessive sliding of each VESC, the presence of “rigid blocks” (nonlinear axial springs working in parallel with VE devices) was taken into account and their maximum sliding was set equal to ​​s​ VESCm ​  ​​. Finally, a total damping ratio xTOT = 2,9% max was introduced in FE-model to simulate the possible effects of structural, aerolastic and PVB-material damping. 4.2.2 Nonlinear dynamic simulations Numerical analyses were performed on the FE-model of the façademodule equipped by VESCs and RPDs, to study the behavioural trends of the glazing system subjected to a high-level blast load (Level D-GSA) and to highlight the structural benefits involved by the use of multiple devices. To do so, the Level D blast load was applied to the glass surface in the form of a uniformly distributed, impulsive time-varying load ​​q​  Dblast  ​​​ [17, 18] (figure 1). Main results of nonlinear dynamic incremental analyses are proposed in figures 8-10, in terms of maximum tensile stresses in the middle glass panel (“glass 2”) and maximum axial forces / deflections in the cables. To emphasize the effectiveness of each typology of device, results obtained for the “traditional” façade-module (i) are compared with results of the façade-module equipped by VESCs only (ii) or by VESCs and RPDs (iii). As expected [17], VESCs (ii) manifest their structural effectiveness by introducing additional deformability / dissipative capabilities in the curtain wall. Consequently, major benefits can be observed in

the glass panes (figures 8-10). It should be noticed that VESCs do not modify the distribution of tensile stresses in glass (e.g. the peak occurs at the centre of glass 2), but evidently allow to reduce their intensity (figure 8, Dsmax,L1 = -38%). Optimal results are achieved also at locations L2 and L3, where the panel is connected to VESCs and their effects maximized (Dsmax,L2 n = -35% and Dsmax,L3 = -42%). If opportunely designed, VESCs also allow to cut down the axial forces in the cables (DHmax = -7%, figure 9) and to preserve the initial pretension force H0 in them (Hmin = 1,02 H0, figure 9). Consequently, also the mid-span cable deflection of the façade is slightly reduced (Dumax = -7%, figure 10). The introduction of VESCs and RPDs can further improve the dynamic response of the glazing system, as proposed in figures 8-10. In particular, the combined use of VESCs - RPDs strongly reduces the maximum pretension forces (DHmax = -29%, figure 9). Obviously, since the effectiveness of RPDs necessary implies a sliding, also a significant loss of initial pretension occurs in the bearing system. The major is the loss of pretension DHmax and the major should be the expected increasing of deflection Dumax, thus the possibility of collapse for the façade-module. In this context, the combined use of RPDs and VESCs exploits at best the effectiveness of the multiple mechanisms. Due to VESCs, the façade is in fact subjected to a “reduced” blast impulse Ired < ITOT. Consequently, the glass panes are strongly mitigated by VESCs, the bearing cables are mainly protected by RPDs and due to the “reduced” blast Ired, the loss of pretension DHmax (Hmin ≈ 0,36 H0) involves only a slight increase of maximum deflections Dumax in the façade-module. Comparisons between the energy terms involved in the blast response of the façade-module traditionally restrained or equipped by VESCs and RPDs are proposed in figures 11-12. As shown, it is clear that the use of special devices opportunely introduced in the key sections of the glazing system involves a significant improvement in the energy balance of the whole system. In general, it is expected that the “effective” blast impulse Ired < ITOT affecting the glass panels and the cables should reduce as the flexibility of VESCs increases, since the viscous energy totally stored by these special spider connectors could be at least: ​​E​  VE  ​ = ​ ​  _12​ ​ k​  *VE ​​( ​  ​s​  VESC ​ ​​ ​​ ​​ ​​​​  2​ ​​, (2) elastic max ( ) ) with ​​k​  *VE ​​​  the equivalent stiffening contribution of VESCs and ​​s​ VESC ​ ​​ max their maximum sliding due to the design explosion [17]. At the same time, if also RPDs are used in combination with VESCs for the mitigation of the façade-module, an additional dissipation capability is introduced in the conventional glazing system, since due to the plastic sliding ​ ​s​ RPD  ​​​ of RPDs the maximum plastic energy max dissipated by friction could be at least: ​​E​  RPD  ​ ​ = ​F​  s ​​ s​ ​  RPD  ​​​ , (3) friction max thus resulting in further safeguard of cables. Undoubtedly, to maximize the effectiveness of VESCs and RPDs, thus the global dynamic response of the façade, both the devices should be designed and calibrated with attention. However, as proposed in table 1, numerical predictions obtained from ABAQUS/Explicit are in good agreement with analytical COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 25

Fig. 11 | Energy terms in the façade-module without devices (ABAQUS).

Fig. 12 | Energy terms in the façade-module with VESCs and RPDs (ABAQUS).

proposed simplified design approach.

VESCs + RPDs

High-level blast load (D-GSA) ABAQUS Analytical procedure R

5 CONCLUSIONS

The criticalities of a cable-supported façade subjected to high-level blast wave RPD pressures were investigated by means 0,0159 Max. sliding of RPDs ​smax ​  ​ ​[m] of a sophisticated numerical model. 358 350 0.98 ​  ​)​  ​[kN] Max. increment of pretension ​​​(​Hblast Based on numerical results of previous red efforts, the effects of multiple dissipative 658 650 (design load Fs) 0,98 ​  ​​​(​ ​​)​ red​)​[kN] Max. total pretension ​(​Hmax devices were analyzed numerically. The proposed devices consist in viscoelastic 115 120 1,05 Residual pretension ​Hfinal ​  ​ [kN] spider connectors (VESCs) introduced 0,44 0,43 0,97 ​  ​[m] Max. displacement ​umax between glass panels and cables and in additional rigid-plastic frictional devices (RPDs) installed at the top (or bottom) of Table 1 | Facade with VESCs + RPDs. R= analytical/numerical [17, 18]. each cable. The combined use of VESCs estimations performed for the façade-module with VESCs+RPDs, and RPDs strongly improve the dynamic based on analytical formulations derived from simple energy response of the façade. Simple analytical calculations based on considerations and discussed in detail in [17, 18]. Consequently, energy considerations confirm the dissipative effectiveness of the comparisons collected in table 1 confirm the accuracy of the proposed system.

FE-model 0,0165

[-] 0,97

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26 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

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Claudio Amadio (1954-2023) È stato Professore Ordinario in Tecnica delle Costruzioni (ICAR/09) presso l’Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura, dove fin dal 1983 si è dedicato all’attività di ricerca e alla didattica nei moduli di insegnamento di Costruzioni in Acciaio, Progetto di Strutture, Costruzioni in Zona Sismica per la Laurea Magistrale in Ingegneria Civile. La sua attività scientifica, particolarmente ricca e ampia negli anni, ha riguardato ricerche teoriche, numeriche e sperimentali dedicate a temi di base e applicativi, relativi a strutture in acciaio, composte acciaio-calcestruzzo, legno, vetro, tanto per nuove costruzioni sismoresistenti quanto in termini di intervento e adeguamento di strutture esistenti.

Chiara Bedon Professore Associato in Tecnica delle Costruzioni (ICAR/09) presso l’Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria e Architettura, dove ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca nel 2012. Già docente di Costruzioni in Acciaio per la Laurea Magistrale in Ingegneria Civile, si occupa di modellazione, analisi numerica e sperimentale di sistemi costruttivi sottoposti ad azioni eccezionali (sisma, impatto, incendio), con particolare attenzione per l’uso di materiali e tecniche costruttive innovative e per le strutture in vetro.

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REALIZZAZIONI

CAPANNONI PER POWER HOUSE ED ERECTION BAY PER IL NUOVO IMPIANTO IDROELETTRICO G.E.R. DAM (ETIOPIA) POWER HOUSE AND ERECTION BAY HANGARS FOR THE NEW HYDROELECTRIC PLANT G.E.R.DAM (ETHIOPIE) Ing. Giovanni Costa*, Ing. Leonardo Balocchi Steel Project Engineering S.r.l. - Livorno, Italia

I capannoni a copertura delle Power Unit della nuova centrale idroelettrica sul Nilo Azzurro in Etiopia (G.E.R. DAM Project) sono costituite da due tipologie di struttura metallica staticamente indi-pendente: due blocchi Erection Bay e otto Power House sulla sponda destra, mentre sulla sponda sinistra sono presenti cinque Power Unit ed un solo blocco Erection Bay. Ciascuna unità strutturale copre una superficie di circa 4400 m2, con uno sviluppo in direzione longitudinale per 52-60 m ed una larghezza di circa 27 m; ogni unità strutturale è caratterizzata da sei portali trasversali principali, disposti ad interasse variabile da 6,50 m a 13,00 m; ogni portale trasversale presenta una copertura reticolare che raggiunge i 27 m di altezza. Le colonne a baionetta fungono anche da supporto delle vie di corsa per il funzionamento di due carroponti da 500 t di portata cadauno. The sheds covering the Power Units of the new hydroelectric plant on the Blue Nile in Ethiopia (GER DAM Project) consist of two types of statically independent metal structures: two Erection Bay blocks and eight Power Houses on the right bank while on the left bank there are five Power Units and a single Erection Bay block. Each structural unit covers an area of approximately 4400 square meters, with a total longitudinal length of 52-60 m and a width of approximately 27 m; each structural unit is characterized by six main transversal frames, arranged at a variable spacing from 6.50 m to 13.00 m; each transversal frame has a trussed roof that reaches 27 m in height. The columns also support the runways of two 500 ton overhead cranes.

*Corresponding Author. Email: [email protected]

28 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

1 DESCRIZIONE DELL’OPERA La Grand Ethiopian Renaissance Dam, detta GERD (figura 1), è una diga a gravità in corso di costruzione dal 2012 sul fiume Nilo Azzurro, nella regione di Benishangul-Gumuz in prossimità del confine est dell’Etiopia con il Sudan (figura 2). L’impianto è stato concepito per una capacità di produzione elettrica annua di 15.700 gigawatt ed una volta completata sarà la più grande centrale idroelettrica in Africa, nonché la settima più grande al mondo. Lo sbarramento che sostiente il nuovo bacino artificiale sarà costituito da una diga a gravità in cemento rullato compattato dell’altezza di circa 170 m e di sviluppo longitudinale di 1780 m,

reallizato per collegare le due pareti rocciose preesistenti intorno all’alveo del Fiume Nilo; le opere idrauliche sono completate da una diga a gravità con riempimento in roccia alta 50 m e di sviluppo longitudinale pari a circa 5000 m, come si può vedere dalla immagine di inquadramento della figura 3 con la nomenclatura delle diverse parti strutturali della diga. Ai piedi della diga principale, ai fianchi del canale di scarico che reimmette nel fiume Nilo le acque del bacino, sono situate le due centrali idroelettriche che ospitano rispettivamente 6 e 7 generatori a turbina. Le centrali idroelettriche sono ospitate in due edifici di grande estensione longitudinale, fra loro divisi da

Fig. 1 | Grand Ethiopian Renaissance Dam

Fig. 2 | Inquadramento geografico G.E.R. Dam

COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 29

Fig. 3 | Vista dei principali elementi costituenti da diga

giunti di costruzione, che si sviluppano altimetricamente da un piano interrato fondato da -15 m sotto il livello del fiume fino alla quota di +43 m in sommità alla copertura. La parte di edificio da interrato a quota +18 m è costituita da una struttura a setti in cemento armato che contengono l’alloggiamento delle turbine e gli impalcati laterali di servizio, mentre da quota +18 fino alla sommità del tetto la struttura è costituita da una sequenza di

Fig. 4 | Vista della diga e delle Power House

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fabbricati in struttura metallica a portale trasversale (figura 4), che hanno la funzione di sostegno delle vie di corsa delle centrali idroelettriche e di copertura dei locali turbina. In ciascuna delle due centrali idroelettriche, i fabbricati che ospitano le turbine sono denominati Power House e sono costituiti da una sottostruttura in cemento armato a setti laterali senza solaio di sommità, sormontati dal capannone metallico; i fabbricati destinati alle zone di assemblaggio, denominati Erection Bay, hanno lo stesso schema statico per la parte metallica superiore mentre hanno dei solai di impalcato a chiusura dei setti verticali in cemento armato. Su tali impalcati vengono assemblate le turbine di generazione prima della loro installazione che avviene mediante una coppia di carriponte di grande portata; il funzionamento di tali attrezzature, come verrà illustrato nei successivi paragrafi, caratterizza fortemente il progetto delle strutture metalliche.

Fig. 5 | Spillway Bridge – Pianta e prospetto

Nella centrale idroelettrica di sponda destra sono presenti due blocchi Erection Bay e otto Power unit mentre in sponda sinistra sono presenti cinque Power Unit e un solo blocco Erection Bay. Completa la parte delle strutture in carpenteria metallica a servizio della diga il cosiddetto Spillway Brigde, ossia un impalcato da ponte stradale di 7 campate (luci 32+38 x 4+32 m) che collega fra loro, a quota +170 m da piano fondazione, la cresta diga di sponda sinistra e destra, scavalcando lo sfioratore di emergenza; il ponte è sostenuto da 5 pile e 2 spalle (figura 5) e la struttura è realizzata con un impalcato in sezione mista acciaio-calcestruzzo a tre travi principali, con piattaforma larga 12,5 m e costituita da una soletta in calcestruzzo armato di spessore medio 30 cm. Il ponte sullo sfioratore, varato di punta dalla cresta di sponda sinistra verso la cresta di sponda destra, è in corso di costruzione e se ne prevede, fra completamento delle opere civili su sfioratore ed effettuazione del montaggio, il completamento entro la prima metà del 2024. 1.1 LA STRUTTURA Le singole unità strutturale che costituiscono la parte sommitale delle due centrali idroelettriche sono caratterizzate dalla stessa tipologia di struttura metallica che si sviluppa in direzione

Fig. 6 | Modello 3D Power Unit 9-10

longitudinale per 52-60 m a seconda delle sottostanti unità di generazione, mentre la sezione trasversale presenta una larghezza di circa 27 m; ogni unità strutturale presenta un giunto solo dal livello +518 m di spiccato capannone, mentre i giunti strutturali sulle sottostrutture in cemento armato sono disposti generalmente ogni 2 unità. Le strutture metalliche dei padiglioni per le Power Unit (figura 6) che quelle per le Erection Bay (figura 8) sono caratterizzate dalla presenza di sei portali trasversali principali (figura 7), disposti ad interasse variabile da 6,50 a 13,00 m; ogni portale trasversale è composto a sua volta da: • Due colonne realizzate con sezione a doppio T di altezza circa 12,5 m a sostegno delle vie di corsa; • Due baionette in sezione a doppio T che sostengono le travi longitudinali porta-capriata e le travi trasversali della copertura; • Una trave reticolare trasversale di luce 27 m, con interasse briglie pari a 2,50 m, inclinata del 5% per consentire il deflusso dell’acqua verso l’esterno diga; le travi reticolari trasversali sono disposte a interasse 6.50 m, incastrate in corrispondenza dei portali ed in semplice appoggio sulle travi longitudinali porta capriata; • Due allineamenti di travi reticolari longitudinali di luce 13 m, con interasse briglie pari a 2,50 m, a sostegno delle travi reticolari trasversali di copertura in falso rispetto ai portali; • Due allineamenti di vie di corsa in sezione a doppio T con luce variabile da 6,5 a 13 m; • Due allineamenti di travi reticolari orizzontali ordite in direzione longitudinale per stabilizzare il fusto principale delle colonne, fungere da travi reggi-vento del baraccato e da trave reggi-spinta delle vie di corsa; luce variabile da 6,5 a 13 m; Tutti gli elementi sono stati definiti, oltre che in funzione delle esigenze statiche, anche in base alle modalità di spedizione dall’officina di produzione al sito di costruzione, spedizione che è avvenuta con trasporti marittimi e stradali. Ad eccezione di colonne e vie di corsa (unici elementi con protezione superficiale per verniciatura), che sono state trasportate in stiva visti i loro ingombro, tutti gli altri elementi sono stati spediti in container, COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 31

rispettivamente “Ventilation Building” ed “Entrance Building” che accolgono rispettivamente locali impiantistici o di servizio.

Fig. 7 | Modello 3D Power Unit 9-10

Fig. 8 | Strutture metalliche Erection Bay 2 complete

avendo quindi lunghezze non superiori ai 12 m ed essendo in pezzi sciolti non pre-assemblati. Oltre alle strutture principali della Main Hall, per ciascun fabbricato sono previsti dei corpi laterali accessori, denominati

32 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

1.2 STRUTTURE VERTICALI– COLONNE METALLICHE Le colonne dei portali sono realizzate con sezione trasversale a doppio T composta per saldatura (figure 9 e 10); il primo tratto, quello dalla piastra di base a intradosso via di corsa, è costituito da un profilo di 1800 mm di altezza, piattabande 900x65 mm e anima di spessore 20 mm, mentre la parte rastremata di colonna (detta baionetta) sopra il piano di appoggio della via di corsa ha una altezza di 600 mm, piattabande 500x40 mm e anima da 20 mm. Le colonne sono opportunamente nervate per il collegamento alle piastre di base, per l’attacco delle travi reticolari orizzontali di stabilizzazione e porta vento ed in sommità al piano di appoggio della via di corsa e della baionetta; per esigenze di trasporto la colonna è spezzata in due conci al di sopra del piano di controvento della via di corsa ed il collegamento fra il concio inferiore e superiore di baionetta viene effettuato con un giunto a coprigiunti con bulloni ad attrito. 1.3 STRUTTURE VERTICALI CONTROVENTI Ciascuna unità strutturale è dotata di una coppia di controventi verticali, una per parete, per il trasferimento delle azioni orizzontali longitudinali derivanti dall’esercizio del carroponte (forze di frenatura/accelerazione, componenti longitudinali dell’effetto di serpeggio) e dalle azioni dovute al vento ed ai carichi equivalenti agli effetti della stabilità in copertura. I controventi verticali sono a croce di S. Andrea e sono realizzati con profili angolari accoppiati (figure 11 e 12): per la maglia inferiore, calcolata ad aste tese e compresse, sono stati impiegati 4L200x200x10 mentre per la maglia superiore, calcolata ad aste solo tese 4L100x100x10 (profili di ingombro minore per evitare interferenze con la trave reticolare reggispinta della via di corsa).

1.4 STRUTTURE ORIZZONTALI – COPERTURE RETICOLARI La copertura del capannone è realizzata con travi reticolari principali (su portale) e secondarie (in falso sulle travi reticolari longitudinali), disposte ad interasse di 6500 mm e ordite su luce 25,7 m; le reticolari di copertura (figura 13) sono costitute da profili laminati in angolari accoppiati con interasse briglie di 2500 mm e campi di lunghezza variabile da 2145 a 2300 mm circa. Le reticolari sono disposte su una inclinazione del 5% e sostengono arcarecci in profilo tubolare su cui è posato il pannello sandwich di copertura. Le reticolari di copertura sono stabilizzate sul piano di estradosso da controventi di falda disposti sulle testate trasversali e da un campo longitudinale di controvento verso ciascuna parete laterale; all’intradosso per contrastare l’instabilità associata all’inversione di sforzo dovuta alla depressione del vento, sono stati previsti elementi di stabilizzazione in tubo che collegano ogni due nodi la briglia inferiore delle reticolari trasversali di copertura al controvento di falda trasversale in testata alla copertura (figura 14).

Fig. 9 | Colonne: Dettaglio profili e cianfrinature

1.5 STRUTTURE ORIZZONTALI – VIE DI CORSA La via di corsa a sostegno delle rotaie del carroponte è realizzata con travi a doppio T composte per saldatura, aventi altezza pari a 2000 mm e luce variabile da 6,5 a 13 m; le piattabande sono costituite da piatti 600x40 mm e anime di spessore 22 mm con opportuni irrigidimenti per evitare i problemi di instabilità locale per gli elevati carichi trasversali associati al transito dei carroponti. Le travi delle vie di corsa hanno schema statico di semplice appoggio, Fig. 10 | Vista delle colonne EB2 stabilizzate e controventate a livello della piattabanda superiore da una stati utilizzate bullonerie di due tipi in funzione della modalità di trave reticolare reggispinta; ogni via di corsa è inoltre vincolata esecuzione del giunto: trasversalmente in corrispondenza di ogni colonna. • Giunti ad attrito – bulloneria ad alta resistenza e serraggio controllato tipo HR (secondo EN 14399) 1.6 COLLEGAMENTI • Giunti a taglio – bulloneria non adatta a precarico tipo SB Tutti i collegamenti delle strutture assemblate in opera sono stati (secondo EN 15048) concepiti con giunzioni bullonate: per realizzare tali elementi sono Le giunzioni ad attrito sono previste per i giunti delle colonne, COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 33

Fig. 11 | Dettagli collegamento controventi verticali e via di corsa

Fig. 12 | Controventi verticali: assieme e dettagli

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Fig. 13 | Trave reticolare di copertura

colonne, mentre i tacchi di taglio trasferiscono, dopo il relativo inghisaggio, le azioni orizzontali al calcestruzzo. Oltre a definire uno schema di trasferimento delle forze chiaro ed univoco, tale soluzione consente una maggiore tolleranza di posa e di regolazione delle colonne durante la fase di montaggio. Per le colonne dei controventi, maggiormente soggette a sforzi di trazione sono stati adottati, invece delle rosette in piatto all’estremità del tirafondo, traverse in UPN preventivamente annegate all’interno del calcestruzzo e messe in battuta ai tirafondi mediante piastre di contrasto.

2 CRITERI DI PROGETTAZIONE

Fig. 14 | Vista della copertura

tutti gli altri collegamenti per le travi reticolari longitudinali e trasversali, oltre che per i controventi verticali e orizzontali, sono invece realizzati a taglio. Le piastre di base, che devono realizzare lo schema di incastro al piede delle colonne nel piano trasversale, sono state invece concepite con tirafondi preinstallati nel getto di calcestruzzo e con tacchi di taglio saldati all’intradosso delle piastre. I tirafondi, inseriti in fori maggiorati della piastra di base, trasferiscono le sole trazioni derivanti dai momenti al piede delle

Come da specifiche di capitolato tecnico di appalto, le strutture metalliche delle Main Hall e dei fabbricati accessori sono state dimensionate in accordo con gli Eurocodici strutturali e con le normative etiopiche per la definizione dei dati di base delle azioni ambientali e sismiche, come specificato nel seguente elenco: Eurocodici utilizzati: UNI EN1991-4 Azioni sulle strutture - Parte 4: Azioni indotte dal vento UNI EN1991-3 Azioni sulle strutture - Parte 3: Azioni indotte da gru e macchinari UNI EN1993-1-1 Progettazione di strutture in acciaio - Parte 1-1: Regole generali e regole per gli edifici UNI EN1993-1-5 Progettazione di strutture in acciaio - Parte 1-5: Elementi strutturali placcati UNI EN1993-6 Progettazione di strutture in acciaio - Parte 6: Strutture per apparecchi di sollevamento UNI EN 1993-1-8 Progettazione di strutture in acciaio - Parte 1-8: Progettazione dei giunti Codici Etiopi utilizzati per la definizione delle azioni ambientali di base: EBCS 1 Basi del progetto e azioni sulle strutture COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 35

Fig. 15 | Vista di assieme vie di corsa Power Unit

Fig. 16 | Dettaglio trave via di corsa

Fig. 17 | Dettaglio controventatura via di corsa

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EBCS 3 Progettazione delle strutture in acciaio EBCS 8 Progettazione di strutture per la resistenza al sisma Il sito di costruzione si trova in una regione non classificata come zona sismica (come si può vedere nella figura 19), tuttavia, data l’importanza dell’opera e le conseguenze devastanti di un eventuale collasso della diga, l’azione sismica è stata comunque valutata nella progettazione delle sottostrutture e delle sovrastrutture. Il rischio sismico è stato quindi valutato con uno studio specifico del sito: i parametri selezionati sono quelli necessari per definire lo scenario sismico definito nelle linee guida USACE ed il bollettino ICOLD 72, per la valutazione della sicurezza del terremoto di progetto (SEE) e del terremoto della base operativa (OBE, corrispondente allo stato limite di danno previsto da Eurocodice). L’analisi sismica è stata effettuata utilizzando l’analisi modale con spettro di risposta in conformità con l’EBCS 8 e l’Eurocodice 8, utilizzando uno smorzamento del 5% ed un fattore di struttura q = 4 per tenere in considerazione il comportamento dissipativo delle sottostrutture in cemento armato. I parametri sismici scelti sono stati selezionati in conformità con gli standard internazionali Eurocodice 8 e bollettino ICOLD 72, sono riportati nella figura 20. Come evidente, l’azione sismica non risulta un parametro dimensionante per le strutture essendo di scarsa entità e comunque inferiore all’azione statica equivalente associata agli effetti del vento.

Fig. 18 | Piastre di base

Il criterio dimensionante per le strutture metalliche di elevazione è sicuramente quello dello Stato Limite di Deformazione legato al corretto esercizio dei carriponte: i carriponte sono infatti necessari per l’assemblaggio e la manutenzione dei generatori a turbina presenti all’interno delle centrali idroelettriche e le limitazioni alle deformazioni imposte dal Capitolato Speciale di appalto sono decisamente stringenti soprattutto in relazione alla portata di esercizio prevista per ciascun carroponte (500 t). Sono state quindi effettuate tutte le verifiche di deformabilità previste dalle norme EN1993-1-6 specifiche per le attrezzature e macchinari; in particolare particolarmente gravosa è risultata la limitazione del “change of spacing” (variazione dello scartamento teorico fra le vie di corsa) per effetto dei carichi verticali e orizzontali associati all’esercizio del carroponte e alle altri azioni accidentali ambientali concomitanti (vento e deformazione termica); nell’accezione degli Eurocodici non si prevede per tale limitazione una modulazione in funzione della portata e dello scartamento del carroponte, risultando particolarmente severa in relazione alla specifica portata di progetto dei carroponte in

esercizio delle Power House e comunque dimensionante per le strutture di portale (colonne e travi reticolari di copertura).A tal proposito, oltre ad effettuare le verifiche sulla struttura metallica a base fissa come previsto dalla normativa, sono state effettuate ulteriori valutazioni per le strutture delle Power Unit per definire l’impatto della conformazione geometrica delle sottostrutture in cemento armato (senza solaio di chiusura centrale a quota spiccato colonne) sull’esercizio del carroponte. Tale modellazione è stata indirizzata a valutare l’influenza sull’esercizio dei carriponte degli effetti di lunga durata associati al fluage del calcestruzzo ed alle possibili/eventuali sovra-spinte idrauliche derivanti dai moti di filtrazione idraulica dal fondo bacino della diga (figura 24). Sulla base di tali previsioni sono stati valutati sin dalla fase di progettazione delle strutture sono state valutati i possibili accorgimenti per consentire future regolazioni planoaltimetriche per correggere le deformazioni indotte dall’eventuale manifestazione dei fenomeni sopra illustrati.

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Fig. 19 | Zone sismiche Etiopia

Fig. 20 | Parametri sismici per la centrale elettrica

Fig. 21 | Dettagli carroponte Main Hall

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Fig. 22 | Vista carriponte 500 t accoppiati

Fig. 24 | Modello globale per valutazione interazione struttura in c.a. - struttura metallica

Fig. 23 | EN1993-6 Tabella 7.1 – limitazioni spostamenti orizzontali COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 39

CREDITS

Grand Ethiopian Reinassance DAM – Edifici di copertura delle Power House e delle Erection Bay Luogo: Benishangul Gumaz (Etiopia) Data realizzazione: Avvio lavori 2012 Fine lavori opere civili 2026 Stazione Appaltante: Ethiopian Electric Power Contraente Generale: WeBuild S .p.A. Costruttore carpenteria metallica MBM S.p.A. Progetto Esecutivo impianto idroelettrico: Studio Pietrangeli S.p.A. Variante Progetto Esecutivo e Progetto Costruttivo delle strutture metalliche per le Power Unit ed Erction Bay: Steel Project Engineering S.r.l. Gruppo di lavoro: Ing. Giovanni Costa, Ing. Leonardo Balocchi, Ing. Pietro Bottino Ing. Andrea Belli, Ing. Enrico Zambella, geom. Matteo Magni Superficie Power Unit Right Bank: Superficie Power Unit Left Bank: Altezza/larghezza fabbricati: Peso acciaio strutture: Qualità acciaio Protezione superficiale: Fotografie:



circa 16’000 m2 circa 10’000 m2 25 m/27 m circa 7000 ton (compresi fabbricati accessori) S355J0/J2/K2 Verniciatura (colonne e vie di corsa) e zincatura (elementi reticolari, controventi arcarecci) Gruppo WeBuild S.p.a., MBM S.p.a., Steel Project Engineering

RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano Ethiopian Electric Power, Webuild S.p.A. e MBM S.p.A. per il materiale fotografico e per l’autorizzazione alla pubblicazione.

Giovanni Costa. Ingegnere strutturista, Amministratore Unico e Direttore Tecnico della Steel Project Engineering s.r.l., società di ingegneria specializzata nella progettazione di strutture metalliche e di ponti stradali e ferroviari. Nel corso della sua pluriennale attività professionale si è occupato della progettazione di edifici civili ed industriali e di ponti per infrastrutture viarie e ferroviarie, con particolare attenzione alle opere in carpenteria metallica e in struttura mista acciaio-cls. Un importante campo di attività riguarda lo studio di montaggio di opere di varia natura e la progettazione di strutture speciali ed attrezzature di montaggio. Si è inoltre occupato di analisi dinamiche specialistiche quali le analisi di comfort ed interazione aeroelastica oltre che dello sviluppo di procedure automatizzate per il calcolo strutturale. Collabora attivamente con le principali associazioni per la promozione della tecnica costruttiva in acciaio e con l’Università di Pisa per lo svolgimento di tesi di laurea, seminari formativi, webinar e convegni.

Leonardo Balocchi. Ingegnere strutturista e Project Manager, socio di Steel Project Engineering s.r.l., ha maturato esperienza nell’ambito della progettazione di strutture metalliche e dell’ingegneria di montaggio per importanti opere sia in Italia che all’estero. Collabora con l’Università di Pisa per Tesi di Laurea e Seminari ed è stato redattore di articoli e relatore di seminari per le principali fondazioni di settore per la promozione dell’acciaio.

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MONTAGGI

STABILIMENTO “ACCIAIERIE D’ITALIA” DI TARANTO. COPERTURA DEL PARCO MATERIE PRIME (OMO). PROGETTO DELLE ATTREZZATURE E DELLA STRUTTURA IN FASE DI MONTAGGIO. “ACCIAIERIE D’ITALIA” FACTORY IN TARANTO SAFE CONFINEMENT OF THE RAW MATERIALS PARK. DESIGN OF THE SPECIAL EQUIPMENT AND OF THE STRUCTURE DURING ERECTION Ing. Giovanni Costa*, Ing. Leonardo Balocchi, Ing. Enrico Zambella, Ing. Simona Paone Steel Project Engineering S.r.l. - Livorno, Italia

La copertura del parco OMO (materie prime), situata all’interno dello stabilimento “Acciaierie d’Italia” di Taranto, è costituita da una serie di 63 archi reticolari in carpenteria metallica. La struttura ha dimensioni in pianta di 110 x 385 m ed un’altezza in chiave d’arco di circa 42 m; gli archi reticolari sono posti ad interasse di 6,20m. Per il montaggio la copertura è stata suddivisa in 9 macro-moduli, ognuno costituito da 7 arcate. Assemblati i conci centrali dei macro-moduli, questi vengono sollevati in quota mediante 4 strand jack collegati a traverse reticolari orizzontali, fatte scorrere tra guide verticali posizionate tra torri di sollevamento. Completato l’assemblaggio del singolo modulo con i conci di appoggio, il macro-concio viene traslato su carrelli provvisori e spinto mediante una coppia di strand jack fino a raggiungere la sua posizione definitiva. The safe confinement steel structure for the OMO (raw materials) park located inside the “Acciaierie d’Italia” factory in Taranto has plan dimensions of 110 x 385m and is made up of 63 trussed arches, spaced by 6.20 m and with a maximum height of approxi-mately 42m. Because of the erection phases, the structure was divided into 9 macro-modules, each consisting of 7 arches. Once the central segments of each macro-module are assembled, they are raised by means of 4 strand jacks connected to a horizontal truss beam which can slide between vertical guides placed on the lifting towers. Once the assembly of a single macro-module was com-pleted, it was placed on trolleys and then pushed towards its final position by means of a couple of strand jacks.

*Corresponding Author. Mail: [email protected] COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 41

Fig. 1 | Viste della copertura ultimata

1 DESCRIZIONE DELL’OPERA Nell’ambito degli interventi di adeguamento ambientale presso lo stabilimento “Acciaierie d’Italia” di Taranto, è stata realizzata la copertura del parco OMO (materie prime) per il contenimento delle polveri sottili derivanti dalla movimentazione dei materiali ferrosi

Fig. 2 | Sezione trasversale tipologica

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di alimentazione agli altoforni di produzione dell’acciaio. La copertura, interamente realizzata in acciaio S355 verniciato, occupa un’area larga 110 m e lunga circa 385 m ed è costituita da 63 archi reticolari posti ad interasse 6,20 m, con altezza in

Fig. 3 | Cerniera di base

Fig. 4 | Planimetria della copertura con suddivisione in moduli

Fig. 5 | Fasi di sollevamento e assiemaggio della copertura

chiave di circa 42 m. Il manto di copertura è realizzato con una lamiera grecata in appoggio su arcarecci pressopiegati a sezione ad omega posti ad interasse 2,5 m circa (figura 1). La copertura è dotata di controventi superiori, mentre la stabilità dei correnti inferiori è garantita da crociere longitudinali; sulle due testate sono presenti frontoni di chiusura, appeso alla copertura quello sul picchetto 1 e poggiato a terra quello sul picchetto 63, con apposite aperture per il passaggio delle macchine per la movimentano dei cumuli di polvere ferrosa. In esercizio gli archi hanno schema statico di incastro realizzato con una doppia cerniere di base mediante connessioni a perno su briglia interna (figura 3) e con un collegamento bullonato attivato solo a carichi permanenti completamente esplicati; durante le fasi di montaggio e traslazione gli archi sono invece incernierati. Gli archi poggiano su plinti di fondazioni in cemento armato e pali

di sottofondazione. I giunti degli elementi principali (briglie) sono bullonati ad attrito. Per il montaggio, la copertura è stata suddivisa in 9 macromoduli, ognuno composto da 7 arcate, di cui 2 controventate orizzontalmente per garantire la stabilità in senso longitudinale (figura 4). Il peso del modulo tipico (interno) è di circa 375 t, mentre il modulo più pesante (di testata) raggiunge il valore di circa 500 t.

2 METODOLOGIA DI MONTAGGIO La struttura è stata suddivisa in 9 moduli: ciascun modulo è stato assiemato in un’area dedicata (figura 6) all’estremità della costruzione di estensione pari a 6 campi di copertura, sufficientemente ampia, quindi, per l’assiemaggio di un modulo completo. Mediante l’utilizzo di 4 torri di sollevamento equipaggiate di strand-jack, le arcate vengono progressivamente sollevate e COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 43

Fig. 6 | Planimetria generale del cantiere Fig. 7 | Planimetria campo di assiemaggio e sollevamento

Fig. 8 | Fase 1

Fig. 9 | Fase 2

completate aggiungendo conci ai lati: il montaggio procede dal concio centrale ai conci di appoggio come illustrato in figura 5. Ultimato l’assemblaggio del singolo modulo, completo di archi e elementi longitudinali, questo viene spinto da una coppia di strand jack orizzontali collegati alla copertura. Lo scorrimento è garantito da appositi carrelli inseriti nel blocco delle cerniere alla base dei vari archi, che possono scorrere sui cordoli di fondazione. 2.1 Fasi di montaggio Ciascun arco è stato suddiviso in conci elementari di 12 m composti

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da briglia superiore, briglia inferiore e diagonali assiemati in officina. I vari conci elementari sono stati quindi trasportati e stoccati in un’area di cantiere adiacente al sedime definitivo della struttura per poi essere assemblati fra loro in modo da comporre macro-conci di lunghezza 24 m circa (figura 6). I macro-conci così realizzati sono stati trasportati mediante apposite rastrelliere installate su autoarticolati in un’area appositamente attrezzata sul sedime definitivo tra i picchetti 50 e 63 (cosiddetto “campo varo”). L’assiemaggio su campo varo comincia con la posa dei macroconci

Fig. 10 | Fase 3

Fig. 11 | Fase 4

Fig. 12 | Golfari speciali per la ricerca della congruenza del concio terminale e fasi operative

Fig. 13 | Fase di traslazione

Fig. 14 | Ancoraggio gamba esterna alla base COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 45

composti dai 3 conci centrali su coppie di pile provvisorie attrezzate con apposite forcelle con funzione di ritegno torsionale. Partendo dalla capriata di controvento si procede con la posa delle successive capriate ed i relativi elementi di falda (arcarecci, controventi, etc.) fino al completamento della “striscia” centrale dell’i-esimo modulo (fase 1 – figura 8). Vengono quindi posizionati i conci laterali in appoggio sul traversone di sollevamento (fase 2 – figura 9): tale traversone sostiene le 7 capriate del modulo mediante dei telai di supporto ed è tenuto in senso orizzontale da apposite guide disposte sulle torri di sollevamento. Il sollevamento è realizzato mediante strand jack: questi sono alloggiati in un modulo speciale del traversone, mentre il punto fisso superiore è collegato al telaio di coronamento delle torri di sollevamento. Si procede con il primo sollevamento fino ad arrivare ad una quota tale da permettere il montaggio di ulteriori conci laterali (Fase 3 – figura 10). Portata la copertura alla quota definitiva è possibile montare gli ultimi conci e far poggiare l’arcata sulle cerniere interne (fase 4 – figura 11). Particolare attenzione è stata posta sulla fase di chiusura dell’arco al fine di garantire la congruenza all’interfaccia per evitare di congelare nella configurazione strutturale finale imperfezioni geometriche non calcolate e conseguenti effetti di memoria nel funzionamento in esercizio. Per il recupero della freccia dell’arco già montato ed a sbalzo rispetto al traversone, è stato previsto l’utilizzo di un golfare speciale con un collegamento a perno dotato di foro asolato sul piatto solidale all’arcata già montata; questo ha permesso di posare il nuovo concio garantendo la tolleranza di montaggio per poi farlo scorrere fino a portarlo in appoggio sull’arco già montato. A questo punto viene imbragato nuovamente il golfare mediante una gru per far ruotare i lembi annullando la cuspide (figura 12). Queste operazioni hanno richiesto la preliminare verifica in cantiere della corrispondenza tra gli spostamenti calcolati e quelli misurati sulla struttura effettivamente realizzata. L’ottima rispondenza del comportamento delle arcate rispetto a quanto previsto ha consentito di serrare senza forzature i giunti in oggetto, risultando le normali tolleranze di posa sufficienti a coprire le seppur minime imperfezioni geometriche riscontrate di cantiere. Una volta completato il modulo di copertura, si procede alla traslazione dello stesso mediante strand jack orizzontali alloggiati su una struttura reticolare collegata al piede delle due arcate anteriori (figura 13). I trefoli sono collegati a due punti fissi posti alle estremità della copertura. Una volta portato il modulo in posizione definitiva le cerniere di base vengono prese in carico mediante martinetti; vengono quindi rimossi i carrelli di traslazione e la struttura reticolare a sostegno dello strand jack. Le attrezzature di spinta vengono infine riportate sul campo varo per la traslazione del modulo successivo. Infine viene ricreato lo schema statico definitivo mediante l’ancoraggio della briglia esterna alla base degli archi (figura 14). Gli arcarecci di “interfaccia” fra un modulo e il successivo sono

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montati a sbalzo sul modulo precedente mediante incastro provvisorio di due arcarecci contigui che vengono opportunamente rinforzati; arrivati in posizione definitiva viene recuperata la freccia degli arcarecci mediante cricchette ad azionamento manuale. Completata la struttura secondaria di copertura vengono montati in quota le lamiere ed i pannelli traslucidi che costituiscono il manto (figura 15). L’ultima attività ha riguardato il montaggio dei baraccati dei frontoni (figura 16): gli elementi componenti la struttura sono stati preassemblati a terra formando macroelementi reticolari e poi sollevato mediante appositi bilancini di geometria tale da evitare interferenza fra bracci delle gru e soprastante copertura già montata.

3 ATTREZZATURE DI MONTAGGIO 3.1 Pile e appoggi provvisori Le pile provvisorie hanno la funzione di sostenere, nelle prime fasi di assiemaggio, i conci centrali delle arcate dei vari moduli di copertura. Sono formate da 4 moduli di altezza 6 m, 3 m e 2 da 1,5 m, con dimensione in pianta 1,8 x 1,8 m (figura 18). I moduli sono formati dai correnti in profili tubolari Φ298x12,5 e montanti e diagonali in pressopiegato a sezione singola C180x80x10, con disposizione dei diagonali a croce di S.Andrea in modo da lavorare soltanto in trazione. I testa-pila sono stati progettati in modo da non avere effetti legati all’azione termica: uno dei 2 appoggi, infatti, è scorrevole trasversalmente in modo da permettere che la capriata si deformi liberamente sotto gli effetti della temperatura. L’appoggio è realizzato tramite apposite selle che garantiscono un vincolo di cerniera perfetta (figura 20). Nella sommità delle pile provvisorie sono previste delle apposite forcelle attrezzate per il ritegno torsionale delle arcate in fase provvisoria. Per evitare che le arcate possano “grippare” in fase di appoggio e sollevamento, sulle forcelle sono previsti dei ritegni regolabili rivestiti con teflon (figura 19). 3.2 Sistema di sollevamento Il sistema di sollevamento è costituito da quattro coppie di torri (Torri di sollevamento) tra le quali scorrono due traversi orizzontali di lunghezza corrispondente ai macro-moduli di copertura (figure 17 e 21). Le torri di sollevamento sono formate da 4 moduli di altezza 6 m, 1 modulo di altezza 3 m e un modulo di sommità; esse presentano dimensione in pianta 1,8 x 2,4 m (figura 26). I moduli sono formati dai correnti in profili tubolari φ298x12,5 e montanti e diagonali in presso-piegato accoppiati C180x80x10, con disposizione dei diagonali a croce di S.Andrea che lavorano sia in trazione che in compressione. La traversa di sollevamento è un elemento di lunghezza complessiva pari a 37,20 m sulla quale poggiano le arcate che compongono la copertura. La traversa è costituita da quattro moduli detti “tipici” (figura 22) poiché costituiti dagli stessi profili con cui sono realizzate le pile provvisorie e le torri di sollevamento (elementi tubolari nervati e diagonali in presso-piegato) e da due moduli “speciali” (figura 24) realizzati con profili a doppio T ad

Fig. 15 | Completamento della copertura

Fig. 16 | Montaggio dei frontoni

Fig. 17 | Vista di assieme in fase di montaggio COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 47

Fig. 18 | Pila Provvisoria

Fig. 19 | Forcelle su pile provvisorie

Fig. 20 | Dettaglio selle di appoggio

Fig. 21 | Torri di sollevamento e traversone

Fig. 22 | Modulo tipico di traversone

anima piena; tali conci speciali alloggiano le guide, gli strand jack e la piattaforma di lavoro per gli addetti alle operazioni di sollevamento. L’arco ha un comportamento spingente in ogni sua fase: è quindi necessario un sistema di guida laterale atto a mantenere la forma della copertura e ad assorbire le relative azioni orizzontali; inoltre il sistema di guide è necessario per riprendere le azioni longitudinali del vento. Il traverso è quindi guidato tramite dei pattini posti in corrispondenza dei moduli speciali e che fanno riscontro su apposite guide a sezione scatolare fissate in corrispondenza di ogni diaframma delle torri di sollevamento. Per assorbire l’eccentricità delle spinte trasversali (direzione principale dell’arco) sono previste una guida superiore ed una inferiore; in direzione longitudinale, per evitare effetti iperstatici, è previsto un solo sistema di guide superiori e su un solo allineamento delle torri. Il sistema di guida è illustrato in figura 23.

prodotta ex novo (figure 27 e 28). Per garantire una minima tesatura dei trefoli verticali è prevista una ulteriore ancora solidale alla fondazione della torre di sollevamento e posizionata all’interno di una riservazione nella platea stessa.

I 4 strand jack di sollevamento hanno una portata di 300 t e sono alloggiati sui moduli speciali dei traversoni (figura 25) e, pertanto, risultano solidali alla copertura. I trefoli presentano dei terminali ad ancora alle estremità. L’ancora superiore è solidale alla torre di sollevamento e, per esigenze geometriche, è stata progettata e

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3.3 Sistema di spinta La movimentazione delle arcate assemblate è avvenuta mediante un carrello che subisce il tiro di uno strand jack (portata 50 t) che scorre su un cavo ancorato alle due estremità alle fondazioni (figura 32). Il carrello si collega a due arcate consecutive, le quali poggiano, per il tramite del solo corrente inferiore, su dei rulli che scorrono su dei cordoli in calcestruzzo armato che collegano i plinti definitivi. Nella cerniera definitiva di ogni arcata sono presenti delle riservazioni per l’inserimento di appositi carrelli che possono scorrere sui piani verticale e suborizzontale identificati dai cordoli in c.a. di fondazione (figure 29, 30, 31).

4 CRITERI DI PROGETTAZIONE Per ogni fase di montaggio è stato analizzato un modello di calcolo FEM e sono state eseguite tutte le verifiche dei singoli elementi

Fig. 23 | Sistema di guida su torri di sollevamento

Fig. 24 | Modulo speciale del traversone

Fig. 25 | Strand jack su Modulo speciale

Fig. 26 | Pianta Torri di sollevamento COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 49

Fig. 28 | Dettaglio ancora superiore dello Strand Jack Fig. 27 | Modulo sommitale delle torri di sollevamento

Fig. 30 | Carrello di scorrimento in fase di movimentazione

Fig. 29 | Modellazione FEM Cerniera di base

Fig. 31 | Vista 3D del carrello di traslazione Fig. 32 | Reticolare Strand Jack e punto fisso di tiro

Fig. 33 | Modello FEM – Fase di sollevamento

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Fig. 34 | Modello FEM – Fase di spinta

strutturali e dei collegamenti. Al fine di cogliere le mutue rigidezze e le interazioni fra i vari elementi, sono stati modellati sia la copertura che tutte le attrezzature principali (torri di sollevamento, pile provvisorie, traversoni, reticolare di tiro ecc.) come visibile nelle figure 33 e 34. Dal punto di vista statico le strutture sono state dimensionate ai sensi delle norme italiane ossia le Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. 17/01/2018). Al fine di verificare la struttura in ogni fase è stato necessario modificare o aggiungere alcuni elementi strutturali. Inoltre, non tutti gli elementi della copertura sono stati montati fino da principio, come a esempio alcuni arcarecci che interferivano con le torri di sollevamento. Alcuni dettagli di nodo particolarmente complessi, come le cerniere di base, sono stati analizzati mediante modelli FEM non lineari realizzati con elementi shell (figura 29).

5 CONCLUSIONI Il progetto di montaggio della copertura del Parco Materie Prime di Taranto ha messo in evidenza come il processo costruttivo sia intimamente legato alla progettazione costruttiva della struttura dell’opera da realizzare. Schemi statici differenti da quello finale, infatti, possono indurre a rinforzare o aggiungere alcuni elementi e, addirittura, a modificare la concezione di alcune porzioni di struttura. Il progetto delle attrezzature di montaggio e varo assume, in alcuni casi, un’importanza tale, sia in termini tecnici che economici e organizzativi, da rivestire un ruolo preponderante rispetto alla progettazione della struttura in condizioni di esercizio. L’esperienza di cantiere ha dimostrato che la corretta simulazione del comportamento di struttura e attrezzature in ogni fase di montaggio e la parallela esecuzione di dettagli che garantiscano il comportamento ipotizzato, è fondamentale per la corretta esecuzione di montaggi di elevata complessità come quello oggetto della presente memoria.

RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano Fincantieri Infrastructure S.p.A. e Acciaierie d’Italia S.p.A. per il materiale fotografico e per l’autorizzazione alla pubblicazione.

CREDITS Anno di costruzione: 2022 Committente: Acciaierie d’Italia S.p.A – Stabilimento di Taranto Impresa generale: Semat S.p.A Costruttore carpenteria metallica: Fincantieri Infrastructure S.p.A. – Ing. Alberto Frizzo Peso carpenteria metallica: (S355 W) circa 4000 t Progetto esecutivo di montaggio: Steel Project Engineering S.r.l. Ing. Giovanni Costa – Gruppo di lavoro: Ing. Leonardo Balocchi, Ing. Enrico Zambella, Ing. Simona Paone, Geom. Matteo Magni, Geom. Andrea Pecis

RIFERIMENTI [1] D.M. 17/01/2018 “Norme Tecniche per le Costruzioni”; [2] Istruzioni CNR-DT 207/2008 “Istruzioni per la valutazione delle azioni e degli effetti del vento sulle costruzioni”; [3] UNI EN 1991-1-6: “Azioni in generale – Azioni durante la costruzione”.

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Giovanni Costa. Ingegnere strutturista, Amministratore Unico e Direttore Tecnico della Steel Project Engineering s.r.l., società di ingegneria specializzata nella progettazione di strutture metalliche e di ponti stradali e ferroviari. Nel corso della sua pluriennale attività professionale si è occupato della progettazione di edifici civili ed industriali e di ponti per infrastrutture viarie e ferroviarie, con particolare attenzione alle opere in carpenteria metallica e in struttura mista acciaio-cls. Un importante campo di attività riguarda lo studio di montaggio di opere di varia natura e la progettazione di strutture speciali ed attrezzature di montaggio. Si è inoltre occupato di analisi dinamiche specialistiche quali le analisi di comfort ed interazione aeroelastica oltre che dello sviluppo di procedure automatizzate per il calcolo strutturale. Collabora attivamente con le principali associazioni per la promozione della tecnica costruttiva in acciaio e con l’Università di Pisa per lo svolgimento di tesi di laurea, seminari formativi, webinar e convegni.

Leonardo Balocchi. Ingegnere strutturista e Project Manager, socio di Steel Project Engineering s.r.l., ha maturato esperienza nell’ambito della progettazione di strutture metalliche e dell’ingegneria di montaggio per importanti opere sia in Italia che all’estero. Collabora con l’Università di Pisa per Tesi di Laurea e Seminari ed è stato redattore di articoli e relatore di seminari per le principali fondazioni di settore per la promozione dell’acciaio.

Enrico Zambella Ingegnere strutturista presso la Steel Project Engineering. Dopo aver conseguito la laurea all’Università di Pisa, ha avuto modo di specializzarsi nelle strutture metalliche, dedicandosi a progetti di importanti opere sia in Italia che all’estero, ponendo particolare attenzione all’ambito della progettazione e del varo dei ponti.

Simona Paone Ingegnere strutturista, ha conseguito la laurea presso l’università di Pisa. Collabora con la Steel Project Engineering S.r.l. tramite la quale ha potuto occuparsi dell’analisi e della progettazione di strutture in carpenteria metallica sia in Italia che all’estero, accumulando esperienze anche nel campo dell’ingegneria di montaggio.

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STRUTTURE INNOVATIVE IN ALLUMINIO INNOVATIVE ALUMINUM STRUCTURES Dott. Ing. Gian Carlo Giuliani* | Consulente esclusivo Redesco Progetti srl - Milano

Le caratteristiche di resistenza peso specifico e durabilità dell’alluminio sono più vantaggiose di quelle analoghe per l’acciaio da costruzione. L’uso di estrusi con sezione adatta alle esigenze strutturali definita dal progettista consente di ottenere elevate capacità di carico anche in presenza dei fenomeni di instabilità che sono accentuati dal valore non elevato del modulo elastico dell’alluminio. I normali sistemi di connessione degli elementi possono essere completamente rivisti con lo scopo di ottenere grande semplificazione ed elevata efficienza strutturale impiegando la precompressione e sezioni particolari. È riportato un esempio di applicazione di questi concetti basilari ad una capriata con luce 12 m con riferimento ai principi progettuali, all’analisi e a prova di carico effettuata per confermare la validità della soluzione. The characteristics of aluminum resistance, specific weight and durability are higher than the relevant ones for the structural steel. The use of extrusions with sections shaped for the structural needs as defined by the designer allows for high load bearing capacity even with buckling phenomena which are enhanced by the aluminum limited modulus of elasticity, Conventional element connections can be completely redesigned by using pre-stressing and ad hoc sections thus obtaining a broad simplification and an high structural efficiency. An application example of the above said basic concepts is illustrated for a 12 m span truss with reference to the design concepts, the structural analysis and to a load test effected for validating the solution.

1 IN GENERALE L’efficienza meccanica delle leghe di alluminio ALMGSi1, espressa dal rapporto fra la tensione di snervamento ed il peso specifico, risulta fy/γ=10.000 m mentre quello dell’acciaio per elementi strutturali è pari a 6.300 m. La caratteristica di cui sopra, che inoltre determina masse inerziali ridotte per le azioni sismiche, unita alla assenza della necessità di applicazione di protezioni anticorrosive ed al fatto che l’alluminio è completamente riciclabile, rende di sicuro interesse l’uso strutturale di tale materiale anche sotto l’aspetto della sostenibilità. Il problema delle connessioni nelle strutture in alluminio è comunque molto importante ed è esemplificato nella figura 1: • la eventuale saldatura riduce la resistenza delle sezioni a circa il 50%; tutta la struttura deve essere sovra-dimensionata per la presenza di questa debolezza locale; • l’uso di giunzioni bullonate richiede numerose forature e coprigiunti, rondelle e bulloni che, per motivi elettrostatici devono essere in acciaio inossidabile a meno di ricorrere a complicati rivestimenti isolanti; • per ridurre il numero dei componenti del giunto si possono sviluppare forme estruse o fuse adatte allo scopo; • l’uso molto conveniente di profili scatolari per gli elementi strutturali richiede l’inserimento di distanziatori per eliminare la flessione trasversale creata dal serraggio dei bulloni che non possono essere completamente eliminati soprattutto per

agevolare l’assemblaggio dei pezzi;

• sono quindi necessarie soluzioni innovative per i collegamenti e, per ottenere buoni risultati, l’intera struttura deve essere concepita tenendo conto di queste; • in conclusione il progettista deve pensare in alluminio.

2 SVILUPPO DI COLLEGAMENTO INNOVATIVO Per consuetudine una azione assiale è trasferita agli elementi collegati con cordoni di saldatura o bulloni. L’uso della precompressione consente lo sviluppo di soluzione innovativa: a. Trefoli passanti nell’intero corrente teso di una struttura reticolare o nel lembo inferiore di una trave hanno la capacità di serrare tutte le connessioni e richiedono solo ancoraggi alle estremità indipendentemente dal numero delle parti unite sull’intera lunghezza della struttura. Non sono necessari elementi addizionali per la stabilità del collegamento ed i bulloni sono utili per facilitare l’assemblaggio. b. Anche i collegamenti soggetti a compressione, per effetto dei carichi portati, possono essere progettati con lo stesso sistema senza perdita di efficienza perché le deformazioni indotte producono un accorciamento degli elementi e quindi una riduzione della azione di precompressione. c. Non risultano necessarie lavorazioni meccaniche degli elementi

*Corresponding author. Email: [email protected] COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 53

Fig. 1 | Sistemi di connessione convenzionale ed innovativo

da collegare; la presenza delle piccole irregolarità planari create dal taglio con sega delle estremità è ininfluente perché per effetto della forza di precompressione si manifestano deformazioni plastiche delle parti a contatto senza alcuna menomazione della capacità portante. d. Il problema della corrosione inter-metallica che insorge per il contatto fra l’alluminio e l’acciaio ad alta resistenza dei trefoli è eliminato impiegando per questi il rivestimento protettivo con grasso e guaina in vipla di uso corrente nelle strutture presollecitate in calcestruzzo; per analogo motivo i bulloni sono in acciaio inossidabile e fra la bussola in acciaio per l’ancoraggio del trefolo e la parte a contatto in alluminio è

Fig. 2 | Uso di elementi estrusi speciali per elementi strutturali e di connessione

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inserita rondella isolante in grafite.

e. Per eliminare coprigiunti e realizzare I distanziatori interni alle sezioni scatolari si possono utilizzare connettori con sezione e fori opportuni ottenuti per estrusione (figura 2). f. Nel caso di collegamento di molti elementi nella stessa posizione o di complessità degli orientamenti, una soluzione conveniente è costituita dall’uso di componenti fusi; il prezzo della matrice per la realizzazione della forma in sabbia per la parte interna si ammortizza completamente anche per numero ridotto ad una ventina di pezzi.

3 CONCEZIONE DELL’INTERA STRUTTURA Per effetto del limitato valore del modulo elastico dell’alluminio il problema delle instabilità generale e locale è determinante per la scelta della soluzione. Una soluzione razionale per risolvere questo problema congenito negli elementi compressi consiste nella progettazione di sezioni scatolari, anche complesse, facilmente ottenibili con il processo di estrusione. Per attuare le connessioni risulta conveniente aggiungere alle sezioni scatolari alette piatte continue adatte per le forature necessarie per l’inserimento dei bulloni. Gli elementi in cui sono contenuti i trefoli sono sagomati con gli opportuni alloggiamenti interni. L’impiego della precompressione come sistema di connessione migliora anche la risposta della struttura perché, essendo i trefoli continui sull’intera lunghezza dell’elemento teso, costituiscono un elemento resistente aggiuntivo. Un tracciato della azione di precompressione con deviazioni angolari fornisce in questi posizioni forze di sostentamento e quindi per questo motivo parte del carico è direttamente sostenuto dai trefoli. L’instabilità degli elementi compressi dalla forza di coazione impressa non avviene se i trefoli sono opportunamente alloggiati in sedi create nei profili direttamente in fase di estrusione perché in questo caso lo sbandamento è contrastato dalla forza di richiamo dei trefoli tesati. Nel caso di variazione frequente dell’intensità dei carichi portati il

Fig. 3 | La capriata innovativa precompressa (luce 12 m, interasse 3 m, carico portato SLU = 6,6 kN/m, peso proprio totale 1,27 kN, incidenza della quantità di materiale 0,035 kN/m2)

comportamento a fatica della struttura trae beneficio dall’escursione delle tensioni in campo compresso.

4 UNA CAPRIATA SPERIMENTALE INNOVATIVA Tutti i concetti innovativi precedentemente esposti sono stati applicati ad una capriata (figura 3) che è stata inventata, analizzata teoricamente ed assoggettata a prove sperimentali per confermare la fattibilità di strutture realizzate con questa tecnologia e per controllarne la capacità del sostentamento dei carichi. La capriata è stata concepita per essere integrata in un sistema completo di copertura da realizzare in alluminio con impiego degli stessi concetti innovativi. La luce ed il passo sono pari rispettivamente a 12,00 m ed a 3,00 m; i carichi permanenti portati di esercizio sono 0,3 kN/m2 e comprendono i pesi dei pannelli isolati della superficie di copertura, gli impianti elettrici ed i condotti per il condizionamento mentre il carico accidentale di esercizio è pari 1,2 kN/m2; a tali valori corrisponde il carico lineare totale allo stato limite di rottura di 6,6 kN/m. La capriata ha uno schema reticolare con il corrente superiore rettilineo e quello inferiore con tracciato poligonale collegati da puntoni. Il corrente superiore è scatolare composto da una parte superiore con sezione trapezoidale e da due lamine verticali inferiori. Il corrente inferiore è composto da una lamina verticale superiore collegata ad un cilindro cavo destinato ad alloggiare il trefolo di precompressione. Le lamine di entrambi questi elementi strutturali sono utilizzate per contenere gli elementi di connessione previsti per i puntoni aventi sezione rettangolare cava. Tali elementi di connessione sono dello stesso tipo ed hanno sezione composta con tre ali collegate e tre cilindri cavi nei quali sono inseriti i bulloni di assemblaggio in acciaio inossidabile. Agli estremi sono presenti elementi fusi che collegano i due correnti ed alloggiano la testata di ancoraggio del trefolo pre-sollecitato che introduce la forza di precompressione P = 130kN. La struttura completamente innovativa è stata brevettata. Le caratteristiche della classe di alluminio adottata sono: • lega AW 6061 T6 • peso specifico γ = 27 kN/m3

• • • •

t ensione a 0.2% di deformazione f0.2% tensione di rottura fu allungamento a rottura εu modulo elastico EA

= 220 MPa = 260 MPa = 0,080 = 70 GPA

5 ANALISI STRUTTURALE Le particolarità della struttura hanno richiesto analisi dettagliate per la determinazione della resistenza alla rottura. In dettaglio: a. La forza di precompressione deve essere tale da evitare decompressione dei giunti sotto i carichi di esercizio e da garantire la resistenza a rottura di questi sotto i carichi di progetto fattorizzati con i relativi coefficienti di incremento; b. Devono essere considerati i diversi coefficienti di espansione termica dell’alluminio e dell’elemento pre-teso costituito da un trefolo; c. Il trefolo è continuo, attraversa gli elementi in alluminio ed è ancorato solamente alle estremità; per questo motivo le relative deformazioni assiali create dalla inflessione della struttura per effetto dei carichi portati sono costanti sulla intera lunghezza e l’allungamento totale non coincide con la somma di quelli che si manifestano negli elementi in alluminio. Le forze di compressione negli elementi create dal tiro del trefolo sono uguali alla trazione di questo e quindi il sistema è autoequilibrato. La precompressione non quindi ha effetto sulla instabilità generale della struttura; le eccentricità non intenzionali delle forze di compressione applicate agli elementi sono limitate dal gioco previsto fra l’alloggiamento del trefolo e quest’ultimo e determinano momenti addizionali molto limitati. In definitiva l’analisi strutturale deve essere sviluppata tenendo conto del legame costitutivo tensione-deformazione della lega di alluminio che è caratterizzato da una ampia capacità deformativa presente dopo il raggiungimento della tensione di snervamento. Essendo prevedibili grandi deformazioni per carichi maggiori di quelli di servizio e per tenere conto della estensione oltre al limite di proporzionalità delle leggi costitutive dei materiali, l’analisi è stata sviluppata in campo non lineare. Per il comportamento dell’alluminio è stata adottata la formulazione COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 55

Fig. 6 | Forma di instabilità della capriata Fig. 4 | Diagramma carico-inflessione

Fig. 5 | Azione assiale del trefolo in funzione del carico

di Ramberg–Osgood, mentre per il trefolo è stata introdotta la legge costitutiva è tri-lineare. Per tenere conto dell’effetto irrigidente generato dall’incremento di tensione del trefolo creato dalla inflessione della struttura l’analisi è stata estesa al livello di secondo ordine corrispondente alle grandi deformazioni. In sintesi il carico portato è stato incrementato passo dopo passo e le corrispondenti variazioni delle inflessioni sono state considerate

per ottenere le equazioni di equilibrio nella configurazione deformata. L’analisi è stata iterata fino al raggiungimento della convergenza espressa in termini di azioni ai nodi; il metodo ricorsivo di NewtonRaphson è stato impiegato per trovare rapidamente la soluzione. Nella figura 4 è riportato l’andamento della massima inflessione in funzione del moltiplicatore dei carichi portati; la precompressione mantiene inflessione negativa o nulla fino al moltiplicatore 1,35. Nella figura 5 è riportato l’andamento della azione assiale del trefolo in funzione del moltiplicatore dei carichi; la pretensione corrisponde al moltiplicatore 0,2 che è associato al solo peso proprio della struttura. L’analisi ha posto in evidenza che la massima capacità portante della struttura è determinata dalla rottura dei collegamenti fra i puntoni ed il corrente inferiore mentre il trefolo è sollecitato oltre al limite di proporzionalità ma non raggiunge la rottura. La forma di instabilità della capriata è riportata nella figura 6. Nella applicazione costruttiva il punto centrale del corrente superiore è vincolato lateralmente dal sistema di controventatura di falda e gli spostamenti dovuti alla instabilità fuori piano della capriata dipendono dalla rigidezza dei vincoli orizzontali e per determinare le caratteristiche ottimali della controventatura è stata sviluppata una analisi della sensibilità allo sbandamento laterale. Gli spostamenti ottenuti per i correnti superiore e inferiore sono riportati nella figura 7 in funzione del moltiplicatore dei carichi per diversi valori della rigidezza dei vincoli. Le forme di instabilità locale del corrente superiore che è sempre presso-inflesso sono state determinate e sono riportate nella figura 8.

6 PROVE SUL PROTOTIPO

Fig. 7 | Spostamenti laterali dei correnti superiore ed inferiore in funzione dei carichi e per diversi valori della rigidezza dei vincoli orizzontali.

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La correttezza delle ipotesi progettuali e l’esattezza dell’analisi sono state confermate da una sequenza di prove di carico su un prototipo (figura 9). Le inflessioni nella mezzeria della luce hanno avuto andamento lineare in funzione del carico applicato fino a valore prossimo a 10 kN/m (figura 10). In corrispondenza del carico 10,27 kN/m = 2.28(carico utile di progetto), si è osservato la decompressione della connessione centrale inferiore (figura 11).

Fig. 8 | Forme di instabilità del corrente superiore corrispondenti alla azione assiale N = -407 kN ed ai valori dei momenti flettenti Mh=108 kNm (orizzontale) e Mv=19,6 kNm (verticale)

Fig. 9 | Un prototipo della capriata sul banco di prova; la disposizione rovescia è stata determinata dalle caratteristiche del banco.

Fig. 10 | Andamento delle inflessioni in mezzeria in funzione del carico applicato e per cicli di carico e scarico Fig. 11 | Decompressione della connessione centrale inferiore AL11.jpg

Fig. 12 | La capriata innovativa esposta con la applicazione di carico concentrato in mezzeria COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 57

Volendo conservare il prototipo per promuoverne l’uso pratico, il carico di cui sopra è stato incrementato del 10% fino a 11,37 kN/m al quale è associata inflessione pari a 82 mm e le prove sono state interrotte. Allo scarico, per effetto del tiro del trefolo, si è riscontrato il ricupero pressoché totale della massima inflessione.

7 CONCLUSIONI A seguito dei risultati delle prove che hanno consentito di validare la concezione innovativa della struttura, la capriata fu esposta alla fiera METEF del 2006 (figura 12). L’uso della soluzione innovativa concepita, realizzata e validata consente notevole risparmio dei materiali e della mano d’opera e può essere estesa a numerose diverse configurazioni. Non sono stati impiegati nuovi materiali ma è stata operata una scelta di questi fra quelli disponibili correntemente. La concezione e lo sviluppo della soluzione innovativa non è recente ma viene presentata anche perché dotata di ottime caratteristiche di compatibilità ambientale, che è un tema di grande attualità. E’ doveroso segnalare che, nonostante i vantaggi sopra elencati della nuova configurazione strutturale, questa non ha destato l’interesse dei produttori di estrusi in alluminio che lavorano

a seguito di commesse in generale relative a componenti di serramenti e del settore dei trasporti e quindi non è stata impiegata per nuove realizzazioni. La proposta è ritenuta valida anche per i costruttori di carpenterie in acciaio che dovrebbero trasferire ad elementi alluminio le lavorazioni meccaniche comunemente effettuate per l’assemblaggio dei vari elementi.

RIFERIMENTI

[1] GIULIANI G.C. - Innovative ideas for Aluminium structures Trondheim 1988. Modern Design Principles.

[2] GIULIANI G.C. - Strutture in Alluminio per l’industria delle costruzioni., ABCD N.2/2002.

[3] BARBIERI G. - Esempio di capriata in alluminio con l’impiego di precompressione.

[4] GIULIANI G.C. - Structural design with aluminium. Lessons at TAS courses.

[5] GIULIANI G.C - Aluprogetto 2006 (progettista membro della giuria; proposta fuori Concorso)

[6] GIULIANI G.C. - Innovative Aluminum Structures IABSE – SEI 2006.

Gian Carlo Giuliani Consulente della Redesco Progetti per progettazione, direzione lavori, e collaudo di strutture civili, industriali, torri, ponti ed opere marittime, in Italia ed all’estero. Autore dei volumi Costruzioni in Calcestruzzo Armato (Hoepli 2007) e Controllo della Dinamica delle Strutture (D.Flaccovio 2022); organizzatore dei convegni IASS–Milano 1995, SEWC–Cernobbio 2011 (in collaborazione con l’ing. R. De Col). Assegnatario del Munro Prize del 1993 e nel 1996 della Torroja Medal da IASS.

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INGEGNERIA

CONTROLLO DEI DISPOSITIVI ANTI SOLLEVAMENTO E DELLE SELLE GERBER METALLICHE DEL VIADOTTO ALL’INDIANO A FIRENZE CHECK OF ANTI-LIFTING DEVICES AND METALLIC HALF JOINT OF THE “VIADOTTO ALL’INDIANO” IN FLORENCE Prof. Ing. Salvatore Giacomo Morano* | Università di Firenze DICEA – Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Firenze, Italia

Il “Viadotto all’Indiano” a Firenze è un lungo viadotto con campate in sezione mista acciaio-cls che funge da accesso al “Ponte all’Indiano” che supera il Fiume Arno con una campata strallata. In alcune campate del viadotto sono presenti selle Gerber o barre antisollevamento in corrispondenza di appoggi con reazione verticale negativa. Entrambi questi elementi sono noti per la loro criticità. Alcuni anni addietro, in una campata, le barre antisollevamento si sono rotte e l’appoggio ha perso efficacia. Stante la delicatezza di questi elementi, l’Amministrazione Comunale di Firenze, proprietaria dell’Opera, ha deciso di effettuare una campagna di controlli e ha incaricato lo scrivente della definizione e direzione dell’esecuzione del piano dei controlli. L’articolo descrive il piano dei controlli dei dispositivi antisollevamento e delle selle Gerber metalliche predisposto per l’esecuzione delle ispezioni. In particolare sono state predisposte apposite e specifiche schede che definiscono controlli semplici ed oggettivi per permettere agli operatori di recuperare tutte le informazioni utili a valutare lo stato di salute di questi dettagli sensibili. The “Viadotto all’Indiano” in Florence is a long viaduct with spans in mixed steel-concrete section that serves as access to the “Ponte all’Indiano” which crosses the Arno River with a cable-stayed span. In some spans of the viaduct there are Gerber half joints or anti-lifting bars in correspondence with supports with negative vertical reaction. Both of these elements are known for their criticality. A few years ago, in one span, the anti-lifting bars broke and the support lost its effectiveness. Given the delicacy of these elements, the Municipal Administration of Florence, owner of the work, decided to carry out a control campaign and charged the writer with the definition and direction of the execution of the control plan. The article describes the control plan for anti-lifting devices and Gerber metallic half joints prepared for carrying out inspections. In particular, special and specific forms have been prepared that define simple and objective checks to allow operators to retrieve all the information useful for assessing the state of health of these sensitive details.

1 INTRODUZIONE L’Amministrazione Comunale di Firenze ha incaricato il sottoscritto di redigere un piano di controlli sugli elementi più delicati del viadotto all’Indiano, ossia le selle Gerber metalliche e i dispositivi antisollevamento. Sono stati predisposti n. 4 modelli di schede di controllo per le

diverse tipologie di sistemi antisollevamento presenti sull’opera e n. 3 modelli di schede di controllo per le diverse tipologie di selle Gerber. I controlli sono stati estesi a n. 78 barre costituenti i dispositivi antisollevamento e n. 28 selle Gerber metalliche, distribuite lungo l’intera opera.

*Corresponding author. Email: [email protected] COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 59

Fig. 1 | Vista viadotto Indiano - pila con dispostivi antisollevamento

2 SCHEDE DI CONTROLLO ANTISOLLEVAMENTO

DEI

DISPOSITIVI innesta, ancorandovisi, in un sistema di contrasto determinato da

Le schede sono state impostate con una prima pagina riportante una breve descrizione della tipologia di dispositivo da controllare ed una precisa localizzazione lungo il viadotto, ed in particolare sui picchetti individuati planimetricamente, della tipologia di dispositivo esaminata. Seguono due-tre pagine con degli estratti degli elaborati originali del progetto e con delle foto di dettaglio dei dispositivi utili al loro riconoscimento ed individuazione. Quindi è stata riportata una pagina di istruzioni per la compilazione delle schede di controllo, suddivisa in tre parti: Modalità del controllo, Istruzioni per il controllo e Istruzioni per il report fotografico. L’ultima pagina rappresenta la scheda di controllo da compilare a cura degli operatori, con la sintesi delle informazioni richieste. Per il controllo dei dispositivi antisollevamento sono state predisposte quattro tipologie di schede, essendo quattro le tipologie di dispositivi antisollevamento presenti sull’opera. 2.1 Dispositivi antisollevamento degli appoggi di impalcati bitrave tipo A Questi dispositivi, utilizzati per le campate bi-trave in semplice appoggio, sono costituiti da una coppia di barre Φ32 mm annegate nel getto della testa pila. L’estremità superiore delle barre si

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Fig. 2 | Vista viadotto Indiano – sella Ger-ber

una coppia di irrigidenti verticali saldati alla trave e sormontati da un’ulteriore piastra orizzontale, che ospita il foro di passaggio per la barra. La barra contrasta sul sistema di lamiere mediante rondelle e dado di serraggio. Complessivamente sono state analizzate 28 barre, compilando una scheda per ciascuna di esse. La scheda richiedeva di identificare chiaramente la barra ispezionata, di misurarne il diametro, di applicare una coppia di serraggio di 400 Nm e riportare se la barra risultava rotta, se i dadi erano bloccati e la barra tesa oppure allentata, se la barra viene serrata correttamente con la coppia prescritta, se la barra o i dadi risultassero spanati. Inoltre, la scheda doveva riportare se presenti distaccamenti complessivi o distaccamenti verticali parziali tra gli elementi che compongono il dispositivo d’appoggio al di sotto della trave o se fossero presenti fenomeni di corrosione. 2.2 Dispositivi antisollevamento degli appoggi di impalcati bitrave tipo B Questa tipologia di dispositivo è presente solo sulle due campate continue che sovrappassano la ferrovia e che poggiano su pile inclinate rispetto all’asse dell’impalcato Il singolo dispositivo anti-sollevamento è realizzato con 4 barre Ø48, le barre sono disposte ai 4 vertici di un rettangolo di lati 220x300m m. Ognuna di queste è poi filettata in testa e si innesta, ancorandovisi, in un sistema di contrasto determinato da una

Fig. 3 | Dispositivo tipo A

Fig. 4 | Dispositivi tipo B

Fig. 5 | Dispositivo tipo C

Fig. 6 | Dispositivo tipo D COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 61

Fig. 7 | Scheda controlli dispositivi tipo A-B-C

coppia di irrigidenti verticali saldati alla trave e sormontati da un’ulteriore piastra orizzontale, che ospita il foro di passaggio per la barra. La barra contrasta sul sistema di lamiere mediante rondelle, piastre e dado di serraggio. Complessivamente sono state analizzate 16 barre, compilando una scheda per ciascuna di esse. La scheda richiedeva controlli del tutto analoghi a quelli previsti per la tipologia di dispositivo precedentemente descritti, salvo la modifica della coppia di serraggio da applicare che risultava pari a 1300 Nm. 2.3 Dispositivi antisollevamento degli appoggi di impalcati a cassone tipo C Questa tipologia di dispositivo è presente sulle campate con impalcato a cassone. Il singolo dispositivo anti-sollevamento è realizzato con 4 barre Ø42, le barre sono disposte ai 4 vertici di un quadrato con 200 mm di lato. Ognuna di queste è poi filettata in testa e si innesta, ancorandovisi, in un sistema di contrasto determinato da una coppia di irrigidenti verticali saldati alla trave e sormontati da un’ulteriore piastra orizzontale, che ospita il foro di passaggio per la barra. La barra contrasta sul sistema di lamiere mediante rondelle e dado di serraggio. Complessivamente sono state analizzate 32 barre, compilando una scheda per ciascuna di esse. La scheda richiedeva controlli del tutto analoghi a quelli previsti per la tipologia di dispositivo precedentemente descritti, salvo la modifica della coppia di serraggio da applicare che risultava pari a 700 Nm. 2.4 Dispositivi antisollevamento di recente installazione tipo D Questa tipologia di dispositivo è stata progettata dal sottoscritto,

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Fig. 8 | Scheda controlli dispositivi tipo D

in sostituzione del dispositivo originale che si era rotto, ed è stata installata nel 2010 su un’unica campata con impalcato bi-trave, dal lato interno curva. Si tratta di un dispositivo con inversione di superfici che, a fronte di una reazione di appoggio negativa per la trave porta l’elemento di appoggio del dispositivo antisollevamento ad essere compresso Il singolo dispositivo antisollevamento è realizzato mediante la collaborazione di due elementi di carpenteria: uno solidale alla trave e l’altro solidale alla pila (o alla spalla). Il dispositivo è posto in adiacenza alla trave verso l’esterno della stessa. La carpenteria solidale alla trave è definita con lamiere di spessori variabili (70 e 40 mm) che, assemblate tra loro e saldate sugli irrigidenti della trave in opera, configurano un aggetto dalla stessa ed offrono un piano d’appoggio orizzontale necessario al contrasto del sistema antisollevamento. Su di questo piano è posto un pacchetto di neoprene armato di spessore complessivo 103 mm (teflon+neoprene armato+piatto metallico 40mm). L’elemento solidale alla pila (o alla spalla) si compone, invece, di una piastra di base (spessore 70 mm) da cui si elevano piatti verticali e irrigidenti. Alla sommità è ancorata una piastra di contrasto orizzontale dotata anch’essa dei necessari irrigidenti, definendo pertanto un colonnino ancorato alla pila. La piastra di contrasto offre l’alloggiamento a 4 bulloni M36 che impanano direttamente sui dadi saldati al di sotto della stessa. Questi innestano inferiormente in una piastra mobile

Fig. 9 | Sella Gerber metallica scorrevole

Fig. 10 | Sella Gerber metallica fissa

che contrasta sul pacchetto in neoprene precedentemente descritto. Agendo sui bulloni è quindi possibile mettere in carico il sistema antisollevamento o scaricarlo per consentire la sostituzione del pacchetto di neoprene armato. Le piastre sono poi ancorate differentemente alla pila o alla spalla: i tirafondi di ancoraggio M36 nel primo caso sono resinati sul testa-pila, nel secondo trovano vincolo anche con l’ausilio di contropiastre inferiori. Complessivamente sono presenti 2 di questi dispositivi. La scheda predisposta per il controllo di questo dispositivo si distingue dalle tre schede precedentemente illustrate. Stante l’identificazione del dispositivo esaminato, la scheda richiede di rispondere ad alcune domande con risposta del tipo si/no e di effettuare due misure per la verifica del centraggio della battuta sulla piastra di contrasto. Le domande riguardano l’evidenza di rotture nel pacchetto in gomma armata, il corretto serraggio dei bulloni M16 per il fissaggio del pacchetto in gomma armata, presenza di rotture e deformazioni a carico degli elementi componenti il sistema di contrasto, corretto serraggio di dadi e controdadi del sistema di messa in carico, presenza di corrosione, presenza di distacchi alla base del colonnino metallico dal calcestruzzo, distacchi o sollevamenti dei dispositivi di vincolo della trave, evidenza di contatto tra piastra di contrasto e pareti verticali del colonnino e, per le contropiastre su spalla, la presenza di barre o dadi rotti o presenza di corrosione.

3 SCHEDE DI CONTROLLO DELLE SELLE GERBER METALLICHE Le schede sono state impostate con una prima pagina riportante una breve descrizione degli elementi da controllare ed una loro precisa localizzazione lungo lo sviluppo del viadotto. Seguono due-cinque pagine con degli estratti degli elaborati originali del progetto e con delle foto di dettaglio delle selle, utili al loro riconoscimento ed individuazione. Quindi è riportata una pagina di istruzioni per la compilazione delle schede di controllo, suddivisa in tre parti: Modalità del controllo, Istruzioni per il controllo e Istruzioni per il report fotografico. L’ultima pagina rappresenta la scheda di controllo da compilare a cura degli operatori, con la sintesi delle informazioni richieste. Per il controllo delle selle Gerber metalliche sono state predisposte tre tipologie di schede: due per le selle fisse e scorrevoli tra i picchetti 35 e 40 e una per quelle fisse delle campate tampone tra i picchetti 41 e 42. Tuttavia le due schede per le selle fisse sono risultate sostanzialmente analoghe. 3.1 Selle Gerber metalliche con vincolo fisso Ciascuna sella Gerber è costituita da un elemento portante e uno portato, entrambi ottenuti riducendo l’altezza della trave a circa la metà di quella presente nella zona corrente con la classica conformazione a doppia seggiola. Tra i due elementi è interposto il dispositivo di appoggio che, nel caso della cerniera fissa, è COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 63

Fig. 11 | Scheda controlli selle fisse

Fig. 12 | Scheda controlli selle scorrevoli

costituita da un piatto di grande spessore (60 mm) con estradosso curvo solidale con l’elemento portante e sormontato da un piatto piano di 40 mm solidale con l’elemento portato. I due piatti sono attraversati da una coppia di bulloni M30 con funzione di vincolo alle traslazioni. Complessivamente sono state analizzate 8 selle di questo tipo, compilando una scheda per ciascuna di esse. La scheda richiedeva di identificare chiaramente la sella ispezionata, di valutare la presenza di corrosione e la presenza di cricche, lesioni o rotture delle saldature, di verificare la presenza di elementi rotti o deformati, di controllare lo stato delle barre M30, riportando se rotta o priva di dado o allentata e misurarne il diametro residuo. Inoltre la scheda chiedeva di riportare le misurazioni dei varchi superiore e inferiore in asse alle anime e l’eventuale disallineamento tra le piastre del dispositivo di appoggio.

che bloccano gli spostamenti trasversali. Su entrambe le teste del rullo sono presenti dischi bullonati che recano ciascuno due incisioni in cui si inseriscono i denti che aggettano dai due piatti e servono ad impedire che l’asse di rotazione del rullo si inclini nel tempo e porti il rullo ad intraversarsi. L’appoggio scorrevole appare parzialmente nascosto dai piatti di fermo che, spesso, non sono stati rimossi. La scheda richiedeva di identificare chiaramente la sella ispezionata, di valutare la presenza di corrosione e la presenza di cricche, lesioni o rotture delle saldature, di verificare la presenza di elementi rotti o deformati, di controllare lo stato delle lamiere a contatto con il rullo e della guida per il blocco degli spostamenti trasversali, indicando se appare con elementi rotti o deformati, se non è possibile ispezionarla o se non è presente. Inoltre la scheda chiedeva di riportare le misurazioni dei varchi superiore e inferiore in asse alle anime, l’eventuale disallineamento tra gli irrigidenti verticali di trave portata e portante e la misura della distanza tra la generatrice del rullo cilindrico posta a metà della sua altezza e il bordo della piastra inferiore, all’interno e all’esterno, per verificarne la perpendicolarità rispetto all’asse delle anime.

3.2 Selle Gerber metalliche con vincolo scorrevole Il vincolo scorrevole, nelle selle Gerber esaminate, è costituito da due piatti di circa 80 mm di spessore solidali rispettivamente con l’elemento portante e l’elemento portato tra i quali è interposto un rullo cilindrico di circa 115 mm di diametro che garantisce la possibilità di rotazione e traslazione relativa tra gli elementi. Le superfici a contatto tra il rullo e le piastre sono protette da un riporto di lamiera di 4 mm di spessore. In alcune posizioni il rullo presenta un’incisione circonferenziale a metà della sua lunghezza in cui trovano alloggio le guide, solidali con entrambi i piatti,

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4 L’ESITO DEI CONTROLLI Per quanto riguarda i dispositivi antisollevamento, i controlli hanno mostrato alcune criticità da sottoporre a monitoraggio periodico nell’attesa di un intervento da programmare a breve, soprattutto a carico delle barre dei dispositivi tipo A che sono di diametro minore, per i quali si sono riscontrati perdite significative

di sezione alla base e in sommità, laddove più facilmente si hanno ristagni d’acqua. In alcuni di questi casi si sono osservati anche lievi distacchi dalle piastre di appoggio. I dispositivi realizzati con barre più grosse (Tipi B e C) e quello di recente sostituzione (Tipo D) sono risultati sostanzialmente in buone condizioni. Per le selle Gerber si sono riscontrate sugli elementi costituenti corrosioni poco rilevanti e non tali da indebolire significativamente le sezioni resistenti. Tuttavia si sono riscontrati alcuni problemi di carattere cinematico che appaiono essere interdipendenti e che hanno richiesto approfondimenti, attualmente in corso e suggeriscono di porre sotto monitoraggio alcune selle in vista dell’esecuzione di un intervento da programmarsi comunque a breve. Infatti su alcune selle scorrevoli sono stati riscontrati dei significativi disallineamenti e sulle selle fisse, per alcuni picchetti, sono stati riscontrati dei disallineamenti con plasticizzazione del gambo della vite che offre il ritegno fisso, ed in un paio di casi, la presenza di viti visibilmente deformate e/o rotte. È stata quindi prescritta la sostituzione delle viti nelle selle fisse.

5 CONCLUSIONI Le schede che sono state predisposte per l’esecuzione dei controlli su dispositivi antisollevamento e selle Gerber metalliche del Viadotto all’Indiano, sono state utilizzate con efficacia per l’ispezione e il controllo di questi dettagli sensibili dell’opera. La semplicità con cui sono state concepite le schede ha permesso di poter effettuare con successo le indagini e i rilievi richiesti avvalendosi anche di personale che non aveva una specifica formazione nel controllo di questa tipologia di dispositivi. Le uniche difficoltà sono state rappresentate dal dover operare in notturna e in condizioni meteo sfavorevoli per eseguire i controlli sulla campata sovrappassante la ferrovia. Grazie alla campagna condotta sono state individuate alcune criticità che hanno richiesto approfondimenti attualmente in corso, l’adozione di misure di monitoraggio e controllo e la pianificazione in tempi brevi di specifici interventi.

Salvatore Giacomo Morano Si è laureato in Ingegneria Civile all’Università di Firenze nel 1989 e ha conseguito il Dottorato di ricerca in Ingegneria delle Strutture nel 1994. Nel corso del Dottorato ha lavorato al SETRA a Parigi nell’equipe guidata dal Prof. Ing. Michel Virlogeux. Dal 1999 è titolare del corso di “Teoria e progetto di ponti” presso l’Università degli Studi di Firenze e svolge nel contempo attività professionale in stretta attinenza alla propria specializzazione, operando prevalentemente nel settore dei Ponti e Viadotti, stradali, ferroviari e ciclopedonali, nuovi ed esistenti. In questo settore ha sviluppato la sua esperienza professionale specialistica, operando come progettista, direttore lavori, CSP, collaudatore e consulente su oltre 150 tra ponti e viadotti, nuovi ed esistenti.

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REALIZZAZIONI

VIADOTTO DEL LOT – PRIMO PONTE STRADALE IN DOPPIA AZIONE MISTA IN FRANCIA VIADUCT OF THE LOT RIVER – THE FIRST ROAD BRIDGE IN DOUBLE COMPOSITE ACTION IN FRANCE Ing. Fabio Masotti* | Eiffage METAL - Francia I lavori di estensione della Strada Nazionale RN88 (da Toulouse a Lione - Francia), hanno portato alla recente realizzazione della circonvallazione della città di MENDE grazie alla costruzione del Viadotto del Lot. Un ponte di 323 m di lunghezza in 5 campate (53 m - 3x75 m - 45 m). Si tratta del primo ponte stradale a doppia azione mista realizzato in Francia. Rispetto ai ponti misti tradizionali, questa architettura permette di ottimizzare le quantità di calcestruzzo e di acciaio in prossimità delle pile, grazie all’aggiunta di una soletta inferiore. Questa tecnica necessita di adattamenti nei dettagli costruttivi già alla concezione del progetto. Tale metodo costruttivo permette di sfruttare appieno le capacità plastiche dei materiali: in corrispondenza delle pile si passa da una rottura per instabilità a una rottura plastica. Il ponte è stato equipaggiato con un sistema di misurazione delle deformazioni e delle temperatura, in 150 punti di misura ad alta frequenza, ed entrerà in servizio a fine 2023. Fig. 1 | Vista d’insieme del ponte

The extension of the National Road 88 (from Toulouse to Lyon - France) recently led to the construction of the Lot Viaduct to bypass the city of MENDE. A 323 m long bridge in 5 spans (53 m - 3x75 m - 45 m). This is the first double composite action road bridge built in France; compared to traditional mixed bridges, this architecture makes it possible to optimise the quantities of concrete and steel near the piers by adding a lower slab. This technique requires adjustments in the construction details already at the design stage. This construction method makes it possible to make a full use of the plastic capacities of the materials: at the piers, there is a transition from buckling failure to plastic failure. The bridge has been equipped with a deformation and temperature measurement system with 150 high-frequency measuring points and will enter into service at the end of 2023. *Corresponding author. Email: [email protected]

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Fig. 2 | Profilo longitudinale del ponte

Funzionamento dei ponti misti a doppia trave I ponti misti in acciaio-calcestruzzo sono tra le strutture più popolari per le luci tra i 30 e i 130 m, grazie alla facilità di realizzazione e ai costi limitati. Nei ponti iperstatici, il dimensionamento della sezione mista in corrispondenza delle pile non permette di sfruttare appieno le capacità dei materiali, poiché il calcestruzzo lavora in trazione; la sezione in acciaio è compressa, incorre quindi in meccanismi di instabilità (buckling). La modalità di rottura è fondata sull’instabilità della sezione (rischio di svergolamento) e non sulla capacità plastica del materiale. In questo caso la possibilità di ridistribuzione dei carichi è limitata. L’aggiunta di una soletta inferiore permette di evitare l’ispessimento della sezione delle ali, che talvolta arrivano a spessori troppo importanti, e portano ad un aumento dei costi del materiale e ai tempi di saldatura dei giunti.

La doppia azione mista Fig. 3 | Vista d'insieme di ponte e pile

1. INTRODUZIONE I lavori di estensione della Strada Nazionale RN88 (da Toulouse a Lione - Francia), hanno portato alla recente realizzazione della circonvallazione della città di Mende grazie alla costruzione del Viadotto del Lot (figura 1). Il viadotto é il primo esempio di utilizzo della doppia azione mista in Francia per un ponte stradale. Questa tecnica consiste nell’aggiunta di una soletta inferiore in corrispondenza delle pile. Tale soletta é collegata meccanicamente alle ali inferiori della trave metallica, e necessita di adattamenti nella concezione dell’opera, in particolare per gli irrigidimenti trasversali della carpenteria. Il ponte a una lunghezza di 323 m in cinque campate (53 m - 3x75 m - 45 m), che oltrepassano il fiume Lot, una linea ferroviaria e una strada comunale (figura 2). Il tavolato sorregge una carreggiata stradale bidirezionale larga 10 m e due corsie di mobilità lenta (pedoni e bici). La larghezza totale è di 11,50 m. Per realizzarlo sono stati gettati 530 m³ di calcestruzzo per le fondazioni (su pali), 1900 m³ per le pile e le spalle, e 1500 m³ per le due solette. Sono stati mossi 50 000 m³ di terra. Per la carpenteria sono state utilizzate 1000 t di acciaio.

La Doppia Azione Mista (D.A.M.) permette di far fronte a queste problematiche: consiste nel connettere alle ali inferiori una soletta in calcestruzzo armato in corrispondenza del momento negativo (nel caso in oggetto, 10 m per lato di ogni pila). Questo consente di: • Aumentare l’inerzia della sezione sfruttando la compressione del calcestruzzo; • Sfruttare appieno la plasticità delle sezioni (classe 1 o 2); • Aumentare, grazie all’azione combinata della soletta inferiore e degli irrigidimenti trasversali, la rigidezza torsionale, riducendo cosi il rischio di instabilità per i carichi in esercizio; • In corrispondenza delle travate, di sfruttare la ridistribuzione di una parte del momento flettente (circa il 15%), dalla pila alla travata, et tra una travata e l’altra. Questo tipo di progettazione é già stato usato in Spagna (ponte Bexti-Borriol a Castellon, ponte di Rajadell a Manrese). Il Francia, solamente per ponti ferroviari (tre ponti dell’alta velocità Bretagna-Loira), ma con obbiettivi strutturali leggermente diversi, basati piuttosto sulla limitazione degli effetti dinamici (nozione di comfort) e delle deformazioni torsionali; obbiettivi per i quali la doppia azione miste è particolarmente efficace. COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 67

Il primo esempio stradale in Francia é quello in oggetto.

2. IL PROGETTO Concezione della struttura In corrispondenza della doppia azione mista, la soletta inferiore crea una sezione chiusa, e gli irrigidimenti trasversali sono di tre tipi: pannelli pieni, a “K” e semplici profilati. Nel comportamento strutturale, questa diversità ha permesso di garantire una corretta transizione degli sforzi tra le zone D.A.M. e le zone correnti. Per far spazio ai pioli, le ali inferiori son allargate localmente verso l’interno (figura 4). Il principio di calcolo consiste nel combinare il funzionamento « cassone » delle sezioni chiuse con il funzionamento delle sezioni aperte (metodo di Courbon). La somma delle due resistenze é fortemente in favore di sicurezza. Lo stesso principio é stato adottato per gli sforzi di taglio legati alla torsione. In sezione corrente (fuori dalla zona D.A.M.) il legame tra le travi principali è fatto da semplici profilati IPE600; queste sezioni hanno come ipotesi di essere indeformabili. La soletta inferiore é in calcestruzzo armato da 300 mm di altezza

e 21,0 m di lunghezza. Le armature longitudinali sono continue lungo tutta la soletta; a tal proposito, gli irrigidimenti trasversali sono forati per permettere il passaggio delle armature. La soletta é gettata in due fasi (150 + 150 mm). La seconda fase é stata gettata dopo il varo del ponte, per ridurne il peso in fase di montaggio (figura 5). Le pile hanno sezione ellittica, e sono collegate al tavolato tramite appoggi in elastomero confinato. I fusti delle pile sono collegati tra loro tramite croci metalliche a 4 bracci, in tubi di diametro 508 mm, connesse a dei baggioli tramite pioli (figura 6).

Modello di calcolo I software di calcolo impiegati sono ST1 per l’analisi del momento flettente e il varo, e SCIA per gli elementi di dettaglio. Dato il carattere innovativo che questa concezione rappresenta, sono stati fatti diversi modelli di calcolo: un modello in torsione, un modello per conoscere la ripartizione degli sforzi torsionali negli elementi trasversali, e un modello per la verifica di questi ultimi e la determinazione della loro rigidezza. Per quanto riguarda la flessione longitudinale, essendo uno

Fig. 4 | Diversi tipi di sezione trasversale, e pioli sulle ali inferiori

Fig. 5 | Posa della soletta prefabbricata in zona D.A.M.

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studio sperimentale si é preferito prendere ipotesi conservative (descritte precedentemente). I calcoli hanno confermato che tutte le sezioni rimanevano in classe plastica (classe 1 o 2), e avrebbero quindi permesso la ridistribuzione dei carichi. Il tavolato é stato varato con le solette inferiori (a metà spessore) e una parte delle armature superiori, in modo da trovare il giusto compromesso tra i carichi in gioco, che sono superiori a quelli di un ponte ordinario, ma riducendo il più possibile i lavori successivi al varo, più difficoltosi. Il rischio di svergolamento in fase provvisoria (funzionamento in acciaio non misto) è stato verificato. I calcoli della carpenteria e il modello globale sono stati effettuati da Eiffage Metal. Lo studio di dettaglio delle parti in calcestruzzo da AIA-Engineering. Strumentazione e monitoring Il ponte è stato equipaggiato con apparecchiatura di misurazione per poter apprezzare: - La diffusione dei carichi (misurate tramite sonde

di deformazione uni e bi-laterali) nelle zone di transizione tra le zone con e senza soletta inferiore, et in corrispondenza delle pile; - Il gradiente termico (sonde nel calcestruzzo e sonde in superficie).

Figura 6 | Tavolato e fusti delle pile collegate da croci a 4 bracci

Fig. 7 | I primi due conci del ponte e l’avanbecco nella prima fase di varo

La strumentazione comprende 150 punti, controllati dal sistema di acquisizione Gantner Instrument, con una frequenza di misura in continuo di 100 Hz e un invio in tempo reale via internet. Oltre a misurare la risposta del ponte nei primi anni di servizio, questo monitoring ha permesso di misurare certe fasi di lavori (posa del tavolato, collaudo) e di compararle con i risultati teorici. Svolgimento dei lavori I lavori sono durati 36 mesi; il ponte é stato prefabbricato in conci, assemblato in situ, e varato dalla piattaforma di lancio, ad un’altezza di circa 2,5 m rispetto al livello definitivo. La carpenteria metallica é stata prefabbricata nelle officine Eiffage Metal a Lauterbourg (Alsazia, Francia) in acciaio S355 K2+N, N, NL e ML. Le travi principali sono state suddivise in 15 conci (ovvero 30 travi di lunghezza massima 27 m e 40 t di peso) e spediti in convoglio eccezionale, poi assemblate e interamente saldate sulla piattaforma con processo “Innershield”. Il sistema di protezione mediante verniciatura é stato applicato quasi totalmente in officina, il che ha permesso di limitare le riprese in cantiere, in corrispondenza dei giunti, viste le condizioni atmosferiche (clima montuoso). Si tratta di un sistema ACQPA a 3 layers, per un totale di 230 µm nominali. Dato lo spazio particolarmente esiguo tra la piattaforma di assemblaggio (solo 75 m, costretta tra la spalla e la strada statale esistente), il varo é stato fatto in 8 fasi successive. Gli apparecchi appoggio in elastomero confinato poggiano su delle piastre metalliche colate nei baggioli, che permettono di meglio distribuire i carichi in esercizio e in fase provvisoria. Le piastre superiori e inferiori sono dotate di barrette di fine corsa, bullonate alle piastre. Il cantiere è stato grandemente penalizzato dall’epidemia di Covid-19, che ha costretto all’interruzione dei lavori per due mesi, da marzo a maggio 2020. Il varo é stato fatto su appoggi basculanti in Teflon con aggiunta di lubrificante, in modo da minimizzare l’attrito. Ogni asse di appoggio era equipaggiato con guide laterali anch’esse in Teflon, e con martinetti. Per l’avanzamento del ponte sono stati utilizzati argani; l’argano di trazione, di capacità di 20 t, é in grado di spingere COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 69

Figura 8 : Posa del tavolato superiore a fine varo e vista del tavolato inferiore

le 115 t necessarie a far avanzare il ponte tramite un sistema di paranchi (figure 7-8). I lavori sono terminati nel giugno 2021. L’inaugurazione é prevista a fine 2023, dopo che i segmenti di raccordo del ponte con le strade attuali saranno completati.

3. BILANCIO FINALE La tecnica qui impiegata ha un grande potenziale a livello del comportamento dei materiali, tuttavia é bene mettere ugualmente in risalto gli aspetti più difficoltosi, in particolare per le fasi esecutive della carpenteria: - Essendo una tecnica parzialmente sperimentale, i tempi di calcolo sono più dispendiosi in termini di costi e tempi; - I pioli saldati sulle ali inferiori costituiscono un lavoro supplementare; tuttavia, il bilancio nei tempi e i costi di saldatura é ampiamente compensato dall’economia fatta sulla saldatura dei giunti in corrispondenza delle pile (spessori inferiori);

- N el cantiere, si crea un’interfaccia supplementare tra saldatura e ripresa della pittura: la posa delle solette prefabbricate inferiori. Questa interfaccia dilata considerevolmente i tempi (e di conseguenza i costi) del cantiere; - I carichi verticali dati dalla soletta inferiore sono superiori a quelli in un ponte misto ordinario. Questo può essere dimensionante per le strutture provvisorie (il peso della soletta inferiore era di circa 100 t al momento del varo); - La posa delle solette prefabbricate inferiori é delicata e necessita una precisione geometrica difficile da ottenere in cantiere senza danneggiare il sistema di pittura. L’analisi costi-benefici é quindi da valutare in funzione delle specifiche di eventuali progetti futuri, anche per capire se l’economia nei materiali porta a un reale miglioramento del carbon footprint. È certo che la ripetitività e la standardizzazione giocheranno a favore dei benefici che questa soluzione progettuale comporta.

CREDITS:

Fabio Masotti

Committente: Ministere de la transition ecologieu et solidaire – Direction transports Maitrise d’Oeuvre: DIR Méditerranée // Cerema General contractor: GTM SO (gruppo Vinci) Scavi e movimento terra: Vinci Construction Terrassement Carpenteria metallica: Eiffage Métal.

Ingenieur d’affaires (project manager). Dal 2012 ha realizzato numerosi cantieri di ouvrages d’art (ponti metallici e misti) in Francia e in Africa. Dal 2018 lavora presso Eiffage Metal.

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REALIZZAZIONI

I PONTI METALLICI MODULARI GALLEGGIANTI MODULAR STEEL FLOATING BRIDGES Ing. Michelangelo Micheloni* | Studio Micheloni Srl, Firenze, Italia Ing. Gianbattista Migliorati | Janson Bridging Italia Srl, Brescia, Italia Particolari esigenze possono richiedere l’utilizzo di ponti che non abbiano solo vincoli fissi a terra ma anche vincoli mobili ovvero galleggianti su fiumi o mare. In aree dove si hanno grandi escursioni di marea le zone di attracco delle navi sono realizzate da grandi piattaforme galleggianti collegate a terra con dei ponti metallici modulari che hanno un estremo vincolato sulla terraferma e l’altro estremo fluttuante insieme alla piattaforma galleggiante in base alla marea. Un altro caso in cui i vincoli del ponte possono essere galleggianti è quello dei ponti di barche, utilizzati per attraversare fiumi con considerevole larghezza senza ricorrere a più costosi ponti di grande luce. Entrambi questi casi utilizzano strutture metalliche modulari che lavorano con diverse geometrie in base alla posizione del vincolo galleggiante. Tali tipologie di strutture verranno analizzate in questo articolo proponendo esperienze di progettazione e verifica di casi reali presenti sul territorio italiano e all’estero. Special needs may require the use of bridges build not only with fixed constraints on ground, but also with mobile constraints, floating on rivers and sea. In areas where there are large tidal excursions, the docking areas of ships are made up of large floating platforms connected to the ground with modular metal bridges, that have one end bound to the mainland and the other end floating together with the sailing platform according to the tide. Another case in which bridge constraints can move is the floating bridges, with multiple boats supports, used to cross rivers of considerable width without resorting to more expensive large-span bridges. Both of these cases use modular metal structures, that work with different geometries based on the position of the floating constraint. These types of structures will be illustrated proposing experiences in the design and verification of real cases in Italy and abroad.

1 INTRODUZIONE

2 DESCRIZIONE DELLE TIPOLOGIE DI PONTE

Particolari esigenze possono richiedere l’utilizzo di ponti che non abbiano solo vincoli fissi a terra, ma anche vincoli mobili ovvero galleggianti su fiumi o mare. In aree dove si hanno grandi escursioni di marea le zone di attracco delle navi vengono realizzate con grandi piattaforme galleggianti collegate a terra con dei ponti metallici modulari, che hanno un estremo vincolato sulla terraferma e l’altro estremo fluttuante insieme alla piattaforma galleggiante in base alla marea. Un altro caso in cui i vincoli del ponte possono essere galleggianti è quello dei ponti di barche, utilizzati per attraversare fiumi con considerevole larghezza senza ricorrere a più costosi ponti di grande luce. Entrambi questi casi utilizzano strutture metalliche modulari che lavorano con di-verse geometrie in base alla posizione del vincolo galleggiante. Tali tipologie di strutture verranno quindi analizzate proponendo esperienze di progettazione e verifica di casi reali presenti sul territorio italiano e all’estero.

Un ponte metallico galleggiante ha una struttura dell’impalcato praticamente uguale a quella di un ponte metallico tradizionale, mentre si differenzia per i vincoli di appoggio, che in parte sono mobili, in quanto realizzati su strutture galleggianti. Tele tipologia di ponte viene utilizzata sostanzialmente in base alla sua funzione, ovvero se il ponte è un collegamento tra la terra ferma ed una piattaforma galleggiante oppure se è un collegamento tra due sponde di un fiume. Nel primo caso avremo un vincolo incernierato a terra e l’altro mobile sulla piattaforma galleggiante, come rappresentato in figura 1. Il vincolo a cerniera a terra in genere deve consentire i movimenti della piattaforma sia nel piano verticale che nel piano orizzontale. Il vincolo mobile sulla piattaforma è in genere un vincolo a carrello che consente scorrimenti longitudinali. Nel secondo caso avremo due vincoli incernierati a terra sulle due sponde del fiume e dei vincoli galleggianti intermedi distribuiti sul corso d’acqua, che viene attraversato, come rappresentato

*Corresponding author. Email: [email protected] COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 71

Fig. 1. | RoRo di collegamento tra terra ferma e piattaforma galleggiante

Fig. 2. | Ponte galleggiante di barche

nella figura 2 tratta dal manuale per i ponti galleggianti militari americani [1]. Lo schema statico delle campate è quindi quello isostatico in semplice appoggio, mentre la geometrica è variabile in base alla posizione degli appoggi galleggianti, ovvero mobili. Si hanno quindi varie geometrie della struttura comprese tra le posizioni limite di massima e minima posizione di galleggiamento degli appoggi.

3 STRUTTURE TIPO RO-RO 3.1 Descrizione della struttura Una struttura tipo RoRo deriva il suo nome dall’acronimo inglese Roll-on/roll-off utilizzato per identificare le navi o le piattaforme galleggianti sulle quali i veicoli possono accedere viaggiando sulle proprie ruote, senza la necessità dell’ausilio di gru per trasferire il mezzo della terra ferma alla parte galleggiante. In particolare, il ponte mobile tipo RoRo assume la funzione di collegare la terra ferma alla piattaforma galleggiante utilizzata per l’attracco delle navi detta pontone o barge. Tale soluzione è largamente utilizzata nei porti interessati da ampi fenomeni di marea, dove un molo fisso risulterebbe troppo basso o troppo alto per l’attracco della nave a seconda del momento di marea.

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Utilizzando un pontone galleggiante, questo si trova sempre al solito livello rispetto alla nave e può essere raggiunto dalla terra ferma percorrendo il ponte mobile tipo RoRo. Considerando tale schema, il ponte mobile è quindi vincolato da un lato alla terra ferma e dall’altro al pontone galleggiante alla quale attraccano le navi. Nel caso di maree che possono raggiungere anche 5 m di escursione, il ponte mobile avrà un estremo incernierato a terra e libero di ruotare e l'altro estremo galleggiante, che potrà salire e scendere in base alla marea. Avremo quindi tre schemi limite per la geometria del ponte (figura 3), ovvero, il primo con impalcato inclinato verso il basso, con l’estremo mobilie al livello minimo di marea, il secondo con il ponte orizzontale, con l’estremo mobile al punto medio dell’ampiezza di marea, ed il terzo con il ponte inclinato verso l’alto, con l’estremo mobile al livello massimo di marea. La verifica del ponte dovrà quindi tenere di conto dei vari cinematismi che potranno essere studiati attraverso gli schemi limite sopra identificati. L’impalcato, discretizzato in figura 3 come una singola trave, sarà in realtà realizzato con travi reticolari a pannelli modulari poste ai lati e collegate con dei traversi a sostegno del deck metallico (figura 4).

Fig. 3. | Geometria variabile in base alla marea

Fig. 4. | Geometria della struttura metallica

Fig. 5. | Il ponte del Porto di Pemba, Mozambico

3.2 Il caso del ponte del Porto di Pemba, Mozambico Come esempio di realizzazione e collaudo si riporta di seguito il caso di un ponte realizzato presso il porto di Pemba in Mozambico (figure 5-6). Il ponte in oggetto ha una luce totale di 43,815 m e una larghezza di carreggiata di 5,904 m. Le due travi laterali sono formate da tre file di pannelli affiancati, ognuna realizzata con 10 pannelli modulari interi, da un mezzo pannello e da due pannelli speciali di estremità per i collegamenti rispettivamente alla riva e al pontone. Il ponte è vincolato con una cerniera a terra e con un carrello scorrevole al pontone galleggiante (figura 7). La verifica strutturale del ponte è condotta considerando gli schemi limite delle varie configurazioni della geometria della struttura e considerando i carichi viaggianti su di essa. Per quanto riguarda il collaudo del ponte, esso è stato effettuato mediante la misura delle rotazioni della struttura alle estremità ed il rilievo della deformata del ponte mediante inclinometri posizionati in corrispondenza di 5 punti uniformemente distribuiti lungo le travi di bordo. In questo modo mediante gli inclinometri di estremità viene rilevata l’inclinazione del ponte per effetto

Fig. 6. | Vista laterale del ponte COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 73

Fig. 7.| Vista carrello scorrevole sul pontone galleggiante.

della marea, mentre con gli inclinometri distribuiti lungo le travi, applicando il metodo delle tangenti, è stato possibile calcolare la linea di inflessione del ponte nelle varie configurazioni. I sensori utilizzati sono degli inclinometri ad alta precisione dotati di una piastra magnetica per il fissaggio sulla struttura metallica e di un sistema di trasmissione wireless dei dati, che vengono raccolti da un gateway posto in loco e poi trasmessi via rete cellulare ad un server remoto per la loro elaborazione (figura 8). Le caratteristiche dei sensori inclinomentrici utilizzati sono le seguenti: 0.0001° (0,00175 mm/m) • Resolution ±0,0005° (±0,0087 mm/m) • Repeatability • Range ±90° Gli schemi di carico adottati hanno previsto il posizionamento di due automezzi in 5 configurazioni mirate a massimizzare le sollecitazioni del momento flettente in mezzeria e di taglio sugli appoggi. In particolare, le prime tre configurazioni (figura 11) hanno un carico trasversalmente simmetrico ovvero posizionato a centro ponte, mentre le ultime due configurazioni hanno un carico trasversalmente asimmetrico (figura 12) in modo da massimizzare le sollecitazioni in mezzeria e la freccia di inflessione. La prova di carico eseguita con gli inclinometri installati sulla struttura ha quindi permesso di ricostruire le linee elastiche delle travi di bordo del ponte durante tutta l’esecuzione della prova e quindi per le

Fig. 8. | Inclinometro

Fig. 9. | Linee elastiche trave destra

Fig. 10. | Linee elastiche trave sinistra

Tab. 1. | Frecce teoriche e sperimentali

74 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

varie combinazioni di carico (figure 9-10). Dalla lettura dei grafici, oltre alla freccia massima della struttura si può anche rilevare l’abbassamento variabile del vincolo galleggiante posto all’estremo destro del grafico. Il movimento di tale vincolo è dovuto sia alla marea sia al carico applicato sul ponte. Nella tabella 1 si riporta un confronto tra le frecce teoriche determinate con i modelli di calcolo e le frecce sperimentali misurate in sito.

Fig. 11. | Schemi carichi simmetrici

Fig. 12. | Schemi carichi asimmetrici COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 75

Le frecce misurate sono quindi sempre risultate inferiori alle frecce teoriche, seppur con differenze contenute, a conferma della validità dei metodi di calcolo e collaudo adottati.

4 PONTI DI BARCHE 4.1 Descrizione della struttura I ponti di barche sono solitamente utilizzati per attraversare fiumi di grande larghezza evitando di realizzare delle pile fondate in alveo. Di conseguenza questo tipo di ponte è caratterizzato da due vincoli incernierati a terra sulle due sponde del fiume e da vincoli galleggianti intermedi distribuiti sul corso d’acqua, che viene attraversato. In Italia sono presenti vari ponti di barche, soprattutto nel bacino idrografico del fiume Po ed alcuni di essi hanno lontane origini.

questo tipo di strutture è risultato importante identificare una corretta check list degli elementi da controllare in quanto diversi rispetto ai classici ponti metallici. Infatti, è importante considerare non solo le strutture dell’impalcato tipico dei ponti metallici modulari, ovvero le travi, i traversi ed il deck in legno o metallo, ma risulta fondamentale considerare anche gli elementi di galleggiamento e di ancoraggio della struttura. La stabilità del ponte è infatti garantita dai seguenti elementi • Deck di pavimentazione in acciaio o legno; • Elementi modulari metallici formati da travi e traversi d’impalcato; • Elementi galleggianti realizzati con barche o piccoli pontoni; • Sistema di vincolo a terra formato da cerniere collegate a plinti di fondazione; • Sistema di collegamento a terra formati catene; • Sistema di stabilizzazione in prossimità delle rampe formato da pistoni idraulici; • Sistema di ancore posizionate a monte del ponte in modo da costituire un vincolo rispetto alla corrente del fiume. Tutti gli elementi sopra elencati devono quindi essere verificati in occasione della progettazione del ponte, ma devono essere anche ispezionati periodicamente al fine di confermarne il corretto funzionamento ed identificare la necessità di interventi manutentivi.

8 CONCLUSIONI In conclusione, i ponti metallici modulari galleggianti sono una tipologia molto particolare di strutture, ma allo stesso tempo abbastanza utilizzata sia in Italia che all’estero. Al momento i dati e le tecnologie a disposizione, coadiuvati con specifiche metodologie e procedure di analisi e verifica, permettono di progettare e collaudare queste tipologie di ponti in completa sicurezza. Fig. 13. | Vista laterale del ponte

4.2 Il caso dei ponti del Comune di Porto Tolle Come esempio di realizzazione e collaudo si riporta di seguito il caso di due ponti presenti nel Comune di Porto Tolle (RO), ovvero il ponte di barche di Santa Giulia ed il ponte di barche di Boccasette, in attraversamento a dei rami della foce del fiume Po. Entrambi questi ponti sono stati realizzati per attraversare dei corsi d’acqua con ampia larghezza senza la necessità di utilizzare delle pile fondate in alveo. Il ponte di barche di Santa Giulia risale agli anni Venti del Novecento ed è realizzato con barche collegate con elementi modulari metallici a sostegno di un deck in assi di legno per una lunghezza totale di circa 145 m (figura 13). Per l’ancoraggio a terra, oltre al sistema di vincolo a cerniera sulle sponde, vengono solitamente utilizzati dei pistoni metallici con la funzione di stabilizzare il ponte in corrispondenza delle rampe di attacco a terra (figura 14 a sinistra). Il ponte di barche di Boccasette è invece di più recente costruzione e copre una luce totale di circa 115 m (figure 15-16). Nell’organizzazione delle procedure di ispezione e verifica di

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REFERENCES

[1] AA.VV., TC 5-210 - Military float bridging equipment – Headquarter Department of the Army of United States of America. Washinton DC, 27.12.1988 [2] AA.VV., Janson Bridging, Janson Modular Steel Bridges Manual, Hank, Nederland

Fig. 15. | Vista d’insieme del ponte

Fig. 14. | Viste dell’attacco a terra, dell’impalcato in legno e delle barche

Fig. 16. | Viste dell’attacco a terra, dell’impalcato in legno e delle barche

Michelangelo Micheloni Svolge da 20 anni il ruolo di ingegnere progettista di infrastrutture con particolare riferimento alla verifica di ponti esistenti. Oltre ad essere il direttore tecnico della società d’ingegneria Studio Micheloni Srl, ha coordinato in molte occasioni complessi gruppi di lavori nell’ambito di importanti progetti e svolge attività di ricerca con una particolare attenzione alle nuove tecnologie.

Gianbattista Migliorati Ingegnere strutturista da 25 anni, è specializzato nella progettazione e costruzione di ponti modulari in carpenteria metallica (ponti a pannelli di derivazione “Bailey”, ponti a trave, etc.), ad uso temporaneo o permanente, in Italia e all’estero. È direttore tecnico della ditta Janson Bridging Italia dal 2009.

COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 77

INGEGNERIA

ANALISI DEL COMPORTAMENTO TORSIONALE DI UN VIADOTTO ESISTENTE IN ACCIAIO CON IMPALCATO CURVILINEO A CASSONE ANALYSIS OF THE TORSIONAL BEHAVIOUR OF AN EXISTING VIADUCT WITH HORIZONTALLY CURVED STEEL BOX-GIRDER DECK Ing. Mattia Mairone1*, Ing. Rebecca Asso2, Ing. Pietro Palumbo1, Ing. Ph.D. Davide Masera1 1

Masera Engineering Group S.r.l., Research and Development, Torino.

2

Politecnico di Torino, Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Edile e Geotecnica (DISEG), Torino.

La presente ricerca fornisce alcune metodologie di calcolo utilizzate in Italia intorno agli anni Ottanta e Novanta e le formulazioni analitiche della risposta torsionale che possono essere utilizzate per la validazione dei risultati restituiti da complessi modelli ad elementi finiti. L’articolo presenta il caso studio di un viadotto esistente nel Nord Italia che sarà analizzato con l’obiettivo di confrontare approcci analitici e modellazione numerica; il viadotto è caratterizzato da un asse curvo in due direzioni e da un breve tratto centrale rettilineo. L’analisi statica globale viene effettuata realizzando un accurato modello ad elementi finiti con particolare attenzione alla distribuzione del momento torcente dovuta ai carichi nel piano verticale. L’obiettivo di questa ricerca è approfondire la risposta torsionale dei ponti ad asse curvilinei sotto diversi vincoli e condizioni di carico, al fine di aumentare la consapevolezza dell’interazione reciproca tra risposta strutturale flessione e torsionale confrontando formulazioni analitiche semplificate ampiamente utilizzate negli anni Novanta per progettare ponti curvilinei nel piano orizzontale. L’esame del caso di studio si ottiene anche confrontando la risposta di travi a cassone in acciaio curvilinee in condizioni di vincolo sia isostatiche che iperstatiche. This research provides some calculation methodologies used in Italy around the 80s and 90s and the analytical formulations of the torsional response that is sometimes necessary for the validation of the results provided by complex finite element models. This paper presents the case study of an existing viaduct built in North Italy, aiming to compare analytical approaches and numerical modelling; the bridge is characterized by an axis curved in two directions and a rectilinear segment. The global static analysis is carried out by creating an accurate finite element model with particular attention to the distribution of torque due to loads in the plane perpendicular to the roadway. The aim of this research is in the understanding of the torsional response of curvilinear bridges under different constraints and load conditions, to increase awareness of the reciprocal interaction of bending and torsional behaviour comparing simplified analytical formulations widely used in the 90s to design bridges with curved axis. The examination of the case study is also obtained by comparing the response of isostatic and hyperstatic curvilinear steel box-girders.

*

Corresponding author. E-mail: [email protected]

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INTRODUZIONE L’uso di travature d’acciaio curve orizzontalmente nei ponti autostradali ha notevoli sviluppi negli ultimi decenni [1]. Quando furono introdotti gli impalcati da ponte curvilinei, essi erano generalmente composti da una serie di travi rettilinee che ricostruivano il tracciato [2]. Nei primi anni della moderna progettazione, infatti, vennero utilizzate travi curve a causa delle complessità matematiche [3] associate al loro progetto. A volte sono necessari ponti con geometrie complesse o strutture con asse curvilineo con raggio variabile [4][5] per ottimizzare il tracciato stradale [6] e ridurre al minimo i materiali utilizzati. Per gestire la complessa distribuzione delle tensioni dovute alla torsione [7], le infrastrutture ad asse curvilineo possono essere caratterizzate da impalcati con particolari geometrie trasversali, quali: • impalcati a cassone in c.a.p, struttura misto acciaio-calcestruzzo o acciaio (figura 1(a)); • cassoni monocellulari interconnessi da solette in calcestruzzo (figura 1 (b)). • cassone pluricellulare in c.a.p. o struttura composita acciaio-calcestruzzo (figura 1 (c)); • impalcati con travi a “I” in c.a.o e c.a.p. L’impiego di profilati chiusi si è rivelata una soluzione strutturale molto efficace per ponti e cavalcavia [8] grazie all’elevata rigidità torsionale e alla capacità di distribuire in modo efficace il carico variabile da traffico [9][10] tra i nuclei delle travi scatolari, insieme a manutenibilità, economia ed estetica. Tuttavia, i ponti curvilinei mostrano sempre deformazioni torsionali sotto carichi verticali [1], a causa dell’eccentricità tra i carichi applicati e i dispositivi di appoggio [11]. Di conseguenza, si verifica un’interazione tra momenti di flessione e torsione lungo le campate [12], che può essere analizzata sia con modelli ad elementi finiti che con calcoli analitici. Tuttavia, quando viene eseguito un calcolo analitico, i ponti con asse curvilineo sono trattati come travi curvilinee nel piano orizzontale [2].

Fig. 1. | Tipologia di sezioni scatolari: (a) sezioni a cassone; (b) cassoni multicellulari interconnessa da soletta; (c) multicellulari [7].

A seconda del tipo di sezione, è possibile descrivere il comportamento torsionale [3] degli impalcati da ponte, richiamando due categorie principali:

• sezione aperta: spesso ottenuta da con un sistema bi-trave o da più travi principali. Questa sezione lavora per azioni torsionali non uniformi [13] (deformazione) e ha limitata rigidità torsionale;

• sezione trasversale chiusa: può comprendere una travatura completamente in acciaio, con sezione a casone o a “U” in acciaio o una sezione con travi a “I” torsio-rigidi tramite controventature inferiori, resistente alla torsione uniforme (Saint Venant) con elevata rigidezza torsionale. Questi sistemi sono vantaggiosi per i ponti soggetti a torsioni significative come, ad esempio, ponti curvi o ponti con notevoli sbalzi di soletta. Nel presente articolo si propone una discussione sui diversi approcci analitici e numerici che possono essere utilizzati per calcolare travi ad asse curvilineo, con particolare riguardo al caso di studio di un ponte esistente con sezione a cassone in acciaio. In primo luogo, viene richiamato l’approccio analitico, originariamente utilizzato in fase di progetto, che risulta essere semplificato e conservativo nei confronti della sollecitazione di momento torcente. Viene poi proposta una valutazione analitica più approfondita della sollecitazione torcente, basata su una rappresentazione più realistica delle condizioni di vincolo. Infine, vengono presentati i risultati dell’analisi agli elementi finiti, con diversi livelli di dettaglio rispetto alla modellazione geometrica del viadotto. L’obiettivo principale è di evidenziare i vantaggi e gli svantaggi dei diversi approcci disponibili per la progettazione di strutture così complesse, ossia formulazioni analitiche e modelli numerici. Il caso studio è stato selezionato per trattare una semplice casistica, con solo tre campate, ma avendo la possibilità di analizzare diversi carichi e condizioni al contorno, che svolgono un ruolo significativo nell’interazione tra le azioni di flessione e torsione in questo tipo di strutture. COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 79

2. IL VIADOTTO CASO STUDIO Lo studio ha interessato un viadotto esistente nel Nord Italia, che è stato progettato alla fine degli anni ‘80 [14]. Si compone di due carreggiate strutturalmente indipendenti (figura 2), entrambe con tre campate, sorrette da quattro pile in c.a.o. alte 35 m. L’impalcato a cassone a piastra ortotropa è realizzato in acciaio S355 (Fe510D) [15], con un’altezza variabile (figure 3-4) da un minimo di 3,00 m in corrispondenza due giunti trasversali fino ad un massimo di 5,50 m [16] nella campata centrale. La carreggiata nord è lunga 307,00 m (93,50 + 120,00 + 93,50 m) mentre la carreggiata sud è di 279,50 m (76,25 + 120,00 + 83,25 m). Il tracciato planimetrico è definito da una clotoide sinistrorsa seguita da un breve rettilineo seguito da un’altra clotoide destrorsa (figura 5). Il raggio massimo di curvatura è di 1.200 m (tabella 1). I dispositivi di appoggio sono multidirezionali [17] costituiti da cuscinetti in PTFE che consentono spostamenti sia in direzioni trasversale che longitudinale e sono stati collocati in tutti le pile (da P9 a P12) ad eccezione della pila P10 di entrambe le carreggiate, dove sono stati posizionati appoggi fissi. I carichi permanenti strutturali e non strutturali [18], come la pavimentazione e le barriere, applicati nel progetto strutturale originale sono: · · ·

peso proprio = 56,48 kN/m; barriere New Jersey di sicurezza = 2 x 7,32 kN/m con eccentricità 6,12 m per lato; pavimentazione = 16,89 kN/m.

Fig. 2. | Vista dell’intradosso delle campate centrali.

Tab. 1. | Caratteristiche geometriche delle campate del viadotto.

ID Campata

C1 (P9 - P10)

C2 (P10 - P11)

C3 (P11 - P12)

Raggio di curvatura

R

1.200

1.200

1.200

[m]

Luce campata

L

76,33

120,00

83,25

[m]

Angolo sotteso

ϕ0

0,06361

0,10000

0,069375

[rad]

3, APPROCCIO ANALITICO L’approccio teorico proposto in questo documento mira a studiare schemi statici semplificati, cioè ogni campata viene analizzata indipendentemente dalle altre imponendo condizioni al contorno appropriate e applicando i carichi strutturali permanenti uniformemente distribuiti e non strutturali [19]. Inoltre, per validare i risultati del modello FE completo si tiene conto delle diverse condizioni di vincolo dell’impalcato. La nomenclatura e le convenzioni generali dei segni sono indicate in figura 6: per le situazioni specifiche le condizioni di vincolo in corrispondenza della pila Pi e Pj, sono fornite nella tabella 2. Data la particolare configurazione dei dispositivi di appoggio del viadotto oggetto di studio la rotazione torsionale sull’asse della pila è sempre vincolata. I risultati della teoria della trave curvilinea nel piano orizzontale (horizontally curved beam HCB) sono utilizzati per validare i risultati dei modelli FE globali (figura 7), sotto l’azione del peso proprio e dei carichi permanenti non strutturali.

80 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

Fig. 3. | Profilo longitudinale delle due carreggiare (misure in mm).

Fig. 4. | Sezione trasversale in asse pila P10 e P11 (misure in mm).

Fig. 5. | Pianta delle due carreggiate.

Tab. 2. | Confronto delle condizioni di vincolo della campata centrale C2 e laterali C1 e C3.

CAMPATA

SPOSTAMENTI Nodo (i)

C1 (P9-P10) C2 (P10-P11) C3 (P11-P12)

Carrello Incastro

Nodo (j)

Incastro Carrello

ROTAZIONE

ROTAZIONE

FLESSIONALE

TORSIONALE

Nodo (i)

Libera Vincolata

Nodo (j)

Nodo (i)

Nodo (j)

Vincolata Vincolata Libera

COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 81

Tab. 3. Caratteristiche geometriche delle sezioni medie delle tre campate.

C1

C2

C3

(P9-P10) 2 2,73 6,50 4,00 0,034 0,017 0,017 0,6528 1,8972 0,00 2.91

(P10-P11) 2 2,73 6,50 5,500 0,030 0,030 0,030 0,7038 2,7489 0,00 3,91

(P11-P12) 2 2,73 6,50 4,14 0,034 0,017 0,017 0,6576 1,9735 0,00 3,00

[−] [m] [m] [m] [m] [m] [m] [m2] [m3] [m] [m]

yG, SUP

1,09

1,59

1,14

[m]

Momento di inerzia attorno all’asse X

G X

​​I​  ​  ​​

1,7124

3,440

1,8454

[m4]

Momento di inerzia attorno all’asse Y

​​IY​  G​  ​​

6,6606

7,1993

6,7109

[m4]

Ω = 2A

52,00

71,50

53,82

[m2]

ds ​H = ​∑​ ​ _ ​  t​(s)  ​​ ​​

1.044,12

1.220,59

1.060,59

[−]

4 ​Ω​​  ​ _ ​J = ​  ​​ H   

2,5898

4,1884

2,7311

[m4]

ID CAMPATA Numero di anime Sbalzo sinistro/destro Base del cassone Altezza del cassone Spessore della flangia superiore Spessore della flangia inferiore Spessore delle anime Area della sezione trasversale Momento statico inferiore Coordinate del baricentro

Area interna alla linea media Circuitazione geometrica Fattore di rigidezza torsionale

nw a b h ts ti tw A SX, INF XG YG, INF

C

2

Fig. 7. | Confronto tra le procedure di calcolo analitico e modellazione FE.

82 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

3.1 Progetto originario - Torsione 3.1.1. Teoria della HCB isostatica Nel progetto originale del viadotto [20], il diagramma del momento torcente in figura 8 è stato ottenuto utilizzando l’equazione (1), che fornisce una forte approssimazione del comportamento strutturale torsionale reale del viadotto in studio. Le ipotesi sulle condizioni di vincolo prevedono di svincolare la rotazione di flessionale alle estremità della trave, in questo modo si ottengono le massime sollecitazioni torcenti in corrispondenza degli appoggi, secondo [21] e considerando anche che il momento flettente è la derivata prima dT del momento torcente (​​_ dϕ  ​ = M​): cos​(ϕ)​ T​(ϕ)​  =  q ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​[_ ​  sen​ ​ϕ​  ​​      ​ − ϕ ​​ ( 0)​ ] (1)



mentre il diagramma di taglio è dato dall’equazione (2):

V​(ϕ)​  =  q ⋅ R ⋅ ϕ​ ​

(2)

dove R è il raggio di curvatura; ϕ ​ ​è l’angolo definito da un punto generico rispetto all’intervallo medio del fascio; q è il carico uniformemente distribuito; ​T​(ϕ)​​ è il momento torcente e ​V(​ϕ)​è la forza di taglio.

Fig. 8. | Viadotto completo. Momento torcente (carichi permanenti) dalla teoria della HCB isostatica.

3.2 HCB continua – Flessione Nel progetto originale, il momento flettente è stato calcolato considerando il viadotto come una trave a cassone continua ad asse curvilineo su quattro supporti (figura 9): questa scelta progettuale risulta essere disaccoppiata dal calcolo degli sforzi derivanti di momento torcente ma più aderente al comportamento in continuità della struttura. Sulla base del principio dei lavori virtuali (PLV) [20], [22]-[26] e partendo dalla risoluzione della trave continua rettilinea sugli n+2 appoggi, la struttura isostatica principale deve essere identificata eliminando n vincoli della struttura reale [27] -[30]: la rotazione di flessionale dei supporti interni può essere svincolate e, di conseguenza, le n incognite iperstatiche sono i momenti di continuità in corrispondenza degli appoggi interni. In figura 10 N è il numero di campate; n = N - 1 rappresenta il numero di incognite iperstatiche di flessione; Li è la lunghezza della campata e q è il carico uniformemente distribuito applicato alla singola campata. Nel caso di sistemi strutturali vincolati da appoggi rigidi, il sistema di equazioni risolventi è costituito da n-equazioni algebriche lineari di congruenza (3) che consentono di derivare la risposta della struttura in termini di diagrammi momento flettente.

COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 83



⎥⎢

Fig. 9. | Viadotto completo. Momento flettente (carichi permanenti) dalla teoria della HCB continua.



​M(​  2 ​)​ 

​1 ​ ​ ​∑​ ​​  _ EI ​  ds

​M(​  )​​ ​M(​  )​​

​1 ​ ​2 ​ ∑ ​ ​ ​ ​ _   ​  ds​ EI   





0

⎥ ⎢



⎡​X1,1 ⎡​P1,1 ​  ​​ ⋯ ​X1,n ​  ​​ ⋯ ​P1,n ​  ​​⎤ ​  ​​⎤ ​M(​  )​​ ​M(​  )​​ ​M(​​  22 ​)​ ​ _ ​ ​ ∑ ​   ​ ⋱ ​ ​ ​ ​ ​​ _ ∑   ​ 2EI​   ​ 1 ​    ​  ds ​   ​  ds ​X2,1 ​  ​​ ⋯ ​X2,n ​  ​​ ​P2,1 ​  ​​ ⋯ ​P2,n ​  ​​ S S EI ​  ​  ​​  ​ ​  ​​    ​  ​​  ​  ​​  ​      ​  ​  ​       ​   ​  ​  ​      ​ = ​    ​  ​  ​    ​​  ​  ​  ​  ​  ​  ​  ​  ​      ​_ M​(​  n−1)​​ ​​M​​  n ​​​ ⋮ ⋱ ⋮ ⋮ ⋱ ⋮ ​ ​ ⋱ ⋱ ​∑​ ​​   EI    ​   ds ​  ​​ ⋯ ​Xn,n ​  ​​⎦ ​  ​​ ⋯ ​Pn,n ​  ​​⎦ S ⎣​Xn,1 ⎣​Pn,1 ⎣ ​

S

S

( )

0



​M(​  )​​ ​M(​ 

​​

​ ​ n−1 ​ ​∑​ ​​ _   ​ n EI     ​   ds​

S

)

​M​   ​​  2 (​ n)​

(3)

​∑​ ​​ _    ​  ds​ ⎦ S EI

[P]​  → ​[X]​  = ​​[E]​​​  −1[​​ P]​​ ​​[E][​​ X]​ = ​

dove: ​​[E]​​è la matrice di flessibilità costituita da coefficienti di influenza della dimensione n∙n (nel caso di travi continuo rettilinee la matrice è tri-diagona riportati le e simmetrica); ​​[X]​​è la matrice delle incognite iperstatiche, della dimensione n∙n e ​​[P]​​è la matrice delle condizioni di carico, di dimensione n∙n: 1 ​ i,j​  ​​  = ​∑  P ​ ​​M​(​  i)​​​  ⋅ ​M​(​  0)​​​  ds​  = ​ _ ​  ​​  ⋅ ​ _ ​  ​​  ⋅ ​ _ ​Ii​   ​ + ​ ​​   qi+1,j ​Ii+1 ​   ​​​  )​​ 24  ​  ⋅ ​(​qi,j s ​ ​Li​  3​  ​

​Li+1 ​  3 ​​ 

(4)

Cambiando i termini dell’equazione (5) per la trave rettilinea i termini della matrice di flessibilità sono calcolati dalle seguenti formulazioni:

· diagonale principale (​i  =  1, 2, ⋯,  n​): 0,i i _ _______________ ​Ei,i​  ​ = ​ 4 ⋅ ​    ​​     ​    2 ​ − ​ _______________        ​ ​ Ei​ ​ ⋅ ​Ii​ ​{​​[cos​(​ϕ0,i ​  ​)​ ⋅ sen​(​ϕ0,i ​  ​)​ } ​  ​)​ ⋅ sen​(​ϕ0,i ​  ​)​]​​​  ​ cos​(​ϕ0,i

​R​ ​



​ϕ​  ​

​cos​​ 2​​(​ϕ0,i ​  ​)​ − ​sen​​ 2​​(​ϕ0,i ​  ​)​

0,i+1 _ _________________  ​​      ​    2 ​ − ​ _________________        ​ ​ + 4 ⋅ ​ ​  E​  i+1​ ⋅ ​  Ii+1 ​  ​{​​[cos​(​ϕ0,i+1 ​  ​)​ ⋅ sen​(​ϕ0,i+1 ​  ​)​ } ​  ​)​ ⋅ sen​(​ϕ0,i+1 ​  ​)​]​​​  ​ cos​(​ϕ0,i+1 i+1

​R​  ​

​ϕ​  ​

84 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

​cos​​ 2​​(​ϕ0,i+1 ​  ​)​ − ​sen​​ 2​​(​ϕ0,i+1 ​  ​)​

(5)

· diagonale inferiore (​i  =  2, 3, ⋯,  n​): 1 ​ i,i−1 E ​  ​​  = ​ _  ________________ ​       ​  ​​  ​​ − ​_   2 ​   ​​  ​ ​  + ​ _    ​ ​​ 2 4 ⋅ ​Ei​    ​​  ⋅ ​Ii​   ​​​​ { cos​(​ϕ0,i+1 ​  ​​)​  ⋅ sen​(​ϕ0,i+1 ​  ​​)​} ) ​sen​​  ​​(​ϕ0,i+1 ) ​cos​​  ​​(​ϕ0,i+1 ​ ​ϕ0,i+1 ​  ​​

​Ri​  ​​

​ϕ0,i+1 ​  ​​

(6)

· diagonale superiore (​i  =  1, 2, ⋯, n − 1​): 1 ​  ​​  = ​ _ ​Ei,i+1  I​   ​​​​  ________________ ​       ​  ​​  ​​ − ​_   2 ​   ​​  ​ ​  + ​ _    ​ ​​ 2 4 ⋅ ​Ei+1 ​  ​​  ⋅ ​ ​  ​​)​  ⋅ sen​(​ϕ0,i+1 ​  ​​)​} i+1 { cos​(​ϕ0,i+1 ) ​sen​​  ​​(​ϕ0,i+1 ) ​cos​​  ​​(​ϕ0,i+1 ​ ​ϕ0,i+1 ​  ​​

​Ri+1 ​  ​​

​ϕ0,i+1 ​  ​​

(7)

Aggiungendo i contributi delle incognite iperstatiche e dei carichi applicati, nelle equazioni (8) e (9), il momento flettente complessivo è ​​M​  tot ​  ​  = ​M​  Xi​  ​  + ​M​  Ki​  ​​: i

​Xi​  ​​  + ​X​ i+1​​

​Xi+1 ​  ​​ − ​Xi​  ​​

​ i​  X​  ​​(​ϕi​  ​​)​  = ​ _ M   ​   ⋅ cos​(​ϕ0,i ​  ​​)​  + ​ _   ​   ⋅ sen​(​ϕ0,i ​  ​​)​​ 2 ⋅ cos​(​ϕ0,i ​  ​​)​ 2 ⋅ sen​(​ϕ0,i ​  ​​)​ ​ cos​(​ϕi​  ​​)​ ​ ​  ​  (​​ ​ϕi​  ​​)​ = ​ki,j​  ​​​ _ M ​  cos​ ​ϕ​  ​​      ​ − 1 ​​ ( ( 0,i)​ )



(8)

(9)

K i

A seguito della discussione in [20] e [21], è possibile ottenere i diagrammi del taglio e torsione come quelli della HCB isostatica riportati nelle equazioni ((1), (2)).

Fig. 10. | Trae continua con n-campate, “schema (0)” e n = n 1 “schema (1)”.

3.3 Modellazione analitica per il momento torcente La metodologia utilizzata nel progetto originale risulta essere a favore di sicurezza in quanto massimizza gli effetti della torsione agli appoggi, ma presuppone che la struttura sia isostatica flessionalmente non considerando la continuità agli appoggi: questa differenza si osserva anche realizzando il modello globale del viadotto. Per questo motivo, la torsione viene ricalcolata considerando ogni singola campata estrapolata dal contesto strutturale e supponendo che la rotazione torsionale sia impedita in corrispondenza degli appoggi e la rotazione di flessione sia libera sulle estremità e impedita in corrispondenza delle pile, come mostrato in tabella 2. Questo determina i seguenti diagrammi statici: cerniera-incastro per la campata laterale C1 (P9 - P10), incastro-incastro per la campata centrale C2 (P10 - P11) e incastro-cerniere per la campata C3 (P11 - P12). COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 85

Il fattore di rigidezza torsionale di una sezione sottile a cassone [13] [31] è calcolato in base alle caratteristiche geometriche riportate in figura 11.

Fig. 11. | Parametri geometrici per il calcolo del fattore di rigidezza torsionale per le sezioni sottili chiuse [31].

3.1.1. Campata centrale La campata che meglio si presta alla validazione dei risultati del modello agli elementi finiti (FEM) è quella centrale di luce pari a 120 m, tra le pile P10 e P11, in quanto gli appoggi in pila forniscono un vincolo di flessione di continuità. Le dimensioni massime per la sezione della trave a cassone prese come riferimento sono deducibili dalla tabella 3 e dalla figura 12. Dalla trattazione teorica riportata in [32] il momento flettente MB e il momento torcente TB in corrispondenza dell’asse dei pilastri sono ottenuti (vedi tabella 4) utilizzando il Teorema di Castigliano.

Fig. 12. | Linea media della sezione trasversale della campata tra P10 - P11.

Utilizzando i valori di cui alla tabella 4 è quindi possibile definire i diagrammi di momento flettente e torcente utilizzando le equazioni (10)-(13) poiché l’angolo sotteso dal punto generico dell’asse del ponte è variabile.

M​(θ)​  =  q ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​[sen​(θ)​  ⋅ ​(​ct​  ​​ − ​_  2  ​)​ + cos​(θ)​  ⋅ ​(​cm​  ​​ − 1)​ + 1]​​ ​

(10)

T​(θ)​  =  q ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​[sen​(θ)​  ⋅ ​(θ − ​cm​  ​​)​ − cos​(θ)​  ⋅ ​(​ct​  ​​ − ​_  2  ​)​ − ​_  2  ​]​​ ​

(11)

θ

θ

86 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

θ

dove: ​θ​è l’angolo definito da un punto generico sull’asse della trave, dal nodo j; m è il rapporto tra rigidità torsionale e flessionale della trave principale come definito nell’equazione (12):

(12)

2​(1 + υ)​  ⋅ I

E ⋅ I m = ​ _    ​  = ​ _     ​​ J  G ⋅ J  ​

E è il modulo Young; I è il momento di inerzia della sezione trasversale; G è il modulo di taglio, J è il fattore di rigidità torsionale, ​υ​ è il coefficiente di Poisson, ​​c​ m​​​ e ​​c​  t​​​sono le costanti di flessione e torsionali come definite nell’equazione (13). 2​(m + 1)​  ⋅ sen​(ϕ)​ − m ⋅ ϕ ⋅ ​[1 − cos​(ϕ)​]​

___________________________       ​ − 1 ​cm​  ​​  = ​     ϕ ⋅ ​(m + 1)​ − sen​(ϕ)​  ⋅ ​(m + 1)​

(13)

​ 2​(m + 1)​  ⋅ ​[1 − cos​(ϕ)​]​ − m ⋅ ϕ ⋅ sen​(ϕ)​ _ ϕ ___________________________ ​ct​  ​​  = ​           ​ − ​ 2 ​​  ϕ ⋅ ​(m + 1)​ − sen​(ϕ)​  ⋅ ​(m + 1)​ Tab. 4. Campata da 120 m tra P10 – P11. Soluzione della HCB iperstatica (carichi permanenti).

CALCOLO ANALITICO (Wong, Y.C.) Coefficiente m m 2.09 Raggio di curvatura R 1200 120 Luce della campata LP10-P11 Angolo sotteso dalla campata ϕ 0.1 Distanza tra centro di curvatura e punto generico OG 1199.5 Freccia dell’arco f 1.5 Carico uniformemente distribuito w 88 5280 Reazione vincolare Fb 2.14E−08 Coefficiente di torsione ct 8.34E−04 Coefficiente di flessione cm 105,671.79 Momento flettente all’estremo B MB 2.71 Momento torcente all’estremo B TB

[-] [m] [m] [rad] [m] [m] [kN/m] [kN] [−] [−] [kNm] [kNm]

I diagrammi dei momenti flettenti e di torsione della HCB iperstatica, riportati in figura 13, sono visibilmente diversi da quelli del caso isostatico: nel primo caso la torsione assume valori bassi al momento all’incastro di estremità e i valori massimi a circa un quarto e tre quarti della campata, mentre in quest’ultimo caso la torsione massima si trova alle estremità e assume valori nulli al centro della campata.

Fig. 13. | Diagramma della torsione (sinistra) e momento flettente (destra) della HCB isostatica e incastrata per la campata tra P10 - P11. COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 87

3.2.2 Campate laterali Viene ora presentato il confronto dei risultati che si possono ottenere dai due metodi di calcolo analitici descritti nel paragrafo precedente per la determinazione della risposta torsionale per le campate laterali. Il problema della torsione della campata laterale di 76,33 m della carreggiata sud è risolto estrapolandola dal contesto strutturale [21] [23] e risolvendo lo schema statico della HCB incastrata in P10 e incernierata in P9 (figura 3). Le dimensioni prese in considerazione per la sezione a cassone della trave sono deducibili dalle figure 14-15.

Fig. 14. | Linea media della sezione trasversa-le della campata tra P9 - P10 per la trave a balconi appoggio-incastro.

Fig. 15. | Linea media della sezione trasversa-le della campata tra P11 - P12 per la trave a balconi incastro-appoggio.

La reazione verticale RA e il momento torcente TA all’estremità appoggiata sono stati calcolati secondo la procedura proposta in [23] e i loro valori sono riportati nella tabella 5. I momenti flettenti e torcenti dovuti al carico distribuito applicato uniformemente alla HCB iperstatica sono riportati nell’equazione (14):

​M​​  q​​(ω)​ = ​∫ω ​  ​  − q ⋅ ​R​​  2​  ⋅ sen​(ω − ε)​dε​  =  − q ⋅ ​R​​  2​​[1 − cos​(ω)​]​ 0

(14)

​ ​ ​​  q​​(ω)​ = ​∫ω ​  ​  q ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​[1 − cos​(ω − ε)​]​dε​  =  q ⋅ ​R​​  2​​[ω − sen​(ω)​]​​ T 0

(14)

Lo schema statico appoggio-incastro può essere analizzato a partire dal problema noto della mensola curvilinea, assumendo come incognite le reazioni all’estremità libera (Rv,A, MA e TA mostrate in figura 16 e imponendo i corrispondenti vincoli di estremità attraverso la congruenza alla traslazione e rotazione all’estremo A, date nell’equazione (15). Il problema è staticamente determinato, in quanto consiste in un sistema di tre equazioni in tre incognite.

ζ​ A​  Rv,A ​  ​ + ​ζA​  q​ ​  =  0  → ​R​ v,A​​

|

​ϑ​  ​  ​ + ​ϑ​  ​ ​ + ​ϑ​  ​  ​ + ​ϑ​  ​  ​ ​ =  0  → ​T​ A​​​ ​​       ​​​ ​φ​  ​  ​ + ​φ​  ​ ​ + ​φ​  ​  ​ + ​φ​  ​  ​  ≠  0  → ​M​ A​​  =  0 ​ Rv,A A Rv,A A

q A q A

T,A A T,A A

M,A A M,A A

(15-a) (15-b) (15-c)

L’equazione (15-a) mostra che annullando lo spostamento verticale [24] sovrapponendo l’effetto della reazione di vincolo verticale ζ​ ​​ Rv,A ​  ​​ A e del carico uniformemente distribuito ​​ζ​  qA ​​​  , vedi equazioni (16) e (17), è possibile derivare la reazione vincolare verticale in A. 1 ϕ 1 _ ζ​ A​  Rv,A ​  ​  = ​ _ ​ v,A ​  ​​  ⋅ ​R​​  3​  ⋅ ​sen​​  2​​(ω)​dω​  + ​  GJ    ​ ​∫0 ϕ​  ​  ​Rv,A ​  ​​  ⋅ ​R​​  3​  ⋅ ​​[1 − cos​(ω)​]​​​  2​  dω​​ EI  ​ ​∫0 ​  ​  R ​

88 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

(16)

Fig. 16. | Mensola curvilinea sotto carico uniforme e forze Rv,A, TA e MA all’estremità libera.

_ ​ ​ζAq ​​   = EI ​  1  ​ ​∫0ϕ ​​ q ⋅ ​R ​​ 4​ ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​ ⋅ sen​(ω)​dω​

(17)

_    + GJ ​  1  ​​∫  ϕ ​​ q ⋅ ​R ​​ 4​ ⋅ ​[ω − sen​(ω)​]​ ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​dω​ 0

Analogamente, equazione (15-b) mostra che annullando la rotazione torsionale al nodo A a causa del carico ​​ϑ​  qA ​​​  , la reazione verticale​​ ϑ​  Rv,A ​  ​​, la coppia torcente ​​ϑ​  T,A ​  ​​e il momento flettente ​​ϑ​  M,A ​  ​​si ottiene la coppia offerta dal vincolo di supporto aggiuntivo ​​T​ A​​​. A A A 1 ϕ 1 _ ​ϑA​  Rv,A ​  ​  = ​ _ ​  ​​  ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​sen​​  2​​(ω)​dω​ − ​ GJ    ​ ​∫0 ϕ​  ​  ​Rv,A ​  ​​  ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​  ⋅ cos​(ω)​dω​​ EI  ​ ​∫0 ​  ​  ​Rv,A ​ _ ​ ​ϑAq ​​   =  − EI ​  1  ​ ​∫ϕ ​​ q ⋅ ​R ​​ 3​ ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​ ⋅ sen​(ω)​dω​

(18)

0

_    + GJ ​  1  ​​∫ 0ϕ ​​ q ⋅ ​R ​​ 3​ ⋅ ​[ω − sen​(ω)​]​ ⋅ cos​(ω)​dω​

1 ϕ 1 ϕ _ 2 2 2 ϑ​ A​  T,A ​  ​  = ​ _ EI  ​ ​∫0 ​  ​  ​TA​  ​​  ⋅ ​R​​  ​  ⋅ ​sen​​  ​​(ω)​dω​ − ​ GJ    ​ ​∫0 ​  ​  ​TA​  ​​  ⋅ ​R​​  ​  ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​  ⋅ cos​(ω)​dω​​ ​ 1 ϕ 1 ϕ _ ϑ​ A​  M,A ​  ​  = ​ _ ​ A​  ​​  ⋅ R ⋅ sen​(ω)​  ⋅ cos​(ω)​dω​​ EI  ​ ​∫0 ​  ​  ​MA​  ​​  ⋅ R ⋅ sen​(ω)​  ⋅ cos​(ω)​dω​ − ​ GJ    ​ ​∫0 ​  ​  M ​

(19)

(20)

(21)

Il momento flettente ​​M​  A​​​può essere trascurato in quanto vi è una cerniera flessionale nell’estremità A che consente la rotazione φ ​​  ​M,A ​  ​​ A flessionale. Infine, i momenti flettenti e torcenti in un punto generico lungo l’asse della trave sono forniti dalle equazioni (22) e (23) in funzione delle reazioni vincolari applicate al supporto A della trave.

COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 89

  



M ​ ​(ω)​  = ​M​​  Rv,A​  + ​M​​  q​  + ​M​​  T,A​  + ​M​​  M,A​

(22)

= ​R​ v,A​​  ⋅ R ⋅ sen​(ω)​ − q ⋅ ​R​​  2​  ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​ ⋅ sen​(ω)​ + ​M​ A​​  ⋅ cos​(ω)​  + ​T​ A​​  ⋅ sen​(ω)​​ ​T​(ω)​  = ​T​​  Rv,A​  + ​T​​  q​  + ​T​​  T,A​  + ​T​​  M,A​

(23)

=  − ​R​  v,A​​  ⋅ R ⋅ ​[1 − cos​(ω)​]​ + q ⋅ R ⋅ ​[ω − cos​(ω)​]​  − ​M​ A​​  ⋅ sen​(ω)​  + ​T​  A​​  ⋅ cos​(ω)​​

Sostituendo i valori delle reazioni di cui alla tabella 5 delle equazioni (22) e (23) è possibile ricavare i diagrammi del momento flettente e di torsione lungo l’asse del viadotto. Il confronto tra il calcolo analitico della HCB iperstatica incastro-cerniera e il caso isostatico incernierato è riportato in figura 17.

Tab. 5. Campata da 76.33 m tra P9 – P10. Soluzione della HCB iperstatica (carichi permanenti).

MOMENTO FLETTENTE E TORCENTE ALL’ESTREMO A (da [23] Belluzzi, O.) Rapporto di rigidezze m 2 Raggio di curvatura R 1200 120 Luce della campata LP9-P10 Angolo sotteso dalla campata ϕ 0.1 Distanza tra centro di curvatura e punto generiOG 1199.5 co Freccia dell’arco f 0.61 Carico uniformante distribuito w 88 2518.55 Reazione dell’appoggio A FA 0 Momento flettente all’estremo A MA −680.38 Momento torcente all’estremo A TA

[−] [m] [m] [rad] [m] [m] [kN/m] [kN] [kNm] [kNm]

Per le campate laterali, la ridistribuzione del momento torcente e flettente, rispetto al caso isostatico, è influenzata solo dalla presenza di un’estremità bloccata che porta alla massima torsione dove il momento flettente è nullo (a circa tre quarti della campata) e viceversa per i valori minimi.

4. MODELLO NUMERICO Data la complessità della configurazione geometrica reale del viadotto, la creazione di un modello ad elementi finiti è un utile supporto al calcolo. I modelli numerici locali (a campata singola) e globali (trave continua) dell’intero viadotto creato con Midas GEN® e DIANA FEA® sono descritti per comprendere la risposta torsionale sotto carichi uniformemente distribuiti che rappresentano un caso standard che può anche essere trattato analiticamente confrontando i risultati. La metodologia proposta è uno strumento utile per la validazione dei risultati ottenibili dal modello completo ad elementi finiti del viadotto caso studio in quanto ha un layout planimetrico molto complesso caratterizzato da clotoide destrorsa - rettilineo - clotoide sinistrorsa. Vengono descritti due modelli globali di elementi finiti per comprendere la risposta torsionale sotto carichi distribuiti uniformemente: il primo in Midas GEN® che consente una modellazione dettagliata considerando la variazione lineare delle sezioni per le campate laterali degli elementi beam con interpolazione lineare degli spostamenti mentre il secondo realizzato in DIANA FEA® si assume una sezione media differente per ogni campata e gli elementi unidimensionali con interpolazione quadratica degli spostamenti (permette infatti la modellazione di curve senza la discretizzazione diretta). I risultati della trattazione teorica delle travi curvilinee nel piano orizzontale saranno usati per validare i risultati dei modelli FE (figura 18) per il viadotto in esame, considerandolo soggetto all’azione dei carichi permanenti strutturali e non strutturali. Le condizioni di vincolo dei modelli locali estrapolati dal contesto strutturale sono indicate in tabella 6.

90 | COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023

Fig. 17. | Diagramma della torsione (sinistra) e momento flettente (destra) della HCB isostatica e iperstatica per la campata tra P9 - P10.

Fig. 18. Modelli FE dell’intero viadotto in DIANA FEA® (sinistra) e in midas GEN® (destra).

Tab. 6. Principali differenze tra i modelli agli elementi finiti (FEM) della campata C2 e C3 FEM

Tipologia

Vincolo-i

Vincolo-j

Midas GEN

Sezione a cassone

(P10/P11)

(P9/P12)

1-C2

Equivalente

2-C2

Reale

1-C3

Equivalente

2-C3

Reale

3-C3

Equivalente

4-C3

Reale

Incastro Incastro

Incastro con svincolo flessionale Appoggio

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5. DISCUSSIONE DEI RISULTATI La seconda campata del viadotto in esame viene analizzata attraverso due modelli agli elementi finiti distinti in Midas GEN® come validazione dei risultati ottenibili con la trattazione teorica [32]: · “1-C2” rappresentativa della configurazione geometrica approssimata con raggio di curvatura pari a 1.200 m, configurazione planimetrica simmetrica (tabella 1) e sezione trasversale equivalente (tabella 3). · “2-C2” ha la stessa configurazione planimetrica del modello “1-C2” precedentemente descritto, con la differenza che la disposizione planimetrica nello spazio e le sezioni traversali sono derivate dagli as-built. In figura 19 la risposta del modello agli elementi finiti è in accordo con quella analitica ed i risultati sono molto sensibili alla reale variabilità della sezione trasversale. Inoltre, il momento torcente è influenzato dalla rigidità dell’elemento strutturale poiché la condizione di vincolo è iperstatica e dalla posizione nello spazio [4] dell’arco del cerchio che approssima il tracciato clotoidale. I risultati della soluzione delle equazioni relative alla torsione e alla flessione sono riportati nella figura 20 insieme a quelli derivanti dai quattro modelli agli elementi finiti della terza campata; si evidenzia l’influenza della rigidezza torsionale, sulle modifiche alla definizione del vincolo in corrispondenza della pila P12 nei modelli “2-C3” e “4-C3”; questa influenza, d’altra parte, non è evidenziata nei modelli “1-C3” e “3-C3”. Si riportano nelle figure 21-23 i diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione della torsione, flessione e taglio, ottenuti dai modelli FE e dal calcolo analitico; quest’ultimo fornisce una chiara e precisa idea del comportamento delle singole ampate in configurazioni standard secondo schemi statici nello spazio.

Fig. 19. | Campata tra P9 - P10. Momento torcente.

Fig. 21. | Viadotto intero. Confronto del momento torcente per carichi permanenti.

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Fig. 20. Campata tra P9 - P10. Momento flettente.

Fig. 22. | Viadotto intero. Confronto del momento flettente per carichi permanenti.

Fig. 23. | Viadotto intero. Confronto del taglio per carichi permanenti.

5. CONCLUSIONI Nel presente articolo è stata affrontata la risoluzione analitica per la valutazione delle sollecitazioni torsionali e flessionali delle travi curvilinee nel piano orizzontale. Dopo l’introduzione di alcune delle più diffuse soluzioni analitiche adottate nel calcolo delle travi curvilinee viene presentato un caso di studio di un viadotto in acciaio esistente con sezione a cassone in acciaio situato su un’autostrada del nord Italia e progettato alla fine degli anni ‘80. Lo scopo di questa ricerca è stato principalmente quello di proporre formulazioni teoriche che possono essere utilizzate per validare modelli complessi di ponti ad asse curvilinei. Il caso studio presentato è stato originariamente progettato con la teoria della trave curvilinea nel piano orizzontale isostatica, che ha semplificato notevolmente i calcoli fornendo risultati conservativi. Oggi, tuttavia, è molto comune ricavare le caratteristiche della sollecitazione da modelli sofisticati e complessi ad elementi finiti, ma è sempre necessario verificare i risultati con formulazioni analitiche a causa delle sostanziali ipotesi che vengono solitamente introdotte nella modellazione FE. Le principali differenze tra modello agli elementi finiti e calcolo analitico sono attribuibili a diverse configurazioni geometriche nello spazio, approssimazione delle rigidezze delle sezioni a cassone: i modelli numerici sono stati realizzati con sezioni differenti e con diversa approssimazione delle condizioni di vincolo in corrispondenza delle pile centrali P10 e P11. Infine, i metodi analitici semplificati proposti in questo articolo rappresentano un valido strumento che il progettista può utilizzare per una rapida validazione dei risultati ottenibili da sofisticate analisi statiche lineari per cogliere la reale risposta strutturale dei ponti a cassone ad asse curvilineo.

COSTRUZIONI METALLICHE | GEN_FEB_2023 | 93

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Mattia Mairone Consegue la laurea magistrale in Ingegneria Civile con specializzazione in strutture al Politecnico di Torino con la tesi dal titolo “Studio di un viadotto esistente con impalcato a cassone in acciaio a piastra ortotropa” presso Masera Engineering Group S.r.l. Dal 2021 collabora continuativamente con la società d’ingegneria Masera Engineering Group S.r.l. maturando esperienza nella verifica di infrastrutture esistenti, progettazione di ponti in calcestruzzo armato ordinario, precompresso e strutture misti in acciaio-calcestruzzo e occupandosi di ricerca e sviluppo nell’ambito delle infrastrutture. È autore di diversi paper su riviste nazionali e internazionali e ha partecipato anche in qualità di speaker a conferenze nazionali. È dottorando al Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica (DISEG) del Politecnico di Torino, in collaborazione con Masera Engineering Group S.r.l., nell’ambito dell’ingegneria civile con principale tema di ricerca scientifica il rinforzo strutturale di infrastrutture esistenti con materiali compositi.

Rebecca Asso Nel 2020 ottiene la Laurea Magistrale al Politecnico di Torino in Ingegneria Civile, dove attualmente frequenta il dottorato di ricerca in Ingegneria Strutturale. Durante il lavoro di tesi svolto congiuntamente con l’Università TU Delft (Olanda) si occupa di analisi agli Stati Limite Ultimi di Selle Gerber, tema di interesse nazionale ed internazionale. Dal 2020 si occupa di ricerca e sviluppo in IMI Infrastrutture S.r.l. negli ambiti dell’ingegneria civile, del monitoraggio strutturale ed analisi dati. Ha avuto l’opportunità di partecipare a convegni nazionali, con contributi sviluppati nell’ambito del monitoraggio di strutture esistenti, verifica e strategie di indagine verifiche delle Selle Gerber. Relativamente alla collaborazione che dal 2020 porta avanti con Masera Engineering Group S.r.l. ha sviluppato progetti definitivi ed esecutivi di strutture in calcestruzzo precompresso, verifiche di sicurezza di strutture esistenti ed altri ambiti di interesse strutturale.

Pietro Palumbo Laureato in Ingegneria Civile presso il Politecnico di Torino con la tesi dal titolo “Monitoraggio strutturale ed identificazione dinamica: il caso studio del ponte Bologna a Torino”. Dal 2021 collabora in maniera continuativa con la società di ingegneria Masera Engineering Group S.r.l. nell’ambito della progettazione strutturale di ponti e viadotti in calcestruzzo armato ordinario, precompresso e misti in acciaio-calcestruzzo. Si occupa di progettazione agli elementi finiti, di progettazione parametrica, di interventi di miglioramento ed adeguamento sismico e di verifica del patrimonio infrastrutturale esistente. È autore di diversi articoli su riviste nazionali e internazionali riguardanti la progettazione strutturale.

Davide Masera E’ CEO di Masera Engineering Group S.r.l e IMI Infrastrutture S.r.l., Assistente Professore di Meccanica Strutturale al Politecnico di Torino. Ha conseguito, oltre alla Laurea Magistrale in Ingegneria Civile, il titolo di Dottore di Ricerca in Ingegneria Strutturale presso il Politecnico di Torino (anno 2009) e il Master di II livello in “Progettazione Sismica di Strutture per Costruzioni Sostenibili” presso la scuola F.lli Pesenti del Politecnico di Milano (anno 2017). Specialista nella progettazione di strutture in calcestruzzo armato e precompresso, ponti e viadotti, edifici alti e monitoraggio strutturale delle infrastrutture. Davide Masera collabora continuamente con il Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica del Politecnico di Torino, svolgendo attività di ricerca scientifica su temi di ingegneria strutturale altamente specializzati supportati da numerose pubblicazioni su riviste internazionali. È autore di numerosi articoli scientifici pubblicati su riviste specializzate e atti di conferenze.

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INGEGNERIA

Stabilizzazione e restituzione della verticalità di una struttura di processo in un impianto petrolchimico Stabilization and return to the verticality of a tilted process structure in a Petrochemical plant Ing. Davide Gatti*; Ing. Pierfranco Mocchetti; Ing. Andrea Frigerio | Tecnimont S.p.A. (Gruppo MAIRE) Ing. Sergio Menotti; Ing. Alberto Cavatorta | Fagioli S.p.A. L’articolo descrive la progettazione e la restituzione alla verticalità di una struttura metallica di un impianto di processo, che aveva subìto inclinazione, già nel corso della sua costruzione, per cause geotecniche. L’intervento ha comportato il sollevamento alla base dell’intera struttura metallica, al tempo già montata e già equipaggiata con apparecchi di processo particolarmente delicati. The article describes the design and the restitution of verticality of a steel structure in a process plant, which was inclined during its construction for geotechnical reasons. This intervention involved the lifting of the entire stick-built metal structure, already built and loaded with very sensitive process equipments.

1 INTRODUZIONE: La Joint Venture tra MAIRE, leader in ambito internazionale nell’ingegneria impiantistica per la trasformazione delle risorse naturali, e Japan Gas Corporation (JGC) è stata ingaggiata nel 2018 per costruire un impianto di Polietilene nel sito di Batangas, sull’isola di Luzon, a circa 90 km a sud della capitale di Manila, nelle Filippine, dalla committente Polymer plant L’impianto si caratterizza nella sua natura per alcune strutture metalliche molto alte, circa 72 - 79 m, progettate per essere fondate su platee in cemento armato. In dettaglio, le strutture visibili nella figura 1 riguardano: • Reattore (LR): 72 m di altezza totale, con struttura in CA fino a +12 m; • Separatore (FP): 79 m di altezza totale, con struttura in CA fino a +15 m; • Colonna di Frazionamento (RF): 72 m di altezza totale, con struttura in CA fino a 16,5 m; • Pipe Racks (PR) con un’altezza massima di 14,5 m. Verso la fine di dicembre 2019, in seguito ad uno dei più importanti tifoni della zona, alcune strutture accumularono un’inclinazione permanente notevole, come risultato di cedimenti differenziali del terreno sotto le platee, mostrando, a quel tempo, un abbassamento massimo di 90 mm circa (figura 3). Tale cedimento differenziale è stato successivamente imputato alla presenza di riporti antropogenici di terreni altamente comprimibili, rilevati solo all’inizio del 2020, a seguito di un’indagine diagnostica *Corresponding author. Email: [email protected]

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geotecnica, approfondita nel punto in cui si è manifestato tale evento. La caratteristica di questo terreno antropogenico non compattato, unita al ripetersi di allagamenti e tifoni provocati dagli eventi meteorici, non garantiva lo stabilizzarsi di questo processo degenerativo; pertanto, la Joint Venture ha deciso di intervenire al fine di porre tali strutture in sicurezza. Successivamente ad un primo intervento d’urgenza, con zavorre collocate sulle fondazioni dal lato meno cedevole, si è passati ad un intervento permanente di stabilizzazione mediante micropali ad iniezioni multiple e controllate, installati a seguito di carotatura dei solettoni di fondazione. Nella figura 4 è rappresentata l’entità dell’intervento, in cui si contano circa 450 micropali di diametro 240 mm, rinforzati con un tubo di acciaio S355 di diametro esterno pari a 168,3 mm e di spessore variabile (18,26 mm per i primi 12 m dall’intradosso della fondazione e 10,97 mm fino ad una profondità di 19÷21 m). Nella figura 5 è invece mostrato il tipico micropalo utilizzato ed in figura 6 la posa in opera degli stessi. Completato il rinforzo delle fondazioni e stabilizzati i cedimenti differenziali, è stato poi progettato l’intervento dedicato a correggere l’inclinazione delle strutture più alte e restituire ad esse la verticalità prevista nei limiti di tolleranza per l’operatività dell’impianto. Oggetto di questo articolo è la descrizione delle fasi progettuali e realizzative per l’operazione di sollevamento, detto Jack-up, delle carpenterie metalliche di una delle strutture più critiche, il

Fig. 1 | 3D view of plant

Separatore, con tutte le peculiarità di adattare una carpenteria che non era stata progettata per tale operazione.

2 DESCRIZIONE INTERVENTO

Fig. 2 | Separatore a sinistra e Reattore a destra

Una volta garantita la stabilita’ delle fondazioni, si è proceduto a correggere l’inclinazione per le strutture più alte, agendo in modo differente per le quattro strutture sopramenzionate, al fine di perseguire l’approccio tecnicamente ed economicamente più adatto. Nel caso del Reattore (LR), l’operazione ha consistito in una meccanica disconnessione dell’equipment dalla struttura sottostante in cemento armato, quindi un sollevamento con gru da 600 t e successivo ricollegamento alla struttura di supporto, una volta messo a piombo. Nel caso della Colonna di Frazionamento (RF), la cui struttura metallica era stata realizzata solo fino a metà della sua altezza di progetto, misurata una rotazione massima di 1/625 si è deciso di proseguire il montaggio a piombo, partendo da questa quota intermedia fino alla cima, Il Pipe Rack (PR), data la sua altezza limitata, non ha richiesto alcun intervento. Infine, il Separatore (FP), per stato di avanzamento e per cedimenti avvenuti, necessitava l’operazione più delicata, ovvero un sollevamento controllato dell’intera struttura oggetto della presente trattazione. La struttura presentava, infatti, una rotazione alla base ormai definita critica, pari a 1/358 (≈0,16°), e corrispondente ad un fuori piombo misurato di 116 mm ad una quota di 55,25 m da terra (senza considerare che questa non era la sommità della struttura montata). COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 97

Fig. 3 | Analisi cedimenti

Fig. 4 | Rinforzo tramite micropali

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Fig. 5 | Dettagli del micropalo usato

Fig. 6 | Posa in opera dei micropali nella struttura FP

Quando i lavori di montaggio sono stati interrotti a causa dei cedimenti, tale struttura aveva già raggiunto una quota di +62,00 m dal piano pavimento finito, rispetto ai +79,00 m previsti dal progetto.

Tale struttura ha un ingombro in pianta di lati 20,8 m in direzione N-S, 9,7 m in direzione E-O, con un telaio in cemento armato, fino 13,75 m, sormontato poi da una struttura in carpenteria metallica, fino al punto più alto. Lo schema strutturale previsto in fase COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 99

Fig. 7 | Struttura FP montata fino a dicembre 2019

Fig. 8 | Disposizione in vista degli stralli

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progettuale è stato quello di una struttura a controventi concentrici in entrambe le direzioni. Una rappresentazione dello stato di fatto del montaggio a dicembre 2019 è riportata in figura 7. Al momento dell’interruzione della costruzione, sulla struttura erano già stati montati i tre apparecchi di processo più importanti, per un peso complessivo di 347,6 t. La carpenteria montata fino ad allora pesava già 602,4 t a cui andavano aggiunte 141 t di ponteggi, per un totale di 1091 t. Dato che la rotazione dovuta alla fondazione era superiore alla tolleranza di imperfezione (1/500), e anche a quella considerata accettabile per una struttura di processo con apparecchi, in un sito a forte intensità sismica (UBC zona 4, I=1.125, Na=1, Nv=1,04), si è deciso di riportare la suddetta struttura alla sua originaria verticalità, operando un sollevamento dal basso, con un operazione nominata “jackup”. Questo intervento ha richiesto la collaborazione di Fagioli S.p.A., azienda specializzata in questo tipo di attività, col fine di dare anche adeguato supporto tecnico, mezzi e supervisione sul campo. Un ruolo importante è stato ricoperto dai sistemi di controllo automatizzati e di gestione delle macchine di sollevamento messe in campo dalla Fagioli; questi hanno permesso un controllo millimetrico dei movimenti imposti alla struttura, con il monitoraggio costante dei carichi anche in fase di standby. Fin dall’inizio è apparso fondamentale l’utilizzo di martinetti idraulici a due vie, comandati da una postazione centralizzata, che consentissero la modulazione della forza sia in salita e sia in discesa, con il controllo degli spostamenti, evitando, quindi, pericolosi sobbalzi. Prima di essere sollevata, la struttura è stata liberata dal vincolo alla base, fornito dai tirafondi e dalle chiavi di taglio, mediante idro-demolizione controllata dei baggioli. Nelle due fasi che precedono e seguono il sollevamento, definite “a riposo” (“at rest”), nonché in quella di sollevamento, il carico verticale è stato deviato su un telaio di supporto temporaneo, predisposto sotto ogni pilastro. Il collegamento tra i

Fig. 9 | Sistema di sollevamento

Fig. 10 | Telaio di supporto temporaneo

pilastri e questo telaio è stato realizzando saldando delle mensole temporanee, con travi distributrici, sotto le quali sono state interposti spessoramenti di compensazione, utili nella fase definita a riposo. Nella fase di sollevamento, invece, il carico è stato pensato trasferito ai martinetti, posti in mezzaria alle travi distributrici, come chiarito nello schema di progetto della figura 10. Per quanto riguarda, invece, la forza di taglio alla base della struttura, va precisato che il carico predominante, che ha governato tutta la progettazione di tale struttura, è stato un vento eccezionale, dovuto a forti tifoni che caratterizzano la zona, ossia un vento corrispondente ad una velocità di progetto di 250 km/h. Ovviamente, per la fase di sollevamento, è stato posto un limite operativo di velocità a 12m/s (43,2 km/h); tuttavia, vista la

naturale frequenza di detti tifoni nell’area e la limitata prevedibilità, la condizione eccezionale da tifone è stata considerata per il design della fase che precedeva il sollevamento, dopo aver liberato le chiavi di taglio, e per quella che seguiva il sollevamento, fino al finale ri-inghisaggio delle colonne nel cemento armato. Al fine di stabilizzare la struttura in queste due fasi particolarmente critiche, previste di circa un mese, sono stati progettati ed installati 8 stralli, disposti sui 4 vertici del rettangolo in pianta della struttura ed a due quote differenti: +34,5 m e +56,0 m, vedasi figure 8 e 9. In aggiunta agli stralli, sono state poi dimensionate alcune travi provvisorie, saldate alle colonne e collegate con dei diagonali agli elementi della struttura sottostante in cemento armato; per questi ultimi diagonali si è adottata una soluzione a collegamenti bullonati, in grado di essere liberati tempestivamente nel momento del sollevamento. Nella fase di sollevamento, infatti, i trasferitori di taglio dovevano essere laschi, al fine di permettere il libero movimento verso l’alto della struttura metallica. Questo secondo sistema è stato denominato “trasferitore di taglio”. (figure 11-14). Infine, durante la limitata fase di sollevamento, prevista della durata di 24/48 h, sono stati verificati i tirafondi affinché fosse garantito l’assorbimento a flessione del moderato taglio alla base (corrispondente ad un vento massimo di 25m/s, poi abbassato in via precauzionale a 12 m/s), quand’anche fossero privi dello spessore di malta dovuto alla idro-demolizione descritta sopra.

3 NODI ED ELEMENTI CHIAVE NELLA FASE DI SOLLEVAMENTO Stralli e Strand Jack Ciascuno degli 8 stralli è composto da un cavo formato da 6 trefoli come mostrato in figura 15, le cui proprietà meccaniche sono riassumibili in: Area del trefolo: 223 mm2 Area totale dello stallo= 6x223=1338 mm2 Resistenza specifica del trefolo: 1700 MPa. Gli stralli metallici sono stati messi in tensione mediante i martinetti “strand jacks” dell’azienda Fagioli. Queste macchine, comunemente COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 101

Fig. 11 | Sistema di resistenza orizzontale in fase di sollevamento, vista 1

Fig. 12 | Sistema di resistenza orizzontale in fase di sollevamento, vista 2

utilizzate per il sollevamento, grazie alla loro versatilità, possono essere utilizzate per il recupero di cavi come in questo caso e per tenere sotto costante monitoraggio il carico applicato alla linea di tiro. Tale macchina, oltre al carico, permette il controllo dell’allungamento del cavo e la regolazione della corsa per imporre deformate desiderate.

102 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

Gli strand jacks utilizzati avevano capacità di poco più di 100 t, con una corsa singola del cilindro idraulico di 300 mm. Quest’ultima non costituisce però un limite di corsa complessiva, in quanto la macchina può procedere a step incrementali, con il mantenimento del cavo ed il recupero del martinetto, per impartire al cavo una corsa infinita.

Fig. 13 | Sistema di resistenza orizzontale in fase di sollevamento, vista 2

Collegamenti metallici degli stralli alla struttura esistente Ricordando che la struttura non era stata pensata per essere sottoposta a questa particolare condizione di sollevamento si è dovuto attrezzare la stessa con dei collegamenti saldati in opera sulle colonne principali, al fine di collegare i tiranti ai punti più adatti nello schema strutturale esistente, riverificando l’intero comportamento e lo stato tensionale della struttura stessa. Nella figura 18 si vedono alcune delle simulazioni 3D eseguite in Tekla, al fine di verificare ingombri e accessibilità dei nuovi collegamenti, da realizzarsi in opera e in quota (a +34 e +56 m da terra). Gli stessi sono stati riprodotti nel programma

Fig. 14 | Dettaglio costruttivo del trasferitore di taglio COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 103

di calcolo Ansys, per cogliere l’andamento delle sollecitazioni nel modo più realistico possibile. Supporto al corpo scala Per cercare una disposizione regolare dei martinetti, sia in termini di carico e sia di escursione prevista, i telai delle scale sono stati solidarizzati con quelli adiacenti della struttura principale mediante funi metalliche pretese, con uno schema simile ai controventi, come si vede in figura 19.

Fig. 15 | Sezione del cavo di strallo

Fig. 16 | Tesatore

Fig. 17 | Telaio per il tesatore

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Mensole di supporto per sollevamento L’elemento di supporto verticale di collegamento con le colonne in cemento armato, sul quale viene esercitata tutta la forza di sollevamento, è stato sicuramente il dettaglio più critico di tutta l’operazione di Jack-up.

Fig. 18 | Punti di ancoraggio degli stralli

Tale elemento era stato pensato, inizialmente, con soluzione meccanica, tassellando il pilastro in cemento armato e realizzando, così, un supporto ancorato in maniera “fissa”. Tuttavia, questa soluzione risultò, fin dall’inizio, troppo invasiva, in virtù dell’alta percentuale di armatura dei pilastri e dell’alto rischio di danneggiare l’armatura esistente. Pertanto, in virtù di questa impossibilità, è stato deciso di procedere con un collegamento ad attrito, ben più complicato, ma meno invasivo. Per ognuno dei sei pilastri, il nodo è risultato composto da due piastre di riscontro (nei disegni sono indicate come prestressing girders), collegate da 5+5 bulloni passanti M40 di pretensionamento, di tipo Macalloy 1030, aventi ultimate tensile strenght = 1030 MPa e Nominal 0,1% proof stress = 835 MPa. La pretensione trasmessa alla barra mediante martinetti idraulici (figura 20) è stata scelta in relazione alla forza di attrito che si è voluta instaurare all’interno del sistema di bloccaggio. La pretensione, ai fini della sicurezza, è stata controllata non solo durante la tesatura delle barre, ma anche durante tutte le operazioni

mediante una cella di carico toroidale di capacità 200 t, posizionata ad una delle due estremità di ogni barra, tra la rondella e la piastra di contatto (figura 21). Per tutta la durata delle operazioni, anche in condizione di standby, il segnale della cella è stato trasmesso all’unità di controllo e di monitoraggio presente all’interno della Control Room, una stazione di comando per il personale coinvolto nelle operazioni posta alla base della torre. Il carico previsto per ogni barra è stato pari a 83 t, applicato gradualmente con sequenza mirata a preservare il calcestruzzo ed eliminare picchi di tensione e compressione negli elementi. Per ulteriore verifica del carico, è stato anche controllato l’allungamento della barra, che è risultato assolutamente in linea con il previsto, ovvero 8,6 mm. Sopra la piastra di riscontro sono state saldate in opera quattro pilastri W12x152, collegati da traversi e diagonali di rinforzo. Sui traversi sono stati disposti i due martinetti idraulici necessari al sollevamento (evidenziati in colore nella figura 22). Ogni cilindro aveva una capacità di 300 t, per un carico non COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 105

Fig. 18bis | Punti di ancoraggio degli stralli simulati in Ansys

Fig. 19 | Supporto della scala metallica

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Fig. 21 | Piastrone di riscontro con bulloni post-tesi e celle di carico

colonna. Tab. 1 - Carichi di progetto in [kN] per pilastro

fattorizzato previsto che variava da 100 a 200 t, a seconda del peso proprio trasmesso attraverso le colonne. Il carico includeva il solo peso proprio della torre, nella combinazione di carico semplice, e poteva aumentare in presenza di condizioni ambientali avverse, che includessero l’effetto del vento sulle colonne e la componente verticale degli stralli stabilizzanti. Ogni martinetto, per un totale di 12 unità, con la sua cella di carico, era collegato alla centralina idraulica e al sistema di controllo e gestione del carico e delle corse; il controllo della corsa, infatti, unito a quello del carico, ha permesso il raggiungimento delle tolleranze planimetriche che il progetto di raddrizzamento richiedeva su ogni colonna. La corsa necessaria variava da 76 a 119 mm, a seconda del pilastro. Anche tale sistema di azionamento e controllo, così come quello di controllo delle celle del sistema di preserraggio, era localizzato all’interno della control room posizionata a terra. Terminato il sollevamento, lo schema è stato progettato per trasferire il carico dai martinetti agli spessoramenti (shim plates, visibili sia in figura 10 e sia in figura 22), installati una volta che la struttura avesse raggiunto la quota e la posizione finale.  

4. ATTIVITÀ PRELIMINARI E SOLLEVAMENTO (JACK-UP)

Fase preparatoria al sollevamento Come anticipato al cap.3, i carichi in gioco verticali e orizzontali, durante la fase di sollevamento e in quelle a riposo, risultavano molto diversi: in un caso si è tenuto in conto del peso proprio e degli effetti del vento a 12 m/s, nell’altro si è dovuto prevedere la presenza di un tifone con velocità di progetto pari a 250 km/h. Nella tabella 1 sono, quindi, riportate le reazioni vincolari calcolate in queste due fasi sui vari allineamenti della struttura. Le reazioni riportate sotto sono quelle corrispondenti ai due martinetti su ogni

Picchetto A B

Fase

Fig. 20 | Pretensionamento barra Macalloy mediante martinetto idraulico

1

2

3

Sollevamento

2372

1636

1112

A riposo

6509

5004

4867

Sollevamento

2562

1964

1054

A riposo

6363

5826

4400

Avendo adottato un collegamento ad attrito, per le ragioni illustrate sopra, il coefficiente di attrito richiesto per la fase di sollevamento risultò del tutto raggiungibile, seppur con opportuni accorgimenti: 0, 5 × 2562kN

​​μ​r​  qd​  ​​ ​​ = ​ _   13​ 10 × 1000kN ​ = 0,  soll

I valori effettivi del coefficiente di attrito per la condizione di sollevamento sono stati validati in campo attraverso un test dedicato su ciascuna delle colonne. Il telaio è stato sottoposto al carico previsto durante la fase di sollevamento tramite la spinta dei martinetti sulle travi distributrici. L’operazione è stata eseguita in step di carico controllati, mantenendo costantemente monitorati il carico sui martinetti, eventuali movimenti del telaio (scivolamenti verticali) ed il carico sulle barre Mac Alloy. Essendo la struttura ancora connessa con le colonne in cemento armato, i test si sono potuti svolgere in maniera intrinsecamente sicura per il personale coinvolto nell’operazione. Garantire analogo risultato nella fase di riposo: 0.5 × 6509kN

​​μ​r​  qd​  ​​ ​​ = ​ _   33​ 10 × 1000kN ​ = 0,  rest

ovviamente rappresentò un’incertezza da risolvere prima di procedere a qualunque demolizione che precedesse ed avviasse la fase di sollevamento. COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 107

Fig. 22 | Piastroni di riscontro, telaio di supporto temporaneo

Pertanto, a favore di sicurezza e a seguito di alcuni primi test di campo, si è deciso di assicurare la stabilità della connessione anche attraverso un secondo meccanismo di sicurezza, che sarebbe dovuto intervenire nel caso si fosse manifestato alcun principio di

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slittamento per superamento della soglia di attrito statico. Questo meccanismo di sicurezza ha fatto affidamento su due sistemi resistenti alternativi: 1. i tirafondi di ancoraggio, che avrebbero lavorato in

Fig. 23 | Martinetto usato per il sollevamento

Fig. 24 | Modifica della piastra di base

pressoflessione, con l’ausilio di una nuova contropiastra di base; 2. s pessoramenti aggiuntivi posti, immediatamente dopo l’idrodemolizione, sotto la piastra di base a contatto con la superficie di calcestruzzo. Questo secondo meccanismo ha comportato ovviamente una raffinata organizzazione delle attività di cantiere preparatorie al sollevamento, per ottemperare alla sua complicatezza, precisione e tempestività. In primis, (figura 24) la piastra di base originale è stata modificata in opera per l’aggiunta, sopra di essa, di un’ulteriore contropiastra, con relativi fazzoletti di irrigidimento, mediante saldature a parziale penetrazione.

Come raffigurato in figura 25, sono stati, quindi, estesi i fusti degli ancoraggi, collegati con manicotti, e inseriti nuovi dadi e rondelle superiori e inferiori alla nuova contropiastra. Durante la fase di demolizione, i controdadi inferiori (indicati come tipo 1 nella figura), posizionati con una distanza di almeno 5 mm all’intradosso della contropiastra, garantivano la struttura dall’abbassamento. Lo spazio di 5 mm è stato introdotto per poter assicurare che il sistema primario ad attrito lavorasse in autonomia, fintanto che non si fossero verificate condizioni tali da causare un eventuale slittamento dello stesso. La rondella e dado superiori alla contropiastra, invece, sono stati posizionati in battuta ed introdotti al solo fine di prevenire eventuali accenni di ribaltamento in condizione a riposo e, ovviamente, sono stati poi allontanati nel momento del sollevamento per la misura necessaria. Trattandosi di movimenti di sollevamenti di alcuni centimetri, si è proceduto, quindi, ad un controllo di dettaglio, preventivo in Tekla, al fine di assicurare che un nodo così complicato garantisse tutti i margini di manovra ritenuti necessari. Nel caso di alcune tolleranze, il margine di manovra si ridusse a pochi millimetri, come è stato il caso, per esempio, della distanza indicata come “gb” nella figura 25. Consolidati gli spazi e assicurato il nodo, gli stralli laterali sono stati tensionati a 300 kN, i trasferitori di taglio bloccati, gli COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 109

Fig. 25 | Posizione dei dadi e delle rondelle prima del sollevamento

Fig. 26 | Porzione di baggiolo idro-demolita

Fig. 27 | Macchinario per la idro-demolizione

spessoramenti in cima al telaio temporaneo posizionati e si è dato il via alla fase di idro-demolizione dei baggioli, per una misura media di circa 30 cm, dall’estradosso del calcestruzzo. Una volta terminata l’idro-demolizione di ciascun baggiolo, si è proceduto ad installare anche le piastre di spessoramento, sotto la chiave di taglio e relativa piastra di base, al fine di mettere in funzione anche il 2° meccanismo resistente, che completava il sistema ausiliario a quello ad attrito.

65 mm superiore e 60 mm inferiore, avendo riscontrato che quelli inferiori non erano impegnati dal carico, poiché il gap di 5 mm illustrato in figura 25 non era stato chiuso. Dopo aver reso laschi i trasferitori di taglio e gli stralli laterali, i martinetti sono entrati in azione ed è iniziato il vero sollevamento secondo le fasi illustrate nello schema di figura 28, corrisponenti a: 1. sollevamento uniforme di 10 mm, per staccare la struttura da ogni supporto temporaneo; 2. sollevamento, in modo differenziato e precalcolato, per ogni pilastro al fine di compensare la rotazione e l’inclinazione della struttura; 3. arrivati al massimo sollevamento, le piastre di spessoramento

Fase di sollevamento Immediatamente prima del sollevamento, sono stati staccati sia i dadi superiori e sia quelli inferiori (figura 30), con dei franchi da

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Fig. 28 | Sequenze di Sollevamento

sopra i telai temporanei (figure 10 e 22) sono state rimosse ed è iniziata una fase conclusiva discensiva uniforme, fino alla nuova quota di progetto. Se in qualunque di queste fasi, si fosse registrato uno scivolamento del punto di attacco a frizione, la squadra di operatori al sito sarebbe stata pronta a portare i dadi sotto la piastra di base nuovamente in battuta, serrare i trasferitori di taglio e tirare gli stralli nuovamente. L’intera fase di sollevamento si è conclusa in meno di un’ora e la struttura è stata portata alla nuova quota di progetto mediante la menzionata rototraslazione. Infine, inserendo delle piastre di spessoramento sotto le chiavi di taglio dei 6 baggioli principali, serrando i trasferitori di taglio e ritensionando gli stralli, si è messo in sicurezza (figura 32). Sotto ogni piastra di base i dadi sono stati poi messi come in figura 31.

Fase di ricostruzione L’operazione di jack-up si è conclusa con la restituzione dell’opera in condizioni di progetto, avendo assicurato anche il finale vincolo di base della struttura metallica, ovvero con la ricostruzione dei baggioli di appoggio, prima demoliti. La miscela, così come la sequenza di riempimento, sono stati progettati in anticipo, rispetto all’operazione di sollevamento, tramite dei modelli a grandezza naturale. Questo al fine di verificare la colabilità della malta cementizia, in un volume così fitto di armature, tirafondi, chiavi di taglio e piastre di spessoramento. A seguito dei provini realizzati, si è giunti alla seguente sequenza: saturazione delle superfici per 24 ore e asciugatura con 1. compressore ad aria dotato di filtro antiolio; 2. stesura tramite rullo e pennello di un aggrappante a base acrilica, spessore massimo 2 mm, avente come scopo quello di migliorare l’adesione e diminuire la permeabilità del substrato. 3. stesura, senza interruzione alcuna dalla fase precedente, di 200 mm di malta costituita da un 50% da malta anti-espansiva e dal rimanente 50% in peso da aggregati asciutti a pezzatura massima di 10 mm; 4. trascorse una o due ore, stesura di un ulteriore strato del materiale di cui al punto 3 per uno spessore di 125 mm; 5. trascorse ancora una o due ore, completamento del materiale di cui al punto 3 per i rimanenti 25 mm; 6. maturazione in umido con copertura di sacchi in canapa bagnati per una settimana. A seguito di quest’ultima operazione, la struttura è stata restituita alle sue originali condizioni di progetto, ovvero l’inclinazione, riscontrata a dicembre 2019 corrispondente ad una deviazione di 1/358 sull’altezza, è stata finalmente riportata nell’ambito delle tolleranze accettabili, 1/1537.

Fig. 29 | Valori di movimentazione nelle fasi di sollevamento

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Fig. 30 | Posizione dei dadi e delle rondelle durante il sollevamento

Fig. 31 | Posizione dei dadi e delle rondelle dopo l’operazione di sollevamento

112 | COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023

Fig. 32 | Piastre di spessoramento pre e post sollevamento

Ringraziamenti Gli autori ringraziano le persone che hanno collaborato proattivamente a questa operazione, mettendo a disposizione competenze professionali e volontà di sperimentazione, le squadre di progettisti in remoto, a Milano e Mumbai, e quelle in cantiere, a Batangas, che hanno coraggiosamente seguito le operazioni, anche in un periodo caratterizzato dalla pandemia dovuta al Covid. Tra i membri del team di site, si vuole ricordare, il collega Ing. Ulysis Boneo, venuto a mancare, proprio a causa del Covid, nel luglio 2021.

Davide Gatti

Tecnimont Head of Civil & Structural Department. Nato ad Alessandria nel 1978, Laurea in Ingegneria Civile, indirizzo Strutture presso il Politecnico di Torino. Lavora in Tecnimont dal 2007, prima come Project Leader nell’ambito Oil &Gas, Chemical e Power, poi come Group Leader della parte di Design e infine come responsabile del dipartimento Civil and Structural. In precedenza, ha lavorato come ingegnere strutturista per la società SI.ME. TE., società di progettazione di Opere Civili.

Pierfranco Mocchetti

Tecnimont Civil & Structural Technical Manager. Nato a Milano nel 1965, Laureato in ingegneria Civile-Trasporti presso il Politecnico di Milano. È dipendente dell’azienda Tecnimont dal 1996 ove attualmente svolge l’attività di Civil & Structural Technical Manager. Si occupa in particolare di seguire l’impostazione tecnico normativa dei progetti allineandoli ad un comune approccio in linea con le procedure aziendale da lui curate, nonché ha come punto di particolare specializzazione l’analisi dinamica di fondazioni di macchine vibranti lo studio delle vibrazioni sulle strutture di processo e le problematiche speciali quali strutture blast resistant.

Andrea Frigerio

Tecnimont Civil & Structural Project Leader. Nato a Como nel 1969, Laurea in Ingegneria Civile, indirizzo Strutture presso il Politecnico di Milano. Lavora in Tecnimont dal 2019, in qualità di Civil and Structural Project Leader. In precedenza, ha lavorato nell’ambito Oil &Gas, Renewable Energy (Wind), Power plants, sia Onshore che Offshore, per società italiane ed estere. Ha iniziato la propria carriera come libero professionista per società di ingegneria italiane.

Sergio Menotti

Fagioli Project Manager. Nato a Milano nel 1975, Laurea in Ingegneria Civile indirizzo Strutture al Politecnico di Milano nel 2000. Lavora in Fagioli dal 2011 in qualità di Project Contract Manager. In precedenza, ha lavorato per oltre 10 anni in Techint E&C (EPC Contractor) come Heavy Lifting and Constructability Manager e, in seguito, come Construction Manager.

Alberto Cavatorta

Fagioli Project Engineer. Nato a Borgotaro (PR) nel 1977, Laurea in Ingegneria Civile, Università di Parma. Lavora in Fagioli dal 2008 in qualità di Senior Project Engineer, come responsabile delle attività di ingegneria inerenti all’ Heavy Transport, Heavy Lift, Operazioni Marine, Installazioni Speciali. Fagioli è un’azienda specializzata a livello mondiale nell’ingegneria, trasporto, servizi door-to-door fino al montaggio finale di componenti eccezionali.

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CULTURA DELLE COSTRUZIONI METALLICHE

Ponti pensili della prima metà dell’Ottocento nel Regno di Sardegna SUSPENSION BRIDGES FROM THE FIRST HALF OF THE 19TH CENTURY IN THE KINGDOM OF SARDINIA Renato Morganti, Alessandra Tosone, Matteo Abita, Danilo Di Donato* Dipartimento di Ingegneria Civile Edile-Architettura e Ambientale, Università degli Studi dell’Aquila

“Le opere metalliche più pittoresche sono certo i ponti sospesi […]; essi si adattano tanto alle costruzioni di modeste dimensioni quanto a quelle gigantesche e figurano bene così in aperta campagna come nell’interno della città” Giuseppe Albenga [1] Il contesto scientifico e produttivo francese esercita su quadri tecnici e professionali del Regno di Sardegna uno “straniero incanto”, a sancire l’indiscutibile influenza della Grande Nation sui territori ad essa più limitrofi. Emblematico a tal riguardo è il fatto che Piemonte e Liguria non vengano inclusi nei nuovi confini del Regno d’Italia istituito nel 1805, ma annessi direttamente all’Impero napoleonico. Neppure le voci che, dopo il Congresso di Vienna, si levano a Torino contro l’eredità giacobina paiono scalfire l’interesse e l’ammirazione per il progresso scientifico e tecnologico di matrice francese, apprezzato anche da gran parte delle istituzioni governative piemontesi. Questo interesse fa sì che la sperimentazione sui ponti sospesi a fili di ferro nel regno sabaudo trovi occasioni di progetto già a pochi anni di distanza dalle prime esperienze portate avanti dai fratelli Seguin e dal Generale Dufour in Francia e Svizzera. Tali episodi non si sostanziano però nell’effettiva realizzazione ed è necessario attendere circa tre lustri, alle soglie degli anni Quaranta, perché si proceda alla costruzione dei tre più significativi interventi, i ponti a La Caille, Casale e Torino, che risaltano nello scenario dell’ingegneria italiana dell’epoca per i primati strutturali che essi vantano quanto all’ampiezza delle luci. The French scientific and productive context played a “foreign charm” on the technical and professional management of the Kingdom of Sardinia, showing the evident influence of the Grande Nation on the territories closest to it. It is not a coincidence that Piedmont and Liguria were not included in the new borders of the Napoleonic Kingdom of Italy, as established in 1805, but directly annexed to the French Empire. Not even rumours that, after the Congress of Vienna, raised in Turin against the Jacobin inheritance seemed to affect the interest and admiration for the scientific French progress, also appreciated by most of the Piedmontese institutions. This interest led to the design of suspension wire bridges in the Kingdom of Sardinia just a few years after the first experiences made by the Seguin brothers and by General Dufour in France and Switzerland, although they were not built. Only fifteen years later, at the dawn of the Forties, the three most significant bridges were built in La Caille, Casale, and Turin, which excelled in the scenario of Italian engineering of the time for the structural primates they boasted in terms of span length.

I progetti di ponti sospesi di grande luce per importanti infrastrutture e promossa con determinazione da Carlo l’ammodernamento della rete stradale del Regno di Alberto nel corso degli anni Trenta. Sono due gli obiettivi perseguiti Sardegna attraverso il miglioramento della rete viaria: assegnare a Torino Nella prefazione alla versione italiana di uno dei libri di Claude– Louis Navier è riportato l’elenco dei ponti sospesi realizzati nella penisola fino al 1840 [2], ed è espresso un chiaro apprezzamento per il Regno di Sardegna che “sovra ogni altro d’Italia, si distinse per aver dato mano alla costruzione di ponti pensili”. La numerosità delle opere costruite nello Stato sabaudo – in ogni caso non paragonabile a quella dei vicini territori d’oltralpe – è frutto dell’intensa attività di ammodernamento della rete stradale, avviata a partire dal periodo napoleonico con la realizzazione di *Corresponding author. Email: [email protected]

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un ruolo direzionale; potenziare i collegamenti internazionali con Francia, Svizzera e Germania, al fine di agevolare il traffico commerciale attraverso le strutture portuali genovesi e limitare, in tal maniera, l’importanza della linea triestina–austriaca per il passaggio di merci dal Mediterraneo al Nord–Europa [3]. Un tratto peculiare della politica liberale sabauda è l’accoglienza di flussi finanziari provenienti dall’estero orientati a investimenti per la trasformazione del territorio e la nuova concezione dell’opera pubblica quale “impresa di utilità collettiva sempre più spesso

Fig. 1 | Progetto del ponte sospeso presso il Valentino a Torino elaborato tra il 1825 e il 1826 da Guillaume-Henri Dufour: pianta e prospetto frontale (Collezione Simeom, n. 708, su concessione dell’Archivio Storico della Città di Torino).

appaltata a committenze private e borghesi” [4], limitando l’intervento statale alla sola definizione di indirizzi strategici al fine di garantire una maggiore flessibilità nelle procedure attuative. Per questa ragione, i primi progetti nel Regno di Sardegna sono frutto della libera iniziativa di uomini di stato o imprenditori che, in virtù della vicinanza geografica con i contesti di sperimentazione, in particolare Francia e Svizzera, riescono a coinvolgere alcuni dei protagonisti dello sviluppo dei ponti sospesi [5]. È il caso, per esempio, di Michele Benso di Cavour, politico inserito nelle istituzioni sabaude e amministratore di attività finanziarie e commerciali in Svizzera, tra le quali la gestione di un battello a vapore per la navigazione sul Lago Maggiore [6], cui prende parte anche il generale Guillaume Henri Dufour. Contando su un consolidato rapporto d’affari, Michele Benso chiede nel 1826 all’ingegnere elvetico di progettare un ponte sospeso a Torino nell’area del Parco del Valentino, per assicurare il collegamento con la strada verso Moncalieri e promuovere l’urbanizzazione del quartiere di Borgo Nuovo, prevedendo di costituire con altri imprenditori una società che avrebbe guadagnato dalla riscossione dei pedaggi [7]. Egli progetta un ponte a due campate di 70 m di luce e 5,50 m di larghezza, con l’impalcato a 4 m dal livello di massima piena del Po. Per evitare problemi di posizionamento della pila centrale in alveo, prevede di collocare l’asse del ponte perpendicolarmente all’asta fluviale, collegandolo al Corso del Re mediante una rampa di raccordo. Dufour ipotizza l’impiego, su ogni lato, di quattro gomene di sospensione, collocate “a due a due su piani verticali, paralleli tra loro a una distanza di 30 cm”, ciascuna costituita da 250 fili di ferro di 2,75 mm di diametro raccordati mediante legature ad intervalli costanti e un filo “di fasciatura” a spirale. I

cavi, in grado di garantire una resistenza complessiva a trazione di circa 750 t, sono sostenuti da sei colonne con motivi decorativi di stile neo–egizio che, a parere del progettista, costituiscono un appropriato richiamo all’importante museo istituito nella città solo due anni prima. Su ognuno dei capitelli palmiformi è previsto il fissaggio di un abaco utile sia al posizionamento dei cuscinetti e delle barre di ancoraggio dei cavi, che al raccordo delle coppie di colonne mediante travi in ferro. I tiranti sostengono 43 travi di larice di 6 m di lunghezza lievemente rastremate alle estremità, su cui sono fissati i longheroni a sezione rettangolare e il tavolato in abete [8]. Dufour elabora anche un originale sistema di ritenuta all’intradosso dell’impalcato, caratterizzato da barre in ferro del diametro di 20 mm collegate all’estremità superiore alle travi principali e a quella inferiore a cavi messi in tiro tra le pile (figura 1). Il progetto non verrà mai realizzato: l’iter di approvazione che ha ufficialmente inizio il 27 febbraio del 1826 quando Michele Benso trasmette al Ministro Roget de Cholex gli elaborati di Dufour per il Ponte al Valentino, subisce progressivi rallentamenti che comportano la definitiva rinuncia all’iniziativa [9]. La disposizione di ferri in tensione posti all’intradosso dell’impalcato, proposta anche nell’intervento al Valentino, costituisce uno specifico ambito di ricerca per Dufour; non a caso egli ne sperimenta le potenzialità già due anni prima, in un progetto elaborato ancora una volta per il Regno di Sardegna, in cui prevede soluzioni tecnologiche che si discostano notevolmente da quelle fino ad allora utilizzate per i ponti sospesi, ponendosi, invece, in continuità con alcune singolari esperienze scozzesi, realizzate poco prima [10]. Un collettivo di imprenditori, guidati da Antoine Despine, Michel Baussand e Paul–Bernard Croset–Mouchet, incarica Dufour di COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 115

Fig. 2 | Progetto del ponte sulla Sarine a Friburgo in Svizzera, 1825-1826, a cura di Dufour: in questa proposta l’ingegnere elvetico riprende le soluzioni tecnologiche messe a punto per l’attraversamento a La Caille (Pubblico dominio).

Fig. 3 | Ponte a Ginevra sul Rodano realizzato nel 1833 su progetto di Dufour: vista frontale e dettagli delle pile e dei cavi posti all’intradosso dell’impalcato (Morandière, 1888).

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trovare una soluzione per il collegamento dei due versanti della gola di La Caille in Savoia, dopo il crollo nelle acque del torrente Des Usses di un antico ponte romano e di un ponte provvisorio in legno. L’attraversamento è funzionale sia alla comunicazione transfrontaliera tra le città di Annecy e Ginevra, che allo sviluppo turistico della stazione di sorgenti termali e sulfuree collocata ai piedi della faglia. Dufour propone un ponte a campata unica di 150 m di luce che, all’intradosso dell’impalcato, presenta “una struttura metallica dalla configurazione a centina rovesciata poggiata sulle spalle; ma poiché questa struttura è troppo leggera per essere autosufficiente, è sostenuta da sedici cavi di filo tesi tra le capriate, su cui poggiano, ad intervalli regolari, travi di ferro opportunamente disposte” [11]. Questo sistema, definito “misto, tra le costruzioni a telaio, e quelle di filo di ferro o di catene”, comporta secondo Dufour due vantaggi: una minore intensità del tiro esercitato sulle spalle del ponte a cui consegue una riduzione della loro massa e l’assenza di ostacoli visuali al di sopra dell’impalcato. L’ingegnere svizzero propone la stessa configurazione, con pile intermedie, nel progetto del ponte di Friburgo del 1825 (figura 2) e nelle realizzazioni dei ponti ginevrini dell’Île de Rousseau e de la Coulouvreniere (figura 3), citando sempre l’esperienza di La Caille come fondamentale per la concezione di questa tipologia strutturale. Dufour non è la sola figura di spicco di cui si avvale il Regno di Sardegna che può contare anche sulla consulenza di Marc Seguin, riferimento indiscutibile nella progettazione di ponti sospesi. L’ingegnere propone nel 1830 per il Comune di Casale Monferrato un progetto analogo a quello realizzato a Tournon al fine di sostituire il ponte di barche presente fin dal XV secolo per l’attraversamento del Po, che garantiva la comunicazione tra le città di Alessandria e Vercelli (figura 4). Nel progetto sollecitato e approvato da Carlo Bernardo Mosca, segretario del Consiglio Superiore di Ponti e Strade, il ponte sospeso a due campate prevede: un sistema di sospensione con quattro gomene di fasci di fili di ferro e tre piloni di cui uno collocato al centro dell’alveo fluviale dalla configurazione massiccia alla stregua

di fornici monumentali, tiranti e impalcato in legno declinati in base alle soluzioni tecnologiche introdotte dall’ingegnere francese nelle sue più recenti realizzazioni [12]. Interessi locali, favorevoli al mantenimento del ponte provvisorio e della relativa riscossione dei pedaggi, non consentono di avviarne la costruzione. Sebbene gli antefatti dei ponti sospesi nel Regno di Sardegna riguardino il progetto di attraversamenti di grande luce e vedano coinvolti progettisti stranieri, molto noti sulla scena internazionale, i primi a essere realizzati sono ponti di piccola luce, sia pedonali che carrai, progettati da professionisti piemontesi e costruiti sulla spinta di iniziative private, alla stregua di quanto già avvenuto nel Granducato di Toscana prima della realizzazione dei ponti sull’Arno.

Antefatti e prime sperimentazioni La prima passerella sospesa del Regno di Sardegna si deve al notaio Vitale Prié, già segretario per il governo francese dei municipi dell’area di San Giorgio Canavese nel periodo napoleonico, che incarica nel 1830 l’ingegnere Ignazio Michela del progetto di un attraversamento amovibile sul Canale di Caluso, per consentire un accesso diretto alla propria residenza dalla strada di collegamento con il Comune di Aglié (figura 5). Per la passerella sono impiegate due coppie di colonne a sezione quadrata che su ogni lato sostengono mediante anelli coppie di funi di fili di ferro, alle quali sono collegati i tiranti per mezzo di annodature protette da elementi decorativi neoclassici. Un aspetto singolare è la configurazione a gradini dell’impalcato, progettato da Michela per superare la differenza di quota tra gli argini del canale e sostenuto da un opportuno “telaio in lame di ferro” collegato ai tiranti. La passerella di Aglié anticipa di pochi anni una serie di progetti e realizzazioni analoghe volute da Carlo Alberto nel Parco Reale di Racconigi a partire dal 1834. Filo conduttore di questi interventi è la ristrutturazione paesaggistica delle proprietà sabaude ad opera dell’architetto Antonius Xavier Kurten, responsabile anche della sistemazione dei giardini del Castello di Aglié proprio nel 1830. Per i progetti di ponti sospesi nella tenuta di Racconigi sono

Fig. 4 | Progetto del ponte sospeso a Casale Monferrato redatto nel 1830 da Marc Seguin: illustrazione d’epoca (coll. Dis. Figura 5. vari I.127 – già O.VII.106 – su concessione del ©MiC – Musei Reali, Biblioteca Reale di Torino). COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 117

coinvolti i tecnici francesi Jean Simon Jude Ghefaldy e Jean Baptiste Gaulliard, nonché l’architetto del Congresso Permanente delle Acque e delle Strade Ernest Melano che ne porta a termine due sul naviglio del parco, uno dei quali in collaborazione con l’ingegnere savoiardo Bernardo Vanni. Queste realizzazioni, demolite pochi decenni dopo, non presentano peculiarità tecnologiche di rilievo, pur costituendo una significativa testimonianza della predilezione delle classi dirigenti sabaude per la tipologia del ponte sospeso a fil di ferro che, non a caso, continua ad essere impiegato nel corso degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta sia per interventi all’interno dei manieri piemontesi [13], che per l’ammodernamento della rete stradale, consentendo ai tecnici locali di acquisire specifiche competenze. Carlo Alberto approva, infatti, sia richieste di iniziativa privata provenienti da località collocate al confine con la Svizzera e con La Francia, sia opere in prossimità delle residenze storiche del casato: nel 1837 viene dato avvio al processo di realizzazione di una serie di passerelle e ponti sospesi di piccola luce in Val Sesia (figura 6) [9]; nello stesso anno viene portato a termine il ponte sospeso di 60 m di luce a Pierre–Châtel, su progetto dell’ingegnere Rolland de Ravel (figura 7) [14]; a St. Martin du Var, non lontano dalla residenza nizzarda dei Savoia, è realizzato nei primi anni Cinquanta un ponte a tre campate per una luce complessiva di 200 m in cui sono coinvolti, tra gli altri, Jules Seguin e Bernardo Vanni (figura 8) [15]. Quest’ultimo è il progettista anche del ponte sospeso a campata unica di 133 m di luce sul fiume Tanaro a Pollenzo in prossimità del Castello Reale (figura 9). A ridosso del quarto decennio del XIX secolo si avvia, intanto, la costruzione delle infrastrutture di grande luce, che vengono realizzate nelle stesse località interessate dai progetti di Dufour e Seguin. I ponti a La Caille, Casale Monferrato e Torino avranno come filo conduttore l’intervento di uno stesso imprenditore, il lionese Louis Bonnardet, principale finanziatore di queste opere.

I ponti sospesi della società Louis Bonnardet & C.ie Nella prima metà dell’Ottocento Lione è, senza dubbio, un luogo di elezione per le ricerche riguardanti il progresso tecnologico che si accompagna alla diffusione dei ponti sospesi a fili di ferro; ciò si deve anche al fertile clima culturale che si instaura in città e che è alimentato dalla partecipazione ai locali circoli scientifici di Marc Seguin, nonché dalla buona accoglienza per le sperimentazioni da lui svolte nel territorio situato tra il fiume Rodano e le Alpi. Non è un caso, dunque, che uomini d’affari, progettisti o imprese provenienti dalla Francia sud–orientale si specializzino nello sviluppo di questa tipologia di ponte e ne esportino il know–how anche al di là dei confini nazionali. Una figura rappresentativa di questo processo di esportazione è Louis Bonnardet, imprenditore a capo di numerose iniziative non solo in Francia, ma anche in Italia, Germania e Spagna, orientate allo sviluppo dei collegamenti interurbani e della mobilità su rotaia. La sua attività spazia, infatti, in molti ambiti e include sia la costruzione di ponti sospesi sia quella di battelli a vapore; egli è autore di testi sull’economia politica e “sull’emancipazione industriale”, pubblicati anche per conto dell’Accademia delle

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Fig. 5 | Passerella realizzata ad Agliè nel Canavese, nel 1830, su progetto di Ignazio Michela: vista lungo il Canale di Caluso (Archivio fotografico Città Metropolitana di Torino).

Fig. 6 | Uno dei ponti sospesi valsesiani, quello di Crevola a Varallo Sesia, completato nel 1854 su progetto dell’ingegnere C. Ferlosio: vista dell’impalcato (Cartolina, 1929).

Fig. 7 | Il ponte sospeso sul Rodano a La Balme-sous-Pierre-Châtel inaugurato nel 1837 su progetto di Rolland de Ravel: foto d’epoca (gallica.bnf.fr / BnF).

Fig. 8 | Ponte Charles-Albert a St. Martin du Var, ultimato nel 1852 su progetto di Tommaso Dogliotti, modificato in seguito da Bernardo Vanni: vista nella valle del fiume Varo (Arch. dép. des Alpes-Maritimes, 10 Fi 2863, cliché Jean Giletta).

Fig. 9 | Ponte Carlo Alberto sul Tanaro a Pollenzo inaugurato nel 1847 e progettato da Bernardo Vanni: foto d’epoca (Cartolina, 1930 circa).

Scienze, Lettere ed Arti di Lione. L’imprenditore si avvale in più occasioni della collaborazione di due soci, Emile Bertin di Parigi e Antoine Blanc di Annecy, con i quali porta a termine tra il 1832 e il 1836 alcuni ponti sospesi a filo di ferro nell’entroterra francese – in particolare sui fiumi Cèze, Senna e Loira – e si aggiudica nel 1837 una gara d’appalto in Savoia che costituisce l’incipit di una serie di interventi nel Regno di Sardegna [16].

Ponte Charles–Albert a La Caille I primi lavori in territorio sabaudo ad essere affidati alla società dell’imprenditore lionese riguardano il progetto e la costruzione del ponte sospeso a La Caille, infrastruttura ritenuta fondamentale dai comuni dell’area di Annecy al fine di ripristinare il collegamento con la città di Ginevra [17]. Il 30 giugno del 1837 è stipulato un contratto che prevede il contributo di Carlo Alberto di 95.000 Franchi e il restante importo della spesa a carico di Bonnardet, titolare della concessione relativa ai pedaggi per un periodo di 66 anni. Il progetto dell’opera è affidato a Émile Fulcrand Belin, allievo dell’École Polytechnique di Parigi e autore di importanti infrastrutture idrauliche nella regione della Borgogna, nonché di

Fig. 10 | Ponte Charles-Albert a La Caille, ultimato nel 1839 su progetto di Émile Fulcrand Belin: litografia raffigurante il ponte nella profonda gola del torrente Des Usses (Le Magasin Pittoresque, 1859).

ponti sospesi nel territorio lionese, per i quali entra probabilmente in contatto con Bonnardet. Quest’ultimo collabora anche con Paul Léon Le Haître, giovane ingegnere residente a Bourg en Bresse – città tra Lione e Ginevra – a cui è affidata, nell’agosto del 1838, la direzione dei lavori di costruzione, che si rivelano di particolare complessità per la collocazione e le dimensioni dell’opera [18]. Il ponte sospeso a fil di ferro ad unica campata è infatti a 147 m di altezza dall’alveo del torrente Des Usses e raggiunge la ragguardevole luce di 192 m, all’epoca inferiore solo a quella di pochi altri realizzati con la stessa tecnologia (figura 10). La distanza tra i punti di ancoraggio dei cavi di sospensione è pari a 255 m. I piloni sono costituiti da coppie di torri cilindriche alte 20 m, ciascuna di 4 m di diametro, costruite in blocchi di pietra locale, apparecchiati in corsi “collegati di cinque in cinque da staffe di ferro interne” [19]. Le torri, connesse da un fornice con un arco a tutto sesto, riproducono la configurazione degli apparati di fortificazione di alcuni castelli della Francia centromeridionale – in particolare quelli di Pontgibaud e di Val – a restituirne “un COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 119

Fig. 11 | Ponte Charles-Albert a La Caille: vista d’insieme (Cartolina, 1880).

Fig. 12 | Ponte Charles-Albert a La Caille: vista frontale e dettagli dei piloni, dell’impalcato e del parapetto (Morandière, 1888).

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Fig. 13 | Ponte Charles-Albert a La Caille: foto d’epoca, successiva agli interventi di consolidamento dell’impresa Arnodin (Le Magasin Pittoresque, 1891).

aspetto monumentale”. Esse sono provviste di cavità collocate in prossimità dei coronamenti merlati, al cui interno sono posti rulli su cui scorrono le “gomene”, i cavi di sospensione, 12 per ciascun lato, raccolti in gruppi di 4, a costituire 3 corsi sia a destra che a manca (figura 11). Ognuna di queste gomene è lunga 300 m ed è costituita di 154 fili di ferro con un diametro di 3,35 mm. Sono ancorate in pozzi di fondazione, scavati nella roccia e profondi 10 m (figura 12) [20]. Su ciascun lato le funi in fili di ferro dei tiranti sono alternativamente collegate, per mezzo di staffe, a uno dei tre corsi costituiti dai cavi di sospensione e sostengono 133 traversi in larice, della lunghezza di 6,8 m. L’impalcato è completato da un tavolato, sempre in larice, e dalla pavimentazione carrabile in pioppo. I due marciapiedi, della larghezza di 70 cm, risultano lievemente estradossati rispetto al piano stradale e sono entrambi posti su due longarine in legno di circa 30 cm, cui sono fissati i parapetti lignei a configurazione reticolare. Nel giugno del 1839 il ponte, intitolato a Carlo Alberto, è collaudato mediante un carico di 225 t ripartito su tutta la lunghezza; l’inaugurazione – avvenuta l’11 luglio dello stesso anno, in presenza del governatore della Savoia e di altri rappresentanti del governo sabaudo – viene ricordata in una medaglia celebrativa che sarà messa in mostra dalla “Società promotrice dell’industria nazionale” insieme ad un plastico del ponte nel Padiglione Italiano dell’Esposizione Generale di Torino del 1884. Nel 1861, subito dopo la cessione della Savoia alla Francia, un uragano provoca danni ingenti all’impalcato e porta alla rottura di numerosi tiranti. Nel 1881 si dà l’avvio a radicali lavori di ristrutturazione, ultimati nel 1887 e svolti dall’impresa dell’ingegnere Ferdinand Arnodin [22]. Quest’ultimo, originario di Lione e figlio di un collaboratore di Marc Seguin, introduce numerose novità nelle tecniche costruttive dei ponti sospesi, tra le quali l’impiego di trefoli, che si traducono, in Francia, in una progressiva riscoperta di questa tipologia, a fronte del progressivo abbandono dei due decenni precedenti. Gli interventi di Arnodin riguardano, in particolare, il ringrosso delle sezioni dei cavi di sospensione mediante l’aggiunta di nuovi fili, nonché la sostituzione dei tiranti verticali con trefoli, delle travi lignee con putrelle in ferro, del parapetto in legno con uno costituito da una travata reticolare metallica, con manifesta funzione irrigidente. Vengono inoltre installati controventi diagonali all’intradosso delle travi di impalcato, e rimosse le sei funi di ancoraggio, molto ammalorate, che sono rimpiazzate con ben 16 nuovi cavi, dotati anche di tenditori. Si provvede anche alla realizzazione di ampie aperture sulla sommità delle torri, per facilitare la manutenzione dei rulli, ispezionabili per mezzo di scale in lamiera, addossate alle torri stesse e dal caratteristico sviluppo elicoidale (figura 14). A partire dal 1932 l’attraversamento è destinato al solo transito pedonale; ciò avviene contestualmente all’apertura di un nuovo ponte, costruito a breve distanza dal primo, per il passaggio di autovetture e tram; la nuova realizzazione si deve all’ingegnere Albert Caquot che per essa propone una struttura costituita da due viadotti posti ai lati di un ponte ad arco a via superiore con la volta in struttura di calcestruzzo non armato longitudinalmente [23].

Ponte Carlo Alberto a Casale Monferrato Durante i lavori di costruzione del ponte a La Caille, la società guidata da Bonnardet vince un’altra gara per un attraversamento di grande luce nel Regno di Sardegna e il 16 luglio del 1838 viene infatti stipulato un contratto per la realizzazione di un ponte sospeso a Casale Monferrato. L’opera viene finanziata dal socio Antoine Blanc, che risulta titolare delle concessioni relative al pedaggio per un periodo di 29 anni e 10 mesi, e sono incaricati gli stessi tecnici coinvolti nell’intervento in Savoia [24]. Nonostante l’esperienza della società nel progetto di ponti a campata unica, in questo caso si decide di adottare lo schema a due campate con pila centrale in alveo già proposto per lo stesso sito da Marc Seguin nel 1830, che in tale occasione pare abbia riproposto, in tutto e per tutto, la configurazione del ponte realizzato a Tournon nel 1828. Il progettista Émile Belin reinterpreta questo modello adattandolo alle dimensioni e alle condizioni del contesto: le campate sono portate a 95 m di luce – 5 m in più rispetto all’esempio francese – e la pila centrale in alveo viene spostata verso la riva sinistra del Po alterando la simmetria del ponte rispetto all’alveo fluviale per consentire lo sfruttamento di una “antica prismata” [25] che avrebbe consentito di evitare i lavori di fondazione per l’ancoraggio della spalla destra orientata in direzione del centro urbano (figura 14). La pila centrale in alveo, configurata alla stregua di un fornice monumentale dal linguaggio neoclassico, viene impiegata infatti, non solo come “sella” per i cavi di sospensione, ma anche per il loro ancoraggio, consentendo l’alloggiamento dei fasci di fili di ferro in “scanalature appositamente realizzate” tra la muratura e il rivestimento in pietra da taglio [26]. Ognuna delle funi di sospensione, 4 per ciascun lato, ha una sezione di circa 6 cm di diametro; la pila offre anche un appoggio alle estremità dell’impalcato che è posto a 10 m di altezza dal livello di magra del fiume, nella previsione che tale altezza possa essere tenuta almeno a 5,5 m dal pelo dell’acqua in caso di massima piena (figure 15–16). Il 7 marzo del 1839 hanno avvio i lavori, con la posa “della pietra fondamentale”, celebrati dalla retorica del discorso dell’Intendente Generale, che aveva sottoposto “alla Potestà del Governo l’idea di un ponte sospeso a cordoni di ferro” [27]. A dirigere il cantiere è l’ingegnere Le Haître, che si trova a dover fronteggiare numerosi inconvenienti durante la realizzazione. Nell’ottobre dello stesso anno, infatti, la costruzione del ponte è messa in crisi da un evento eccezionale: un’improvvisa piena del Po è responsabile del cedimento della spalla sinistra, del danneggiamento della “prismata” sulla riva opposta e della pila centrale, nonché della caduta in acqua delle gomene che erano state da poco ancorate. Il principale elemento di discussione, nel contenzioso aperto tra l’Intendenza Generale del Regno e la società di Bonnardet, è la corretta realizzazione dei lavori di fondazione, eseguiti mediante scavi a cielo aperto con paratie costituite da una doppia cinta di pali di larice infissi al suolo e un getto di conglomerato cementizio a 2 m di profondità dal letto del fiume. Dopo una convenzione stipulata tra le parti e la decisione di migliorare la stabilità degli COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 121

elementi in muratura con l’inserimento di “robusti bulloni di ferro”, i lavori riprendono nel gennaio del 1840 e si concludono il 22 agosto dello stesso anno. Malgrado le vicissitudini che accompagnano il cantiere, la configurazione a due campate e le soluzioni tecnico–costruttive impiegate in questo attraversamento vengono comunque apprezzate, come testimoniato dalla scelta di Morandière di includerlo nel suo Trattato, quale unico esempio di ponte sospeso realizzato in Italia (figura 14) – La Caille viene annoverato tra gli interventi francesi – e dalla circostanza che esso costituisca un chiaro modello di riferimento per il progetto e la costruzione del ponte sul fiume Tanaro, ad Asti, di cui si occupano tecnici del

Regno di Sardegna, guidati dell’ingegnere Pietro Bosso. Il ponte è teatro di importanti episodi sia della Prima che della Seconda Guerra d’Indipendenza, legati alla difesa di Casale; tali avvenimenti fanno sì che esso venga immortalato sia in alcune raffigurazioni dell’epoca, che successive (figura 17). La sua è una storia breve: resta in opera per circa quattro decenni e nel 1882 viene demolito e sostituito da un altro attraversamento, sempre in ferro ma “più resistente” del primo perché configurato a sei campate e travi reticolari [28].

Fig. 14 | Ponte Carlo Alberto a Casale Monferrato, inaugurato nel 1839 su progetto di Émile Fulcrand Belin: vista frontale e dettagli delle spalle e della pila (Morandière, 1888).

Fig. 15 | Ponte Carlo Alberto a Casale Monferrato: l’attraversamento sospeso in primo piano e sullo sfondo un collegamento temporaneo in legno (Fotografia 6B64, Fondo Fotografico Francesco Negri, Biblioteca Civica Giovanni Canna di Casale Monferrato).

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Fig. 16 | Ponte Carlo Alberto a Casale Monferrato: vista d’insieme (Fotografia 4B119, Fondo Fotografico Francesco Negri, Biblioteca Civica Giovanni Canna di Casale Monferrato).

Ponte Maria Teresa a Torino Quando il 20 maggio del 1814 i Savoia rientrano a Torino, dopo un esilio durato poco più di tre lustri, Vittorio Emanuele fa il suo ingresso in città attraversando il nuovo ponte giacobino, una delle testimonianze più significative dell’occupazione francese [30]. Ciò suscita la disapprovazione di coloro che si aspettavano, invece, una manifesta contrarietà da parte del Sovrano a tutte le iniziative risalenti al periodo napoleonico, arrivando persino ad auspicare la demolizione dell’attraversamento realizzato sotto la dominazione transalpina. Il Re mostra però un notevole pragmatismo e controbatte dicendo che “se il ponte è giacobino, ben sia dove è stato edificato, noi lo calpesteremo più volentieri” [31]. Questo comportamento non ideologico che Vittorio Emanuele mostra verso alcune delle novità introdotte dal prestigioso quanto ingombrante vicino d’oltralpe si ritrova, rafforzato, anche nelle scelte politiche del suo successore, Carlo Alberto che, non a caso, si forma nel clima culturale parigino e ginevrino, con cui viene in contatto durante il suo prolungato soggiorno in Francia e Svizzera. Pur ad esso si deve l’interesse del Sovrano per il progresso scientifico, che si sostanzia anche nella sperimentazione dei ponti sospesi, avviata con le due significative esperienze di La Caille e Casale, e proseguita con quella di Torino. Intitolato alla regina Maria Teresa e realizzato per fornire una risposta efficace all’aumento dei volumi di traffico seguito all’espansione urbana della Capitale sabauda [32], il ponte è posto in prossimità del Castello del Valentino, in asse con il Corso del Re, e collega da un lato il lungopò dei Platani e dall’altro la Strada Reale per Piacenza (figura 18) [33]. Per la sua costruzione vengono incaricati, ancora una volta, la ditta di Louis Bonnardet & C.ie e l’ingegner Le Haître, che in questo caso non è solo il direttore dei lavori ma anche il progettista dell’opera. Le trattative tra società lionese e governo hanno avvio nel dicembre del 1839 e portano in breve alla stesura di una Regia patente, firmata nel febbraio del ‘40, con l’inizio dei lavori già nel mese successivo [34]. Parte integrante della patente è il Cahier des

Fig. 17 | Ponte Carlo Alberto a Casale Monferrato: la difesa della città contro gli Austriaci nella Seconda Guerra d’Indipendenza (L’Illustration, 1859).

Charges, il capitolato d’appalto, che regola tutti gli aspetti della costruzione. In particolare, il documento individua quale deve essere la durata del cantiere – fissata in 16 mesi – quali sono gli interventi da realizzare e quali i materiali da utilizzare per la loro esecuzione. Nel contratto stipulato con Bonnardet si precisa infatti che, a fronte del diritto di riscossione del pedaggio per un periodo di tempo di 70 anni, l’imprenditore francese si impegna a costruire non solo il ponte e le relative spalle – rivestite in pietre da taglio analoghe per materiale e dimensioni a quelle utilizzate per un vicino ponte in pietra – ma anche tutte le opere accessorie, quali le sistemazioni stradali per raccordare le differenti quote delle due sponde, la messa a dimora degli alberi divelti, le banchine lungo il fiume, anch’esse in pietra, nonché le due garitte per gli esattori, collocate sul lato del Valentino in posizione simmetrica rispetto alla carreggiata (figura 19). Quanto alle caratteristiche di materiali e sezioni da utilizzare per il ponte, il Cahier des Charges stabilisce che il diametro di ogni fune in ferro sia il quadruplo della sezione di calcolo necessaria a resistere alle tensioni prodotte dal peso proprio della struttura e da un carico uniforme di 200 kg/m2. L’impalcato ligneo deve essere realizzato in larice o in quercia, e l’assito di calpestio in pioppo (figura 20) [35]. Meno impegnativo del ponte realizzato a La Caille, quello di Torino ha lunghezza complessiva di 184 m e luce libera di 127 m. La larghezza della carreggiata è di 6 m, comprensiva di due marciapiedi di 60 cm. L’impalcato è posto a 10 m di altezza dalla quota abituale del fiume ed è sospeso, per mezzo di tiranti a otto gomene, quattro per lato; queste sono sollevate da coppie di colonne di circa 14 m di altezza, e ancorate alle estremità all’interno di “grosse masse di muramento” sotterranee, ispezionabili per consentire la manutenzione del sistema di ammarraggio. Le gomene confluiscono all’interno di tali ritegni in muratura piegando in corrispondenza di grossi “dadi di granito”, ben visibili poiché collocati sul piano stradale e disposti alle due estremità del ponte, su ambo i lati della carreggiata (figura 21). Ogni gomena ha un diametro di 60 mm ed è composta da 240 fili di ferro n. 18 [36], mentre i tiranti sono costituiti da “spranghe o staffe di ferro battuto”, distanziati di 1,25 m e alternativamente agganciati a una coppia o all’altra delle funi COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 123

Fig. 18 | Ponte Maria Teresa a Torino, ultimato nel 1841 su progetto e direzione dei lavori a cura di Paul Léon Le Haître: planimetria generale (Carte sciolte, n. 5802, su concessione dell’Archivio Storico della Città di Torino).

Fig. 19 | Ponte Maria Teresa a Torino: litografia su disegno di Enrico Gonin (Collezione Simeom, serie D, n. 694, su concessione dell’Archivio Storico della Città di Torino).

per mezzo di “guancialetti di ferro battuto”. Il ponte viene, probabilmente, ultimato entro il dicembre del 1840, mentre i lavori di sistemazione dell’area si protraggono a lungo e a sei anni di distanza non risultano ancora conclusi. Il nuovo attraversamento viene apprezzato sin da subito (figura 22), anche se non mancano critiche, che a distanza di qualche decennio crescono in numero per il manifestarsi di una preoccupante

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fragilità strutturale che allarma l’amministrazione comunale. In particolare, il ponte va incontro a una lunga serie di disservizi, causa di numerose interdizioni e limitazioni al traffico, dovute alle continue manutenzioni necessarie per il ripristino dell’impalcato ligneo, ma anche alla ripetuta rottura delle gomene. A tutto ciò si aggiungono le lamentele della popolazione che chiede con insistenza la rimozione della tassa di transito, cui la Giunta Comunale non

Fig. 20 | Ponte Maria Teresa a Torino: vista dal lungopò (Nuove Acquisizioni Fotografiche, n. 05_25, su concessione dell’Archivio Storico della Città di Torino).

Fig. 21 | Ponte Maria Teresa a Torino: prospetto frontale (Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, 1893).

resta indifferente; più volte propone, infatti, il riscatto del diritto di pedaggio, ma i consiglieri si oppongono ed esigono che sia invece la ditta concessionaria a farsi carico della sua ristrutturazione. Nel 1881, dopo un’accesa disputa con la controparte, il Comune acquisisce finalmente la piena disponibilità del ponte e, in attesa della sua sostituzione, provvede sia a consolidarlo, sia a emanare nuove disposizioni utili a regolarne il traffico, con la parziale riapertura al transito carraio [37]. Nel frattempo, accoglie una serie di proposte, liberamente pervenute, che presenta nel 1890 in una “Esposizione speciale di disegni e modelli del nuovo Ponte Maria Teresa”; promuove, in seguito, anche l’istituzione di tre concorsi, uno nel 1894, un altro nel 1900 e l’ultimo nel 1901. Le vicende non trovano, però, un consenso unanime in Comune che solo nel 1903 approva il progetto poi realizzato. Del nuovo attraversamento, intitolato non più a Maria Teresa ma a Umberto I – ucciso nel 1900 per mano di Gaetano Bresci – sono incaricati gli architetti Vincenzo Micheli ed Enrico Ristori [38]. In attesa della sua ultimazione, il ponte sospeso viene demolito e sostituito con uno provvisorio in legno (figura 23) [39].

Conclusioni

Fig. 22 | Ponte Maria Teresa a Torino: foto d’epoca (Nuove Acquisizioni Fotografiche,

Alle vicende dei tre ponti sabaudi realizzati a cavallo del 1840 si affianca la costruzione di episodi analoghi, – come nel caso dell’attraversamento sul fiume Tanaro a Pollenzo, dedicato ancora una volta a Carlo Alberto – o di minor luce, che pure si pongono a corollario di quanto asserito da Giovanni Corti in merito alla dichiarata preminenza del Piemonte, sugli altri stati preunitari, nella realizzazione di ponti sospesi. Tale supremazia si ritrova anche nello sviluppo delle vicende successive che fanno di questo territorio un caso alquanto singolare nello scenario italiano. Nel resto della penisola, infatti, la tipologia del ponte sospeso, sia di quello a catene che di quello a fili, viene accantonata nella seconda metà dell’Ottocento – ciò avviene per molteplici ragioni, non ultima la presa d’atto che tale tecnologia non appaia ancora matura, palesando una lunga serie di problematiche, ben evidenti, COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 125

attraversamenti in un territorio particolarmente avverso e difficile da raggiungere come quello della vallata alpina. Ciò, però, può non bastare a giustificare la costanza nel ricorso a questa tipologia cui si assiste in territorio valsesiano; un’ulteriore spiegazione può ritrovarsi anche in quanto riportato nell’esergo di Giovanni Albenga e, in particolare, in quel carattere di “pittoresco” che connota il ponte sospeso e che ne rende adeguato l’inserimento “sia in aperta campagna come nell’interno della città”. Non è un caso, pertanto, che proprio la Valsesia possa contare sulla conservazione di alcune preziose testimonianze di ponti sospesi che, sebbene oggetto di necessari e profondi interventi manutentivi, rappresentano episodi occorsi in un secondo momento ma pur sempre significativi di un racconto che si avvicina ai due secoli di storia. Fig. 23 | Ponte Maria Teresa a Torino: vista laterale con, sullo sfondo, il ponte provvisorio in legno realizzato per la sostituzione dell’attraversamento sospeso con quello in muratura, dedicato a Umberto I (Nuove Acquisizioni Fotografiche, n. 20A_031-09_2, su concessione dell’Archivio Storico della Città di Torino).

del resto, anche nelle vicende legate agli stessi episodi presentati – e non si assiste mai a una successiva riscoperta, come diversamente accade in altri contesti, grazie alle innovazioni introdotte dapprima da Roebling negli Stati Uniti e, in seguito, da Arnodin in Francia. Una duratura e longeva predilezione per questo sistema costruttivo si manifesta in Italia nel solo Piemonte, o meglio, in una sua particolare area, la Valsesia, che si pone alla stregua di una “nicchia territoriale” in cui continuare la sperimentazione della tecnologia fino ai primi decenni del Novecento. A tutto questo concorre non solo la sua prossimità alla Svizzera francofona, ma anche la constatazione che il ponte sospeso a fili di ferro rappresenti la soluzione più semplice e vantaggiosa per la realizzazione di

Ringraziamenti Il materiale illustrativo pubblicato a corredo del testo è stato messo gentilmente a disposizione dall’Archivio Storico della Città di Torino – ASCT (Dott.ssa Maura Baima, Dott. Enrico Giacomelli, Dott.ssa Manuela Rondoni, Dott. Enrico Vaio), dall’Archivio fotografico Città Metropolitana di Torino (Dott.ssa Carla Gatti), dagli Archives Départementales des Alpes-Maritimes (Dott.Yves Kinossian, Dott.ssa Véronique Pedini), dalla Bibliothèque de Genève, dal Comune di Casale Monferrato (Dott.ssa Sara Marchetti) e dalla Biblioteca Civica Giovanni Canna di Casale Monferrato (Dott. Luigi Mantovani, Dott.ssa Elisa Costanzo), da Le Mairie de Beaumont (Dott.ssa Françoise Brunel) nonché dal MiC – Musei Reali, Biblioteca Reale di Torino (Dott.ssa Giuseppina Mussari, Dott.ssa Antonietta De Felice). A loro va la nostra riconoscenza per la sollecitudine con cui hanno reso disponibili le preziosissime fonti.

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Renato Morganti Ordinario di Architettura Tecnica e Presidente del Consiglio di Corso di Studi in Ingegneria Edile– Architettura UE, è membro del collegio del Dottorato di Ricerca (ICEAA – L’Aquila) e del comitato scientifico di collane editoriali e di riviste italiane ed estere. Dal 2006 coordina a L’Aquila ricerche sui temi della cultura della costruzione metallica e del recupero del costruito. È autore di monografie, saggi e articoli e le sue opere, più volte premiate, sono state pubblicate su riviste, monografie e rassegne di architettura in Italia e all’estero.

Alessandra Tosone Associato di Architettura Tecnica e membro del collegio del Dottorato di Ricerca (ICEAA – L’Aquila) nonché del Consiglio direttivo di Docomomo Italia, svolge attività didattica nel corso di Laurea magistrale in Ingegneria Edile–Architettura dove insegna Materiali e Tecniche per il Recupero e coordina il laboratorio integrato di tesi di laurea dei corsi inerenti il recupero e la conservazione degli edifici. Il lavoro di ricerca interessa la cultura tecnologica e in particolare quella relativa alla costruzione metallica. È autrice di numerosi contributi sul recupero del costruito e la cultura della costruzione metallica pubblicati in volumi collettanei, riviste e atti di convegno a carattere nazionale e internazionale.

Matteo Abita Ricercatore di Architettura Tecnica, svolge attività didattica presso il Dipartimento DICEAA – L’Aquila nell’ambito del corso di Laurea magistrale in Ingegneria Edile–Architettura. Dal 2014 svolge attività di ricerca sulla cultura della costruzione metallica e sugli strumenti digitali utili alla sua valorizzazione, i cui esiti sono stati pubblicati in monografie, riviste e atti di convegno a carattere nazionale e internazionale.

Danilo Di Donato Associato di Architettura Tecnica e membro del collegio del Dottorato di Ricerca (ICEAA – L’Aquila), svolge attività didattica nell’ambito dei corsi di Laurea magistrale in Ingegneria Edile–Architettura e Ingegneria Civile. Il lavoro di ricerca riguarda diversi ambiti di studio relativi alla cultura della costruzione metallica e in particolare l’architettura per l’industria. È autore di monografie e articoli sulla cultura della costruzione metallica e sul recupero e sulla conservazione del costruito pubblicati in riviste e atti di convegno a carattere nazionale e internazionale.

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LE AZIENDE INFORMANO

Steel Project Engineering La Steel Project Engineering s.r.l. è una società di Ingegneria specializzata nella progettazione strutturale in ambito civile/industriale ed infrastrutturale con particolare attenzione ai ponti stradali e ferroviari: il principale ambito di attività riguarda la progettazione di edifici e ponti in carpenteria metallica ed a struttura mista acciaio-calcestruzzo. La società si occupa anche di progettazione di opere in calcestruzzo armato, come ad esempio le opere civili e di fondazione per edifici, ponti e viadotti: è quindi in grado di fornire un’assistenza completa nell’ambito della progettazione strutturale di grandi opere di varia natura. La Steel Project è strutturata per seguire il cliente durante l’intero iter progettuale, dallo Studio di Fattibilità al Progetto Esecutivo, gestendone l’ottimizzazione ed il montaggio. I Committenti per cui la società svolge la propria attività sono sia pubblici (Enti, Comuni, Province, Gestori di Infrastrutture stradali, autostradali e ferroviarie) che privati (Imprese generali di costruzione ed Imprese specializzare nella costruzione di carpenteria metalliche).

I campi di azione L’esperienza maturata sul campo nel settore della progettazione ci ha consentito di affrontare progetti di notevole complessità strutturale ed architettonica come ponti ad arco di grande luce realizzati ad Egna di scavalco al Fiume Adige ed all’Autostrada A22, i ponti di scavalco ferroviario della stazione di Thionville, i viadotti della SS117 Centrale Sicula ed altre opere infrastrutturali iconiche come il ponte ad arco sul Fiume Ombrone. Anche nel campo degli edifici civili ed industriali la Steel Project Engineering ha gestito progetti complessi ed articolati come l’Estensione del Terminal 1 dell’Aeroporto di Fiumicino, il nuovo studentato dell’Università Bicocca a Milano, le realizzazioni in ambito industriale come le Power House della diga Grand Ethiopian Reinassance e le Officine Navali dello Stabilimento Fincantieri di Marghera. La società svolge una intensa attività di valutazioni di sicurezza per ponti e viadotti per conto di vari Enti Gestori stradali e autostradali, oltre ad occuparsi della riabilitazione strutturale di strutture civili ed industriali esistenti sia in Italia che all’estero. Alla luce della crescente richiesta di ispezioni ed analisi sulle strutture esistenti, nel 2020 l’Ing. Giovanni Costa ottiene la certificazione di “Ispettore di Ponti – livello 2” e di “Tecnico addetto alle prove non distruttive (PND) nel campo dell’ingegneria civile e sui beni culturali e architettonici - livello: 2” Uno dei campi in cui i servizi della Steel Project sono maggiormente richiesti ed apprezzati è quello dell’ingegneria di montaggio e della progettazione di strutture speciali quali carrivaro, attrezzature di sollevamento e casseforme di prefabbricazione. La società si è occupata di svariati montaggi di elevata complessità come quelli della Copertura Mobile Padiglione 37 della Fiera di Bologna, la Copertura del parco Materie Prime di Taranto, oltre che di vari di ponti e viadotti di geometrie non standard come il Ponte ad arco sull’Adige ed il Ponte Ferroviario Bowstring OA14 sulla linea Luxembourg-Bettembourg. Tra le attrezzature speciali di cui si è occupate possiamo citare il carrovaro per la posa dei conci prefabbricati dei ponti di Tuen Mun a Hong Kong e la struttura di trasporto dei Magneti Toroidali più grande del mondo a servizio dell’impianto di fusione nucleare di Cadarache per il progetto ITER. La società si occupa anche di consulenza specialistica nell’ambito delle valutazioni di comfort dinamico, interazione aeroelastica e fluidodinamica, comportamento al fuoco delle strutture.

Il team Lo studio è stato fondato nel 2008 dall’Ing. Giovanni Costa, forte di una pluriennale esperienza come progettista strutturale presso importanti imprese di costruzioni e studi d’Ingegneria. Nel corso degli anni l’organico si è potenziato con l’ingresso in società dell’Ing. Leonardo Balocchi ed arricchito di competenze multidisciplinari, dando vita ad una squadra di lavoro composta da un mix equilibrato di esperti e di giovani eccellenze professionali.

I punti di forza La Steel Project Engineering è da sempre impegnata nello sviluppo di software e procedure di calcolo sia prodotti in proprio che in collaborazione con importanti software house per le quali si occupa altresì di validazione delle procedure di calcolo e di aggiornamento alle normative nazionali (in particolar modo in ambito francese). Specializzata nella progettazione strutturale in ambiente BIM, sia per le opere in ambito civile/industriale che per quelle infrastrutturali, la Società conta nel proprio organico tutte le figure chiave del processo BIM (BIM Specialist, BIM Coordinator e BIM Manager) certificate dai COSTRUZIONI METALLICHE | MAR_APR_2023 | 129

principali enti internazionali specializzati in materia; il gruppo di lavoro è in grado di gestire tutte varie fasi progettuali e coordinare al meglio le varie discipline coinvolte (strutture, impianti, architettura etc…) migliorando il flusso di lavoro e le interfacce fra le discipline progettuali e riducendo al contempo i tempi di progettazione ed i rischi di interferenze fra i diversi ambiti lavorativi. La società è dotata di un Sistema di Gestione Integrato Qualità-Ambiente-Sicurezza secondo le norme UNI-EN-ISO9001, ISO14001 e ISO45001. Inoltre è in corso di completamento l’iter per l’ottenimento della qualifica come fornitore per RFI.

Uno sguardo al futuro La Steel Project è alla costante ricerca di personale qualificato ed appassionato alla progettazione strutturale per incrementare ulteriormente il proprio organico: credendo molto nella formazione e nella divulgazione tecnica, collabora attivamente con le principali associazioni nel campo dell’acciaio (Collegio Tecnici dell’Acciaio e Fondazione Promozione Acciaio), con gli Ordini Professionali di varie provincie e con l’Università di Pisa per lo svolgimento di tesi di laurea, seminari formativi, webinar e convegni.

1 | Ponte sul fiume Adige ad Egna (Bolzano)

2 | Passerella ciclo-pedonale sul fiume Ombrone (Grosseto)

3 | Nuovo studentato dell’Università Milano Bicocca in viale Innovazione (Milano)

4 | Capannone nuove Officine Navali – Stabilimento Fincantieri (Marghera)

5 | Montaggio della copertura del Parco Materie Prime – Stabilimento Acciaierie d’Italia (Taranto)

Fig. 6 | Montaggio del Ponte Ferroviario OA14 sulla linea Luxembourg-Bettembourg (Lussemburgo)

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