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Italian Pages 128 [121] Year 2013
B RU N I A NA & C A MPA NELLI A NA Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali sup p l e m e n ti, xxxv · st udi, 1 6
C O PERNIC O E LA GRAVIT À La dottrina della gravità e del moto circolare degli elementi nel De revolutionibus DILWYN KNOX
PIS A · ROMA FABRIZ IO SERRA E D ITO RE MMXI I I
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A Francesca
SOMMARIO Premessa Traduzioni Ringraziamenti
11 13 13
i. ii. iii. iv. v. vi. vii.
15 29 45 59 63 73 87
Le dottrine scolastiche Elementi e struttura del cosmo copernicano La dottrina copernicana della gravità Sulle fonti scolastiche della dottrina di Copernico Copernico e Plutarco La dottrina teleologica di Copernico e le sue fonti La dottrina fisica di Copernico e le sue fonti
Conclusione
109
Abbreviazioni
111
Criteri di trascrizione
111
Indice dei nomi e delle opere anonime Indice dei soggetti
113 119
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PREMESSA
C
ome tempo, materia, luce e spazio sono stati oggetto di costante interesse da parte delle cosmologie occidentali dalla antichità greca sino ai giorni nostri, così è stato anche per la gravità. Questo libro illustra, per l’appunto, un breve ma importante episodio nella storia dell’interpretazione della gravità. Quando, nel De revolutionibus, pubblicato nel 1543, Copernico avanzò l’ipotesi che la Terra, girando intorno al Sole, ruotasse anche attorno al proprio asse, si trovò costretto ad abbandonare la teoria aristotelica della gravità, che aveva tenuto campo per più di mille anni. Aristotele ed i suoi seguaci avevano sostenuto che gli elementi sublunari, e cioè fuoco, aria, acqua e terra, occupavano quattro sfere concentriche al centro del cosmo. La gravità era, secondo loro, la tendenza innata delle parti di questi elementi a ritornare con moto rettilineo alle loro rispettive sfere ogni qual volta ne fossero state allontanate. Se, però, come sosteneva Copernico, la terra ruotava intorno al Sole, allora significava che gli elementi non ritornavano in posti fissi al centro del cosmo, ma che cercavano di tornare in qualche modo al loro intero – cioè al pianeta terra –, a prescindere dalla posizione di quest’ultimo. Proporre una tesi simile comportava mettere in discussione l’intero impianto della fisica aristotelica. Aristotele aveva dimostrato che il cosmo era circoscritto, che i cieli ed i corpi celesti che vi si muovevano non subivano alcun mutamento, a parte il moto, e infine che le comete erano fenomeni sublunari. Tutte queste tesi, e molte altre ancora, erano interdipendenti con la dottrina aristotelica della gravità. Né v’è dubbio che ‘copernicani’ come Giordano Bruno e Galileo Galilei si appropriarono dell’alternativa proposta da Copernico esattamente con quello spirito, con l’intenzione, cioè, di distruggere la filosofia naturale convenzionale tout court. Considerato cos’era sottinteso nella alternativa proposta da Copernico – e Copernico non poteva che esserne consapevole – è ragionevole aspettarsi ch’egli vi abbia riflettuto a lungo e seriamente. In realtà, però, la dottrina della gravità proposta da Copernico nel De revolutionibus è stata spesso criticata come messa insieme un po’ alla bell’e meglio e non proprio curata nei particolari ; prova questa, secondo alcuni, che Copernico, seppur buon matematico, fosse poi in realtà un filosofo naturale di non particolare originalità. Tale era in sostanza l’opinione di due dei più accreditati storici della rivoluzione copernicana, Thomas Kuhn e Herbert Butterfield, quantunque le loro idee differissero poi per altri aspetti. In un capitolo intitolato significativamente ‘Il conservatorismo di Copernico’, Butterfield sostenne che, « confrontando i due maggiori problemi del suo sistema, la dinamica del sistema stesso e la questione della gravità », Copernico fece ricorso all’idea che tutte le cose tendevano « a formarsi e a consolidarsi in sfere » e che i corpi celesti seguivano un moto circolare grazie a questa forma perfetta. Queste ed altre idee svelavano quanto Copernico fosse rimasto « impigliato (in un modo che era convenzionale nella scienza più antica) in concetti di valore, spiegazioni teleologiche e forme di quel che si può chiamare animismo ». 1 Kuhn, dal canto suo, fu ancor più 1
H. Butterfield, The Origins of Modern Science 1300-1800, 2a ed., Londra, Bell, 1957 (1a ed., Londra,
12 copernico e la gravità sprezzante, e definì priva di originalità la dottrina copernicana della gravità : « È una teoria particolarmente incongrua … ed eccezion fatta per le parti più incongrue, è una teoria che manca relativamente di originalità. Può darsi che Copernico l’abbia reinventata a modo suo, ma la maggior parte degli elementi essenziali sia della sua critica ad Aristotele che della sua teoria del moto si possono trovare in scrittori scolastici precedenti, in particolare in Oresme ». 1 L’opinione prevalente tuttoggi è che Copernico adattò, seppur in modo drastico, la dottrina aristotelica della gravità, leggerezza e moto naturale circolare, o versioni scolastiche della stessa. Queste ed altre considerazioni sulla dottrina di Copernico saranno oggetto di ulteriore discussione nel capitolo 4. 2 È facile criticare la dottrina copernicana giudicandola a posteriori. È anche molto semplice mostrare come essa mantenesse in vita alcuni aspetti di quelle stesse teorie aristoteliche che cercava di soppiantare, quanto facesse appello a spiegazioni teleologiche e dove mancasse di originalità. Pur ammettendo che fossero giustificati, giudizi di questo tipo non dovrebbero, comunque, indurci a pensare che la dottrina di Copernico non valga la pena di essere studiata – risultato che purtroppo invece ebbero le affermazioni di Butterfield, Kuhn ed altri. Sebbene costituisse, come scrisse Butterfield, uno dei « due maggiori problemi del suo sistema » e sebbene fosse apparsa all’interno di un libro di grande significato storico, la dottrina della gravità di Copernico non è mai stata oggetto di attenta ricerca. Non esistono articoli, né capitoli di libri o monografie dedicate esclusivamente all’argomento. 3 È ambizione di questo volume correggere tale anomalia. Esso non ha la pretesa di esaurire l’argomento in tutte le sue forme : avrà, però, assolto al suo compito se sarà riuscito a dimostrare che la dottrina di Copernico era ben più complessa di quanto si è sinora creduto. Innanzitutto dobbiamo riconoscere che Copernico stava cercando di risolvere un problema al quale nessuno prima di lui, per quanto si sappia, aveva tentato di dare risposta. Aristarco, Filolao e altri pensatori antichi avevano suggerito che la Terra si muoveva attorno al centro del cosmo ma non avevano spiegato perché le parti aderivano o ritornavano alla Terra mentre essa si muoveva, né avevano descritto la struttura degli elementi del pianeta Terra. Copernico, invece, rifletté sul problema con molta attenzione, direi con molta maggior attenzione di quanto si è fin qui pensato. Attinse da parecchie fonti antiche, medievali e rinascimentali, eppure la Bell, 1949), pp. 31-33 : « in facing the two biggest problems of his system, the dynamics of it and the question of gravitation », « to form and consolidate themselves into spheres », « entangled (in a way that was customary with the older type of science) with concepts of value, teleological explanations and forms of what we should call animism ». 1 T. S. Kuhn, The Copernican Revolution. Planetary Astronomy in the Development of Western Thought, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1957, p. 153 : « It is a singularly incongruous theory […] and, in all but its most incongruous portions, it is a relatively unoriginal one. Copernicus may possibly have reinvented it for himself, but most of the essential elements in both his criticism of Aristotle and his theory of motion can be found in earlier scholastic writers, particularly Oresme ». 2 Si veda infra, pp. 59-62. 3 Una parziale eccezione è F. Krafft, Copernicus retroversus II. Gravitation und Kohäsionstheorie, in Colloquia copernicana, iv. L’audience de la théorie héliocentrique Copernic et le développement des sciences exactes et sciences humaines (atti del convegno, Toruń, 1973), «Studia copernicana», xiv, Breslavia, Ossolineum, 1975, pp. 65-78. Ma Krafft prese in considerazione solo la definizione teleologica di Copernico, tralasciando quella fisica; si veda capitolo 5, infra pp. 63-64.
premessa 13 sua trattazione non può essere definita né platonica, né aristotelica, né scolastica od altro, né può esser spiegata riconducendone aspetti a questa o quella fonte. Le idee che Copernico prese in prestito le trasformò e le compose in una dottrina, la quale, per quanto imperfetta possa apparire ai nostri giorni, era comunque originale e, nell’insieme, coerente. La sua validità fu riconosciuta da pensatori del tardo Cinquecento e Seicento che erano d’accordo con la teoria eliocentrica, e vengono qui di nuovo alla mente i nomi di Bruno e di Galileo. Ma la sfida che tale dottrina poneva, venne anche riconosciuta da coloro che non erano d’accordo con quella ipotesi. L’identificazione delle fonti che aiutarono Copernico a formulare la sua dottrina della gravità, diventa, quindi, ben più di un esercizio di Quellenforschung. Essa ci permette di capire come egli rielaborò con costanza e fatica le idee tratte da molte tradizioni diverse mentre cercava di fornire, allo stesso tempo, una alternativa al sapere tramandato sino ad allora. L’identificazione delle fonti ci aiuta anche ad evitare di impiegare semplici dicotomie nel paragonare la dottrina di Copernico con altre dottrine. Diversamente dai suoi predecessori rinascimentali o dai suoi contemporanei – anche i più avventurosi – Copernico, in qualità di filosofo naturale, non può essere identificato con una o più correnti di pensiero. Il risultato dei suoi sforzi fu una dottrina assai dissimile da qualsiasi altra interpretazione precedente, aristotelica o no, ed anche attentamente costruita in alternativa alle interpretazioni tradizionali degli elementi. È vero che Copernico fece solo degli accenni a molti dei dettagli della sua cosmologia e che di altri non diede una spiegazione vera e propria, e questo probabilmente perché non riteneva che fosse saggio azzardare idee nuove che sarebbero servite solo a rendere ancor più complicata la ricezione della sua tesi eliocentrica. Nel caso della gravità, però, non aveva scelta. Senza una chiara asserzione che il suo modello matematico poteva essere convalidato da leggi fisiche, la sua ipotesi, agli occhi dei contemporanei, sarebbe rimasta solo ‘strumentale’. Le pagine che seguono ripropongono in parte il contenuto di un articolo pubblicato originariamente in lingua inglese nel Journal of the Warburg and Courtauld Institutes (vol. lxviii, 2005). Si è aggiunto ulteriore materiale, specialmente nei capitoli 2 e 6, nei quali vengono sviluppati nuovi argomenti. In particolare si è tenuto conto di due recenti pubblicazioni dedicate alla discussione della dottrina di Copernico : Niccolò Copernico e la fondazione del cosmo eliocentrico di Anna De Pace (Bruno Mondadori, Milano, 2009), dove si contesta la mia spiegazione della dottrina di Copernico, e Copernicus and the Aristotelian Tradition (Brill, Leida, 2010) di André Goddu, dove, invece, la mia spiegazione trova consenso. Nel suo libro Anna De Pace ripete, con qualche correzione, gli argomenti originariamente addotti nel suo articolo Plutarco e la rivoluzione copernicana (1998) e prende le distanze dalla interpretazione che proposi nel mio articolo del 2005 e che rimane alla base anche del presente volume. Traduzioni Tutte le traduzioni sono a cura dell’autore. Ringraziamenti Questo saggio monografico è una versione ampliata di un articolo intitolato Copernicus’s Doctrine of Gravity and the Natural Circular Motion of the Elements, apparso nel
14 copernico e la gravità « Journal of the Warburg and Courtauld Institutes », lxviii (2005). Sono grato a Stefano Caroti, André Goddu, Nicholas Jardine e Michel Lerner per i loro commenti e suggerimenti sulle versioni preliminari dell’articolo e per avermi fornito ulteriori indicazioni bibliografiche. Vorrei altresì ringraziare Stefano Bellin, Francesca Bugliani, Francesco Montarese, Clara Paschini, Tiziana Provvidera, Oscar Schiavone e Dario Tessicini per il contributo che hanno dato alla preparazione di questo testo in lingua italiana. La Faculty of Arts and Humanities, ucl, ha generosamente sovvenzionato la riproduzione fotostatica di varie pagine di volumi conservati nella collezione Copernicana della Biblioteca Universitaria di Uppsala ; e la Graduate School, ucl, ha sostenuto le mie spese di viaggio e di soggiorno a Uppsala durante il periodo della ricerca.
i. LE DOTTRINE SCOLASTICHE
I
l De revolutionibus di Copernico tratta soprattutto di astronomia matematica. I capitoli iniziali, però, riassumono diverse considerazioni tradizionali di tipo non matematico a favore di un cosmo geocentrico e geostatico per poi proporre delle contro-considerazioni a difesa di un modello alternativo di tipo eliocentrico e geocinetico. Un notevole ostacolo che Copernico si trovò a dover superare in questo campo fu la dottrina aristotelica e scolastica del luogo naturale e del moto degli elementi. I quattro ‘corpi semplici’ sublunari, o elementi – fuoco, aria, acqua e terra – possedevano dei luoghi a loro propri. Definiti ‘luoghi naturali’ dagli autori scolastici, questi luoghi coincidevano, tralasciando le molte differenziazioni introdotte dagli autori classici, medievali e rinascimentali, con le quattro sfere concentriche in cui erano disposti gli elementi nella regione sublunare (Fig. 1). All’interno di queste loro sfere, i corpi semplici rimanevano statici. Quando, invece, se ne trovavano al di fuori, i corpi semplici tendevano a ritornare alle loro sfere seguendo il tragitto più breve, ossia per via rettilinea. Una zolla di terra sollevata in aria andava alla ricerca, per esempio, della sfera terrestre al centro del cosmo : era questa sua propensione a renderla pesante. Pezzi staccati degli altri tre elementi si comportavano allo stesso modo ; l’aria diventava leggera se tenuta sotto l’acqua, e l’acqua diventava relativamente pesante se sollevata in aria. 1 Questa spiegazione eliminava la possibilità che gravità e leggerezza dipendessero dal principio di attrazione. Non era il principio di attrazione tra simili a far sì che parti separate di terra o di fuoco cercassero di tornare ai loro luoghi naturali. Infatti nell’ipotesi, pur impossibile, che il globo terrestre avesse preso il posto della luna, le parti che si fossero eventualmente separate da esso avrebbero cercato di tornare al luogo naturale dell’elemento terra, ossia al centro del cosmo, e non al globo sposta1
Il presente capitolo si concentra brevemente sulle idee aristoteliche che appaiono piú avanti nel libro. Per quanto riguarda la teoria di Aristotele, si vedano, per es., P. K. Machamer, Aristotle on Natural Place and Natural Motion, « Isis », lxix, 1978, pp. 377-387 ; H. S. Lang, Aristotle’s Physics and its Medieval Varieties, Albany (ny), State University of New York Press, 1992, pp. 63-84, 98-106 ; A. Falcon, Corpi e movimenti. Il De caelo di Aristotele e la sua fortuna nel mondo antico, Napoli, Bibliopolis, 2001, pp. 79-80, 84-118 ; B. Morison, On Location. Aristotle’s Concept of Place, Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 1-2, 25-53, 163-164, con bibliografia alle pp. 177-178 ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology. A Study of Ennead II.1 (40). Text, Translation, and Commentary, Oxford, Oxford University Press, 2006, pp. 25-28. Per interpretazioni scolastiche, si vedano, ad es., P. M. Duhem, Le Système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic, 10 voll., Parigi, Hermann, 1913-1959, ix, pp. 177-185 ; A. Maier, An der Grenze von Scholastik und Naturwissenschaft. Studien zur Naturphilosophie des 14. Jahrhunderts, 2a ed., Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1952, pp. 143-182 ; Eadem, Die Vorläufer Galileis im 14. Jahrhundert. Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1949, pp. 53-72 ; W. A. Wallace, Causes and Forces in Sixteenth-Century Physics, « Isis », lxix, 1978, pp. 400-412 : 402-406 ; H. S. Lang, Aristotle’s Physics and its Medieval Varieties, cit., pp. 133-154 ; J. Sarnowsky, Die Aristotelisch-scholastische Theorie der Bewegung. Studien zum Kommentar Alberts von Sachsen zur Physik des Aristoteles, Münster, Aschendorff, 1989, pp. 186-196. Sull’uso del termine ‘luogo naturale’, si veda B. Morison, On Location, cit., pp. 25, 34.
16
copernico e la gravità
Fig. 1. Gregor Reisch, Margarita philosophica nova, Strasburgo, Johann Grüninger, 1508, segn. ee2r (Liber vii, tractatus i, cap. 3). Le sfere della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco sono circondate da quelle sopralunari dei sette pianeti. Le quattro sfere esterne sono il firmamento (ossia la sfera delle stelle fisse), il cristallino, il primum mobile e l’empireo. Immagine riprodotta col permesso della ucl Library, Special Collections.
to dal suo luogo naturale. 1 Ma neppure il luogo naturale in sé, secondo la maggior parte degli autori scolastici, esercitava una qualche attrazione. 2 Esso non era una 1 Aristotele, De caelo, iv.3, 310b3-5 ; Alberto di Sassonia [ ?], Quaestiones In Aristotelis Physicam, iv.5, in Idem [ ?], Expositio et Quaestiones in Aristotelis Physicam ad Albertum de Saxonia attributae, a cura di B. Patar, 3 voll., Louvain-la-Neuve, Éditions de l’Institut supérieure de philosophie, 1999, iii, pp. 643.94-644.105. 2 Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, iv.1.7, tol, ii, p. 147 : « Ex quo patet quod locus habet quandam virtutem conservandi locatum : et propter hoc locatum tendit in suum locum desiderio suae conservationis. Non autem ex hoc ostenditur quod locus habeat virtutem attractivam, nisi sicut finis dicit attrahere » ; Ruggero Bacone, Questiones supra libros octo Physicorum Aristotelis,
i. le dottrine scolastiche 17 causa efficiente che attraeva a sé i corpi elementari spostati dal loro luogo naturale. 1 Al fine di sottolineare questo punto, i commentatori di Aristotele mettevano a confronto gravità e leggerezza col magnetismo. 2 Un oggetto di ferro si muoveva verso una calamita perché quest’ultima gli trasmetteva la proprietà del movimento, proprietà che – l’esperienza lo dimostrava – non era intrinseca all’oggetto. Le calamite, infatti, non potevano attrarre oggetti di ferro da lontano. Una zolla di terra, invece, a prescindere dalla distanza, si muoveva verso il centro del cosmo. In più, secondo una comune credenza, le calamite si smagnetizzavano, ovvero perdevano il potere di trasmettere la proprietà del moto se strofinate con dell’aglio, ma la propensione della terra a muoversi verso il proprio luogo naturale, invece, non diminuiva né s’estingueva. 3 I commentatori avevano a loro disposizione altre considerazioni. Buridano, e altri dopo di lui, avevano osservato che un oggetto di ferro iniziava a muoversi più velocemente verso una calamita a esso vicina di quanto non facesse uno stesso oggetto posto più lontano dalla medesima calamita. Un oggetto a cura di F. M. Delorme, in Idem, Opera hactenus inedita, a cura di R. Steele, F. M. Delorme, 16 voll., Oxford, Clarendon Press, 1905-1940, xiii, pp. 408-410 ; Jean Buridan, Quaestiones in Aristotelis De caelo, i.18, ii.12, in Idem, Expositio et Quaestiones in Aristotelis De caelo, a cura di B. Patar, Louvain-la-Neuve, Éditions de l’Institut supérieure de philosophie, 1996, i.18, ii.12, pp. 327.101-328.118, 442.148-443.156 ; Idem, Questiones super octo Phisicorum libros Aristotelis, Parigi, Pierre Le Dru, 1509, viii.5, c. 114ra-rb ; Alberto di Sassonia, Quaestiones in Aristotelis De caelo, a cura di B. Patar, 3 voll., Louvain-la-Neuve, Éditions de l’Institut supérieure de philosophie, 2008, ii.14, pp. 337.11-338.41 ; e Benedictus Hesse de Cracovia, Quaestiones super octo libros Physicorum Aristotelis, a cura di S. Wielgus, Breslavia, Zakł. Nar. im. Ossolińskich, 1984, viii.15, p. 727, dove Benedictus cita Buridano. Autori scolastici hanno attribuito un potere di attrazione al luogo naturale solo di rado ; si vedano A. Maier, An der Grenze, cit., pp. 174-182 ; J. A. Weisheipl, Space and Gravitation, « The New Scholasticism », xxix, 1955, pp. 175-223 : 194-196. 1 Tra le eccezioni vi sono, per es., Nicola d’ Oresme, Ruggero Bacone e Roberto Grossatesta trattati da A. Maier, An der Grenze, cit., pp. 169 nota 58, 180, 182 nota 77, e J. A. Weisheipl, Space and Gravitation, cit., p. 195 ; Johannes Versor, Questiones super De celo et mundo, De generatione et corruptione, Metheororum, Parva naturalia, 4 parti, Colonia, Quentell, 1488, i, c. 17ra (De celo, ii.8) ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, in Johannes de Sacrobosco, De sphera mundi, Parigi, Guy Marchant, per Jean Petit, 1498 (con il Commentarius di Ciruelo e le Questiones di Pierre d’Ailly), segn. e6r : « Notandum quod propria loca elementorum se habent ut cause efficientes vel finales motus eorum. Unumquodque enim elementorum in proprium locum sue nature conservativum naturaliter inclinatur et ad illum movetur », senza una spiegazione di come il luogo naturale costituisca una causa efficiente. » 2 A volte gli autori scolastici hanno paragonato la gravità al magnetismo ; si vedano Bacone e Baconthorpe trattati da A. Maier, An der Grenze, cit., pp. 181-182 ; e, con cautela, Francesco Capuano, Expositio, in Johannes de Sacrobosco, Sphera mundi cum tribus Commentis nuper editis, con commento di Cecco d’Ascoli, Francesco Capuano e Jacques Lefèvre d’Étaples, pubblicato congiuntamente a Georg Peurbach, Theoricae novae planetarum, con commento di Francesco Capuano, Venezia, Simone Bevilacqua, 1499, segn. f4v ; Johannes Versor, Questiones super De celo et mundo, cit., c. 17ra (De celo, ii.8). Più avanti tuttavia – come mi ha gentilmente fatto notare André Goddu – Johannes Versor (ivi, De celo, iv.4, c. 27ra), nega che la posizione naturale costituisca una causa efficiente e attragga a sé un corpo così come fa un magnete. 3 Averroè, In libros Physicorum, vii.10, viii.35, in Aristotele e Averroè, Opera … omnia, 11 voll., Venezia, Heredi di Lucantonio Giunta, 1562, iv, cc. 315d-f, 374h-i ; Alberto di Sassonia, Questiones … in libros De celo et mundo, cit., ii.14, segn. F3va ; Urbanus de Bononia, Opus … commentorum omnium Averoys … super libros Physicorum Aristotelis expositorium, Venezia, Bernardino Stagnino, 1492, vii.6, 10, viii.35, cc. 19[6]rb, 198vb-200rb, 244va-vb ; Tommaso de Vio, Recollecte super octo libros Physicorum Aristotelis, Vicenza, Henricus de Sancto Ursio, 1487, segn. o1vb. Per ciò che riguarda la teoria che l’aglio renda più debole il magnete, si vedano re, xxvii, 1928, ad v. ‘Magnet’, col. 481 ; D. Lehoux, Tropes, Facts, and Empiricism, « Perspectives on Science », xi, 2003, pp. 326-345.
18 copernico e la gravità pesante, invece, iniziava a muoversi con identica velocità indipendentemente dalla sua maggiore o minore distanza dalla sfera della terra. 1 Un elemento ritornava al suo luogo naturale per mezzo di un principio di moto intrinseco ma inanimato. Al di fuori del suo luogo naturale, un elemento era solo in potenza quello che sarebbe stato una volta ritornatovi. Per natura esso tendeva a passare dalla potenza all’atto. 2 Secondo Aristotele, questo era l’unico senso in cui il detto degli antichi « ogni simile si muove verso il suo simile » poteva essere applicato alla gravità e alla leggerezza. 3 Un corpo semplice in potenza assomigliava allo stesso corpo semplice in atto. 4 In questo il moto degli elementi verso le loro sfere era simile a ogni altro tipo di cambiamento. Un elemento cercava di tornare al proprio luogo naturale così come tutto ciò che era potenzialmente curabile tendeva a voler ritornare in salute. L’elemento non poteva seguire un altro modello di cambiamento. Per esempio, non poteva passare dal trovarsi al di fuori del proprio luogo naturale all’essere in uno stato di salute. 5 Nel suo luogo naturale un elemento era reso perfetto. 6 Perciò Averroè e molti scolastici suggerivano che il luogo naturale fosse la causa finale del moto naturale degli elementi. 7 1 Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., ii.12, iv.2, pp. 439.54-441.111, 531.59-70 ; Idem, Questiones super octo Phisicorum libros, cit., viii.5, c. 114ra-rb. Vedasi anche Alberto di Sassonia, Questiones … in libros De celo et mundo, cit., iii.7, segn. h4va-vb ; Alberto di Sassonia [ ?], Quaestiones in Aristotelis Physicam, cit., iii, viii.6, p. 1034.104-117 ; Alessandro Achillini, De elementis, Bologna, Giovanni Antonio Benedetti, 1505, iii.2, c. 64vb. 2 Aristotele, Fisica, iii.1, 201a3-19 ; viii.4, 255a24-b31 ; Idem, De caelo, iv.3, 310a33-b1, 311a3-8 ; Averroè, In libros Physicorum, cit., viii.32, cc. 370a-71f ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., viii.8.1-7, pp. 3 391-393. Aristotele, De caelo, iv.3, 310b1-11. 4 Così Petrus de Alvernia, nella sua continuazione del commento di Tommaso d’Aquino al De caelo et mundo (Tommaso d’Aquino, Opera omnia, 25 voll., Parma, 1852-1872, xix, iv.2, p. 192), presenta l’interpretatazione di Aristotele del detto in De caelo, iv.3, 310b1-11. 5 Sul riacquisto della salute e la caduta in malattia (e viceversa) e sul movimento degli elementi verso e da una posizione, considerati insieme come tipi di ‘moto’ (kivnhsi~), si vedano, ad es., Aristotele, Fisica, v.5-6, 229a7-31a17 ; Idem, De caelo, i.8, 277a12-20 ; iv.3, 310b16-19, 24-31, 311a8-9 ; Averroè, [In De caelo], iv.24-25, in Aristotele e Averroè, Opera, cit., v, cc. 251h-2[54]b ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., v.8-10, pp. 256-261, 263-266 ; Idem, In De caelo et mundo, i.17, tol, iii, p. 69 ; Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., iv.2, p. 530.28-37. Riacquistare salute e cadere in malattia erano esempi comuni di cambiamento per Aristotele ; si vedano, per es., Aristotele, Fisica, v.2, 225b21-31 ; v.5, 229a6-b10 ; v.6, 230a1-7 ecc. ; Idem, Metafisica, K.12, 1068a20-33 ; Idem, De generatione et corruptione, i.7, 324a15-b4. 6 Averroè, In libros Physicorum, cit., vii.10, c. 315d. 7 Idem, [In De caelo], cit., iv.22, 25, cc. 248d-f, 2[54]d ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit. ; Ruggero Bacone, Questiones, cit. ; Alberto di Sassonia, Questiones … in libros De celo et mundo, cit., iii.7, segn. H4vb ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., p. 17 nota 4 ; A. Maier, An der Grenze, cit., pp. 175-176, 180, 182 nota 77 ; e J. A. Weisheipl, Aristotle on Natural Place : A Rejoinder, « The New Scholasticism », xxx, 1956, pp. 211-215 : 213. Si può sostenere che Aristotele considerava il luogo naturale una causa finale ? In Aristotele, Fisica, iv.1, 209a18-22, egli sembra negare che il luogo naturale sia una delle quattro cause. Perciò R. R. Barr, Aristotle on Natural Place : Some Questions, « The New Scholasticism », xxx, 1956, pp. 206-210 : 206-208, per es., e P. K. Machamer, Aristotle on Natural Place and Natural Motion, cit., pp. 377-378, 380, 382, citando Aristotele, loc. cit., negano che un luogo possa essere una causa finale, ovvero formale o efficiente, del moto naturale degli elementi. (È infondata l’affermazione di P. K. Machamer, cit., p. 377, nota 1, secondo la quale W. D. Ross, Aristotle, 6a ed., con introduzione di J. L. Ackrill, Londra, Routledge, 1995, p. 77, avrebbe identificato il luogo naturale con la causa finale ed efficiente). Altri studiosi sottolineano che Aristotele, loc. cit., è un’aporia ; altrove, i commenti di Aristotele dimostrano, quantunque non esplicitamente, che egli considerava il ‘luogo naturale’ come causa finale ; si vedano J. A. Weisheipl, Aristotle on Natural Place, cit., pp. 211-213 e R. Sorabji, Matter, Space and Motion, Londra,
i. le dottrine scolastiche
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Il moto circolare delle sfere del fuoco e dell’aria La dottrina di Aristotele poneva numerosi problemi agli interpreti. Una questione spesso dibattuta erano le sue considerazioni sul moto circolare delle sfere del fuoco e dell’aria contenute nei Meteorologica. 1 Nel De caelo, Aristotele aveva negato che i quattro elementi sublunari avessero un moto circolare per natura. 2 Nel caso del fuoco il moto circolare era innaturale tanto quanto il moto rettilineo discendente. 3 A giudizio di Aristotele, il moto circolare era invece tipico del quinto corpo semplice – ovvero del ‘primo corpo’, volendo seguire la terminologia aristotelica – e cioé della quintessenza, o etere, di cui era composta solo la regione sopralunare e tutto ciò ch’essa conteneva. 4 Questo moto circolare era semplice, ossia non composto. L’unico altro moto semplice, il moto rettilineo verso l’alto o verso il basso, era quello degli elementi sublunari. 5 Ma nei Meteorologica – facevano notare i commentatori – Aristotele sosteneva che la regione celeste impartiva incessantemente il suo moto circolare alla sfera del fuoco e alla parte superiore della regione dell’aria. 6 Quest’ultima – secondo la maggior parte degli scolastici – era lo strato di aria interposto tra la sfera del fuoco e i diversi strati di aria situati a un livello più basso delle cime delle montagne. 7 (Fig. 2) Duckworth, 1988, pp. 186-187. NeI più recente studio dettagliato, B. Morison, On Location, cit., pp. 51-53, sostiene che non è chiaro se Aristotele pensasse che il ‘luogo naturale’ o ‘l’essere in un luogo naturale’ fosse la causa finale e che il luogo naturale era implicito nella sua causa formale ma non equivalente a essa. Autori scolastici, per es., Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., iv.2.5, p. 150, commentando Aristotele, loc. cit., davano un’interpretazione secondo la quale il luogo naturale non era una delle quattro cause del moto naturale degli elementi. 1 I commentatori notarono quest’inconsistenza fra il De caelo e la Meteorologia ; si vedano, per es., Tommaso d’Aquino, In De caelo et de mundo, cit., i.4.7, p. 16 ; Jean Buridan, Expositio, cit., i.1.2, p. 13.22-23, secondo il manoscritto O ; Idem, Quaestiones in De caelo, cit., i.6, p. 255.14-21 ; Giovanni di Legnano, Tractatus de cometa, in L. Thorndike, Latin Treatises on Comets Between 1238 and 1368 A.D., Chicago, University of Chicago Press, 1950, pp. 236-259 : 238. 2 3 Aristotele, De caelo, i.2, 269a2-18, 269a30-b13. Ivi, i.2, 269b11-13. 4 Per quanto riguarda il ‘primo corpo’ di Aristotele inteso come ‘la quinta essenza’ o ‘il quinto corpo’ nell’antichità (e più tardi), si vedano A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., p. 15 nota 2, e gli studi ivi citati ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., pp. 26-27. 5 Aristotele, De caelo, i.2-3, 268b13-270a13, 270b28-31 ; iii.3, 302b5-8. 6 Aristotele, Meteorologica, i.3, 340b10-14, 340b32-341a5 ; i.7, 344a11-13 ; ii.4, 361a23-25 ; Alessandro di Afrodisia, In Meteorologicorum libros, a cura di M. Hayduck, cag, i, parte 2, pp. 15.30-16.16 ; Simplicio di cilicia, In De caelo, a cura di J. L. Heiberg, cag, vii, i.2, p. 20.23-25 ; Tommaso d’Aquino, In libros Meteorologicorum, cit., i.5.2, 8, pp. 339-340 ; Pierre d’Ailly, Tractatus super libros Metheororum, Strasburgo, Jean Pruss, 1504, c. 2r ; Petrus Tartaretus, Totius philosophie [naturalis] necnon metaphisice Aristotelis expositio, Lione, Nicolaus Wolf, 1500, c. 97va ; Tommaso de Vio, Commentaria, i.1.4-5, in Aristotele, Meteorologica, traduzione di Guillelmus de Moerbeke, Henricus Aristippus, pubblicato congiuntamente ai Commentaria di Tommaso de Vio sullo stesso testo e altri testi di Aristotele, Venezia, Johannes e Gregorius de Gregoriis de Forlivio, 1491, segn. a4va, a5va, a6ra ; le fonti citate nella nota 14 ; O. Gilbert, Die meteorologischen Theorien des griechischen Altertums, Lipsia, Teubner, 1907, pp. 479-480, 482 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs. The Medieval Cosmos, 1200-1687, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, pp. 353-355, 591-592 ; P. Lettinck, Aristotle’s Meteorology and Its Reception in the Arab World, with an Edition and Translation of Ibn Suwār’s Treatise on Meteorological Phenomena and Ibn Bājja’s Commentary on the Meteorology, Leida, Brill, 1999, pp. 38-39, 53, 58, 63 ; A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 105-106, 110-111 ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., p. 26 nota 169. 7 L’interpretazione scolastica più comune della dottrina di Aristotele sosteneva che vi fossero tre
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copernico e la gravità
Fig. 2. Gregor Reisch, Margarita philosophica nova, Strasburgo, Johann Grüninger, 1508, sig. gg2r (Liber vii, tractatus iii, cap. 41). Gli autori scolastici erano soliti suddividere la sfera dell’aria in tre: una sfera che circondava da molto vicino le sfere della terra e dell’acqua; sopra di essa una sfera che raggiungeva il livello della cima delle montagne, regione, questa, in cui, come mostra l’incisione su legno, si formavano le nubi; ed una sfera al di sopra della cima delle montagne che arrivava alla sfera del fuoco, qui definita «suprema regio aeris». Si pensava comunemente che la sfera di mezzo fosse il luogo dove abitavano gli spiriti impuri o demoni; due di questi spiriti appaiono nell’incisione. Nella stessa pagina Reisch, a conferma di tale convinzione, cita Agostino, De civitate dei, viii.22, pl, xli, col. 246, e De agone christiano, 3, pl xl, col. 293. In quest’ultimo brano Agostino chiarisce che gli spiriti impuri abitano la regione dell’aria dove si formano venti, nubi e temporali. Immagine riprodotta col permesso della ucl Library, Special Collections.
i. le dottrine scolastiche 21 Aristotele aveva proposto quest’idea per dare spazio a diverse osservazioni, due delle quali interessano la nostra discussione relativa alla dottrina della gravità nel De revolutionibus. In primo luogo, le nuvole non si formavano negli strati superiori dell’aria, perché il moto circolare generava calore impedendo la condensazione del vapore caldo e umido che si elevava dal suolo. 1 In secondo luogo, il moto circolare del fuoco e della parte superiore della regione dell’aria dava origine alle comete, alle stelle cadenti e ad altri fenomeni di tipo meteorico (o considerati tali). 2 Gli effetti del moto celeste avevano un ulteriore effetto che Aristotele non aveva tenuto presente. Gli scolastici, infatti, sostenevano che anche la sfera dell’acqua fosse soggetta, quantunque in modo alquanto imperfetto, all’influsso del moto circolare celeste attraverso il moto delle sfere del fuoco e dell’aria. Lo provava il fenomeno del flusso e riflusso delle maree. Solo il globo terrestre era completamente esente dal moto circolare perpetuo.3 Questa variante della dottrina aristotelica derivava con ogni probabilità dalla traduzione latina di Michele Scoto del trattato sui moti celesti di Alpetragio (al-Bitrûjî). 4 Era un’immagine assai ben accurata in quanto prediversi strati dell’aria : 1) uno strato caldo e secco sottostante la sfera del fuoco e soprastante le cime delle montagne ; 2) uno strato fresco, umido al centro, dove si formavano le nuvole ; e 3) uno strato caldo e umido contiguo al globo dell’acqua e della terra. Si vedano, per es., Alberto Magno, Meteora, a cura di P. Hossfeld, in Idem, Opera omnia, Münster, Aschendorff, 1951-, vi, parte 1, i.1.8, pp. 11-12 ; Pierre d’Ailly, Tractatus super libros Metheororum, cit., c. 2r ; Petrus Tartaretus, Totius philosophie [naturalis] necnon metaphisice Aristotelis expositio, cit., c. 97vb ; Tommaso de Vio, Commentaria, cit., i.1.4-5, i.2.4, segn. a4va, a5va-a6ra, b2vb. Sulla problematica stratificazione della sfera dell’aria, si vedano O. Gilbert, Die meteorologischen Theorien des griechischen Altertums, cit., pp. 477-480, 484-485 (che distingue quattro strati) ; P. P. Lettinck, Aristotle’s Meteorology and Its Reception in the Arab World, cit., pp. 32-65, in particolare pp. 38-39. Aristotele e i commentatori, indipendentemente da come consideravano che fosse stratificata la sfera dell’aria, si trovavano d’accordo nel sostenere che l’aria contenuta tra la sfera del fuoco e il livello delle cime delle montagne avesse un moto rotatorio ; le fonti sono quelle citate alla nota 19. 1 Aristotele, Meteorologica, i.3, 340b32-341a11 ; Tommaso d’Aquino, In libros Meteorologicorum, cit., i.5.13, p. 339 ; Petrus Tartaretus, Totius philosophie [naturalis] necnon metaphisice Aristotelis expositio, cit., c. 97va ; Tommaso de Vio, Commentaria, cit., i.1.5, segn. a5vb. 2 Si vedano, per es., Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 20.25-29 ; al-Biţrūjī (Alpetragius), De motibus celorum, a cura di F. J. Carmody, traduzione latina di Michele Scoto, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1952, iv.2, pp. 80-82 ; Alberto Magno, De caelo et mundo, ii.3.1-2, a cura di P. Hossfeld, in Idem, Opera omnia, cit., v, parte 1, pp. 143.82-97, 144.39-145.29 ; Ruggero Bacone, Communia naturalium, ii.5.7, in Idem, Opera hactenus inedita, cit., iv, p. 425, che riassume al-Biţrūjī, loc. cit. ; Robertus Anglicus, commento sul De sphaera mundi di Johannes de Sacrobosco, in L. Thorndike, The Sphere of Sacrobosco and its Commentators, Chicago, Chigago University Press, 1949, p. 150, che cita [ ?] al-Biţrūjī, loc. cit. ; Tommaso de Vio, Commentaria, cit., i.1.4, segn. a5rb, che cita Alberto [Magno ?], ma senza dare indicazione del luogo. Per quanto riguarda la dottrina di Aristotele sulle comete e altri fenomeni atmosferici ignei, si vedano re, xxi, 1921, coll. 1164-1167 ; O. Gilbert, Die meteorologischen Theorien des griechischen Altertums, cit., pp. 482, 646-649 ; L. Thorndike, Latin Treatises on Comets between 1238 and 1368, cit. ; J. L. Jervis, Cometary Theory in Fifteenth-Century Europe, Breslavia, Ossolineum, 1985, pp. 11-13, 22-33 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 353-355 ; P. Lettinck, Aristotle’s Meteorology and Its Reception in the Arab World, cit., pp. 66-96. 3 Alberto Magno, De caelo et mundo, cit., ii.3.14, p. 175.17-35 ; Tommaso d’Aquino, In De caelo et de mundo, cit., i.4.7, p. 16 ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. b7r, e6r-e7v ; Ruggero Bacone, Communia naturalium, cit., pp. 425-426, che riassume al-Biţrūjī, loc. cit. ; Michele Scoto [ ?], commento sul De sphaera mundi di Johannes de Sacrobosco, in L. Thorndike, The Sphere of Sacrobosco, cit., pp. 276-277 ; Tommaso de Vio, Commentaria, cit., i.3.1, segn. b7ra ; Francesco Capuano, Expositio (1499), cit., segn. e4v. 4 al-Biţrūjī (Alpetragius), De motibus celorum, cit., iv.1-8, viii.7-8, pp. 80-82, 93. Carmody (ivi, pp. 46-47) non riusciva a trovare una fonte per la dottrina di Al-Biţrūjī.
22 copernico e la gravità sentava un ordinamento per gradi che andava da un estremo all’altro, ovvero dalla perfezione del moto celeste all’assenza totale di moto circolare. Questa visione, che rispondeva all’osservazione empirica – meteore, comete, la localizzazione delle nuvole, le maree e l’evidente immobilità della terra – ben si accordava con la tendenza del monoteismo pagano, islamico e cristiano volta a rimodellare la filosofia di Aristotele, sia quella naturale che quella etica e metafisica, in una gerarchia graduata più equamente di quanto non l’avesse concepita lo stesso Aristotele. Per quanto questa soluzione fosse convincente per le ragioni esposte, la teoria che i cieli impartissero continuamente il moto circolare alla regione sublunare costituiva un problema. Essa contraddiceva l’assioma aristotelico secondo cui niente di ‘violento’, ossia di contrario alla propria natura, potesse essere eterno. 1 V’era un punto in cui ogni ente realizzava la propria potenza : Dio e Natura non facevano nulla che non avesse un fine. 2 Se il fuoco o lo strato superiore dell’aria giravano perpetuamente nelle loro sfere naturali, il loro moto circolare non poteva essere violento. Voleva questo forse dire che il fuoco e l’aria avevano due moti naturali, uno rettilineo verso i loro luoghi naturali e uno circolare all’interno della loro sfera ? 3 Una risposta positiva a questa domanda sarebbe entrata in contraddizione con un altro assioma aristotelico citato precedentemente : gli elementi, in quanto corpi semplici, ossia corpi inanimati con principio intrinseco di moto, avevano tutti un solo e unico moto semplice. 4 Gli autori scolastici avevano proposto varie soluzioni al problema, sfruttando spesso il significato equivoco di ‘natura’. Seguendo la definizione di Aristotele, la natura di una cosa era il suo principio intrinseco di moto o di quiete. 5 L’unico principio di moto in un elemento sublunare era il suo principio di moto rettilineo verso il luogo naturale. Ma gli elementi sublunari appartenevano al gran disegno della natura, e dunque – così almeno argomentavano gli scolastici – assumevano moti consoni alla loro funzione in quanto parti subordinate di un insieme più grande. Un commentatore osservò che il moto circolare del fuoco e dell’aria nelle loro rispettive 1 Aristotele, De caelo, i.2, 269b6-10, ii.3, 286a17-18, ii.6, 288b23-24 ; similmente ivi, ii.14, 296a32-33. Altre fonti classiche e tardo classiche sono fornite da J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., p. 63 nota 420. 2 Per es., Aristotele, De caelo, i.4, 271a32-33 ; ii.8, 290a31 ; ii.11, 291b13-14 ; De anima, ii.4, 415b16-17 ; iii.9, 432b22-24 ; De generatione animalium, ii.5, 741b4-5 ; ii.6, 744a37-38 ; Politica, i.1, 1253a9 ; Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., ii.22, p. 500.8-10. 3 Jean Buridan, ivi, i.6, p. 255.14-21, suggerì questa tesi ipotetica, facendo riferimento soltanto al fuoco ; ma la tesi deve riferirsi anche all’aria del livello superiore che, come dice Jean Buridan, ivi, i.6, p. 256.42-44, che cita Aristotele « ut habetur Io Meteororum », aveva anch’essa un moto rotatorio. È della stessa opinione Giovanni di Legnano, Tractatus de cometa, cit., p. 238. 4 Simplicio riferisce l’obiezione di Senarco, secondo cui acqua e aria avevano due moti naturali, un moto rettilineo verso il basso e uno rettilineo verso l’alto. Il tipo di movimento dipendeva dalle loro posizioni rispetto al loro luogo naturale. Buridano, in risposta, cita Averroè e spiega che il moto rettilineo era moto verso un luogo naturale independentamente della direzione. Si vedano Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, pp. 23.31-24.7 ; Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., i.6, pp. 258.116-259.128 ; A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 100-101, 160 nota 66. 5 Aristotele, Fisica, ii.1, 192b13-14, 20-23, 192b32-193a1 ; ii.1, 193b3-5 ; Averroè, In libros Physicorum, cit., ii.1, 3, cc. 48d, 49e ; Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Ia.29.1, arg. 4, tol, iv, p. 327 ; Idem, In octo libros Physicorum, cit., ii.1.5 ; iii.9.3 ; viii.5.4, pp. 56, 128, 381 ; Alberto di Sassonia [ ?], Expositio in Aristotelis Physicam, in Expositio et Quaestiones in Aristotelis Physicam, cit., i, ii.1.1, pp. 58.55-60.111 ; Idem [ ?], Quaestiones in Aristotelis Physicam, cit., ii, ii.1, ii.5, pp. 286-298, 331-342.
i. le dottrine scolastiche 23 sfere era normale tanto quanto il moto, non proprio degli elementi, indotto dalle calamite negli oggetti di ferro, o la distribuzione del nutrimento alle parti del corpo.1 Fornendo un’altra spiegazione, Buridano suggerì che il fuoco e l’aria nelle loro sfere tendevano sì alla quiete, ma solo relativamente al moto rettilineo che le riconduceva ai loro luoghi naturali. Fuoco e aria non si opponevano al moto circolare al quale erano naturalmente predisposti in quanto seguivano per natura « il volere del primo motore ». Il loro moto circolare nei rispettivi luoghi naturali non era dunque violento. 2 In seguito furono proposte altre spiegazioni seguendo queste linee. 3 Molti autori scolastici fecero uso dei termini introdotti dai commentatori greci di Aristotele per distinguere i due moti ‘naturali’. 4 Il moto circolare delle sfere sublunari non era naturale, né innaturale (cioè violento). Era, invece, ‘preternaturale’, o ‘soprannaturale’.5 Buridano chiarì che il moto circolare non era un moto che un elemento ‘attivamente’ seguiva ‘sulla base della propria natura’. L’elemento si muoveva, piuttosto, per la sua ‘natura comune’ a quella dei cieli, in quanto era per natura disposto a obbedire alla natura dei cieli e, di conseguenza, al loro moto. 6 Da questo punto di vista, le sfere del fuoco e dell’aria – aggiunse – non facevano eccezione. Anche il Sole e la Luna avevano moti ‘naturali’ e ‘preternaturali’. Infatti, si muovevano all’interno della fascia zodiacale seguendo i loro principi di moto, ma, allo stesso tempo, erano anche compartecipi della rivoluzione diurna dei cieli intorno alla terra. 7 Rimane il dubbio che considerazioni di questo tipo non fossero in grado di dare una risposta soddisfacente all’obiezione di chi sosteneva che fuoco e aria, continuamente soggetti a un moto circolare nei loro rispettivi luoghi naturali, non potevano perfezionare la propria natura. Questo, però, è un problema che non siamo tenuti ad affrontare in queste pagine. 1 Tommaso de Vio, Commentaria, cit., i.1.4, segn. a5va, che cita la spiegazione del magnetismo di Averroè, In libros Physicorum, cit., viii.35, c. 374h-i. Tommaso fa anche uso di ivi, vii.10, c. 315d-f, dove il magnetismo e la distribuzione di alimenti sono usati come esempi. 2 Jean Buridan, Questiones super octo Phisicorum libros, cit., iv.9, c. 76vb. 3 Per es., Aegidius of Lessines, De essentia, motu et significatione cometarum, cap. 7, in L. Thorndike, Latin Treatises on Comets between 1238 and 1368 A.D., cit., pp. 103-184 : 131 ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. e7v : « quia omnia elementa nata sunt a celestibus moveri et maxime omnium quod [cioè l’elemento fuoco] celum tangit ». 4 Damascio, Olimpiodoro, Simplicio e, nel suo commento sulla Fisica e il De aeternitate mundi contra Proclum, Filopono suggeriscono questa distinzione ; si vedano M. Wolff, Fallgesetz und Massebegriff. Zwei wissenschaftshistorische Untersuchungen zur Kosmologie des Johannes Philoponus, Berlino, De Gruyter, 1971, pp. 55-57 ; C. Wildberg, Prolegomena to the Study of Philoponus contra Aristotelem, in Philoponus and the Rejection of Aristotelian Science, a cura di R. Sorabji, Londra, Duckworth, 1987, pp. 197-209 : 205, 207-208 ; Idem, John Philoponus’ Criticism of Aristotle’s Theory of Aether, Berlino-New York, de Gruyter, 1988, pp. 128-129 ; A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., p. 111 nota 39 ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., p. 26 nota 169, p. 28. 5 Tommaso d’Aquino, In De caelo et mundo, cit., i.4, pp. 16-18 ; Jean Buridan, Expositio, cit., i.1.2, p. 13.22-23, secondo il manoscritto O ; Idem, Quaestiones in De caelo, cit., i.6, pp. 257.67-258.94, per es., p. 257.76-78 ; Alberto di Sassonia, Questiones … in libros De celo et mundo, cit., segn. A2vb (i.1) : « Alio modo nec naturaliter nec violenter sed preter naturam, quo modo movetur ignis in spera sua » ; A3va (i.1), A4va (i.2), E5va (ii.9), E6ra (ii.10) ; Johannes Versor, Questiones super De celo et mundo, cit. i, c. 3ra, vb (De celo, i.4). 6 Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., i.6, pp. 257.67-258.91. E analogamente, Idem, Expositio in De caelo, cit., i.1.2, p. 13.22-23, secondo il manoscritto O. 7 Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., i.6, p. 258.91-94.
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copernico e la gravità L’eccentricità delle sfere della terra e dell’acqua
Un secondo problema comunemente discusso riguardava la disposizione delle sfere della terra e dell’acqua. 1 Gli autori arabi e latini avevano notato che, se le due sfere fossero state perfettamente concentriche, la sfera della terra sarebbe stata completamente sommersa. Il problema era accentuato dal fatto che, secondo una visione pressoché universalmente accettata, il volume della sfera dell’acqua era dieci volte maggiore di quello della terra. 2 Il calcolo si basava su due brani delle opere di Aristotele : il primo, un breve commento nel De generatione et corruptione secondo il quale una misura d’acqua si tramutava in dieci d’aria ; il secondo, l’osservazione nel Meteorologica secondo la quale i volumi delle sfere elementari erano proporzionali, e quello della terra era il minore. 3 Per spiegare l’esistenza della terraferma, i pensatori scolastici solevano quindi suggerire che, durante la Creazione originaria delle cose, le due sfere avevano avuto una posizione perfettamente concentrica intorno al centro del cosmo. Tuttavia, nel terzo giorno della Creazione, Dio aveva miracolosamente abbassato la sfera dell’acqua decentrandola rispetto all’intero cosmo. 4 Questo era il significato di Genesi 1 :9 : « Dio disse : ‘Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto’. E così avvenne » (cei). 5 1 Tra gli studi che trattano questo argomento dal periodo classico a quello rinascimentale si vedano : P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 78-235 ; T. Goldstein, The Renaissance Concept of the Earth in Its Influence upon Copernicus, « Terrae incognitae », iv, 1972, pp. 19-51 :30-35 ; W. K. A. Vogel, Sphaera terrae. Das mittelalterliche Bild der Erde und die kosmographische Revolution, Tesi di Dottorato di Ricerca, Georg-August-Universität, Gottinga, 1995, pp. 264-296 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 622-635 ; A. De Pace, Commentario, in Idem, Niccolò Copernico e la fondazione del cosmo eliocentrico, con testo, traduzione e commentario del libro I de Le rivoluzioni celesti, Milano, Mondadori, 2009, pp. 322-323, note 81-82. 2 Ad es., Paulus Burgensis, Additiones ad Postillam Nicolai de Lyra, in Nicholas de Lyra, Postilla litteralis in vetus et novum testamentum, con le Additiones di Paulus e opere di altri autori, [Colonia, Ulrich Zel, ante 1483], segn. f4ra, f5rb ; Tommaso de Vio (Cajetan), In quattuor Aristotilis Metheororum libros expositio, Padova, Pierre Maufer, 1476, segn. [a4]ra (Lib. 1, tract 1, cap. 3) : « Ex quibus sequitur quod ignis est decuplus ad aerem et centuplus ad aquam et millecuplus ad terram, licet alii aliter sentiant, de quo non est cura » ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. e5v ; Campanus de Novara, Tractatus de computo maiori, cap. 3, in Johannes de Sacrobosco, Sphera mundi, con opere di vari autori, Venezia, Lucantonio Giunta, 1518, c. 159va ; Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], [Pavia, Antonius de Carcano, c. 1480], segn. a10va-vb. Per ulteriori fonti e discussioni sul tema, si vedano P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 91-96, 138, 144-145, 149, 164-167 ; E. Rosen, ccw, ii, pp 345-346 ; W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre. Une mutation épistémologique rapide (1480-1520), Parigi, Colin, 1980, pp. 29-30 ; Idem, Classical Models of World Geography and Their Transformation Following the Discovery of America, in The Classical Tradition and the Americas, vol. 1 : European Images of the Americas and the Classical Tradition, a cura di W. Haase e M. Reinhold (di cui solo vol. i, parte 1, è stato pubblicato), Berlino, de Gruyter, 1994, pp. 5-76 : 9-10, 44-47 ; W. K. A. Vogel, Sphaera terrae, cit., pp. A. De Pace, Commentario, cit., pp. 321-322, nota 80. 3 Aristotele, Meteorologica, I.3, 340a3-17 ; Idem ; De generatione et corruptione, ii.6, 333a24-25 ; Olympiodorus, In Aristotelis meteora commentaria, cag, xii, pt 2, p. 18.4-7. 4 Paulus Burgensis, Additiones, segn. f4rb : « Sapientia autem divina que disponit omnia suaviter sic disposuit ut elementum aque servando suam rotunditatem naturalem haberet centrum separatum a centro terre et universi ». Riguardo alla spiegazione di Paulus Burgensis, si veda P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 166-170 ; W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., pp. 29-30 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 632, 634. 5 Per spiegazioni che evocano Genesi 1 :9, si vedano, per es., Campanus de novara, Tractatus de sphera, cit., cap. 5, c. 153rb, il quale suggerisce che Dio rialzò solamente una parte della terra, come una grande
i. le dottrine scolastiche 25 Altri preferivano spiegare lo spostamento in modo contrario. Nella Creazione, Dio aveva miracolosamente sollevato la sfera della terra decentrandola in modo che emergesse dalla sfera dell’acqua come « una palla leggera o una mela in una bacinella piena d’acqua ». 1 Il risultato era il medesimo in entrambi i casi. La sfera della terra si proiettava sulla sfera dell’acqua in un lato – la terra, come il microcosmo Uomo, possedeva un volto scoperto che poteva guardare verso il cielo 2 – mentre l’altro lato era nascosto sotto l’acqua profonda (Fig. 3). Una configurazione di questo tipo escludeva la possibilità che ci fosse terraferma tra le coste più occidentali dell’Europa e il Catai. Il modo in cui Dio aveva miracolosamente sistemato le due sfere era provvidenziale. Aveva creato infatti la terraferma di cui il genere umano e altre forme di vita avevano bisogno per la sopravvivenza. Per quale motivo allora, una volta che Dio aveva realizzato il Suo miracolo, i due elementi non erano tornati – come era previsto dalla loro natura – alla loro configurazione originale, perfettamente concentrica intorno al centro del cosmo ? Forse Lui aveva scelto di mantenerli da allora in poi in queste posizioni innaturali per mezzo dei Suoi poteri sovrannaturali. Gli autori scolastici dubitavano di tale soluzione. 3 In essa, infatti, era sottinteso che i due elementi rimanessero perpetuamente in uno stato innaturale, 4 e questa inferenza era alquanto sgradita, come indicato sopra in relazione all’osservazione che il fuoco e le sfere superiori ruotavano continuamente. 5 Era dunque preferibile ricercare una spiegazione filosofica. 6 La causa finale rimaneva ciò che predisponeva la terraferma per le forme di vita non acquatiche ; mentre la causa efficiente era naturale. isola, per il bene dell’uomo ; Idem, Tractatus de computo maiori, ch. 3, c. 159vb ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. b6v ; Gregor Reisch, Margarita philosophica nova, Strasburgo, J. Grüninger, 1508, segn. gg3v (vii.i.42), i quali suggeriscono che le acque che riempivano le cavità della terra erano ciò che rimaneva dopo che Dio aveva diviso le acque al di sopra del firmamento da quelle al di sotto (Genesi 1 :6-7) ; P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 101-102, 109-110. 1 Jacob Pérez de Valencia, Comentum noviter edditum in [Ps]almos David, cit., segn. ii2vb : « sicut pilla levis sive sicut unum pomum in pelvi plena aqua ». 2 Themo Judei, Questiones in Meteorologicam Aristotelis, cit., ii.1, segn. e2va, segnalò questa teoria. 3 Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. b6v-b7r, il quale, dopo aver proposto varie spiegazioni naturali, commentava (ivi., segn. b7r) : « Possibile enim est quod deus sua infinita potentia primam terre discoopertionem fecerit sed post hanc factam ad eius conservationem has secundarias causas subdelegavit. […] Si tamen iste modus dicendi [i.e., spiegazioni che fanno ricorso a cause naturali] alicui non placeret, oporteret dicere quod hec terre discoopertio non solum miraculose et supernaturaliter incepit, sed etiam miraculose in esse conservatur propter vitam quorundam animantium tuendam et quod nulle vires quarumcumque causarum naturalium ad hunc effectum sufficiunt ». 4 Aegidius Romanus, Hexameron, Padova, Giacomo Fabriano, 1549, cc. 112v (ii.24) ; discusso in P. M. 5 Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 142-143, 148. Si veda supra, p. 22. 6 Aegidius Romanus, Hexameron, cit., cc. 111r-113r (ii.24). Per quanto riguarda le spiegazioni filosofiche proposte dagli autori scolastici prima di Copernico, si vedano P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 121-122, 125, 128-131, 196-235, 239-240 ; T. Goldstein, The Renaissance Concept of the Earth, cit., pp. 30-32 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 630-635. Spesso autori scolastici faceveno riferimento alla causa finale senza accenare a quella efficiente ; si veda, per es. Benedictus Hesse de Cracovia, Quaestiones super octo libros Physicorum Aristotelis cit., p. 432 (iv.15) : « De alio, quod dicitur : ‘Cuilibet corpori simplici debetur locus simplex’, respondetur – verum est si non fuerit impedimentum a natura communi. Modo impedimentum est a natura communi, quod tota terra non est circumdata aquis, sed una pars terrae est discooperta aquis, et hoc propter salutem animantium, et hoc venit a natura communi ».
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copernico e la gravità
Fig. 3. Johannes de Sacrobosco, Sphaera mundi, Lipsia, Conrad Kachelofen, 1489, segn. a3r. L’incisione mostra la sfera della terra spostata rispetto al centro del cosmo, con una parte che emerge dalla sfera dell’acqua ed esposta all’aria. Immagine riprodotta col permesso della ucl Library, Special Collections.
i. le dottrine scolastiche 27 Su tutto ciò gli autori scolastici potevano trovarsi d’accordo. Cosa potesse essere la causa efficiente era tuttavia oggetto di discussione giacché nessuna spiegazione aveva guadagnato il consenso generale. 1 Alcuni autori, infatti, attribuivano la presenza della terraferma ad una combinazione di cause. 2 Attraverso l’influenza celeste, sosteneva una delle spiegazioni, il polo celeste meridionale attraeva ciò che era umido, mentre il polo celeste settentrionale attraeva ciò che era secco. In questo modo la sfera terrestre, in quanto elemento secco, era attratta verso il polo celeste settentrionale, mentre la sfera dell’acqua era attratta verso il polo celeste meridionale. 3 Una spiegazione alternativa sosteneva che la sfera dell’acqua, sola tra i tre elementi sublunari, non era sferica perché la terra, data la sua aridità, assorbiva acqua in quantità tali da non essere completamente circondata dall’acqua. 4 Oppure si suggeriva che la sfera terrestre fosse più densa e quindi più pesante da un lato che dall’altro, con il risultato che il suo centro geometrico non coincideva con il centro di gravità nel mezzo del cosmo. Il lato più leggero appariva così sopra la sfera dell’acqua. 5 Una variante di quest’ultima spiegazione, menzionata inizialmente dai 1 Si veda, per es., Marsilius de Inghen, Questiones subtilissime super octo libros phisycorum secundum nominalium viam, Lione, J. Marion, 1518, c. 49r (iv.5) : « Iste sunt vie quibus salvatur unam partem terre esse discoopertam aquis et aliam coopertam. Et forte potest probari istam viam ultimam [cfr. infra, pp. 35-36] esse contra fidem aliquo modo, ideo eligatur via que magis placet » ; Jacob Pérez de Valencia, Comentum noviter edditum in [Ps]almos David, [Valencia, Alfonso Fernández de Córdoba e Gabriel Luis de Arinyo], 1484, segn. ii2vb : « de qua dispositione terre sunt multi et varii modi loquendi ». 2 Ad es., Francesco Capuano, Expositio in Johannes de Sacrobosco, Sphera mundi (1518), cit., c. 38ra ; Wenceslaus Fabri, Commentum, in Johannes de Sacrobosco, Opus sphericum, Colonia, H. Quentell, 1501, segn. b1r. 3 Wenceslaus Fabri, Commentum, cit., segn. b1r ; Johannes Glogoviensis ( Jan Głogowczyk), Introductorium compendiosum in tractatum sphere materialis Johannis de Sacrobusto, Cracovia, 1506, segn. b4r, il quale riporta questa visione. Vennero discusse anche altre spiegazioni che evocavano l’influsso celeste ; si vedano, ad esempio, Robertus Anglicus, commento sul De sphaera mundi di Johannes de Sacrobosco, cit., p. 150, il quale spiega che una congiunzione stellare asciugò la terra facendole assorbire l’acqua ; Pietro d’Abano, Conciliator differentiarum philosophorum, con il suo De venenis, Venezia, Bonetus Locatellus, per Octavianus Scotus, 1496, segn. c2vb (Diff. 13) ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. b6v-b7r ; Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], cit., segn. b2rb. Per altre fonti che attribuiscono l’esistenza della terra al di sopra dell’acqua all’influsso celeste, si veda P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 140-142, 162-163. Alcuni autori rifiutavano le spiegazioni che si rifacevano all’influsso celeste ; si vedano Francesco Capuano, Expositio (1518), cit., cc. 37vb-38ra ; Jacob Pérez de Valencia, Comentum noviter edditum in [Ps]almos David, cit., segn. ii2vb-ii3ra, ii4va-vb. 4 Johannes de Sacrobosco, Sphaera, a cura di L. Thorndike, cap. 1, in L. Thorndike, The Sphere of Sacrobosco and its Commentators, cit., pp. 78-79 ; Campanus de novara, Tractatus de sphera, cit., cap. 4, c. 153rb ; Robertus Anglicus, commento sul De sphaera mundi di Johannes de Sacrobosco, cit., p. 150 ; Johannes Versor, Questiones super De celo et mundo, cit., c. 10rb (Meteor., ii.1) ; Francesco Capuano, Expositio (1518), cit., c. 38ra ; Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., segn. b6v : « Facit [Johannes de Sacrobosco] exceptionem de elemento aque dicens quod aqua circulum non complet neque est omnino rotunda, cuius duas causas assignat, unam efficientem sed naturalem ex terre siccitate que continuo in humidum aqueum agens aquam diminuit vel saltem ei resistit ne possit totam terram cooperire unde nec figuram circularem complere. » Capuano, loc. cit., e Ciruelo, loc. cit., rifiutava questa interpretazione dal momento che la sfera della terra non sarebbe stata in grado di assorbire acqua a sufficienza. 5 Jean Buridan, Quaestiones in Aristotelis De caelo, cit., ii.7, p. 416.7-16 (discusso in E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 622-624) ; Themo Judei, Questiones in Meteorologicam Aristotelis, cit., ii.1, segn. e2va : « et ideo verisimiliter puto quod centrum gravitatis terre sit in centro mundi vel prope, et quod terra ex illa parte ubi est aqua sit multum gravior quam sit terra ex ista parte », e2vb-e3ra ; Pierre d’Ailly, Quaestiones [sul De sphera mundi di Johannes de Sacrobosco], in Johannes de Sacrobosco, De sphera mundi (1498), cit., segn. e2v ; Wenceslaus Fabri, Commentum, cit., segn. b1r ; Gregor Reisch, Margarita
28 copernico e la gravità commentantori tardo-classici di Aristotele, proponeva che la terra fosse cavernosa e che grandi quantità d’acqua affluissero al suo interno. 1 Il risultato, di nuovo, era che il centro geometrico della terra non coincideva con il suo centro di gravità e che, di conseguenza, una parte della terra sporgeva oltre la sfera dell’acqua. 2 Spiegazioni di questo tipo potevano apparentemente violare il principio secondo la quale ogni elemento, e in particolare nel nostro caso l’acqua, cercava di ritornare al suo intero e che, una volta lì, rimaneva in quiete a meno di essere mosso con la violenza. 3 A questa e ad altre obiezioni gli scolastici rispondevano con la loro consueta ingegnosità. Ad esempio, una delle risposte alla precedente obiezione sosteneva che l’acqua scorreva giù dalle crepe prodotte dal calore del Sole nella terra perché era più pesante dell’aria che le riempiva. L’elemento più pesante spostava per natura l’elemento più leggero. 4 philosophica nova, cit., segn. gg3v (vii.i.42) ; P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 80-87 ; W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., pp. 42-44 : Idem, Classical Models of World Geography, cit., pp. 5-76 : 31-35, 38-39 ; A. De Pace, Commentario, cit., pp. 322-323, nota 81. 1 Giovanni Filopono, In Aristotelis Meteorologicorum librum primum commentarium, a cura di M. Hayduck, cag, xiv, parte 1, p. 37.8-10 ; Olympiodorus, In Aristotelis meteora commentaria, a cura di G. Stüve, cag, xii, parte 2, p. 27.21 ; P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 96-97. 2 Paulus Burgensis, Additiones, cit., segn. f3va-4ra, Pedro Sánchez Ciruelo, Commentarius, cit., sig. b6v, e Francesco Capuano, Expositio (1518), cit., cc. 37vb, che rifutano entrambi questa spiegazione. 3 Aristotele, De caelo, i.8, 276a23-25 ; Averroè, [In De caelo], iii.71, iv.23, e In quatuor libros de Coelo paraphrasis, iv.26, in Aristotele e Averroè, Opera, cit., v, cc. 229h-i, 332i-k ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, iv.11.3, tol, ii, p. 181 ; Idem, In De caelo et mundo, i, lect. 5, §6, i, lect. 16, §3, tol, iii, pp. 21, 64 ; Petrus de Alvernia, nella sua continuazione del commento di Tommaso d’Aquino al De caelo et mundo, cit., iv.3, pp. 204-205 : « impossibile enim est quod aliquod corpus simplex moveatur per unam formam simplicem ad aliquem locum et ex illo iterum moveatur ; cum per istam quiescat in loco suo, per ipsam non movetur ex illo » (per una contestualizzione del brano di Petrus, vedi P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 177-185) ; Alberto di Sassonia, Questiones … in libros De celo et mundo, cit., iii-iv.3, p. 466.71-76 ; e molti altri. 4 Alberto di Sassonia [ ?], Quaestiones in Aristotelis Physicam, cit., iv.5, pp. 646, 648.
ii. ELEMENTI E STRUTTURA DEL COSMO COPERNICANO
L
a teoria di Aristotele e le sue varianti costituivano, come riconobbe Copernico, le fondamenta su cui era costruito il cosmo finito, geocentrico e geostatico dei suoi tempi. 1 Si trattava di un modello incompatibile con l’ipotesi eliocentrica. Se la Terra era, come credeva Copernico, un pianeta che orbitava intorno al Sole, allora significava che gli elementi di cui era formata non occupavano luoghi naturali al centro del cosmo, né che cercavano di tornarci. « Il centro della Terra è il centro non del cosmo, ma della gravità e della sfera lunare », commentò Copernico, senza ulteriori precisazioni, nell’abbozzo preliminare del suo sistema eliocentrico, il Commentariolus, scritto probabilmente prima del mese di maggio 1514. 2 Nel De revolutionibus, invece, Copernico affrontò in dettaglio il problema della gravità. La terra e l’acqua Copernico espone la sua considerazione preliminare nel terzo capitolo del primo libro, in cui spiega che la terra e l’acqua formano una sfera perfetta: Capitolo 3 : Come la terra e l’acqua formano insieme un singolo globo. L’oceano, quindi, mentre scorre intorno alla terra, riversa i suoi mari in ogni dove, riempiendo così i suoi declivi più ripidi. Ci deve dunque essere meno acqua che terra, in modo che rimangano alcune parti della terra per la preservazione dei viventi e molte isole possano apparire qui e là. In caso contrario l’acqua sommergerebbe tutta la terra, poiché entrambe, a causa della loro gravità (gravitas), tendono verso lo stesso centro. Cos’altro è difatti la terraferma, l’orbis terrarum, se non un’isola più grande delle altre isole ? 3
In questo passo Copernico riprendeva dibattiti simili a quelli a cui abbiamo accen1
Niccolò Copernico, De revolutionibus libri sex, a cura di H. M. Nobis e B. Sticker, Hildesheim, Gerstenberg, 1984, in cga, ii, p. 13.23 (i.7). Similmente, ma in modo implicito, Georg Joachim Rheticus, Narratio prima, ix, edizione critica, traduzione francese e commento a cura di H. Hugonnard-Roche, J. P. Verdet, M.-P. Lerner, A. Segonds, « Studia copernicana », xx, Breslavia, Ossolineum, 1982, p. 58.37-40, discusso da M.-P. Lerner, Le Monde des sphères, 2 voll., 2ª edizione, Parigi, Les Belles Lettres, 2008, ii, pp. 95-96. 2 Niccolò Copernico, Commentariolus, in L. F. Prowe, Nicolaus Coppernicus, 2 voll., Berlino, Weidmann, 1883-1884, ii, pp. 184-202 : 186 : « Centrum terrae non esse centrum mundi, sed tantum gravitatis et orbis Lunaris ». Per quanto riguarda la data, si vedano N. M. Swerdlow, The Derivation and First Draft of Copernicus’s Planetary Theory : A Translation of the Commentariolus with Commentary, « Proceedings of the American Philosophical Society », cxvii, 1973, pp. 423-512 : 429-431 ; A. Goddu, Reflections on the Origin of Copernicus’s Cosmology, « jha », xxxvii, 2006, pp. 37-53 : 37-38. 3 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 8.6-10 : « Quomodo terra cum aqua unum globum perficiat. Cap. iii. Huic ergo circumfusus oceanus maria passim profundens, decliviores eius descensus implet. Itaque minus esse aquarum quam terrae oportebat, ne totam absorberet aqua tellurem, ambabus in idem centrum contendentibus gravitate sua, sed ut aliquas terrae partes animantium saluti relinqueret, atque tot hinc inde patentes insulas. Nam et ipsa continens, terrarumque orbis, quid aliud est quam insula maior caeteris ? ».
30 copernico e la gravità nato sopra nel primo capitolo riguardo alla sistemazione della terra e delle sfere dell’acqua. Gli antichi commentatori greci di Aristotele e gli autori scolastici avevano infatti spiegato che grandi quantità d’acqua si infiltravano all’interno delle caverne della terra. 1 Diffusa era anche l’idea alla quale egli ricorre che la terra e l’acqua fossero provvidenzialmente configurate secondo una causa finale. 2 Nel passo sopracitato, egli riconosce implicitamente che la forza centripeta di gravitas, a cui sia la terra che l’acqua erano soggette, avrebbe prodotto, se tutte le altre cose fossero state uguali, un globo di terra perfetto e completamente circondato da una sfera anche quella perfetta, però molto sottile, di acqua, elemento tra l’altro meno pesante. 3 Tale sistemazione degli elementi avrebbe impedito la formazione della terraferma necessaria alla vita terrestre. Tuttavia, ciò che Copernico deduceva da queste idee era tutt’altro che convenzionale. C’era meno acqua che terra ; i due elementi appartenevano ad un solo luogo naturale o sfera piuttosto che a due luoghi naturali separati ; 4 le ‘isole’ erano disseminate su tutta la superficie del globo. Con la parola ‘isola’ intendeva, spiegò, anche la ‘terraferma’ : la grande massa di terra di cui erano costituite le terre abitabili – l’orbis terrarum o continens (‘continente’) 5 – dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, era un’isola, sebbene più grande di molte altre. Con molta probabilità Copernico derivò questo uso di orbis terrarum da Cicerone, il quale nel De natura deorum – un’opera che Copernico conosceva bene –, aveva chiamato ‘isola’ l’orbis terrarum. 6 1
Si veda supra, pp. 27-28. Si veda supra, pp. 24-25. In un altro punto della sua opera, Copernico introduce l’idea di provvidenza in relazione alla gravità ; si veda infra, pp. 54, 74. 3 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 9.10, afferma che la terra è il più pesante dei due elementi. 4 Ivi, i.8, p. 16.1-8, accenna al fatto che ciascun elemento ha il suo luogo naturale (locus naturalis) ; cfr. infra, p. 48. Nel caso dei due elementi pesanti, e cioè acqua e terra, questo luogo è la loro stessa sfera. 5 Riguardo all’espressione orbis terrarum, antica traduzione romana del Greco oijkoumevnh, si vedano W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., pp. 7-8, 12-13, 53 ; Plinio il Vecchio, Naturalis historiae libri xxxvii, a cura di K. Mayhoff, 6 voll., Lipsia, 1892-1909, i, p. 230.7-8 (iii.3) : « Terrarum orbis universus in tres dividitur partes, Europam, Asiam, Africam ». Per il termine continens, si vedano Antonio de Nebrija, In cosmographiae libros introductorium, Salamanca, s.e., 1498, segn. b5v : « Continens est terra longe lateque oceano circundata » ; W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., pp. 54, 56. Si confronti la definizione leggermente diversa di Peter Apian, Cosmographicus liber, Landshut, P. Apian, 1524, p. 57 : « Continens dicitur omnis terra solida sive fixa, quae nec insula nec peninsula nec histhmus est ». 6 Cicerone, De natura deorum, a cura di O. Plasberg e W. Ax, Lipsia, Teubner, 1933, p. 116.19-22 (ii.165) : « sin autem consulunt qui quasi magnam quandam insulam incolunt quam nos orbem terrae vocamus, etiam illis consulunt qui partes eius insulae tenent, Europam Asiam Africam. » Il prestito non sembra essere stato notato dagli studiosi di Copernico. Copernico si rifà a De natura deorum in altri punti del De revolutionibus, i-iii ; si veda infra, capitolo 6. L’idea che le grandi masse di terra fossero generalmente ‘isole’ era diffusa ; si vedano, ad es., Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis, a cura di J. Willis, Lipsia, Teubner, 1963, p. 123.16-26 (ii.ix.4-6) ; Campanus de novara, Tractatus de sphera, cap. 5, in Johannes de Sacrobosco, Sphera mundi, con opere di vari autori, Venezia, Lucantonio Giunta, 1518, fol. 153rb (discusso in P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 131-132 ; W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., p. 29) ; Michele Scoto [ ?], commento sul De sphaera, cit., p. 274 ; Antonio De Nebrijia, In cosmographiae libros introductorium, cit., segn. a1v-a2r : « in qua orbis terrarum nobis cognitus insulae instar aquis eminet » ; e, per ulteriori risorse, W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., 1980, p. 28 ; Idem, Classical Models of World Geography, cit., p. 38. 2
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano 31 Copernico consolidava quest’immagine della sfera terracquea nel resto del terzo capitolo. Egli spiegava, in primo luogo, per quale motivo le teorie convenzionali fossero inadeguate. Se la sfera dell’acqua fosse stata molto più voluminosa della sfera della terra, le caverne della terra non avrebbero potuto in alcun modo assorbire acqua in quantità sufficiente a lasciare esposta parte della terra. Gli autori scolastici avevano occasionalmente sollevato questa obiezione. 1 Copernico tuttavia la trasformò mediante un’originale osservazione matematica. « Alcuni peripatetici », scrisse, riferendosi alla stima convenzionale, 2 affermarono che il volume della sfera dell’acqua era dieci volte maggiore rispetto a quello della terra. Per spiegare perché la terraferma si proiettava al di sopra della sfera dell’acqua, sostenevano che la terra fosse « cavernosa » e che, di conseguenza, il centro di magnitudine della terra non coincidesse con il centro di gravità. 3 « Il centro di magnitudine è una cosa », affermavano, « il centro di gravità un’altra ». 4 Coloro che proposero tali idee non conoscevano bene la geometria. Per proiettarsi al di sopra della sfera dell’acqua, la sfera della terra, se fosse dieci volte più piccola dell’altra, dovrebbe essere spostata completamente dal centro del cosmo e quindi dal centro di gravità 5 – una conclusione, potremmo aggiungere, che i pensatori scolastici di quel tempo rifiutavano in quanto assurda. 6 Ciò si può provare con un semplice calcolo del volume mediante il teorema di Euclide, secondo il quale i volumi di due sfere sono proporzionali al cubo dei loro rispettivi diametri. 7 (Fig. 4.) Il volume di una sfera solida, secondo tale teorema, è πd3/6, dove d sta per il diametro della sfera. Ponendo dg come diametro del globo congiunto di terra ed acqua e de come diametro della terra, i volumi del globo della terra e dell’acqua, Vg, e della sfera della terra, Ve, saranno proporzionali a dg3 e de3, rispettivamente (Vg :dg3 = Ve :de3). Supponendo allora che il volume dell’acqua, Vw, sia di 7 unità volumetriche, e che quello di Ve, sia di 1 unità volumetrica, il calcolo dei volumi combinati di terra ed acqua, Vg, dà come risultato 8 unità volumetriche. La proporzione tra Vg e Ve, e quindi quella tra dg3 e de3, sarà di 8 a 1. Perciò dg sarà 2, la radice cubica di 8, e la proporzione tra de e dg sarà di 2 a 1. In altre parole, il diametro della terra sarà uguale al raggio del globo combinato di acqua e terra. Perciò, se il volume della sfera dell’acqua fosse sette volte maggiore di quello della terra, la 1
Francesco Capuano e Pedro Sánchez Ciruelo citati nel capitolo i, p. 28 nota 2. 3 Si veda supra, p. 24. Si veda supra, pp. 27-28. 4 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 8.13-15 : « aiuntque terram quadantenus sic prominere, quod non undequaque secundum gravitatem aequilibret cavernosa existens, atque aliud esse centrum gravi5 tatis, aliud magnitudinis. » Ivi, i.3, p. 8.15-18. 6 Gregor Reisch, Margarita philosophica nova, cit., segn. gg3v (vii.i.42) : « Centrum vero gravitatis extra illud [scil. medium mundi] consistit, videlicet in diametro terrae, qui necessario maior est quam semidiameter sphaere ex aqua et terra compositae, quia, si non, terra secundum nihil sui esset in medio mundi, quo in naturali scientia et astronomia absurdius dici vix poterit ». L. Andreini, Gregor Reisch e la sua Margarita philosophica, Salisburgo, Institut für Anglistik und Amerkanistik (« Analect Cartusiana », 138), Universität Salzburg, 1997, p. 99, commenta su questo brano del libro di Reisch. 7 Euclide, Elementi, xii, Proposizione 18 (o, nelle edizioni latine rinascimentali, come quella usata da Copernico, Proposizione 15) ; E. Rosen, ccw, ii, p. 346 ; W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., pp. 10, 69-70 ; A. De Pace, Commentario, cit., pp. 323-324, nota 82. Riguardo alla copia di Copernicus degli Elementa geometria di Euclide, si veda P. Czartoryski, The Library of Copernicus, in Science and History. Studies in Honor of Edward Rosen, a cura di E. Hilfstein et alii, « Studia copernicana », xvi, Breslavia, Ossolineum, 1978, pp. 355-401 : 365 (« Copernicana », 6). 2
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copernico e la gravità la sfera dell’acqua di 7 unità volumetriche (Vw) la sfera della terra: 1 unità volumetrica (Ve) centro di gravità
Fig. 4. Se il volume della sfera della terra fosse un settimo di quello della sfera dell’acqua, il diametro della sfera della terra sarebbe equivalente al raggio della sfera dell’acqua. Di conseguenza nessuna parte della sfera della terra emergerebbe dalla sfera dell’acqua.
sfera della terra si proietterebbe sopra la sfera dell’acqua solo se nessuna parte della terra si sovrapponesse centro cosmo.di Lo spostamento, e quindi l’implausibiil volume della sfera dellaal terra fossedel un settimo quello della sfera FIG. 4 (in scala). Se lità della spiegazione diventano più evidenti se, come « questi dell’acqua, il diametro della sfera della terra peripatetica, sarebbe equivalente al raggioancora della sfera dell’acqua. Di conseguenza nessuna parte della sfera della terradella emergerebbe dalla » affermavano, il volume sfera dell’acqua fosse stato dieci volte peripatetici sfera dell’acqua. maggiore – e non solo sette – di quello della terra. 1 Il fatto che il centro di gravità e di magnitudine della terra coincidessero si notava chiaramente, secondo Copernico, anche facendo riferimento all’esperienza. Una sfera eccentrica della terra simile a quella immaginata dagli autori scolastici avrebbe potuto produrre tre effetti, nessuno dei quali era evidente (Fig. 3). In primo luogo, l’oceano si sarebbe rigonfiato a partire dal punto in cui le sfere della terra e dell’acqua si intersecano. 2 (Di qui, per inciso, l’osservazione di Colombo secondo il quale, dopo aver passato le Azzorre, in un momento il mare si sollevò lievemente verso il cielo. 3) In secondo luogo, il centro dell’orbis terrarum, comprese Asia, Europa ed Africa, avrebbe dovuto essere il punto in cui la sfera della terra si sporgeva maggiormente sopra la sfera dell’acqua. Ma la vicinanza tra il Mediterraneo dell’Est e il Mar Rosso era la prova che le cose non stavano in questo modo. Sebbene molto vicini al centro dell’orbis terrarum, questi due mari erano separati da una striscia di terra molto stretta – e, dovremmo aggiungere, bassa –, larga meno di tre chilometri. (Plinio, la fonte diretta o indiretta di questa osservazione di Copernico, misura la distanza in modo più preciso intorno ai 175 chilometri. 4) Il punto 1 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 8.18-21. Bradwardine aveva provato a riconciliare la proposizione di Euclide, la nozione aristotelica riguardo alle relative proporzioni delle sfere sublunari elementari e il calcolo fatto da Tolomeo che la distanza tra la superficie della Terra e la Luna equivaleva a 33⅓ volte il raggio della terra ; si vedano P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, pp. 164-165 ; W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., p. 30. 2 Cfr. Paulus Burgensis, Additiones, cit., segn. f4vb : « tamen procedendo in mari per elongationem a terra, mare semper est altius terra » ; similmente ivi, segn. f5rb. 3 W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., p. 48. 4 Cfr. Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.173, cit., p. 193.9-10 : « ut centum quindecim milibus passuum Arabicus sinus distet ab Aegyptio mari » ; e Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 8.27-28 :
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano 33 medio dell’orbis terrarum evidentemente sporgeva solo in minima parte. In terzo luogo, la sfera dell’acqua sarebbe diventata sempre più profonda quanto più si fosse allontanata dalla costa della grande massa di terra che presumibilmente sporgeva al di sopra di essa. Ma la presenza di rocce e di isole nel mezzo dell’oceano provava che ciò era falso. Copernico sosteneva invece che una rappresentazione precisa del mondo doveva basarsi innanzitutto sul fatto che, come dimostravano la geografia antica e moderna, il globo era prevalentemente composto di terra. Tolomeo, nella sua Geografia – Copernico ne aveva annotato una copia – aveva incluso tratti inesplorati che giacevano oltre le terre abitabili, le quali si estendevano, secondo le stime di Tolomeo, intorno a circa la metà del mondo. 1 Era in queste terre inesplorate che i « moderni » avevano localizzato il Catai e le vaste regioni verso l’est, mostrando in questo modo che le terre abitate erano longitudinalmente più vaste degli oceani. In secondo luogo, le scoperte delle isole da parte di marinai portoghesi e spagnoli e di ciò che si preannunciava come un secondo orbis terrarum, l’America, provavano che c’era più terra che acqua. 2 La somiglianza dei termini usati suggerisce che i commenti di Copernico riguardo al Catai e all’America si rifacevano al Cosmographiae introductio di Martin Waldseemüller, pubblicato per la prima volta a San Dié nel 1507, con inclusa una mappa del mondo. 3 « Iam vero constat inter Aegyptium mare Arabicumque sinum vix 15 superesse stadia in medio fere orbis terrarum ». E. Rosen, ccw, ii, p. 346, identifica i due errori di Copernicus : 1) omise il « centum » di Plinio (che si trova nelle due edizioni che Copernico consultava, Copernicana 12 e 21, riguardo alle quali si veda infra, capitolo 6) ; e 2) convertì i milia passuum di Plinio, cioè le miglia romane (1.480 metri ca), in stadia (185 metri ca). La distanza tra l’area egizia del Mediterraneo (« Aegyptium mare ») e il Mar Rosso (« Arabicus sinus ») era, secondo Plinio, di 115 miglia romane (ca 212 chilometri) ; secondo Copernico, meno di 3 chilometri (e non meno di 2, come invece afferma Rosen). A. de Pace, Commentario, cit. pp. 324-325, nota 84, suggerisce che Copernico non aveva interpretato male Plinio, ma aveva usato un’altra fonte non ancora identificata. 1 Claudio Tolomeo, Geographia, a cura di K. F. A. Nobbe, 2 voll., Lipsia, K. Tauchnitz, 1843-1845, ii, pp. 177.3-6, 179.25-180.4 (vii.5.2, vii.5.13-14) ; E. Rosen, ccw, ii, p. 346 ; A. De Pace, Commentario, cit., pp. 324-325, nota 86. Per la copia usata da Copernico, si veda A. Goddu, Copernicus’s Annotations. Revisions of Czartoryski’s Copernicana, « Scriptorium », lviii, 2004, pp. 204-206, 220, 222 (dove provvede a correggere P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., pp. 371-372) ; A. de Pace, Introduzione, in Idem, Niccolò Copernico e la fondazione del cosmo eliocentrico, cit., p. 107, nota 315. Attualmente alla copia è stata data la classificazione Copernicana 45. 2 L’espressione di Copernico alter orbis terrarum deriva da Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., iv.96, vi.81, cit., pp. 345.12, 464.8, le quali descrivono rispettivamente la Scandinavia e Taprobane. 3 Martinus Waldseemüller, Cosmographiae introductio, cum quibusdam geometriae ac astronomiae principiis ad eam rem necessariis, con un’altra opera, [Saint Dié], [Gualterus Lud], 1507, come trattato da E. Rosen, ccw ii, pp. 346-347. (I rimandi di Rosen si riferiscono alla seguente edizione, della quale Rosen non fornisce i necessari dettagli bibliografici : The Cosmographiæ introductio of Martin Waldseemüller in Facsimile, Followed by the Four Voyages of Amerigo Vespucci, with their Translation into English ; to Which are Added Waldseemüller’s Two World Maps of 1507, introduzione di J. Fischer, F. von Wieser, a cura di C. G. Herbermann, New York, United States Catholic Historical Society, 1907 [ristampa, New York, 1969]). T. Goldstein, The Renaissance Concept of the Earth, cit., p. 38, nota 37, solleva dei dubbi riguardo alle ragioni – che non specifica – per questa identificazione, ma concorda sulla conclusione di Rosen, adducendo le proprie ragioni. A. De Pace, Commentario, cit., p. 327 nota 88, concorda sul fatto che Waldseemüller possa essere una fonte (ma implicitamente sostiene, sbagliando, che Rosen si riferisca all’edizione datata 1513 della Geographia di Tolomeo a cura di Waldseemüller), sottolineando, però, che anche altre fonti erano disponibili. Sulla Cosmographiae introductio, si veda D. E. Cosgrove, Images of Renaissance Cosmography,
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copernico e la gravità Tali considerazioni, concludeva Copernico, dimostravano quanto segue : che « la terra e l’acqua spingono sul medesimo singolo centro di gravità » ; 1 che questo centro di gravità coincideva con il centro geometrico della terra ; che c’era più terra che acqua, anche se l’estensione dell’acqua sulla superficie del globo potrebbe far sembrare altrimenti ; e che, sebbene la terra fosse il più pesante dei due elementi, l’acqua scorreva verso il basso e riempiva i suoi crepacci. 2 Il risultato era che la terra, nonostante la sua superficie irregolare, « insieme alle acque che le scorrono attorno », costituiva una singola, perfetta (« assoluta ») sfera. Questo era confermato dalla perfetta ombra inarcata che il globo della terra e dell’acqua proiettava sulla Luna durante le eclissi lunari. 3 Aristotele e molti altri avevano fatto questa osservazione, alcuni di questi pensando solo alla terra, altri, come Copernico, pensando sia alla sfera della terra che a quella dell’acqua. 4 Nell’ottavo capitolo del primo libro, Copernico si riferiva a questa sfera composita come alla « terra insieme all’elemento dell’acqua a lei connesso », 5 che dal xvii secolo in poi venne chiamato ‘il globo terracqueo’. 6 Gli autori scolastici del xiv e xv secolo avevano anticipato diversi punti della spiegazione di Copernico. Talvolta gli scolastici avevano concluso che, nel loro insieme, la terra e l’acqua condividevano lo stesso centro di magnitudine e di gravità. 7 1450-1650, in The History of Cartography, iii : Cartography in the European Renaissance, a cura di D. Woodward, Chicago, University of Chicago Press, 2007, pp. 55-98 : 66-67, 76-77 ; P. G. Dalché, The Reception of Ptolemy’s Geography (End of the Fourteenth to Beginning of the Sixteenth Century), in ivi, pp. 285-364 : 351, 353-356, P. H. Meurer, Cartography in the German Lands, 1450-1650, ivi, pp. 1172-1245 : 1204-1205. 1 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 9.9-10 : « Ex his demum omnibus puto manifestum, terram 2 simul et aquam uni centro gravitatis inniti ». Ivi, i.3, p. 9.10-12. 3 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 9.12-13 : « Talem quippe figuram habere terram cum circumfluentibus aquis necesse est, qualem umbra ipsius ostendit : absoluti enim circuli circumferentiis Lunam deficientem efficit. Non igitur plana est terra […] sed rotunditate absoluta, ut philosophi sentiunt ». In altre parti del De revolutionibus, cit., ii-iii, Copernico usa la parola terra per indicare la terra considerata separatamente dalle acque che la circondano ; si veda, ad es., ivi, i.2-3, pp. 7.12-14, 8.2-4, 8.7. Cfr. ivi, i.3, p. 9.17-18, dove Copernico ripete che la terra, senza l’acqua, è di rotunditas absoluta ; e ivi, i.2, pp. 7.25-8.4, dove Copernico descrive la sfericità dell’aqua separatemente da quella della terra. Riguardo all’argomento che le irregolarità della superficie della terra erano trascurabili rispetto alla sua misura, si veda infra, capitolo 6, pp. 81-82. 4 Aristotele, De caelo, ii.14, 297b24-30 ; Pierre d’Ailly, Quaestiones [riguardo al De sphere di Johannes de Sacrobosco De sphera mundi], cit., segn. e1v (qu. 5) ; Marsilius de Inghen, Questiones subtilissime super octo libros phisycorum, cit., c. 49rb (lib. iv, qu. 5), della sola sfera della terra, come discusso infra, p. 35 ; Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], cit., segn. b2va (i.6), sulla sfera aggregata di acqua e terra ; Tommaso de Vio (Cajetan), In quattuor Aristotilis Metheororum libros expositio, cit., lib. i tract. i, cap. 3, segn. [a3]va : « cum autem talis umbra non solum a terra fiat sed simul ab aqua et terra, sequitur quod etiam aqua respectu celi est valde parva » ; Gregor Reisch, Margarita philosophica nova, cit., segn. gg5r (vii.i.44) ; Francesco Capuanus, Expositio (1499), cit., segn. f2r ; Idem, Expositio (1518), cit., fol. 36va, il quale racconta che aveva assistito all’eclisse lunare del 15 Agosto 1505 (si veda M. H. Shank, Setting up Copernicus ? Astronomy and Natural Philosophy in Giambattista Capuano da Manfredonia’s Expositio on the Sphere, « Early Science and Medicine » xiv, 2009, pp. 290-315 : 295) ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 627-628 ; W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., p. 8. 5 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.19-20 : « terra cum aqueo elemento sibi coniuncto ». 6 Riguardo all’espressione ‘globo terracqueo’, si vedano W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., p. 63 ; Idem, Classical Models of World Geography, cit., p. 74 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., p. 635, nota 64. 7 Riguardo ai dibattiti scolastici di questo problema, si vedano P. M. Duhem, Le Système du monde, cit.,
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano 35 Pierre d’Ailly aveva spiegato ad esempio che, mentre i centri geometrici e di gravitazione non coincidevano tra loro o con il centro del cosmo, il centro della terra e dell’acqua, considerato come una sfera composta ma eterogenea, coincideva davvero con quello del cosmo. « Il centro della gravità complessiva dell’acqua e della terra», aveva scritto, «si trova nel mezzo del firmamento ». 1 Altri avevano avanzato l’ipotesi che una possibile spiegazione dell’esistenza della terraferma sopra le acque potesse essere il fatto che la terra fosse più abbondante dell’acqua. Qualunque fosse la quantità d’acqua, secondo l’occamista Marsilio di Inghen (†1396), essa riempiva le concavità sulla superficie della terra, la quale non era circondata da alcuna sfera dell’acqua. La prova di questo era l’ombra che la terra proietta sulla Luna durante l’eclisse lunare : essa non era maggiore di quanto gli astronomi avevano stimato essere la sfera della terra, basandosi sulla misura del diametro delle sue regioni abitate. « Non sarebbe così se l’acqua non fosse contenuta all’interno della terra e se la sua quantità fosse minore di quella della terra ». 2 Egli riconosceva che tale spiegazione era in contrasto con il principio secondo il quale il volume di ogni elemento sublunare era dieci volte maggiore di quello dell’elemento inferiore, tanto che tale spiegazione poteva anche essere « in qualche modo contraria alla fede ». 3 Forse Marsilio pensava ai problemi soteriologici che sarebbero potuti scaturire dalla supposizione che la terra fosse l’elemento preponderante. Ciò avrebbe implicato l’esistenza di molte regioni sconosciute della terraferma, forse addirittura abitate, le quali non avevano evidentamente ricevuto la rivelazione della salvezza. Tali accenni scolastici erano tuttavia sporadici ed incerti. Marsilio di Inghen proponeva la sua interpretazione come una fra le diverse possibilità, e per di più dottriix, pp. 205-235, 322 ; T. Goldstein, The Renaissance Concept of the Earth, cit., pp. 30-35 ; E. Grant, In Defense of the Earth’s Centrality and Immobility. Scholastic Reaction to Copernicanism in the Seventeenth Century, « Transactions of the American Philosophical Society », n.s., lxxiv, parte 4, 1984, pp. 20-30 ; Idem, Planets, Stars and Orbs, cit., pp. 630-637 ; H. Hugonnard-Roche, L’Œuvre astronomique de Thémon Juif. Maître parisien du xive siècle, Ginevra-Parigi, Droz-Minard, 1973, pp. 80-85 (riguardo a Themo Judei, Alberto di Sassonia e Oresme) ; W. K. A. Vogel, Sphaera terrae, cit., pp. 247-263, 283 ; L. Andreini, Gregor Reisch e la sua Margarita philosophica, cit., pp. 96-100, 139 ; A. De Pace, Commentario, cit., p. 329, nota 90. 1 Pierre d’Ailly, Quaestiones [riguardo a Johannes de Sacrobosco De sphera mundi], cit., segn. e2v : « Quarta conclusio est quod centrum gravitatis aggregati ex aqua et terra est in medio firmamenti » (si veda anche ivi, segn. e3r), discusso da W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., pp. 3839 ; E. Grant, Planets, Stars and Orbs, cit., p. 635, and Idem, In Defense, cit., p. 26. Si vedano anche Pierre d’Ailly, Imago mundi, con opere di altri autori, [Lovanio, Johannes de Westfalia, ca 1480-82], segn. a6r, cap. 4, il quale cita questa opinione (discusso da W. K. A. Vogel, Sphaera terrae, cit., pp. 247-263) ; e similmente Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], cit., segn. e2va (ii.1) : « Et tamen quidam oppinantur quod mare cum terra facit unum pondus cuius aggregati centrum gravitatis est idem cum centro m[u]ndi sic quod centrum gravitatis terre non sit in centro m[u]ndi nec centrum gravitatis aque nec magnitudinis licet centrum gravitatis ex his ambobus ag[g]regatum est ». 2 Marsilius de Inghen, Questiones subtilissime super octo libros phisycorum, cit., c. 49rb (iv.5) : « quod non esset nisi aqua contineretur infra terram et esset minor terra ». 3 Ivi, c. 49rb (iv.5), citato supra, p. 27, nota 1. Francesco Capuanus, Expositio (1518), cit., fol. 37rb, discutesse quest’opinione esaurientemente rifiutandola, poiché la sfera dell’acqua, il cui volume era molto maggiore di quello della terra, essendo diafana, non proiettava alcuna ombra. Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], cit., segn. b2va-vb (i.6) suggerì che l’esistenza delle zone di terraferma abitabili che si proiettavano sopra la sfera dell’acqua poteva essere spiegata supponendo che ci fosse molta più terra che acqua, sempre che le nuvole e il vapore nella sfera dell’aria non venissero prese in considerazione.
36 copernico e la gravità nalmente sospetta. Altrettanto incerte erano le ipotesi che il centro del composto sferico di acqua-e-terra, diversamente da quello delle due sfere elementari distinte, coincidesse con il centro del cosmo. Alberto di Sassonia abbracciò tale visione nel suo Questiones sulla Fisica, ma la rifiutò più tardi nel suo Quaestiones sul De caelo. 1 Themo Judei era ugualmente esitante, e accettò tale idea in una delle sue opere, per poi rifiutarla in un’altra. 2 Le convinzioni di Copernico, invece, erano chiare. Esse si basavano sulle reazioni a due ‘scoperte’ tipiche del Rinascimento. Tali reazioni erano state formulate, nel xv e xvi secolo, prevalentemente (ma non solo) al di fuori dei circoli scolastici. La prima fu la riscoperta della Geografia di Tolomeo, che arrivò in manoscritto in lingua greca durante il soggiorno di Crisolora a Firenze (2 febbraio 1397-9 maggio 1400). Crisolora iniziò a tradurlo in latino, Iacopo di Angelo da Scarperia proseguì l’opera, che portò a compiamento prima del mese di maggio dell’anno 1410. 3 Tolomeo, similmente a Copernico, 4 rappresentava gli oceani come acque che riempivano le concavità della superficie della terra ; e la sua griglia di latitudini e longitudini presupponeva che la terra e l’acqua costituissero una superficie sferica continua il cui centro coincideva con il centro del cosmo. 5 Gli autori latini del Medioevo conoscevano l’interpretazione di Tolomeo attraverso i riassunti arabi, ma non le prestarono molta attenzione. 6 La sua importanza diventò evidente solo nel xv e all’inizio del xvi secolo. 7 La seconda fu l’esplorazione, che aveva dimostrato – fece notare Copernico – non solo che l’orbis terrarum era, come aveva suggerito Tolomeo, più esteso di quanto si fosse immaginato fino ad allora, ma che c’erano anche altre grandi masse di terra. La prova di tutto ciò erano le terre recentemente scoperte dai navigatori che lavoravano per i re della Spagna e del Portogallo, terre delle quali l’America costituiva l’esempio più lampante. Quest’ultima era un’altra delle molte ‘isole’ sparse lungo 1 Cfr. Alberto di Sassonia [ ?], Quaestiones in Aristotelis Physicam, cit., iv.5, p. 645, e Alberto di Sassonia, Quaestiones in libros Aristotelis De caelo, cit., ii.25, p. 418 (che rifiuta questa interpretazione) ; discusso da E. Grant, Planets, Stars and Orbs, cit., pp. 632-635. 2 H. Hugonnard-Roche, L’Œuvre astronomique de Thémon Juif, cit., pp. 81-85 ; E. Grant, Planets, Stars and Orbs, cit., pp. 634-635. Riguardo a Themo e il suo commento ai Meteorologica, si vedano C. Lohr, Medieval Latin Commentaries. Authors: Robertus – Wilgelmus, Traditio, xxix, 1973, pp. 93-197: 152-153; H. Hugonnard-Roche, L’Œuvre astronomique de Thémon Juif, cit.; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., indice, s.v. ‘Themon Judaeus’. 3 P. G. Dalché, The Reception of Ptolemy’s Geography, cit., pp. 287-292. 4 Si veda supra, p. 30. 5 Claudio Tolomeo, Geographia, i.ii.8, a cura di K. F. A. Nobbe, i, pp. 7.29-8.5 ; Antonio De Nebrijia, In cosmographiae libros introductorium, cit., segn. a1r : « Principio supponendum nobis est, id quod facile a physicis mathematicisqe probatur, superficiem terrae simul et aquae sphaericam esse, atque idem communeque centrum habere cum centro mundi » ; W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., pp. 21-22 ; Idem, Classical Models of World Geography, cit., pp. 16-17, 64, 35-36. Similmente Strabone, Geographica, a cura di G. Kramer, 3 voll., Berlino, 1844-52, i, p. 167.19-20 (II.v.5), citato da, per es., Joachimus Vadianus, [Epistola ad Rudolphum Agricolam], in Rudolf Agricola, [Epistola ad Ioachimum Vadianum], Vienna, Johann Singriener il Vecchio, 1515, segn. B3r. 6 W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., p. 18 ; P. G. Dalché, The Reception of Ptolemy’s Geography, cit., p. 000. 7 W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., pp. 41-43.
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano 37 1 la superficie del globo e poteva pertanto essere considerata come un secondo orbis terrarum. Opinioni di questo genere erano divenute sempre più comuni durante la vita di Copernico. 2 Nel suo commento al Libro dei Salmi, pubblicato originalmente nel 1488, il teologo agostiniano Jacob Pérez de Valencia qualificò come irrazionali i tradizionali argomenti teologici e filosofici che sostenevano la proiezione della terra sopra la sfera dell’acqua. 3 I viaggi per mare e per terra avevano infatti dimostrato che la concezione tolemaica del globo era corretta. 4 Contrariamente a quanto si riteneva generalmente, c’era più terra che acqua e, ad ogni modo, quest’ultima fluiva attraverso innumerevoli canali come il sangue nelle vene. 5 Come spiegava infatti 4 Esdra, la quantità di terra era sette volte maggiore rispetto alla quantità d’acqua. 6 D’altra parte, Raffaello Maffei da Volterra, nel suo Commentariorum urbanorum libri xxxviii (1506), notava che la scoperta del Nuovo Mondo aveva smentito l’idea che ci fosse dieci volte più acqua che terra. 7 Nel 1515, il geografo umanista e futuro riformatore Joachim Vadianus pubblicò una lettera nella quale, tra le altre cose, sosteneva che la scoperta del Nuovo Mondo, insieme a quanto Georg Peurbach aveva scritto nel suo commento (ora perduto) sulla Sphera di Sacrobosco, provava che la terra si proiettava fuori dall’acqua « come una bassa lingua di terra fuori da un lago o da una palude » e che la terra e l’acqua formavano insieme un singolo globo. 8 Una xilografia tratta dal Cosmographicus liber di Pietro Apiano, pubblicato per la prima volta nel 1524, esemplifica il concetto (Fig. 5). Al centro del cosmo si trova una sfera composta di masse terrestri frammezzate a regioni acquee. Verso la metà del xvi secolo, i viaggi di ‘scoperta’ avevano convinto molte persone che la terra e l’acqua formavano una sfera « omogenea » e che, tra le due, la terra era l’elemento preponderante. 9 1
2 Si veda supra, pp. 29-30. Ivi, pp. 65-67. Jacob Pérez de Valencia, Comentum noviter edditum in [Ps]almos David, cit., segn. ii2vb- ii3ra, citato da W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., pp. 21-26 ; Idem, Classical Models of World Geography, cit., pp. 41-42 (il rimando bibliografico qui è errato). 4 Jacob Pérez de Valencia, Comentum noviter edditum in [Ps]almos David, cit., segn. ii3ra. 5 Ivi, segn. ii3ra, ii4vb-ii5ra. Si veda inoltre ivi, segn. ii5rb : « Ex quibus patet quod mare non continet terram ymo continetur inter montes et litora terre ». 6 Ivi, segn. ii7ra : « Ex quibus patet quod mare non est tantum unum nec continet terram, ut vulgares autumpnant, ymo sunt multa maria inter montes contenta et terminata, ut ait Ptholomeus prout dictum est. Nec mare est maius terra, ut quidam putant, ymo terra est maior in spacio septies quam omnia maria, ut legitur in tercio libro esdre capitulo vi, ubi dicitur ‘[4 Esdra 6 :42] Et tercia die imperasti aquas congregari in septima parte terre, sex vero partes terre sicasti et conservasti ut ex his sint coram te ministrantia seminata a deo et oculta [o piuttosto : ‘culta’]’. ‘[4 Esdra 6 :47] Et in quinto die dixisti septime parti ubi erat aqua congregata ut procrearet animalia et volatia et pisces et ita fiebat’. » 7 Raffaello Maffei da Volterra, Commentariorum urbanorum libri xxxviii, il quale include la traduzione di Maffei dell’Oeconomicus di Senofonte, Roma, J. Besicken, 1506, segn. 5v (ii) ; W. G. L. Randles, Classical Models of World Geography, cit., pp. 64-65. 8 Joachimus Vadianus, [Epistola ad Rudolphum Agricolam], cit., segn. B2r, B3r. Riguardo alla spiegazione di Vadiano, si vedano W. G. L. Randles, De la Terre plate au globe terrestre, cit., pp. 45-46 ; Idem, Classical Models of World Geography, cit., pp. 66-67 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., p. 635. 9 Élie Vinet, Scholia, in Johannes de Sacrobosco, Sphaera ... emendata, che contiene opere di altri autori riguardo alla Sphaera, Parigi, G. Cavellat, 1562, fol. 17v : « Homogeneum eiusdem generis et naturae, ex Graeco ojmogenªhvº~, terra autem et aqua globum unum constituunt, quarum dubitatum est aliquando utra maior esset. Quidam aquam putaverunt. Sed si non fallunt, qui nuper orbem lustraverunt descripseruntque, terrae quam aquae facies maior est ». 3
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copernico e la gravità
Fig. 5. Peter Apian, Cosmographicus liber, Landshut, Johann Weissenburger per Peter Apian, 1524, p. 6. Le sfere sono disposte come nella Fig. 1, ad eccezione delle sfere dell’acqua e dell’aria, che qui formano un globo terracqueo composito invece che due sfere distinte. (Reisch, contrariamente a quanto mostrato nell’illustrazione al suo testo [vedi Fig. 1], chiarisce infatti che la terra e l’acqua formano un globo ‘terraqueo’). Immagine riprodotta col permesso della ucl Library, Special Collections.
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano 39 La conclusione che la terra e l’acqua facevano pressione verso un centro comune per formare un globo composito dotato di una superficie sferica continua era essenziale per la cosmologia di Copernico. La Terra – il globo terracqueo – era un pianeta e, in quanto tale, doveva essere una sfera perfetta. 1 La forma sferica favoriva infatti il moto circolare dei pianeti. Copernico perciò, avendo stabilito che la terra e l’acqua formavano un singolo e perfetto corpo sferico nel capitolo 3 del primo libro, inizia il quarto capitolo introducendo l’idea che il moto appropriato per una sfera è quello circolare. 2 La supposizione che i due elementi avessero due centri gravitazionali separati avrebbe introdotto complicazioni a dir poco sgradite nella sua spiegazione dei moti della terra. La spiegazione del globo terracqueo che egli offre nel capitolo 3 del primo libro, per quanto possa sembrare modesta, rappresenta dunque un momento emblematico. In esso convergono infatti tre avvenimenti tipicamente rinascimentali, tra i più importanti per il pensiero europeo : la reintegrazione delle opere scientifiche dell’Antica Grecia le quali erano state precedentemente ignorate, la ‘scoperta’ del Nuovo Mondo e l’ipotesi eliocentrica. Aria e fuoco Due regioni di aria circondavano questo ‘globo terracqueo’. La prima, che lo circondava da vicino, era una regione d’aria detta da Copernico propinquus aer, nella quale erano sospese nuvole e altro (gli uccelli, per esempio) 3 e corrispondeva alla regione d’aria che Aristotele e gli scolastici situavano sotto la cima delle montagne. Nel cosmo di Copernico questa regione d’aria e tutto ciò che essa conteneva, seguiva la rotazione diurna della Terra. 4 Passando in rassegna possibili argomentazioni a favore della rotazione della Terra attorno al proprio asse al centro del cosmo, Tolomeo e gli scolastici avevano menzionato quest’ipotesi, per poi però rifiutarla. 5 Se la Terra, assieme all’aria, avessero seguito questo moto violento – era stato il commento di Tolomeo – allora i corpi posizionati nella regione dell’aria e composti di elementi diversi (che a loro volta seguivano i loro rispettivi moti naturali), sarebbero rimasti indietro. Oppure, se questi corpi fossero stati ‘bloccati’ in quella posizione dall’aria, e avessero ruotato con essa, allora non sarebbero stati capaci di moto autonomo, e questa conclusione entrava in contraddizione con quanto si poteva osservare quotidianamente. Copernico rispose che sostenere che la regione 1
Copernico, De revolutionibus, cit., i.1-2, pp. 7.3-8.4. Vedasi inoltre infra, capitolo 6. Ivi, i.4-5, pp. 9-11. Vedi infra, pp. 47, 51, 81. 3 L’espressione propinquus aer per lo strato di aria al di sotto delle cime delle montagne, sebbene inusuale, non fu sua invenzione ; si veda, per es., Tommaso d’Aquino, In De caelo et mundo, cit., ii.24.4, p. 213. 4 Copernico indicò brevemente nel Commentariolus che l’aria ruotava insieme alla terra, o globo ‘terracqueo’ ; see Idem, Commentariolus, cit., p. 186 : « Terra igitur cum proximis elementis motu diurno tota convertitur in polis suis invariabilibus firmamento immobili permanente ac ultimo caelo » ; ivi, p. 190 : « Sic quidem terra cum circumfluis aqua et vicino aere volvitur ». 5 Claudio Tolomeo, Syntaxis mathematica [cioè Almagesto] i.7, in Opera [ ...] omnia, a cura di J. L. Heiberg et alii, 3 voll. in 5 parti impaginate separatamente, Lipsia, Teubner, 1898-1998, i, parte 1, pp. 25-26 (Almagest, traduzione inglese di G. J. Toomer, Londra, Duckworth, 1984, p. 45); Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., ii.22, p. 504.24-26; Regiomontanus ( Johannes Müller), Epytoma in Almagestum Ptolomei, Venezia, Johannes Hamman per Kaspar Grossch e Stephan Roemer, 1496, i.5, segn. a6v; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 642-644. 2
40 copernico e la gravità inferiore dell’aria seguiva il movimento del globo terracqueo non era più strano che affermare – come avevano fatto Aristotele e altri 1 – che la regione superiore dell’aria seguiva il moto celeste. 2 Il pianeta Terra era, come abbiamo visto sopra, una sfera « perfetta » composta di terra ed acqua. L’aria non era una delle sue parti essenziali. 3 Per quale motivo allora essa si muoveva con la terra ? Copernico propose due spiegazioni a sostegno del moto circolare del propinquus aer. In primo luogo, il propinquus aer si mescolava con la terra e l’acqua del globo terracqueo, e dunque assumeva la sua natura (ed il moto naturale della stessa). Quest’ipotesi derivava probabilmente dalla tesi scolastica, fondata su Aristotele e Averroè, secondo la quale l’acqua e la terra raffreddavano l’aria circostante, rendendola più spessa e dotandola di una pesantezza ‘preternaturale’.4 In secondo luogo, l’aria partecipava al moto diurno della terra senza opporre resistenza (mantenendo – potremmo aggiungere – la sua natura originaria e la sua proprietà intrinseca di muoversi o rimanere ferma). 5 L’assenza di resistenza era condizione importante. Se avesse mantenuto un suo moto proprio, o una sua propria tendenza a rimanere immobile, il propinquus aer avrebbe ruotato a una velocità differente da quella del globo terracqueo e avrebbe costantemente prodotto del vento. Questa seconda spiegazione faceva uso dell’idea scolastica secondo cui il fuoco e l’aria, per quanto naturalmente inclini a rimanere immobili all’interno delle loro sfere, non opponevano resistenza al moto circolare imposto da un agente superiore. 6 Al di sopra del propinquus aer c’era una seconda regione d’aria che non si muoveva con la terra: « possiamo dire che, per la grande distanza di questa regione dell’aria dalla terra, essa è priva del moto terrestre ». 7 Non essendo mescolata con terra o acqua, essa corrispondeva, per composizione, all’aria più elevata e limpida della cosmologia aristotelica, che si trovava tra le vette delle montagne e la sfera del fuoco. Era questa la regione nella quale, secondo la dottrina convenzionale come riportata da Copernico, si opinava che fossero state generate le comete. 8 Quanto in alto arri1
Si veda supra, p. 19. Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.24-25. 3 Al contrario, i commentatori greci di Aristotele avevano annotato che le sfere dell’aria e dell’acqua perfezionavano la sfericità della terra ; si veda ; see Olympiodorus, In Aristotelis meteora commentaria, cag, xii, pt 2, p. 27.22-25 ; P. M. Duhem, Le Système du monde, cit., ix, p. 97. 4 Per es., Petrus de Alvernia, nella sua continuazione del commento di Tommaso d’Aquino al De caelo et mundo, cit., iv.3, p. 200 ; Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], cit., segn. b6vb (i.9). 5 6 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.21-24. Si veda supra, p. 23. 7 Ivi, i.8, p. 15.27-28 : « Nos ob magnam a terra distantiam eam aeris partem ab illo terrestri motu destituam dicere possumus ». 8 Ivi, i.8, p. 15.24-27. Per le possibili fonti, si vedano A. Birkenmajer, Anmerkungen, in Niccolò Copernico, Über die Kreisbewegungen der Weltkörper. Erstes Buch, traduzione tedesca con testo latino a fronte di G. Klaus, con introduzione dello stesso e commento di A. Birkenmajer, Berlino, Akademie-Verlag, 1959, pp. 125-126 ; A. Birkenmajer, Commentarius, i.1-11, in Niccolò Copernico, De revolutionibus libri sex, a cura di R. Gansiniec et alii (= Niccolò Copernico, Opera omnia, ii), Varsavia, Officina Publica Libris Scientificis Edendis, 1975, p. 367. Secondo alcuni commentatori, quello che Copernico dice in questo luogo dimostra che egli adottava la teoria convenzionale di Aristotele sulle comete ; si vedano J. L. Jervis, Cometary Theory in Fifteenth-Century Europe, cit., p. 123 ; F. Schmeidler, Kommentar zu De revolutionibus, in cga, iii, parte 1, 1998, p. 82. A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 367, sostiene – a mio avviso giustamente – che Copernico parlava di comete solo per dimostrare che gli aristotelici e gli scolastici erano 2
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano 41 vava questa seconda regione d’aria ? Copernico non lo dice, ma i suoi commenti sul fuoco suggeriscono che arrivasse almeno fino alla Luna. Certamente non era racchiusa all’interno della sfera sublunare del fuoco. L’esperienza quotidiana insegnava che il fuoco guizzava inizialmente verso l’alto, ma non perché fosse in cerca della sfera del fuoco. Per natura, il fuoco esplodeva diffondendosi in ogni direzione e ingigantiva qualsiasi cosa invadesse, e lo faceva con una forza tale che, se imprigionato, distruggeva ciò che lo imprigionava. Nessun congegno (machina) poteva contenerlo. Copernico stava pensando, forse, in particolare all’esplosione prodotta dalla polvere da sparo. 1 Dunque, l’espansione era un moto dal centro verso la circonferenza. Immaginando – come sembra essere la premessa – che la terra sia il punto in relazione al cosmo, allora era vero che la fiamma, nell’espandersi, si muoveva in linea retta verso l’alto. 2 Questo moto, tuttavia, secondo Copernico, si estingueva una volta che la materia terrestre, che alimentava il fuoco, fosse completamente combusta. 3 Il ‘fuoco terrestre’ era alimentato principalmente da ‘materia terrestre’. Su questo punto Copernico attinge all’idea aristotelica e scolastica che il fuoco o fiamma (flovx nella terminologia di Aristotele) sia ‘fumo ardente’, 4 e il fumo – come insegnava Aristotele – era composto di aria e terra. 5 Insomma, il fuoco non saliva verso l’alto a produrre una sfera di materiale infiammabile, to; uJpevkkauma del tipo che Aristotele e altri avevano immaginato. Il fuoco non andava oltre il propinquus aer. Questa interpretazione chiarisce le enigmatiche osservazioni che Copernico fa nel decimo capitolo del libro primo, dove discute la posizione di Mercurio e Venere negli ordini geostatici e geocentrici dei pianeti. In quella che era divenuta la spiegazione convenzionale, Mercurio e Venere erano situati, in tale ordine, tra la Luna e il Sole. 6 Una spiegazione di questo tipo comportava l’attribuzione a Venere di un grande epiciclo, così grande, notava Copernico, da poter contenere le sfere della terra, dell’aria, dell’etere, della Luna e di Mercurio. 7 Seguendo in questo caso l’uso platonico, Copernico impiegava il termine aether per indicare la sfera sublunare più esterna, 8 distinguendolo così dal fuoco terrestre dell’esperienza quotidiana. Se si risale indietro di d’accordo nel sostenere che uno strato dell’aria – a loro avviso lo strato superiore, a suo avviso, invece, lo strato inferiore – poteva assumere il moto rotatorio di un corpo contiguo. 1 Come proposto da A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 368 ; E. Rosen, ccw, ii, p. 353. 2 3 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.36-39. Ivi, i.8, p. 16.11-13. 4 Ivi, i.8, pp. 15.34-39 : « Nam et terrestris hic ignis terrena potissimum materia alitur, et flammam non aliud esse definiunt quam fumum ardentem » ; e ivi, i.8, p. 16.11-13. Per quanto riguarda la definizione del fuoco come fumo che brucia, si vedano Aristotele, De generatione et corruptione, ii.4, 331b25-26 ; Idem, Meteorologica, iv.9, 388a2. Aristotele fa anche riferimento alle fiamme (flovx) come ‘vento che brucia’ o ‘aria secca’ ; si vedano ivi, i.4, 341b21-22, iii.1, 371a33-b2 ; iv.9, 388a2. E. Rosen, ccw, ii, p. 353, sostiene che Copernico abbia ripetuto « proprio la stessa terminologia » che si trova nella continuazione, a opera di anonimo, del commento di Tommaso d’Aquino sulla Meteorologia (In libros meteorologicorum, cit., iv.13.3, p. cxxxix) : « et propter hoc flamma non est aliud quam spiritus sive fumus ardens ». A riprova di ciò, esiste un passo del commento di Tommaso sulla Fisica (In octo libros Physicorum, cit. iii.2.6, p. 106) : « quia flamma non est nisi fumus ardens ». Tuttavia, Copernico potrebbe aver incontrato la terminologia in modo indiretto, piuttosto che averla appresa direttamente da Tommaso. 5 Aristotele, De generatione et corruptione, ii.4, 331b26. 6 7 Copernico, De revolutionibus, cit., i.10, p. 18.1-29. Ivi, p. 18.26-29. 8 Platone, Timeo, 58d1-2 ; ps. Plutarco (i.e., Aëtius), Placita philosophorum, ii.7, 887d, a cura di J. Mau, Moralia, v.ii, 1, Lipsia, Teubner, 1971, p. 83.20-21, che riporta le opinioni di Platone ; vedi D. Knox, Ficino and Copernicus, cit., p. 412, nota 54, per ulteriori fonti classiche e rinascimentali.
42 copernico e la gravità due frasi nel testo di Copernico si trova conferma di tutto ciò. Il grande spazio tra la terra e la Luna era riempito d’aria e da ciò che era chiamato l’elemento igneo : « non sappiamo che nulla sia contenuto in questo grande spazio tranne l’aria e anche, se volete, ciò che è chiamato elemento igneo » (nihil tamen aliud in tanto spatio novimus contineri quam aerem, et si placet etiam, quod igneum vocant elementum). 1 Nell’olografo, « aethera » appare, sbarrato, tra « etiam » e « quod ». La seconda parte della frase si leggeva dunque originalmente in questo modo : « e anche, se volete, aethera, il quale è chiamato l’elemento igneo » (et si placet etiam aethera quod igneum vocant elementum). 2 Non è chiaro però perché il termine aethera sia stato cancellato. Forse qualcun’altro, sconcertato dall’uso insolito di aether per indicare la sfera sublunare, lo cancellò, lasciandolo stare però alla seconda occorrenza, credendo che Copernico si riferisse in quel caso all’etere nel tradizionale senso aristotelico. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che Copernico dubitava che una sfera sublunare del fuoco fosse un postulato necessario anche in una normale cosmologia geostatica e geocentrica. Questo è quanto ci dice l’espressione parentetica « si placet » nel passo citato. Nel cosmo eliocentrico di Copernico, una sfera sublunare del fuoco aveva ancora meno senso. Se la sfera superiore dell’aria non partecipava alla rivoluzione diurna della terra o globo terracqueo a causa della sua distanza da essa, perché avrebbe dovuto farlo una sfera sublunare del fuoco ancora più lontana ? La deduzione più ovvia che si possa fare dai vari commenti di Copernico sulle due regioni dell’aria è che l’aria superiore fosse contingua all’elemento celeste o che si identificasse proprio con l’elemento celeste. Quest’ultima interpretazione era difatti avanzata da studiosi copernicani come Christoph Rothmann e Paolo Antonio Foscarini. 3 Foscarini spiegò nei minimi dettagli le ragioni di questa conclusione in una lettera a Galileo, scritta nel 1615 o 1616. 4 L’esistenza di una sfera ignea era incompatibile con la tesi che la terra si muovesse con un moto diurno e con un moto di rotazione attorno al Sole. Una sfera composta di un elemento così tenue e che si disperdeva così facilmente come il fuoco non avrebbe potuto mantenere la sua forma se si fosse mossa assieme alla terra, considerata l’elevata velocità con cui la Terra si muoveva con moto diurno e con moto di rotazione attorno al Sole. 5 Inoltre : sarebbe un grande e sovercio confarcinamento il porre una congerie tanto grande di terra, aqua, aere et fuoco, conglobati l’uno sopra l’altro, andar ravvolgendosi et caminando oltre 1
2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.10, p. 18.22-24. drh, c. 8v. Christoph Rothmann, lettera a Tycho Brahe, 18 aprile 1590, in Tycho Brahe, Epistolarum astronomicarum libri, Uranienborg, ‘ex officina typographica authori’, 1596, pp. 185-186, che, dopo aver riassunto la dottrina della gravità, commenta che la terra rimane liberamente sospesa nell’aer ; Paolo Antonio Foscarini, Lettera ... sopra l’opinione de’ Pittagorici, e del Copernico, della mobilità della terra, e stabilità del Sole, e del nuovo pittagorico sistema del mondo, Napoli, L. Scoriggio, 1615, p. 55 (con rinvio a ivi, pp. 45-46) ; Idem, lettera a Galileo Galilei, 1615-16, in Galileo Galilei, Le opere, a cura di A. Favaro et alii, 20 voll., Firenze, Barbèra, 1890-1909, xii, pp. 215-220. La lettera, priva di firma, è quasi certamente di Foscarini. Come mi riferisce gentilmente Andrew Campbell, che sta completando una tesi di dottorato su Antonio Foscarini, l’espressione « l’occhiale di prospettiva » usata nella lettera a p. 219, è caratteristica di Foscarini. Per l’interpretazione di Rothman, si veda M. A. Granada, The Defence of the Movement of the Earth in Rothmann, Maestlin and Kepler. From Heavenly Geometry to Celestial Physics, in Mechanics and Cosmology in the Medieval and Early Modern Period, a cura di M. Bucciantini et alii, Firenze, Olschki, 2007, pp. 95-119 :101. 4 Paolo Antonio Foscarini, lettera a Galileo Galilei, 1615-16, cit., pp. 217-219. 5 Ivi, p. 218. 3
ii. elementi e struttura del cosmo copernicano
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per l’aura etherea senza punto di disconciamento, e così fare un moto velocissimo di molte migliaia di migliaia l’hora, senza punto variare nè disturbare loro siti nè le loro simmetrie, ove sono per lo più tenuissimi. 1
Dovremmo perciò supporre che si muovano solo « il globo della terra e dell’acqua, che fanno una perfetta sfera » – un’allusione al concetto di Copernico riportato sopra. 2 In tal caso l’aria sarebbe il corpo contenitore attraverso il quale si muoveva il globo terracqueo e non un elemento che si muoveva insieme ad esso : il che mi pare più ragionevole che non è porre sopra l’aere l’elemento del fuoco, et fare ch’esso fuoco disopra e disotto habbia aere, disotto come sfera elementare, et di sorpa come corpo continente et universalmente ambiente tutti i corpi planetarii et stellari, insieme con i moti loro. 3
Qualunque fosse il valore dell’interpretazione di Foscarini, Copernico evidentemente non desiderava rimanere coinvolto in questo od in altri problemi connessi riguardanti la composizione degli spazi tra il Sole e i pianeti. Torneremo in seguito su questo problema. Il fatto di designare l’aria come l’elemento celeste, va pur detto qui, non risolve necessariamente (per quanto sia allettante pensare il contrario) la controversa questione se Copernico pensasse che le sfere celesti fossero astrazioni geometriche oppure oggetti fisici e, in quest’ultimo caso, in che senso fossero ‘solidi’. 4 L’etere supralunare della cosmologia convenzionale era più sottile dell’aria, un fatto che non impedì ad alcuni pensatori scolastici anteriori a Copernico di ritenere che le orbite celesti, sebbene costituite dalla quintessenza, fossero completamente rigide o rigide almeno alle loro superfici. 5 Themo Judei suggerì che le sfere erano corpi 1
2 3 Ibidem. Si veda supra, pp. 29-39. Ivi, p. 218. C. Frisch, in Johannes Kepler, Opera omnia, a cura di C. Frisch, 8 voll., Frankfurt a.M.-Erlangen, Heyder & Zimmer, 1858-1871, iii, p. 464, e, in accordo con Frisch, E. Rosen, Three Copernican Treatises. The Commentariolus of Copernicus, The Letter against Werner, The Narratio prima of Rheticus, New York, Columbia University Press, 1939, pp. 11-12, 18-21, affermano che Copernico non dichiarò esplicitamente se le sfere celesti fossero astrazioni geometriche o realtà fisiche. N. Swerdlow, The Derivation, cit., pp. 435, 466-467, 489), sostiene che Copernico seguiva l’idea, proposta, sempre secondo Swerdlow, dagli astronomi latini a partire dalla fine del tredicesimo secolo fino ai suoi giorni, che i pianeti fossero trasportati dalle sfere rigide in cui erano fissati. E. Rosen, Copernicus’ Spheres and Epicycles, « Archives internationales d’histoire des sciences », xxv, 1975, pp. 82-92, criticava questa interpretazione. N. Swerdlow, Pseudodoxia Copernicana, « Archives internationales d’histoire des sciences », xxvi, 1976, pp. 108-158, e E. Rosen, Questions, réponses, et répliques. Reply to N. Swerdlow, ivi, pp. 301-304, continuò il dibattito. La maggior parte degli studiosi concordano al giorno d’oggi sul fatto che Copernico riteneva che le sfere fossero ‘solide’, ma mettono in questione se lui (o gli autori scolastici prima di lui) pensasse che la ‘solidità’ implicasse la rigidità di tali sfere. Per una ulteriore discussione del tema, si vedano R. S. Westman, The Astronomer’s Role, in The Sixteenth Century. A Preliminary Study, «History of Science», xviii, 1980, pp. 75-117: pp. 112-116 ; E. J. Aiton, Celestial Spheres and Circles, «History of Science», xix, 1981, pp. 75-114 : 96-97, 111 nota 192 ; N. Jardine, The Significance of the Copernican Orbs, « jha », xiii, 1982, pp. 168-194 :168-180 ; M.-P. Lerner, Le Problème de la matière céleste après 1550. Aspects de la bataille des deux fluides, « Revue d’histoire des sciences », xlii, 1989, pp. 255-280 : 263-265 ; P. Barker, Copernicus, the Orbs, and the Equant, « Synthese », lxxxiii, 1990, pp. 317-323 ; E. Grant, Celestial Orbs in the Latin Middle Ages, « Isis », lxxviii, 1987, pp. 152-173 (172-173), Idem, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 346-347 ; M.-P. Lerner, Le Monde des sphères, cit., i, pp. 131-138, ii, pp. 67-73 ; A. Goddu, Copernicus, cit., pp. 370-380 ; A. De Pace, Introduzione, cit., pp. 55-61. 5 E. Grant, Celestial Orbs, cit., pp. 168-169 ; Idem, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 304-305, 330-331, 338344, 346, 361 ; N. Jardine, The Significance of the Copernican Orbs, cit., p. 175. 4
44 copernico e la gravità rigidi. Nel suo commento ai Meteorologica descrisse il cielo e ognuna delle sue parti come quintessenza, il « più rarefatto » (rarissimus) degli elementi, più fino del fuoco e dell’aria sottostanti. Eppure il cielo era « un corpo duro, non fluido ». 1 Almeno in teoria, Copernico, se messo alle strette, avrebbe potuto citare precedenti di questo tipo per sostenere che le sfere celesti, seppur composte d’aria, erano ‘rigide’. Il suo silenzio sul tema è il fatto più significativo di cui disponiamo in relazione alla natura delle orbite celesti. 1 Themo Judei, [Questiones in Meteorologicam Aristotelis], cit., segn. a3vb (i.2) : « celum agit in ista inferiora capiendo celum pro quinta essentia et pro qualibet parte quinte essentie » ; a7ra (i.4) : « Quintum celum est rarissimum omnibus [...] Antecedens probatur nam ipsum [scil. celum] est rarius igne existente sub ipso vel aere » ; a7va (i.4) : « quia celum est corpus durum influxibile [...] sed ignis in propria sibi materia non est durus et influxibilis ut patet per experientia » ; a7vb (i.4) : « dicendum quod si celum esset ignis non posset esse durum nec fluxibile naturaliter ut apparuit ratione prima prime conclusionis [vedi segn. a7rb-va] ».
iii. LA DOTTRINA COPERNICANA DELLA GRAVITÀ
S
ullo schema del globo terracqueo illustrato nel precedente capitolo Copernico elaborò la dottrina del moto dell’acqua e della terra quale risulta nei capitoli settimo, ottavo e nono del primo libro del De revolutionibus. Nel settimo capitolo fece un resoconto della dottrina tradizionale, anche se semplificata, degli elementi, riassumendo le tesi sui corpi semplici e sul moto semplice contenute nel De caelo di Aristotele. In esso illustrò anche le considerazioni a sfavore del moto rotatorio diurno della terra al centro del cosmo contenute nell’Almagesto di Tolomeo. 1 Nell’ottavo capitolo presentò, invece, la sua idea alternativa, la dottrina chiave che gli permetteva di illustrare come il suo modello rispecchiasse l’universo fisico. I corpi semplici – come insegnavano Aristotele e la Scolastica – avevano ciascuno un moto semplice. In una cosmologia eliocentrica questo moto semplice non poteva essere rettilineo per due motivi. Primo, il globo terracqueo osservava un moto circolare costante e le parti, quand’anche rimosse dall’intero globo, mantenevano la stessa ‘natura’, vale a dire, in questo caso, lo stesso moto. 2 Cioè, nel tornare verso le loro sfere, in alto o in basso, i corpi semplici, o, più esattamente, la terra, l’acqua e l’aria terrestre, o una combinazione di essi, non seguivano un moto rettilineo rispetto al cosmo nel suo insieme. 3 Essi seguivano piuttosto, contemporaneamente, 1 Copernico, De revolutionibus, cit., i.7, pp. 13.32-14.4, nel suo riassunto di Aristotele, De caelo, i.2-4, particolarmente i.2, 268b19-24, i.3, 270b28-31, e Claudio Tolomeo, Almagesto, cit., pp. 24-26, i.7 (traduzione di G. J. Toomer, cit., pp. 44-45). Copernico possedeva e annotò una copia della Almagesto (Syntaxis) di Tolomeo, con il commento di Teone di Alessandria, entrambi in greco, pubblicata a Basilea nel 1538 ; annotò, inoltre, una copia della Almagesto di Tolomeo tradotta dall’arabo in latino da Gerardo da Cremona e pubblicata a Venezia nel 1515 ; si vedano P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., pp. 367-368, 372 (Copernicana 10, 17). L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, Cracovia, Polska Akademia Umiejętności, 1900, pp. 242-292, 343-349, curò un’edizione e discusse le annotazioni di Copernico in entrambi i volumi. Copernico non annotò né lasciò segni su Almagesto, i.7 (ed. in latino, Venezia 1515, cit., c. 4r-v ; ed. in greco, Basilea 1538, cit., pp. 5-6). A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit., pp. 202-226, non modificò le descrizioni fatte da Czartoryski di questo volume di Tolomeo. La somiglianza nell’uso delle espressioni – come ha notato E. Rosen, ccw, ii, pp. 341, 350-351 – dimostra che Copernico utilizzò anche la traduzione, a opera di Giorgio di Trebisonda, dell’Almagesto, pubblicato per la prima volta nel 1528. Cfr., per es., Copernico, De revolutionibus, cit., i.7, pp. 13.24, 13.25-28, 13.30, 14.10, e, rispettivamente, Claudio Tolomeo, Almagestum, traduzione latina di Giorgio di Trebisonda, Venezia, Lucantonio Giunta il vecchio, 1528, c. 3r : « ponderosaque omnia fieri ad ipsam » ; ivi c. 3r : « si gravia non impedirentur itaque a superficie terre non repercuterentur omnino ad ipsum centrum pervenirent, presertim quia linea etiam quae recte ad centrum ducit, ad rectos se illius planitiei semper angulos accomodat, quae in ipso incisionis contactu sphaeram attingit » ; ivi, c. 3r : « quae cadentia omnia in se receptat » ; ivi, c. 3v : « extra coelum quoque ipsum excideret » ; cfr. anche la citazione da ivi, c. 3v, riportata infra, p. 52 nota 3. 2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.32-34. Tommaso d’Aquino sostenne la stessa cosa quando argomentò a sfavore del moto circolare della terra, che era stato invece proposto, in modi diversi, dai Pitagorici e da Platone ; si veda Tommaso d’Aquino, In De caelo et mundo, cit., ii.26.2, cit., p. 218 : « idem est motus naturalis totius et artis » ; ii.26.4, p. 219. 3 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.31-32. Più precisamente la posizione e il moto dei pianeti sono relativi alla sfera immobile di stelle fisse postulata da Copernico ; si veda ivi, i.10, p. 20.3-5.
46 copernico e la gravità moto rettilineo e rotazione naturale in quanto parti del globo terracqueo. 1 Copernico escludeva da questo moto composto gli altri due moti che egli attribuiva alla Terra – la rivoluzione annua intorno al Sole da ovest a est sul piano dell’eclittica e l’oscillazione dell’asse, di durata di poco inferiore all’anno, che spiegava in parte, tra l’altro, le stagioni – in quanto il moto diurno era il suo moto caratteristico. 2 Secondo, anche senza tenere conto della rotazione diurna, un corpo semplice in movimento verso la sua sfera non seguiva un moto semplice e uniforme rispetto al globo terracqueo. Il peso intrinseco e la leggerezza di un corpo erano costanti. Se peso e leggerezza fossero stati l’unico principio regolatore del moto rettilineo di un corpo, allora – pensava Copernico – la velocità alla quale il corpo si muoveva verso l’alto, o cadeva, avrebbe dovuto rimanere la stessa. 3 Ma così non era. I corpi pesanti acceleravano durante la caduta. 4 Al contrario, il fuoco terrestre – come detto sopra – accelerava verso l’alto per poi, subito dopo, decelerare. Presumibilmente – sebbene Copernico non lo dica – l’aria bloccata nelle regioni della terra o dell’acqua, una volta liberata, accelerava il moto anziché muoversi con moto costante in alto verso il propinquus aer. Aristotele e i suoi commentatori avevano riconosciuto che gli oggetti pesanti o leggeri acceleravano quando tornavano verso i loro luoghi naturali e, al contrario, deceleravano quando se ne allontanavano (quando, ad esempio, un corpo pesante era lanciato in alto). 5 Alcuni autori scolastici che avevano affrontato la questione avevano suggerito che per ‘moto semplice’ Aristotele doveva probabilmente aver inteso un moto prodotto da un unico motore, la forma del corpo, piuttosto che un moto ‘non composto’. 6 Ma erano state date anche altre spiegazioni. Alberto di Sassonia, per esempio, aveva proposto che il moto accelerato di una pietra in caduta libera fosse propriamente ‘uniforme’, poiché tutte le parti della pietra si muovevano insieme a una stessa velocità in ogni particolare momento. 7 Per quanto riguarda la terra, l’acqua, e il fuoco, dunque, 1
Ivi, i.8, p. 15.33-34. Ivi, i.8, p. 16.29-30. Aveva già sostenuto questo nel suo Commentariolus, anche in quel caso senza spiegazione ; si vedano Copernico, Commentariolus, cit., p. 190 ; M.-P. Lerner, Le Monde des sphères, cit., ii, pp. 94-95. Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., ii.8, pp. 454.25-27, 455.9, nella sua interpretazione di Platone, Timeo, 40a9-b2, sosteneva che la rotazione assiale, piuttosto che la rotazione diurna attorno alla terra, fosse il movimento caratteristico (oijkeivo~) delle stelle fisse. 3 Per quanto riguarda l’assioma scolastico secondo il quale una forza costante produce una velocità costante, si veda A. Maier, An der Grenze, cit., p. 174. 4 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 16.8-11. 5 Aristotele, Fisica, v.6, 230b24-25 ; Idem, De caelo, i.8, 277a27-29, 277b5-6, ii.6, 288a20-21 ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., v.10.7, p. 265 ; Idem, In De caelo et de mundo, cit., i.17.10-11, ii.8.3, pp. 70, 150 ; Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., i.5, i.18, ii.12, pp. 249-250, 327, 438-444 ; Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., ii.14, pp. 330-346 ; A. Maier, An der Grenze, cit., pp. 174-175. Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.8, pp. 266.35-267.6, non era convinto della teoria, a suo parere accettata da tutti, secondo la quale i corpi accelerano il moto nell’avvicinarsi al loro luogo naturale. 6 Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., i.5, pp. 248-254, discusso da A. Funkenstein, Some Remarks on the Concept of Impetus and the Determination of Simple Motion, « Viator », ii, 1971, pp. 329-348 : 343-344. 7 Per es., Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., ii.13, pp. 322-323. Alberto riporta più avanti che alcuni pensatori, dei quali non fa il nome, usavano uniformitas in maniera inesatta per significare la regularitas del moto col quale un oggetto attraversa un’uguale distanza in un determinato periodo di tempo, e cioè col significato attribuitole da Copernico. Per quanto riguarda analoghe distinzioni scolastiche tra moto uniforme e moto regolare, si vedano Johannes Versor, Questiones super De celo et mundo, cit., c. 16vb-17va (De celo, ii.8), e Pierre d’Ailly, Questiones, cit., segn. c7r (qu. 3), il quale aggiunge 2
iii. la dottrina copernicana della gravità 47 Copernico sottilizzò su cosa costituisse il ‘moto semplice’, forse perché spinto dalla convinzione che il moto proprio di una sfera fosse solo quello circolare uniforme. 1 Il vero moto ‘semplice’, com’era evidente nel caso del moto circolare, era uniforme nel senso di costante (aequalis), cosa che Aristotele e i suoi commentatori non avevano sostenuto. 2 Per Aristotele, infatti, un contrasto tra la regione celeste e quella sublunare consisteva proprio nel fatto che il moto locale della prima, a differenza di quello della seconda, era uniforme, e – aggiungevano i commentatori – ‘costante’ (aequalis). 3 Queste due considerazioni confutavano la spiegazione tradizionale del moto semplice. Aristotele e i suoi seguaci avevano definito il moto semplice secondo un principio geometrico. Secondo loro, esistevano solo due linee semplici, ovvero uniformi, quella circolare e quella retta, e perciò – sempre secondo loro – esistevano solo due moti semplici, quello rettilineo in alto o in basso verso un centro, e quello circolare intorno a un centro. Tutte le altre linee e moti erano combinazioni di componenti rettilinee o circolari. 4 Questa distinzione – obiettava Copernico – era soltanto un’astrazione teorica, che non corrispondeva alla realtà fisica, come provavano le sue due argomentazioni secondo le quali i corpi semplici non osservavano un moto rettilineo vero e proprio. 5 Copernico ne deduceva che l’unico altro moto che il motus uniformis era a volte inteso in modo più ampio, così da assumere tutti e due i significati ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 489-490. 1 Copernico, De revolutionibus, cit., i.4, pp. 9.19-10.24, sostiene che il moto dei corpi celesti è « aequalis ac circularis, perpetuus, vel ex circularibus compositus ». Per quanto riguarda la tesi di Copernico in questo capitolo, si vedano N. Jardine, The Significance of the Copernican Orbs, cit., pp. 180-182, e M. Wolff, Impetus Mechanics as a Physical Argument for Copernicanism. Copernicus, Benedetti, Galileo, « Science in Context », i, 1987, pp. 215-256 : 227-228 ; per quel che riguarda la sua ferma convinzione che l’unico moto conforme alla sfera sia la rotazione intorno a un diametro e per le ripercussioni di questa convinzione sulla sua teoria planetaria, si veda, per es., N. M. Swerdlow, The Derivation and First Draft of Copernicus’s Planetary Theory, cit., pp. 424-425, 435, 437, 467-468. L’idea che il moto circolare (uniforme) fosse il moto conforme o naturale alla sfera era diffusa nella filosofia naturale e in astronomia ; si vedano, per es., Aristotele, De caelo, ii.3, 286a10-18, ii.6, 288a23-27 (cit. in N. Jardine, loc. cit.) ; Tommaso d’Aquino, In De caelo et mundo, cit., ii.12.3, 7, pp. 166-167, che interpreta, come Alberto Magno, De caelo et mundo, cit., ii.3.8, p. 158, la distinzione di Aristotele tra divnhsi~ e kuvlisi~ in De caelo, ii.8, 290a9-10, come un modo di indicare i due tipi di rotazione assiale ; Regiomontanus, Epytoma in Almagestum Ptolomei, cit., i.1, segn. a5r, un’opera che Copernico lesse (si vedano N. M. Swerdlow, The Derivation and First Draft of Copernicus’s Planetary Theory, cit., pp. 425-426, 437 ; A. Goddu, Reflections on the Origin of Copernicus’s Cosmology, cit., pp. 39-41, 44-46, 51 nota 45, 52 nota 52, 53 nota 59, A. Goddu, Copernicus and the Aristotelian Tradition, cit., pp. 215-220, e i riferimenti ivi citati). Si veda anche Ficino citato infra, capitolo 7, p. 94. 2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 16.13-14. 3 Aristotele, De caelo, ii.6, 288a13-289a10 ; Tommaso d’Aquino, In De caelo et mundo, cit., ii.8.3, p. 150 ; Urbanus de Bononia, Opus … commentorum omnium Averoys … super libros Physicorum Aristotelis expositorium, cit., viii.76, c. 268vb. 4 Aristotele, De caelo, i.2, 268b17-26 ; Tommaso d’Aquino, In De caelo et mundo, cit., i.3.5-6, pp. 1011 ; Jean Buridan, Expositio in De caelo, cit., i.1.2, p. 10.40-51. Senarco rifiutò la premessa di Aristotele e perciò anche la sua conclusione. Anche l’elica cilindrica era una semplice linea. Rispondendo a Senarco, Alessandro di Afrodisia difese Aristotele con due argomentazioni : 1) Aristotele aveva soltanto sostenuto che c’era un moto semplice corrispondente a ogni corpo semplice, non il contrario ; 2) l’elica cilindrica, anche se uniforme, non era in realtà semplice, dato che poteva essere prodotta da un cerchio e da una linea retta. Si veda Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., pp. i.2, 13.22-14.29. Tommaso d’Aquino, loc. cit., ripete l’obiezione di Senarco e la seconda risposta di Simplicio, senza far il nome dei loro autori. 5 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 16.17-20. Obiezioni simili devono esser state mosse durante l’antichità ; si veda Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 25.14-21, che rispose alle obiezioni di Senarco, dicendo che la teoria di Aristotele sul moto semplice spiegava il comportamento fisico tramite idee geometriche. In modo analogo, Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., i.3.6, pp. 10-11.
48 copernico e la gravità semplice era, seguendo Aristotele, quello circolare. I corpi semplici seguivano questo moto semplice circolare quando si trovavano nel loro ‘luogo naturale’ (loci naturales). Una particella di un elemento, spostata dal suo luogo naturale, tendeva a riunirsi per moto rettilineo al suo intero, perché quest’ultimo era l’unità a cui apparteneva. Un intero, per quanto ruotasse attorno al proprio asse, era, in un certo senso, un luogo in stato di quiete : il moto circolare era in se stesso completo. Questa prefigurazione del principio di inerzia era un adattamento dell’idea di Aristotele che una sfera in moto rotatorio era in stato di quiete in quanto offriva un punto di riferimento fisso per determinare i luoghi al suo interno. 1 Copernico spiegò queste idee nel passo che segue : Pertanto, come è stato detto, il moto semplice è presente nel corpo semplice (e lo si verifica innanzitutto nel moto circolare), purché il corpo semplice rimanga nel suo luogo naturale e unito al suo intero. Infatti, il movimento in un luogo altro non è che un movimento circolare, che permane in se stesso, essendo l’intero simile a qualcosa in stato di quiete. Il movimento rettilineo, invece, va ad aggiungersi al movimento circolare in quei corpi che si allontanano dal loro luogo naturale, che ne sono espulsi, o che se ne trovano fuori. Non v’è nulla che ripugni tanto all’ordine del tutto, nonché alla forma del cosmo, quanto il fatto che qualcosa sia fuori dal suo posto. Perciò, il movimento rettilineo è presente soltanto nelle cose che non sono nel loro stato autentico o che non sono perfettamente in linea con la loro natura ; esso è presente per tutto il periodo in cui quelle cose sono separate dal loro intero e hanno abbandonato l’unità di quell’intero. Inoltre, i corpi semplici spinti in alto o in basso non seguono, anche a prescindere dalla presenza in essi del loro moto circolare, un moto semplice, uniforme e costante. Essi, infatti, non possono essere regolati dalla leggerezza o dall’impeto del loro peso. Quando cadono, le cose cadono con un movimento lento all’inizio, aumentando la velocità mentre cadono. Per contro, vediamo che il fuoco esistente sulla terra (e non ci è permesso vedere nessun altro tipo di fuoco) perde il vigore appena spinto in alto, una volta che si è, in un certo senso, estinta la causa della violenza presente nella materia terrestre. Il moto circolare ruota sempre in modo uniforme in virtù di una causa che non s’indebolisce ; le cose che vanno verso l’alto e verso il basso, invece, hanno una causa che fa presto ad estinguirsi, e i corpi che, in virtù di quella causa, ritornano al loro luogo, cessano di essere pesanti o leggeri, e cessa anche il movimento in questione. Poiché, dunque, il moto circolare appartiene agli interi, ma alle particelle appartiene in aggiunta anche il moto rettilineo, si può dire che il moto circolare ‘accetta’ il rettilineo come l’animale ‘accetta’ la malattia. Ne consegue, allora, che la distinzione che Aristotele fa del moto semplice in tre tipi – moto dal centro, moto verso il centro e moto attorno al centro – deve essere considerata una mera astrazione teorica, proprio come, in realtà, siamo soliti distinguere linea, punto e superficie, sebbene linea, punto e superficie non possano esistere separatamente e nessuno dei tre senza un corpo. 2 1 Aristotele, Fisica, viii.9, 265b1-8 ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., vi.11.12, ix.20.1, pp. 315, 441. Aristotele, Fisica, vi.9, 240a29-b7, rifiuta un’altra spiegazione della medesima idea. 2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 16.1-17 : « Igitur quod aiunt, simplicis corporis esse motum simplicem (de circulari in primis verificatur) quamdiu corpus simplex in loco suo naturali, ac unitate sua permanserit. In loco siquidem non alius, quam circularis est motus, qui manet in se totus quiescenti similis. Rectus autem supervenit iis, quae a loco suo naturali peregrinantur, vel extruduntur, vel quomodolibet extra ipsum sunt. Nihil autem ordinationi totius et formae mundi tantum repugnat, quantum extra locum suum [Copernico aggiunge a margine, di suo pugno : quidquam ; si veda cga, i, c. 7r] esse. Rectus ergo motus non accidit, nisi rebus non recte se habentibus, neque perfectis secundum naturam,
iii. la dottrina copernicana della gravità
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Nel capitolo successivo Copernico commenta ulteriormente sulla gravità, sviluppando l’idea già introdotta nei tre capitoli di apertura del De revolutionibus,1 che il globo terracqueo, come il Sole, la Luna e gli altri pianeti, fosse sferico, e spiegando il modo in cui la gravità contribuiva a quella forma sferica : Per quanto mi riguarda ritengo che la gravità altro non sia che una specie di appetito naturale impresso alle parti dalla provvidenza divina del creatore di tutte le cose perché si riconducano insieme alla loro unità e interezza nella forma di un globo. V’è buon motivo per ritenere che questa disposizione sia propria anche del Sole, della Luna e degli altri corpi splendenti dei pianeti, e che proprio grazie a questa disposizione essi restino in quella rotondità con cui si presentano, nonostante compiano la rivoluzione [attorno al centro del cosmo] in vari modi. 2
Come sottolineano gli studiosi di Copernico, i due brani sono complementari, poiché il primo spiega la gravità dal punto di vista fisico, il secondo da quello teleologico. 3 Un aspetto interessante dei due resoconti è che invertono, forse deliberatamente, la dottrina degli scolastici. Per questi ultimi, il moto semplice e naturale dei dum separantur a suo toto, et eius deserunt unitatem. Praeterea quae sursum et deorsum aguntur, etiam absque circulari, non faciunt motum simplicem uniformem et aequalem. Levitate enim vel sui ponderis impetu nequeunt temperari. Et quaecunque decidunt, a principio lentum facientia motum, velocitatem augent cadendo. Ubi vicissim ignem hunc terrenum (neque enim alium videmus) raptum in sublime statim languescere cernimus, tanquam confessa causa violentiae terrestris materiae. Circularis autem aequaliter semper volvitur : indeficientem enim causam habet : illa vero desinere festinantem, per quem consecuta locum suum cessant esse gravia vel levia, cessatque ille motus. Cum ergo motus circularis sit universorum, partium vero etiam rectus, dicere possumus manere cum recto circularem, sicut cum aegro animal. Nempe et hoc, quod Aristoteles in tria genera distribuit motum simplicem, a medio, ad medium et circa medium, rationis solummodo actus putabitur, quemadmodum lineam, punctum, et superficiem secernimus quidem, cum tamen unum sine alio subsistere nequeat, et nullum eorum sine corpore ». 1 Copernico, De revolutionibus, cit., i.1-3, pp. 7-9; si veda anche supra, pp. 29-39, infra, pp. 81-83. I suoi commenti alla nota 2 infra forniscono una risposta all’obiezione che Copernico attribuisce a Tolomeo, e cioè che quella rotazione diurna impedirebbe alla terra di conglobarsi ; si veda infra, p. 51 nota 1. 2 Ivi, i.9, p. 17.3-8 : « Equidem existimo, gravitatem non aliud esse, quam appetentiam quandam naturalem partibus inditam a divina providentia opificis universorum, ut in unitatem integritatemque suam sese conferant in formam globi coeuntes. Quam affectionem credibile est etiam Soli, Lunae, ceterisque errantium fulgoribus inesse, ut eius efficacia in ea qua se repraesentant rotunditate permaneant, quae nihilominus multis modis suos efficiunt circuitus ». La seconda frase suggerisce che il Sole ruoti, in un modo o in un altro. Copernico afferma, alcune righe più in basso (ivi, i.9, p. 17.11) e altrove (ivi, i.10, pp. 19.28, v.16, 394.28-29) che il Sole è immobile, ma in questi brani intende tale immobilità come relativa agli altri pianeti e altri corpi celesti. Quale tipo di rotazione o rotazioni aveva in mente Copernico in questo caso ? Stava ammettendo che il Sole, data la sua forma sferica, ruotasse attorno al proprio asse, al vero centro del cosmo ? In questo caso, siccome la rotazione del Sole attorno al proprio asse era irrilevante per il suo sistema eliocentrico, potremmo sostenere che, nel passo qui citato, Copernico non fece che un riferimento obliquo e quasi involontario a quella rotazione. Oppure stava ammettendo la possibilità, menzionata ivi, iii.25, p. 256.26-34, che il Sole potesse girare attorno a un’ eccentrica ruotante vicino al centro del cosmo ? Per questa seconda possibilità, si vedano O. Neugebauer, N. M. Swerdlow, Mathematical Astronomy in Copernicus’s De revolutionibus, 2 voll., New York, Springer, 1984, i, pp. 159-161. Vorrei ringraziare André Goddu per i suoi suggerimenti a questo riguardo. 3 C. L. Menzzer in Copernico, Über die Kreisbewegungen der Weltkörper, traduzione e commento di C. L. Menzzer, introduzione di M. Cantor, 2 voll., Thorn, E. Lambeck, 1879, ii, p. 8 ; A. Birkenmajer, Anmerkungen, cit., p. 138.
50 copernico e la gravità corpi semplici sublunari era rettilineo ; la sfera del fuoco, dell’aria e, in modo meno apparente, quella dell’acqua, seguivano anche un moto circolare non violento e, in tal senso, ‘naturale’ o ‘preternaturale’, a loro imposto da un agente superiore, i cieli. 1 Per Copernico, il moto semplice degli elementi sublunari era circolare e a esso un agente superiore, la provvidenza, sovrapponeva un moto rettilineo tramite la tendenza naturale alla gravità. Non era la prima volta che Copernico si rifaceva alla causa finale nel contesto della dottrina della gravità. Come abbiamo visto, infatti, nel libro 1, capitolo 3, Copernico aveva spiegato che i due elementi pesanti, terra ed acqua, premevano entrambi attorno ad un centro comune in virtù della loro gravitas. Se fossero stati lasciati a loro stessi, il risultato sarebbe stato quello di un globo di terra del tutto sferico completamente circondato da una sfera perfetta, seppure sottile, di acqua, il più leggero dei due elementi. Questo disegno era stato modificato perché potesse esistere la terra asciutta necessaria per la vita sulla terra. 2 L’impeto C’è, tuttavia, una tensione tra i due resoconti sopraccitati. Secondo la dottrina fisica, le parti che ritornavano verso un intero osservavano il moto circolare di quest’ultimo e, in più, si muovevano in linea retta. Il moto circolare – diceva Copernico – ‘accettava’ (manere) questo moto rettilineo come un animale ‘accetta’ uno stato di malattia. 3 Anche Aristotele e i suoi commentatori – come si è già detto 4 – avevano introdotto l’analogia con lo stato di salute e di malattia, ma lo avevano fatto con intento opposto. Secondo loro, il moto rettilineo di un elemento sublunare verso il suo luogo naturale era, come il passaggio dalla malattia alla salute, intrinseco. L’elemento andava alla ricerca della propria perfezione ritornando a uno stato naturale di quiete nel suo luogo naturale. Il suo moto rettilineo era naturale e ogni corpo semplice aveva, per sua natura, un solo moto naturale. Perciò i corpi semplici sublunari non seguivano, per natura, il moto circolare. 5 Per Copernico, invece, il moto rettilineo era presente soltanto negli « enti che non si trovavano nel loro stato autentico » (res recte se non habentes). 6 Ciò implicava che 1
2 Si veda supra, pp. 22-23. Si veda supra, pp. 29-30. Nel suo commento sul De revolutionibus, Nicolaas Muliers, tralasciando il precedente nella teoria di Aristotele sul moto rettilineo verso il luogo naturale, propone che la frase Copernicana «cum aegro animal» debba esser corretta e quindi vada letta come ‘cum equo animal’. Secondo Muliers, Copernico pensava che il moto circolare avesse luogo in ogni movimento (anche nel moto rettilineo di un oggetto pesante che cade secondo il modello geocinetico), così come il genus animale era presente in una specie, per esempio il cavallo. Si vedano cga, viii, parte i, p. 371.20-25 ; R. Hooykaas, The Aristotelian Background 3 to Copernicus’s Cosmology, « jha », xviii, 1987, pp. 111-116 : 115-116. Si veda supra, p. 18. 5 Per es., Aristotele, De caelo, i.2, 268b27-29, 269a7-9, 269a32-b13 ; i.3, 269b31-270a12 ; i.8, 276a22-277a20 ; ii.14, 296b6-36 ; iii.2, 300a20-301b30 ; Idem, Fisica, ii.1, 192b35-193a1, v.6, 230b12-15, viii.4, 254b33-256a3 ; Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, pp. 18.25-28 ; Averroè, In libros Physicorum, cit., viii.28, 31-32, cc. 366d-k, 368e-69b, 370a ; Idem, [In De caelo], cit., iii.28, cc. 198f-99c ; Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum, cit., ii.1, iv.11, v.10, vi.13, viii.8, pp. 56-57, 181, 264-266, 320, 391-393 ; Idem, In De caelo et mundo, cit., i.4-6, i.15, ii.4, ii.8, ii.24, ii.26, iii.5, iii.7, pp. 14-18, 21, 26, 137, 150, 212, 220, 242-244, 250-253 ; Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., i.1, pp. 22-28 ; Jean Buridan, Expositio in De caelo, cit., i.1.2, p. 11 ; Idem, Quaestiones in De caelo, cit., iv.3-4, 6, pp. 533.21, 534.34, 538.18, 539.49-52, 546.1-7. 6 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 16.6-7. 3
iii. la dottrina copernicana della gravità 51 il moto rettilineo, diversamente da quello circolare, non fosse naturale. Le righe d’apertura del capitolo ottavo confermano questa deduzione. Chi sostiene che la terra si muove – disse Copernico in risposta agli argomenti tradizionali in difesa di un cosmo geocentrico e geostatico – afferma che il suo moto è naturale piuttosto che violento. Così risultava infondata la paura che una terra che si muoveva su se stessa si sarebbe disintegrata – la paura espressa da Tolomeo nell’Almagesto (libro I, capitolo 7), o meglio quella che a Tolomeo attribuiva Copernico. 1 Le cose prodotte ‘secondo natura’ causavano effetti opposti a quelle prodotte ‘secondo violenza’. Quelle prodotte dalla natura erano ‘nel loro stato autentico’ (recte se habent) e si conservavano in ottime condizioni ; quelle prodotte per ‘violenza o impeto’, invece, non duravano e si dissipavano. 2 Il moto circolare dei corpi semplici sublunari, che Copernico sottolineava essere perpetuo, doveva appartenere alla prima categoria, mentre il loro moto rettilineo, che era transitorio, apparteneva alla seconda. L’idea di Copernico, contenuta nel capitolo ottavo, secondo cui la rotazione diurna della terra corrispondeva per natura (congruens a natura) alla sua forma sferica, si accordava in pieno con questa conclusione. 3 Il commento di Copernico non si sposa bene, invece, con la sua spiegazione teleologica secondo la quale non v’era ombra di dubbio che la gravità fosse un appetito naturale impresso alle parti così da rimanere unite come interi. Come Copernico chiarisce all’inizio dello stesso capitolo, tutto ciò che esiste secondo natura tende a produrre effetti naturali, cioè non violenti. 4 Perciò, la gravità, in quanto tendenza naturale, avrebbe dovuto produrre un moto naturale. Se avesse ammesso questo 1 Ivi, i.7-8, p. 14.8-11, 21-22. Come notato da M. Wolff, Impetus Mechanics, cit., p. 229 ; E. Rosen, ccw, ii, p. 351, J. B. Barbour, Absolute or Relative Motion ? A Study from a Machian Point of View of the Discovery and the Structure of Dynamical Theories, i : The Discovery of Dynamics, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, p. 361, e M.-P. Lerner, Le Monde des sphères, cit., ii, pp. 96-97, 291, note 55, 58, Copernico dette un’interpretazione errata di Claudio Tolomeo, Almagesto, cit., pp. 21-26, i.7 (traduzione di G. J. Toomer, cit., pp. 43-45). Sono grato a Michel Lerner per avermelo fatto notare. Tolomeo afferma che la terra, se rispettasse lo stesso principio di gravità degli altri corpi pesanti che cadono, dovrebbe, se non fosse al centro, ritornare verso il centro con moto rettilineo molto più veloce di quei corpi ; e, in effetti, sarebbe già da tempo uscita fuori dal cosmo. Tolomeo non disse, come ci vuol far credere Copernico, che la rotazione della terra attorno al proprio asse l’avrebbe fatta disintegrare. J. B. Barbour, loc. cit., sbaglia, secondo me, nell’affermare che « Copernico interpretò in maniera inesatta una traduzione poco accurata dell’Almagest ». I testi delle due traduzioni latine che Copernico aveva a disposizione (si veda p. 43 nota 1) non fanno luce sul motivo per cui egli abbia attribuito tale idea a Tolomeo. Né è d’aiuto, per quanto riguarda la questione, il testo dell’edizione greca del 1538, pure noto a Copernico. Questi non annotò il brano nella sua copia dell’edizione latina del 1515. Si veda supra, p. 49 nota 1. 2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 14.17-21 : « Verum si quispiam volvi terram opinetur, dicet utique motum esse naturalem, non violentum. Quae vero secundum naturam sunt, contrarios operantur effectus his quae secundum violentiam. Quibus enim vis vel impetus infertur, dissolvi necesse est, et diu subsistere nequeunt : quae vero a natura fiunt, recte se habent, et conservantur in optima sua compositione ». La convinzione che un moto violento si esaurisca rapidamente deriva in fin dei conti da Aristotele ; si vedano Idem, De caelo, i.2, 269b6-10 ; ii.3, 286a17-18 ; Tommaso d’Aquino, In De caelo et de mundo, cit., i.4.17, ii.4.6, ii.26.2, pp. 18, 137, 218. 3 Ivi, i.8, p. 15.8-11. Copernico, De revolutionibus, cit., i.5, pp. 10.25-11.25, descrive la rotazione diurna della terra attorno al proprio asse e la rivoluzione solare come due moti circolari adatti alla sua forma sferica. Presenta la prima, implicitamente, come il moto circolare primario. 4 Ivi, .8, p. 14.17-21, citato supra alla nota 2.
52 copernico e la gravità punto, Copernico avrebbe dovuto anche ammettere che i corpi semplici avevano due moti naturali, circolare nei loro luoghi naturali e rettilineo quando ritornavano a quei luoghi naturali – una conclusione che avrebbe contraddetto la sua stessa premessa secondo la quale gli enti nel loro stato naturale producono effetti opposti agli enti che non si trovano nello stato naturale. Copernico si rese conto di questo problema, sebbene non lo dicesse esplicitamente, e lo risolse con l’acume che lo caratterizzava. La soluzione che trovò è contenuta nella sua considerazione che il moto rettilineo di un corpo semplice era prodotto dalla levitas vel sui ponderis impetus (‘dalla leggerezza o dall’impeto del suo peso’) 1 L’espressione sui ponderis impetus è quantomeno insolita. Evidentemente Copernico desiderava evitare la formula tradizionale, ovvero universalmente accettata, levitas vel gravitas. 2 L’espressione derivava dallo stesso capitolo (I.7) dell’Almagesto di Tolomeo, nella traduzione di Giorgio da Trebisonda pubblicata in prima edizione nel 1528, dove significava l’impatto causato dai corpi pesanti nel momento in cui colpivano la terra. 3 Copernico, però, la usa in senso diverso. 4 La sua discussione degli effetti violenti e naturali, contenuta all’inizio dell’ottavo capitolo e riportata sopra, spiegava il significato di tale espressione e perché l’avesse usata per spiegare la gravità. Ciò che si comportava secondo natura permaneva in condizioni ottimali mentre ciò che subiva ‘violenza o impeto’ (vis vel impetus) si dissolveva in breve tempo. Qui Copernico adattò le idee connesse alle dottrine dell’impeto introdotte dagli scolastici del Trecento. 5 Tale dottrina aveva tre funzioni principa1
Ivi, i.8, p. 16.9-10. P. Moraux, Copernic et Aristote, in Platon et Aristote à la Renaissance (xvie Colloque international de Tours – Centre d’études supérieures de la Renaissance), Parigi, Vrin, 1976, pp. 225-238 : 232, riteneva che l’espressione ponderis impetus « désigne simplement le contraire de levitas ». 3 Claudio Tolomeo, Almagestum, trad. Giorgio di Trebisonda, cit., c. 3v : « minimi ponderis impetu », che traduce Claudio Tolomeo, Almagesto, cit. i, p. 23.19, i.7 (traduzione di G. J. Toomer, cit., p. 44.7) : « ejlacivstwn barw`n oJrmh`~ ». La traduzione di Giorgio fornisce una spiegazione per quella che sarebbe altrimenti una coincidenza, notata da P. M. Duhem, Études sur Léonard de Vinci, 3 voll., Parigi, Hermann, 1906-1913, iii, pp. 195-196, e cioé che l’espressione ponderis impetus compare anche in Francesco Maurolico, Cosmographia, Venezia, eredi di Lucantonio Giunta il Vecchio, 1543, c. 16r : « ponderis impetu ». Un contatto diretto tra Copernico e Maurolico è poco probabile. Maurolico scrisse la sua Cosmographia nella seconda metà del 1535 e la finì il 31 ottobre 1535, dedicandola a Pietro Bembo. Essa fu pubblicata nel 1543. Maurolico completò una versione in italiano, Dialoghi tre della cosmographia, il 29 settembre 1536. Tale versione non venne mai stampata ; il testo dell’unico manoscritto esistente, a cura di G. Cioffarelli, può esser consultato sul sito Il progetto Maurolico a cura di P. D. Napolitani, Università di Pisa. Per quanto riguarda il riferimento all’impeto, si veda c. 23v : « con l’impeto de la sua gravezza ». Maurolico fa distinzione tra impetus e pondus nel suo Problemata Mechanica, Messina, P. Brea, 1613, pp. 7, 46-47. Per una discussione e un’edizione critica on-line del libro di Maurolico, da cui sono tratte le mie citazioni, si veda Francesco Maurolico, Problemata Mechanica, a cura di H. Barthélemy e V. Gavagna, sul sito Il progetto Maurolico, cit., 2002 (consultato il 13 ottobre 2012). 4 Copernico, De revolutionibus, cit., i.7, p. 13.23, nel riassumere idee tradizionali di corpi semplici e di moto, parla in termini di gravitas e levitas e, ivi, i.8, p. 16.15, di gravia vel levia nel suo proprio resoconto. 5 Secondo A. Maier, Zwei Grundprobleme der scholastischen Naturphilosophie. Das Problem der intensiven Grösse. Die Impetustheorie, 2a ed., Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1951, p. 292 nota 4, l’accenno en passant all’impetus da parte di Copernico è un esempio di come la dottrina dell’impetus venisse talvolta trivializzata nei secoli xv e xvi. M. Wolff, Impetus Mechanics, cit., pp. 217-231, in disaccordo con A. Maier, Zwei Grundprobleme, cit., p. 230, sostiene – a mio parere esagerando – che la dottrina scolastica dell’impetus e le teorie fisiche sostenute dai promotori di quella stessa dottrina, erano, con le dovute modifiche, generalmente importanti come fonti d’ispirazione della fisica non-aristotelica di Copernico. 2
iii. la dottrina copernicana della gravità 53 li. Essa spiegava il moto celeste : al momento della creazione Dio aveva impartito un impeto ai corpi celesti i quali, da quel momento, avevano continuato a orbitare. Era inoltre in grado di spiegare il moto dei proiettili : chi lanciava un proiettile trasmetteva un impeto che lo faceva rimanere in moto verso una direzione che era in conflitto con la tendenza intrinseca del proiettile, come corpo pesante, a discendere in linea retta. Infine, la dottrina scolastica spiegava il motivo per cui i corpi pesanti in caduta libera acceleravano : il loro moto comprendeva due componenti, un moto naturale costante prodotto dalla loro pesantezza intrinseca e costante, conosciuta comunemente come ‘gravità naturale’ o ‘tendenza naturale’ (appetitus naturalis), 2 e un impeto aggiunto, non intrinseco, la sua ‘gravità accidentale’, che aumentava in modo esponenziale durante la caduta. 3 In questo modo, nel caso dei corpi in caduta libera – in quanto distinti dai proiettili, che ricevono l’impeto dal lanciatore, e dai corpi celesti, i quali, a loro volta, lo hanno ricevuto da Dio – l’impeto deriva dal peso dei corpi stessi. I brevi commenti di Copernico sull’impeto colgono due aspetti di questa dottrina. In primo luogo, gli scolastici per lo più convenivano che nei corpi sublunari l’impeto produceva effetti violenti e incostanti, anziché effetti naturali e costanti.4 Buridano e Alberto di Sassonia erano stati delle eccezioni, in quanto pensavano che l’impeto avesse la capacità di mantenere in moto perpetuo un proiettile o una macina, senonché tali oggetti trovavano impedimento nella resistenza dell’aria o 1
1 Sull’impetus nei resoconti, prima e durante la vita di Copernico, di corpi in caduta libera, si vedano, per es., P. M. Duhem, Études sur Léonard de Vinci, cit., iii, pp. 89-106, 118-119, 151-155 ; A. Maier, Zwei Grundprobleme, pp. 219-221, 245-246, 252, 267-268 ; Eadem, An der Grenze, cit., pp. 199-221 ; M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, Madison (WI), University of Wisconsin Press, 1959, pp. xxviii, 525, 542-556. 2 Per appetitus naturalis quale espressione di riferimento alla gravità intrinseca di un corpo, si veda Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., ii.12, p. 440.65, tradotto in M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, cit., p. 558 ; similmente, per es., Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., iii.7, p. 493 : « grave naturaliter appetit et intendit esse deorsum, scilicet ut ibi naturaliter conservetur » ; ivi, iii.11, pp.. 512-513. Più precisamente, gravità era un tipo di desiderio naturale ; si veda, per es., Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, 1a2ae.26.1, resp., tol, vi, p. 188, Idem, Summa contra gentiles, ii.55, tol, xiii, p. 395. 3 Per quanto riguarda l’impetus di corpi in caduta libera come fenomeno distinto dalla gravità naturale, si veda, ad es., Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., ii.12, pp. 443.156-444.97 ; Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., ii.14, pp. 341-345 ; Tommaso de Vio, Recollecte, cit., segn. o1vb-o2ra, p3rb ; P. M. Duhem, Études sur Léonard de Vinci, cit. ; A. Maier, Zwei Grundprobleme, cit. ; Eadem, An der Grenze, cit., pp. 202-209. Analogamente Jean Buridan, Questiones super octo Phisicorum libros, cit., viii.12, c. 120vb e Andrzej Wężyk citato in M. Markowski, Burydanizm w Polsce w okresie przedkopernikańskim. Studium z historii filozofii i nauk ścisłych na Uniwersytecie Krakowskim w xv wieku, « Studia Copernicana », ii, Breslavia, Ossolineum, 1971, p. 154, anche se non vi compare l’uso delle espressioni ‘accidentali’ e ‘gravità naturale’. Sulle traduzioni e discussioni dei brani in Jean Buridan, Questiones super octo Phisicorum libros, cit., si vedano A. Maier, Zwei Grundprobleme, cit., pp. 219-221 ; Eadem, An der Grenze, cit., pp. 199-203 ; M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, cit., pp. 535-536, 551-552, 560-561 ; A. Funkenstein, Some Remarks on the Concept of Impetus, cit., pp. 340-344 ; E. Grant, Physical Science in the Middle Ages, New York-Londra, Wiley, 1971, pp. 50-53. 4 Sulle argomentazioni a favore o a sfavore della supposizione che l’impeto nei proiettili fosse violento, si vedano Alessandro Achillini, De elementis, cit., iii.2, c. 66ra ; Fridericus Sunczell, Collecta et exercitata … in octo libros Phisicorum Aristotelis, Hagenau, 1499, viii.11, segn. r5r ; le fonti citate in M. Markowski, Burydanizm w Polsce, cit., pp. 154-155, 157, 164, 171-173 ; e M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, cit., pp. 638-639.
54 copernico e la gravità 1 in qualche altro ostacolo. Questo fa pensare, peraltro, che Copernico non stesse prendendo ispirazione diretta o esclusiva dalle dottrine sull’impeto di Buridano o di Alberto di Sassonia. 2 In secondo luogo, l’espressione di Copernico impetus ponderis chiariva che egli intendeva l’impeto come derivato dal peso del corpo, cioè l’impeto che faceva accelerare un corpo pesante in caduta libera. Queste caratteristiche dell’impeto permettevano a Copernico di riconciliare implicitamente a) la sua dottrina della gravità come un appetito naturale che induceva le parti a rimanere unite ai loro interi, con b) la sua idea che le parti che tornavano con moto rettilineo verso i propri interi non osservavano un moto semplice nel pieno senso dell’espressione e che il loro moto rettilineo era il ripristino di uno stato naturale delle cose, piuttosto che uno stato naturale in sé. La gravità, in effetti, era una tendenza naturale che reintegrava le parti con i propri interi ma, in aggiunta, produceva impeto e accelerazione. La caduta libera di un corpo era, cioè, un composto di moto naturale e non naturale. 3 Come tale, seguendo il requisito tutto particolare di Copernico secondo il quale un vero ‘moto semplice’ era uniforme e costante (cfr. supra, p. 170), il moto di un corpo in caduta libera non era semplice, pur tralasciando il suo moto circolare continuo. 4 La provvidenza non aveva imposto un principio complementare di leggerezza. Vero era, però, che esistevano cose più leggere di altre. L’aria tenuta sottacqua, se lasciata andare, saliva verso l’alto. Ma la leggerezza era relativa. Un corpo saliva perché era meno pesante del corpo in cui era contenuto, e non perché aveva la tendenza intrinseca a cercare una sfera del fuoco o dell’aria che occupava una posizione fissa nel cosmo. E comunque la sfera del fuoco non esisteva. Inoltre l’aer propinquus aderiva al globo terracqueo perché si mescolava in modo preternaturale con esso. 5 Dunque, quando Copernico spiegava che i moti rettilinei verso l’alto e verso il basso dei corpi semplici non erano governati dalla 1 Jean Buridan, In Metaphysicen Aristotelis quaestiones, Parigi, J. Badius, 1518, xii.9, c. 73ra ; Idem, Questiones super octo Phisicorum libros, cit., iv.9, c. 76va ; Idem, Quaestiones in De caelo, cit., p. 443.77-78 ; Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., ii.14, 341-342 ; M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, cit., pp. 523-525, 536-537 ; A. Maier, Zwei Grundprobleme, cit., p. 268 ; E. Grant, Motion in the Void and the Principle of Inertia in the Middle Ages, « Isis », lv, 1964, pp. 265-292 : 275-276, 286, in particolare p. 275 nota 32, che corregge A. Maier, Zwei Grundprobleme, cit., p. 223 (non p. 233, come afferma Grant). 2 Secondo P. Moraux, Copernic et Aristote, cit., p. 232, i riferimenti di Copernico all’impeto sono troppo vaghi perché si possa concludere che abbia utilizzato un Occamista o, nello specifico, la dottrina dell’impeto di Buridano. Non si sa se Copernico avesse letto le opere di Buridano o di Oresme ; si veda F. Schmeidler, Kommentar zu De revolutionibus, in cga, iii, parte 1, pp. 81-82. 3 Copernico non prese in considerazione l’idea proposta da alcuni scolastici secondo la quale l’impeto prodotto dalla gravità nella caduta libera, diversamente dall’impeto dei proiettili, aveva una causa naturale (i.e. la gravità del corpo) e era perciò ‘naturale’ ; si vedano Petrus Tartaretus, Totius philosophie [naturalis] necnon metaphisice Aristotelis expositio, cit., c. 65vb ; Joannes Dullaert, Questiones super octo libros Phisicorum Aristotelis necnon super libros De caelo et mundo, Parigi, Nicolas des Prez : Olivier Senant, 1506, viii.2, segn. r6va-vb. 4 M. Wolff, Impetus Mechanics, cit., pp. 217, 222-224, è stato – per quanto sappia – l’unico studioso a notare questo punto (la mia interpretazione, comunque, differisce per molti aspetti dalla sua). A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 368, il solo studioso che tratta nei particolari l’interpretazione data da Copernico del moto semplice come moto uniforme, non capisce l’importanza del perché Copernico si riferisce all’impeto. Birkenmajer sostiene che Copernico aveva dato una spiegazione del perché il moto rettilineo verso l’alto dei corpi leggeri, per esempio del fuoco, non fosse semplice, ma che Copernico 5 non aveva fatto altrettanto nel caso dei corpi pesanti. Si veda supra, p. 40.
iii. la dottrina copernicana della gravità 55 loro leggerezza o dall’impeto dei loro pesi, metteva insieme due spiegazioni del moto non naturale. E, coerentemente, egli tacque sull’‘impeto della leggerezza’, dal momento che la leggerezza, contrariamente alla gravità, non era un principio di moto e non poteva perciò originare da un movimento, accelerato o meno che fosse. La fortuna della dottrina copernicana Nel xvi secolo e agli inizi del seguente, la dottrina di Copernico fu comunemente proposta come alternativa alla spiegazione aristotelica della gravità, della leggerezza e del moto naturale degli elementi. Thomas Digges, 1 Giordano Bruno, 2 Christoph Rothmann, 3 Paolo Antonio Foscarini, 4 Galileo Galilei, 5 Bernhard Varen, 6 e John Wilkins, 7 la ripresero o adattarono. Bruno e Galileo, come Copernico, la utilizzarono per demolire le idee di Aristotele sui corpi semplici, i moti semplici e il luogo naturale, che essi identificavano come la pietra angolare della cosmologia di Aristotele. 8 Keplero ripetè la dottrina di Copernico, anche se, così facendo, e com’era suo costume, la riscrisse. 9 Francesco Patrizi rifiutò l’ipotesi eliocentrica di Copernico, ma prese a prestito la sua dottrina della gravità e del moto degli elementi per dare maggior credibilità alla propria idea che la terra ruotava sul proprio asse al centro del cosmo. 10 Avversari del Copernicanesimo e delle sue dottrine, sia cattolici 1
Thomas Digges, A Perfit Description of the Caelestiall Orbes according to the Most Aunciente Doctrine of the Pythagoreans, Latelye Revived by Copernicus and by Geometricall Demonstrations Approved, pubblicato come supplemento al lavoro del padre, Leonard Digges, A Prognostication Euerlastinge, Londra, Thomas Marsh, 1576, segn. O2v, O3r. 2 D. Knox, Ficino, Copernicus and Bruno on the Motion of the Earth, « Bruniana & Campanelliana », v, 1999, pp. 333-366 : 351-353 ; Idem, Bruno’s Doctrine of Gravity, Levity and Natural Circular Motion, « Physis », n.s., xxxviii, 2001, pp. 171-209. 3 Cfr. Christoph Rothmann, lettera a Tycho Brahe, 18 aprile 1590, in Tycho Brahe, Epistolarum astronomicarum libri, cit., p. 185. 4 Paolo Antonio Foscarini, Lettera ... sopra l’opinione de’ Pittagorici, cit., pp. 46-49. 5 Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, a cura e con un commento di O. Besomi e M. O. Helbing, 2 voll., Padova, Antenore, 1998, i, i.33.1-5, 85.5-87.5,120.25 ; ii.310.1, 672.1, 675.1 ; pp. 19-20, 34-36, 48-49, 180, 261-262 ; Idem, Lettera a Francesco Ingoli in risposta alla Disputatio de situ et quiete Terrae (1624), in Idem, Le opere, a cura di A. Favaro et alii, 20 voll., Firenze, Barbèra, 1890-1909, vi, pp. 556-559. Galileo Galilei, Dialogo, cit., i, ii.675, p. 262 assegna tale teoria a « Copernico e suoi seguaci ». O. Besomi e M. Helbing (Galileo Galilei, Dialogo, cit., ii, p. 200) sostengono che la dottrina di Galileo sulla gravità derivi da Copernico e Plutarco, De facie, a cura di M. Pohlenz, Moralia, v.3, 2a ed., Lipsia, Teubner, 1960, viii.924d-e, pp. 41.16-42.1 (sul quale, si vedano infra, pp. 63-72). J. Hankins, Galileo, Ficino and Renaissance Platonism, in Humanism and Early Modern Philosophy, a cura di J. Kraye, M. W. F. Stone, Londra, Routledge, 2000, pp. 209-237 : 216-220, 222-224, propone invece che la fonte sia il commento di Ficino al Timeo (sul quale, si veda infra, pp. 94-95). 6 Bernhard Varen (B. Varenius), Geographia generalis, in qua affectiones telluris explicantur, Amsterdam, L. Elzevir, 1650, i.5.1, p. 53, discusso da F. Krafft, Copernicus retroversus II. Gravitation und Kohäsionstheorie, cit., p. 73. Krafft (ibidem) erroneamente cita Varen ‘p. 50’. 7 John Wilkins, A Discourse Concerning a New Planet … The Second Booke, Now First Published, Londra, J. Maynard, 1640, pp. 153-154, che propone anche altre dottrine. 8 Galileo Galilei, Dialogo, cit., i, i.31.1-33.3, 85.7-88.4, 119.1-122.1, pp. 18-20, 35-37, 48-50. Su Bruno, si veda D. Knox, Ficino, cit., pp. 351-353 ; Idem, Bruno’s Doctrine of Gravity, cit., p. 173. 9 Johannes Kepler, Astronomia nova (1609), in kgw, iii, Introduzione, p. 28.10-15. 10 Francesco Patrizi, Nova de universis philosophia, assieme ad altre opere e traduzioni di Patrizi, 6 parti, Venezia, Roberto Meietti, 1593, parte 3, cc. 103rb-104vb (Pancosmia, cap. 17). Z. Horský, La cosmologie
56 copernico e la gravità che protestanti, teologi e filosofi naturali, discussero e rifiutarono la spiegazione di Copernico, o versioni di essa. 1 Il primo fu il teologo e matematico Giovanni Maria Tolosani, un domenicano del convento di San Marco a Firenze, in un breve trattato scritto circa un anno dopo la pubblicazione del De revolutionibus. 2 Filippo Melantone fu il primo protestante a trattare della dottrina copernicana in un’opera a stampa, anche se solo implicitamente. Nell’edizione del 1549 dei suoi Initia doctrinae physicae e, più moderatamente, nell’edizione riveduta del 1550, Melantone rifiutò l’ipotesi eliocentrica proposta da alcuni autori antichi e « recenti ». Poi, senza presentare l’alternativa proposta da Copernico, egli fece una descrizione tradizionale del moto degli elementi. 3 La dottrina di Copernico non era – va detto – una teoria della gravitazione universale del tipo di quella che Isaac Newton avrebbe prodotto successivamente. 4 Copernico parlava di parti appartenenti a interi ed escludeva così la possibilità che i corpi, di qualunque dimensione fossero, si attraessero a distanza vicendevolmente. E certamente quella di Copernico non era stata l’unica teoria della gravità proposta tra la metà del xvi secolo e gli inizi del xvii.5 Essa ha rappresentò, comunque sia, de Marsile Ficin, « Acta historiae rerum naturalium necnon technicarum », numero speciale, ii, Prague, 1966, pp. 57-68 : 67, analizza la teoria di Patrizi. 1 Libert Froidmond, Anti-Aristarchus sive orbisterrae immobilis liber unicus, Anversa, Balthazar Moret, e Christopher Plant, 1631, p. 43 ; Jean-Baptiste Morin, Famosi et antiqui problematis de telluris motu, vel quiete ; hactenus optata solutio, Parigi, ‘apud authorem’ 1631, segn. [a4r], pp. 98-130, dove cita, ivi, pp. 104, 114, la teoria di Copernico ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., p. 664. Pedro Nuñez, che non era un copernicano, fa riferimento alla teoria, dicendo che era competenza dei filosofi darne una valutazione ; si veda Pedro Nuñez, De regulis et instrumentis, cap. 11, in Idem, Opera, Basilea, s.e., 1592, pp. 105-106 (cit. in E. Rosen, ccw, ii, p. 354). 2 Giovanni Maria Tolosani, Opusculum quartum de coelo supremo immobili et terra infima stabili, ceterisque coelis et elementis intermediis mobilibus, a cura di M.-P. Lerner, capp. 2-3, in M.-P. Lerner, Aux origins de la polémique anticopernicienne (i ). L’Opusculum quartum de Giovanmaria Tolosani [1547-1548], « Revue des sciences philosophiques et théologiques », lxxxvi, 2002, pp. 681-727 : 707, 711-715 ; M. A. Granada, Giovanni Maria Tolosani e la prima reazione romana di fronte al De revolutionibus. La critica di Copernico nell’opuscolo De coelo et elementis, in La diffusione del Copernicanesimo in Italia, 1543-1601, a cura di M. Bucciantini e M. Torrini, Firenze, Olschki, 1997, pp. 11-35 : 31-34. 3 Filippo Melantone, Initia doctrinae physicae, Wittenberg, Hans ( Johannes) Lufft, 1549, cc. 47v-51v (cr, xiii, coll. 216-220). Quanto ai commenti di Melantone sull’eliocentricismo in questa edizione e successiva revisione degli stessi, si veda M. A. Granada, Giovanni Maria Tolosani e la prima reazione romana di fronte al De revolutionibus, cit., pp. 15-16 nota 11, p. 32 nota 47, e i testi ivi citati. Melantone fa riferimento anche all’ipotesi di Copernico, senza nominarlo, in una lettera datata 16 ottobre 1541, in cr, iv, p. 679, n. 2391, citata da M. Biskup, Regesta copernicana (Calendar of Copernicus’ Papers), « Studia copernicana », viii, Breslavia, Ossolineum, 1973, p. 203 nota 478. 4 C. L. Menzzer in Niccolò Copernico, Über die Kreisbewegungen, cit., ii, p. 8 ; A. Birkenmajer, Anmerkungen, cit., p. 138 ; Idem, Commentarius, cit., p. 371, che cita C. L. Menzzer, loc. cit. ; F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., p. 66 ; M. Wolff, Impetus Mechanics, cit., p. 222 ; F. Schmeidler, Kommentar zu De revolutionibus, cit., p. 83, e ulteriori testi ivi citati. F. Schmeidler (ibidem) sostiene che Copernico fu precursore di Newton in quanto Copernico affermò che la gravità fosse una proprietà di tutti i corpi celesti. Non è chiaro se Newton conoscesse la trattazione teleologica di Copernico (ibidem). 5 Sui commenti di altre nuove teorie, specialmente quelle di Gilbert e Keplero, si vedano F. Krafft, Johannes Keplers Beitrag zur Himmelsphysik, in Internationales Kepler-Symposium Weil der Stadt 1971, a cura di F. Krafft et alii, « Arbor Scientiarum », s. a, i, Hildesheim, Gerstenberg, 1973, pp. 55-139 : 81-94 ; F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., pp. 72-76 ; Idem, The New Celestial Physics of Johannes Kepler, in Physics, Cosmology and Astronomy, 1300-1700 : Tension and Accommodation, a cura di S. Unguru, Dordrecht, Kluwer
iii. la dottrina copernicana della gravità 57 un gradino importante verso la teoria di Newton. Ma la sua importanza va oltre. Copernico aveva offerto un’alternativa alla teoria aristotelica del luogo naturale, alternativa dalla quale, come già accennato, dipendono la sua fisica e la sua cosmologia. Ciò fu decisivo per lo sviluppo della ‘nuova scienza’ del tardo Cinquecento e del Seicento. La teoria dell’‘inerzia circolare’ di Galileo – per quanto sia difficile da comprendere in tutti i dettagli – era inestricabilmente connessa alla sua adesione alla dottrina copernicana. Su questo concetto di ‘inerzia circolare’ Galileo costruì la sua scienza meccanica e del moto quantitativo, che, unitamente alla modifica apportata successivamente da altri, e cioè che il moto inerziale è rettilineo, divenne la base della fisica sino alle soglie del Novecento. 1 Academic Publishers, 1991, pp. 185-227 ; B. Stephenson, Kepler’s Physical Astronomy, New York, Springer Verlag, 1987, pp. 4-7. 1 Per la problematica nozione di ‘inerzia’ in Galieo, si vedano : A. Koyré, Études galiléennes, Parigi, Hermann, 1939, iii : Galilée et la loi d’inertie, in particolare pp. 81-86, 97 ; I. B. Cohen, The Birth of a New Physics, Garden City, New York, Penguin, 1960, pp. 120-128 ; E. J. Dijksterhuis, The Mechanization of the World Picture, tradotto in inglese da C. Dikshoorn, Oxford, Clarendon Press, 1961 ; 1a ed. olandese : Amsterdam, Springer, 1950, pp. 346-353 (ivi, pp. 102-113) ; S. Drake, Galileo and the Law of Inertia, « American Journal of Physics », xxxii, 1964, pp. 601-608 ; R. S. Westfall, The Construction of Modern Science. Mechanisms and Mechanics, 2a ed., Cambridge, Cambridge University Press, 1977 ; 1a ed. 1971, pp. 16-24, 34 ; M. A. Finocchiaro, Galileo and the Art of Reasoning. Rhetorical Foundations of Logic and Scientific Method, Boston Studies in the Philosophy of Science, lxi, Dordrecht-Londra, Reidel, 1980, pp. 87-92 ; M. J. Osler, Rethinking the Scientific Revolution. New Historiographical Directions, « Intellectual News », viii, 2000, pp. 21-30 : 23.
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iv. SULLE FONTI SCOLASTICHE DELLA DOTTRINA DI COPERNICO
Q
uali sono le origini della dottrina di Copernico ? Considerata la sua importanza storica, ci sorprende che le ipotesi siano state modeste e solo abbozzate. 1 Aleksander Birkenmajer, Reyer Hooykaas, Edward Rosen, Noel Swerdlow e molti altri hanno sostenuto che Copernico adattò, per altro in modo drastico, la dottrina aristotelica della gravità, leggerezza e moto naturale circolare, o versioni scolastiche della stessa. 2 Hooykaas, ad esempio, ha sostenuto che per l’analogia della malattia e della salute, come per altri elementi distintivi della sua tesi, Copernico aveva tratto spunto dalla dottrina di Aristotele o da una rielaborazione scolastica della stessa, della quale Copernico poteva esser venuto a conoscenza durante i suoi anni di studio a Cracovia. 3 Inoltre, alcuni studiosi hanno suggerito che i commenti di Copernico sull’impeto si fondano sulla filosofia scolastica che si insegnava in quella città. 4 Anneliese Maier ha confrontato la dottrina di Copernico con un brano 1
F. Schmeidler, Kommentar, cit., p. 82, non azzarda ipotesi. E neppure lo fa E. Rosen, ccw, ii, pp. 353-354, e Idem, The Debt of Classical Physics to Renaissance Astronomers, particularly Kepler, « Proceedings of the Tenth International Congress of History of Science », 2 voll., Parigi, Presses Universitaires de France, 1964, pp. 81-88 : 82. 2 Per es., E. Zilsel, Copernicus and Mechanics, « Journal of the History of Ideas », i, 1940, pp. 113-118 : 114-115 ; A. Birkenmajer, Anmerkungen, cit., pp. 126-134, 137-141 ; Idem, Commentarius, cit., pp. 364-365, 368369, 371-373 (che sottolinea che entrambe le spiegazioni, fisica e teologica, provengono da Aristotele) ; E. Rosen, Copernicus, in Dictionary of Scientific Biography, a cura di C. C. Gillispie, 16 voll., New York, Scribner’s, 1970-1980, iii, pp. 403-404 ; T. Goldstein, The Renaissance Concept of the Earth, cit., pp. 22 nota 7, 44 nota 45, 47-50 ; P. Moraux, Copernic et Aristote, cit., pp. 230-231 ; M. Wolff, Impetus Mechanics, cit., pp. 218-219 (ivi, pp. 217-224, è, a oggi, la miglior analisi della teoria di Copernico) ; R. Hooykaas, The Aristotelian Background, cit., passim ; J. B. Barbour, Absolute or Relative Motion ?, cit., pp. 359-360 ; J.-J. Szczeciniarz, Copernic et le mouvement de la terre, Parigi, Flammarion, 1998, in particolare pp. 105-141 ; N. Swerdlow, Copernicus, Nicolaus (1473-1543), in Encyclopedia of the Scientific Revolution from Copernicus to Newton, a cura di W. Applebaum, New York, Garland, 2000, pp. 162-168 : 164-165, il quale commenta : « Copernicus made what he considered to be a minimal alteration of Aristotelian natural motion of the elements» and that he «did not intend to overthrow or displace Aristotelian physics but to adapt it to the motion of the earth. » 3 R. Hooykaas, The Aristotelian Background, cit., pp. 112-115. R. Hooykaas (ivi, p. 115) fa riferimento ad Aristotele come riportato nel capitolo 1, p. 18 nota 5 e a Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., iv.2, p. 530.28-37. A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 369, paragona, cautamente, l’uso dell’analogia fatto da Copernico con quello fatto da Aristotele, Analitici secondi, i.3, 73b4-5, e Metafisica, vi.7,1033a7-13. 4 K. Michalski, Les courants philosophiques à Oxford et à Paris pendant le xive siècle, « Bulletin international de l’Académie polonaise des sciences et des lettres » (Classe d’histoire et de philosophie, et de philologie, Année 1919-1920), Cracovia, 1922, pp. 59-88 : 87-88, ristampato in Idem, La philosophie au xive siècle. Six études, a cura di K. Flasch, Francoforte, Minerva, 1969, pp. 3-32 : 32. P. Moraux, Copernic et Aristote, cit., pp. 231-232, 237 nota 42, e M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, cit., pp. 642-643, riportano la conclusione di Michalski. Copernico studiò le sette arti liberali a Cracovia dall’autunno del 1491 fino al 1494 ; si veda cga, vi, parte 2, p. 28, nota 24. Spiegazioni del moto dei proiettili in termini di impetus erano comuni a Cracovia durante la fine del xiv secolo e la prima metà del xv, ma divennero meno frequenti durante la seconda parte del xv secolo ; si vedano M. Markowski, Studien zu den Kra-
60 copernico e la gravità dei Quodlibeta di Nicole Oresme, composti probabilmente nel 1370. La gravità in un cosmo geostatico e geocentrico poteva essere spiegata in termini di attrazione del simile col suo simile. Un corpo pesante più piccolo fuori dal suo luogo naturale sarebbe tornato al suo intero più grande nel suo luogo naturale. La tesi di Copernico, come quella di Oresme – ha sostenuto Maier senza addurre ulteriori prove – derivava dalla filosofia naturale scolastica. 1 Molti altri dettagli della tesi copernicana erano di origine scolastica, o almeno sembravano essere, per esempio: le espressioni ‘moto semplice’ e ‘corpi semplici’ ; l’idea che l’acqua e la terra si unissero nel globo terracqueo ; l’espressione propinquus aer per designare la regione più bassa e nebulosa dell’aria ; le caratteristiche del propinquus aer ; la teoria che le comete si formassero nell’aria superiore ; la definizione del fuoco come fumo incandescente ; e infine la nozione che i corpi pesanti fuori dal proprio luogo avessero la ‘tendenza naturale’ (appetitus naturalis) a tornare ai loro interi. 2 Termini e idee presenti nel De revolutionibus, riguardanti argomenti diversi dalla gravità e dal moto degli elementi, fanno pensare che Copernico debba molto alla cosmologia aristotelica e scolastica. 3 Il più evidente precedente scolastico della dottrina di Copernico, tuttavia, è contenuto nel Livre du ciel et du monde (finito nel 1377) di Nicole Oresme, 4 che propose la sua dottrina per sostenere la possibilità filosofica che la terra ruotasse attorno al proprio asse secondo un moto diurno intorno al centro del cosmo. Come Copernico, Oresme aveva spiegato che in un modello geocinetico le parti separate dei corpi semplici non osservano un moto rettilineo semplice. Ad esempio, una parte di fuoco che ritornava dalla sfera dell’aria al suo luogo al di sotto della sfera lunare percorreva un arco composto dal moto rettilineo verso il suo luogo e dal moto circolare delle sfere superiori dell’aria e del fuoco. 5 Sempre come Copernico, kauer mittelalterlichen Physikkommentaren. Die Impetustheorie, « Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age », xliii, 1968, pp. 187-210 (in particolare p. 207) ; Idem, Burydanizm w Polsce, cit., pp. 109199, con estratti da fonti manoscritte. (Sono debitore, per questi riferimenti agli studi di Markowski, ad Andrè Goddu.) Ma Copernico potrebbe aver studiato la dottrina, o sue varianti, anche altrove, per es., a Bologna, Ferrara o Padova. 1 Nicole Oresme, Quodlibet, probl. 22, Firenze, Biblioteca Laurenziana, ms. Ashb. 210 (sec. xiv), cc. 21rb-70vb (55va-vb, 57ra), citato e discusso in A. Maier, An der Grenze, cit., pp. 171-173 (ivi, p. 172, invece che « in loco naturali extat », si legga « in loco naturali existit »). 2 Si veda supra, pp. 19, 22, 34-35, 39-41, 45-50. A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 372, sostenne che il riferimento di Copernico alla tendenza naturale dei corpi di tornare al luogo naturale derivasse da Alberto di Sassonia, Questiones in libros De caelo, cit., in nota 53 nota 2. 3 P. Moraux, Copernic et Aristote, cit., pp. 227-233. 4 Sulle argomentazioni di Oresme, si vedano E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 642-647 e Idem, Nicole Oresme, Aristotle’s On the Heavens, and the Court of Charles V, in Texts and Contexts in Ancient and Medieval Science, a cura di E. Sylla e M. McVaugh, New York, Brill, 1997, pp. 187-207 : 198-199, 203-205. Oresme fa riferimento a un ipotetico modello geocinetico e geocentrico in due testi precedenti, Questiones De spera e Questiones super De celo, accennando brevemente alle teorie che avrebbe sviluppato, poi, in maggior dettaglio – come da noi spiegato – in Le livre du ciel. Si vedano Nicole Oresme, Questiones De spera, Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Ricc. 117 (l.i.33), cc. 125r-135r : 130r, trascritto da M. Clagett, The Science of Mechanics in the Middle Ages, cit., pp. 608-609 : 609 ; e Nicole Oresme, Questiones super De celo, a cura di C. Kren, tesi di dottorato di ricerca, University of Wisconsin, 1965, ii.13, pp. 687-689 ; e E. Grant, Nicole Oresme, cit., p. 203. 5 Nicole Oresme, Le livre du ciel et du monde, a cura di A. D. Menut, A. J. Denomy, traduzione di A. D. Menut, Madison (WI), The University of Wisconsin Press, 1968, pp. 524-526 (ii.25, rr. 103-133). Nicole Oresme, ivi, p. 528 (ii.25, rr. 204-206), spiegò la gravità come un’attrazione simile al magnetismo, un paragone rifiutato dalla maggior parte degli scolastici (si veda supra, p. 17).
iv. sulle fonti scolastiche della dottrina di copernico 61 Oresme aveva concluso che, in un modello geocinetico, un corpo semplice doveva rispettare l’unico altro moto semplice, quello circolare. Questo valeva per ciascuno dei corpi semplici sublunari e, forse, valeva anche per la regione sopralunare, se si attribuiva a quest’ultima un moto circolare opposto. 1 Aristotele aveva attribuito un moto circolare perpetuo – e dunque naturale, o preternaturale – alla sfera del fuoco ; un caso simile era la terra. 2 Neppure secondo gli stessi principi di Aristotele era corretta la tesi aristotelica che ogni corpo semplice ha soltanto un moto semplice. L’aria, ad esempio, aveva due moti semplici, rettilineo verso l’alto quando ritornava dalla sfera dell’acqua a quella dell’aria, e rettilineo verso il basso quando ritornava dalla sfera del fuoco. 3 Infine, sempre come poi fece Copernico, Oresme aveva rovesciato il modo in cui Aristotele aveva distinto le due regioni del cosmo, una superiore comprendente i cieli, la sfera del fuoco e l’aria superiore, che seguivano un moto circolare naturale o preternaturale, e una regione inferiore, comprendente i due strati più bassi dell’aria, l’acqua e la terra, che invece non osservavano quel moto. 4 Visto che il moto era relativo, aveva spiegato Oresme, i fenomeni osservabili potevano essere spiegati supponendo l’opposto, e cioè che le sfere superiori rimanessero immobili mentre quelle inferiori ruotassero. Gli strati più bassi dell’aria sarebbero stati percepiti come immobili in quanto contenuti – vale a dire ‘contenuti’ al di sotto delle vette delle montagne, come era stato detto da Aristotele e altri – proprio come l’aria dentro una nave in movimento. 5 Alcuni studiosi hanno suggerito che Oresme sia stata la fonte, diretta o indiretta, di Copernico. 6 Perciò Thomas S. Kuhn come si è visto, ha definito la teoria di Copernico « singolarmente incongrua » e, anche nel caso in cui Copernico l’avesse reinventata, « relativamente non originale » ; « la gran parte degli elementi essenziali sia della sua critica di Aristotele che della sua teoria del moto – ha scritto Kuhn – si 1
Ivi, ii.25, p. 528.169-177, 191-195. Ivi, ii.25, pp. 528.206-530.215. Oresme non usa il termine ‘preternaturale’, ma la sua teoria, secondo la quale è probabile che il moto perpetuo della sfera del fuoco origini da un influsso celeste o da un’intelligenza, significa in fondo la stessa cosa ; si veda supra, p. 23. 3 Ivi, ii.25, pp. 526.165-528.169. Buridan, in un contesto del tutto diverso e senza citare Oresme, rispose a quest’obiezione alla teoria di Aristotele ; si veda supra, p. 22 nota 4. 4 5 Ivi, ii.25, pp. 520.54-522.61. Ivi, ii.25, pp. 522.61-524.102. 6 P. M. Duhem, Un Précurseur français de Copernic : Nicole Oresme (1377), « Revue générale des sciences pures et appliquées », xx, 1909, pp. 866-873 : 872-73, secondo il quale le somiglianze erano così evidenti che, nonostante Le livre du ciel fosse scritto in francese e non fosse in stampa, era plausibile chiedersi se Copernico avesse tratto spunto dalla trattazione di Oresme ; T. S. Kuhn, The Copernican Revolution, cit., pp. 151, 153 ; T. Goldstein, The Renaissance Concept of the Earth, p. 23 nota 9 ; M. Wolff, Impetus Mechanics, cit., p. 226 : « Oresme […] may have prepared Copernicus’s explanation » ; R. Hooykaas, Science in Manueline Style, Coimbra, Academia Internacional de Cultura Portuguesa, 1980, pp. 58-61, propone che Copernico abbia probabilmente attinto direttamente o indirettamente dalla dottrina di Oresme in Le livre du ciel. Le idee di Oresme – sostiene Hooykaas (ibidem) – erano ben conosciute a Crocovia quando Copernico vi intraprese i suoi studi ; a conferma di questa sua affermazione, Hooykaas fa riferimento a K. Michalski, Les courants philosophiques, cit., pp. 86-88. Hooykaas (ibidem) fornisce qui un’interpretazione inesatta di Michalski, che spiega la teoria dell’impeto e la sua ricezione nell’Università di Cracovia, facendo riferimento (una sola volta) a Oresme e ad altri scolastici che fecero uso, o potrebbero aver fatto uso, delle idee di Oresme. La teoria dell’impeto non è strettamente connessa con l’ipotesi geocinetica di Oresme. R. Hooykaas, The Aristotelian Background, cit., p. 112, commenta che la dottrina di Oresme è simile a quella di Copernico, ma non sostiene che Oresme abbia influenzato Copernico. 2
62 copernico e la gravità ritrovano in scritti scolastici precedenti ». 1 Ma Kuhn non dice chi altri abbia in mente, oltre a Oresme. Per quanto evidenti possano essere le somiglianze, l’idea che Oresme abbia ispirato Copernico non ha mai trovato largo seguito. Ad oggi non vi è prova certa che Copernico abbia conosciuto Le livre du ciel. 2 Il testo di Oresme non ebbe larga diffusione nel Trecento, Quattrocento e Cinquecento e venne pubblicato per la prima volta solamente tra il 1941 e il 1943. 3 1
T. S. Kuhn, The Copernican Revolution, cit., p. 153, citato supra, p. 12. E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., p. 648 ; cga, iii, pt 1, p. 184. A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 364, rifiutò la tesi di P. M. Duhem, Un Précurseur français de Copernic, cit., secondo cui Oresme avrebbe potuto aver condizionato Copernico ; le somiglianze tra le due teorie dovrebbero essere attribuite – scrive Birkenmajer (ibidem) – al fatto che entrambi abbiano usato, indipendentemente l’uno dall’altro, le idee aristotelico-scolastiche del moto naturale e del luogo naturale per spiegare la rotazione diurna della terra attorno al proprio asse. 3 Né sussistono ragioni per sostenere che Copernico conoscesse le Questiones De spera e Questiones super De celo di Oresme (cit.). Né l’uno né l’altro erano stati pubblicati nel xv o xvi secolo. 2
v. COPERNICO E PLUTARCO
È
improbabile che Copernico non abbia guardato oltre Aristotele e i suoi sostenitori scolastici. Nella lettera scritta a prefazione del De revolutionibus, indirizzata a Papa Paolo III, Copernico ricorda come fosse rimasto progressivamente deluso dalle spiegazioni tradizionali del moto celeste. « Perciò » – scrisse – « mi presi il compito di rileggere quanto potevo le opere di tutti i filosofi per capire se mai qualcuno avesse avanzato l’ipotesi che i moti delle sfere celesti fossero differenti da quelli supposti da coloro che insegnavano astronomia nelle università ».1 Qualsiasi sia il valore che intendiamo dare a questo racconto personale non vi è dubbio che Copernico fece ampie letture mentre cercava di dare supporto alla sua fondamentale innovazione astronomica. Sappiamo, ma lo possiamo facilmente dedurre anche dal De revolutionibus, che egli consultò, per citare qualche esempio, le Leggi di Platone, come probabilmente anche altre opere dello stesso nella traduzione latina di Marsilio Ficino, il De placitis philosophorum, all’epoca attribuito a Plutarco, il De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, i Phaenomena di Arato con antiche annotazioni a margine, entrambi nella versione originale greca, In calumniatorem Platonis di Bessarione, e De expetendis et fugiendis rebus di Giorgio Valla. I libri che ci sono rimasti di quelli che Copernico possedeva, annotava o che aveva potuto consultare nella biblioteca del Capitolo della cattedrale di Frombork (Frauenburg) di cui era canonico regolare, confermano che il suo interesse andava ben oltre la letteratura scolastica. 2 Per la dottrina della gravità e del moto naturale circolare proposti da Copernico ci sono indicazioni a favore di Plutarco di Cheronea come possibile fonte. In quello che è lo studio sinora più accurato della dottrina di Copernico, Fritz Krafft ha ipotizzato che la spiegazione teleologica sia stata ispirata a quella del De facie quae in orbe lunae apparet di Plutarco. 3 (Krafft non ha preso in considerazione la spiegazio1 Copernico, De revolutionibus, cit., Praefatio, p. 4.31-34 : « Quare hanc mihi operam sumpsi, ut omnium philosophorum, quos habere possem, libros relegerem, indagaturus, an ne ullus unquam opinatus esset, alios esse motus sphaerarum mundi, quam illi ponerent, qui in scholis mathemata profiterentur. » 2 Sui libri di proprietà di Copernico o da lui consultati, e tuttora esistenti, si vedano P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit.; A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit. ; Idem, Copernicus and the Aristotelian Tradition, Leida, Brill, 2010, pp. 208-212 ; e referimenti bibliografici in questi studi. 3 F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., pp. 69-71, e, più in breve, Idem, Johannes Keplers Beitrag zur Himmelsphysik, cit., pp. 79-80. A. De Pace, Plutarco e la rivoluzione copernicana, in L’eredità culturale di Plutarco dall’antichità al Rinascimento, a cura di I. Gallo, Napoli, D’Auria, 1998, pp. 313-351 : 319-320, 332-351, e Idem, Introduzione, cit., pp. 95, 190, 196-198, 206, è d’accordo con Krafft nel sostenere che Copernico avesse letto il De facie e avesse seguito la teoria di gravità ivi contenuta. H. Görgemanns, Untersuchungen zu Plutarchs Dialog De facie in orbe lunae, Winter, Heidelberg, 1970, p. 115 nota 86, notò la somiglianza tra la dottrina di Plutarco e quelle di Oresme, Copernico, Galileo e Newton, ma negò che Plutarco fosse la fonte diretta di queste ultime. Görgemanns aveva espresso l’intenzione di studiare lo sviluppo di quella teoria. Tuttavia, la lista delle pubblicazioni di Görgemanns in Mousopolos Stephanos. Festschrift für Herwig Görgemanns, a cura di M. Baumbach et alii, Heidelberg, Winter, 1998, pp. 539-544, non contiene nulla del
64 copernico e la gravità ne fisica, forse perché riteneva che quest’ultima fosse un mero adattamento della tesi scolastica. 1 ) In quest’opera Plutarco rifiutò la dottrina stoica, e implicitamente anche aristotelica, del luogo naturale. 2 Si può dar maggior consistenza alla tesi di Krafft considerando contemporaneamente due altre opere, il De defectu oraculorum e il De Stoicorum repugnantiis, che ripetono, per quanto brevemente, le obiezioni di Plutarco. 3 Nella prima è criticata sia la versione stoica che quella aristotelica della dottrina, 4 nella seconda soltanto la sua variante stoica. 5 In tutti e tre questi saggi Plutarco aveva sostenuto che le parti cercavano di riunirsi con i loro interi, cosmici e corporei, piuttosto che tornare in un centro astratto o in un luogo naturale. 6 Se l’universo fosse stato infinito – come sostenevano gli Stoici – questo centro non sarebbe potuto esistere. 7 E in ogni caso gli stessi Stoici avevano proposto, incoerentemente, dottrine molto simili a quella di Plutarco, argomentando che l’universo e le sostanze rimanevano unite in quanto le loro parti si muovevano da e verso il centro del loro corpo piuttosto che da o verso un punto incorporeo. 8 genere. A. Goddu, Copernicus and the Aristotelian Tradition, cit., pp. 473-475, osserva che vi sono somiglianze tra i commenti di Plutarco sulla gravità e temi ad essa connessi nel De facie e quelli di Copernico. P. M. Duhem, Le système du monde, cit., ix, pp. 334-335, 401-402, 408, notò che la dottrina di Oresme era simile a quella di Plutarco, ma ritenne molto improbabile che Oresme avesse letto il De facie, in quanto non era stato tradotto in latino. 1 F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., pp. 66-67, spiega il contributo della filosofia scolastica alla teoria teleologica di Copernico. 2 Plutarco, De facie, a cura di M. Pohlenz, Moralia, v.3, 2a ed., Lipsia, Teubner, 1960, vi.923e-xv.28d, pp. 39.22-50.9. Le argomentazioni contenute nel De facie criticano esplicitamente soltanto le dottrine stoiche, ma nel De facie, cit., xvi.928d-e, p. 50.12-19, un interlocutore, ‘Aristotele’ – un sostenitore delle teorie peripatetiche piuttosto che Aristotele stesso – inizia un’esposizione della dottrina di Aristotele, ma viene interrotto. 3 Sulle obiezioni di Plutarco alle teorie di luogo assoluto e alla sua teoria alternativa, soprattutto nel De facie, si vedano D. Babut, Plutarque et le Stoïcisme, Parigi, Presses Universitaires de France, 1969, pp. 120-131, 142-144, 177, 311-312 ; H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 90-120, 149-152, 168 ; P. Donini, Science and Metaphysics. Platonism, Aristotelianism, and Stoicism in Plutarch’s On the Face in the Moon, in The Question of ‘Eclecticism’. Studies in Later Greek Philosophy, a cura di J. M. Dillon, A. A. Long, Berkeley-Los Angeles-Londra, University of California Press, 1988, pp. 126-144 ; e la bibliografia di D. Del Corno in Plutarco, Il volto della luna, traduzione italiana di D. Del Corno, Milano, Adelphi, 1991, pp. 39-41. 4 Plutarco, De defectu oraculorum, a cura di W. Sieveking, Moralia, iii, Lipsia, Teubner, 1929 (ristampa, 1972), xxv.424a-xxviii.425e, pp. 90.15-94.16, che parafrasa, ivi, xxv.424b-c, p. 91.6-18, Aristotele, De caelo, i.8, 276a22-277a12, e, Plutarco, De defectu oraculorum, xxviii.425d-e, p. 94.6-14, che cita Crisippo (svf, ii, p. 174, frag. 551). Quanto alla conoscenza che Plutarco possedeva di Aristotele, si veda P. Donini, Science and Metaphysics, cit., p. 131 note 12-13, e le indicazioni bibliografiche ivi contenute 5 Plutarco, De stoicorum repugnantiis, a cura di M. Pohlenz, Moralia, vi.2, Lipsia, Teubner, 1959, xliv.1054b-xlv.1055d, pp. 51.5-54.10, che cita, ivi, xliv.1054c-d, p. 51.10-22, Crisippo, in svf, ii, p. 174, frag. 551. 6 Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, cit., xliv.1054e-55b, pp. 52.5-53.6 ; Idem, De defectu oraculorum, cit., xxvi.424e, p. 92.8-9 ; Idem, De facie, cit.. Sulle fonti, si veda H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 95-96, 111-116. 7 Plutarco, De facie, cit., xi.925e-f, p. 44.6-14 ; Idem, De defectu oraculorum, cit., xxvi.424d-e, pp. 91.2392.9 ; Idem, De Stoicorum repugnantiis, cit., xliv.1054b-55c, pp. 51.5-53.25. 8 Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, cit., xliv. 1054e-55a, pp. 52.12-25 ; Idem, De defectu oraculorum, cit., xxviii.425e, p. 94.14-16. Sulla teoria stoica degli interi e delle parti, e sul modo in cui Plutarco la presenta e forse la modifica, si veda H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 112-114. Per quanto riguarda l’uso che Plutarco fa delle idee stoiche e i suoi tentativi di confutare la dottrina stoica di luogo naturale, si vedano le note di H. Cherniss nell’edizione Loeb dei Moralia, xii, pp. 60, 69, 77, 85 ; D. Babut, Plutarque et le Stoïcisme, cit. pp. 121-131 ; H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 91-92, 96-99, 108, 111-113, 117. H.
v. copernico e plutarco 65 Vi sono ulteriori somiglianze con la dottrina copernicana che Krafft non ha preso in considerazione. Nel De facie, Lamprias, uno dei fratelli di Plutarco, associò l’idea che le parti tendevano a rimaner unite ai loro interi corporei con una teoria del moto circolare. Dio, o la divina provvidenza, e non i luoghi naturali incorporei o i moti naturali degli elementi, avevano determinato le posizioni e le rivoluzioni della Luna, di Venere e degli altri corpi celesti ; e avevano operato in questo modo avendo in mente il disegno generale di un universo animato e l’unione armonica delle sue parti. 1 Si trattava di un’applicazione della visione platonica contenuta nel Fedone e nel Timeo, a cui Plutarco allude due volte quando argomenta che l’Intelletto (nous), piuttosto che la necessità naturale, era la causa dominante, e che, nella distribuzione degli elementi, e in altre cose, il ‘meglio’ prevaleva sulla necessità. 2 L’Intelletto, o Anima, vale a dire la divina provvidenza, trascendeva la Natura, anziché coincidere con essa, come sostenevano gli Stoici – almeno questo è come Plutarco, un po’ tendenziosamente, presenta la sua tesi ; ed era la divina provvidenza a governare la disposizione e il moto delle cose ovunque nell’universo, non il determinismo naturale. 3 I corpi pesanti cadevano perché erano della stessa natura della terra, non perché esistesse un luogo ‘basso’ in assoluto. 4 Così anche gli oggetti pesanti, appartenenti alla Luna, cadevano naturalmente verso di essa, e gli oggetti ‘leggeri’ ritornavano verso il Sole e verso gli altri corpi celesti ignei a cui appartenevano. 5 In aggiunta, Dio – Zeus, il demiurgo, ‘creatore e padre’, un’altra allusione a Platone 6 – impartiva il moto circolare alla Luna e agli altri corpi celesti. I cieli, per natura, mantenevano il controllo degli oggetti pesanti con la stessa facilità con cui matenevano il controllo di quelli leggeri. 7 Se nel concetto di natura in senso lato si includeva l’intervento divino di questo tipo, allora il fuoco e la terra, che si muovevano intrinsecamente verso l’alto e il basso, si trovavano per natura nei cieli e per natura seguivano il moto circolare. 8 Ogni volta che le parti si muovevano in accordo con la perfezione dei loro interi, allora si trovavano nella posizione giusta Görgemanns, op. cit., p. 117, spiega che la nostra conoscenza della fisica stoica non è sufficiente per poter giudicare quanto accurate siano le critiche mosse da Plutarco. 1 Plutarco, De facie, cit., xii.926c-xv.928d, pp. 45.12-50.9. Plutarco introduce brevemente anche la provvidenza in Idem, De Stoicorum repugnantiis, cit., xlv.1055c-d, pp. 53.25-54.10, in un contesto diverso ; si veda H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., p. 112. 2 Platone, Timeo, 48a2-4, 52d4-53b9 ; Idem, Fedone, 97b8-d5 ; Plutarco, De facie, cit., xiii.927d, xv.928a, 928c, pp. 48.6, 49.9, 49.27, H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 94, 100-105, 110-111 ; P. Donini, Science and Metaphysics, cit., pp. 133-134. H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., p. 104, pensa che Plutarco avesse in mente Platone, Leggi, x.903b3-904a4. 3 H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 98-107, 117-120 ; D. Babut, Plutarque et le Stoïcisme, cit., pp. 127-128, 311-312. Il contrasto con le dottrine stoiche è meno forte di quanto sostiene Plutarco. Plutarco attinse da idee stoiche o da idee che lui, e anche gli Stoici, seguivano – per es., il principio platonico che il ‘meglio’ prevale. Si veda H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 102-103, 106-107, 117. 4 Plutarco, De facie, cit., viii.924d-e, pp. 41.16-42.1. 5 Ivi, viii.924d-e ; xiii.927c-e, pp. 41.23-42.5, 47.21-48.6. 6 Ivi, xiii.927a, p. 47.7 ; H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., p. 104. Plutarco allude altrove al ‘padre’ e ‘demiurgo’ di Platone ; si vedano Plutarco, Quaestiones convivales, a cura di C. Hubert, Moralia, iv, Lipsia, Teubner, 1938 (ristampata, 1971), viii.2.720c, p. 265.19 ; e Idem, De animae procreatione in Timaeo, a cura di H. Drexler, Moralia, vi.1, Lipsia, Teubner, 1954 (ristampata 1959), ix.1017a, p. 154.21-22. 7 Plutarco, De facie, cit., xiii.927c-d, pp. 47.25-48.6. 8 Ivi, xiii.927c-d, pp. 47.21-48.2 ; H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., p. 105.
66 copernico e la gravità e si muovevano secondo natura. 1 Questo era vero sia per le parti del cosmo – inteso come essere vivente – sia per gli animali. 2 Krafft sostiene la sua argomentazione con delle prove bibliografiche. 3 Nell’olografo del De revolutionibus (i.11), Copernico alluse al sistema eliocentrico di Aristarco. 4 (Il passo è stato cancellato dall’autore e omesso nelle prime quattro edizioni del 1543, 1566, 1617 e 1854. 5) L’unica fonte plausibile per questo riferimento, secondo Krafft, è il De facie in un brano che precede immediatamente la critica di Plutarco delle dottrine stoiche sul luogo naturale. 6 Copernico – continua Krafft – deve essersi imbattuto nel passo molto presto, durante il suo soggiorno in Italia intorno al 1500, prima di aver formulato la sua ipotesi eliocentrica. Infatti, le prime opere filosofiche, in cui aveva trovato delle alternative alla spiegazione scolastica del moto, erano state – come dice nella lettera dedicatoria – gli Academica priora (Lucullus) di Cicerone, dove si ripeteva che, secondo Nicetas (ossia, Hicetas), e nelle parole di Copernico, « la terra si muove », 7 e ‘Plutarco’, cioè i Placita philosophorum attribuiti all’epoca a Plutarco, in cui si citavano le opinioni di altri filosofi che avevano sostenuto la stessa tesi. Tra l’altro, Copernico cita lo pseudo-Plutarco in lingua greca, secondo il quale, i pitagorici pensavano che la Terra, il Sole, la Luna e gli altri pia1 Plutarco, De facie, cit., xiv.927d-28a, pp. 48.7-49.2. H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 106, 111, paragona l’argomentazione di Plutarco a Platone, Leggi, x.892b2-c8, dove Platone spiega che ‘Natura’ – se il termine è interpretato correttamente – includeva anche l’attività dell’Anima tanto quanto quella della natura intesa quale principio operativo del fuoco, dell’aria e degli altri oggetti corporei, che rimaneva tuttavia secondaria a ‘natura’. 2 Plutarco, De facie, cit., xiv.927e-xv.928d, pp. 48.16-50.9. Sulle fonti di Plutarco, per lo più stoiche, riguardo a questo punto, si veda H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 107-111, 116. 3 F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., p. 71 ; Idem, Johannes Keplers Beitrag zur Himmelphysik, cit., p. 80. 4 Copernico, De revolutionibus, cit., i.11, p. 488.29-31, e, in facsimile, cga, i, c. 11v. 5 T. W. Africa, Copernicus’ Relation to Aristarchus and Pythagoras, « Isis », lii, 1961, pp. 403-409 : 406-408 sostiene – a mio parere in modo non convincente – che Copernico abbia cancellato il passo per vanità o per ‘scrupoli Pitagorici’ che le dottrine pitagoriche dovessero rimaner segrete. E. Rosen, ccw, ii, p. 361, suggerisce, – anch’egli senza convincere – che Copernico abbia eliminato quel passo perché Plutarco (De facie, cit., vi.922f-23a, pp. 37.27-38.6), aveva fatto riferimento alla proposta di Cleante secondo cui Aristarco, in quanto sostenitore dell’ipotesi eliocentrica, avrebbe dovuto essere processato per empietà. E. Rosen, Aristarchus of Samos and Copernicus, « The Bulletin of the American Society of Papyrologists », xv, 1978, pp. 85-93 : 91, propone un’ipotesi più plausibile, e cioè che Copernico si fosse accorto che la sua traduzione della lettera di Liside a Ipparco, dove si trovava la menzione del sistema eliocentrico di Aristarco, era superflua, visto che una traduzione latina « era già stata stampata » (cioè nel In calumniatorem Platonis di Bessarione, di cui Copernico possedeva una copia). Secondo O. Gingerich, Did Copernicus Owe a Debt to Aristarchus ?, « jha », xvi, 1985, pp. 37-42 : 38, Copernico eliminò il passo perché si rese conto che era « una digressione inelegante e assolutamente fuori luogo ». Per un’ulteriore discussione della lettera, si veda A. De Pace, Niccolò Copernico e la fondazione del cosmo eliocentrico, cit., pp. 294 nota 6, 399-404. Qualunque sia stato il motivo di quell’omissione, va sottolineato che Copernico aveva una conoscenza molto limitata del sistema di Aristarco e senz’altro oggi noi supponiamo che Copernico avesse più motivi di citare Aristarco di quanto egli stesso ne abbia realmente avuti. 6 Plutarco, De facie, cit., vi.922f-23a, pp. 37.27-38.6. 7 Marco Tullio Cicerone, Academicorum reliquiae cum Lucullo, a cura di O. Plasberg, Lipsia, Teubner, 1922, Lucullus, xxxix.123, p. 89.6-12. Copernico trascrisse questo passo del Lucullus nella sua copia della Naturalis Historia di Plinio (su ciò si veda infra, pp. 189-190) e lo citò due volte in De revolutionibus, senza però far menzione del riferimento di Cicerone alla tesi geocinetica di Platone nel Timeo ; si vedano Copernico, De revolutionibus, cit., Praefatio e i.5, pp. 4.34-35, 11.9-10 ; L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., p. 560, e il facsimile posto a fronte di p. 567 ; B. Biliński, Il pitagorismo di Copernico, « Accademia Polacca delle Scienze. Biblioteca e Centro di Studi a Roma. Conferenze », 69, Breslavia, 1977, pp. 50, 52-57.
v. copernico e plutarco 67 neti orbitassero intorno a un fuoco centrale. E un altro pitagorico, Ecfanto – scriveva Plutarco nello stesso passo – aveva sostenuto che la terra ruotasse attorno al proprio asse. 1 La citazione di questo passo in lingua greca da parte di Copernico confermerebbe – secondo Krafft – che egli avesse letto il De facie, dato che i manoscritti dei Moralia disponibili mentre egli si trovava in Italia includevano il corpus completo delle opere e perciò sia il De facie che i Placita philosophorum. 2 Va subito specificato che quest’ultimo punto è dubbio. La tradizione manoscritta dei Moralia è complessa e include copie di saggi individuali o raccolte parziali, alcune delle quali circolavano in Italia durante il Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. 3 Nella sua lettera dedicatoria, Aldo Manuzio fece riferimento alle difficoltà che aveva trovato nel « collazionare e raggruppare » i Moralia per l’editio princeps (1509). Questi e altri problemi lo avevano spesso costretto a interrompere il progetto. 4 Laddove Aldo e l’editore dei Moralia, Demetrius Ducas, uno dei principali studiosi greci del tempo, avevano trovato difficoltà, difficilmente un novizio come Copernico avrebbe potuto andare molto più avanti, specialmente con un testo così problematico come il De facie. In massima parte Copernico imparò la lingua greca da autodidatta. 5 Per migliorare la sua conoscenza della lingua, si diede il compito, qualche tempo dopo il suo ritorno dall’Italia nel 1503, di tradurre le Lettere di Teofilatto Simocatta, usando il testo della collezione aldina di lettere dei filosofi e oratori greci, pubblicata nel 1499. Persino nel 1509, quando finalmente dette alle stampe la sua traduzione, aveva una conoscenza ancora incerta della lingua greca. 6 Tuttavia, si può salvare il punto essenziale della tesi di Krafft, vale a dire che Copernico avesse letto il De facie, presumendo – come hanno fatto altri 1 Copernico, De revolutionibus, cit., Praefatio, p. 4.36-40, che cita Pseudo-Plutarco (i.e., Aëtius), Placita 2 philosophorum, cit., iii.13, 896a, p. 108.2-8. F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., p. 71. 3 Alcuni mss. dei Moralia in circolazione in Italia in quel periodo erano incompleti. Per es., Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. C.195 infra (881 ; testimone J), che Demetrius Ducas usò come esemplare di tipografia per i Moralia di Aldo, non contiene i Placita o il De facie (Planudes n. 51 e n. 71) ; si veda M. Pohlenz, Praefatio all’edizione Teubner dei Moralia, i, Lipsia, Teubner, 1925, pp. xxiii-xxiv. Sui mss. in circolazione in Italia nel xv e all’inizio del xvi secolo, si veda B. Hillyard, Girolamo Aleandro, Editor of Plutarch’s Moralia, « Bibliothèque d’humanisme et Renaissance », xxxvi, 1974, pp. 517-531 : 529-531, e A. De Pace, Introduzione, cit., p. 133 nota 403. Sui mss. dei Moralia, si veda Sulla tradizione manoscritta dei Moralia di Plutarco, a cura di A. Garzya et alii, Salerno, Laveglia, 1988. 4 Plutarco, Opuscula lxxxxii, a cura di Demetrius Ducas, Venezia, Aldo Manuzio, 1509, c. a1v. Su questa edizione si vedano D. J. Geanakoplos, Greek Scholars in Venice, Cambridge (MS), Harvard University Press, 1962, pp. 229, 246, 264, 275 ; M. Manfredini, Sulla tradizione manoscritta dei Moralia 70-77, in Sulla tradizione manoscritta dei Moralia di Plutarco, cit., pp. 123-138 : 130-133 ; M. Lowry, The World of Aldus Manutius, Oxford, Blackwell, 1979, pp. 239-240, 286 ; Plutarco, Œuvres morales, Parigi, Les Belles Lettres edizione, 1987, i, parte 1, pp. cclxxxvii-ccxcii. Ducas non fece uso del ms. (o mss.) di Bessarione dei Moralia, contrariamente a quel che sostengono molti studiosi, D. J. Geanakoplos, Greek Scholars in Venice, cit., p. 229) compreso ; si veda B. Hillyard, Girolamo Aleandro, cit., p. 529 nota 60. 5 Antonio Urceo (1446-5 luglio 1500), professore di latino e greco a Bologna, è identificato da alcuni come l’insegnante di greco di Copernico nei periodi in cui quest’ultimo studiò a Bologna dal 1496 al 1500 circa. P. L. Rose, The Italian Renaissance of Mathematics, Ginevra, Droz, 1975, pp. 120-121, ritiene che non vi siano motivi sufficienti per concludere che Copernico fosse allievo di Urceo. P. Czartoryski, ccw, iii, pp. 3-26 : 5, 17-18, dubita che Urceo abbia insegnato la lingua greca a Copernico. A. Goddu, Copernicus and the Aristotelian Tradition, cit., pp. 193-197, 214, 235, risassume quel che sappiamo della conoscenza che Copernico aveva della lingua greca. 6 Sulla conoscenza che Copernico aveva della lingua greca e sulla sua capacità di tradurre dal greco, si veda ccw, iii, pp. 3-71 ; cga, v, pp. 11-86.
68 copernico e la gravità studiosi di Copernico – che la sua citazione dal greco riguardante i pitagorici Filolao ed Ecfanto, nella lettera dedicatoria, derivi dal testo dei Placita philosophorum contenuto nei Moralia di Aldo del 1509. 1 Questo spiegherebbe anche il motivo per cui Copernico asserisce che egli prima (primum) si era imbattuto nel Lucullus di Cicerone, e soltanto successivamente (postea) nel brano dei Placita philosophorum. 2 Se, dunque, Copernico utilizzò il testo aldino dei Placita, allora possiamo ancora dire con Krafft che egli conobbe le tesi di Plutarco sulla gravità contenute nel De facie e – a dire il vero – anche nel De defectu oraculorum e nel De Stoicorum repugnantiis, che compaiono nei Moralia manuziani. 3 In ogni caso, però, la tesi di Krafft a favore del De facie è difettosa. 4 Nel brano olografo che riguarda Aristarco, Copernico scrisse che, secondo Filolao, la Terra si muoveva e « alcuni dicono che Aristarco di Samo fosse della stessa opinione ». 5 Per 1 I seguenti studiosi avanzano l’ipotesi che Copernico abbia usato i Moralia di Aldo : E. Rosen, Aristarchus, cit., pp. 89-90 ; Idem, Nicholas Copernicus and Giorgio Valla, « Physis », xxiii, 1981, pp. 449-457 : 452 ; Idem, ccw, ii, pp. 342, 361 ; G. Derenzini, L’eliocentricismo di Aristarco da Archimede a Copernico, « Physis », xvi, 1974, pp. 289-308 (la suggerisce appena) : 301 ; e A. De Pace, Plutarco e la rivoluzione copernicana, cit., pp. 313-314, 317-319, 334-335, Idem, Commentario, cit., p. 300 nota 24. A. De Pace, Plutarco e la rivoluzione copernicana, p. 314 nota 3, erroneamente sostiene che Copernico avesse incluso il testo greco nella versione olografa del De revolutionibus, i.5. I commenti di Copernico su Ecfanto e Filolao sono in latino ; si veda cga, i, c. 4r. 2 Altri passi del De revolutionibus che attingono dai Placita philosophorum non risolvono il problema. Potrebbero derivare dalla traduzione latina di Guillaume Budé, pubblicata per la prima volta nel 1505, o da Giorgio Valla, De expetendis et fugiendis rebus opus, Venezia, Aldo Manuzio, 1501. Quanto ai riferimenti di Copernico a Plutarco o al Pseudo-Plutarco, si vedano A. Birkenmajer, Kopernik jako filozof, « Studia i Materiały z Dziejów Nauki Polskeij », ser. c, fasc. 7, 1963, pp. 31-63 : 43-44 ; in traduzione francese : Idem, Copernic philosophe, in Idem, Études d’histoire des sciences en Pologne, « Studia copernicana », iv, Breslavia ecc., 1972, pp. 612-646 : 626-628 ; D. Knox, Ficino and Copernicus, in Marsilio Ficino. His Theology, His Philosophy, His Legacy, a cura di M. J. B. Allen, V. Rees, M. C. Davies, Leida, Brill, 2002, pp. 399-418 : 401. Per quanto riguarda la conoscenza di Copernico del testo di Valla, si vedano A. Birkenmajer, Commentarius, cit., pp. 393, 398-401 ; E. Rosen, Aristarchus, cit., pp. 86-87, 89-90, il quale, citando brani contenuti nel De revolutionibus, i.10 e iii.2, dà per certo che Copernico abbia utilizzato Valla ; Idem, ccw, ii, pp. 355-56, 382 ; Idem, Nicholas Copernicus, cit., pp. 449-455 ; F. Schmeidler, Kommentar, cit., pp. 84, 103, sulla scia di E. Rosen, ccw ; e D. Knox, Ficino and Copernicus, cit., pp. 401 note 7-8, 415 nota 23. Nel resoconto di una visita fatta nel 1598 alla biblioteca della Cattedrale di Frombork si trova elencato ‘Georg. Valla’ ; si veda F. Hipler, Analecta Warmiensia. Studien zur Geschichte der ermländischen Archive und Bibliotheken, Braunsberg, Eduard Peter, 1872, p. 60. 3 Nessuna traduzione latina dei De facie, De defectu oraculorum o De Stoicorum repugnantiis venne stampata durante la vita di Copernico. E questi testi non erano stati pubblicati in lingua greca, né singolarmente, né insieme ad altre opere. Quanto alla fortuna dei Moralia durante il Medioevo e il Rinascimento, si vedano R. Aulotte, Amyot et Plutarque. La tradition des Moralia au xvie siècle, Ginevra, Droz, 1965, pp. 21-38 ; G. Derenzini, L’eliocentricismo di Aristarco, cit., pp. 299-301 ; A. De Pace, Plutarco e la rivoluzione copernicana, cit., pp. 320-331 ; e, per le traduzioni del De facie, si veda Plutarco, Le Peri; tou` proswvpou, a cura di P. Raingeard, Parigi, Les Belles Lettres, 1935, pp. xix-xxv. 4 F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., pp. 70-71, suggerisce due ulteriori somiglianze : 1) Copernico, De revolutionibus, cit., i.10, p. 21.1 : « alii mentem [solem] […] vocant », e Plutarco, De facie, cit., xxviii.943a, pp. 82.22-83.1, sottolineando che il sole ha dato il suo nou`~ all’uomo ; ma molti autori greci e latini, compresi alcuni noti a Copernico, chiamano il Sole nou`~ o mens ; si veda D. Knox, Ficino and Copernicus, cit., pp. 408-409 ; e 2) il commento di Copernico nel Commentariolus, cit., p. 186, dove afferma di essere alla ricerca di una spiegazione più razionale (rationabilior modus) del moto circolare celeste, e Plutarco, De facie, cit., xiii.927c, p. 47.20-21, dove sostiene che il cosmo è governato kata; lovgon piuttosto che kataj fuvsin. Ma Plutarco, diversamente da Copernico, in questo caso si riferiva a un logos soprannaturale. 5 Copernico, De revolutionibus, cit., i.11, ii, p. 488.29-31 ; in facsimile, cga, i, c. 11v : « Credibile est hisce similibusque causis philolaum mobilitatem terrae sensisse : quod etiam nonnulli Aristarchum samium ferunt in eadem fuisse sententia. non illa ratione moti : quam allegat reprobatque Aristoteles ».
v. copernico e plutarco 69 quanto si sappia, questo è l’unico riferimento di Copernico al sistema di Aristarco. 1 Se Copernico avesse conosciuto il commento di Plutarco nel De facie – unico testimone su questo punto – secondo il quale Aristarco aveva sostenuto che la Terra ruotava attorno al suo asse e contemporanemante orbitava attorno al sole, allora Copernico avrebbe presumibilmente fatto appello all’autorità dello stesso Aristarco per il suo sistema eliocentrico. 2 Invece, Copernico descrive in maniera incompleta il sistema di Aristarco nell’olografo, e poi lo cancella nel passo dato alle stampe. Inoltre, alcune fonti forniscono una descrizione uguale o similmente incompleta. 3 La fonte più ovvia sono i Placita philosophorum, 4 un testo che Copernico conosceva 1 Quanto alla citazione, si vedano E. Zinner, Entstehung und Ausbreitung der copernicanischen Lehre, 2a ed. a cura di H. M. Nobis e F. Schmeidler, Monaco (di Baviera), Beck, 1988 (1a ed. Erlangen, 1943), p. 178 ; T. A. Africa, Copernicus’ Relation to Aristarchus and Pythagoras, cit., pp. 405-407 ; B. E. Wall, Anatomy of a Precursor. The Historiography of Aristarchos of Samos, « Studies in History and Philosophy of Science », vi, 1975, pp. 201-228 : 216-217 ; E. Rosen, Aristarchus, cit., pp. 88-90 ; Idem, Nicholas Copernicus, cit., pp. 450-451 ; O. Gingerich, Did Copernicus Owe a Debt to Aristarchus ?, cit., pp. 37-42 ; H. M. Nobis e F. Schmeidler, Kommentar, in E. Zinner, Entstehung und Ausbreitung der copernicanischen Lehre, cit., p. 591 ; F. Schmeidler, Kommentar, cit., pp. 89-90. 2 Sulle fonti classiche che forniscono un resoconto delle teorie di Aristarco, si vedano T. Heath, Aristarchus of Samos. The Ancient Copernicus, Oxford, Clarendon Press, 1913, pp. 254-255, 301-310 ; G. Derenzini, L’eliocentricismo di Aristarco, cit., pp. 289-298 ; B. E. Wall, Anatomy of a Precursor, cit., pp. 202-206, 211-212. 3 Di seguito sono le possibili seppure improbabili fonti del riferimento di Copernico al sistema di Aristarco : 1) Archimede, Arenarius, i.4-6, in Idem, Opera omnia cum commentariis Eutocii, a cura di, e tradotto in lingua latina da, J. L. Heiberg, 3 voll., Lipsia, Teubner, 1910-1915, ii, p. 218.7-18. Il testo di Archimede fu pubblicato per la prima volta, in greco con traduzione latina, nel 1544. Con ogni probabilità Copernico non conosceva l’Arenarius di Aristarco in manoscritto, data la limitata circolazione della traduzione di Jacobus Cremonensis nel Quattrocento e nella prima metà del Cinquecento. Si vedano Archimedes in the Middle Ages, a cura di M. Clagett, 5 voll., 10 parti, Madison (WI), Winsconsin University Press, 1964-1984, iii, parte 3, pp. 321-334 ; E. Rosen, Aristarchus, cit., pp. 86-89 ; A. De Pace, Plutarco e la rivoluzione copernicana, cit., p. 316 nota 11. G. Derenzini, L’eliocentricismo di Aristarco, cit., pp. 301-305, spiega la limitata fortuna dei manoscritti del testo greco di Archimede durante il Medioevo e il Rinascimento. 2) Plutarco, Quaestiones platonicae, a cura di C. Hubert, Moralia, vi.1, Lipsia, Teubner, 1959, viii.1.1006c, p. 129.20-25. T. Heath, Aristarchus of Samos, cit., pp. 305-306, e G. Derenzini, L’eliocentricismo di Aristarco, cit., p. 296 nota 13, sostengono che questo passo si riferisca a entrambi i moti, ma Plutarco descrive il sistema di Aristarco in modo vago, dicendo soltanto che secondo Aristarco (e Seleuco), la terra gira e ruota. Prima del 1542 non esistevano testi stampati delle Quaestiones platonicae in lingua greca o latina, fatta eccezione per i Moralia di Aldo. 3) Giovanni Stobeo, Anthologium, a cura di C. Wachsmuth, O. Hense, 5 voll., Berlino, Weidmann, 1884-1923, i, i.25, p. 212.2-4 = Pseudo-Plutarco, Placita philosophorum, cit. 4) Sextus Empiricus, Adversus mathematicos, a cura di H. Mutschmann, Lipsia, Teubner, 1961, ii, x.174, p. 340.19-21. Il trattato Adversus mathematicos fu pubblicato per la prima volta in lingua latina nel 1569. 5) Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., pp. 444.17-445.3. 6) Giorgio Valla, De expetendis et fugiendis rebus opus, cit., xxi.24, segn. kk5v, che traduce il passo dei Placita. La traduzione di Valla è talmente confusa – come fa notare E. Rosen, Aristarchus, cit., pp. 89-90, Idem, ccw, ii, pp. 360-361, e Idem, Nicholas Copernicus, cit., p. 451 – che non comunica neppure l’idea di Aristarco secondo la quale la terra ruota ogni anno intorno al Sole. 7) Giovanni Francesco Pico della Mirandola, Examen vanitatis doctrinae gentium et veritatis christianae disciplinae, iii.8, iii.12, in Giovanni e Francesco Pico della Mirandola, Opera omnia, 2 voll., Basilea, ex officina Henricpetrina, 1572-1573, ii, pp. 961, 993, che segue il passo sopra citato delle Quaestiones platonicae di Plutarco. Pico pubblicò l’Examen nel 1520 ; nel sopraccitato resoconto della visita del 1598 alla biblioteca della cattedrale di Frombork si trovano elencate copie dei testi di Giovanni Pico e, forse, di Gianfrancesco Pico ; si veda F. Hipler, Analecta Warmiensia, cit., p. 48. L’Examen di Pico tratta ampiamente del moto della terra, ma pare che Copernico non l’abbia consultato. 4 Pseudo-Plutarco, Placita philosophorum, cit., ii.24.891a, p. 94.5-7. E. Rosen, Aristarchus, cit., pp. 8990, e O. Gingerich, Did Copernicus Owe a Debt to Aristarchus ?, cit., p. 39, sostengono che l’unica fonte di
70 copernico e la gravità certamente al tempo in cui scrisse la lettera dedicatoria, e, probabilmente, anche prima. 1 Ma neppure la citazione in greco dai Placita philosophorum prova che Copernico avesse letto il De facie di Plutarco, come ha invece sostenuto Krafft. La lettera dedicatoria, in cui si trova detta citazione, fu scritta nel giugno 1542, ben più tardi dei capitoli sulla gravità. A quel punto il testo greco dei Placita philosophorum era disponibile non soltanto nell’edizione aldina del 1509, ma anche in un’edizione a sé stante pubblicata a Basilea nel 1531 con la traduzione di Budé. 2 Un’altra citazione dai Moralia fa pensare che Copernico abbia utilizzato l’edizione di Basilea piuttosto che quella aldina. L’olografo comprende un’introduzione (omessa nelle prime edizioni) che precede il capitolo iniziale del primo libro. Qui, tra l’altro, Copernico fece un elogio delle abilità superlative di Tolomeo in qualità di astronomo e osservò come Tolomeo fosse stato capace di far uso di un sapere accumulatosi in un arco di tempo lungo più di quattrocento anni. Il suo sistema astronomico pareva completo. Eppure, con l’andar del tempo, si era visto che «molte cose» non collimavano con le conclusioni che si dovevano trarre dal suo insegnamento ed in più, dalla sua epoca in poi, si erano scoperti «alcuni movimenti» (cioè dei corpi celesti). Per sottolineare ulteriormente quanto fosse difficile raggiungere conclusioni definitive in astronomia, Copernico allora aggiunse che Plutarco, «nel discutere l’anno tropico del Sole», aveva osservato che i movimenti dei corpi celesti avevano «eluso l’abilità degli astronomi» (mathematicorum peritiam vincit). 3 Gli studiosi hanno spesso affermato come questo riferimento a Plutarco sia Copernico per il sistema di Aristarco sia il passo dei Placita, invece che il De facie. Secondo Rosen, Copernico fece uso del testo dei Placita nell’edizione aldina del 1509 dei Moralia ; secondo O. Gingerich (ivi, p. 40), Copernico usò l’edizione del 1516 con la traduzione latina di Budé ; si veda infra, questa pagina nota 1. 1 Per ciò che riguarda i passi dei Placita usati come fonti per il De revolutionibus, libri i e v, si veda D. Knox, Ficino and Copernicus, pp. 401 note 7-9, 404 nota 23, 413 nota 54. Secondo O. Gingerich, Did Copernicus Owe a Debt to Aristarchus ?, cit., p. 40, Copernico prima usò una copia dei Placita, ora conservata a Uppsala, nell’edizione di Strasburgo del 1516, tradotti in lingua latina da Budé ; soltanto più tardi, cioè quando scrisse la sua lettera dedicatoria nel 1543, Copernico fece uso della copia, anch’essa conservata a Uppsala, di un’edizione in lingua greca o che conteneva il testo in lingua greca. La tesi di Gingerich secondo la quale Copernico fece uso della copia conservata a Uppsala dell’edizione di Strasburgo del 1516 deriva da L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., pp. 559-561. L’assenza di annotazioni da parte di Copernico in questa edizione – sostiene Birkenmajer (ibidem) – si spiega col fatto che Copernico aveva attinto da « un’altra, precedente edizione e da una copia ora andata perduta ». La copia di Uppsala è annotata, ma non da Copernico ; si vedano P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., pp. 360, 380 (Copernicana 18) e A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit., p. 224. Il fatto che le annotazioni non siano di Copernico non esclude necessariamente che Copernico avesse usato la copia di Frombork. Desidero ringraziare Christopher Ligota per i suoi suggerimenti. 2 Come fa notare O. Gingerich, Did Copernicus Owe a Debt to Aristarchus ?, cit., p. 40, E. Rosen, Aristarchus, cit., non prende in considerazione la possibilità che Copernico possa avere usato l’edizione dei Placita stampata a Basilea nel 1531. Il testo dei Placita, iii.13, citato da Rosen a conferma della sua tesi, è identico nelle edizioni del 1509 (ivi, p. 318) e 1531 (ivi, p. 49). E il Rosen non tiene conto del fatto che soltanto nella lettera dedicatoria Copernico cita lo Pseudo-Plutarco in greco. Possiamo con buona probabilità escludere che Copernico abbia consultato la seconda edizione dei Moralia di Plutarco in lingua greca, pubblicata a Basilea nel 1542, dato che scrisse la lettera di dedica nel giugno di quello stesso anno (per la data, si veda cga, iii, parte 1, p. 73). E anche se avesse consultato tale edizione, ciò non prova che abbia letto il De facie mentre scriveva i primi capitoli del De revolutionibus, da lui completati qualche anno prima. 3 Copernico, De revolutionibus, cit., i, Praefatio, p. 488.3-9.
v. copernico e plutarco 71 una parafrasi non del tutto accurata di un passo delle Quaestiones romanae di Plutarco.1 Hanno addotto come prova che proprio esattamente la stessa espressione (mathematicorum peritiam vincit) appare nella traduzione latina delle Quaestiones ad opera di un allievo di Vittorino da Feltre, Joannes Petrus Lucensis (Giovanni Pietro d’Avenza, o da Lucca, morto nel 1457), stampata più volte durante la vita di Copernico.2 In realtà, come ha dimostrato Anna de Pace, l’espressione proviene dalle Disputationes adversus astrologiam divinatricem di Giovanni Pico della Mirandola. 3 Pico usò la stessa espressione «mathematicorum peritiam vicit» – la prese in prestito dalla traduzione di Petrus Lucensis – e ripeté l’elogio che Plutarco fece di Tolomeo quale astronomo. 4 Il brano di Pico spiega anche perché Copernico scrisse che il commento di Plutarco era contenuto in un passo che parlava dell’anno tropico del Sole. Infatti il capitolo che conteneva il brano di Pico riguardava il movimento del Sole. Il contesto in cui appare il brano di Plutarco, invece, ed in chiaro contrasto con quello di Pico, era l’irregolarità dei movimenti della Luna. 5 Non v’è dubbio, quindi, che la fonte di Copernico fu Pico. Questa conclusione rende meno plausibile la tesi che Copernico abbia consultato il De facie nell’originale. Pico segnalò chiaramente che la sua fonte erano i «Problemata rerum romanarum». Se conosceva così bene i Moralia, perché Copernico non consultò da solo il brano direttamente nell’originale anziché contare su Pico come intermediario? La spiegazione più semplice è che Copernico abbia usato Pico’s Disputationes per il commento sopraccitato su Plutarco e l’edizione di Basilea del 1531 in lingua greca e latina per citare dai Placita philosophorum in lingua greca. Ma l’obiezione più seria al De facie come fonte è che Plutarco omette il punto principale – che Krafft riconosce come tale 6 – della dottrina teleologica di Copernico, e cioè che il Sole, la Luna, la Terra e gli altri pianeti erano sferici. Plutarco non sosteneva che la sfericità fosse conseguenza della gravità. 7 Potremmo argomentare 1 Plutarco, Quaestiones romanae, a cura di W. Nachstädt et alii, Moralia, ii, Lipsia, Teubner, 1971, xxiv.269d, p. 287.15-19; citato da: E. Rosen, ccw, ii, p. 345; M.-P. Lerner, A. P. Segonds, Éditer et traduire Copernic, «Bruniana & Campanelliana», ix, 2003, pp. 379-408; D. Knox, Copernicus’s Doctrine of Gravity, cit., p. 188. 2 Plutarco, Problemata, traduzione latina di Joannes Petrus Lucensis, [Venezia, Andreas Belfortis, ca 1477], segn. b3v: «Inaequalitas tamen temporum mathematicorum peritiam vincit, et eorum numeros ac supputationes saepissime fallit ac fugit». Le edizioni più antiche furono stampate a Ferrara e Venezia, entrambe intorno al 1477. La traduzione fu ripubblicata sia singolarmante sia in antologie di opere scelte 3 dai Moralia. A. De Pace, Commentario, cit., pp. 310-311 nota 47. 4 Giovanni Pico della Mirandola, Disputationes adversus astrologiam divinatricem, a cura di E. Garin, 2 voll., Firenze, Vallecchi, 1946-1952, ii, p. 332: «Plutarchus, Ptolemaeo posterior et Aemilio Romano mathematico summo sub Traino contemporaneus, in Problematis rerum romanarum hoc quoque, inquit, tempore, quo ad summam astrologiae perventum est, inaequalitas tamen temporum mathematicorum peritiam vicit, et eorum numeros ac supputationes saepissime fallit ac fugit.» 5 Come F. Zeller e K. Zeller, Notae ad textum revolutionum Copernici, in Copernico, Gesamtausgabe, 2 voll., a cura di F. Zeller, K. Zeller, Monaco-Berlino, Oldenbourg, 1944-1949, ii, pp. 436-467, E. Rosen, ccw, ii, p. 345, e F. Schmeidler, Kommentar, cit., p. 179, fanno notare, Plutarco non parla dei movimenti 6 del Sole. F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., p. 66. 7 H. Görgemanns, Untersuchungen, cit., pp. 113, 114 nota 82, sottolinea quest’omissione. F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., p. 67 sostiene – erroneamente – che Plutarco spiegava la forma sferica del cosmo e delle sue parti principali ricorrendo alla dottrina secondo cui le parti cercano i loro interi.
72 copernico e la gravità – quantunque Krafft non lo faccia – che Copernico abbia associato le considerazioni di Plutarco sulla gravità all’idea aristotelica che la terra fosse sferica, perché le sue parti, essendo pesanti, si muovono verso il centro del cosmo, accumulandovisi costantemente attorno il più vicino possibile le une alle altre. 1 Ma esistono altre incompatibilità oltre a questa appena detta. Per Plutarco il moto naturale era, in senso molto generico, il moto di un elemento verso il suo intero. La provvidenza aveva scavalcato questo moto naturale degli elementi e aveva impartito il moto circolare agli interi con la finalità di dare un ordine al cosmo. Per Plutarco il moto circolare era naturale per gli elementi solo quando ‘naturale’ veniva inteso nel senso più ampio del termine (fino ad includere l’aspetto provvidenziale). Per Copernico, invece, era vero l’esatto contrario, o quasi. Il moto circolare della terra, dell’acqua e, di conseguenza, della regione dell’aria circostante era, per lui, in senso generale, naturale. Non lo era invece il moto rettilineo verso il luogo naturale, benché prodotto dalla tendenza naturale della gravità impressa dalla provvidenza per tener uniti in un’unica forma i corpi celesti. Vi è un altro problema nell’identificare la dottrina di Plutarco come fonte della dottrina copernicana, e cioè la sua coerenza. Se è corretto quanto esposto nel terzo capitolo di questo libro, le dottrine fisiche e teleologiche della gravità di Copernico non si accordano molto bene tra loro. A questo punto riteniamo che debbano ricercarsi due tipi diversi di definizione, che Copernico avrebbe congiunto insieme applicandovi una versione della dottrina scolastica dell’impeto. Nei prossimi due capitoli si vedrà quali fossero questi due tipi di definizioni. 1 Aristotele, De caelo, ii.14, 297a8-b23 ; Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., ii.14, pp. 546.30-547.23 ; Alberto Magno, De caelo et mundo, cit., ii.4.9, p. 196 ; Tommaso d’Aquino, In De caelo et de mundo, cit., ii.27.2-7, pp. 223-224 ; Jean Buridan, Quaestiones in De caelo, cit., ii.23, p. 510.
vi. LE FONTI DELLA DOTTRINA TELEOLOGICA DI COPERNICO
L
a dottrina teleologica della gravità di Copernico, illustrata nel terzo capitolo di questo volume, precisava 1) che la gravità riuniva le parti della terra in un globo, 2) che la gravità veniva impressa in queste parti dalla divina provvidenza e, 3) che il Sole, la Luna e i pianeti, oltre alla Terra, erano probabilmente sferici per un egual motivo. Esistono due ovvie fonti stoiche per queste idee, ma entrambe sono sfuggite agli studiosi di Copernico. 1 Il De natura deorum di Cicerone Nel secondo libro del De natura deorum, Lucilius Balbus, lodato all’inizio del libro di Cicerone quale uno dei più colti esponenti della filosofia stoica dei suoi tempi, chiarì le idee della sua scuola. 2 Balbus spiegò che la Mente (Mens), o ragione, si diffondeva per il cosmo assicurando che ogni sua parte tendesse egualmente verso il centro. Questo sforzo della gravità e dei corpi pesanti (contentio gravitatis et ponderum) era anche il motivo per cui le parti della terra convergevano in un globo e l’elemento pesante dell’acqua, per quanto relativamente più leggero, formava una sfera che esercitava pressione intorno ad esso. Questo principio di gravità, spiegava, inoltre la ragione per cui i pianeti erano sferici. 3 Su questo punto Cicerone si rifaceva alle 1
F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., pp. 67, 71, che cita H. Görgemanns, Untersuchungen zu Plutarchs Dialog De facie, cit., pp. 113 nota 82, 114, fa un accenno al fatto che le dottrine di Copernico possano derivare da Cicerone, oltre che dal De facie di Plutarco. Egli fa riferimento al De natura deorum, però, solo implicitamente, tramite il riferimento a H. Görgemanns, loc. cit. A. De Pace, Commentario, cit., p. 196 n. 585, contesta quanto ho sostenuto nel mio saggio, Copernicus’s Doctrine of Gravity, cit., pp. 189-193, e cioè che Plinio e Cicerone furono le fonti che modellarono la dottrina di Copernico, e vi antepone il De facie di Plutarco. A mio parere vi sono prove incontestabili, come dimostrato qui sotto, per sostenere che Plinio e Cicerone sono le fonti certe, mentre per il De facie esistono al massimo degli indizi. E non sono d’accordo con De Pace quando sostiene (loc. cit.) che ho interpretato male alcuni punti del De facie. Pur ammettendo che l’avessi fatto, ciò non compromette la validità delle mie obiezioni contro la tesi che il De facie sia la fonte di Copernico. 2 Cicerone, De natura deorum, cit., i.vi.15, p. 7.8. Si veda anche ivi, i.xiv.36, iii.i.2, pp. 15.12-13, 118.9-12. 3 Ivi, ii.45.115-46.117, pp. 96.7-97.4. La fonte di Cicerone è controversa ; si veda H. Görgemanns, Untersuchungen zu Plutarchs Dialog De facie, cit., p. 114 nota 82. K. Reinhardt, Kosmos und Sympathie. Neue Untersuchungen über Poseidonios Kosmos, Monaco (di Baviera), Beck, 1926, p. 175, sosteneva che le corrispondenze tra le dottrine di Cicerone e quelle di Plutarco dimostrano che entrambe derivano da Posidonio. H. Görgemanns, loc. cit., nonostante riconosca le corrispondenze, non è convinto che Cicerone e Plutarco abbiano usato una fonte comune e sottolinea che Plutarco, diversamente da Cicerone, non menziona il fatto che la coesione produce sfericità. D. E. Hahm, The Origins of Stoic Cosmology, Columbus (oh), Ohio State University Press, 1977, pp. 110-111, 249-259, paragona Zenone, svf, i, p. 27, frag. 99, con Cicerone, loc. cit., Crisippo, svf, ii, p. 168, frag. 527, e ‘Stoici’, ivi, ii, p. 175, frag. 554, giungendo a concludere che non si può stabilire con certezza quale rapporto vi sia tra il primo e gli altri tre testi. K. Algra, The Early Stoics on the Immobility and Coherence of the Cosmos, « Phronesis », xxxiii, 1988, pp. 155-180 : 167-168, sostiene che le spiegazioni di Cicerone e di Zenone sono così evidenti da giustificare un’origine comune.
74 copernico e la gravità dottrine stoiche, secondo le quali la forma sferica del cosmo, i pianeti e la terra derivavano dalla coesione (hexis) delle parti intorno a un centro. 1 Insomma, come Copernico, ma con in mente una nozione di provvidenza immanente piuttosto che trascendente, Cicerone attribuì la sfericità della terra e dei pianeti alla gravità, a loro imposta dalla provvidenza. Così aveva spiegato Cicerone : Queste cose [cioè la volta celeste] sono una meraviglia, ma nulla è così meraviglioso quanto il fatto che esiste un mondo tanto stabile e coeso che è impossibile concepire alcunché di più adatto a permanere nel tempo. Infatti tutte le parti dell’universo tendono indistintamente a raggiungerne il centro da tutte le direzioni. Ora i corpi che sono correlati tra loro perdurano più a lungo quando un qualche legame li connette circondandoli. Questo legame è prodotto da quella Natura che pervade l’intero universo ; essa dota tutte le cose di intelligenza (Mens) e ragione, attrae e rivolge al centro del cosmo le cose che si trovano ai suoi estremi. Allora se il mondo è sferico e se perciò tutte le cose sono mantenute in essere per se stesse e in connessione reciproca, ne consegue necessariamente che lo stesso vale per la terra ; tutte le parti della terra tendono verso il centro, che è il punto più basso di una sfera, e nulla può interrompere questa tensione della gravità e dei corpi pesanti. Per lo stesso motivo il mare, pur trovandosi a un livello più alto della terra, tende al centro della stessa e forma una sfera uniforme tutt’attorno, e mai straripa e mai trabocca. L’aria confinante col mare è comunque portata in alto per la sua leggerezza, ma poi si diffonde in ogni direzione. Così l’aria, pur rimanendo ininterrottamente attigua al mare, allo stesso tempo s’innalza per natura verso il cielo. Là, temperata dalla tenue, tepida natura del cielo sovrastante, l’aria procura agli esseri viventi quel respiro che garantisce loro vita e salute. L’aria è circondata dalla più alta regione celeste che chiamiamo etere. L’etere mantiene il proprio calore rarefatto, non si unisce o mescola ad altre sostanze ed è contiguo alle regioni estreme dell’aria. È attraverso l’etere che ruotano i pianeti. In virtù della loro forza centripeta hanno forma sferica e la loro configurazione e forma mantengono il loro moto intrinseco. Infatti le stelle sono sferiche e, come mi pare di aver già detto,2 la forma sferica è quella che viene danneggiata meno facilmente. 3 1
Quanto all’hexis stoica, si vedano per es., Zenone, svf, i, pp. 27-28, frag. 99 ; Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, a cura di M. Marcovich, 2 voll., vol. 3 : indici a cura di H. Gärtner, Stoccarda-Lipsia, Teubner, 1999-2002, i, p. 526.5-7, vii.139 ; Alessandro di Afrodisia, in Simplicio, In Physica Aristotelis commentaria, a cura di H. Diels, 2 voll., Berlino, G. Reimer, 1882-1895, cag, ix-x, i, p. 671.8-12 ; Themistius, In Aristotelis physica paraphrasis, a cura di H. Schenkl, Berlino, G. Reimer, 1900, cag, v, parte 2, p. 130.1517 ; Cleomede, Caelestia (Metevwra), Lipsia, Teubner, 1990, a cura di R. Todd, pp. 5.98-99, 5.109, 7.168-172 (i.1). Le interpretazioni moderne sono varie ; si vedano M. Pohlenz, Die Stoa, 2 voll., Gottinga, Vandenhoeck & Ruprecht, 1948-1949, i, p. 83, ii, p. 49 (p. 49 anche nella 4a ed. ampliata del vol. ii, Gottinga 1972) ; D. E. Hahm, The Origins of Stoic Cosmology, Columbus (oh), Ohio State University Press, 1977, pp. 107, 109-111, 119, 163-168 ; K. Algra, The Early Stoics on the Immobility and Coherence of the Cosmos, cit., pp. 160-62, 165-68, 173, 175, 180 ; D. J. Furley, Some Points about Stoic Dynamics, « Proceedings of the Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy », ix, 1993, pp. 57-75 : 63, 72-3 ; A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 41-42 ; A. C. Bowen e R. B. Todd in Cleomedes’ Lectures on Astronomy, introduzione, traduzione e commento a cura di A. C. Bowen e R. B. Todd, Berkeley (CA), University of California Press, 2004, pp. 2 nota 6, 32 nota 53. 2 Cicerone, De natura deorum, cit., ii.xvii.47-48, p. 67.10-19, dove Lucilius Balbus loda la perfezione della sfera anziché la sua resistenza. 3 Ivi, ii.xl.45.115-46.117, pp. 96.7-97.4 : « Nec vero haec solum admirabilia, sed nihil maius quam quod ita stabilis est mundus atque ita cohaeret, ad permanendum, ut nihil ne excogitari quidem possit aptius. Omnes enim partes eius undique medium locum capessentes nituntur aequaliter. Maxime autem corpora inter se iuncta permanent cum quasi quodam vinculo circumdato colligantur ; quod facit ea natura quae per omnem mundum omnia mente et ratione conficiens funditur et ad medium rapit et convertit
vi. le fonti della dottrina teleologica di copernico
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Quasi certamente Copernico conosceva i commenti di Cicerone. Non solo vi sono sorprendenti somiglianze tra le spiegazioni di Lucilius Balbus della gravità e sfericità della terra e dei corpi celesti e quelle di Copernico nel nono capitolo del primo libro del De revolutionibus, 1 ma il brano del De natura deorum appena citato ha anche ispirato espressioni o brani connessi ai temi della gravità e della sfericità nel primo, secondo e terzo capitolo del primo libro del De revolutionibus. 2 All’inizio del secondo capitolo del primo libro, Copernico spiegava che la terra, come il cosmo, era sferica (globosa) e che prendeva questa forma « perché viene compressa verso il centro da ogni direzione ». 3 Allo stesso modo Cicerone aveva scritto, alla fine del brano appena citato, che il cosmo era globosus perché « tutte le parti tendono indistintamente a raggiungerne il centro da tutte le direzioni ». La terra, spiegava Cicerone, era sferica per la stessa ragione, in quanto tutte le sue parti premevano verso il centro « e nulla può interrompere questa tensione della gravità (contentio gravitas) e dei corpi pesanti ». 4 Nel terzo capitolo del primo libro, trattando della sfera ‘terracquea’, 5 Copernico riprese, adattandola, l’espressione ciceroniana contentio gravitatis nello spiegare come la terra e l’acqua premessero intorno ad un centro comune per formare il globo terracqueo : « a causa della loro gravità (gravitas), [l’acqua e terra] tendono (contendo) verso lo stesso centro ». 6 Inoltre vale la pena ricordare che, come poi Copernico, 7 anche Cicerone aveva spiegato che l’acqua premeva, come la terra, intorno al medesimo centro, sebbene l’acqua fosse il più leggero dei due elementi. Altrove nel De extrema. Quocirca si mundus globosus est ob eamque causam omnes eius partes undique aequabiles ipsae per se atque inter se continentur, contingere idem terrae necesse est, ut omnibus eius partibus in medium vergentibus (id autem medium infimum in sphaera est) nihil interrumpat quo labefactari possit tanta contentio gravitatis et ponderum. Eademque ratione mare, cum supra terram sit, medium tamen terrae locum expetens conglobatur undique aequabiliter, neque redundat umquam neque effunditur. Huic autem continens aer fertur ille quidem levitate sublimi, sed tamen in omnes partes se ipse fundit ; itaque et mari continuatus et iunctus est et natura fertur ad caelum, cuius tenuitate et calore temperatus vitalem et salutarem spiritum praebet animantibus. Quem complexa summa pars caeli quae aetheria dicitur, et suum retinet ardorem tenuem et nulla admixtione concretum et cum aeris extremitate coniungitur. In aethere autem astra volvuntur, quae se et nisu suo conglobata continent et forma ipsa figuraque sua momenta sustentant ; sunt enim rutunda, quibus formis, ut ante dixisse videor, minime noceri potest ». 1 Si veda supra, p. 49. 2 Alcuni altri brani nel De revolutionibus, come hanno fatto notare i critici, attingono idee ed espressioni dal secondo libro del De natura deorum di Cicerone. Oltre al brano sulla gravità e a quello che riguarda il fuoco discusso infra, p. 76, si veda Copernico, De revolutionibus, cit., i.10, p. 21.5 : « Concipit interea a Sole terra, et impregnatur annuo partu », che A. Birkenmajer, Anmerkungen, cit., p. 169, e Idem, Commentarius, cit., p. 383, confronta con Cicerone, De natura deorum, cit., ii.46.119, p. 97.20-24, un passo che si trova poche righe dopo i commenti di Cicerone sulla gravità, sulla forma sferica della terra e dei pianeti, e sull’etere. A. Birkenmajer, loc. cit., propone anche, come altre possibili fonti del commento di Copernico, Cicerone, De natura deorum, cit., ii.19.49-50, p. 68.13-21, 27-31. Per fonti alternative si veda, see Zeller e Zeller, Notae, cit., p. 444. 3 Ivi, i.2, p. 7.12 : « Terram quoque globosam esse, quoniam ab omni parte centro suo innititur ». 4 Cicerone, De natura deorum, cit., ii.xxxix.98, p. 88.22-24 : « Ac principio terra universa cernatur, locata in media sede mundi, solida et globosa et undique ipsa in sese nutibus suis conglobata ». 5 Si veda supra, pp. 29-30. 6 Copernico, De revolutionibus, cit., i.3, p. 8.8 : « ambabus [i.e. terra e acqua] in idem centrum conten7 dentibus gravitate sua », citato più estesamente, supra, p. 29. Si veda supra, pp. 29-30.
76 copernico e la gravità natura deorum Cicerone aveva osservato che il mare lambiva le coste in modo tale che gli elementi mare e terra sembravano un tutt’uno. 1 Nel stesso capitolo Copernico prese in prestito, come abbiamo visto, 2 il commento di Cicerone contenuto più avanti nel secondo libro del De natura deorum, e cioè che il « continente » d’Europa, Asia e Africa era un’isola. Nei successivi capitoli del primo libro del De revolutionibus, Copernico attinse nuovamente dalla esposizione ciceroniana della cosmologia stoica. Per esempio, il commento contenuto nel capitolo ottavo del primo libro del De revolutionibus, e cioè che il fuoco dilatava ciò che invadeva, 3 proveniva da una osservazione simile inclusa in una sezione del secondo libro precedente al brano citato dal De natura deorum. 4 Il commento è già interessante di per sé. Esso suggerisce che, mentre considerava attentamente la struttura del cosmo e degli elementi ed il ruolo del fuoco in quella struttura, Copernico aveva in mente il trattato di Balbus sulla cosmologia stoica. La conclusione che sembra trarne, e cioè che non vi era una sfera sublunare di fuoco e che la sfera dell’aria si mescolava con l’elemento che riempiva i cieli, si concilia con il modello cosmico che Balbus presenta nel brano del De natura deorum qui sopra riportato. Oltre a queste somiglianze di espressioni e di concetti, vi sono indicazioni bibliografiche che inducono a pensare che Copernico conoscesse bene il De natura deorum di Cicerone. I commenti di Cicerone sulla gravità e la sfericità fanno immediato seguito alla sua lunga citazione tratta dai Phaenomena di Arato, in traduzione. Ci rimane la copia dell’opera di Arato, in lingua greca con il commento di Teone di Alessandria, annotata da Copernico e pubblicata da Aldo Manuzio nel 1499 assieme con opere di Giulio Firmico Materno, Manilio e Proclo. Probabilmente Copernico possedeva in origine anche il resto del compendio, che includeva l’estratto di Arato nella traduzione di Cicerone, ivi attribuita all’oratore latino. 5 1
2 Cicerone, De natura deorum, cit., ii.xxxix.101, p. 89.15-17. Si veda supra, p. 30. Si veda supra, p. 41. 4 Cfr. Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.36 : « Est autem ignis proprietas, extendere quae invaserit », con Cicerone, De natura deorum, cit., ii.xv.41, p. 64.15-18 : « atque hic noster ignis […] quocumque invasit omnia disturbat et dissipat ». A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 368, ha fatto notare questo prestito. 5 La parte della copia di Copernico tuttora esistente corrisponde alle segn. n1-t8 del compendio di Aldo. La copia di Copernico, Uppsala, Copernicana 3, è rilegata assieme alle sue copie di Giovanni Pontano, Opera, Venezia, Bernardo Viani, 1501, e a Basilio Bessarione, In calumniatorem Platonis, Venezia, Aldo Manuzio, 1503 ; si vedano L. F. Prowe, Nicolaus Coppernicus, cit., i, parte 2, p. 415 ; F. Hipler, Analecta Warmiensia, cit., pp. 121-123 ; L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., pp. 128-129, 135-139 ; P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., p. 367 ; A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit., p. 221. La traduzione curata da Cicerone si trova alle segn. K3v-K8v. L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., pp. 126-127, descrive il volume, ma senza rilevare che la copia di Arato posseduta da Copernico, con il commento di Teone di Alessandria e con il De sphaera di Proclo, costituiva soltanto la parte finale del compendio aldino. Secondo Birkenmajer (ibidem), Copernico acquistò i testi di Pontano, Bessarione, Arato, Teone e Proclo tutti insieme come appartenenti a una miscellanea, e questo perché Copernico pose la sua firma sulla pagina contenente il titolo del primo testo, l’Opera di Pontano, e il prezzo « floren. ½ » sul verso dell’ultima pagina del secondo volume, il In calumniatorem di Bessarione. La parte del compendio aldino rilegata con questi testi non porta la firma di Copernico sulla pagina contenente il titolo. La mia interpretazione di questi dati è che Copernico abbia acquistato le opere di Pontano e Bessarione in volumi separati e che solo in un secondo momento queste siano state rilegate insieme alla parte finale del compendio di Aldo, che era stato separato dai testi ad esso originariamente allegati. L’iscrizione « Liber Bibliothecae Varmiensis » appare sotto la firma di Copernico nella pagina contenente il titolo dell’Opera 3
vi. le fonti della dottrina teleologica di copernico 77 Basta semplicemente supporre che Copernico fosse sufficientemente curioso di scoprire quel che Cicerone avesse da dire sull’estratto di Arato per concludere che egli conoscesse il resoconto ciceroniano sulla teoria della gravità contenuto nel De natura deorum. Anche senza questo riscontro si può, però, presumere che Copernico conoscesse il testo di Cicerone, poiché quest’ultimo era disponibile in diverse edizioni a stampa, sia singolarmente che in raccolte, e una copia manoscritta era certamente a portata di mano. Nel resoconto di una visita fatta nel 1598 alla biblioteca della cattedrale di Frombork, si trovano elencati, in modo incompleto, diversi volumi manoscritti o a stampa che includevano le opere di Cicerone. Uno di essi (ora presso la Biblioteca Apostolica Vaticana), il ms. Reg. Lat. 1481, datato 1418 e probabilmente eseguito per il vescovo di Frombork Johannes Abeczier (1415-1424) durante la sua partecipazione al Concilio di Costanza, conteneva il De natura deorum. 1 La Naturalis historia di Plinio La seconda fonte stoica usata da Copernico per la cosmologia fu la Naturalis historia di Plinio. 2 Non v’è alcun dubbio che Copernico abbia consultato l’opera di Plinio, come concordano molti studiosi seppure in maniera parziale. 3 Numerose idee ed espressioni del De revolutionibus derivano da lì. Per esempio, l’osservazione di Copernico che il Mediterraneo orientale ed il Mar Rosso erano divisi da un lembo di terra molto sottile fu tratta con molta probabilità dal libro di Plinio. 4 Deriva da di Pontano. Vorrei ringraziare Christopher Ligota per avermi cortesemente aiutato in merito alla descrizione fatta da Birkenmajer. 1 F. Hipler, Analecta Warmiensia, cit., pp. 62 nota 56, 162 ; Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, a cura di É. Pellegrin et alii, Parigi, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1975-, ii, parte 1, pp. 233-235 ; P. L. Schmidt, Eine Cicero-Handschrift des ermländischen Bischofs Johannes Abeczier, « Rheinisches Museum für Philologie », Bonn, cix, 1966, pp. 170-184. Sono grato a Dario Tessicini che ha consultato per me il ms. Reg. Lat. 1481 ; nel brano del De natura deorum sulla gravità non compaiono annotazioni o segni di alcun tipo. Nel resoconto della visita del 1598 (cit. supra) il ms. in questione viene citato come « Offic. Cic. in rub. corio ». Il suddetto catalogo contiene altre sei voci, ugualmente incomplete, riferibili a testi di Cicerone (per esempio, « Tullius de rhetorica in rub. corio »). F. Hipler, Analecta Warmiensia, cit., pp. 32 nota 38, 62 nota 55, 162, identificò una di queste voci con il ms. Reg. Lat. 1511 della Biblioteca Apostolica Vaticana, che non contiene il De natura deorum ; si veda Les manuscrits classiques, cit., ii, parte 1, pp. 248-249 ; lo studioso non ha identificato, invece, i mss. o i volumi stampati corrispondenti alle altre cinque voci. 2 Sulle idee stoiche nel secondo libro del Naturalis historia, si vedano W. Kroll, Die Kosmologie des Plinius, mit zwei Exkursen von H. Vogt, Breslavia, M. & H. Marcus, 1930, pp. 2-3 e passim ; re, xli Hbd, 1951, coll. 301-302 ; J. Beaujeau, Notice e Commentaire, in Plinio il Vecchio, Histoire naturelle, ii, Parigi, Les Belles Lettres, 1950, pp. xi-xii, xv-xix, 115-120, e passim ; O. Pedersen, Some Astronomical Topics in Pliny, in Science in the Early Roman Empire. Pliny the Elder. His Sources and Influence, a cura di R. French e F. Greenaway, Londra e Sydney, Croom Helm, 1986, pp. 162-196 : 166-167, 175-176 ; and B. S. Eastwood, Plinian Astronomy in the Middle Ages and Renaissance, in Science in the Early Roman Empire, cit., p. 197 (ristampa B. S. Eastwood, The Revival of Planetary Astronomy in Carolingian and Post-Carolingian Europe, Aldershot, 2002, articolo ii). 3 D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, in Renaissance Letters and Learning. In Memoriam Giovanni Aquilecchia, a cura di D. Knox e N. Ordine, Londra-Torino, Warburg Institute-Aragno, 2012, pp. 111-148. 4 Si veda supra, p. 32. Per un secondo prestito da Plinio nel terzo capitolo del De revolutionibus, si veda supra, p. 33 n. 2.
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copernico e la gravità
Fig. 6. Copernicus, De revolutionibus orbium coelestium libri vi, Norimberga, Johannes Petreius, 1543, fol. 9v. Immagine riprodotta col permesso della ucl Library, Special Collections.
Plinio anche la sua descrizione del Sole quale rector e Mens del cosmo che apparve nel capitolo decimo, libro primo, dell’edizione del 1543 del De revolutionibus sotto il famoso diagramma del modello eliocentrico (Fig. 6). 1 Inoltre ci sono rimaste almeno due copie della Naturalis historia che Copernico aveva consultato. Copernico appose annotazioni e marcature ad una copia dell’edizione di Filippo Beroaldo della Naturalis historia di Plinio, pubblicata da Marino Saraceno a Venezia nel 1487 ; ed alcune annotazioni furono da lui inserite in una copia dell’edizione pubblicata da Conradus Sweynheym e Arnoldus Pannartz a Roma nel 1473. Entrambi i volumi sono conservati nella Biblioteca 1 Cfr. Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.12-13, i, p. 131.20-21, e Copernico, De revolutionibus libri, cit., i.10, p. 21.1. Si veda inoltre D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., p. 123.
vi. le fonti della dottrina teleologica di copernico 79 Universitaria di Uppsala, con l’intestazione, rispettivamente, di Copernicana 12 e Copernicana 21. 1 (Una riproduzione completa di Copernicana 12 è accessibile sul sito ‘Gallica’ della Bibliothèque nationale.) Le annotazioni a Copernicana 21 furono inserite a cominciare dal 1522 o più tardi, durante il periodo in cui, cioè, Copernico stava scrivendo il De revolutionibus. Copernicana 12 è, comunque, per lo scopo della nostra ricerca, il più interessante dei due volumi perché alcune marcature e annotazioni a margine sono relative ai commenti di Plinio su questioni cosmologiche. Una annotazione desta particolare interesse. A fondo pagina, subito dopo l’inizio del secondo libro della Naturalis historia, dove Plinio spiega le sue dottrine cosmologiche, Copernico trascrisse un brano dal Lucullus (il secondo libro dell’Academica priora e l’unico rimasto). (Fig. 7.) Hicetus, o Nicetas secondo la grafia di Copernico e dei suoi contemporanei, aveva, a detta di Teofrasto, proposto un sistema geocinetico e geocentrico nel quale la terra ruotava sul proprio asse al centro del cosmo : Il Siracusano Hicetas, come dice Teofrasto, è del parere che il cielo, il Sole, la Luna, le stelle ed in breve tutte le cose in alto sono immobili e che nulla nel mondo si muove eccetto la terra, la quale, ruotando e piegandosi molto velocemente intorno al suo asse, produce tutti quegli stessi effetti che verrebbero prodotti se la terra fosse immobile ed i cieli si muovessero ; ed alcuni pensano che questo sia anche ciò che dice Platone nel Timaeus, sebbene in maniera un po’ più oscura. 2
Copernico fece riferimento due volte a questo brano nel De revolutionibus, una volta nella lettera introduttiva a Papa Paolo III, che Copernico, a parere della maggior parte degli studiosi, scrisse nel giugno 1542, e poi ancora nel quinto capitolo del primo libro. Il primo riferimento lo troviamo subito dopo il brano nel quale Copernico dichiara che aveva riletto tutte le opere che poteva ottenere mentre tentava di trovare una proposta alternativa al tipo di astronomia insegnato « nelle scuole ». 3 La prima proposta alternativa che trovò fu, come poi osservò lui stesso, quella di Nicetus, così come riportata da Cicerone. 4 Se, dunque, ci fidiamo di quel che dice Copernico, i commenti di Cicerone ispirarono molto presto la sua ipotesi eliocentrica. Ma perché Copernico trascrisse il brano di Lucullus in una copia della Naturalis historia ? Rispondere a questa domanda ci porterebbe troppo lontano dall’oggetto immediato del nostro studio. Basti qui accennare al fatto che l’evidenza suggerisce 1 Per Copernicana 12, si vedano L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., pp. 560-561 ; P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., pp. 357-358, 372 ; E. Rosen, ccw, ii, p. 341 ; A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit., pp. 222-223 ; D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., p. 112, con ulteriori riferimenti bibliografici. Su Copernicana 21, conservata ai tempi di Copernico nella biblioteca del Capitolo di Frombork, si vedano L. A. Birkenmajer, loc. cit. ; E. Rosen, ccw, ii, pp. 343-344 (che dà erroneamente come data dell’edizione il 1472) ; D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., p. 118, con ulteriori riferimenti bibliografici. Sono grato a Sebastian Wydrowski per il cortese aiuto che mi ha fornito relativamente alla descrizione di Birkenmajer. 2 3 Cicerone, Lucullus, a cura di O. Plasberg, xxxix.123, p. 89.6-12. Si veda supra, p. 63. 4 Copernico, De revolutionibus, cit., praefatio, p. 4.34-5. Qui, come nel suo riferimento a Nicetus, ivi, i.5, p. 11.9-10, Copernico tralasciò il riferimento di Cicerone alla supposta tesi geocinetica di Platone nel Timaeus.
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copernico e la gravità
Fig. 7. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, Venezia, Marinus Saracenus, 1487 (Copernicana 12), segn. a3v. A fondo pagina Copernico trascrisse i commenti di Cicerone sulla geocinesi contenuti nel Lucullus, il secondo ed unico libro rimasto degli Academica priora; si veda Cicerone, Lucullus, a cura di O. Plasberg, xxxix.123, p. 89.6-12. Nella trascrizione si legge: «Apud Ciceronem libro secundo academicarum questionum, Nicetus Syrac[u]sius vt ait Theophrastus. Celum Solem Lunam stellas, Supera denique omnia stare censet. Neque preter terram rem vllam in mundo mouerj. Que cum circa axem se summa celeritate conuertat et torqueat eadem effici omnia que si stante terra, celu[m] moueretur. Atque hoc etiam platonem dicere in timeo dicere quidam arbitrantur sed paulo obscurius». Immagine riprodotta col permesso della Uppsala universitetsbibliotek.
vi. le fonti della dottrina teleologica di copernico 81 che Plinio era, per Copernico, più di una utile risorsa di idee e espressioni occasionali. Insieme al De natura deorum, la Naturalis historia aiutò Copernico a formulare ciò che definì nel brano originale di apertura del secondo libro del De revolutionibus (il brano venne cancellato nella versione olografa e non appare nelle edizioni a stampa) « i principi e le ipotesi » (principia et hypotheses) della filosofia naturale necessari per la spiegazione del moto celeste, e cioè : la sfericità del cosmo, la sua distesa immensa, apparentemente infinita, la immobilità della sfera delle stelle fisse e il moto circolare dei pianeti. A questi, Copernico continuò, « abbiamo aggiunto anche che la Terra è mobile e che ha diversi moti circolari ». 1 L’annotazione dal Lucullus in Copernicana 12 corrispondeva a questa ulteriore ‘ipotesi’, sebbene solo in parte, in quanto menzionava unicamente il moto diurno. Il debito di Copernico nei confronti di Plinio non è evidente in nessun’altra parte tanto quanto nel capitolo d’apertura del De revolutionibus, intitolato « Quod mundus sit sphaericus » (« Che il cosmo è sferico »). Lì Copernico spiega che il cosmo era sferico per quattro motivi : 1) il globo era la forma più perfetta in assoluto, « che non aveva bisogno di allacciature » ; 2 2) il globo era la forma più capace, quella che meglio di ogni altra manteneva tutte le cose e le preservava ; 3 3) i corpi cosmici assolutamente perfetti, e cioè il Sole, la Luna e le stelle, erano sferici ; 4 e, 4) gli interi si sforzavano di mantenere i loro limiti, e, nel farlo, diventavano sferici « come dimostrano le gocce d’acqua ed altri corpi liquidi ». 5 La prima, la seconda e la quarta motivazione ricorrono in Plinio e la somiglianza di espressioni nella prima e quarta motivazione dimostrano che Plinio fu la fonte di Copernico. 6 Copernico continuò ad attingere da Plinio nel secondo capitolo, nel quale spiegò che la terra era sferica. Era importante chiarire questo punto, in quanto la sfericità della terra era, come si è detto, 7 un prerequisito del moto circolare (il quarto principio citato sopra). La terra, considerate l’elevata altezza delle montagne (montium excelsitas) e la depressione delle valli, non era una sfera perfetta (absolutus orbis) ma queste irregolarità pregiudicavano solo minimamente la sua sfericità complessiva. 8 1 cga, ii, p. 490.5-10 (drh, c. 13r) : « Quae ex philosophia naturali ad institutionem nostram necessaria videbantur tamquam principia et hypotheses[.] Mundum videlicet sphaericum immensum, similem infinito[.] Stellarum quoque fixarum sphaeram omnia continentem immobilem esse. Caeterorum vero corporum caelestium motum circularem : sumatim recensuimus. Assumpsimus etiam quibusdam revolutionibus mobilem esse tellurem : quibus tamquam primario lapidi totam astrorum scientiam instruere nitimur. » Su questo brano, si vedano E. Rosen in ccw, ii, p. 26 ; A. Goddu, Copernicus, cit., pp. 237, 355358 ; D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., pp. 141-146. Sul significato di ipotesi in questo brano, si veda A. Goddu, Copernicus, cit., p. 363. 2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.1, p. 7.5 : « nulla indigens compagine ». 3 Ivi, i.1, p. 7.5-6 : « quod ipsa capacissima sit figurarum, quae comprehensurum omnia, et conservaturum maxima decet ». 4 Ivi, i.1, p. 7.7 : « absolutissimae quaeque mundi partes ». 5 ivi, i.1, p. 7.8-9 : « quod in aquae guttis ceterisque liquidis corporibus apparet ». 6 Rispettivamente : 1) Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.5, p. 129.14-15 : « nullarum egens compagium nec finem aut initium ullis sui partibus sentiens » ; 2) ivi, ii.1, p. 128.13 : « cuius circumflexu degunt cuncta », ii.2, p. 128.19 : « cuncta conplexus in se » ; 4) ivi, ii.163, p. 189.10-11 : « namque et dependentes ubique guttae parvis globantur orbibus ». Nella seconda citazione, Copernicana 12, cit., segn. a1r, si 7 legge « teguntur » invece che « degunt ». Si veda supra, pp. 39, 47, 51. 8 Copernico, De revolutionibus, cit., i.2, p. 7.12-14 : « Tametsi absolutus orbis non statim videatur, in tanta montium excelsitate, descensuque vallium, quae tamen universam terrae rotunditatem minime variant. »
82 copernico e la gravità Anche Plinio aveva fatto questa osservazione e, proprio come Copernico, aveva usato le espressioni absolutus orbis e montium excelsitas. 1 Quasi tutte le spiegazioni e le osservazioni che Copernico addusse poi nel secondo capitolo per dimostrare la sfericità della terra, o della terra e dell’acqua insieme, appaiono in quattro capitoli della Naturalis historia e la somiglianza delle espressioni prova ancora una volta che Plinio fu la fonte diretta. Seguendo la numerazione ed i titoli della edizione romana del 1473, di quella veneta del 1487 e di altre edizioni pubblicate ai tempi di Copernico, questi capitoli sono : ii.2 : « Sulla forma del cosmo » ; ii.66 : « Sulla forma della terra », ii.67 : « Sull’esistenza degli antìpodi » ; e ii.72 : « Sulla variazione [nella posizione] dei pianeti e sulle eclissi ». 2 Nessuna delle argomentazioni fornite da Copernico erano originali o tipiche di Plinio. 3 Comparivano con evidenza, per limitarci agli esempi più ovvi, nell’Almagesto di Tolomeo, 4 e nell’Epytoma dell’Almagesto di Regiomontanus 5 – e Copernico certamente li conosceva entrambi. 6 La cosa straordinaria è che Copernico abbia scelto di attingere così tanto da Plinio quando aveva a disposizione una gran quantità di fonti alternative. I commenti di Plinio sulla sfericità aiutarono Copernico a formulare la sua dottrina della gravità. Quest’ultima, scrisse Copernico, era un appetito naturale impresso « alle parti » (partes) dalla provvidenza « perché si riconducano insieme alla loro unità e interezza nella forma di un globo » (ut in unitatem integritatemque suam sese conferant in formam globi coeuntes). 7 Le espressioni derivavano in parte dalle osservazioni iniziali sulla cosmologia contenute nel secondo libro della Naturalis historia. « La forma del cosmo ha la foggia globulare di una sfera perfetta » (formam eius in speciem orbis absoluti globatam esse). Una spiegazione di ciò era che « tale forma in tutte le sue parti converge su se stessa » (talis figura omnibus sui partibus vergit in sese). 8 Questa idea appare nello stesso brano del commento originale di Plinio, sopra citato, secondo il quale il cosmo stava unito da solo, « senza bisogno di allacciature ». 9 Insomma, Copernico seguì la spiegazione di Plinio – stoica in origine – del 1 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.160, pp. 187.23-188.2 : « neque enim absoluti orbis est forma in tanta montium excelsitate, tanta camporum planitie, sed cuius amplexus, si cuncta liniarum conprehendantur ambitu, figuram absoluti orbis efficiat, [...] ». 2 Copernicana 12, cit., segn. a1r : « De forma eius [i.e. mundi] » (= Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.5, p. 129.10-19), segn. a7v : « De forma terrae » (= ivi, pp. 187.21-188.8), segn. a7v : « De antipodibus an sint » (= ivi, ii.161-66, pp. 188.9-190.23), segn. a8v : « De syderum inaequalitate et de eclipsi » (= ivi, ii.17780, pp. 194.13-196.13). I primi tre titoli di questi capitoli corrispondono a quelli che appaiono nell’indice di Plinio, che forma il primo libro della Naturalis historia, in Copernicana 12, cit., segn. aa4ra-va, e Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., pp. 11.4, 12.59-60. Il titolo del quarto capitolo nell’indice di Plinio, secondo Copernicana 12, cit., segn. aa4va, è il seguente : « De syderum inaequalitate et de eclipsi et ubi et quare ». Non v’è un titolo corrispondente in Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., p. 13.7-10. 3 D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit, pp. 128-130. 4 Claudio Tolomeo, Almagesto, cit., pp. 9.17.-16.18, i.2-4 (traduzione di G. J. Toomer, cit., pp. 38-41). Per le prove di Tolomeo relative alla sfericità della terra, si veda O. Pedersen, A Survey of the Almagest, Odense, Odense Universitetsforlag, 1974, pp. 37-39. 5 Regiomontanus, Epytoma in Almagestum Ptolomei, cit., i.1, i conclusio 2, segn. a5v; si veda D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., p. 129. 6 Sulla conoscenza che Copernico aveva dell’Almagesto di Tolomeo e dell’Epytoma di Regiomontanus, 7 si veda pp. 45 nota 1, 47 nota 1. Si veda supra, p. 49. 8 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.5, p. 129.10-15. Similmente ivi, ii.165, p. 190.10-12. 9 Si veda supra, p. 81.
vi. le fonti della dottrina teleologica di copernico 83 1 perché il cosmo era sferico e poi la applicò alla terra. Copernico non poteva usare la spiegazione che Plinio aveva dato per la sfericità della terra : Plinio aveva detto che il cosmo convergeva intorno al centro in modo centripeto, mentre la terra, che premeva verso l’esterno, era tenuta al suo posto dal rapido movimento del cosmo intorno ad essa. 2 Copernico scelse invece di adattare la spiegazione che Plinio aveva fornito per la sfericità del cosmo e non le spiegazioni che Aristotele ed altri avevano dato per la sfericità della terra. 3 Copernico attinse dalle osservazioni di Plinio anche in merito alla struttura cosmica e degli elementi, osservazioni che, come quelle di Cicerone, erano di ispirazione stoica. 4 La terra, unita all’acqua, era al centro del cosmo di Plinio. 5 Circondava questi elementi, senza che intervenisse la sfera sublunare del fuoco, lo spiritus, « che i Greci ed i Latini chiamano con la stessa parola aer », sia nella regione sublunare che in quella sovralunare. 6 Lo spiritus – lo pneuma degli stoici – permeava tutte le cose, dando 1
Sulla teoria stoica che il cosmo premeva verso il suo centro in modo centripeto, si veda Cleomede, Caelestia, i.1, cit., pp. 4.91-2, 7.168-72, 8.191-192 ; Strabone, Geographica, cit., i.i.20, II.v.2, I, pp. 18.7-9, 165.58 ; Cicerone, De natura deorum, cit., ii.xxxiii.84, xlv.115-116, pp. 82.22-25, 96.7-22, Idem, Tusculanae disputationes, a cura di M. Pohlenz, Lipsia, Teubner, 1918, cit., p. 436.3-5 (v.xxiv.69). Varie sono le interpretazioni moderne di queste ed altre fonti ; si veda K. Reinhardt, Kosmos und Sympathie, cit., pp. 173-177 ; D. E. Hahm, The Origins of Stoic Cosmology, cit., pp. 119, 122-3, 168 ; K. Algra, The Early Stoics on the Immobility and Coherence of the Cosmos, cit., pp. 155-180 ; M. Wolff, Hipparchus and the Stoic Theory of Motion, in Matter and Metaphysics, a cura di J. Barnes, M. Mignucci, Napoli, Bibliopolis, 1988, pp. 471-545 : 540 e passim ; Bowen, Todd, Introduction e note in Cleomedes’ Lectures, cit., p. 2 n. 6, p. 33 n. 57, p. 73 n. 38 ; D. J. Furley, Some Points about Stoic Dynamics, in Proceedings of the Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy, ix, 1993, pp. 57-75 : 6268, 72-3 ; R. B. Todd, Cleomedes and the Problems of Stoic Astrophysics, « Hermes », cxxix, 2001, pp. 75-78 : 76. 2 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.160, p. 188.6-8. 3 Aristotele, De caelo, ii.14, 296b27-28, dove Aristotele spiega che la terra era sferica perché le sue parti convergevano e premevano intorno al centro del cosmo, un’idea che Copernico poteva facilmente adattare ai suoi scopi visto che il centro della terra coincideva con quello del cosmo nella cosmologia aristotelica ; Teone di Smirne, Expositio rerum mathematicarum ad legendum Platonem utilium, a cura di E. Hiller, Lipsia, Teubner, 1878, pp. 121.27-122.16, spiega che la terra era sferica perché le parti della terra premevano contro il suo centro, e i pezzi più grandi spingevano fuori quelli più piccoli. 4 Sul modello quaternario degli elementi di Plinio e degli stoici, si veda W. Kroll, Die Kosmologie des Plinius, cit., pp. 2, 6-7 ; J. F. Healy, Pliny the Elder on Science and Technology, Oxford, Oxford University Press, 1999, pp. 108-109 (che ignora lo studio di Kroll) ; O. Pedersen, Some Astronomical Topics in Pliny, cit., p 175 ; J. Beaujeau, Notice e Commentaire, cit., pp. 122-124. I commentatori rinascimentali del secondo libro della Naturalis historia, nello scrivere le glosse di Plinio, eliminarono la sfera sublunare del fuoco ; si veda J. Ziegler, In C. Plinii De naturali historia librum secundum commentarius, Basilea, Heinrich Petri, 1531, pp. 55-56, che fornisce glosse di Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.10, p. 131.2, e In C. Plinii De naturali historia librum secundum commentarius, cit., pp. 100-102, che glossa Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.48, p. 141.13-15, come citato infra, p. 84 nota 6 ; e Jerónimo Muñoz, Commentaria Plinii libri secundi De naturali historia, ch. 5, in V. Navarro Brotóns e E. Rodríguez Galdeano, Matemáticas, cosmología y humanismo en la España del siglo xvi. Los Comentarios al segundo libro de la Historia natural de Plinio de Jerónimo Muñoz, Valencia, Instituto de Estudios Documentales e Históricos sobre la Ciencia, Universitat de Valencia, 1998, p. 374. Sul commentario di Ziegler, si veda C. G. Nauert, Jr, Caius Plinius Secundus, in ctc, iv, pp. 375-8. 5 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.10, ii.166, pp. 131.5-6, 190.13-23. 6 Ivi, ii.10, p. 131.3-4 : «proximum spiritus, quem Graeci nostrique eodem vocabulo aera appellant, vitalem hunc et per cuncta rerum meabilem totoque consertum». Plinio, ivi,ii.102, p. 163.2-10, descrisse il caelum, «per il quale i nostri antenati usavano il nome ‘aria’» («hoc caelum appellavere maiores quod alio nomine aera»), come una spazio in apparenza vuoto nel quale si riversava lo spiritus datore di vita. Questo spiritus si mescolava all’aria sublunare. Tali osservazioni, qualunque fosse il loro significato preciso, escludono che potesse esistere una sfera di fuoco sublunare. Per le varie interpretazioni di quest’ultimo brano, si veda Kroll, Die Kosmologie, cit., p. 28, che cita, comparandoli, Plinio il Vecchio, Naturalis
84 copernico e la gravità loro vita ; in esso erano sospesi i sette pianeti e la terra, « insieme al quarto elemento » dei mari e dei fiumi. 1 Nella parte più esterna c’era il fuoco, elemento di cui erano fatte le stelle fisse. 2 Copernico aveva studiato queste osservazioni. In Copernicana 12 e 21, esse compaiono nella stessa pagina dei due brani che, come si può dimostrare, Copernico lesse. Uno, citato sopra, riguardava la sfericità. 3 L’altro riportava al suggerimento di Varrone secondo il quale caelum derivava da caelare (‘incidere’), allusione, questa, ai dodici segni ‘incisi’ nello zodiaco. 4 Copernico era a conoscenza anche di un altro brano di Plinio in cui quest’ultimo, seguendo più fedelmente, in questa occasione, la dottrina stoica, parlava di aria e dell’elemento dei cieli. 5 In un discorso sulle eclissi, Plinio aveva menzionato che l’ombra proiettata dalla terra non andava più lontano della Luna, che era al confine tra l’aria (aer) e l’etere (aether). 6 L’elemento sopra la Luna doveva, allora, essere l’etere ; sotto la Luna c’era l’aria. Il brano è stretto in mezzo a due discussioni sull’ombra della terra in relazione alla Luna, dalle quali Copernico prese in prestito espressioni che ricorrono nel capitolo terzo del quarto libro del De revolutionibus. 7 Copernico derivò anche un’espressione riguardante le historia, cit., ii.10, come sopra, e Seneca, Naturales quaestiones, a cura di A. Gercke, Lipsia, Teubner, 1907, p. 50.21-24, ii.x.1 ; e O. Pedersen, Some Astronomical Topics in Pliny, cit., pp. 175-176 ; Beaujeau, Commentaire, cit., p. 184. 1 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.10, ii.12, p. 131.3-6, 15-18. 2 Ivi, ii.10, p. 131.2-3. Cfr. ivi, ii.112, pp. 166.22-167.4, sul fuoco delle stelle. 3 Si veda supra, p. 82. 4 Cfr. Copernico, De revolutionibus, cit., i.5, p. 11.6-8 : « Cumque caelum sit quod continet et caelat omnia, communis universorum locus, non statim apparet, cur non magis contento quam continenti, locato quam locanti motus attribuatur » (drh, c. 5r, include « omnia » dopo « continet ») ; e Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.8, p. 130.15-19 : « namque et Graeci nomine ornamenti [i.e. kovsmo~] appellavere eum et nos a perfecta absolutaque elegantia mundum. Caelum quidem haut dubie caelati argumento diximus, ut interpretatur M. Varro. » Per ulteriori dettagli, si veda D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., p. 143. 5 Zenone, Crisippo e Archedemus, stando a Diogenes Laerzio, Vitae philosophorum, cit., vii.136137, 155-156, pp. 524.16-525.9, 536.15-537.3, 537.15-17, suddivise la regione sublunare nelle tre sfere, terra, acqua e aria, ed identificò il fuoco con l’etere superlunare. Cleomede, Caelestia, i.1, cit., p. 5.116-119, seguì la stessa suddivisione di terra, acqua, aria e etere (superlunare). Come Plinio, Cleomede, Caelestia, i.2, ii.3, ed. Todd, pp. 12.37-39, 66.83-84, 66.90-1, collocò la Luna nel punto dove l’aria e l’etere si incontravano. La linea di confine tra aria e etere non era, però, precisa. Secondo Cleomede, la Luna si trovava al punto di giuntura tra aria e terra, eppure appariva un po’ oscurata, e questo perché non era collocata nell’etere puro ; si veda Cleomede, Caelestia, i.2, ii.3, ed. Todd, pp. 12.37-8, 66.88-9 ; A. C. Bowen e R. B. Todd in Cleomede, Lectures, cit., p. 29 nota 43. 6 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.48, p. 141.13-15 : « Ergo confinium illis [cioè l’ombra conica della terra] est aeris terminus initiumque aetheris. Supra lunam pura omnia ac diurnae lucis plena. » 7 Cfr. ivi, ii.47, p. 141.7-12 : « neque aliud esse noctem quam terrae umbram, figuram autem umbrae similem metae ac turbini inverso, quando mucrone tantum ingruat neque lunae excedat altitudinem, quoniam nullum aliud sidus eodem modo obscuretur et talis figura semper mucrone deficiat », e ii.48, p. 141.14-15 : « supra lunam pura omnia ac diurnae lucis plena », con Copernico, De revolutionibus, cit., iv.3, pp. 265.32-36 : « Nam cum caetera mundi pura sint, et diurnae lucis plena, noctem non aliud esse constat, quam terrae umbram, quae in conicam figuram nititur, desinitque in mucronem, in quam incidens Luna hebetatur, atque in mediis constituta tenebris intelligitur ad Solis oppositum locum indubie pervenisse. » E. Rosen, ccw, ii, pp. 400-401, notò entrambi i prestiti ; e, citando Rosen, F. Schmeidler, Kommentar, cit., p. 127, fare riferimento solo al prestito da Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.48, p. 141.14-15. Sulle fonti relative al commento di Copernico che la notte era l’ombra della terra, K. Zeller e F. Zeller, Notae, cit., p. 450, menzionarono Plinio, come citato sopra, Plutarco, De facie, cit., xix.931F, p. 57.17, e Macrobio, In somnium Scipionis, cit., i.xx.18, p. 82.2-4 : « umbra terrae [...] fit obscuritas, quae nox vocatur ».
vi. le fonti della dottrina teleologica di copernico 85 eclissi dallo stesso capitolo (capitolo 10, secondo la divisione dei capitoli in Copernicana 12 e 21) della Naturalis historia, 1 e in Copernicana 12, nello stesso capitolo, sottolineò un brano sempre riguardante le eclissi. 2 In Copernicana 12 questo capitolo compare alla stessa pagina dove è contenuta anche la trascrizione dal Lucullus (Fig. 7). Plinio aveva suggerito anche altrove che la regione celeste fosse piena di aria. I pianeti, aveva commentato, giravano da destra a sinistra, nella direzione opposta alla sfera delle stelle fisse, agitando così l’aria che riempiva la regione celeste e facendo in modo che tale regione non diventasse letargica (una condizione questa, potremmo aggiungere, che non si addiceva a qualcosa che animava il cosmo). 3 Diversi ulteriori dettagli dimostrano l’interesse di Copernico per la dottrina dell’aria o dello spiritus di Plinio. I venti nel propinquus aer, la regione dell’aria sotto le cime dei monti, 4 erano, osservò Copernico, equivalenti alle onde del mare. 5 L’analogia e l’espressione derivavano dal secondo libro della Naturalis historia. 6 Plinio, o più specificatamente il Plinio di Copernicana 12 o 21, fornì a Copernico anche l’espressione repentina sidera da lui utilizzata per descrivere le comete, 7 le quali, secondo la meteorologia convenzionale, si formavano nella regione dell’aria che si trovava tra le cime dei monti e la sfera del fuoco. 8 Con l’espressione repentina sidera, che usò per riferirsi alle comete, Copernico in realtà copiava il titolo del capitolo « De repentinis syderibus » incluso nelle edizioni della Naturalis historia del 1473 e del 1487 delle quali Copernicana 21 e 12 sono copie. 9 (Le edizioni moderne non contengono questi titoli di capitoli.) Copernico non era uno stoico e la sua conoscenza della cosmologia stoica era casuale, non sistematica. I Caelestia di Cleomede e la Geographia di Strabone, i quali si ispirarono entrambi alla cosmologia stoica, furono pubblicati nelle originali traduzioni greca e latina ai tempi di Copernico e riportano idee ed esempi simili a quelli che Copernico derivò da Plinio. 10 Ma queste fonti non lasciarono alcuna 1
Cfr. Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.47, p. 141.4 : « terrae obiectu », con Copernico, De revolutionibus, cit., i.5, p. 11.10-11 : « obiectu terrae ». 2 Copernicana 12, cit., segn. a2v, dove Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.47, p. 141.3 : « Quippe manifestum est solem » è sottolineato, suppongo, da Copernico. 3 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.33, p. 137.8-11 : « ita fieri, ne convolutus aer eandem in partem aeterna mundi vertigine ignavo globo torpeat, sed fundatur adverso siderum verbere discretus 4 et digestus ». Cfr. supra, pp. 39-40. 5 Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.30 : « Quid enim est aliud ventus in aëre, quam fluctus in mari ? » 6 Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.114, p. 168.3-4 : « quoniam ventus haut aliud intellegatur quam fluctus aëris ». Rosen, ccw, ii, p. 352, e A. De Pace, Commentario, cit., p. 351 nota 156, constata il 7 prestito. Cfr. supra, p. 40. 8 Cfr. Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii.89, p. 156.8-13 : « namque et in ipso caelo stellae repente nascuntur. Plura earum genera. Cometas Graeci vocant, nostri crinitas, [...] Iidem pogonias quibus inferiore ex parte in speciem barbae longae promittitur iuba », e Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 15.25 : « repentina illa sidera, cometae inquam et pogoniae vocata a Graecis ». A. Birkenmajer, Commentarius, cit., p. 367, Rosen, ccw, ii, p. 352, citato da Goddu, Copernicus, cit., p. 402 n. 34, si noti la somiglianza tra i due brani. La distinzione che Plinio fa tra loro probabilmente deriva, secondo Kroll, Die Kosmologie, cit., p. 25, da una versione di Aristotele, Meteorologica, i.7, 344a19-23, fatta da Posidonio. Su Plinio e le comete, si veda J. L. Jervis, Cometary Theory, cit., pp. 17-18. 9 Copernicana 12, cit., segn. a4r ; Copernicana 21, cit., c. 31v. Il titolo del capitolo, come quelli in altre edizioni del Rinascimento, è tratto dal primo libro di Plinio ; si veda Plinio il Vecchio, Naturalis historia, cit., ii, p. 11.32. 10 Sui Caelestia di Cleomede nel Rinascimento, si veda R. B. Todd, Cleomedes, ctc, vii, pp. 1-11. Sulla Geographia di Strabone, si veda ctc, ii, pp. 225-233.
86 copernico e la gravità traccia nel discorso di Copernico sulla sfericità, gravità o struttura del cosmo e degli elementi. 1 La somiglianza di parole e di concetti, con in più l’evidenza bibliografica, fanno ritenere, piuttosto, che le fonti principali di Copernico siano state le opere di Cicerone e di Plinio. Le dottrine stoiche che Copernico derivò da loro, le adattò poi al suo scopo, tralasciando aspetti della dottrina stoica che non gli erano utili. Per esempio, la provvidenza che imprimeva la gravità al suo sistema era quella di un creatore (opifex), 2 non quella della Mente immanente immaginata dagli stoici. E non v’è neppur ragione di pensare che Copernico ritenesse che lo spiritus stoico o etere fosse una fonte immanente di vita cosmica. 1
Diversi studiosi sono dell’opinione che Copernico abbia letto o possa aver letto i Caelestia di Cleomede ; si veda L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., p. 342 ; E. Rosen, Nicholas Copernicus and Giorgio Valla, « Physis », xxiii, 1981, pp. 440-457 : 452-453 ; Idem, Notes, ccw, ii, p. 368, e, sulla scia di Rosen, F. Schmeidler, Kommentar, cit., p. 94 ; R. B. Todd, Cleomede, cit., p. 4 ; N. Swerdlow, The Derivation, cit., p. 441; A. De Pace, Introduzione, cit., p. 145 nota 426. Le prove non convincono del tutto. I supposti prestiti potrebbero derivare da altre fonti, in particolare dalla Geographia di Strabone, dagli Scholia in Aratum (pubblicati a Venezia nel in 1499), e dal De expetendis di Valla, tutti testi che Copernico conosceva. Spero di avvalorare queste affermazioni in una prossima pubblicazione. 2 Copernico, De revolutionibus, cit., i.9, p. 17.4-5 citato supra, p. 49.
vii. LE FONTI DELLA DOTTRINA FISICA DI COPERNICO
C
he Copernico abbia attinto così largamente da queste fonti stoiche è un segnale importante, perché dimostra che la sua definizione teleologica non era soltanto un libero adattamento della dottrina aristotelica o scolastica, come farebbe pensare a prima vista l’uso della convenzionale espressione scolastica di ‘appetito naturale’. 1 Nella sostanza e nei particolari, la dottrina derivava da fonti di stampo assai diverso e così lo stesso potrebbe allora dirsi della sua dottrina fisica. Anzi, forse dovremmo iniziare considerando che questa ipotesi di lavoro sia corretta, e questo per due motivi. Innanzitutto, in tal modo si spiegherebbe perché Copernico, come detto sopra, 2 si sia rifatto alla dottrina dell’impeto, che permetteva di unificare due concezioni distinte della gravità e, contemporaneamente, di mantenere la loro integrità dottrinale. Sospettiamo che questo sarebbe stato un espediente inutile qualora egli avesse adattato, molto liberamente, la dottrina convenzionale. L’ipotesi, poi, che la dottrina fisica di Copernico si ispiri a una concezione alternativa alla tesi aristotelica e scolastica spiegherebbe il perché assomigli così tanto alla dottrina di Oresme. Non è detto che Copernico si sia basato su Oresme, ma entrambi avrebbero potuto attingere, per la loro dottrina, da una medesima tradizione. Di che cosa siamo, dunque, in cerca ? La dottrina fisica di Copernico si incentrava sull’idea che i corpi semplici separati dai loro interi vi ritornavano per via rettilinea e con ciò riprendevano il moto semplice circolare e naturale. Idee simili, derivanti da un’insoddisfazione con la dottrina aristotelica dell’etere, erano state proposte nell’antichità, nel Medioevo e nel Rinascimento, nel contesto di un cosmo geocentrico e geostatico. Secondo Platone e altri, i cieli erano fatti di fuoco, e non della quintessenza di Aristotele. Poiché essi ruotavano in modo perpetuo e perfetto, il fuoco di cui erano fatti si muoveva per natura con moto circolare. Il moto rettilineo del fuoco nella regione sublunare era, invece, il moto di un corpo rimosso dal suo luogo in cerca del suo luogo e moto naturali. Per alcuni autori gli elementi sublunari – in particolare il fuoco sublunare o l’etere, la regione superiore dell’aria, o, secondo qualcuno, l’aria in genere, e persino l’acqua – osservavano questo principio in misura variabile. Questi elementi sublunari si muovevano naturalmente con moto circolare nei loro luoghi naturali, sebbene meno perfettamente del fuoco celeste e, se rimossi, cercavano di tornarvi seguendo un moto rettilineo. Per quanto si sappia, il primo filosofo a proporre idee di questo tipo fu Senarco, un peripatetico del I secolo a.C. con simpatie stoiche, che spesso criticò le dottrine aristoteliche. L’opera che ci interessa qui, Contro la quinta essenza, illustra tale propensione. Il trattato è andato perduto ma la sua discussione, e le citazioni da 1
Si veda supra, pp. 49, 53.
2
Si veda supra, pp. 50-55.
88 copernico e la gravità esso tratte, a opera di Simplicio nel suo commento al De caelo, danno un’idea delle obiezioni di Senarco. Il nostro interesse principale è rivolto alla seconda aporia, nella quale Senarco rigetta l’argomento di Aristotele secondo cui un corpo semplice deve per natura avere un moto semplice. 1 Senarco sosteneva che, nel momento in cui cadeva o si alzava verso il suo luogo per linea retta, un corpo semplice era in uno stato di divenire. Ciò significava che non stava realizzando pienamente la sua natura, motivo per cui il fuoco che saliva verso l’alto non era fuoco vero e proprio. 2 Soltanto nel suo luogo naturale, e cioè nella sfera del fuoco, il fuoco realizzava la sua natura, e in quel luogo si muoveva con moto circolare per natura. Gli altri tre corpi semplici, terra, acqua e aria, realizzavano la loro natura quando erano in stato di quiete nelle loro sfere. 3 Quindi, contrariamente a quanto sosteneva Aristotele, non tutti i corpi semplici osservavano un moto semplice naturale. Soltanto il fuoco lo faceva. Se i moti semplici e i corpi semplici non erano correlati, allora non erano valide le argomentazioni di Aristotele a favore della tesi che un corpo semplice, l’etere celeste, si muovesse con moto circolare. Senarco criticò la dottrina aristotelica dell’etere senza, apparentemente, proporre un’alternativa. Ma dai commenti di Simplicio siamo in grado di ricostruire la posizione di Senarco. 4 Al nostro scopo è importante tenere presente i seguenti punti della teoria di Senarco. I moti rettilinei di tutti e quattro gli elementi erano moti che comportavano il perfezionamento della loro natura. Terra, acqua e aria, se separate dalle loro sfere, vi ritornavano seguendo un moto rettilineo. Nei loro interi essi erano in stato di quiete. Il fuoco, se rimosso, ritornava rettilinearmente alla sua sfera, dove si muoveva per natura con moto circolare. Poiché il fuoco si muoveva per natura con moto circolare, anche i cieli, che si muovevano con moto circolare, erano costituiti di fuoco. Tolomeo, secondo Proclo e Simplicio, aveva proposto una dottrina simile, e Sim1 Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, pp. 21.33-22.17. Simplicio (ivi, i.2, p. 42.10-14) accenna nuovamente a questa aporia. Si veda anche ivi, ii.2, p. 20.10-25, un brano analizzato infra, p. 195, che fa un resoconto delle teorie di Senarco, Tolomeo e Plotino assieme. Quanto al resoconto fornito da Simplicio delle obiezioni mosse da Senarco, si vedano P. Merlan, Plotinus Enneads 2.2, « Transactions and Proceedings of the American Philological Association », lxxiv, 1943, pp. 179-191 : 180, 186 ; S. Sambursky, The Physical World of Late Antiquity, Londra, Routledge & Kegan Paul, 1962, p. 129 ; P. Moraux, Xenarchos (5), in re, s. ii, ix, 1967, coll. 1422-1435 (in particolare 1424.16-20, 1426.1-12) ; Idem, Der Aristotelismus bei den Griechen, « Peripatoi », v, Berlino-New York, De Gruyter, 1973, pp. 199, 201 ; C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., pp. 126-127, 136 ; Giovanni Filopono, Against Aristotle, on the Eternity of the World, traduzione inglese di C. Wildberg, Londra, Duckworth, 1987, p. 51 nota 17 ; M.-P. Lerner, Le Monde des sphères, cit., i, pp. 63-64 ; A. Falcon, Senarco di Seleucia e la dottrina aristotelica della quinta sostanza, in Antiaristotelismo, a cura di C. Natali, S. Maso, Amsterdam, Hakkert, 1999, pp. 93-112 ; Idem, Corpi e movimenti, cit., pp. 16-23, 80-84, 100-111, 123, 149-157, 253 ; A. Rescigno in Alessandro di Afrodisia, Commentario al De caelo di Aristotele. Frammenti del primo libro, a cura di A. Rescigno, Amsterdam, Hakkert, 2004, pp. 193-200 ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., pp. 26 nota 170, 62-64. 2 Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 22.3-5. 3 Secondo C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., p. 127, Senarco pensava che la terra, l’acqua e l’aria inferiore fossero stazionarie per natura, mentre l’aria superiore e il fuoco ruotassero naturalmente. Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., p. 20.23-25, attribuì questa teoria a Senarco, Tolomeo e Plotino ; però, ivi, p. 22.16-17, quando tratta della teoria di Senarco separatamente, Simplicio nota che Senarco pensava che terra, acqua e aria (indiscriminatamente) fossero stazionarie per natura e che solo il fuoco ruotasse naturalmente. 4 P. Moraux, Xenarchos, cit., col. 1425.37-54 ; C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., pp. 126-127.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico 89 1 plicio specifica che tale dottrina si trovava nel libro Sugli elementi e nell’Ottica. La prima opera, forse non un testo a sé stante, è andata perduta. L’Ottica sopravvive solo in una traduzione latina incompleta di una versione araba, traduzione a opera di Eugenio da Palermo (1130-1203). La sezione rimasta non tratta del moto degli elementi. Proclo e Simplicio riportano anche che Plotino adottò la dottrina, 2 pensando alle argomentazioni nei due trattati Sul cielo e Sul moto celeste. 3 Qui Plotino aveva suggerito che il fuoco, come gli altri elementi, si muoveva in linea retta verso il proprio luogo. Ma anche là, tuttavia, il fuoco conservava, diversamente dagli altri elementi, una tendenza intrinseca al moto rettilineo. 4 Il fuoco aveva proprietà cinetica per natura e (contrariamente a quanto sostenuto da Aristotele) non tendeva a rimanere in stato di quiete nel suo luogo. 5 Questa predisposizione cinetica consentiva all’Anima, che si muoveva spiritualmente in circolo, di muovere senza sforzo, e dunque in eterno, il corpo celeste, ossia il fuoco (sopralunare). Questa conclusione era importante per Plotino, in quanto, tra le altre cose, confermava quattro punti. Innanzitutto – come sostenuto da Platone (e dagli stoici) – esistevano solo quattro corpi semplici, invece di quattro corpi sublunari più un quinto sopralunare (l’etere) come aveva sostenuto Aristotele. In secondo luogo, i cieli si muovevano circolarmente perché far così era il miglior modo di imitare l’Anima. Poi, visto che i cieli si muovevano in eterno, il cosmo nel suo insieme durava eternamente in uno stato di stabilità, senza le periodiche conflagrazioni del tipo di quelle immaginate dagli stoici. Infine, la regione celeste, per quanto corporea, non pativa generazione né corruzione ed era, quindi, superiore alla regione sublunare. Le dottrine di Plotino e di Senarco non sono identiche. Senarco ribadì che il moto rettilineo degli elementi verso i loro luoghi non era naturale e che l’unico moto naturale degli elementi era quello circolare proprio del fuoco. Per contro, Plotino definì moto naturale il moto rettilineo dei corpi semplici, fuoco incluso. Perciò, il fuoco, come corpo della regione celeste, aveva due moti naturali, uno rettilineo e uno circolare, che l’Anima, in accordo con la provvidenza (ossia, l’ipostasi Mente), gli impartiva nel cielo. Quel che l’Anima o la provvidenza stabilivano era, per definizione, naturale. 6 Tuttavia, la differenza tra le dottrine di Plotino e di Senarco non 1 Proclo, In Platonis Timaeum Commentaria, a cura di E. Diehl, Lipsia, Teubner, 1903, iv.274c-d, iii, pp. 114.30-115.4 ; Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 20.10-15, 20-23. 2 Proclo, In Platonis Timaeum, cit., iii.142d-e ; iv.274c-d ; ii, pp. 11.24-12.15 ; iii, pp. 114.30-115.4 ; Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 20.10-12, 20-25. 3 Plotino, ii.1[40].3.13-25 ; ii.2[14].1.19-49. Per la dottrina di Plotino, si vedano P. Merlan, Plotinus Enneads 2.2, cit., pp. 185-187 ; A. Graeser, Plotinus and the Stoics. A Preliminary Study, Leida, Brill, 1972, pp. 22-24 ; C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., pp. 132, 134, 164 ; A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 147-50, 212-214, 252-254 ; R. Dufour, Commentaire, in Plotino, Sur le ciel [Ennéade II, 1 (40)], testo greco con traduzione francese e commento di R. Dufour, Parigi, Vrin, 2003, pp. 94-100 ; J. Wilberding, Ploti4 nus’ Cosmology, cit., pp. 62-68, 142-152. Plotino, ii.1[40]. 3.13-16 ; ii.2[14].1.17-20. 5 Ivi, ii.1[40].3.13-16 ; ii.2[14].1.23-24. La mia interpretazione della teoria di Plotino differisce da quella di C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., p. 132. Secondo Wildberg, Plotino (ivi, ii.1[40]. 3.13-18, 8.1-5) sostiene che il fuoco tende alla quiete quando ha raggiunto la sua posizione naturale, cioè, il cielo. Ma Plotino (ivi, ii.1[40].3.14-17) avverte che il fuoco non rimane stazionario nella sua posizione e che se non continua a salire è perché ha raggiunto una posizione oltre alla quale non vi è nulla. Inoltre, Plotino (ivi, ii.2 [14].1.23-24, 29-31) nota che il fuoco è cinetico per natura e perciò non si ferma quando raggiunge il cielo. 6 Plotino, ii.1[40]. 3.19-20 ; ii.2[14].1.23-49 ; R. Dufour, Commentaire, cit., pp. 97-98 ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., pp. 64-68.
90 copernico e la gravità impedì a Simplicio, come si è detto, di considerarle equivalenti. Né ha impedito agli studiosi moderni di suggerire che la dottrina di Senarco avrebbe potuto influire su Plotino, forse indirettamente attraverso Alessandro di Afrodisia, il cui commento al De coelo Plotino stesso conosceva. 1 I seguaci di Platone antecedenti a Plotino potrebbero aver suggerito l’idea che il fuoco avesse due moti ‘naturali’, uno intrinseco e lineare, e l’altro circolare impartito da un principio divino. 2 Da questo punto di vista, la dottrina di Plotino assomiglia anche a quella di Plutarco – un punto, questo, che non sembra essere stato preso in considerazione. Non è necessario che ci si soffermi sulle origini della dottrina di Plotino. Importante è il fatto che la sua dottrina si diffuse, in varie versioni, tra i platonici greci. 3 Essa prese due forme che, per gli scopi della presente indagine, è importante distinguere, anche se le fonti stesse non lo fecero. Proclo propose una versione simile a quella di Senarco nonostante – come già accennato – egli avesse citato Plotino e Tolomeo quali sue autorità. Egli cita Senarco anche in altri luoghi, probabilmente in riferimento al Contro la quintessenza. 4 I corpi semplici – osservava Proclo – non si trovavano nel loro stato naturale quando ritornavano verso i luoghi naturali. Quindi, il loro moto rettilineo non era naturale. Semmai, i corpi semplici avevano un movimento naturale solo nei loro luoghi naturali, e tale moto non era circolare. Una volta raggiunti i loro rispettivi luoghi, i corpi semplici o rimanevano immobili (nel caso di terra, acqua e aria) o circolavano secondo natura (il fuoco). Proclo ribadì questa dottrina in tre occasioni, due volte nel commento al Timeo e una nel Sull’eternità del mondo contro i Cristiani. 5 La spiegazione che segue, proveniente dal commento al Timeo, è la più dettagliata : 1 P. Merlan, Plotinus Enneads 2.2, cit., pp. 182, 186-187 ; e da qui P. Moraux, Xenarchos, cit., col. 1426 ; Idem, Der Aristotelismus, cit., p. 199 nota 10 ; C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., p. 132 ; A. Falcon, Senarco di Seleucia, cit., pp. 96, 111 ; Idem, Corpi e movimenti, cit., pp. 157-158 nota 63. 2 P. Merlan, Plotinus Enneads 2.2, cit., p. 185 nota 23, nota che il Platonico Attico – i cui commentari furono utilizzati, secondo Porfirio (Life of Plotinus, 14), da Plotino – considerava errata la teoria di Aristotele di un quinto elemento semplice e contraria agli insegnamenti di Platone ; si vedano Attico, Fragments, a cura di É. des Places, Parigi, Les Belles Lettres, 1977, pp. 55-57, 60 (frammenti 5-6 = Eusebio di Cesarea, Praeparatio evangelica, xv.7.1-7, 8.7-8, pg, xxi, coll. 1319-1324). A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 171-172, sottolinea che le critiche di Attico differiscono da quelle di Senarco (e quindi, implicitamente, da quelle di Plotino). 3 Proclo, Damascio, Simplicio e Filopono conoscevano Plotino, Enneads 2.2. Ciascuno di questi quattro autori cita l’incipit e lo attribuisce a Plotino ; si veda la nota di V. Cilento, in Plotino, Enneadi, traduzione italiana e commento di V. Cilento, 3 voll., Bari, Laterza, 1947-1949, i, p. 399. 4 Proclo, In Platonis Timaeum, cit., ii.129e, i, pp. 425.22-426.3 ; P. Moraux, Xenarchos, cit., coll. 1429.621430.13 ; Idem, Der Aristotelismus, cit., p. 206. 5 Si veda (a) Proclo, In Platonis Timaeum, cit., iii.142d-e, ii, pp. 11.24-12.15 ; (b) ivi, iv.274c-d, iii, pp. 114.30-115.4 ; e (c) Proclo, riportato in Giovanni Filopono, De aeternitate mundi contra Proclum, a cura di H. Rabe, Lipsia, Teubner, 1899, pp. 380.20-381.22, 387.4-10. Per una traduzione di (c), si veda Proclo, On the Eternity of the World, testo greco con introduzione, traduzione e commento di H. S. Lang et alii, Berkeley-Londra, University of California Press, 2001, pp. 86-88. Proclo – come riporta Filopono – non sosteneva esplicitamente che il moto rettilineo verso il luogo naturale non fosse naturale. Per la teoria di Proclo sul moto degli elementi, si vedano L. Siorvanes, Proclus. Neo-Platonic Philosophy and Science, Edimburgo, Edinburgh University Press, 1996, pp. 244-247, 260 nota 73 ; D. Baltzly, What goes up. Proclus against Aristotle on the Fifth Element, « Australasian Journal of Philosophy », lxxx, 2002, pp. 261-287 : 277-279 ; A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 146-147, 150 ; J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., pp. 64-66.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico
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Se, quando diciamo queste cose, Aristotele si chiedesse come sia allora possibile che, se c’è fuoco nella regione celeste, esso si muova con moto circolare e non in linea retta, gli si dovrebbe rispondere seguendo la tesi di Plotino [Enneadi 2.2 (14).1] e cioè che ogni corpo semplice, trovandosi nel suo luogo proprio, rimane immobile o si muove con moto circolare in modo tale che, anche così facendo, non lasci il suo luogo proprio. Perché, se si muovesse con altro moto, o non sarebbe più nel suo luogo proprio, o non ci sarebbe ancora. E così l’ente igneo della regione celeste, se si muove, deve muoversi con moto circolare. Infatti, anche la terra, se si potesse muovere senza abbandonare il suo luogo al centro [del cosmo], si muoverebbe con moto circolare. E quando il fuoco è portato verso l’alto, ciò avviene perché si trova in un posto a lui alieno ; lo stesso è vero di un grumo di terra quando è portato verso il basso. E in generale, i moti rettilinei degli elementi avvengono quando gli elementi si trovano in una posizione contraria a quella naturale. Allora, dire che il fuoco si muove in linea retta per natura è dunque falso, perché il fuoco è assolutamente conforme alla propria natura quando occupa il proprio luogo. Quando viene portato verso il proprio luogo, invece, non è ancora conforme alla sua natura. Con questa spiegazione si chiarisce come il fuoco celeste, in quanto si muove, si muova con moto circolare, e non ci sia nulla che intralci la tesi di Platone [secondo cui il fuoco è l’elemento celeste]. Perché se il fuoco non dovesse muoversi con moto circolare, allora non sarebbe ancora nel suo luogo naturale. Se invece fosse nel suo luogo naturale, allora sarebbe immobile, o si muoverebbe con moto circolare. Ma non è possibile che il fuoco sia immobile ; per natura il fuoco tende a muoversi. Dunque il fuoco si muove [per natura] solo con moto circolare. 1
La seconda versione platonica della dottrina sosteneva che il fuoco e l’aria avevano due moti naturali, quello circolare nei loro interi e quello rettilineo verso i loro interi, mentre l’acqua e la terra avevano soltanto un moto naturale, e cioè quello rettilineo verso i loro interi. Giovanni Filopono seguì questa versione nel suo De aeternitate mundi contra Aristotelem, scritto tra il 530 e il 534. 2 Il trattato è andato perduto, ma nel suo commento al De coelo Simplicio replicò alle critiche di Filipono su 1 Proclo, In Platonis Timaeum, cit., iii.142d-e, ii, pp. 11.24-12.15 : « eij de; touvtwn uJf∆ hJmw`n legomevnwn oJ ∆Aristotevlh~ ajporoi`, pw`~ ou\n, eij pu`r ejstin ejn oujranw/`, kuvklw/ kinei`tai kai; oujk ejp∆ eujqeiva~, lektevon to;n Plwtivneion lovgon pro;~ aujtovn, o{ti pa`n sw`ma aJplou`n ejn tw/` oijkeivw/ tovpw/ o[n ajkivnhton mevnei h[ kuvklw/ kinei`tai, i{na mhde; w}~ ajpoleivph/ to;n oijkei`on tovpon∑ a[llw~ ga;r kinouvmenon h] oujkevti e[stai ejn tw/` eJautou` tovpw/, h] ou[pw ejsti;n env aujtw/`. kai; to; oujravnion ou\n puvrion uJpavrcon ejx ajnavgkh~, eij kinei`tai, kuvklw/ kinei`tai∑ ejpei; kai; hJ gh`, mh; ajpoleivpousa to;n peri; to; mevson tovpon, ei[per ejkinei`to, kuvklw/ a]n ejkinhvqh∑ kai; ga;r o{tan ejpi; to; a[nw fevrhtai to; pu`r, ejn ajllotrivw/ tovpw/ o]n ejpi; to; a[nw fevretai, kai; hJ bw`lo~ ejpi; to; kavtw wJsauvtw~, kai; o{lw~ tw`n stoiceivwn aiJ ejp∆ eujqeiva~ forai; para; fuvsin eijsi; diakeimevnwn∑ w{ste yeu`do~ to; levgein, o{ti to; pu`r ejp∆ eujqeiva~ kinei`tai kata; fuvsin. mavlista ga;r e[cei kata; fuvsin, oJpovtan to;n oijkei`on e[ch/ tovpon, o{tan de; fevrhtai eij~ tovn oijkei`on, ou[pw e[cei to; kata; fuvsin. touvtou de; deicqevnto~ fanerovn, o{pw~ kai; to; oujravvnion pu`r, ejpeidh; kinei`tai, kuvklw/ kinei`tai kai; oujde;n ejnoclei` to;n Platwniko;n lovgon∑ eij ga;r ªmh; kuvklw/º ejkinei`to tov pu`r, ou[pw h\n ejn tw/` kata; fuvsin tovpw/. eij de; e[stin ejn tw/` kata; fuvsin, h] ajkivnhton e[stai h] kuvklw/ kinhvsetai. ajlla; mh;n ajduvnaton ajkivvnhton aujto; ei\nai∑ fuvsei ga;r eujkivnhton pa`n pu`r∑ kuvklw/ a[ra kinhvsetai movvnw~ ». J. Wilberding, Plotinus’ Cosmology, cit., p. 65, propone che l’inter-
pretazione che Proclo fornisce di Plotino derivi specificatamente da Plotino, ii.1[40].8.15-19. 2 Citato da Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, pp. 34.7-11, 34.23-24, 34.30-32, 35.1-8, 35.14-20, 35.2833, 36.11-18, 37.26-28. Sulle traduzioni di questi passi si veda Giovanni Filopono, Against Aristotle, cit., pp. 47-50, 60, frammenti 9-14, 17. Sulla dottrina di Filopono in questo testo si vedano ivi, pp. 46-47, 58 ; C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., pp. 123-125, 130-134, 136, 239 ; Idem, Prolegomena, cit., pp. 205-208 ; R. Sorabji, John Philoponus, in Philoponus and the Rejection of Aristotelian Science, cit., pp. 1-40 : 16-18.
92 copernico e la gravità Aristotele, citando e parafrasando dal trattato di Filopono. Come se non bastasse, Simplicio accusò Filopono di aver plagiato, tra le altre, alcune ‘obiezioni’ di Senarco ad Aristotele. 1 In un resoconto della dottrina di Filopono, Simplicio scrive che, secondo Filopono : Il fuoco ha due moti naturali, uno verso l’alto, che avviene in quelle parti che sono separate dal loro intero, e l’altro circolare, che avviene nel loro intero. Perciò non v’è assolutamente nulla che impedisca che il cielo, che si muove con moto circolare, sia fatto di fuoco, né il suo movimento sarà contrario a natura. Ed è ovvio che in tutte queste argomentazioni egli [Filopono] fu tratto in errore dall’idea che il moto circolare, come il moto del cielo, sussista nel fuoco in modo naturale e non sovrannaturale. 2
Altri passi riportati da Simplicio dimostrano che Filopono applicò quest’idea all’aria. Si può supporre – sebbene i frammenti in Simplicio non lo attestino – che Filopono pensasse che la terra e l’acqua, se rimosse dal loro luogo, seguissero il moto rettilineo naturale verso le loro sfere e che, una volta raggiunte quelle, rimanessero per natura immobili. 3 Secondo quanto traspare dai suoi brevi commenti, Filopono alluse anche a questa versione della dottrina nel suo commento ai Meteorologica, scritto, o forse riscritto, nel 529. 4 In quest’occasione la dottrina venne attribuita ai ‘platonici’. Queste versioni della dottrina ricorrono in molte fonti classiche, bizantine, medievali e rinascimentali. Oltre alle opere di Simplicio (che riporta le definizioni di Senarco e Filopono), Plotino e Proclo discusse sopra, ne fanno menzione le seguenti fonti : il commento al De anima di Filopono, dove, contrariamente alle tesi formulate altrove, questi sosteneva che soltanto il moto circolare era naturale per 1 Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 25.23-24. C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., pp. 110-111, 136, tratta dell’accusa mossa da Simplicio. 2 Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 35.14-18 : « duvo levgwn tou` puro;~ kata; fuvsin kinhvsei~,
th;n me;n ejpi; to; a[nw tw`n merw`n aujtou` tw`n th`~ oJlovthto~ ajpospasqevntwn, th;n de; kuvklw/ th`~ oJlovthto~, w{ste kai; oJ oujrano;~ kuvklw/ kinouvmeno~ oujde;n kwluvetai pu`r ei\nai, oujde; para; fuvsin aujtw/` e[stai hJ kivnhsi~. kai; dh`lon, o{ti ejn pa`sin touvtoi~ e[sfhlen aujto;n to; th;n kuvklw/ kivvnhsin oujranivan ou\san mh; uJpe;r fuvsin nomivzein ujpavrcein tw/` puriv, ajlla; kata; fuvsin ». C. Wildberg, John
Philoponus’ Criticism, cit., p. 131, analizza questo passo. 3 C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., p. 132 nota 76. 4 Giovanni Filopono, In Aristotelis Meteorologicorum librum primum commentarium, a cura di M. Hayduck, cag, xiv, parte 1, Berlino, G. Reimer, 1901, pp. 37.18-23, attribuisce ai seguaci di Platone l’idea che le sfere del fuoco e dell’aria seguano quali interi una rivoluzione naturale, mentre l’acqua e la terra quali interi, siano stazionarie per natura. Aggiunge, inoltre, che gli elementi quali interi non seguono un movimento rettilineo. (Sulle idee di Filopono si veda Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., p. 67.5-7 ; Giovanni Filopono, Against Aristotle, cit., p. 60, frammento 40.) Filopono più avanti afferma che non approfondirà l’argomento, in quanto lo ha trattato in dettaglio altrove. Non fa riferimento ai moti delle parti verso il tutto. Nel In Aristotelis Meteorologicorum librum, cit., p. 97.4-6, Filopono attribuisce ancora una volta ai seguaci di Platone la teoria che gli interi costituiti dagli elementi per natura possono o girare o rimanere fermi. I passi non forniscono un’indicazione chiara della versione delle dottrina che Filopono aveva in mente. Se, tuttavia, accettiamo la tesi di Wildberg, secondo la quale la menzione di Filopono, nel suo commento ai Meteorologica, a un’esposizione precedente della dottrina, allude a passi contenuti nel De aeternitate mundi contra Aristotelem, si deve concludere che, quando Filopono scrisse il commento ai Metereologica, egli probabilmente seguì la versione contenuta nel De aeternitate, e cioè che i moti rettilinei e circolari dell’aria e del fuoco fossero entrambi naturali ; si vedano C. Wildberg, Prolegomena, cit., pp. 206-208 ; Idem, John Philoponus’ Criticism, cit., p. 239. M. Wolff, Fallgesetz und Massebegriff, cit., p. 70, accomuna le definizioni contenute nei commenti di Filopono ai Metereologica e al De anima, senza fornire spiegazioni. Su quest’ultima definizione, si veda la nota seguente e infra, pp. 98-99.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico 93 fuoco e aria ; due raccolte di note che riportano le lezioni di Damascio sul Fedone di Platone ; 2 l’Epitome physica di Nikephoros Blemmydes ; 3 il Kitab al-Qānūn al-Mas‘ūdī di Abū al-Raih’ān Bīrūnī (che discute un’ipotesi geocinetica) ; 4 il commento al De coelo di Tommaso d’Aquino ; 5 il De differentiis Platonis et Aristotelis di Giorgio Gemisto Pletone 6 e la sua replica all’attacco di Scolario al De differentiis ; 7 e infine, a opera di Marsilio Ficino, la Teologia platonica, il commento al Timeo e il commento a Plotino. 8 La dottrina di Nicole Oresme, discussa sopra, deriva probabilmente dal 1
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Giovanni Filopono, Commentaria in Aristotelis de Anima libros, a cura di M. Hayduck, cag, xv, Berlino, G. Reimer, 1897, i.2, pp. 65.32-66.14. Su questo passo, si vedano M. Wolff, Fallgesetz und Massebegriff, cit., pp. 70-72 ; L. Siorvanes, Proclus, cit., p. 247. 2 Damascio, In Phaedonem, in The Greek Commentaries on Plato’s Phaedo, 2 voll., edizione e traduzione a cura di L. G. Westerink, Amsterdam, North-Holland, 1976-1977, ii, i.521 (197N), ii.123 (236n), pp. 263, 353. 3 Nikephoros Blemmydes, Epitome physica, xxiv.9-16, pg, cxlii, coll. 1217-1221 : col. 1220a (xxiv.9). Seguendo Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 20.10-25, trattato supra, pp. 194-195, Blemmydes attribuisce la dottrina a Plotino, Senarco e Tolomeo. Sull’Epitome di Blemmydes, si veda W. Lackner, Zum Lehrbuch der Physik des Nikephoros Blemmydes, « Byzantinische Forschungen », iv, 1972, pp. 157-169. 4 Abū al-Raih’ān Bīrūnī, Kitāb al-Qānūn al-Mas‘ūdī, 3 voll., con numerazione continuativa delle pagine, Haydar Ābād al-Dakan, Mațba’at Majilis Dā’irat al-Ma’ārif al-’Uthmānīyah, 1954-1956, i, p. 50. In questo testo, completato dopo il 1035, lo studioso islamico Abū al-Raih’ān Bīrūnī († ca 1050) notò che un astronomo, di cui non fornisce il nome, probabilmente islamico, difendeva la possibilità di un universo geocentrico e geocinetico contro le obiezioni mosse dai discepoli di Tolomeo. Una contro-argomentazione a quelle obiezioni era che le cose pesanti seguivano due tipi di movimento : gli interi si muovevano in modo circolare mentre le parti si muovevano in modo rettilineo verso il basso per riunirsi con i loro rispettivi interi e per evitare una posizione ‘violenta’. (Sono grato a Charles Burnett per avermi gentilmente fornito una traduzione di questo passo dall’originale arabo). S. Pines, La théorie de la rotation de la Terre à l’époque d’al-Bīrūnī, « Journal asiatique », ccxliv, 1956, pp. 301-306 : 303-304, prende in considerazione questo passo. È possibile che vi siano altre fonti arabe della dottrina – il De aeternitate mundi contra Aristotelem di Filopono era a disposizione di Al-Farabi, di Avicenna e della scuola filosofica cristiana di Baghdad dei secc. x e xi. Si veda M. Mahdi, Al-Farabi against Philoponus, « Journal of Near Eastern Studies », xxvi, 1967, pp. 233-260 : 236. Al-Farabi riporta l’argomentazione di Filopono secondo la quale un corpo semplice può avere per natura un moto naturale circolare e rettilineo, senza tuttavia sostenere che l’aria o il fuoco in particolare possano seguire un moto rettilineo verso il luogo e un moto circolare nel luogo ; si veda Al-Farabi, Against John the Grammarian, in M. Mahdi, cit., viii.8, p. 258, parafrasato a p. 244 ; e Al-Farabi in Giovanni Filopono, Against Aristotle, cit., 3.14, p. 44. L’opera di Al-Farabi non era stata tradotta in latino. 5 Tommaso d’Aquino, In De caelo et de mundo, cit., i.5.6, p. 21 : « Dicebant enim quidam quod partes elementorum sunt corruptibiles, ita quod extra proprium locum existentes, moventur naturaliter motu recto : ipsa autem elementa secundum suam totalitatem sunt incorruptibilia, et nunquam extra proprium locum esse possunt : unde in locis suis moventur circulariter. Et sic corpus quod circulariter movetur in suo loco secundum suam totalitatem, non oportet quod careat gravitate et levitate. Ad hoc igitur excludendum, Philosophus proponit quod […] ». La fonte di Tommaso era con ogni probabilità la traduzione latina del commento al De caelo di Simplicio che Guglielmo di Moerbeke aveva preparato per lui già nel giugno 1271. 6 Giorgio Gemisto Pletone, De differentiis, in B. Lagarde, Le De differentiis de Pléthon d’après l’autographe de la Marcienne, « Byzantion », xliii, 1973, pp. 312-343 : 330.25-331.2, cap. 6 = pg, clx, col. 908, cap. 14. Per una traduzione in inglese del De differentiis, si veda C. M. Woodhouse, George Gemistos Plethon. The Last of the Hellenes, Oxford, Clarendon Press, 1986, pp. 191-214 ; sulla trattazione di Pletone del moto degli elementi, si veda ivi, p. 201, §27. 7 Giorgio Gemisto Pletone, Contra Scholarii pro Aristotele obiectiones, a cura di E. V. Maltese, Lipsia, Teubner, 1988, xxix.1-7, pp. 35.6-36.25 = pg, clx, coll. 1000A-01B ; riassunto in C. M. Woodhouse, George Gemistos Plethon, cit., pp. 300-301. 8 Marsilio Ficino, Platonic Theology, a cura di J. Hankins, W. Bowen, traduzione inglese di M. J. B. Allen, J. Warden, 6 voll., Cambridge (MA), Harvard University Press, 2001-2006, i, iv.1.22, p. 284 ; Idem, In Plotinum, ii.2 [14].1, in Plotino, [Enneads], traduzione e commento a cura di Marsilio Ficino, Firenze,
94 copernico e la gravità commento al De coelo di Simplicio, nella traduzione di Moerbeke, o dal riassunto di Tommaso nel suo commento al De coelo. 1 Giorgio Valla tradusse il resoconto di Nikephoros Blemmydes, ma senza riconoscerlo e non del tutto fedelmente in alcuni punti. 2 (Pico della Mirandola conosceva la dottrina ma non la descrisse. 3 ) Questi resoconti differiscono nei dettagli. Per esempio, alcuni autori, seguendo Aristotele, denominavano ‘luoghi naturali’ i luoghi ai quali ritornavano le parti elementari, mentre altri li definivano ‘interi’. Ma il punto su cui tutte le versioni concordavano era che il fuoco elementare e, per alcuni, l’aria, circolavano per natura nel loro luogo, e che le loro parti si muovevano in linea retta per riguadagnare tale condizione. È interessante notare che Ficino sosteneva che anche l’acqua seguiva questo principio. Cioè, egli combinava la dottrina ‘platonica’, o più precisamente quella di Proclo – come citato sopra – con l’idea scolastica, derivata probabilmente da Alpetragio (al-Bitrûjî), secondo la quale gli elementi seguivano una scala graduale del moto circolare che andava dal moto circolare perfetto dell’elemento celeste a un estremo, sino alla terra immobile all’altro estremo. 4 Nel commento al Timeo Ficino scrisse quanto segue : E non dovremmo lasciarci turbare da coloro che dubitano che il cielo sia igneo ritenendo che il moto celeste sia circolare e quello del fuoco, invece, rettilineo. Perché, qualsiasi parte di cielo, se per qualche motivo si trovasse al centro [del cosmo], ascenderebbe anch’essa subito in linea retta, ossia per la via più breve, alla ricerca del proprio luogo, anche se i cieli hanno come loro caratteristica propria quella di muoversi con moto circolare. E la terra, qualora si trovi lontana dal centro, scende, anche se per natura rimane nello stato di quiete. Certamente ogni sfera che si muove, sia essa elementare o celeste, si muove naturalmente intorno a un centro per via della sua forma [sferica], perché così sfrutta completamente il proprio luogo. Il moto rettilineo, ovunque accada, non è tanto un movimento naturale, quanto un ritorno a ciò che è naturale. Nella misura in cui il moto circolare è proprio di qualsiasi corpo, lo è massimamente del fuoco. Infatti, poiché è anche il più distante [degli elementi] dalla terra, così come la terra è sempre immobile, il fuoco è sempre in movimento. Se è sempre in moto, lo è con moto circolare, perché ciò che si muove in linea retta, una volta percorso uno spazio finito, smette di muoversi. La rivoluzione delle comete dimostra che sia il fuoco che l’aria si muovono in circolo e il continuo flusso e riflusso delle maree dimostra che anche l’acqua si muove in moto circolare. La terra, comunque, rimane approAntonio di Bartolommeo Miscomini, 1492, segn. i3r ; Idem, Compendium In Timaeum, cap. 25, in Idem, [Commentaria in Platonem], Firenze, Laurentius (Francisci) de Alopa, 1496, segn. m6v (= Opera omnia, 2 voll., Basilea, Heinrich Petri, 1576, ii, p. 1449.35-48). Sul resoconto di Ficino, si veda D. Knox, Ficino, cit., pp. 336-351, e J. Hankins, Galileo, Ficino and Renaissance Platonism, cit., pp. 217-218, 223-224. 1 Stefano Caroti mi ha cortesemente fornito conferma del fatto che Oresme, sebbene amasse menzionare le sue fonti, non fa alcuno riferimento al commento di Simplicio al De caelo. Questo tuttavia non dimostra che Oresme non lo conoscesse. La trattazione della dottrina a opera di Simplicio s’accorda al resoconto di Oresme molto meglio di quanto faccia quella di Tommaso d’Aquino, In De caelo et de mundo, cit., i.5.6, p. 21 (cfr. supra, p. 93 nota 5). 2 Giorgio Valla, De expetendis et fugiendis rebus, cit., xxiii.1, segn. nn7r, riga 43 ; segn. nn7v, riga 13, che traduce, spesso commettendo errori, Nikephoros Blemmydes, Epitome physica, cit. supra, p. 93 nota 3. I libri xxii-xxiii dell’opera di Valla sono – come ha notato Johann Wegelin (pg, cxlii, coll. 1017-1018), editore e traduttore di Blemmydes – una traduzione, con modifiche e aggiunte, dell’opera di Nikephoros Blemmydes. Valla non aveva indicato la fonte. 3 Giovanni Francesco Pico della Mirandola, Examen, cit., ii, vi.9-10, pp. 1203-1204, 1209-1210. 4 Si veda supra, pp. 21-22.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico
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priatamente ferma, in modo tale che sarà molto simile a un centro indivisibile e fisso, e da questo trarrà più facilmente vantaggio. 1
La possibilità che Copernico sia stato influenzato da una dottrina di questo tipo è stata avanzata soltanto occasionalmente. Paul Moreaux ha citato brevemente alcuni resoconti classici e suggerito che la dottrina fisica di Copernico potrebbe derivare da essi.2 Zdeněk Horský ha paragonato la dottrina di Copernico a quella ficiniana della Teologia platonica, senza però sviluppare le proprie osservazioni o citare altre versioni classiche, medievali o rinascimentali. 3 È possibile migliorare questi suggerimenti e identificare la fonte (o le fonti) di Copernico, ipotizzando che egli stesse attingendo dalla tradizione di questa dottrina ? In primo luogo, che cosa suggerisce l’evidenza bibliografica ? Bisogna dire da subito che Copernico conosceva il greco, anche se solo imperfettamente all’inizio della sua carriera, e in teoria avrebbe potuto scoprire la dottrina in più d’una delle fonti greche o latine citate sopra. Non è neppur possibile escludere a priori il Qānūn al-Mas‘ūdī di al-Bīrūnī. Vero è che quest’opera non era stata – e non lo è mai stata – tradotta in latino, e 1 Marsilio Ficino, Compendium, cit., segn. m6v (c. 25) (= Idem, Opera, cit., p. 1449.35-48) : « Sed neque nos turbent qui caelum iccirco igneum esse diffidunt, quia caeli quidem motus sit circularis, ignis vero sit rectus. Nam etiam caeli portio quelibet si forte ponatur in medio, repente ascendet in rectum, breviori videlicet tramite patriam petitura : et tamen caeli motus proprius est circuitus, et terra si separetur a centro, descendet : et tamen eius proprium est quiescere. Profecto quelibet sphera mobilis tam elementalis quam caelestis pro figura sua naturaliter movetur in orbem : sic loco suo plenius fruitura [Opera : «futura»]. Motus autem rectus ubicunque est, non tam naturalis est, quam reditus in naturam. Si cui vero corpori circuitus convenit, maxime convenit igni. Cum enim a terra distantissimus sit etiam per naturam : sicut terra est semper inmobilis, ita ill[e] semper est mobilis. Si semper mobilis, ergo in orbem. Quod enim movetur in rectum, peracto spatio quod finitum est, finit et motum. Moveri vero in circulum tam ignem quam aerem, ostendit circuitus [Opera : « circulus »] co[m]etarum. Circuitum quoque aque testatur influxus perpetuus et effluxus. Manere vero oportuit terram, ut indivisibili et stabili centro foret similior, eoque commodius frueretur ». 2 P. Moraux, Copernic et Aristote, cit., pp. 231, 237 nota 41. 3 Z. Horský, La cosmologie, cit., pp. 63-65 ; Idem, Le Rôle du Platonisme dans l’origine de la cosmologie moderne, « Organon », iv, 1967, pp. 47-54 : 48-49, discusse la teoria di Ficino sulla gravità, la leggerezza e il moto elementare nella Theologia platonica e sostenne che Copernico avesse con ogni probabilità trovato lì la dottrina, oltre che nei testi di Nicola Cusano, come aveva suggerito Duhem (si veda infra). Horský ripetè questa tesi in una discussione al termine di un convegno ; si veda Avant, avec, après Copernic. La représentation de l’univers et ses conséquences épistémologiques, Centre International de Synethese (Semaine de Synthese 1-7 Juin 1973), Parigi, Blanchard, 1975, pp. 97-98. P. M. Duhem, Études sur Léonard de Vinci, cit., ii, p. 262, suggerì che la fonte di Copernico fosse Nicola Cusano, De docta ignorantia, a cura di E. Hoffmann, R. Klibansky, in Idem, Opera omnia, Lipsia, F. Meiner, 1932-, i, ii.12, ii.13, p. 104.10-16. Ma Cusano non considera naturale il moto circolare di un insieme o il moto rettilineo delle parti, e non mi pare che l’opera di Cusano faccia parte delle tradizione dottrinaria qui descritta o che possa essere la fonte di Copernico. Sulla dottrina di Cusano, si veda D. Knox, Ficino, cit., pp. 201-202. Non esiste prova che Copernico abbia letto gli scritti di Cusano ; si veda F. Krafft, Copernicus retroversus, cit., p. 72 ; cga, iii, parte 1, 1998, p. 184. Secondo L. A. Birkenmajer, Stromata Copernicana, Cracovia, Nakładem Polskiej adademji umiejętności, 1924, pp. 300-301, le annotazioni nella copia di Charles de Bouelles, Liber de intellectu, con altre opere, Parigi, 1511 (sed 1510 ?), sono di pugno di Copernico, comprese due che menzionano Cusano. Parecchi studiosi hanno seguito tale attribuzione, per es., R. Klibansky, Copernic et Nicolas de Cues, in Léonard de Vinci et l’expérience scientifique au xvi e siècle (Parigi, 4-7 juillet 1952), Parigi, Éditions du Centre national de la recherche scientifique, 1953, pp. 225-235 : 230-231 ; B. Biliński, Il pitagorismo di Copernico, cit., pp. 46, 145-146 ; S. Meier-Oeser, Die Präsenz des Vergessenen. Zur Rezeption der Philosophie des Nicolaus Cusanus vom 15. bis zum 18. Jahrhundert, Münster, Aschendorff, 1989, p. 191. Tuttavia P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., pp. 379-380, rifiuta l’attribuzione.
96 copernico e la gravità che Copernico non conosceva l’arabo, però questo inconveniente non gli impedì di venire a conoscenza, diretta o indiretta, delle innovazioni astronomiche di astronomi medievali che scrivevano in lingua araba. 1 È possibile tuttavia distinguere ciò che è più probabile da ciò che lo è meno partendo da due presupposti. Il primo è che Copernico trovò la dottrina in una fonte a stampa piuttosto che in un manoscritto (e questo vale tanto più per le fonti disponibili soltanto in greco). Il secondo presupposto è che egli completò, secondo la data comunemente accettata, il primo libro del De revolutionibus qualche tempo prima del 1526 o del 1527. 2 Questi presupposti escludono il commento al Timeo di Proclo, le raccolte di note che riportano le lezioni di Damascio sul Fedone di Platone, i commenti di Filopono al De anima e ai Meteorologica, il Qānūn al-Mas‘ūdī di al-Bīrūnī, l’Epitome physica di Nikephoros Blemmydes, il Livre du ciel di Oresme e i De differentiis e Contra Scholarii pro Aristotele obiectiones di Gemisto Pletone. 3 Nessuna di queste opere fu pubblicata in lingua originale o in traduzione prima del 1527. Per la stessa ragione si potrebbe essere tentati di escludere il commento di Simplicio al De coelo e con esso le citazioni delle dottrine di Senarco e di Filopono, poichè il testo greco era stato pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1526 e la traduzione latina di Moerbeke soltanto nel 1540, sempre a Venezia. Tuttavia, il commento di Simplicio era ben noto, anche se spesso soltanto in versioni di seconda mano, e dunque non sarebbe saggio non prenderlo assolutamente in considerazione. Rimaniamo con una lista sorprendentemente breve : i due trattati di Plotino nella 1 Per quel che riguarda il rapporto tra l’astronomia araba e Copernico, si veda E. J. Aiton, Celestial Spheres and Circles, cit., pp. 95-96, 108 nota 114, e testi ivi citati ; G. Saliba, A History of Arabic Astronomy. Planetary Theories during the Golden Age of Islam, New York, New York University Press, 1994, ad v. ‘Copernicus’ ; e Idem, Rethinking the Roots of Modern Science. Arabic Manuscripts in European Libraries (Occasional Paper, Center for Contemporary Arabic Studies), Georgetown, Washington DC, 1999. 2 In quanto alla data, si veda cga, iii, parte 1, 1998, p. 3 ; E. Rosen, When did Copernicus Write the Revolutions ?, « Sudhoffs Archiv », lxi, 1977, pp. 144-155, contro N. M. Swerdlow, The Holograph of De revolutionibus and the Chronology of its Composition, « jha », v, 1974, pp. 186-198, che sostiene che parti dell’autografo di Copernico debbano essere datate, al più presto, dopo il 1525 e, con ogni probabilità, parecchi anni più tardi (ivi, p. 188), e che Copernico scrisse l’intero ms. probabilmente tra il 1530 circa e il 1541 (ivi, p. 194) ; A. Goddu, Reflections on the Origin of Copernicus’s Cosmology, cit., p. 49 nota 29. 3 Il testo greco del commento di Proclo al Timeo fu pubblicato per la prima volta assieme ai testi di Platone in lingua greca a Basilea nel 1534. Il testo greco dei Meteorologica del Filopono fu pubblicato per la prima volta con una traduzione latina a Venezia nel 1551, mentre la prima traduzione in lingua latina in un’edizione separata fu pubblicata nel 1567. Il testo greco del suo commento al De anima fu pubblicato a Venezia nel 1535 e una traduzione in latino dello stesso sempre a Venezia nel 1544. Il testo greco del suo De aeternitate mundi contra Proclum, con brani tratti dal Sull’eternità del mondo, venne pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1535 e una traduzione in latino a Venezia nel 1551 (si veda C. B. Schmitt, Philoponus’s Commentary on Aristotle’s Physics in the Sixteenth Century, in Philoponus and the Rejection of Aristotelian Science, cit., pp. 210-230 : 228-229). Le annotazioni di Damascio, attribuite a Olimpiodoro, furono pubblicate per la prima volta nel 1847. Il De differentiis di Gemisto Pletone fu pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1540 e di nuovo, con una parafrasi in latino, a Parigi nel 1541, e in latino a Basilea nel 1574 (si veda B. Lagarde, Le De differentiis de Pléthon, cit., pp. 313-314 ; E. V. Maltese, in Giorgio Gemisto Pletone, Contra Scholarii pro Aristotele obiectiones, cit., p. v ; C. M. Woodhouse, George Gemistos Plethon, cit., p. 191). La prima edizione del testo greco dell’Epitome physica di Nikephoros Blemmydes, edito da Johann Wegelin, apparve ad Augusta nel 1605 ; si veda W. Lackner, Zum Lehrbuch der Physik des Nikephoros Blemmydes, cit., p. 160. La traduzione in latino di Wegelin apparve nel 1606. Nessuna edizione in latino fu prodotta durante i secc. xv e xvi. Il Contra Scholarii … obiectiones di Gemisto Pletone fu pubblicato per la prima volta nel 1844 (E. V. Maltese, loc. cit.). Per i testi di Oresme, si veda supra, p. 181.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico 97 traduzione latina di Ficino, il commento di Tommaso d’Aquino al De caelo, la Teologia platonica di Ficino e i suoi commenti al Timeo e alle opere di Plotino, e infine il De expetendis et fugiendis rebus di Valla. I commenti di Tommaso sono brevi e confusi. Tra le possibilità che rimangono, i più promettenti sono il De expetendis di Valla e il commento al Timeo di Ficino. Copernico conosceva il De expetendis, 1 e quasi certamente conosceva le opere di Platone tradotte in latino da Ficino, che includevano il commento al Timeo. 2 Per un astronomo a caccia di teorie cosmologiche non aristoteliche, un’edizione ampiamente commentata del Timeo avrebbe costituito un’ovvia risorsa. Anche la dottrina di Copernico punta verso la medesima direzione. Per Copernico soltanto il moto circolare era naturale, mentre non lo era il moto rettilineo delle parti verso i loro interi. Presumendo che egli abbia attinto da una o più fonti che sostenevano che solo il moto circolare degli elementi fosse naturale, possiamo escludere le seguenti fonti : i due trattati di Plotino, le due raccolte di note che riportano le lezioni di Damascio sul Fedone di Platone, il De aeternitate mundi contra Aristotelem di Filopono (come riportate dal commento al De caelo di Simplicio), il commento al De caelo di Tommaso d’Aquino e il Livre du ciel di Oresme. Si possono anche escludere il Qānūn al-Mas‘ūdī di al-Bīrūnī, il quale non definisce ‘naturale’ nessuno dei due moti, il commento ai Meteorologica di Filopono e le Diciotto dimostrazioni sull’eternità del mondo di Proclo, che sono entrambi brevi e poco chiari sul moto delle parti elementari verso gli interi. 3 Le fonti rimanenti, che sostenevano chiaramente che il moto rettilineo degli elementi non era naturale, mentre lo era quello circolare, sono : il commento di Proclo al Timeo, l’Epitome physica di Nikephoros Blemmydes, il commento al De anima di Filopono, il De differentiis Platonis et Aristotelis di Gemisto Pletone, e la replica di quest’ultimo agli attacchi di Scholarios al De differentiis, la Teologia platonica di Ficino, il commento al Timeo e quello a Plotino, e il De expetendis di Valla. Tra queste opere, quelle pubblicate prima del 1527 erano le opere di Ficino e di Valla, e il candidato migliore è il commento al Timeo, visto che il resoconto di Ficino è molto più chiaro di quello del De expetendis di Valla. Se il commento di Ficino fosse davvero la fonte di Copernico, questo diventerebbe un elegante fiore all’occhiello per gli studiosi che sottolineano l’importanza del platonismo rinascimentale per lo sviluppo della ‘nuova scienza’. Rimane, però, un piccolo dubbio. Nel commento al Timeo, Ficino, seguendo in generale Proclo, replicò all’obiezione che il fuoco non poteva essere l’elemento costituente della regione celeste in quanto si muoveva verso l’alto in linea retta. Questo moto rettilineo – ribatté Ficino – non era naturale, ma soltanto il modo in cui il fuoco riacquistava il proprio stato naturale. Il fuoco, infatti, seguiva un moto naturale – un moto naturale circolare – soltanto nella propria sfera. Questo principio si applicava a tutti gli elementi, celesti e sublunari, fatta eccezione per la terra, che, per natura, rimaneva nello stato di quiete. La dottrina di Ficino, lasciando da parte l’immobilità della terra, assomiglia certamente a quella di Copernico, senon1
Si veda supra, p. 68 nota 2. D. Knox, Ficino and Copernicus, cit., pp. 406-407, 414-416 ; A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit., pp. 208-220, 225. Copernico è probabilmente l’autore delle annotazioni in Copernicana 31, che è un esemplare del primo dei due volumi della traduzione in latino di Ficino, con commento, delle opere di Platone, nell’edizione pubblicata da Lorenzo de Alopa a Firenze nel 1484. 3 Si veda supra, p. 90 nota 5 e p. 92 nota 2. 2
98 copernico e la gravità ché nell’esposizione di Copernico non si ritrova nessuno dei dettagli secondari della dottrina di Ficino. Copernico non usa la parola « patria », con la quale Ficino aveva definito il luogo naturale del fuoco, né accenna al fatto – come invece aveva fatto Ficino – che il moto rettilineo è il tragitto più breve di un elemento verso la sua « patria ». In più, mancano anche altri dettagli. 1 Plinio e Cicerone, invece, hanno ispirato non solo la dottrina teleologica di Copernico, ma anche le parole, le espressioni e le metafore contenute nella sua dottrina e in altri luoghi del primo libro del De revolutionibus. La somiglianza tra i resoconti di Ficino e di Copernico rimane invece del tutto generica. Questa titubanza si applica similmente anche ai due altri resoconti di Ficino e a quelli di Proclo, Nikephoros Blemmydes, Giorgio Valla (che segue Nikephoros) e di Gemisto Pletone. Stranamente, l’unica somiglianza è con il commento di Filopono al De Anima. Quest’ultimo fornisce la versione corretta della dottrina secondo la quale il moto circolare degli elementi era naturale, nel senso stretto del termine, mentre quello rettilineo non lo era. In aggiunta, Filopono menziona quattro idee che ricordano quelle di Copernico: 1) Il moto rettilineo – commenta – era il moto di un corpo in uno stato non naturale ; quindi, non accadeva « secondo natura ». Tra le fonti che danno l’una o l’altra versione della dottrina, a parte Filopono sono espliciti al riguardo soltanto Simplicio (che riporta Senarco), Proclo, nel suo commento al Timeo, Nikephoros Blemmydes e, sulla scorta di quest’ultimo, Valla. Ed altrettanto esplicito è Copernico : « Perciò, il movimento rettilineo è presente soltanto nelle cose che non sono nel loro stato autentico o che non sono perfettamente in linea con la loro natura ». 2 2) Per Filopono, il moto rettilineo restituiva gli elementi ai loro interi, che si trovavano in stato di quiete, ossia a riposo o in moto circolare, in quanto anche quest’ultimo è una forma di quiete. 3 Filopono è l’unica fonte, tra coloro che seguono l’una o l’altra delle due interpretazioni anti-aristoteliche, che si riferisce all’idea – originariamente di Aristotele – che il moto circolare è una forma di quiete. Anche Copernico fa uso di questa idea. 4 3) Il moto rettilineo di un elemento verso il suo intero era – continuava Filopono – simile al passaggio dalla malattia alla salute, mentre il moto rettilineo dell’elemento che si allontanava dal suo intero corrispondeva all’ammalarsi. 5 Ancora, tra le fonti che discutono una o l’altra delle due interpretazioni anti-aristoteliche, soltanto Filopono introduce l’analogia della malattia e della salute. Anche Copernico lo fa, ma altera l’analogia in modo significativo, e cioè afferma che il moto circolare sta al moto rettilineo come un animale alla malattia. 4) Filopono descrive la dottrina in termini di interi e di parti. 6 1 A prima vista sembrerebbe un’eccezione il commento di Ficino, in ognuno dei tre resoconti, sulla dottrina (si veda supra, p. 93) che il moto circolare è il moto proprio della sfera, un’osservazione trovata anche in Copernico (si veda supra, pp. 39, 47, 51, 81). Ma questa teoria era comune (si veda supra, p. 47 nota 1), e per di più Copernico non usa quest’idea in riferimento alla teoria del moto degli elementi. 2 Senarco nel resoconto datone da Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit. (cfr. supra, p. 88 nota 1) ; Proclo, In Platonis Timaeum, cit., iii 142d-e, citato supra, pp. 91-92; Giovanni Filopono, Commentaria in Aristotelis de Anima, cit., i.2, p. 65.6-8 ; Nikephoros Blemmydes, Epitome physica, cit., col. 1220a (9-10) ; Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, p. 16.6-7, citato supra, pp. 48, 50-51. 3 Giovanni Filopono, Commentaria in Aristotelis de Anima, cit., i.2, p. 65.38. 4 Si veda supra, p. 48. 5 Giovanni Filopono, Commentaria in Aristotelis de Anima, cit., i.2, p. 66.15-17. 6 Ivi, i.2, pp. 65.36-37, 66.4-5, 7-13.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico 99 Tra le fonti che propongono che il moto rettilineo verso un luogo non è naturale, Filopono è l’unico – fatta eccezione per Gemisto Pletone nella sua replica a Scholarios – a parlare di ‘interi’ e di ‘parti’. 1 Copernico usa gli stessi termini. 2 Prese una per una, queste quattro corrispondenze non significano molto, poiché possono essere spiegate citando i precedenti in Aristotele, Simplicio e altri autori. Considerate tutte insieme, suscitano pur tuttavia, forte curiosità. È molto improbabile che Copernico avesse letto il De anima di Filopono. 3 Il testo greco apparve a Venezia nel 1535 e la traduzione latina soltanto nel 1544, sempre a Venezia. 4 Se ammettessimo pure – come è stato suggerito – che Copernico stesse ancora scrivendo il primo libro del De revolutionibus nel 1530, si potrebbe in effetti dire che egli avesse consultato l’edizione greca. 5 Ma che cosa avrebbe indotto Copernico a curiosare in un testo di questo tipo alla ricerca di idee cosmologiche ? A confronto, sarebbero più convincenti i motivi a favore del Timeo di Ficino. O forse, piuttosto che prender le difese di una fonte tanto improbabile quale il De anima di Filopono, si dovrebbe riconsiderare la possibilità che Copernico stesse semplicemente adattando la tradizionale dottrina aristotelica o scolastica. Nel suo commento al De caelo, Simplicio aveva riportato l’obiezione di Senarco secondo la quale il moto rettilineo di un corpo semplice non poteva essere naturale, perché un corpo semplice, quando cadeva o si elevava verso il suo luogo in linea retta, si trovava in uno stato di divenire e non in atto. 6 Nella Fisica, Aristotele, e quindi i suoi commentatori, avevano parlato del moto circolare come di una forma di stasi. 7 Nel De caelo e nella Fisica egli aveva paragonato il moto rettilineo verso un luogo al passaggio dalla malattia alla salute. 8 Nel discutere il moto degli elementi, Aristotele e i suoi commentatori avevano regolarmente usato le parole ‘parti’ e ‘interi’. 9 Altre idee presenti nella dottrina copernicana si ritrovano nel commento al De caelo di Simplicio. 10 Si può supporre che, a un certo punto, Copernico abbia letto Simplicio in greco o, più plausibilmente, nella traduzione latina di Moerbeke, anche se questa non venne stampata prima del 1527 ? 1
Giorgio Gemisto Pletone, Contra Scholarii, cit., xxix.3, pp. 35.31-36.2. Copernico, De revolutionibus, cit., i.8, pp. 15.32-34, 16.3, 8, 15-16. 3 Moerbeke curò una traduzione del libro terzo. Ci è rimasta anche una traduzione in latino di una piccola parte del libro primo, probabilmente curata da Moerbeke. Quest’ultimo non comprende il passo di Filopono che tratta del moto degli elementi. Si veda Gerard Verbeke, Introduzione, in Giovanni Filopono, Commentaire sur le De anima d’Aristotle. Traduction de Guillaume de Moerbeke, a cura di G. Verbeke, Lovanio-Parigi, Publications Universitaires de Louvain, 1966, pp. lxxxix-xciii, 121-131. 4 5 Si veda supra, p. 96 nota 3. Si veda supra, p. 96 nota 2. 6 Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit. supra, p. 88 nota 1. 7 8 Si veda supra, p. 48. Si veda supra, p. 18. 9 Per es., Aristotele, De caelo, cit., i.3, 270a3-12 ; ii.13, 295b21-22 ; ii.14, 296b32-35, 297b7-14; iv.3, 310b3-7. 10 Simplicio è, in un certo senso, un precursore della teoria di Copernico (e di quella di Oresme : su queste, si veda supra, rispettivamente pp. 45-46, 60) che il moto di un corpo pesante in caduta comprende moti circolari e rettilinei. Egli menziona l’idea di Alessandro di Afrodisia secondo cui, nelle sfere trasportate in modo preternaturale, gli elementi seguono una combinazione di moto rettilineo, prodotto dalla rJophv (un termine tradotto da Moerbeke come inclinatio), e di moto circolare (preternaturale). Si vedano Simplicio de Cilicia, In De caelo, cit., i.2, p. 37.12-15 ; Aristotele, [De caelo], commento a cura di Simplicio, traduzione latina di Guillelmus de Moerbeke, Venezia, G. Scoto, 1563, p. 14, col. 2 ; C. Wildberg, John Philoponus’ Criticism, cit., p. 48 ; A. Rescigno in Alessandro di Afrodisia, Commentario al De caelo, cit., pp. 206-209. 2
100 copernico e la gravità La dottrina di Copernico sembra farci ripiombare in quel ben noto dibattito – qualcuno aggiungerebbe, scortesemente, un po’ trito – sul contributo del Rinascimento alla ‘nuova scienza’. L’onore spetta al platonismo rinascimentale oppure alla sempre in crescita e dominante tradizione dell’aristotelismo scolastico ? Prima di rassegnarci a compiere questa scelta, dovremmo considerare un piccolo dettaglio. Copernico possedeva una copia del dizionario greco-latino di Joannes Crastonus, pubblicato a Modena nel 1499-1500. La copia si trova ora nella biblioteca universitaria di Uppsala. 1 Non si sa quando Copernico lo abbia acquistato, ma sembra averlo usato, a volte a suo discapito, quando preparava, per la pubblicazione, la sua traduzione di Teofilatto nel 1509. 2 Il dizionario è di livello elementare e, per ogni parola greca, di solito non fornisce più di uno o due equivalenti latini. Copernico aggiunse molte note a margine. Sotto il lemma Daidavlio~ (c. 52v) di Crastonus si trova una nota inusuale e inusualmente ampia che dice : « Dade~ oi} lampade~ kai dadeon kai dadoucw fainw Lumine ministro » 3 (Fig. 8). Ci interessano le parole greche, in quanto sono una trascrizione precisa di due voci consecutive del dizionario bizantino del x secolo conosciuto come la Suda : 4 « Da/`de~Ú lampavde~. kai; Da/divon para; polloi`~ » (« Daides : torce ; si trova spesso anche come daidion [piccola torcia] »), e « Da/doucei`Ú faivnei » (« Daidouchei : egli illumina »). Copernico ha modificato la voce della Suda eliminando ‘para; polloi`~’, irrilevante ai suoi fini, e modificando « Da/doucei` » e « faivnei » dalla terza alla prima persona singolare per stabilire la concordanza con la voce del verbo in Crastonus. Altri dizionari greci a disposizione al tempo di Copernico, se includevano un lemma per da/divon, da/doucevw, dav/~ o da/`de~ (o dai>v~ o dai>vde~), non riportavano glosse simili all’annotazione di Copernico. 5 Inoltre, due annotazioni di Copernico, questa volta accanto alla voce feidwv (segn. l6r), traducono due lemma successivi della Suda che non fanno parte della lingua greca della classicità : « Fella. taª.º loca petrosa caprinis apta [sopra : pascuis] Fellas. to. librorum uelamen exterius » (« Fella, neutro plurale : luoghi rocciosi adibiti al brucare delle capre [sopra : come pascoli]. Fellas, neutro : la copertina esterna dei libri »)6 (Fig. 9). Il latino di Copernico traduce le glosse della Suda come appaiono nelle edizioni a stampa del 1499 e 1514 : « fellav. ta; petrwvdh kai; aijgivbota cwriva, 1
P. Czartoryski, The Library of Copernicus, cit., pp. 356, 364, 366 (Copernicana 5) ; Idem, ccw, iii, p. 5 ; A. Goddu, Copernicus’s Annotations, cit., p. 221. 2 P. Czartoryski, ccw, iii, pp. 8-12, 14 nota 9, 54-56, 58-60, 62-63, 66, 68-71 ; cga, v, pp. 13-14. 263. L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., pp. 112-115, 117, trascrive tutte le annotazioni di Copernico. 3 L. A. Birkenmajer (ivi, p. 112) dette la trascrizione diplomatica ma gli sfuggirono le abbrevizioni sopra la uie nella parola «lūīē» e sopra la i in «mīstro» ; e pensò che l’espressione probabilmente significasse «Lumine ministerio». 4 Suidae Lexicon, 5 voll., a cura di A. S. Adler, Lipsia, Teubner, 1928-1938, ii, p. 1.6-7, §§5-6. 5 Non vi sono voci di questo tipo – per menzionare solo i dizionari più completi – nell’Etymologicon magnum (pubblicato per la prima volta nel 1499) e nei dizionari di Esichio di Alessandria (pubblicato per la prima volta nel 1514) e Guarino (Varino) Favorino (pubblicato per la prima e ultima volta nel 1523). 6 Suidae Lexicon, a cura di Demetrius Chalcondylas, Milano, Johannes Bissolus e Benedictus Mangius, 1499, segn. bb66v. La trascrizione in L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., p. 114, §111, è incompleta e probabilmente difettosa. Birkenmajer usa « capris » invece che « caprinis », cosa che facilita il senso ; l’abbreviazione sopra la p suggerisce, però, l’aggettivo « caprinis » (« al brucare delle capre »). Birkenmajer tralascia « pascuis ».
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico
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Fig. 8. Johannes Crastonus, Lexicon Graeco-latinum, Modena, Dionysius Bertochus, 14991500, c. [52]v. Riproduzione di una pagina di Copernicana 5. La copia del Lexicon Graecolatinum, posseduta ed annotata da Copernico è ora conservata nella biblioteca della Università di Uppsala. A fondo pagina si trova una annotazione di Copernico tratta dalla Suda. Immagine riprodotta col permesso della Uppsala universitetsbibliotek.
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copernico e la gravità
Fig. 9. Johannes Crastonus, Lexicon Graeco-latinum, Modena, Dionysius Bertochus, 14991500, segn. l6r. Riproduzione di una pagina di Copernicana 5. Sul margine di destra si trovano due annotazioni di Copernico tratte dalla Suda. Immagine riprodotta col permesso della Uppsala universitetsbibliotek.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico
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wJs ijsai`o~. kai; fellav~, to; tw`n Bibliwn e[xwqen skevpasma ». (Copernico omisse wJ~ ijsai`o~, ‘come Isaios [dà riferimento, questo, all’oratore del 400 a.C.]’.) Diverse 1
altre note potrebbero derivare dalla Suda, ma sono troppo brevi – tipicamente non più di una singola parola – o troppo comuni per permettere conclusioni definitive. 2 Alcune di esse fanno pensare che Copernico abbia usato il lessico di Esichio. 3 Che cosa ci dicono queste annotazioni a margine ? Provano, quasi oltre ogni dubbio, che Copernico abbia consultato la Suda in uno o più momenti della sua carriera. Questa informazione è già di per sé significativa. Quali idee del De revolutionibus o delle sue altre opere possono derivare dalla Suda ? Una risposta a questa domanda richiederebbe uno studio dettagliato a parte e per ora dobbiamo accantonare il problema. Per lo scopo presente basta notare come le annotazioni a margine suggeriscano che Copernico si sia imbattuto in una versione di seconda mano della dottrina nel De anima di Filopono. Supponendo che abbia guardato nel più ampio e autorevole lessico greco del tempo una voce di ovvio interesse per un astronomo come kivnhsi~ (‘moto’ o ‘cambiamento’), egli avrebbe trovato un resoconto, a metà tra la parafrasi e la citazione, della dottrina di Filopono.4 Per molti versi la voce si adatta alla tesi copernicana meglio dell’originale di Filopono, poiché in essa si trovano, oltre alle idee e alle parole di Filopono, un commento che è compatibile con la dottrina teleologica di Copernico sulle parti che « si sforzano di rimanere aderenti ai loro interi », una duplice enfasi sull’idea che il moto circolare è una forma di stasi, e infine, in conseguenza a una corruzione del testo, persino l’idea implicita che parti di terra sono immobili nella misura in cui si muovono secondo natura. Si dà, qui di seguito, la traduzione della voce della Suda come appare nell’editio princeps del 1499 e nell’edizione aldina del 1514, le due edizioni pubblicate durante la vita di Copernico.5 La voce segue una lista di tipi di cambiamento, kivnhsi~ (aumen1
Le voci nel Suidae Lexicon, cit., iv, p. 711.14, §188, sono : « fellevaÚ ta; petrwvdh kai; aijgivbota cwriva, wJ~ ∆Isai`o~. kai; fellav~Ú to; tw`n Biblivwn e[xwqen skevpasma ». Esichio di Alessandria, Lexicon, 5 voll., 6 parti, a cura di M. Schmidt, Jena, F. Mauke, 1858-1868, iv, parte 1, p. 236, §284, ad v. fellov~, contiene la stessa glossa ma senza il lemma fellav~. L’editio princeps di Aldo del 1514, segn. A3rb, contiene lo
stesso testo dell’edizione di Esichio a cura di Schmidt. Secondo Schmidt, la glossa è un’interpolazione proveniente dalla Suda. L’assenza della voce felleva prova che fu la Suda, e non Esichio, la fonte di Copernico. 2 Cfr., per es., l’annotazione di Copernico in L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., p. 113, §73 : ‘Nhpenqe;~ o[ sine tristitia’ ; e Suidae Lexicon, cit., iii, p. 461.21, §321 : ‘Nhpenqev~Ú ajpenqev~’. Ma similmente Esichio di Alessandria, Lexicon, cit., iii, p. 154, §498 : ‘nhpenqev~Ú ajpenqev~, ajpevnqhton’. 3 Cfr. l’annotazione di Copernico in L. A. Birkenmajer, Mikołaj Kopernik, cit., p. 115, §118 : ‘cloavzw uiresco’ ed Esichio di Alessandria, Lexicon, cit., iv, parte 1, p. 289, §526 : ‘cloavzeiÚ ajnqhro;~ ejstin, ajnqhreuvetai’. La Suda non contiene il lemma cloavzw. 4 Suidae Lexicon, cit., iii, pp. 119-20, §1640. 5 Suidae Lexicon, a cura di Demetrius Chalcondylas, cit., c. iiii 5v. Ho riportato per esteso le abbreviazioni e aggiunto le iota sottoscritte, tralasciate nell’edizione del 1499 (quella del 1514 ne include la maggior parte). Ho adottato la punteggiatura dell’edizione del 1499. Le parentesi quadre segnalano divergenze di nota rispetto all’edizione di Alder (A.). Le parentesi uncinate segnalano parti del testo presenti nell’edizione milanese del 1499 e in quella aldina del 1514, ma omesse in quella di Adler. Sono grato a Francesco Montarese e Fabrizio Alberti (in vino veritas) per i loro suggerimenti relativi alla traduzione di questo passo : « oujk e[sti fhsi; th`/ bwvlw/ to; kivnei`sqai kata; fuvsin ejpi; ta; kavtw. oujde; tw/` puri; to; fevresqai pro;~ ta; a[nw. oujde; ga;r th;n ajrch;n th`~ toiauvth~ kinhvsew~ ejn auJtoi`~ [A. eJautoi`~] e[cousin. ajll∆ e[xwqen uJp∆ a[llou kinouvmena. e{kaston ga;r tw`n stoiceivwn, ejn th`/ oJlovthti th`/ eJautou` e[schken [A. e{sthken]. aiJ ga;r oJlovthte~ eJstavvnai bouvlontai. h] kuvklw/ kinei`sqai. diovti kai; hJ kuvklw/ kivvnh-
104 copernico e la gravità to, diminuzione, locomozione, alterazione, generazione e corruzione). I testi del 1499 e 1514 sono corrotti e ogni tanto il significato è oscuro. Non è per natura che un grumo di terra – egli dice 1 – si muove naturalmente verso le regioni inferiori, né è per natura che il fuoco si muove verso la regione superiore, poiché non hanno in sé il principio di tale moto, ma sono mossi estrinsecamente da qualcos’altro. Ogni elemento rimane attaccato al proprio intero. Gli interi cercano di rimanere immobili, o, dato che il moto circolare è anche una forma di stasi, cercano di muoversi in circolo, e un grumo di terra che si muove secondo natura è immobile nel suo intero. Immobile è anche il fuoco nella sua sfera propria. Ogniqualvolta un grumo di terra in condizione contraria alla natura si è mosso, si dice che si è mosso e che ha cambiato un posto per un altro ; ogniqualvolta l’acqua o l’aria circostante tendono verso i loro rispettivi interi, si muovono velocemente cercando di riguadagnare la quiete imperitura, che gli appartiene, e cioè ciò che si muove circolarmente. Poiché, quando vengono rimossi dal loro stato naturale a causa di qualche forza esterna, essi si muovono secondo un percorso che porta verso ciò che è contrario alla natura. In tal caso, infatti, queste cose si muovono, trovandosi in un luogo estraneo e privo dei loro interi, contro natura. Dunque, il moto verso il luogo naturale non avviene per natura, in quanto anche gli interi avrebbero questi moti [in linea retta secondo natura]. Ne deriva che questi moti delle parti non avvengono secondo natura, ma sono dei percorsi verso ciò che è conforme a natura. È possibile muoversi conformemente a natura in altri modi, come quando diciamo che recuperare la salute è conforme a natura e che la malattia è, per così dire, contraria a natura. Infatti la prima conduce a ciò che è conforme a natura, la seconda a ciò che non è conforme a natura.
È verosimile, dunque, che la dottrina fisica di Copernico derivi dalla Suda. 2 Può darsi che Copernico abbia conosciuto anche altri versioni, per esempio quelle proposte da Ficino o da Valla. Ma se anche così fosse, non furono queste a dare forma e colore alla sua dottrina. La Suda è quella che offre maggiori somiglianze. Il periodo di tempo durante il quale Copernico si imbatté nella Suda è destinato a rimanere, almeno per il momento, un enigma. Il fatto che si sia affidato così tanto alla propia copia di Crastonus mentre traduceva, a Varmia, Teofilatto – e questo anche quando si~, stavsi~ tiv~ ejsti. kai; kata; fuvsin me;n hJ bw`lo~ kinoumevnh, th`/ oi;keiva/ oJlovthti ajkivnhto~. kai; tovde to; pu`r th`/ oijkeiva/ sfai`ra/. ejpeida;n de; ejn tw/` para; fuvsin hJ bw`lo~ . h] to; u{dwr h] o{de oJ ajh;r gevnhtai pro;~ th;n eJkavstou oJlovthta auJtou` [A. aujtou`], ejpeivgetai th;n proshvkousan stavsin ajpolabei`n zhtou`n. uJpo; gavr tino~ e[xwqen biva~ ejkstavvnta tou` kata; fuvsin, kinei`tai th;n ejpi; ta; [leggi to;, come in A.] para; fuvsin oJdo;n[.] ejn w/| dhv [A. ejn oJdw/` de;] kinei`tai a{te ejn ajllotrivw/ uJpavrconta tovpw/ kai; th`~ ijdiva~ oJlovthto~ para; fuvsin ejsterhmevna. ou[koun [leggi oujkou`n, come in A.] ouj fuvsei hJ ejpi; to;n kata; fuvsin tovpon kivvnhsi~. ejkivnou`nto ga;r a[n tauvta~ ta;~ kinhvsei~ kai; aiJ oJlovthte~. ou{tw[~] me;n ou\n aiJ toiau`tai tw`n merw`n kinhvsei~ ouj kata; fuvsin ajll∆ oJdoi; ejpi; to; kata; fuvsin. duvvnatai de; a[llw~ kata; fuvsin kinei`sqai [A. levgesqai]. w{sper legovmenon kai; th;n uJgivansin kata; fuvsin. para; fuvsin de; th;n oi|on novsansin. [A. aggiunge : o{ti] hJ me;n , ejpi; to; kata; fuvsin a[gei. hJ de; ejpi; to; para; fuvsin. » 1
A. de Pace, Commentario, cit., pp. 65 nota 180, 197-198 nota 585, riconosce che il lemma nella Suda possa essere una fonte della dottrina di gravità di Copernico, ma sostiene che ciò non debba andare a scapito di Plutarco. A. Goddu, Copernicus and the Aristotelian Tradition, cit., pp. 235 nota 85, 195, 344, 348353, 392 nota 9, conviene che la Suda fu una probabile fonte. Goddu, peraltro, visto che la dottrina di Copernico non risulta, a suo parere, propriamente sviluppata, ritiene che Copernico voleva suscitare dubbi sulla dottrina di Aristotele piuttosto che proporre una alternativa tutta sua e perfettamente articolata (loc. cit., pp. 344-345, 392 nota 9). 2 Altrove non esiste indicazione di chi sia questo ‘egli’. Si tratta probabilmente di Filopono.
vii. le fonti della dottrina fisica di copernico 105 si imbatteva in parole e brani difficili – suggerisce che Copernico non poté consultare la Suda in quel periodo. 1 Ma questo non ci dice molto, perché Copernico potrebbe aver preso nota di parole e di idee contenute nella Suda quando era in Italia, per esempio quando era a Bologna, a Ferrara o a Padova, dove lo studio del greco era molto più avanzato che a Varmia. Oppure, potrebbe averne acquistato o consultato una copia dopo aver completato la traduzione di Teofilatto mentre lavorava al De revolutionibus. 2 1
Non si conosce la fonte delle parole greche che non si trovano in Crastonus ; si veda P. Czartoryski, ccw, iii, cit., p. 57. 2 Ringrazio André Goddu per aver rintracciato e consultato per mio conto due copie della Suda a Uppsala : Inc. 32.22 (ed. 1499) e Inc. K. 36 (ed. 1514). Nessuna delle due proviene da Varmia. Inc. 32.22 contiene alcune annotazioni, ma non scritte di pugno da Copernico ; Inc. K.36 non contiene annotazioni.
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CONCLUSIONE
I
punti fondamentali di questo saggio si possono riassumere brevemente. Copernico si rese conto che doveva offrire un’alternativa alla dottrina scolastica e aristotelica della gravità, della leggerezza e del moto circolare naturale, senza la quale la sua astronomia matematica sarebbe rimasta uno strumento di calcolo piuttosto che una descrizione dell’universo fisico. Il moto naturale della terra e dell’acqua era – secondo la sua spiegazione – circolare, e questo moto circolare era conforme alla rotazione diurna del globo terracqueo attorno al suo asse. L’aria trattenuta all’interno della superficie irregolare del globo terracqueo ruotava insieme a esso. L’aria che si trovava al di sopra della superficie irregolare non seguiva il moto del globo terracqueo. Questa visione eliminava le sfere dell’aria sublunare e del fuoco e, con esse, il principio aristotelico della leggerezza. Copernico non è esplicito su quest’ultimo punto, ma lo implica chiaramente, e le fonti stoiche, Cicerone e Plinio, da lui usate, confermano che il suo pensiero seguiva questa linea. I dettagli della dottrina di Copernico sono intricati e dimostrano quanto attentamente egli l’abbia ponderata. La sua descrizione era necessariamente originale, dato che, per quanto ne sapeva, nessun filosofo antico o ‘moderno’ aveva mai proposto prima una dottrina di quel tipo. Suggerire che Copernico stesse semplicemente rielaborando idee scolastiche è fuorviante. È vero che egli prese a prestito dottrine scolastiche – e in questo caso la nozione dell’impeto ne è un ovvio esempio – come è vero anche che Oresme aveva proposto idee simili a sostegno della possibilità di un cosmo geocentrico e geocinetico. Ma queste considerazioni non sminuiscono l’originalità di Copernico, perché quel che prese a prestito dalla cosmologia scolastica lo inserì in un sistema dottrinale ispirato da fonti di tipo diverso. Né vi è alcuna prova certa che Copernico conoscesse la dottrina di Oresme. In realtà, le somiglianze esistenti tra i due sono da attribuirsi al fatto che ambedue attinsero da una tradizione comune della dottrina della gravità e comunque le loro dottrine differiscono per molti aspetti. Per Oresme, un elemento rimosso dal suo intero aveva due moti naturali, uno rettilineo verso il suo luogo naturale e l’altro circolare in esso. 1 Per Copernico, invece, soltanto il secondo era naturale. Oresme conservava le sfere dell’aria e del fuoco, e il principio di leggerezza. Copernico li elimina tutti quanti. E le differenze non si fermano qui. Inoltre, Copernico aveva di fronte un compito più difficile di Oresme. Non soltanto egli doveva, come Oresme, spiegare la rotazione della terra attorno al suo asse, ma doveva fare i conti anche con le conseguenze della rimozione della terra dal centro del cosmo. In altre parole, Copernico doveva non soltanto spiegare, come Oresme, perché i corpi ritornassero ai loro interi, ma anche perché lo facessero mentre l’intero si muoveva intorno al Sole. La sua definizione teleologica aveva questa funzione e non trova riscontro in Oresme. 1 Nicole Oresme, Le livre du ciel, cit., ii.25, pp. 528.172-585. J. B. Barbour, Absolute or Relative Motion ?, cit., pp. 206-207, 360, 362, sostiene – a mio parere erroneamente – che Copernico, e Oresme prima di lui, abbiano introdotto l’idea del moto naturale composito.
108 copernico e la gravità La dottrina di Copernico fu ispirata da un modello matematico prestabilito. Nel Commentariolus, il suo abbozzo preliminare dell’ipotesi eliocentrica, Copernico si concentrò sull’astronomia matematica accennando solamente ai problemi cosmologici, inclusa la gravità, ai quali sapeva di dover trovare una soluzione. Le sue letture – come egli stesso ammise – furono vaste. La dottrina della gravità e il moto circolare naturale degli elementi, proposti nel De revolutionibus, confermano questo suo vanto. Si può essere quasi certi che la parte teleologica della sua dottrina – l’idea che la gravità fosse impressa dalla divina provvidenza per assicurare la coesione della forma sferica dei corpi celesti – s’ispiri alla Naturalis historia di Plinio e al De natura deorum di Cicerone. Altre fonti possono avergli confermato ciò che aveva trovato in Plinio e Cicerone, per esempio una fonte – per quanto improbabile e finora non comprovata – potrebbe essere stata il De facie di Plutarco. Ma gli sarebbero bastati anche solo Plinio e Cicerone. La parte fisica della sua dottrina, d’altronde, come quella di Oresme – benché, ripeto, indipendentemente da essa – derivava da una comune tradizione della dottrina della gravità che contestava la teoria aristotelica dell’etere. Questa tradizione, che, attraverso Plotino, venne messa in rapporto al platonismo, sosteneva che il fuoco, e secondo alcuni anche l’aria e l’acqua, si muovessero per natura con moto circolare. La fonte diretta di Copernico fu probabilmente la Suda, perché le annotazioni alla sua copia del dizionario greco-latino di Crastonius provano che egli, a un certo punto, abbia consultato la Suda. Lì, la voce kivvnhsi~ segue la descrizione del moto elementare proposta da Giovanni Filopono nel commento al De anima. Ad ispirare un concetto chiave della fisica copernicana potrebbe esser stata semplicemente la casuale consultazione di un lessico. In un saggio che assegna al caso un ruolo così rilevante non sarebbe comunque prudente sostenere categoricamente questa conclusione. Copernico, infatti, potrebbe aver scoperto questa dottrina per sentito dire o per altre vie, le cui tracce sono andate perdute. La dottrina teleologica e la dottrina fisica di Copernico provenivano da teorie filosofiche diverse. Secondo la sua dottrina teleologica, le parti del globo terracqueo, e, analogamente, le parti di altri pianeti e corpi celesti, ritornavano ai loro interi seguendo un moto rettilineo poiché la provvidenza divina aveva preordinato in loro un’inclinazione naturale, la gravità, che le faceva comportare in quel modo. Secondo la sua dottrina fisica, il moto rettilineo dei corpi pesanti verso il globo terracqueo non poteva essere naturale, anche prescindendo dal moto circolare che le parti condividevano con i loro interi e dalla componente circolare che questo moto introduceva nella traiettoria dei corpi in caduta libera. Il solo moto naturale della terra, dell’acqua e, solo per adozione, del vapore acqueo, era quello circolare. L’appetito naturale di una parte rimossa dal suo luogo, di ritornare al suo intero, ovvero la sua gravità, sembrava produrre, paradossalmente, un moto innaturale. La dottrina scolastica dell’impeto risolveva questa potenziale contraddizione. I corpi acceleravano quando cadevano. Il loro movimento comprendeva un moto naturale uniforme prodotto dal loro appetito naturale, la gravità, a cui si aggiungeva una componente che aumentava di volta in volta mentre il corpo era in caduta. Questa accelerazione, in quanto prodotta dall’impeto, che Copernico definì violento, rendeva non semplice, e dunque non naturale, il moto rettilineo di una parte. Il moto
conclusione 109 naturale e circolare perpetuo degli elementi ‘accettava’ questo moto rettilineo e temporaneo come un animale ‘accettava’ la malattia. Che cosa ci fanno capire queste idee a proposito del Copernico filosofo ? Ci fanno capire che egli attinse dalle dottrine stoiche e a volte – forse inconsapevolmente – da quelle platoniche degli elementi, evitando però le loro implicazioni metafisiche. Non sarebbe servito a molto, pur ammesso che egli fosse stato propenso a farlo, compromettere la sua ipotesi eliocentrica, che sapeva essere alquanto controversa, con, per esempio, dottrine sospette sullo spiritus e l’animazione cosmica. 1 Per tre secoli i teologi e i filosofi scolastici, nonostante le affermazioni contrarie di Aristotele, avevano fatto del loro meglio per de-animare il cielo. 2 Né dobbiamo, per lo stesso motivo, pensare che per Copernico fosse importante la simbologia solare neoplatonica. Lo dimostra il fatto che i suoi accenni al simbolismo solare e a Ermete Trismegisto non occupano più di circa cinque righe e che derivano principalmente da fonti classiche comuni, tra le quali un passo di Plinio che segue immediatamente la trattazione della gravità. 3 Il problema principale che Copernico dovette affrontare era il movimento naturale della terra, non la spiegazione del motivo per cui il Sole restava immobile al centro del cosmo. Egli consultò anche opere dossografiche che spiegavano le molte e divergenti opinioni dei pensatori antichi, per esempio i Placita philosophorum di Pseudo-Plutarco, lo In calumniatorem Platonis di Bessarione, e il De expetendis di Giorgio Valla. 4 Inoltre consultò autori classici latini quali Plinio e Cicerone che, attraverso gli sforzi degli umanisti rinascimentali e la mediazione della stampa, erano diventati più popolari durante il Quattrocento e il Cinquecento. L’ampio uso che Copernico fece del secondo libro della Naturalis historia di Plinio dimostra come quest’ultimo fosse diventato una fonte comune, nel Cinquecento, per formulare alternative filosofiche all’aristotelismo e alla filosofia naturale scolastica. 5 In altre parole, il debito maggiore del Copernico cosmologo non fu nei confronti del 1 È possibile che motivi simili abbiano indotto Copernico a non pronunciarsi sulla dibattuta questione dell’infinità o finitudine del cosmo (si veda D. Knox, Copernicus and Pliny the Elder’s Cosmology, cit., pp. 141-145) e a cancellare dall’olografo un passo che lo faceva sembrare un seguace dell’atomismo (De revolutionibus, cit., i.6, p. 488.21-24). E. Rosen, ccw, ii, p. 350, tuttavia, nota che il segno (si veda dhr, c. 5r) che indica che il passo sugli atomi doveva essere cancellato non è di pugno di Copernico. 2 R. C. Dales, The De-Animation of the Heavens in the Middle Ages, « Journal of the History of Ideas », xli, 1980, pp. 531-550 ; E. Grant, Planets, Stars, and Orbs, cit., pp. 235-239, 469-487, 514-568, in particolare pp. 524-528, 545-547, 567-568. Su Aristotele e l’anima quale causa del moto dei corpi celesti e sulle interpretazioni classiche delle sue idee, si veda A. Falcon, Corpi e movimenti, cit., pp. 13-15, 43-47, 192-230, 233-241, 254-257, e i testi ivi citati. 3 N. M. Swerdlow, The Derivation and First Draft of Copernicus’s Planetary Theory, cit., p. 477 ; D. Knox, 4 Ficino and Copernicus, cit., pp. 407-409. D. Knox, Ficino and Copernicus, cit., passim. 5 C. G. Nauert, Jr, Caius Plinius Secundus, in ctc, iv, pp. 297-422, in particolare, pp. 312-315; V. Navarro Brotóns e E. Rodríguez Galdeano, Matemáticas, cosmología y humanismo, cit., pp. 125-91; J. F. Healy, Pliny the Elder on Science and Technology, cit., pp. 380-91; P. Barker, Jena Pena (1528-1558) and Stoic Physics in the Sixteenth Century, «The Southern Journal for Philosophy», xxiii, 1985, pp. 93-107; Idem, Stoic Contributions in Early Modern Science, in Atoms, Pneuma and Tranquillity: Epicurean and Stoic Themes in European Thought, a cura di M. J. Osler, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, pp. 135-54; P. Barker, B. Goldstein, Distance and Velocity in Kepler’s Astronomy, «Annals of Science», li, 1994, pp. 59-73: 62, 64-5; M.-P. Lerner, Le monde des spheres, cit., ii, pp. 11-15, 225 n. 34, 250 nota 76, con ulteriori riferimenti bibliografici. Per studi relativi alla fortuna della Historia naturalis nel Rinascimento, si veda P. Fane-Saunders, The Italian Reception of Pliny the Elder’s Account of Architecture, c. 1430-1550, 2 voll., Tesi di dottorato, Warburg Institute, Londra, 2010, vol. i, pp. 33-6, 179-80.
110 copernico e la gravità platonismo rinascimentale o di un aristotelismo rivisto e reso più sofisticato, bensì nei confronti di una varietà di fonti antiche diffuse dagli umanisti rinascimentali nel corso del Quattrocento e del Cinquecento. A loro, Copernico doveva non solo le risorse e lo stimolo a consultare una serie di libri di autori classici molto più ampia di quella che erano stati soliti consultare i suoi predecessori scolastici, ma anche la flessibilità intellettuale che gli permise di considerare le proprie fonti per quello che erano, ovvero fonti di idee piuttosto che vere e proprie autorità. In questo, Copernico si comportò come molti altri pensatori ‘scienziati’ del Cinquecento e del Seicento, Galileo incluso. 1 Ma l’umanesimo rinascimentale lasciò il suo segno anche sotto altra forma, in quanto Copernico prese l’iniziativa di imparare il greco, e questo, se quanto abbiamo detto risponde a verità, gli permise di formulare una delle sue più importanti dottrine cosmologiche. 1
R. S. Westman, Proof, Poetics, and Patronage. Copernicus’s Preface to De revolutionibus, in Reappraisals of the Scientific Revolution, a cura di D. C. Lindberg e R. S. Westman, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 167-205 ; E. W. Cochrane, Science and Humanism in the Italian Renaissance, « The American Historical Review », lxxxi, 1976, pp. 1039-1057 : 1049-1057 ; C. Vasoli, The Contribution of Humanism to the Birth of Modern Science, « Renaissance and Reformation », s. iii, xii, 1979, pp. 1-15 ; M.-P. Lerner, L’humanisme a-t-il sécrété des difficultés au développement de la science au xvie siècle ?, « Revue de synthèse », s. iii, xciii-xciv, 1979, pp. 48-71 : 56-58 ; A. Blair, A. Grafton, Reassessing Humanism and Science, « Journal of the History of Ideas », liii, 1992, pp. 535-540. Ringrazio Nicholas Jardine per avermi fornito queste indicazioni bibliografiche.
ABBREVIAZIONI cag Commentaria in Aristotelem graeca, Berlino, G. Reimer, 1882-1909. ccw Niccolò Copernico, Complete Works, 3 voll., Londra-Varsavia, Macmillan-Polish Scientific Publishers, ecc., 1972-1985. cga Niccolò Copernico, Gesamtausgabe, a cura di H. M. Nobis et alii, Hildesheim e Berlino, H. A. Gerstenberg, 1974-. cr Corpus reformatorum, Halle, C.A. Schwetschke et filium, 1834-. ctc Catalogus translationum et commentariorum, a cura di P. O. Kristeller, F. E. Cranz et alii, 8 voll., Washington, Catholic University of America Press, 1960-2003. drh Holograph of De revolutionibus, Kraków, Biblioteka Jagielliońska, MS BJ 10,000, disponibile online sul sito web della Biblioteka Jagielliońska e in cga, i and ccw, i. « jha » « Journal for the History of Astronomy ». kgw J. Kepler, Gesammelte Werke, a cura di W. von Dyck et alii, Monaco (di Baviera), C. H. Beck, 1937-. pg Patrologiae cursus completus. Series graeca, Parigi, J. P. Migne, 1857-1866. pl Patrologiae cursus completus, Series (latina) prima, 221 vols, Parigi, J. P. Migne, 1844-1864. re Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, a cura di G. Wissowa et alii, Stoccarda-Monaco (di Baviera), Metzler, 1894-1980. svf Stoicorum veterum fragmenta, a cura di H. F. von Arnim, 3 voll., Lipsia, Teubner, 19031905, indice, a cura di M. Adler, Lipsia, Teubner, 1924. tol Tommaso d’Aquino, Opera omnia, Roma, 1882-. Il numero posto dopo il punto nella indicazione della pagina si riferisce al numero della riga, per esempio, p. 78.21 significa riga 21 a p. 78.
Criteri di trascrizione Nelle citazioni da edizioni italiane e latine del Seicento e Settecento ho aggiunto spazi per dividere le parole e ho modernizzato punteggiatura e maiuscole. Inoltre ho inserito o eliminato gli accenti, ho mutato ſ lunga in s e u in v, e viceversa, per distinguere rispettivamente v/u vocalica da quella consonantica ; ho poi modificato j sempre in i, e sostituito l’ampersand con et o, davanti a consonanti nelle trascrizioni dall’italiano, con e. Per il resto ho mantenuto l’ortografia dell’originale.
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE ANONIME*
Abeczier, Johannes : 77
Abū ‘Alī al-‘usayn ibn ‘Abd Allāh ibn Sīnā (Avicenna) : 93 Abū l-Walīd Muhammad ibn Rushd (Averroè) : 17-18, 22-23, 28, 40, 50 Achillini, Alessandro : 18, 53 Ackrill, John L. : 18 Adler, Ada S. : 100, 103, 111 Aegidius of Lessines vide Gilles de Lessines Aëtius alias pseudo-Plutarchus : 41, 67 Africa, Thomas : 66, 69 Agricola, Rudolf (Rudolphus Agricola) : 3637 Aiton, Eric J. : 43, 96 Alberti, Fabrizio : 103 Alberto di Sassonia vide Albertus de Saxonia sive Saxoniae Alberto Magno vide Albertus Magnus Albertus de Saxonia sive Saxoniae (Alberto di Sassonia) : 16-18, 22-23, 28, 35-36, 46, 50, 53-54, 60 Albertus Magnus (Alberto Magno) : 21, 47, 72 al-Bīrūnī, Abū Raiḥān : 93, 95-97 al-Bitrūjī, Abū Ishāq Nūr al-Dīn (Alpetragius, Alpetragio) : 21, 94 Aleandro, Girolamo : 67 Alexander Aphrodisiensis (Alessandro di Afrodisia) : 19, 47, 88, 90, 99 al-Farabi, Abū Na’r Mu’ammad : 93 Algra, Keimpe : 73-74, 83 Allen, Michael J. B. : 68, 93 Alpetragius (Alpetragio) vide al-Bitrūjī, Abū Ishāq Nūr al-Dīn Amyot, Jacques : 68 Andreini, Lucia : 31, 35 Antonio de Nebrija : 30 Apian, Peter (Pietro Apiano) : 30, 37-38 Applebaum, Wilbur : 59 Aquilecchia, Giovanni : 77 Aratus (Arato) : 63, 76-77, 86 Archedemus : 84 Archimedes (Archimede) : 68-69
Aristarchus Samius (Aristarco) : 12, 56, 66, 68-70 Aristippus, Henricus : 19 Aristoteles Stagirites (Aristotele) : 11-12, 1519, 21-25, 27-30, 34-36, 39-41, 44-46-55, 59-61, 63-64, 68, 72, 74, 83, 85, 87-99, 104, 109, 111 Atticus (Attico) : 90 Aulotte, Robert : 68 Averroè vide Abū l-Walīd Muhammad ibn Rushd Avicenna vide Abū ‘Alī al-‘usayn ibn ‘Abd Allāh ibn Sīnā Ax, Wilhelm : 30
Babut, Daniel : 64-65
Bacon, Roger (Ruggero Bacone) : 16-18, 21 Baconthorpe, John : 17 Baltzly, Dirk : 90 Barbour, Julian B. : 51, 59, 107 Barker, Peter : 43, 109 Barnes, Jonathan : 83 Barr, Robert R. : 18 Barthélemy, Hervé : 52 Baumbach, Manuel : 63 Beaujeau, Jean : 77, 83-84 Bembo, Pietro : 52 Benedetti, Alessandro : 18, 47 Beroaldo, Filippo, senior : 78 Besomi, Ottavio : 55 Bessario (Nicaenus), Basilius sive Johannes (Basilio Bessarione) : 63, 66-67, 76-77, 109 Bibbia ; vide Esdra, Genesi Biliński, Bronislaw : 66, 95 Birkenmajer, Aleksander : 40-41, 49, 54, 56, 59, 62, 68, 75-76, 85 Birkenmajer, Ludwik Antoni : 45, 66, 70, 7677, 79, 86, 95, 100, 103 Biskup, Marian : 56 Blemmydes, Nikephoros sive Nicephorus : 93-94, 96-98 Bowen, Alan C. : 74, 83-84 Bowen, William : 93 Bradwardine, Thomas : 32
* Questo indice è stato curato da Oscar Schiavone.
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copernico e la gravità
Brahe, Tycho sive Tyge Ottesen : 42, 55 Bruno, Giordano : 11, 13, 55 Bucciantini, Massimo : 42, 56 Budé, Guillaume : 68, 70 Buridan, Jean (Buridano) : 17-19, 22-23, 27, 39, 46-47, 50, 53-54, 59, 61, 72 Burnett, Charles : 93 Butterfield, Herbert : 11-12, 30
Campano da Novara, Giovanni (Campa-
nus de Novara) : 24, 27, 30 Campbell, Andrew : 42 Cantor, Moritz : 49 Capella, Martianus Mineus Felix (Marziano Capella) : 63 Capuano da Manfredonia, Giambattista : 34 Capuano, Francesco : 17, 21, 27-28, 31 Carmody, Francis J. : 21 Carolus V (Charles V) : 60 Caroti, Stefano : 14, 94 Cecco d’Ascoli : 17 Chalcondylas sive Chalcocondyles, Demetrius : 100, 103 Charles de Bouelles sive Bouvelles : 95 Cherniss, Harold Fredrik : 64 Chrysippus Soleus (Crisippo) : 64, 73, 84 Chrysoloras, Manuel (Manuele Crisolora) : 36 Cicero, Marcus Tullius (Marco Tullio Cicerone) : 30, 66, 68, 73-77, 79, 80-83, 86, 98, 107-109 Cilento, Vincenzo : 90 Cioffarelli, Giovanni : 52 Clagett, Marshall : 53-54, 59-60, 69 Cleanthes (Cleante) : 66 Cleomedes (Cleomede) : 74, 82-86 Copernico, Niccolò vide Kopernik, Mikołaj Copernicus sive Coppernicus, Nicolaus vide Kopernik, Mikołaj Cosgrove, Denis E. : 33 Crastonus sive Crastonis aut Crastone, Johannes : 100-102, 104-105, 108 Crisippo vide Chrysippus Soleus Crisolora, Manuele vide Chrysoloras, Manuel Cusano, Nicola (Nicolaus Cusanus) : 95 Czartoryski, Paweł : 31, 33, 45, 63, 67, 70, 76, 79, 95, 100, 105
Dalché, Patrick Gautier : 34, 36
Damascius (Damascio) : 23, 90, 93, 96-97 Davies, Martin C. : 68 De Pace, Anna : 13, 24, 28, 31, 33, 35, 43, 63, 66-69, 71, 73, 85-86 De Porris, Georg Joachim alias Rheticus : 29, 43 De Vio, Tommaso sive Giacomo alias il Cardinal Caetano aut Gaetano : 17, 19, 21, 2324, 34, 53 Del Corno, Dario : 64 Delorme, Ferdinand M. : 17 Denomy, Alexander J. : 60 Derenzini, Giovanna : 68-69 Des Places, Édouard : 90 Diehl, Ernst : 89 Diels, Hermann : 74 Digges, Leonard : 55 Digges, Thomas : 55 Dijksterhuis, Eduard Jan : 57 Dikshoorn, Carry : 57 Dillon, John M. : 64 Diogenes Laërtius (Diogene Laerzio) : 74, 84 Donini, Pierluigi : 64-65 Drake, Stillman : 57 Drexler, Hans : 65 Ducas, Demetrius : 67 Dufour, Richard : 89 Duhem, Pierre Maurice : 15, 24-25, 27-28, 30, 32, 34, 40, 52-53, 61-62, 64, 95 Dullaert, Joannes : 54
Eastwood, Bruce Stansfield : 77
Ecphantus Syracusanus (Ecfanto) : 67-68 Esdra : 37 Esichio di Alessandria vide Hesychius Alexandrinus Euclides Megarensis (Euclide) : 31-32 Eusebius Pamphili sive Caesariensis (Eusebio di Cesarea) : 90
F
abri, Wenceslaus : 27 Falcon, Andrea : 15, 19, 22-23, 74, 88-90, 109 Favaro, Antonio : 42, 55 Favorino, Guarino alias Varino : 100 Ficino, Marsilio : 41, 47, 55, 63, 68, 70, 93-95, 97-99, 104, 109
indice dei nomi e delle opere anonime Filolao vide Philolaus Filopono, Giovanni vide Philoponus, Ioannes Finocchiaro, Maurice A. : 57 Firmicus Maternus, Iulius (Giulio Firmico Materno) : 76 Fischer, Joseph : 33 Flasch, Kurt : 59 Foscarini, Paolo Antonio : 42-43, 55 French, Roger : 77 Frisch, Christian : 43 Froidmond sive Froidmont, Libert : 56 Funkenstein, Amos : 46, 53 Furley, David J. : 74, 83
G
alilei, Galileo : 11, 15, 42, 55 Gansiniec, Ryszard : 40 Gärtner, Hans : 74 Garzya, Antonio : 67 Gavagna, Veronica : 52 Geanakoplos, Deno John : 67 Gemistos Plethon, Giorgio vide Plethon, Georgios Gemistos Genesi : 24-25 Georgius Trapezuntius (Giorgio di Trebisonda) : 45, 52 Gerardo da Cremona : 45 Gercke, Alfred : 84 Gilbert, Otto : 19, 21, 56 Gilles de Lessines (Aegidius of Lessines) : 23 Gillispie, Charles Coulston : 59 Gingerich, Owen : 66, 69-70 Gemisto Pletone, Giorgio vide Plethon, Georgios Gemistos Giorgio di Trebisonda vide Georgius Trapezuntius Giovan Pietro d’Avenza aut da Lucca ( Joannes Petrus Lucensis) : 71 Giovanni di Legnano : 19, 22 Giovanni Stobeo vide Johannes Stobaeus Giulio Firmico Materno vide Firmicus Maternus, Iulius Goddu, André : 13-14, 17, 29, 33, 43, 45, 47, 49, 60, 63-64, 67, 70, 76, 79, 81, 85, 96-97, 100, 104-105 Goldstein, Thomas : 24-24, 33, 35, 59, 61, 109 Görgemanns, Herwig : 63-66, 71, 73 Graeser, Andreas : 89
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Granada, Miguel Angel : 42, 56 Grant, Edward : 19, 21, 24-25, 27, 34-37, 39, 43, 47, 53, 54-56, 60, 62, 109 Greenaway, Frank : 77 Grosseteste, Robert (Roberto Grossatesta) : 17 Guglielmo di Moerbeke (Guillaume de Moerbeke, Guillelmus de Moerbeke) vide Willem van Moerbeke
Hahm, David E. : 73-74, 83
Hankins, James : 55, 93-94 Hayduck, Michael : 19, 28, 92-93 Healy, John F. : 83, 109 Heath, Thomas : 69 Heiberg, Johan Ludvig : 19, 39, 69 Helbing, Mario O. : 55 Hense, Otto : 69 Herbermann, Charles George : 33 Hesse de Cracovia, Benedictus : 17, 25 Hesychius Alexandrinus (Esichio di Alessandria) : 100, 103 Hicetus sive Nicetas : 66, 79-80 Hilfstein, Erna : 31 Hiller, Eduard : 83 Hillyard, Brian : 67 Hipler, Franz : 68-69, 76-77 Hipparchus Nicaenus (Ipparco) : 66 Hoffmann, Ernst : 95 Hooykaas, Reijer : 50, 59, 61 Horský, Zdeněk : 55, 95 Hossfeld, Paul : 21 Hubert, Curt Ernst Hermann : 65, 69 Hugonnard-Roche, Henri : 29, 35-36
Ingoli, Francesco : 55
Ipparco vide Hipparchus Nicaenus
Jacobus Cremonensis : 69
Jan z Głogowa sive Głogowczyk ( Johannes Glogoviensis) : 27 Jardine, Nicholas : 14, 43, 47, 110 Jervis, Jane L. : 21, 40, 85 Johannes de Sacrobosco : 17, 21, 24, 26-27, 30, 34-35, 37 Johannes Glogoviensis vide Jan z Głogowa sive Głogowczyk Johannes Stobaeus (Giovanni Stobeo) : 69 Johannes Versor vide Letourneur, Jean
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copernico e la gravità
Kepler, Johannes : 42-43, 55-57, 59, 63, 66,
109, 111 Klaus, Georg : 40 Klibansky, Raymond : 95 Knox, Dilwyn : 41, 55, 68, 70-71, 77-79, 81-82, 84, 94-95, 97, 109 Kopernik, Mikołaj (Nicolas Copernic, Niccolò Copernico, Nicolaus Copernicus sive Coppernicus) : 11-13, 15, 24-25, 29-34, 36-37, 39-57, 59-64, 66-87, 95-105, 107-111 Krafft, Fritz : 12, 55-56, 63-68, 70-73, 95 Kramer, Gustav : 36 Kraye, Jill : 55 Kren, Claudia : 60 Kroll, Wilhelm : 77, 83, 85 Kuhn, Thomas : 11-12, 61-62
Lackner, Wolfgang : 93, 96
Lagarde, Bernadette : 93, 96 Lang, Helen S. : 15, 90 Lefèvre d’Étaples, Jacques : 17 Lehoux, Daryn : 17 Leonardo da Vinci : 52-53, 95 Lerner, Michel-Pierre : 14, 29, 43, 46, 51, 56, 71, 88, 109-110 Lettinck, Paul : 19, 21 Letourneur, Jean ( Johannes Versor) : 17, 23, 27, 46 Ligota, Christopher : 70, 77 Liside vide Lysis Lohr, Charles H. : 36 Long, Anthony A. : 64 Lowry, Martin : 67 Lucensis, Joannes Petrus vide Giovan Pietro d’Avenza aut da Lucca Lucilius Balbus, Quintus : 73-76 Lucullus i.e. Lucius Licinius Lucullus (Lucullo) : 66, 68, 79-81, 85 Lysis (Liside) : 66
M
achamer, Peter K. : 15, 18 Macrobius i.e. Ambrosius Macrobius Theodosius (Macrobio) : 30, 84 Maestlin, Michael : 42 Maffei da Volterra, Raffaello : 37 Mahdi, Muhsin : 93 Maier, Anneliese : 15, 17-18, 46, 52-54, 59-60 Maltese, Enrico V. : 93, 96
Manfredini, Mario : 67 Manilius, Marcus (Manilio) : 76 Manuzio, Aldo : 67-69, 76-77, 103 Marcovich, Miroslav : 74 Markowski, Mieczysław : 53, 60 Marsilius van Inghen (Marsilius de Inghen) : 27, 35 Maso, Stefano : 88 Mau, Jürgen : 41 Maurolico, Francesco : 52 Mayhoff, Karl Friedrich T. : 30 McVaugh, Michael Rogers : 60 Meier-Oeser, Stephan : 95 Melantone, Filippo vide Schwarzerd, Philipp alias Melanchthon Menut, Albert D. : 60 Menzzer, Carl Ludwig : 49, 56 Merlan, Philip : 88-90 Meurer, Peter H. : 34 Michael Scot (Michele Scoto) : 21, 30 Michalski, Konstanty : 59, 61 Michele Scoto vide Michael Scot Mignucci, Mario : 83 Montarese, Francesco : 14, 103 Moraux, Paul : 52, 54, 59-60, 88, 90, 95 Morin, Jean-Baptiste : 56 Muliers, Nicolaas : 50 Müller, Johannes alias Regiomontanus : 39, 47, 82 Muñoz, Jerónimo : 83 Mutschmann, Hermann : 69 Morison, Benjamin : 15, 19
Nachstädt, Wilhelm : 71
Napolitani, Pier Daniele : 52 Natali, Carlo : 88 Nauert, Charles G., Jr : 83, 109 Navarro Brotóns, Víctor : 83, 109 Neugebauer, Otto E. : 49 Newton, Isaac : 56-57, 59, 63 Nicolas de Lyre (Nicholas de Lyra) : 24 Nicola d’Oresme vide Oresme sive d’Oresme, Nicolas sive Nicole Nobbe, Karl Friedrich A. : 33, 36 Nobis, Heribert Maria : 29, 69, 111 Nuñez, Pedro : 56
Olympiodorus (Olimpiodoro) : 23-24, 28, 40, 96
indice dei nomi e delle opere anonime Ordine, Nuccio : 77 Oresme sive d’Oresme, Nicolas sive Nicole (Nicola d’Oresme) : 12, 17, 35, 54, 60-64, 87, 93-94, 96-97, 99, 107-108 Osler, Margaret J. : 57, 109
Pannartz,
Arnold (Arnoldus Pannartz) :
78 Paolo III, papa ; vide Paulus III, papa Patar, Benoît : 16-17 Patrizi, Francesco : 55-56 Paulus Burgensis vide Solomon ha-Levi alias Pablo de Santa María sive Paulus Burgensis Paulus III, papa (Paolo III) : 63, 79 Pedersen, Olaf : 77, 82-84 Pellegrin, Elisabeth : 77 Pérez de Valencia, Jacob : 25, 27, 37 Petrus de Alvernia vide Pierre d’Auvergne Peurbach, Georg : 17, 37 Philolaus (Filolao) : 12, 68 Philoponus, Ioannes (Giovanni Filopono) : 23, 28, 88-93, 96-99, 103-104, 108 Pico della Mirandola, Giovanni Francesco sive Gianfrancesco : 69, 71, 94 Pierre d’Ailly : 17, 19, 21, 27, 34-35, 46 Pierre d’Auvergne (Petrus de Alvernia) : 18, 28, 40 Pietro d’Abano : 27 Pines, Shlomo : 93 Plasberg, Otto : 30, 66, 79-80 Plato (Platone) : 15, 41, 45-46, 52, 63, 65-66, 76, 79-80, 83, 87, 89-94, 96-97, 109 Plethon, Georgios Gemistos (Giorgio Gemisto Pletone) : 93, 96-99 Plinius Maior i.e. Caius Plinius Secundus (Plinio il Vecchio) : 30, 32-33, 66, 73, 77-86, 98, 107-109 Plotinus (Plotino) : 15, 19, 22-23, 88-93, 96-97, 108 Plutarchus (Plutarco) : 13, 41, 55, 63-73, 84, 90, 104, 108 Pohlenz, Max : 55, 64, 67, 74, 83 Pontano, Giovanni : 76-77 Porphyrius Tyrius (Porfirio) : 90 Posidonius Apameus (Posidonio) : 73, 85 Proclus Lycaeus (Proclo) : 76, 88-92, 94, 9698 Prowe, Leopold Friedrich : 29, 76
117
Ptolemaeus, Claudius (Claudio Tolomeo) : 32-34, 36, 39, 45, 49, 51-52, 70-71, 82, 88, 90, 93 Pythagoras : 66, 69
R
abe, Hugo : 90 Raingeard, Pierre : 68 Randles, William Graham L. : 24, 28, 30-32, 34-37 Rees, Valery : 68 Regiomontanus vide Müller, Johannes alias Regiomontanus Reinhardt, Karl : 73, 83 Reisch, Gregor : 16, 20, 25, 27, 31, 34-35, 38 Rescigno, Andrea : 88, 99 Rheticus vide De Porris, Georg Joachim Robertus Anglicus : 21, 27 Rodríguez Galdeano, Enrique : 83, 109 Rose, Paul Lawrence : 67 Rosen, Edward : 24, 31, 33, 41, 43, 45, 51, 56, 59, 66, 68-71, 79, 81, 84-86, 96, 109 Ross, William David : 18 Rothmann, Christoph : 42, 55
Saliba, George : 96
Sambursky, Samuel : 88 Sánchez Ciruelo, Pedro : 17-18, 21, 23-25, 2728, 31 Saraceno, Marino : 78 Sarnowsky, Jürgen : 15 Schenkl, Heinrich : 74 Schmeidler, Felix : 40, 54, 56, 59, 68-69, 71, 84, 86 Schmidt, Moritz : 103 Schmidt, Peter Lebrecht : 77 Schmitt, Charles B. : 96 Scholarius, Gennadius (Georgios Kourtesios Scholarios, Giorgio Scolario) : 93, 97, 99 Schwarzerd, Philipp alias Melanchthon (Filippo Melantone) : 56 Segonds, Alain Philippe : 29, 71 Seleucus (Seleuco) : 69 Senarco vide Xenarchus Seneca, Lucius Annaeus : 84 Senofonte vide Xenophon Sextus Empiricus : 69 Shank, Michael H. : 34 Sieveking, Wilhelm : 64 Simplicius (Simplicio di Cilicia) : 19, 21-23, 25, 46-48, 50, 69, 72, 74, 88-94, 96-99
118
copernico e la gravità
Siorvanes, Lucas : 90, 93 Solomon ha-Levi alias Pablo de Santa María sive Paulus Burgensis : 24, 28, 32 Sorabji, Richard : 18, 23, 91 Steele, Robert : 17 Stephenson, Bruce : 57 Sticker, Bernhard : 29 Stone, Martin William Francis : 55 Strabo (Strabone) : 36, 83, 85-86 Suda, la : 100-105, 108 Sunczell, Fridericus : 53 Swerdlow, Noel M. : 29, 43, 47, 49, 59, 86, 96, 109 Sweynheym, Konrad (Conradus Sweynheym) : 78 Sylla, Edith Dudley : 60
T
artaretus, Petrus : 19, 21, 54 Teofilatto vide Theophylactus Simocatta Teone di Alessandria vide Theo Alexandrinus Tessicini, Dario : 14, 77 Themistius : 74 Themo Judaeus (Themo Judei, Themon Judaeus, Thémon Juif ) : 24-25, 27, 34-36, 40, 43-44 Theo Alexandrinus (Teone di Alessandria) : 45, 76 Theo Smyrnaeus (Teone di Smirne) : 83 Theophrastus (Teofrasto) : 80 Theophylactus Simocatta (Teofilatto) : 67, 100, 104-105 Thorndike, Lynn : 19, 21, 23, 27 Todd, Robert B. : 74, 83-86 Tolomeo, Claudio vide Ptolemaeus, Claudius Tolosani, Giovanni Maria sive Giovanmaria : 56 Thomas de Aquino (Tommaso d’Aquino) : 16, 18-19, 21-23, 28, 39-41, 45-48, 50-51, 53, 72, 93-94, 97, 111 Toomer, Gerald J. : 39, 45, 51-52, 82 Torrini, Maurizio : 56
Unguru, Sabetai : 56
Urbanus de Bononia : 17, 47 Urceo, Antonio alias Codro : 67
Vadianus, Joachimus sive Ioachimus : 3637
Valla, Giorgio : 63, 68-69, 86, 94, 97-98, 104, 109 Varen, Bernhard (Bernardus Varenius) : 55 Varro, Marcus Terentius (Marco Varrone) : 84 Verbeke, Gerard : 99 Verdet, Jean-Pierre : 29 Vespucci, Amerigo : 33 Vinet, Élie : 37 Vittorino da Feltre : 71
W
achsmuth, Curt : 69 Wall, Byron Emerson : 69 Wallace, William A. : 15 Waldseemüller, Martin (Martinus Waldseemüller) : 33 Warden, John : 93 Wegelin, Johann : 94, 96 Weisheipl, James A. : 17-18 Westerink, Leendert Gerrit : 93 Westfall, Richard S. : 57 Westman, Robert S. : 43, 110 Wężyk, Andrzej : 53 Wielgus, Stanisław : 17 Wieser, Franz von : 33 Wilberding, James : 15, 19, 22-23, 88-91 Wildberg, Christian : 23, 88-92, 99 Wilkins, John : 55 Willem van Moerbeke (Guglielmo di Moerbeke, Guillaume de Moerbeke, Guillelmus de Moerbeke) : 19, 93-94, 96, 99 Willis, James : 30 Wolff, Michael : 23, 47, 51-52, 54, 56, 59, 61, 83, 92-93 Woodhouse, Christopher Montague : 93, 96 Woodward, David : 34 Wydrowski, Sebastian : 79
Xenarchus
(Senarco, Xenarchos, Xenarco) : 22, 47, 87-90, 92-93, 96, 98-99 Xenophon (Senofonte) : 37
Z
eller, Franz : 71, 75-76, 84 Zeller, Karl : 71, 75-76, 84 Zenon (Zenone) : 73-74, 84 Ziegler, Jakob : 83 Zilsel, Edgar : 59 Zinner, Ernst : 69
INDICE DEI SOGGETTI
accelerazione e caduta dei corpi pesanti :
46-48, 53-55, 108-109 acqua, elemento : 11, 15, 27-28, 50, 84, e passim ; leggera se paragonata alla terra : 30, 50, 73, 75 ; sfera dell’acqua : 11, 15-16, 20-21, 24-38, 61, 84, 88, 92 ; eccentricità della sfera dell’acqua : 24-32 ; moto circolare : 2122, 45, 50, 72, 87, 94, 104, 107-108 ; luogo dell’acqua secondo il libro della Genesi : 24 ; centro geometrico e gravitazionale della sfera dell’acqua : 34-35 ; concezione copernicana della sfera dell’acqua : 2939, 50, 108 ; vide et : elementi, proporzioni relative degli ; terra che forma un unico globo con l’acqua aether ; vide etere Africa : 30, 32, 76 aglio, smagnetizza le calamite : 17 America : 33, 36-37, 39 Anima : 65-66, 89, 109 antipodi : 82 aria, leggerezza della : 15, 28, 46, 74, 107 ; moto circolare : 19-23, 39, 40, 45-46, 50, 6061, 72, 87-88, 91-94, 97, 104, 107-108 ; moto preternaturale : 23, 40 ; moto rettilineo : 15, 22, 54, 90, 93 e passim ; sfera della : 11, 15-16, 19-23, 26, 39-42, 76, 84, 88, 197 ; stratificazione della sfera dell’aria : 19-21, 39-42, 46, 60-61, 85, 87-88, 107 ; come elemento celeste : 40-44, 76, 83-85 : abitata da demoni : 20-21 ; vide et : comete ; elementi, proporzioni relative degli Asia : 30, 32, 76 atomismo : 109
caelum, etimologia di : 83-84
Catai : 25, 33 causa, gravità spiegata in termini di : 17-19, 25, 49-50 ; posizioni relative delle sfere dell’acqua e della terra spiegate in termini di : 25-27, 30 ; vide et luoghi naturali comete, dottrine aristoteliche e scolastiche delle : 21-22, 40, 60, 85, 94 continente : 29-30, 76
Copernicana 3 : 76 ; Copernicana 5 : 100-102 ; Copernicana 10 : 45 ; Copernicana 12 : 33, 79-82, 84-85 ; Copernicana 17 : 45 ; Copernicana 18 : 70 ; Copernicana 21 : 33, 79, 8485 ; Copernicana 31, 97 ; Copernicana 45 : 33 corpi celesti, sfericità dei : 49, 72, 75, 108 corpi semplici ; vide elementi cosmo, sfericità del : 11, 74-75, 81-83, estensione quasi infinita del : 81 cosmologia pitagorica : 45, 66-68 cosmologia stoica : 64-66, 73-77, 82-87, 89, 107, 109
demoni ; vide aria, abitata da demoni dizionari greci : 100-105, 108
eclissi lunari : 34-35, 82, 84-85
elementi, moti degli :12, 15-23, 45-56, 60-61, 87-99, 103-104, e passim ; proporzioni relative degli elementi : 24-25, 30-35, 37 ; vide et : fuoco, aria, acqua, terra elemento celeste ; vide aria, etere, fuoco elica : 47 eliocentricismo : 11, 13, 29, 39, 42, 45-46, 49, 55-56, 66, 69, 78-79, 108-109 empireo : 16 esplorazione, europea : 33, 36-37 etere come elemento celeste : 19, 41-44, 7476, 84, 86-89, 108 ; come elemento sublunare immediatamente sotto la Luna : 87 Europa : 25, 30, 32, 76
f
ilosofia naturale : 11, 47, 60, 81, 109 firmamento ; vide sfera delle stelle fisse Frombork, Cattedrale di : 68-70, 77, 79 fumo : 41, 60 fuoco, leggerezza del : 15, 48 ; sua sfera sublunare : 11, 15-16, 19-23, 41, 44, 60-61, 83 ; suo moto circolare : 19-23, 25, 50, 60-61, 65, 85-94, 97, 108 ; sua natura cinetica : 89, 91 ; moto preternaturale : 23, 50, 61 ; come elemento celeste : 84, 87-91, 94. sfera del : 11, 15-16, 19-21, 40-42, 50, 54, 61, 83, 85, 88-
120
copernico e la gravità
89, 104, 107 ; il fuoco secondo Copernico : 39-42, 46, 48, 54, 76, 107 ; il fuoco secondo i Pitagorici : 67 ; vide et : elementi, proporzione relative degli ; fumo
geografia : 29-39
globo terracqueo ; vide terra forma un globo unico globo con l’acqua gravità, teorie aristoteliche e scolastiche della : 11, 13, 15-18, 27-28, 107, e passim ; spiegata come principio di attrazione : 1517, 60 ; rifiutata come causa efficiente : 1617 ; gravità definita come appetito : 49, 51, 53-54, 82, 87, 108 ; dottrina di Copernico : 11-13, 29-62, 71-73, 75-77, 82-84, 86, 107-110 ; ricezione della dottrina di Copernico : 55-57 ; supposto conservatorismo della dottrina di Copernico : 11-12, 49-62 ; idee Stoiche della gravità : 73-75 ; vide et terra, centro gravitazionale della
hexis : 74 impeto : 48, 50-55, 59, 61, 72, 87, 107-108
inerzia : 48, 57, 103-104 influsso celeste : 27, 61 Intelletto ; vide Mente ipotesi : 89 Islam, spiegazioni del moto degli elementi : 93, 95 ; geocinesi : 93
leggerezza : 12, 15, 17-18, 28, 46, 48, 50, 52,
54-55, 59, 65, 73-74, 95, 107 Luna : 15, 23, 29, 34-35, 41-42, 49, 65-66, 71, 73, 79, 80, 81, 84 ; vide et eclissi lunare luoghi naturali : 15-19, 20, 22-23, 29-30, 46, 48, 50, 52, 55, 57, 60-62, 64-66, 72, 87-94, 98-99, 104, 107-108 ; come cause efficienti di moto : 16-18 ; come cuase finali di moto :18-19
moto preternaturale ; vide aria e fuoco moto, semplice : 19, 22, 45-50, 54-55, 60-61, 87-88, 93, 99
Natura : 22, 65-66, 74 ; interpretazioni della
parola ‘natura’ : 22-23, 65-66, 72 necessità : 65 nous ; vide Mente nubi, luogo (posizione) delle : 20-22, 35, 39 Nuovo Mondo ; vide America
orbis terrarum : 29-30, 32-33, 37 pianeti : 16, 39, 41, 43, 45, 49, 66, 71, 73-75,
81, 84-85, 108 ; sfericità dei : 39, 49, 71, 73-75 ; moto circolare dei : 39, 66-67, 81, 85 pneuma ; vide spiritus polvere da sparo : 41 primum mobile : 16 proiettili : 53-54, 59 provvidenza : 25, 30, 49-50, 54, 65, 72-74, 82, 86, 89, 108 ; vide et Mente
quintessenza ; vide etere regione celeste, moto della : 11, 19, 21-22, 40, 47, 53, 63, 65, 68, 70, 81, 88-89, 91, 94
s
fera delle stelle fisse : 16, 45-46, 81, 84-85 sfere, passim ; perfezione della loro forma : 81 ; tendenza al moto circolare : 11, 39, 47, 49, 51, 74, 81, 94 ; solidità o fluidità delle sfere : 43-44 ; formate dalla gravità : 49, 71-75 ; formate dalla pressione centripeta delle loro parti : 74, 83 ; vide et acqua, aria, cosmo, fuoco, globo terrestre, terra, sfericità dei corpi celesti Sole : 11, 23, 28-29, 41-43, 46, 49, 65-66, 68-71, 73, 76, 78-81, 85, 107, 109 spiritus : 83, 85-86, 109
magnetismo, gravità paragonata al : 17, 23, terra, come elemento : 11, 15, 29-39, 88-91, 60
Mar Rosso : 32-33, 77 maree ; vide acqua, moto circolare Mediterraneo : 32-33, 77 Mente (Nous, Mens, Intelletto) : 65, 68, 73, 78, 86, 89 Mercurio : 41 meteore : 22
e passim ; sfera della : 11, 15-18, 20-21, 2439, 50, 84 ; sfericità : 34, 40-41, 72-75, 81-83 ; immobile nel suo luogo naturale : 15, 2122, 88, 90, 92, 94-95, 97 ; aridità della : 27 ; irregolarità della superficie sferica : 34, 81 ; configurazione cavernosa : 28-31, 35-37, 43 ; forma un unico globo con l’acqua : 29-40,
indice dei soggetti 40, 43, 45-46, 49-50, 54, 60, 75-76, 82, 84, 107-108 ; sua posizione relativa alla sfera dell’acqua : 24-39 ; eccentricità della sua sfera : 24-28 ; suoi centri geometrici e gravitazionali : 28, 31-32, 34-36, 50 ; suo moto rettilineo : 11, 15-18, 45-46, 88, 91-92 ; suo moto circolare : 40, 45, 51, 55, 61-62, 65-67, 72, 79-80, 91, 107-109 ; vide et : elementi, proporzioni relative degli ; luoghi naturali, terraferma Terra, sfericità della : 71-72, 74-75, 82-83 ; sua sfericità secondo Copernico : 39-40, 49,
121
81-82 ; come globo terracqueo : 39 ; come pianeta : 11-12, 29, 42, 68-69, 71, 73 ; sua rotazione assiale della : 11, 39, 42, 46, 51-52, 55, 66, 79-81, 107 ; sua rivoluzione annuale : 11-12, 42, 46, 51, 81 terraferma : 24-25, 27, 30-31, 35
Uppsala : 14, 70, 76, 79, 80, 100-102, 105 Venere : 41, 65 zodiaco : 23, 84
co mp osto, in car atter e dan t e m on oty pe, da l la fabrizio serr a editore, p i s a · roma . imp r ess o e r ilegato in i ta l i a n e l la t ip o g r afia di ag nan o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) . * Dicembre 2013 (cz2/fg13)
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B RU N I A NA & C A MPA NELLI A NA Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali supplementi Collana diretta da Eugenio Canone e Germana Ernst i. Brunus redivivus. Momenti della fortuna di Giordano Bruno nel xix secolo, a cura di Eugenio Canone, pp. xlv-338, 1998 [studi, 1]. ii. Ortensio Lando, Paradossi. Ristampa dell’edizione Lione 1543, presentazione di Eugenio Canone, Germana Ernst, pp. xviii-232, 1999 [testi, 1]. iii. Antonio Persio, Trattato dell’ingegno dell’Huomo, in appendice Del bever caldo, a cura di Luciano Artese, pp. xii-312, 1999 [testi, 2]. iv. Enzo A. Baldini, Luigi Firpo e Campanella: cinquant’anni di studi e ricerche, in appendice Luigi Firpo, Tommaso Campanella e la sua Calabria, pp. 68, 2000 [bibliotheca stylensis, 1]. v. Tommaso Campanella, Lettere (1595-1638), a cura di Germana Ernst, pp. 176, 2000 [bibliotheca stylensis, 2]. vi. Germana Ernst, Il carcere, il politico, il profeta. Saggi su Tommaso Campanella, pp. 192, 2002 [studi, 2]. vii. Letture bruniane (1996-1997), a cura di Eugenio Canone, pp. x-322, 2002 [studi, 3]. viii. Eugenio Canone, Il dorso e il grembo dell’eterno. Percorsi della filosofia di Giordano Bruno, pp. xii-256, 2003 [studi, 4]. ix. Mario Equicola, De mulieribus. Delle donne, a cura di Giuseppe Lucchesini, Pina Totaro, pp. 8o, 2004 [materiali, 1] x. Luigi Guerrini, Ricerche su Galileo e il primo Seicento, pp. 200, 2004 [studi, 5]. xi. Giordano Bruno in Wittenberg (1586-1588). Aristoteles, Raimundus Lullus, Astronomie, hrsg. von Thomas Leinkauf, pp. viii-152, 2004 [studi, 6]. xii. Margherita Palumbo, La Città del Sole. Bibliografia delle edizioni (1623-2002), con una appendice di testi critici, pp. 116, 2004 [bibliotheca stylensis, 3]. xiii. Francesco Paolo Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell’Europa del Seicento, con una appendice documentaria, pp. 580, con figure b/n, 2005 [studi, 7]. xiv. Girolamo Cardano, Come si interpretano gli oroscopi, introduzione e note di Ornella Pompeo Faracovi, traduzione del De Iudiciis geniturarum di Teresa Delia, traduzione del De exemplis centum geniturarum e dell’Encomium astrologiae di Ornella Pompeo Faracovi, pp. 108, con figure b/n, 2005 [testi, 3]. xv. Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da Eugenio Canone, Germana Ernst, vol. i, cura redazionale di Dagmar von Wille, pp. xiv, coll. 368, con figure b/n, 2006 [enciclopedie e lessici, 1]. xvi. The Alchemy of Extremes. The Laboratory of the Eroici furori of Giordano Bruno, a cura di Eugenio Canone, Ingrid D. Rowland, pp. 176, 2006 [studi, 8]. xvii. Nicholas Hill, Philosophia Epicuraea Democritiana Theophrastica, a cura di Sandra Plastina, pp. 192, 2007 [testi, 4]. xviii. Francesco La Nave, Logica e metodo scientifico nelle Contradictiones logicae di
Girolamo Cardano, con l’aggiunta del testo dell’edizione lionese del 1663, pp. 100, 2006 [materiali, 2]. xix. Giordano Bruno, Centoventi articoli sulla natura e sull’universo contro i Peripatetici. Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus Peripateticos, a cura di Eugenio Canone, pp. xxii-54, 2007 [testi, 5]. xx. Dario Tessicini, I dintorni dell’infinito. Giordano Bruno e l’astronomia del Cinquecento, pp. 205, 2007 [studi, 9]. xxi. Tommaso Campanella, Sintagma dei miei libri e sul corretto metodo di apprendere. De libris propriis et recta ratione studendi syntagma, a cura di Germana Ernst, pp. 136, 2007 [bibliotheca stylensis, 4]. xxii. Gian Mario Cao, Scepticism and orthodoxy. Gianfrancesco Pico as a reader of Sextus Empiricus, with a facing text of Pico’s quotations from Sextus, pp. xviii-104, 2007 [materiali, 3]. xxiii. Luis Vives, L’aiuto ai poveri (De subventione pauperum), a cura di Valerio Del Nero, pp. viii-116, 2008 [materiali, 4]. xxiv. Cornelius Gemma. Cosmology, Medicine and Natural Philosophy in Renaissance Louvain, a cura di Hiro Hirai, pp. 160, 2008 [studi, 10]. xxv. Gabriel Naudé, Epigrammi per i ritratti della biblioteca di Cassiano dal Pozzo, a cura di Eugenio Canone, Germana Ernst, traduzione di Giuseppe Lucchesini, pp. 64, 2009 [testi, 6]. xxvi. Sylvie Taussig, L’Examen de la philosophie de Fludd de Pierre Gassendi par ses hors-texte, pp. viii-100, 2009 [materiali, 5]. xxvii. Giordano Bruno, Acrotismo Cameracense. Le spiegazioni degli articoli di fisica contro i Peripatetici, a cura di Barbara Amato, pp. 144, 2009 [testi, 7]. xxviii. Enciclopedia bruniana e campanelliana, diretta da Eugenio Canone, Germana Ernst, vol. ii, cura redazionale di Giuseppe Landolfi Petrone, pp. xvi, coll. 402, 2010 [enciclopedie e lessici, 2]. xxix. Tommaso Campanella, Selected Philosophical Poems, edited, annotated, and translated by Sherry Roush, pp. 172, 2011 [testi, 8]. xxx. Bertrando Spaventa, Scritti sul Rinascimento (1852-1872), con appendice e materiali testuali, a cura di Giuseppe Landolfi Petrone, pp. 390, 2011 [testi, 9]. xxxi. Eugenio Canone, L’Argomento degli Eroici furori di Bruno, pp. 128, 2011 [materiali, 6]. xxxii. Ornella Pompeo Faracovi, Lo specchio alto. Astrologia e filosofia fra Medioevo e prima età moderna, pp. 212, 2012 [studi, 11]. xxxiii. Emblematics in the Early Modern Age. Case Studies on the Interaction Between Philosophy, Art and Literature, edited by Eugenio Canone, Leen Spruit, pp. 120, 2012 [studi, 12]. xxxiv. Christophe Poncet, La scelta di Lorenzo. La Primavera di Botticelli tra poesia e filosofia, testo francese con traduzione italiana di Germana Ernst, pp. 120, 2012 [studi, 13]. xxxv. Bernardino Telesio tra filosofia naturale e scienza moderna, a cura di Giuliana Mocchi, Sandra Plastina, Emilio Sergio, pp. 184, 2012 [studi, 14]. xxxvi. The Animal Soul and the Human Mind: Renaissance Debates, edited by Cecilia Muratori, pp. 244, 2013 [studi, 15]. xxxvii. Dilwyn Knox, Copernico e la gravità. La dottrina della gravità e del moto circolare degli elementi nel De revolutionibus, pp. 128, 2013 [studi, 16].