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Italian, Greek Pages 201 [203] Year 2003
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Gr e g o r i od iNi s s a
Co nt r o i l f a t o . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ac ur adiMi c h e l eBa nd i ni
c l a s s i c i
BIBLIOTECA PATRISTICA
BIBLIOTECA PATRISTICA Collana fondata da Mario Naldini diretta da Carlo Nardi Manlio Simonetti
Consulenti: Paolo Carrara, Elena Giannarelli, Augusto Guida, Elio Montanari, Francesco Stella, Giovanni Maria Vian Edizione a cura del Centro di Studi Patristici (Firenze)
Gregorio di Nissa
CONTRO IL FATO
a cura di Michele Bandini
In copertina: Pegaso, Perseo, Andromeda, Ariete col triangolo boreale, miniatura di Francesco Botticini, seconda metà sec. XV, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, plut. 40.53, c. 44v.
Volume pubblicato con il contributo del Centro di Studi Patristici (Firenze) Redazione: Eugenio Ortali
© 2003 Centro editoriale dehoniano
via Nosadella, 6 - 40123 Bologna EDB (marchio depositato)
ISBN 88-10-42050-0 Stampa Grafiche Dehoniane, Bologna 2003
A Marina e Giovanni
A propormi questo lavoro fu, nel 1996, don Mario Naldini; porne in limine il nome è un doveroso tributo di riconoscenza. Molti consigli e suggerimenti preziosi mi sono venuti dal prof. Augusto Guida; a lui e al dott. Friedhelm Mann, che mi ha offerto condizioni di lavoro ideali in un breve soggiorno presso la «Forschungsstelle Gregor von Nyssa» di Münster, va la mia sincera gratitudine. Ringrazio infine i proff. don Carlo Nardi e Manlio Simonetti, che hanno voluto accogliere il presente lavoro nella collana da loro diretta, e le dott. sse Elisa Acanfora e Lisa Venturini, che mi hanno suggerito l’immagine di copertina.
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INTRODUZIONE
I. CENNI BIOGRAFICI Gregorio nasce intorno al 335/3401 da importante famiglia aristocratica cristiana, originaria del Ponto dal lato paterno, della Cappadocia da quello materno. I suoi genitori sono Basilio, insegnante di retorica, ed Emmelia; ha otto o nove fratelli,2 tre dei quali condurranno vita di santità: Ma1
Molti dei dati cronologici indicati in questo paragrafo sono oggetto di discussione critica. Per un approfondimento dei problemi si possono consultare, in prima istanza, l’introduzione di M. Aubineau al trattato Sulla verginità (Paris 1966, SC 119, pp. 29-82), per gli anni fino al 371; per gli anni successivi quella di P. Maraval alle Lettere (Paris 1990, SC 363, pp. 17-42). Cf. anche G. MAY, Die Chronologie des Lebens und der Werke des Gregor von Nyssa, in M. HARL (ed.), Écriture et culture philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse. Actes du colloque de Chevetogne (22-26 septembre 1969), Leiden 1971, pp. 5167; D.L. BALÁS, voce Gregor von Nyssa, in TRE XIV (1985), pp. 173181: 173-175; W.-D. HAUSCHILD, voce Gregor von Nyssa, in LThK IV (1995), coll. 1007-1008; F. DÜNZL, voce Gregor von Nyssa, in S. DÖPP W. GEERLINGS (hrsg.), Lexicon der antiken christlichen Literatur, Freiburg-Basel-Wien 1998, pp. 266-271. 2 Sulla questione del numero dei figli di Basilio il Vecchio ed Emmelia, se nove o dieci, cf. J.E. P FISTER , A Biographical Note: the Brothers and Sisters of St. Gregory of Nyssa, in «Vigiliae Christianae» 18
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crina, la primogenita, Basilio poi vescovo di Cesarea, il primo dei maschi, e l’ultimogenito Pietro, divenuto poi vescovo di Sebastea. La formazione culturale di Gregorio avviene principalmente in famiglia; un ruolo importante vi ha il fratello Basilio, quando, al suo ritorno da Atene, insegna retorica a Cesarea per alcuni mesi (verso il 357/358). Nei primi anni sessanta Gregorio, lettore nella Chiesa di Cesarea, si appassiona alla retorica al punto di deporre l’ufficio di lettore ed abbracciare la professione di retore, cosa che gli è rimproverata dal Nazianzeno in una lettera (ep. 11). Negli stessi anni, Gregorio si sposa.3 Non sappiamo se Gregorio cedette presto alle rimostranze del Nazianzeno o se continuò la professione di retore fino alla vigilia dell’episcopato. Nel 370 Basilio diviene vescovo di Cesarea di Cappadocia; nella primavera del 372 ordina il fratello Gregorio vescovo di Nissa.4 Nel 376 un sinodo convocato dal vicario (1964), pp. 108-113 (cinque maschi e cinque femmine); P. MARAVAL, Encore les frères et les soeurs de Grégoire de Nysse, in «Revue d’histoire et de philosophie religieuses» 60 (1980), pp. 161-166 (quattro maschi e cinque femmine). 3 Ciò è reso sicuro, mi pare, dalla testimonianza contenuta nel cap. III del De virginitate (p. 256, 8-257, 5); cf. tuttavia E. MOUTSOULAS, Théosebie, épouse ou soeur de Grégoire de Nysse?, in Filiva. Eij" Kwnstantiv n on Mpov n hn, Thessaloniki 1989, pp. 309-315: 311: «Il pourrait comme beaucoup de jeunes de son époque avoir vécu pendant sa jeunesse une période plus ou moins libre, sans qu’il se soit nécessairement marié». Non conosciamo il nome della sposa; la Teosebeia per la cui morte il Nazianzeno consola il nostro nell’epistola 197 è sorella del Nisseno, come risulta chiaro dal confronto con gli epigrammi dell’Antologia Palatina VIII 161 e 164. Cf. anche M. AUBINEAU, op. cit., pp. 6576; G. MAY, Die Chronologie cit., p. 53; E. MOUTSOULAS, Théosebie ... cit. 4 Sull’identificazione del sito cf. P. MARAVAL, Nysse en Cappadoce, in «Revue d’histoire et de philosophie religieuses» 55 (1975), pp. 237247; F. M ANN , voce Nyssa, in LThK VII (1998), coll. 953-954; N. THIERRY, La Cappadoce de l’Antiquité au Moyen Âge, Turnhout 2002 («Bibliothèque de l’Antiquité tardive» 4), carta 3, p. 20.
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INTRODUZIONE
del Ponto, Demostene, depone ed esilia Gregorio, sotto il pretesto di malversazioni finanziarie e di irregolarità canoniche al momento della sua nomina; il rientro dall’esilio, forse descritto nella sesta lettera, avviene nel 378. Verso la fine di settembre di quello stesso anno 378 muore Basilio.5 Gregorio, fino ad allora un po’ in ombra, ne raccoglie l’eredità sia sotto il profilo della politica ecclesiastica, sia sotto quelli teologico, spirituale e letterario. Tra la fine di maggio e il giugno del 379 partecipa ad un concilio ad Antiochia, dove incontra anche il retore Libanio. Di ritorno da quel concilio giunge nella proprietà familiare di Annisa, nel Ponto, appena in tempo per assistere agli ultimi momenti della sorella Macrina (luglio 379). Nel periodo che segue si colloca un viaggio ad Ibora, nel Ponto, poi a Sebastea, in Armenia. Dal maggio al luglio del 381 si svolge il concilio di Costantinopoli, più tardi riconosciuto come il secondo “ecumenico”, nel quale Gregorio ricopre un ruolo di primo piano. Vi pronuncia il Discorso funebre per il vescovo Melezio, primo presidente del concilio, e il discorso Sulla propria ordinazio5
Seguo la datazione stabilita da J.-R. POUCHET, La date de l’élection épiscopale de Saint Basile et celle de sa mort, in «Revue d’hist. eccles.» 87 (1992), pp. 5-38. Il merito di aver riaperto la discussione sulla data tradizionalmente accolta per la morte di Basilio, il primo gennaio 379, spetta a P. MARAVAL, La date de la mort de Basile de Césarée, in «Revue ét. august.» 34 (1988), pp. 25-38, che – riprendendo e modificando una proposta di A.D. BOOTH, The Chronology of Jerome’s Early Years, in «Phoenix» 35 (1981), pp. 237-259: 253-254 – ha proposto l’estate del 377. Forti riserve sulla data del primo gennaio erano state espresse anche da E. SCHWARTZ (Zur Geschichte des Athanasius, in «Nachr. von der k. Ges. d. Wiss. zu Göttingen, phil.-hist. Klasse» 1904, n. 1 p. 363 = Gesammelte Schriften, 3. Band, Berlin 1959, n. 2 pp. 37-38), sulla scorta di H. U SENER , Das Weihnachtsfest, Bonn 2 1911, pp. 256-258. Ad una data tra l’1 e il 15 settembre 378 pensa E. MOUTSOULAS, Le problème de la date de la mort de Saint Basile de Césarée, Leuven 1997 («Studia Patristica» XXXII), pp. 196-200.
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ne. Gli anni ottanta vedono l’apice del suo prestigio nella Chiesa e alla corte imperiale; prestigio sancito dalla nomina – conferitagli dal concilio del 381 e confermata da un decreto dell’imperatore Teodosio6 – quale uno dei vescovi garanti dell’ortodossia, in comunione con i quali dovevano trovarsi i vescovi che volevano essere ritenuti ortodossi. Lo stesso concilio gli affida una missione nella provincia d’Arabia, seguita da un viaggio a Gerusalemme. Nel 383 Gregorio è presente ad un nuovo concilio costantinopolitano, di fronte al quale pronuncia il discorso Sulla divinità del Figlio e dello Spirito Santo; nel 385, a Costantinopoli, è lui a pronunciare gli elogi funebri della principessa Pulcheria (Oratio consolatoria in Pulcheriam) e poco dopo di sua madre, l’imperatrice Flaccilla (Oratio funebris in Flacillam imperatricem). L’ultima traccia è la sua presenza ad un concilio costantinopolitano nel 394; è probabile che sia morto non molto dopo. Nel 787, il secondo concilio di Nicea, settimo “ecumenico”, gli riconoscerà il titolo di “Padre dei Padri” (path;r patevrwn). Anche per la datazione delle opere pochi sono i dati precisi; per lo più dobbiamo limitarci a ripartire la produzione del Nisseno in gruppi di scritti, dai confini peraltro non rigidi.7 Al 370/371 è databile il trattato Sulla verginità (Basilio è già vescovo, Gregorio non ancora). Alla prima produzione, negli anni settanta, sembrano appartenere gli scritti Contro Ario e Sabellio, Sui defunti, le omelie Sul Padre nostro e Sulle beatitudini, i trattati Sui titoli dei Salmi e Sul sesto Salmo,8 le 6
Codex Theodosianus XVI 1, 3 (del 30 luglio 381). Per i sermoni è ancora importante – sebbene le sue conclusioni non siano sempre sicure – J. DANIÉLOU, La chronologie des sermons de Grégoire de Nysse, in «Revue des sciences religieuses» 29 (1955), pp. 346-372. 8 Pensa al 376-378 come data di composizione di questi due scritti J. REYNARD, Grégoire de Nysse. Sur les titres des Psaumes, Paris 2002 (SC 466), p. 13. 7
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INTRODUZIONE
omelie Sull’Ecclesiaste,9 lo scritto Ad Eustazio sulla Trinità e forse quello Ad Olimpio sulla perfezione del cristiano. Posteriori alla morte di Basilio, probabilmente anche a quella di Macrina, dunque del 379 o dei primi mesi del 380, sono il discorso In lode di Basilio, il trattato Sulla creazione dell’uomo e, di poco successiva, l’Apologia sull’Esamerone.10 Tra il 380 e la primavera del 381 si collocano i primi due libri Contro Eunomio; tra il 381 e il 383 il terzo; nel 383 la Confutazione della professione di fede di Eunomio. Agli stessi anni (382/384) appartengono anche il breve trattato su 1 Cor 15, 28 (In illud: Tunc et ipse filius), la Vita di Macrina, il Dialogo sull’anima e la resurrezione. Intorno alla metà e nella seconda metà degli anni ottanta sono situabili il Discorso catechetico, lo scritto Contro Apollinario, probabilmente del 387, la Vita di Mosè, forse i brevi trattati Sulla maga di Endor e Sui bambini morti prematuramente. Agli ultimi anni di vita del Nisseno, dopo il 390, sono assegnabili il trattato Sul fine della vita cristiana (De instituto Christiano) e le omelie Sul Cantico dei Cantici.
II. IL CONTRA FATUM E IL DIBATTITO SUL FATO II. NELLA LETTERATURA ANTICA GRECA E LATINA La riflessione di Gregorio Nisseno nel Contra fatum si pone sulla linea di una vasta produzione filosofica, che a partire dal sec. III a.C. aveva visto confrontarsi, in un di9
L’ultima editrice, F. Vinel (Paris 1996, SC 416, pp. 16-20) pensa al 378/379. 10 Cf. PG 44, 124 A; F.X. RISCH, Gregor von Nyssa. Über das Sechstagewerk. Eingeleitet, übersetzt und kommentiert von F.X. R., Stuttgart 1999 («Bibliothek der griechischen Literatur» 49), pp. 11-15.
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battito serrato, fautori di concezioni fatalistiche e loro avversari. Tali concezioni emergono nella cultura greca sin dai poemi omerici,11 e furono avversate già dai filosofi presocratici;12 ma è con lo stoicismo, e soprattutto con Crisippo (ca. 280 - ca. 206 a.C.), autore di un trattato Sul fato in due libri, che esse trovarono la loro prima sistemazione organica;13 sistemazione che costituì il primo obiettivo polemico – cui più tardi si aggiungerà il fatalismo astrologico di origine caldea – per una vasta serie di scritti in difesa del libero arbitrio, di matrice accademica, peripatetica, epicurea, scettica, neoplatonica, cristiana. Di questa vasta produzione ci restano i trattati Sul fato di Cicerone,14 composto nel 44 a.C., dello pseudo-Plutarco, da collocarsi verosimilmente nella seconda metà del II secolo,15 e di Alessandro di Afrodisia, redatto tra il 198 e il 209 e dedicato a Settimio Severo e Caracalla;16 il trattato Contro gli astrologi di Sesto Empirico, anch’esso della seconda metà del II se11
Cf. ad es. Il. VI 486-489, passo richiamato anche da Crisippo nel primo libro del Peri; eiJmarmevnh" (cf. SVF II 925) e discusso da Porfirio nel Peri; tou' ejfÆ hJmi'n (fr. 271 Smith). 12 Sui primi passi della riflessione sul fato dai presocratici a Platone informano sinteticamente E. VALGIGLIO, Il fato nel pensiero classico antico, in «Rivista di studi classici» 15 (1967), pp. 305-330: 319-321 n. 25; H.O. S CHRÖDER , voce Fatum (Heimarmene), in RAC VII (1969), coll. 524-636: 531-533. 13 Cf. P. HADOT - R. GOULET - F. QUEYREL, Chrysippe de Soles, in DPhA II, Paris 1994, pp. 329-365, in part. p. 357 sul Peri; eiJmarmevnh". Crisippo trattava del fato anche nel Peri; pronoiva" in almeno quattro libri (cf. ibid., p. 359). 14 Edizione, traduzione, commento a cura di R.W. SHARPLES, Warminster 1991. 15 Edizione, traduzione, commento a cura di E. VALGIGLIO, Napoli 1993 («Corpus Plutarchi Moralium» 16). 16 Cf. Alexander of Aphrodisias On Fate. Text, translation and commentary by R.W. SHARPLES, London 1983; Alexander von Aphrodisias. Über das Schicksal, übersetzt und kommentiert von A. ZIERL, Berlin 1995; R. GOULET - M. AOUAD in DPhA I, Paris 1989, pp. 125-139.
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INTRODUZIONE
colo;17 per non ricordare che le maggiori tra le opere della cultura pagana. Del giudaismo ellenistico ci resta il Peri; pronoiva" di Filone Alessandrino, scritto al quale dedicò cure filologiche il Leopardi;18 più abbondante il lascito del cristianesimo antico: 19 dal Dialogo delle leggi dei paesi di Bardesane di Edessa20 a vari scritti di Origene,21 dal Peri; tou' aujtexousivou (Sul libero arbitrio) di Metodio di Olimpo (fine del sec. III)22 alle omelie Sul fato e la Provvidenza di Giovanni Crisostomo (PG 50, 749-774),23 al De natura hominis di Nemesio di Emesa (fine sec. IV - in. V), ai dieci Discorsi sulla Provvidenza di Teodoreto di Cirro (sec. V).24 Ma 17
Edizione, traduzione, commento a cura di E. SPINELLI, Napoli 2000. Cf. P. WENDLAND, Philos Schrift über die Vorsehung, Berlin 1892; Philon d’Alexandrie, De providentia I et II. Introduction, traduction et notes par M. HADAS-LEBEL, Paris 1973. L’opera di Filone, composta probabilmente intorno al 30 (cf. ibid., p. 42), è conservata integralmente in una traduzione armena del VI secolo; dell’originale greco ci restano solo alcuni estratti, i più lunghi dei quali in EUSEBIO, Praep. ev. VII 21 e VIII 14. Cf. anche M. OLIVIERI, Note critico-testuali al De Providentia di Filone Alessandrino alla luce della traduzione armena, in «Eikasmos» 7 (1996), pp. 167-178. Sui contributi leopardiani si veda S. TIMPANARO, La filologia di Giacomo Leopardi, Roma-Bari 31997, pp. 67-68. 19 Per una panoramica generale cf. H.O. SCHRÖDER, voce Fatum (Heimarmene) cit., coll. 579-632. 20 Su Bardesane (154 - 222) cf. J. TEIXIDOR in DPhA II, cit., pp. 54-63. Il Dialogo (citato come Peri; eiJmarmevnh" da EUSEBIO, Hist. eccl. IV 30, 2) è in siriaco, ma fu subito tradotto in greco da un discepolo di Bardesane; un estratto della versione greca è conservato da EUSEBIO, Praep. ev. VI 10. Cf. anche B. REHM, Bardesanes in den Pseudo-clementinen, in «Philologus» 93 (1938), pp. 218-247. Traduzione italiana con note in G. LEVI DELLA VIDA, Pitagora, Bardesane e altri. Studi siriaci, a cura di R. CONTINI, Roma 1989, pp. 79-111. 21 Si vedano soprattutto i testi raccolti nei capitoli finali della Filocalia: cf. É. JUNOD, Origène. Philocalie 21-27, Sur le libre arbitre, Paris 1976 (SC 226). 22 Edito da G.N. BONWETSCH, Leipzig 1917 (GCS 27). 23 Per questi ed altri testi crisostomici contro il fatalismo cf. H.O. SCHRÖDER, voce Fatum (Heimarmene) cit., coll. 600-602. 24 PG 83, 556-773 = CPG 6211. 18
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molto, anche di fondamentale, è andato perduto, sia della produzione dei difensori della dottrina del fato (dopo Crisippo, scrissero trattati Sul fato gli stoici Boeto di Sidone e Posidonio25) che di quella dei loro avversari, pagani e cristiani: dagli scritti di Clitomaco, scolarca dell’Accademia dal 127 al 110 circa a.C.,26 contenenti le argomentazioni antifatalistiche di Carneade27 che tanta fortuna avrebbero avuto presso gli autori successivi e tra i cristiani in particolare;28 all’opera dell’epicureo Diogeniano (sec. II),29 della quale leggiamo alcuni estratti in Eusebio (Praep. ev. IV 3 e VI 8); al Peri; tou' ejfÆ hJmi'n di Porfirio (seconda metà del III secolo), alcuni frammenti del quale sono conservati nell’antologia di Stobeo;30 fino agli otto libri Contro il fato di Diodoro di Tarso, contemporaneo del Nisseno, dei quali non resta che il resoconto, fortunatamente ampio, di Fozio (Biblioteca, cod. 223)31 e al trattato Sulla provvidenza e il fato in sette libri del neoplatonico alessandrino Ierocle (prima metà del V secolo), opera sulla quale ci informa ancora una volta Fozio (Biblioteca, codd. 214 e 251).32 25
Su Boeto di Sidone (sec. II a.C.) cf. R. GOULET in DPhA II, cit., pp. 123-125; per il Peri; eiJmarmevnh" di Posidonio (ca. 135 - ca. 50 a.C.) cf. DIOGENE LAERZIO VII 149 (= SVF II 915). 26 Su Clitomaco di Cartagine (187/6 - 110/9 a.C.) cf. T. DORANDI in DPhA II, cit., pp. 424-425. 27 Su Carneade di Cirene (214/3 - 129/8 a.C.) cf. T. DORANDI - F. QUEYREL in DPhA II, cit., pp. 224-227. 28 Cf. F. BOLL, Studien über Claudius Ptolemaeus, in «Jahrbücher für class. Philol.», Suppl. 21 (1894), pp. 181 ss.; D. AMAND, Fatalisme et liberté dans l’antiquité grecque, Louvain 1945 (rist. Amsterdam 1973). 29 Cf. T. DORANDI in DPhA II, cit., pp. 833-834. 30 Frr. 268-271 Smith (Stuttgart u. Leipzig 1993). 31 Ed.: Photius, Bibliothèque. Texte établi et traduit par R. HENRY, t. IV, Paris 1965, pp. 8-48. Cf. CH. SCHÄUBLIN, Zu Diodors von Tarsos Schrift gegen die Astrologie, in «Rhein. Mus. für Philologie» 123 (1980), pp. 51-67. 32 Cf. I. HADOT in DPhA III, Paris 2000, pp. 690-701: 692-698.
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Una rapida rassegna dei principali argomenti utilizzati nel corso di questo lungo confronto è necessaria per impostare la questione dell’interesse filosofico dello scritto del Nisseno, e per tentare di stabilire se esso apporti nel dibattito un contributo originale; contributo riconoscibile solo attraverso un preliminare discernimento di quanto Gregorio abbia verosimilmente attinto alla tradizione filosofica. Il determinismo stoico, nella sua formulazione canonica risalente principalmente a Crisippo, poggia fondamentalmente su quattro argomentazioni. La prima è fondata sulla definizione del fato come la concatenazione delle cause (eiJrmo;" aijtiw'n, series causarum): poiché nulla può avvenire senza una causa (mhde; n aj n aitiv w " giv g nesqai), come nulla nasce dal nulla – principio ammesso da tutti i filosofi greci –, ciò significa che tutto avviene secondo il fato (pav n ta kaqÆ eiJ m armevnhn). È questo il cosiddetto determinismo causale o fisico.33 In qualche modo affine alla prima è la seconda argomentazione stoica, fondata sulla teoria dell’unità organica dell’universo (sumpavqeia tw'n o{lwn, contagio naturae, contagio rerum): poiché il cosmo è uno e permeato da un’unica forza vitale e razionale, ogni sua parte, per piccola ed apparentemente insignificante che sia, è connessa con le altre; un legame indissolubile tiene uniti gli elementi, ed ogni processo dà luogo ad effetti che non possono che essere quelli che sono, poiché un determinato insieme di cause non può produrre che un unico effetto.34 Nel cristianesimo latino opere (perdute) Sul fato furono composte da Minucio Felice e Tertulliano: cf. H.O. SCHRÖDER, voce Fatum (Heimarmene) cit., coll. 610-611. 33 Cf. SVF 945-951. 34 Cf. ad es. CICERONE, De divin. II 33-35 = POSIDONIO, fr. 106 E.K. con il commento di I.G. Kidd, Cambridge 1988, pp. 423-425; FILONE, De migr. Abr. 178-180; PS. PLUTARCO, De fato 574 E con il commento di E. VALGIGLIO cit., pp. 182-183; K. REINHARDT, Kosmos und Sympathie,
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Il terzo argomento, accolto dagli stoici ma già discusso da Aristotele (De interpr. 9), è logico, fondato sul principio di bivalenza: ogni proposizione è o vera o falsa; ma se una proposizione al futuro è o vera o falsa già nel momento in cui viene enunciata, ciò implica la predeterminazione causale di tutti gli eventi futuri (determinismo logico).35 L’ultima argomentazione è di tipo empirico, fondata sui successi della divinazione: il futuro non sarebbe già conoscibile se non fosse in certo modo già presente, già predeterminato dal fato; la divinazione presuppone l’esistenza del fato, e i casi di predizioni avveratesi la dimostrano.36 Tutte queste argomentazioni, tranne quella di tipo logico, sono addotte dall’interlocutore di Gregorio nel Contra fatum: la definizione stoica del fato come eiJrmo;" aijtiw'n, contaminata con dottrine astrologiche, nel cap. III; la dottrina della sumpavqeia universale nel cap. V; la divinazione come prova dell’esistenza del fato nei capp. XIII e XX. Alle dottrine stoiche gli antifatalisti opposero una serie di argomenti di vario tipo: – la reductio ad absurdum del cosiddetto ‘argomento pigro’ (ajrgo;" lovgo"), addotto ad indicare le inaccettabili conseguenze cui porterebbe un’applicazione coerente del fatalismo: chi è convinto che tutto dipenda dal fato e sia già determinato dovrebbe vivere, se fosse coerente, in una totale inerzia; non dovrebbe, ad esempio, chiamare il medico in caso di malattia; se è destino che egli guarisca guarirà, in caso contrario a nulla servirebbe chiamare il medico;37 München 1926; E. MAROTTA, L’ironia e altri schemi nel Contra fatum di San Gregorio di Nissa, in «Vetera Christianorum» 4 (1967), pp. 85-105: 91; M. HADAS-LEBEL, Philon d’Alexandrie, De providentia cit., pp. 87-89. 35 Cf. CICERONE, De fato 17-21; PS. PLUTARCO, De fato 574 F; R.J. HANKINSON, Determinism and Indeterminism, in CHHP, pp. 516-522. 36 Cf. SVF II 939-944. 37 Cf. ad es. CICERONE, De fato 28-29 (LS 55 S); ORIGENE, Contra
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INTRODUZIONE
– se tutto fosse determinato dal fato, l’uomo non sarebbe responsabile delle proprie azioni, e dunque non avrebbe senso l’impegno morale, lo sforzo in direzione del bene; non avrebbero senso le leggi; in generale non avrebbe senso parlare di meriti e demeriti, e perderebbero ogni ragion d’essere lodi e biasimi, premi e punizioni, esortazioni e dissuasioni;38 – se tutto fosse determinato dal fato, la preghiera e il culto religioso sarebbero del tutto inutili;39 – posto il fato, ne consegue l’inutilità delle deliberazioni dell’uomo; ora, la natura ha dotato l’uomo della capacità di deliberare, e la natura non fa nulla di inutile; dunque il dominio del fato non esiste.40 Celsum II 20 (= SVF II 957; anche in Philoc. XXIII 13); EUSEBIO, Praep. ev. VI 6, 8-9; BASILIO, Hex. VI 7, 8; GIOVANNI CRISOSTOMO, De fato et provid. hom. V, PG 50, 766; SOFRONIO DI GERUSALEMME, Narrationes miraculorum ss. Cyri et Ioannis 28, 7 (ed. N. F ERNÁNDEZ M ARCOS , Madrid 1975); E. VALGIGLIO, [Plutarco], Il fato cit., p. 179 n. 260; R.W. SHARPLES, Cicero: On Fate & Boethius: The Consolation of Philosophy IV. 5-7, V, Warminster 1991, p. 179; R.J. HANKINSON, Determinism cit., pp. 533-534. 38 Cf. ad es. CICERONE, De fato 11, 40; FILONE, De provid. I 78-82; GELLIO, Noct. Att. VII 2; DIOGENE DI ENOANDA, fr. 54 Smith; ALESSANDRO DI AFRODISIA, De fato, p. 186, 18 ss. Bruns; ORIGENE, De principiis III 1, 19; ID., Comm. in Gen. III (in Philoc. XXIII 1 e 7); ID., Comm. in Rom. I (in Philoc. XXV 4, ll. 1-14); PS. CLEMENTE, Rec. IX 4 e 30; EUSEBIO, Praep. ev. VI 6, 5-6; ID., Contra Hieroclem 45, l. 6 ss. des Places (Paris 1986, SC 333); DIODORO DI TARSO in FOZIO, Bibl., cod. 223, 218 b 26-36, 219 b 3-13; GIOVANNI CRISOSTOMO, De fato et provid. hom. V, PG 50, 765-768. L’obiezione era già affrontata da Crisippo nel secondo libro del Peri; eiJmarmevnh" (cf. SVF II 998) e nel quarto libro del Peri; pronoiva" (cf. SVF II 1000). Vedi anche E. VALGIGLIO, [Plutarco], Il fato cit., pp. 177-178 n. 255. 39 Cf. ad es. SENECA, Nat. quaest. II 35-38; VETTIO VALENTE V 2, 24 (p. 202, 25-26 Pingree); ALESSANDRO DI AFRODISIA, De fato, p. 190, 2728 Bruns; ORIGENE, Comm. in Gen. (in Philoc. XXIII 2); PS. CLEMENTE, Rec. VIII 12; EUSEBIO, Praep. ev. VI 6, 19; ID., Contra Hieroclem 45, ll. 4250 des Places; E. VALGIGLIO, [Plutarco], Il fato cit., pp. 178-179 n. 258. 40 Cf. ad es. A LESSANDRO DI A FRODISIA , De fato, p. 178, 8 ss. Bruns; ID., Mantissa XXIII (p. 173, 21-25 Bruns).
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CONTRO IL FATO
Alla prova empirica dell’esistenza del fato fondata sulle predizioni avveratesi si rispondeva o che i vaticini erano talmente ambigui da prestarsi, post eventum, ad ogni possibile interpretazione; o che, tra tante predizioni non assurde ma miranti a verosimiglianza, era del tutto normale che qualcuna ogni tanto se ne fosse realizzata; i cristiani, infine, potevano attribuire il realizzarsi di un vaticinio all’attività dei dèmoni, cooperanti con gli astrologi per radicare nell’uomo la fede negli astri ed allontanarlo dalla retta fede.41 Altri argomenti furono specificamente rivolti a confutare il fatalismo astrologico, vale a dire la credenza che la vita dell’uomo – per taluni anche le sorti di minerali, piante, animali – sia determinata dagli influssi provenienti dagli astri: – l’argomento degli impares ortus, interitus pares: com’è che nelle sciagure collettive (distruzioni arrecate dalla guerra, naufragi, crolli, terremoti) uomini e donne diversi per età, e dunque nati con influssi astrali diversi, e dissimili sotto ogni altro aspetto, sono accomunati in un unico destino?42 – Com’è che la ‘genitura’ (il fato quale stabilito al momento della nascita dagli influssi astrali) non può nulla sugli animali, il cui carattere è uniforme all’interno di ogni singola specie, e può invece tutto sull’uomo, signore della natura? 43 41
Vedi infra il commento ai capp. XXI-XXIII. Cf. CICERONE, De divin. II 97; FILONE, De provid. I 87; FAVORINO in GELLIO XIV 1, 27-28; SESTO EMPIRICO, Adv. math. V 91-93; BARDESANE in EUSEBIO , Praep. ev. VI 10, 32-34; IPPOLITO , Refut. IV 5, 7-8; DIODORO DI TARSO in FOZIO, Bibl., cod. 223, 214 b 21 - 215 a 20; GREGORIO NAZIANZENO, Carm. I 1, 5 vv. 21-24. Vedi D. AMAND, Fatalisme ... cit., pp. 53-55. Speculare a questo argomento è quello fondato sugli opposti destini di gemelli, per il quale vedi ad es. CICERONE, De divin. II 90; AGOSTINO, De civ. Dei V 1-6. 43 Cf. DIODORO DI TARSO, ibid., 215 a 6 - 216 a 33; CH. SCHÄUBLIN, Zu Diodors von Tarsos ... cit., pp. 59-61. 42
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INTRODUZIONE
– Quand’anche le teorie astrologiche fossero vere, in pratica stabilire il tema della natività con la precisione necessaria è impossibile; sia perché è incerto se il vero momento iniziale sia quello della nascita o non piuttosto quello del concepimento, che non è noto con esattezza; sia, anche in relazione alla nascita, per la rapidità con cui – a detta degli astrologi stessi – si modificano gli influssi astrali nel loro incessante intrecciarsi.44 Ancor più in particolare alla cosiddetta geografia o etnografia astrologica, cioè alla credenza che in ciascuna regione dominino determinati influssi astrali, si opposero: – l’argomento detto dei novmima barbarikav: in ogni regione vi sono insieme molti costumi diversi, o possono esservi mutati nel corso del tempo, e viceversa una stessa pratica è conservata da certe popolazioni (Persiani, Giudei) in ogni regione della terra;45 – un argomento fondato sulla rotazione della volta celeste: se essa si muove di un moto continuo, conducendo con sé i segni zodiacali, è impossibile che questi sovrastino e dominino sempre la stessa regione della terra; ciascun segno trascorrerà via via da una regione all’altra.46 Di tutti questi argomenti solo alcuni sono utilizzati da Gregorio: quello delle sciagure collettive nel cap. XV, quello 44
Cf. FILONE, De provid. I 87; FAVORINO in GELLIO XIV 1, 26; SESTO EMPIRICO, Adv. math. V 52-87; ORIGENE, Comm. in Gen. III (in Philoc. XXIII 17, ll. 1-31); BASILIO, Hex. VI 5, 4-9 (da cui dipende AMBROGIO, Hex. IV 4, 14); A. BOUCHÉ-LECLERCQ, L’astrologie grecque, Paris 1899, pp. 588-593; H.O. SCHRÖDER, voce Fatum (Heimarmene) cit., coll. 554555. Per la discussione astrologica su nascita o concepimento quale momento nel quale la conformazione degli astri determinerebbe il destino cf. A. BOUCHÉ-LECLERCQ, L’astrologie grecque cit., pp. 373-383. 45 Cf. FILONE, De provid. I 84-86; è poi l’argomento fondamentale del Dialogo delle leggi dei paesi di Bardesane di Edessa; cf. ancora DIODORO DI TARSO in FOZIO, Bibl., cod. 223, 217 b 31 - 218 b 5. 46 Cf. ad es. DIODORO DI TARSO, ibid., 210 b 22-32.
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degli usi giudaici conservati in ogni regione della diaspora nel cap. XIX, quelli contro la divinazione come prova del fato nei capp. XXI-XXIII. È chiaro che egli ha operato una selezione del materiale tradizionale, e che a questa scelta consapevole, e non ad ignoranza, è dovuta l’assenza di certe argomentazioni nel Contra fatum. Talora questo lo si ricava dal testo stesso;47 ma la cosa è evidente anche in altri casi, come ad esempio per la diffusissima argomentazione di tipo morale fondata sull’assurdità, ammesso il fato, di leggi, premi e punizioni, argomentazione che Gregorio non poteva non conoscere e che evidentemente non ha voluto ripetere ancora una volta. Lo scritto di Gregorio è tuttavia densissimo di argomentazioni.48 Si può scorgere, almeno in parte di esse, un contributo filosofico personale del Nisseno al dibattito antiastrologico? Finora si è scritto di no; o per una lettura non sufficientemente attenta dell’opera,49 o perché, pur riconoscendo la presenza nel Contra fatum di argomentazioni non attestate altrove, se ne è voluta negare al Nisseno la paternità. Secondo l’ipotesi di D. Amand, la gran parte delle argomentazioni antifatalistiche del Contra fatum discenderebbe dalla fonte utilizzata da Gregorio, una fonte letteraria «marquée au coin de l’esprit raisonneur et critique de Carnéade».50 Ma 47
Vedi il commento a VII 1. D. AMAND (Fatalisme ... cit., p. 423) ha parlato di una «impressionnante série d’arguments». 49 A detta di A. PUECH, Histoire de la littérature grecque chrétienne, t. III, Paris 1930, p. 418, nel Contra fatum Gregorio opporrebbe al suo interlocutore pagano «les arguments bien connus»; così anche J. GAÏTH, La conception de la liberté chez Grégoire de Nysse, Paris 1953, p. 93: «tous les arguments qu’il donne ... sont, dans l’ensemble, classiques». Ciononostante, Gaïth giudica l’opera di Gregorio «le meilleur traité sur la question fait par un Père de l’Église» (ibid., p. 92). 50 D. AMAND, Fatalisme ... cit., p. 431. Di «singuläre Argumente» 48
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INTRODUZIONE
tale ipotesi è, mi pare, priva di fondamenta oggettive, e fondata unicamente sull’idea che «au frère de Basile ... il est difficile d’attribuer en propre la paternité de cette longue série de syllogismes et de raisonnements»;51 non vedo, tra l’altro, come quanto osservato – con stupore a mio parere anche eccessivo – dallo stesso Amand, vale a dire l’assenza totale nel Contra fatum della «fameuse argumentation morale antifataliste de Carnéade»52 possa costituire un indizio a favore di quell’ipotesi,53 e non invece un chiaro segno della sua debolezza. Ad essa, a mio parere, possiamo riconoscere di aver colto solo in piccola parte la verità, nella misura in cui non si spinga lo sguardo indietro fino all’età ellenistica, ma si resti in prossimità di Gregorio; nella misura, cioè, in cui si riconosca in quella che è probabilmente la fonte principale del Contra fatum, l’omonima opera di Diodoro di Tarso, il bacino collettore di una larga serie di argomentazioni, parte delle quali risalente, indirettamente, a Carneade.54 Con la cautela resa necessaria dalla perdita del trattato di Diodoro, io penso che un contributo filosofico personale nel Contra fatum possa esservi, e che, nel caso, esso debba essere ravvisato nella parte centrale dell’opera: nell’argomentazione fondata sulla nozione di moto dei capp. VI e XI; in quella fondata sulla nozione di tempo del cap. X; in quella del cap. VII rifacentesi alla tematica stoica dell’infinita divisione dei corpi, dello spazio e del tempo; in quella, infine, del cap. VIII fondata sulla concezione del male come non-
nello scritto nisseniano parla anche H.O. SCHRÖDER, voce Fatum (Heimarmene) cit., col. 597, giudicando meritevole di considerazione l’ipotesi di Amand. 51 D. AMAND, Fatalisme ... cit., p. 431. 52 D. AMAND, ibid., p. 432. 53 Cf. D. AMAND, ibid., p. 431 n. 1. 54 Cf. CH. SCHÄUBLIN, Zu Diodors von Tarsos ... cit., p. 57.
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CONTRO IL FATO
essere. Argomentazioni di diverso valore, ma che nel loro insieme, a mio parere, fanno del Contra fatum uno scritto di spessore filosofico notevole, meritevole di maggiore attenzione di quanta non abbia finora ricevuto da parte degli studiosi del pensiero antico. Esso rappresenta il contributo più rilevante dei Padri Cappadoci su di una problematica da essi fortemente sentita, come testimoniano in particolare per Basilio l’omelia Quod deus non est auctor malorum (PG 31, 329-353 = CPG 2853) e la sesta sull’Esamerone,55 per il Nazianzeno i due carmi Peri; pronoiva" (I 1, 5-6),56 e soprattutto il corpus di testi, origeniani e non, da loro raccolti nei capitoli 21-27 della Filocalia.57 Quanto al Nisseno, la difesa appassionata del libero arbitrio attraversa tutta la sua produzione, dal trattato Sulla verginità alle omelie Sul Cantico dei Cantici.58 All’impianto filosofico dello scritto è riconducibile un’altra sua caratteristica, l’assenza quasi totale in esso di riferimenti al testo biblico;59 assenza che ci mostra un Nisseno desideroso di porre la discussione su un terreno comune con la cultura pagana e di difendere il libero arbitrio dell’uo55
Ediz. e commento in BASILIO DI CESAREA, Sulla Genesi (omelie sull’Esamerone), a cura di M. NALDINI, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1990. 56 Ediz. e commento del primo in C. MORESCHINI - D.A. SYKES, St. Gregory of Nazianzus. Poemata arcana, Oxford 1997; per il secondo cf. PG 37, 430-438. Per altri riferimenti polemici del Nazianzeno alle dottrine astrologiche cf. ad es. Or. 4, 31 e 44; Or. 5, 5. 57 Cf. É. JUNOD, Origène. Philocalie 21-27 ... cit. 58 Cf. D. AMAND, Fatalisme ... cit., pp. 418-422; J. GAÏTH, La conception de la liberté cit.; vedi anche i contributi di G. Apostolopoulou, V.E.F. Harrison, V. Limberis, M. Naldini, J.J. O’ Keefe e B. Salmona indicati nella Bibliografia, nonché i titoli segnalati in M. ALTENBURGER F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa. Editionen, Übersetzungen, Literatur, Leiden-New York-København-Köln 1988, pp. 326-327. 59 Le uniche eccezioni sono rappresentate da due paragrafi, XV 4 e XVIII 1.
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mo con argomentazioni di tipo esclusivamente razionale, accettabili da credenti e non credenti, senza ricorso a dogmi di fede.60 Una prospettiva non ovvia, come appare chiaro a chi accosti il Contra fatum ai contributi origeniani sulla tematica del libero arbitrio, tutti fondati sull’esegesi di passi della Sacra Scrittura; prospettiva nella quale va vista anche la presenza al cap. XIV di una citazione esplicita da Platone (Resp. III 406 a-b), un fatto raro in Gregorio. Soltanto nella parte finale del trattato, nei capitoli XXI e XXIII, Gregorio ricorre ad un argomento teologico, specificamente cristiano; e lo fa introducendolo con un certo ritegno.61 Accanto al pensatore, vi è poi, nel Contra fatum, il letterato; ed anche a questo vanno riconosciuti meriti non comuni: per la finezza con la quale sa entrare, sin dalla prima battuta, nel cuore dell’argomento; per la scrittura quasi ovunque nitida e tersa; per la maestria con cui fa della lingua greca uno strumento duttilissimo, giocando con misura con le diverse possibilità semantiche di uno stesso termine o accostando, con un sorriso ironico, linguaggio d’uso comune e linguaggio tecnico astrologico.62 Nell’insieme, ritroviamo nelle pagine del Contra fatum non il mistico, ma il letterato di valore e il pensatore robusto; esse illustrano bene quello che è stato ravvisato come il 60 Cf. D. AMAND, Fatalisme ... cit., pp. 410-411, 430-431. Considerazioni analoghe sono state fatte ad es. per il De providentia di Filone, che fin dal preambolo afferma di fondarsi argumentis a ratione petitis (cf. M. HADAS-LEBEL, Philon d’Alexandrie, De providentia cit., pp. 23 e 101), o il Contra Hieroclem di Eusebio (cf. A. CARLINI, Eusebio contro Ierocle e Filostrato, in corso di stampa nel vol. I degli Studi in memoria di Marcello Gigante a cura di S. CERASUOLO). Ha trascurato questo aspetto il Bouché-Leclercq nello scrivere che nel dibattito antiastrologico «après Sextus Empiricus, la logique pure n’est plus représentée; on ne rencontre plus que des théologiens» (L’astrologie grecque cit., p. 593). 61 Cf. Contra fatum XX 2. 62 Vedi in particolare il commento a I 1; IV 4; VI 3, VII 1, XVI 2.
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CONTRO IL FATO
carattere fondamentale della teologia del Nisseno: un rapporto profondo e intenso, e fecondo di risultati duraturi, della fede cristiana con la filosofia antica.63
III. STRUTTURA DELL’OPERA I. Introduzione. Gregorio, ottemperando alla richiesta del destinatario dell’epistola, gli invia il resoconto scritto di una discussione sul fato da lui avuta a Costantinopoli con un filosofo pagano. II. Di fronte al tentativo di G. di convertirlo al cristianesimo, un filosofo pagano ricorre a concezioni fatalistiche. G. insiste vedendo in esse solo un pretesto; il pagano ne offre allora una più ampia esposizione. III. Domanda di G.: il fato è una divinità? Il pagano lo irride, ed accenna alle realtà celesti. G. chiede chiarimenti: il fato è una potenza somma, dotata di volontà? In risposta, vengono esposte le credenze astrologiche e definito il fato come ‘ciò che è prodotto necessariamente da un ineluttabile concatenamento determinato da una certa connessione dei corpi celesti’. IV-V. A G., che chiede di mettere da parte i dettagli astrologici e torna a domandare se il fato è una divinità suprema o è a sua volta sottoposto ad un’altra potenza superiore, il pagano risponde esponendo la teoria della sumpavqeia universale e della dipendenza delle realtà terrene dagli influssi dei corpi celesti, presupposto dell’astrologia genealogica. VI-VII. G. ripropone l’alternativa: il fato è una sostanza animata e dotata di volontà? Se è qualcosa di inanimato, 63
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Cf. D.L. BALÁS, voce Gregor von Nyssa cit., p. 178.
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privo di sostanza e di volontà, come può dominare le creature viventi, razionali e dotate di una coscienza morale? Inoltre, dice G., l’influsso degli astri non è la causa antecedente della generazione umana; ed è anche assurdo pensare ad un numero così esorbitante di ‘moire’, quale risulta dalle sottili suddivisioni degli astrologi. VIII. Prosegue l’argomentazione di G.: se ogni moi'ra fosse ugualmente potente, a ciascuna di esse dovrebbe corrispondere la nascita di un uomo ugualmente felice e fortunato; ciò non avviene, anzi il numero degli infelici prevale su quello degli uomini felici; dunque le moi'rai sono in prevalenza deboli. IX. G. immagina un’obiezione: la diversità di sorti non dipende da un potere maggiore o minore, ma è voluta. In tal caso, dice G., il fato sarebbe una potenza ingiusta e malvagia; se invece è una forza inanimata, priva di volontà e di sostanza, insensibile al bene e al male, come può dominare le creature animate, dotate di volontà e che cercano il bene? In entrambi i casi si giunge a conclusioni assurde; dunque il fato non esiste. X-XI. Nuova definizione di fato come ‘la frazione di tempo via via presente’ e nuovo argomento di G.: tali sezioni temporali possono essere individuate in riferimento ad ogni genere di movimento, non necessariamente a quello dei corpi celesti. Se vi fosse un rapporto causale tra movimento dei corpi celesti e destini individuali, le nascite dovrebbero prodursi ininterrottamente, come continui ed ininterrotti sono i movimenti astrali. Ripresa dell’argomento iniziale del capitolo X. XII. Obiezione del pagano (i segni zodiacali, diversamente da altri corpi in movimento, emanano forze che producono determinati effetti) e replica di G.: la credenza degli influssi attribuiti ai segni zodiacali è ridicola; essi, poi, sarebbero scel29
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ti da ciascun segno o condizionati da una necessità? Di nuovo giungiamo, in entrambi i casi, a conclusioni assurde. XIII-XIV. Il pagano ricorre alla prova empirica degli oroscopi realizzatisi, e ne ribadisce il fondamento teoretico. Anche la medicina, osserva allora G., è in grado di formulare previsioni, che non hanno però nulla a che fare con i moti astrali; anzi, proprio la medicina mostra che non esiste un fato ineluttabile. ‘Ma un evento può essere predetto come possibile’. Ciò, ribatte G., è incompatibile con l’idea di necessità. XV-XVIII. Su invito di G., il pagano espone nuovamente il fondamento della divinazione. Nuovo argomento antiastrologico di G.: le sciagure collettive. ‘Ma esiste anche il fato di una nave, di una città, di un intero popolo’. Ironia di G.: quando nasce una nave, una città, un popolo? Quanto ai terremoti, il fatto che essi avvengano anche in luoghi deserti dimostra ch’essi non hanno alcun rapporto con il destino degli abitanti di un territorio, ma sono semplicemente fenomeni geologici. L’argomentazione degli astrologi sarebbe plausibile se la terra fosse stata creata per parti; ma essa è stata creata unitariamente. G. ribadisce la validità dell’argomento tratto dalle sciagure collettive. XIX. Nuovo argomento di G.: certi usi e costumi sono comuni a interi popoli, non possono dunque dipendere dai destini individuali. Prevedendo l’obiezione che certe regioni sono soggette ad influssi astrali loro propri, G. ricorda che il popolo ebraico, disperso in ogni parte del mondo, pure conserva i suoi usi e le sue tradizioni. XX. Il pagano ribadisce nuovamente l’evidenza delle predizioni avveratesi. XXI-XXIII. Replica conclusiva di G.: molte predizioni sono ambigue; se qualche predizione si è mai avverata, a fronte della grande maggioranza di predizioni rivelatesi er30
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rate, ciò può essere casuale. Le dottrine astrologiche, che inducono gli uomini a credere che la loro vita non è nelle mani di Dio, ma è determinata dagli influssi astrali, sono un inganno dei dèmoni, il cui principale obiettivo è allontanare l’uomo da Dio. La struttura dell’opera è piuttosto semplice. Al capitolo proemiale segue non tanto un vero dialogo, quanto piuttosto l’esposizione delle dottrine astrologiche da parte del filosofo pagano (capp. II-V), cui segue la loro refutazione da parte di Gregorio (capp. VI-XXIII). La refutazione occupa, ovviamente, la gran parte dell’opera; il rapporto tra le due parti è circa di uno a quattro. In entrambe, i brevi interventi dell’interlocutore ‘secondario’ assolvono fondamentalmente una funzione di appoggio, di stimolo per l’altro interlocutore a chiarire meglio la propria dottrina o a ribadirla con maggior forza attraverso nuovi argomenti. La strutturazione binaria è riconoscibile anche all’interno della refutazione di Gregorio, nella quale si distinguono una parte preponderante prettamente filosofica (capp. VIXIX) ed una parte conclusiva (capp. XXI-XXIII) di carattere prevalentemente teologico, con il cap. XX che funge da perno tra le due sezioni. La sezione filosofica, infine, sembra ripartirsi a sua volta in una prima parte (capp. VI-XII) volta a demolire le fondamenta teoretiche del fatalismo astrologico ed in una seconda parte (capp. XIII-XIX) fondata prevalentemente su argomentazioni di tipo empirico. Lo scritto è incorniciato da un accenno discreto alla Provvidenza (I 1, la summaciva divina e la sua dioivkhsi" ejpÆ ajgaqw'/ del genere umano) ed un richiamo conclusivo all’onnipotenza di Dio (XXIII 6). È questo l’ambito entro il quale Gregorio pone la sua difesa della libertà dell’uomo; una libertà che è risposta dell’uomo al progetto di Dio. 31
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IV. DATAZIONE Un sicuro terminus post quem per la composizione del Contra fatum ci è dato dal riferimento, a XV 5, alla rivolta dei Goti stanziati in Tracia, culminata nella battaglia di Adrianopoli (9 agosto 378); lo stesso t. post quem mi pare ricavabile da XXII 3, dove il regno di Valente è visto come una fase ormai conclusa della storia contemporanea. Precisare ulteriormente non è facile. Nel nono volume, postumo, dei suoi monumentali Mémoires,64 il Tillemont (1637-1698) collocava negli anni 381383 la disputa costantinopolitana di Gregorio con il filosofo pagano; ipotesi assai verosimile, una volta peraltro che se ne ammetta la storicità e non si pensi invece ad un mero espediente letterario;65 sulla redazione dello scritto Tillemont è prudente, collocandola «qualche tempo dopo» l’incontro di Gregorio con il destinatario dell’opera. Un nuovo e più preciso tentativo di datazione si deve a J. Daniélou, che ha collocato la stesura del Contra fatum nell’inverno 386-387.66 La proposta di Daniélou si fonda sulla datazione al 387 dell’Epistola 4, e sull’identificazione dell’Eusebio destinatario di quella lettera con l’Eusebio menzionato all’inizio del nostro scritto; ma la datazione della lettera non è sicura, e ancor più ipotetica è l’identificazione del destinatario di essa con il ‘nostro’ Eusebio.67 64 L.-S. LE NAIN DE TILLEMONT, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siècles, t. IX, Venezia 1732, pp. 586-587. 65 Non mi pare ricavabile dai dati in nostro possesso la datazione precisa di quella disputa al 382 che si legge in J. QUASTEN, Patrology, vol. III, Utrecht-Antwerp 1960, p. 262. 66 J. DANIÉLOU, La chronologie ... cit., p. 366; ID., Grégoire de Nysse. La vie de Moïse, Paris 1955 (SC 1bis), pp. VII-VIII. 67 Cf. P. MARAVAL, Grégoire de Nysse. Lettres cit., pp. 146-147, n. 1. Non escluderei del tutto neppure la possibilità che il nome Eusebio
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Entrambe le proposte, come si vede, poggiano su basi malcerte. Non resta che interrogare il testo stesso, cercando – con prudenza – di rilevarne, se possibile, affinità, soprattutto stilistiche, con la restante produzione di Gregorio, per trarre poi da tale analisi eventuali deduzioni cronologiche. I confronti più significativi inducono ad accostare il Contra fatum a quella parte della produzione di Gregorio che si colloca tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, tra le Omelie sull’Ecclesiaste e il Dialogo sull’anima e la resurrezione.68 Il proemio mostra evidenti affinità con quello della Vita di Macrina; scritto al quale richiamano altri elementi stilistici: si veda ad es. la iunctura gh'ra" liparovn a VIII 3 o l’espressione to; pisto;n e[cein a XV 1. Ancora a VIII 3, l’accostamento a[noso" ajphvmwn trova un parallelo nelle Omelie sull’Ecclesiaste; a quest’opera, e ad altre riferibili al periodo indicato (Apologia sull’Esamerone, Contro Eunomio III), richiamano la iunctura gevlwto" ajformhv a XX 2 e l’espressione sunecev" ejsti to; pa'n eJautw'/ a V 1.69 Confronti stilistici non banali con il Dialogo sull’anima e la resurrezione e ancora con l’Apologia sull’Esamerone sono possibili a I 2 (pollaplasivoni ... mevtron), IV 5, XVIII 2; con gli scritti antieunomiani a III 1, III 2, IV 2, IV 5, XIII 1, XIV 4, XVIII 1 (ei\cen a]n aujtoi'" i[sw" kairovn), XXII 3. Lo stilema analizzato a XXI 4 (la ripresa dell’articolo con valore di dimostrativo, seguito da katav + accus. e unitamente al levgw parentetico-esplicativo) è attestato nella produzione di Gresia, nel Contra fatum, un ‘nome parlante’, per un neoconvertito; sull’uso retorico, frequente nella tarda antichità, dei ‘nomi parlanti’ cf. A.M. MILAZZO, Scienza e retorica in una Diegesis di Sofronio Sofista, in C. MORESCHINI (a cura di), Esegesi, parafrasi e compilazione in età tardoantica, Napoli 1995, pp. 287-308: 305. 68 Per i riferimenti che seguono si veda il commento ad locc. 69 Vedi il commento a VI 1; per l’Apologia sull’Esamerone vedi anche il commento a XII 5.
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gorio dallo scritto Sui defunti al Discorso catechetico, passando per i trattati Sui titoli dei Salmi, Sulla creazione dell’uomo e la Vita di Macrina. Passando al piano del contenuto, ricorderemo la presenza nel Contra Eunomium III di un attacco al fatalismo astrologico.70 Quanto a temi più specifici, l’antiaristotelismo di Gregorio nel capitolo sesto ci riporta agli anni della produzione antieunomiana e del Dialogo sull’anima e la resurrezione; opera alla quale ci collega, nello stesso capitolo sesto (VI 3), l’idea della kivnhsi" del nascituro nel grembo materno; l’idea di tempo su cui si fonda Gregorio nel cap. X, quella di creazione del cap. XVIII pongono quelle pagine in linea di continuità rispettivamente con le Omelie sull’Ecclesiaste e con l’Apologia sull’Esamerone; l’accostamento dell’idea di ‘vedere’ a quella di ‘aver parte’ a XXIII 5 ci riporta verso le Omelie sulle Beatitudini; il finale del Contra fatum, centrato sul motivo dello sguardo rivolto verso Dio, accomuna il nostro scritto ancora una volta alle Omelie sull’Ecclesiaste. L’insieme di questi elementi induce, mi pare, a ritenere probabile una datazione del Contra fatum agli anni 379384. A restringere ulteriormente la forbice credo si debba rinunciare.
V. GENERE LETTERARIO E DESTINATARIO Il Contra fatum raccoglie in sé due dei generi letterari più praticati dagli scrittori cristiani, l’epistola ed il dialogo. L’introduzione colloca l’opera nella tradizione letteraria del trattato in forma epistolare, coltivata a partire dal sec. 70
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Eun. III 9, 50 (vol. II, p. 282, 29-283, 6).
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IV a.C. In tali epistole/trattati si affrontarono soprattutto questioni di tipo filosofico: si ricordino le celebri epistole di Epicuro A Erodoto, A Meneceo, A Pitocle;71 le Epistole morali a Lucilio di Seneca, per lo più brevi, ma talvolta piccoli trattati; alcuni scritti plutarchei come il De tranquillitate animi, il De animae procreatione in Timaeo, o lo pseudo-plutarcheo De fato; in età più vicina al Nisseno l’epistola Ad Anebo di Porfirio (ca. 232/4 - ca. 305)72 e le epistole di Giamblico (ca. 250 - ca. 325), dedicate a temi etici, conservate frammentariamente nell’Anthologium di Stobeo. Numerosi trattati in forma epistolare furono dedicati anche ad argomenti di tipo retorico-letterario – si pensi ad es. alle epistole Ad Ammeo e A Pompeo Gemino di Dionigi di Alicarnasso (sec. I a.C.), o all’orazione 18 di Dione di Prusa (sec. I-II) –, medico e giuridico,73 scientifico – si ricordi ad es. la Lettera sull’origine dei venti di Adamanzio (prima metà del IV secolo).74 In questa tradizione letteraria s’inserirono anche gli autori cristiani,75 sin dalle origini: basti pensare alla Lettera agli Ebrei o alla Lettera dello Ps. Barnaba; e la stessa Apocalisse di Giovanni è dotata di una cornice epistolare.76 Allo 71
Molte altre lettere scrisse Epicuro: Agli amici di Lampsaco (fr. 88 s. Arrighetti), Ai filosofi di Mitilene (fr. 93-112 A.), A Temista (cf. Diog. Laert. X 25) ecc. 72 Cf. A.R. SODANO, Porfirio. Lettera ad Anebo, Napoli 1958. 73 Cf. M. ZELZER, Die Briefliteratur, in L.J. ENGELS - H. HOFMANN (edd.), Spätantike, Wiesbaden 1997 («Neues Handbuch der Literaturwissenschaft» 4), pp. 321-353. 74 Cf. S. FOLLET in DPhA I, cit., pp. 51-53. 75 Cf. per un’introduzione ed una panoramica generale H.J. KLAUCK, Die antike Briefliteratur und das Neue Testament, Paderborn 1998. Per un antecedente giudaico si pensi ad es. all’Epistola di Enoc, testo databile al sec. I a.C. e compreso poi nel Libro di Enoc (o Enoc etiopico). 76 Cf. M. KARRER, Die Johannesoffenbarung als Brief. Studien zu ihrem literarischen, historischen und theologischen Ort, Göttingen 1986.
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gnosticismo del II secolo appartengono la Lettera a Flora di Tolomeo, conservataci da Epifanio, sul valore da dare alla Legge di Mosè, e la lettera/trattato Sulla resurrezione, a Regino. Esempi di trattati in forma epistolare del III secolo sono l’Ad martyras di Tertulliano; l’Epistola a Giulio Africano di Origene, testimonianza fondamentale per la storia della critica biblica;77 l’epistola/trattato Sulla natura (Peri; fuvsew") di Dionigi vescovo di Alessandria, conservataci in parte da Eusebio, nella quale l’autore polemizzava con l’atomismo degli epicurei contrapponendo al ruolo del caso (Tuvch) quello della Provvidenza.78 Autore di ampie epistole di contenuto grammaticale, scientifico e filosofico, delle quali non restano che scarsi frammenti, fu Lattanzio (ca. 250 - ca. 320).79 Lettere/trattato su questioni letterarie (si pensi ad es. alla celebre Epistola 57 a Pammachio De optimo genere interpretandi di Girolamo), ma soprattutto di argomento dogmatico, esegetico, pastorale s’incontrano tra gli scritti di Atanasio di Alessandria, Basilio di Cesarea, Ambrogio, Girolamo, Agostino. All’inizio del V secolo, Pelagio espose il suo ideale di vita ascetica nell’Epistola a Demetriade.80 Il confine che separa nella letteratura patristica – e non solo in essa – lettere e trattati non è netto, neppure per gli autori medesimi: Marrou ha ricordato come Agostino (Ep. 214, 2) esiti sulla qualifica di un proprio scritto, l’Epistola 77 Cf. La lettre à Africanus sur l’histoire de Suzanne. Introd., texte, trad. et notes par N. DE LANGE, Paris 1983 (SC 302), p. 469 ss.; G. DORIVAL in A. MONACI CASTAGNO (a cura di), Origene. Dizionario, Roma 2000, pp. 446-448. 78 In relazione al Peri; fuvsew" e ad altri trattati di Dionigi, Eusebio (Hist. eccl. VII 26, 2) parla di poluepei'" lovgoi ejn ejpistolh'" carakth'ri grafevnte". Cf. U. HAMM, voce Dionysius von Alexandrien, in S. DÖPP - W. GEERLINGS, Lexicon der antiken christlichen Literatur, Freiburg-Basel-Wien 1998, pp. 173-174. 79 Cf. M. ZELZER, Die Briefliteratur cit., p. 341. 80 PL 30, 15-45.
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194, facendovi riferimento come ad un proprio liber vel epistula; e come la stessa incertezza si osservi in Girolamo.81 All’interno della produzione del Nisseno, lettere/trattato sono largamente presenti; non tanto in quello che si presenta, nelle nostre edizioni, come il suo epistolario – che peraltro non riflette un corpus antico82 –, nonostante l’ampiezza di alcune lettere come la 1, la 3, la 17 o la 19, quanto tra gli scritti esegetici, ascetici e dogmatici. Oltre al Contra fatum, sono assegnabili con sicurezza al genere della lettera/trattato il De Pythonissa, il De professione Christiana e la Vita Macrinae, come si ricava dalla presenza nei rispettivi prologhi degli elementi tipici del genere.83 Laddove tali elementi sono assenti, la valutazione è più delicata, poggiando sulla testimonianza non concorde della tradizione manoscritta: è il caso degli scritti dogmatici Ad Simplicium de fide e Ad Theophilum adversus Apolinaristas, per i quali parte della tradizione manoscritta conserva un incipit epistolare (Simplikiv w / tribouv n w/ Grhgov r io"É ÆAdelfw' / kai; sullei81
H.I. MARROU, La technique de l’édition à l’époque patristique, in «Vigiliae Christianae» 3 (1949), pp. 221-222. All’interno della letteratura pagana possiamo ricordare il caso dell’orazione A Capitone di Elio Aristide, citata da Olimpiodoro come Lettera a Capitone: cf. da ultimo A. CARLINI, Una testimonianza dell’Alcibiade I nell’orazione A Capitone di Elio Aristide, in «Boll. d. Badia Greca di Grottaferrata» n. s. 54 (2000), pp. 53-65: 53 n. 2. 82 Cf. P. MARAVAL, Grégoire de Nysse. Lettres, Paris 1990 (SC 363), p. 53. 83 Il De Pythonissa è indicato anche nei codici, concordemente, come ejpistolhv; cf. anche ejpevtaxa" (p. 101, 13), diÆ ojlivgwn e dia; bracevwn wJ" e[sti dunatovn (pp. 101, 13 e 101, 18-102, 1). Nel De prof. Chr. Gregorio parla di ejpistolhv (p. 129, 9); anche l’idea della lettera come imitazione del dialogo (p. 129, 13-14 dia; th'" ejpistolimaivou tauvth" fwnh'" th;n kata; provswpon hJmw'n sunousivan mimhvsasqai) è un elemento presente nella teoria retorica antica (cf. ad es. DEMETRIO, De eloc., 223-227, sul rapporto tra epistola e dialogo). Per la Vita Macrinae cf. p. 370, 1-6, e i passi citati nel commento al cap. I del Contra fatum.
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tourgw'/ Qeofivlw/ Grhgovrio"),84 e del De perfectione, indicato in due manoscritti85 come ejpistolhv. Un trattato è la Lettera sulla differenza tra oujsiva e uJpovstasi", edita tra le lettere di Basilio (ep. 38) ma restituita ormai al Nisseno.86 Sulla persona del destinatario del Contra fatum non sembra possibile giungere a conclusioni sicure. McDonough sembra esser stato propenso ad accettare l’indicazione contenuta nel Vatic. gr. 1907, che individua il destinatario in Pietro fratello di Gregorio;87 ma nell’apparato della sua edizione è prudente («an re vera Petro fratri epistula adscripta sit non constat»). Certamente erronea è invece l’identificazione del destinatario dello scritto con Teofilo di Alessandria, contenuta nel Lipsiensis gr. 13; poiché in altri codici testualmente affini al Lipsiensis, ed in particolare nell’Ambrosianus C 135 inf., il Contra fatum è preceduto dal trattato Adversus Apolinaristas dedicato a Teofilo, è plausibile l’ipotesi formulata da McDonough88 che il nome di Teofilo sia passato per errore nella inscriptio del Contra fatum dalla subscriptio del testo che nel modello del Lipsiensis – o in una fase ancora anteriore della tradizione manoscritta – lo precedeva immediatamente.
84
Si vedano i rispettivi apparati in GNO III 1, Leiden 1958, pp. 61 e 119. Per l’Ad Theophilum alla testimonianza di parte della tradizione manoscritta greca si aggiunge l’indicazione ‘epistola’ presente nella versione siriaca. 85 Cf. l’apparato in GNO VIII 1, p. 173. 86 Cf. R. HÜBNER, Gregor von Nyssa als Verfasser der sog. ep. 38 des Basilius, in J. FONTAINE - CH. KANNENGIESSER (ed.), Epektasis. Mélanges patristiques offerts au Cardinal Jean Daniélou, Paris 1972, pp. 463490; P.J. FEDWICK, A Commentary of Gregory of Nyssa or the 38th Letter of Basil of Caesarea, in «OrChrPer» 44 (1978), pp. 31-51. 87 Cf. B.R. VOSS , Der Dialog in der frühchristlichen Literatur, München 1970 («Studia et testimonia antiqua» 9), p. 183 n. 34. 88 Praefatio, p. LXV.
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Unico appiglio interno al testo è l’espressione w\ timiva moi kai; iJera; kefalhv, con la quale Gregorio si rivolge al destinatario. Se ne può ricavare, con buona probabilità, che Gregorio s’indirizza ad una carica ecclesiastica, forse ad un vescovo;89 ma anche questa deduzione non è sicura.90 Se l’introduzione del Contra fatum colloca lo scritto all’interno del genere della lettera/trattato, il seguito – il dibattito tra Gregorio ed il filosofo pagano – lo riconduce al genere del dialogo filosofico-apologetico, resoconto, per lo più fittizio e comunque sempre soggetto ad una profonda rielaborazione letteraria, di un colloquio tra un cristiano ed un filosofo pagano, quali ad esempio l’Ottavio di Minucio Felice (fine del II secolo o inizio del III), le Consultationes Zacchaei Christiani et Apollonii philosophi (scritto anonimo della fine del IV o degli inizi del V secolo), il Teofrasto di Enea di Gaza (fine del sec. V) o l’Ammonio di Zaccaria Scolastico (prima metà del sec. VI). In forma dialogica la tematica del fato e del libero arbitrio era stata affrontata già da Filone Alessandrino nel secondo libro del Peri; pronoiva" e, nella letteratura cristiana anteriore
89
Così già L.-S. LE NAIN DE TILLEMONT, Mémoires ... cit., p. 587: «Un de ses amis, qui estoit peut-estre l’Evesque du lieu». 90 Per l’uso di kefalhv accompagnato da uno o più attributi come Anredeform nell’epistolografia ecclesiastica cf. L. DINNEEN, Titles of Address in Christian Greek Epistolography to 527 A. D., Washington 1929, pp. 65-66; H. ZILLIACUS, Untersuchungen zu den abstrakten Anredeformen und Höflichkeitstiteln im Griechischen, Helsinki 1949, p. 80; ID., Anredeformen, in RAC, Suppl. I (2001), coll. 465-497: 488 («allgemeine freundschaftliche A[nredeform]»). Nella gran parte dei casi, l’espressione iJera; kefalhv è usata in riferimento a vescovi; vi sono però alcune attestazioni che si riferiscono a persone la cui posizione sociale non ci è nota. Secondo B.R. VOSS (Der Dialog ... cit., p. 183), «aus der Anrede w\ timiva moi kai; iJera; kefalhv ist nichts zu entnehmen». I «titres de politesse» adoperati dal Nisseno sono stati raccolti da P. MARAVAL, Vie de sainte Macrine, Paris 1971 (SC 178), pp. 274-275.
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al Nisseno, da Bardesane di Edessa nel Dialogo delle leggi dei paesi e da Metodio di Olimpo nel trattato Sul libero arbitrio.91 All’interno della produzione del Nisseno, la forma di dialogo filosofico avvicina il Contra fatum al De anima et resurrectione, scritto prossimo al nostro anche cronologicamente.
VI. LE FONTI Che chi scrisse il Contra fatum disponesse di un ampio bagaglio di letture, soprattutto filosofiche, ben assimilate è un dato che emerge in modo evidente così dal suo linguaggio come dal sicuro procedere argomentativo. Ricostruire con precisione la biblioteca del Nisseno, indicare le fonti della sua produzione non è tuttavia facile; una difficoltà rilevata più volte dagli studiosi. 92 Per il Contra fatum sembra comunque possibile dire qualcosa. Già il titolo dell’opera (non Sul fato, ma Contro il fato) avvicina il trattatello nisseniano al trattato, assai più ampio ed anteriore di non molti anni, di Diodoro di Tarso.93 Il reso91
Sul genere del dialogo nella letteratura cristiana cf. G. BARDY, voce Dialog. B. Christlich in RAC III (1957), coll. 945-955; M. HOFFMANN , Der Dialog bei den christlichen Schriftstellern der ersten vier Jahrhunderte, Berlin 1966 (TU 96); B.R. VOSS, Der Dialog ... cit. Il dialogo che inscena un confronto tra un cristiano ed un filosofo pagano è, a sua volta, parallelo ai dialoghi tra un cristiano ed un seguace di diversa tradizione religiosa (per lo più un giudeo o un manicheo) o tra un rappresentante dell’ortodossia ed un adepto di una dottrina eretica. 92 Cf. H. DÖRRIE, voce Gregor III (Gregor von Nyssa), in RAC XII (1983), coll. 863-895: 884-885; M. BANDINI, Note sulla tradizione e sul testo di Gregorio Nisseno, in «Riv. di filol. e di istr. class.» 128 (2000), pp. 323-337: 323. 93 Su Diodoro cf. L. ABRAMOWSKI in DHGE XIV (1960), coll. 496504; CH. SCHÄUBLIN in TRE VIII (1981), pp. 763-767; CH. KANNENGIESSER in LThK III (1995), col. 238. Egli, come testimonia l’epistolario di Basilio, entrò in contatto diretto con i Cappadoci negli anni del-
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conto foziano consente di rilevare tracce sicure dello scritto di Diodoro soprattutto nella parte finale del nostro testo, a partire dal cap. XVI; 94 ed è, credo, probabile che se il testo diodoreo ci fosse conservato più largamente che nei soli estratti di Fozio noi saremmo in grado di scorgere altri debiti del Nisseno; debiti da intendersi comunque come spunti ripensati, rielaborati, riplasmati, o in ogni caso sempre inseriti nel tessuto di un nuovo pensiero coerente. Non si tratta dell’unico caso in cui Gregorio segnala al lettore già nel titolo un rapporto privilegiato con l’opera di un altro autore: si pensi alla Vita di Mosè e al suo rapporto, diretto ed ampio ma tutt’altro che passivo, con l’omonimo trattato di Filone.95 Accanto a questa fonte principale troviamo nel Contra fatum evidenti reminiscenze dagli scritti del fratello e maestro Basilio, soprattutto dalla sesta Omelia sull’Esamerone,96 ma non solo.97 Della letteratura antiastrologica Gregorio utilizza il Dialogo delle leggi dei paesi di Bardesane,98 notogli, molto probabilmente, attraverso l’estratto compreso nel sesto libro della Praeparatio evangelica di Eusebio; nella stessa antologia, o nella Filocalia, egli trovava il Commento al Genesi di Origene.99 Probabilmente noto a Gregorio è, ancora, il De providentia di Filone; con questo e con altri l’esilio da Antiochia (372-378); fu a fianco del Nisseno nel concilio costantinopolitano del 381, al termine del quale anch’egli, come Gregorio, fu nominato tra i vescovi garanti dell’ortodossia. 94 Vedi il commento a XVI 1 e 2, XVII 1, XIX 2 e 3, XXI 1 ss., XXI 4 e 5, XXIII 5-6. 95 Su questo rapporto cf. D.T. RUNIA, Philo in Early Christian Literature, Assen 1993, pp. 256-261. 96 Vedi il commento a IX 1, XII 2-4, XIII 1. 97 Vedi il commento a X 1-2. 98 Vedi il commento a II 3 e soprattutto al cap. XIX. 99 Vedi il commento a II 2, XIX 3, XXI 5, XXII 1-2. Per la conoscenza da parte di Gregorio di questo testo origeniano cf. J. DANIÉLOU, Philon et Grégoire de Nysse, in Philon d’Alexandrie. Actes du colloque
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testi filoniani sono possibili accostamenti in più passi,100 senza tuttavia che si possa cogliere, salvo forse in un caso,101 una sicura dipendenza. Lo stesso vale per il trattato plotiniano II 3.102 Dell’ipotesi di Amand, secondo cui lo scritto di Gregorio dipenderebbe da una fonte letteraria risalente, direttamente o indirettamente, a Carneade, si è già parlato.103 VII. LA TRASMISSIONE DEL TESTO: TRADIZIONE MANOSCRITTA, VII. EDIZIONI, TRADUZIONI Il testo del Contra fatum ci è giunto, integralmente o in estratti, in ventitré codici. I codici portatori di tradizione, vale a dire quelli che non derivano da un altro codice conservato, sono i seguenti:104 – Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Gronovianus 12, del sec. XVI. Contiene opere di Gregorio Nisseno e di altri Padri; il Contra fatum ai ff. 144v-155v. Sigla: L. du CNRS (Lyon, 11-15 septembre 1966), Paris 1967, 333-345: 342343. Ad un’altra opera origeniana, il Contra Celsum, Gregorio fa riferimento a XXIII 1. 100 Vedi in particolare il commento a III 3, IV 2-3, V 1 e 5, XIX 3. 101 Vedi il commento a XVIII 1 e il rinvio a F ILONE , De opif. mundi 45-46. La conoscenza diretta da parte di Gregorio di questo trattato filoniano è stata dimostrata da J. DANIÉLOU, Philon et Grégoire de Nysse cit., pp. 335-339, 343; cf. anche D.T. RUNIA, Philo in Early Christian Literature cit., pp. 252-256. 102 Cf. il commento a IV 4, V 2-3, IX 2, XII 4. 103 Cf. supra, pp. 24-25. 104 Per l’eliminatio codicum descriptorum v. la praefatio dell’ediz. MCDONOUGH, in GNO III 2, Leiden-New York-København-Köln 1987, p. LV ss. L’Ambros. B 82 sup. ed il Vat. gr. 1433 derivano rispettivamente dal Marc. gr. 559 e dal Vat. gr. 1907, ma i gravi danni materiali subiti da questi due codici fanno sì che le loro copie restino per noi preziosi testimoni del testo.
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Cartaceo, ff. 277, mm 322×222, scritto a piena pagina su 31 linee. Cf. J. GEEL, Catalogus librorum manuscriptorum qui inde ab anno 1751 Bibliothecae Lugduno-Batavae accesserunt, Lugduni Batavorum 1852, p. 3. – Leipzig, Universitätsbibliothek, Lips. gr. 13, della prima metà del sec. XIV. Contiene opere di Gregorio Nisseno e di Psello; il Contra fatum ai ff. 26v -34r. Sigla: Lips. 13. Cartaceo, ff. 187, mm 250×180, scritto a piena pagina su 40 linee. Appartenne a Ugo IV di Lusignano, re di Gerusalemme e di Cipro dal 1324 al 1359.105 Cf. V. GARDTHAUSEN, Katalog der griechischen Handschriften der Universitätsbibliothek zu Leipzig, Leipzig 1898, p. 11. – London, British Library, Old Royal 16 D I, del sec. XII. Contiene opere di Gregorio Nisseno; il Contra fatum ai ff. 200r-209v. Sigla: L. Membranaceo, ff. 479, mm 240×165, scritto a piena pagina su 40 linee. Cf. G.F. WARNER - J.P. GILSON, Catalogue of Western MSS in the Old Royal and King’s Collections, London 1921. – Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ambr. B 82 sup. (gr. 109), del sec. XV. Miscellanea patristica: Gregorio Nisseno, De hominis opificio (ff. 1-78), mutilo; Teodoreto, Graec. aff. cur. (ff. 79-145r), acefalo; Gregorio Nisseno, Contra fatum (ff. 145v-159v); Basilio, Oratio ad adolesc., mutilo (ff. 159v164v). Sigla: D. Codice composito, di due parti (I = ff. 1-78; II = 79-164). 105 Ugo IV ha un posto anche nella nostra storia letteraria, come dedicatario delle Genealogie deorum gentilium del Boccaccio. Su di lui cf. C.P. KYRRIS, History of Cyprus, Nicosia 1985, p. 230.
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CONTRO IL FATO
Cartaceo, ff. IV, I (membr.), 164, II’, mm ca 225×150 (specchio di scrittura mm 152×90), scritto a piena pagina su 24/28 linee da tre copisti: a = ff. 1-78; b = ff. 79-93; c = ff. 94-164. Rubricato. Legatura del sec. XVII. Segnatura dei fascicoli al centro del margine inferiore del primo foglio recto, ripetuta al centro del margine inferiore dell’ultimo foglio verso. Il quinto foglio di guardia, membranaceo, deriva da un codice del sec. XII. Cf. AE. MARTINI - D. BASSI, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Ambrosianae, t. I, Mediolani 1906, p. 122. – Ibid., Ambr. C 135 inf. (gr. 862), della prima metà del sec. XI. Contiene opere di Gregorio Nisseno; il Contra fatum, acefalo (inc. I 1 kai; mh; crh; qeivan tina; summacivan) ai ff. 229r-247v. Sigla: M. Membranaceo, ff. III (cart.), II, 385, II’, I’ (cart.), mm ca. 315/320×255/260 (specchio di scrittura mm 215×160, con intercolunnio di mm 30), scritto su due colonne di 25 linee. Le iniziali sono state sistematicamente asportate; rubricato. Segnatura dei fascicoli nell’angolo superiore esterno del primo foglio recto. Legatura antica con dorso rifatto. Fa parte dei codici acquistati in Tessaglia nell’estate del 1608 da Antonio Salmazia, emissario del cardinale Federico Borromeo.106 Cf. AE. MARTINI - D. BASSI, Catalogus ... cit., t. II, pp. 959-961. – Ibid., Ambr. Q 13 sup. (gr. 667), della seconda metà del sec. XV. Codice miscellaneo; contiene il Contra fatum, mutilo (expl. XV 1 tw'n ajpobhsomevnwn th;n prov) ai ff. 320r-329v. 106 Cf. A. PAREDI - M. RODELLA, Le raccolte manoscritte e i primi fondi librari, in AA. VV., Storia dell’Ambrosiana. Il Seicento, Milano 1992, pp. 45-88: 76-77.
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INTRODUZIONE
Cartaceo, ff. III, 337, mm ca. 220×150 (specchio di scrittura mm ca. 150/155×90/95 nei fogli contenenti il Contra fatum), scritto a piena pagina su 22/26 linee. Segnatura dei fascicoli al centro del margine inferiore del primo foglio recto. Legatura del sec. XVII. Cf. AE. MARTINI - D. BASSI, Catalogus ... cit., t. II, pp. 747751; Denys d’Halicarnasse, Antiquités romaines. Texte établi et traduit par V. FROMENTIN, Paris 1998 (CUF), pp. 62-63. – Vaticano (Città del), Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Regin. gr. Pii II 4, del sec. XI. Contiene opere di Gregorio Nisseno; il Contra fatum ai ff. 283v-299v. Sigla: P. Membranaceo, ff. I, 315, mm 340×260 (specchio di scrittura mm 245×180, con intercolunnio di mm 20), scritto su due colonne di 29 linee. Rubricato. Legatura moderna con dorso rifatto. Appartenne ad un monastero titolato a San Giorgio, come indica la nota di possesso «tou' tropaiofovrou», apposta da una mano di poco posteriore (fine sec. XI o sec. XII) ai ff. 1r e 316r; monastero da identificarsi forse con la fondazione imperiale costantinopolitana di San Giorgio tw'n Maggavnwn. Cf. H. STEVENSON, Codices manuscripti Graeci Reginae Svecorum et Pii PP. II Bibliothecae Vaticanae, Città del Vaticano 1888, pp. 134-135; M. BANDINI, Note sulla tradizione e sul testo di Gregorio Nisseno cit., pp. 336-337. – Ibid., Vat. gr. 446, del sec. XII. Contiene opere di Gregorio Nisseno; il Contra fatum ai ff. 2r-23r. Sigla: E. Membranaceo, ff. I, 391, mm 230×180 (specchio di scrittura mm 160×120), scritto a piena pagina su 26 linee. Rubricato. Legatura moderna con dorso rifatto. Opera di due copisti contemporanei, così ripartita: a = ff. 1-352r; b = ff. 352v-391v. 45
CONTRO IL FATO
Appartenne al monastero tw'n Kellibavrwn, sul massiccio montuoso del Latros a nord-est di Mileto,107 come risulta dalla nota di possesso al f. 2r; entrò nella biblioteca pontificia nella seconda metà del sec. XV, come attesta la nota al f. 1v, d’incerta identificazione.108 Negli inventari della Vaticana figura forse già nel 1475, con certezza dal 1518. Cf. R. DEVREESSE, Codices Vaticani Graeci, t. II Codices 330-603, Città del Vaticano 1937, pp. 194-195; ID., Introduction à l’étude des manuscrits grecs, Paris 1954, pp. 91, 95 n. 11; ID., Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Città del Vaticano 1965 («Studi e testi» 244), pp. 42 n. 26, 64, 226, 307, 351, 434; P. CANART - L. PERRIA, Les écritures livresques des XIe et XIIe siècles, in Paleografia e codicologia greca. Atti del II Colloquio internazionale (Berlino-Wolfenbüttel, 17-21 ottobre 1983), a cura di D. HARLFINGER e G. PRATO, Alessandria 1991, t. I, p. 74 n. 29. – Ibid., Vat. gr. 1433, della seconda metà del sec. XII. Contiene opere di Gregorio Nisseno; il Contra fatum ai ff. 124v-133v. Sigla: Z. Membranaceo (ff. 445-452 cartacei), ff. II, 481, I’, mm 343×264 (specchio di scrittura mm 250×190), scritto a 107
Sul monastero tw'n Kellibavrwn cf. O. VOLK, Die byzantinischen Klosterbibliotheken von Konstantinopel, Thessalonike und Kleinasien, Diss. München 1954, pp. 163-166; R. JANIN, Les églises et les monastères des grands centres byzantins (Bithynie, Hellespont, Latros, Galèsios, Trébizonde, Athènes, Thessalonique), Paris 1975, pp. 229-232. Sulle fondazioni monastiche del Latros ed i loro codici vedi anche quanto notato da S. LUCÀ, Osservazioni codicologiche e paleografiche sul Vaticano Ottoboniano greco 86, in «Bollettino della Badia greca di Grottaferrata» n. s. 37 (1983), p. 138 ss. 108 L’attribuzione della nota ad Atanasio Calceopulo, proposta da Devreesse, è stata respinta da M.H. LAURENT - A. GUILLOU, Le ‘Liber visitationis’ d’Athanase Chalkéopoulos (1457-1458), Città del Vaticano 1960 («Studi e testi» 206), p. XIV n. 2.
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INTRODUZIONE
piena pagina su 34 linee. Rubricato. Legatura degli ultimi decenni del sec. XVII. Si trovava verso la metà del sec. XVI a Padova, nella biblioteca di Antonio Giberti (nipote del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti), che lo mise a disposizione di Pier Francesco Zini;109 poi al cardinale Guglielmo Sirleto (15141585), infine al duca Giovanni Angelo d’Altemps. Fu acquistato per la Biblioteca Vaticana da Paolo V (1605-1621) non prima del 1612.110 Cf. F. RUSSO, La biblioteca del Card. Sirleto, in Il Card. Guglielmo Sirleto (1514-1585). Atti del Convegno di studio nel IV centenario della morte, a cura di L. CALABRETTA - G. SINATORE, Catanzaro-Squillace 1989, pp. 219-299: 235; P. CANART - L. PERRIA, Les écritures livresques des XIe et XIIe siècles cit., t. I, p. 101. – Ibid., Vat. gr. 1907, della seconda metà del sec. XII. Contiene quasi tutto il corpus di scritti di Gregorio Nisseno; il Contra fatum, mutilo, ai ff. 50r-51v (expl. ejk touvtou dh'lovn ejstin: ejk = cap. XI 2). Sigla: S. 109
Che il codice utilizzato dallo Zini sia da identificare con il Vat. gr. 1433 è stato dimostrato da H. HÖRNER, Auctorum incertorum sermones de creatione hominis, sermo de Paradiso, GNO Supplementum, Leiden 1972, pp. CXLV-CXLVI; errata l’identificazione con il Vat. gr. 1907 suggerita da A. VAN HECK (GNO IX, Leiden 1967, p. 89), ribadita da A. S METS - M. VAN E SBROEK (in BASILE DE C ÉSARÉE , Sur l’origine de l’homme, Paris 1970, SC 160, pp. 141-142) e recepita in P. CANART, Codices Vaticani Graeci cit., t. II, p. LXII ed ora anche in L. BOSSINA - E.V. MALTESE, Dal ’500 al Migne. Prime ricerche su Pier Francesco Zini (15201580), in I Padri sotto il torchio. Le edizioni dell’antichità cristiana nei secoli XV-XVI, a cura di M. CORTESI, Firenze 2002, pp. 217-287: 228. Non vedo su quale base Bossina scrive che lo Zini trovò il codice in Vaticana: nell’epistola dedicatoria premessa all’edizione patavina del 1550 il canonico narra di esservisi imbattuto «in Antonii Giberti ... bibliotheca». 110 Cf. G. MERCATI, Codici latini Pico Grimani Pio e di altra biblioteca ignota del secolo XVI esistenti nell’Ottoboniana e i codici greci Pio di Modena, Città del Vaticano 1938 («Studi e testi» 75), p. 106 ss.
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CONTRO IL FATO
Su carta orientale, ff. 308, mm 370×265 (specchio di scrittura mm 270/290×165/175 circa), scritto a piena pagina su circa 65/70 linee. Rubricato. Legatura del sec. XIX. Di provenienza italo-greca. Cf. P. CANART, Codices Vaticani Graeci 1745-1962, t. I, Bibl. Vat. 1970, pp. 634-639; t. II, Bibl. Vat. 1973, pp. LXILXII; ID., Les Vaticani Graeci 1487-1962, Città del Vaticano 1979 («Studi e testi» 284), pp. 251, 253. – Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Marc. gr. 68 (coll. 353), scritto da un unico copista alla fine del sec. X o all’inizio del sec. XI. Sigla: A. Contiene opere di Gregorio Nisseno, al quale attribuisce anche il Protreptiko;" peri; metanoiva" di Asterio di Amasea; il Contra fatum è ai ff. 170r-185v. Membranaceo, ff. II, 239, II’, mm 320×230 (specchio di scrittura mm 245×135 ca.), scritto a piena pagina su 29-37 linee. Ornamentazione monocroma. Mutilo alla fine. Legatura moderna. Appartenuto al cardinale Bessarione. Cf. E. MIONI , Codices Graeci manuscripti Bibliothecae Divi Marci Venetiarum. Thesaurus antiquus, vol. I, Romae 1981, pp. 93-94; TH. ANTONOPOULOU, Two Manuscript Collections of the Works of Gregory of Nyssa and the Identification of a Manuscript of Bessarion, in «Byzantinische Zeitschrift» 93 (2000), p. 8; M. BANDINI, Note sulla tradizione ... cit., pp. 335-336. – Ibid., Marc. gr. 559 (coll. 905), del sec. XII. Contiene, con un’amplissima lacuna (cap. II 4 kai; ejpikluvsei" - cap. XVIII 1 ktizomevnh" om.) il Contra fatum (ff. 241v-243r) unitamente ad omelie di Basilio Magno e a Teodoreto, Graec. aff. cur. Sigla: Y. Membranaceo, ff. II, 243, II’, mm 300×200 (specchio di scrittura mm 215×140 ca.), scritto su due colonne (ff. 148
INTRODUZIONE
178) o a piena pagina (ff. 179-243), su 43-44 linee. Ornamentazione monocroma. Legatura moderna. Cf. E. MIONI, Codices Graeci ... cit., Thesaurus antiquus, vol. II, Roma 1985, pp. 462-464. I codici sono ripartibili in due famiglie. Una famiglia è rappresentata unicamente dal Marc. gr. 559 (Y) e dai suoi apografi; la caduta di quattro fogli nel Marciano, tuttavia, fa sì che anche l’Ambros. B 82 sup. (D), trascritto dal Marciano ancora integro, sia indispensabile per la costituzione del testo. All’altra famiglia appartengono tutti gli altri manoscritti. I codici A (Marc. gr. 68), L (Leid. Gronov. 12) e L (Old Royal 16 D I) discendono da un modello comune. Di questo codice perduto conosciamo data e possessore grazie alla nota, trascritta dall’antigrafo, conservata nel manoscritto di Leida al f. 234v: era un codice vergato nell’ottobre del 911 ed appartenuto all’igumeno Arsenio, discepolo di Metrofane metropolita di Smirne. Ad un modello comune in minuscola risalgono anche i codici M (Ambros. C 135 inf.), P (Vat. Reg. gr. Pii II 4), Lips. 13 e Ambros. Q 13 sup. In tale modello erano confluite, per contaminazione, alcune lezioni dell’altra famiglia.111 Il codice di Arsenio ed il capostipite di MPLips. 13 Ambros. Q 13 sup. discendevano da un modello comune in maiuscola (g), come indicano gli errori, propri ai due rami, derivanti da fraintendimento di lettere maiuscole. Dallo stesso codice g discendono anche gli estratti compresi nel florilegio dello pseudo-Anastasio (sec. IX o inizio del sec. X); la distinzione, trascurata da McDonough, tra le autentiche Quaestiones et responsiones di Anastasio Sinaita (secon111
Cf. J. MCDONOUGH in GNO III 2, cit., p. LXXVII.
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CONTRO IL FATO
da metà del sec. VII) e il florilegio dello pseudo-Anastasio non consente tuttavia di datare questo codice all’età anteriore ad Anastasio Sinaita.112 La posizione stemmatica del Vat. gr. 1907 (S) in relazione agli altri codici della famiglia è oscurata dalla contaminazione; esso sembra discendere per via autonoma dal capostipite della famiglia (b); un’alternativa possibile, tuttavia, è la sua derivazione da un codice della stessa stirpe di ALL contaminato con la stirpe di E (Vat. gr. 446). Da b discende invece, con ogni probabilità, E. I rapporti tra i codici sono rappresentabili con lo stemma seguente: a b g S
Y M P Lips. Ambr. 13
A L
D
E
L Z
In considerazione del fatto che non soltanto a, ma anche b e g erano codici in maiuscola (si sono dunque avute cinque distinte traslitterazioni), l’archetipo sarà collocabile in una età non molto lontana dalla composizione dell’opera. Quanto alla tradizione indiretta, si è già accennato al florilegio spirituale ed esegetico in 88 questioni noto come florilegio dello pseudo-Anastasio, che comprende ampi estratti dei capitoli XIII-XV del Contra fatum. Dallo pseu112
50
Cf. M. BANDINI, Note sulla tradizione ... cit., p. 334.
INTRODUZIONE
do-Anastasio derivano le citazioni del Contra fatum in Michele Glykas (sec. XII) e nella ÆApovdeixi" o{ti oujc w{ristai tou' kaqevkaston hJ zwhv di Niceforo Blemmide, scritta negli anni quaranta del sec. XIII.113 Edizioni e traduzioni. La prima edizione a stampa del testo greco del Contra fatum vide la luce a Parigi nel 1615, come uno degli esiti del generale impulso conosciuto in quegli anni a Parigi dall’editoria patristica.114 L’edizione si fonda su un apografo perduto del Vat. gr. 446 (E).115 Non è chiaro chi abbia curato il testo; l’epistola dedicatoria al cardinale Federico Borromeo che apre il I tomo reca il nome ora di Fédéric Morel, ora del fratello minore Claude.116 L’editio princeps parigina del 1615 è riprodotta nell’edizione in tre tomi stampata a Parigi, sumptibus Aegidii Mo113
Cf. ibid., pp. 334-335. «S. Patris nostri Gregorii episcopi Nysseni fratris Basilii magni opera omnia quae reperiri potuerunt Graece et Latine nunc primum ex mnss. codd. in lucem edita, et in duos tomos divisa. Parisiis, ex officina Nivelliana, apud Sebastianum Cramoisy, via Iacobaea, sub ciconiis. MDCXV». L’edizione uscì contemporaneamente anche «apud Michaelem Sonnium» e «apud Claudium Morellum». Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., pp. 50-51. Il Contra fatum è nel t. I, alle pp. 894-913. Per un quadro generale dell’editoria patristica a Parigi agli inizi del XVII secolo cf. P. STELLA, Editoria e lettura dei Padri: dalla cultura umanistica al modernismo, in Complementi interdisciplinari di patrologia, a cura di A. QUACQUARELLI, Roma 1989, p. 810 ss. 115 Cf. J. MCDONOUGH in GNO III 2, cit., pp. LXXI e LXXXIII. 116 Su Fédéric Morel il giovane (Paris 1552 - Paris 1630) cf. L’Europe des humanistes (XIVe-XVIIe siècles). Répertoire établi par J.-F. MAILLARD - J. KECSKEMÉTI - M. PORTALIER, Paris 1995, pp. 312-313. Su Claude leggiamo nel Michaud (Biographie Universelle, t. 29, p. 274) che «Quelques-uns de ses contemporains ont loué son érudition et son assiduité au travail; les belles éditions qu’il a publiées justifieraient assez leurs éloges, si l’on ne savait pas que l’honneur doit en revenir presque entièrement à son frère». 114
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CONTRO IL FATO
relli, nel 1638.117 Dall’edizione del 1638 discende il testo compreso nel vol. 45 (coll. 145-174) della «Patrologia Graeca» del Migne, uscito a Parigi nel 1858. L’edizione del solo Contra fatum curata da P.C. Iordachescu e Th. Simenschy (Sancti Gregorii Nysseni Contra fatum, Chisinau 1938)118 riproduce il testo della «Patrologia Graeca». La prima edizione scientifica del Contra fatum è quella, già più volte citata, di J. McDonough;119 alla base di essa sta la dissertazione di Harvard del 1952.120 Anteriormente all’editio princeps del testo greco, nel 1596, l’opera aveva visto la luce in traduzione latina a Ingolstadt in una piccola raccolta di opuscoli del Nisseno.121 Tale raccolta, come già il frontespizio indica, è formata da materiali di diversa provenienza: un gruppo di opuscoli curati dal gesuita Fronton du Duc122 sulla base di codici conservati in Francia (lo si legge nella dedica del medesimo, datata 1594: «ex variis Galliae Bibliothecis»), cui l’altro gesui117 Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., pp. 58-60. Il Contra fatum è nel t. II, pp. 62-81. 118 Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., p. 106. 119 Gregorii Nysseni Opera dogmatica minora, GNO III 2, LeidenNew York-København-Köln 1987, pp. LV-LXXXIV (praefatio), pp. 31-63 (testo). 120 The Treatise of Gregory of Nyssa Contra fatum. A Critical Text with Prolegomena, by J. M C D ONOUGH . Diss. Harvard University (Cambridge, Mass.) 1952. 121 «D. Gregorij Nysseni opuscula nonnulla, nunc primum in lucem edita per R. P. Frontonem Ducaeum Societatis Iesu Theologum. Quibus accesserunt quaedam alia eiusdem D. Gregorii ex Bibliotheca Bavarica Serenissimi Principis Gulielmi utriusque Bavariae Ducis, & c. Ingolstadii ex Typographia Davidis Sartorii anno MDXCVI». Il Contra fatum è alle pp. 103-127. Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., p. 42. 122 Su F. du Duc (Bordeaux 1559 - Paris 1624) cf. L’Europe des humanistes ... cit., p. 164.
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INTRODUZIONE
ta Jacob Gretser,123 professore a Ingolstadt e curatore dell’insieme, ha fatto seguire le traduzioni del Contra fatum e del Contra usurarios, fondate sul Monac. gr. 47.124 Nella stampa di Ingolstadt, però, il nome del Gretser quale traduttore del Contra fatum non compare; di qui la dizione «incerto interprete» che accompagna la traduzione latina del Contra fatum in tutte le sue ristampe, con l’unica eccezione dell’edizione parigina del 1605 che – certo per errore – l’attribuisce nel testo (ma non nell’indice) a Fronton du Duc.125 Un’epitome in latino del Contra fatum, basata sull’edizione del 1638, fu edita ad Augsburg nel 1791 dal benedettino Domenico Schram.126 123
Su J. Gretser (Markdorf 1562 - Ingolstadt 1625) cf. ibid., p. 219. Nell’epistola Ad lectorem il Gretser scrive: «Libellum de fato suppeditavit nobis Bibliotheca Bavarica», e poco oltre: «Ex eodem Bavarico codice deprompsimus orationem contra faeneratores». Per l’identificazione del codice con il Monac. gr. 47 cf. J. MCDONOUGH in GNO III 2, cit., pp. LXXXII-LXXXIII (per il Contra fatum); E. GEBHARDT in GNO IX, Leiden 1967 (rist. 1992), p. 135 (per il Contra usurarios). 125 Sulla paternità della traduzione cf. H. BROWN WICHER, Gregorius Nyssenus, in Catalogus translationum et commentariorum, 5, Washington 1984, pp. 104-106. La conclusione della studiosa americana («one can say definitely that Gretser authored the Latin version of Contra usurarios; one can only say that he may also have translated Contra fatum») è a mio parere eccessivamente prudente; dai passi dell’epistola Ad lectorem citati sopra (cf. la nota precedente) è lecito dedurre che le due versioni sono opera di un medesimo traduttore. La traduzione del Gretser (sulla quale si veda il giudizio severo di D. AMAND, Fatalisme ... cit., p. 423 n. 1) è stata ristampata sia in edizioni latine del Nisseno (Parigi 1605, Colonia 1617), sia, in forma ritoccata, a fianco del testo greco (nell’editio princeps del 1615, in quella del 1638, nel Migne), sia in accompagnamento alla traduzione francese di Léonce de Saporta (Chefs-d’oeuvre des Pères de l’Eglise, t. X, Paris 1838). Per l’edizione parigina del 1605 cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., pp. 46-47; per quella di Colonia cf. ibid., pp. 53-54; per l’edizione latino-francese cf. ibid., p. 80. 126 «P. Dominici Schram ... analysis operum SS. Patrum et scriptorum ecclesiasticorum, t. XIV, Augustae Vindelicorum, sumptibus 124
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CONTRO IL FATO
Quanto alle traduzioni in lingue moderne, oltre a quella francese già ricordata si sono avute una traduzione tedesca (Kempten 1853)127 ed una greca di A. Kokkinakis (Tessalonica 1979).128 Più recenti sono la traduzione inglese di C. McCambley 129 e quella parziale (capitoli I-XI) compresa nella recente monografia sul Nisseno di A. Meredith.130 Una nuova traduzione francese, di M.-E. Allamandy, è in corso di stampa nel volume Les Pères de l’Église et l’Astrologie, Paris 2003. Per la presente edizione non si è proceduto ad un riesame completo della tradizione manoscritta, ma ci si è limitati all’analisi dei codici ritenuti, allo stato attuale degli studi, portatori di tradizione. Sono stati ricollazionati direttamente i codici Ambros. B 82 sup. e C 135 inf., Vat. Reg. gr. Pii II 4, Vat. gr. 446, 1433, 1907; su fotografia i codici Ambros. Q 13 sup., Leid. Gronov. 12, Marc. gr. 68 e 559. Per i codici di Lipsia e di Londra ci si è fondati sull’apparato dell’edizione di McDonough. La suddivisione in capitoli e paragrafi è nostra. L’apparato è estremamente selettivo; esso mira a portare all’attenzione del lettore i punti che mi paiono, in misura maggiore o minore, ‘in sofferenza’. Ci si è discostati dall’edizione di McDonough nei seguenti passi (a parte le divergenze nell’interpunzione):
Matthaei Rieger p. m. filiorum, MDCCXCI». Il Contra fatum è alle pp. 325-338. Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., pp. 75-76. 127 Sämmtliche Werke der Kirchenväter, Bd. 39, pp. 201-223. Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., p. 85. 128 Grhgorivou Nuvssh" a{panta ta; e[rga, I, Qessalonivkh 1979, pp. 160-209. Cf. M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor von Nyssa cit., p. 129. 129 «Greek Orthodox Theological Review» 37 (1992), pp. 309-332. 130 Gregory of Nyssa, London and New York 1999, pp. 64-73.
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INTRODUZIONE
I3 II 2 ibid. II 6
fulattovmeno" : fulassovmeno" McD. (p. 32, 7) ejpei; de; : ejpeidh; de; McD. (p. 32, 14) ajllav tino" : ajlla; diav tino" McD. (p. 32, 16) tau'ta pavnta kai; ta; toiau'ta : pavnta ta; toiau'ta McD. (p. 34, 4) VI 3 ejn servavi, seclusit McD. (p. 40, 14) ibid. dÆ ejn eJni; : de; eJni; McD. (p. 40, 19) VII 2 moirw'n hJmi'n : hJmi'n McD. (p. 41, 19) VIII 3 tw'/ mikrav : mikrav McD. (p. 42, 9) VIII 7 ÆEn oujdeni; : oujdeni; McD. (p. 43, 19) IX 4 parÆ uJmw'n : parÆ uJmi'n McD. (p. 45, 1) h] tovnde h] tovnde tw'n k. t. ej. ajneiloumevnwn : [h]] tovnXII 2 de to;n k. t. ej. ajneilouvmenon McD. (p. 47, 13-14) XII 3 tw'/ Puroventi : tw'/ puroventi McD. (p. 47, 19) XII 4 diexevrcontai : dievrcontai McD. (p. 48, 13) XII 5 eiJmarmevnh" eiJmarmevnhn : eiJmarmevnhn eiJmarmevnh" McD. (p. 48, 19) XIV 1 ejkgovnou" : ejggovnou" McD. (p. 49, 21) XV 4 ejn mia'/ crovnou rJoph'/ : mia'/ crovnou rJoph'/ McD. (p. 51, 17) XVI 2 e{teroi oi{ : e{teroiv McD. (p. 53, 12) ibid. oiJ to;n a[ntlon : to;n a[ntlon McD. (p. 53, 13) XVI 3 wjnei'tai ti" : wjnei'tai McD. (p. 53, 17) XVI 5 tivna : tiv" McD. (p. 54, 6) ibid. h] oJ : h] kai; oJ McD. (p. 54, 9) uJperiscuvsante" : uJperiscuvonte" McD. (p. 54, 11) ibid. XVIII 1 qavlatta : qavlassa McD. (p. 55, 18) XXI 3 o[ntw" : o[nto" McD. (p. 59, 11) XXI 4 levgw dh; th'" : levgw de; McD. (p. 59, 23) XXII 1 mh; tosou'ton : mh; McD. (p. 60, 15) o{son tw'/ ejsfalmevnw/ : tw'/ ejsfalmevnw/ McD. (p. 60, 15) ibid. XXII 3 tina parekivnhse : parekivnhse McD. (p. 61, 10) XXIII 2 blepovntwn oujdei;" : oujdei;" McD. (p. 62, 7) XXIII 4 dia; pavsh" : pavsh" McD. (p. 62, 19) 55
CONSPECTUS SIGLORUM
A M P S Z E
Marc. gr. 68, saec. X ex. vel XI in. Ambr. C 135 inf., saec. XI a. m. Vat. Regin. gr. Pii II 4, saec. XI Vat. gr. 1907, saec. XII p. m. Vat. gr. 1433, saec. XII p. m. Vat. gr. 446, saec. XII
b
consensus codicum AMPS(Z)E
Y D
Marc. gr. 559, saec. XII Ambros. B 82 sup., saec. XV
Raro citantur: L Londin. Bibl. Brit. Old Royal 16 D I, saec. XII Lips. 13 Lipsiensis gr. 13, saec. XIV a. m.
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CONTRO IL FATO TESTO E TRADUZIONE
KATA EIMARMENHS
I 1. Mevmnhsai pavntw" o{ tiv moi gevgonen, o{te prwvhn dia; pollou' parÆ uJma'" to; mevga th'" ajpistiva" o[ro", eujaggelikw'" eijpei'n,a eij" pivstin metekinhvqh, tou' sofwtavtou Eujsebivou th'" polia'" ajxivw" ejn ghvra/ bouleusamevnou, ei[per ajnqrwvpou boulh;n ei\nai crh; tauvthn logivsasqai kai; mh; qeivan tina; summacivan tou' dioikou'nto" ejpÆ ajgaqw'/ to; ajnqrwvpinon: I 2. tovte dhv moi pro;" to; paravdoxon ejkpeplhgmevnw/ tou' qauvmato", pw'" oJ tosou'to" ejn ajpistiva/ to; provteron pollaplasivoni tw' / megevqei th'" pivstew" uJperevbale th'" ajpistiva" to; mev t ron, ej p eidhv ti" proi> o uv s h" hJ m i' n th' " sunousiv a " tw' n kata; th;n eiJmarmevnhn zhtoumevnwn lovgo" ejnevpesen, ejpevtaxa", w\ timiva moi kai; iJera; kefalhv, th;n genomevnhn moi prov" tina tw'n filosovfwn diavlexin ejn th'/ megavlh/ tou' Kwnstantivnou povlei peri; th'" uJpoqevsew" tauvth" ejggravfw" soi diÆ ejpistolh'" dihghvsasqai. I 3. Mikra'" toivnun ejpitucw;n scolh'", diÆ ojlivgwn, wJ" oi|ovn te, suntemw;n to;n lovgon
Inscriptio kata; eiJmarmevnh" b : peri; eiJmarmevnh" Y pro;" pevtron to;n i[dion ajdelfo;n S : pro;" qeovfilon ajlexandreiva" Lips. 13 I 1 gevgonen o{te APSE : gegonovti Y I 2 post genomevnhn om. moi EY
60
to; mevga APSE : o{te to; mevga Y
CONTRO IL FATO
I 1. Ricordi certo quel che mi è accaduto, quando di recente, dopo molto tempo presso di voi, il gran monte dell’incredulità si è spostato alla fede – per adoperare un linguaggio evangelico a –, con la risoluzione, degna dei suoi capelli bianchi, presa in vecchiaia dal sapientissimo Eusebio – se davvero la si deve ritenere, questa, una decisione umana, e non piuttosto un aiuto divino, di Colui che governa le umane vicende indirizzandole al bene –: I 2. stupito di fronte a quell’evento straordinario, mi chiedevo come uno che in passato si era tanto distinto nell’incredulità poteva aver ora superato la misura dell’incredulità con la grandezza della sua fede, molte volte maggiore. Col procedere della nostra conversazione, il discorso cadde sulle questioni relative all’idea di destino; e tu mi chiedesti, o mio prezioso e sacro amico, di narrarti per scritto, in una lettera, la conversazione da me avuta su questo argomento con un filosofo nella grande città di Costantino. I 3. Trovato un po’ di tempo, ho sintetizzato in breve, per quanto possibile, tale conversa-
I
a
Cf. Mt 17,20
61
I 3 - II 3
ejktivqemaiv soi ejn aJplw'/ kai; ajkataskeuvw/ tw'/ dihghvmati, fulattovmeno" o{ti mavlista tou' mh; povrrw tw'n ejpistolimaivwn mevtrwn ejkpesei'n to;n lovgon, eij" logografiko;n mh'ko" ajpoteinovmenon. II 1. Prosh'gon ejgwv tina" peri; th'" kaqÆ hJma'" eujsebeiva" lovgou" ajndriv tini pepaideumevnw/ th;n e[xw filosofivan, wJ" ejnh'n ejk tw'n legomevnwn stocavsasqai, kai; peivqein ejpeceivroun ejk tou' ïEllhnismou' pro;" th;n sugkatavqesin tou' kaqÆ hJma'" dovgmato" metatavxasqai: II 2. ejpei; de; polu;" h\n kataskeuavzwn mh; katÆ ejxousivan prokei'sqai toi'" boulomevnoi" tw'n kata; gnwvmhn th;n ai{resin, ajllav tino" ejxavptwn ajnavgkh" th;n tw'n ajnqrwvpwn zwhvn, h|" a[neu mh; a[n ti genevsqai tw'n ejn hJmi'n ginomevnwn, kai; touvtw/ tw'/ lovgw/ to;n ejmo;n parekrouveto lovgon, wJ" eij me;n ei{martai aujtw'/ genevsqai Cristianw'/ genhvsetai pavntw", ka]n hJmei'" mh; boulwvmeqa, eij de; kwluvoito th'/ th'" eiJmarmevnh" ajnavgkh/ mh; a]n genevsqai dunato;n ejxeurei'n tina mhcanh;n h} th;n eiJmarmevnhn biavsetai: tau'ta levgonto" ejgw; mevn, o{per eijko;" h\n, feuvgein w[/mhn aujto;n to; maqei'n ti peri; th'" pivstew" tw'/ ïEllhnismw'/ dia; bavqou" ejgkeivmenon kai; touvtw/ tw'/ trovpw/ th;n ajkolouqivan tou' hJmetevrou parakrouvesqai lovgou: II 3. ejpei; de; oujk ajnivei toi'" aujtoi'" ejpimevnwn, pavnta levgwn uJpezeu'cqai th'/ th'" eiJmarmevnh" ajnavgkh/ kajkeivnhn ejpistatei'n tw'n o[ntwn kai; th'/ rJoph'/ tauvth" pavnta uJpokuvptein ta; o[nta, zwh'" te mevtra kai; hjqw'n diafora;" kai; bivwn aiJrevsei" kai; swmavtwn kataskeua;" kai; ta;" tw'n ajxiwmavtwn ajnwmaliva", wJ" a[rcein te
I 3 fulattovmeno" Y : fulassovmeno" b II 1 filosofiv a n ASY : sofiv a n MPE II 2 ej p ei; de; E : ej p eidh; AMPSY ei{martai MPSE : ei{marto Y boulwvmeqa b : bouloivmeqa Y h} b : h|/ Y II 3 ejpistatei'n tw'n o[ntwn ASE : ejpistatei'n eJkavstw/ tw'n o[ntwn MP eJkavstw/ tw'n o[ntwn ejpistatei'n Y
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I 3 - II 3
zione, e te la espongo in forma semplice e priva di elaborazione. Soprattutto ho cercato di evitare che il discorso debordasse rispetto alle misure di una lettera, assumendo l’estensione di un trattato. II 1. Io arrecavo alcuni argomenti sulla nostra religione ad un uomo di formazione culturale pagana, come si poteva arguire dai suoi discorsi, e tentavo di persuaderlo a passare dal paganesimo all’accettazione della nostra dottrina. II 2. Lui insisteva nell’affermare che non sta in noi scegliere ciò che vogliamo e nel far dipendere la vita umana da una sorta di necessità, senza la quale nulla avverrebbe di ciò che avviene in noi, e stornava i miei argomenti con questo discorso: se era destino per lui di diventare cristiano lo sarebbe diventato comunque, anche se noi non lo avessimo voluto, mentre se ne era impedito dal fato ineluttabile non sarebbe stato possibile trovare alcun mezzo per forzare il destino. A queste parole io, com’era naturale, pensavo che lui, profondamente immerso nella cultura pagana, rifuggisse dall’imparare qualcosa sulla fede, e si sottraesse in tal modo alla coerenza del nostro discorso; II 3. ma poiché non cessava di ripetere lo stesso argomento, dicendo che tutto è sottoposto al giogo del destino ineluttabile, e che esso è signore del mondo, e al suo volere s’inchina tutto ciò che è: lunghezza della vita, difformità di caratteri, scelte di modi di vita, costituzioni fisiche, diversità di posizioni sociali; cosicché comanda comunque chi giunge al pote-
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pavntw" to;n kaqÆ eiJmarmevnhn ejpi; th;n ajrch;n pariovnta, douleuvein te kata; th;n aujth;n aijtivan kai; ploutei'n wJsauvtw" kai; pevnesqai, ejrrw'sqaiv te pavlin tw'/ swvmati kai; ajsqenw'" e[cein, II 4. tov te wjkuvmoron kai; to; makrovbion th;n aujth;n e[cein aijtivan (o{ te ga;r ejn ojlivgw/ metascw;n th'" zwh'" kai; oJ ejn makrw'/ tw'/ crovnw/ parateivna" to;n bivon ouj katÆ oijkeivan oJrmh;n ajllÆ ejk th'" ajnavgkh" ejkeivnh" ejn eJkatevrw/ eJkavtero" givnetai), tovn te aujtovmaton kai; to;n hjnagkasmevnon qavnaton mh; a[llw" h] parÆ ejkeivnh" ajpoklhrou'sqai tou' te biaivou qanavtou ta;" polutrovpou" diafora;" ejn sumptwvmasin h] ajgcovnai" h] yhvfw/ dikastikh'/ h] kai; katÆ ejpiboulh;n ejpagomevna", kai; ta; e[ti touvtwn kaqolikwvtera kai; perilhptikwvtera pavqh, seismou;" kai; nauavgia kai; ejpikluvsei" uJdavtwn kai; ta;" ejk puro;" sumfora;" kai; o{sa toiau'ta ei[dh kakw'n, II 5. pavnta th'" aijtiva" ejkeivnh" ejxavptwn prosetivqei kai; tw'n kata; to;n bivon ejpithdeumavtwn mhdamou' to;n logismo;n tou' aiJroumevnou kuvrion ei\nai, pavnta" de; tw'/ kravtei th'" eiJmarmevnh" uJphretou'nta" h] filosofei'n h] rJhtoreuvein h] gewrgei'n h] nautivllesqai h] ejn gavmw/ zh'n h] to;n a[gamon aiJrei'sqai biv o n, aj r eth' " te kai; kakiv a " th; n auj t h; n aj n av g khn ei\ n ai dii>scurivzeto: w{ste kata; th;n ajparavbaton tauvthn ajpoklhvrwsin to;n me;n th'/ uJyhlotevra/ prosanevcein zwh'/ ejn ajkthvmoni kai; ejleuqeriavzonti bivw/, e{teron de; tumbwrucei'n h] peirateuvein h] ajswteuvesqai h] tw'/ eJtairikw'/ bivw/ ajpoqhluvnesqai. II 6. Kai; tau'ta pavnta kai; ta; toiau'ta diexiw;n ijscura;n w/[eto tou' mh; paradevxasqai to;n lovgon hJmw'n aijtivan ejpidedei'cqai to; mh; ejfÆ hJmi'n ei\nai o{per a]n qevlwmen katÆ ejxousivan aiJrei'sqai, ajlla; dei'n ajnamei'nai th;n ajnavgkhn ejkeivnhn, h|" to; ejndovsimon pro;" th;n toiauvthn oJrmh;n parascouvsh" ejpavnagke" ei\nai prosqevsqai tw'/ lovgw/ kai; mh; boulovmenon, ante kata; add. au\ Y II 4 katÆ ejpiboulh;n b : ejpiboulh'/ Y nauavgia] hinc deficit Y II 6 tau'ta pavnta kai; ta; toiau'ta D : pavnta ta; toiau'ta b
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II 3-6
re per destino, e per la stessa causa si è servi, e allo stesso modo si è ricchi o poveri, in buona salute o malati, II 4. e alla stessa ragione sono legati il morir giovani o il vivere a lungo (perché chi ha avuto breve parte di vita e chi ha goduto di una lunga esistenza non sono l’uno in una condizione, l’altro nell’altra per una tendenza propria, ma per quella necessità); e la morte naturale e quella violenta non è altri che il destino a darle in sorte, così come le varie forme di morte violenta, per disgrazia accidentale o per strangolamento o per condanna in giudizio o per complotto; e così anche per le sciagure più generali e comprensive, terremoti, naufragi, inondazioni, incendi e ogni sorta di sciagure del genere, II 5. tutto egli insisteva nel connetterlo a quella causa, e affermava che nelle pratiche di vita mai è padrone il pensiero di chi se le sceglie, ma tutti sono asserviti alla potenza del destino, siano essi filosofi o retori, coltivino la terra o vadano per il mare, vivano nel matrimonio o scelgano il celibato; e così anche virtù e vizio sono soggetti, diceva, alla stessa necessità, cosicché secondo questa sorte ineludibile l’uno vive dedito ai valori dello spirito, in una vita povera e libera, un altro invece è ladro di tombe o pirata o conduce vita dissoluta o da effeminato, prostituendosi. II 6. Con tutta questa sua rassegna, riteneva di aver mostrato un valido motivo per non accettare il nostro discorso, cioè che non dipende da noi di scegliere a piacimento quel che vogliamo, ma si deve attendere quella necessità: se essa avesse consentito a tale inclinazione, era inevitabile ch’egli aderisse, anche suo malgrado, alla nostra
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II 6 - III 5
a[neu dÆ ejkeivnh" kai; sfovdra proairoumevnou mh; dunato;n ei\nai genevsqai. III 1. ÆEgw; de; tau'ta aujtou' kai; ta; toiau'ta diexiovnto" hjrovmhn aujto;n eij qeovn tina oi[etai ei\nai to;n to; kata; pavntwn e[conta kravto" to;n tw'/ ojnovmati th'" eiJmarmevnh" ajpokalouvmenon, ou| tw'/ boulhvmati ta; kaqÆ e{kaston oijkonomei'sqai pepivsteuken. III 2. ïO de; pollhvn mou katagnou;" ajbelthriv a n ej n tw' / ej r wthv m ati Ou[ moi dokei' " katanenohkev n ai, fhsiv, tw'n oujranivwn oujdevn. ÇH ga;r a]n e[gnw" th'" eiJmarmevnh" th;n duvnamin, o{qen kai; o{pw" katelhvfqh tw'n kaqÆ eiJrmo;n ajparabavtw" ginomevnwn hJ duvnami". III 3. ÆEmou' de; kai; pro;" tou' t on xenofwnoumev n ou to; n lov g on kaiv ti safev s teron ajxiou'nto" maqei'n, povteron duvnamivn tina proairetikh;n aujtokrath' te kai; ajdevspoton ejn uJperkeimevnh/ tini; ejxousiva/ qewroumevnhn th;n eiJmarmevnhn ei\nai fantavzetai h] a[llo ti para; tou'to uJpeivlhfe, pavlin to;n aujto;n ejpanalabw;n lovgon III 4. ïO tw'n oujranivwn, fhsivn, ejpeskemmevno" th;n kivnhsin, tovn te zw/diofovron kuvklon kai; ta; ejn aujtw'/ duokaivdeka tmhvmata th'/ perigrafh'/ tw'n ejnqewroumevnwn zw/divwn diÆ i[sou ajpÆ ajllhvlwn diesthkovta, eJkavstou te tw'n a[strwn th;n duvnamin katanohvsa", tivna me;n ejfÆ eJautou' e{kaston ejk fuv sew" ijscu;n e[cei, tiv de; hJ suvnodo" aujtw'n ejk th'" poia'" pro;" a[llhla kravsew" ajpergavzetai th'" kata; th;n duvnamin eJkavstou aujtw'n ijdiovthto" micqeivsh" te tw'/ proseggismw'/ pro;" th;n eJtevran kai; ajpokriqeivsh" dia; th'" ajpostavsew", III 5. tiv te pavlin hJ tou' katwtevrou uJpovbasi" ejrgavzetai kai; tiv hJ tou' uJperkeimevnou kata; th;n pavrodon e[kleiyi" kai; pavlin ajpokatavstasi" o{ te poikivlo" tw'n suniovntwn te kai; ajfistamevnwn schmatismo;" ejn trigwvnoi" h] skalhnoi'" katagrafovmeno" schvmasin h] kai; a[llo ti tw'n kata; gewmetrivan III 1 to;n to; MP : to; ZD to;n AE
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III 5 ejrgavzetai b : ajpergavzetai D
II 6 - III 5
dottrina; senza quella non era possibile che ciò avvenisse, per quanto egli potesse desiderarlo. III 1. Di fronte a queste e altre simili argomentazioni, io gli domandavo se riteneva che sia un dio colui che ha potere su tutte le cose e che è chiamato con il nome di ‘fato’, dalla volontà del quale, secondo il suo convincimento, sono governate le singole sorti. III 2. Lui mi accusò di grande stoltezza per tale domanda, e mi disse: «Mi pare che tu non abbia capito nulla delle cose celesti; poiché altrimenti conosceresti il senso del termine ‘fato’, donde e come è stata compresa la forza insita negli eventi che si verificano secondo un ineluttabile concatenamento». III 3. In difficoltà di fronte a questo linguaggio per me insolito, gli chiesi di chiarirmi meglio se egli si figurava il destino come una potenza dotata di volontà, sovrana e indipendente, contemplata in una superiore potestà, o lo intendeva come qualcosa di diverso da ciò. Egli allora, riprendendo lo stesso discorso, III 4. «Chi ha indagato – mi dice – il movimento dei corpi celesti, ed ha osservato il circolo zodiacale e le sue dodici sezioni ugualmente distanti l’una dall’altra in base ai perimetri delle costellazioni che in esse si contemplano, e gli effetti di ciascun astro, quale forza ha ciascuno per sua propria natura e cosa invece produce la loro congiunzione per la fusione reciproca di un certo tipo, quando la proprietà dell’influsso di ciascuno si unisce all’altra per effetto dell’avvicinamento o se ne distacca per l’allontanamento, III 5. e cosa poi produce la discesa del corpo inferiore e che cosa l’eclissi del superiore secondo la rotazione e la sua successiva reintegrazione, e il vario aspetto dei corpi che si congiungono e si allontanano, rappresentato graficamente con triangoli regolari o irregolari o realizzante qualche
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III 5 - IV 4
qewroumevnwn schmavtwn ajpotelw'n: III 6. oJ tau'ta, fhsiv, kai; ta; toiau'ta katanohvsa" ei[setai th'" eiJmarmevnh" to; shmainov m enon, o{ t i to; eiJ r mw' / tini aj p arabav t w/ kata; th; n poia;n sumplokh;n tw'n ajstevrwn ajnagkaivw" ajpotelouvmenon tw'/ ojnovmati th'" eiJmarmevnh" diermhneuvetai. IV 1. ÆEpei; dev me kai; tou'to pavlin ejxevnizen – ouj ga;r sunivein tw'n legomevnwn oujde;n a{te mh; pepaideumevno" tauvthn th;n paivdeusin – hjxivoun diÆ w|n h\n moi dunato;n gnw'nai th;n th'" eiJmarmevnh" diavnoian, dia; touvtwn moi fanero;n poiei'n to; legovmenon: IV 2. tou;" ga;r ajstrwv/ou" kuvklou" a[llon a[llw/ ejgkei'sqai kai; th;n ejnantivan kivnhsin th'/ ajplanei' perifora'/ kata; to; ejnto;" ajnelivssesqai kai; pavnta" touvtou" tw'/ zw/diakw'/ ejndinei'sqai kuvklw/, tau'ta kai; parÆ eJtevrwn ei\pon ajkhkoevnai kai; ejk tou' ajkolouvqou mh; ajmfibavllein ta;" tw'n fwsthvrwn aujga;" kata; th;n ijdiavzousan eJkavstw/ tw'n povlwn kukloforivan proseggivzein te kai; ajfivstasqai, kai; uJ p obaiv n ein to; n katwv t eron kai; kruv p tesqai to; n uJperkeivmenon ajpo; tw'n hJmetevrwn o[yewn, eij kata; nwvtou gevnoito tou' uJpobaivnonto", kai; pavnta o{sa eijko;" ejk tou' ajkolouvqou logivsasqai: IV 3. ei[te ti sch'ma dia; touvtwn ajpotelei'tai, o{tan oJ kuvklo" periavgh/ dia; th'" ijdiva" kinhvsew" to; ejfÆ eJautou' keivmenon a[stron, w{ste h] katÆ eujqei'an tou' uJperkeimevnou genevsqai h] plagiavsai kata; th;n pavrodon, ei[te diÆ ojlivgou tou' cronikou' diasthvmato" ei[te dia; pleivono" eJkavstou touvtwn hJ perivodo" givnetai kata; to; mevgeqo" th'" kaqÆ e{kaston tw'n kuvklwn ajnalogiva" ajnagkaivw" h] qa'tton h] bravdion th'" ajnastrofh'" ginomevnh". IV 4. Tau'ta pavnta kai; ta; toiau'ta siga'n hjxivoun, movnon dev moi safw'" ejkkaluvptein th'" eiJmarmevnh" th;n duvnamin, eij qeov" tiv" ej -
IV 2 eJkavstw/ b : eJkavstou D
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IV 3 plagiavsai b : plagivw" D
III 5 - IV 4
altra figura geometrica; III 6. chi ha studiato – dice – questi e simili fenomeni conoscerà il significato della parola ‘fato’: con questo nome si esprime ciò che è prodotto necessariamente da un ineluttabile concatenamento conforme ad una determinata combinazione astrale». IV 1. Anche questo suo discorso mi metteva nuovamente a disagio – non capivo nulla di quel che diceva, non avendo ricevuto nessuna formazione in questa disciplina –; gli chiedevo allora di spiegarmi quel che intendeva dire con parole dalle quali mi fosse possibile capire il concetto di ‘fato’. IV 2. Che le orbite dei pianeti s’inseriscano l’una dentro l’altra e che questi ruotino secondo un moto di senso contrario a quello della volta delle stelle fisse, all’interno di essa, e che tutti si muovano nel circolo zodiacale, queste cose, dicevo, le avevo già sentite da altri, e non dubitavo di conseguenza che i raggi dei corpi luminosi si avvicinino e si allontanino secondo il movimento circolare proprio di ciascuna sfera celeste, e che il corpo inferiore scenda e quello superiore ne risulti sottratto alla nostra vista, se viene a trovarsi alle spalle di quello che discende, e tutto quanto è verosimile dedurre con un ragionamento conseguente: IV 3. che ne risulta una figura geometrica, quando il circolo zodiacale trascina nel proprio moto il corpo celeste in essa situato, cosicché questo viene a trovarsi in posizione frontale rispetto al corpo superiore o se ne allontana obliquamente nella sua rotazione; e che la rivoluzione di ciascuno di questi corpi richiede un arco di tempo breve o maggiore, poiché necessariamente essa è più veloce o più lenta in rapporto alla maggiore o minore ampiezza di ciascuna orbita. IV 4. Di tutte queste e simili cose gli chiedevo di non parlare; si limitasse invece a spiegarmi con chiarezza il significato del termine ‘fato’, se è un dio colui che 69
IV 4 - V 1
stin oJ tw'/ ojnovmati th'" eiJmarmevnh" noouvmeno" kai; oJ tou' panto;" ejxhmmevno" to; kravto" kai; pavnta katÆ ejxousivan tw'/ uJperevconti th'" dunavmew" pro;" to; dokou'n dioikouvmeno", h] a[llh" tino;" uJperkeimevnh" ejnergeiva" uJpourgo;n ei\nai th;n th'" eiJmarmevnh" uJpotivqetai duvnamin, w{ste kai; aujth;n trovpon tina; uJpo; eJtevran eiJmarmevnhn kei'sqai th'/ uJperecouvsh/ sundiatiqemevnhn aijtiva/. IV 5. Eij me;n ga;r au{th to; kata; pavntwn kravto" e[cein pepivsteutai, to; mhde;n uJperkei'sqai tauvth" hJ ajkolouqiva tou' lovgou divdwsin oi[esqai: eij de; th'/ kinhvsei tw'n a[strwn ajkolouqou'san th;n eiJmarmevnhn kratei'n aujth;n biaiva/ tini; ajnavgkh/ tw'n pavntwn dii>scurivzetai, ajsfalevsteron h\n tw'/ prohgoumevnw/ ma'llon h] tw'/ eJpomevnw/ th;n pantoduvnamon tauvthn prosmarturei'n ejxousivan kai; ta; a[stra touvtwn ai[tia levgein h] th;n ajplanh' perifora;n h] tou;" ejnto;" tauvth" ejnqewroumevnou" kuvklou" h] to;n loxw'" ejgkecaragmevnon tw'/ povlw/ kuvklon. IV 6. Eij gavr ti" doivh kaqÆ uJpovqesin mh; kinei'sqai tau'ta mhde; dia; th'" aji>divou kukloforiva" h] ejn ajllhvloi" h] ajpÆ ajllhvlwn givnesqai, ajllÆ ejpi; tou' aujtou' schvmato" wJsauvtw" e[cein ajeiv, oujk a]n hJ eiJmarmevnh sustaivh. Eij ou\n hJ kivnhsi" tw'n a[strwn tivktei th;n eiJmarmevnhn, a[ra mavthn ejpikratei'n au{th tw'n a[llwn nomivzetai hJ th' / uJ p erkeimev n h/ aij t iv a / douleuv o usa, kai; mh; a] n ou\sa, eij mh; hJ kivnhsi" ei[h. V 1. ÆAllÆ ouj tou'to, fhsi;n oJ filovsofo" ejkei'no", oujc ou{tw" oJ hJmevtero" nomivzei lovgo", to; ei\nai aujth;n ejfÆ eJauth'" th;n eiJmarmevnhn ejn uJpostavsei tini; qewroumevnhn: ajllÆ ejpeidh; miva tiv" ejstin ejn toi'" ou\si sumpavqeia kai; sunecev" ejsti to; pa'n eJautw'/ kai; ta; kaqÆ e{kaston ejn tw'/ panti; qewrouvmena oi|on ejpi; swvmato" eJno;" ejn mia'/ sumpnoiva/ katalambavnetai, pavntwn pro;" a[llhla tw'n merw'n sunneuovntwn, touvtou cavrin aj r chgikwtev r a" ou[ s h" th' " a[ n w lhv x ew" ta; periv g eia pavnta tw'/ prohgoumevnw/ sundiativqetai kai; pro;" ejkei'no 70
IV 4 - V 1
si intende con il termine ‘fato’ ed ha potere sull’universo e tutto governa liberamente secondo la sua volontà con questo suo potere sovrano, o se invece suppone che la forza del fato sia al servizio di un’altra forza superiore, così da soggiacere anch’esso, in certo modo, ad un altro fato, essendo determinato dalla causa superiore. IV 5. Perché se è ad esso che attribuiamo il potere su tutto, ne consegue, secondo un ragionamento rigoroso, che nulla gli è superiore; se invece sosteniamo che il fato domina l’universo con una ferrea necessità seguendo il movimento dei corpi celesti, sarebbe più corretto attribuire questa onnipotenza a ciò che precede e fa da guida piuttosto che a ciò che viene dietro, e dire che causa di tutto questo sono gli astri o il cielo delle stelle fisse o le orbite che si osservano all’interno di questo o il ciclo dell’eclittica. IV 6. Se infatti ammettessimo, per ipotesi, che questi corpi non si muovessero e non si intersecassero o allontanassero gli uni dagli altri nel loro perenne moto circolare, ma stessero sempre nella stessa posizione, formando la stessa figura, non sussisterebbe il fato. Se dunque è il movimento dei corpi celesti che genera il fato, allora è erroneo credere che sia il fato a dominare ogni altra realtà, esso che è asservito alla causa superiore e che non esisterebbe se non esistesse il movimento. V 1. «Ma non è questo – dice quel filosofo –, non è così che la nostra dottrina crede, che il fato esista in sé e per sé, pensato in una sua sussistenza. Vi è negli esseri un’unica ‘compartecipazione’, l’universo è contiguo a se stesso, e ogni singolo essere che contempliamo nel tutto risulta parte di un’unica armonia, come se formasse un unico organismo, per la corrispondenza generale di tutte le parti tra loro; per questo, poiché la sfera superiore precede e guida, tutte le cose terrene si conformano a ciò che le precede e verso di 71
V 1-4
neuvei, kata; th;n a[nw kivnhsin kai; tw'n th'/de pragmavtwn ejx ajnavgkh" sugkinoumevnwn, ejn diafovrw/ dev, kaqw;" ei[rhtai, th'/ dunavmei eJkavstou tw'n a[strwn qewroumevnou. V 2. ÓWsper ej p i; th' " ij a trikh' " farmakeiv a " aiJ tw' n eij d w' n poiov t hte" lovgw/ tini; tecnikw'/ summicqei'sai a[llo ti to; ejk tou' koinou' sugkraqe;n ajpeirgavsanto kai; oujc o{per e{kaston h\n pro; th'" pro;" a[llhla mivxew", ou{tw kai; tw'n ajstrwv/wn dunavmewn ejn diafovroi" ijdiovthsi qewroumevnwn hJ poikivlh kata; tou;" proseggismou;" aujtw'n kai; ta;" ajpostavsei" ginomevnh tw'n diafovrwn ijdiwmavtwn sumplokh; ta;" poikivla" tw'n kata; to;n bivon ajpoteloumevnwn diafora;" ejxergavzetai, oi|ovn tino" ajporroh'" ajdiaspavstw" ejkei'qen ejfÆ hJma'" dihkouvsh". V 3. Diav toi tou'to kai; para; tw'n ejpimelevsteron ta; toiau'ta filosofouvntwn aiJ prorrhvsei" tw'n ejsomevnwn oujc aJmartavnontai. ïW" ga;r oJ th'" ijatrikh'" ejpisthvmwn, eij to; qermo;n h] narkw' d e" fav r makon aj n akraqeiv h tw' / aJ l mw' n ti h] parastuvfonti, prolevgei th;n susthsomevnhn ejk th'" tw'n eJterofuw' n miv x ew" ij d iov t hta kai; tiv katergav z etai kai; mev c ri tiv n o" th; n ij s cu; n e[ c ei kai; tiv n i me; n oj l ev q rion, tiv n i de; aj lexhthvrion givnetai, ou{tw" kai; oJ toi'" a[nw diÆ ejpimeleiva" proseschkw;" kai; th;n eJkavstou tw'n o[ntwn fuvsin katanohvsa" ei[setai th;n ejk th'" poia'" aujtw'n sumplokh'" duvnamin tiv ajpotelevsei. V 4. ÓAuth de; hJ ajporroh; oujde; ejn ojlivgw/ pro;" eJauth;n oJmoivw" e[cei, ajlla; dia; to; ajstatei'n ajei; tw'n ejpiplekomev n wn aj l lhv l oi" a[ s trwn th; n kiv n hsin aj n agkaiv w " kajkeivnh th'/ suneceiva/ th'" kata; th;n kivnhsin eJterovthto" sunalloiou'tai ajei; summetakirnamevnh th'/ poikiliva/ th'" kinhv s ew" kai; ta; " ej n ergeiv a " eJ a uth' " th' / kinhv s ei tw' n a[strwn sunexallavssousa: h|" tw'n ejpi; to;n bivon parago-
V 2 ejxergavzetai b : ejrgavzetai D V 4 ejpiplekomevnwn b : ejpeisplekomevnwn D eJauth'" AMPS : aujth'" ED
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V 1-4
esso convergono, e le vicende di qua si muovono di un moto necessariamente corrispondente a quello superiore, benché, come si è detto, ciascun astro noi lo osserviamo dotato di una diversa facoltà. V 2. Come nella preparazione dei farmaci le qualità dei vari elementi, mescolate secondo un criterio scientifico, producono un risultato diverso, frutto di questa fusione, e non sono più quelle che ciascun elemento possedeva prima della reciproca mescolanza: allo stesso modo anche per le forze astrali, che ci appaiono dotate ciascuna di proprietà caratteristiche, il vario intrecciarsi delle diverse proprietà originato dal loro vicendevole avvicinarsi e allontanarsi produce le molteplici varietà delle vicende umane, come per un flusso ininterrotto che da lassù giunge su di noi. V 3. Ed è questa la ragione per cui coloro che studiano in modo accurato tali fenomeni non sbagliano nel predire il futuro: come infatti chi possiede la scienza medica, se si mescola una sostanza calda o che intorpidisce a un’altra salata o astringente, può dire in anticipo la caratteristica che risulterà da quella fusione eterogenea, e quali ne siano gli effetti, e fino a che punto sia efficace, e per chi può essere letale e per chi invece salutare, allo stesso modo anche chi ha approfondito lo studio dei corpi celesti ed ha compreso la natura di ciascun essere conoscerà gli effetti prodotti dalla forza originata da una loro determinata connessione. V 4. Questo influsso non è mai, neppure per poco, uguale a se stesso, ma per il moto ininterrotto dei corpi celesti in relazione tra loro anch’esso necessariamente, per la sua connessione con i mutamenti legati a quel moto, varia ininterrottamente, adattandosi via via alla diversità del moto e mutando le proprie energie attive in conformità al movimento dei corpi celesti. Ciascun essere
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V 4 - VI 2
mevnwn e{kasto" kata; th;n ejn tw'/ ajkarei' tou' diasthvmato" ejpitucou'san aujtw'/ moi'ran spavsa" ejkei'no givnetai o{per hJ ijdiovth" tou' mevrou" ejkeivnou proemhvnusev te kai; ajpetevlesen: V 5. ajnavgkh ga;r pa'sa, kaqavper ejn ejkmageivw/ sfragi'do" tw'/ ejnteqevnti khrw'/ to; kata; th;n glufh;n ei\do" peritupou'tai, ou{tw" kai; tou' ajnqrwvpou to;n bivon, w|/ a]n sunenecqh'/ morivw/ th'" ajporreouvsh" dunavmew" ejk th'" tw'n a[strwn kinhvsew", kata; th;n ejkeivnou tou' mevrou" ijdiovthta tupou'sqai kajkei'no givnesqai o{per ei\cen ejn eJauth'/ th'" ajporroiva" hJ moi'ra h}n e[spasen eujqu;" tou' bivou ajrcovmeno": h|/ a{pax ejnsfragisqei; " kata; th; n ej k ei' q en oJ r isqei' s an duv n amin aj nagkaivw" ejn th'/ kata; to;n bivon ijdiovthti summorfou'tai, tau'ta poiw'n h] pavscwn w|n ta;" ajrca;" h] ta;" aijtiva" hJ prwvth e[nteuxi" th'" ajstrw/va" ejkeivnh" ajporroh''" katebavleto. VI 1. ÆEgw; de; touvtwn legomevnwn Ouj pauvsh/, pro;" aujto;n ei\pon, flhnavfou" ejmoi; lovgou" kai; lhvrou" diexiwvn, to; ajmere;" ejkei'no mevro" th'" ejn ajkarei' metousiva" tw'n a[nwqen hJmi'n, wJ" fh/v", ejpirreovntwn pavntwn ai[tion tw'n ejn hJmi'n kataskeuavzwn, ou[te eij e[myucon tou'to kai; proairetikovn ejsti levgwn ou[te o{pw" katakratei' tw'n ejmyuvcwn to; a[yucovn te kai; aj n upov s taton kai; mhdemiv a n ej k fuv s ew" ij d iv a n e[ c on oJrmh;n dei'xai dunavmeno", ajlla; pavsh" boulh'" kai; th'" ejk tw'n logismw'n promhqeiva" paideuvsewv" te kai; ejpimeleiva" kai; tw'n katÆ ajreth;n ejpithdeumavtwn kaqavper tina; tuvrannon h] despovthn to; a[yucovn te kai; ajproaivreton, a[statovn te kai; parodiko;n kai; ajmere;" kai; ajnupovstaton ejpisthvsa" tw'/ lovgw/É VI 2. Th'" ejkeivnou dunavmew" ejxavptei" th;n tw'n o[ntwn suvstasivn te kai; dioivkhsin, kai; oujc oJra'/" eij" oi{a" oJ lovgo" ajtopiva" ejkfevretaiÉ Eij ga;r tosauvthn e[cei duvnamin tw'/ b : om. D V 5 peritupou'tai b : ejntupou'tai D sqei'san D : ejkei' qewrhqei'san b
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ejkei'qen oJri-
V 4 - VI 2
che viene alla vita riceve parte di questo influsso conformemente alla sorte toccatagli in quella brevissima sezione temporale, e diviene ciò che era preannunciato e determinato dalla proprietà di quella sorte; V 5. per forza di cose infatti, come nel marchio di un sigillo s’imprimono sulla cera le linee dell’intaglio, così anche la vita dell’uomo assume i lineamenti determinati dalla proprietà di quella sorte, conformemente alla parte coincidente con la sua nascita dell’influsso derivante dal moto astrale, e diviene ciò che quella parte d’influsso tratta nel primo istante di vita aveva in sé; e una volta ricevuto tale sigillo, la sua vita necessariamente assume le forme caratteristiche determinate da tale forza, facendo o subendo ciò i cui princìpi o cause furono posti in lui dal primo incontro con quell’influsso astrale». VI 1. Ed io, a queste parole, «Non cesserai – gli dissi – di espormi chiacchiere e ciarle? Tu attribuisci la causa di ogni aspetto della nostra vita a quella minima porzione con cui partecipiamo per un istante agli influssi che a tuo dire ci vengono dall’alto, ma non dici se essa è animata e dotata di volontà, né sei in grado di mostrare come può dominare gli esseri animati ciò che è inanimato e privo di sostanza e di ogni sua naturale inclinazione, ma poni nel tuo discorso ciò che è inanimato e privo di una sua volontà, instabile, transitorio, istantaneo e privo di sostanza come un padrone tirannico al di sopra di ogni volontà, di ogni progetto razionale, di ogni educazione, di ogni cura e di ogni condotta improntata a virtù. VI 2. Dal suo potere fai dipendere la costituzione e il governo degli esseri, e non vedi in quali assurdità va a finire il ragionamento? Perché se quella parte
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VI 2-4
ejkeivnh th'" ajporroh'" hJ moi'ra, wJ" katÆ aujth;n tou;" para; th;n prwvthn pavrodon gegonovta" ajpotelei'n, pavntw" o{ti oujk ejpakolouqhtikw'" ajlla; prohgoumevnw" th'" tw'n o[ntwn sustavsew" ejxhghvsetai. Oujkou'n ejkeivnh proavxei kata; th;n ijdivan duvnamin to;n tiktovmenon kai; oujci; th'/ tou' ajpokuhqevn to" suntuciva/ uJphrethvsei. VI 3. ÒAdhlon ga;r ejntau'qa poi' o n tiv n o" aj r chgikwv t eron, aj m fotev r wn ej n tw' / aj k arei' kata; to; i[son ajllhvloi" sumferomevnwn: o{ te ga;r a[nqrwpo" kai; pro; th'" ejxovdou tw'n splavgcnwn ejn kinhvsei pwv" ejsti dia; meiwvsewv" te kai; aujxhvsew" ejn th'/ fuvsei kinouvmeno" (ejpei; kai; tou'to kinhvsew" ei\dov" ejsti), tov te a[stron kai; pro; tou' to;n a[nqrwpon tou' ajevro" spavsai fevretai kai; oujc i{statai: h{ te suntuciva kata; to; i[son tw'n dia; kinhvsew" ajllhvloi" suntugcanovntwn a[poron poiei' tou' prohgoumevnou th;n krivsin. Kai; ga;r kajkei'na kinei'tai dia; tw'n kuvklwn kai; tou'to dia; th'" fuvsew" oJdeu'on fevretai: eij dÆ ejn eJni; mevrei tou' crovnou ajmfotevroi" hJ pro;" ajllhvlou" suvnodo" givnetai, tiv" hJ pro;" a[llhla touvtwn diaforav, w{ste tou' eJtevrou to; e{teron aijtiwvteron oi[esqaiÉ VI 4. Eij ga;r dia; ta; a[stra oJ a[nqrwpo", pavntote a]n e[rrei hJ fuvsi" dia; gennhvsew", oujdÆ ejn ajkarei' ti diavleimma th'" ajnqrwpivnh" parovdou ejpideiknuvousa. Eij de; pollai; tw'n ginomevnwn aiJ metaxu; diastavsei", safw'" ajpodeivknutai to; mh; th'/ kinhvsei tw'n a[strwn th;n ajnqrwpivnhn e{pesqai gevnesin (hJ me;n ga;r ajei; kinei'tai, hJ de; oujk ajei; genna'tai), ajllÆ ijdivw/ tou'to eiJrmw'/ kakei'no pavlin ijdiazovntw" ejfÆ eJautou' fevretai, oujdemia'" ajnavgkh" sunaptouvsh" pro;" a[llhla ta; diestw'ta th'/ fuvsei.
VI 3 ejn eJni; E : ejn ASD eJni; MP VI 4 ti diavleimma th'" b : tou' dialeivmmato" D ejpideiknuvousa b : ejlleivpousa D
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VI 2-4
dell’influsso ha un potere tale da determinare con esso gli esseri nel primo momento del loro nascere, allora certamente essa non sarà la conseguenza accidentale, ma la guida primaria che precede il costituirsi degli esseri. Dunque essa condurrà con la sua forza la creatura nata, e non sarà soggetta all’incontro fortuito con chi viene alla luce. VI 3. Ma qui non è chiaro chi dei due sia originario rispetto all’altro, dal momento che entrambi muovono allo stesso modo verso l’istante del loro incontro: l’essere umano è in certo modo in movimento anche prima di uscire dal grembo materno, muovendosi nella sua natura attraverso la diminuzione e la crescita – anche questa è una forma di movimento –, e il corpo astrale è in costante moto anche prima che la creatura umana tragga il suo primo respiro; e l’incontro ugualmente fortuito dei due elementi tra loro, entrambi in movimento, rende difficile giudicare quale dei due preceda. I corpi celesti si muovono nelle loro orbite, l’essere umano procede nel suo naturale sviluppo; se per un istante entrambi vengono a trovarsi in congiunzione, qual è la differenza che consenta di attribuire ad una parte maggiore causalità rispetto all’altra? VI 4. Se poi l’uomo fosse determinato dagli astri, la natura scorrerebbe ininterrottamente attraverso la generazione, senza mostrare neppure per un istante alcun intervallo nell’ingresso dell’uomo nel mondo; ma poiché al contrario molti sono gli intervalli tra una nascita e l’altra, ciò dimostra chiaramente che la generazione umana non segue il moto degli astri (questi infatti si muovono sempre, mentre quella non avviene sempre); l’un elemento procede secondo una sua concatenazione, l’altro anch’esso per proprio conto, e non vi è alcun legame necessario che colleghi tra loro elementi che per natura sono separati.
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VII 1 - VIII 2
VII 1. Eij de; tou'to oJ uJmevtero" kataskeuavzei lovgo", to; ejpÆ ejkeivnh/ th'/ moivra/ tou' crovnou th;n aijtivan tw'n kata; to;n bivon aJpavntwn kei'sqai, skovphson o{sa" muriavda" despotw'n kai; turavnnwn hJmevra pa'sa kai; nu;x wJsauvtw" kata; ta;" lepta;" ejkeivna" kai; ajkarei'" tou' crovnou toma;" ajpergavzetai, eij" tevssara" kai; ei[kosin w{ra" nukto;" kai; hJmevra", w{" fate, dih/rhmevnwn, eJkavsth" de; w{ra" eJxhvkonta tmhvmasi merizomevnh", pavlin de; tw'n tmhmavtwn touvtwn eJkavstou kata; to; ijsavriqmon kermatizomevnou: wJ" dev fasin uJmw'n oiJ eij" th;n leptotevran tw'n toiouvtwn parathvrhsin tw'/ lovgw/ diaduovmenoi, o{ti kai; touvtwn e{kaston pavlin tw'n leptw'n legomevnwn tmhmavtwn ijsarivqmw/ diairevsei ejpileptuvnetai. VII 2. To; toiv n un ej k touv t wn aj q roizov m enon plh' q o" tw' n aj k ariaiv w n ejkeivnwn qew'n h] despotw'n h] turavnnwn h] oujk oi\dÆ o{pw" crh; levgein, mia'" plevon kai; ei[kosi muriavdwn ejstivn. Eij de; miva w{ra tosauvta" moirw'n hJmi'n muriavda" poiei', aiJ tevssare" kai; ei[kosi kata; lovgon th'" mia'" pavntw" pollaplasiasqei'sai ta;" ajpeivrou" tw'n moirw'n muriavda" ajpogennw'sin. VIII 1. ÆAlla; mh;n touvtwn eJkavsthn ajparavbaton duvnamin e[cein oJ uJmevtero" dii>scurivzetai lovgo". Oujkou'n ajkovlouqon mhdemivan aujtw'n a[prakton ei\nai: ouj ga;r a]n th'" dunavmew" i[dion th;n ajpraxivan ei[poi", ajllÆ ejn th'/ ejnergeiva/ pavntw" kaqora'tai hJ duvnami". Oujkou'n i[sa kai; ta; th'" dunavmewv" ejstin ajpotelevsmata: w{ste o{sa tmhvmata, tosau'tai kai; tw'n ajnqrwvpwn genevsei" ejx ajnavgkh" kaqÆ eJkavsthn w{ran susthvsontai. VIII 2. Kai; ei[per eJkavsth/ moivra/ to; dunato;n oJmoivw" prosmarturei'sqai proshvkei, pavnta" ejpivsh" basileva", makrobivou", dunatouv", eujklhvrou", eujdaivmona" kai; o{sa th'" protimotevra" lhvxew" ei\nai nomivzetai to; th'" dunavmew" oJmovtimon ajpergavzetai: hJ ga;r e[lleiyi" touvtwn VII 2 prius moirw'n E : wJrw'n MP wJ" oJra'" S om. AD
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VII 1 - VIII 2
VII 1. E se è questo che la vostra dottrina afferma, che in quella porzione di tempo risiede la causa di tutto il futuro corso della vita, considera quante miriadi di padroni e tiranni ogni giorno e ogni notte producono con le loro sottili e brevissime sezioni temporali: giorno e notte sono divisi, come voi dite, in ventiquattr’ ore, ciascuna ora è divisa in sessanta parti, e ciascuna di queste parti è a sua volta frazionata in un ugual numero di sezioni; stando poi a quanti tra voi si sono immersi nell’analisi più raffinata di tali problemi, a sua volta ciascuna di queste sezioni dette ‘sottili’ è ulteriormente suddivisa in un ugual numero di frazioni. VII 2. Dunque il totale di tutti quegli dèi o padroni o tiranni, o come li si voglia chiamare, istantanei è superiore a duecentodiecimila; e se una sola ora produce tante decine di migliaia, le ventiquattr’ore della giornata, moltiplicate sulla base di quell’una, generano infinite decine di migliaia di destini. VIII 1. Ma la vostra dottrina afferma che ciascuno di questi destini ha una forza ineluttabile; ne consegue che nessuno di essi resta inefficace, se è vero che non potremmo dire propria della forza l’inefficacia, mentre certo è la capacità attiva il segno visibile della forza. Dunque anche gli effetti di tal forza sono uguali; cosicché necessariamente per ogni ora si avranno tante nascite umane quante sono le sue frazioni. VIII 2. E se a ciascun destino si deve attribuire potere in egual misura, tale parità di rango nel potere rende tutti allo stesso modo re, longevi, potenti, fortunati, felici, e con tutte quelle caratteristiche che siamo soliti assegnare alla parte privilegiata della società; perché la mancanza di
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VIII 2-5
tino;" tou' kata; th;n duvnamin ajtelou'" kathgoriva givnetai. VIII 3. Ouj ga;r a[n ti" i[shn prosmarturhvseie duvnamin tw'/ te megavla kai; scurivzetai lovgo": a[llo" ga;r tou' ejndecomevnou oJpovteron a]n tuvch/ genevsqai kai; a[llo" tou' ajmetaqevtou oJ lovgo", o}n oujk e[stin ejpi; tw'n ejndecomevnwn labei'n: ajllÆ h] tou'to pavntw" h] to; e{teron: to; de; pro;" ajmfotevra" ta;" ejkbavsei" tai'" ejlpivsin ejpikradaivnesqai povrrw tw'n th'" ajnavgkh" lovgwn ejstivn.
XIV 3 pareskeuvazen b : kateskeuvazen D
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XIV 1-4
di Ippocrate e di simili uomini! Anche loro, lasciando perdere il moto degli astri, predicono il futuro congetturandolo a partire dall’oggetto: XIV 2. quando gli occhi sono incavati e le tempie scarnite e la fronte avvizzita, preannunciano la morte. A molti, tuttavia – dissi –, di costituzione malata e che parevano in punto di morte, la medicina disfece le fila di un tale destino; XIV 3. come ha raccontato Platone del maestro di ginnastica Erodico: questi, con gli esercizi ginnici, non poté restituire al corpo una salute perfetta – la malattia era di quelle mortali –, ma riuscì a differire la morte sempre incombente, procurando a se stesso non una vita sicura, ma almeno un protrarsi della morte. Giunse così alla vecchiaia, avendo escogitato un espediente per non morire, quello di prolungare la morte. Dunque anche da qui si vede che il fato non è inesorabile, se è possibile trovare un espediente che ne mitighi la rigida necessità». XIV 4. «Ma tale discorso – dice – non confuta affatto la dimostrazione del fato fornita dalle predizioni. Anche questo avrebbe potuto essere preannunciato da chi avesse osservato con attenzione il movimento dei corpi celesti, così da predire all’uno una morte determinata con certezza, all’altro una morte incerta». Ma io: «Non è questo – dissi – che afferma il concetto di necessità; altra è l’idea di qualcosa che ammette due possibili esiti, altra quella di ciò che è stabilito irrevocabilmente, concetto che non può essere riferito a ciò che è aperto alla possibilità; o l’una cosa o l’altra; il trovarsi in ansiosa attesa di fronte ai due possibili esiti è lontano dall’idea di necessità».
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XV 1-5
XV 1. Plh; n tou' t o, fhmi; pro; " auj t ov n , pov q en oi[ e tai to; pisto;n e[cein tw'n ajpobhsomevnwn th;n provrrhsinÉ ïO dev, Pollavki", fhsiv, diexiovnto" ajkouvsa" e[ti kai; nu'n peri; tw'n aujtw'n ejrwta'/"É ÓOti tinev" eijsin ijdiavzousai dunavmei" tw'n a[strwn: to; dÆ ajeikivnhton th'" fora'" muriva" ejk th'" poia'" aujtw'n sumplokh'" ta;" tw'n dunavmewn diafora;" ejxergavzetai. XV 2. ïO toivnun paracqei;" ejpi; to;n bivon dia; genevsew" kata; th;n sumpesou'san aujtw'/ tou' crovnou moi'ran th;n uJ p o; tw' n a[ s trwn toiw' s de schmatisqei' s an ej n tupwqeiv " , a{per a]n hJ duvnami" th'" w{ra" ejkeivnh" e[cousa katalhfqh/', tau'ta kai; peri; to;n bivon katÆ ajnavgkhn e{xei kai; a[llw" oujk e[cei. XV 3. Tiv ou\n, ei\pon, aiJ kata; povlemon sumforai; kai; oiJ seismoi; kai; tw'n povlewn aiJ kataptwvsei" kai; ta; au[tandra tw'n muriofovrwn oJlkavdwn nauavgia, ejpikluvsei" kai; ejkpurwvsei" kai; cavsmata kai; o{sa toiau'ta panwleqriva" ei[dh, pw'" tau'ta diaswvsei to;n th'" prorrhvsew" lovgonÉ XV 4. Povsa ejn toi'" protevroi", povsa de; kai;; ejn toi'" kaqÆ hJma'" crovnoi" oJ bivo" e[deixe pavqh: to;n ejpi; Nw'e kataklusmo;n a kai; th;n Sodovmwn ejkpuvrwsin b h] to;n Aijguvption strato;n uJpobruvcion ejn th'/ ÆEruqra'/ qalavssh/ genovmenon c h] ta;" meta; tau'ta tw'n ajllofuvlwn sfagav", ta;" muriva" ejkeivna" ajndroktasiva" d h] to;n aujtovmaton ejn ojlivgw/ tw'/ crovnw/ qavnaton tou' ÆIsrahlivtou laou' ejn pollai'" muriavsi qrausqevnto" e h] ta;" eJkato;n oj g dohv k onta pev n te ciliav d a" tw' n ÆAssuriv w n mia' / crovnou rJoph'/ nekrwqeivsa", f tw'n te ejfexh'" kakw'n ta;" iJstoriva" ejn Mhdikai'" te kai; ïEllhnikai'" sumforai'" sumpesouvsa" ejn naumacivai" te kai; pezomacivai" megavlai", kai; pavnta o{sa toiau'ta w|n hJ mnhvmh toi'" ejfexh'" didavskalo" givnetai. XV 5. Ka]n tau'ta parevlqwmen pavnta, iJkana; a]n gevnoito pro;" th;n tw'n legomevnwn marturivan kai; o{sa oJ kaqÆ XV 2 to;n bivon b : tovnde to;n bivon D Guida : om. codd.
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XV 4 ejn post ÆAssurivwn add.
XV 1-5
XV 1. «Ma poi – gli dico – da dove pensa che riceva garanzia di attendibilità la predizione del futuro?» E lui: «Più volte mi hai ascoltato mentre te lo spiegavo, e ancora mi poni le stesse domande? Gli astri hanno ciascuno una qualche proprietà, ed il loro eterno movimento, con l’intrecciarsi in un certo modo di queste forze, produce innumerevoli influssi diversi; XV 2. chi dunque viene alla vita riceve nascendo un’impronta conforme alla sezione temporale capitatagli, conformata in un certo modo dagli astri, e avrà di necessità nella vita tutto ciò che l’influsso di quel momento risulti avere; non può essere diversamente». XV 3. «E allora – gli dissi – le sciagure della guerra, i terremoti, i crolli di città, i naufragi di grandi navi da trasporto con i loro equipaggi, e le inondazioni, gli incendi, l’aprirsi di voragini e tutti gli altri generi di disastri collettivi? Come possono conciliarsi con la teoria delle predizioni astrologiche? XV 4. Tutte le sventure che la vita ha mostrato nei tempi passati ed anche ai nostri giorni: il diluvio al tempo di Noè,a la distruzione di Sodoma tra le fiamme,b l’annegamento nel mar Rosso dell’esercito egizio c o le successive stragi dei popoli stranieri, gli innumerevoli massacri d o le morti naturali in breve arco di tempo nel popolo degli Israeliti, caduti in grandissimo numero, e o i centottantacinquemila Assiri morti nel volger di un momento,f e le storie delle successive stragi di Medi e di Greci avvenute in grandi battaglie navali e terrestri, e quant’altro del genere la memoria insegna alle generazioni seguenti. XV 5. E se anche volessimo trascurare tutto questo, basterebbe a rendere testimonianza alle
XV a Cf. Gen 6,13 ss. b Cf. Gen 19,1 ss. c Cf. Ex 14,5 ss. d Cf. Ex 17,8 ss.; Num 21,1 ss. e 31,1-12 e Cf. Num 16,28 ss. f Cf. 2 Reg 19,35
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XV 5 - XVI 2
hJma'" iJstovrhse bivo". Tiv" ga;r oujk oi\de th;n megavlhn Biquniva" mhtrovpolin tai'" ejxecouvsai" tw'n povlewn ejnarivqmion, tiv" ajgnoei' th;n platei'an kai; eujruvcwron Qra/vkhn, pw'" th;n me;n oJ povlemo", th;n de; oJ seismo;" meta; tou' puro;" ejn ajkarei' tou' crovnou a[rdhn ejxevtriyen, povsoi pai'de" ejkei', povsa nhvpia, oiJ mevsw" e[conte", oiJ parhvlike", ejleuvqeroiv te kai; dou'loi, kratou'nte" kai; uJpoceivrioi, plouvsioi, pevnhte", ejrrwmevnoi, noshleuovmenoi, pavnte" ejn mia'/ kairou' rJoph'/ katefqavrhsan, pavnta" ejpivsh" to; pu'r ejpenemhvqh, pa'sin oiJ oi\koi tavfoi ejgevnontoÉ XV 6. Pou' aiJ tw'n a[strwn ejkeivnwn diaplokai; aiJ ta;" diafora;" tw'n bivwn toi'" ajnqrwvpoi" oJrivzousaiÉ ÇAra pa'sin ejkeivnoi" miva tw'n a[strwn suvnodo" ta;" wJdi'na" tw'n genevsewn e[luse kai; pa'sin oJ Karkivno" wJroskopw'n th;n moi'ran ejpevbaleÉ Kai; mh;n aiJ murivai tw'n hJlikiw'n te kai; ajxiwmavtwn diaforai; to; mh; pavnta" ajllhvloi" kata; taujto;n th'/ genevsei sunenecqh'nai diamartuvrontai. Eij ou\n oJ me;n th'" genevsew" crovno" eJkavstw/ diavforo", hJ de; tw'n sumforw'n taujtovth" oujdemivan parallagh;n ejk th'" kata; th;n gevnesin aijtiva" ejdevxato, a[ra kai; dia; touvtwn to; peri; th;n provrrhsin ajpage;" kai; ajsuvstaton dielevgcetai. XVI 1. ÆAllÆ e[sti, fhsiv, kai; new;" kai; povlew" kai; e[qnou" panto;" eiJmarmevnh kata; th;n prwvthn qevsin to; ejfexh'" ejpiklwvqousa, kai; tw'/ perievconti ta; ejmperieilhmmevna katÆ ajnavgkhn sundiativqetai. XVI 2. Tiv" ou\n hJ th'" nauphgiva" EijleivquiaÉ Tiv" de; oJ th'" povlew" tovko"É ÆEk poiva" de; ajrch'" tou' e[qnou" kaqorw'men th;n gevnesinÉ Tevmnei oJ druotovmo" th;n u{lhn, ejmporeuvetai tauvthn oJ to; xuvlon ejmporeuovmeno", crhmavtwn oJ nauphgo;" th;n u{lhn wjnei'tai, merivzei th'/ ejrgasiva/ th;n tevcnhn. ïO me;n gavr ti" diairei' to; xuvlon eij" saniv da" tw'/ privoni: oJ de; th;n trovpin tektaivnetai: e{tero" peri; ta; uJpozwvmata th;n spoudh;n th'" kataskeuh'" e[cei: a[llo" th;n prwvran kai; a[llo" th;n pruvmnan ejkorufwvsato: touvtw/ 98
XV 5 - XVI 2
mie parole anche la nostra sola esperienza di vita. Chi non sa che la grande metropoli della Bitinia era annoverata tra le città più importanti? Chi ignora l’ampia e vasta Tracia? E come in breve tempo furono completamente distrutte, l’una dalla guerra, l’altra dal terremoto e dalle fiamme; e quanti giovani là, quanti bambini, adulti e anziani, liberi e schiavi, padroni e sottoposti, ricchi e poveri, sani e malati, tutti perirono in un solo momento, tutti furono divorati allo stesso modo dalle fiamme, per tutti le case divennero tombe? XV 6. Dov’è quell’intrecciarsi degli influssi astrali che determina sorti diverse per gli uomini? Forse che per tutti quelli un’unica congiunzione astrale sciolse le doglie del parto, tutti ebbero per ascendente il Cancro, che impose loro tale sorte? E tuttavia le innumerevoli diversità di età e di posizione testimoniano che non vennero tutti alla luce in uno stesso momento. Se dunque il momento della nascita fu diverso per ciascuno, e la situazione in cui nacquero non causò nessuna variazione, cosicché la loro morte fu identica, allora anche per questa via si dimostra l’inconsistenza e insussistenza delle predizioni astrologiche». XVI 1. «Ma esiste – dice – un destino anche di una nave, di una città, di un intero popolo, che dispone quel che segue in conformità all’atto iniziale, e quel che è compreso segue di necessità la sorte di ciò che lo include». XVI 2. Qual è dunque l’Ilizia della costruzione di una nave? Qual è il parto di una città? Da quale inizio vediamo la nascita di un popolo? Il taglialegna abbatte gli alberi, il mercante di legname li acquista per rivenderli all’armatore che assegna i diversi compiti agli operai: l’uno divide il tronco in assi con la sega; l’altro fabbrica la carena; un altro cura l’allestimento delle fasciature; uno innalza la prua, un altro la poppa;
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XVI 2-5
tou' iJstou' mevlei kai; th'" keraiva" tw'/ eJtevrw/: oiJ de; to; livnon eij" kavlou" plevkousin: oiJ dÆ aujcevne" tw'/ kubernhvth/ dia; frontivdo" givnontai: a[lloi ta; katastrwvmata kai; th;n ojqovnhn ejnergou'sin: a[lloi kai; to;n ejk th'" zwgrafiva" kallwpismo;n ejpavgousin, e{teroi oi{ te au\ diacrivonte" th'/ pivssh/ ta; " aJ r moniv a " kai; to; n a[ n tlon ej n tw' / mev s w/ kataskeuavzonte". XVI 3. Pavntw" ouj kata; taujto;n e{kasto" to; kaqÆ eJauto;n ejnergou'sin, ajllÆ oJ me;n nu'n, oJ de; metÆ ojlivgon: kai; tw'/de h[dh pevra" to; spoudazovmenon e[scen, oJ de; ejn tw'/ ejnergei'n kaqora'tai. Povte toivnun th'/ nhi>; th;n eiJmarmevnhn oiJ sofoi; ejpisthvsousinÉ ÓOte wjnei'tai van ejpilogivzontai h] o{te to; sch'ma katacaravssousin h] o{te ejpavgousin h[dh th'/ ejrgasiva/ to;n sivdhron h] tou;" liv qou" ejnapotivqentai h] sumforou'si ta;" u{la"É Tiv touvtwn ejsti;n ajrch; th'" sustavsew"É XVI 5. Tiv dÆ a]n ei[poi" peri; tou' e[qnou" o} tai'" kata; povlemon sumforai'" ejxetrivbhÉ Tivna h] povqen katÆ aujtw'n th;n ajrch;n labou'sa hJ moi'ra tou;" me;n katefovneuse, tou;" de; diÆ aijcmalwsiva" katedoulwvsatoÉ XVI 2 e{teroi oi{ AD : e{teroiv MPZE oiJ ante to;n a[ntlon addidi : om. codd. XVI 3 to; spoudazovmenon e[scen b : e[sce to; spoudazovmenon D ti" add. Guida : om. codd. tevmnetai : an legendum tevmnei coll. XVI 2? ajnaqhvsh/ McDonough : ajnaqhvsei bD XVI 4 o{te ejpavgousin Langerbeck : o{tan ejpavgousin AZ o{tan ejpavgwsin MPED o{te au\ ejpavgousin coni. McDonough XVI 5 tivna D : tiv" b
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XVI 2-5
uno si occupa dell’albero, un altro del pennone; altri intrecciano il lino facendone gomene; il timoniere cura le impugnature della sbarra del timone; altri costruiscono la tolda, altri preparano la vela; altri dipingono la decorazione e altri ancora sono quelli che spalmano di pece le connessure e quelli che approntano al centro la stiva. XVI 3. E certamente non compiono ciascuno il suo lavoro nello stesso momento degli altri, ma uno adesso, un altro un po’ dopo, e uno ha già assolto il suo impegno mentre vediamo un altro affaccendarvisi. In qual momento dunque i sapienti fisseranno il destino della nave? Quando uno acquista il legname, o quando se lo fa tagliare, quando lo maneggia, o quando vi impiega il ferro, o quando lo connette con i chiodi? Vi sono molti e diversi lavori nella costruzione di una nave, e non vengono fatti contemporaneamente; quale momento si assegnerà al destino, perché la nave riceva in sorte un inevitabile naufragio, trascinando nella propria rovina i naviganti? XVI 4. Che dire poi delle città? Quando si ritiene che il destino se ne impadronisca? Quando gli interessati decidono di fondare un insediamento, o quando considerano la posizione favorevole del luogo, o quando tracciano la pianta, o quando ormai si mettono all’opera con gli strumenti o posano le pietre o raccolgono il legname? Quale di questi momenti costituisce l’inizio della fondazione? XVI 5. E che dire del popolo sterminato dalle sciagure della guerra? Quale istante iniziale il destino ha afferrato a loro danno, e da dove, per uccidere gli uni e ridurre gli altri prigionieri e poi schiavi? E com’è che Anni-
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XVI 5 - XVII 3
Pw'" ÆAnnivba" h] Kai'sar h] oJ ejk Makedoniva" ÆAlevxandro" parÆ oi|" a]n ejgevnonto strateuovmenoi pa'sin oJmotimivan eiJmarmevnh" eijrgavsanto, tosou'ton th'" ajnavgkh" ejkeivnh" uJperiscuvsante" wJ" toi'" aujtoi'" tou' kakou' mevtroi" pavnta" sunavgesqaiÉ XVII 1. ÆAlla; mh;n to; oi[esqai ta;" tw'n povlewn eiJmarmevna" ejn toi'" tw'n seismw'n kataptwvmasi ta;" sunastriva" poiei'n, wJ" e[xw tou' eijkovto" oJ lovgo" ejstivn, ejnteu'qen a[n ti" kativdoi: tiv" oujk oi\den o{ti ta; toiau'ta pavqh th'" gh'" ouj movnon ejn toi'" oijkoumevnoi" tovpoi" ajlla; kai; ejn toi'" ajoikhvtoi" sunivstataiÉ XVII 2. Ei[ ti" to; tw'n Gasavgwn o[ro" to; pro;" toi'" oJrivoi" tw'n Biqunw'n keivmenon h] th'/ kaqÆ eJauto;n e[gnw peivra/ h] ejk dihghvmato" h[kousen, euJrhvsei th;n tou' lovgou ajlhv qeian, o{ t i katÆ auj t a; " th' " oJ d ou' ta; " uJ p erbola; " pa' s a hJ ajkrwvreia uJponosthvsasa fobero;n qevama toi'" diodeuvousi givnetai. Toiau'ta kai; th'" cwvra" tw'n Paflagovnwn ta; pavqh: e[sti de; o{pou kai; oijkhvsei" ajnqrwvpwn toi'" cavsmasi touvtoi" sugkatespavsqhsan: pollach'/ de; tw'n oijkhtovrwn gumno;" oJ cw'ro" ejn tw'/ toiouvtw/ deivknutai pavqei. Kai; tiv crh; kaqÆ e{kaston levgein Kuprivou" kai; Pisivda" kai; ÆAcaiouv", ejn oi|" polla; tw'n legomevnwn ejsti; tekmhvriaÉ XVII 3. ÆAllÆ ou| cavrin tw'n eijrhmevnwn ejmnhvsqhmen, o{ti pavnta ta; toiau'ta gh'" ejsti pavqh. Eij me;n ou\n sunenecqeivh kai; oi[khsin ajnqrwvpwn ejfeureqh'nai tw'/ tovpw/, kata; pa'san ajnavgkhn kajkei'noi tou' kata; to;n tovpon dustuchvmato" parapevlausan: eij de; ejleuvqero" ei[ h tw' n oij k htov r wn, ouj d emiv a n aj n qrwv p oi" h[ n egke blavbhn to; peri; to;n tovpon dustuvchma. Tiv" ou\n hJ th'" eiJmarmev n h" aj n av g kh, ej p iv s h" tw' n te oij k oumev n wn kai; tw' n ajoikhvtwn to; toiou'ton pavqo" uJpomenovntwnÉ h] oJ D : h] kai; oJ b
uJperiscuvsante" MPD : -uvonte" AZE
XVII 2 gasavgwn AMPZD : gasagw'n E
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XVI 5 - XVII 3
bale o Cesare o Alessandro il Macedone procurarono a tutti coloro presso i quali giunsero con le loro spedizioni parità di rango di fronte al destino, prevalendo su quella necessità al punto che tutti si trovarono accomunati nella stessa misura del male? XVII 1. Quanto al credere che siano le congiunzioni astrali a procurare la distruzione delle città nelle calamità sismiche, che tale discorso è inverosimile lo si può capire da questo: chi non sa che tali fenomeni si verificano non solo nelle regioni abitate ma anche in quelle disabitate? XVII 2. Se uno conosce per esperienza diretta o per sentito dire il monte dei Gasagi ai confini della Bitinia, troverà vere le mie parole: proprio in corrispondenza del valico l’intera sommità del monte è franata e offre ai viandanti uno spettacolo pauroso. Fenomeni del genere sono accaduti anche al territorio dei Paflagoni: in qualche luogo furono inghiottite in queste voragini anche abitazioni, ma perlopiù la regione colpita dalla calamità era priva di abitanti. Che bisogno c’è di enumerare a uno a uno i casi dei Ciprioti, dei Pisidi, degli Achei, che offrono abbondanti prove di ciò che sto dicendo? XVII 3. Se li abbiamo menzionati, è per mostrare che tutti questi sono fenomeni della terra. Se dunque accadde che in un certo luogo si trovassero anche abitazioni, anche i loro abitanti furono inevitabilmente coinvolti nella disgrazia del luogo; ma se il posto era privo di abitanti, la sciagura del luogo non arrecò nessun danno agli uomini. Qual è allora l’ineluttabilità del destino, se un fenomeno del genere colpisce ugualmente regioni abitate e disabitate?
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XVIII 1 - XIX 1
XVIII 1. Eij me;n ga;r ei\con ajpodeiknuvein kata; mevrh tina; kai; mh; kata; to; ajqrovon pa'san kateskeuavsqai th;n gh'n, ei\cen a]n aujtoi'" i[sw" kairo;n hJ mataiologiva tw'/de tw'/ mevrei th'" gh'" ktizomevnh" th'sde tw'n a[strwn sumplokh'" ejfarmosqeivsh" h] tou'to h] ejkei'no katÆ ajnavgkhn genevsqai: ejpei; de; pavnta metÆ ajllhvlwn katalambavnetai, oujranov", gh', qavlatta, kata; de; to;n Mwu>sevw" lovgon kai; protereuvei hJ gh' th'" tw'n a[strwn kataskeuh'" kai; kinhvsew", a pw'" tw'n merikw'n kata; th;n gh'n sumptwmavtwn th;n aijtivan eij" th;n tw'n a[strwn ajnaqhvsontai kivnhsinÉ XVIII 2. Eij toivnun oJmovcrono" toi'" a[stroi" hJ gh' kai; oujdemivan ejkei'qen ou[te sumptwvsew" ou[te diamonh'" aijtivan ejpavgetai, ejn merikai'" dev tisi tovpwn perigrafai'" ta; toiau'ta uJfivstatai pavqh, a[ra oujc eiJmarmevnh" ajnavgkh/ ajlla; katav tina eJtevran ijdiavzousan aijtivan ejn toi'" toiouvtoi" sumptwvmasi genevsqai ta; toiau'ta sumbaivnei. XVIII 3. ÓOtan ou\n pavqh/ ti toiou'ton hJ gh' kaiv tina" toiauvta" sumfora;" katergavshtai, tw'n oijkhtovrwn sugkataseisqevntwn tw'/ kataptwvmati, tiv ejrou'sin oiJ proskunou'nte" th;n eiJmarmevnhn kai; th;n tw'n a[strwn kivnhsin ejpistatei'n tw'n o[ntwn diorizovmenoiÉ Pw'" ejkei' to; nhvpion, to; brevfo", to; meiravkion, oJ ajnhvr, oJ pathvr, oJ presbuvth", oJ eujgenhv", oJ eujpatrivdh", oJ misqwtov", oJ desmwvth" ou[te tw'/ crovnw/ th'" genevsew" ou[te diafora'/ tini th'" ajxiva" eij" th;n tw'n kakw'n oJmotimivan kwluvontaiÉ XIX 1. ÒEti pro;" touvtoi": tiv" oujk oi\den o{ti panto;" a[gou" e[scatovn ejstin hJ qugatromixiva kai; ajdelfogamiva kai; hJ eij"
XVIII 1 th' s de] iterum extat Y qav l atta AZE : qav l assa MPY sumptwvmasi suspicatus est XVIII 2 ajnavgkh/ LcLips. 13 : ajnavgkhn bY ta; toiau'ta sumbaivnei MPY : om. McDonough (praef., p. LXXX) AZE XVIII 3 katergavshtai Y : -zhtai MPZ -zetai AE XIX 1 hJ eij" MPZ : eij" AEY
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XVIII 1 - XIX 1
XVIII 1. Se fossero in grado di dimostrare che la terra fu formata per parti, e non tutta insieme, avrebbe forse una qualche pertinenza il loro vaniloquio, secondo cui questo o quel fenomeno si verifica per necessità, per l’applicarsi di un determinato influsso astrale ad una certa parte della terra, al momento della sua costituzione; ma poiché tutto – cielo, terra, mare – costituisce un’unità, ed anzi secondo le parole di Mosè la terra precede la creazione e il moto degli astri,a come potranno attribuire al moto astrale la causa di fenomeni concernenti parti della terra? XVIII 2. Se dunque la terra è antica quanto gli astri e non trae da essi alcuna causa né di crollo né di stabilità, e fenomeni del genere si verificano in regioni circoscritte, ciò significa che in tali sciagure quei fatti accadono non per la necessità del destino, ma per qualche altra causa particolare. XVIII 3. Quando allora la terra subisce fenomeni del genere e procura tali sventure, trascinando nel suo crollo gli abitanti, che diranno coloro che si prostrano davanti al destino e affermano che tutta la realtà è guidata dal moto astrale? Com’è che in quelle circostanze né differenza di età né diversità di prestigio impediscono al bambino, al neonato, al ragazzo, all’uomo, al padre, all’anziano, al nobile, all’aristocratico, al salariato, al prigioniero di essere accomunati nella sciagura? XIX 1. Ancora: chi non sa che l’unione con una figlia, le nozze tra fratelli e l’incesto con la madre sono il massimo
XVIII
a
Cf. Gen 1,9.14
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XIX 1 - XX 1
mhtevra" paranomivaÉ Tou'to toivnun eij katav tina moivra" ajnavgkhn ejgivneto, pavntw" a]n kai; ejn toi'" kaqÆ hJma'" ejtolmhvqh tovpoi": ejpei; de; movnw/ tw'/ e[qnei Persw'n kai; toi'" ta; ejkeivnwn novmima dedidagmevnoi" to; toiou'ton a[go" tolma'tai, dh'lon ejk tou' ajkolouvqou o{ti moi'ra kai; eiJmarmevnh hJ eJkavstou proaivresi" giv n etai, to; dokou' n katÆ ej x ousiv a n proairoumev n h. XIX 2. ÒEti pro;" touvtoi": wJ" a]n mhde; to; toiou'ton e[coien levgein, o{ti kata; ta;" poia;" perikleivsei" tw'n tovpwn ijdiavzousaiv tine" a[strwn kinhvsei" katalambavnontai, kai; dia; tou'to oiJ me;n mhtrogamou'sin, oiJ de; xenoktonou'si kai; ajn qrwpoborou'si, th'sde tw'n a[strwn th'" qevsew" ejkeivnoi" ijdiazov n tw" ej p ipiptouv s h": eij kai; pantav p asi tw' n aj p aideuvtwn kai; th'" tw'n o[ntwn qewriva" ajnepiskevptwn oJ toiou'to" lovgo" ejstiv, tw'n oijomevnwn o{ti kata; ta;" poia;" th'" gh'" perigrafa;" kai; hJ a[nwqen aujtoi'" lh'xi" ejpitupou'tai (ou{tw ga;r a]n euJreqeivh ta; ghvi>na tw'n oujranivwn ajrchgikwvtera, eij kata; tau'ta nomivzoito kajkei'na e[cein), o{mw" kai; tou'to prosqhvsomen pro;" e[legcon th'" hjpathmevnh" aujtw'n uJpolhvyew": XIX 3. pavnta scedo;n ta; mevrh th'" gh'" to; tw'n ÆIoudaivwn ejpenemhvqh gevno", ajnatolikoiv, novtioi, mesogew'tai, dutikoiv, prosavrktioi, pavnta scedo;n ta;; e[qnh mevmiktai pro;" th;n tw'n ÆIoudaivwn sunoivkhsin. Pw'" toivnun oujdemiva tw'n a[strwn ajnavgkh ejpÆ oujdeno;" aujtw'n i[scusev tini tw'n ejk tou' e[qnou" carivsasqai to; ajlwvbhton, ajllÆ ejn tai'" muriotrovpoi" tw'n a[strwn ejpiplokai'", w|/per a]n sunenecqh'/ to; tiktovmenon, ejn tw'/ oJmoivw/ pavntw" ejstiv, kata; th;n tetagmevnhn tw'n hJmerw'n perivodon uJpomenouvsh" th;n lwvbhn th'" fuvsew"É XX 1. ïO dev, Tau'ta me;n ou[pw, fhsivn, ejxhvtastai parÆ hJmi'n, tivni lovgw/ diafeuvgei th;n ejk tw'n a[strwn ajnavgkhn ta; novmoi" ante moi'ra add. kai; Y XIX 2 dia; tou'to b : dia; touvtwn Y gikwvtera b : ajrcikwvtera Y
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ajrch-
XIX 1 - XX 1
dell’impurità? Ora, se ciò avvenisse per una sorte ineluttabile certamente si arriverebbe a farlo anche nelle nostre regioni; ma poiché di tale colpa hanno l’ardire di macchiarsi solo il popolo persiano e quanti hanno appreso i loro costumi, è chiaro di conseguenza che sorte e destino è la volontà di ciascuno, che sceglie liberamente ciò che le sembra bene. XIX 2. Ancora: perché non possano addurre neppure un argomento di questo tipo, che è dato cogliere particolari moti astrali corrispondenti a regioni limitate, ed è per questo che alcuni si uniscono alla propria madre, altri uccidono gli stranieri e si cibano di carne umana, perché una determinata posizione astrale fa scendere su di loro questo particolare influsso; anche se un argomento del genere è da gente assolutamente ignorante e che non ha riflettuto sulla realtà, gente che crede che in base a certe delimitazioni naturali del territorio viene impressa su di loro dall’alto la loro sorte – così risulterebbe che sono gli elementi terrestri a guidare quelli celesti, se si pensasse che questi ultimi si regolano in conformità con i primi –, tuttavia aggiungeremo anche questa considerazione a confutazione della loro concezione errata: XIX 3. il popolo giudaico si è diffuso in quasi ogni parte del mondo; popoli orientali, meridionali, centrali, occidentali, nordici, tutti o quasi coabitano con i giudei; com’è allora che nessuna necessità astrale, in nessuna regione, è riuscita a donare l’integrità fisica ad alcun giudeo, ma nonostante l’innumerevole varietà delle combinazioni astrali, quale che il bimbo incontri nascendo, egli è comunque nella stessa condizione, per la mutilazione che la sua natura subisce al ricorrere del giorno stabilito? XX 1. E lui: «Questo problema – dice – non lo abbiamo ancora esaminato, in base a quale principio certi usi vigenti
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XX 1 - XXI 2
tisi; kekrathmevna para; polloi'" tw'n ejqnw'n: hJ mevntoi provrrhsi" tw'n ajpobhsomevnwn oujk a]n mikro;n eij" ajpovdeixin nomisqeivh tou' ajparabavtw" e[cein ta; memoiramevna eJkavstw/. Pw'" ga;r oJ dei'na tovnde to;n ajriqmo;n tw'n ejtw'n bioteuvsein kai; toiai'sde suntucivai" kata; to;n bivon sunenecqhvsesqai promaqw;n ouj dieyeuvsqh, eij mhv ti" ajnavgkh kata; to; ajparavbaton ejkeivnw/ te tau'ta genevsqai pavntw" ejpevklwse, tw'/ te proagoreuvonti dia; th'" poia'" tw'n kata; to;n ajriqmo;n seshmeiwmevnwn parathrhvsew" dh'lon ejpoivhsenÉ XX 2. ÆEgw; de; krei'tton me;n e[fhn ejn toi'" toiouvtoi" dokei'n ajgnoei'n h] gevlwto" ajformh;n parevcein toi'" ajmaqestevroi" tw'n hJmetevrwn dogmavtwn: plh;n ajlla; mikra; frontivsa" tw'n ejn gevlwti ta; kaqÆ hJma'" tiqemevnwn, diÆ ojlivgwn, wJ" a]n oi|ov" te w\, pa'san th;n peri; touvtou aijtivan ejkqhvsomai. XXI 1. ÒEsti tw'/ gevnei tw'n ajnqrwvpwn kata; fuvsin polevmio" duvnamiv" ti" ejk tw'n ejnantivwn th'/ ajgaqh'/ fuvsei ginwskomevnh. Touvtou de; muriva" me;n e[sti ta;" ajpodeivxei" ejx ejnargw'n parasth'sai pragmavtwn: ouj mh;n ajnagkai'on hJgou'mai tw'/ parovnti kairw'/ pavnta kata; to; ajkovlouqon diexievnai diÆ w|n tau'ta ou{tw" e[cein pepivsteutai. XXI 2. Th'" toivnun qeiva" fuvsew" ejn panti; ajgaqw'/ nohvmativ te kai; ojnovmati qewroumevnh", parÆ h|" hJ zwhv, to; fw'", hJ ajlhvqeia, to; divkaiovn te kai; sofo;n kai; to; a[fqarton kai; pa'n o{ tiv per e[sti katÆ e[nnoian labei'n ajgaqovn, tou'to ou[sh" kai; tou'to carizomevnh", hJ ejk tw'n ejnantivwn gnwrizomevnh duvnami" ejk pavntwn tw'n kata; to; ajntikeivmenon eJkavstw/ tw'n ajgaqw'n qewroumevnwn katalambavnetai, w{ste ajnti; me;n zwh'" qavnaton, ajnti; de; ajlhqeiva" ajpavthn, kai; ajnqÆ eJkavstou tw'n beltiovnwn th;n ajntidiastellomevnhn kakivan parÆ aujth'" toi'" ajnqrwvpoi" ejpavgesqai: XX 2 touvtou b : touvtwn Y XXI 2 pavntwn tw'n Y : pavntwn b
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XX 1 - XXI 2
presso molti popoli sfuggono alla necessità astrale; ma la previsione del futuro non può essere considerata piccola prova a dimostrazione dell’immutabilità della sorte assegnata a ciascuno. Come è possibile che un tale, dopo aver appreso che avrebbe vissuto un certo numero di anni e incontrato nella sua vita determinate vicissitudini, non sia risultato ingannato, se una necessità non gli avesse assegnato tale sorte in modo irremovibile e non l’avesse mostrata all’autore della predizione attraverso un certo tipo di osservazione fondata su annotazioni astrologiche?». XX 2. Io dicevo che è meglio passare per ignoranti in tali questioni piuttosto che offrire motivo di riso a chi non conosce la nostra dottrina; ciò nonostante, dandomi poco pensiero di quelli che ridono delle nostre idee, esporrò brevemente, per quanto ne sono capace, tutte le ragioni di queste credenze. XXI 1. Vi è una potenza per sua natura nemica del genere umano, riconosciuta dai segni contrari a quelli della natura buona. Di ciò è possibile mostrare innumerevoli prove fondate su fatti evidenti; non credo tuttavia necessario, in questo momento, esporre uno per uno tutti gli argomenti sui quali poggia questa convinzione. XXI 2. La natura divina è contemplata in ogni pensiero e nome buono; da lei la vita, la luce, la verità, giustizia e sapienza e incorruttibilità; essa è e dona tutto il bene che è possibile concepire; la potenza conosciuta dai segni opposti, al contrario, la si coglie da tutti quegli aspetti che si scorgono come antitetici ad ogni singolo bene: da essa giunge all’umanità la morte in luogo della vita, l’inganno in luogo della verità e il vizio contrario
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XXI 2-5
ei\nai ga;r aujth'/ tou'to fivlon o{per a]n th'/ fuvsei toi'" ajnqrwvpoi" ejpÆ ojlevqrw/ givnhtai. XXI 3. ÓWsper de; oiJ dia; tw'n dhlhthrivwn kakopoiou'nte" pollavki" kai; mevliti to; fqei'ron ejfhduvnousi favrmakon oujk eujfra'nai th'/ geuvsei to;n blaptovmenon spoudh;n poiouvmenoi, ajllÆ ejkklevyai th;n tou' fqeivronto" ai[sqhsin, ou{tw kai; hJ fqoropoio;" au{th fuvsi" skopo;n e[cousa th'" ajgaqh'" fuvsew" ajposth'sai to;n a[nqrwpon ajgaqw'n tinwn pragmavtwn morfa;" uJpoduvetai, prorrhvsesiv tisi kai; ijatreivai" to;n ejgkekrummevnon th'" ajpavth" lovcon ejpikaluvptousa, wJ" a]n touvtw/ prosevconte" to; deivlaion tw'n ajnqrwvpwn gevno" tou'tov te nomivzonte" ajgaqo;n ei\nai tou' o[ntw" kata; fuvsin ajgaqou' mhdemivan e[coien ejpiqumivan. XXI 4. Diav toi tou'to, kaqÆ o{per a[n ti" prognwvsew" ei\do" diav tino" ajpavth" proeilhmmevno" tuvch/, katÆ ejkei'no kai; hJ ajpathlh; tw'n daimovnwn uJphvkouse duvnami", ejn hJpatoskopivai" kai; oijwnismoi'", ejn klhdovsin, ejn nekuivai", ejn geneqlialogivai", eJkavstou touvtwn ouj kata; to;n aujto;n trovpon ajlla; diafovrw" to; ejfexh'" promhnuvonto". ÓWsper toivnun oJ tw'/ h[pati to; mevllon diashmaivnwn h] oJ diav tino" klhdovno" proeikavsa" to; ejsovmenon h] oJ pro;" th;n pth'sin tou' oijwnou' blevpwn ouj th'/ th'" eiJmarmevnh" ajnavgkh/ ta; toiau'ta proagoreuvein katepaggevlletai, kata; to;n aujto;n trovpon mia'" ou[sh" aijtiva", kaqw;" ei[rhtai, th'" to; toiou'to th'" prorrhvsew" ei\do" metiouvsh" (levgw dh; th'" kata; th;n aj pathlh;n tw'n daimovnwn ejnevrgeian), oujk ejpeidhv potev ti kata; to; sumba;n ejpeteuvcqh tw'n eijrhmevnwn, ei[per dh; kai; o{lw" ejpeteuvcqh, dia; touvtou hJ th'" eiJmarmevnh" ajpodeivknutai duvnami", XXI 5. ejpei; pa'n prorrhvsew" ei\do" eijkovtw" a]n ejx eiJmarmevnh" th;n ijscu;n e[cein kataskeuavzoito: w{ste givnhtai Z : -etai AMPE -esqai Y XXI 3 tisi ZE : om. AMPY o[ntw" E : o[nto" AMPZY XXI 4 levgw dh; th'" AZ : levgw de; th'" E levgw de; MPY dia; touvtou codd. : fort. legendum dia; tou'to 5 kataskeuavzoito b : kateskeuavzeto Y
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XXI 2-5
a tutto quanto vi è di buono, perché ad essa è caro tutto ciò che per natura è rovinoso per l’uomo. XXI 3. Ma come gli avvelenatori spesso addolciscono con miele il veleno, preoccupandosi non di far sentire alla vittima un gusto piacevole, ma di sottrargli la percezione della sostanza letale: così anche questa natura funesta, mirando ad allontanare l’uomo dalla natura buona, assume certe sembianze positive, coprendo l’insidia nascosta dell’inganno con predizioni e guarigioni, perché la povera stirpe umana, rivolgendo a questo la propria attenzione e ritenendo questo un bene, non provi alcun desiderio di ciò che è davvero bene per natura. XXI 4. È per questo che l’ingannatrice potenza dei demoni conforma il proprio assenso al tipo di prescienza a cui uno sia stato prima preso con l’inganno: l’osservazione del fegato, i presagi tratti dal volo degli uccelli o da voci o dall’evocazione dei defunti, gli oroscopi compiuti in base al giorno della nascita; ciascuna delle quali forme non predice il futuro allo stesso modo, ma diversamente. Chi predice il futuro osservando il fegato o chi lo congettura in base a qualche parola sentita o chi scruta il volo di un uccello non professa tali forme di divinazione in base alla necessità del fato: allo stesso modo una sola, come si è detto, è la causa che si accompagna a tali forme di predizione – quella, intendo dire, che consiste nell’attività ingannatrice dei demoni –, e non è che se una qualche predizione si è avverata, ammesso che si sia mai avverata, ciò prova la potenza del fato, XXI 5. poiché razionalmente si dovrebbe dire che ogni tipo di predizione trae la propria forza da un fato, co-
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XXI 5 - XXII 3
hJmi'n mivan me;n eiJmarmevnhn ei\nai to;n o[neiron, eJtevran de; th;n ejk palmw'n parathvrhsin, a[llhn de; ejx oijwnismw'n h] klhdovnwn h[ tinwn sumbovlwn sunistamevnhn. Eij de; oujde;n ejpÆ ejkeivnwn kwluvei kai; provrrhsin ei\nai kai; eiJmarmevnhn mh; ei\nai, oujde; ei[ ti" ejx ajriqmou' toi'" geneqlialogou'sin ejpeteuvcqh provrrhsi", ajrkou'sa gevnoito a]n pivsti" eij" to; mh; rJa/divw" ta; toiau'ta ejpitugcavnesqai. XXII 1. Kaivtoi ge oujde; ajkribei'" te kai; ajnamfivboloi para; tw'n ta; toiau'ta ejpaggellomevnwn aiJ promhnuvsei" givnontai, ajlla; polla;" eJautoi'" ajnacwrhvsei" paraskeuavzousin ejpi; th'/ ejkbavsei, eij pro;" toujnantivon oJ lovgo" ejlevgcoito, kaiv tina protecnologou'sin eJautoi'" oi|" touvtwn mevlei, w{ste mh; ouvsh" hJmi'n th'" sunousiva" con Macr. p. 371, 6 proh'lqe rJevwn oJ lovgo"; ejpevtaxa" ... ejggravfw" ... dihghvsasqai con Macr. p. 370, 5 gravyai diekeleuvsw; ejn th/' megavlh/ tou' Kwnstantivnou povlei con Macr. p. 371, 1-2 kata; th;;n ÆAntiovcou povlin; diÆ ojlivgwn, wJ" oi|ovn te con Macr. p. 371, 22 diÆ ojlivgwn, wJ" a]n oi|ov" te w\; ejn aJplw'/ kai; ajkataskeuvw/ tw'/ dihghvmati con Macr. p. 371, 23 ejn ajkataskeuvw/ te kai; aJplw'/ dihghvmati; povrrw tw'n ejpistolimaivwn mevtrwn con Macr. p. 370, 2-3 uJpe;r to;n ejpistolimai'on o{ron; eij" logografiko;n mh'ko" ajpoteinovmenon con Macr. p. 370, 3-4 eij" suggrafikh;n makrhgorivan parateinovmenon. L’introduzione di uno scritto, nella sua relativa indipendenza dal resto, si prestava al riuso; cf. ad es. Dione di Prusa, Or. 12, 1-16 e Or. 72, 13-15. È interessante in proposito la lettera di Cicerone ad Attico del 25 luglio 44 a.C. (Ad Att. XVI 6, 4): Cicerone, attingendo alla sua raccolta di proemi, ne ha posto uno all’inizio del De gloria, dimenticando di averlo già usato nel terzo libro degli Academica; accortosi dell’errore, invia ad Attico un nuovo proemio per il De gloria, da
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COMMENTO, I 1
sostituire al precedente. (Per l’età moderna si veda H. Fielding, Tom Jones, Book XVI, Chapter I: «the prologue ... at first was part of the piece itself, but of latter years hath had usually so little connection with the drama before which it stands, that the prologue to one play might as well serve for any other»). Per il mevmnhsai pavntw" proemiale cf. anche Prof. p. 129, 14-15; In XL mart. I b p. 145, 14 e 21. B.R. Voss (Der Dialog in der frühchristlichen Literatur, München 1970, «Studia et testimonia antiqua» 9, p. 185) ha osservato che «In der Gestaltung des Rahmens imitiert der Dialogautor Gregor den Hagiographen Gregor»; ma – a parte il fatto che il rapporto cronologico tra i due testi è incerto – possiamo anche estendere lo sguardo al di là dell’opera del Nisseno: che Gregorio segua modelli retorici di scuola è indicato dal confronto con l’epistola proemiale delle Vite dei sofisti di Filostrato (ca. 230-238 d.C.), dove ritroviamo il richiamo ad un precedente dialogo tra l’autore e il dedicatario dell’opera sull’argomento trattato ora per iscritto: memnhmevno" de; kai; tw'n kata; th;n ÆAntiovceian spoudasqevntwn pote; hJmi'n uJpe;r sofistw'n ktl.; e il mevmnhsai pavntw" proemiale trova un preciso riscontro, all’interno del genere dell’epistola filosofica, in Seneca, Epist. 4, 2 Tenes utique memoria ecc. – parÆ uJma'". Queste parole non devono essere collegate a eij" pivstin metekinhvqh, ma devono riferirsi alla venuta di Gregorio presso il destinatario dopo un lungo intervallo di tempo (dia; pollou', scil. crovnou); poiché non avrebbe senso dire che il pagano Eusebio si è convertito «dopo un lungo intervallo di tempo». Ciò non risulta tuttavia chiarissimo, dovendosi sottintendere un participio concordato con moi: dia; pollou' parÆ uJma'" scil. ejlqovnti vel sim.; anche la tradizione manoscritta mostra un indice di disagio nella lezione di Y (Marc. gr. 559), erronea, ma che supplisce proprio un participio in dativo (gegonovti in luogo di gevgonen o{te, con aggiunta di o{te dopo uJma'"). Potremmo forse avanzare l’ipotesi che in entrambi i rami della tradizione manoscritta il testo sia guasto per aplografia, e che si debba leggere o{ tiv moi gevgonen, o{te gegonovti prwvhn ecc. A rigore – anche se pare ragionevole supporlo – Gregorio non dice che quella clamorosa conversione avvenne proprio nella città in cui egli era tornato dopo un lungo intervallo di tempo. Che poi questa città fosse Costantinopoli è ipotesi spesso ripetuta (cf. tra gli altri P. Maraval, Grégoire de Nysse. Lettres, Paris 1990, SC 363, p. 146 n. 1), ma priva di fondamento; a Costantinopoli Gregorio colloca soltanto il colloquio con il filosofo pagano esposto nel seguito dell’opera. – eujaggelikw'" eijpei'n. Cf. Mt 17, 20; 21, 21; Mc 11, 23; 1 Cor 13, 2. Per l’espressione eujaggelikw'" eijpei'n in Gregorio cf. Eun. II 549 (vol. I p. 387, 6). – tou' sofwtavtou Eujsebivou. Sull’identificazione, proposta da J. Daniélou, di questo Eusebio con il destinatario dell’Epistola 4 vedi supra
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COMMENTO, I 1-2
l’Introduzione, p. 32. Di conversioni contemporanee Gregorio parla anche in Moys. p. 103, 22-104, 9; Or. cat. p. 51, 4 ss. In generale sulla problematica della conversione nel mondo antico cf. A.D. Nock, voce Bekehrung, in RAC II (1954), coll. 105-118 (con bibliografia). – ei[per ... to; ajnqrwvpinon. Fin dalla prima battuta, in quella che pare un’introduzione legata solo esternamente alla discussione sul fatalismo più sotto riportata ed utile solo a ricordare la circostanza occasionale da cui la presente lettera è scaturita, Gregorio entra con finezza nel cuore dell’argomento: l’inattesa conversione di un pagano colto suscita l’interrogativo sul ruolo dell’uomo e quello di Dio in tali eventi; da tale interrogativo nasce un dialogo in cui Gregorio ed un suo conoscente toccano la problematica connessa con l’idea di destino; in questo dialogo è chiesto a Gregorio di narrare per scritto una conversazione sullo stesso tema da lui avuta a Costantinopoli nel tentativo di convertire un filosofo pagano. L’anello si chiude tra una conversione insperata e compiutasi e una conversione tentata, unite dalla meditazione di Gregorio sulla responsabilità umana, sul destino, sul ruolo di Dio nella nostra vita. Sulla qeiva summaciva cf. Inscr. Ps. p. 139, 13; 167, 24; Eun. II 1 (vol. I p. 226, 4) ecc. Nel seguito dell’opera Gregorio tende ad identificare il destino con la volontà divina, senza affrontare tuttavia il problema di come questa si concili con la libertà umana. – tou' dioikou'nto" ejpÆ ajgaqw'/ to; ajnqrwvpinon. L’uso di dioikevw (anche a IV 4) è tecnico: vedi ad es. gli indici di M. Adler agli Stoicorum veterum fragmenta di von Arnim (vol. IV) s. vv. dioikevw, dioivkhsi", dioikhthv", dioikhtikov"; Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 208 b 23, 209 a 20, 29-31, 209 b 3 e passim; Lex. Greg. s. vv. dioikevw, dioivkhsi" (vol. II pp. 437-438); E. Valgiglio a Ps. Plutarco, De fato 574 (Napoli 1993, «Corpus Plutarchi Moralium» 16, pp. 181-182). La dioivkhsi" ejpÆ ajgaqw'/ è l’opera della Provvidenza; Stoici e cristiani sono uniti dalla fede nella Provvidenza, identificata dai primi con il fato, a differenza, evidentemente, dei secondi. I2 – pollaplasivoni tw'/ megevqei th'" pivstew" uJperevbale th'" ajpistiva" to; mevtron. Il fraseggio è simile ad An. et res. 32 A-B uJperbavllein pollaplasivoni tw'/ mevtrw/. – proi> o uv s h" hJ m i' n th' " sunousiv a ". Cf. Platone, Theaet. 150 d 4 proi>ouvsh" th'" sunousiva". – ejpevtaxa" ... ejggravfw" soi diÆ ejpistolh'" dihghvsasqai. Gregorio presenta spesso le sue opere come scritti d’occasione, redatti su richiesta altrui: cf. Inscr. Ps. p. 24, 1-6; Perf. p. 173, 1-2 e 6-7; Apol. in Hex., PG
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COMMENTO, I 2-3
44, 61 A e 64 B; Macr. p. 370, 5 e 371, 16-21; Abl. p. 38, 1; Pyth. p. 101, 12-16; Infant. p. 70, 2-5 e 75, 24-25; Inst. p. 41, 24-42, 1; Cant. p. 3, 1 ss. Non si tratta di un espediente retorico; nell’età ellenistica e imperiale è pratica comune che il filosofo, la guida spirituale, il maestro in genere risponda per scritto alle domande che gli vengono poste, affrontando per un uditorio limitato, quando non per un solo individuo, questioni nate in circostanze particolari (cf. Epicuro in Seneca, Epist. 7, 11; P. Hadot, Plotin ou la simplicité du regard, Paris 1997, p. 151). Cf. ad es. il De tranquillitate animi di Plutarco, che si presenta come una lettera composta su sollecitazione del destinatario, o – per citare un esempio da letteratura di argomento affine al presente dialogo – il De fato pseudo-plutarcheo (Ta; peri; th'" eiJmarmevnh" dokou'nqÆ hJmi'n wJ" oi|ovn te safw'" kai; suntovmw" peiravsomai ejpistei'laiv soi, fivltate Peivswn, ejpeidh; su; tou'tÆ hjxivwsa": si noti anche qui il consueto accenno alla brevità richiesta dal genere). Cf. anche, con il nostro ejpevtaxa", il prosevtaxa" in Dione di Prusa or. 18, 5. Che non si tratti di un artificio retorico è poi reso qui evidente dal riferimento di Gregorio a circostanze precise, nonché dall’appellativo, rispettoso ma sentito, con il quale si rivolge al destinatario dello scritto. Cf. anche F.X. Risch, Gregor von Nyssa. Über das Sechstagewerk, Stuttgart 1999, pp. 2-7. – w\ timiva moi kai; iJera; kefalhv. Sul problema del destinatario vedi Introduzione, pp. 38-39. Per w\ timiva (moi) kefalhv cf. Inf. p. 71, 22; Prof. p. 142, 3; altrove (Ep. 4, 10 e 12, 5) Gregorio adopera l’apostrofe w\ fivlh kefalhv, di uso assai più largo e comune. Secondo quanto scrive H. Zilliacus (voce Anredeformen, in RAC, Suppl. I, 2001, col. 488), l’uso di kefalhv come Anredeform è estraneo alla tradizione cristiana, e la sua presenza nei Padri Cappadoci e in Giovanni Crisostomo testimonia la loro familiarità «mit älteren Stilprinzipien». – ejn th'/ megavlh/ tou' Kwnstantivnou povlei. Per espressioni del genere in Gregorio cf. Macr. p. 371, 1-2 e 386, 23 kata; th;n ÆAntiovcou povlin (= kata; th;n ÆAntiovceian); Prof. p. 132, 1 ejpi; th'" ÆAlexavndrou povlew", Greg. Thaum. p. 10, 14-15 kata; th;n ÆAlexavndrou povlin (= ejpi; th'" ÆAlexandreiv a ", kata; th; n ÆAlexav n dreian); e ancora Mel. p. 446, 19; Steph. I p. 86, 1. Si noti anche che nel passo citato della Vita di Gregorio il Taumaturgo parte della tradizione manoscritta legge kata; th;n megavlhn tou' ÆAlexavndrou povlin, che è, mi pare, lezione da accogliere sulla base del confronto con il nostro passo. Tra gli altri autori cf. ad es. Libanio, Or. 26, 2 th;n povlin ... thvnde th;n ÆAntiovcou, Or. 61, 1 th;n Nikomhvdou" povlin ecc. I3 – Mikra'" toivnun ejpitucw;n scolh'". Cf. Ep. 29, 1 (al fratello Pietro) Mov l i" ej p itucw; n braceiv a " scolh' " ; Ep. 19, 20 ei[ p ote tuv c oimen toiauvth" scolh'". Cf. anche Ep. 19, 4-5.
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COMMENTO, I 3
– diÆ ojlivgwn, wJ" oi|ovn te, suntemw;n to;n lovgon ... eij" logografiko;n mh'ko" ajpoteinovmenon. La brevità è uno dei requisiti principali del genere epistolare, ricordato più volte dal Nisseno: cf. in part. Macr. p. 370, 1-4 To; me;n ei\do" tou' biblivou o{son ejn tw'/ th'" prografh'" tuvpw/ ejpistolh; ei\nai dokei', to; de; plh'qo" uJpe;r to;n ejpistolimai'on o{ron ejsti;n eij" suggrafikh;n makrhgorivan parateinovmenon ed Ep. 19, 19 Tau' t av soi aj p o; pollw' n oj l iv g a, feuv g onte" th; n aj m etriv a n th' " ej p istolh'", ejxeqevmeqa, wJ" a]n mh; rJa/qumivan hJmw'n kataginwvskoi" to; logografei'n ejpi; tou' parovnto" paraitoumevnwn; ed anche Ep. 1, 3 diÆ ojlivgwn; Ep. 4, 5 tau'ta dia; bracevwn, wJ" a]n oi|ov" te w\, parasthvsa" tw'/ lovgw/; Pyth. p. 101, 13 e 101, 18-102, 1; Prof. p. 129, 9-11; In illud p. 23, 21-22. Cf. anche Demetrio, De eloc., 228 aiJ de; a[gan makrai; ... ouj ma; th;n ajlhvqeian ejpistolai; gevnointo a[n, ajlla; suggravmmata to; caivrein e[conta prosgegrammevnon; Origene, Epist. Afr. (PG 11, 48): le questioni sollevate richiedono una trattazione non sbrigativa, ma tale w{ste uJperbaivnein to;n ejpistoliko;n carakth'ra, kai; suggravmmato" e[cein perigrafhvn. Cf. H. Rabe in «Rh. Mus.» 64 (1909), p. 284 ss.; J. Sykutris, voce Epistolographie, in RE, Suppl. V (1931), col. 193; P. Maraval, Grégoire de Nysse, Vie de Sainte Macrine, Paris 1971 (SC 178), pp. 104-106; C. Klock, Untersuchungen zu Stil und Rhytmus bei Gregor von Nyssa. Ein Beitrag zum Rhetorikverständnis der griechischen Väter, Frankfurt 1987 («Beitr. zur klass. Philol.» 173), pp. 136-137. «Io vi discorro brevemente, perché la angustia epistolare non ricerca lunga narrazione», scriverà ancora il Machiavelli in una lettera del 1498 a Ricciardo Becchi (N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Torino 1984, pp. 68-69). – ejn aJplw/' kai; ajkataskeuvw/ tw'/ dihghvmati. Per la iunctura aJplou'" (te) kai; ajkatavskeuo" in Gregorio cf. Inscr. Ps. p. 26, 16-17; Macr. p. 371, 23; Eun. II 588 (vol. I p. 398, 3); Antirrhet. p. 176, 13-14; Cant. p. 226, 4. In Ep. 4, 3 Gregorio sottolinea che nella sua lettera «non vi è alcun discorso adorno di espressioni armoniose e accostate con arte» (lovgo" mevn ti" perihnqismevno" tai'" kallifwvnoi" te kai; eujsunqevtoi" tw'n levxewn e[stin oujdeiv"). Anche questo secondo carattere formale – uno stile non troppo ricercato ma vicino al naturale parlato delle persone colte – rispetta la normativa del genere epistolare, appartenente, secondo la teoria retorica antica, allo stile ‘semplice’; cf. ad es. Cicerone, Ep. ad famil. IX 21, 1 Epistulas ... cottidianis verbis texere solemus; Gregorio Nazianzeno, Ep. 51 (ed. P. Gallay, Berlin 1969, GCS 53) Tou'to kajn tai'" ejpistolai'" mavlista thrhtevon, to; ajkallwvpiston kai; o{ti ejggutavtw tou' kata; fuvsin. Per un’esposizione teorica antica dello stile epistolare vedi Demetrio, De eloc. 223-235 (ed. P. Chiron, Paris 1993, CUF, pp. 63-66). Più in generale per la letteratura filosofica vale il modello di Platone, Apol. 17 b 8 ss. ouj mevntoi ... kekalliephmevnou" ge lovgou" ... oujde; kekosmhmevnou" ecc.
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COMMENTO, II 1-2
II II 1 – metatavxasqai. Il verbo (propriamente ‘lasciare un campo per schierarsi con quello avverso’) sottende una metafora militare. Si noti che in questo caso, poiché la ‘diserzione’ avrebbe un valore positivo, essendo frutto dell’accoglimento della dottrina cristiana, il verbo usato non ha la connotazione negativa di aujtomolh'sai ‘disertare’, che Gregorio adopera di preferenza per esprimere la ‘diserzione’ in senso contrario, cioè l’abbandono della retta fede per aderire ai culti pagani, al giudaismo o ad una dottrina eretica, in generale il sottrarsi al progetto salvifico di Dio per darsi al peccato. Cf. per l’uso di metatavxasqai Eun. III 4, 51 (vol. II p. 153, 29 s.) pro;" th;n ajlhvqeian metatavxetai, Greg. Thaum. p. 24, 6 pro;" to;n ajlhqino;n qeo;n metetavxato; per l’uso di aujtomolh'sai (o anche ajpautomolh'sai) cf. Lex. Greg. vol. I p. 446, 11 ss. e 624, 45 ss. La metafora militare era già nella filosofia ellenistica (le diverse scuole come ‘campi avversi’): cf. ad es. Seneca, Epist. 2, 5 in aliena castra transire; nella tarda antichità si parlava di ‘diserzione’ (aujtomoliva) anche nella prospettiva opposta a quella di Gregorio, nelle cerchie intellettuali pagane, ad esprimere la conversione al cristianesimo: vedi ad es. Damascio, Hist. philos. fr. 120 B Ath. sulla conversione di Orapollo (Damascius, The Philosophical History. Text with translation and notes by P. Athanassiadi, Athens 1999, p. 284; cf. anche Ead., Persecution and response in late paganism: the evidence of Damascius, in «Journal of Hellenic Studies» 113, 1993, p. 6). II 2 – ÆEpeidh; de; polu;" h\n kataskeuavzwn ... th;n eiJmarmevnhn biavsetai. Si tratta di un’applicazione, volta a sottrarsi al proselitismo cristiano, del cosiddetto ‘argomento pigro’ (ajrgo;" lovgo"), per il quale vedi l’Introduzione, p. 20. Per quest’uso dell’argomento cf. Origene, Comm. in Gen. III (in Philoc. XXIII 1, ll. 29-31): dalle dottrine fatalistiche discende anche l’affermazione che «i credenti credono in Dio perché condotti a ciò dagli astri»; Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 216 a 33-36: il fatalismo astrologico è un’opera del Maligno a danno degli uomini, i{na to; eujsebei'n kai; dikaiopragei'n ajnavgkh" e[rgon nomivsante" ajllotriwqw'si qeou'; ibid. 218 b 15-16 eij to; eujsebei'n kai; dussebei'n ajpo; genevsew", ktl. L’espressione eij ei{martai era divenuta una sorta di refrain: cf. Eusebio, Praep. ev. VI 6, 10 o{qen kai; legovntwn e[stin ajkou'sai tw'n pollw'n o{ti a[ra pracqhvsetai tou'to, ei[ ge ei{martaiv moi, kai; tiv me crh; parevcein ejmautw'/ pravgmataÉ Cf. anche ibid. VI 6, 13-14. «Che giova ne le fata dar di cozzo?» chiederà ancora il messo celeste dantesco (Inferno IX 97).
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COMMENTO, II 2-3
– ajllav tino" ejxavptwn ajnavgkh" th;n tw'n ajnqrwvpwn zwhvn. McDonough legge ajlla; diav tino" ejxavptwn ajnavgkh", con b, ma il costante usus scribendi del Nisseno rende senz’altro preferibile la lezione di Y, di pari valore stemmatico, che omette diav (vedi M. Bandini, Contributi al testo di Gregorio Nisseno, in Scritti in memoria di Giacomo Bona, Potenza 1999, pp. 29-30). – tau'ta levgonto". L’omissione del soggetto nel genitivo assoluto è frequente nel greco di età imperiale, soprattutto con i verba dicendi (cf. tuttavia già ad es. Pindaro, Pyth. IV v. 232 w}" a[rÆ aujdavsanto"); in Gregorio cf. ad es. An. et res. 68 A ejgw; dev, tau'ta diexelqouvsh", ktl. In particolare per tau'ta levgonto", spesso in inizio di periodo, cf. Caritone I 5, 6; III 4, 10; VI 4, 7; Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche VIII 342; XIV 347; Autobiografia 302; Rufino in Antologia Palatina V 66 v. 5; Eliodoro, Etiopiche I 17, 4; II 2, 1; Libanio, Decl. 6, 2, 25; Zosimo, Storia II 48, 1. In generale sull’omissione del sostantivo nel genitivo assoluto vedi Kühner-Gerth 2, 81. II 3 – zwh'" te mevtra. L’elemento è ripreso più volte nel dialogo, cf. infra II 4, VIII 5-6, XIII 1, XX 1. La letteratura astrologica di età imperiale fornisce accurate istruzioni per il calcolo degli anni di vita; si vedano ad es. i capitoli Peri; crovnwn zwh'" negli Apotelesmatica di Tolomeo (III 11; ed. W. Hübner, Stuttgart und Leipzig 1998; tr. it. e commento a cura di S. Feraboli in Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche, Milano 1985) o in quelli di Efestione Tebano, cristiano di una generazione più giovane di Gregorio (II 11; ed. D. Pingree, Leipzig 1973-1974). Cf. A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque, Paris 1899, pp. 404-422. – hjqw'n diaforav". Cf. infra XIII 1 to;n trovpon, ta; tw'n hjqw'n ijdiwvmata e vedi ad es. i capitoli Peri; poiovthto" yuch'" di Tolomeo (Apotel. III 14) e di Efestione Tebano (Apotel. II 15); A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., p. 433 ss. – swmavtwn kataskeuav". Cf. infra VIII 5 ta;" tw'n swmavtwn kravsei" e vedi ad es. Tolomeo, Apotel. III 12; Efestione Tebano, Apotel. II 12 (Peri; morfh'" kai; kravsew" swmatikh'"); A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., pp. 428-433. – ta;" tw'n ajxiwmavtwn ajnwmaliva". Cf. infra XIII 1 ajxiwmavtwn ejpituciva" e vedi ad es. Tolomeo, Apotel. IV 3; Efestione Tebano, Apotel. II 18 (Peri; tuvch" ajxiwmatikh'"); A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., p. 436 ss. – a[rcein ... douleuvein te ... kai; ploutei'n ... kai; pevnesqai, ejrrw'sqai ... kai; ajsqenw'" e[cein. Per la triplice alternativa cf. Bardesane di Edessa in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 36 pantach' ga;r kai; ejn panti; e[qnei eijsi; plouvsioi kai; pevnhte" kai; a[rconte" kai; ajrcovmenoi kai; ejrrwmevnoi kai; nosou'nte", e{kasto" kata; tou;" th'" genevsew" aujtou' klhvrou".
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COMMENTO, II 3-5
II 3-4 Tutto il passo sulla diversità delle sorti umane presenta strette analogie con una pagina del De infantibus (p. 72, 2-22): cf. in part. ta;" tw'n ajxiwmavtwn ajnwmaliva" e Infant., p. 72, 4 ta;" kata; ta; ajxiwvmata kai; ta; gevnh diaforav"; ploutei'n wJsauvtw" kai; pevnesqai e Infant., p. 72, 3 th;n kata; plou'ton kai; penivan (scil. ajnwmalivan); o{ te ga;r ejn ojlivgw/ metascw;n th'" zwh'" kai; oJ ejn makrw'/ tw'/ crovnw/ parateivna" to;n bivon e Infant., p. 72, 13-15 tw'/ me;n eij" gh'ra" makro;n parateivnetai hJ zwhv, oJ de; tosou'ton metevcei tou' zh'n, o{son diÆ ajnapnoh'" to;n ajevra spavsai kai; eujqu;" katalh'xai tou' bivou. Cf. anche infra, cap. VIII 5. II 4 – tovn te aujtovmaton kai; to;n hjnagkasmevnon qavnaton ktl. Sulla determinazione astrologica dei vari tipi di morte naturale o violenta cf. ad es. Tolomeo, Apotel. IV 9; Efestione Tebano, Apotel. II 25 (Peri; qanavtou poiovthto"); A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., pp. 422428. – ta; e[ti touvtwn kaqolikwvtera ... ei[dh kakw'n. Sulla problematica legata alle sciagure collettive Gregorio torna diffusamente più avanti, nei capitoli XV-XVIII. II 5 Per le influenze dei pianeti in relazione alle diverse professioni e attività umane cf. ad es. Tolomeo, Apotel. IV 4; Efestione Tebano, Apotel. II 19 (Peri; pravxew" poiovthto"). – h] filosofei'n h] rJhtoreuvein. Nella tarda antichità filosofia e retorica sono spesso presentate come scelte di vita alternative, tanto che il passaggio dagli studi retorici a quelli filosofici può assumere i connotati di una vera e propria ‘conversione’. Cf. ad es. Marino, Proclus 9, 12-15 e 11, 1 ss. (ed. H.-D. Saffrey - A.-Ph. Segonds, Paris 2001, CUF), o i frammenti autobiografici di Damascio sul proprio volgersi alla filosofia (Damascius, The Philosophical History ... cit., p. 33 e fr. 137 B-C). – h] gewrgei'n h] nautivllesqai. Dietro l’‘andar per mare’ si deve riconoscere, credo, la vita di chi è dedito al commercio. Contadino e mercante sono esempi tipici di diversi modi di vita nella letteratura antica a partire da Solone, fr. 1 Gentili-Prato v. 43 ss.; cf. ad es. Orazio, Serm. I 1, 4 ss.; Filone, De Cherubim 33-34; Tolomeo, Apotel. IV 2, 2. Anche in Platone, Gorg. 467 d 1 oiJ plevonte" sono «i mercanti». – h] ejn gavmw/ zh'n h] to;n a[gamon aiJrei'sqai bivon. Per vita matrimoniale e celibato come opposte scelte di vita cf. Orazio, Epist. I 1, 87-89; Plutarco, De tranquill. an. 3, 466 C. – th'/ uJyhlotevra/ ... zwh'/ ejn ajkthvmoni kai; ejleuqeriavzonti bivw./ La vita ‘elevata’, ‘superiore’ (hJ uJyhlotevra zwhv, oJ uJyhlo;"/-ovtero" bivo", oJ uJperevcwn bivo") è per Gregorio la vita monastica, ascetica, o più in genera-
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COMMENTO, II 5 - III 1
le la vita dedita ai valori dello spirito; cf. Inscr. Ps. p. 77, 19-23; Greg. Thaum. p. 38, 14; Or. dom. p. 62, 19 ecc. (cf. Lex. Greg. s.v. bivo" III E 7 c, vol. II p. 46, 33 ss.). Nonostante il fatto che Gregorio stia qui riportando, nella finzione letteraria, le parole del suo interlocutore pagano, linguaggio e prospettiva sono quelli del Nisseno; il passaggio rispecchia l’ideale di vita monastica dei Padri Cappadoci, fondata su una povertà (ajkthmosuvnh) che consente di dedicarsi senza intralci ai valori spirituali. Cf. Macr. p. 377, 18-19 dia; th'" teleiva" ajkthmosuvnh" ajnempovdiston eJautw'/ to;n eij" ajreth;n bivon paraskeuavzonta (a proposito del volgersi di Basilio alla vita monastica); ibid. p. 382, 11-13 (nella descrizione della vita di ritiro ascetico di Macrina e della madre Emmelia) plou'to" de; hJ ajkthmosuvnh (uguale espressione in Greg. Thaum. p. 6, 11) kai; to; pa'san th;n uJlikh;n periousivan oi|ovn tina kovnin tw'n swmavtwn ajpotinavxasqai; Basilio, Epist. 223, 2 qeasavmeno" ... megivsthn ajformh;n eij" teleivwsin th;n diavprasin tw'n uJparcovntwn ... kai; o{lw" to; ajfrontivstw" e[cein tou' bivou touvtou ktl.; Id., Epist. 2, 2. È chiaro che la povertà ascetica, in quanto frutto di una scelta di vita totalmente consacrata ai valori dello spirito, è cosa radicalmente diversa dalla povertà che sopra (II 3) figurava tra le sorti di tipo negativo. Il carattere volontario di tale povertà è sottolineato da Gregorio anche in Greg. Thaum. p. 38, 10-11: oujk ajnavgkh/ peniva" ejpi; to;n toiou'ton ejlhluvqei bivon, ajlla; filovsofov" ti" h\n oJ ajnhvr (scil. oJ ÆAlevxandro"). Ciò non significa comunque che anche al di fuori del cristianesimo non si potesse essere sensibili al richiamo di questi ideali; A. Guida mi segnala il passo di Porfirio, De abstin. IV 17, 10 sui Samanei ajguvnaioi ... kai; ajkthvmone" e sulla venerazione di cui godevano; cf. ancora, ad es., ibid. IV 11, 5 sugli Esseni katafronhtai; ... plouvtou. II 6 – ejfÆ hJmi'n. Formula centrale nella riflessione filosofica intorno alla responsabilità umana; di conio peripatetico, ma largamente diffusa anche nello stoicismo e nel medio-platonismo. Cf. E. Spinelli (a cura di), Sesto Empirico. Contro gli astrologi, Napoli 2000, p. 134. III III 1 – hjrovmhn aujto;n eij qeovn tina oi[etai ei\nai ktl. La domanda, riproposta da Gregorio più avanti (a IV 4), non è affatto peregrina: per l’identificazione stoica di fato-dio-provvidenza-natura vedi Zenone in Lattanzio, De vera sap. 9 (= SVF I 160) e in Aezio, Plac. I 27, 5 (= SVF I 176); Crisippo in Filodemo, De pietate 11 (= SVF II 1076); Cicerone, De fato, fr. 3 (in Agostino, De civ. Dei V 8); Seneca, De benef. IV 7 (=
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SVF II 1024); Nat. quaest. II 45, 1-2; Plutarco, De Stoic. rep. 1050 A-B; Alessandro d’Afrodisia, De fato 31 (p. 203, 12-13 Bruns) (= SVF II 928). – to; kata; pavntwn e[conta kravto". La stessa espressione in Eun. I 530 (vol. I p. 179, 26). III 2 – pollhvn mou katagnou;" ajbelthrivan. L’atteggiamento arrogante di chi si crede sapiente, cf. Eun. II 61 (vol. I p. 243, 28-30) oiJ sofoi; ou|toi pollh;n ajbelterivan ... tw'n pollw'n katayhfizovmenoi ktl. Conservo la forma ajbelthriva, certamente antica e largamente – spesso, come qui, concordemente – attestata nella tradizione manoscritta di molti autori, ma sistematicamente corretta in ajbelteriva. Cf. il Thesaurus linguae Graecae di H. Stephanus, rist. Graz 1954, s.v.; PGL, s.v.; P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Paris 1968, s.v. ajbevltero". – tw'n kaqÆ eiJrmo;n ajparabavtw" ginomevnwn. È chiaro il riferimento alla definizione stoica del fato come eiJrmo;" aijtiw'n ajparavbato", cf. SVF II 917 (= LS 55 J), II 918. Per il termine eiJrmov" cf. anche SVF II 920; Filone, Quis rerum divin. her. 301; Plotino III 1, 2, l. 31; Gregorio Nazianzeno, Carm. I 2, 34 v. 266 (PG 37, 964); Gregorio Nisseno, Apol. in Hex. 72 B ecc. Già sopra, a II 5, il pagano aveva parlato di ajparavbato" ajpoklhvrwsi"; vedi anche infra, III 6. III 3 – duvnamivn tina ... aujtokrath'. Si ricorderà che Filone, pur ritenendo gli astri «dei visibili» (sulla scorta del Timeo platonico), sottolinea però a più riprese ch’essi non sono aujtokratei'": cf. ad es. De opif. mundi 46 con il commento di D.T. Runia (Philo of Alexandria. On the Creation of the Cosmos according to Moses, Leiden-Boston-Köln 2001, p. 190); vedi anche P. Borgen - K. Fuglseth - R. Skarsten, The Philo Index, Grand Rapids (Mich.) - Leiden 2000, s.v. auj tokrathv" ; M. HadasLebel, Philon d’Alexandrie, De providentia I et II. Introduction, traduction et notes par M. H.-L., Paris 1973, pp. 33-34. III 4 – ïO tw'n oujranivwn, fhsivn, ejpeskemmevno" th;n kivnhsin. Cf. infra, cap. XIV 4 para; tou' diÆ ajkribeiva" ejpeskemmevnou tw'n oujranivwn th;n kivnhsin. – ta; ejn aujtw'/ ... diesthkovta. tmh'ma è la dodicesima parte del circolo zodiacale, zw/ vdion la costellazione; gli tmhv mata hanno tutti uguale estensione, al contrario delle costellazioni (cf. S. Feraboli a Tolomeo, Apotel. I 9). – th'/ perigrafh'/ tw'n ejnqewroumevnwn zw/divwn. Cf. Sesto Empirico, Adv. math. V 23 tw'n zw/divwn mh; katÆ ijdivan perigrafh;n qewroumevnwn.
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– micqeivsh" te tw'/ proseggismw'/ ktl. Assai vicino al nostro passo è Infant. p. 71, 14-18 pw'" ta; ejn aujtoi'" qewrouvmena tw'n a[strwn polueidw'" schmativzetai, ejn proseggismoi'" te kai; ajpostavsesi kai; uJpodromai'" te kai; ejkleivyesi kai; tai'" ejpi; ta; plavgia paradromai'" th;n ajdiavleipton ejkeivnhn aJrmonivan ajei; kata; ta; aujta; kai; wJsauvtw" ejxergazovmena. III 5 – hJ tou' katwtevrou uJpovbasi" ktl. Il ‘corpo celeste inferiore’ ed il ‘superiore’ sono i due fwsth're", luna e sole; cf. infra, IV 2. – ajpokatavstasi". «Il ritorno di un pianeta su di un punto con la stessa longitudine, ma anche con medesima declinazione» (S. Feraboli in Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche cit., p. 414); vedi ad es. Alcinoo, Didask. p. 154, 2-3 Hermann; Basilio, Hex. VI 8, 11 e cf. anche E. Spinelli, Sesto Empirico cit., pp. 176-177. – o{ te poikivlo" ... ajpotelw'n. L’accenno è alla cosiddetta astrologia grafica o geometrica, coltivata, a detta di Teone di Smirne (sec. II d.C.), soprattutto dagli Egiziani, a fronte dell’astrologia aritmetica propria dei Caldei (cf. S. Feraboli in Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche cit., pp. XIII e 368). – schmatismov". ‘Aspetto’, ‘distanza angolare’. Come ha osservato Bouché-Leclercq (L’astrologie grecque cit., p. 165), il nome improprio di ‘aspetti’ «(o[yei" - adspectus), qui a prévalu en latin, rappelle encore que, là aussi, la rigidité des mathématiques n’a pas empêché l’imagination de cultiver la métaphore et d’humaniser les relations angulaires». – ejn trigwvnoi". Sui trigoni cf. Tolomeo, Apotel. I 19 con il commento di S. Feraboli (in Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche cit., pp. 388-389); A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., pp. 169-170, 199-206. III 6 – to; eiJrmw'/ tini ajparabavtw/ ... diermhneuvetai. La definizione di eiJmarmevnh alla quale approda il filosofo contamina il determinismo causale degli stoici (il fato come eiJrmo;" aijtiw'n, series causarum) con il fatalismo astrologico; la stessa contaminazione è in Eusebio, Praep. ev. VI 6, 58 th;n eiJmarmevnhn eiJrmovn tina aijtiw'n ei\naiv fasin ajpÆ aijw'no" ajparabav tw" kai; ajm etakinhv t w" ej k th' " tw' n ouj raniv wn a[s trwn fora' " kaqhvkonta. Di eiJrmo;" ajparavbato" aveva parlato anche Eunomio, attaccato da Gregorio in Eun. I 406 ss. (vol. I p. 145, 10 ss.). IV IV 1 – ouj ga;r sunivein ... paivdeusin. Gregorio non è digiuno di astronomia, come risulta chiaro anche dal seguito di questo capitolo, nel quale egli
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riprende con proprietà terminologica l’esposizione del suo interlocutore (cf. IV 2-3 e III 4-5); le sue perplessità si appuntano sulla definizione data da questi di eiJmarmevnh. L’interesse di Gregorio per l’astronomia appare a più riprese nei suoi scritti; si vedano ad es. la pagina, già citata, del De infantibus (p. 71, 1 ss.), nella quale Gregorio tratteggia il diverso sguardo sui fenomeni celesti del pepaideumevno", che attraverso la comprensione approfondita dei singoli fenomeni perviene alla contemplazione dell’armonia dell’universo, e dell’ijdiwvth", che si limita a godere dei raggi del sole o della bellezza del cielo stellato; o quella del Contra Eunomium II 71 (vol. I p. 247, 4 ss.), così pervasa da un sentimento di stupore di fronte alla complessità dei fenomeni celesti e alla loro perfetta regolarità (per l’espressione di tale sentimento nella letteratura antica cf. la nota di M. Naldini a Basilio, Hex. VI 1, 4; si può rinviare ancora ad Orazio, Epist. I 6, 35 ecc.). Secondo una tradizione filosofica risalente al socratismo (cf. Senofonte, Mem. I 1, 11 ss. e IV 7, 2-8, passi ben presenti agli scrittori cristiani: cf. l’apparato in Xénophon. Mémorables, t. I, Paris 2000, CUF, pp. 5-6; M. Bandini, Testimonianze antiche al testo dei Memorabili di Senofonte, in «Atti e memorie dell’Accad. toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”» 57, 1992, p. 35) e proseguita in età ellenistica soprattutto dal cinismo (cf. G. Luck, Die Weisheit der Hunde. Texte der antiken Kyniker, Stuttgart 1997, pp. 17-18), studi approfonditi di astronomia, e in generale di scienze matematiche, fisiche e naturali, sono spesso presentati come inutili nel cristianesimo antico: cf. tra gli altri Gregorio Nazianzeno, Or. 43, 23 «Di astronomia ... egli (scil. Basilio) apprese quanto bastava a non farsi turbare dagli esperti della disciplina; quanto andava al di là lo respinse come inutile per i cristiani». Il Nisseno si pone su una diversa e più aperta linea, di matrice stoica, che il cristiano fonda sull’esegesi del Salmo 18, 2 (OiJ ouj r anoi; dihgou' n tai dov x an qeou'): tali studi possono costituire una via di perfezionamento spirituale, una via che conduce a Dio: cf. Infant. p. 85, 10 - 86, 21. Lo stesso atteggiamento troviamo in Filone: cf. M. Hadas-Lebel, Philon d’Alexandrie, De providentia cit., p. 89 e n. 2. Più in generale, anche l’astronomia rientra per Gregorio in quei ‘tesori degli Egizi’, in quel patrimonio di cultura pagano che il cristianesimo non deve rifiutare, ma volgere al suo ‘retto uso’: cf. Moys. p. 68, 8 ss. Degli interessi scientifici di Gregorio offre del resto ampia testimonianza l’Apologia in Hexaëmeron. IV 2 – a[llon a[llw/ ejgkei'sqai. Cf. Eun. III 3, 6 (vol. II p. 109, 11-12) pavnta" ga;r touvtou" (scil. tou;" eJpta; ajstevra") ejn ajllhvloi" ajnastrefomevnou" tou;" kuvklou" katanohvsante" ktl. – th;n ejnantivan kivnhsin th'/ ajplanei' perifora'/ kata; to; ejnto;" ajnelivssesqai. Cf. An. et res. 25 C - 28 A tw'n ejnto;" kuvklwn th;n ejpi; to; e[mpa-
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lin kivnhsin, Infant. p. 71, 13-14 th'/ ajplanei' perifora'/ oiJ ejnto;" kuvkloi pro;" to; e[mpalin ajnelivssontai, Eun. I 402 (vol. I p. 144, 6-7) tw'n ajstevrwn oiJ planwvmenoi, oi|" oJ drovmo" eij" to; e[mpalin tou' panto;" ajnelivssetai, ibid. II 71 (vol. I p. 247, 9-12), II 77 (vol. I p. 249, 18-19), Inscr. Ps. p. 31, 24-26; Filone, De Cherubim 21-22; Origene, Comm. in Gen. III (in Philoc. XXIII 6, ll. 4-5) ejnantioforouvntwn tw'n kaloumevnwn planwmevnwn toi'" ajplanevsin ecc. «Le stelle fisse sono trascinate assieme alla volta celeste, da est verso ovest, secondo il movimento diurno, mentre i pianeti aggiungono a questo un movimento loro proprio in direzione opposta, da occidente a oriente» (S. Feraboli in Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche cit., pp. 364-365; la studiosa ricorda anche come Cleomede [sec. I d.C.] paragoni «le stelle fisse a passeggeri di una nave che rimangono al loro posto, ed i pianeti a passeggeri che si spostano da prua a poppa mentre la nave continua la rotta, oppure a formiche appoggiate al cerchio di una ruota che camminano in senso contrario al movimento della ruota stessa» [de motu circulari corporum coelestium, I 16]). Diodoro di Tarso scrisse un trattato dal titolo Peri; sfaivra" kai; tw'n z¾ zwnw'n kai; th'" ejnantiva" tw'n ajstevrwn poreiva", ricordato dalla Suda accanto al trattato Contro il fato (cf. Suidae lexicon s.v. Diovdwro" monavzwn, vol. II p. 103, 13-14 Adler). – ta;" tw'n fwsthvrwn aujgav". Per sole e luna quali ‘luminari’ per eccellenza cf. PGL s.v. fwsthvr 2. – uJpobaivnein to;n katwvteron ... tou' uJpobaivnonto". Per la descrizione dell’eclissi di sole cf. Filone, De provid. II 71 «Il sole viene meno quando la luna viene a trovarsi sotto di esso al momento della congiunzione». IV 3 – oJ kuvklo" periavgh/. Cf. infra XII 1 uJpo; tou' kuvklou periagovmeno". – plagiavsai kata; th;n pavrodon. Cf. Infant. p. 71, 17 tai'" ejpi; ta; plavgia paradromai'". – ei[te diÆ ojlivgou ... ginomevnh". La diversa durata delle rivoluzioni planetarie è sottolineata tra gli altri anche in Filone, De provid. II 69 «Saturno sembra percorrere la sua orbita a mala pena in trent’anni, il sole in dodici mesi, Marte in due anni; la luna, essa sola, vi impiega dei giorni, meno di trenta»; per la tradizione in cui Filone si colloca si vedano i materiali raccolti da A.S. Pease nel commento a Cicerone, De nat. deor. II 51-54 (Cambridge, Mass., 1958). IV 4 Tau'ta pavnta ... th'" eiJmarmevnh" th;n duvnamin. Ripresa del paragrafo 1 hjxivoun diÆ w|n h\n moi dunato;n gnw'nai th;n th'" eiJmarmevnh" diavnoian, dia; touvtwn moi fanero;n poiei'n to; legovmenon. Si osservi la figura retorica dell’ajntimetavqesi", secondo la quale uno stesso termine è adoperato nella stessa frase con due valori diversi: duvnami" qui ha prima il valore
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COMMENTO, IV 4 - V 1
di ‘senso’, ‘significato’, poi quello di ‘potere’, ‘forza’; la stessa figura è anche sopra, a III 2. Cf. M. Bandini, Note sulla tradizione e sul testo di Gregorio Nisseno, in «Riv. di filol. e di istr. class.» 128 (2000), pp. 323337: 330-333. – oJ tou' panto;" ejxhmmevno" to; kravto". La stessa espressione è in Eun. III 8, 45 (vol. II p. 256, 3-4); De tridui sp. p. 287, 1-2; In asc. p. 327, 1. – h] a[llh" tino;" uJperkeimevnh" ejnergeiva" uJpourgo;n ei\nai ktl. Che i corpi celesti siano solo u{parcoi, autorità subalterne sottoposte al governo divino, è dottrina filoniana: cf. De spec. leg. I 19, De cherub. 24; cf. anche Plotino II 3, 6, ll. 14-20. IV 5 – hJ ajkolouqiva tou' lovgou divdwsin oi[esqai. La stessa espressione è in An. et res. 45 C; cf. anche Apol. in Hex. 81 A noei'n hJ ajkolouqiva tou' lovgou divdwsin. – to;n loxw'" ejgkecaragmevnon tw'/ povlw/ kuvklon. Cf. Eun. II 71 (vol. I p. 247, 10-12) kuvklon tev tina to;n legovmenon zw/ofovron kata; to; loxo;n ejgkecaragmevnon tw'/ povlw/. IV 6 – Eij gavr ti" doivh kaqÆ uJpovqesin ktl. Sebbene inserita in un contesto assai diverso, l’idea che la connessione tra movimento e fato implica un venir meno di questo in assenza del primo torna in certo modo in Boezio, nell’ambito della distinzione tra provvidenza e fato (Cons. Philos. IV 6, 7 ss.): quodsi (scil. aliquid) supernae mentis haeserit firmitati, motu carens fati quoque supergreditur necessitatem (IV 6, 16). Sulla fonte (o le fonti) di Boezio vi è larga discussione: cf. R.W. Sharples, Cicero: On Fate ( De Fato) & Boethius: The Consolation of Philosophy (Philosophiae Consolationis) IV. 5-7, V, Warminster 1991, p. 205. V V1 Il filosofo pagano replica esponendo la dottrina stoica della sumpavqeia universale (vedi Introduzione, p. 19) e della dipendenza delle realtà terrene da quelle celesti (cf. ad es. Filone, De opif. mundi 117 ejk tw'n oujranivwn ta; ejpivgeia h[rthtai katav tina fusikh;n sumpavqeian). Tale dipendenza è fondata sulle ajpovvrroiai, presupposto dell’astrologia genealogica: cf. ad es. Sesto Empirico, Adv. math. V 1 ÆEpi; prou>pokeimevnw/ toivnun tw'/ sumpaqei'n ta; ejpivgeia toi'" oujranivoi" kai; kata; ta;" ejkeivnwn ajporroiva" eJkavstote tau'ta neocmou'sqai ecc. Si osservi nel presente capitolo il ricorrere dei termini ajporrohv (4-5), ajpovrroia (5), ajporrevw (5) – cf. anche Lex. Greg. s.vv. (vol. I pp. 491-494) – e l’insi-
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COMMENTO, V 1 - 2-3
stenza sui composti con sun-: sumpavqeia, suvmpnoia, sumplokhv, sunevceia, sunechv", sunivstasqai, sunalloiou'sqai, summetakivrnasqai, sunexallavssein, sumfevresqai, summorfou'sqai. – sunecev" ejsti to; pa'n eJautw'/. Cf. Crisippo in Alessandro di Afrodisia, De mixtione (SVF II 473 = LS 48 C 1) th;n suvmpasan oujsivan ... sunevcetaiv (scil. uJpo; tou' pneuvmato") te kai; summevnei kai; sumpaqev" ejstin auJtw'/ to; pa'n. – oi|on ejpi; swvmato" eJnov". Per il confronto tra le parti del cosmo e le membra del corpo cf. ad es. Sesto Empirico, Adv. math. V 43-44. La concezione del cosmo come organismo umano è il naturale corrispondente della concezione dell’uomo come microcosmo; per quest’ultima in Gregorio cf. Inscr. Ps. p. 30, 24-26 e p. 32, 16-33, 6; An. et res. 28 B; per la corrispondenza tra le due concezioni cf. ad es. Filone, Quis rer. div. heres 155 e[nioi ... ejnallavttonte" bracu;n me;n kovsmon to;n a[nqrwpon, mevgan de; a[nqrwpon e[fasan to;n kovsmon ei\nai; Id., De migr. Abr. 220, dove alla concezione del cosmo come mevgisto" kai; telewvtato" a[nqrwpo" si accompagna la sottolineatura della sua unitarietà, del legame invisibile che ne unisce le diverse parti. Cf. anche E. Corsini, L’harmonie du monde et l’homme microcosme dans le De hominis opificio, in Epektasis. Mélanges patristiques offerts au Cardinal Jean Daniélou, Paris 1972, pp. 455-462. V 2-3 – ÓWsper ejpi; th'" ijatrikh'" farmakeiva" ecc. Il riferimento è al secondo modo di mescolanza secondo gli stoici, quello da essi chiamato ‘fusione totale’ (kra'si" diÆ o{lou), per il quale i costituenti originari perdono le loro proprietà producendo un composto nuovo: cf. Crisippo in Alessandro di Afrodisia, De mixtione (SVF II 473 = LS 48 C 3) ta;" dev tina" (scil. mivxei" givnesqai levgei oJ Cruvsippo") sugcuvsei diÆ o{lwn tw'n te oujsiw'n aujtw'n kai; tw'n ejn aujtai'" poiothvtwn sumfqeiromevnwn ajllhvlai", wJ" givnesqaiv fhsin ejpi; tw'n ijatrikw'n farmavkwn kata; suvmfqarsin tw'n mignumevnwn, a[llou tino;" ejx aujtw'n gennwmevnou swvmato"; per l’applicazione all’ambito astrologico cf. Plotino II 3, 1, ll. 24-26 oJmou' te pavntwn (scil. tw'n planhtw'n) th;n kra'sin eJtevran givgnesqai, w{sper ejx uJgrw'n diafovrwn to; kra'ma e{teron para; ta; memigmevna. Il tema della mescolanza e delle sue varie forme era divenuto un’importante problematica filosofica a partire da Aristotele (De gen. et corr. I 10); per un primo orientamento vedi SVF II 463-481; A.A. Long, Hellenistic Philosophy, London 1974, trad. it. Bologna 1991, pp. 211-213; A.A. Long D.N. Sedley, The Hellenistic Philosophers, Cambridge 1987, vol. I pp. 290-294 e vol. II pp. 287-291. La teoria della ‘fusione totale’ presuppone quella dell’infinita divisibilità, richiamata più avanti da Gregorio (cap. VII). Sul tema della mescolanza (cf. in Gregorio anche An. et res. 73 B - 76 B), o su quello delle possibilità prognostiche comuni alle due
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discipline, si fonda poi il parallelo, tradizionale, tra medicina e astrologia: cf. ad es. infra, XIII 3 e XIV 1-3; Virg. p. 335, 5 ss., dove il lessico usato per esprimere l’observatio medica coincide con quello astrologico. Vedi anche M.M. Sassi, La scienza dell’uomo nella Grecia antica, Torino 1988, pp. 179-185. V3 – tw'/ aJlmw'nti h] parastuvfonti. Cf. Infant. p. 89, 23 aJlmw'sin h] parastuvfousin. V4 – moi'ran. Termine tecnico (usato dal filosofo anche infra, V 5) indicante la ‘parte’ risultante da una divisione astrologica: la dodicesima parte del circolo zodiacale (cf. Sesto Empirico, Adv. math. V 23 e 26) o la trentesima di ciascun segno (ibid. V 5 To;n me;n ou\n zw/diako;n kuvklon ... diairou' s in eij " dekaduv o zw/ v d ia, e{ k aston de; zw/ v d ion eij " moiv r a" triavkonta ..., eJkavsthn de; moi'ran eij" eJxhvkonta leptav: ou{tw ga;r kalou'si ta; ejlavcista kai; ajmerh'). Cf. ancora Sesto Empirico, Adv. math. V 36-38; Efestione Tebano, Apotel. passim (vedi l’index verborum dell’ediz. Pingree cit., s.v.); W. Gundel, voce Astrologie, in RAC I (1950), col. 819. V5 – kaqavper ejn ejkmageivw/ sfragi'do" ktl. La stessa immagine è utilizzata da Gregorio nel sesto discorso Sulle beatitudini (p. 143, 6-9 Callahan), dove però è Dio che, come imprimendo nella cera le forme di un sigillo, imprime nella natura umana le immagini dei propri beni (tw'n ... th'" ijdiva" fuvsew" ajgaqw'n oJ qeo;" ejnetuvpwse th'/ sh'/ kataskeuh'/ ta; mimhvmata, oi|ovn tina khro;n schvmati glufh'" prostupwvsa"). Cf. anche Hom. op. 228 B; Eun. III 2, 146 (vol. II p. 99, 25 ss.); In Basil. fr. p. 133, 10-14. L’immagine, di ascendenza platonica (cf. Theaet. 191 c 8 ss. con Alcinoo, Didask. p. 155, 13 Hermann; si ricordi anche l’uso di tupovw, ejktupovw, ejktuvpwma nel Timeo [50 c-d] per esprimere l’impronta delle Forme sulla materia) è cara anche a Filone: vedi P. Borgen - K. Fuglseth - R. Skarsten, The Philo Index cit., s.v. ejkmagei'on; cf. ancora, ad es., De opif. mundi 18-20, o Legum allegor. lib. I 100, dove la yuchv è qualificata come khroeidhv"; R. Arnaldez, Les images du sceau et de la lumière dans la pensée de Philon d’Alexandrie, in «L’information littéraire» 15 (1963), pp. 62-72; R.A.J. Gagnon, Heart of Wax and a Teaching that stamps: tuvpo" didach'" (Rom. 6: 17b) once more, in «Journal of Biblical Literature» 112 (1993), pp. 667-687: 681-687. – summorfou'tai. Cf. Ep. 17, 24 tw'/ proevconti summorfou'tai to; uJpoceivrion.
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COMMENTO, VI 1
VI VI 1 – Ouj pauvsh/ ... diexiwvn. L’accusa di lhrei'n ai seguaci delle dottrine astrologiche è tradizionale: cf. ad es. Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 210 a 6, 215 b 28, 219 a 29, e i mathematicorum vaniloquia di Agostino, De civ. Dei V 4. Gregorio non rifiuta la dottrina della sumpavqeia universale, ma il rapporto causale tra corpi celesti e realtà umana. Per la sumfwniva e suvmpnoia dell’intera creazione con se stessa in Gregorio cf. Or. cat. p. 21, 20-22 pav s h" giv n etai pro; " eJ a uth; n sumfwniva th'" ktivsew", oujdamou' th'" fusikh'" ejnantiovthto" to;n th'" sumpnoiva" eiJrmo;n dialuouvsh" – dove, si noti, anche i termini sumfwniva e suvmpnoia sono astrologici: cf. ad es. per il primo Sesto Empirico, Adv. math. V 39 levgontai ... sumfwnei'n ajllhvloi" (scil. oiJ ajstevre") wJ" oiJ kata; trivgwnon h] tetravgwnon fainovmenoi; per il secondo E. Valgiglio, [Plutarco], De fato cit., p. 182 n. 267 –; ancor più vicino al fraseggio usato sopra (V 1) dal filosofo pagano è Eccl. p. 406, 3-4 sunecev" ejsti to; pa'n eJautw'/ kai; oujk e[cei tina; luvsin hJ aJrmoniva tw'n o[ntwn, ajllav tiv" ejsti suvmpnoia tw'n pavntwn pro;" a[llhla. Cf. anche Apol. in Hex. 105 B sunecev" ejsti to; pa'n eJautw'/, Hom. op. 129 C xumpnevoi pro;" eJauth;n hJ ktivsi", Inscr. Ps. p. 30, 27 ss. hJ ... tou' panto;" diakovsmhsi" aJ r moniv a tiv " ej s ti mousikhv ... pro; " eJ a uth; n hJ r mosmev n h kai; eJ a uth' / suna/vdousa kai; mhdevpote th'" sumfwniva" tauvth" diaspwmevnh ecc. Ma per Gregorio l’armonia del creato, presente oppure originaria, infranta dal peccato e destinata a ricomporsi in prospettiva escatologica, è fondata sull’unione con Cristo: cf. An. et res. 72 A, 136 A; Inscr. Ps. p. 66, 26 ss.; In illud p. 20, 8-17; Or. cat. p. 79, 20 - 80, 2. Vedi J. Daniélou, L’être et le temps chez Grégoire de Nysse, Leiden 1970, pp. 51-74. Per la sumpavqeia del cosmo in Basilio cf. Hex. II 2, 8; in Gregorio Nazianzeno cf. ad es. Or. 5, 6 tw'n oujranivwn kai; tw'n a[nw sumpascovntwn toi'" hJmetevroi" kata; th;n megavlhn tou' panto;" aJrmonivan te kai; oijkeivwsin. – to; ajmere;" ejkei'no mevro". Per l’uso dell’agg. ajmerhv", ripetuto da Gregorio anche più avanti in questo paragrafo, cf. Sesto Empirico, Adv. math. V 5 citato sopra (a V 4). – ou[te eij e[myucon tou'to kai; proairetikovn ejsti levgwn. È la questione di partenza del trattato plotiniano Peri; tou' eij poiei' ta; a[stra: cf. II 3, 2, ll. 1-2 Povtera e[myuca nomistevon h] a[yuca tau'ta ta; ferovmenaÉ – ou[te o{pw" katakratei' tw'n ejmyuvcwn ktl. Ritroviamo lo stesso argomento, ed anche una certa vicinanza di lessico, in Sofronio di Gerusalemme (morto nel 638), Narrationes miraculorum ss. Cyri et Ioannis 28, 2 (ed. N. Fernández Marcos, Los Thaumata de Sofronio, Madrid 1975): Nemesione, seguace delle dottrine astrologiche, riteneva l’uomo, partecipe di anima e di ragione, di libertà e di autodeterminazione, schiavo degli astri, privi di vita e di ragione, di percezione e di volontà:
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COMMENTO, VI 1-3
douvlou" hJma'", tou;" yuch'" kai; lovgou metevconta" kai; katÆ eijkovna ktisqevnta" tou' ktivsanto", kai; tauvth/ timhqevnta" ejleuqeriva/ gnwvmh" kai; boulh'" aujtexousiovthti, ajyuvcwn oJmou' kai; lovgou chreuovntwn ajstevrwn, kai; pavsh" ajmoirouvntwn aijsqhvsew" kai; boulhvsew". (A richiamare la mia attenzione sulla narratio di Sofronio è stato il prof. A.M. Milazzo). – kaqavper tina; tuvrannon h] despovthn. Vedi infra a VII 1. – ajproaivreton. Cf. Or. cat. p. 10, 1-2 oujde;n ga;r ajproaivreton tw'n zwvntwn ejstiv. VI 2 – eij" oi{a" oJ lovgo" ajtopiva" ejkfevretai. Per l’espressione cf. Antirrhet. p. 148, 22-24 siwpw' ta; livan ajpemfaivnonta, pro;" a} ... hJ ajtopiva ... ejkfevretai. – para; th;n prwvthn pavrodon. Per il significato di pavrodo" cf. infra, 4 th'" ajnqrwpivnh" parovdou, ed anche Eun. I 303 (vol. I p. 116, 13-14) th;n eij" to; genevsqai pavrodon; ibid. III 2, 4 (vol. II p. 53, 14) hJ me;n dia; sarko;" eij" to; ei\nai pavrodo"; ibid. III 5, 43 (vol. II p. 176, 3) pavnta o{sa dia; gennhvsew" e[cei th;n pavrodon; ibid. III 6, 1 (vol. II p. 185, 1213) th;n ... eij" to; ei\nai ... pavrodon; ibid. III 7, 49 (vol. II p. 232, 13); An. et res. 128 B th;n eij" to; ei\nai pavrodon, ibid. 128 C th;n dia; genevsew" pavrodon; Or. cat. p. 71, 10-13 ecc. Per para; th;n prwvthn cf. An. et res. 49 B para; th;n prwvthn eujqu;" th'/ kataskeuh'/ sunupavrconta; Eccl. p. 296,16 e p. 418,11; cf. anche Filone, De sacrif. Abelis et Caini 73 kata; th;n prwvthn gevnesin ‘appena nati’. – pavntw" o{ti. ‘È chiaro che’, espressione ellittica che sottintende dh'lon, usata da Gregorio soprattutto negli scritti contro Eunomio, ma non solo: cf. Eun. I 253 (vol. I p. 100, 25-26); II 58 (vol. I p. 243, 2); II 200 (vol. I p. 283, 12); II 203 (vol. I p. 284, 10); II 247 (vol. I p. 298, 21); III 1, 35 (vol. II p. 16, 1); III 5, 45 (vol. II p. 176, 25); Maced. p. 114, 2; Mort. p. 62, 27; Cant. p. 373, 22. Per l’espressione completa cf. Eun. III 7, 56 (vol. II p. 235, 4-5); Ref. 188 (p. 392, 11-12); Antirrhet. p. 176, 27-28. È un tratto della lingua filosofica e teologica tardo-antica: cf. ad es. Epifanio, Panarion haer. 42, 11, 17 (vol. II p. 148, 21 Holl [Leipzig 1922, GCS 31]); ibid. 66, 58, 6 (vol. III p. 95, 5 H.); Cirillo di Gerusalemme, Catech. VII 4 (vol. I p. 212 Reischl [München 1848]); Siriano, In Arist. metaphys. p. 147, 18-20 Kroll (Berlin 1902, CAG VI 1); Simplicio, In Arist. physic. p. 781, 15 Diels (Berlin 1882, CAG IX); Damascio, In Parmenidem vol. I pp. 8, 18; 18, 12; 20, 11 Westerink (Paris 1997, CUF); Id., De principiis vol. I pp. 63, 6; 99, 16; 109, 17 Westerink (Paris 1986, CUF) ecc. VI 3 –ÒAdhlon ga;r ejntau'qa ktl. In questo paragrafo e nel successivo Gregorio, pur utilizzando definizioni e concetti aristotelici, confuta dottri-
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COMMENTO, VI 3
ne astrologiche richiamantesi ad una matrice aristotelica. Per i moti astrali quali precedenti la generazione cf. Aristotele, De gen. et corr. II 10, 336 a 18-22. Sull’antiaristotelismo di Gregorio nel Contra fatum vedi anche infra, VI 4. Più esplicite prese di posizione antiaristoteliche troviamo negli scritti contro Eunomio; ma si veda anche, ad es., An. et res. 52 B-C, 64 A. Per il quadro più ampio dell’antiaristotelismo dei Padri greci – da leggersi a sua volta nell’ambito dell’antiaristotelismo di matrice medioplatonica – cf. D.T. Runia, Festugière Revisited: Aristotle in the Greek Patres, in «Vigiliae Christianae» 43 (1989), pp. 1-34; per l’antiaristotelismo pagano, medioplatonico ma anche scettico ed epicureo, cf. i contributi raccolti in Antiaristotelismo, a cura di C. Natali - S. Maso, Amsterdam 1999. – dia; meiwvsewv" te kai; aujxhvsew" ejn th'/ fuvsei kinouvmeno" (ejpei; kai; tou'to kinhvsew" ei\dov" ejsti). È l’aristotelica kivnhsi" kata; mevgeqo", cf. Aristotele, Phys. VIII 7, 260 a 26-28; Cat. 15 a 13 ss.; De anima I 3, 406 a 12-13; De caelo IV 3, 310 a 23-24. McDonough ha espunto ejn, intendendo dunque «muovendosi per natura». Erroneamente, mi pare; perché qui la fuvsi" è vista come l’ambito entro cui si svolge il movimento (per diminuzione e crescita) dell’essere umano, così come le orbite astrali sono l’ambito entro cui si svolge il movimento dei corpi celesti: cf. infra kajkei'na kinei'tai dia; tw'n kuvklwn kai; tou'to dia; th'" fuvsew" oJdeu'on fevretai; ed anche Antirrhet. p. 149, 15 oJdw'/ badivzwn dia; th'" fuvsew", Eun. III 1, 97 (vol. II p. 36, 29-30) dia; tw'n oJdw'n th'" fuvsew" poreuomevnh ecc. Tali paralleli sconsigliano, mi pare, di intendere qui fuvsi" come ‘utero’, come pure sarebbe linguisticamente lecito: vedi LSJ s.v. fuvsi" VII 2 e cf. anche infra, XIX 3. Per la kivnhsi" del nascituro nel grembo materno cf. An. et res. 125 B tw'n dÆ ejn nhduvi ejntrefomevnwn ou[te hJ au[xhsi" ou[te hJ topikh; kivnhsiv" ejstin ajmfivbolo"; e già Eccl. p. 377, 5 oJ crovno" mevtron kuhvsew", dove la gravidanza è accostata ad altre realtà in movimento (per il rapporto tra durata della gestazione e sviluppo intrauterino del nascituro cf. Aristotele, De gen. anim. IV 10, 777 b 6-16). – tou' ajevro" spavsai. Allusione alla teoria che poneva l’inizio della vita umana propriamente detta nel momento del primo respiro del neonato (cf. A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., p. 590). Per l’indicazione dell’oggetto al genitivo cf. J. Wackernagel, Vorlesungen über Syntax, Erste Reihe, Basel 1926 (rist. 1981), p. 6; per questa espressione con il genitivo cf. Benef. p. 99, 19 touvtou tou' ajevro" ajnevspasen; con l’accusativo cf. Infant. p. 72, 15 to;n ajevra spavsai, ibid. 73, 1 e[spase to;n ajevra; Sap. Salom. 7, 3 e[spasa to;n koino;n ajevra con reminiscenza di Menandro, fr. 602 K.-A. Cf. anche Mort. p. 47, 3 tou' kaqarou' spavswsi pneuvmato"; Eccl. p. 338, 9-10 to;n aujto;n e{lkousin ajevra dia; tou' a[sqmato"; Eccl. p. 293,10; Filone, Quod det. potiori insid. soleat 17 ecc.
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COMMENTO, VI 3 - VII 1
– hJ pro;" ajllhvlou" suvnodo". Si noti l’uso, certo qui ironico, del termine tecnico astrologico suvnodo", ‘congiunzione’. È un primo accenno di un procedimento – l’uso ironico del linguaggio tecnico dell’astrologia – utilizzato più largamente da Gregorio nel capitolo seguente (vedi nota a VII 1), e ancora a XVI 2 (vedi). VI 4 Gregorio riprende qui, confutandola, la dottrina aristotelica della continuità ininterrotta della generazione come prodotto necessario dell’eterno movimento della rivoluzione celeste: cf. Aristotele, De gen. et corr. II 10, 336 a 15 ss. con il commento di Giovanni Filopono (ed. G. Vitelli, Berlin 1897, CAG XIV 2, p. 290, 10 ss.); Meteor. I 2, 339 a 21 ss. con il commento di Alessandro di Afrodisia (ed. M. Hayduck, Berlin 1899, CAG III 2, pp. 5, 25 ss.). Le nascite umane, dice Gregorio, non avvengono secondo un flusso ininterrotto, ma sono separate da intervalli di tempo; ciò dimostra ch’esse non sono determinate dal moto dei corpi celesti, che è costante ed ininterrotto. L’argomento è ripreso da Gregorio nel cap. XI. – ijdivw/ tou'to eiJrmw'/ kajkei'no pavlin ijdiazovntw" ejfÆ eJautou' fevretai. Per l’espressione ijdivw/ eiJrmw'/ fevretai cf. Or. cat. p. 46, 6 ejn th'/ fuvsei kata; to;n i[dion eiJrmo;n poreuomevnh/ ; per ijdiazovntw" ejfÆ eJautou' cf. Apol. in Hex. 80 B; Eun. III 2, 151 (vol. II p. 101, 13); ibid. III 7, 11 (vol. II p. 218, 27); Theoph. p. 126, 1-2; cf. anche Eun. III 6, 20 (vol. II p. 193, 10-11) ijdiva/ ... kai; ejfÆ eJautou'. Per l’immagine del cammino distinto e irrelato degli astri da un lato, dell’uomo dall’altro cf. Gregorio Nazianzeno, Carm. I 1, 5 v. 65 ss. ÆAllÆ oiJ me;n perovwen eJh;n oJdovn, h{nper e[taxe / Cristo;" a[nax ...: / hJmei'" dÆ hJmetevrhn oJdo;n a[nimen (ed. C. Moreschini in St. Gregory of Nazianzus. Poemata arcana, Oxford 1997). – ouj d emia' " aj n av g kh" sunaptouv s h" pro; " a[ l lhla ta; diestw' t a th' / fuvsei. In Eun. III 1, 92 (vol. II p. 35, 18-19) è Cristo che «congiunge ciò che per natura è separato», partecipando delle nature umana e divina (i{na th'/ pro;" eJkavteron koinwniva/ diÆ eJautou' sunavyh/ ta; diestw'ta th'/ fuvsei). Per l’espressione cf. anche Eun. III 2, 84 (vol. II p. 80, 10). VII VII 1 Gregorio pone l’accento sulla minuta sottigliezza delle divisioni operate dagli astrologi e sul numero ridicolmente esorbitante di ‘moire’ che ne risultano. Egli sembra porsi sulla linea di quegli autori che, evidenziando la sottigliezza delle divisioni astrologiche, ne deducevano l’impossibilità pratica di raggiungere, nella determinazione del momento
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COMMENTO, VII 1
della nascita (o, a maggior ragione, del concepimento), quella precisione che gli astrologi ritenevano necessaria: vedi supra, Introduzione, p. 23. Ma questo argomento non è qui avanzato da Gregorio, che invece, rifacendosi alla dottrina stoica della divisione all’infinito (tomh; eij" a[peiron: cf. VII 2 ta;" ajpeivrou" tw'n moirw'n muriavda") ed ai suoi esiti astrologici, insiste sull’assurdità, in sé, di un numero talmente elevato di ‘moire’, per aggiungere poi, su questa base, l’argomento ontologico del capitolo seguente. Ciò non è, mi pare, senza motivo; Gregorio attacca le fondamenta teoriche dell’astrologia genealogica, che quell’argomento ‘pratico’ lasciava intatte (cf. anche A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., p. 591: «l’argument ... n’atteint que les astrologues et leurs méthodes pratiques, laissant debout l’astrologie, avec ses principes et ses théories»). Sulla tomh; eij" a[peiron del tempo cf. SVF II 482, 491, 509; sulla dottrina stoica dell’infinita divisione in genere, i suoi antecedenti e il suo opporsi al pensiero di Epicuro cf. A.A. Long D.N. Sedley, The Hellenistic Philosophers cit., vol. I pp. 297-304, 307. Gregorio dice esplicitamente di rifarsi alla dottrina dei suoi stessi ‘avversari’: cf. w{" fate e wJ" dev fasin uJmw'n oiJ ktl. Qualche analogia con l’argomentazione di questo capitolo mostra un passaggio della Refutatio conf. Eun. (64-65). – despotw'n kai; turavnnwn. L’ironia di Gregorio si fonda sull’accostamento di terminologia tecnica astrologica a termini non tecnici, quale tuvranno" (cf. anche infra VII 2 tw'n ajkariaivwn ejkeivnwn qew'n h] despotw'n h] turavnnwn h] oujk oi\dÆ o{pw" crh; levgein). Egli parte dall’uso astrologico di termini ed espressioni quali despovth" (‘pianeta dominante’: cf. LSJ s.v., 4), oijkodespovth" ‘pianeta che ha influsso predominante in un domicilio’ (cf. anche oij k odespoteiv a , oij k odespotev w , oijkodespovthsi", oijkodespotikov", sunoikodespovth" ecc.: v. LSJ s. vv.), kuvrio", kurieuvw (v. LSJ s.v. kuvrio", II; s.v. kurieuvw, b), hJgemoniko;n zw/vdion o dwdekathmovrion ‘segno dominante’ (cf. ad es. Tolomeo, Apotel. I 13, 5; Vettio Valente, Anth. I 2, 1 ecc.: vedi l’index verborum dell’ediz. Pingree, Leipzig 1986, s.v. hJgemonikov"), ejniautokravtwr ‘segno zodiacale che presiede all’anno’ (v. LSJ s.v.). Sui segni dominanti (hJgemonikav, prostavssonta), paradominanti (parhgemonikav) e sottoposti (aj k ouv o nta) cf. Tolomeo, Apotel. I 15; Efestione Tebano, Apotel. I 9; Retorio in CCAG I, p. 165; A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., p. 163. Per l’uso del t. devspoina in riferimento all’eiJmarmevnh cf. infra, cap. IX 2; per la iunctura despovth" kai; tuvranno" cf. supra, VI 1; Platone, Leg. IX 859 a 4-5 kata; tuvrannon kai; despovthn. Per la ‘tirannia’ degli astri cf. ad es. Filone, De provid. I 79 ecc. – ta;" lepta;" ejkeivna" kai; ajkarei'" tou' crovnou toma;" ktl. Cf. infra eij" th;n leptotevran ... parathvrhsin, ... tw'n leptw'n legomevnwn tmhmavtwn ... ejpileptuvnetai; cf. anche XI 3 sulleptunovmenai; inoltre Ippolito, Refut. VI 28, 4 pavlin au\ tw'n triavkonta moirw'n eJkavsthn moi'ran diai-
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COMMENTO, VII 1 - VIII 3
rei' eij" lepta; eJxhvkonta kai; tw'n leptw'n lepta; kai; e[ti leptovtera; Basilio, Hex. VI 5, 7; ibid. VI 5, 9; Gregorio Nazianzeno, Carm. I 1, 5 vv. 45-46 con il commento di D.A. Sykes (in St. Gregory of Nazianzus. Poemata arcana cit., p. 189). VIII VIII 1 L’argomentazione di Gregorio in questo capitolo si fonda sull’idea dell’essere come coincidente con il bene (cf. ad es. Eccl. p. 406, 7 to; de; o[ntw" o]n hJ aujtoagaqovth" ejstivn) e sulla conseguente concezione del male come non-essere, realtà essenzialmente negativa, non dotata di una sua propria esistenza, assenza (ajpousiva) o privazione (stevrhsi") di bene e non principio separato. Tale concezione, già degli Alessandrini e condivisa anche da Basilio (cf. ad es. l’omelia Quod deus non est auctor malorum, PG 31, 341 B) e dal Nazianzeno, era largamente diffusa tra i pensatori cristiani, preoccupati di difendere la fede cristiana contro ogni insegnamento dualistico; essa è comunque presente anche in testi non cristiani (Daniélou ha ricordato ad es. Salustio, De dis et mundo, XII 1). Cf. W. Völker, Gregor von Nyssa als Mystiker, Wiesbaden 1955, pp. 89-90 (tr. it. Gregorio di Nissa filosofo e mistico, Milano 1993, p. 88); J. Daniélou, L’être et le temps ... cit., pp. 135-153; C. Scouteris, Malum privatio est: St. Gregory of Nyssa and Pseudo-Dionysius on the Existence of Evil (Some Further Comments), ed. E.A. Livingstone, Leuven 1989 («Studia Patristica» XVIII, 3), pp. 539-550; A.A. Mosshammer, Non-Being and Evil in Gregory of Nyssa, in «Vigiliae Christianae» 44 (1990), pp. 136-167. Il presente capitolo è illustrato anche da una pagina del Discorso catechetico (Or. cat. p. 10, 5-18) sull’idea di ajdunamiva come estranea al divino, nel quale volontà e capacità coincidono (cf. su questo anche Apol. in Hex. 69 A; Eun. I 417 [vol. I p. 148, 11-18]) e la cui volontà non può essere indirizzata che al bene. – ejn th'/ ejnergeiva/ ... duvnami". C’è al fondo l’idea del divino come realtà eminentemente attiva, per la quale cf. ad es. Filone, Quod det. 161 drasthvrion ... to; o[ntw" o[n ... ajnagkai'on ei\nai. VIII 3 – tw'/ te megavla kai; ou'sa; Inscr. Ps. p. 31, 28 s. ajpo; tou' ejn w|/ ejstin ejfÆ e{terovn ti kaino;n meqistavmeno". X2 Gli astri, afferma Gregorio, così come le altre realtà in movimento, sono segni (cf. shmei'a, tw'/de tw'/ shmeivw/ ... ejshmeiwvqh), non cause efficienti (cf. ou[te ... poiei'). L’argomentare di Gregorio riprende quello di Basilio, ma il suo tono non scende all’irrisione come in Basilio, il quale aveva parodiato la definizione eunomiana del tempo come poiav ti" kiv n hsi" aj s tev r wn sostituendo kanqav r wn («di scarabei») ad ajstevrwn: cf. C. Eun. I 21 ïO de; (scil. Eunomio), ejpeidh; ejn crovnw/ oiJ ajstevre" kinou'ntai, crovnou aujtou;" ei\nai dhmiourgou;" ajpofaivnetai. Oujkou'n kata; to;n tou' sofwtavtou lovgon, ejpeidh; kai; oiJ kavnqaroi ejn crovnw/ kinou'ntai, oJriswvmeqa to;n crovnon ei\nai poiavn tina kanqavrwn kivnhsin: oujde;n ga;r touvtou to; parÆ aujtou' lecqe;n diafevrei, plh;n th'" semnovthto" tw'n ojnomavtwn. Lo stesso tipo di argomentazione è utilizzato da Gregorio nel cap. XXI (5). XI XI 1 – Pavlin ga;r ... lovgon. Gregorio riprende e sviluppa l’argomento già avanzato a VI 4. Per l’espressione cf. Eun. III 7, 6 (vol. II p. 217, 1-2).
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COMMENTO, XI 1 - XII 3
– ParÆ w|n ga;r hJ aijtiva tou' eu\ h] kakw'" ei\nai to;n a[nqrwpon, para; tw'n aujtw'n kai; hJ tou' ei\nai pavntw" aijtiva ejstivn. Per il principio cf. Eun. III 1, 79 (vol. II p. 31, 22-25) w|/ ga;r ajpov tino" ajrch'" ejsti to; ei\nai, touvtw/ kai; to; ti; ei\nai pavntw" ajpov tino" a[rcetai: ejfÆ ou| de; to; ei\nai oujk h[rxato, oujde; ei[ ti a[llo peri; aujto;n qewrei'tai ajpov tino" th;n ajrch;n e[cei. Cf. anche Filone, De opif. mundi 77 oJ qeo;" ... pavnta prohtoimavsato boulhqei;" genovmenon aujto;n (scil. to;n a[nqrwpon) mhdeno;" ajporh'sai tw'n prov" te to; zh'n kai; to; eu\ zh'n; Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 209 b 19-20 qeo;n de; aujtoi'" (scil. al cosmo e alle realtà in esso contenute) kai; to; ei\nai kai; to; eu\ ei\nai parascovmenon; ibid. 213 b 32-34 pavnta th'" genevsew" katÆ aujtou;" h[rthtai, kai; to; ei\nai kai; oJ tou' ei\nai trovpo" ecc. XI 4 – ejkei'na kata; taujta; kai; wJsauvtw" ajei; kinei'tai. Per l’espressione, che sottolinea la perfetta regolarità dei moti astrali, cf. ad es. Filone, Legum allegor. I 8, che in riferimento al moto delle stelle fisse parla di una fora; kata; taujta; kai; wJsauvtw" e[cousa; Legum allegor. III 99 planhvta" de; kai; ajplanei'" ajstevra" kata; taujta; kai; wJsauvtw" kinoumevnou"; De Cherubim 23. Cf. anche E. Valgiglio, [Plutarco], Il fato cit., p. 129 n. 53. XII XII 2 Douvleion, a]n ou{tw tuvch/, to;n Tau'ron levgete ktl. Le reminiscenze dall’Esamerone basiliano sono qui particolarmente evidenti: cf. per il segno del Toro Hex. VI 6, 2 oJ tauriano;" tlhpaqhv", fhsiv, kai; doulikov", ejpeidh; uJpo; zugo;n oJ tau'ro"; per l’Ariete Hex. VI 6, 1: chi è nato nel segno dell’Ariete sarà generoso, perché questo animale ajpotivqetai ajluvpw" to; e[rion. I due motivi (servilismo del toro, generosità dell’ariete) sono già accostati in Filone, De opif. mundi 85 tau'roi me;n katazeuvgnuntai pro;" a[roton gh'" ...: krioi; de; brivqonte" baqevsi malloi'" ... ejmparevcousin ajpokeivrasqai to; e[rion. Ma Filone pone soprattutto l’accento sulla sottomissione di entrambi gli animali all’uomo. Per la generosità dell’Ariete cf. anche Manilio IV 128 in vulgum ... dabit fructus et ... vellera con il commento di S. Feraboli - R. Scarcia, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2001, pp. 324-325; per il carattere sottomesso del Toro cf. Manilio IV 142 s. summittit in astris / colla iugumque suis poscit cervicibus ipse con il commento citato, p. 326. XII 3 – Tov te blaptiko;n kai; narkw'de". Per gli influssi negativi di Saturno cf. ad es. Tolomeo, Apotel. II 9, 5; il narkw'de" del nostro testo trova
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COMMENTO, XII 3-4
poi precisa corrispondenza in Manetone, Apotel. II 167 nwceleva" te kai; ajdraneva" mavla rJevzei. – tw'/ to;n ajnwtavtw periodeuvonti povlon. Cf. Cicerone, De nat. deor. II 52 ea quae Saturni stella dicitur ... quae a terra abest plurimum con il commento di A.S. Pease cit.; Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl. cod. 223, 211 b 29-31 oJ Krovno" ... touvtwn (scil. tw'n a[llwn planhvtwn) ajnwvteron diatrevcei kuvklon. – to; qermo;n tw'/ Puroventi. A. Guida mi ha fatto notare che oJ Purovei" è appellativo proprio del pianeta Marte, da scriversi dunque maiuscolo: cf. LSJ s.v. purovei" 2 e ancora, ad es., G. Pasquali, Doxographica aus Basiliusscholien, in Scritti filologici, I, Firenze 1986, p. 543. Saturno (Krovno") e Marte (oJ Purovei") sono associati anche in un testo forse cristiano conservatoci da un papiro della prima metà del IV secolo, PGen inv. 203 B, fr. 1, 9-11, sul quale cf. F. Decleva Caizzi - M.S. Funghi, Natura del cielo, astri, anima. Platonismo e aristotelismo in una nuova interpretazione di PGen inv. 203, in Papiri filosofici. Miscellanea di studi, II, Firenze 1998, pp. 33-110, in part. pp. 40-41, 80-81; sul papiro vedi da ultimo P. Fait, Cielo, astri e anima. Note alla recente edizione di PGen inv. 203, in Papiri filosofici. Miscellanea di studi, IV, Firenze 2003, pp. 99-107. Anche nella letteratura latina l’appellativo Pyrois è frequentemente attestato, cf. Cicerone, De nat. deor. II 53 Purovei", quae stella Martis appellatur con il commento di A.S. Pease cit.; Igino, De astron. II 42, 3; Columella X 290; Apuleio, De mundo 29; Ausonio, Prec. cons. design. 1, 24 ed Eclog. liber 5, 2; Marziano Capella II 194, VIII 851 e 884 ecc. Per il collegamento di Marte con siccità, febbri, incendi, venti caldi e simili cf. ad es. Tolomeo, Apotel. II 9, 11-13. – Eij me;n eJkovnte" ejn kakoi'" eijsi kai; blaptikoi; ejk proairevsew" givnontai, ktl. L’ipotesi che i corpi celesti esercitino volontariamente influssi negativi è prospettata anche da Basilio, che la accantona come assurda: cf. Hex. VI 7, 4 eij de; proairevsei kakuvnontai (scil. oiJ kakopoioi; tw'n ajstevrwn), prw'ton me;n e[stai zw'/a proairetikav, lelumevnai" kai; aujtokratorikai'" tai'" oJrmai'" kecrhmevna: o} maniva" ejsti;n ejpevkeina katayeuvdesqai tw'n ajyuvcwn. XII 4 – eij de; oujk ejk proairevsew" ktl. Cf. Plotino II 3, 3, ll. 1-2 ÆAllÆ oujc eJkovnte" tau'ta, ajllÆ hjnagkasmevnoi toi'" tovpoi" kai; toi'" schvmasin. In Basilio (Hex. VI 6, 4) l’alternativa – i segni celesti non scelgono i propri influssi, ma sono a loro volta soggetti a un dominio ad essi estraneo: kai; aujto;" (scil. oJ oujranov") uJpovkeitai ajllotrivai" ajrcai'" – è risolta nel ridicolo: le forze alle quali i segni zodiacali soggiacciono vengono non da altri corpi celesti ad essi superiori, ma dagli animali terreni, se è l’indole di questi a determinare le proprietà dei segni corrispondenti.
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COMMENTO, XII 4-5
– ejpizhvmion to;n Kriovn. La qualifica dell’Ariete come ‘dannoso’ è a prima vista sorprendente, poiché in contraddizione con il carattere benefico attribuito allo stesso segno poco sopra, al § 2. Ma nelle righe precedenti l’autore ha focalizzato l’attenzione sugli influssi astrali negativi; e l’Ariete, periodicamente tosato, è sì un segno generoso, ma anche apportatore di rovesci di fortuna, seguiti da recuperi: Augusto Guida ha richiamato la mia attenzione su Manilio IV 127 (Aries) in damna feretur con il commento di S. Feraboli - R. Scarcia cit., pp. 323325 e i passi citati ivi (p. 324) di Retorio, CCAG VII, p. 196 sunecw'" ejn luvpai" kai; ajpobolai'" kai; paligkthvsesin e Ippolito, Ref. IV 15, 5 katÆ e[to" ti ajpobavllonte" (detto dei nati nel segno dell’Ariete). Il passaggio resta comunque un po’ brusco, anche in considerazione dell’invariata ripresa dal § 2 di douvleion ... to;n Tau'ron. Sul carattere benefico dell’ariete cf. anche il passo del Commento alla Genesi di Teodoro di Mopsuestia edito in Teodoro di Mopsuestia, Replica a Giuliano imperatore, a cura di A. Guida, Firenze 1994 («Biblioteca Patristica» 24), p. 125 l. 10; più in generale sulla simbologia dell’ariete nella letteratura cristiana antica cf. M.P. Ciccarese, Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano. I (Agnello - Gufo), Bologna 2002 («Biblioteca Patristica» 39), pp. 139-154. – to;n Karkivnon ajkevfalon. Per la descrizione del karkivno" come privo di testa cf. ad es. Nemesio, De nat. hom. 4 (PG 40, 612 A). Qui però l’elemento non è puramente descrittivo, ma si rapporta, come i caratteri degli altri segni menzionati, all’influsso negativo esercitato sull’uomo; significativo in proposito il passo di Clemente Alessandrino, Paed. II 2, 34 ÆEmoi; dokei' oJ ajkevfalo" pro;" tw'n maqhmatikw'n kalouvmeno" ... tou;" ojyofavgou" kai; hJdonikou;" kai; tou;" eJtoivmou" eij" mevqhn aijnivttesqai. Kai; ga;r ou\n kajn touvtoi" to; logistiko;n i{drutai oujk ejn th'/ kefalh'/, ajllÆ ejn toi'" ejntosqidivoi", pavqesin ejpiqumiva/ te kai; qumw'/ dedoulwmevnon. XII 5 La stessa idea di una moltiplicazione ad infinitum di cause superiori, esposta in forma non lontana (cf. in part. kai; pavlin a[llhn nel nostro testo con l’inizio del v. 18, vedi infra) è in Gregorio Nazianzeno, Carm. I 1, 5 vv. 15-18 ïO dÆ ajstevra" hJgemonh'a" / hJmetevrh" geneh'" te bivou qÆ a{ma panto;" ojpavzwn, / aujtoi'" ajstravsin, eijpev, tivnÆ oujrano;n a[llon eJlivxei"É / Kai; tw'/ dÆ au\ pavlin a[llon, ajeiv tÆ ejpÆ a[gousin a[gonta"; Se vi è un rapporto tra i due testi, all’incirca contemporanei, è probabile che sia piuttosto il nostro ad aver suggerito i versi del Nazianzeno che non viceversa; ciò anche sulla base del confronto con Apol. in Hex. 112 C, passo assai vicino al nostro sia per procedere argomentativo sia per lessico, e certamente anteriore al carme del Nazianzeno. Cf. anche Eun. III 3, 4 (vol. II p. 108, 13-21).
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COMMENTO, XIII 1 - XIV 1-3
XIII XIII 1 – pro;" to; a[topon to;n lovgon ejkbavllonto". Cf. Eun. III 4, 51 (vol. II p. 153, 23-24) pro;" to; a[topon ... ejxwqw'n to;n lovgon; Eun. III 10, 30 (vol. II p. 301, 16-17) pro;" th;n ajtopivan tauvthn to; dovgma tw'n uJpenantivwn ejkbavllonta". – Tiv mavch/, fhsiv, th'/ ejnargeiva/É ktl. Sulla divinazione come prova dell’esistenza del fato, che la rende possibile, cf. ad es. Crisippo in Diogeniano presso Eusebio, Praep. ev. IV 3, 1 (= SVF II 939, LS 55 P); Cicerone, De divin. I 127-128 (sull’argomento Cicerone si soffermava anche nel De fato: cf. E. Valgiglio, Il fato nel pensiero classico antico, in «Rivista di studi classici» 15 [1967], pp. 305-330: 326). L’intervento del filosofo è caratterizzato, ancora una volta, dall’uso di lessico speciale: sono termini tecnici parathrei'n (vedi anche infra XIII 2 e cf. ad es. Diodoro Siculo I 28, 1; Vettio Valente, Anth. passim [vedi l’index verborum dell’ediz. Pingree cit., s.v. parathrevw, parathvrhsi"]; Sesto Empirico, Adv. math. V 27), proagoreuvein (vedi anche infra XXII 2-3 e cf. E. Spinelli, Sesto Empirico cit., p. 115), e[kbasi" (vedi anche infra XIII 2, XXII 1 e cf. Sesto Empirico, Adv. math. V 12, V 31; LSJ s.v. e[kbasi" II). – dia; tw'n ajriqmw'n. L’espressione fa riferimento alla raccolta di calcoli e osservazioni astronomiche, posti a fondamento delle previsioni astrologiche: cf. infra, XX 1 dia; th'" poia'" tw'n kata; to;n ajriqmo;n seshmeiwmevnwn parathrhvsew", XXI 5 ejx ajriqmou'; cf. anche Infant. p. 86, 16-17 th;n dia; tou' ajriqmou' katanovhsin th'" ajlhqeiva". – eij pro;" ajkrivbeian hJ w{ra lhfqeivh th'" tou' ajpokuhqevnto" gennhvsew". Cf. Basilio, Hex. VI 5, 7 dei' ga;r to;n ta; wJroskopei'a katamaqei'n mevllonta pro;" ajkrivbeian th;n w{ran ajpogravfesqai. Per l’argomento antiastrologico che evidenziava l’impossibilità pratica di una tale esattezza e precisione vedi supra, Introduzione, p. 23 e commento a VII 1. – to;n crovnon, to;n trovpon ... kakav. Cf. supra, II 3-5 e note relative. Per le predizioni relative a matrimonio e figli si veda ad es. Tolomeo, Apotel. IV 5-6; Efestione Tebano, Apotel. II 21-22; A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., pp. 447-453. XIII 2 – ÆEgw; de; tw'n toiouvtwn prorrhvsewn ta;" aijtiva" mikro;n u{steron eijpw;n zhthvsein. L’argomento è ripreso da Gregorio nella parte finale del dialogo (cf. infra, XX 2 ss.). XIV XIV 1-3 Per il parallelo tra astrologia e medicina cf. ad es. Cicerone, De fato 15;
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COMMENTO, XIV 1-3 - 4
Posidonio, fr. 111 E.-K. con il commento di I.G. Kidd, Cambridge 1988, pp. 436-438. Sulla tematica della ‘predizione’ medica basti ricordare ad es. l’inizio del Prognosticon di Ippocrate (un testo commentato da Galeno e con ogni probabilità noto a Gregorio), con la forte sottolineatura dell’importanza per il medico di essere in grado di proginwvskein/prolevgein ... ta; mevllonta/ ta; ejsovmena sulla base dei sintomi presenti (ejk tw'n pareovntwn paqhmavtwn). Vedi anche supra, nota a V 2-3. XIV 2 Per o{son oujdevpw cf. LSJ s.v. o{so" IV 5; Kühner-Gerth 2, 412. XIV 3 – oJ Plavtwno" ... lovgo". Il riferimento è a Platone, Resp. III 406 a-b, liberamente parafrasato: cf. in particolare ejpiqanativou tou' noshvmato" o[nto" con Resp. 406 b 5 tw'/ noshvmati qanasivmw/ o[nti; eij" gh'ra" dihvrkese con Resp. 406 b 8 eij" gh'ra" ajfivketo; makrw'/ qanavtw/ con Resp. 406 b 4 makrovn ... to;n qavnaton auJtw'/ poihvsa"; sofisavmeno" con Resp. 406 b 8 uJpo; sofiva". XIV 4 La risposta del filosofo si accorda con il pensiero di Tolomeo, secondo cui gli eventi terreni sono ora il prodotto di cause ineluttabili, ora invece il frutto di cause che seguono il loro corso naturale qualora non incontrino ostacoli, ma che l’uomo può anche contrastare efficacemente, modificando così gli eventi: cf. Tolomeo, Apotel. I 3, 6 ss.; vedi anche Ps. Plutarco, De fato 570 E - 571 E con il commento di E. Valgiglio. Gregorio ha però buon gioco nell’osservare che tale visione è incompatibile con la posizione rigidamente deterministica assunta finora dal suo interlocutore, e alla quale del resto questi si affretta a tornare. Dietro questo passaggio s’intravede il dibattito sul problema dei ‘possibili’; cf. in proposito Alessandro di Afrodisia, De fato 9 (p. 174, 29 ss. Bruns), riassunto da Eusebio, Praep. ev. VI 9, 25-26; Origene, Comm. in Rom. I (in Philoc. XXV 2, ll. 35-44) e É. Junod, Origène. Philocalie 21-27, Sur le libre arbitre, Paris 1976 (SC 226), pp. 222-223, n. 1. – para; tou' diÆ ajkribeiva" ejpeskemmevnou ktl. Cf. per il fraseggio Eun. II 411 (I p. 346, 11-12) ou{tw" ejsti; krivnein ejpeskemmevno" diÆ ajkribeiva" ta; dovgmata. – a[llo" ga;r tou' ejndecomevnou ... kai; a[llo" tou' ajmetaqevtou oJ lovgo". Per il tipo di espressione, propria del linguaggio filosofico, cf. Eun. III 5, 60 (vol. II p. 182, 12-13) a[llo" ... tou' ei\nai kai; a[llo" tou' pw" ei\nai oJ lovgo"; Abl. p. 56, 19-20 a[llo" ... oJ tou' tiv ejsti kai; a[llo" oJ tou' pw'" ejsti lovgo"; più spesso con a[llo" ... kai; e{tero", cf. ad es. Eun. II 39 (vol. I p. 237, 23-24) a[llo" ga;r th'" diafora'" kai; e{tero" th'" oujsiva" oJ lovgo"; ibid. III 5, 62 (vol. II p. 183, 11-12) a[llo" ... tou' sunqevtou kai;
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COMMENTO, XIV 4 - XV 4
e{tero" tou' koinou' th'" oujsiva" lovgo" (l’integrazione dell’articolo è mia); Antirrhet. p. 196, 1-2 e{tero" tou' uJpoceirivou kai; a[llo" tou' ejpistatou'nto" oJ lovgo". In altri autori cf. ad es. Prolegomena in Plat. philos. (ed. L.G. Westerink, Paris 1990, CUF) 5. 55 a[llh ejsti;n hJ ajpeiriva tou' crovnou kai; a[llo" oJ aijwvn «una cosa è l’infinità del tempo, un’altra l’eternità». XV XV 1 – to; pisto;n e[cein. La stessa espressione in Macr. p. 371, 10. XV 3 ss. L’argomento al quale Gregorio qui ricorre fa parte del tradizionale bagaglio antiastrologico: vedi supra, Introduzione, p. 22. XV 4 – to;n ejpi; Nw'e kataklusmo;n kai; th;n Sodovmwn ejkpuvrwsin h] to;n Aijguvption strato;n uJpobruvcion ejn th'/ ÆEruqra'/ qalavssh/ genovmenon. I tre episodi sono accostati anche in Ref. 169 (p. 383, 6-9): Ei\ta carivzetai aujtw'/ to;n ejpi; Nw'e diÆ u{dato" tw'n ajnqrwvpwn ajfanismo;n kai; th;n ejn Sodov m oi" tou' puro; " ej p ombriv a n kai; tw' n Aij g uptiv w n th; n e[ n dikon timwrivan. – to;n ejpi; Nw'e kataklusmovn . Cf. Gen 6, 13 ss. – th;n Sodovmwn ejkpuvrwsin. Cf. Gen 19, 1 ss. – to;n Aijguvption strato;n ... genovmenon. Cf. Ex 14, 5 ss. L’episodio è narrato da Gregorio in Moys. p. 14, 14 ss. – ta;" meta; tau'ta ... ajndroktasiva". Cf. Ex 17, 8 ss. (in Gregorio cf. Moys. p. 18, 10 ss.; 82, 6-8; 137, 4; 141, 21); Num 21, 1-3. 21-24. 3335; 31, 1-12 (in Gregorio vd. anche Moys. p. 31, 7-9; 140, 20-22). – to;n aujtovmaton ... qrausqevnto". Cf. Num 16, 28 ss.; 17, 6-15 (in Gregorio vedi anche Inscr. Ps. p. 44, 25-27). – ta;" eJkato;n ... nekrwqeivsa". Cf. 2 Reg 19, 35, ed anche Orat. dom. p. 9, 8-10 (proseuch;) ta;" eJkato;n ojgdohvkonta pevnte tw'n ÆAssurivwn ciliavda" mia'/ nukti; th'/ ajoravtw/ rJomfaiva/ katevstrwsen. – ejn Mhdikai'" ... megavlai". Il riferimento alle battaglie di Maratona e di Salamina è già in Sesto Empirico, Adv. math. V 92 (Maratona); Ippolito, Refut. IV 5, 7 (Maratona e Salamina); a questa tradizione attinge probabilmente Gregorio. Se egli conoscesse direttamente l’opera erodotea è incerto; ma le guerre persiane erano anche, nel IV secolo, argomento delle declamazioni dei retori, quale il suo amico e corrispondente Stagirio: cf. Ep. 27, 4. Della tradizione scolastica e retorica è debitore anche l’aneddoto su Serse narrato in Infant. p. 70, 14-20.
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COMMENTO, XV 5
XV 5 – Ka]n tau'ta parevlqwmen pavnta ktl. Per la transizione, di scuola, dalla storia antica ai fatti contemporanei cf. ad es. Cicerone, De divin. I 29 Sed quid vetera? M. Crasso quid acciderit videmus ecc.; Seneca, Epist. 24, 11 Non revoco te ad historias ...; respice ad haec nostra tempora ecc. – th;n megavlhn Biquniva" mhtrovpolin. Su Nicomedia capitale della Bitinia cf. RE XVII 1 (1936), coll. 468-492; A.H.M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1937 (rist. 1998), p. 151 ss. Fondata da Nicomede I di Bitinia nel 264 a.C., raggiunse l’apice del proprio rigoglio urbanistico e culturale sotto Diocleziano, tanto da guadagnarsi l’appellativo di ‘Atene bitinica’ (Libanio, Or. 1, 53). Del suo passato splendore Gregorio parla anche in Ep. 17, 17. – th;n me;n oJ povlemo", th;n de; oJ seismo;" meta; tou' purov". La costruzione è chiastica: la guerra distrusse la Tracia, il terremoto Nicomedia. Per la prima Gregorio si riferisce, con ogni probabilità, alla rivolta dei Goti stanziati in Tracia culminata nell’agosto del 378 nella disastrosa sconfitta di Adrianopoli, nella quale lo stesso imperatore Valente trovò la morte (cf. Ammiano Marcellino XXXI 13; Zosimo IV 20-24). Quanto al terremoto, Nicomedia ne fu colpita due volte durante la vita del Nisseno, nel 358 e nel 362; ma Gregorio si riferisce con ogni probabilità al terribile terremoto del 24 agosto 358, sul quale cf. Ammiano Marcellino XVII 7, 1-8; Libanio, Or. 61; Sozomeno IV 16, 3 s.; RAC V (1962), col. 1106. Così hanno inteso anche L.-S. Le Nain de Tillemont, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siècles, t. IX, Venezia 1732, p. 587; D. Amand, Fatalisme et liberté dans l’antiquité grecque, Louvain 1945 (rist. Amsterdam 1973), p. 54 n. 1; E. Marotta, L’ironia e altri schemi nel Contra Fatum di San Gregorio di Nissa, in «Vetera Christianorum» 4 (1967), pp. 85-105: 100; P. Maraval, Grégoire de Nysse. Lettres cit., pp. 226-227 n. 3. Ad un altro terremoto, quello che colpì Neocesarea nel Ponto nel 343, accenna Gregorio in Greg. Thaum. p. 28, 6-11; e di terremoti il Nisseno parla ancora in An. et res. 97 B-C. Per il richiamo agli incendi che accompagnarono il terremoto di Nicomedia cf. Libanio, Or. 61, 15 pu'r de; oJpovson h\n eJkastacou' labovmenon th'" xulwvsew" prosevqhken ejmprhsmo;n tw'/ seismw'/, kai; a[nemov" ti", w{" fasin, e[trefe th;n flovga; cf. anche – in riferimento al terremoto asiatico del 17 d.C. – Tacito, Ann. II 47, 1 effulsisse inter ruinam ignes memorant. Sugli eventi sismici nel mondo antico e la riflessione su di essi cf. A. Hermann s.v. Erdbeben, in RAC V (1962), coll. 1070-1113. – ejn ajkarei' tou' crovnou. Stessa espressione in An. et res. 136 C. – povsoi pai'de" ... oiJ parhvlike". Cf. Libanio, Or. 61, 17 pou' neovth"É Pou' gh'ra"É Di bambini morti in occasione di terremoti ci restano anche toccanti testimonianze epigrafiche, come la stele proveniente proprio da Nicomedia e ora al Louvre (CIG 3293), eretta da un padre a ricordo dei suoi due figli di cinque e quattro anni morti insieme al
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COMMENTO, XV 5 - XVI 1
servo venticinquenne al quale erano affidati; la stele ritrae il servo che stringe a sé i due bambini, in un inutile gesto di protezione. Su questa ed altre testimonianze epigrafiche relative a terremoti in Asia minore cf. L. Robert, Documents d’Asie mineure, in «Bull. corr. hell.» 102 (1978), pp. 395-408. – pavnte" ... pavnta" ... pa'sin. Si osservi il poliptoto, e cf. l’anafora con pavnta in Eccl. p. 387,3-5. – pa'sin oiJ oi\koi tavfoi ejgevnonto. L’immagine di una città distrutta, o di un edificio crollato, che diviene la tomba dei suoi abitanti è già in Filone, De Abrahamo 139 hJmevra/ mia'/ aiJ me;n eujandrou'sai povlei" tavfo" tw'n oijkhtovrwn ejgegevnhnto (detto in riferimento alla distruzione di Sodoma e Gomorra), e diviene un topos nell’oratoria del IV secolo: la ritroviamo in Libanio (Decl. 30, 26) e, ripetuta a sazietà, in Giovanni Crisostomo (De Lazaro concio V [CPG 4329], PG 48, 1023-1024; De Lazaro concio VI, ibid. 1029; In s. Bassum [CPG 4512], PG 50, 720; In paralyticum [CPG 4370], PG 51, 62; In epist. I ad Cor. hom. XXVIII [CPG 4428], PG 61, 236; Fragmenta in Iob [CPG 4444], PG 64, 537 e 540). Ancora nel sec. IX il cronografo Giorgio Monaco vi fa ricorso in relazione al terremoto di Antiochia del 526 (PG 110, 773). Per l’associazione verbale oi\ko" - tavfo" cf. anche Caritone V 1, 7 Bavktra moi kai; Sou'sa loipo;n oi\ko" kai; tavfo". XV 6 – oJ Karkivno" wJroskopw'n. Il Cancro è il segno nefasto per eccellenza, responsabile dei mali incurabili: cf. Eun. III 5, 38 (vol. II p. 174, 7-9) ejpi; tw'n tw'/ karkinwvdei pavqei kekrathmevnwn a[prakto" hJ ijatrikh; mevnei dia; to; uJ p eriscuv e in th' " tev c nh" th; n nov s on. L’oroscopo (wJroskovpo") è il segno che sorge nel momento della nascita; con il Medium Coeli (mesouravnhma), l’Imum Coeli (uJpo; gh'n o ajntimesouravnhma) e il tramonto o occidente (du'non) è uno dei quattro segni zodiacali dominanti in relazione a ciascuna nascita, posti a fondamento delle predizioni: cf. Sesto Empirico, Adv. math. V 12-13. XVI XVI 1 – ÆAllÆ e[sti, fhsiv, ... sundiativqetai. La replica del filosofo pagano all’argomento antiastrologico delle sciagure collettive è conforme all’insegnamento di Tolomeo, Apotel. I 3, 7: la causa minore (cioè le caratteristiche individuali) soggiace sempre alla causa maggiore e più forte (le caratteristiche dell’ambiente, to; periev c on). Cf. anche Tolomeo, Apotel. II 1, 2 con la distinzione tra astrologia ‘universale’, che riguarda i pronostici su interi popoli e regioni o città, e astrologia ‘genetlia-
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ca’, che concerne i singoli individui; W. Gundel, voce Astrologie cit., coll. 817-818. Ma nella replica del pagano si coglie anche, mi pare, un riferimento alla dottrina delle katarcaiv (‘inizi’), che valutava l’opportunità o meno di un’iniziativa in base allo stato del cielo nel momento dell’atto iniziale (cf. qui kata; th;n prwvthn qevsin): si veda ad es. Efestione Tebano, Apotel. III 17 (Peri; nauphgiva") e III 7 (Peri; ktivsewn kai; oijkodomiw'n kai; kaqidruvsewn). In generale sulla teoria delle katarcaiv cf. A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., pp. 458-516. Per l’esempio della costruzione di una nave in un contesto filosofico (la teoria delle cause) cf. ad es. Clemente Alessandrino, Strom. VIII 9, 26 (LS 55 C); per l’accostamento di nave e città cf. Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 213 a 11-14 eij ajpo; th'" kata; th;n w{ran ajkribou'" ejpignwvsew" eJkavstw/ tw'n ginomevnwn ta; sumbhsovmena levgousin, ajn qrwvpw/ fhmi; kai; boiÖ kai; ojrnevw/ kai; ploivw/ kai; povlei, ktl.; per gli esempi di nave e città come ‘contenitori’ cf. già Aristotele, Metaph. V 23, 1023 a16. XVI 2 – Eijleivquia. Divinità greca invocata come protettrice del parto, corrispondente alla Giunone Lucina dei Romani. – tou' e[qnou" ... th;n gevnesin. Cf. Diodoro di Tarso, ibid., 212 a 42 tou' e[qnou" ijdiavzousav ti" gevnesi", e si noti ancora il gioco di Gregorio tra linguaggio ordinario e linguaggio tecnico astrologico osservato supra a VI 3 e VII 1: qui gevnesi" vale in primo luogo ‘nascita’, ma anche, in senso tecnico, ‘genitura’ (cf. LSJ s.v., II 2). – ïO me;n gavr ti" ktl. Per un’analisi dell’e[kfrasi" che segue, con la descrizione di un cantiere navale in piena attività, cf. E. Marotta, L’ironia ... cit., pp. 101-102. – oi{ te au\ diacrivonte" ... kai; to;n a[ntlon ... kataskeuavzonte". Per l’integrazione del secondo articolo vedi supra il commento a VIII 3, e cf. ad es. Eun. I 157 (vol. I p. 74, 14-16) oi{ te ajpÆ ajrch'" aujtovptai kai; uJphrevtai tou' lovgou genovmenoi kai; oiJ metÆ ejkeivnou" pa'san th;n oijkoumevnhn tw'n eujaggelikw'n dogmavtwn kataplhrwvsante". XVII XVII 1 I terremoti, afferma Gregorio, sono pavqh th'" gh'", del tutto irrelati con i destini umani, come dimostrano i fenomeni sismici avvenuti in regioni disabitate. L’insistenza di Gregorio su questo punto (vedi anche più avanti, XVII 3) si comprende tenendo presente che nell’astrologia ‘universale’ (vedi supra, nota a XVI 1) «il s’agit de répartir les influences sidérales non pas tant sur la Terre considérée dans sa structure
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COMMENTO, XVII 1 - 2-3
physique que sur la “terre habitée” (oijkoumevnh), c’est-à-dire sur le support des groupes humains appelés cités ou États, peuples, nations, races» (A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., p. 327); cf. ad es. Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 210 b 18-20 ta; me;n tmhvmata th'" gh'" kai; tou;" ejn aujtoi'" dh'lon oijkou'nta" eij" e{kaston ajfwrismevnw" ajnafevrousi tw'n zw/divwn. Si deve anche rilevare che non vi è traccia nel Nisseno della concezione, comune anche tra i cristiani, che vedeva nei terremoti manifestazioni dell’ira divina: vedi ad es. Basilio, Quod deus non est auct. mal., PG 31, 333 C-D, 337 D; Gregorio Nazianzeno, Or. 4, 26; 5, 4-7; 21, 33; Giovanni Crisostomo, De Lazaro concio VI (CPG 4329), PG 48, 1027 ss.; Hom. de terrae motu (CPG 4366), PG 50, 713716; sulla credenza nella natura religiosa del seismov" in ambiente giudaico e cristiano cf. la nota di E. Lupieri ad Apoc. VI 12 (L’Apocalisse di Giovanni, Milano 1999, p. 152). Su quella linea si poneva anche l’interpretazione tradizionale dell’abbattersi di calamità naturali su luoghi deserti come avvertimento divino all’uomo (cf. ad es. Filone, De provid. I 38-39). Per il Nisseno, invece, i terremoti sono calamità naturali dovute a cause naturali. Egli ha presente, con tutta probabilità, il dibattito scientifico intorno alle cause dei terremoti (per il quale vedi ad es. Seneca, Nat. quaest. VI 5 ss. con il commento di P. Parroni, Milano 2002, p. 576 ss.); ma credo che in questa parte Gregorio dipenda direttamente dal Kata; eiJmarmevnh" di Diodoro di Tarso, nel cui terzo libro (capp. 29-30), all’interno della confutazione della cosiddetta ‘geografia astrologica’ (per la quale vedi infra, nota a XIX 2), Diodoro si valeva a più riprese di argomenti fondati sull’esistenza di regioni disabitate: che senso ha la divisione della terra in dodici sezioni uguali sottoposte ciascuna al ‘patrocinio’ di un determinato segno zodiacale, se gran parte della terra è disabitata? (cf. 210 b 38-40); i terremoti e le altre calamità non sono dovuti all’influsso maligno di un segno zodiacale, ma a leggi naturali, valide sia nelle regioni abitate sia in quelle disabitate (cf. 211 a 6-31, in part. 211 a 21-22 hJ fuvsi" kratei' kai; ejn ejrhmivai" kai; pantacou'; sull’idea di fuvsi" nel trattato di Diodoro cf. Ch. Schäublin, Zu Diodors von Tarsos Schrift gegen die Astrologie, in «Rhein. Mus. für Philologie» 123 [1980], pp. 63-65). – ta;" sunastriva". Sui termini tecnici astrologici in sun- afferenti alla sfera della compresenza astrale vedi C. Orlando - R. Torre, Lessico astronomico-astrologico greco, in Atti del I Seminario di studi sui lessici tecnici greci e latini (Messina, 8-10 marzo 1990), a cura di P. Radici Colace - M. Caccamo Caltabiano, Messina 1991, pp. 291-309: 303-309. XVII 2-3 – Kai; tiv crh; kaqÆ e{kaston ...É ÆAllÆ ou| cavrin tw'n eijrhmevnwn ejmnhvsqhmen, o{ti ktl. Stesso movimento del periodo in Virg., p. 332, 1-9; Eccl.
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p. 376, 12-14 (dove dopo proteqewvrhtai si deve porre una virgola e non il punto interrogativo); cf. anche Eun. I 55 (vol. I p. 41, 3); ibid. I 79 (vol. I p. 50, 1-2); ibid. I 521 (vol. I p. 177, 8-9); De tridui sp. p. 293, 1-2. XVIII XVIII 1 – Eij me;n ga;r ei\con ajpodeiknuvein ... ei\cen a]n aujtoi'" i[sw" kairovn ...: ejpei; de; ecc. Modulo sintattico di uso polemico: cf. ad es. Teodoro di Mopsuestia, Adv. crim. Iuliani imp. fr. 4, 3 Guida eij me;n ga;r ... tucovn ti ei\ce levgein ...: eij de; ktl.; Basilio di Seleucia, Or. 27 (CPG 6656), PG 85, 313 C ÆAllÆ eij me;n uJphvrcomen ajpeivratoi th'" qeiva" ojrgh'", ei\cen a]n i[sw" hJ ajpistiva kairovn: eij de; ktl. L’espressione ei\cen a]n aujtoi'" i[sw" kairovn ritorna tre volte nel Contra Eunomium: cf. Eun. I 360 (vol. I p. 133, 24), I 486 (ibid. p. 167, 14), I 544 (ibid. p. 183, 21). Che la creazione del mondo nella sua totalità sia dovuta ad un unico e istantaneo atto divino è accennato da Gregorio già nel De hominis opificio (204 D: gevgone ... a{pan ajqrovw" to; th'" fuvsew" plhvrwma), ed è poi sottolineato con forza nell’Apologia in Hexaemeron, 72 A ss.: cf. in particolare il kata; to; ajqrovon del nostro testo con Apol. in Hex. 72 A ajqrovw" pavnta ta; o[nta oJ qeo;" ejpoivhsen, ibid. ïH ou\n ajqrova tw'n o[ntwn para; th'" ajfravstou dunavmew" tou' qeou' katabolhv, 72 D - 73 A ajqrovw" ejn th'/ mia'/ rJoph'/ tou' qeivou qelhvmato" ajdiakrivtw" tou' panto;" uJpostavnto" ktl., 77 C ajqrovon th'" tw'n o[ntwn sustavsew" oJ lovgo" parivsthsin, 80 A ejn tw'/ ajqrovw/ th'" tou' kovsmou katabolh'", 113 C panto;" ajqrovw" tou' kata; th;n ktivsin plhrwvmato" ejn tw'/ prwvtw/ tou' qeou' qelhvmati sustavnto" ecc. L’idea è già nel Siracide (18, 1): ïO zw'n eij" to;n aijw'na e[ktisen ta; pavnta koinh'/ (Qui vivit in aeternum creavit omnia simul Vulg.) e torna ripetutamente in Filone (De opif. mundi 13 a{ma ... pavnta dra'n eijko;" qeovn, ibid. 28 pavnqÆ a{ma oJ poiw'n ejpoivei, ibid. 67 a{ma pavnta sunivstato ecc.); cf. anche Basilio, Hex. II 3, 1 ÆEpoivhsen oJ Qeo;" to;n oujrano;n kai; th;n gh'n: oujk ejx hJmiseiva" eJkavteron, ajllÆ o{lon oujrano;n kai; o{lhn gh'n. Sulla concezione della simultaneità della creazione in Gregorio e le sue radici giudaiche cf. J. Daniélou, Philon et Grégoire de Nysse, in Philon d’Alexandrie. Actes du colloque du CNRS (Lyon, 11-15 Septembre 1966), Paris 1967, pp. 333-345: 335; F.X. Risch, Gregor von Nyssa ... cit., pp. 42-43 e p. 136 n. 100. – kata; de; to;n Mwu>sevw" lovgon ... kinhvsew". Il riferimento è al primo racconto biblico della creazione (Gen 1, 9 e 14), secondo il quale la terra fu creata il terzo giorno, gli astri il quarto. Per l’attribuzione del passo a Mosè si ricordi che nell’antichità cristiana, secondo una tradizione giudaica risalente al IV secolo a.C. (cf. F. Michelini Tocci, La letteratura ebraica, Firenze-Milano 1970, p. 18), Mosè era ritenuto l’au-
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tore del Pentateuco (attribuzione accolta già nel Nuovo Testamento: cf. Io 1, 45 e 5, 45-47; Rom 10, 5). Qui però Gregorio ha probabilmente presente un passo filoniano, De opif. mundi 45-46, nel quale Filone interpretava la creazione dei corpi celesti nel quarto giorno, dopo quella della terra e delle piante, proprio con l’intento da parte di Dio di distogliere l’uomo dalle dottrine astrologiche. XVIII 2 – ejn toi'" toiouvtoi" sumptwvmasi genevsqai ta; toiau'ta sumbaivnei. McDonough (Praefatio, p. LXXX ) ha proposto l’espunzione di sumptwvmasi: «sumptwvmasi fortasse tamquam glossa non recte aut excogitata aut constructa secludenda est. nam post ... ejn toi'" toiouvtoi" subaudiendum est tovpoi" et post ... ta; toiau'ta subaudiendum est pavqh (vel sumptwvmata)». Il periodare di Gregorio è qui sicuramente piuttosto pesante; ma l’intervento di McDonough non è forse necessario (cf. XVII 2 ejn toi'" tw'n seismw'n kataptwvmasi, An. et res. 97 B ejn toi'" sumptwvmasi tw'n seismw'n).
XIX XIX 1 – hJ qugatromixiva ... paranomiva. Per l’uso persiano e più generalmente orientale del matrimonio tra fratello e sorella e tra genitore e figlio/a cf. ad es. Erodoto III 31 con il commento di D. Asheri (Erodoto, Le storie, vol. III, Milano 1990, pp. 248-249); Strabone XV 3, 20; Dione Crisostomo, Or. 10, 30; Tertulliano, Ad nat. I 16, 4 con la nota di A. Schneider (Roma 1968, p. 277); Origene, Contra Celsum V 27; Eusebio, Praep. ev. I 4, 6; nell’ambito della riflessione astrologica cf. Tolomeo, Apotel. II 3, 25 e IV 10, 3; ma la fonte di Gregorio è probabilmente Bardesane in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 16 (il motivo ricorreva anche nella prima parte del Dialogo delle leggi dei paesi, cf. G. Levi Della Vida, Pitagora, Bardesane e altri. Studi siriaci, a cura di R. Contini, Roma 1989, pp. 79-111: 89 «alcuni si uniscono alle proprie madri, sorelle, figlie»). La pratica del matrimonio tra consanguinei costituiva un ingrediente tipico della riflessione, sviluppatasi soprattutto in età ellenistica, sui diversi usi e costumi dei popoli; su tali diversità Gregorio si sofferma già nel De virginitate, a dimostrazione della forza delle consuetudini: tosouvtwn o[ntwn ejqnw'n ouj ta; aujta; pa'si spoudavzetai, a[lla de; parÆ eJtevroi" ejsti; kalav te kai; tivmia, th'" parÆ eJkavstoi" sunhqeiva" th;n periv ti spoudhvn te kai; ejpiqumivan poiouvsh" (p. 286, 18-21). Cf. F. Boll, Studien über Claudius Ptolemaeus, in «Jahrb. für class. Philol.», Suppl. 21 (1894), p. 184 n. 1. Al passo del De virginitate è possi-
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bile accostare ad es. Cornelio Nepote, Praef. 3 non eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis iudicari. Tale considerazione non implica necessariamente un’adesione al relativismo etico; per Gregorio il matrimonio tra consanguinei, per quanto usuale tra i popoli orientali, resta comunque un a[go". Allo sdegno per la qugatromixiva egli dà espressione anche nella terza omelia Sull’Ecclesiaste (pp. 329, 13 - 330, 11), a proposito dell’episodio biblico di Lot (Gen 19, 30-38). XIX 2 Per la cosiddetta geografia o etnografia astrologica, che attribuisce a determinate zone geografiche determinati influssi astrali, cf. tra gli altri Tolomeo, Apotel. II 2-4; Bardesane in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 36; Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 210 b 16 - 211 a 31; A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque cit., pp. 327-347; S. Feraboli in Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche cit., pp. XIV-XVI, 402-407. Un ‘patrocinio’ di determinati segni zodiacali su certe città è testimoniato, soprattutto nella parte orientale dell’impero, anche dalle monete (cf. F. Cumont, Fatalisme astral et religions antiques, in «Revue d’histoire et de littérature religieuses» n. s. 3, 1912, pp. 513-543: 521). – oiJ de; xenoktonou'si kai; ajnqrwpoborou'si. Gregorio allude con ogni probabilità ad un esempio (tra i vari di usanze di popoli stranieri) citato da Bardesane in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 15 e[sti de; ejn tw'/ aujtw'/ klivmati th'" ÆIndiva" fulhv ti" ÆIndw'n, oi{tine" tou;" ejmpivptonta" xevnou" ajgreuvonte" kai; quvonte" ejsqivousi. Si noti che l’elemento della xenoktoniva è assente nell’originale siriaco, almeno nella forma in cui ci è giunto: «Nel medesimo clima dell’India vi sono uomini che hanno per costume di mangiare carne umana» (cf. G. Levi Della Vida, Pitagora, Bardesane e altri ... cit., p. 99). – ou{tw ga;r a]n ... e[cein. Il primo argomento brevemente accennato da Gregorio contro la geografia astrologica – se certi influssi astrali agissero entro precisi confini geografici sarebbe la terra a governare il cielo, e non viceversa – è affine a quello sollevato da Basilio contro la credenza in influssi caratteristici dei segni zodiacali: vedi supra il commento a XII 4. – o{mw" kai; tou'to ... uJpolhvyew". Il modo in cui Gregorio introduce il suo secondo argomento contro la geografia o etnografia astrologica – la pratica giudaica della circoncisione, conservata in ogni latitudine e clima – sembra sottolinearne il valore; anche questa sottolineatura è già in Bardesane («E vi dirò una cosa che più di ogni altra potrà convincere gli stolti e gli scarsi di fede», in G. Levi Della Vida, Pitagora, Bardesane e altri ... cit., p. 108; un po’ più debole il greco in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 41 to; de; dunavmenon pei'sai kai; tou;" ajpivstou" ejkqhvsomai uJmi'n, dove manca il «più di ogni altra»).
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COMMENTO, XIX 3
XIX 3 – pav n ta scedo; n ta; mev r h th' " gh' " ... pro; " th; n tw' n ÆIoudaiv w n sunoivkhsin. Cf. Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 218 a 19-20 (to; ÆIoudaivwn e[qno") eij" pa'san th;n gh'n dieskedavsqh. Sulla diffusione, vastissima e capillare, della diaspora giudaica sia nell’impero romano che in quello partico cf. J. Maier, Geschichte des Judentums im Altertum, traduz. it. Storia del giudaismo nell’antichità, Brescia 1992, pp. 155 ss., 161 ss. – Pw'" toivnun ... to; ajlwvbhton. Cf. sia per l’idea che per il fraseggio Diodoro di Tarso, ibid., 218 a 21-23 ou[te ti" tw'n paranatellovntwn ou[te hJ gevnesi" (la ‘genitura’) kathnavgkasen aujtou;" h] th'" peritomh'" h] tou' sabbavtou to; paravggelma lu'sai; cf. tuttavia anche Filone, De provid. I 84 Nonne et Judaei legem circumcisionis libero arbitrio elegerunt, quam nusquam dimisere, sed potius per successionem posteris suis praebuere: ita ut nec natalitia neque constellationes potuerint eam tollere? Espressioni simili si trovavano anche nel Dialogo di Bardesane: cf. un passo che non ha corrispondenza nella versione greca trasmessa da Eusebio (dopo l’esempio delle Amazzoni, che dopo aver partorito gettano via i maschi e allevano le femmine): «Eppure a nessun astro è possibile venire in aiuto ai maschi che vengono partoriti, in modo che non siano gettati» (cf. Levi Della Vida, Pitagora, Bardesane e altri ... cit., p. 103); ed anche più avanti nel Dialogo, a proposito dell’abolizione di leggi da parte di nuovi conquistatori: «Quando ciò è avvenuto, nessun astro è stato capace di mantenere una legge!» (ibidem, p. 107); dove il greco in Eusebio (Praep. ev. VI 10, 40) è del tutto diverso (kai; oujdei;" tw'n ajstevrwn ajpwvlese to; i[dion klivma). L’esempio della pratica ebraica della circoncisione, conservata ovunque, quale dimostrazione dell’indipendenza degli usi umani dagli influssi astrali Gregorio poteva leggerlo sia in Filone, nel passo appena citato, sia in Bardesane (in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 42), sia in Origene (Comm. in Gen. III, in Philoc. XXIII 16, ll. 25-30), sia in Diodoro di Tarso (cf. Fozio, Bibl., cod. 223, 218 a 13-23). Cf. ancora, più in generale, J. de Lacretelle, Silbermann (1922), cap. VII «notre race ne s’assimile pas au milieu; elle ne se fond jamais dans le caractère d’un pays ...». Riguardo all’espressione to; ajlwvbhton (letteralmente ‘l’assenza di mutilazione’, cf. anche infra th;n lwvbhn) si ricordi che la circoncisione era «largamente ritenuta nel mondo antico come mutilazione» (J. Maier, Geschichte des Judentums ... cit., p. 33). Per l’atteggiamento degli autori pagani riguardo alla circoncisione, generalmente ostile o irrisorio, cf. la nota di H. Heubner - W. Fauth a Tacito, Hist. V 5, 2 (P. Cornelius Tacitus, Die Historien. Kommentar, Buch V, Heidelberg 1982, p. 68); per l’atteggiamento degli autori cristiani cf. F. Stummer, voce Beschneidung in RAC II (1954), coll. 159-169: 164-167. In generale sul giudaismo nella letteratura greca e latina si vedano i testi raccolti in
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COMMENTO, XIX 3 - XXI 1
M. Stern, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism, Jerusalem 1976-1984; per la letteratura secondaria cf. ora R.S. Bloch, Antike Vorstellungen vom Judentum, Stuttgart 2002 e la bibliografia ivi citata. – kata; th;n tetagmevnhn tw'n hJmerw'n perivodon. L’ottavo giorno, cf. Bardesane in Eusebio, Praep. ev. VI 10, 42 tou;" gennwmevnou" a[rrena" pai'da" ejn th'/ ojgdovh/ hJmevra/ aiJmavssousi peritevmnonte"; Origene, Comm. in Gen. III (in Philoc. XXIII 16, l. 27) ojktahvmeron ... peritomhvn; in Gregorio cf. anche Eun. III 7, 37 (vol. II p. 228, 21) hJ kata; th;n ojgdovhn peritomhv (sulla base di Gen 17, 10-12; Lev 12, 3). – th'" fuvsew". Per fuvsi" = aijdoi'on vedi LSJ s.v. fuvsi" VII 2 (e cf. anche Oxford Latin Dictionary s.v. natura 15). XX XX 1 Il pagano ricorre nuovamente all’argomento della divinazione astrologica come prova dell’esistenza di un fato immutabile; cf. supra, XIII 1. – dia; th'" poia'" tw'n ... seshmeiwmevnwn parathrhvsew". Cf. Pyth. p. 104, 8-9 kata; th;n shmeiwqei'san ... parathvrhsin. XX 2 Gregorio espone l’argomento al quale aveva accennato sopra, a XIII 2. Attraverso tale rinvio egli ha strutturato la sua refutazione in due parti distinte piuttosto nettamente: una prima parte, preponderante, prettamente filosofica (capp. VI-XIX), ed una parte conclusiva, di carattere prevalentemente teologico (capp. XXI-XXIII). – gevlwto" ajformhvn. Per la iunctura gevlwto" ajformhv cf. Eun. III 9, 59 (vol. II p. 286, 15); Eccl. p. 328, 14. – plh;n ajlla; mikra; frontivsa" ktl. Simile il movimento della frase in Beat. p. 99, 26 ss. hJmei'" de; mikra; frontivsante" tw'n mikroyuvcw" te kai; tapeinw'" ajnaqewrouvntwn ta; qei'a nohvmata, wJ" e[sti dunato;n ktl.; cf. anche Eun. I 576 (vol. I p. 192, 14-16). Per espressioni quali ejn gevlwti tivqesqai o poiei'sqai ‘ridere di’, ejn aijscuvnh/ poiei'sqai ‘vergognarsi di’ e simili cf. Eun. III 1, 105 (vol. II p. 39, 7-9); ibid. III 3, 30 (vol. II p. 118, 18-19); Greg. Thaum. p. 40, 12-13; Luciano, Demonax 12 ecc. XXI XXI 1 ss. La dottrina qui esposta da Gregorio, secondo la quale le diverse pratiche divinatorie, come anche guarigioni miracolose (cf. ijatrei'ai infra,
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COMMENTO, XXI 1-3
XXI 3), sono opera dei dèmoni, ai quali tali pratiche devono la loro origine e che se ne servono per allontanare l’uomo da Dio, è dottrina tradizionale cristiana fin dal II secolo: vedi P. G. van der Nat s.v. Geister (Dämonen), in RAC IX (1976), coll. 744-749. La fonte diretta di Gregorio per questo capitolo e per i successivi potrebbe essere il Kata; eiJmarmevnh" di Diodoro di Tarso, in cui quella dottrina aveva largo spazio, soprattutto, come è il caso in Gregorio, nella parte finale dell’opera. Cf. Diodoro in Fozio, Bibl., cod. 223, 221 a 1-41. Nella produzione di Gregorio tale pensiero torna poi ad essere centrale nel De Pythonissa, scritto con il quale questa parte finale del Contra fatum presenta evidenti affinità, sia per l’idea di fondo che per precisi richiami verbali (vedi infra, XXI 1, 2, 4, 5; XXIII 1, 4, 5-6). – ÒEsti tw'/ gevnei tw'n ajnqrwvpwn ktl. Cf. Pyth. p. 103, 15-16 ejcqro;" th'" ajnqrwpivnh" fuvsewv" ejstin oJ koino;" pavntwn polevmio", ktl. – Ouj mh;n ajnagkai'on hJgou'mai ... diexievnai. Per simili formule di transizione cf. ad es. Or. cat. p. 23, 11-13. XXI 2 – nohvmativ te kai; ojnovmati. Il nesso novhmav te kai; o[noma è frequente in Gregorio: cf. Beat. p. 104, 20; Eccl. p. 411, 3; An. et res. 104 B; Eun. III 6, 65 (vol. II p. 209, 13); ibid. III 7, 61 (vol. II p. 236, 17); Ref. 204 (p. 399, 3); Or. cat. p. 45, 10. Ancor più frequente nella forma o[nomav te kai; novhma: cf. ad es. Eccles. p. 355, 21-22; ibid. p. 436, 17; Eun. II 241 (vol. I p. 296, 27); ibid. II 479 (vol. I p. 366, 2-3); ibid. II 513 (vol. I p. 376, 17-18); ibid. III 1, 82 (vol. II p. 32, 22) ecc. – ajpavthn. L’idea dell’inganno dei dèmoni è il Leitmotiv che attraversa questo capitolo e i due seguenti, cf. XXI 3 to;n ejgkekrummevnon th'" ajpavth" lovcon, XXI 4 diav tino" ajpavth", ibid. hJ ajpathlh; tw'n daimovnwn ... duvnami" (anche XXIII 1), ibid. th;n ajpathlh;n tw'n daimovnwn ejnevrgeian, XXII 3 ajpavth ti" toiauvth, XXIII 2 toi'" ajpatwmevnoi", XXIII 4 th'/ ajpathlh'/ tw'n daimovnwn fuvsei, XXIII 5 tou;" eujexapathvtou", XXIII 6 diÆ ajpavth". Lo stesso motivo è nel De Pythonissa: cf. pp. 102, 7; 103, 25-26; 104, 1-2; 104, 8-10; 104, 13; 104, 20; 105, 12-13. In generale in Gregorio vedi Lex. Greg. s. vv. ajpatavw, ajpatewvn, ajpavth, ajpathlov". XXI 3 Per l’immagine del miele che copre il veleno – variante di segno negativo di quella, positiva, del miele che addolcisce una medicina amara, per la quale cf. ad es. Inscr. Ps. p. 28, 28 ss.; Lucrezio I 936 ss.; Temistio, Or. 5, 63 b; 22, 277 b; 24, 302 b; Gregorio Nazianzeno, Or. 31, 25 – cf. Hom. op. 200 D; Eccl. p. 366, 8-15; Eun. II 57 (vol. I p. 242, 1921); Ref. 75 (p. 343, 16-17), 115 (p. 361, 10-12); Or. cat. p. 29, 15. Cf. anche Or. cat. p. 65, 13 ss. L’immagine è già in Plutarco, Quaest. conv. VII 6, 709 E e ricorre in Teofilo di Antiochia, Ad Autol. II 12; Basilio,
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Ad iuv. 4, 3; Teodoreto di Ciro, Graec. aff. cur. II 32. Immagini affini sono quella del veleno nel pane in Eun. III 2, 132 (vol. II p. 95, 19-24) e quella dell’esca che copre l’amo, per la quale cf. Eccl. p. 345, 11-15; Eun. III 2, 81 (vol. II p. 79, 1-10); Ref. 133 (p. 369, 15-18); Moys. p. 135, 25-27 ecc. (cf. Lex. Greg. sub vocibus a[gkistron, delevama, devlear, delevasma). – ajgaqw'n tinwn pragmavtwn morfa;" uJpoduvetai. Cf. Or. cat. p. 56, 19 ss. ejpei; ou\n th'" pro;" to; o[ntw" ajgaqo;n ejpiqumiva" diayeusqei;" oJ nou'" pro;" to; mh; o]n parhnevcqh diÆ ajpavth" tou' th'" kakiva" sumbouvlou te kai; euJretou' kalo;n ajnapeisqei;" ei\nai to; tw'/ kalw'/ ejnantivon (ouj ga;r a]n ejnhvrghsen hJ ajpavth, mh; delevato" divkhn tw'/ th'" kakiva" ajgkivstrw/ th'" tou' kalou' fantasiva" periplasqeivsh") ecc. – to; deivlaion tw'n ajnqrwvpwn gevno". L’espressione ricorre in Or. cat. p. 87, 13-14 to; deivlaion tou' ajnqrwvpou gevno" (v.l., forse preferibile, tw'n ajnqrwvpwn); cf. anche Beat. p. 83, 24 to; deivlaion gevno" to; ajnqrwvpinon (v. l. tw'n ajnqrwvpwn). – tou' o[ntw" kata; fuvsin ajgaqou'. A sostegno della lezione o[ntw" di E in luogo di o[nto" cf. Virg. p. 278, 23-24 tou' o[ntw" ajgaqou'; ibid. p. 280, 22 to; o[ntw" ajgaqovn; Beat. p. 142, 24-25 tou' o[ntw" ajgaqou'; Eccl. p. 422, 12 ta; o[ntw" ajgaqav; Or. cat. p. 56, 19-20 to; o[ntw" ajgaqovn; Cant. p. 260, 4-5 ecc. (vedi Lex. Greg. s.v. ajgaqov" IV A 1, vol. I p. 10, 52 ss.). XXI 4 – kaqÆ o{per a[n ti" prognwvsew" ei\do" ktl. Cf. Pyth. p. 104, 1-4 o{per a[n ti" ei\do" prognwvsew" e[k tino" ajpavth" ajlhqe;" ei\nai nomivsh/, ejn ejkeivnw/ to; ajpathlo;n daimovnion parafaivnetai eij" dikaivwsin th'" hjpathmevnh" uJpolhvyew" tou' peplanhmevnou. – hJ ajpathlh; tw'n daimovnwn uJphvkouse duvnami". Cf. Pyth. p. 105, 11 to; ... uJpakou'on ... daimovnion. – ejn hJpatoskopivai" ktl. Per l’elenco della varie forme di divinazione nelle quali si esplica l’attività dei demoni vedi anche infra, XXIII 1-2, e cf. Pyth. pp. 103, 25 - 104, 1. – ejn klhdovsin. La klhdwvn (lat. omen) «è una frase che, pronunciata da un tale senza pensare a un suo valore di presagio, viene riconosciuta da un altro (o, in un secondo tempo, da quello stesso che l’ha pronunciata) come contenente un presagio buono o cattivo, oppure non viene riconosciuta sul momento, ma non per questo perde il suo secondo significato di presagio che si rivelerà più tardi» (S. Timpanaro, M.T. Cicerone. Della divinazione, Milano 1988, p. XLV). – ejn nekuivai". Sulla nevkuia narrata in 1 Sam 28, 3-25 e il relativo dibattito nel Cristianesimo antico vedi J.H. Waszink, Q.S.F. Tertulliani De anima, Amsterdam 1947, p. 582 s.; M. Simonetti (a cura di), Origene, Eustazio, Gregorio di Nissa. La maga di Endor, Firenze 1989 («Biblioteca Patristica» 15).
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– ÓWsper toivnun ... katepaggevlletai. Ciò è ribadito ed espresso più chiaramente infra, a XXIII 2. – levgw dh; th'" kata; th;n ajpathlh;n ktl. Per la ripresa dell’articolo, con valore di dimostrativo, seguito da katav + accus. e unitamente al levgw parentetico-esplicativo (‘intendo dire’) cf. Hom. op. 160 A dia; th'" aujth'" aijtiva", levgw dh; th'" kata; th;n suvmptwsin tw'n povrwn; Inscr. Ps. p. 108, 1 hJ aujth; aijtiva, hJ kata; th;n ajpistivan levgw tw'n ÆIoudaivwn; Macr. p. 377, 4 pro;" to;n i[son skopovn, to;n kata; filosofivan levgw; Mort. p. 33, 21-22 to; ejx ejnantivou noouvmenon (to; kata; th;n kevnwsin levgw); cf. anche, con fhmiv, Hom. op. 160 B to; ejx ejnantivou ginovmenon pavqo", to; kata; th;n eujfrosuvnhn fhmi; kai; to;n gevlwta; Or. cat. p. 31, 17-18 tw'/ aijsqhtikw'/ mevrei (tw'/ kata; to; sw'mav fhmi). – oujk ejpeidhv potev ti ... duvnami". Stessa idea e stesso fraseggio in Diodoro di Tarso in Fozio, Bibl., cod. 223, 220 b 30-31 eij kaiv ti tw'n prolegomevnwn aujtoi'" dokei' ejkbaivnein, oujk ejpeidh; th;n e[kbasin e[schke . Che il testo di Fozio è lacunoso è già stato osservato da G.Chr. Hansen in «Gnomon» 39 (1967), p. 691 e da Ch. Schäublin, Zu Diodors von Tarsos ... cit., pp. 55-56. Il confronto con il nostro passo mi pare indicare una via di emendazione diversa da quella percorsa dai due studiosi (oujk ejpeidh; . XXI 5 – ejpei; pa'n prorrhvsew" ei\do" ktl. L’argomentazione di Gregorio diviene chiara se ricollocata nell’ambito della discussione sugli astri quali cause efficienti degli eventi futuri, o solamente segni, o nessuna delle due cose (cf. sul tema É. Junod, Origène. Philocalie 21-27 ... cit., pp. 58-60). Contro la prima posizione, quella degli astrologi, si argomentava che se si ritengono gli astri cause, perché non ritenere tali anche gli uccelli, le viscere degli animali e tutte le altre fonti della divinazione? Cf. Plotino III 1, 5, ll. 33-37; Origene, Comm. in Gen. III, in Philoc. XXIII 16 (ll. 38-47). Ma se anche le altre realtà su cui poggiano i vaticini sono cause del futuro, allora si avranno tanti fati quante sono le basi su cui si fonda l’arte divinatoria. In questo senso si dovrebbe dire che «ogni tipo di predizione trae la propria forza da un fato», in quanto ognuno fondato su diverse realtà che non solo indicano il fato, ma lo determinano. La stringatezza e, direi, la poca chiarezza con cui è avanzato questo argomento induce a supporre che Gregorio stia sunteggiando una fonte; in tal caso penserei anche qui a Diodoro di Tarso, che alla fine del libro VII discuteva la posizione di Origene negando non solo il poiei'n, ma anche il shmaivnein degli astri (cf. Fozio, Bibl., cod. 223, 220 a 27 - b 3). Ciò non mi pare tuttavia sicuro,
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in considerazione del fatto che lo stesso tipo di argomentazione è avanzato da Gregorio nel cap. X: come lì Gregorio argomentava che il moto degli astri non determina il fato (definito come «il tempo via via presente»), come non lo determinano le altre realtà in movimento sulla cui base il tempo può essere misurato e indicato, allo stesso modo qui egli argomenta che gli astri non determinano il fato, come non lo determinano il volo degli uccelli o le viscere degli animali sacrificati. – to;n o[neiron. Sulla credenza nell’origine demoniaca dei sogni vedi G. Guidorizzi, I demoni e i sogni, in S. Pricoco (a cura di), Il demonio e i suoi complici. Dottrine e credenze demonologiche nella Tarda Antichità, Messina 1995, pp. 169-186. – th;n ejk palmw'n parathvrhsin. Cf. Pyth. p. 104, 6 tou' h{pato" to;n palmovn. Sul divieto ai cristiani di praticare la palmomanzia vedi Ps. Giustino, Quaest. et resp. ad orthodoxos, qu. 19 (PG 6, 1265 A-B). Sui testi di palmomanzia conservati in papiri e codici medievali vedi la scheda di P. Degni a P. Flor. III 391 in G. Cavallo - E. Crisci - G. Messeri - R. Pintaudi (a cura di), Scrivere libri e documenti nel mondo antico, Firenze 1998 («Papyrologica Florentina» XXX), pp. 127-129. – sumbovlwn. Sul valore tecnico di suvmbolon come ‘segno ominoso’, ‘auspicio’ cf. LSJ s.v. suvmbolon III 2; A. Guida, Un nuovo frammento della replica a Giuliano di Teodoro di Mopsuestia, in ïOpwvra. Studi in onore di mgr Paul Canart per il LXX compleanno, III, «Boll. della Badia greca di Grottaferrata» n. s. 53 (1999), pp. 57-65: 59, con il rinvio a W. Müri, Suvmbolon. Wort- und sachgeschichtliche Studie, Berna 1931 (= Griechische Studien, Basel 1976, pp. 1-44). – eij" to; mh; rJa/divw" ta; toiau'ta ejpitugcavnesqai. In che senso il realizzarsi di qualche predizione non sarebbe prova sufficiente a dimostrare «che tali predizioni non si realizzano facilmente»? Il passo è chiarito dal confronto con Diodoro di Tarso, che ne è la probabile fonte: tra molte predizioni congetturali, è facile, nel gioco delle probabilità, che qualcuna se ne realizzi, per caso o anche per la cooperazione dei dèmoni: cf. Diodoro in Fozio, Bibl., cod. 223, 220 b 28 - 221 a 5, in part. 220 b 37 ss. Eij me;n gavr ti tou' ajnqrwpivnou bivou ajllovtrion proekhvrutton, ei\ta to; xevnon ejxevbh, ouj levgw pollavki" ajllÆ a{pax, qaumavzein eijko;" h\n: eij dev ge ta; filou'nta sumbaivnein dokou'si prolevgein, tiv qaumasto;n eij tugcavnousinÉ Ouj ga;r e[sti rJa/divw" ajpotucei'n ejn plhvqei bavllonta tou;" lovgou". Qaumasto;n de; h\n ma'llon, eij dia; panto;" ajpetuvgcanon. Eij de; kai; daivmona" e[cousi sunergouv", w{sper ou\n e[cousin ejpikratuvnonta" aujtw'n th;n provrrhsin, oujkevtÆ a]n eij ejpitugcavnoien ajporhvsaimi, ajlla; pollw'/ ma'llon eij mh; ejpitugcavnoien. Di «facilità» (eujcevreia) di compiere prodigi con l’aiuto dei dèmoni parla Eusebio, Contra Hieroclem, 30, l. 1 ss. des Places (in relazione ai ‘miracoli’ attribuiti ad Apollonio di Tiana); per l’idea del realizzarsi casuale di predizioni cf. Diogeniano in Eusebio, Praep. ev. IV 3, 3 to; ga;r ajpobaivnein
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COMMENTO, XXI 5 - XXII 1-2
tina; kata; th;n ejnavrgeian w|n prolevgousin oiJ mavntei", ouj tou' mantikh;n ejpisthvmhn ei\nai shmei'on a]n ei[h, ajlla; tou' tucikw'" sumpivptein tai'" proagoreuvsesi sumfwvnou" ta;" ejkbavsei"; ibid. IV 3, 6 to; ajlhqeuvein pote; tou;" kaloumevnou" mavntei" ejn tai'" proagoreuvsesin oujk ejpisthvmh", ajlla; tucikh'" aijtiva" e[rgon a]n ei[h; e già Cicerone, De divin. II 115; De fato 5-6. Vedi anche infra, XXIII 3-4. XXII XXII 1-2 Per la tradizionale irrisione dell’ambiguità degli oracoli cf. Cicerone, De divin. II 115-116 con il commento di A.S. Pease (Univ. of Illinois 1920-1923, rist. Darmstadt 1963). Si noti in particolare in Cicerone l’uso di amphibolia (cf. ajnamfivboloi nel nostro testo), e l’espressione utrum igitur eorum accidisset, verum oraclum fuisset che trova precisa corrispondenza in Gregorio (pro;" to; diplou'n tw'n ejkbavsewn ejpamfoterivzousai givnontai parÆ aujtw'n aiJ prorrhvsei", i{nÆ o{per a]n ejkbh'/, tou'to promemhnu'sqai dovxh/). –para; tw' n ta; toiau' t a ej p aggellomev n wn. Per l’espressione oiJ ta; toiau'ta ejpaggellovmenoi usata ad indicare gli astrologi cf. Origene, Comm. in Gen. III (in Philoc. XXIII 14, l. 10). – mh;