Contributi alla dottrina dei segni [1 ed.] 8807510030


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Italiano Pages 231 [234] Year 1979

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Contributi alla dottrina dei segni [1 ed.]
 8807510030

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SEMIOTICA E PRATICA SOCIALE 3

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Comitato scientifico: Tomàs Maldonado Luis J. Prieto Ferruccio Rossi-Landi Adam Schaff

Gli studi semiotici si sono prevalentemente sviluppati come estensioni a nuovi campi della filosofia quale discorso di tradizione onnivora o della linguistica quale rinnovata scienza specialistica. È anche possibile ispirarli deliberatamente a una visione globale della società presente e futura, cioè affrontare i sistemi segnici non già di per se stessi, bensì nel loro inerire alla riproduzione sociale. I rapporti dell’uomo con gli altri animali e la sua collocazione ecologica, i bisogni e i desideri, il lavoro e la produzione, I vari tipi di accumulazione e di scambio, la divisione della società in classi e in gruppi, l'organizzazione del potere e lo sfruttamento linguistico ai fini del consenso: queste sono alcune fra le dimensioni della pratica sociale che si ritiene possano ricevere nuova luce da indagini semiotiche consapevoli del fondamento politico della realtà.

Volumi pubblicati F. Rossi-Landi, Charles Morris e la semiotica novecentesca Luis J. Prieto, Pertinenza e pratica. Saggio di semiotica

SEMIOTICA E PRATICA SOCIALE

THOMAS A. SEBEOK

CONTRIBUTI ALLA DOTTRINA DEI SEGNI

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TRENTO A iQf^x

Féltrine!!i Bocca

Titolo dell'opera originale Contributions to thè Doctrine of Signs (Copyright © 1976 by Indiana University, Bloomington) Traduzione dall'americano di Massimo Pesaresi

Prima edizione: giugno 1979 Copyright by Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

Indice

Pag.

8

Nota del traduttore

9

Prefazione

13

1. Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte 1. L'ambilo della semiotica, 13. - 2. Profilo storico del campo della semiotica, 13. - 3. Per una classificazione dei segni e dei sistemi segnici, 33.

52

2. "Semiotics” e affini

63

3. È possibile una semiotica comparata?

73

4. Problemi di classificazione dei segni

83

3. La zoosemiotica: punto di incontro di natura e cultura

94

6. La dinamica dei segni Presentazione di Massimo Piattelli-Palmarini, 94. - Come un segnale diventa segno, 96. - Discussione, 101.

107

7. Il ‘dialetto’ in una prospettiva zoosemiotica

113

8. Sei specie di segni: alcune proposte e critiche 0. Premessa, 113. - 1. Segnale, 117. - 2. Sintomo, 120. - 3. Ico­ na, 123. - 4. Indice, 126. - 3. Simbolo, 129. - 6. Nome, 132. - 7. Con­ clusioni, 134.

137

9. Note sulla menzogna e sulla prevaricazione

141

10. La tela semiotica: una cronaca di giudizi preliminari 0. Prologo, 141. - 1. Per una storia della semiotica, 142. - 2. Sulla rettificazione dei termini, 148. - 3. Presentazione della semiotica, 133. 4. Cataloghi di semiotica, 138. - 3. Convegni di semiotica, 161. 6. Insegnamento della semiotica, 163. - 7. Il treppiedi semiotico, 170. 8. Appendice. Note per una lista delle pubblicazioni periodiche, 174.

5

177

11. Sistemi tamburati e fischiati, scritto in collaborazione con Donna Jean Umiker-Sebeok 1. La natura semiotica dei surrogati tamburati e fischiati, 177. 2. I surrogati tamburati e fischiati nel loro contesto, 183. - 3. Conte­ nuto e struttura di “speech surrogates: drum and whistle Systems”, 183. - 4. Nota bibliografica, 186.

\

6 K

187

Riferimenti bibliografici

223

Indice dei nomi

A Charles Morris

Nota del traduttore

Le particolarità terminologiche della presente traduzione derivano soprattutto dal campo della teoria semiotica e da quello della etologia. Per quel che riguarda il primo, ho fatto riferimento alla traduzione italiana (di Silvio Ceccato) di Signs, langnage and behavior di Morris. Alcuni termini di Peirce che non figura­ vano nel testo di Morris sono stati resi nel modo seguente: la coppia type/token è stata tradotta con ‘tipo/campione’ (la scelta è confortata dall’esempio di Paolo Valesio, Tipi e campioni di LA. Richards, tr. it. in “Strumenti Critici", 3, 1969), e l’aggettivo indexic,-al è reso con ‘indicale’, invece che con i piu comuni ‘indessicale’, ‘indexicale’, in quanto mi è sembrato un calco piu preciso del ter­ mine inglese (index / indexical, ‘indice / indicale’); in alcuni casi ho lasciato l’originale, per esempio, dicent, actisign, famisign, eccetera. In merito alla terminologia etologica, di cui non esiste in Italia una tradi­ zione unificata, bastino poche precisazioni: ho preferito lasciare releaser nella sua forma originale, poiché le traduzioni piu comuni, come 'stimolo chiave’ e ‘stimolo segnale’ hanno dei precisi corrispondenti in kev stimulus e sign stimulus; species-specific è stato reso con ‘specie-specifico’ (invece di ‘caratteristico della specie*) e adaptive con ‘adattivo’ (invece di ‘adattativo’) poiché entrambi i termini sono ormai diffusi nella letteratura etologica italiana; per quel che ri­ guarda, infine, la traduzione dei nomi di alcune specie animali mi sono con­ sultato con specialisti della materia. M. P.

8

Prefazione

Quale titolo di questa raccolta, è stata deliberatamente scelta l’espres­ sione dottrina dei segni per collegare in modo emblematico gli argo­ menti compresi in questi undici saggi con la tradizione semiotica di Locke e Peirce, piuttosto che con altre che preferiscono nobilitare questo campo di studi innalzandolo a ‘teoria’ o perfino a ‘scienza’ — spesso con un intento strategico prematuro. Per Locke difficilmente una dot­ trina era qualcosa di più che un corpo o un sistema di principi od opi­ nioni costituenti vagamente un settore della conoscenza. Cose, Azioni e Segni erano per lui “le tre grandi Province del Mondo intellettuale, com­ pletamente separate e distinte luna dall’altra”. La mente fa uso di segni sia nella contemplazione delle cose sia nell’azione volta al raggiungi­ mento dei propri fini; inoltre essa agisce in tal modo per “la giusta disposizione [dell’una e dell’altra] allo scopo di avere l’Informazione più precisa”. Il compito della dottrina dei segni, o semiotica, egli af­ ferma alla fine del suo “celebre Essay”, è di prendere in considerazione argomenti come questi. Come si sa, Peirce ridefinì il termine usato da Locke come “la dot­ trina dei segni”, ma con una specificazione immediata ed assai impor­ tante, descrivendola come “quasi-necessaria o formale”, e intendendo dire con ciò “che noi osserviamo i caratteri dei segni quali li conoscia­ mo, e, in seguito a tale osservazione, per un processo che non esito a definire Astrazione, siamo portati a formulare asserzioni eminentemente soggette ad errore, e quindi in un certo senso per niente necessarie, riguardo a ciò che debbono essere i caratteri dei segni usati da un’intel­ ligenza ‘scientifica’, cioè da un’intelligenza che sia in grado d’imparare dall’esperienza”. Così la semiotica fu inaugurata come scienza dell’os­ servazione, con un duplice intento: il compito di scoprire non solo che cosa c'è nel mondo reale, ma anche che cosa deve esserci. I progressi in questa direzione sono stati molto lenti, fra l’altro a causa della strana sorte di Peirce e del frutto delle sue riflessioni soli­ tarie, una combinazione di circostanze storiche che Nagel descrisse bene come “una disgrazia per lui stesso [Peirce] ed anche per la successiva storia della filosofia”. Nei circa cento anni che sono passati dal 1867 — quando venne pubblicato per la prima volta On a new lisi of categories, comprendente

9

Prefazione l’abbozzo di “un trivio di scienze immaginabili”, cioè la grammatica speculativa, la logica critica e la retorica speculativa, e inoltre la sua feconda suddivisione delle rappresentazioni in icone, indici e simboli — alcuni dei più interessanti sviluppi della semiotica si sono incentrati su un problema che è stato seriamente affrontato da Morris, il quale ha fornito i migliori contributi della metà del secolo: “come distinguere il comportamento segnico animale da quello umano”. In particolare, Morris raccomandò di andare oltre la letteratura esistente, poiché la conoscenza da raggiungere “deve essere il prodotto di una sperimentazione dotata di uno specifico progetto”, la quale, inoltre, una volta ottenuta, au­ menterà in misura considerevole e significativa l’importanza dell’evolu­ zione biologica. Alcuni di coloro che si sono in questo modo impegnati a chiarire i processi cruciali posti all’intersezione di natura e cultura non erano consapevoli di appartenere ad una più vasta comunità di studiosi che condividevano le loro mete più ambite. Jacob von Uexkull fu uno dei più grandi criptosemioticisti di questo periodo: eccellente biologo, egli fu maestro di Konrad Lorenz e cosi arrivò ad essere considerato un nume tutelare dell’etologia (un termine che più o meno sta per semio­ tica diacronica con interessi prevalentemente filogenetici). Quali alacri ricercatori di semantica verbale — linguisti e logici — hanno esaminato a fondo la autorevole Bedeutungslehre di Uexkull e ne hanno tratto profitto? Quale studioso delle operazioni segniche umane si è preoccu­ pato di indagare la base fenomenologica dell'‘ambientalismo soggettivo’ e ne ha colto l’implicazione per la dottrina dei segni in generale o la singolare affinità con, per fare un esempio, Zur Logik der Zeichen (Semiotik) [Per la logica dei segni (Semiotica)] di Husserl? A parte la fuggevole attenzione prestatagli da Stepanov nel ristretto contesto della biosemiotica — un argomento che, detto tra parentesi, Eco assegna in modo del tutto errato al “limite inferiore della semiotica poiché essa riguarda il comportamento comunicativo delle comunità non umane (e quindi non culturali)”, mentre, di fatto, i fondamenti biologici si tro­ vano proprio all’epicentro dello studio sia della comunicazione che della significazione dell’animale umano — Uexkull, finora, figura soltanto nella storiografia delle scienze della vita, ma non ancora in quella della nostra “Science qui étudie la vie des sigttes au sein de la vie sociale” (l’angusta utopia di Saussure), e a cui appartengono chiaramente anche le fondamentali acquisizioni di Uexkull. In uno specifico studio, già in prepa­ razione, intendo esporre le ragioni di questa mia affermazione, e parimenti valutare i contributi di un gran numero di giganti ‘trascurati’ (un altro di questi fu Galeno) i quali, a mio giudizio, collaborarono alla costruzione della dottrina dei segni, ciascuno dalla sua posizione parti­ colare. Perché il progresso della dottrina dei segni verso lo status di teoria genuina, nel senso proprio di questa parola di cui si è fatto un grande abuso (specialmente negli scritti di linguistica degli anni Sessanta), è stato cosi travagliato? Perché l’identità di fondo dell’etologia e della

10

Prefazione semiotica diacronica non è stata riconosciuta esplicitamente alcuni de­ cenni fa? Perché la natura intrinsecamente e palesemente semiotica del codice genetico, come pure di quello che il compianto Tomkins chia­ mava ‘il codice metabolico’, è ancora argomento di un’oziosa discus­ sione? La risposta a queste domande è che sono passati precisamente un secolo e un decennio dai primi sforzi fatti nella semiotica da Peirce — il quale, il 28 dicembre 1908, confidò a Lady Welby che egli era “stato interamente assorbito proprio dallo stesso argomento fin dal 1863” — alla data di pubblicazione del piu importante scritto di se­ miotica del nostro tempo, i lineamenti, del 1973, della teoria del sim­ bolismo di Thom. In questo saggio che ha fatto epoca, pur nella sua eccessiva laconicità, l’autore dimostra in maniera decisiva che la facultas fignatrix, che si presume appartenga solo all’uomo, è di fatto costituita da caratteristiche tra cui “on n’en trouve ancun qui ne figure soit dans la matière inanimée, soit dans les formes les plus humbles de la vie”. Sebbene io sia giunto a questa stessa conclusione da lungo tempo, come dimostrano con ampiezza e chiarezza gli scritti raccolti in questo libro e in una mia precedente scelta, Perspectives in Zoosemiotics (1972), le mie idee non rappresentano altro che opinioni vaghe, mentre gli argo­ menti dell’illustre topologista hanno il loro saldo fondamento in un teo­ rema matematico assai raffinato, che ha particolare attinenza sia alla bio­ logia che alla semiotica. Si possono ora costruire modelli matematici dei processi morfogenetici nel loro aspetto qualitativo, e sviluppare le proprietà generali che tali modelli debbono avere; diventa così possi­ bile per la prima volta, in modo tecnico e con un margine minimo di fallibilità, soddisfare i criteri di Peirce a cui si faceva prima riferimento. La sfera di applicazione delle idee di Thom — note come teoria delle catastrofi ;— ha un’estensione vastissima e abbraccia scienze ‘morbide’, come quelle che riguardano la generazione dei segni, ivi compresi i segni verbali. Quantunque i modelli siano ancora rozzi se commisurati alla grande complessità dello stato di cose che si intende rappresentare, ritengo che essi indichino l’unica direzione che tutte le branche della semiotica sono obbligate a seguire e la via alla ‘scienza normale’ — nel senso di Kuhn — per i prossimi decenni. Se le cose stanno così, il mio libro deve essere letto come un lavoro di rastrellamento; che, comun­ que, come insisteva giustamente Kuhn, può, in se stesso, risultare molto affascinante nell’esecuzione, come infatti è stato per me. * * * Tutti gli scritti di questa raccolta (la terza di quelle pubblicate ne­ gli ultimi quattro anni) furono composti in una prospettiva semiotica piu o meno strettamente circoscritta; essi furono abbozzati come fram­ menti preliminari da allocare, dopo un lavoro di rimaneggiamento e ri­ finitura, nella cornice unitaria di un libro ( che ho in preparazione per la collana Penguin) dedicato alla semiotica presa nella sua globalità. Lo stesso vale per i contenuti di due precedenti raccolte: la prima, sulla

11

Prefazione comunicazione animale (1972), già menzionata; e la seconda, sull’arte verbale, che apparve sotto il titolo Structure and Texture (1974). (Un quarto libro, pronto per la stampa, raccoglierà scritti miscellanei su temi antropologici, soprattutto sulla religione.) Nella Prefazione al volume del 1972 osservai: “Quando rileggo questi pezzi, posso vedere che mi sono ripetuto spesso. L’idea che vo­ levo esprimere e comunicare è esposta in modi un poco differenti, con altri esempi, e con una diversa accentuazione delle varie parti, ma il nocciolo rimane il medesimo. La ridondanza è insita nella natura di ogni esercizio d’un autodidatta” — e, sono ora tentato di aggiungere, lo è soprattutto nell’occhio (o nell’ideologia) dell’osservatore. In una certa misura questo resta vero anche per alcuni degli articoli stampati qui, ma non penso che debba necessariamente essere una cosa negativa: ogni lettore interessato a seguirmi può vedere da sé come le conce­ zioni che io ritengo centrali sono rivedute con variazioni che segnano il processo della loro maturazione, mentre quelle che considero perife­ riche tendono a venir meno strada facendo — ciò accade soprattutto nella mia analisi dei tipi e campioni segnici. Quello che interessa alla fine è la dimostrazione della loro ubiquità. Nel capitolo intitolato “La tela semiotica” ho già ricordato i miei debiti verso i miei due maestri di semiotica, Charles Morris e Roman Jakobson. Non so di nessun altro, vivente o morto, che abbia potuto godere di un’occasione simile, che abbia cioè condiviso il mio destino eccezionale di aver studiato con entrambi questi uomini che hanno dato forma, ciascuno a suo modo, al clima intellettuale del mondo in cui viviamo — specialmente il mondo dei segni. In precedenza ho ten­ tato di suggerire, con appropriate metonimie, quanto io debbo a Jakob­ son — dedicandogli il mio libro nel 1974, e, piu specificamente, in un mio recente articolo su L’insegnamento di Roman Jakobson in America. Desidero ora dedicare questo libro, con affetto e ammirazione, a Charles Morris, a colui che, piu di chiunque altro, si avvicina al mio modello del bene e del vero. Come afferma l’autore dell’Etica nicomachea, parlando della virtù come di un mezzo per raggiungere un fine, cioè la felicità, “Per l’uomo il bene è attività dell’anima in accordo con la virtù in una vita completa”. La massima di Aristotele non avrebbe potuto trovare un’incarnazione piu perfetta. Salisburgo, 13 maggio 1976

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1.

Semiotica: un quadro generale dello stato dell'arte*

1. L’ambito della semiotica L’oggetto di studio della semiotica1 — in definitiva un modo di estendere la nostra percezione del mondo — è costituito dallo scambio di messaggi di qualsiasi genere e dai sistemi segnici ad essi soggiacenti; perciò, accanto a campi di indagine quali l’antropologia sociale (che tratta dello scambio di donne) e l’economia (che tratta dello scambio di cose utili, cioè beni e servizi), la semiotica è assai comunemente considerata come una branca delle discipline della comunicazione.2 Alcuni studiosi preferiscono dare rilievo allo studio degli aspetti sistematici — piuttosto che transazionali — del repertorio dei segni (noumeni / fenomeni).3 Comunque, qualunque approccio si voglia favorire, il concetto chiave della semiotica resta sempre il “segno”. I messaggi possono essere emessi e/o ricevuti sia da oggetti inorga­ nici, come le macchine,4 sia da entità organiche, ad esempio gli animali, incluso l’uomo, sia da alcune delle loro parti costitutive (per es. l’acido ribonucleico, RNAm, che funge da nastro portatore d’informazione “let­ to” da particelle, chiamate ribosomi, che scorrono lungo esso e trasmet* Questo articolo è ristampato, con lievi cambiamenti, da Th. A. Sebeok (a cura di), Current trends in linguistics, voi. XII: Linguistics and adjacent arts and Sciences, Mouton, The Hague 1974, tomo I, pp. 211-64. L’articolo fu iniziato nel 1969 e sostanzialmente completato nel 1971. 1 Per una discussione di questo termine e di altri affini, vedi il prossimo capitolo. 2 Cfr. Lévi-Strauss (1958: 326): uDans tonte société, la communication s’opère au moins à trois niveaux: communication des femmes; communication des biens et des Ser­ vices; communication des messages. Par conséquent, Vétude du système de parenti, celle du système économique et celle du système linguistique offrent certaines analogies. Toutes trois relèvent de la mime méthode; elles diffèrent seulement par le niveau stratégique ou chaucune choisit de se situer au sein d’un univers commun.” 3 Questa differenza nel rilievo dato all’approccio empirico o a quello analitico è discussa da Valesio (1969). Anche Prieto osserva che ci sono due tendenze nelle ricerche semiotiche contemporanee: una che dà rilievo alla comunicazione, l’altra alla significazione (egli segue la prima); vedi il suo articolo del 1968 e i quattro contributi citati, p. 144. I filosofi marxisti pongono naturalmente l’accento sul processo comunicativo quale punto di partenza nell’analisi del segno; cfr., fra gli altri, Schaff 1962: 155-211; e Resnikow 1968: 38. 4 Cfr. Wiener 1950: 85-88: “...è del tutto possibile che una persona parli ad una macchina, una macchina ad una persona e una macchina ad una macchina ... le nuove macchine non cesseranno di lavorare per il semplice motivo che noi abbiamo smesso di fornire loro il supporto umano.” Per dettagli tecnici, vedi, per es., Gorn 1968.

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte tono l’informazione data dalla sequenza di aminoacidi [Icas 1969:8]); si può anche parlare di informazione, ad esempio, nel funzionamento del sistema cardiovascolare in cui i messaggi vengono mandati dai vasi pe­ riferici al cervello, e di qui sono inviati al cuore e rinviati al cervello (Adey 1967:21). L’interazione di esseri organici con entità inorganiche (come la comunicazione tra un uomo e un calcolatore) può anche essere trattata come un problema semiotico. Comunque, nel suo complesso, questo quadro generale sarà ristretto alle manifestazioni semiotiche dei sistemi interamente viventi. Si potrebbe provvisoriamente tracciare un’ulteriore distinzione fra comunicazione terrestre ed extraterrestre. L’esplorazione della seconda è condivisa da campi quali la matematica, l’esobiologla, la radioastrono­ mia ed anche la fantascienza.5 Poiché, al momento, lo studio dello scambio di messaggi nel cosmo resta una disciplina senza un oggetto di studio, la presente indagine sarà ulteriormente limitata al comportamento semiotico sulla terra. Gli scambi di messaggi sono trattati in modo assai conveniente — anche se antropocentrico — in due vasti domini: quello dell’uomo e quello degli altri sistemi viventi (certamente anche nella loro intera­ zione, ad esempio, per ciò che riguarda i processi semiotici che entrano nell'addestra re, domare e addomesticare gli animali6). Per ‘altri sistemi viventi’ si intendono generalmente gli animali diversi dall’uomo; si può dire però che anche le piante e i funghi sono la sorgente e/o la destina­ zione di messaggi, particolarmente nelle loro interrelazioni con certi ani­ mali7; inoltre lo statuto biologico di certi Protozoi dotati di notevoli ca­ pacità comunicative, come le Acrasiales,* è ancora incerto (Bonner 1963; vedi anche Bleibtreu 1968, cap. 7). 5 Sui processi semiotici extraterrestri come problema scientifico, vedi il sommario della letteratura in David Kahn 1967, cap. XXVI e p. 130. Sui processi semiotici nella fanta­ scienza in generale, vedi Krueger 1968; un esempio particolare, di un linguista ben noto (che Krueger non menziona), è How to learn Maritati di Hockett (1955). Un Istituto per la Linguistica Extraterrestre esiste ad Heidelberg dal 1969, come è riferito in “Linguistische Berichte”, n. 4, p. 88 (1969). 6 Cfr., per esempio Hediger 1968, specialmente i capp. 8 e 9; e Zeuner 1963. Hediger, p. 120, ad esempio, scrive: “Addestrare un animale del circo significa istruirlo con uno speciale trattamento e con l’uso continuo di efficaci suggerimenti, finché non com­ pia certe azioni ad uno specifico segnale individuale. Queste azioni, nelle loro parti costitutive, sono ben note all’animale, ma se esso fosse in libertà non le compirebbe in seguito agli stessi stimoli, né nelle medesime condizioni.” Ancora, p. 128, egli scrive: “Durante il corso di addestramento l’animale apprende un gran numero di segnali ed espressioni umane e, viceversa, l’ammaestratore impara a capire l’espressione e i segnali dell’animale.” In termini semiotici, dunque, domare e addestrare un animale significa giungere a condividere almeno in parte il suo repertorio di segni, e viceversa; nell’addo­ mesticamento si sovrappone la dimensione diacronica. . Una forma particolarmente interessante d’interazione fra piante e animali comprende le piante appartenenti alla famiglia delle Asclepiadaceae, un gruppo di insetti, le Danaidae, e le ghiandaie azzurre, in un intricato ecosistema semiotico; cfr. Brower, Brower e Corvino, 1967.

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Profilo storico del campo della semiotica Uantroposemiotica, cioè la totalità dei sistemi di segnalazione spe­ cie-specifici dell’uomo, fu il primo dominio concretamente individuato e descritto, sotto il nome di semiotica. Per la maggior parte degli stu­ diosi, dal 1690 ad oggi, i due termini restano ancora sinonimi. Il se­ condo dominio, la zoosemiotica, che abbraccia lo studio della comuni­ cazione animale nel senso più vasto, ricevette un nome e fu abbozzato con una certa ampiezza solo nel 1963. Sembrerebbe ora più esatto considerare l’antroposemiotica e la zoosemiotica, prese sia separatamente che insieme, come le due principali divisioni della semiotica, aventi in comune certi tratti essenziali, ma differenziantesi specialmente per la posizione essenziale e onnipresente che il linguaggio ha nella prima di­ versamente che nella seconda. Un terzo dominio, Yendosemiotica — che studia i sistemi cibernetici all’interno del corpo — non sarà esa­ minato in dettaglio in questa occasione; per ora è sufficiente dire che, in questo campo, il codice genetico ha un ruolo paragonabile a quello svolto dal codice verbale nelle situazioni studiate dall’antroposemiotica (per le ragioni specificate in Masters 1970) ma che, tuttavia, in linea di massima, la codificazione e trasmissione dell’informazione circa diffe­ renze all’esterno del corpo è assai diversa dalla codificazione e trasmis­ sione all’interno (Bateson 1970); il campo della fisiologia dei trasduttori che esamina la conversione dei segnali esterni nella loro iniziale entrata interna è una scienza ancora per nulla sviluppata (ma vedi ora l’articolo pionieristico di Tomkins 1975). 2. Profilo storico del campo della semiotica * La disciplina della semiotica — che nel più antico uso del termine si riferiva al campo medico con la specifica indicazione dei cambiamenti nelle condizioni del corpo umano — costituiva una delle tre branche della medicina greca. Per gli stoici il termine acquistò un più ampio significato quale sezione fondamentale della filosofia, che includeva la logica e la teoria della conoscenza. La filosofia ellenistica — non solo tra gli stoici, ma anche tra gli epicurei e gli scettici — si concentrò attorno alla teoria dei segni, e fu anticipata da Aristotele, che, a sua volta, era stato influenzato da Pla­ tone, dai sofisti e da parecchi medici greci (come Asclepiade, Erasistrato, Erofilo, tutti menzionati da Sesto9). Nel Medio Evo10 fu elaborata da un certo numero di studiosi una teoria dei segni vasta e molto acuta (nota come scientia sermocinalis), che abbracciava grammatica, logica e retorica. 8 Per un parziale abbozzo della storia della semiotica, cfr. l’Appendice (pp. 285-310) a Morris 1946. Una storia completa di questo campo deve ancora essere scritta, ma cfr. ora Jakobson 1975. 9 Cfr. il resoconto, compendiato sulla base di Sesto Empirico, della Teoria dei segni di Enesidemo, che costituisce l’Appendice C (pp. 266-68; tr. it. 1966, pp. 297-99) di Ogden e Richards 1938. Sulle teorie dei segni degli stoici e degli epicurei, vedi Stough 1969: 102-04, 125-28. 10 Sugli studi medievali di linguistica, vedi Bursill-Hall 1971.

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte Nel corso di questo sviluppo si possono distinguere due correnti: la ten­ derla dominante fu di interpretare i processi segnici nel quadro della metafisica platonica e aristotelica; essa si è trovata in antitesi ad un progressivo tendere ad assimilare la semiotica alla scienza e alla filosofia empiriche. La prima direzione fu seguita da Leibniz, la seconda dagli empiristi inglesi (Morris 1946:286, tr. it. p. 334). Leibniz, nell’ambito della semiotica, dedicò la massima attenzione allo studio sintattico delle strutture segniche. Egli considerò perfino il calcolo come parte di una teoria onnicomprensiva dei segni e come esempio della fecondità della semiotica. Le sue idee di un sistema uni­ versale dei segni (la characteristica universali) sono state portate avanti in vario modo dai logici simbolici e da altri (Boole, Carnap, Frege, Gomperz, Husserl, Lambert, Peano, Russell, Tarski, Whitehead, e in modo particolare Peirce11). Gli empiristi inglesi (Francis Bacon, Bentham, Berkeley, Hobbcs, Hume, e in particolare Locke), d’altra parte, furono in vario modo inte­ ressati principalmente alla dimensione semantica. Il termine stoico se­ miotica fu reintrodotto, nel 1690, nel linguaggio filosofico inglese da John Locke nel suo Essay concerning humane understanding. Locke de­ finì la “dottrina dei segni” come quella branca della sua tripartizione di tutte le scienze “il cui compito è di considerare la natura dei segni, di cui fa uso lo spirito per l’intendimento delle cose o per trasmettere ad altri la sua conoscenza”. Per la comunicazione e la registrazione dei no­ stri pensieri sono... necessari dei segni delle nostre idee, quelli che gli uomini han trovato piu convenienti, e di cui, perciò, fanno uso generalmente sono i suoni articolati. Perciò, la considerazione delle idee e delle parole come i grandi strumenti della conoscenza non costituisce davvero una parte secondaria della contemplazione di chi voglia esaminare la conoscenza umana in tutta l’estensione sua. E forse se esse venissero distintamente pesate, o debitamente considerate, ci fornirebbero un’altra specie di logica e di critica, diverse da quelle che fin qui abbiamo conosciuto (Locke 1690: 40, libro IV, cap. XXI, § 4). Il passo precedente contiene qualche lontana eco dei paragrafi intro­ duttivi della Grammaire générale et raisonnée di Antoine Arnauld e Claude Lancelot, pubblicata per la prima volta nel 1660. In una terza edizione riveduta, che apparve nel 1676, i grammatici di Port-Royal avevano scritto: Parler, est expliquer ses pensées par des signes, que les hommes ont inventez à ce dessein. On a trouvé que les plus commodes des ces signes, estoient les sons n Su Peirce: vedi sotto; su Husserl: vedi Ogden e Richards 1938: 269-72, tr. it cit. pp. 301-5 e Schaff 1962: 162-73, tr. it. 1965; su Russell: Ogden e Richards 1938: 273, tr. it. cit. pp. 305-06; su Frege: Ogden e Richards 1938: 273-274; tr. it. cit. pp. 306-8; su Gomperz: Ogden e Richards 1938: 274-77, tr. it. cit. pp. 308-10. La dissertazione, del 1964, di Karl Sóder, Beitràge J.H. Lamberti zur formalen Logik und Semiotik, mi è nota solo attraverso Albrecht 1967: 68-69, 253.

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Profilo storico del campo della semiotica et les voix [...] on a inventi d’autres signes polir les rendre durables et visibles, qui sont les caractères de Vecriture [...] Aitisi Von peut considerer deux choses dans ces signes: La premiere: ce qu’ils sont par leur nature, c’est à dire, en tant que sons et caractères. La seconde, leur signification: c’est à dire, la manière dont les hommes s’en servent pour signifier leurs pensées (Brekle 1966:5). Soltanto ora si cominciano ad apprezzare la pertinenza e l’importanza che questa straordinaria scuola ebbe per la storia della semiotica — e non solo la Grammatica di Port-Royal, ma anche e soprattutto la Logica (1662) di Arnauld e Pierre Nicole (cfr. Brekle 1964; e vedi nota 88). 11 reale fondatore e primo studioso sistematico della semiotica mo­ derna fu, ad ogni modo, l’acuto filosofo americano Charles Sanders Peirce (1839-1914).12 Convinto che molti luoghi delVEssay di Locke “costituiscono i primi passi in profonde analisi che non sono state ulteriormente sviluppate” (2.649), Peirce prese da lui il termine semio­ tica definita come la “dottrina dei segni”, e consacrò uno “studio durato per l’intera vita” alla natura dei segni, cioè “la dottrina della natura essenziale e delle fondamentali varietà di ogni possibile semiosi”. Egli guardava a se stesso come ad “un esploratore o piuttosto un pioniere nel lavoro di sgombrare il terreno e aprire la strada... nel campo della semiotica” e aggiungeva: “trovo il campo troppo vasto, e il lavoro troppo grande, per un primo arrivato. Sono quindi costretto a limitarmi alle questioni piu importanti” (5.488). Peirce collegò esplicitamente i processi segnici ai processi che im­ plicano una mediazione o ‘terzità’ [thirdness] come nel passo seguente: È importante comprendere che cosa intendo per semiosi. Ogni azione dinamica, 0 azione di forza bruta, fisica o psichica, o avviene fra due soggetti... o in ogni caso è un risultato di tali azioni fra membri di una coppia. Ma per “semiosi” io intendo, al contrario, un’azione, o influenza che consiste nella cooperazione di tre soggetti, o implica questa cooperazione, ovvero un segno, il suo oggetto, e il suo interpretante, non essendo questa triplice reciproca influenza risolvibile in azioni fra 1 due termini di una coppia... la mia definizione conferisce il titolo di “segno” a ogni cosa che agisce in tal modo (Peirce, 5.484). L’idealismo, la complessità dell’argomentazione, e specialmente il fatto che la terminologia non è costante — “il che fa sorgere dei dubbi se egli abbia cambiato o meno la sua tesi col mutare dei termini” (Weiss e Burks 1945) — rendono gli scritti di Peirce piuttosto difficili. Questa difficoltà ha dato impulso ad una sempre crescente letteratura esegetica di second’ordine.13 Nel dominio della semiotica fu basilare la sua opinione che “l’in­ tero universo... è pervaso di segni, anche se non è composto esclusiva12 Sulla semiotica di Peirce in prospettiva storica vedi anche Morris 1946: 287-91, tr. it. cit. pp. 336-40 e Ogden e Richards 1938: 279-90, tr. it. cit.: pp. 313-24, dove sono anche inclusi importanti estratti della corrispondenza con Lady Welby. Su quest’ultima vedi anche Lieb 1953. Per una recensione di Wbat is meaning di Lady Welby (1903), vedi Peirce, Vili, 171-175. u Cfr., fra gli altri, la bibliografia scelta di Fitzgerald nel suo libro del 1966.

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\ ! Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte

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mente di segni” (Peirce, 5.448n), e che ogni pensiero è di per sé essenzialmente di natura segnica (5.594) o, almeno, che il pensare non si presenta mai senza qualche sentimento, immagine, concetto, o altra rap­ presentazione che serve da segno.14 Nella sua concezione, inoltre, “una legge di per sé non è altro che una formula generale o un simbolo” (5.107), l’uomo stesso è il pensiero o, in altre parole, un essere umano è “esso stesso un segno” (5.314;6.344). Un segno può essere compreso soltanto “in base a qualche altro segno più vasto e razionale che abbia fuso insieme in un tutto perfettamente definito la totalità delle cose e delle opinioni” (Weiss 1940), e: In definitiva, come la reale natura di una cosa consiste in quello che alla fine se ne può sapere al livello ideale di una informazione completa, cosicché la realtà dipende dalla decisione definitiva della comunità: cosi il pensiero è ciò che è, solo grazie al fatto che è volto ad un pensiero futuro che, nel suo valore in quanto pensiero, è identico al primo, sebbene più sviluppato (5.316).

La definitiva classificazione (ca. 1906) dei segni in sessantasei ge­ neri differenti fu sviluppata da Peirce lentamente ma costantemente per circa quarant’anni. Fu nel 1867, nel suo scritto On a new lisi of categories, che egli per la prima volta enunciò il suo fondamentale sche­ ma triadico, ora famoso, che — con forme intermedie e ibride deter­ minate in seguito (cfr. Wells 1967, specialmente n. 2a) — si è mostrato di cosi grande utilità in parecchi studi recenti di comunicazione sia umana che animale (per applicazioni antroposemiotiche, vedi Jakobson 1964, 1965, 1967; per applicazioni zoosemiotiche, Sebeok 1967d). Peirce as­ serì dapprima che ci sono tre tipi di segni (o, come li chiamò dopo, “rappresentazioni”): 1) somiglianze \likenesses\ (un termine presto ab­ bandonato in favore di icone), o “quei segni la cui relazione con i propri oggetti consiste semplicemente nell’avere alcune qualità in co­ mune”, l’idea platonica che il significante “imita” il significato; 2) indici, o “quei segni la cui relazione con i propri oggetti consiste in una corri­ spondenza di fatto”, cioè l’indicazione, l’ostensione, o la deissi quale ma­ niera di significare, come l’orma che Crusoe trovò sulla sabbia “era per lui un indice di un essere vivente”; e 3) simboli (i quali sono la stessa cosa che i segni generali), o “quei segni la cui relazione con i propri oggetti si fonda su di un carattere attribuito”, che egli poi chiamò “leggi”, intendendo con questo termine le convenzioni, gli abiti di com­ portamento o disposizioni naturali dell’interpretante o del campo delTinterpretante.15 Circa tre decenni e mezzo più tardi, egli incorporò questa tricoto14 Peikce, V. 283: “Quando pensiamo ...noi stessi, come siamo in quel momento, ap­ pariamo come un segno.” 15 Con “interpretante” sembra che Peirce intendesse la reazione dell’interprete al se8°®». ci°è> la trasmutazione del segno in un supposto codice neurale. Sull’elaborazione dell informazione nel sistema nervoso in generale, vedi i Proceedings of thè International Union of Physiological Sciences, voi. Ili (vedi la bibliografia). Piu in particolare ri­ guardo ai meccanismi del linguaggio parlato, vedi Brain 1961; Luria 1967, 1974.

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Profilo storico del campo della semiotica mia (B) in un più ampio schema,14 comprendente gli insiemi di relazioni segniche mostrate nella Tavola 1. Tavola 1 (2) Sinsegno I

(3) Legisegno

(1) Qu disegno (A) Segni in se stessi

(3) Simbolo (2) Indice (1) Icona

\__ (B) Segni in rela-

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zione agli og­ getti

l (3) Argomento (C) Segni in rela-—1(2) Dicent zione all’in(1) Rema terpretante

È bene notare che più Peirce elaborò e rifinì il suo schema,” più i suoi successori si sentirono provocati ad escogitare applicazioni a siste­ mi semiotici particolari, soprattutto alla struttura del linguaggio. In questo schema, comunque, una distinzione particolarmente utile fu quella secondo cui la medesima parola potesse stare per differenti varietà di segni {A), presi in se stessi: Così com’è in se stesso un segno o ha la natura di un’apparenza, e allora lo chiamo un qualisegno-, oppure è un oggetto o un evento singolo, e allora posso chiamarlo un sinsegno-, oppure ancora ha la natura di un tipo generale, e lo chiamo un legisegno. Così come adoperiamo il termine 'parola' nella maggior parte dei casi, dicendo che 'il' è una 'parola' e 'un' è un’altra 'parola', 'parola' è un legisegno. Ma quando diciamo che una pagina di un libro contiene 230 'parole,' venti delle quali sono 'il', la 'parola' è un sinsegno. Un sinsegno in tal modo incorporante un legisegno lo definisco una replica [sic] del legisegno. La differenza fra un legisegno e un qualisegno, nessuno dei quali è una cosa singola, è che un legisegno possiede un’identità definita, pur ammettendo di solito una gran varietà di apparenze. Così &, e, e il suono relativo sono tutti un’unica parola. Il qualisegno, viceversa, non ha alcuna identità. È la pura e semplice qualità di un’apparenza, e non è mai esat­ tamente lo stesso nel corso di un secondo. Invece dell’identità, ha una grande somiglianza, e non può differire molto senza essere chiamato un qualisegno dif­ ferente.1* 16 Sulle tre tripartizioni e le relative dieci classi di segni, piu quelli che Peirce chiamò segni “degenerati”, vedi Peirce, II. 233-273. Ciò è anche discusso da Bense 1965, e ulteriormente elaborato nel suo libro del 1967. 17 Dove rema (Rheme) è definito come “un Segno che, per il suo Interpretante, in­ dica una Possibilità qualitativa, cioè, è inteso come rappresentante un certo tipo di Oggetto possibile,” cioè, approssimativamente, un termine o funzione proposizionale; un Dicent è “un Segno, che, per il suo Interpretante, indica qualcosa che esiste di fatto,” o ap­ prossimativamente una proposizione-, e un argomento (Argument) “è un Segno che, per il suo Interpretante, indica una legge”. Vedi Peirce, II. 250-252. Il filologo inglese J.P. Postgate, nel suo discorso inaugurale su La scienza del significato, tentò invano di introdurre rema come termine tecnico in semantica, che egli propose quindi di ribattez­ zare Rhematology; vedi Bréal (1900: 329). 18 Peirce, in una lettera del 1904 a Lady Welby (brano citato in Ogden e Richards 1938: 282, tr. it. cit. p. 310); anche Peirce, Vili, 334. Alcune delle distinzioni fatte qui

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte Le suddette triplici tricotomie danno luogo a dieci classi di segni, che Peirce ha denominato e illustrato (Tavola 2): Tavola 2

A-B-C 1-1-1 2-1-1 2-2-1 2-2-2 3-1-1

Nome del segno Qualisegno Sinsegno iconico Sinsegno indicale Tematico Sinsegno dicent Legisegno iconico

3-2-1 3-2-2

Legisegno indicale tematico Legisegno indicale dicent

3-3-1

Simbolo Tematico (o rema simbolico) Simbolo dicent Argomento

3-3-2 3-3-3

Esempio Una sensazione di “rosso” Un diagramma individuale Un grido spontaneo Un galletto segnavento Un diagramma, indipendentemente dalla sua individualità effettiva Un pronome dimostrativo Un grido di richiamo di un venditore ambulante Un nome comune La proposizione Il sillogismo

Dieci classi di segni, compendiate in forma di tavola da Weiss e Burks 1945, secondo Peirce, 2. 254-263. È davvero difficile apprezzare l’utilità di assegnare un pronome dimostrativo di una qualsiasi lingua naturale, ad esempio, alla categoria del legisegno indicale Tematico, che “è qualsiasi tipo generale o legge, comunque stabilita, che richiede che ogni suo esempio sia in un rapporto reale con il suo Oggetto in modo da attirare semplicemente l’attenzione su quell’OggettoQuesta formulazione ignora il fatto evidente che ogni pronome dimostrativo costituisce un differente punto nodale di una spe­ cifica rete di segni verbali (Benveniste 1969). Wells crede, inoltre, che la nozione di simbolo di Peirce, sebbene originale, sia sterile, a causa del modo in cui egli generalizza il suo concetto della mente, che “permea e contagia ciò che dice del simbolo”. È solo la nozione di indice che Wells (1967, n. 2b) giudica nuova e feconda.19 D’altra parte, tali censure incidentali non vanno prese per una cri­ tica stringente dell’opera di Peirce dedicata alla semiotica. Come os­ servò in seguito un altro studioso che diede un importante contributo I alla semiotica, furono poi sviluppate in un articolo del 1906 intitolato Prolegomena to an apology for pragmaticism (Peirce, IV. 530-572). Un ‘sinsegno’ (II. 245) è forse meglio noto come replica (IV. 537) (che Peirce talvolta chiamò Actisign), in contrasto con il tipo, o “legi­ segno ” (in precedenza Famisign; cfr. Vili. 363) (vedi inoltre la Sezione 3, sotto). Nel 1906, Peirce diede ad un legisegno il nome di tono itone) che egli definì come “un carattere significante, indefinito, come un tono di voce” e che egli considerò né come un campione né un tipo; questo può costituire il primo riconoscimento esplicito dell’appar­ tenenza dei tratti parafonetici alla semiotica. 19 La nozione di icona è in relazione con il processo platonico della mimesi, che Aristotele estese (nella Poetica, IV) da rappresentazione eminentemente visiva fino ad ab­ bracciare tutta l’esperienza conoscitiva ed epistemologica. Per le implicazioni semiotiche di questa categoria assiologica, cfr. Morawski 1970.

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Profilo storico del campo della semiotica la sua [di Peirce] classificazione dei segni, il rifiuto di separare completamente i processi segnici animali da quelli umani, le osservazioni spesso penetranti sulle categorie linguistiche, l’applicazione della semiotica ai problemi della logica e della filosofia, e la generale acutezza delle sue osservazioni e distinzioni fanno della sua opera dedicata alla semiotica una fonte di stimolazione che ha pochi eguali nella storia di questo campo (Morris 1946:290; tr. it. p. 339). Dal momento che la maggior parte dell’opera specificamente semio­ tica di Peirce, completata subito dopo l’inizio del secolo, fu pubblicata postuma, difficilmente si sarebbe potuta presentare all’attenzione del suo contemporaneo Ferdinand de Saussure (1857-1913), il linguista sviz­ zero che, circa in quello stesso tempo, comprese la necessità di una scienza generale dei segni, che designò provvisoriamente col nome di sémiologie.20 Questa scienza fu da lui ritenuta indispensabile per l’in­ terpretazione della lingua, come pure di tutti gli altri sistemi segnici nel loro rapporto con la lingua: Puisqu'elle n’existe pas encore, on ne peut dire ce qu'elle sera; mais elle a droit à l’existence, sa place est déterminée d’avance... Par là, non seulement on cclaircra le problème linguistique, mais nous pensons qu’en considérant les rites, les coutumes, etc., comme des signes, ces faits apparaltront sous un autre jour, et on sentirà le besoin de les grouper dans la sémiologie et de les expliquer par les lois de cette Science (Saussure 1960:33, 35). L’originalità di Saussure consistette nel riconoscimento dell’impor­ tanza vitale che hanno, per la linguistica, un’analisi comparata e una clas­ sificazione dei differenti sistemi segnici, dal momento che un tale con­ fronto è da solo capace di rivelare "quali proprietà i segni verbali hanno in comune con alcuni o tutti gli altri sistemi semiotici e quali sono i tratti specifici del linguaggio”, in breve, ciò che, da solo, può permetterci di discriminare quel che è necessario da quel che è contingente nei vari sistemi di comunicazione, in particolare nel linguaggio (Jakobson 1969: 78; cfr. p. 68). Il compito che Saussure si propose non era di deci­ dere se la linguistica fosse piu strettamente collegata alla psicologia o alla sociologia, oppure di trovare ad essa un posto tra le discipline esi­ stenti, bensì di sollevare la questione ad un livello del tutto nuovo e di porre il problema in altri termini, come si vede nella seguente cita­ zione chiave: La langue est un systèrne de signes exprimant des idées et par là, comparable à l’écriture, à l’alphabet des sourds-muets, aux rites symboliques, aux formes de politesse, aux signaux militaires, etc., etc. Elle est seulement le plus important de ces systèmes. 20 La nozione di semiotica, e la sua designazione come la sémiologie, furono per la prima volta registrate in una nota di Saussure del novembre 1894; (cfr. Godel 1957: 275). L’osservazione di Prieto che Saussure sembrò “le premier à concevoir cette Science” (1968: 93) è certo assurdamente imprecisa. Saussure fu anche anticipato, nello spirito se non nella terminologia, da Rudolf Kleinpaul, che alcuni anni prima (1888) pubblicò un’opera di 456 pagine, assai accurata e con un’abbondante esemplificazione, sulla co­ municazione non verbale.

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte On peut donc concevoir une science qui étudie la vie des signes au sein de la vie sociale; elle formerait une partie de la psychologie sociale, et par conséquent de la phychologie générale; nous la nommerons semiologie (du grec sémeion 'signe’). Elle nous apprendrait en quoi consistent les signes, quelles lois les régissent [...] La linguistique n’est qu’une partie de cette science générale, les lois que découvrira la sémiologie seront applicables a la linguistique, et celle-ci se trouvera ainsi rattachée à un domaine bien défini dans l’ensemble des jaits humains. C’est au psychologue à determiner la place exacte de la sémiologie1' ; la toche du linguiste est de définir ce qui fait de la langue un système spécial dans l'en­ semble des faits sèmiólogiques [...] si pour la première fois nous avons pu assigner à la linguistique une place parmi les Sciences, c’est parce que nous l’avons rattachée à la sémiologie (Saussure 1960:33*34).

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Contrariamente a Peirce — che fu erede dell’intera tradizione del­ l’analisi filosofica dei segni — il punto di partenza di Saussure e il centro costante della sua attenzione fu la lingua; per lui la nozione di segno era in primo luogo un fatto linguistico, che in qualche modo si esten­ deva ad abbracciare gli altri processi del comportamento di segnalazione umano, e in particolare sociale. Come per Locke prima di lui, e per molti altri studiosi dopo di lui — ad esempio, Bloomfield, il quale sosteneva che “la linguistica dà il contributo principale alla semiotica” (1939:55), o Weinreich, che chiamò il linguaggio umano naturale “il fenomeno semiotico per eccellenza” (1968:164) — per Saussure la lingua occupa il posto d’onore fra tutti i sistemi semiotici. Un critico contemporaneo, Roland Barthes, facendo un passo avanti, giudica ne­ cessario considerare la possibilità di invertire la dichiarazione di Saussure: la linguistica non è una parte della scienza generale dei segni, anche se una parte privilegiata, è invece la semiologia ad essere una parte della linguistica: per essere precisi è quella parte che include le grandi unità significanti del discorso. Con questa inver­ sione — aggiunge Barthes (1968: 11) — possiamo aspettarci di scoprire l’unità delle ricerche che si stanno compiendo in antropologia, sociologia, psicoanalisi e stilistica attorno al concetto di significazione.22 21 Qui Saussure fa riferimento ad Adrien Naville, Nouvelle classification des Sciences (1901: 104), il quale riportava questa prima versione delle opinioni del suo collega ginevrino sull’argomento: Saussure insiste sull’importanza “d’une science très générale, qu’il appelle sémiologie, et dont l'objet serait les lois de la création et de la transformation des signes et de leur sens. La sémiologie est une partie essentielle de la sociologie. Gomme le plus important des systèmes de signes c’est le langage conventionnel des hommes, la science sémiologique la plus avancée c’est la linguistique ou science des lois de la vie du langageCfr. Godel 1957: 181. 22 Genette spiega questo rovesciamento della formula di Saussure nel suo articolo del 1969. Sulla semiotica come unificazione della scienza, vedi inoltre Morris 1946: 22327, tr. it. cit. pp. 299-303 dove quest’idea appare in due sensi: si dice che la semiotica for­ nisce un linguaggio completo per parlare dei fenomeni segnici, invece di guardare ad essi frammentariamente, e di fornire uno strumento per l’analisi delle relazioni fra tutti gli specifici linguaggi scientifici; cfr, anche Hjelmslev 1953. Sul movimento per l’Unità della Scienza, la relativa “International Encyclopedia” e l’Istituto, vedi Feigl 1969; per qualche vaga idea del ruolo di Morris, cfr. Feigl 1969: 647-48, 656-57, 659-60.

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Profilo storico del campo della semiotica Questo entusiastico rovesciamento delle gerarchie semiotiche può eventualmente essere considerato valido, soltanto se si lascia da parte la zoosemiotica — il comportamento di segnalazione di tutti gli esseri viventi privi della parola; noi, quindi, respingiamo questa posizione senza ulteriore discussione, in quanto contrastante con la prospettiva di quest’articolo. Qual è la precisa natura del rapporto esistente fra la lingua e gli altri sistemi semiotici umani? Sembra che, per Saussure, la risposta a questa domanda stia nella sua ben nota concezione del carattere ‘arbi­ trario’ del segno linguistico. In linea di massima, egli afferma che il bersaglio primario della semiotica sarà “l’ensemble des systèmes fondés sur Tarbitraire du signe”, ed è proprio in conseguenza di ciò che la lingua acquista la sua posizione di preminenza: ort peut... dire que les signes entièrement arbitraires réalisent mieux que les autres Vidèal du procédé sémiologique; c’est pourquoi la langue, le plus complexe et les plus répandu des systèmes d’expression, est aussi la plus caractéristique de tous; ert ce sens la linguistique peut devenir le patron général de toute sémiologie, bien que la langue ne soit qu’un système parliculier (Saussure 1960: 110). E cosi, mentre Saussure insiste chiaramente sull’idea che la lingui­ stica ha un rapporto necessario con la semiotica — un rapporto, inol­ tre, in cui la semiotica detiene un ruolo dominante — egli trascura di definire il suo esatto carattere al di là dell’asserzione del principio di “arbitrarietà dei segni”, che considerò come una caratteristica essenziale ed onnipresente di tutti i sistemi d’espressione, specialmente della lin­ gua. In conclusione, per Saussure la semiotica resta una scienza pro­ grammatica, i cui tratti salienti sono quelli che egli identifica con il suo modello linguistico {le patron général). Per parecchi decenni dopo l’epoca di Peirce e Saussure, l’ulteriore sviluppo della scienza dei segni fu stimolato dal lavoro svolto sia sepa­ ratamente che insieme da C.K. Ogden e I.A. Richards, che erano sotto la diretta influenza di Jeremy Bentham. Il loro volume, The meaning of meaning (1938),23 si proponeva di distinguere il modo di significare dei segni presenti nel discorso scientifico (termini referenziali o ‘sim­ bolici’) da quelli caratteristici del discorso non-scientifico (termini emo­ tivi o espressivi), un rilievo che si è mostrato fecondo nell’esame di problemi semiotici connessi con l’estetica in generale e con la teoria 23 Questo libro — che nella sua sostanza apparve per la prima volta in forma di periodico durante gli anni 1920-22 — passò attraverso numerose edizioni (19231, 19385), con costanti revisioni; si fa sempre riferimento all’edizione del 19385. Gli allegati com­ prendevano l’autorevole pezzo di Malinowski su II problema del significato nelle lingue primitive [The problem of meaning in primitive languages] (1923), e l’interessante ma fin ora trascurato saggio di Crookshank, su L’importanza di una teoria dei segni e una critica del linguaggio nello studio della medicina [The imporlance of a theory of signs and a critique of language in thè study of medicine] (1923). C’è un breve resoconto delle opinioni di Ogden e Richards sui modi di significare in Morris 1946: 69-72, tr. it. cit. pp. 346-48.

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; ! Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte della letteratura e di altre arti in particolare. Essi introdussero anche la cosiddetta teoria contestuale del significato (per una revisione critica vedi Hotopf 1965:253-64), che fece entrare il processo mentale nella definizione del segno. Questa fu data nel modo seguente (secondo una posteriore formulazione di Richards): Un segno... opera in quanto membro di un certo contesto interpretativo esistente nella mente — lo indichiamo con a b c q. Quando abc [...] ricorre senza q — tale è la sorte e la caratteristica di gran lunga piu importante di questi contesti interpretativi — sotto certi aspetti l’effetto è come se si fosse ripresentato anche q. E q allora è ciò al posto del quale sta a (il segno), ciò che esso significa o rappresenta (Richards 1933); in altre parole, ogni volta che un oggetto percepito insieme ad un altro ci fa pensare a quelTaltro, esso agisce come segno dell’altro e si dice che questi oggetti formano un contesto. L’affermazione, fatta da Ri­ chards qualche anno dopo, che “il significato è efficacia delegata [delegated efficacyY (1936:32), si muove di piu in una direzione com­ portamentistica, ma il compito di fornire una spiegazione dettagliata di come il segno mette in opera questa efficacia delegata fu lasciato a colui che poco dopo avrebbe dato il maggior contributo alla semiotica, Charles Morris. Richards stesso concludeva, nel 1936 (p. 34), che “nessuno sa” come operano i segni. Bisognerebbe anche osservare, di passaggio, che l’opera svolta in collaborazione da Ogden e Richards, e, dopo la morte (nel 1957) del collega piu anziano, l’opera piu recente di Richards gravitò “soprattutto nella sfera degli interessi pedagogici della semio­ tica” (Morris 1964:296). Morris, in una serie di articoli e libri, ha cercato con coerenza di gettare le fondamenta per una scienza dei segni vasta e feconda/ Piu concisa e lucida nella forma, la sua esposizione del 1938, Foundations of thè theory of signs, resta un classico nel suo campo. In questa mo­ nografia egli introdusse la “tricotomia molto utile” che “ha la sua base in Peirce” (Wells 1967, n. 3), vale a dire la divisione della semiotica in sintattica, semantica e pragmatica.25 Quando c’è significazione, c’è (a) un segno, che ha (b) un significato o un oggetto, e che ha (c) questo si­ gnificato o questo oggetto per un interprete del segno. Di conseguenza, egli definisce la sintattica come “quella branca della semiotica che studia il modo in cui i segni delle diverse classi vengono combinati per for­ mare segni composti”, cioè, la sintassi tratta i segni facendo astrazione dai loro oggetti e dei loro utenti. Subito dopo definisce la semantica come “quella branca della semiotica che studia la significazione dei se24 Per un elenco completo delle pubblicazioni di Morris sull’argomento, vedi Morris 1964 : 92-93. Su Morris e le sue opere, vedi Rossi-Làndi 1953, 1974. (Gli scritti di Morris sulla teoria generale dei segni apparvero nel 1971, come n. 16 della collana “Approaches to Semiotics”, Mouton, The Hague.) 25 Questo aspetto della semiotica fu applicato in maniera illuminante da Greenberg (1964) alle relazioni pluridimensionali esistenti fra l’etnologia e la linguistica. Weinreich (1968: 169), d’altra parte, pensava che questa tripartizione “risultasse di scarsa utilità in rapporto ai fenomeni segnici naturali”.

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"Profilo storico del campo della semiotica gni”, cioè la semantica prende in considerazione i segni e gli oggetti ma non gli interpreti. Infine, egli definisce la pragmatica come “quella branca della semiotica che studia l'origine, gli usi e gli effetti dei se­ gni”, cioè la pragmatica prende in considerazione tutti e tre i fattori.24 Di solito i logici sostengono che la relazione pragmatica presuppone la semantica e la sintattica, e che la semantica presuppone la sintattica, ma che, d’altro lato, “la relazione sintattica non presuppone la seman­ tica e la pragmatica”, e che “la relazione semantica può essere studiata senza riferimento alla pragmatica” (per es. Bochenski 1968:33). Nello sviluppo linguistico del bambino, ad esempio, l’aspetto semantico im­ plica sempre quello sintattico, ma sembra che questa gerarchia sia com­ pletamente invertita nel caso di Washoe, il giovane scimpanzé fem­ mina a cui è stato insegnato a comunicare con gesti basati sulla forma standard dAYAmerican Sign Language dei sordomuti (Gardner e Gardner 1969). In altre parole, per gli esseri umani, il significato eidetico di un segno implica invariabilmente anche un significato operazionale, ma non è necessariamente lo stesso per gli animali; David McNeil ha sintetizzato bene la situazione: “un bambino obbedisce alla gramma­ tica anche quando dice delle cose insensate, mentre uno scimpanzé evi­ dentemente ignora la grammatica anche quando esprime un senso pre­ ciso” (in Pfeiffer 1969:399; cfr. Bronowski e Bellugi 1970; e Brown 1970). Un’altra tricotomia introdotta da Morris e che taglia di traverso la prima (cfr. Sellars 1950) distingue la semiotica in pura, descrittiva e applicata. La semiotica pura è quella che elabora “un linguaggio per parlare intorno ai segni”, e i libri stessi di Morris possono essere con­ siderati come notevoli esemplari di questo genere. La semiotica de­ scrittiva studia i segni effettivi; quasi tutta la zoosemiotica è descrit­ tiva in questo senso. La semiotica applicata “utilizza le conoscenze in­ torno ai segni per il raggiungimento dei diversi scopi”. È stato constatato che queste distinzioni sono ottimamente appli­ cabili non solo ai processi segnici al livello del comportamento umano, bensì anche a quelli che si ritrovano tra gli animali privi della parola. La possibilità di una simile espansione della semiotica fu esplicitamente presa in considerazione, ma non elaborata, dallo stesso Morris (1946: 52-55, V). Ciò fu tentato molto piu tardi dagli zoologi Peter Marler (1961) e W. John Smith (1968) (anticipati anche da Yerkes e Nissen 1939) e, in un quadro sostanzialmente piu vasto, anche da me in una serie di scritti (per es., Sebeok 1972). Marler sosteneva che l’applicazione della sintattica alla comunica­ zione animale è particolarmente chiara, mentre la semantica, in questa sfera, è di dubbio valore; ma egli fu soprattutto interessato alla prag­ matica animale, che contribuì a sviluppare (sebbene in questo sforzo egli fosse stato in qualche modo preceduto da J.B.S. Haldane) con “ Per la definizione di questi altri termini impiegati da Morris, vedi il Glossario (pp. 345-56, tr. it. cit. pp. 439-48) in appendice a Signs, language and bebavior (1946).

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l’aiuto di un altro insieme di distinzioni tracciate da Morris: vale a dire quelle fra identificatori (che significano una collocazione nello spa­ zio e nel tempo), designatoti (che significano caratteristiche o proprietà stimolatrici di oggetti stimolatori), apprezzatoti (che significano qual­ cosa che ha uno status preferenziale per il comportamento) e prescrit­ tori (che significano la richiesta di certe sequenze di risposte). Queste categorie (non esaustive) di segni, che influenzano in diverso modo il comportamento dei loro interpreti, furono quindi applicate da Marler (1956) in un’analisi della comunicazione vocale del fringuello: “in pra­ tica, essendo nota la risposta di altri animali al segnale ed essendo note le circostanze in cui viene data quella stessa risposta”, Marler poteva “inferire la natura del ‘messaggio’ trasmesso dal segnale”. Morris era in stretti rapporti con due colleghi linguisti dell’Università di Chicago: Manuel J. Andrade e Léonard Bloomfield. Il suo fondamentale punto di vista sulle relazioni tra la semiotica e la lingui­ stica era che la prima fornisce il metalinguaggio alla seconda, “e che ja terminologia della linguistica deve essere fornita dai linguisti fa:endo riferimento ai termini della semiotica” (Morris 1946:221). Nel 1946 egli introdusse anche la nozione assai generale di sistema di segni linguistici [lansign-system] (ibid., 35 sgg.) approssimativamente equi­ valente alla lingua, ma applicabile egualmente a sostituti della parola quali la scrittura, a trasformazioni piu o meno formalizzate come la logica simbolica e la matematica e “forse alle arti” (1946:60). Nel 1964, egli osservava che mentre il lavoro recente svolto in linguistica aveva riguardato lo studio sintattico di certi sistemi di segni linguistici (cioè le lingue naturali), la sua sensazione che si rivelò poi esatta era che ci fosse una tendenza ad estendere lo studio del linguaggio anche ai suoi aspetti semantici e pragmatici; in ciò egli vedeva un chiaro paral­ lelo con lo sviluppo della logica in questo secolo. Egli sottolineava inol­ tre che la linguistica è una parte della semiotica, citando a sostegno di questa gerarchia, oltre a Bloomfield, l’autorità di Saussure, Hjelmslev, e Greenberg. In aggiunta alla monografia prima citata, Morris sviluppò l’affer­ mazione di Peirce secondo la quale, per determinare il significato di qualsiasi segno, “bisogna... semplicemente determinare quali abiti di comportamento esso produce”. Quindi il suo libro, Signs, language and behavior, fu scritto nel tentativo di descrivere e differenziare i segni in base alle disposizioni e al comportamento che essi causano nei loro interpreti. In altre parole, la semiotica è qui collegata ad una particolare teoria del comportamento — sebbene si avvicini anche ai risultati delle intuizioni dei logici, specialmente di Rudolf Carnap — che pone l’ac­ cento sulla risposta allo stimolo mentre la situazione stimolatoria è tra­ scurata: il punto di partenza di Morris sembra qui essere stato un’analisi dei segni indicali, in quanto opposti ai simboli convenzionali. La modi­ ficazione consiste nel fatto che ima precisa risposta ad un enunciato cessa di essere considerata il significato di quell’enunciato; essa è sostituita dal tipo di

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Profilo storico del campo della semiotica risposta, cioè una risposta regolare e potenziale. La teoria è, se mai, un aspetto comportamentistico, esterno dell’associazionismo: l’associazione di pensieri e/o idee è sostituita da una relazione fra atti o tipi di comportamento (Pelc 1969).

Morris nella sua ultima trattazione, Signification and Significance, mentre continua ad affidarsi a un tipo di psicologia comportamentistica, mira ad una sintesi fra la semiotica e l’assiologia, la teoria dei valori. Egli esplora la relazione tra i segni e i valori e valuta il loro posto nell’agire umano. A questo punto debbo esprimere il mio totale accordo con il giu­ dizio del compianto Uriel Weinreich (1968:166) che la riduzione dei fenomeni segnici ad un piu generale fenomeno comportamentale non ha prodotto alcun considerevole successo né nella teoria né nella ricerca pratica. Un modello segnico non è sempre — forse lo è soltanto di rado — in relazione con una classe di stimoli specifici o di chiare risposte. Se ciò può essere in un certo modo applicato agli sforzi di Morris di unire la semiotica al comportamentismo, la critica sussiste a fortiori in merito ai tentativi degli psicologi sperimentali di specificare il significato dei segni individuali in base agli atteggiamenti che si hanno nei loro confronti, alle emozioni da essi provocate, che sono causa di connotazioni soggettive di forza o debolezza, caldo o freddo, benevolenza od ostilità, oppure ulteriori segni da essi evocati automaticamente — con tecniche quali il differenziale semantico (riesaminato ampiamente da Weinreich) 0 il testo d’associazione libera.27 Nei decenni che seguirono la pubblicazione del Cours di Saussure, 1 linguisti erano troppo occupati con problemi interni alla loro disci­ plina — in particolare coloro che erano attenti agli sviluppi dello strut­ turalismo — per dedicare alla semiotica piu che una superficiale atten­ zione; nonostante ciò alcuni studiosi di orientamento linguistico, che lavoravano in discipline adiacenti e che erano interessati ai problemi dei fondamenti fornirono fecondi contributi pionieristici, più o meno ispirati da principi generali di analisi semiotica, a sistemi segnici diversi dalle lingue (per es., il sistema dell’abbigliamento, certe arti verbali ecc.; su alcuni di questi sistemi tornerò nella sezione 3). Una delle rare eccezioni fu il linguista belga Eric Buyssens, che fece un tentativo (1943) serio, originale, e abbastanza esauriente, di realiz­ zare “le voeu de Saussure”, di confrontare cioè le lingue con gli altri sistemi segnici (umani).2* Buyssens introduce il termine sema, definen­ dolo come “tout procédé idéal dont la realisation concrète permet la communication”, l’aggettivo Semico, e la locuzione atto Semico, con cui 27 Vedi Osgood, Suci e Tannenbaum 1957; e la recensione di Weinreich 1958; an­ che Snider e Osgood 1969. Sul comportamentismo e la semiotica in generale, vedi anche Wells 1967, specialmente II. 28 II suo successo fu messo in dubbio dai rappresentanti della scuola di Ginevra, per es., Frei 1963. Vedi anche Buyssens 1967, di cui la prima parte costituisce un’edizione un po’ modificata e aumentata di Buyssens 1943; e, nella medesima tradizione, Pohl 1968, specialmente il primo volume, Le symbole, clef d'humain.

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell'arte intende la concreta realizzazione di un sema. I semi — non i segni” che, secondo Buyssens, non possono essere isolati e si possono definire unicamente come funzione di un sema — sono poi classificati con un duplice criterio: secondo la modalità sensoriale interessata, uditiva, vi­ siva e simili, o le modalità (dal momento che semi quali le regole di un cerimoniale possono combinare parole, gesti, profumi, addobbi); e secondo la loro eziologia, che dipende dal genere di relazione esistente fra la forma e il significato di un dato sema. Questo può essere intrin­ seco, uexistant antérieurement entre deux faits”, che io considero ico­ nico e/o indicale: oppure estrinseco, dove la relazione esiste Uuniquement en vue de la communication”, o è ‘arbitraria’ nel senso di Saus­ sure. Alcuni semi possono avere un carattere misto. Tra i semi intrinseci, Buyssens cita i seguenti: l’art, la publicité imagée, certains symboles, certains gestes, les hisloires sans paroles, les dessins qui à l'envers de certains postes récepteurs de radio indiquent l’endroit ou il faut relier Ventenne, la prise en terre, le pick-up ou le réseau; les dessins qui, sur les machines-outils destinées à l’exportation, indiquent la fonction des manettes, pédales, leviers, boutons, interrupleurs; les enseignes parlantes; les dessins qui, par exemple, sur le ferry-boat Londres-Istamboni, indiquent à l'entrée de chaque salle sa destination: un serveur pour le restaurant, une dame sur un tabouret pour le bar, etc. Tra i semi estrinseci egli cita:

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le discours et ses transcriptions...; les signalisations routière, ferroviaire et maritime; les sonneries de clairon, de trompette ou de cor; les batteries de tambour; les signaux auditifs par sifflet, sirène, cloche, gong, canon; les signaux optiques par fusées, lampes, phares, bouées, fumèe; les symboles des mathématiciens, physiciens, chimistes, logiciens; les notations commerciale, musicale et prosodique; les modèles de quantité de documents officiels (billets de banque, pièces d’identité, affiches, etc.); les taches de couleurs par lesquelles on marque dans les campagnes les itinéraìres touristiques; la croix rouge sur fond blanc des Services sanitaires; le coup de sonnette du visiteur; la sonnerìe de téléphone et son signal 'occupi' etc. etc. (Buyssens 1943:46). Si ritrova una mescolanza di semi intrinseci ed estrinseci, fra altre strutture, nelle regole dei cerimoniali, e nelle mappe, disegni tecnici e simili. In conclusione, Buyssens sostiene di aver dimostrato che non c’è proprio nessuna differenza, in linea di principio {de nature), tra le lingue (naturali) ed altre sétnies, cioè gruppi di semi opposti l’uno al­ l’altro da differenze regolari e significanti; la superiorità del linguaggio parlato è, per lui, semplicemente un fatto di quantità. Il libretto di Buyssens, ben argomentato, con un’adeguata esemplifi­ cazione, anche se un po’ bizzarro, è stato praticamente ignorato dagli 29 Ma cfr. Prieto 1968: 125: “le terme 'signe' ...est sans doute synonyme de 'séme Tuttavia, egli trova che ‘segno* è una nozione ambigua e difende invece, con Buyssens.. l’adozione di “sema”. Sul concetto di séme in Saussure, vedi Engler 1968: 44.

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altri linguisti, forse per il fatto che apparve durante la seconda guerra mondiale; ad ogni modo esso merita tuttora una lettura attenta. È ab­ bastanza curioso comunque che, quando, circa tredici anni più tardi, Buyssens stesso descrisse (1956) il sistema dei 460 gesti usati dai mem­ bri di un ordine religioso cistercense, abbandonò tutto il suo apparato teorico e trattò la materia in modo convenzionale, come un sistema di segni. Fino ad oggi, comunque, l’esposizione più esplicita e formalizzata dell’eredità saussuriana è la teoria della glossematica, come appare negli scritti di due linguisti danesi, Louis Hjelmslev (1953) e H.S. Uldall (1957), in cui ebbero un ruolo dominante i principi generali della se­ miotica, con ramificazione d’ogni sorta (che non saranno discusse qui). La teoria glossematica è basata sull’assunto generale che tutti i sistemi semiotici — considerati in termini di un apparato algebrico moderatamente complesso — si fondano su di un piccolo insieme di concetti base, come classe e componente, funzione, funtivo necessario e non necessario, funzioni ‘e’ ed ‘o’, e l’assunzione empirica di due piani non conformi — contenuto ed espressione — che consistono, ciascuno, di due gerarchie non conformi, forma e sostanza (vedi inoltre Mulder e Hervey 1972, e Parkinson 1975). Nei suoi ultimi sviluppi, l’algebra delle funzioni proposta da Hjelm­ slev e Uldall fu concepita come un quadro assai generale e uniforme per la descrizione del comportamento umano. Nell’Introduzione alla se­ conda edizione dell’opera di Uldall, del 1957, Eli Fischer-Jorgensen (1967) rilevò le differenze fra Hjelmslev e Uldall nel concepire la sfera d’azione della glossematica, osservando che per Uldall la glossematica è “una teoria formale, che non è definita da alcun materiale specifico, ma è destinata esplicitamente ad essere usata per tutte le attività uma­ ne”, mentre per Hjelmslev la glossematica è una teoria linguistica, “che, implicitamente, può servire da modello per altre discipline uma­ nistiche” (1967:X-XI). A prima vista, tutto ciò richiama alla mente lo scetticismo di Noam Chomsky verso tale universalità: che valore ha sol­ levarsi ad un livello di astrazione in cui vi sono “molte altre cose in­ cluse sotto le medesime generalizzazioni che nessuno avrebbe conside­ rato come costituenti una continuità con la lingua o particolarmente rile­ vanti per i meccanismi della lingua?” (Chomsky 1967:73). È, invero, una delle questioni cruciali della semiotica se tali generalizzazioni, de­ scritte dai glossematici (e ancora in opere come quelle di Barthes, per es. 1968), esprimano semplicemente una posizione metodologica, che nel migliore dei casi fornisce un quadro uniforme di riferimento per alcune o tutte le scienze del comportamento, oppure includano delle autentiche intuizioni empiriche. I glossematici vorrebbero forse dimo­ strare che un confronto sistematico della lingua con altri sistemi semio• 30

30 Cfr. il recente studio di Clelia Hutt sui trappisti (1968). In parte nella tradi­ zione di Buyssens, a cui deve l’osservazione “qu’il existe des procédés de signalisation a-systématiques”, sono parecchi articoli di Mounin; vedi, per es., Mounin 1959.

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte tici — sia più che meno complessi — rivelerebbe delle peculiarità della struttura linguistica, che uno studio di questo genere presuppone un quadro uniforme di riferimento e che il problema si condensa at­ torno all’attenzione posta nella scelta di un punto di vista comune co­ sicché “queste scienze si concentrino attorno ad una impostazione dei problemi che sia linguisticamente definita” (Hjelmslev 1953:69; tr. it. 1968, p. 117). Nella concezione glossematica, le lingue naturali sono distinguibili e vengono distinte da ciò che non è lingua per le seguenti proprietà spe­ cifiche: esse appartengono alla classe dei sistemi semiotici che presen­ tano due piani con una forma divergente; inoltre il contenuto delle lingue può essere manifestato da tutte le possibili sostanze del conte­ nuto, o, in altre parole, una lingua è quel sistema semiotico in grado di esprimere ogni cosa che possa essere espressa in qualunque modo. Per­ ciò dice Hjelmslev:

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In pratica una lingua è una semiotica nella quale ogni altra semiotica, cioè ogni altra lingua, e ogni altra struttura semiotica concepibile, può essere tradotta. Tale traducibilità si basa sul fatto che le lingue (e le lingue soltanto) sono in grado di formare qualunque materia; nella lingua, e soltanto nella lingua, è pos­ sibile “lottare con l’inesprimibile finché si arrivi ad esprimerlo” (Kierkegaard). È questa qualità che rende la lingua utilizzabile in quanto lingua, capace di dar soddisfazione in qualunque situazione [...]. Non c’è dubbio che tale qualità si fonda su una peculiarità strutturale che potremmo capire meglio se sapessimo di piu sulla struttura delle semiotiche non linguistiche. Non è affatto ovvia la con­ clusione che la base di questo si trova nella possibilità illimitata di formare dei segni, e nelle regole assai libere per la formazione di unità di grande estensione (periodi e simili) che valgono per qualunque lingua... in generale, la lingua è indipendente da qualsiasi scopo specifico. (Hjelmslev 1953:69; tr. it. cit. p. 117). Come ha giustamente rilevato Manfred Bierwisch (1972), è in que­ sto punto che Hjelmslev e Chomsky convergono nella tradizione della linguistica cartesiana, e vengono alle prese con ciò che Chomsky ha tal­ volta chiamato l’“aspetto creativo dell’uso linguistico” e che viene giu­ dicato come la proprietà specifica che distingue il linguaggio da tutti gli altri sistemi semiotici (‘creatività’, nel senso di Chomsky sembra riferirsi alla capacità del linguaggio di adeguarsi ad ogni nuova situa­ zione ). Nella sua dichiarazione conclusiva, Hjelmslev sostiene che “la strut­ tura semiotica si presenta come un centro che consente di considerare tutti gli oggetti scientifici” (1953:81; tr. it. p. 135), e invero, verso la metà del decennio scorso, siamo stati testimoni, come Jakobson ha osservato di recente, di “un rapido e spontaneo sviluppo, su scala inter­ nazionale, della nuova disciplina, che abbraccia una teoria generale dei segni, una descrizione dei differenti sistemi segnici, la loro analisi com­ parata e classificazione” (1969:78). In parecchi paesi31 — soprattutto in 51 La linea di pensiero di Hjelmslev sulla semiotica e le nozioni ad essa pertinenti è attualmente portata avanti, in Europa, da Greimas (e dai suoi studenti, specialmente

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Profilo storico del campo della semiotica Francia, Italia, Polonia, USA e URSS — dei laboratori scientifici stanno conducendo ricerche su vari problemi semiotici, che coinvolgono molte­ plici discipline accademiche. (Bisogna comunque ammettere che alcune di queste — un po’ alla maniera di Monsieur Jourdain — hanno perse­ guito mete semiotiche, “il y a plus de quarante ansn > senza saperlo!) Negli Stati Uniti, il primo convegno di semiotica12 si tenne dal 17 al 19 maggio 1962 (Sebeok, Hayes e Bateson 1964). Organizzato in un primo tempo per discutere semplicemente le tematiche gemelle della paralinguistica e della cinesica, estese subito la ricerca e il dibattito ad altre aree della comunicazione non verbale, sebbene vi fosse dappertutto una tendenza centripeta a vedere i problemi con riferimento costante al linguaggio. Fu soltanto durante la discussione, nella sessione finale di questo incontro di tre giorni — in verità negli ultimi minuti del conve­ gno — che Margaret Mead, con la consueta incisività, riuscì a cristal­ lizzare i pensieri di circa sessanta studiosi della piu diversa formazione intorno al termine ‘semiotica’13: Sarebbe molto bello — disse —, se potessimo andare via di qui con almeno un accordo preliminare sull’uso di qualche espressione da poter applicare all’intero campo. Cinesica e paralinguistica, dopo tutto sono due [...] Io credo che a quanto si può immaginare, stiamo lavorando in un campo che col tempo includerà lo studio di tutte le forme di comunicazione dotate di struttura, delle quali la lin­ guistica è quella tecnicamente piu avanzata. Sarebbe utile disporre di una parola per le forme di comunicazione in ogni modalità sensoriale, dotate di struttura [...] molte persone qui, che avevano l’aria di essere da parti opposte della barricata, hanno usato la parola ‘semiotica’. Mi sembra l’unica parola che, in una forma o in un’altra, sia stata usata da persone che ragionano da posizioni completamente differenti [...] Molta gente non intende spendere il proprio tempo in questo cam­ po a meno che esso non venga presentato come una esplorazione a tutti i livelli e in tutte le modalità, sia pure con un grande aiuto da parte dei linguisti (Mead 1964:275). Questo pionieristico convegno interdisciplinare fu deliberatamente organizzato su cinque punti. Questi erano: la medicina, cioè la comu­ nicazione senza parole tra paziente e dottore (Ostwald 1964)14; la psico­ logia, in particolare, la ricerca sui fenomeni extralinguistici (Mahl e Schulze 1964); le prospettive pedagogiche in paralinguistica e cinesica (Hayes 1964); le prospettive inter-culturali (La Barre 1964); e il linin Francia e in Italia) — vedi la sua raccolta di quindici saggi (1970), sei dei quali sono anche apparsi in italiano sotto il titolo di Modelli serriiologici (1968); e, negli Stati Uniti, da Lamb e dai suoi studenti — vedi, per es., il suo Outlirte of stratificational grommar, (1966) — e da Chafe, che recensì (1968) VOutline di Lamb, e che fornisce ulteriori ri­ ferimenti (p. 603) alle opere di Lamb e alle sue; vedi anche Fleming, Stratificational theory: An annotated bibliography (1969). 32 II convegno, patrocinato dal Ministero della pubblica istruzione degli Stati Uniti, fu tenuto a Bloomington, negli istituti dell’Università dell’Indiana. 33 L’articolo di commento sulla parola 'semiotica’ [‘semiotici’] si trova nella mia Prefazione a Sebeok, Hayes e Bateson 1964. 34 Nel 1968 è apparsa una versione riveduta di questo articolo.

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Semiotica: un quadro generale dello stalo dell'arte guaggio emotivo (Stankiewicz 1964).“ Gli atti pubblicati includevano anche una dichiarazione generale della Mead, che riassumeva i punti salienti del simposio e indicava la via per “continuare il lavoro nel­ l’analisi pluri-modale della comunicazione”. Ella sosteneva che “inaugu­ rando la nuova scienza” della semiotica, bisogna agire dalla parte del­ l’uomo; con ciò intendeva ripudiare ogni applicazione manipolativa (Mead 1964; vedi anche Mead 1969 per una più recente versione del suo punto di vista sulla semiotica). Proprio nell’anno in cui questo primo sforzo sistematico, compiuto in ambiente americano, apparve sotto forma di libro, gli studiosi sovie­ tici tennero il primo di una serie ininterrotta di colloqui di semiotica a Kàariku (vicino a Tartu in Estonia) sotto la guida di Jurij M. Lotman/* Mentre manca un’informazione dettagliata su questo incontro/7 è stato pubblicato (Venclova 1967) un resoconto del successivo, che si tenne dal 16 al 26 agosto 196b (e a cui intervennero anche due studiosi statu­ nitensi). Secondo questo resoconto, l’incontro fu dedicato principal­ mente a quell’area della semiotica che è stata chiamata in francese *systèmes secondaires modelantes’, che sono (in senso stretto) complesse macrostrutture aventi una lingua naturale come infrastruttura e al­ meno un testo codificato con unità precostituite come sovrastruttura secondaria/* I prodotti dell’arte verbale appartengono evidentemente a quest’area ed innalzano lo studio della funzione poetica del linguag35 Stankiewicz sta attualmente ampliando questo articolo in una monografia, che ap­ parirà nella collana ‘Studies in Semiotics’. 34 La pubblicazione dei principali scritti dei semioticisti sovietici che gravitano at­ torno a Lotman (che presiede il Dipartimento di Letteratura Russa all’Università statale di Tartu) è stata finora curata da lui in Trudy po znakovym systeman, voli. II, III (c£r. anche Venclova 1967), 4 e 5. Vedi anche il saggio del 1967 di Julia Kristeva (ristampato nel 1969 con altri dieci saggi), che prende come suo punto di partenza gli scritti dei semioticisti sovietici. Per una visione panoramica della semiotica in URSS, vedi Faccani ed Eco 1969; Pape 1969; e specialmente l’esame fatto da Segal, in Jurij M. Lotman e Boris A. Uspenskij (a cura di), 1973, pp. 452-70. 37 Tre degli scritti presentati al colloquio tenuto a Tartu dal 10 al 20 maggio 1968 sono apparsi in ‘Semiotica’, voi. I: Ivanov 1969; Kristeva 1969a e Lotman e Pjatigorskij 1969. 33 Systèmes secondaires modelants è una traduzione dal russo di una espressione pro­ posta da A.A. Zaliznjak, V.V. Ivanov e V.N. Toporov, in riferimento allo schema ge­ nerale usato nella loro opera in collaborazione sui miti e i riti bielorussi, Slavjanskie jazykovyie modelurujuiiie semiotiteskie sistemy [Sistemi modellizzanti secondari nelle lingue slave] (1965: 6-8). La nozione di sistema modellizzante secondario, in senso lato, fa riferimento ad un modello ideologico del mondo in cui l’ambiente sta in rapporto reciproco con qualche altro sistema, come un organismo individuale, una collettività, un calcolatore, o simili, e in cui il suo riflesso funziona come controllo del modo globale di comunicazione di questo sistema. Un modello del mondo costituisce cosi un programma per il comportamento dell’individuo, della collettività, della macchina, ecc., dal momento che definisce la sua scelta di operazioni, come pure le regole e le motivazioni che ne sono alla base. Un modello del mondo può essere realizzato nelle varie forme del comportamento umano e nei suoi prodotti, «impresi i testi linguistici — di qui il rilievo dato alle arti verbali — le istituzioni sociali, le correnti di civiltà, e cosi via. Se non sbaglio, questa nozione è assai vicina al principi? tematico che alcuni antropologi, sia americani che di altri paesi, — piu con intuizione art1' stica che con rigore scientifico — hanno chiamato ethos, il modello integrante che sintetica tutta una cultura; cfr. Kroeber e Kluckhohn 1952, specialmente pp. 165-71. Per apphc*' ziom generali, specialmente nella sociologia della letteratura, vedi inoltre Zolkiewski 1969Vn?rTe5SSqKnpdeMa letteratura sull’argomento, con particolare riferimento al folklore, m Voigt 1969b. Per il rapporto con la linguistica, vedi Pawlowski 1974.

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jProfilo storico del campo della semiotica gio al rango di indagine semiotica; parimenti, l’interpretazione semio­ tica dei miti e di altri generi di tradizione orale cade all’interno di questa sfera. Le circa trenta comunicazioni presentate tendevano a dividersi in otto gruppi: tipologia dei testi; semiotica del folklore; poetica; tipologia delle culture; problemi di mitologia; semiotica dello spazio e del tempo nei sistemi modellizzanti; modelli artistici in un quadro di riferimento comunicativo; e problemi generali di semiotica. Nel 1965 fu convocata una riunione a Varsavia, ma il primo con­ gresso internazionale a pieno titolo, di semiotica — con l’intervento di rappresentanti della Cecoslovacchia, Danimarca, Francia, Repubblica De­ mocratica Tedesca, Italia, Polonia, USA e URSS — ebbe luogo dal 12 al 18 settembre 1966, a Kazimierz nad Vizia (in Polonia). A quel tempo il Laboratoire d’Anthropologie Sociale del Collège de France aveva co­ stituito la Section de Sémio-linguistique, diretta da A.J. Greimas, sotto gli auspici e con la collaborazione di Lévi-Strauss, Benveniste e Barthes. La direzione polacca era costituita da Stefan Zotkiewski e dai suoi col­ leghi, in special modo Maria Renata Mayenowa.3’ Un commento della Mayenowa rifletté l’atmosfera di questo conve­ gno; più tardi ella scrisse: è soltanto di recente che la semiotica ha cominciato a costituirsi come campo autonomo di ricerca sovrapposto alle varie discipline che si occupano di sistemi segnici specifici. Comunque, dal momento che queste discipline, con la sola ecce­ zione della linguistica, sono esse stesse di origine recente, più o meno contem­ poranee alla semiotica, per il momento non si può dire che abbiamo sviluppato delle teorie dei sistemi segnici, adeguate e accettate universalmente, diverse da quelle elaborate in linguistica per le lingue naturali (1967:59-64; cfr. Sebeok 1967b). Tuttavia i partecipanti erano fiduciosi che fosse giunto il momento di far progredire la semiotica con due azioni pratiche congiunte: creare un’Associazione Internazionale per la Semiotica; e provvedere ad una pubblicazione periodica. Fu deciso di tenere un nuovo incontro a Var­ savia nel 1967, per completare i preparativi per l’organizzazione pro­ posta e autorizzare immediatamente la costituzione di un adeguato fondo per la pubblicazione. Purtroppo l’incontro del 1967 dovette essere posti­ cipato al 1968, quando per una crisi politica internazionale fu possibile tenere soltanto una sessione ridotta a Varsavia. Finalmente, comunque, fu convocato a Parigi un incontro organizzativo, il 21 gennaio 1969, e là nacque l’Association Internationale de Sémiotique (International Association for Semiotic Studies).40 39 I partecipanti statunitensi erano: Henry Hiz, Roman Jakobson, Krystyna Pomorska, Meyer Schapiro ed io; Noam Chomsky presentò una comunicazione scritta. Gli atti del convegno, compresi i testi completi degli scritti consegnati o spediti, sono apparsi, nel 1970, come voi. I nella Series Maior di “Janua Linguarum,” Mouton, The Hague. 40 L’indirizzo è: via Melzi d’Eril 23, Milano, Italia. Nel 1975 i membri erano i se­ guenti: Presidente: Cesare Segre (Italia); Presidente onorario: Émile Benveniste (Fran­ cia); Vicepresidenti: Roman Jakobson (USA), Jurij M. Lotman (URSS) e A. Ludskanov (Bulgaria); Segretario generale: Umberto Eco (Italia); Segretario esecutivo: Julia Kristeva

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte L’Associazione ha annunciato tre scopi: promuovere ricerche semio­ tiche in uno spirito scientifico; far progredire la cooperazione interna­ zionale in questo campo; e collaborare con le associazioni locali (che erano già state formate in Francia, Italia, Polonia e URSS). Essa pro­ pose di raggiungere queste mete organizzando incontri nazionali e inter­ nazionali, e attraverso il patrocinio di una rivista internazionale, “Se­ miotica”. “Semiotica” -— di cui sono corresponsabili il Conseil International de Sciences Sociales delPUNESCO e il suo Conseil International de Philosophie et des Sciences Humaines — rappresenta una diretta con­ tinuazione di “Studies in Semiotics-Recherches Sémiotiques”, autoriz­ zata dall’assemblea di Kazimierz e che per undici numeri (voi. 6, nn. 2-6,1967; voi. 7, nn. 1-6, 1968), costituì una sezione regolare del pe­ riodico bilingue “Social Science Information-Information sur les Scien­ ces Sociales”. Esso fu fondato sotto gli auspici congiunti di un Comi­ tato Permanente per le Pubblicazioni, costituito a Kazimierz, affidato alla cura editoriale di A.J. Greimas (redattore capo, 1967), Jurij M. Lotman, Thomas A. Sebeok (redattore capo, 1968) e M.W. Skalmowski (1967; sostituito da Jerz Pelc nel 1968). Questo sforzo iniziale, relativamente modesto, è stato trasformato, nel 1969, in un vero e proprio mensile indipendente con il nuovo nome di “Semiotica”, diretto da Thomas A. Sebeok.41 Inoltre, la rivista ha il supplemento di “Approaches to Semiotics”, “Advances in Semiotics”, per poter accogliere contributi delle dimen­ sioni di un libro, come monografie originali, raccolte, documenti rela­ tivi a convegni, importanti ristampe e traduzioni. Il quarto volume della prima serie menzionata è una nuova edizione dei contenuti piu notevoli degli undici numeri di “Studies in Semiotics-Recherches Sémiotiques”, pubblicati perché fossero facilmente disponibili in un solo volume.42 La fondazione dell’Associazione, con la costituzione parallela di nu­ merosi fondi di pubblicazione, servirà indubbiamente da punto di rac­ colta e forse da catalizzatore per tutti gli individui e i gruppi seria­ mente interessati alla nozione di segno; l’anno 1969 può risultare una pietra miliare nella storia della semiotica.

(Francia); Tesoriere: Jacques Geninasca (Svizzera); e ex officio: Thomas A. Sebeok (USA). I direttori sono: Eliseo Verón (Argentina); Nicolas Ruwet (Belgio); Decio Pignatari (Brasile); A. Ludskanov e M. Yanakiev (Bulgaria); Paul Bouissac e René Lindekens (Canada); F. Miko e Ivo Osolsobé (Cecoslovacchia); Holger S. Stfrensen (Danimarca); Émile Benveniste e Julia Kristeva (Francia); Erhard Albrecht e Manfred Bierwisch (Re­ pubblica Democratica Tedesca) Hans-Heinrich Lieb e Hansjakob Seiler) (Repubblica fe­ derale Tedesca); J. Cohen e D. MacKay (Gran Bretagna); Ivdn Fónagy e Gyorgy Szepe (Ungheria); Benjamin Hrushovski (Israele); Umberto Eco e A. Rossi (Italia); Shigeo Kawamoto (Giappone); Teun A. van Dijk (Paesi Bassi); Jerzy Pelc e S. Zóikiewski (Polonia); Mihai Pop (Romania); Bertil Maìmberg (Svezia); Jacques Genicasca (*5V1 ^ayrav (Turchia); Henry Hiz e Roman Jakobson (USA); e Jurij M. Lotma (URSS).

« nCr attuali membri del Comitato editoriale, vedi cap. X, nota 3. ReyDebove e ItoiwA* Jean* IJm a cura di Julia Kristeva, Josette

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Per una classificazione dei segni e dei sistemi segnici 3. Per una classificazione dei segni e dei sistemi segnici Deve ormai risultare chiaro da quanto detto sopra che, sebbene siano stati fatti numerosi tentativi da parte di filosofi e linguisti con inclinazioni filosofiche, per tutta la storia della semiotica, al fine di classificare i segni o i sistemi di segni,45 nessuno di essi fino ad ora ha goduto di un’approvazione universale e durevole. Ciò che segue è un esame non completo di quelli che a me sembrano criteri importanti, di cui si deve tener conto lavorando ad una categorizzazione sufficientemente distica — certamente un’opera che potrà essere completata solo in un lontano futuro. I rapporti tra le classi suggerite qui sono chiara­ mente del genere di quelli convertibili nei diagrammi di Eulero Venn: cioè esse si sovrappongono; tale approccio alla classificazione mi sembra inevitabile a questo stadio di sviluppo della semiotica (cfr. Lenneberg 1969). Il seguente tentativo differisce dai precedenti soprattutto per il fatto che dà grande importanza ai dati presi dalla letteratura etologica corrente che siano rilevanti da un punto di vista semiotico (Sebeok 1972). In biologia, come ha suggerito Ralph Gerard, è utile concepire un sistema della materia — un organismo — in uno dei seguenti tre modi: la sua ‘natura’, o struttura, cioè la sua condizione permanente in senso sincronico; il suo ‘comportamento’, o funzione, una ‘perturba­ zione ripetitiva’, con andamentto secolare, e il suo ‘divenire’ o storia, che rappresenta i cambiamenti cumulativi nella sezione longitudinale del tempo (Gerard 1957, 1960). Un sistema semiotico — un segno — può essere esaminato con egual profitto da ciascuno di questi tre punti di vista: ci si può chiedere cos’è un segno, in che modo l’ambiente con i suoi turbamenti interferisce con esso e come esso si è prodotto. Le classificazioni funzionali del segno sono empiriche, estrinseche; esse si basano su variazioni situate a diversi punti nodali in un modello esteso della comunicazione. Un’identificazione strutturale del segno è analitica, intrinseca; essa utilizza tipi di associazioni potenzialmente inerenti alla struttura del segno stesso. Il problema del divenire introduce due tipi di considerazioni diacroniche: noi possiamo concentrare l’attenzione sul­ l’evoluzione dei sistemi segnici nella filogenesi, oppure considerare il loro sviluppo nell’ontogenesi. Quanto segue è organizzato secondo tale schema, ma, in questo articolo, le considerazioni diacroniche sono tra­ lasciate. n Uno dei tentativi piu validi fu Qu’est-ce qu'un signe? di Bally (1939). Recent theorìes on thè nature of thè language sign di Spang-Hanssen (1954; ma già completato nel 1948), è la rassegna più vasta delle teorie psicologiche dei segni (Ogden e Richards, Karl Britton, Bertrand Russell, Charles W. Morris), come pure delle teorie linguistiche recenti (Ferdinand de Saussure, Leo Weisgerber, Alan H. Gardiner, Karl Bùhler, Eric Buyssens, Léonard Bloomfield, Louis Hjelmslev). Vedi anche la voce ‘Signe’ di Mahmoudian in La linguistique: Guide alphabétique (1969) di Martinet, Jakobson ha recentemente dedicato uno studio specifico alla classificazione dei sistemi segnici (1970) — come era stato annunciato in Jakobson 1969: 80, nota.

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte

.Funzione. - Quando, al principio, è stata delineata l’estensione di tale campo di studi, c’era un’implicazione pragmatica sottintesa: pro­ ponendo di restringere la discussione, a “le manifestazioni semiotiche dei sistemi interamente viventi” (p. 14), si concentrava deliberatamente l’attenzione sull’originale e/o gli effetti dei segni o, piu in gene­ rale, sui tipi di relazioni esistenti in prevalenza tra la fonte di un messaggio e la sua destinazione. Il primo fondamentale criterio di clas­ sificazione può, dunque, essere costruito in base alla natura di tutte le possibili fonti dei segni, poiché è ragionevole cominciare a classificare là dove ha inizio la codificazione stessa — all’estremità d’ingresso. Se­ condo le distinzioni introdotte nella Sezione 1, queste fonti potrebbero essere provvisoriamente ordinate in un diagramma come nella Tavola 3: Tavola 3 FONTI DEI SEGNI I 1.

Sostanze organiche

Oggetti inorganici I I

Naturali

I

Extraterrestri

Artificiali

Terrestri I

Homo sapiens

!

Componenti

Creature prive della parola I

Organismi

Componenti

Organismi

■I

Questo schema eccessivamente semplicistico diviene subito più com­ plicato appena si prende in considerazione anche la natura del ricevente — l’altra estremità dell’anello di feed-back nella catena transazionale. I messaggi umani diretti a conspecifici possono, ad esempio, essere di­ stinti in in trapersonali, che richiedono un solo partecipante impegnato con un probabile o immaginario interlocutore (cfr. il fenomeno del ‘lin­ guaggio interiore’,44 o ‘dialogo interno’45; interpersonali (il dialogo, che richiede un alter oltre alVego*6) o pluripersonali47 — nella tradizione orale eschimese, ad esempio, “il narratore di miti parla come molti-a-molti, non come persona-a-persona” (Carpenter 1960). Un messaggio umano può essere diretto ad una macchina4* o ad una personificazione del sovranna44 Sulla genesi e la funzione del linguaggio interiore, vedi Egger 1904, e special­ mente Vygotsky 1962. *s Cfr. Peirce, 4.6: “...il pensare procede sempre in forma di dialogo — un dialogo fra differenti fasi deU’/o[ego] — cosicché, essendo dialogico, è essenzialmente composto di segni...” Anche, n>., VI. 338: “Tutto il pensare è dialogico nella forma.” . . 46 Matson e Montagu 1967, contiene una scelta utile, anche se ricercata, di brani io cui la comunicazione umana è vista come dialogo. 41 Un gruppo di piu persone può essere centrifugo (uno-a-molti) o centriPe (molti-a-uno); vedi la Tavola D, a p. 277, in Ruesch e Bateson 1951, e cap. H generale, per una rassegna dei diversi tipi di reti di comunicazioni coesistenti. Per u discussione della comunicazione ‘pluripersonale’ nei primati non umani, vedi A. AltMA* 1967. 48 Cfr* P* 13, nota 4; e Dewan 1969, citato a p. 76. Per una visione singolar®ente

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Per una classificazione dei segni e dei sistemi segnici

turale, come in un incantesimo o in una preghiera rivolta alla divinità (Sebeok 1962b); la comunicazione con gli spiriti degli antenati è assai diffusa e abituale in molte culture, ad esempio in Nuova Guinea (Eilers 1967:34-36). Viceversa, un essere animato può ricevere segni dall’am­ biente — cfr. il fenomeno della ecolocazione (Griffin 1968) — o fan­ tasticare di riceverli “come in qualche epigramma di Callimaco e di suoi imitatori, si immagina che la pietra sepolcrale intrattenga un breve dialogo con il passante” (Hadas 1954:50-51), o ancora dalla posizione di stelle e pianeti, dalla lunghezza e intersezione delle linee della mano, dai visceri delle pecore, dalla posizione dei fondi in una tazza di tè — in breve, da quelle tecniche divinatorie pseudo-semiotiche che sono va­ riamente note come astrologia, chiromanzia, arti degli àuguri, degli aruspici e simili (Kleinpaul 1888, cap. Ili; Kahn 1967:92). Nel mondo animale gli emittenti e riceventi di segni o sono conspecifici o appar­ tengono a due o più specie differenti, una delle quali può essere l’uomo (cfr. Rediger 1965, 1967). Perciò gli zoologi tendono a classificare i sistemi segnici anzitutto in in traspecifici e interspecifici”; un animale può d’altronde dirigere i suoi messaggi ad un particolare membro della sua stessa specie, o ad un individuo di un’altra specie.50 Il contatto tra emittenti e riceventi viene stabilito e mantenuto da molteplici processi di flusso che li uniscono attraverso lo spazio e il tempo, e la nostra classificazione dei sistemi segnici diviene ancora più precisa, quando si prende in considerazione questo terzo fattore, do­ tato di una cruciale importanza sul piano operativo: il mezzo di tra­ smissione. In linea di principio ogni forma di propagazione di energia 0 spostamento di materia può servire da portatore di segni, dipendente dal totale corredo percettivo di un animale. I sistemi segnici sono cosi distinguibili anche in base al canale o ai canali che connettono il ver­ sante di entrata con quello di uscita. Se la capacità sensoriale di un animale permette l’elaborazione parallela dell’informazione attraverso vari canali di entrata, si avrà una prevalenza di ridondanze calcolabili (un effetto a cui talvolta si dà il nome di ‘legge di sommazione etero­ genea’) (Sebeok 1968:36), e l’applicazione delle regole per passare da un sottoinsieme a un altro, in particolari circostanze, produrrà diversi ordinamenti gerarchici che rendono la classificazione ancora più sottile in conseguenza degli effetti contestuali. pessimistica de II futuro delle lingue usate nella comunicazione uomo-macchina [The future of man-macbine languages], vedi Bar-Hillel 1968. 49 Così Wynne-Edwards (1962: 24) scrive “...la suddivisione primaria delle funzioni della comunicazione dovrebbe chiaramente cadere fra i segnali diretti ad altri membri della stessa specie e quelli ... diretti ad altre specie di animali; si tratta dei segnali, rispettivamente, intra- ed inter-specifici.” Vedi inoltre la tavola del comportamento animale, compilata sulla base deirorigine e della destinazione dei segnali, in Wenner 1969. 50 Quale notevole esempio del primo, cfr. la reciproca esibizione vocale delle averle del genere Laniarius: ogni coppia della specie aethiopicus “tende a sviluppare un parti­ colare repertorio di strutture di duetto con cui si possa distinguere dalle altre coppie che si trovano nelle vicinanze,” come è esposto in Thorpe 1963; piu in generale, vedi Thorpe 1968. La relazione estremamente complessa esistente fra gli uccelli indicatori e 1 mammiferi con cui vivono in simbiosi (rateli, babbuini ed esseri umani) fornisce un esempio ancora piu sorprendente del secondo tipo; vedi Friedmann 1955.

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i

Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte Dal punto di vista semiotico — per non parlare di un’ottica evo­ luzionista — è molto importante valutare appieno i vantaggi e gli svan­ taggi di ogni canale (Tavola 4) utilizzato per una comunicazione sod­ disfacente fra le varie specie e all’interno di ciascuna di esse. Comunque, si è appena cominciato a porre le basi per un’analisi comparata di questo genere.*1 Per ogni sistema semiotico, sarebbe dav­ vero utile avere un resoconto lucido e conciso, paragonabile alla se­ guente caratterizzazione del linguaggio verbale: Il linguaggio verbale è prodotto col corpo umano soltanto, senza alcuno stru­ mento; è indipendente dalla luce e può essere usato di giorno e di notte; riempie l’intero spazio attorno alla sua sorgente e non ha bisogno di una connessione in linea retta con il ricevente; può anche essere variato in larga misura, da un intimo sussurro ad un grido a grande distanza; e comporta un minimo dispendio di energia (Lotz 1950:712). Tavola 4 CANALI

I I

Materia

Energia

I

I

I I I is Liquidi Solidi

I

Chimica

Fisica

I

I I i i Ottica Tattile Acustica Elettrica Termica Ecc. I I

i Prossimale Distale

!

!

Luce solare riflessa

J

Bioluminescenza

Aria Acqua Solidi

Fra i tratti costitutivi fondamentali del linguaggio verbale ora ci­ tati Lotz pone per primo quello in base al quale i segni codificati in tal modo, possono essere prodotti dal corpo umano soltanto, senza ricorso a strumento alcuno. È noto che l’uso di oggetti naturali e di artefatti come strumenti ricorre in diversi casi nel mondo animale, a partire dalle tarme e i ragni fino agli uccelli, le lontre e i primati.52 Gli scim­ panzé della Gombe Stream Reserve, ad esempio, costruiscono nidi, ri­ piegano certe foglie, dopo averle scelte accuratamente, per aiutarsi quan­ do bevono e per pulirsi il corpo, usano bastoni, ramoscelli e fili d’erba per prendere termiti, formiche o miele e se ne servono egualmente come sonde olfattive; usano anche pietre per rompere le noci e impie­ gano bastoni e pietre nelle esibizioni agonistiche (Van Lawick-Goodall 51 Una tipologia è abbozzata, in forma di sommario, in Sebeok 1967c. Vedi inoltre Geldard 1960, come pure Jakobson 1964, 1967; Sebeok 1967d. 52 Sull’uso di strumenti da parte di animali in genere, vedi Hall 1963 e i commenti che seguiranno, in “Current Anthropology” 7: 215-16 (1966); nelle tarme e nei ragni, Wickler 1968: 58, 131-32; negli uccelli (cioè, il capovaccaio [una specie di avvoltoio, N.d.T.'], Neopbron percomopterus) “Time”, 6 gennaio 1967, sotto il titolo, Uccelli che lanciano pietre; nella lontra marina della California, Enhydra lutris, Hall e Schaller 1964- nei primati, Hall 1963 e Kortland e Kooij 1963.

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Per una classificazione dei segni e dei sistemi segnici

1968). Il comportamento di questi scimpanzé esemplifica una duplice funzione dell’uso di strumenti negli animali e nell’uomo; una funzione (presumibilmente) primaria, di estensione, ed una (presumibilmente) se­ condaria, o semiotica. Quando lo scimpanzé usa una pietra per rompere le noci, prende degli oggetti dal suo ambiente per estendere in maniera adeguata e migliorare, con un consumo di energia relativamente mode­ sto, i sistemi di manipolazione necessari alla sua esistenza nello spazio in cui vive. Quando, d’altro lato, esso usa una pietra in esibizioni ago­ nistiche, la funzione primaria di estensione è dotata di una funzione segnica secondaria — in termini etologici, il comportamento si è ritua­ lizzato. La produzione animale di segni a mezzo di strumenti — in quanto opposta a quella semplicemente somatica — assume talvolta delle forme particolarmente bizzarre, come in quei “meravigliosi uccelli costruttori di arene* chiamati uccelli giardinieri, con le loro abitazioni e giardini decorati e le loro esibizioni di corteggiamento che sostitui­ scono il piumaggio con splendidi gioielli naturali” (Gilliard 1963).55 I sistemi segnici umani e animali possono cosi essere classificati in organismici, se sono prodotti dal corpo soltanto, o artefattuali, se pro­ dotti da una sorta di prolungamento del corpo. Diversi sostituti delle lingue parlate (cfr. Stern 1937) possono essere messi a confronto in questo modo (uno fra gli altri, ovviamente): ad esempio, la trasposi­ zione della parola in fischio è organismica, quella in colpi di tamburo è artefattuale, anche se tutte queste si manifestano nella medesima so­ stanza acustica; oppure la trasposizione in sistemi grafici relativamente autonomi, o Braille (tutte in sostanze differenti: cioè, per il destina­ tario,54 uditiva, visiva, tattile).55 Un posto di transizione è occupato dal­ l’insieme delle parti separabili del corpo di un animale; cosi un po’ di sterco, o la traccia di secrezione nella zona che delimita il territorio, può funzionare come una sorta di sineddoche, con la pars separata dall’ani­ male — la quale può continuare ad essere efficace anche dopo il tem­ poraneo allontanamento o la definitiva scomparsa della sua sorgente — che sta prò toto.56 Il medesimo processo semiotico è alla base della magia * Per arene si intendono degli spazi che alcune specie di uccelli delimitano e ripuli­ scono e nei quali i maschi si incontrano per dei combattimenti rituali: qui gli uccelli giardinieri vengono accomunati a queste specie, anche se le arene da loro costruite, i pergolati, servono per attirare le femmine [N.d.T.]. 53 Questi uccelli si sono evoluti, congiuntamente alla loro particolare esibizione, lungo due linee completamente differenti, cioè quella dei costruttori di padiglioni a forma di viale e quella dei costruttori di padiglioni a forma di albero del maio [gli alberi decorati con ghirlande e fiori intorno ai quali si usava danzare a Calendimaggio, N.d.T.] ma entram­ bi i tipi “si servono, per le loro esibizioni, di oggetti di un numero limitato di colori che sono accostati secondo rigorosi criteri discriminativi...”, secondo Marshall 1954: 170. 54 Per il mittente, com’è naturale, la situazione può essere del tutto diversa: un segno scritto può essere codificato a livello chimico (per es., nell’inchiostro), ma sarà decodificato a livello visivo, cfr. Sebeok 1967d: 1778. I segni codificati visivamente pos­ sono essere decodificati da un cieco attraverso la pelle del dorso della mano; cfr. BachY-Rita ed altri 1969. 55 Sui surrogati del linguaggio parlato in genere, vedi Umiker 1974 e Sebeok e Umiker-Sebeok 1976. 56 Bilz 1940:195 sviluppa il principio della pars prò toto in un duplice senso: "einmal als Móglichkeit sprachlicher Mitteilungen, indem der Erzàbler eine der Teilfunktionen berausgreift und fiir das Ganze setzt, d.h. mit der Komponente das volle

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Semiotica: un quadro generale dello stato dell’arte

contagiosa — a differenza di quella omeopatica —, in cui frammenti di unghie, o simili, della vittima designata agiscono da segni indicali” Gli oggetti usati per l’esibizione semiotica possono, inoltre, essere ulte­ riormente distinti secondo che siano ‘oggetti naturali’, come un fiore rac­ colto, o un materiale, come un metallo prezioso, lavorato in forma di fiore e da portare come spilla; si dice che artisti preistorici abbiano ritrovato, nelle formazioni rocciose naturali, con una tecnica semiotica chiamata talvolta lépouser les contours’ (Giedion 1960), le immagini degli animali che essi cacciavano.” Un’altra importante distinzione, anche molto rilevante per il pro­ blema della classificazione, risulta dall’opporre una semiotica ‘pura’ ad altri tipi di semiotica. Ricordiamo che Morris precisò il compito della semiotica pura come elaborazione di “un linguaggio per parlare intorno ai segni” (cfr. p. 25). Poiché, ovviamente, è inevitabile usare segni per riferirsi ai segni nel discorso intorno ai segni, e poiché, per tale scopo, un significante (o signans o veicolo segnico; vedi sotto) è co­ munemente impiegato come un indice del suo stesso segno, si può dire che un simile “linguaggio per parlare intorno ai segni”, o un sistema semiotico specializzato per comunicare intorno ad un altro sistema se­ miotico, costituisce una metasemiotica (per analogia con “metalingua”). La semiotica-oggetto (per analogia con “lingua-oggetto”) diviene allora ogni altro sistema semiotico intorno a cui si comunica nella metasemio­ tica.59 Morris assegnò lo studio di tali sistemi segnici effettivi alla se­ miotica descrittiva. Una certa confusione, comunque, deriva dal fatto che altri studiosi danno allo studio dei fenomeni che si presentano quando i segni sono effettivamente usati nel processo di comunicazione, il nome di semiotica applicata (la si potrebbe chiamare ‘esecuzione’) in quanto apposta alla semiotica pura, che diviene allora lo studio delle regole sottostanti che governano la struttura oggettiva dei segni (‘comFunktionsbild meint oder das ganze Objekt bezeichnet, zum anderen aber verfàhrt auch die Natur in der gleichen Weise, indem sie das ganze Funktionsbild tatsàchlich in scine Teilfunktionen aufsplittern kann und nur die eine oder die andere Komponente stati des Ganzen mobilisiert.“ [Da una parte come possibilità di messaggi verbali, in cui il parlante prende una delle funzioni parziali e la mette al posto del tutto, cioè con la singola componente vuole intendere il quadro funzionale completo o l’intero oggetto, dal­ l’altro però anche la Natura agisce allo stesso modo, in quanto può frantumare l’intero quadro funzionale, quale esiste nella realtà, nelle sue funzioni parziali e mobilitare solo • l’una o l’altra componente al posto del tutto.] 57 Frazer, The golden bough (1951: 43, tr. it. 1965, p. 63): “L’esempio piu fami­ liare di Magia Contagiosa è la simpatia magica che si suppone esista tra l’uomo e le parti del suo corpo da lui separate come i capelli e le unghie...”. 58 Sull’organizzazione semiotica fatta a caso, vedi inoltre O’Brien 1969. La comu­ nicazione effettuata con oggetti naturali usati come segni “in cui da veicolo d’informa­ zione ftinge la realtà stessa che viene presentata”, è stata chiamata ostensione da OS0LS0BE (1967: 101), che indagò il valore significativo di “mostrare cose e persone realmente esistenti e presenti nello spazio e nel tempo ... limitatamente a ciò che è a nostra disposizione al momento della comunicazione, proprio allora e proprio là” nelle arti, soprattutto nel contesto del teatro. ’ 59 Varianti di questa coppia di termini furono usate operativamente da Hjelmslev; rfr 1943 Def 102: metasemiotica, “una semiotica scientifica uno (o piu) dei cui piani è una semiotica”, e Def. 103: semiotica oggetto, “una semiotica che entra in una semiotica costituendone un piano .

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Per una classificazione dei segni e dei sistemi segnici petenza’). Ancora, secondo una distinzione introdotta da Jakobson, l’og­ getto della semiotica pura è il segno linguistico, mentre la semiotica applicata tratta i sistemi di segni la cui forma concreta può essere data, ad esempio, dai modi di cucinare, dagli abiti, dai prodotti del giardi­ naggio, o dalle costruzioni architettoniche; come egli notò, “noi non abitiamo nei segni”.40 Tuttavia, ci sono altri ancora che preferiscono li­ mitare la seconda espressione alle applicazioni meramente pedagogiche. Lo stesso Morris con la semiotica applicata intendeva circoscrivere il campo che utilizza “la conoscenza intorno ai segni per il raggiungimento dei diversi scopi”, una definizione che ho poi esteso alla zoosemiotica applicata. Dal momento che ho trovato utile la tricotomia di Morris, specialmente nei paragoni euristici fra comunicazione umana e animale, la preferisco al modello a biforcazione, e, almeno provvisoriamente, con­ tinuerò ad usare tutti e tre i termini — pura, descrittiva e applicata — pressappoco nel modo in cui egli li ha definiti per la semiotica e, im­ plicitamente, mutatis mutandis, per la zoosemiotica. Gli organismi superiori sono costruiti, a livello sia centrale che pe­ riferico, in modo tale da essere in grado — anche se non ne hanno bisogno — di attingere contemporaneamente a due o piu repertori di sistemi segnici. Questa capacità, caratteristica per eccellenza dell’uomo, permette un gran numero di espressioni miste di vario genere. Essa fornisce anche un altro criterio per la classificazione dei sistemi segnici, che variano da strutture ‘semplici’, omogenee, a formazioni sincretiche di differente complessità, le cui componenti inoltre possono essere or­ dinate o meno in uno schema simmetrico. Quest’ultimo punto può es­ sere illustrato nel modo seguente: se io dico di ‘si’, e al tempo stesso chino la testa in modo affermativo, il segno verbale è simmetrico — ed anche reciprocamente ridondante — rispetto al segno cinesico. In una operetta di Franz Lehar un mandarino cinese canta un’aria negando vigorosamente la sua supposta predisposizione alla corruzione, mentre, contemporaneamente, continua a tenere la palma tesa dietro la schiena; il pubblico può capire chiaramente che delle due componenti del mes­ saggio, asimmetriche e, di fatto, totalmente contraddittorie, quella cine­ sica deve essere interpretata come vera e quella acustica come falsa.61 Ciò che Lotz (1950:717) ha chiamato un ‘concetto a nastro’ della comunicazione — nozione che, certamente, si sovrappone, anche se non è identica, a ciò che Birdwhistell (es. 1968b) ed altri hanno chiamato 60 Conferenza su II linguaggio in relazione agli altri sistemi di comunicazione tenuta il 14 ottobre 1968, riportata in De Mauro e Grassi 1969 e approvata daH’autore. 61 Un sorprendente esempio di asimmetria fra la componente acustica e quella visiva di un messaggio fu citato da Sebeok in 1962: nota 8: "Ad una paziente fu detto sotto ipnosi, che doveva alzare l’indice destro per indicare una risposta affermativa e il sinistro per una negativa. Una volta uscita dallo stato di trance fu interrogata dal suo dottore Incapace di fronteggiare il suo problema emotivo ella scosse risolutamente la testa £ segno di chiara negazione, ma il dito destro si alzò di scatto, mostrando rU* U TT corretta era ‘si’.” Il problema nel suo complesso è stato riveduto edis “ un numero speciale dedicato alla memoria di Ts’ereteli _ “NiSris ekvsi saxeoba: Cinadadebani da leni§vnebi”, “Filologia Orientalis — Journal of thè Orientai Institute” (Tbilisi 1976). La materia sviluppa soprattutto idee abbozzate in manipri provvisoria alle pp. 48-51 di questo libro.

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche designatum; da alcuni studiosi sovietici [cfr. Rezvina 1972: 231] come ‘cosa’ e ‘concetto’, ecc.) 0.2. 'Segni zero’. - In vari sistemi di segni, soprattutto nella lin­ gua, un veicolo segnico può talvolta — quando le condizioni conte­ stuali sono appropriate — significare attraverso la sua stessa assenza, presentarsi, cioè, nella forma zero. I linguisti che usano l’espressione ‘segno zero’ (vale a dire, fonema o allofono zero, morfema o allomorfo zero, e simili) debbono intendere o ‘significante zero’, o, molto piu raramente, ‘significato zero’, mai però entrambi; se presa alla lettera, la nozione di ‘segno zero’ avrebbe il carattere di un ossimoro. (Sull’uso dello zero in linguistica, vedi Jakobson 1966 [1939] o 1940; Frei 1950; Godei 1953; Haas 1957.) Il ruolo dei veicoli segnici zero nei sistemi di comunicazione diversi da quello verbale non è mai stato analizzato adeguatamente. Pohl (1968: 34-36), ad esempio, osserva erro­ neamente che gli abiti civili funzionano al grado zero quando vengono indossati in un contesto di uniformi; ma questo significa confondere l’opposizione marcato/non marcato con l’opposizione zero/realizzato. I veicoli segnici zero ricorrono anche nei sistemi di comunicazione animale. Cosi Ardrey (1970: 75) sostiene che “il grido di allarme del­ l’elefante [africano] è il silenzio”, e inoltre, come afferma René-Guy Busnel, è il parametro temporale tra i messaggi scambiati da due mem­ bri della specie Laniarius erythrogaster, cioè, “la struttura ritmica dei silenzi” che porta l’informazione e “non la parte acustica del segnale stesso” (Sebeok 1968b: 138); ma una ricerca piu promettente sul piano acustico è suggerita dal fenomeno quasi prosodico per il quale, in certi tipi di lucciole, l’intervallo fra gli impulsi luminosi è un elemento si­ gnificante nella stimolazione delle femmine, e questi intervalli sono di­ stinti nelle differenti specie, per es., nel Vhotinus consanguineus e nel macdermotti\ inoltre, nella specie affine lineellus, il numero degli im­ pulsi è variabile, “il che fornisce un’ulteriore indicazione dell’impor­ tanza dell’intervallo degli impulsi” (Lloyd 1966: 78). L’esistenza di forme zero nei vari sistemi di comunicazione non invalida, quindi, il classico modello bipartito del segno. 0.3. Campione/Tipo [Token/Type~\, denotazione/Designazione [Denotation/Designation]. - Una particolare ricorrenza di un segno — ciò che Peirce denominò ‘sinsegno’ [sinsign~\ (2.245) — è ora piu co­ munemente chiamata campione (4.537, a cui talvolta Peirce fa riferi­ mento con il termine actisign, mentre la classe di tutte le ricorrenze del segno — il legisegno [legisign] di Peirce (in precedenza Famisign, cfr. 8.363) è chiamato tipo. Parafrasando l’esempio stesso di Peirce, si può dire che se in una pagina di un libro ci sono 250 parole, questo è il numero dei campioni di parola, mentre il numero delle differenti parole della pagina è il numero dei tipi di parola (questa distinzione è stata recentemente analizzata da capo da Richards 1969). Fra le principali questioni che hanno occupato la maggior parte

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Premessa

degli studiosi del segno verbale, tre sono sembrate basilari ed inevita­ bili: in che modo i singoli campioni segnici fanno riferimento, in che modo i tipi di segni acquisiscono e conservano la loro costante capacità di significare; e che cosa c’è, di preciso, alla radice della distinzione tra la relazione di riferimento, o denotazione, e la relazione di significato, o senso, o designazione; (si potrebbe aggiungere una quarta importante questione sulla relazione di significato e uso; cfr. Wells 1954). La mo­ derna distinzione tra significato e riferimento si è presentata in molte forme fin dal classico esame di Frege, nel 1892, di Sinn e Bedeutung: approssimativamente come, per es., Bedeutung e Bezeichnung di Hus­ serl, denotation e connotation di Mill, Bedenkung e Benutzung di Paul, valeur e substance di Saussure, ed altre simili. ‘Semantica’ è usato spesso, anche se impropriamente, come termine comune comprendente sia la teoria del riferimento verbale sia la teoria del significato verbale, ma, a rigor di termini, dovrebbe essere limitato solo alla seconda. I filosofi analitici, come Carnap (1942), assegnano tipicamente la teoria della verità e la teoria della deduzione logica alla semantica, sulla base che la verità e la conseguenza logica sono concetti fondati sulla desi­ gnazione, e quindi concetti semantici. Il termine ‘zoosemantica’ fu prov­ visoriamente coniato nel 1963 per estendere la teoria del significato nel tentativo di spiegare i processi di designazione che si suppone esistano fra gli esseri privi della parola (Sebeok 1972: 80). La notevole discrepanza fra ciò che un tipo di segno designa e la denotazione di uno dei suoi campioni può essere responsabile, a vari livelli, dei processi linguistici noti alla poetica e alla retorica come ‘fi­ gure del discorso’, come pure dai fenomeni affini che si ritrovano negli animali (Bronowski 1967). Essa sta anche alla base del meccanismo im­ plicito nella menzogna, che — nonostante l’opinione di certuni — cor­ risponde a varie forme di inganno scoperte nel regno animale. 0.4. Classificazione degli aspetti dei segni. - Il riconoscimento delle molteplici relazioni possibili fra le due parti di un segno — il signifi­ cante e il significato — ha portato, nel corso della storia della semio­ tica, a numerosi tentativi di classificazione dei segni o dei sistemi segnici da parte di filosofi e di linguisti con inclinazioni filosofiche. Fra tutti, lo schema definitivo e più importante di Peirce (ca. 1906) — che egli ela­ borò lentamente ma ininterrottamente per un periodo di circa quaran­ tanni — con sessantasei varietà, inclusi gli intermedi e gli ibridi, fu sicuramente quello più completo, acuto e di più vasta portata (Weiss e Burks 1945; ma cfr. Sanders 1970, che considera ‘avventato’ il loro tentativo di estrapolazione). Nel campo verbale, uno degli sforzi più me­ ditati e suggestivi, compiuti in tempi recenti, fu quello di Bally (1939), mentre lo specifico studio di Jakobson (1970), dedicato alla classifica­ zione dei segni umani in generale, allarga ancora una volta gli orizzonti della ricerca semiotica attuale. L’esame di Spang-Hanssen (1954, ma già completato nel 1948) fornisce un’ottima visione d’insieme dei ‘mo­ derni’ approcci psicologici di Ogden e Richards, Karl Britton, Bertrand

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche Russell, Charles Morris, ed anche di quelli linguistici, compiuti da stu­ diosi assai diversi come Ferdinand de Saussure, Leo Weisgerber, Alan H. Gardiner, Karl Biihler, Eric Buyssens, Léonard Bloomfield e Louis Hjelmslev. Oggi viene identificata regolarmente e comunemente impie­ gata solo una mezza dozzina di specie di segni — spesso con diverse sottospecie di cui si è più o meno vagamente consapevoli — con defini­ zioni solo approssimativamente paragonabili; comunque, praticamente in tutti i casi, queste sono prese in considerazione soltanto nell’ambito del linguaggio e degli altri sistemi specie-specifici dell’uomo, vale a dire, i sistemi modellizzanti secondari della tradizione semiotica russa che comportano un’infrastruttura verbale, o la musica, o simili (Sebeok 1972:162-77). In quel che segue, le sei specie di segni che sembrano ri­ correre più di frequente nella semiotica contemporanea saranno da capo prese in esame, ridefinite provvisoriamente, brevemente discusse e ac­ compagnate da esempi tratti non solo dai sistemi antroposemiotici (cioè specie-specifici dell’uomo), ma anche da quelli zoosemiotici, per dimo­ strare che nessuno dei segni qui trattati appartiene esclusivamente o specificamente all’uomo (7.4; questo argomento con le sue implicazioni sarà sviluppato più dettagliatamente in Sebeok 1977d). In definitiva, dovrebbe essere chiaro che in realtà non sono i segni ad essere classificati, ma più precisamente gli aspetti dei segni: in altre parole un segno dato può presentare — e il più delle volte, di fatto, presenta — più di un aspetto, cosicché si debbono riconoscere differenze di grado. Eco (1972a: 201) sostiene, come Charles Morris prima di lui, che “Eirt ikonisches Zeichen ist der bezeichnete Sache in einigen Aspekten àbnlich” [“un segno iconico è simile alla cosa indicata sotto alcuni aspetti”], ma è egualmente importante capire che il principio gerarchico è inerente all’architettura di ogni specie di segno. Per esem­ pio, un simbolo verbale, come un imperativo, è comunemente dotato anche del valore di segnale (cfr. 1.3). Un emblema (che è una sotto­ specie del simbolo; 5.4) può essere parzialmente iconico, come la ban­ diera degli Stati Uniti, dal momento che le sette strisce rosse orizzon­ tali, alternate alle sei bianche, stanno ciascuna per una colonia fonda­ trice, mentre le cinquanta stelle bianche nell’unico riquadro blu corri­ spondono ognuna ad uno degli stati attuali. Un segno in primo luogo indicale, come un orologio, assume un contenuto aggiuntivo chiara­ mente simbolico se per caso si tratta del Big Ben. Nei disegni dei Walbiri dell’Australia centrale, il legame iconico tra le forme dei veicoli segnici e i referenti assegnati viene considerato fondamentale, “poiché non c’è alcuna subordinazione sistematica dell’elemento iconico ad un secondo sistema astratto di organizzazione”, diversamente che nell’araldica, in cui, come in un sistema di scrittura pittografica, “le qualità iconiche che legano le forme visive ai loro significati tendono ad attenuarsi”, cioè a diventare gradatamente simboliche, “a causa del globale adatta­ mento delle forme visive ad un altro sistema socioculturale sottostante per il quale il primo costituisce un codice di comunicazione” (Munn 1973: 177 sg.); (per il processo di ‘deiconizzazione’ in generale, e per

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Segnale la piu insolita trasformazione inversa, vedi Wallis 1975: 7 sg.). La celebre affermazione di Morris, “L’iconicità è... una questione di grado” (1971: 191), unita alla formula egualmente limpida di Count, “La sim­ bolizzazione... è pensabile come una questione di gradazione continua (qualitativa)” (1969: 102), sembra riassumere adeguatamente l’argo­ mento. Ricapitolando, possiamo dire che gli aspetti di un segno necessaria­ mente si presentano insieme, in una gerarchia sensibile all’ambiente. Dal momento che naturalmente tutti i segni entrano in complessi rap­ porti di contrasto e di opposizione, rispettivamente sintagmatici e para­ digmatici, il posto da essi occupato nel tessuto di un testo concreto e nella rete di un sistema astratto assume un ruolo decisivo nella deter­ minazione di quale aspetto predominerà in un dato contesto e in un particolare momento; un fatto che porta direttamente al problema dei livelli, così familiare alla linguistica — essendo un presupposto fondamentale di ogni tipologia — ma per ora ben lungi dall’essere sviluppato nelle altre branche della semiotica. Questo importante problema, di cui i colleghi sovietici sono profondamente consapevoli (per esempio Lotman e Uspenskij 1973: xxi; cfr. anche Meletinskij e Segai 1971), non può essere trattato qui; si può solo sottolinearne l’importanza e fare un’asserzione terminologica supplementare: un segno è legittimamente, anche se vagamente, definito secondo l’aspetto che ha il posto predo­ minante. 1. Segnale 1.1. - Quando un campione di segno innesca meccanicamente o con­ venzionalmente una reazione dalla parte di un ricevente, si dice che esso funziona da segnale. 1.2. - Bisogna specificare che la reazione può essere provocata mec­ canicamente (cioè naturalmente) o convenzionalmente (cioè artificial­ mente); questo è in accordo con l’opinione secondo cui “I segnali pos­ sono... essere forniti dalla ‘natura’”, ma possono anche essere pro­ dotti artificialmente (Kecskemeti 1952: 36). Si noti anche che il rice­ vente può essere una macchina o un organismo o perfino un’entità sovrannaturale personificata (cfr. p. 76). 1.3. - Un riesame, molto interessante e produttivo, del concetto di segnale si può trovare in un recente saggio di Pazukhin (1972). I suoi argomenti, e la risultante definizione, che assomiglia ma non è identica a quella che abbiamo dato in precedenza, si basano sullo sviluppo di una serie di opposizioni, derivanti dal bisogno di distinguere la nozione fisica, o tecnologica, di segnale da quella prevalente nelle scienze umane e sociali — in breve, da una concezione puramente semiotica; e dal bi­ sogno di separare i fenomeni fisici che sono segnali dalla classe dei

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche non-segnali, e, d’altra parte, discriminare i segnali dai segni. Un difetto di questo articolo consiste nel fatto che la ben nota tesi di Biihler è sradicata dal suo contesto e messa da parte per il fatto che ha dato “ori­ gine a numerose interpretazioni improprie, che concepiscono i ‘segnali* di Biihler come specie di segni (Zeichen, secondo Bùhler), che trasmet­ tono ordini, richieste e messaggi imperativi di altro genere” (Pazukhin 1972: 28). Ci sono qui due errori: uno è dato dal trascurare il carattere globale del cosiddetto ‘modello organico’ [organon model] di Bùhler, in cui il concetto di segnale ha la sua collocazione logica accanto ai concetti di sintomo e simbolo, e che non può quindi essere compreso in isolamento. Un errore più grave consiste nel dimenticare che si deb­ bono costantemente prendere in considerazione gli aspetti dei segni: ripetiamo ancora una volta che un comando verbale ha molto probabil­ mente l’aspetto di un simbolo e l’aspetto di un segnale, e che il segno in questione oscillerà fra i due poli secondo il contesto della sua emis­ sione. 1.4. - Può essere bene ricordare quello che Bùhler disse in merito al segnale, nel quadro di riferimento del suo modello. Secondo l’opi­ nione di Bùhler, il segnale fa appello alla destinazione, di cui governa il comportamento interno ed esterno, agisce cioè come se fosse un rego­ latore del traffico, che provoca o inibisce la reazione; di contro, il sin­ tomo ha a che fare con la fonte, di cui esprime il comportamento in­ terno; e il simbolo (sezione 5) è in rapporto con la designazione.1 1.5. - Pazukhin rileva giustamente la necessità di “operare una so­ stanziale discriminazione fra segnali e segni”, poi analizza “alcuni ten­ tativi assai promettenti” (1972: 29 sg.), comprendenti le ipotesi di filo­ sofi e linguisti sovietici quali L. Abramian, A.A. Brudny e A. Zaliznjak, ma a tutti muove delle critiche, soprattutto per la sua convinzione che nessuna delle proposte prese in esame fornisce “criteri adeguati per un’opposizione realistica dei segnali agli altri mezzi d’interazione” (1972: 30). Secondo la nostra opinione, è essenziale, in primo luogo, rendersi conto che la relazione del segnale con il segno è quella di una cate­ goria marcata con una non marcata, cioè precisamente quella di una specie col genere a cui appartiene (7.2.), come ha anche detto Bùhler. In secondo luogo, Pazukhin presenta e discute dettagliatamente ciò che egli chiama due modi di controllo, i quali sono entrambi interazioni basate sull’idea di rapporto causale: controllo diretto e controllo a i « Es ist Symbol Kraft seiner Zuordnung zu Gegenslànden und Sachverhalten, Sympton {Anzeichen, Indicium) Kraft seiner Abhdngigkeit vom Sender, dessen Innerlichkeit es ausdriickt, und Signal Kraft seines Appels art den Hòrer, dessen àusseres oder inneres Verhalten es steuert wie andere Verkehrszeichen" [Il simbolo è tale in forza del suo coordinarsi ad oggetti e a fatti, il sintomo (contrassegno, indizio) grazie alla sua dipen­ denza dal mittente, di cui esprime l’interiorità, e il segnale grazie al fatto che si rivolge all’ascoltatore, di cui guida il comportamento esterno o interno, come altri segni indicatori] (Buhlek 1934: 28 e passim).

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Segnale inibizione e liberazione \block-and-release~\. Il controllo operato dal segnale è un caso speciale del secondo modo, il quale naturalmente porta alla conclusione, implicita nella definizione di segnale data da Pazukhin, che “tra il segnale e le reazioni da esso prodotte c’è soltanto un rapporto occasionale” (1972: 41). Questa posizione, comunque, è soltanto una debole eco di quella di Peirce, che associava esplicitamente tutti i processi segnici — e quindi anche quello di segnalazione — ai processi implicanti mediazione o ‘tenuta’ \_thirdness~\. Ne sia una prova il seguente passo: È importante capire ciò che intendo per semiosi. Ogni azione dinamica, o azione di forza bruta, sia fisica che psichica, o avviene tra due soggetti... o in ogni caso è una risultante di tali azioni fra coppie. Ma per ‘semiosi’, al contrario, io intendo un’azione, o influenza, che consiste in una cooperazione di tre soggetti, o implica una tale cooperazione, come un segno, il suo oggetto e il suo interpre­ tante, non essendo in alcun modo possibile risolvere questa influenza in azioni fra coppie... la mia definizione conferisce il titolo di ‘segno’ a tutto dò che opera in tal modo (Peirce, 5. 484). 1.6. - Si consideri quanto segue: C.R. Carpenter, un autorevole studioso del comportamento animale, scrivendo in merito ai primari non umani, coglie l’occasione per definire il comportamento di segnalazione in generale, in molteplici qualità, forme e schemi, come un evento stimolatorio condensato, parte di un piu vasto insieme, che può dar luogo ad estese reazioni. L’attività di segnalazione nella sua forma più semplice è prodotta da un singolo organismo; essa rappresenta l’informazione; è mediata da un portatore fisico, e viene percepita e riceve risposta da parte di uno o più individui. Come l’evento stimolatorio, di cui il comportamento di segnalazione è un caso speciale, questo genere di comportamento libera più energia di quanta ne venga usata nella segnalazione (1969: 44). Ora Pazukhin rifiuta i tre criteri, che sono stati variamente proposti per definire i segnali, in base al fatto che essi “non possono essere con­ siderati essenziali” (1972: 41). Questi criteri — usati tutti da Car­ penter — sono: la presenza di una certa quantità di energia; l’invio d’informazione in merito a qualcosa; e il fatto che il segnale venga trasmesso da un animale. Noi approviamo completamente l’eliminazione di tutti e tre questi fattori da una valida definizione del segnale. 1.7. - Esempi di segnali sono: l’esclamazione ‘Va’!*, o, alternativamente, un colpo di pistola che dà il via ad una gara podistica (un releaser convenzionale contrapposto ad un dispositivo meccanico di in­ nesco). Il termine è frequente negli studi di comunicazione animale — vedi Burkhardt ed altri (1967), Sebeok (1968b, 1977a), e la letteratura citata da Sebeok (1972: 135-61) — in cui è spesso usato scambievol­ mente con un termine fondamentale della zoosemiotica, raramente de­ finito: Vesibizione (per es. Smith 1965: 405).

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche

2. Sintomo 2.1. - Un sintomo è un segno coercitivo automatico, non arbitrario, in cui il significante è unito al significato tramite un legame naturale. (Una sindrome è una configurazione di sintomi, governata da regole, con un designatum stabile.) 2.2. - Entrambi i termini hanno connotazioni fortemente, ma non esclusivamente, mediche (cfr. Ostwald 1968); cosi si può dire, per estensione metaforica, che ‘la nascita della moderna antropologia fu un sintomo del colonialismo’, e così via (vedi anche 2.7). 2.3. - È una peculiarità dei sintomi che i loro denotata siano gene­ ralmente differenti per l’emittente, ossia il paziente (‘sintomi sogget­ tivi’) e per il destinatario, ossia il medico (‘sintomi oggettivi’) — in una felice espressione di Barthes (1972: 38), “le symptóme, ce serait le réel apparent ou Vapparent réel”. Per alcune implicazioni freudiane di questa osservazione, cfr. Brown (1938: 313; vedi anche Kecskemeti 1932: 61); e per l’ammirevole lavoro svolto in quest’area classica della semiotica, si vedano i libri rappresentativi di Ruesch (il piu recente 1972) e Shands (specialmente 1970). 2.4. - È interessante notare che gli acuti logici di Port-Royal face­ vano una distinzione fra sintomi ‘ordinari’ e quelli che i medici chia­ merebbero ‘segni vitali’, sulla base di un criterio essenzialmente quanti­ tativo. Così essi osservavano che “il y a des signes certains... comme la respiration Vest de la vie des animaux; et il y en a qui ne sont que probables... comme la pàleur n'est qu’un signe probable de grossesse dans les femmes...” (Arnauld e Nicole 1662 [1816]). In altre parole, la determinazione ‘coercitivo, automatico’, della definizione che abbiamo dato, va precisata in senso probabilistico, poiché, anche se la denota­ zione di un sintomo è sempre equivalente alla sua causa nella fonte, alcuni sintomi sono effettivamente connessi ‘per certo’ con una con­ dizione antecedente, mentre il legame di altri sintomi con lo stato di cose precedente è solo supposto con vari gradi di probabilità.2 2.5. - La semiotica — che nei primi usi del termine si riferiva alla medicina con rilevanti indicazioni dei cambiamenti nella condizione del 2 Arnauld e Nicole, inoltre, riconobbero chiaramente l'emblema (5.0): “Il y a des signes joinles aux choses, ...comme Varche, signe de l'église, étoit joinle à Noè et à ses enfanti...”’, e, almeno secondo la nostra interpretazione, l’icona (3.0) e forse anche l’in­ dice (4.0) come nel seguente passo, davvero notevole: “La troisième division des signes est, qu’ìl y en a de naturels qui ne dèpendent pas de la fanlaisie des hommes, comme une image qui paroit dans un niiroir est un signe naturel de celui qu’elle représente et qu’il y en a d’autres qui ne sont que d’institution et d’établissement, soit qu’ils aient quelque rapport eloignée avec la chose figurée, soit qu’ils n’en aient point du tout...” (1662 [1816]). I contributi di Port-Royal alla semiotica, compreso uno degli effetti spe­ cifici della Grammatica e della Logica su John Locke, attendono ancora una valutazione storica adeguata; il giudizio di Brekle (1964), che “Fiir die Zeichentheorie... ist diese Gatlung nicht interessant” [“Alla teoria dei segni ... questo genere non interessa”] deve quindi essere considerato prematuro.

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Sintomo corpo umano — costituiva una delle tre branche della medicina greca. I sintomi, poiché furono tra i primi segni identificati, costituiscono una categoria storicamente importante per ogni indagine sugli inizi della teoria dei segni: ad esempio le riflessioni di medici come il fisio­ logo alessandrino Erasistrato (310-250 a.C.) e l’anatomista Erofilo (335280 a.C.), e l’epicureo Asclepiade di Bitinia (che fiorì intorno al 110 a.C.), menzionato fra gli altri da Sesto Empirico. La sintomatologia, o semeiotica (vedi pp. 57 sg.), divenne infine una branca della medicina con un triplice specifico interesse per la diagnostica, che si concentra sull’oc et nunc e sulle altre due proiezioni temporali, l’anamnesi del passato e la prognosi del futuro (o come era solito insegnare Galeno [130 - ca. 200]: “Semeiotice in tres partes dirimitur, in praeteritorum cognitionem, in praesentium inspectionem et futurorum providentiam”). Un accostamento fra la teoria generale dei segni e la prassi medica im­ plicante i segni è piuttosto recente, ed è stato sollecitato in misura non trascurabile dall’insigne opera di Michel Foucault (Barthes 1972: 38); ma esso fu, in parte, anticipato in modo considerevole da Kleinpaul, nel 1888, che rese omaggio ad Ippocrate (460-377 a.C.) come “der Vater und Meister aller Semiotik [il padre e maestro di tutta la se­ miotica]” (1972: 103) abbozzando questo legame in un modo che pre­ figurava la posizione saussuriana; un’enfatica anticipazione si ritrova anche in Crookshank (1923: 337-55). 2.6. - Barthes, seguendo Foucault, giudica opportuno distinguere il sintomo dal segno, e sceglie di opporre l’uno all’altro entro il noto schema di Hjelmslev, la cui elaborazione del carattere bracciale del se­ gno in forma e sostanza, espressione e contenuto, sembra che continui ad affascinare i semioticisti dell’area romanza. Barthes assegna il sin­ tomo alla categoria che Hjelmslev chiamava la sostanza del significante, e passa poi a dimostrare che un sintomo si trasforma in segno sol­ tanto quando entra nel contesto di un discorso clinico, proprio quando questa trasformazione è operata dal medico; in breve, unicamente “par la médiation du langage” (1972: 39). Comunque tale punto di vista è sostenibile, se mai, solo in casi particolari in cui la destinazione di un messaggio sintomatico è un medico, o, per estensione, un veteri­ nario, o almeno una persona addetta alla riparazione dei calcolatori. Infatti la destinazione non è necessariamente uno di questi; potrebbe trattarsi per esempio di un essere privo della parola. Gli effetti del sistema nervoso autonomo, cioè le esibizioni sintomatiche, furono acu­ tamente osservati e descritti da Darwin, e in pratica ogni ricerca mo­ derna di comunicazione animale, sia interspecifica che intraspecifica, si basa in definitiva su passi come quello in cui Darwin osserva che l’ere­ zione delle appendici cutanee, in vari vertebrati, è un’azione riflessa, indipendente dalla volontà; e questa azione, quando ricorre sotto l’influsso della rabbia o della paura, non deve essere vista come una capa­ cità acquisita per qualche vantaggio, ma come una conseguenza, in larga misura

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche accidentale, dell’eccitazione dell’apparato sensoriale. Tale conseguenza, nella misura in cui è accidentale, può essere paragonata all’abbondante essudorazione derivante da un dolore spasmodico o da terrore [nell’uomo] (Darwin 1872: 101 sg.). Sintomi umani come questi, e molti altri, possono essere facilmente percepiti e utilizzati, per esempio, da animali addomesticati, quali i cani e i cavalli (come è ampiamente dimostrato nella storia della psicologia dal celebre episodio del ‘bravo Hans’, o ‘cavallo sapiente’; vedi Hediger 1967), e in un gran numero di altre situazioni in cui il linguaggio non svolge, o meglio, non può svolgere, un ruolo mediatore di alcun genere. In questa prospettiva semiotica globale, quindi, resta valida la nostra tesi che l’opposizione fra sintomo e segno è parallela a quella fra segnale e segno (1.5), vale a dire fra una categoria marcata (specie) e una non marcata (genere) (7.2.). 2.7. - È ugualmente erroneo presumere che la funzione di un sin­ tomo sia invariabilmente legata ad uno stato patologico: come ha os­ servato accortamente Kleinpaul, ci deve essere anche una semiotica della ‘radiosa’ buona salute, una condizione in cui l’organismo può es­ sere osservato come se ‘irradiasse’ sintomi di benessere (cfr. 1972: 106). Cosi l’identificazione esclusiva della sintomatologia con la nosologia può essere del tutto fuorviarne (vedi anche 2.2.). 2.8. - Si noti che Biihler (1934; vedi anche la nota 1 a p. 118) ampliò il termine da lui usato ‘Symptom’ con due parole quasi sinonime, ‘Anzeichen, Indicium’ [‘contrassegno, indizio’], e che altri classifiche­ rebbero effettivamente tutti i sintomi come sottospecie degli indici (sezione 4), spesso con restrizioni come ‘indici involontari’, o ‘semplici indici inintenzionali’ (per esempio Jakobson 1970: 10). Le difficoltà ad accettare questo suggerimento derivano dal fatto che il posto dell’‘intenzione’ — o, più in generale, dell’orientamento ad uno scopo — in un modello della comunicazione resta un problema imbrogliato e controverso (Meiland 1970). Nel senso di consapevolezza di sé — la cosiddetta ‘teleologia soggettiva’ — il concetto può costituire un cri­ terio nella definizione di tutti i sistemi antroposemiotici, ed in parti­ colare una caratteristica del linguaggio, ma è difficile che sia pertinente all’analisi zoosemiotica, in cui la sua introduzione può produrre ef­ fetti ridicoli. Una più dettagliata discussione dell’intenzione resta al di fuori dell’ambito di questo articolo (ma vedi cap. 1, nota 65 a p. 43, e Sebeok 1977d). 2.9. - Come tutti i segni (0.4), i sintomi possono figurare sia in sistemi paradigmatici che in catene sintagmatiche. L’indagine dei primi è stata finora rudimentale, ma si è fatta promettente con la crescente applicazione della tecnologia dei calcolatori alla diagnosi. Una concate­ nazione sintagmatica di sintomi può essere di due tipi, che chiame­ remo topici e temporali. Un sintagma topico è costituito da un fascio

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Icona di sintomi che si manifestano simultaneamente, cioè in differenti re­ gioni del corpo umano. Cosi i parametri di base per un’operazione chirurgica possono com­ prendere un elettrocardiogramma, un elettroencefalogramma, un’auscul­ tazione cardiaca, la pressione delle vene centrali, la pressione delle arterie periferiche, la temperatura rettale, la respirazione, tutti controllati ed interpretati sincronicamente da un’équipe che assiste il chirurgo. Un sintagma temporale implica l’informazione in entrata fornita dalla me­ desima fonte ma ad intervalli successivi posti lungo l’asse del tempo. Cosi Hediger (1968: 144 e sg.) riferisce che negli zoo gli escrementi delle giraffe sono tenuti sotto controllo uditivo in quanto costituiscono un indicatore costante dello stato di salute dell’animale: “normalmente, la caduta delle feci dovrebbe dare un tipico suono frusciarne”, ma “se l’escremento è evacuato in piccole parti picchiettanti”, ciò costituisce per il guardiano il segnale d’allarme di una possibile condizione pa­ tologica. Potrebbe rivelarsi assai istruttivo esplorare più profondamente certe idee feconde come, ad esempio, il reciproco rapporto del paradigma e del sintagma e dell’asse della simultaneità con quello della successione, della sostituzione e della combinazione e simili, in un campo così dif­ ferente dalla linguistica come sembra essere (a prima vista) la sin toma tologia (vedi in modo particolare Celan e Marcus 1973). Il saggio d Barthes (1972) è suggestivo, ma questo compito deve attendere essen zialmente il considerevole avanzamento della semiotica su di un fronte molto più vasto. 3. Icona 3.1. - Un segno è detto iconico quando c’è una similarità topologica fra un significante e i suoi denotata. 3.2. - Fu nel 1867, nel suo scritto On a new list of categories, che Peirce per la prima volta rese nota la sua triade fondamentale, ora fa­ mosa, e affermò inizialmente l’esistenza di tre tipi di segni (o, come egli li chiamò allora, ‘rappresentazioni’ \representations~\\. a) somi­ glianze \likenesses\ (un termine che abbandonò subito in favore di icone), o “quei segni la cui relazione con i propri oggetti consiste sem­ plicemente nell’avere qualche qualità in comune”; b) indici, o “quelli la cui relazione con i propri oggetti consiste in una corrispondenza di fatto”; e c) simboli (che sono lo stesso dei segni generali), o “quelli la cui relazione con i propri oggetti si fonda su di un carattere attribuito”, che egli poi chiamò ‘leggi’, intendendo convenzioni, abiti di compor­ tamento, o disposizioni naturali del suo interpretante o del campo del suo interpretante. (Torneremo sull’indice nella sezione 4, e sul simbolo nella sezione 5.)

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche 3.3. - In seguito Peirce (2.277) distinse tre sottoclassi di icone: immagini, diagrammi e metafore. La nozione di icona — che in ultima analisi è in rapporto con il processo platonico di mimesi, che Aristotele poi estese (nella Poetica IV) da una rappresentazione essenzialmente visiva fino ad abbracciare ogni esperienza conoscitiva ed epistemologica — è stata sottoposta ad una profonda analisi delle sue molteplici va­ rietà e manifestazioni, eppure restano ancora alcune questioni teoriche apparentemente insolubili (3.4.). Le immagini (che sono ancora tal­ volta semplicisticamente equiparate a tutte le icone, o, peggio, si pre­ sume ingenuamente che siano confinate alla sola sfera visiva) sono state di recente studiate in due indagini straordinariamente profonde, rispettivamente di Eco (1972b) e di M. Wallis (1975: cap. 1). Quanto alla teoria dei diagrammi, essa si presentò molto estesa nelle ricerche semiotiche di Peirce, ed è stata ora attentamente riesaminata da Zeman (1964), Roberts (1973) e Thibaud (1975), in alcune delle sue ampie ramificazioni che includono la moderna teoria dei grafi. Peirce non si curò molto dell’antico espediente retorico della metafora, oltre ad assegnarla opportunamente (nonostante la critica di Todorov3) all’icona, nella sua lista di categorie. Le funzioni iconiche del linguaggio sono state sottoposte ultimamente a numerosi riesami, per es. da parte di Jakobson (1965), Valesio (1969) e Wescott (1971). 3.4. - Nonostante la sempre piu vasta ed assai utile letteratura che fa progredire la nostra comprensione dell’icona, persistono parecchi, seri problemi teorici (cfr. Sebeok 1975c). Su due di questi — che chiameremo la questione della simmetria e la questione della regres­ sione — bisogna almeno soffermarsi un poco; altri sono discussi da Eco (1972b e 1976: 190-217), in modo coerente e interessante anche se non ancora conclusivo. 3.4.1. - Wallis ad esempio, seguendo la moda, afferma, ex cathedra, che “Il rapporto di rappresentazione è asimmetrico: un segno iconico o un segno convenzionale indipendente rappresenta il suo representatum ma non viceversa” (1975: 2). Si consideri ora una foto di una riproduzione di un famoso dipinto — diciamo, La Gioconda: essa co­ stituisce un segno iconico, o immagine, della copia, che diviene cosi il denotatum (o representatum), ma che è essa stessa un segno iconico del ritratto originale che si trova al museo del Louvre, il suo deno­ tatum; ma anche questo dipinto è un segno iconico del modello di Leonardo, la dama nota come Monna Lisa, il suo denotatum. In questa sequenza diacronica per prima venne Monna Lisa, subito dopo il suo ritratto, poi la riproduzione e infine una foto di questa. Si noti, co­ munque, che in nessuna delle due definizioni precedenti (3.3 o 3.2) 3 Todorov dice che “l’icona è una sineddoche piuttosto che una metafora — non si può dire, ad esempio, che la macchia nera assomiglia al colore nero” (1973: 17). Comunque una sineddoche, come qualsiasi altra metonimia, appartiene chiaramente alla categoria dei segni indicali, in quanto rientra bene nella loro definizione (sezione 4) — cosi una macchia nera si può dire che costituisce un esemplare del colore nero.

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Icona c’è nulla che richieda l’imposizione di una priorità cronologica di alcun genere: la definizione di Peirce parla di “avere semplicemente qualche qualità in comune”, e la nostra soltanto di “una similarità topologica”, che può applicarsi sia a ciò che riguarda il prima che il dopo. È solo per una convenzione immotivata che si attribuisce alla relazione fra significante e significato una sequenza temporale progressiva? La diffi­ coltà può forse essere superata nel modo seguente: supponiamo che un famoso personaggio contemporaneo, come ad esempio il papa, sia noto a me — come alla maggior parte dei cattolici — soltanto attra­ verso la sua foto, o qualche altro tipo di rappresentazione, ma che, un giorno, riesca a vederlo in carne ed ossa: in quella occasione il papa vivo diverrebbe per me il ‘segno iconico’ della sua immagine familiare, il suo denotatimi fotografico o litografico (Peirce, naturalmente, non vide nulla di strano nel fatto che un essere umano sia esso stesso un segno; cfr. 5.314, e 6.344). Il problema non è estraneo neppure agli etologi. Cosi Konrad Lorenz fece allusione ad esso quando osservò che “la forma dello zoccolo del cavallo è un’immagine della steppa che esso calpesta allo stesso modo in cui l’impronta che lascia è un’imma­ gine dello zoccolo” (Introduzione a Wickler 1973: xi). Se si riesce a mostrare che questo attributo della riflessività è una caratteristica indispensabile dell’icona, allora sicuramente la freccia del tempo deve essere inclusa nella revisione delle definizioni attuali. 3.4.2. - Per quel che riguarda il vertiginoso problema della regres­ sione, proviamo a spiegarlo con il seguente esempio: si può dire che una bambina è un segno iconico di sua madre, se esiste una similarità topologica fra lei, come significante, e la madre, il suo denotatum. Comunque la bambina può allo stesso modo, anche se in misura mi­ nore, costituire un segno iconico del padre, di ognuno dei fratelli e delle sorelle, di tutti i suoi parenti e, inoltre, di tutti i membri della specie umana, ma anche di tutti i primati, e, ancora, tutti i mammi­ feri, i vertebrati e cosi via in una retrocessione senza fine a denotata sempre piu generalizzati. Questa particolarità dei segni iconici merita una considerazione molto piu attenta di quella che possa essere accor­ data qui, in parte per ragioni di logica, in parte per illuminare le basi psicologiche dei loro considerevoli poteri evocativi e magici, sebbene indiretti (ad alcune loro implicazioni per la storia del comportamento e della cultura fa allusione Wallis 1975: 15-17). 3.5. - Ci sono molti esempi di iconicità nel mondo animale (per una discussione delle icone genotipiche, vedi Gregory Bateson, in Sebeok 1968b: 614 e sgg.), che in pratica interessano tutti i canali di co­ municazione disponibili, per esempio chimico, visivo o uditivo. Un chiaro esempio della funzione iconica di un segno chimico è dato dalla sostanza che trasmette l’allarme nella formica Pogonomyrmex badius: se il pericolo per la colonia è momentaneo, il segnale — una certa quantità di feromone liberata dalla formica — svanisce rapida­ mente e lascia indisturbato il grosso della colonia; se si tratta invece

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. !

Sei specie di segni: alcune proposte e critiche di un pericolo persistente, la sostanza si diffonde, coinvolgendo un nu­ mero sempre crescente di operaie. Il segno è iconico in quanto varia in proporzione analoga al crescere o al diminuire degli stimoli di peri­ colo (Sebeok 1972: 95 sg.). Il comportamento mimetico di certi insetti che fanno un’imita­ zione acustica delle vespe illustra la funzione iconica di un segno udi­ tivo. Cosi la mosca Spilomyia hamifera Lw. ha un battito d’ali, in media, di 147 colpi al secondo quando vola vicino alla vespa Dolichovespula arenaria F. (a cui inoltre assomiglia molto nel disegno dei co­ lori). Siccome questa vespa vola con 150 colpi d’ala al secondo, si pre­ sume che i suoni prodotti dai due insetti in volo non possano essere distinti dai predatori, e in tal modo i Muscicapidi* vengono ingannati (Sebeok 1972: 86 e sg.). Infine un elegante (anche se talvolta discusso) esempio di un com­ plesso segmento comportamentale, che è giunto per cosi dire a fun­ zionare da segno iconico visivo, è pittorescamente descritto da Kloft (1959): l’estremità posteriore dell’addome di un afide e l’agitarsi delle zampe posteriori costituiscono, per una formica operaia, un veicolo segnico composto, indicante la testa di un’altra formica insieme con il movimento delle antenne. In altre parole, si presume che la formica identifichi la somiglianza [likeness] (l’estremità posteriore dell’afide) col suo denotatum (l’estremità anteriore di una formica), e si comporti conformemente a questa informazione, cioè tratti l’afide come un’ef­ figie (una sottospecie d’icona).4 4. Indice 4.1. - Un segno è detto indicale nella misura in cui il suo signifi­ cante è contiguo al suo significato, oppure è un esemplare di esso. 4.2. - Il termine contiguo non deve essere preso alla lettera in questa definizione come se significasse necessariamente ‘vicino’ o ‘adia­ cente’: la stella polare può essere considerata un indice del polo Nord celeste per ogni abitante della terra, nonostante l’enorme distanza. Piuttosto bisognerebbe pensare alla contiguità in stretto rapporto con il principio chiave della definizione dell’icona, vale a dire con la simi­ larità. ‘Contiguo’ fu scelto in ragione del vastissimo uso che ha quando viene accoppiato con ‘simile’, in molti campi dello scibile umano, che vanno dalla magia omeopatica opposta alla magia contagiosa (Frazer; cfr. p. 76 sg.) alla poetica e retorica (sistema/testo, metafora/me* Famiglia di uccelli cacciatori di mosche. [N.d.T.] 4 Uno studio specifico dell’autore, con particolare riferimento al continuo dibattito internazionale fra ‘iconofili* e ‘iconoclasti’, era in preparazione proprio quando questo libro era giunto allo stadio della bozza impaginata. Lo studio, che pone in rilievo i fon­ damenti biologici di tale argomento, ed è apparso nel 1976 con il titolo Iconicità: implica­ zioni evolutive e sistematiche, è in sostanza una rielaborazione di Sebeok 1975c.

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Indice tonimia), alla psicologia della Gestalt (fattore di similarità / fattore di prossimità (Wertheimer 1923: 304-11), alla neurologia (l’ipotesi dei due opposti tipi di afasia, in Luria e Jakobson), e, naturalmente, alla linguistica nella tradizione saussuriana (asse del paradigma / asse del sintagma, opposizione / contrasto, ecc.). 4.3. - La nozione peirceana di indice era allo stesso tempo nuova e feconda, come ha giustamente osservato Wells (1967: n. 2b). I segni indicali di Peirce sono stati attentamente studiati da alcuni dei piu autorevoli filosofi del nostro tempo, sia che li abbiano definiti parti­ colari egocentrici (Russell 1940), parole token-reflexive (Reichenbach 1948), espressioni indicali (Bar-Hillel 1954), o qualsiasi altro termine (Gale 1967). Allo stesso modo le idee di Peirce ispirano ora le posi­ zioni critiche di alcuni dei piu profondi linguisti contemporanei: “La teoria grammaticale... deve accogliere nel suo campo... una teoria della conversazione, e [fare in modo che] certe conoscenze in merito alla deissi e al riferimento pronominale facciano parte di quella teoria” (Fillmore 1972: 275). Naturalmente anche il processo della deissi fu riconosciuto dai linguisti in passato (per esempio Frei 1944; BursillHall 1963), soprattutto nella forma del ‘commutatore’ [shifter] -— una mot juste coniata da Jespersen nel 1922 (1964: cap. 9), la cui idea fu in seguito portata avanti, fra gli altri, da Sturtevant (1947: 135 e sg.), e poi significativamente ampliata da Jakobson (1963: cap. 9),5 ma at­ tualmente colui che se ne occupa con maggiore sensibilità e con piena consapevolezza delle sue fondamentali implicazioni teoriche per la teoria grammaticale e al di là di essa è Fillmore (1973), che ha dedicato un’ec­ cellente serie di scritti all’ancoraggio deittico, a livello spaziale, tem­ porale, di orientamento al discorso e sociale, degli enunciati del ‘mondo reale’. Al momento le sue indagini rigorose sembrano offrire il metodo piu promettente per la soluzione di alcuni dei problemi teorici più intri­ cati della sociolinguistica, e possono anche in ultima analisi rivelarsi come la più costruttiva prima approssimazione al guazzabuglio di temi, di gran lunga più impenetrabile, a cui di solito si dà il nome di ‘prag­ matica’ (Carnap 1942; Staal 1971). (Cfr. anche Peirce 2.289.) 4.4. - In uno dei suoi esempi più memorabili Peirce ci ricorda che l’orma trovata da Robinson Crusoe sulla sabbia “era per lui un Indice di qualche essere vivente”. In modo simile “una vasta mappa di tali testimonianze” viene tracciata durante la notte da animali d’ogni sorta che, per tutta la campagna, lasciano “un’immensa varietà di impronte e tracce, spesso di mirabile chiarezza”. Queste “storie scritte nel co­ dice delle orme” ci portano “a scoprire la campagna”, e sono ottima­ mente decifrate da esperti naturalisti, abituati a lavorare sul campo, 5 Secondo la potente metafora di Jacques Lacan, l’inconscio è strutturato come il lin­ guaggio; si potrebbe dire che la sua abolizione della dicotomia conscio-inconscio fa della coscienza qualcosa di molto simile al nostro commutatore (shifter), e che anch’essa, quindi, tende a funzionare come un segno indicale.

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche come Ennion e Tinbergen (1967: 5); le loro minuziose foto e rappre­ sentazioni delle impronte ci mostrano uno straordinario dispiegamento di segni indicali nel senso più letterale e immediato. (Per ulteriori vi­ vaci dettagli, vedi Bang e Dahlstrom 1974.) Il gesto fatto con la protrusione delle labbra, in uso presso gli in­ diani Cuna di Panama, come è analizzato da Sherzer (1973), fornisce un chiaro esempio di integrazione culturale che combina in un’unica forma un indice verbale con un indice non verbale. La sua descrizione mostra anche che, mentre l’indice costituisce una categoria marcata in opposizione al segno, il gesto dei Cuna resta non marcato nella sua funzione centrale di indice in opposizione a quelle forme aggiuntive che hanno acquisito significati periferici. Una piccola famiglia di uccelli indicatori (di cui fa parte una specie assai comune che porta il nome scientifico di Indicator indicator (nomen est omen?), è costituita dalle celebri guide del miele. Questi uccelli hanno sviluppato un notevole rapporto simbiotico con certi mammiferi — rateli, babbuini e uomini — servendosi di un legame puramente indicale: essi guidano gli animali, con cui vivono in simbiosi, in pros­ simità dei nidi delle api selvatiche. Questa operazione è essenzialmente delofonica, ma vi rientrano anche elementi delotropici: cioè un uccello guida viene, poniamo, da una persona e cinguetta finché non viene seguito, ma per la maggior parte del tempo si tiene fuori della vista di chi lo segue. Anche se con il suo volo in picchiata e con le penne bianche della coda ben distesa è facilmente visibile esso ‘indica’ so­ prattutto per mezzo di una serie ripetuta di note stridenti che cessano solo quando vede o sente volare e ronzare le api del nido cercato (Friedmann 1955). La teoria dello sfruttamento delle fonti di cibo da parte dell’ape da miele {Apis mellifera) è stata descritta (von Frisch 1967) e meditata da molti scienziati, compresi semioticisti e linguisti (Sebeok 1972: 3453). È ben noto che se la fonte di cibo è più lontana di cento metri la danza dello scodinzolamento comunica, fra le altre unità d’informa­ zione, la direzione della meta, prendendo il sole come punto di rife­ rimento. Ora, se l’ape danza su di una superficie orizzontale, “la dire­ zione di una corsa oscillante punta direttamente alla meta”, cioè il segno ha la natura di indice (il ritmo ‘indica’ la distanza in maniera analogica: più lontana è la meta minore è il numero dei cicli di danza in un dato periodo). Se però la danza viene eseguita sulla superficie verticale di un favo — come accade normalmente nell’interno buio di un alveare — allora “l’ape traspone l’angolo fra la direzione della fonte di cibo e quella del sole in un angolo relativo alla linea di gravità” (se la corsa è puntata verso l’alto questo indica che la fonte di cibo si trova nella direzione del sole, se verso il basso, in direzione opposta al sole, se 60° a sinistra della verticale, 60° a sinistra del sole, e cosi via) (dati riferiti da von Frisch 1967: 230 sg.). In altre parole, quando, in un favo verticale, come indicazione di orientamento viene usato un

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Simbolo angolo relativo alla linea di gravità, il segno cessa di essere un indice e diventa allora predominante il suo aspetto simbolico. 5. Simbolo 5.1. - È chiamato simbolo un segno senza similarità né contiguità, ma soltanto con un legame convenzionale tra il suo significante e i suoi denotata, e con una classe intensionale per il suo designatum. 5.2. - Il tratto ‘legame convenzionale’ — il ‘carattere attribuito’ di Peirce — viene introdotto, ovviamente, per distinguere il simbolo sia dall’icona (3.1) che dall’indice (4.1). Il tratto ‘intensione’, d’altra parte, è necessario, come vedremo, per distinguerlo dal nome (6.1.). L’oppo­ sizione logica fra intensione (talvolta anche chiamata ‘intensione ogget­ tiva’, e spesso ‘comprensione’) ed estensione è stata tracciata in un nu­ mero straordinario di modi diversi: circa 220 di essi — che vanno dal 530 a.C. al 1966 — sono elencati dal solo Frisch (1969: 183-214). “L’uso di ‘intensione’ varia ancora di piu che quello di ‘estensione’”, stando a quanto si afferma nel ‘trattato’ per eccellenza sull’argomento (Carnap 1956: 18) anche se non è affatto l’ultima parola (Stanosz 1970). Per quelli che sono i nostri scopi attuali possiamo dire che una classe è definita intensionalmente dall’uso di una funzione proposizio­ nale; i denotata della designazione sono definiti in base alle proprietà condivise da tutti i membri di quella classe, e soltanto da essi (che queste proprietà siano note o meno) (Reichenbach 1948: 193). Nella terminologia di Lewis, l’intensione si riferisce a “la congiunzione di tutti i termini ciascuno dei quali deve essere applicabile a qualsiasi cosa a cui sarebbe applicabile il termine dato” (1946: 39). 5.3. - Per ammissione generale il ‘simbolo’ è il piu abusato dei termini qui considerati. Pertanto esso ha avuto la tendenza o ad essere sovraccaricato in maniera grottesca (.1.), o, al contrario, ad essere ri­ dotto a fenomeni comportamentali di tipo più generale (.2.), o perfino ad un’assurda nullità (.3.). In questa sede basteranno alcuni brevi esempi illustrativi, con cui si vuole semplicemente sottolineare la ne­ cessità di un’ulteriore chiarificazione concettuale. 5.3.1. - Una generalizzazione ingiustificabilmente eccessiva ed una troppo vasta applicazione del concetto di forme simboliche caratterizzano gli scritti di molti epigoni di Ernst Cassirer o di studiosi direttamente influenzati dalla sua filosofia (vedi p. 43 e nota 66). In antropologia culturale un caso tipico a tale proposito è dato da Leslie White, die una volta scrisse: “Il comportamento umano è il comportamento simbo­ lico; il comportamento simbolico è il comportamento umano. Il simbolo è l’universo dell’umanità... la chiave per accedere a questo mondo e il mezzo per esserne partecipi è il simbolo” (1940). L’iperbole si riflette essenzialmente nel punto di vista abbracciato dal fondatore della So-

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche cietà Intemazionale per lo studio dei simboli e da lui in egual modo sostenuto (Kahn 1969). 5.3.2. - Secondo lo psicologo Kantor, “...il termine simbolo viene usato in tutti i casi in cui lo psicologo parla di stimolo” (1936: 63). Ci si può ben domandare quanto sia diffusa questa ridondanza fra gli scienziati che studiano il comportamento. 5.3.3. - Sebbene il termine sia incluso nel glossario, peraltro utile di Cherry, esso è immediatamente seguito da questa inaspettata dichia­ razione: “Per quanto è possibile evitiamo il termine simbolo in questo libro...” (1966: 309). In realtà da una campionatura di molti libri di linguistica assai diffusi risulta che il termine non è mai menzionato (salvo, eventualmente, nella combinazione particolare, ‘simbolo fone­ tico*), anche se vi sono alcune intelligenti eccezioni (specialmente Landar 1966, e Chao 1968). 5.4. - Un certo numero di importanti sottospecie del simbolo — il cui valore semiotico, comunque, di rado è stato analizzato in ma­ niera adeguata — è d’uso piu o meno comune, almeno nell’inglese con­ temporaneo. Tali termini subordinati comprendono fra gli altri i se­ guenti segni posti in ordine di crescente intensione: allegoria, distin­ tivo [badge], marchio [brand], stemma [device] (in araldica), em­ blema [emblem], insegne [insignia], marca [mark] e stigma [stigma], (quando non venga incluso fra i sintomi, come nell’espressione stigmata venoso, che suggerisce l’esistenza di un eccesso d’alcool).6 Diamo un rapido sguardo ad uno soltanto di questi, l'emblema. È chiaro fin dal principio che la sua distribuzione deve essere più limi­ tata di quella del termine a cui è immediatamente subordinato: cosi si può dire che la falce e il martello sono il simbolo o l’emblema del Partito Comunista, come la Torre Eiffel lo è di Parigi, ma non si può dire che H2O è un emblema chimico, o [a] un emblema fonetico. Seguendo una proposta avanzata da David Efron nel 1941 (1972), Ekman e Friesen (1969b) reintrodussero e affinarono la nozione di emblema: Gli emblemi differiscono dalla maggior parte degli altri comportamenti non verbali principalmente nell’uso, e in particolare in rapporto al comportamento ver6 “I Greci ... crearono il termine stigma per designare i segni sul corpo che ave­ vano lo scopo di indicare qualcosa di insolito e di negativo riguardo allo stato morale di chi portava tali segni. Questi venivano impressi nel corpo con un taglio o con un marchio a fuoco e avvertivano che il portatore era uno schiavo, un criminale o un tra­ ditore — una persona bollata, contaminata, da evitare, specialmente nei luoghi pubblici. Più tardi, con il cristianesimo, a questo termine si aggiunsero due stratificazioni me­ taforiche: la prima riferita ai segni corporei della grazia divina che presero la forma di eruzioni cutanee; la seconda, un’allusione medica a questa allusione religiosa, riferita ai segni corporei di indisposizione fisica. Oggi il termine è usato in un senso piutto­ sto vicino a quello letterale originario, ma è applicato più alla disgrazia in sé che alla sua manifestazione sul corpo” (Goffman 1963: 1-2). Per una discussione illuminante del simbolo di status o simbolo di prestigio opposto al simbolo di stigma, e di questi in opposizione ai “segni fuggevoli” [fugitive r/g«r] che Goffman chiama punti, vedi pp. 49-53.

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Simbolo baie, la consapevolezza e l’intenzionalità. Gli emblemi sono quegli atti non verbali che hanno una diretta traduzione verbale, o una definizione di dizionario, consi­ stente di solito in una o due parole, o eventualmente un’espressione idiomatica. Questa definizione o traduzione verbale dell’emblema è ben nota a tutti i membri di un gruppo, classe o cultura... Le persone sono quasi sempre consapevoli dell’uso degli emblemi; cioè, sanno quando si servono di un emblema, possono ripeterlo se richiesti di farlo, e si prenderanno la responsabilità della sua comunicazione.

Essi hanno qui in mente soltanto gli emblemi non verbali, e per la verità si dà il caso che un emblema sia concepito il piu delle volte come un simbolo altamente formalizzato nella modalità sensoriale vi­ siva. Comunque le cose non stanno sempre necessariamente in questo modo. Così Lévi-Strauss ha suggerito (in una comunicazione perso­ nale) che la declamazione delle genealogie di personaggi illustri, per esempio degli antenati dei capi africani, può ben essere considerata come emblematica; tali atti verbali potrebbero facilmente essere ac­ colti nell’ambito della precedente formulazione, come pure, forse, l’uso decisamente piu idiosincratico fatto da Hollander (1959) in rapporto alla metrica.7 Dovrebbe essere ovvio, anche da questi paragrafi frammentari, che il Wortfelci [campo semantico] del termine simbolo è davvero molte complesso, e che l’emblema e le altre parole affini debbono attender un’interpretazione lessicografica pienamente corretta, unita alla chiarifi cazione del campo lessicale del termine immediatamente dominante, il simbolo, nel suo insieme (7.3.). 5.5. - Spesso si afferma che i simboli sono proprietà esclusiva del­ l’uomo, Vanimai symbolicum, ma la capacità degli organismi di formare concetti di classi intensionali si spinge molto indietro nella filogenesi,8 e questa facoltà di costruire degli universali a partire dai particolari ha ricevuto una solida sistemazione matematico-neurologica più di un quar­ to di secolo fa (Pitts e McCulloch 1947; cfr. Arbib 1971). Secondo la definizione di simbolo data in 5.1. e le più comuni definizioni aristo­ teliche basate sulla dottrina dell’arbitrarietà, che in linguistica furono sostenute soprattutto da William Dwight Whitney e, dopo di lui, da Saussure (Engler 1962; Coseriu 1967), è indubbio che gli animali pos­ seggano simboli. In precedenza abbiamo commentato l’arbitrarietà del movimento della coda nei cani, gatti e cavalli (Haldane 1955: 387; p. 51), un gruppo di esempi che potrebbe facilmente essere ampliato: 7 Per un piacevole libro dedicato ai principali emblemi e stemmi come generi let­ terari affini del Seicento, vedi Praz. “L’emblema”, egli dice, “combinava la ‘pittura muta’ della tavola, la ‘pittura parlata’ della descrizione letteraria, e la ‘pittura di significazione’, o trasposizione in significati morali e mistici” (1964: 171). 8 “La struttura del messaggio genetico ... impone la struttura delle società animali. Ma nei mammiferi la rigidità del programma ereditario diviene sempre meno rigorosa..". Si assiste anche all’apparire di una nuova proprietà: la capacità di fare a meno degii oggetti e di frapporre una specie di filtro fra l’organismo e il suo ambiente: la caDarirà di simbolizzare” (Jacob 1974: 319). P

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche così una scimmia rhesus spaventata porta la coda tesa all'indietro, men­ tre i babbuini comunicano la paura tenendo la coda verticale. Comun­ que non è necessariamente vero l’inverso: “la madre di un cucciolo [di babbuino] può tenere la coda verticale non per paura ma per aiutare il piccolo a tenersi in equilibrio sulla sua schiena; e un bab­ buino può anche tenere la coda verticale mentre viene pulito in quella parte del corpo” (Rowell 1972: 87). Secondo Altmann, “Con poche eccezioni, i segnali sociali semantici che sono stati finora studiati nei primati sono rappresentazioni arbitrarie” (1967: 339); e, piu in ge­ nerale, secondo Bronowski, “Si potrebbe pensare che, poiché soltanto gli esseri umani pensano con simboli arbitrari, siano anche i soli a parlare con essi. Ma ancora una volta non è così” (1967: 376); e Lévi-Strauss ha recentemente osservato che “Les animaux sotit privés de language, au setis ou nous Ventendons chez Vhomme, mais ils communiquent tout de méme au moyen de signaux, dotte d’utt système symbolique” (Maison 1973: 20). Anche Manfred Lurker, uno dei principali osservatori dei processi simbolici umani, è convinto che uSicher gibt es Symbolerscheinungen im Reich der Riere” [Nel regno animale si ha sicuramente la presenza di simboli] (1968: 4). (Sul sim­ bolismo biologico nella comunicazione intercellulare, e per una bril­ lante discussione dei simboli metabolici e della rappresentazione che essi forniscono dei singoli stati ambientali, vedi Tomkins 1975.) Per concludere con un esempio di simbolo tratto dal comporta­ mento animale, torniamo agli insetti, alla famiglia carnivora degli Empididi \_Empididae~\. In una specie di ditteri appartenente a questa fa­ miglia, il maschio offre alla femmina, prima della copula, una pallina vuota. Le origini evolutive, cioè la crescente ritualizzazione (Huxley 1966), di questo gesto apparentemente bizzarro sono state gradualmente chiarite dai biologi, ma questa storia è irrilevante in una prospettiva sincronica: il fatto è che il dono di una pallina è un segno del tutto arbitrario, che riduce semplicemente la probabilità che il maschio stesso cada preda della femmina. 6. Nome 6.1. - È chiamato nome un segno che ha una classe estensionale per il suo designatum. 6.2. - In accordo con questa definizione, gli individui denotati dal nome proprio Veronica non hanno alcuna proprietà in comune attri­ buita loro eccetto il fatto che tutti ‘rispondono al nome di Veronica’. Una definizione estensionale di una classe viene data “elencando i nomi dei suoi membri, o indicando ogni membro successivamente” (Reichenbach 1948: 193), oppure, come sostiene Kecskemeti: “Considerato in base alla sua intensione... un nome è semplicemente una cosa priva

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Nome di significato, a meno che e fintantoché non se ne fornisca una descri­ zione riferita al medesimo oggetto” (1952: 130), ad esempio, ‘Vero­ nica con il panno’, Santa Veronica, e simili espressioni. (Per un’ana­ lisi semantica dei nomi propri, cfr. lo studio completo di Sorenson 1963; vedi il profondo saggio di Buyssens 1973.) 6.3. - Quando la significazione di un segno permette soltanto un denotatimi, il segno è detto singolare. I segni singolari, compresi i nomi propri, appartengono ad una maniera di significare che Morris ha definito nomatovi \_namors~\, “che sono simboli del linguaggio”. I nomatori sono membri della stessa famiglia di segni, chiamati ‘iden­ tificatori’ [identifiors], a cui appartengono due altre sottocategorie: gli ‘indicatori’ [indicators] — il corrispondente non-linguistico dei noma­ tori — e i ‘descrittori’ [descriptors], “identificatori che descrivonouna posizione” (Morris 1971: 76 sg.). Nel linguaggio di Husserl (1970: 341 sg.), il nome di una persona, che “ bezeichnet, aber charakteriziert... nicht” [indica, ma... non caratterizza], è anche normalmente univoco {‘eindeutig’), anche se può per caso essere plurivoco {‘mebrdeutig’), ^wenn mehrere Personen gleichen Namens sicb finden” [quando più persone si ritrovano con un nome simile]. Gli individui umani sono identificati da nomatori esprimibili verbalmente, come un nome perso­ nale o (negli Stati Uniti dal 1935), un particolare numero (Social Security Number), e da un gran numero di indicatori non verbali, “i mezzi con cui una persona, o una salma, può essere definitivamente riconosciuta, anche nei casi in cui la persona cerca volutamente di in­ gannare...” (Wilder e Wentworth 1918: 5, e vedi passim per un’im­ pressionante rassegna di marche positive d’identità). 6.4. - Si sa che tutti gli animali emettono di continuo una gran quantità di ‘identificatori’, cioè esibizioni che permettono di identifi­ care la fonte in una o più maniere, per ciò che riguarda la specie, lo stato riproduttivo, la posizione nello spazio o nel tempo, il rango nella gerarchia sociale, la disposizione del momento e simili (Sebeok 1972: 130). Inoltre “le società di vertebrati meglio organizzate possono di­ stinguersi per un solo tratto, cosi predominante per le sue conseguenze, che le altre caratteristiche sembrano derivare da esso”, osserva Wilson (1971: 402) operando una fondamentale distinzione fra le società ‘im­ personali’ da una parte, formate dagli insetti, e le società ‘personali’ dal­ l’altra, che si ritrovano negli uccelli e nei mammiferi: questo attributo consiste nel riconoscimento dell’identità individuale, un tratto caratte­ ristico di gruppi relativamente piccoli con un lungo periodo di socia­ lizzazione dei giovani, che presuppone il gioco ed ha come corollario un alto grado di cooperazione fra gli adulti. Ogni membro di tale so­ cietà “ha un rapporto particolare con ciascuno degli altri membri” (ibid.), e quindi viene ad essere riconosciuto da tutti gli altri come unico. Parallelo agli sforzi compiuti per stabilire e mantenere l’indi­ spensabile rete di molteplici legami ‘personali’ è lo sviluppo di un’in-

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche tima forma di comunicazione, che comporta necessariamente l’uso di adeguati segni aggiuntivi: cosi la nozione di ‘unicità’ implica la pre­ senza di indicatori, o, nella terminologia di Goffman, ‘puntelli dell’iden­ tità’ [identity pegs] (1963: 56 sg.). La letteratura sulla comunicazione dei vertebrati dà per scontato — almeno ex hypothesi — che gli indicatori, vale a dire i loro nomi, sono universalmente incorporati nei messaggi degli uccelli e dei mam­ miferi (Smith 1969a, b). Ne siano una prova i seguenti espliciti passi di un illustre ornitologo: “...quando un partner fosse assente l’uccello rimasto si servirebbe dei suoni normalmente riservati al suo compagno, col risultato che il detto partner ritornerebbe il più rapidamente possi­ bile come se fosse stato chiamato per nome... Le osservazioni sul campo suggeriscono a volte che un uccello sta richiamando il suo partner ‘per nome*” (Thorpe 1967: corsivo nostro). Si possono moltiplicare gli esempi specifici tratti da un gran numero di vertebrati, compresi i canidi e i felini, i primati (van Lawick-Goodall 1968: 270; Rowell 1972: 23), ed anche i mammiferi marini — le sequenze di schiocchi indivi­ duali prodotti dalle balene sono anche chiamati ‘firme’ (Backus e Solle­ vili 1966), a quel che sembra in analogia con i cosiddetti ‘toni-firma’ degli uccelli. 7. Conclusioni 7.1. - Sulla natura, il comportamento e il divenire dei segni. Questo saggio ha trattato circa una mezza dozzina di possibili relazioni che, ad una indagine empirica, risultano prevalere fra il significante e il significato dei segni, e certi problemi relativi alle definizioni presen­ tate, in particolare in quanto queste possono avere un rapporto con la loro classificazione. Prendendo a prestito da Ralph Gerard la triade allitterativa da lui impiegata come un primo approccio alla sua classi­ ficazione di un sistema materiale, Yorg — all’incirca la stessa cosa che Yholon di Arthur Koesder (vedi inoltre pp. 35 sg. e 74 sg.) — possiamo dire che la nostra precedente discussione riguardava la natura di un segno o la sua struttura, cioè il suo stato permanente in senso sincronico; il punto focale dell’indagine si trova all’interno del regno della significazione. Una definizione strutturale del segno è analitica, intrinseca e statica; essa utilizza tipi di associazioni che, di fatto o vir­ tualmente, ineriscono all’architettura del segno stesso. Questa definizione, comunque, dovrebbe essere integrata con un esame minuzioso del suo comportamento, o la sua funzione, un turba­ mento che si ripete stabilmente. Una definizione funzionale del segno è pragmatica, estrinseca, ma dinamica; essa si basa su variazioni a dif­ ferenti punti nodali di un modello esteso del processo comunicativo, come viene rappresentato, ad esempio, da un triangolo di Morley (Sebeok 1972: 14). Wells ha giustamente affermato che “La semiotica ha due gruppi di parentele. È connessa, da un lato, con la comunica-

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Conclusioni zione e, dall’altro, con il significato” (1967: 103). Abbiamo tentato re­ centemente, in un’altra occasione (vedi cap. 4), di esplorare in che modo alcuni fenomeni d’uso si rapportano a relazioni transazionali ete­ rogenee; perciò questo articolo dovrebbe essere considerato come un pezzo d’accompagnamento al primo. Entrambi questi tentativi sono del­ le esercitazioni strettamente sincroniche. La questione del divenire, o storia, che rappresenta cambiamenti cumulativi nella sezione longitudinale del tempo, introduce molteplici considerazioni diacroniche. Queste sono di due tipi piuttosto differenti: quelle che hanno a che fare con l’evoluzione dei segni nella filogenesi, in una parola, la loro ritualizzazione (Huxley 1966) e quelle che hanno a che fare con la loro elaborazione nell’ontogenesi. Lo studio del primo tipo richiede la collaborazione dell’etologia con la semiotica; l’analisi del secondo appartiene al campo della psicolinguistica, una scienza che sta facendo i primi passi (e che potrebbe egualmente bene essere ribattezzata ‘psicosemiotica’). In conclusione, anche se la semiotica, soprattutto al giorno d’oggi, è generalmente considerata come una branca delle discipline della co­ municazione, i criteri che debbono essere integrati quando si lavora proprio ad una comprensione dei segni ragionevolmente distica deri­ vano dagli studi sia della comunicazione che della significazione {feno­ meni e noumeni), e debbono anche essere conformi ai risultati delle ricerche di etologia e di psicologia evolutiva. 7.2. - Applicazione della legge della variazione inversa. I termini ‘segno’, ‘simbolo’, ‘emblema’, ‘insegne’ sono qui ordinati secondo la loro subordinazione; ogni termine alla sinistra è un genere della sua sottoclasse a destra, ed ogni termine a destra è una specie del suo ge­ nere a sinistra. Cosi la denotazione di questi termini va decrescendo: per es., l’estensione del ‘simbolo’ include l’estensione dell’‘emblema’, ma non viceversa. D’altra parte l’intensione convenzionale di ogni termine aumenta: l’intensione dell'‘emblema’ include l’intensione del ‘simbolo’. Talvolta, comunque, la variazione nell’intensione non è accompagnata da alcun cambiamento nell’estensione: cosi nella sequenza ‘segno’, ‘sim­ bolo’, ‘presagio’, ‘auspicio’ e ‘portento’, l’estensione dell’ultima coppia di termini è, entro l’universo del discorso semiotico, sostanzialmente la stessa. Questo implica che se una serie di categorie semiotiche è ordi­ nata secondo la loro crescente intensione, la denotazione dei termini o diminuirà o resterà la stessa. 7.3. - Un dominio lessicale. Oltre alle sei specie di segni annun­ ciate nel titolo di questo articolo, si è fatta allusione a molte altre, comprendenti l’allegoria, il distintivo, il marchio, il descrittore, lo stem­ ma, il diagramma, l’esibizione, l’effigie, l’emblema, l’identificatore, i puntelli dell’identità, l’immagine, l’indicatore, le insegne, la traccia, la metafora, il nomatore, la firma, lo stigma e la sindrome. Senza dubbio questi e un gran numero di termini simili — specialmente quelli intro-

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Sei specie di segni: alcune proposte e critiche

ciotti da Peirce (per esempio 2.254-263) e, dopo di lui, da Morris (1971: 20-23) — costituirebbero un argomento d’importanza capitale per una straordinaria monografia sul Wortfeld del segno, nelle sue molteplici ramificazioni, e non solo in inglese ma anche in tutte le altre lingue in cui sta nascendo una letteratura semiotica, o semiologica (Sebeok 1973). Nonostante l’osservazione della Revzina che “sarebbe eviden­ temente piu naturale trattare le definizioni dei segni date [a Tartu, quattro estati fa] come un tentativo di interpretazione lessicografica dei corrispondenti concetti linguistici” (1972: 231), ciò era soltanto inci­ dentale rispetto al nostro principale proposito, vale a dire, lavorare al fine ultimo di stabilire una base unificata per una categorizzazione olistica dei segni, che sia noumenica e fenomenica, statica e dinamica, sincronica e diacronica (7.1.), e, quel che piu importa, valida anche in una prospettiva interspecifica (7.4.). Dopo tutto, la dottrina dei segni, come ci ricordava Locke nel 1690, è quella branca della conoscenza “il cui compito è di considerare la natura dei segni...”. 7.4. - L’ubiquità dei segni. - Come ha osservato lo zoologo inglese R.J. Pumphrey, ci sono due scuole di pensiero riguardo alla teoria dello sviluppo del linguaggio: Tutti sono d’accordo che il linguaggio umano differisce per alcuni particolari essenziali dal linguaggio degli altri animali. Ci sono quelli che, come Darwin, cre­ dono in un’evoluzione graduale, ma vi sono stati altri che hanno creduto che il linguaggio fosse un attributo specificamente umano, una funzione ex novo, di genere differente da qualunque altra cosa di cui fossero capaci gli altri animali (Sebeok 1972:88). Senza voler abbracciare e cercare qui di giustificare o una versione del­ la teoria della continuità dell’evoluzione linguistica o, viceversa, ima versione della teoria della discontinuità (come, ad esempio, quella so­ stenuta da Eric H. Lenneberg, in Sebeok 1968b: 592-613), una cosa deve essere messa in rilievo sopra ogni altra: la strategia di ricerca da noi seguita esige un punto di vista rigorosamente comparativo, che si basi su di una vasta gamma di dati biosemiotici, ricavati dall’uomo e dagli altri animali (cfr. Sebeok 1972: 106-21, 162-77). Vista in questa ottica strettamente comparativa, la distribuzione almeno dei segni con­ siderati in questo articolo non coincide adeguatamente con la divisione degli esseri animati in due classi differenti, una priva della parola e l’altra dotata di linguaggio.*

9 Un importante articolo di Thom (1973), che tratta diversi temi discussi in pre­ cedenza, è apparso troppo tardi perché potesse qui essere preso in considerazione.

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Note sulla menzogna e sulla prevaricazione*

Vanimai ne peut émettre ni mots, ni phrases... Ce qui manque à Vanitimi pour pouvoir parler, c’est le cerveau. Rosetti 1965:13 Tra le cosiddette discipline della comunicazione, la linguistica, con­ finata allo studio dello scambio dei messaggi verbali, costituisce una categoria marcata di contro a quella branca non marcata della cono­ scenza che chiamiamo semiotica, il cui argomento è costituito dalla trasmissione di qualunque tipo di messaggio e dai sistemi di segni che stanno alla base di tali transazioni (vedi cap. 1). L’accademico Alexandru Rosetti) — a cui dedico con affetto questo saggio — ha anticipato in maniera succinta (come è stato ricordato sopra nell’epigrafe) l’opi­ nione contemporanea dominante in merito alla faculté du langage spe­ cie specifica dell’uomo, e forse perfino alla sua probabile localizza­ zione (cfr. Lenneberg 1971). Nell’indagine necessariamente breve che segue, desidero discutere un punto secondario in base al quale, dato che la disposizione al linguaggio è davvero un attributo unicamente umano, il fenomeno della ‘menzogna’, come è stato affermato frequen­ temente (cfr. Kainz 1961: 141-48), presuppone l’uso dei segni verbali e il fondamentale principio di produttività combinatoria che li regola; ma vorrei inoltre insistere sul fatto che esiste un piu ampio mecca­ nismo sottostante che, a quanto si può vedere, agisce su tutto il campo semiotico, in particolare nei repertori comunicativi degli altri animali. Un linguista, Sturtevant (1947: 48), ha supposto che “il linguaggio deve essere stato inventato per lo scopo di mentire”, un’affermazione estrema a cui corrisponde il giudizio piu equilibrato del filosofo Caws (1969: 1380), il quale sostiene che “la verità... è giunta relativamente in ritardo sulla scena linguistica, ed è certamente un errore supporre che il linguaggio sia stato inventato per lo scopo di dire la verità”. Per evitare ogni confusione terminologica il mentire nel linguag­ gio verrà qui chiamato uniformemente menzogna, che in tal modo di­ venta anche un concetto marcato; l’altro membro della coppia, non mar* Questo articolo è ristampato dalla “Revue Roumaine de Linguistique” (20 otto­ bre 1975): Festschrift in honor of A. Rosetti.

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^ IN Note sulla menzogna e sulla prevaricazione

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cato e che include potenzialmente ogni tipo di segno, sarà denominato genericamente prevaricazione (seguendo l’uso di Hockett 1966: 12 sg., adattato ed esteso dal primatologo Altmann 1967: 353 sgg.). E cosi il compito dei linguisti comprende evidentemente la spiegazione di que­ sto uso, o abuso, delle risorse verbali, mentre le funzioni della semiosi includeranno la prevaricazione in generale, come la menzogna, ogni in­ ganno umano condotto con mezzi non verbali (per esempio Ekman e Friesen 1974), ed anche le molteplici forme di simulazione dei segni, mi­ metismo, ‘esibizioni proteiformi’, indicazioni, informazioni e rappresen­ tazioni errate presenti nelle altre specie; invero, “quasi tutti gli animali fanno ricorso all’inganno” (Hinton 1973: 97). Il primo accostamento ad un’indagine strettamente linguistica della magna quaestio... de mendacio, di cui parla Agostino, considerata in un primo tempo essenzialmente in contesti teologici, resta il tentativo stimolante anche se scarsamente sistematico di Weinrich (1966) che apri un gran numero di interes­ santi possibilità: egli si domandava “Liigt man mit Wórtern? Liigt man mit Sàtzen?” [Si mentisce con la parola? Si mentisce con la fra­ se?]; bisogna cioè assegnare la menzogna alla semantica (e, ci si af­ fretta ad aggiungere, alla logica), o alla sintassi, o in che misura all’una e all’altra? Ci sono comunque altri importanti problemi che questo pioniere ha toccato appena, o non ha considerato affatto: la dipendenza cruciale della menzogna dal duplice ancoraggio deittico, vale a dire, la questione del modo in cui un enunciato falso è integrato sia nel con­ testo linguistico sia in quello extra-linguistico; le sottili distinzioni fra menzogna e ambiguità, figure retoriche, illusioni, errori, finzione, spe­ cialmente il dramma, la nozione di rappresentazione, l’esecuzione di un rituale, la formulazione di ipotesi, l’uso di modelli e inoltre la dimen­ sione evolutiva, od ontogenetica, di tutti i fenomeni menzionati. (La menzogna a livello internazionale, ad opera di attori rappresentanti certe situazioni, fu discussa nelle sue varie sorprendenti ramificazioni da Jervis [1970: 66-112], pienamente consapevole delle implicazioni per la teoria dei segni.) Una menzogna, che sia omogenea o sincretica (cfr. p. 41), è cer­ tamente un segno complesso, e quindi perché un’affermazione sia una menzogna è indispensabile che sia compresa come tale. Niente di per sé è una menzogna. Per divenire tale, il requisito minimo è che il segno si manifesti nel comportamento di un organismo che tratta l’af­ fermazione come un segno del suo interlocutore in una relazione tria­ dica (come è spiegato da Peirce). Il fastidioso problema dell’intenzio­ nalità (vedi p. 43, nota 65) può avere un’utilità marginale quando al­ meno uno degli interlocutori è un uomo, o quando lo scambio coin­ volge un animale addomesticato, un animale cioè il cui carattere, come affermò una volta David Katz in maniera pittoresca, è stato “contami­ nato dalla caduta dell’uomo dallo stato di grazia” (citato in Hediger 1955: 150). Questo rilievo è assai conforme ad una distinzione fatta da Morris (1971: 200) fra menzogna, “l’uso deliberato dei segni per dare a qualcuno un’informazione sbagliata”, e quella che io ho quali-

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Note sulla menzogna e sulla prevaricazione ficato come una sorta di prevaricazione, “il semplice fare delle affer­ mazioni false”. Una chiarificazione dell’intera gamma di temi a cui si è fatto riferimento attende ancora un’adeguata analisi semiotica ed una sintesi finale, che un approccio angustamente linguistico non è piu in grado di compiere, poiché notizie come quelle riassunte piu avanti debbono essere fecondamente integrate, in una cornice unitaria, con quello che possiamo sapere sull’inganno verbale umano. Il poeta negò che uno dei più antichi compagni dell’uomo fosse capace di mentire: “Buy a pup and your money will buy / Love unfiinching that cannot lie...” [Compra un cucciolo e il tuo denaro comprerà / amore incrollabile che non può mentire...]. Tuttavia le sor­ prendenti osservazioni di Rùppel (1969) nell’isola Diabasodden (Spitzbergen occidentali, Svalbard) hanno chiaramente dimostrato un note­ vole episodio di prevaricazione nella volpe artica selvatica, una specie della stessa sottofamiglia dei canidi a cui appartiene anche il cane do­ mestico di Kipling. Su quest’isola deserta, Rùppel osservò una coppia di volpi polari con quattro cuccioli. La volpe femmina, timorosa, visitò l’attendamento sulla scogliera, e portò via pezzetti di formaggio ed altre cose da mangiare; in particolare dei grossi pezzi di pane vennero trascinati verso la tana, che era a circa 500 metri di distanza. Durante il cammino, però, i cuccioli affamati colsero la madre di sorpresa ab­ baiando e mordendo, e portarono via il boccone migliore. Uno dei cuc­ cioli si pose vicino al cibo: volgendo il posteriore verso la madre alzò la coda, urinò nella sua direzione e poi cominciò a mangiare. La fem­ mina derubata fece alcuni passi in direzione del cucciolo, lo fissò, poi, sollevato improvvisamente il muso, emise ripetutamente il suo acuto grido d’avvertimento. Il cucciolo lasciò subito cadere il boccone, pre­ cipitandosi fra le rocce, e la madre si lanciò sul formaggio rimasto e 10 divorò. Per alcuni giorni ancora la madre ripete questo stratagemma in assenza di qualsiasi pericolo palese, ma alla fine il piccolo capi e da allora, nonostante il segnale d’avvertimento della madre, non lasciò più 11 cibo. Riguardo a questo comportamento la cosa più notevole è data dal fatto che non se ne sono trovati altri esempi in nessun’altra fa­ miglia di volpi artiche, che furono studiate in condizioni essenzial­ mente identiche: ciò ha portato alla conclusione che non si ha a che fare con un comportamento innato (anche se non è chiaro in che modo la volpe femmina abbia inventato o altrimenti acquisito quella pratica nella famiglia descritta). L’affermazione di Pfeiffer (1969: 265) che questo tipo di comportamento “lo si chiami simulazione o inganno, è caratteristico dei primati; non si ritrova in nessun’altra specie”, è quindi completamente errata. Esempi simili sono stati osservati nei merli e nei tordi bottacci da Thielcke (1964). Riassumendo il suo commento a casi come questi Wickler (1971: 135) concludeva: Es besteht kein Zweifel dass sowohl die Drosseln wie der Eisfuchs ein unter ihresgleicben ubliches akusticbes Verstàndigungssignal gezielt missbrauchten und sich dadurch einen individuellen Vorteil auf Kosten der anderen verschafften.

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Damit ist die Bebauptung widerlegt, dass nur der Mensch zur Liige f 'àhig sei und dass bei Tieren die Liige ausscheide weil ihnen die Sprache jehlt. [Non c’è alcun dubbio che sia i tordi che la volpe si servano intenzionalmente in modo impro­ prio di un segnale acustico di informazione, comunemente usato con i conspecifici, e ne traggano quindi un vantaggio individuale a spese degli altri. Con ciò viene confutata l’affermazione secondo cui solo l’uomo è capace di mentire e che tra gli animali la menzogna è assente perché manca ad essi il linguaggio]. L’abuso dei segnali d’allarme intraspecifici, che si svilupparono per massimizzare il successo genetico degli individui in determinati am­ bienti, non può, certo, essere consentito abitualmente in ogni gruppo sociale proprio perché i suddetti segnali tenderebbero a perdere va­ lore fino al punto di poter cessare di funzionare quando realmente incombe un pericolo. È questa sicuramente la lezione del pastore di Esopo che gridò — per restare fermi ai canidi — “Al lupo!” una volta di troppo, e la spiegazione di questa storia ha indubbiamente le sue radici più profonde nella filogenesi. Gli esempi interspecifici di contraffazione dei segni sono innume­ revoli. I membri dell’interazione possono includere delle piante, per esempio, orchidee del genere Ophrys (Wickler 1968: 206 sgg.); degli esseri umani ingannati, per es., da un gorilla solitario o da un terrier Airedale (Hediger 1955: 150 sgg.), o che ingannano qualche altro animale, ad esempio, manipolando i normali ‘releaser’ con modelli superottimali o interferendo con il ritmo naturale degli orologi biologici; o specie animali variamente imparentate, di cui basterà riferire un solo esempio (da Lloyd 1965 e 1975). Molte lucciole americane comuni­ cano fra loro per mezzo di una successione specie-specifica di impulsi luminosi, o un ‘codice a lampi’ prosodico. Ora le femmine carnivore del genere Photuris sono capaci di imitare le risposte luminose delle femmine Photinus. Se un maschio della seconda specie si mette a cor­ teggiare una femmina predatrice della prima specie, essa esibisce ingan­ nevolmente i segni della specie a cui appartiene il maschio, e cosi lo adesca per mangiarselo non appena questo è abbastanza vicino. In altre parole le femmes fatales Photuris ereditano un repertorio semio­ tico con vari sottocodici, dei quali almeno uno è destinato a perpetuare direttamente la specie, e almeno un altro serve in effetti al medesimo scopo, permettendo loro di inviare un’informazione falsa e catturare un membro di un’altra specie per derivarne nutrimento vitale. Riassumendo possiamo dire che la prevaricazione è vista come uno schema di semiosi prevalente fra gli esseri viventi (piante e animali compreso l’uomo nel suo comportamento non verbale). Il meccanismo sottostante può essere esclusivamente sotto il controllo genetico (per esempio nel mimetismo), oppure, come negli animali superiori, sempre più soggetto alla regolazione volontaria. Bisogna fare una distinzione fra le operazioni d’inganno compiute dagli animali in cattività (domati o addomesticati), e da quelli allo stato selvaggio. La menzogna è una categoria specifica del linguaggio, della prevaricazione; i suoi attributi semiotici, comunque, sono tuttora compresi in maniera molto imprecisa.

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10.

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0. Prologo

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Cinque anni fa Eric Hamp mi invitò gentilmente a recensire per 1*“ International Journal of American Linguistics” l’ultimo contributo di Pierre Guiraud alla collana “Que sais-je”, La sétniologie (1971). Poi, diversi mesi fa, il direttore di “Language Sciences” mi chiese di recensire la traduzione inglese della stessa opera per il nostro perio­ dico. Ho resistito ad entrambe le tentazioni per due ragioni principali: precisamente cinque anni fa avevo completato un articolo delle dimen­ sioni di una monografia (vedi cap. 1) — per la verità, lo vedo come una prima approssimazione — che dava un resoconto del campo della semiotica come mi appariva allora, ed io pensai che, nei limiti ristretti di una recensione, non avrei potuto subito aggiungere nulla di utile agli argomenti del mio amico o, quel che sembrava molto più importante, dire qualche cosa sulla semiotica in generale che potesse positivamente estendere le osservazioni che avevo affidato alla stampa. In secondo luogo c’era il fatto del potenziale contrasto di interesse: fra un anno circa presenterò un nuovo manuale che tratta della teoria dei segni, del quale ho rinnovato il contratto per le edizioni Penguin alcuni mesi fa (Sebeok 1977d). Anche se l’opera di Guiraud e la mia differiscono sia per l’ambito prescelto sia per il punto di vista, e di fatto entrambe sono dissimili praticamente in ogni dettaglio, proprio perché derivano da due tradizioni differenti — chiaramente compendiate dai due titoli, Semiotics e Semiology (spiegati nel cap. 2) — pensai che sarebbe stato per me sconveniente, per non parlare dei rischi, abbandonarmi ad una discussione pubblica dei lavori di rispettabili colleghi, in una prova in cui l’opera di Guiraud e la mia erano solo due dei molti concorrenti con altri finalisti ancora allineati ai cancelli (vedi cap. 3). Nondimeno fui stimolato a rispondere compilando la nota che se­ gue — una cronaca assai personale, e quindi selettiva, delle pubblica­ zioni e di altri importanti eventi, inclusi specialmente gli sviluppi dei programmi e le notizie dei principali incontri che si sono tenuti di * Questo articolo è ristampato, con importanti correzioni e aggiunte, dal “Bulletin of Literary Semiotics” 2 (1975), 1-63. Sono attualmente in preparazione traduzioni in fran­ cese. ebraico, polacco e portoghese (brasiliano).

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recente o che avranno luogo fra breve — sul campo della semiotica. C’è una richiesta assai pressante di una spiegazione di questo tipo, che diviene ancor più insistente dal momento che questa provincia del sapere, variamente coltivata nell’antichità, approfondita nel Medio­ evo, daccapo esaminata attentamente nel Rinascimento, elaborata pres­ sappoco nelle forme attuali sotto l’impulso del modello di Saussure (1857-1913) e, soprattutto, di quello di Peirce (1839-1914), comincia a diffondersi a macchia d’olio, penetrando nei vari paesi e, al tempo stesso, invadendo, come un’infezione, tutta una gamma di sfere dell’at­ tività umana che vanno dall’antropofagia (Clerk 1975) a piu rispetta­ bili pratiche culinarie (Barthes 1967a: 27 sg.), o dalla geomanzia (Jaulin 1970) e la predizione dell’avvenire con i tarocchi (Corti 1973) al­ l’ideologia astratta (per esempio Verón 1971; Rastier 1972; Veltsos 1975), molte tecniche artigianali come quella del fumetto (FresnaultDeruelle 1975) e del cartone animato (Horàny e Pléh 1975), tutte le arti, un gran numero di discipline accademiche tradizionali, e non solo parecchie scienze nomotetiche dell’uomo (secondo l’uso che di questo termine fanno Windelband [1894] ed Huxley [1963: 7 sg.]), ma an­ che, seppure finora in minor misura, certe scienze naturali (in partico­ lare l’etologia e la genetica). Dal momento che i contributi scritti e le conferenze si moltipli­ cano ad un ritmo sbalorditivo, possiamo ben domandarci: abbiamo a che fare con un aumento della quantità d’informazione semiotica, op­ pure siamo sommersi dall’entropia? La rapidissima espansione degli *tudi semiotici, forse una conseguenza del contatto con i moderni si­ temi di comunicazione e del fascino che esercitano su di noi i meccaìismi sottostanti, si rivelerà qualche cosa di duraturo o un semplice fuoco fatuo? E quando la Kristeva (1963b: 31) ci dice che “la sémiotique ne peut se faire que comme une critique de la sémiotique”, non si sta muovendo ai margini della preterizione? 1. Per una storia della semiotica Come ho osservato in precedenza all’inizio del mio abbozzo diacro­ nico della semiotica (vedi pp. 15-34 e nota 8), “una storia completa di questo campo deve ancora essere scritta”. Tuttavia si stanno facendo alcuni progressi in quella direzione (vedi anche Walther 1974: 9-43), stimolati in particolare da un periodico biennale polacco, ben conce­ pito e di grande utilità (“Studia” 1971, 1973), dedicato interamente alla pubblicazione di testi originali con l’aggiunta di studi secondari e con guide bibliografiche riferentisi ad argomenti storici. Anche se il primo volume era interamente in polacco e per di più è esaurito, il secondo volume contiene un estratto in inglese o in francese di ognuno dei sei articoli, aumentando in tal modo la sua utilità all’estero; (il terzo volume è uscito nel 1976, ma purtroppo non è stata permessa la pubblicazione di altri volumi).

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Per una storia della semiotica Un cenno particolare andrebbe qui fatto ad una notevole raccolta di letture, davvero indispensabile (Rey 1973), che presenta un pano­ rama, di grandissima portata e di ampiezza sconcertante, delle rifles­ sioni semiotiche nel corso dei secoli; i brani scelti sono accompagnati dal commento sempre accurato, lucido e penetrante del dotto com­ pilatore. Questo primo volume si divide in due parti, diseguali sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo: i primi tre quarti del libro danno rilievo alla tradizione filosofica occidentale, da Platone a Comte (cfr. Rey 1971), con un prezioso excursus sull’India, ed una fantasiosa indulgenza ai meravigliosi Cahiers di Valéry, mentre i tre capitoli conclusivi, meno soddisfacenti, sono dedicati alla semiotica del­ le grammatiche universali, con passi tratti da Humboldt, Whitney e John Stuart Mill, per concludere con Bréal e con l’immancabile Saus­ sure. Una caratteristica particolarmente apprezzata del libro di Rey è il suo indice completo delle forme e dei concetti. Chiunque voglia la­ vorare alle radici o alle ramificazioni successive della semiotica non potrebbe fare nulla di meglio che cominciare con questo vademecum, il cui secondo volume coprirà i decenni densi di attività della semio­ tica novecentesca che ‘in realtà’ cominciò con Peirce. (Il secondo vo­ lume del libro di Rey è uscito nel 1976. Molto ben concepito, esso si divide in due sezioni principali, la prima sui fondamenti, la se­ conda sulle considerazioni epistemologiche.) Come suggerì Charles Morris nella sua breve nota su La storia della semiotica (Morris 1971: 335-37), i sedicenti storici dovrebbero cominciare le loro ricerche o attraverso le fonti secondarie più ade­ guate, come le storie della logica che fanno testo (per esempio Bochenski 1956, o Schenk 1973), o di altre discipline particolari, quali la lingui­ stica (Sebeok 1975d) o la medicina (Garrison 1929: 884 sg.); ma se le loro intenzioni sono davvero onorevoli essi debbono certo tornare direttamente alle fonti primarie, di cui un esempio eccellente è il trat­ tato epicureo ‘perduto’ del Philodemus (De Lacy e De Lacy 1941). Uno dei più notevoli pezzi di ricostruzione storica, che certamente avrà degli effetti decisivi sulla nostra prospettiva globale dello svi­ luppo della semiotica, è la realizzazione, da parte di John Deely, di una edizione autonoma del testo del Treatise on signs di Jean Poinsot (1598-1644), che “occupa una posizione praticamente indipendente ed interamente privilegiata” nel gigantesco Cursus Pbilosophicus di questo ecclesiastico iberico (Deely 1974: 850, 1975; Poinsot in prepara­ zione). Poinsot, comunemente noto come Joannis a Sancto Thoma (Ma­ ritain 1943; Herculano de Carvalho 1969; Coseriu 1969: 135 e sg.), si presenta, ad uno sguardo retrospettivo, come colui che stabilì il più solido e durevole legame fra i semioticisti scolastici — un ambiente intellettuale in cui questo acuto pensatore era ancora profondamente di casa — e la nascente dottrina dei segni di cui, mezzo secolo più tardi, nel 1690, John Locke tracciò le linee essenziali e a cui diede un nome (Land 1974: 15; Parret 1975; Kelemen 1976).

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La tela semiotica: una cronaca di giudizi preliminari Un importante saggio, volto a gettare luce sulle posizioni di Locke e di molte altre pietre miliari nel successivo sviluppo della semiotica, è stato di recente pubblicato da Roman Jakobson (1975), il quale, più di chiunque altro, ha tentato di riconciliare tradizioni semiotiche antagoniste, insistendo, al tempo stesso, sul fatto che le variazioni deb­ bono essere chiaramente e criticamente riconosciute all’interno di ciò che è permanente e invariante (su Jakobson e la semiotica, cfr. Eco, in van Schooneveld ed Armstrong 1976). La sua rassegna prende in considerazione l’attività semiotica di Jean Henri Lambert (in connessio­ ne col quale dovrebbe anche essere consultata la dissertazione di Karl Sòder, disponibile in microfilm), Joseph Marie Hoene-Wronski, Bernard Bolzano, Edmund Husserl (su Husserl, specialmente in relazione a Jakob­ son, vedi ora Holenstein 1976: 13-55), Charles Sanders Peirce e Fer­ dinand de Saussure. È precisamente negli scritti di Jakobson che si sono fuse creativamente le due principali tradizioni semiotiche mo­ derne — a cui ho fatto riferimento altrove in maniera telegrafica come allo ‘schema Locke-Peirce-Morris’ di contro allo ‘schema saussuriano’ (vedi cap. 2). D’altro lato, le straordinarie intuizioni dei greci (Weltring 1910) e degli scolastici sono da noi percepite solo debolmente (cfr. Kretzmann 1967), come un mosaico sconnesso con dei rari sprazzi di colore brillante (per il periodo medievale, vedi, per esempio, BursillHall 1971; Pinborg 1972); e perfino personaggi di statura olimpica come sant’Agostino (354-430) (Simone 1972), o Leibniz (1646-1716), giustamente identificato come “una delle principali figure della storia della semiotica, e della sintattica in particolare” (Morris 1971: 336; Dascal 1972, 1975), hanno appena cominciato ad essere apprezzati per il loro proprio valore senza tener conto dei loro predecessori intellet­ tuali (sulla dialettica di Agostino in rapporto alla semiotica degli stoici, vedi, comunque, Pinborg 1962), dei contemporanei o dei successori, nel dispiegarsi del grande arazzo della teoria dei segni. Ciò nonostante, un’autentica orgia di esegesi saussuriane continua ostinatamente a sommergerci. Considerando che, a confronto, ad esem­ pio, con quella di Peirce, “La contribution apportée par Ferdinand de Saussure au progrès des études sémiotiques est évidemment plus mo­ deste et plus restreinte” (Jakobson 1975: VII), questo crescente coro d’adulazione non solo è imbarazzante ma costituisce una vera distor­ sione del reale equilibrio storico (cfr. le note 73 e 139 di De Mauro, in Saussure 1972). La mia supposizione è che il grande linguista sviz­ zero sarebbe rimasto sbalordito di trovarsi spinto nel ruolo “d’initiateur et du précurseur” della semiologia (Mounin 1968: 33), e del tutto sconcertato dalla gaffe, che troviamo in una delle principali opere di consultazione in lingua francese, secondo la quale “Le premier à concevoir cette Science semble avoir été F. de Saussure...” (Prieto 1968: 93). Benveniste (1969) non era cosi ingenuo, e si spera che il libro di Culler (in preparazione) raddrizzerà la bilancia del giudizio storico, come anche Calvet (1975) ha cercato di fare. Ogden e Richards furono forse i primi (1923) ad osservare che

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Per una storia della semiotica “Il tentativo di gran lunga piu elaborato e preciso di fornire un’analisi dei segni e del loro significato è quello di... C.S. Peirce” (Ogden e Richards 1938: 279 [tr. it. p. 313]). Riguardo all’opera di Peirce sulla semiotica, più tardi (1946) Morris notava che: La sua classificazione dei segni, il rifiuto di separare completamente i processi segnici animali da quelli umani, le osservazioni spesso penetranti sulle categorie linguistiche, l’applicazione della semiotica ai problemi della logica e della filosofia, e la generale acutezza delle sue osservazioni e distinzioni fanno della sua opera dedicata alla semiotica una fonte di stimolazione che ha pochi eguali nella storia di questo campo. (Morris 1971:340 [tr. it. 1949, p. 340]) Peirce, un pensatore dotato della capacità di penetrazione di un veg­ gente, resta cosi la mente di gran lunga più geniale della storia della semiotica. C’è inoltre dappertutto un crescente consenso, fra gli stu­ diosi di storia delle idee, “che nessun pensatore dai tempi di Leibniz, nel Seicento, aveva mostrato come Peirce la padronanza di tante disci­ pline diverse, o posseduto una simile ricchezza di idee feconde per col­ tivarle” (Nagel 1939: 183; sull’accostamento a Leibniz, cfr. Fisch 1972). Tuttavia, a causa delle sue sfortunate vicende biografiche (a cui si fa cenno in varie recensioni esemplari [per es., Nagel 1939], do­ vute a problemi derivanti dalla sua natura, dal suo carattere e dal suo stile di vita), il suo nome e le sue qualità sono ancora relativamente sco­ nosciute e, incredibilmente, finora è stata pubblicata (Peirce 1963-66) solo circa una metà della sua vasta eredità di scritti, che sono di una densità probabilmente unica al giorno d’oggi. In gran parte sulla base dei Collected papers (il cui titolo è fuorviarne) è stata prodotta una letteratura secondaria di circa cinquanta libri ben informati — alcuni dei quali specificamente dedicati alle sue riflessioni sulla semiotica (per esempio Greenlee 1973, Savan in preparazione) — e di forse mille o più articoli; un buon numero di questi è apparso nella serie del primo delle “Transactions of thè Charles S. Peirce Society”. Questa cronaca non è certo il luogo più adatto per dilungarsi sul­ l’intricata storia di Peirce e sulla sua eredità filosofica; basta ricordare che l’oblio scandaloso in cui è stato tenuto, fortunatamente sta ormai per essere superato nell’ambito del Centro di studi americani dell’Uni­ versità dell’Indiana, costituito di recente a Indianapolis; (l’Istituto di studi sul pragmatismo, che è stato attivo per parecchi anni all’Uni­ versità Tech del Texas, continuerà indubbiamente a contribuire al pro­ gresso della conoscenza di Peirce, collaborando concretamente in vari modi con il Centro dell’Università dellTndiana). In primo luogo nel programma del Centro c’è la preparazione di un’edizione completa in quindici volumi, con note e indici, degli scritti di Peirce in ordine cro­ nologico (l’opera omnia ancora da pubblicare), comprendente la sua biografia con altra letteratura secondaria, con i tipi dellTndiana Uni­ versity Press. La direzione è affidata a Max H. Fisch, l’unico biografo qualificato di Peirce, coadiuvato da Edward C. Moore, un eminente specialista del pragmatismo. Il programma è esplicito nel suo impegno

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La tela semiotica: una cronaca di giudizi preliminari semiotico: “La nuova edizione renderà disponibile le sue opere sul­ l’argomento, non ancora pubblicate, a cui egli lavorò per tutta la vita consacrata a tali studi”. In questo modo, cominciando lentamente a cancellare una vergogna nazionale, daremo uno dei nostri principali contributi alla celebrazione del Bicentenario, punteggiata da varie altre cerimonie di riguardo — e, si spera, di progresso della cultura semio­ tica — all’Università Johns Hopkins (in cui Peirce era stato lettore per cinque anni): la sezione "Pragmatismo e semiotica" in “C.S. Peirce Bicentennial International Congress”, Amsterdam, 16-20 giugno 1976. Se Peirce fu la vera sorgente della semiotica contemporanea, il gigante, ancora in vita, che, nel complesso, gode della maggiore in­ fluenza e venerazione — inoltre uno i cui risultati sono considerati già come un episodio senza pari nella storia della materia — è Charles Morris. I suoi scritti sull’argomento sono in fin dei conti tutti dispo­ nibili in un volume unico (Morris 1971), e si è sviluppata una vera e propria industria multinazionale che lavora a produrre spiegazioni cntiche o analisi della sua teoria dei segni (per esempio Apel 1973, oltre all’ultimo libro [1975a] e all’articolo [1975b] di Rossi-Landi, e un fiume di dissertazioni, fra cui le piu utili che ho trovato sono Eakins [1972] e Fiordo [1976]). Interessanti problemi che debbono ancora essere affrontati si concentreranno certamente sui profondi rapporti di Morris con George Herbert Mead (1863-1931) (Miller 1973; Kang in preparazione), la cui psicologia sociale aveva un chiaro orientamento semiotico (se ne può ritrovare un’evidente risonanza, ad esempio, ne­ gli autorevoli libri di Erving Goffman); e, d’altra parte, la sorpren­ dente indipendenza intellettuale di Morris nei confronti di Peirce, no­ nostante la definitiva convergenza terminologica, peraltro superficiale (cfr. Dewey 1946; e la replica di Morris, 1971: 444-48). Facendo un’osservazione del tutto personale, vorrei cogliere l’oc­ casione per riconoscere pubblicamente la fortuna che ho avuto ad im­ battermi per la prima volta nella semiotica ad un seminario di Morris all’Università di Chicago, all’inizio degli anni Quaranta — precisamente a metà strada fra i Foundations of thè theory of signs (1938) e Signs, language and hehavior (1946). Ho così avuto il singolare, e molto probabilmente unico, privilegio di aver studiato sia con Morris che, non molto dopo, con Jakobson, i quali proprio in quegli anni si erano profondamente influenzati a vicenda. È ovvio che l’ondata semiotica che nel decennio passato si è river­ sata sulle arti e le scienze ha agito su ognuna di esse in misura diffe­ rente. Ho sentito dire, ad esempio, che le possibilità di applicare la teoria dei segni al cinema (cfr. p. 42, nota 63; Bellour e Metz 1971; Metz 1974) sono già esaurite; (a dire il vero, la vacuità dell’ultimo film di Michelangelo Antonioni, Professione: reporter, è stata attribuita ad un autore del copione “che aveva la mania della semiologia, la scienza dei segni” [cfr. Simon 1973: 16]) — ma, come mostrano i fatti, ciò è stato dovuto ad un assurdo fraintendimento della vera sequenza degli

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Per una storia della semiotica eventi. D’altro lato, Kowzan, nel libro per il quale ha vinto un premio (1975: 173) ha osservato che “Le setti geme de spectacle qui... a été abordé scientifiquement du point de vue sémiologique, est Vart du cinéma”, che conferma “en mème temps le besoin d’une ouverture sémiologique sur Vart théatral, la nécessité de considérer le spectacle du point de vue de la sémiologie”. Anche se l’affermazione di Kowzan è esagerata — egli evidentemente non è a conoscenza degli studi pio­ nieristici di Bouissac (1976), o di quelli, su spettacoli completamente diversi, della Rector (1975) — e perfino la semiotica del teatro è lungi dall’essere terreno vergine (Todorov 1971; Helbo 1974 [nota bene la nota con asterisco a p. 359], 1975; De Marinis e Magli 1975; e un’opera che, una volta tradotta, avrà delle conseguenze incalcolabili, Osolsobé 1974), il suo punto di vista è molto sintomatico. Questo per me significa che sono ancora prematuri i giudizi ‘storici’ sul successo o fallimento della prassi semiotica nella maggior parte delle branche del comportamento e della cultura. Come valutano i medici l’opinione di un collega su “la necessità, per la medicina, di una teoria dei segni” (Crookshank 1923: 354; cfr. Lewis 1970)? Come reagiscono gli stu­ diosi di scienze sociali quando uno degli antropologi piu equilibrati e stimati del mondo annuncia che il concetto di cultura che egli espone e la cui utilità tenta di dimostrare “è essenzialmente un concetto se­ miotico” (Geertz 1973: 5), e quando uno dei suoi giganti classifica l’antropologia come la disciplina “che occupa a pieno diritto il campo della semiotica” (Lévi-Strauss 1973: 18)? Che cosa ne fanno i logici dell’asserzione intransigente di Carnap (1942: 250) che “il compito della filosofia è Vanalisi semiotica”? Che effetto fa agli etologi sentire il pressante appello di un grande studioso di psicologia animale, affin­ ché gli esperimenti cruciali siano ripetuti “unter dem Gesicbtpunkt moderner Kommunikationslehren, besonders auch der Semiotik” [dal punto di vista delle moderne discipline della comunicazione, in parti­ colare anche della semiotica] (Hediger 1970: 178; cfr. Hediger 1974: 29, 37), o gli argomenti addotti per mostrare che il loro oggetto di studio, in ultima analisi, è difficilmente qualche cosa di piu che un caso speciale di semiotica diacronica (Sebeok 1975a: 85-95)? E, in­ fine, i linguisti si rendono conto della verità e delle gravi implicazioni che hanno per il futuro delle scienze del linguaggio le osservazioni strategiche di Nida (1975: 13) sull’importanza “che la lingua venga vista nella più vasta prospettiva della semiotica, poiché il ruolo del significato all’interno della lingua potrebbe essere apprezzato solo guar­ dando ad essa come ad un sistema simbolico” e sulla necessità di aver meglio presenti “le fondamentali intuizioni di Peirce”, dal momento che alcuni dei suoi concetti sono “basilari per la comprensione della lingua quale sistema semiotico capace di spiegare la sua stessa simbo­ lizzazione”? (vedi anche Sebeok 1977c). Con queste domande si vuol dare un anticipo dei termini in cui si svolgeranno i futuri dibattiti al­ l’interno della semiotica, come pure qualora si consideri la filiazione logica della materia in esame e la sua collocazione nell’ordine gerar-

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La tela semiotica: una cronaca di giudizi preliminari chico prevalente fra le scienze dell’uomo. L’orientamento verso la de­ finizione del pensiero semiotico nel quadro biologico e antropologico di una teoria dell’evoluzione rappresenta comunque, almeno a mio giu­ dizio, la sola corrente autenticamente nuova e considerevolmente di­ stica negli sviluppi novecenteschi di questo campo di studi; i maggiori progressi in questa direzione sono dovuti all’immaginazione grandiosa del grande topologista francese René Thom (1974, specialmente il cap. XI), ma dovrebbero essere elaborati dettagliatamente e completati, su parecchi fronti, come ho accennato altrove (Sebeok 1977b).

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2. Sulla rettificazione dei termini

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La semiotica deve essere sicuramente una delle poche province del sapere in cui gli stessi addetti ai lavori non sono riusciti a mettersi d’accordo, neppure su come chiamare la loro disciplina.1 Il fatto che ci siano buone ragioni storiche per questo stato di cose, che io ho tentato di tracciare e in qualche misura di spiegare (cfr. cap. 2; e Arrivé 1974: 28), è una magra consolazione per il profano ed è im­ barazzante anche per il professionista. Il problema comunque non co­ mincia né finisce qui. Nello schema di Jakobson, come in molti altri (vedi p. 13; Prieto 1975: 125-41, ecc.), alla semiotica viene assegnato un posto interamente o almeno parzialmente “all’interno della scienza totale della comunicazione” (Jakobson 1974: 36) — ma allora ‘comu­ nicazione’ è preso come un termine primitivo, non definito. Questo, a sua volta, conduce ad ulteriori, gravi difficoltà, che hanno ostacolato notevolmente sia alcuni psicologi (per esempio Burghardt 1970) che 1 Un confronto istruttivo, ad ogni modo, è ripreso da Stent (1969: 35-36) dalle scienze naturali: “Per definire il suo approccio alla comprensione dei processi della vita, Astbury coniò il termine biologia molecolare. Sebbene Astbury, nel decennio successivo, facesse un’energica propaganda in favore di questo termine, esso impiegò molto tempo a trovare un’accoglienza favorevole. Durante tutto il periodo romantico, ad esempio, nessun membro del gruppo Phage pensava o faceva riferimento a se stesso come ad un ‘biologo molecolare’, per l’ottima ragione che allora la struttura aveva ai loro occhi un ruolo periferico quanto la genetica agli occhi degli analisti strutturali. Infatti il gruppo ‘Fago’ (gruppo addetto allo studio dei virus batterici o batteriofagi, detti anche ‘fagi’ [N.

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Indice dei nomi

Aaron, R.L. 53 Abramian, L. 118 Adey, W. Ross 14 Agostino, san 99, 138, 144 Agrest, Diana 163 Alatis, James E. 169 Albrecht, Erhard 16 n, 34 n, 156 Alexander, Richard D. 85 Alexandre, Pierre 181-2 Alsop, Stewart 169 Altan, Henri 101, 105 Altmann, Stuart A. 36 n, 48 n, 67, 84, 132, 138 Andrade, Manuél J. 26 Andrew, R.J. 70, 85 Anozie, S.O., 176 Antonioni, Michelangelo 146 Apel, Karl-Otto 146 Arbib, Michael A. 50, 131 Ardener, Edwin 61 Ardrey, Robert 114 Argyle, Michael 150, 152, 168 Aristotele 12, 15, 20 n, 124 Armstrong, Daniel 144 Armstrong, Edward A. 51 n, 87, 109-10 Arnauld, Antoine 16, 17, 120 e n Arrivé, Michel 148 Asclepiade (di Bitinia) 15, 121 Astbury, W.T. 148 n Auden, Wystan Hugh 84 Auzias, Jean-Marie 46 n Ayala, F.J. 43 n Bach, Emmon Bach-Y-Rita, Paul 39 n, 78 Back, Kurt W. 161 Backus, Richard H. 51 n, 134

Bacone, Francesco 16 Bacone, Ruggero 64 Baird, George 60 Baldassare, Mark 152 Bally, Charles 35 n, 50 n, 115 Bang, Preben 128, 202 Bar, Eugen 43, 154, 163, 171, 176 Bar-Hillel, Yehoshua 37 n, 42 n, 80, 127 Barthes, Roland 22, 29, 33, 59-60, 63 n, 68-9, 84, 120-21, 123, 142, 154-56, 171, 174 n Barthez, P.J. 160 Bastian, Adolf 63 Bastian, Jarvis 43 n Bastide, Roger 46 n Basto, Claudio 170 Bateson, Gregory 15, 31 e n, 36 n, 64, 75, 125 Bateson, Mary Catherine 31, 42 n, 56, 67, 69, 71 n, 162, 171 Baumann, H.-H. 46 Bayrav, S. 34 n Beadle, George 86 Beadle, Muriel 86 Bellert, Irena 154 Bellour, Raymond 146 Bellugi, Ursula 25 Bendix, Edward Herman 47 n Bense, Max 19, 54, 153, 157 Bentham, Jeremy 16, 23 Benveniste, Emile 20, 33 e n, 34 n, 144 Berkeley, George 16 Bertin, Jacques 157 n Bettetini, Gianfranco 42 n, 172 Bierwisch, Manfred 30, 34 n, 46 n, 47 n Bilz, Rudolf 39 n, 78 Birdwhistell, Ray L. 41, 70, 79, 152

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Indice dei nomi Black, Max 43, 149 Bleibtreu, John N. 14, 205 Bloomfield, Léonard 22, 26, 35 n, 50 n, 84, 116 Blum, Lucilie Hollander 171 Blurton, Jones N. 92, 168 Boas, Franz 151 Bochenski, J.M. 25, 56, 143 Bogatyrev, Petr 154 Bolinger, Dwight 50 n Bolzano, Bernard 144 Bonfante, Giuliano 109 Bonner, John T. 14 e n Boole, George 16 Bosmajian, Haig A. 149 Bouissac, Paul A.R. 34 n, 43, 80, 84, 147, 159, 163 n, 176 Brain, Lord 18 n Brannigan, Christopher R. 168 Brault, Gérard J. 169 Bréal, Michel 19 n, 56, 143 Brekle, Herbert E. 17, 120 n Breland, Keller 91 Breland, Marian 91 Bremond, Claude 174 Brilliant, Richard 159 Britton, Karl 35 n, 115 Bronowski, Jacob 25, 47 n, 115, 132 Brower, Jane van Zandt 14 n, 76 Brewer, Lincoln P. 14 n, 76 Brown, Jenam L. 108, 110 Brown, Roger 25, 47 n, 49 n, 120 Brudny, A.A. 118 Brun, Theodore 157 n Buhler, Karl 35 n, 49 n, 55, 108, 116, 118 e n, 122, 159, 170 Burghardt, Gordon M. 148 Burke, Kenneth 43, 50 n Burkhardt, D.W. 49 n, 119 Burks, Arthur W. 17, 20, 48, 115, 180 Bursill-Hall, Geoffrey L. 15 n, 127, 144 Busnel, René-Guy 84, 114, 186 Buyssens, Eric 28-29 e nn, 35 n, 59, 116, 133, 155-6, 160, 177-9, 184 Callimaco 37, 76 Calvet, Louis-Jean 144, 156 Carnap, Rudolf 16, 26, 46 n, 50 n, 55, 67, 115, 127, 129, 147, 149 Carpenter, Clarence R. 48, 119 Carpenter, Edmund S. 36, 76

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Carrington, John F. 180, 182 Carroll, John B. 43, 47 n Cassirer, Ernst 43, 50 n, 88, 129 Caughley, Ross C. 183 n Caws, Peter 47 n, 137 Celan, Eugen 123, 171 Cervenka, Edward J. 169 Chafe, Wallace 31 n Chao, Yuen Ren 130 Charbonnier, Georges 63 Charlesworth, William P. 168 Cherry, Colin 130 Chevalier, Jean 157 n Chomsky, Noam 29, 30, 33 n, 46 n, 65, 70, 152 Chouchan, Gerard 100 n Chwistek, Leon 55 Cicerone, Marco Tullio 53 Ciolek, T.M. 160 Clark, B.F.C. 72 Clark, Herbert H. 44 n, 47 n Gasse, André 183 n, 186 Clastres, Pierre 81 Clerk, Christian 142 Coates, W.A. 180 Cocchiara, Giuseppe 170 Cohen, Jonathan 34 n Comte, Auguste 143 Cope, Jackson I. 166 Coquet, Jean-Claude 152 Corti, Maria 142 Corvino, Joseph 14 n, 76 Coseriu, Eugenio 44 n, 46 n, 47 n, 51 n, 131, 143 Count, Earl W. 48 n, 57, 117 Courant, Richard 170 Cowan, George M. 186 Cowan, Marianne 66 Créqui-Montfort, Georges de 158 n Crick, Francis H.C. 72, 148 n Crisippo 52 Critchley, Macdonald 151, 153 n Croneberg, Cari G. 109 Crookshank, F.G. 23, 121, 147, 171 Crusoe, Robinson 18, 127 Crystal, David 149 Culler, Jonathan 144 Cuvier, Georges 65 Dahistrom, Preben 128 Dante, Alighieri 44, 113

Indice dei nomi Da Ponte, Lorenzo 80 Darley, Frederic L. 65 Darwin, Charles 49 n, 70-1, 84, 86, 121-22, 136, 161, 168 Dascal, Marcelo 144 Davidson, Donald 46 n Davis, Flora 149, 152 Davis, Martha 159-60 Deely, John N. 143 DeLacy, Estelle 143 DeLacy, Phillip 143 Delbriick, Max 148 n De Marinis, Marco 147 De Mauro, Tullio 41 n, 79, 144 De Vries, Ad. 157 n Dewan, Edmond M. 36 n, 76 Dewey, John 146, 159 Dijk, Teun A. van 34 n Diogene, Laerzio 52 Donato, Eugenio 46 n Donne, John 167 Dreyfuss, Henry 157 n Droste, Frederik G. 172 Dubois, Jean 157 Duchenne, Guillaume Benjamin 159 Ducrot, Oswald 46 n, 157 Dummett, Michael 154 Duncan, Hugh D. 43 n

Eschbach, Achim 158 Esopo 140 Evans, William E. 43 n Even-Zohar, Itamar 153

Faccani, Remo 32 n, 156 n Fages, J.-B. 46 n Fast, Julius 152 Fedorenko, N.P. 154 Feigl, Herbert 22 n Feller, Susan 152 Ferguson, Dianna 169 Fillmore, Charles J. 127, 167 Fiordo, Richard Anthony 146, 155, 176 Firchow, Evelyn Scherabon 73 Firth, Raymond 154 Fisch, Max H. 54 n, 145, 166 Fischer-Jorgensen, Eli 29 Fitzgerald, John J. 17 n Fleming, Ilah 31 n Fokkema, Douwe W. 156 n Fónagy, Ivan 34 n Foucault, Michel 121, 171 Fox, Robin 64 Frank, Lawrence K. 69 Frantz, M. 186 Frazer, James G. 40 n, 78, 126 Frege, Gotdob 16 e n, 45 n, 115, 154 Frei, Henri 27 n, 50 n, 114, 127 Fresnault-Deruelle, Pierre 142 Eakins, Barbara Westbrook 146, 155 Eco, Umberto 10, 32 n, 33 n, 34 n, 61, Freud, Sigmund 42, 43 116, 124, 144, 156 n, 157-8, 160-61, Friedmann, Herbert 37 n, 128 165, 174 n, 176 Friesen, Wallace V. 41 n, 130, 138, 151 Efron, David 130, 151, 169 Frisch, Joseph C. 129 Egger, V. 36 n Frisch, Karl von 87, 89, 107-8, 128 Ehrmann, Jacques 46 n Eibl-Eibesfeldt, Ireniius 70, 85, 95, 97, 169 Galanter, Eugene 43 Eilers, Franz-Josef 37, 183, 186 Gale, R.M. 127 Eimermacher, Karl 156 n Galeno, Claudio 10, 52, 121, 171 Eisenberg, Abne N. 149 Gamkrelidze, Thomas V. 163 n Eisenstein, Sergei M. 84 Gandelsonas, Mario 60, 163 n Ekman, Paul 41 n, 130, 138, 151, 169 Gardiner, Alan H. 35 n, 116 Enesidemo 15 n Gardner, Beatrice T. 25, 168 Engel, Johann Jakob 159 Gardner, Martin 49 n Engler, Rudolf 28 n, 51 n, 131 Gardner, R. Alien 25, 97-8, 168 Ennion, Eric A.R. 128 Garrison, Fielding H. 143 Entwisle, Doris R. 159 Garroni, Emilio 42 n Erasistrato 15, 121 Geckeler, Herst 44 n, 46 n Erofilo 15, 121 Geertz, Clifford 147, 154 Ervin, Susan M. 47 n Geldard, Frank 38 n

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Indice dei nomi Genette, Gérard 22 n Geninasca, Jacques 33-34 nn Geoffroy-Saint-Hilaire, Etienne 85 Geoffroy-Saint-Hilaire, Isidore 85 Gerard, Ralph 35, 74, 97, 134 Gheerbrant, Alain 157 n Giedion, Sigfried 40, 78 Gilliard E. Thomas 39, 78 Glasersfeld, Ernst von 149 Glass, David C. 64 Godei, Robert 21-22 nn, 22 n, 50 n, 59, 114, 217, 244 Goffman, Erving 130 n, 134, 146, 150 Golopentia-Eretescu, Sanda 59 Gomperz, Heinrich 16 e n Gorn, Saul 13 n, 75, 92 Grace, George W. 110 Graham, Jean Ann 150 Grassi, Letizia, 41 n, 79 Gratiolet, Louis Pierre 159 Green, Jerald R. 79, 169 Greenberg, Joseph H. 24, 26, 65 Greenlee, Douglas 145 Greimas, Algirdas J. 30 n, 33, 34, 46 e n, 63 n, 162, 164 Griffin, Donald R. 37, 76 Grossman, Reinhardt 45 n Guiraud, Pierre 59, 141, 157 Gutiérrez López, Gilberto A. 157

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Haas, Willy 114 Hadas, Moses 37 n, 76 Haldane, J.B.S. 25, 131 Hall, Edward T. 69, 71, 152-53 n Hall, K.R.L. 38 n Hamilton, Allan McLane 61-2 Hamp, Eric 141 Harrison, Randall P. 150 Hass, Hans 70 laugen, Einar 73 e n, 74 ayes, Alfred S. 31 e n, 56, 67, 69, 71 n, 159, 171 ayes, Francis C. 162 ediger, Heini 14 n, 37, 48 n, 49, 84, 91, 98-9, 122-23, 138, 140, 147 Helbo, André 147 Hendricks, Gordon 160 Herculano de Carvalho, José G. 143 Hermes, Hans 54 Hervey, S.G.J. 29 Hess, Eckhard H. 151

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Hewes, Gordon W. 158 Hill, Archibald A. 52, 55-6, 60-1 Hill, Jane H. 112 Hinde, Robert A. 66, 149-50, 168 Hinton, H.E. 138 Hiz, Henry 33-34 nn, 163 n, 174 n Hjelmslev, Louis 22 n, 26, 29, 30 e n, 35 n, 40 n, 46 n, 60-1, 79, 116, 121, 155 Hobbes,, Thomas 16 Hockett, Charles F. 14 n, 48 n, 138 Hoene Wrenski, Joseph Marie 144 Hofstadter, Albert 43 n, 82 Holenstein, Elmar 144 Hollander, John 131 Hooff, J.A.R.A.M. van 85, 151 Hoppal, Mihaly 164 Horanyi, Ozséb 63 n, 107, 142, 163 n Hotopf, W.H.N. 24 Hrushovski, Benjamin 34 n, 153 Hudson, R.A. 157 Huggins, W.H. 159 Humboldt, Wilhelm von 43, 66, 111, 143 Hume, David 16 Humphries, David A. 168 Husserl, Edmund 10, 16 e n, 45 n, 54, 115, 133, 144 Hutt, Clelia 29 n Huxley, Aldous 142 Huzley, Julian 78, 85, 93, 97, 132, 135 Hymes, Dell 43 e n

Icas, M. 14 Ikegami, Yoshihiko 172 Imre, Samu 113 n Ippocrate 121, 170 Ivanov, Vjaceslav V. 32 n, 81, 84, 164

Jackson, John Hughlings 61 Jacob, Francois 95, 100 n, 132 n Jakobson, Roman 12, 15 n, 18, 21, 335 nn, 38 n, 41, 43 n, 49 n, 50 n, 56, 62, 67, 72, 79, 95, 100 n, 101, 104, 114-15, 122, 124, 127, 144, 146, 148, 151, 162, 164, 176, 178-79, 181-82 Jaulin, Robert 142 Jazayery, Mohammad Ali 52 n Jencks, Charles 60 Jervis, Robert 138, 172

Indice dei nomi Jespersen, Otto 50 n, 127 Joào de Sao Tornasi vedi Poinsot, Jean Johnson, Pamela Hansford 86 Joos, Martin 55 Jorio, Andrea de 159 Jourdain, Monsieur 31, 85, 148 n Jung, Cari G. 43

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Kahn, David 14 n, 37 Kahn, Theodorc C. 50 n, 130 Kainz, Friedrich 48 n, 137 Kang, Wook 146 Kantor, Jacob R. 50 n, 130 Katz, David 138 Katz, Ierrold J. 47 n, 65, 96 Katz, Solomon H. 101, 103-4 Kauffman, Lynne 152 Kaufmann 183 Kawamoto, Shigeo 34 n Kees, Weldon 149-50 Keeskemeti, Paul 48-9 nn, 117, 120, 132 Kelemen, Jénos 143 Kendon, Adam 150-51 Ketner, Kenneth-Laine 153 Key, Mary Ritchie 160 Kierkegaard, Soren Aabye 30 Kipling, Rudyard 139 Klages, Ludwig 159 Klaus, Georg 156-57 Kleinpaul, Rudolph 21 n, 37, 54, 12122, 150 n, 159, 170 Kloesel, Christian J.W. 153 Kloft, W. 49, 126 Kluckhohn, Clyde 32 n, 64 Knapp, Mark L. 149 Knappert, Jan 186 Koch, Christian 165 Koch, Walter A. 157 Koestler, Arthur 74, 134 Kooij, M. 38 n Kortland, Adriaan 38 n Kowzan, Tadeusz 147 Krampen, Martin 157 n Krenn, Herwig 47 n Kretzmann, Norman 52, 144 Kreutzer, Mary Anne 168 Kristeva, Julia 32-34 nn, 57, 60-1 69, 142, 152, 157, 174 n Kroeber, Alfred L. 32 n

Krueger, John R. 14 n Kuckuk, Erwin 91 Kuhn, Thomas 11 Ku11, I.G. 168 n LaBarre, Weston 31 Labov, William 110-11 Lacan, Jacques 43, 127 n Laferrière, Daniel 175 Lamb, Sydney M. 31 n, 55 Lambert, Jean Henri 16, 53, 54 e n, 144 Lancelot, Claude 16 Land, Stephen K. 143 Landar, Herbert 130 Lane, Michael 46 n Langer, Susanne K. 43, 50 n Lange-Seidl, Annemarie 43 n Latif, Israil A. 152, 168 Lawick-Goodall, Jane van 38, 51 n, 77, 134 Laziezius, Gyula 107 e n, 108, 112 LeBoeuf, Burney J. 109 Lehàr, Franz 41 Leibniz, Gottfried Wilhelm 16, 64, 14445 Lenhart, Margot D. 167 n Lenneberg, Eric H. 35, 65, 136-37 Leonardo da Vinci 124 Lévi-Strauss, Claude 13, 33, 63-4, 68-9, 73, 100 n, 131-32, 147 Lewis, C.I. 50 n, 129 Lewis, Kathleen 147, 165, 171 Leyhausen, Paul 48 n L’Héritier, Philippe 100 n Liapunov, A.A. 72 Lieb, Hans-Heinrich 17 n, 34 n Lindekens, René 34 n, 154 Lloyd, James E. 114, 140 Locke, John 9, 16, 17, 22, 52-3, 55, 57, 60, 66, 75, 83, 92, 120 n, 136, 143-44, 170 Loewenstein, W.R. 74 Lorenz, Konrad 10, 48 n, 65, 125 Lotman, Jurij M. 32 e n, 33 n, 34 e n, 57, 68-9, 113 n, 117, 156 n, 172, 174 Lotz, John 38, 41, 55, 77, 79, 159 Lowie, Robert H. 64 Ludskanov, A. 33-34 nn

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Indice dei nomi Luria, A.R. 18 n, 127 Luria, Salvador E. 95 Lurker, Manfred 132 Lyons, John 46 n, 50 n

V

McCawley, James D. 47 n McCulloch, Warren S. 50, 131 McGrew, W.C. 168 MacKay, Donald M. 34 n, 43, 149 Macksey, Richard 46 n, 166 McNeill, David 25 Magli, Patrizia 147 Mahl, George F. 31 Mahmoudian, Mortéza 35 n Maldonado, Tomas 153, 166 n Malinowski, Bronislaw 23 n Mallery, Ganick 160 Malmberg, Bertil 34 n, 157 Maison, Lucien 132 Mannoury, G. 55 Mar, Timothy T. 152 Maranda, Pierre 63 n Marcker, KA.. 72 Marcus, Solomon 123, 163 n, 164, 171 Marey, E.-J. 160 Marin, Louis 163 n Maritain, Jacques 143 Marler, Peter 25-26, 51 n, 67, 70, 84, 100 e n, 110 Marr, N. Ja. 65 Marshall, Alexander J. 39 n Martinet, André 35 n, 157 Martinet, Jeanne 157 Massin 157 n Masters, Roger D. 15, 100 e n Matson, Floyd W. 36 n Mayenowa, Maria Renata 33, 57, 68 Mead, George Herbert 146 Mead, Margaret 31, 32, 56, 60, 67 Meader, Clarence L. 151 Meetham, AJR.. 157 Mehrabian, Albert 149-50 Meibomio, Marcus 53 Meiland, Jack W. 122 Meinhof, Karl 179 Meletinskij, Eleazar M. 46 n, 57, 117 156 n Meltzer, James D. 170 Menzel, E.W., Jr. 102-3 Metz, Christian 42 n, 80, 146, 172, 175 Miko, F. 34 n

228

Mill, John Stuart 45 n, 115, 143 Miller, David L. 146 Miller, George A. 43 n Miller, Robert L. 43 Moles, Abraham A. 69, 84, 157 Monod, Jacques 95, 101, 104-5 Montagu, Ashley 36 n, 152 Montague, Richard 149, 171 Moore, Edward C. 145 Morawski, Stefan 20 n Morin, Edgar 94 n, 106 n Morris, Charles William 10, 12, 15 n, 16, 17 n, 21, 22-3 nn, 24-5 e nn, 26-7, 35 n, 40-1, 51 c n, 54-7, 60, 67, 78-9, 83, 92, 116-17, 133, 136, 138, 143-46, 149, 155-56, 163, 166, 168, 170, 173 Mounin, Georges 29 n, 59-61, 144, 15657 Mozart, Wolfgang Amadeus 80-1 Mulder, J.W.F. 29 Miiller, Fritz 90 n Miiller, Klaus 47 n Munn, Nancy D. 116 Murdock, George P. 64 Muybridge, Eadweard 160 Muyskens, John H. 151 Nagel, Ernest 9, 145 Nattiez, Jean-Jacques 163 n, 173 Naville, Adrien 22 n, 59, 107 Nekes, P. Hermann 179, 183 n Nelson, Lowry, Jr. 149, 153, 165 Nickel, Gerhard 169 Nicole, Pierre 17, 120 e n Nida, Eugene A. 47 n, 147 Nissen, Henry W. 25, 84 Nketia, JH.K. 186 Noreen, Adolf 55 Northrop, F.S.C. 81 Nòth, Winfried 154, 157 Nottebohm, Fernando 100 e n, 110-11 Oberlin 165 O’Brien, James F. 40 n Ogden, CX. 15 n, 16 n, 17 n, 19 n, 23 e n, 24, 35 n, 54, 115, 144-45, 170 Ohlin, Peter 154 Ohm, Thomas 154 Oseretzky, N. 160

Indice dei nomi Osgood, Charles E. 27 n, 47 e n Osmond-Smith, David 173 Osolsobé, Ivo 34 n, 40 n, 147, 162, 163 n, 164 Osten, von 92 n Ostwald, Peter F. 31, 49 n, 120, 171 Pagnini, Marcello 173 Paolo, san 161 Papp, Ferene 32 n Paré, Ambroise 58 Parkinson, Frank 29 Parret, Herman 143 Paul, Hermann 45 n, 56, 115 Pawlowski, T. 32 n Pazukhin, Roscislaw 117-19 Peacock, James L. 43 n Peano, Giuseppe 16 Pedersen, Holger 65 Peirce, Charles Sanders 9, 11, 16 e n, 17 e n, 18-20 e nn, 21-4, 26, 36 n, 45, 48, 49-50 nn, 53, 54 e n, 55-7, 60, 67, 83, 88, 92, 99, 114-15, 119, 123-25, 127, 136, 138, 142-47, 15455, 158, 165-67, 170, 179 e n, 180 e n Pelc, Jerzy 27, 34 e n, 57, 163 n, 164, 174 n Peterson, Richard S 109 Pfeitfer, John E 25, 48 n, 139 Pfungst, Oscar 92 n Philips, Herbert P 47 n Piaget, Jean 46 n PiatteÙi-Palmarini, Massimo 94 e n, 96, 106 n Piderit, Th. 159 Pignatari, Decio 34 n, 59 Pinborg, Jan 144 Pitts, Walter 50, 131 Pjatigorskij, Alexander M. 32 n Platone 15, 143 Pléh, Csaba 142 Pohl, Jacques 27 n, 114, 155 (Joannis a Sancto Thoma) Poinsot, Jean Poiret, Maude 152 Polomé, Edgar C. 5233 nn Pomorska, Kryatyna Pop, Mihai 34 n,

Postai, Pf % Q Postgate, J-

Pottier, Bernard 157 Pouillon, Jean 63 n Poyatos, Fernando 170 Praz, Mario 131 Premack, David 96, 98-9, 101, 103, 105 Pribram, Karl 43 n Prieto, Luis J. 13 n, 21 n, 28 n, 144, 148, 156-57 Propp, V. Ja. 46 n Pumphrey, R.J. 71, 136 Quine, Willard van Orman 45 n Quintiliano 41 n Ramsay, Alexandra 49 n Rastier, Francois 142 Read, Alien Walker 54-5 Rector, Monica 147, 153 Reichenbach, Hans 50-1 nn, 127, 129, 132 Reisig, Karl 55 Resnikow, Lasar Ossipowitsch 13 n, 48 n, 54, 156-57 Revzina, Olga G. 113-14, 136, 156 Rey, Alain 46 n, 58 n, 143 Rey-Debove, Josette, 34 n, 157, 162 Rice, Charles E. 168 Richards, Ivor A. 15 n, 16 n, 17 n, 19 n, 23 e n, 24, 35 n, 45 n, 54, 114-15, 144-45, 170 Rijnberk, Gérard van 160 Rivet, Paul 158 n Robert, Paul 58 Roberts, Don D. 49 n, 124 Rommetveit, Ragnar 167 Rosetti, Alexandru 137 Rossi, Aldo 34 n Rossi-Landi, Ferruccio 24, 43 n, 146, 154, 155 Rowell, Thelma 90, 132, 134 Ruesch, Jurgen 36 n, 49 n, 120, 149, 151, 171 Ruppell, G. 48 n, 139 Russell, Bertrand 16 e n, 35 n, 116, 127 Russell, L.J. 53 Russell, Patrick J., Jr. 158 n Ruwet, Nicolas 34 n, 69, 173, 174 n Ryle, Gilbert 46 n

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! i Indice dei nomi

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Safouan, Moustafa 46 n Saitz, Robert L. 169 Sanders, Gary 99 e n, 115 Sapir, Edward 43, 177, 179 Sarah 98 Saussure, Ferdinand de 10, 21-2 e n, 23, 26-7, 28 n, 35 n, 44, 45 n, 50, 57-9, 67, 84, 85, 107, 113, 115-16, 131, 142-44, 155-56, 165, 170 Savan, David 145 Schaeder, Burkhard 46 n Schaff, Adam 13 n, 16 n, 44 Schaller, George B. 38 n Schapiro, Meyer 33 n, 154, 174 n Scheflen, Albert E. 150, 152 Schenk, Gunter 143 Scherer, Klaus R. 149, 161 Schevill, William E. 51 n, 134 Schlegel, Friedrich von 65 Schleicher, August 112 Schmidt, Siegfried J. 46 n Schnapper, Melvin 169 Schooneveld, C.H. van 144 Schuchardt, Hugo 63 Schulze, Gene 31 Schutzenberger, Marco 105 Schwimmer, Erik 163 n Scully, Malcolm G. 167 Sebeok, Thomas A. 13 n, 18, 25, 31, 33 e n, 34-5, 37, 38-9 nn, 41 n, 45, 49 n, 56, 61, 63 n, 64-5, 67-70, 71 e n, 72, 75, 77, 79-80, 83 n, 94-5 e n, 100 n, 101, 103-5, 107-9, 114-16, 119, 122, 124-25, 126 e n, 128, 133, 13536, 141, 143, 147-9, 151-2, 157-58 n, 159-60, 162, 163 n, 164, 168, 171, 175, 177 e n, 179-80 e n, 181, 183 e n, 184, 186 Sechehaye, Albert 50 n Segai, Dmitri 32 n, 57, 113 n, 117, 156 n Segre, Cesare 33 n, 46 n, 155-56 Seder, Hansjakob 34 n, 174 n Sellars, Wilfrid 25 Sesto Empirico 15 e n, 52, 121, 170 Shands, Harley C. 43, 120, 163 n, 170-71 Shepherd, Walter 157 n Sherzer, Joel 128, 150, 164 Simon, John 146 Simone, Raffaele 144 Simpson, George G. 66, 88

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Skalmowski, M.W. 34 Smart, Benjamin H. 55 Smith, Ralph R., Jr. 149 Smith, W. John 25, 44 n, 47 n, 51 n, 84, 119, 134, 168 Snider, James G. 27 n Soder, Karl 16 n, 54, 144 Sommer, Robert 152 Sorensen, Holger S. 34 n, 44 n, 133 Spang-Hansen, Henning 35 n, 115 Sparti, Antonino di 154, 164 Sperber, Dan 46 n, 154 Staal, J.F. 149, 164 Stammerjohann, Harro 157 Stanislavskij, Konstantin S. 168 Stankiewicz, Edward 32 e n, 42, 161, 163 n Stanosz, Barbara 50 n, 129 Steiner, George 111, 178 Steinthal, Heyman 62 Stender-Petersen, A. 43, 68, 80 Stent, Gunther S. 148 n Stepanov, Yu. S. 10, 157 Stern, Theodore 39, 180-81, 183 Stetson, R.H. 151 Stokoe, William C., Jr. 151-53 Stough, Charlotte L. 15 n, 170 Strehle, Hermann 161 n Strehly, G. 160 Studnicki, Franciszek 172 Sturtevant, Edgar H. 48 n, 50 n, 127, 137 Suci, GJ. 27 n Szathmàri, Istvàn 113 n Szépe, Gyorgy 34 n, 63 n, 107 Sziits, Laszló 113 n Taber, Charles R. 47 n Tamura, Miwako 110 Tannenbaum, Percy H. 27 n Tarski, Alfred 16 Tavolga, William N. 70, 149 Taylor, Orlando 163 Tembrock, Gunter 92 Thibaud, Pierre 124 Thielcke, Gerhard 109-10, 139 Thiesen 183 n Thom, René 11, 134 n, 148 Thomas, Jean-Jacques 165 Thomas, L.L. 65 Thompson, Stith 80

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Indice dei nomi Thorpe, W.H. 37 n, 51 n, 134 Tiger, Lionel 64 Tinbergen, Niko 46 n, 86, 128 Todorov, Tzvetan 46 n, 124 e n, 46 n, 147, 157 Tolomeo 53 Tomkins, Gordon M. 11, 15, 132 Toporov, Vladimir 32 n, 81 Trabant, Jurgen 157 Treguer, Michel 100 n Trier, Jost 46 n Ts’eretcli, George 113 n Tsivian, T. 69 Tuccaro, Arcange 160 Tumer, Victor 43 n, 154 Tyler, Stephen A. 47 n

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Uexkull, Jakob von 10, 44 n Uldalt, Hans J. 29 Ullmann, Stephen 44 n, 46 e n, 180 Umiker, Donna Jean, vedi Umiker-Sebeok, Donna Jean. Umiker, William O. 171 n Umiker-Sebeok, Donna Jean 34 n, 39 n, 160, 177 e n, 179-80 e n, 181, 183 e n, 184, 186 Uspenskij, Boris A. 32 n, 113 n, 117, 156 n Valéry, Paul 143 Valesio, Paolo 13 n, 49 n, 124 Veltsos, Giorgos S. 142 Vendova, Tomas 32 e n Venn, Eulero 35 Verdiglione, Armando 154 Verón, Eliseo 34 n, 142 Verplanck, William S. 36 n Viet, Jean 46 n Vine, Ian 85 Voigt, Vilmos 32 n, 57 Vygotsky, L.S. 36 n

Watson, O. Michael 152 Watt, W.C. 154 Weinreich, Uriel 22, 24 n, 27 e n, 44 e n, 47 n, 84, 157 Weinrich, Harald 48 n, 138 Weisgerber, Leo 35 n, 46 n, 116 Weiss, Paul 17, 18, 20, 48, 115 Weitz, Shirley 149 Welby, Lady Victoria 11, 17 n, 19 n, 54-5 Wells, Rulon 18, 20, 24, 27 n, 43, 46 n, 82, 115, 127, 135, 163 n Weltring, Georg 52, 144 Wenner, Adrian M. 37 n, 76 Wentworth, Bert 133 Werner, Oswald 44 n, 47 n Wertheimer, Max 127 Wescott, Roger W. 124, 152 White, Leslie A. 50 n, 129 Whitehead, Alfred N. 16 Whiteside, Robert L. 152 Whitfield, Francis 61 Whitney, William Dwight 50, 131, 143 Whorf, Benjamin Lee 43 Wickler, Wolfgang 38 n, 88 n, 90 e n, 125, 139-40 Wiener, Norbert 13 n Wilder, Harris Hawthorne 133 Wilson, Edward O. 108, 133 Windelband, W. 142 Winter, Werner 52 n Wollen, Peter 42 n, 60 Worth, Sol 42 n, 60, 172 Wundt, Wilhelm 159 Wynne-Edwards, V.C. 37 n, 90 Yanakiev, M. 34 n Yerkes, Robert M. 25, 84

Wahl, Francois 46 n Wallis, John 53 Wallis, Mieczyslaw 117, 124-25, 176 Walther, Elisabeth 142, 153, 157 Washoe 25, 98

Zaliznjak, AA. 32 n, 81, 118 Zeman, J. Jay 49 n, 124, 163 n Zemp 183 Zeuner, Frederick E. 14 n, 91 Zinkin, N. 84 Zolkiewski, Stefan 32 n, 33, 34 n Zvegintsev, V. 65

UBERA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI! TRENTO

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Stampalo nel mese di giugno 1979 da “La Tipografica Varese" A