Come scrivere un giallo. Manuale per scrivere libri gialli (sceneggiature film e TV) 8876066969, 9788876066962

Ernesto Gastaldi è lo sceneggiatore che ha dato il via al filone del "giallo all'italiana". In questo man

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Italian Pages 150/149 [149] Year 2017

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Come scrivere un giallo. Manuale per scrivere libri gialli (sceneggiature film e TV)
 8876066969, 9788876066962

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EDIZIONI IL FOGLIO SAGGI

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Edizioni Il Foglio SAGGI Direttore: Gordiano Lupi www.ilfoglioletterario.it Via Boccioni, 28 - 57025 Piombino (LI) © Edizioni Il Foglio – 2017 1a Edizione – Giugno 2017 ISBN 9788876066962 Elaborazione grafica e impaginazione | [email protected]

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di ERNESTO GASTALDI

Come scrivere un giallo Manuale per scrivere libri gialli (sceneggiature film e TV) In collaborazione con MARCO ANTONIO ROMANO

Edizioni Il Foglio

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a Mara Maryl, musa ispiratrice del mio primo film giallo LIBIDO

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INTRODUZIONE

Secondo l’umorista inglese Wodehouse uno scrittore di gialli che avesse voluto uccidere una mosca non avrebbe usato una copia del Times arrotolata e un buon colpo secco, ma avrebbe segato le basi delle pareti della sua stanza, tendendo dei fili tra di esse, messo un annuncio sul Times millantando che c’era del miele nella stanza nella speranza che la mosca si precipitasse nella camera, inciampasse nei fili, facesse cadere le pareti e morisse nel crollo. Queste macchine per tagliare il burro sono comuni in molti libri gialli e anche in film dai plot importanti. Questo manualetto si rivolge agli scrittori principianti e ai semplici appassionati del genere, cercando di mostrar loro più le cose che non si devono fare che quelle che si possono fare, essendo queste, per fortuna, dipendenti dalla fantasia degli autori. Questo non è un corso di scrittura, ma solo un insieme di suggerimenti su come dovrebbe essere la trama di un giallo. Si cerca di delimitare quello che è un giallo e quello che non lo è specificandone le caratteristiche essenziali, ovviamente IMHO (In My Humble Opinion).

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1 CHE COS’È UN GIALLO

È un libro con la copertina gialla, diranno i miei piccoli lettori. Storicamente è vero, in Italia certi racconti sono stati chiamati “gialli” perché la prima collezione del genere della Mondadori aveva copertine di colore giallo. Ma la collana dei Gialli Mondadori raccoglie migliaia di titoli: quanti di essi sono davvero dei gialli? Difficile calcolarlo, il giallo ha procedure abbastanza rigide e la maggior parte dei romanzi con la copertina gialla non sono dei veri gialli. Il vero giallo è un racconto a enigma. Si presenta al lettore o allo spettatore un fatto, normalmente delittuoso, la cui soluzione sembra impossibile o assai difficile, poi si danno indizi, si raccolgono particolari, si studiano i caratteri dei protagonisti, si valutano concordanze e discordanze, la tempistica, le motivazioni, coinvolgendolo nell'indagine. Sono le tessere di un puzzle e ci devono essere tutte. L'enigma può essere statico: un delitto avvenuto di cui si deve trovare il colpevole, o dinamico, ossia l'enigma si complica durante il racconto, con nuovi accadimenti, nuove prospettive. Può esserci un investigatore oppure no, quel che conta è che il puzzle che si presenta al lettore abbia tutti i pezzi bene in vista e che la soluzione non sia troppo stravagante.

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Si fa risalire l'origine del giallo al romanzo di Edgar Allan Poe del 1841 “I delitti della Rue Morgue” dove l'attento e intelligente Dupin scopre che l'assassino è un orango. Forse va bene per uno storico ma non per un giallista, perché se il colpevole è un animale, o un fantasma, o un alieno venuto dallo spazio si esce dal patto fatto con il lettore: io ti mostro tutto il mostrabile e tu ci devi ragionare sopra sapendo che io non baro. Poe è il campione della suspense non del giallo. Ne “Il pozzo e il pendolo” il lettore deve accettare come possibile il liberarsi dai legami di una corda sporcandoli di formaggio e poi sperando che i topi... Ora è vero che quando ci accingiamo a leggere un romanzo o a vedere un film esercitiamo quella che si chiama “la sospensione dell'incredulità” (suspension of disbelief), cioè sospendiamo volontariamente la nostra facoltà critica per ignorare le incongruenze e godere di un'opera di fantasia, ma ognuno di noi ha un suo limite oltre il quale chiude il libro o lascia la sala cinematografica. Un giallo deve trattare fatti normali, non nel senso della norma statistica, ma nel senso che possono capitare a molte persone, essere ambientati in società ben conosciute e avere soluzioni reali, credibili, socialmente e razionalmente accettabili e scientificamente non troppo strampalate. Quindi, se proprio vogliamo mettere delle date, i primi gialli sono quelli di Conan Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes. Poi, nel 1920, venne pubblicato il primo romanzo di una lady: Agatha Mary Clarissa Miller, Lady Mallowan, più nota come Agatha Christie. Nasce Hercule Poirot, ispirato a Sherlock Holmes ma per farne il suo contrario, più raffinato e geniale. Poirot dominerà la scena attraverso trentadue romanzi, seguito a ruota dalla simpatica Miss Marple con 12 romanzi e 20 racconti. Poirot sostiene di non aver bisogno di analizzare gli indizi, un'impronta digitale, un mozzicone, il segno lasciato da una scarpa perché gli basta sedersi su una poltrona, chiudere gli occhi e... pensare!

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Non è facile essere sempre originali se si ha la fortuna di scrivere così tanti gialli e anche Agatha Christie pare seguisse certi vezzi che possono fare individuare il colpevole molto prima di quando l'autrice avrebbe voluto. Dominique Jeannerod e i colleghi della Queen's University di Belfast hanno creduto di trovare una formula matematica usata dalla famosa scrittrice per la sue trame gialle. Molti dei risultati della loro ricerca riguardano il sesso del killer. Hanno scoperto che se la vittima è stata strangolata, il killer è più probabile che sia maschio (o maschio con una donna come complice), mentre se l'ambiente è una casa di campagna — non raro nei romanzi della Christie — c'è un 75% di possibilità che l'assassino sia una donna e le donne colpevoli sono di solito scoperte grazie a un elemento interno, mentre i maschi sono scoperti attraverso l'informazione o la logica. E poi i mezzi di trasporto: se vengono usati automobili o camion, il killer è una donna. Se ci si sposta in barca o in aereo, il colpevole è un uomo. Anche il modo usato per uccidere è rivelatore: se la vittima è morta strangolata o accoltellata, l’assassino è un uomo, e se è stato versato sangue è probabilmente un medico. Se si è usato veleno è quasi sempre una donna. Conta anche il modo con cui la scrittrice dipinge i personaggi: se una donna è descritta come cattiva, è una buona candidata al ruolo di assassina e di solito ha un coinvolgimento emotivo, ma non è lo stesso per gli assassini maschi che invece sono spesso presentati con caratteri positivi. La formula matematica per scoprire il colpevole non toglierà il gusto ai lettori di Agatha Christie, anche perché non funziona sempre. Il vero mistero dei suoi romanzi sta nel modo di scrivere, fatto di frasi brevi e di ripetizioni ipnotiche che costringono il lettore a leggere fino alla fine. Uno stile che nessuna formula potrà mai riprodurre. Un giallo rimane tale solo se c'è un enigma da risolvere, dopo di che suspense, azione, spionaggio e tanti altri ingredienti vanno benis-

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simo ma non devono mai soverchiare l'enigma che si propone al lettore.

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2 LA LETTERATURA E IL CINEMA

Esiste una letteratura gialla che ha piena dignità letteraria essendo uscita dalla meccanicità del genere. È vero, un giallo classico si muove in una scacchiera delimitata dall'autore escludendo il caos esterno della vita reale e a tratti lo fa assomigliare più a un gioco da “Settimana Enigmistica” che a un vero racconto; tuttavia i migliori gialli sono storie che sondano il mistero umano, dotando i personaggi di profondità, svelandone poi, solo alla fine del racconto, le vere intenzioni e la psicologia. La critica ha diviso il giallo in molte categorie: dal giallo classico, al noir, al poliziesco, alle storie di spionaggio. Poi ha suddiviso queste categorie in sottocategorie: c’è il giallo psicologico, quello storico, quello dei serial killer e il noir, che a sua volta, è stato suddiviso in noir sociale, noir mediterraneo, noir metropolitano e dall’unione del poliziesco col noir è stata coniata la categoria dei “polar”, e se è duro si chiama “hard boiled” e se è scozzese “tartan noir”… Ma questa è roba da raffinati intenditori. Questo manualetto ha minori pretese e dividerà il giallo secondo la facilità delle tecniche di scrittura per un neofita. Il campo delle letture amene e avventurose è immenso: si va dai racconti fantastici alla fantascienza, dal pulp al peplo, dal mito allo storico, dai pirati ai samurai, dal “cappa e spada” al western e quasi ovunque si trovano sfumature di giallo, ci sono elementi da giallo già nell' “Edipo re” di Sofocle.

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In realtà il giallo nasce solo quando il progresso scientifico e sociale permette di esaminare la scena del delitto in cerca di prove che valgano nei tribunali. Non è facile perimetrare una vera storia gialla, la cui filosofia dovrebbe essere un rebus da decifrare, un puzzle da ricomporre, e come un rebus o un puzzle deve dare i giusti elementi al pubblico per godere della lettura o della visione ma anche per giocare a indovinare chi è il colpevole. S.S. Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright, autore di buoni romanzi gialli e inventore del superuomo Philo Vance, eroe vagamente nietzschiano, dotato di un’intelligenza non comune, ha steso le sue venti regole su come dev'essere un giallo e, prima di lui, nel 1929, Ronald Knox ne propose dieci. Van Dine è stato molto famoso e i suoi romanzi hanno avuto un enorme successo, non sempre si è attenuto alle sue regole, specie negli ultimi racconti che si sono avvicinati ai cosiddetti “hard boiled”1 del da lui odiato Dashiell Hammett, fino a sfiorare la commedia con “The Gracie Allen Murder Case”. Già nel suo primo romanzo “La strana morte del signor Benson” contravviene in modo sottile alle proprie regole, perché il detective Vance da geniali misurazioni capisce che il killer era alto un metro e settantacinque centimetri. Purtroppo il lettore non ha modo di misurare l'altezza dei sospetti e quindi è in parte tagliato fuori dal gioco intellettuale del “whodunit” (chi l'ha fatto). Nel giallo classico la psicologia dei personaggi si mescola con la trama dell'enigma da risolvere e prende spunto da ogni genere letterario: il thriller, il noir, il poliziesco, la commedia, lo spionaggio e anche dal romanzo storico, dal romanzo sociale, perfino dalle leggende e dai miti, ma per restare giallo al centro di tutto ci dev'essere l'enigma la cui soluzione è proposta al lettore. Per un uovo, essere "hard boiled" equivale ad essere sodo, duro. Il classico detective hard boiled (come il Sam Spade di Hammett o il Philip Marlowe di Chandler o il Mike Hammer di Spillane), non si limita a risolvere i casi, ma affronta il pericolo e rimane coinvolto in scontri violenti. Il caratteristico detective hard boiled ha sempre un atteggiamento da "duro". 1

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I geni capiranno a metà strada, gli intelligentoni a due terzi, i grandi lettori di gialli a tre quarti, i normali alla fine quando l'autore glielo spiega. E i normali vorranno tornare indietro e capire perché non hanno capito quello che in fondo si sarebbe potuto capire. Guai se li avete presi in giro barando sugli eventi. Questo è il giallo. O dovrebbe essere. Ma è più facile dire quel che giallo non è: chi bara, anche se è Agatha Christie, esce dal patto col lettore. “L'assassinio di Roger Ackroyd” (The Murder of Roger Ackroyd), altrimenti tradotto col titolo “Dalle nove alle dieci”, è una truffa perché l'assassino è il narratore stesso che ovviamente ha saltato i pezzi della narrazione che sarebbero equivalsi a una confessione. Forse più aderenti al modulo classico altri maestri del giallo, sia pure macchiato di nero, sono stati i due scrittori francesi Pierre Boileau e Thomas Narcejac, autori del romanzo “Celle qui n'était plus” che poi Clouzot trasformò nel magnifico film “I diabolici” (1955 - titolo originale“Les diaboliques”). Il regista cambiò molto della trama originale del romanzo ma seppe affondare con efficacia nel mistero e nell'ambiguità dei personaggi. Dagli stessi autori, ma meno ispirati, Hitchcock trasse il film “La donna che visse due volte” (1958 - titolo originale “Vertigo”) trasponendo in cinema con la sua consueta bravura il romanzo del 1954 “D'entre les morts”. Qui il giallo cede il passo al mistero. La trama è abbastanza semplice: un uomo ammazza la moglie e poi s'accorda con l'amante (Kim Novak) per simularne il suicidio, gettandone il cadavere da un campanile e approfittando del fatto che John “Scottie” Ferguson, (James Stewart), l'uomo che egli stesso ha assoldato per seguire la moglie, soffre di vertigini e non può salire sul campanile. Ferguson vede salire la donna che crede essere la moglie del suo cliente e poi un corpo con lo stesso vestito precipitare e testimonia del suicidio. È una trama con diversi buchi di logica (la somiglianza tra moglie e amante, tempo della morte della vera moglie, ecc.) ma il film riempie 15

questi buchi sorvolando sulle incongruenze e concentrandosi sull'incontro che Scott farà per la seconda volta con la donna che crede morta. Stavolta il doppio finale è capovolto per non lasciare impunita e felice la complice di un assassinio e mentre il film sembra chiudersi con un appassionato bacio sul campanile, l'ombra di una suora spaventa la donna che stavolta cade davvero e muore. Godibile il film, ben recitato e ben diretto, anche se il mistero sovrasta il giallo e ne mina la logica. Ancora più difficile definire giallo le storie di fantascienza-gialle, come l'autore di “Le quattro ore di Satana” definì il suo romanzo, quel Ron Hubbard, poi fondatore di Scientology. Il romanzo fu pubblicato in Italia nel 1955 da Mondadori nella collana Urania, una storia angosciosa di paura ma che aveva poco sia di fantascienza che di giallo: siamo nel campo della letteratura fantastica. Né sono, a rigore, dei veri gialli i racconti di Cornell Woolrich che può essere considerato l'inventore del “noir” americano, (e infatti nei suoi titoli l'aggettivo “nero” la fa da padrone). Dal romanzo di Woolrich “The Bride Wore Black” Truffaut ci fece un film che fu definito un thriller: racconta la storia di una donna che per vendicarsi dell'uccisione casuale del suo sposo compie un viaggio alla ricerca del gruppo dei colpevoli e li ammazza uno a uno ricorrendo a vari trucchi e approfittando della sua bellezza. Nessun enigma da svelare, nessuna sfida al lettore o allo spettatore: solo azione. Quindi intrigante, divertente, forse thriller, certo non giallo. Questo tipo di trama, a suo tempo molto famosa, è servita da modello per altri film successivi, tra cui “Kill Bill” di Quentin Tarantino e con una maggiore dose di violenza. Nel romanzo “The Black Curtain” (Sipario nero - stampato nel 1949 nella collana il Giallo Mondadori con il numero 56) Woolrich usa l'amnesia temporanea del protagonista e la suspense è creata da quel che l'uomo ha fatto nei tre anni che non ricorda. Anche questa è una strada piuttosto abusata, ci può essere la curiosità di sapere, ma non c'è alcun enigma da svelare.

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E neppure sono gialli gli “hard boiled” americani, da Carroll John Daly a Dashiell Hammett, da Raymond Chandler (seppur creatore del grande Marlowe) fino a Mickey Spillane e altri, perché più che enigmi da svelare ci si diverte al precipitare caotico dell'azione, spesso con poca razionalità, di puro effetto con protagonisti sempre più cinici e spietati. È stato scritto che fu il macello irrazionale prodotto dalla prima guerra mondiale che pose fine al positivismo ottimista dell'inizio del Novecento a spingere gli scrittori di gialli verso l'irrazionalità del mondo e a sostituire la “scacchiera” con il “labirinto”. Sarà, ma il labirinto è tale perché ci si perde. Nel famosissimo “The Maltese Falcon” di Dashiell Hammett (Il falcone maltese - pubblicato decine di volte, l'ultima negli Oscar Mondadori del 2009) il detective Sam Spade viene coinvolto in un caotico garbuglio, in una matassa di improbabili accadimenti che precipita addosso al lettore affascinandolo ma senza offrire indizi da cui possa tentare di capirci qualcosa. “Ti ucciderò” di Mickey Spillane, uscito nel 1947, è un “hard boiled” di “exploitation”, che si può tradurre in italiano come “sfruttamento”. Il protagonista è un detective tutto cazzotti e pistola, Mike Hammer che odia la lentezza della legge e preferisce farsi giustizia da solo. E infatti il primo titolo era “I, the Jury”, ossia “Io, la giuria”, ovviamente quella che ti condanna a morte. Strepitoso successo, con la battuta finale diretta alla bellissima donna scoperta colpevole a cui Mike spara in pancia mentre sta cercando di sedurlo. Lei, morendo: “Come hai potuto?”, lui, cinico: “È stato facile”. Grandioso, ma non giallo, forse noir o pulp, si dirà poi. Qui non resisto a inserire un pezzo personale: avevo vent'anni e lavoravo alla Banca Sella di Biella. Avevo davanti trent'anni di uno sterminato numero di carte, cambiali, assegni, fidi, bilanci. Dopo quindici giorni avevo già l'itterizia. Guardavo i miei colleghi. Da quello arrivato l'anno prima, su fino al direttore generale (allora la Banca Sella era una piccola banca biellese) e vedevo tutto il mio tragico futuro. Per caso e per fortuna (nella vita il caso gioca una parte da protagonista, nei gialli belli no, ne è concesso l'uso solo all'inizio delle storie) un 17

biellese, Peppo Sacchi, girò un western in 16 mm. il primo vero western moderno italiano, “Cowboy Story” che vinse la Coppa Agis al Festival di Montecatini del 1953 quale film più spettacolare e mi diede l'idea di tentare di entrare nel cinema professionale. Capii che non serviva vincere il Festival di Montecatini, l’importante era dare scandalo, attirare l'attenzione, fare casino. Così scrissi una storia che chiamai “La strada che porta lontano” in cui vincevano i cattivi. E poiché Presidente del Consiglio era il biellese Giuseppe Pella, ci ficcai un onorevole biellese che commerciava cocaina nascondendola nelle balle di lana. Protagonista un giornalista che scopre che la sua donna è l'amante del gangster ma non è Mike Hammer e non ha il coraggio di ucciderla. È lei invece che gli spara nella pancia e lui si trascina derelitto a crepare in un boschetto, tenendosi il ventre con dentro il dolore e fuori le budella. All'alba passano due bambini che vanno a pesca: vedono il morto e lo girano budella all'aria, ma l'unica cosa che fanno e fregargli l'orologio. Peppo, dopo aver letto quella che non sapevo ancora si chiamasse sceneggiatura, commentò: “Se questa roba non brucia il culo alla giuria, io mi faccio frate.” Brucerà. Per fare il film ci mettemmo otto mesi. Ore libere, giorno e notte, sabati e domeniche. Dovevamo essere pronti per il festival a giugno e lo fummo: il risultato della nostra fatica durava un'ora e venti. Era un film! Un film vero! Un colossal del passo ridotto. Muto però e con la musica sui dischi. Lo doppiavamo ogni volta da dietro lo schermo. Live! Ma il festival cambiò il suo regolamento, decidendo di non accettare in concorso film che durassero più di venti minuti. Il film venne ammesso, ma fuori concorso. Era il mattino di un lunedì di giugno dell'anno di grazia 1955. È il primo mattino del festival e la giuria si è riunita per vedere le prime opere in concorso. Nel pomeriggio i migliori filmetti sarebbero stati proiettati al pubblico ma che fare durante questo primo mattino di un lunedì di giugno? I giurati si dissero: “Passiamo i pizzoni di quei matti di Biella fuori concorso.”

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Così “La strada che porta lontano” andò sullo schermo del festival senza che nessuno l'avesse visto prima. Ore nove di un lunedì di giugno a Montecatini. Il più grande cinema della città: mille posti. Perfettamente vuoto. Chi mai va al cinema alle nove di mattina di un lunedì di giugno? Il proiettore si accese e dal multipiatto dietro lo schermo partì la canzone di Sergio Salussoglia, era quella dei titoli di testa che cantava su un'aria ispirata alla musica di Georges Auric nel film “Rififi” di Jules Dassin: “... il male che è in me è in tutte le cose e non muore insieme a me...” Dopo otto minuti io avevo un break come doppiatore: il tempo di tranquillizzare le surrenali e dare una sbirciatina in sala. Come sia stato possibile in otto minuti di un lunedì mattina di giugno a Montecatini riempire una sala di mille posti rimarrà un mistero, ma era tutto pieno con gente in piedi. Là, gratis, vedevano roba mai vista neanche a pagamento. I buoni perdevano. La corruzione trionfava. Il male era più forte del bene e se uno strappava il vestito a una donna saltavano fuori le tette vere. Fu lo scandalo. Sulla rivista “Cinema” Giulio Cattivelli ci dedicò due paginone con foto: Imitano Mickey Spillane i ragazzi del Cineclub Biella. Vero, ne avevo tratto l'ispirazione. Fummo molto rimproverati ma la sera venne il maestro Alessandro Blasetti e ci chiese quello che io da un anno stavo sognando: “Ragazzi, volete venire al Centro Sperimentale di Roma?” Fine del ricordo personale. Tutto questo solo per dire che “La strada che porta lontano” mi portò davvero lontano ma non era un giallo, era un “hard boiled” che avevamo bollito seguendo un piano ben preciso. Del resto Mickey Spillane aveva detto: “Io sono uno scrittore, lo faccio per soldi e voglio divertire il pubblico, gli altri sono autori.” Può sembrare volgare ma non lo è: unicuique suum. Insomma è più facile definire quello che non è un giallo che non quello che lo è.

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Purtroppo al cinema o in TV è facile barare, pochi hanno modo e voglia di rivedere un film dall'inizio per controllare se il narratore li ha presi per il naso, se lo facessero pochi plot resterebbero in piedi. Coi romanzi invece è quasi d'obbligo, tornare indietro per controllare qualche passaggio e capire perché non si è capito.

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3 LA FILOSOFIA DEL GIALLO

Esiste una filosofia del giallo? Accidenti, sì. C'è chi la fa risalire addirittura ad Aristotele. La dottoressa Dorothy Leigh Sayers tenne una conferenza a Oxford, intitolata “Aristotle on Detective Fiction”, in cui dichiarava che la “Poetica” di Aristotele era un manuale per scrivere romanzi polizieschi. Nel suo saggio, definisce cruciale il passo della Poetica di Aristotele, in cui il filosofo… “condensa l’intero magistero dell’autore di romanzi polizieschi in una sola parola chiave: paralogismo. Questa parola dovrebbe essere scritta a lettere d’oro sulle pareti dello studio di ogni propalatore di misteri… paralogismo, o arte del falso sillogismo… «Omero - scrive Aristotele… - ha insegnato benissimo anche agli altri come si raccontano falsità nel modo adatto e questo modo è il paralogismo…». Ecco fatto; abbiamo la ricetta del racconto poliziesco: l’arte di raccontare il falso. Dal principio alla fine del libro, lo scopo, l’obiettivo principale è dunque di ingannare il lettore, di indurlo a credere il falso. Far credere che il vero assassino sia innocente, che una persona innocua abbia commesso il delitto; far credere che il detective sia nel vero mentre invece è in errore e che sbagli quando vede giusto; far apparire fondato un alibi falso, presente chi era assente; far credere che il morto sia ancora in vita e chi è ancora in vita sia morto; in breve, far credere tutto, qualsiasi cosa, fuor che la verità”…

Avete capito? Quindi non crediate che i gialli siano un genere minore, libercoli da edicola. 21

Ironia a parte, molti filosofi leggevano e leggono, quasi sempre di nascosto, i libri gialli, traendone non solo divertimento ma ispirazione. C'è il librone di Renato Giovannoli “Elementare, Wittgenstein”, che ne fa una dotta e profonda analisi, confrontando il cambiamento del giallo razionale e pragmatico di Sherlock Holmes di Conan Doyle al caos di garbugli, ai limiti del credibile, del poliziesco del Sam Spade di Dashiell Hammett con il mutamento nella filosofia di Wittgenstein dalla logica del “Tractatus” a quella del labirinto, e confrontando il senso della morte nei racconti di Cornell Woolrich col nichilismo metafisico e ateo di Heidegger. Wittgenstein, il maggior filosofo del Novecento, era un divoratore di libri e film gialli. E poiché ci furono due Wittgenstein, uno tutto logica con tavole della verità e l'altro labirintico (ebbe a dire che il linguaggio è un labirinto di strade. Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo stesso punto da un'altra parte, e non ti raccapezzi più) questo cambiamento di visione filosofica sembra quasi andare in parallelo col mutamento di gusto dello stile contemporaneo dei gialli che passano dal giallo classico ordinato al disordine labirintico dell’“hard boiled”. Il giallo classico, induttivo, abduttivo, deduttivo, avrebbe ispirato o sarebbe stato ispirato (prima l'uovo o la gallina?) dal sistema indiziario in uso sul finire dell'Ottocento nel campo scientifico, mentre il poliziesco d'azione, meno positivista, meno logico, risentirebbe del mutamento di paradigma (conoscete Kuhn? No? Fa niente.) dovuto all'irrompere delle teorie di Einstein e poi delle incertezze strutturali della meccanica quantistica. Holmes sarebbe ancora un newtoniano, l'universo come un orologio tutto ben collegato tra causa ed effetto, mentre gli “hard boiled” tenderebbero più al casuale, al probabilistico, alle tesi che in scienza si sono affermate come “scuola di Copenaghen”. Sentite Holmes:

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“... da una goccia d'acqua un ragionatore logico potrebbe dedurre la possibile esistenza di un Atlantico o di una cascata del Niagara, senza averli mai visti, o avere mai sentito parlare né dell'uno né dell'altra. Così, tutta la vita è una grande catena la cui natura si rivela a chiunque ne osservi un solo anello...” E il filosofo Wittgenstein: “Risolvere un problema filosofico significa mostrare che esso non è un vero problema ma un puzzle sorto da un uso improprio del linguaggio ed è più rivelatore e interessante trovare questo genere di confusione in una sciocca storia poliziesca, di quando la trovate detta da uno sciocco filosofo.” La passione di Wittgenstein per il giallo e per il poliziesco è leggendaria. Gli piacque talmente un racconto di Norbert Davis “Rendez-vous with Fear” che cercò l'indirizzo dell'autore per congratularsi: non lo trovò e per Davis fu un guaio perché non riuscì più a vendere i suoi gialli e si uccise con i gas di scarico della sua auto, a quarant’anni. Forse una lettera di complimenti del maggior filosofo dell'epoca l'avrebbe rincuorato. Il grande Umberto Eco, di cui sentiamo tutti la mancanza, così ha descritto la passione per il giallo di grandi scienziati, filosofi e letterati, lui compreso: “Le ragioni, secondo me, sono tre: La prima prettamente filosofica. L'essenza del giallo è eminentemente metafisica, e non a caso in inglese si designa questo genere con whodunit, vale a dire chi l'ha fatto, qual è la causa di tutto questo? Era la questione che si ponevano già i presocratici e che non abbiamo smesso di porci. Anche le cinque vie per la dimostrazione dell'esistenza di Dio, che abbiamo studiato in San Tommaso, erano un capolavoro di indagine poliziesca: dalle tracce che troviamo nel mondo della nostra esperienza si risale, naso a terra come un cane da tartufo, verso l'inizio primo di quella catena di cause ed effetti, o al primo motore di tutti i movimenti. Senonché ormai sappiamo, da Kant in avanti, che, se risalire da un effetto a una causa è lecito nel mondo dell'esperienza, il procedimento

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diventa dubbio quando si risale dal mondo a qualcosa che è fuori dal mondo. E qui viene la grande consolazione metafisica del romanzo giallo, dove anche la causa ultima, e il motore nascosto di tutti i moti, non sta fuori dal mondo del romanzo, bensì dentro e ne fa parte. Così il giallo provvede ogni sera quella consolazione che la metafisica nega. La seconda ragione è scientifica. Molti hanno dimostrato che i processi di indagine usati da Sherlock Holmes e dai suoi discendenti sono molto affini a quelli della ricerca, sia nelle scienze naturali che in quelle umane, dove si vuole trovare la chiave di un testo, o l'antenato capostipite di una serie di manoscritti. Questa attività, solo apparentemente divinatoria, Holmes, che era notoriamente ignorantissimo su quasi tutto, la chiamava deduzione, e si sbagliava, Pierce la chiamava abduzione e, con qualche differenza, tale era anche la logica nell'ipotesi di Popper. Infine la ragione letteraria. Ogni testo chiede di essere idealmente letto due volte, una per sapere che cosa dice, l'altra per apprezzare come lo dice (e di lì la pienezza del godimento estetico). Il giallo è un modello, ridotto ma esigente di testo che, una volta che hai scoperto chi è l'assassino, implicitamente o esplicitamente ti invita a guardare indietro, o per capire come l'autore ti avesse condotto a elaborare ipotesi fallaci, o per decidere che in fondo non ti aveva nascosto nulla, solo che tu non avevi saputo guardare bene come il detective.” Così il grande Eco. Dopo questa moderata dose di “pippe mentali” dei filosofi resta il fatto che molti di loro erano e sono appassionati lettori di storie gialle. Tuttavia per scrivere un buon giallo non è necessario conoscere i filosofi, però occorre una buona conoscenza tuttologica del mondo in cui si ambientano i fatti, intendendo per tuttologia quel sapere superficiale, ma non troppo, che riguarda come vive l'umanità nel periodo e nel luogo trattato, quel che pensa la gente comune e i progressi della scienza e della tecnologia. 24

Per gli appassionati e per chi vuole padroneggiare la tecnica del giallo il consiglio è di leggere o vedere le opere valide più volte. Ancora un po' di semantica, più per far bella figura in pizzeria che non come ferro del mestiere. Che differenza c’è fra deduzione, induzione e abduzione? Che so, se la pizza arriva fredda deduco che è stata fatta per un altro che poi non l’ha voluta, e induco che il pizzaiolo è un figlio di mignotta, ma cosa ci abduco? Che qui escono tutte pizze fredde ed è meglio che cambi pizzeria. Se non vi sembra sufficiente beccatevi allora le definizioni accademiche: DEDUZIONE: Regola: tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi Caso: questi fagioli sono di questo sacco Risultato: questi fagioli sono bianchi (è il nostro più comune modo di ragionare “logicamente”) INDUZIONE: Caso: questi fagioli sono di questo sacco Risultato: questi fagioli sono bianchi Regola: tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi (è un ragionamento che concede spazio all’equivoco in quanto è in parte una presunzione, ci potrebbe essere un fagiolo nero) ABDUZIONE: Regola: tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi Risultato: questi fagioli sono bianchi Caso: questi fagioli sono di questo sacco (è solo una ragionevole ipotesi utilizzabile quando le prime due restano indimostrabili) Così secondo Charles Sanders Peirce, padre della semiotica.

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Quindi deduzione e induzione hanno basi solide, l’abduzione vale solo quando si sono scartate tutte le altre possibilità: infatti non è affatto detto che tutte le pizze che escono da quella pizzeria siano fredde (abduzione), ma il cameriere che me la porta fredda resta comunque un figlio di mignotta (induzione) e la deduzione che la pizza fredda sia stata fatta prima è una certezza. Intanto la vostra pizza è comunque diventata fredda… Per Umberto Eco, Sherlock Holmes lavora per abduzione, per molti altri lavora per induzione. Ma per alcuni invece lavora soltanto per deduzione. Decidete voi. Basta chiacchiere. Passiamo alla parte pratica: come esempi userò le storie che ho scritto io perché sono le uniche di cui ho i diritti e di cui conosco la genesi. L’INVESTIGATORE Non che sia sempre necessario, anzi i gialli più belli sono quelli in cui manca questa figura, tuttavia i gialli seriali vivono sul personaggio dell'investigatore, che può essere un commissario di polizia, un detective privato, un giornalista, un prete o anche un cittadino qualunque con l'hobby di risolvere misteri e acciuffare i colpevoli. La letteratura, il cinema e la TV ne sono pieni. Il problema è che prima di far diventare popolare il vostro investigatore dovete avere avuto successo con i vostri gialli. E se avete avuto successo non starete certo qui a leggere il mio manualetto. Però può essere utile dare una rapida scorsa ai personaggi che si sono affermati in questa letteratura: senza fare la lista dei nomi, si va dalla vecchia signora curiosa, al meticoloso deduttore, dal bonario con grande empatia, all'ironico raffinato, dal trasandato finto tonto al violento solutore con la pistola. Sono stati inventati preti detective, belle ragazze sottovalutate perché belle, vecchiette petulanti, psicologi del crimine, sensitivi, poliziotti dialettali, coppie di agenti investigatori sempre fortunati, coltivatori di orchidee, insomma un po' di tutto.

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Un giallo può vivere dell’umanità del detective come nel caso del commissario Maigret, della pignoleria delle indagini di Poirot, del genio floreale di Nero Wolfe o dello scientismo di Sherlock Holmes dalla logica cocainata ma inesorabile: “È una mia vecchia massima che, una volta escluso l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, non può essere che la verità.” Così gli fa dire Conan Doyle. I difetti di queste serie sono: - la certezza fin dall'inizio che il “grande” investigatore risolverà il caso in modo brillante. - che lui non può essere tra i sospettati. Se voi foste un criminale e vedeste arrivare sul caso Sherlock Holmes, Maigret, Rouletabille, Poirot, miss Marple, padre Brown o il tenente Colombo, per citarne qualcuno, vi converrebbe confessare subito tutto e tagliare corto.

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4 LE TRAME

È stato detto che un buon giallo è una storia di avventura raccontata dalla fine, ossia raccontata partendo dalla fine per arrivare alla scoperta dell'inizio. C'è del vero, ma nelle storie avventurose il caso gioca spesso un ruolo predominante. In un buon giallo non deve accadere. Una qualunque azione può avere molteplici effetti sul DOPO, l'investigatore (che può essere anche il lettore) deve cercare di capire quali eventi hanno portato a quell'azione PRIMA. Il giallo classico ama ambienti ristretti: una villa, un villaggio, un treno, una nave, per delineare il campo di gioco, ma è possibile allargare il panorama, però si rischia di inquinare la partita e scivolare nel poliziesco o nell'hard boiled dove irrazionalità, casualità, interpretazione hanno un ruolo spettacolare, divertente se si è bravi, ma si esce dalla sfida col lettore. Come davanti a un prestigiatore il pubblico assiste divertito all'impossibile, così leggendo i romanzi o vedendo film “hard boiled” si rinuncia a capire il PERCHÉ divertiti dal COME è mostrato il succedersi degli eventi. Il giallo può godere anche dell'incertezza della soluzione, o delle soluzioni multiple (la ditta Ellery Queen insegna) senza la punizione del colpevole, a volte una storia può finire lasciando al pubblico la scelta tra più soluzioni logiche e possibili: una specie di sovrapposizione quantistica che ammette contemporaneamente più stati di verità. Come in “Rashomon” (1950), il capolavoro di Akira Kurosawa, scritto dallo stesso Kurosawa e da Shinobu Hashimoto, in cui ogni te-

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stimone ha visto una sua personale realtà. (ma Pirandello è venuto prima dell'artista giapponese!) Ottime trame gialle possono lasciare la soluzione dell’enigma aperta come nello splendido ambiguo già citato “I diabolici” di Clouzot e la soluzione di un intricato giallo che vi ha appena soddisfatto può essere messa in dubbio, stravolta, da una battuta finale che apre squarci improvvisi ad altre interpretazioni e se il narratore è stato abile e onesto ripercorrendo tutta la storia deve tornare logico anche l'improvviso ribaltamento, lasciando il lettore e lo spettatore in una godibilissima perplessità. Ma caro lettore e presunto scrittore di gialli, prima o poi da qualche parte occorre iniziare: ti trovi davanti al foglio bianco, è la pagina uno. Può essere a questo punto utile che tu ti faccia alcune domande: - perché: devi chiederti perché vuoi scrivere un giallo - dove: devi immaginare il luogo in cui svolgerà la tua storia - quando: devi scegliere l'epoca in cui si svolgerà la tua storia - chi: devi decidere in quale classe sociale si svolgerà la tua storia e chi ne sarà protagonista - come: devi seguire la tua inclinazione di scrittore - qwerty: è la tastiera, lo strumento più in uso oggi per scrivere storie di qualunque genere. Inizia a battere i tasti solo quando senti l'entusiasmo dell'idea e l'urgenza di precisarla. - l'inizio: Sei partito. Ora sei un dio e stai per creare un mondo. A te decidere chi sono i suoi personaggi. Il delitto è già stato consumato? Sta per esserlo? Sai chi è l'assassino? Nell'universo che stai creando c'è qualcuno che lo sa? - la scacchiera: metti giù i pezzi nell'ordine che preferisci, caratterizzali, fidati di loro, fidati anche degli inaffidabili, li stai creando per metterli nel mondo che hai già scelto e che ha delle sue regole morali e sociali, eppure ci sarà quel pedone che all'improvviso farà la mossa 29

del cavallo, quell'alfiere che si muoverà come una torre, quel re che ignorerà lo scacco, perché devi dare loro il libero arbitrio e queste mosse a sorpresa renderanno affascinante il tuo racconto. Quando un personaggio che hai creato si impunterà per fare come vuole lui e non come vuoi tu, allora sì che avrai creato un mondo vivo e interessante ma senza indeterminazione, un mondo di cui sei assoluto signore e padrone, ma sei un dio che non bara: la partita si deve svolgere in modo regolare. - la prima scena o il primo capitolo: ogni dio ha bisogno di fedeli e per procurarseli deve presentarsi come un affascinatore. Ricorda la Bibbia: Geova prima di farti impegolare in una catena di delitti, di guerre, di re, di esodi, apre col Paradiso Terrestre in cui sapientemente ha messo un serpente che provocherà la scena drammatica intorno a cui si dipanerà il resto del racconto. Quindi anche tu, dio in apprendistato, segui il Maestro: devi iniziare con qualcosa che prenda l'attenzione, che stimoli l'irresistibile curiosità su “come andrà a finire”. Noi tutti siamo personaggi del grande giallo dell'universo. Le trame rimaste famose per la loro costruzione sono quelle di Agatha Christie, a volte macchinose, ma quasi perfette nel loro svolgimento e sorprendenti nella loro conclusione. Plot squisitamente psicologici sono invece quelle di Georges Simenon, uno dei più bravi in questo campo. Il suo commissario Maigret è un uomo che analizza le psicologie dei personaggi e risolve gli enigmi in cui si imbatte esaminando più il perché dei delitti che non il solo “chi è stato”. A contrastare Simenon ci fu Léo Malet coi suoi “noir”, trame evanescenti ma calate in un mondo angoscioso dove la persona è in balia del destino crudele, dove la corruzione impedisce la giustizia anche nei tribunali, dove il criminale è una vittima e il borghese il carnefice. C'è stato anche un noir politico: quello rosso di Jean-Patrick Manchette e quello nero di Alain Fournier, bei colori ma niente di giallo. 30

“Montalbano, sono”: la serie infinita di tramette più o meno gialle tutte al servizio del bonario, fedele, simpatico commissario Montalbano, scritte dal bravissimo Camilleri stanno deliziando i pubblici televisivi di mezzo mondo. Questo tipo di giallo lo chiamerei “carismatico” ma non voglio aggiungere un'altra categoria alle troppe inventate dai critici. Ma a volte anche i limiti di quel che pare impossibile vengono superati dalla fantasia degli autori, ad esempio in “Brivido sulla schiena”, (1957) romanzetto “alimentare”, io stesso mi lasciai andare all’idea che la vittima di un delitto potesse vendicarsi uccidendo il proprio assassino. Idea attraente se sviluppata rispettando la realtà fenomenica conosciuta, ma che io infransi usando il trucco di una specie di trasmigrazione dei ricordi dalle vittime agli assassini, uscendo dal giallo per entrare nel gotico fantastico. Le macchine illogiche non sempre portano a brutti libri, o a brutti film o a scene scadenti, uno degli esempi più illustri è il finale dello stupendo capolavoro “C’era una volta in America” (1984) di Sergio Leone: solo in minima parte un giallo. James Wood (Max) ha deciso di morire, (vuole o deve non è chiarissimo a seconda delle versioni del film) e invece di tirarsi un onesto colpo di pistola, che fa? Manda a chiamare un suo vecchio amico che vive in Florida e a cui trent’anni prima ha fatto credere di essere morto: gli ha fregato la donna, la vita, il futuro e glielo racconta sperando che si incazzi e lo ammazzi (va bene la suspension of disbelief, però...). De Niro è la mosca di Wodehouse che però si rifiuta di inciampare nei fili e non va sul miele, finge di non riconoscere il vecchio amico, non gli dà soddisfazione e ovviamente non lo uccide. È una delle scene emotivamente più cariche di tutto il film eppure nasce da una macchina per tagliare il burro. Tra l'altro se avesse ucciso il senatore sarebbe stata l'ultima fregatura ricevuta dall'amico, ossia la sedia elettrica. Però la scena porta a uno stallo della storia. La mosca se ne va ma non si sa più se sarà lasciata vivere o se verrà ammazzata perché la cosa ha perso interesse.

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Il grande Sergio non seppe uscirne, rimediò il geniale montatore Nino Baragli con un primo piano di De Niro giovane che fuma oppio: un primo piano strepitoso ma che non chiude il racconto, anzi suggerisce il dubbio che tutto il film sia frutto di un sogno da oppio. I gialli ben costruiti dovrebbero, una volta svelati, rivelarsi logici, lo spettatore deve capire di avere avuto in mano tutte le fila della storia e che se fosse stato più attento o più acuto avrebbe potuto risolvere lui stesso l’enigma. Affinché questo avvenga, ripeto, il costruttore di gialli non deve barare, non deve mostrare fatti mai avvenuti (usare poco sogni o incubi e immagini tratte da false testimonianze), deve evitare che i protagonisti dimentichino qualcosa di essenziale per ricordarselo solo alla fine. Da evitare anche inizi illogici per acchiappare l’attenzione dello spettatore. Sempre in “C’era una volta in America” la mafia mette sottosopra una città perché vuole trovare De Niro per ammazzarlo. Poi nel racconto si scopre che è proprio la mafia ad averlo scelto per fargli fare la figura del grullo, inutile anche la telefonata anonima che essendo anonima poteva fare chiunque. Visto che l’amico gangster finge di essere stato carbonizzato e la polizia sostituisce il corpo per aiutarlo a sparire, è ovvio che ha un complesso e preciso accordo con le Autorità, altro che telefonata anonima! Quindi perché mai voler ammazzare De Niro se Max lo ha voluto salvare non facendolo partecipare al trasporto illegale di birra dove tutti gli altri sarebbero morti? Mistero. Non è un film giallo anche se ne sfrutta le caratteristiche per la sorpresona finale. Anche nei western, là dove le trame sono più lineari, bisogna fare attenzione a non gabbare il pubblico: vicino alla perfezione il plot di Age e Scarpelli de “Il buono, il brutto, in cattivo” (1966) che si dipana come un arazzo dal disegno perfetto in cui ogni fatto, anche il più piccolo, si intreccia in modo meraviglioso con tutti gli altri. Non è un giallo ma le continue sorprese e i capovolgimenti di scena danno al

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film una suspense di grande divertimento che il grande Sergio rese in maniera magistrale. In chiave più leggera anche la trama de “Il mio nome è Nessuno” (1973) dove un pistolero nient’affatto eroico, a cui la leggenda dell’eroismo gli si è appiccicata addosso suo malgrado, vuole svignarsela con un po’ d’oro per la vecchiaia, e Nessuno lo costringe a un’azione plateale per “farlo entrare realmente nella Storia” in quanto essendo già un mito per le giovani generazioni non può sparire nel modo vile e goffo che aveva progettato. Un po' come impedire a Garibaldi di sparire col malloppo. Leone apprezzò molto la lettera finale che Henry Fonda (Beauregard) scrive a Terence Hill (Nessuno) a proposito del cambiamento dei tempi, che nonostante ponga sempre gli stessi problemi, questi ultimi richiedono modalità diverse per le stesse soluzioni. Per gettarla in politica è come se Bertinotti scrivesse una lettera a Renzi. Tornando al giallo, c'è un bellissimo film tutto barato, dove il regista e l'autore si divertono a prendere per i fondelli il pubblico mostrando immagini di racconti falsi come se fossero vere. È il celeberrimo “I soliti sospetti” (1995 titolo originale “The Usual Suspects”) di Bryan Singer, scritto da Christopher McQuarrie. C'è di tutto e quasi tutto quello che vi mostrano sullo schermo è falso. Impossibile per chiunque arrivare alla verità perché si è continuamente depistati da immagini che mostrano fatti mai accaduti o accaduti in modo diverso, o perfino fatti raccontati da chi non poteva vederli (il piccolo truffatore invalido Roger “Verbal” Kint, l'asso Kevin Spacey, racconta anche quello che succede all'interno della nave mentre lui dice di essere stato sul molo, ma non è vero manco quello, “Verbal” non è mai stato su quel molo, ecc.), per cui la sorpresa finale è ovviamente totale, assoluta bellissima. E allora? E allora io resto del mio parere, non barate, anche contro un'affermazione di Hitchcock il grande, che disse: “Non abbiamo nulla da ridire se in un libro un personaggio fa un racconto menzognero, allora perché non potremmo anche mostrarlo in immagini in un flashback?”

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La differenza è che il personaggio letterario mente a parole, mentre le immagini sono interpretate dal pubblico come verità. Quindi è una truffa che può originare capolavori, ma sono eccezioni. Se si scrive per il cinema o per la TV, c’è un altro problema: l’attore o l’attrice protagonista. Se sono di peso troppo rilevante rispetto al resto del cast è quasi sicuro fin dall’inizio che sarà uno di loro l'assassino. Al Centro Sperimentale di Cinematografia mi insegnavano l’impostazione del dramma, la scena madre, l’acme drammatico e poi la discesa verso la catarsi. Tutto giusto e andava certo bene nell’antico teatro greco, ora che i film passano in TV e lo spettatore non ha pagato il biglietto e ha in mano l’aggeggio infernale del telecomando col dito sui tasti, più veloce di quello di Terence Hill sul grilletto della Colt, occorre che l’inizio “prenda”. Tuttavia meglio non barare per trovare una scena d’effetto, vero è che lo spettatore raramente vede il film due volte di seguito e quindi la fregatura data dall’autore passa spesso inosservata, ma se si può evitare è meglio. La tecnica dell’inizio lento normalità del quotidiano, usata da Hitchcock non è consigliabile se non si è Hitchcock, perché al ventesimo secondo lo share è già crollato e il grosso del pubblico è passato su qualche cantante mezza nuda che sculetta. Un discorso simile, anche se fatto non per trattenere lo spettatore ma per rendergli memorabile il film almeno fino alla pizza che va a prendere dopo con gli amici, vale per il finale. Di De Niro che fuma s’è detto: non conclude un bel niente ma ha un fascino indimenticabile. Ma di De Niro non è che ce ne siano tanti. Così si cercano frasi a effetto: “Al cuore, Ramon! Al cuore!” e Volontè col fucilone non pensa di sparargli un buon colpo in mezzo agli occhi ma obbedisce più volte anche se Clint Eastwood continua a rialzarsi. 2

È il finale del film di Sergio leone “Per un pugno di dollari” copiato da “Yojimbo - La sfida del samurai” di Akira Kurosawa, tratto a sua volta, dal racconto di Dashiell Hammett “Raccolto rosso” 2

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Ho già ricordato la chiusura del libro noir di Mickey Spillane che alla domanda della gran gnocca a cui Mike Hammer spara a morte egli risponde: “È stato facile”. Al cinema ci fu un’ovazione. Trovare una frase d'effetto per il finale è difficile. Quel “Nessuno è perfetto” sparato in fondo al film “A qualcuno piace caldo” (1959 titolo originale Some Like It Hot) diretto da Billy Wilder e scritto dallo stesso Wilder con I.A.L. Diamond, è impossibile da superare.

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5 LE TECNICHE GENERALI

1 – Quella del poliziesco di squadra Spesso gli autori esordienti si buttano su questa tecnica perché è la più facile: io distinguo il poliziesco dai gialli con un solo detective o un solo commissario che indagano sui delitti. Chiamo poliziesche le storie in cui un intero corpo di Polizia è implicato nel caso, spesso con storie interne al corpo e magari la classica spia, il traditore venduto alla malavita per i motivi più diversi. Sono in realtà storie che mi paiono piuttosto lontane dal vero giallo perché vivono più sulla descrizione dei rapporti tra poliziotti e i loro superiori che non sul mistero posto da un delitto. Per il corpo di Polizia i delitti sono tutti uguali, è una routine, un mestiere, tant'è vero che sono infinite le serie televisive in cui quel che conta è il gruppo dei poliziotti di New York, o di Los Angeles, o di Miami o delle Hawai'i, con la noia che comportano dopo un po', specie se lo spettatore si accorge che sono quasi tutte girate negli studios di Hollywood con qualche fugace apparizione delle città in cui sono in teoria ambientate. E finché queste storie hanno come sfondo metropoli è logico che ogni giorno ci siano dei morti ammazzati, delle rapine, dei sequestri, quando invece vengono ambientate in piccoli paesi allora le serie diventano comiche perché gli autori sono obbligati a fingere che là dove mille persone curano i propri orti ci sia almeno un morto alla settimana. Alla decima serie il paese dovrebbe essere disabitato. Ma il fatto che storie così improbabili e noiose arrivino alla decima serie signifi-

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ca che la TV quando riesce a imporre un cliché tira avanti fino all'esaurimento e il pubblico (anziano?) segue. Scrivere oltre che un'arte deve diventare un mestiere, altrimenti resta un hobby. Quindi non tiratevi indietro neppure di fronte a robaccia ma cercate di nobilitarla con la fantasia. Anche nel poliziesco l'autore avveduto saprà mettere un po' di giallo, evitate il poliziotto traditore troppo abusato, l'infiltrato tra i malavitosi visto e stravisto con tutte le variazioni sul tema, anche il serial killer puzza un po' di vecchio: nella vita a volte succedono cose strane, fu assassinata una signora anni fa, in un quartiere bene di Roma e si sospettò del marito, si indagò sui suoi rapporti coi servizi segreti, poi si scandagliò fra i possibili amanti della donna, o le amanti del marito, si arrivò a sospettare di un figlio e invece poi si scoprì che l'assassino era il maggiordomo. Ma ve l'ho già detto, nella vita succede, nei gialli è meglio di no, a meno che non siate davvero abili, ma in tal caso potete buttar via questo libretto. Tornando al poliziesco, arricchitelo con personaggi estranei alla polizia e impostate l'intero racconto su un solo caso, rendetelo abbastanza interessante ed enigmatico da poter sorprendere con il finale il lettore o lo spettatore. 2 – Quella dei tanti personaggi Ogni autore di gialli segue una sua tecnica per costruire il plot, ossia la trama: la più semplice per chi comincia, dopo il poliziesco di gruppo, è quella dei tanti personaggi. Come esercizio si può iniziare con un delitto (anche in senso lato, uno stupro, una rapina, una truffa) e poi descrivere una dozzina di personaggi che ruotano intorno a quell'evento. Caratterizzarli bene, seguirne i movimenti, i sentimenti reciproci, insomma procedere come si fa per un romanzo qualsiasi. Arrivati a

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metà o anche oltre, fermarsi e cercare di capire chi può essere stato, tra i vostri personaggi, l'assassino. Anche voi non lo sapete, ma rileggendo quello che avete scritto, qualche sospetto potrebbe venirvi. A questo punto potete riscrivere alcune pagine, spostare qualcosa per trasformare il sospetto in certezza alla fine del libro. Più riuscite ad arrivare verso la fine senza far sapere chi sia l’assassino, più sarà facile che sia sorprendente la soluzione, che si scriverà quasi da sola. Insomma, scrivete la storia dei personaggi e poi la giudicate con l'occhio del lettore-detective: mi raccomando, sempre senza trucchi e falsità per sviare l'indagine. Ho raccomandato più volte ai produttori dei miei film gialli di togliere le ultime 20 pagine dai copioni in modo che anche il regista e gli attori non sapessero la soluzione, per evitare piccole scivolate, ammiccamenti, sfumature nella recitazione dell'attore: non mi risulta che nessuno lo abbia mai fatto. Questione di razionalità nelle riprese che obbligano a mettere insieme le scene che si svolgono negli stessi ambienti, anche se appartengono a parti diverse dello script. L'unico a strappare le ultime pagine del copione ma per non girarle proprio fu il geniale Riccardo Freda ne “L'orribile segreto del dr. Hichcock” rendendo il film piuttosto incomprensibile ma pieno di fascino. Ma se non siete dei geni, non imitatelo. 3 – Quella di “Chi l'ha visto?” Un personaggio scompare senza lasciare traccia, forse è colpevole di qualcosa, forse no. Scompare e basta. Qualche amico, amica, parente si mette alla ricerca. Abbiate sempre cura di aprire il racconto con qualcosa che prenda l'attenzione, non è sempre necessario un crimine, basta un fatto anormale: una moglie, meglio se bella, si sveglia e il marito non è più nel letto, al suo posto una borsa di soldi, delle macchie di sangue e una pi-

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stola. L'uomo non è più in casa, eppure l'auto è in garage. Il giardino è devastato come fosse passata una ruspa... Provate a continuare con la fantasia. Spesso un giallo nasce da una idea-noce, un’immagine. Poi la fatica dello sviluppo. Un buon esempio di inizio è quello di “Frantic”, un film del 1968 diretto da Roman Polański, scritto con Gérard Brach e interpretato da Harrison Ford ed Emmanuelle Seigner: una valigia che non si apre, il marito fa la doccia e quando esce la moglie non c'è più e poi gli avvenimenti devono incalzare. La ricerca di un personaggio scomparso dà grande libertà allo scrittore, come in ogni storia di viaggio, tutto diventa curioso, più interessante. I protagonisti della storia si possono trovare in situazioni di paura o di pericolo, sulla strada della ricerca può accadere di tutto, si può anche non trovare mai la persona scomparsa, purché emerga la trama in cui essa si è persa e il perché, il percome e chi sono i colpevoli. Spesso la si trova morta e da qui si torna alla caccia dell'assassino, ossia sul terreno classico del giallo poliziesco. Questa è una tecnica facile, consigliabile a tutti. Già il viaggio di per sé consente di cambiare ambienti, situazioni e personaggi e quindi avere più possibilità di non annoiare. I plot di questo tipo possono attingere anche dai luoghi comuni, come le grandi organizzazioni criminali, le spie internazionali, gli hacker, le multinazionali, le chiese, le sette e tutto quello che serve per rendere più denso il racconto. Nel viaggio alla ricerca dello scomparso ci si può imbattere praticamente in ogni cosa di questo mondo e di quell'altro, ma non perdete di vista lo scopo della trama e la partenza dell'intreccio. 4 - Quella dei tutti colpevoli meno il sospettato Questa tecnica non richiede abilità particolare: bisogna inventare una vittima ignara che si fida delle persone che le mostrano amore e amicizia, un cattivo che invece la tormenta, la ricatta o comunque la fa 39

sentire in pericolo e poi inventare un plot per rovesciare la situazione nel finale e svelare come il sospettato sia innocente (oppure anche lui coinvolto nell'intreccio criminale) mentre invece le persone intorno alla vittima erano d'accordo per compiere il delitto, che non può che essere la morte della vittima. In questo tipo di gialli la vittima è quasi sempre una bella donna, che può avere un passato un po' torbido che giustifichi certe scene di paura e di suspense, mentre i colpevoli appaiono persone normali, perfino un po' grigie, insospettabili. Un esempio di questo tipo di storie è “Lo strano vizio della signora Wardh” (1971) diretto da Sergio Martino, dove per movimentare la storia è stato infilato anche un serial killer che nulla ha a che vedere col plot ma che serve agli aspiranti assassini come camuffamento, sperando di far passare la loro vittima per una di quelle dello sconosciuto serial killer. Questo escamotage del regista mostra la difficoltà di mantenere alta la tensione sviluppando solo il plot principale, dove tutti sembrano brave persone tranne una, evidentemente malvagia. In storie di questo tipo la tentazione di riempirle di flashback è grande: mostrare la vittima nei suoi momenti peggiori, mostrare il suo passato, (forse prostituta? sadomasochista? cleptomane?), e arricchire così la galleria dei possibili ricattatori ora che è diventata una stimata signora borghese. Io aborro i flashback come i sogni e gli incubi che gli autori fanno credere veri al pubblico per poi mostrare il protagonista che si sveglia tutto sudato. Purtroppo a volte diventano necessari, sed cum judicio. Se non è barare, ci siamo molto vicini. Quando i flashback diventano indispensabili si entra nei pensieri di uno dei personaggi e allora qui proprio non si deve barare: quello che ricorda dev'essere avvenuto come lo ricorda, ripetere un flashback dove un uomo cerca di uccidere una donna per poi cambiarlo nel finale e mostrare che era una donna che cercava di uccidere un uomo, non è ammesso nella grammatica di un buon giallo.

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Nella vita uno può avere un falso ricordo, in un giallo è meglio di no. Tutto quello che c'è di falso in un giallo dev'essere voluto dai personaggi e non dall'autore. 5 – Quella del sospetto immediato Con questa tecnica si rende subito ovvio chi è il colpevole, si accumulano contro di lui prove ed indizi, poi di colpo a un quarto della storia lo si scagiona completamente con prove e indizi contrari. Si procede la narrazione portando il lettore su strade diverse spostando i sospetti sugli altri personaggi del racconto per poi tornare solo alle ultimissime pagine a dimostrare che il primo sospettato era il colpevole. È una tecnica che richiede qualche abilità perché la regola è sempre non barare e quindi tutto quello che raccontate dev’essere strettamente conseguente agli eventi del romanzo o della sceneggiatura. Dosare il carico dei sospetti che farete pesare sul vero colpevole all'inizio per poi depistare il lettore facendogli quasi dimenticare la partenza è un'operazione delicata. Bisogna calibrare bene gli avvenimenti, sono essi che devono spostare i sospetti sugli altri per poi precipitare alla fine sul vero colpevole. In questa tecnica vale anche l'opposto, ossia far credere al pubblico che l’innocente accertato, per l’azione di un detective, di un avvocato o di un’amante sia dichiarato colpevole, facendo scoprire soltanto alla fine che era davvero innocente, con il gran colpo di scena per svelare il vero cattivo. In queste trame col capovolgimento si annidano molti pericoli per gli autori, il lettore smaliziato può svagare troppo presto l'artificio. Sono acrobazie che richiedono esperienza. Un errore di dosaggio in questa tecnica lo si vede bene nel film “La giusta causa” (1995- titolo originale “Just Cause”) diretto da Arne Glimcher, scritto da Peter Stone, Jeb Stuart e John Katzenbach, dove un giovane nero condannato a morte viene fatto credere innocente al pubblico e Sean Connery lo salva dalla sedia elettrica alla fine del primo tempo. Troppo presto! Che volete che accada nel secondo tempo se non il rovesciamento della situazione dove si dimostra che il nero è il colpevole? Scontato. 41

Un esempio perfettamente riuscito di questa tecnica invece è il bellissimo film “Testimone d'accusa”(1957 - titolo originale “Witness for the Prosecution”) scritto e diretto da Billy Wilder con Marlene Dietrich e il bel Tyrone Power, dal romanzo di Agatha Christie, dove il capovolgimento è inaspettato, fragoroso, bellissimo. 6 – Quella del giallo già risolto Qui il tenente Colombo la fa da padrone: non si tratta tanto di capire chi è il colpevole ma di riuscire a dimostrarlo trovando prove che reggano in un tribunale. Non è solo il caso del tenente Colombo, molti hanno usato questa tecnica chiamata dagli anglosassoni “inverted detection”, che rovescia la struttura del giallo classico dove il detective, insieme al lettore, procede indizio dopo indizio verso l'identificazione del colpevole. Qui l'identità del colpevole viene resa nota quasi subito e il racconto diventa la possibilità di dimostrare quella verità di cui si è già in possesso. È un giallo rovesciato: il divertimento consiste nel capire come farà il detective a incastrare il colpevole. Più il colpevole è stato abile nel commettere il crimine e più difficile è l'impresa. Non ricordo sconfitte del tenente Colombo: un vero peccato, perché qualche volta avrebbe potuto trovarsi di fronte avversari più abili di lui. Ci saremmo divertiti lo stesso e anche di più. Recentemente, in “The wire in the Blood”,3 (romanzo al momento ancora inedito in Italia) la scrittrice di polizieschi Val McDermid usa questa tecnica con maestria alimentando una delle tante categorie Il romanzo è ambientato a Leeds, nello Yorkshire, proprio là dove ho ambientato di nuovo il romanzo tratto dalla mia opera prima gialla, la commedia teatrale “A... come Assassino”. Giuro che non l'avevo ancora letto! 3

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cervellotiche in cui vengono divisi i romanzi gialli, neri o di nessun colore: i suoi romanzi apparterrebbero al filone scozzese del “Tartan Noir”, una sottospecie dell'hard boiled che è a sua volta un ramo del Noir che è già una categoria del poliziesco, filiazione illegittima del giallo classico! Si possono scrivere interessanti storie anche con questa tecnica che ovviamente è basata sul personaggio del detective e sulla sua abilità nel duellare col colpevole per incastrarlo e non è obbligatorio che sia chiaro chi è l'assassino fin dall'inizio, lo schema può partire anche a metà racconto. Ma per i miei dummies consiglierei di cominciare con un giallo che non abbia bisogno di personaggi carismatici, una storia completa in sé stessa, che si regga da sola. Nella vita moltissimi fatti di sangue, anche gravi, restano insoluti. Sarà vero che non esiste il delitto perfetto ma è certamente vero che ci sono poliziotti e detective imperfetti. Nel caso del tenente Colombo, il lettore o lo spettatore sa subito chi è il colpevole, ma non è obbligatorio che sia così (nulla è obbligatorio in un giallo), si può scrivere una storia misteriosa e arrivare al punto in cui chi indaga capisce chi è il colpevole ma non riesce a dimostrarlo e inizia un duello alla tenente Colombo. Anni fa ebbi l'onore di essere amico del giudice Santiapichi che mi disse che uno dei suoi magoni era, a volte, quello di capire che l'imputato era colpevole ma di doverlo assolvere per mancanza di prove certe. Questa tecnica del giallo già risolto può essere usata anche in modo diverso dall'impostazione seriale e un po' banale del sequel del tenente Colombo, ad esempio nel film “Senza via di scampo” (1987 – titolo originale “No Way Out”) diretto da Roger Donaldson, scritto da Kenneth Fearing e Robert Garland, con Kevin Costner e Gene Hackman (un remake molto libero di “The Big Clock”(1948) con Ray Milland) si sa chi è l'assassino perché lo si vede compiere il delitto e uccidere la sua amante e il giallo si dipana su altre corde: si tratta del ten43

tativo di salvare l'assassino, pezzo grosso dell'amministrazione USA, cercando di incolpare un altro amante della donna, per ucciderlo, chiunque esso sia, facendolo passare per una leggendaria spia russa di cui si parla da anni ma che non è mai stata trovata. Kevin Costner è il secondo amante della donna uccisa e lavora anche lui per il governo USA e poiché gli indizi portano a lui capisce che corre il rischio di essere ucciso e agisce per salvarsi. Ci sono due colpi di scena nel finale, l'ultimo geniale che vale il film. Quindi nessuna preoccupazione se il “cattivo” che inventerete sarà più bravo della polizia: purché sia davvero così, ossia non usate un poliziotto stupido facile da fregare. Invece funziona benissimo il poliziotto finto stupido che induce a grossolani errori il colpevole portandolo a sottovalutarlo. Funziona qualunque sia la tecnica che preferirete adoperare. Anche qui con avvedutezza, ironia e sapienza. 7 - Quella del giallo deduttivo (induttivo, abduttivo) Questo è il regno degli investigatori. Cominciò, credo, Edgar Allan Poe con il suo Auguste Dupin, ma fu portato alla gloria da Arthur Conan Doyle con il suo Sherlock Holmes. Doyle fu il primo a rendere popolare la criminologia, ossia l'applicazione del metodo deduttivo-scientifico alle investigazioni criminali. Ovviamente usando la scienza del suo tempo. Il termine più giusto per i ragionamenti di Holmes forse è, come sosteneva Eco, “abduzione”, ossia un'ipotesi che porta a un risultato probabile ma non certo, ma sono sottigliezze accademiche. Sherlock Holmes è diventato il simbolo del giallo, eppure secondo il mio modo di vedere è a cavallo tra il giallo e il poliziesco, anche se Holmes è un privato cittadino, si muove sugli eventi come un poliziotto.

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Non è mai partecipe degli intrecci, li esamina con la lente della sua intelligenza (mai così speciale, sempre secondo l’opinione di Umberto Eco) e ha bisogno di qualcuno un po' più stupido di lui che gli faccia da coro e da fan. Doyle gli inventa un coinquilino, una specie di alter ego, a cui poter spiegare le cose. Il suo: “Elementare, Watson!” è diventato un tormentone. Doyle ha inventato anche un fratello di Holmes: Mycroft, persino più in gamba di Sherlock, perché trova soluzioni agli enigmi senza mai uscire di casa, ma non è detto che la sua soluzione sia quella giusta, però è una soluzione logica, e questo gli basta, non è interessato neppure a controllare se ci ha preso, affetto com’è da pigrizia cronica. È apparso in molte trame ma non è mai diventato popolare. Già gli antichi greci si erano accorti che molti fenomeni (le chiamavano “apparenze”) potevano avere spiegazioni diverse, tutte in accordo con quel che si sapeva. Anche nella vita, ma ancora più in un giallo, un buon intreccio può avere più soluzioni tutte perfettamente logiche e, poiché siamo nella fiction, una vale l'altra. Il personaggio di Nero Wolfe ricorda il fratello pigro di Sherlock Holmes che risolve i casi complicati senza uscire di casa, ma a differenza di Mycroft, Nero ha bisogno di qualcuno che muova le gambe al suo posto e che racconti le sue imprese. Rex Stout inventa a questo scopo il personaggio di Archie Goodwin, il segretario di Wolfe, e divide il cervello dal corpo. Il cervello resta a coltivare orchidee ma manda il corpo in giro a interrogare, pedinare, osservare. Tutto questo per chiarire che nel caso di questi personaggi famosi, tanto da eclissare i nomi dei loro stessi autori, quel che conta sono loro e non il plot del giallo che hanno deciso di risolvere. Le storie di questo tipo devono essere piene di piccoli fatti che l'occhio acuto del detective coglie, ma solo per essere poi rovesciati da fatti davvero infinitesimi che solo il genio del detective riesce a collegare per trovare la soluzione. 45

Per fare bene un plot di questo genere occorre essere scrittori raffinati e grandi architetti di personaggi e di sfumature. Sconsigliato ai neofiti. 8 - Quella del giallo scientifico Un campo vastissimo e sfruttatissimo soprattutto da fortunate serie televisive che hanno indotto il pubblico a credere che davvero oggi ogni omicidio possa essere risolto col DNA preso da una macchia di sangue (c'è solo nei globuli bianchi che sono le uniche cellule del sangue ad avere un nucleo) e non capisce come tanti omicidi restino ancora senza colpevole. La grande audience televisiva ha finito per creare un pernicioso effetto CSI, dal nome della popolare serie televisiva americana, tanto che le giurie USA spesso restano deluse dalle relazioni scientifiche dei veri casi di omicidio, aspettandosi l'impossibile visto in TV. Le vecchie, care impronte digitali sono desuete, ma di queste esiste una banca mondiale, mentre quella del DNA è in costruzione. Ma sia le impronte che il DNA se appartengono a persona sconosciuta alle polizie del mondo non servono a nulla. Se decidete di usare questa tecnica il consiglio è quello di usare la scienza in modo imprevisto: oggi è banale trovare tracce di veleno in uno avvelenato, trovare un po' di pelle dell'assassino sotto le unghie dell'assassinato o il DNA della saliva dello stupratore rimasto su un gancetto di reggiseno della stuprata, meglio dare aria alla fantasia: un moscone può sentire l'odore di un cadavere anche se è sepolto e lo sviluppo delle larve sui cadaveri sono un eccellente metodo di datazione della morte. Sapere l'ora esatta di quando la vittima ha tirato le cuoia è essenziale alle indagini e agli alibi degli assassini. Nel film “La morte cammina con i tacchi alti”(1971) diretto da Luciano Ercoli, l'assassino lega al cadavere della sua vittima due barre di ghiaccio e poi lo cala in mare. Il ghiaccio si scioglie e il rigor mortis appare con ore di ritardo, le corde che legano cadavere e ghiaccio al 46

sciogliersi del ghiaccio diventano lasche e il cadavere viene trovato privo di esse. Bastano poche ore per rendere un alibi inattaccabile. Quando un delitto avviene in una piccola comunità si può prelevare un campione di sangue o di saliva da tutti gli abitanti e tentare di scovare il colpevole: si confrontano segmenti presi in precisi punti del genoma nelle aree non codificanti, che una volta veniva chiamato DNA spazzatura. Questi “loci” hanno molte ripetizioni di segmenti uguali che variano però da individuo a individuo. Controllandone sedici se si verifica una perfetta uguaglianza si ha la probabilità del 99,6% che i due DNA appartengano alla stessa persona. In questo campo i progressi sono quotidiani, quindi aggiornatevi sulle riviste specifiche e sui siti relativi. E poi c'è l'informatica, un campo in rapidissima evoluzione per cui non si sa mai se quel che si legge o si vede è possibile, se era possibile ieri o sarà possibile domani. La localizzazione dei criminali per via satellitare è possibile solo se hanno un telefonino satellitare acceso, seguire un criminale attraverso i passaggi degli agganci del suo cellulare è possibile solo se è così stupido da tenerlo attivo. Le indagini coi tabulati richiedono molto tempo e non li può portare un minuto dopo la segretaria dalle belle gambe e il GPS riceve i segnali dai satelliti e calcola la posizione ma non trasmette nulla, a meno di installare un tracker sulle auto come fanno le imprese per controllare i movimenti delle loro flotte aziendali. Mostri che scovano password complicatissime in pochi minuti non esistono: spesso vengono usate a difesa numeri molto grandi prodotti dalla moltiplicazione di due numeri primi già enormi e per scoprirli, ossia farne la fattorizzazione come dicono i tecnici, richiede mesi e anni di potenti computer. Ingrandimenti di volti tratti da una foto presa in piazza Venezia dall'alto dell'altare della Patria quando parlava Mussolini e ingrandita come il ritratto della nonna è ancora oggi una bufala. Ma domani? Il progresso in questo campo è verticale: può cambiare da quando scrivete il vostro racconto a quando verrà pubblicato o se diventerà un film. 47

ALLORA: Si può localizzare un cellulare spento? E se gli si toglie la batteria? Se lo si pesta in un mortaio? Occhio, pare di sì ma dipende dalle marche: l'iPhone 5s ha un chip specializzato nella geolocalizzazione che resta in funzione anche a batteria scarica, pare per giorni. Apple sostiene che le serve perché quei dati di posizione migliorano le App che fanno uso di mappe... Sarà! Il GPS è solo un ricevitore di segnale, non è rintracciabile se non collegato a un software apposito. Ma quali sono le nuove “App”? WARNING: terreno facile a scivolate mostruose. Se vi inoltrate troppo in questi problemi rischiate di uscire dal giallo e sconfinare nella fantascienza o scrivere colossali castronerie, comunque muovetevi solo in campi in cui siete abbastanza esperti in modo da non scrivere stronzate come spesso capita di leggere o di vedere nei telefilm in TV. Se non sei un hacker, sconsigliata. 9 - Quella dell'osservatore esterno L'esempio classico di questo tipo di giallo, “La finestra sul cortile” (1954 - titolo originale del film “Rear Window”) diretto da Hitchcock, scritto da John Michael Hayes e tratto da un racconto di Cornell Woolrich4 “It Had to be Murder”. Il film racconta di un uomo immobilizzato da una gamba ingessata che scopre un intrigo che accade nel caseggiato di fronte, guardando dalla sua finestra. 4

Lo stesso autore del racconto “Collared” da cui fu tratto il film “La pupa del gangster”, 1975, diretto da Giorgio Capitani, con Sophia Loren e Marcello Mastroianni 48

Su questo tema si possono trovare molte variazioni: dal poliziotto in pensione che disprezza i colleghi, al barbone scartato dalla società ritenuta per bene, al bambino troppo intelligente a cui nessuno crede e così via. L'osservatore esterno può anche avere azionato egli stesso la macchina di cui poi controlla gli effetti, meglio se la messa in moto parte da un'azione all'apparenza irrilevante che poi scatena una valanga di eventi. Un buon esempio potrebbe essere il plot di “A come Assassino” (“A for Assassin”, nella versione romanzo in inglese) dove l'azione scatenante è la semplice incisione di una “A” sul manico di un vecchio coltello. Questo plot incrocia quella che è una tecnica classica del giallo, ossia il giallo in famiglia. Questa tecnica permette molte deviazioni: l'osservatore può dare valore a cose insignificanti oppure che hanno significati che esulano dalla trama gialla ma possono essere interessanti di per sé: questo vale soprattutto per i romanzi dove le digressioni sono molto più libere che non nelle strettoie di uno script per il cinema che deve rispettare un minutaggio. È bene che l'osservatore esterno venga alla fine coinvolto e magari travolto dalla macchina del giallo, sia che l'abbia messa in moto lui, sia che la sola osservazione abbia prodotto effetti sugli eventi, altrimenti l'osservatore più esterno di tutti è il lettore o il pubblico che assiste al film! 10 - Quella col paranormale Qui bisogna stare molto attenti perché si è in un campo in cui è facile cadere nel “tutto è possibile” che inficia la regola di Holmes “Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità.”

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Quindi bisogna attenersi alle regole che valgono per la buona fantascienza: accettata una premessa fantastica tutto il resto deve essere di una logica stringente. Ovviamente ci sono ottime storie fantastiche ma l'argomento esula da questo manualetto, però ricordo con ammirazione il bellissimo film “The Others”(2001) scritto e diretto da Alejandro Amenábar. È un giallo? L'autore vi fa credere che la famiglia normale sia quella degli spettri e la verità si scopre solo alla fine con un clamoroso capovolgimento della situazione. La tecnica è quella del giallo, ma esito a classificarlo tale. E che dire di “Il sesto senso” (1999 - titolo originale “The sixth Sense”) scritto e diretto da Night Shyamalan, con un Bruce Willis in stato di grazia? Il film inizia con un trucco, un barare, ma trattasi di una eccezione geniale: far credere vivo il protagonista che invece è morto. Il film è perfetto, bellissimo e il regista non ha più barato dopo la partenza iniziale, se guardate due volte il film noterete come nelle scene dove Bruce Willis sembra vivo e al tavolo con la moglie, in realtà i due non si toccano mai e i dialoghi sono due monologhi tra persone che non si possono sentire. Geniale. Ma è un giallo? Forse no anche se la sorpresa finale come quella di “The Others” è stupenda. Per restare nel giallo e non scivolare nel fantastico o nell'horror, la qualità paranormale deve essere chiara e delimitata. Ottime storie si possono scrivere facendo sembrare paranormale qualcosa che alla fine avrà una spiegazione razionale, come in “Tutti i colori del buio”5 (1972) diretto da Sergio Martino, anche se qui la soluzione normale è bruciata in una scena finale. Comunque è meglio non esagerare con la facoltà paranormale attribuita a uno dei personaggi: ad esempio se uno ha un sogno premonitore, è bene che sia uno e che non ne abbia altri perché se il personaggio ha qualità paranormali ricorrenti (telepatia, telecinesi, biloca5

Titolo ripreso poi da Tim Lucas per il suo librone su Mario Bava e da magazine e blog. 50

zione, capacità fisiche fuori dal normale) è difficile restare nel giallo ma si scivola ineluttabilmente nel fantastico perché viene a mancare quella coerenza logica della vita quotidiana che è alla base del divertimento in questo tipo di storie. 11 - Quella del giallo familiare In ogni famiglia ci sono problemi, incomprensioni, scontri, a volte anche violenti. Qui giocano i sentimenti che il pubblico conosce bene: l'amore, l'affetto, il rancore, il tradimento, il sacrificio. Un giallo familiare può prendere molte strade: un pericolo esterno alla famiglia, un evento tragico causato da cattive frequentazioni di uno dei membri, un passato torbido nei rapporti sessuali tra genitori e figli o tra fratelli, un'eredità che scatena gli egoismi più duri, un tradimento coniugale e qualsiasi pesante attrito caratteriale che diventa violenza in presenza di un qualche grosso interesse: come al solito nel 90% dei casi saranno i soldi. Oggi nelle famiglie di cultura mista o nelle cosiddette famiglie allargate si potrebbero tentare dei gialli a sfondo etnico, o omosessuale, o sfruttando figli e figliastri costretti a fingere di essere tutti una sola famiglia anche se nessuno di loro è figlio della stessa coppia. La famiglia può sembrare all'inizio quella del Mulino Bianco e poi rivelarsi un covo di serpi. Sono situazioni di partenza che non garantiscono il buon esito di una storia gialla, anche se è sempre consigliabile partire con qualcosa di traumatico, perché i legami familiari possono trascinare l'autore più verso il romanzo psicologico che non quello giallo, che dev'essere enigmatico sorprendente e intrigante sia nelle motivazioni che nello svolgimento minuto per minuto. Ma questo vale qualsiasi sia la tecnica usata. Sciogliere un gomitolo aggrovigliato di interessi contrapposti dentro una famiglia può essere intrigante perché si mescolano legami di

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sangue, di affetto, di avversione, di odio tuttavia non è facile mantenere il giusto equilibrio. Se si usa questo tipo di intreccio è bene organizzarlo prima e non improvvisare. 12 – Quella del folle serial killer Sono molte le storie con i serial killer, più o meno feroci e paranoici, ma di solito non si tratta di gialli veri e propri ma di polizieschi che a volte hanno una finale giallo a sorpresa quando il serial killer è uno dei personaggi a cui avevamo fatto affezionare il pubblico: qui diventa difficile trovare un movente credibile che abbia spinto il personaggio alla serie di delitti. Ovvio che un serial killer ha sempre problemi mentali, però un autore di gialli serio non se la cava con la spiegazione della follia, troppo facile e troppo sciocco. Il movente è bene che sia condivisibile, almeno nella sua radice, dallo spettatore. La follia deve consistere nell'uccidere ma non nel movente che lo ha spinto. Si possono usare i traumi dell'infanzia ma è meglio se poi li si smonta: far credere a un luogo comune per poi uscirne con una soluzione inaspettata e originale è ottima cosa per un giallo. Il bellissimo film “Il silenzio degli innocenti” (1991 - titolo originale “The Silence of the Lambs”) diretto da Jonathan Demme, scritto da Thomas Harry e Ted Tally, ci racconta con sapiente abilità la lucida follia di uno psichiatra cannibale detenuto a vita, è lui il protagonista del giallo anche se il pericolo è esterno a quella cella. Qui la follia intelligente, geniale, fa di Lecter, interpretato da uno stupendo Anthony Hopkins, un personaggio indimenticabile che alla fine vince la sua truculenta partita. Scarseggiano serial killer donne, forse perché nella credenza popolare scarseggiano i prostituti da uccidere. Eppure le storie di donne abusate sono molto superiori a quelle dei maschi.

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Fa eccezione lo splendido “Basic Instinct” (1992) diretto da Paul Verhoeven, scritto da Joe Eszterhas e interpretato da Michael Douglas e Sharon Stone. In questo film gli autori incrociano due tecniche: quello del sospetto immediato e quello del serial killer. Il film fa di tutto per far credere che la scrittrice Catherine Tramell (Sharon Stone) miliardaria trasgressiva, grande scopatrice di uomini e di donne, possa essere l'assassina dell'ex star del rock, Johnny Boz, trovato morto trafitto da molte pugnalate inferte con un rompighiaccio. Nick Curran il detective (Michael Douglas) incaricato del caso ne è convinto più di tutti scoprendo altre strane coincidenze in altri delitti che puntano tutte verso la bella miliardaria bisessuale. Ma “ovviamente” l'assassina non è lei, fin troppo indicata come tale nel film: la serial killer è una psicologa innamorata di Catherine fin dai tempi dell'università, un amore morboso che la spinge a uccidere gli uomini con cui Catherine va a letto. La trama è complessa e ben congegnata, le scene di sesso hanno fatto la fortuna del film ma anche la suspense per l'ambiguità continua di Sharon Stone e la sfida raccolta da Michael Douglas hanno aggiunto pepe alla minestra. Abbastanza inutile l'inquadratura finale dove il regista mostra un rompighiaccio accanto al letto di Sharon Stone che fa l'amore con Douglas, fingendo che lo voglia prendere per poi rinunciarvi. Un tentativo goffo di lasciare un dubbio allo spettatore. Evitate come la peste la strage delle prostitute: visto troppe volte. Pensate magari a una strage di monache, meno scontato. “Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d'Europa” (1978titolo originale “Who Is Killing the Great Chefs of Europe?” diretto da Ted Kotcheff, scritto da Nan e Ivan Lyons, è già meglio, anche se è una commedia. Infatti troppe sono le storie in cui i serial killer uccidono prostitute col movente di qualche offesa subita da bambino da uno o da entrambi i genitori. Meglio abbandonare questa banalità e cercare moventi e storie più originali.

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Se ci pensate bene in fondo anche “Dieci piccoli indiani” della grande Agatha Christie è la storia di un serial killer che decide di fare giustizia, giustiziando poi anche sé stesso. Ottimo plot, così perfetto che la brava Agatha ha dovuto costringere l'assassino a una confessione scritta e infilata in una bottiglia perché dopo aver tanto faticato per rendere il caso insolubile ed esserci riuscita, che altro poteva fare per non lasciare il lettore con un palmo di naso? (Anche se uno che si finge morto e tutti ci credono puzza un po' di truffa) Se il movente non è psicosessuale sembra che l'unica altra via sia quella della vendetta. Ma qui il legame tra le vittime è facile da scoprire. Una strada meno battuta è l'eliminazione degli eredi come capita in“A... come Assassino”. Per quali altri motivi qualcuno dovrebbe ammazzare tanta gente? Lecter lo faceva per mangiarli, in “Arsenico e vecchi merletti” (1944 - titolo originale “Arsenic and Old Lace”) diretto da Frank Capra, scritto da Julius e Philip Epstein, le vecchiette lo facevano per carità (un po' come nella realtà fece la Cianciulli, ricordate?), inventare altri moventi è difficile, (quelli politici, religiosi o razziali sono troppo importanti per un giallo) ma magari qualcuno di voi ci riesce, se no passate a un'altra tecnica. 13 - Quella del protagonista che non capisce quello che gli sta capitando Anche questa è una tecnica abbastanza facile: si inventa un personaggio, uomo o donna, meglio donna perché erroneamente il pubblico la ritiene più fragile, e si comincia a fargli capitare “cose”: un pedinamento senza ragione, un biglietto enigmatico, un’auto sempre in sosta davanti alla sua casa, un vaso di fiori che si schianta a pochi centimetri da lei, un ascensore che si blocca, qualche oggetto spostato in casa. La fantasia si sbizzarrisca: questo personaggio comincerà ad avere paura, poi a essere terrorizzato o terrorizzata, ma non ha idea del perché avvengano quelle stranezze. Può anche andare da uno psicologo per farsi consigliare. Lo psicologo può, guarda caso, non essere 54

estraneo a quanto sta capitando, oppure avere come paziente qualcuno che non è estraneo, con tutte le varianti che può suggerire la fantasia. Anche qui vale la regola della buona partenza: la scena iniziale deve prendere l'attenzione del lettore o dello spettatore: può anche essere una fucilata che sfiora la testa della presunta vittima, magari nel giorno del suo compleanno. Ecco che immediatamente la festa e la torta prendono un altro sapore: chi vuole ammazzare la nostra o il nostro protagonista? Soprattutto per chi è vivo per miracolo le facce dei parenti e degli amici adesso sembrano tutte molto ambigue. Ogni battuta suona in modo diverso nella testa di chi si crede in pericolo di vita. Le varie tecniche che stiamo esaminando non sono autoescludenti, spesso si mescolano nella narrazione: nel caso sopra accennato si entra nel campo del giallo di famiglia, ma se l'autore vuole può invece spostarsi sul luogo di lavoro, o in Parlamento se la mancata vittima è un deputato. La vittima cercherà di capire chi vuole la sua morte e si renderà conto che sono in molti ad avere buone ragioni per volerla e magari alla fine scoprire che quella fucilata era stata uno sbaglio di un killer, un errore di persona. L'importante è non lasciare mai cadere l'attenzione di chi segue la narrazione: la morte di ogni racconto è la noia. Questa tecnica può essere usata in mille modi e dar luogo a infiniti racconti. 14 – Quella del perseguitato o della perseguitata Differisce dalla tecnica precedente perché il perseguitato conosce il suo persecutore e il motivo per cui non può liberarsene. Siamo nella zona ricatto: non sempre solo di soldi, può essere sesso o la firma su un documento che favorisce qualcuno.

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Ne “Le foto proibite di una signora perbene” (1970) diretto da Luciano Ercoli, il ricatto si basa sulle prove che il marito della vittima sia un assassino e che il ricattatore minacci di denunciarlo alla Polizia. Oppure la persecuzione può essere quella di un vecchio amante: è successo che un uomo lasciato dalla fidanzata abbia tappezzato i muri del paese con le foto delle sue, diciamo, prestazioni sessuali! In un giallo una cosa del genere potrebbe portare all'omicidio dell'attacchino e all'indagine che ne segue, con al centro la vittima delle fotografie. La persecuzione non dovrebbe durare troppo perché il giallo ha bisogno di colpi di scena e di sospetti: l'abilità dell'autore potrebbe ad un certo punto rovesciare il sentimento del lettore e trasformare il perseguitato nel vero persecutore. Oppure il perseguitato sfrutta la persecuzione per fini personali e di solito poco nobili. Anche qui capita più spesso nelle fiction che la perseguitata sia una donna, ma si può benissimo inventare una storia di una persecuzione maschile e magari potrebbe essere una donna la persecutrice, come nel film “Attrazione fatale” (1987 - titolo originale “Fatal Attraction”) diretto da Adrian Lyne. Scritto da James Dearden, oppure un amante omosessuale che rivelando l'antica relazione potrebbe mandare all'aria un matrimonio o qualcos'altro di importante. Quel che conta è che la persecuzione si sviluppi creando ambiguità ed enigmi e non duri più di un terzo del racconto, pena la noia. 15 – Quella del trascinamento involontario Questa è una tecnica abbastanza facile: si parte dal solito fatto eclatante che ormai deve aprire ogni narrazione, almeno quelle dedicate alla TV, e poi da una richiesta di aiuto. La richiesta è solitamente indirizzata: a un amico, un detective, un giornalista, o ad un amante che non hanno alcuna intenzione di intervenire. I motivi possono essere molti: perché non stimano il richiedente, o perché è uno che si 56

mette sempre nei guai, oppure perché sono impegnati o per qualunque altro motivo. E qui deve succedere qualcosa che costringe il rifiutante al coinvolgimento involontario. Spesso in questo tipo di gialli chi non voleva concedere aiuto è costretto a partire, magari ad andare dall'altra parte del mondo per salvare il personaggio nei guai. La tecnica si incrocia con quella del viaggio ma con una sfumatura diversa: la persona che porta aiuto lo fa perché è costretta e cerca di tirarsene fuori al più presto, salvo che il narratore decida poi di rovesciare la situazione e magari spiegare che l'aiutante involontario è proprio la causa dei guai del personaggio che ha chiesto il suo aiuto: e può esserlo in buonafede o in malafede a seconda della fantasia dell'autore, sempre ricordando la regola aurea di non barare. È facile con questa tecnica uscire dal giallo vero e proprio per entrare nel romanzo di avventura e lasciarsi trasportare da avvenimenti inspiegabili sul momento, ma che non si coagulano in un vero e proprio rebus da risolvere, come dovrebbe essere in una trama gialla. È una strada che può anche portare a clamorosi successi editoriali, Dan Brown insegna. 16 - Quella dei pochissimi personaggi Se riesce è forse il giallo più giallo di tutti. Un giallo giallo. Ricordo “Il delitto perfetto” (1954 - titolo originale “Dial M for Murder”) di Hitchcock, scritto da Federick Knott, e di nuovo “I diabolici”di Clouzot, ma ce ne sono tanti altri. Qui si gioca tutto sui personaggi e sui loro rapporti apparenti. Se avete tre o quattro personaggi i loro caratteri apparenti devono essere diversi da quelli che sono nella loro realtà. Tutti devono mentire, tutti devono far credere agli altri e al pubblico di essere diversi da quel che sono. È un gioco di specchi e potete metterne molti in parallelo e come sapete una fuga di specchi moltiplica le immagini, se poi gli specchi 57

sono deformanti le figure infinite sono tutte diverse. Non è affascinante? Nel corso della narrazione il carattere dei personaggi può cambiare, anzi deve cambiare per rendere il giallo intrigante: solo alla fine farete capire la vera essenza dei vostri personaggi. In questi gialli la soluzione è difficile da indovinare per qualunque pubblico, giallisti esperti compresi, sempre attenendovi alla regola aurea: mai barare. I personaggi appaiono diversi a seconda di come si svolge la narrazione ma il fine ultimo dev'essere chiaro: vincere lo scontro e ottenere il premio, qualunque esso sia, solitamente, nella nostra società, si tratta di soldi. Ma ci possono essere variazioni: lo scopo finale può essere la carriera politica o sociale. Gli esempi non mancano anche se spesso nel giallo politico o sociale i personaggi non sono mai troppo pochi per ovvie ragioni. Quanti film abbiamo visto sugli intrighi per diventare Presidente degli Stati Uniti? Ce n'è uno anche in ambiente western ed è “Il prezzo del potere” (1969) diretto da Tonino Valerii. Ma tornando al giallo con pochi personaggi forse il migliore nei miei ricordi resta ancora “I diabolici” di Clouzot, ma cito volentieri anche il mio “Libido”, (col debutto di Giancarlo Giannini e della bella Mara Maryl) pur trattandosi di un filmetto fatto in bianco e nero e con pochissimi mezzi, vagamente ispirato a quello di Clouzot (sia ne “I Diabolici”che in “Libido” recitano le mogli dei registi). 17 - Quella del giallo commedia Perché funzioni occorre una sapienza di dialogo e di situazioni che va ben oltre questo manualetto: gli avvenimenti che si succedono devono far ridere, far divertire ma nel contempo essere pericolosi e intriganti.

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Da non confondere col giallo-rosa tipo ispettore Clouzot dove il pericolo è messo talmente in ridicolo da diventare inesistente e avvicinarsi più a una comica che a un giallo. Come esempi citerei: “Sciarada” (1963 – titolo originale “Charade”) di Stanley Donen, scritto da Peter Stone e Marc Behm, “La signora omicidi” (1955 - titolo originale “The Ladykillers”) diretto da Alexander Mackendrick, scritto da William Rose, con Alec Guinness e Peter Sellers, in chiave italiana “Il gatto”(1977) diretto da Luigi Comencini, scritto da Rodolfo Sonego di cui feci una revisione per Sergio Leone che lo produsse, e anche “Delitto quasi perfetto” (1966) di Mario Camerini. Mescolare humor magari nero e suspense autentica ricavandone un frullato gustoso è abbastanza difficile. Se scrivete per il cinema o per la TV dovete sperare in una buona regìa e che venga interpretato da bravi attori, perché siete sul filo della caduta nella stupidità. A me è successo con un eccellente script, che aveva un meccanismo che ricordava quello de “La stangata” (1973 - titolo originale “The Sting”) diretto da Roy Hill, scritto da David S. Ward, con Paul Newman e Robert Redford. Ne è uscito un film conosciuto nel mondo col titolo “The Genius” (1975 - in Italia “Un genio, due compari, un pollo”) diretto da Damiano Damiani che è più una farsa che non una commedia gialla come pretendeva di essere la sceneggiatura. Il regista ha sbagliato la dosatura degli ingredienti e forse non ha neppure capito il meccanismo giallo sottinteso nel copione. Ma questo problema chi scrive per il cinema o la TV ce l'ha sempre: nell'immaginare e scrivere una storia lo scrittore la vede con la mente e le immagini che realizzerà il regista saranno per forza diverse da quelle pensate dall'autore. Solo ne “Il mio nome è Nessuno” (1973) che scrissi sotto l'ossessivo controllo dei dettagli di Sergio Leone e che Tonino Valerii si impegnò a realizzare, le immagini del film corrisposero per il 90% a quanto avevo immaginato. 59

18 - Quella del sicuro innocente condannato a morte Qui lo vedete subito: l'assassino non è lui, non è il vostro protagonista ma troppi indizi gli sono contro e viene condannato a morte (o all'ergastolo nei Paesi civili). A questo punto bisogna inventare una fuga, studiata od occasionale come ne “Il fuggitivo” (1993 - titolo originale “The Fugitive”) diretto da Andrew Davis, scritto da Jeb Stuart e David Twohy e interpretato da Harrison Ford. Così avremo un protagonista ricercato dalla polizia che deve cercare di dimostrare la propria innocenza e per farlo deve scovare chi sia stato il vero assassino. Si torna in pieno giallo, però facilitati dalla situazione di estremo rischio del protagonista e dalla scansione di tutti i suoi vecchi amici e parenti. Inesorabilmente sarà uno di loro il colpevole, per non cadere nel paradosso di Wodehouse che alla fine di un racconto giallo scrisse: “L'assassino è Mr. John Smith che è stato tanto abile da non apparire mai in questo libro” Nel film di Davis, Ford è un famoso neurochirurgo e questo serve agli sceneggiatori per inventargli lati umanitari quasi eroici che commuovono la platea. 19 - Quella della sostituzione dei personaggi e dell'amnesia La chiave di questa tecnica è la sostituzione di un personaggio con un altro: può avvenire involontariamente come nel film “Overboard” (1987) di Garry Marshall, scritto da Leslie Dixon, con Goldie Hawn e Kurt Russell, dove un carpentiere approfitta dell'amnesia di una ricca figlia di papà per farle credere di essere sua moglie e madre di quattro rampolli. Oppure come nel film diretto da Duccio Tessari “L'uomo senza memoria” (1974) dove il protagonista perde la memoria in un incidente d'auto, viene riconosciuto dalla moglie ma è oggetto di mi-

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nacce e persecuzione per fatti che non ricorda e da parte di gente che gli pare di non avere mai conosciuto: finale a piacere. La tecnica dell'amnesia può dare molte partenze interessanti ma bisogna stare accorti che il gioco non diventi stucchevole. Nel mio “La fine dell'eternità” film che avrebbe dovuto avere come protagonista Giuliano Gemma, Mara Maryl e Lorella De Luca, ma che non venne mai realizzato, la perdita della memoria del protagonista innesta un racconto circolare dove il giallo finisce in fantascienza e la fine del film altro non è che l'inizio dello stesso, in una ripetizione senza fine. La sostituzione del personaggio può essere anche occasionale come nel racconto con cui concludo questo manualetto e che ho intitolato “La Parentesi”. Il film lo stava preparando Lucio Fulci nel suo ultimo anno di vita e lo voleva intitolare “Personal Inferno”, sono certo che avrebbe sfruttato molto bene la storia aggiungendo il suo tocco da maestro di suspense. 20 - Quella dello spionaggio Difficile che sia un giallo, ma non impossibile. Se c'è un agente segreto, 007 o 077 o un altro numeretto, il divertimento non consisterà nello svelare un enigma, se non quello delle bellissime donne di cui quei racconti sono pieni. Se invece la storia parte da un protagonista che sembra avere una vita normale e invece è una temibile spia, qualcosa di giallo si può rimediare. Hanno un po' di giallo i grandi capolavori della suspense come: Notorious - L'amante perduta (Notorious) è un film del 1946 diretto da Alfred Hitchcock con protagonisti Ingrid Bergman e Cary Grant.

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Il terzo uomo (The Third Man) è più un noir che un film di spionaggio, diretto da Carol Reed nel 1949, famosissimo, specie per la musica ossessiva scritta da Anton Karas. Intrigo internazionale (North by Northwest) è un film del 1959 diretto da Alfred Hitchcock e sceneggiato da Ernest Lehman. Ipcress (The Ipcress File) è un film del 1965 diretto da Sidney J. Furie, sceneggiato da Bill Canaway e James Doran. La spia che venne dal freddo (The Spy Who Came in from the Cold) è un film del 1965 diretto da Martin Ritt. Il soggetto è adattato dal libro omonimo di John Le Carrè, uno dei massimi scrittori di romanzi di genere spionistico. I tre giorni del Condor (Three Days of the Condor) è un film del 1975 diretto da Sydney Pollack, prodotto da Stanley Schneider. La sceneggiatura è di Lorenzo Semple Jr. L'intrigo spionistico, quando è fatto bene, coinvolge lo spettatore e permette di rappresentare un momento storico, il rapporto fra le nazioni, autorizza il protagonista a comportarsi fuori dalle regole del normale vivere civile e alle donne di fare le puttane per la patria, ma raramente sfida l'intelligenza dello spettatore: più che proporgli un rebus da risolvere, lo travolge con una cascata di fatti, di doppi e tripli giochi, con continui capovolgimenti di fronte. A chi vuole cimentarsi con questa tecnica si raccomanda una approfondita conoscenza storica del periodo e dei luoghi in cui si ambientano i fatti. 21 - Quella dei profiler È una tecnica molto di moda. Quando la polizia si trova di fronte a una catena di delitti e non sa da dove cominciare da oltre un secolo si rivolge a psicologi specialisti che tentano di disegnare un quadro psicologico, ambientale, sociale del probabile assassino. 62

È molto importante la parola “probabile” perché qualche successo in questo campo ha portato poi a clamorosi errori giudiziari. Scrive la giallista Val McDermid6 l'inventrice del profiler Tony Hill, largamente ispirato a Mike Berry, psicologo criminale, ora in forza al Royal College of Surgeons di Dublino: “Il primo profilo criminale fu tracciato nel 1888, nel mezzo dell'ondata di omicidi a Whitechapel, nella parte est di Londra. Alle 3,40 del mattino di venerdì 31 agosto, un carrettiere camminava per Buck's Row quando vide nel buio una donna distesa sul marciapiede, con la gonna sollevata sull'addome. Il carrettiere si avvicinò, tastò la mano della donna e sentì che era fredda. L'unico lampione si trovava dall'altra parte della strada e il carrettiere non riuscì a capire se la donna fosse ubriaca o morta. Le tirò giù la gonna e andò a cercare un poliziotto. L'agente John Neil arrivò sulla scena e vide il sangue scorrere dalla gola della donna. Era tagliata da un orecchio all'altro, con tanta forza da recidere il midollo spinale.” Era il primo dei delitti seriali attribuiti poi al non mai scoperto Jack the Ripper, Jack lo Squartatore. Non è detto che fine abbia fatto il carrettiere così cieco da scambiare una donna sgozzata in quel modo per una ubriaca, ma vennero tentati molti “profili” per cercare di individuare dei sospetti. Quella prima volta non funzionò. E non funzionò neppure nel caso Rachel Nickell, quando venne individuato dal profiler come assassino un certo Stagg che pareva perfetto da ogni punto di vista e venne sputtanato per mesi sui giornali e sulle tv ma che dovette essere poi risarcito con 706.000 sterline perché l'assassino era una certo Napper. Questo nella realtà, ma a noi qui interessa la fiction. Il capolavoro di questa tecnica resta il libro di Thomas Harry intitolato “The Silence of the Lambs”, da cui l'omonimo film7 sceneggiato da Ted Tally e diretto da Robert Demme nel 1991. Molto opportunamente, come già accennato, in questo capolavoro il profiler “brilliant forensic psychiatrist” è un omicida cannibale, l'in6 7

Forensics - The Anatomy of Crime In Italia: Il silenzio degli innocenti 63

dimenticabile Hannibal Lecter magistralmente interpretato dall'immenso Anthony Hopkins. “Joking aside”, come avrebbe detto Hannibal, se un autore in erba vuol tentare la carta del profiler, il mio consiglio è di tenerlo ai margini del racconto, è più facile usarlo perché sbaglia che non perché indovina. Il raffinato sapere di questi psicologi criminali può venire utile per dare profondità ai colpevoli, marcarne le caratteristiche uniche, le devianze, il ceto sociale, ma il giallo come lo intendo io deve coinvolgere nella soluzione dell'enigma il lettore o lo spettatore. Se nella vostra storia c'è un sapientone che dice: “L'assassino seriale abita nei dintorni dei suoi primi delitti, e quindi nel quartiere nord della città, è pelato, anziano, convive da decenni con un'attrice cinematografica, è alto venti centimetri più della media, trasandato nel vestire e scrive manuali che parlano di omicidi...” e poi è proprio così, avranno arrestato me e applaudito il sapientone, ma il pubblico è tagliato fuori dal gioco. Se invece, dopo la profezia dello psicologo criminale, fate scoprire che l'assassino è un nano di trent'anni che abita nel quartiere sud ma, avendo letto anche lui i manuali che insegnano ai profiler le loro tecniche, ha ingegnosamente indirizzato il loro profilo in direzione errata, allora sarete sulla giusta via. Ma ricordate, la scoperta che è un nano geniale dev'essere alla portata anche del lettore. Intere serie televisive di successo raccontano dei miracoli compiuti da bravissimi profiler8 e vanno avanti con dozzine di dozzine di episodi spingendosi fino alla “lettura” mentale dei presunti assassini: lecito, divertente, interessante, non giallo.

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Wire In The Blood - 2002 64

22 - Quella della stanza chiusa Nel lontano 1907 un giornalista, Gaston Leroux, scrisse un romanzo che intitolò “Il mistero della camera gialla”9 in cui la figlia di un noto scienziato, la signorina Mathilde Stangerson, è la vittima di un tentato omicidio. Il luogo dell'aggressione è la camera gialla, la stanza da letto della donna, e pare che al momento dell'attentato la porta e la finestra, dotata di inferriate, fossero chiuse dall'interno, rendendo inspiegabile come l'assassino fosse potuto fuggire dopo il crimine. Il problema che si pone al lettore, più che scoprire chi è il responsabile del delitto è scoprire come sia stato possibile commetterlo. La prima impressione è che il criminale sia svanito nel nulla e il lettore è sfidato a cercare di capire come abbia fatto, prima che glielo spieghi, più o meno bene, l'autore. Il romanzo di Gaston Leroux è stato da molti considerato il più brillante e insuperato “locked-room puzzle” (cioè un romanzo poliziesco la cui trama è imperniata su una stanza chiusa), dove le sorprese sono una sfida alla logica. È il caso in cui la detection viene superata dal mistero10 E forse questo è vero, però passa anche per il più classico dei gialli ma, secondo il mio metro, non lo è. Organizzare un mistero non è difficile, spiegarlo senza infrangere la logica del lettore e quella dei personaggi, invece lo è. Nel romanzo “Il mistero della camera gialla” Leroux si inventa alcune situazioni incredibili: Mathilde va in America e si sposa di nascosto, sta 10 giorni col marito che viene arrestato perché è un noto farabutto. Non dice nulla del matrimonio al padre ma intanto partorisce un figlio che non entra mai nel romanzo se non nella pagina finale, dopo di che torna a fare la signorina in Francia.

Le mystère de la chambre jaune, I Classici de Il Giallo Mondadori n. 442, da notare anche l'Omnibus “I delitti della camera chiusa” a cura di Guido Bezzola. 10 Da Giorgio Ghidetti, Il racconto poliziesco, Illustrato, Firenze, Paradigma, 1989, pp. 279. 9

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Passano quindici anni (quel figlio è quasi un marine!) e Mathilde rifiuta di sposarsi (è già sposata!) e solo Roberto resiste e la corteggia per un decennio. Finalmente Mathilde accetta di sposarlo (sapremo poi che aveva sentito delle “voci” circa la morte del suo primo marito sic!-), ma di colpo cancella tutto. Niente matrimonio, senza spiegazioni al lettore che deve immergersi nel mistero che esplode con l'attentato che subisce la donna nella camera gialla. Mathilde non muore e racconta di essere stata aggredita da uno sconosciuto e di avergli sparato, poi di aver ricevuto una botta in testa ed essere svenuta. Per non raccontare tutto il romanzo che si legge con un certo piacere fino alla delusione finale, si sappia che l'attentatore altri non è che il marito americano che nel frattempo è diventato un pezzo grosso della polizia francese e che insieme al giovane Rouletabille farà finta di indagare ma invece tenterà di far passare per aggressore il povero Roberto perché non vuole che Mathilde si sposi con lui (gli sarebbe bastato esibire il suo certificato di matrimonio!). Se dimenticate che è il marito legale, padre del loro figlio, che non glien’è mai importato nulla della donna per quindici anni e che di colpo si trasforma in un quasi assassino per amore, scrive il povero Leroux, costretto dalla sua epoca (1907) a far sposare la sua eroina per permetterle una scopata. Senza il matrimonio tutto sarebbe stato meno assurdo ma Mathilde sarebbe stata giudicata una puttana. E poi c'è l'eterno fidanzato Roberto al quale Mathilde aveva confessato l'antico matrimonio e a cui ovviamente avrà anche detto che l'uomo era tornato sotto le spoglie di un poliziotto francese. Roberto esclama: “Devo compiere un delitto per averti?”, non pensa di affrontare il poliziotto e dirgli semplicemente che se non scompare svelerà la sua vera identità alla polizia. Già, perché se i personaggi si comportassero con buon senso, addio mistero e bella trama gialla. Bene, è possibile scrivere un giallo senza forzare in modo così violento le psicologie dei personaggi. Un po' si può, spesso si deve, ma senza esagerare. Insomma anche i personaggi dei gialli non devono superare i limiti della media stupidità umana, quindi c'è ampio spazio di manovra. Quindi “Il mistero della camera gialla” è un divertente puzzle la cui soluzione è fuori dalla scacchiera: Mathilde si chiude nella sua ca66

mera con chiave e paletto perché ha paura del marito. Poi ha un incubo spara al nulla e infine cade e si spacca la testa. Ovvio che quando sfondano la porta non si trovi l'assassino, perché non c'è mai stato. È il caso nel caso. Il primo esempio di questa tecnica per far venire il mal di testa al lettore è il racconto “Passage in the Secret History of an Irish Countess” (1839) di Joseph Sheridan Le Fanu, ma sul tema, si sono cimentati numerosi scrittori: da Chesterton a Van Dine, da Carr ad Agatha Christie, a Conan Doyle a Edgar Wallace. Il primo romanzo tutto centrato sul mistero della camera chiusa è “Il grande mistero di Bow” (1892) di Israel Zangwill. Anche qui la soluzione è affidata a una presunta conoscenza della psicologia femminile perché l'assassino ha solo addormentato la vittima ma quando sfonda la porta su richiesta della signora Drabdump urla come se vedesse una scena drammatica, la signora si copre gli occhi e lui taglia la gola alla vittima con un rasoio. Vabbè, grazie, graziella e grazie alla signora Drabdump! Malgrado la difficoltà di creare un meccanismo che sia allo stesso tempo verosimile e convincente, la bibliografia della camera chiusa è sterminata: il volume “Locked Room Murders and Other Impossible Crimes: A Comprehensive Bibliography”, compilato dallo studioso Robert Adey, raccoglie oltre duemila tra romanzi e racconti che hanno affrontato il genere. Gli autori hanno inventato di tutto, da improbabili giochi con spilli e fili per manovrare la chiave nella serratura pur stando fuori dalla stanza11, a serpenti velenosi fatti passare nelle griglie di aerazione12, a fucilate sparate dall'esterno attraverso una feritoia13, alle porte truccate14, all'assassino che uccide dopo che la porta è stata aperta ma non se ne accorge nessuno15. Un lettore un po' raffinato ci resta male e pensa di aver sprecato tempo a pensare a una soluzione decente.

Edgar Wallace ne L’enigma dello spillo (1929) Conan Doyle, nel racconto La banda maculata (1892) 13 Il pugnale d’alluminio (1909) di Freeman 14 S.S. Van Dine ne La canarina assassinata (1930) 15 Israel Zangwill ne Il grande mistero di Bow (1891) 11

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Tra i cosiddetti capolavori della camera chiusa, c'è quello di John Dickson Carr “Le tre bare” che però ha una spiegazione finale lunghissima e complicata. Gilbert Keith Chesterton, l'inventore di padre Brown, il presbitero investigatore, ammoniva che: “The whole point of a sensational story is that the secret should be simple” ossia la soluzione di un intricato giallo è bene che sia semplice, altrimenti l’effetto finale è perduto nella noia del lettore. Le spiegazioni in queste storie invece sono spesso complicate e fantasiose, sconsiglierei al neofita di cimentarsi con questa tecnica anche se si può scrivere un perfetto giallo dove l'enigma della stanza chiusa non sia l'argomento centrale. Nel film “Lo strano vizio della signora Wardh”16 per far credere che l'assassinio di Edwige Fenech sia creduto un suicidio, il cattivo sigilla le finestre con nastro isolante e poi mette un cubetto di ghiaccio sotto il paletto a caduta che c'è all'interno dell'uscio: il ghiaccio si fonde e il paletto cade nel suo fermo e si dovrà sfondare la porta per entrare. Tuttavia se è vero che sono circa duemila i racconti che già sfruttano questa tecnica direi che bastano. 23 - I seriali Tirare troppo in lungo un giallo non è facile. Le grandi serie americane tipo “Scandal” o “How to get away with murder” (HTGAWM), entrambe partorite dalla fantasia di Peter Nowalk17, per mantenere vivo l'interesse dello spettatore nelle sconfinate ore dei loro sterminati episodi, costringono gli autori a fare dei minestroni, mescolando momenti di suspense, momenti di azione, momenti romantici o di sesso, momenti (rari) di giallo. Per rendere la zuppa più saporita il racconto non si svolge quasi mai nella sua giusta sequenza temporale, ma saltella avanti e indietro di settimane, di mesi, di anni.

Sceneggiatura di Ernesto Gastaldi (!) Peter Nowalk è anche l'executive producer di queste due serie e di quella medica, Grey's anatomy. I registi sono di batteria. 16 17

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Si parte sempre con un folto gruppo di personaggi che possono essere gli studenti che fanno esperienza in un avviatissimo studio legale, o addirittura le trame intorno al Presidente degli Stati Uniti, e poi per ognuno si inventano storie, situazioni, intrecci sentimentali o torbidi, senza badare troppo alla logica dell'insieme perché quel che conta è iniziare bene e soprattutto finir la puntata lasciando in sospeso qualche grosso interrogativo per invogliare lo spettatore a vedere quella seguente. E quando sono esauriti inventano spettacolari e improvvisate parentele tra i vari protagonisti, così in “Scandal” dopo venti episodi buoni di delitti, di battaglie, di intrecci più o meno probabili, la protagonista si rivolge al capo dell'FBI chiamandolo “papà” e così termina l'episodio ennesimo che fa urlare di entusiasmo il pubblico e sorridere ogni giallista. Per fare qualche altro esempio, in “HTGAWM” si parte con l'assassinio di un professore che è il marito di una grande avvocatessa protagonista eterna della vicenda e gli Autori fanno capire quel che è successo una goccia per volta e quando finalmente si decidono a raccontare il delitto scelgono un colpo di scena paradossale: la presenza della moglie del morto che consiglia agli studenti assassini di far sparire il corpo del marito. Eppure abbiamo visto che l'omicidio è stato in parte accidentale, si sarebbe potuto chiamare la Polizia e addio serial. Invece la vedova da tempo sospetta che il marito abbia avuto un’amante e di averla uccisa quando, incinta, avrebbe voluto dare scandalo, quindi è arrabbiata col marito e poiché gli assassini sono anche suoi studenti teme di poter essere accusata di uxoricidio. Ma sarà vero che il professore era un omicida? Facciamo un salto indietro... Vero che aveva un'amante, e questa ragazza era stata affogata in una cisterna d'acqua dell'università, ma da chi? A questo punto una nuova pensata degli Autori: c'è una compagna di scuola che si autoaccusa: sono stata io. Ma non è stata lei, si autoaccusa perché... vallo a capire il perché! La storia salta da un'altra parte. Anche in “Scandal” c'è una grande avvocatessa e si narra dell'amore sbocciato fra lei e il Presidente degli Stati Uniti che ha moglie e figli e qualche problemuccio da sbrigare intorno al globo. Se ne parla poco in verità, l'attività di questo Presidente di fantasia si svolge tutta tra lui, la moglie frigida che non ama ma con cui deve apparire felice davanti all'elettorato e la folle passione per l'avvocatessa. Le trame che sfociano a volte in omicidi del suo entourage, sono illuminate dal69

l'astuzia diabolica e sorniona di un personaggio che sostiene che avrebbe dovuto essere lui il Presidente ma non ha avuto possibilità di diventarlo perché... non è bello, quindi si è accontentato del ruolo di un Rasputin. Ma il vero Presidente è tale perché l'avvocatessa e altri complici, compresa una giudice della Corte Suprema, hanno fatto brogli in Ohio a sua insaputa. Proprio come sostengono in Italia una quantità di persone colte con le mani nel sacco. Ma nella finzione è proprio così: i brogli sono avvenuti all'insaputa dell'eletto, quindi che fa il giudice della Corte Suprema colta da rimorso mentre sta morendo di cancro? Fa sparare al Presidente! Giuro: fa sparare al Presidente diventato tale per colpa dei brogli di lei ma che è innocentissimo, del tutto all'oscuro del reato. Lo vuole uccidere perché non è il Presidente correttamente eletto. Tre pallottole nella testa, dato per morto, la vicepresidente assume la carica di presidente, ma la first lady non ci sta e fa credere a tutti che il marito si sta riprendendo e che il Presidente parla. Non ridete, perché il pubblico qui è attentissimo: il Presidente nel momento in cui la first lady sta per essere sputtanata, si mette a parlare davvero, guarisce e chiede il divorzio per sposare l'avvocatessa. Mossa, questa, politicamente sconsigliatissima dal Rasputin dello studio ovale, che allora per farlo disamorare lo mette al corrente dei brogli e del fatto che anche la sua amata è coinvolta. Invece di complimentarsi con l'amante, il Presidente rompe, pieno di indignazione: che uomo d'onore! Quale lezione morale! Torna marito fedele, ma il giudice della Corte Suprema in punto di morte gli confessa di essere la mandante del mancato omicidio e che sta per confessare i brogli. A quel punto che fa il Presidente degli Stati Uniti eticamente sensibile ai brogli? Soffoca la vecchia. Delitto che servirà al Rasputin per far disamorare l'avvocatessa svelandole che l'amato presidente è un bieco assassino a sangue freddo. Mi fermo qui. Avrete capito che questa “roba” girata bene, ben recitata, montata a puzzle è divertente e ha avuto centinaia di milioni di spettatori

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Un solo neo: la zuppa non è gialla, tende al nero con striature di rosso.

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6 GLI ESEMPI: IMPARIAMO AD APPLICARE LE TECNICHE DESCRITTE

(per ovvie ragioni di diritti d'autore traggo gli esempi da quello che ho scritto io)

1 - La tecnica dello sterminio dei personaggi: “A come ASSASSINO” L'esempio più noto è “Dieci piccoli indiani” (1945 - 1965 - 1989) il cui titolo originale è “And Then There Were None” ossia “E dopo non rimase più nessuno” di cui si son fatti tre film, diretti rispettivamente da René Clair, da George Pollock e da Alan Birkinshaw e tratte molte commedie dal romanzo di Agatha Christie. Il titolo originale la dice tutta sullo sterminio dei personaggi, ma anche la grande autrice ha dovuto ricorrere a un trucco e far credere morto uno dei protagonisti che invece non lo era. Si può evitare, studiando bene il plot. Come un sassolino può innescare una valanga, questo genere di gialli è meglio costruirli dal fattore minimo che farà partire la catena dei delitti per poi raccontare tutto alla rovescia e far scoprire il sassolino al lettore o allo spettatore nell'ultima pagina o nell'ultimo fotogramma. Essenziale è che il lettore possa ricostruire all'indietro tutti gli avvenimenti constatando con stupito divertimento che non ci sono falle evidenti e che avrebbe potuto con maggiore perspicacia indovinare l'intrigo. In “A come Assassino”, il sassolino è l'incisione che un minorato mentale fa sul manico di un vecchio coltello particolare: una “A”.

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E in casa vivono Angela, nipote del morto, con il suo fidanzato Armand e Audrey, la moglie di George pure lui nipote della vittima e fratello di Angela. Quindi “A” come Angela, “A” come Armand, “A” come Audrey. Così parte la valanga ma il lettore scoprirà solo alla fine che è stata provocata da un sassolino. La costruzione della molla: È più facile se partite dall'ipotesi che ci sono dei soldi in ballo, molti soldi. I “gialli” tra gente povera hanno scarsa fortuna. In “A come Assassino” si parte con un ricco signore sgozzato con un vecchio coltello con una “A” incisa sul manico che lascia uno strano testamento: erediterà chi dei suoi parenti un mese dopo la sua morte si presenterà dal notaio. Non devono essere più di tre, altrimenti nessuno avrà nulla. Possono essere due, oppure uno, ma non quattro. Gli eredi possibili sono sette, più un vecchio guardiano che vive in una dependance da tempo immemore. Dopo l'omicidio nessuno può lasciare la villa per obbligo della polizia. Uno di loro dev'essere l'assassino e difficilmente accetterà di perdere l'eredità, quindi dovrà farne fuori altri, da quattro a sette. Ecco montata una molla che dovrebbe tenere incatenato il lettore alla pagina e lo spettatore allo schermo. I personaggi: In “A come Assassino” sono otto, oltre il morto, se fossero stati di più l'intreccio sarebbe diventato troppo complicato, se fossero stati di meno si sarebbe usciti dal genere “sterminio dei personaggi”. È consigliabile che siano personaggi interessanti, molto caratterizzati con almeno un paio di belle donne per imbastire storie di sentimento e di sesso e che il colpevole appaia il più possibile vicino all'inizio per evitare il paradosso di Wodehouse.

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Il plot Questa è la parte più delicata dove l'Autore può sbizzarrirsi ma sempre restando nelle regole del gioco che vietano trucchi e truffe. La presenza di un commissario di polizia, di un detective è spesso obbligatoria e il suo carattere può essere inventato in completa libertà: si può andare da quello che sembra tonto e invece è un genio, o il contrario, da quello che fuma cento sigarette al giorno al vegano fanatico della salubrità dell'aria, dall'ansioso, al pacifico, dall'ironico, al buonista o al duro e cattivo. Vecchio, giovane, chiacchierone o meditabondo, come vuole l'Autore. Ma una volta scelto il carattere del commissario bisogna attenercisi e arricchirlo di aneddoti conseguenti e cercare di farlo interagire anche caratterialmente con la storia. Il rimpianto tenente Colombo può essere ricordato come esempio, anche Montalbano va bene, ma tutti i detective famosi della letteratura gialla lo sono diventati per le loro peculiarità: non avere un commissario “anonimo” aiuta molto il racconto. In “A come Assassino” ho optato per un uomo di mezza età, vedovo, soggetto a crisi di ansia. Attenti però a non far diventare il giallo un poliziesco, genere nobilissimo, ma diverso. In molti “gialli”, anche tra quelli pubblicati dalla collana gialla per eccellenza, ossia i Gialli Mondadori, la trama si dipana esclusivamente sulle ricerche della polizia, a mio avviso questi hanno rubato il colore giallo della copertina. Compressa la molla di partenza (il 90% è un omicidio) bisogna dare inizio al movimento. La molla iniziale di “A come Assassino” per cominciare a muoversi poteva prendere due strade, un secondo omicidio oppure un qualche cedimento di uno dei personaggi. Io sconsiglio gli omicidi ripetuti e inspiegati anche se li ho usati in molti film, perché sviliscono l'estetica del gioco che è la bellezza del giallo, che dovrebbe avere la perfezione di un rebus. Quindi ho scelto il cedimento di un personaggio innocente ma che non ha detto subito la verità temendo di essere sospettato. Quando la dice, cade nella trappola approntata dai più furbi che, certi della sua debolezza, avevano già preparato la contromossa. Qui cede George, il nipote della vittima, sposato con la procace Audrey che confessa all'ispettore Brand di aver mentito:

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(sceneggiatura dal romanzo di “A Come Assassino”) Passa un intero minuto di silenzio e poi George prorompe in una cascata di parole, come volesse vomitarle fuori il più in fretta possibile: GEORGE - Quando le ho detto che io e mia moglie quella maledetta sera ci siamo ritirati in camera nostra alle nove era vero, ma non era vero che non sono più uscito. Suonate le dieci al pendolo del corridoio, Audrey, mia moglie mi ha pregato di andarle a prendere un bicchier d'acqua. Sono andato in cucina, tutto era buio, non c'era nessuno! Jack, il maggiordomo, ha mentito quando ha detto di esserci stato per farsi un tè! Uscendo dalla cucina col bicchier d'acqua l'ho incontrato, anzi mi ha sbattuto contro... correva e per poco non mi ha fatto volar via il bicchiere dalle mani! Brand tira fuori il suo taccuino di appunti e prende nota di quanto dice George. BRAND - Alle dieci, ha detto. GEORGE - Sì, c'è una pendola fastidiosa nel corridoio che batte le ore. In fondo al salone appare Audrey in vestaglia: AUDREY - George... si blocca vedendo l'ispettore che si alza per salutarla - Oh, ispettore! Non sapevo che... non sono presentabile. BRAND - Signora, lei è sempre affascinante. Le dispiace se le faccio qualche domanda? AUDREY - No... no, certo. -

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Audrey si chiude la vestaglia e guarda con aria interrogativa il marito che annuisce. BRAND - Mi diceva suo marito che la sera del delitto non siete stati sempre chiusi in camera... AUDREY - Beh...io sì... Audrey guarda George che interloquisce: GEORGE -Tesoro, gli ho detto la verità. Brand gli fa segno di non continuare e chiede alla donna: BRAND - Mi dice com'è andata, signora? Audrey sembra in difficoltà e continua a lanciare occhiate al marito. Risponde: AUDREY - Non ricordo bene ma forse appena in camera mi sono accorta che non c'era la bottiglia dell'acqua e ho pregato George... BRAND - Nella precedente dichiarazione lei ha detto che vi eravate ritirati alle nove, giusto? AUDREY - Sì, più o meno, sì. Comunque ho chiesto a George se andando a prender l'acqua aveva voglia di farmi un tè. GEORGE - Ma no cara, mi chiedesti solo un bicchier d'acqua… Per il tè avremmo chiamato Jack. -

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AUDREY - Ah sì? Ma era tardi... BRAND - Alle nove era tardi per chiamare il maggiordomo? incalza Brand. George ha un gesto di irritazione: GEORGE - Cara, era tardi perché erano le dieci, ricordi? AUDREY (con faccia ingenua) - Ah sì? - È come dice lui, ispettore, io... ho ricordi confusi di quella sera. BRAND - Posso avere un tè? è una serata fredda. Audrey sorride e suona una campanella. AUDREY - Certamente, ispettore. Entra Jack e fa un lieve inchino all'ispettore: JACK - Buonasera ispettore. Serve qualcosa? AUDREY - L'ispettore voleva un tè, Jack. - dice Audrey mentre George ha un gesto di impazienza. JACK - Subito, signore. BRAND - No, lasci stare. Lei si chiama Jack, vero? JACK - Per servirla, ispettore. Non vuole più il suo tè? -

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BRAND - Grazie, no. Era solo per sapere se alle nove si poteva avere un tè. JACK - Non capisco, signore. BRAND - La sera del delitto lei ha detto che era andato in cucina a farsi un tè. JACK -Sì. Ma erano almeno le dieci. Non stacco mai prima. Jack guarda l'ispettore senza manifestare sorpresa. BRAND - Pare invece che corresse per i corridoi. Jack guarda George con aria interrogativa. GEORGE - Già! Correvi e mi sei venuto addosso. Perché correvi Jack? Il maggiordomo resta un attimo in silenzio, poi con aria dispiaciuta risponde: JACK - Era lei che correva signore, non ricorda? George perde il controllo e strilla: GEORGE - Bugiardo! Eri tu che correvi Jack! E da dove venivi? Dallo studio dello zio John, ecco da dove venivi! JACK - Questo è troppo, George. Credo che i miei doveri non arrivino fino a questo punto. Io non avrei detto niente ma non posso farmi incolpare al posto suo. -

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George si avvicina minaccioso a Jack e l'ispettore si mette in mezzo: BRAND - Calma. AUDREY - Ispettore, non crederà alla parola di un servo! dando un'occhiata al maggiordomo che resta tranquillo. BRAND -Signora, la prego. Qui i ruoli sociali non c'entrano. - poi a Jack Lei dice una cosa e il signor Prescott dice il contrario. Parola di uno contro parola dell'altro. Può portare qualche prova che è lei a dire la verità? Jack scuote il capo, poi si ricorda: JACK - No, Ah, forse sì. George era in vestaglia, sconvolto, mi ha urtato e per non cadere mi sono afferrato a lui e mi è rimasto un bottone della sua vestaglia bordeaux in mano. GEORGE - Bugiardo maledetto! Sei tu l'assassino! urla e Audrey lo abbraccia per trattenerlo: AUDREY - George, ti prego! BRAND - Ha quel bottone? JACK - Ma no! Lo lasciai cadere, mi pare. Non ricordo... GEORGE - Certo che non ce l'hai, bugiardo! -

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strilla non riuscendo a recuperare la calma neppure stretto tra le braccia di Audrey. L'ispettore leva una mano a chiedere silenzio, poi: BRAND - Possiamo vedere questa vestaglia? -

GEORGE - Oh certo, ispettore! Certo! Così saprà che ha trovato l'assassino! Andiamo in camera mia! MARTA - Che succede? Perché strillate? Marta è apparsa col suo eterno vestito nero sulla soglia del salone. GEORGE - Zia Marta, è lui, è Jack, che ha ammazzato zio John! indica il maggiordomo che scuote il capo, senza irritarsi, imperterrito come vuole la sua professione: JACK - Signora, non so che cosa abbia preso a suo nipote. Lei sa che io non avrei mai fatto del male a John, a sir John. BRAND - Andiamo a vedere questa vestaglia. George si mette alla testa del drappello e sale le scale mormorando insulti contro il maggiordomo che chiude il gruppo avendo ceduto il passo a Marta. Giunti nel grande corridoio, da una porta esce Julian che guarda divertito quelle persone che camminano di buon passo verso la stanza di Audrey e di George. Si accoda anche lui ritmando: JULIAN - Uno, due! Uno, due! Uno, due! - Marta rallenta per prenderlo per mano:

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MARTA - Cose da grandi, Julian! Andiamo in camera mia a giocare coi tarocchi, vuoi?JULIAN - Dopo. e tira Marta costringendola a riaccodarsi al gruppo. George spalanca la porta della sua camera, entra con passo vincente e spalanca l'armadio: la fila dei vestiti, delle vestaglie e dei cappotti tiene tutta la parete. George trova la vestaglia bordeaux e la stacca dall'attaccapanni, la getta all'ispettore: GEORGE - Ecco guardi, ispettore, e poi arresti questo bugiardo! L'ispettore prende la vestaglia e controlla: tre bottoni e tre asole. Alza lo sguardo su Jack: BRAND - Tre bottoni e tre asole. Qui non manca alcun bottone. Jack la esamina e poi spalanca le braccia: JACK - Ispettore, che le devo dire, qualcuno l'avrà riattaccato. L'ispettore guarda meglio i bottoni: quello di mezzo è cucito con un filo bianco e non ha il peduncolo come gli altri due, si vede che è stato attaccato con grande imperizia. BRAND - L'ha riattaccato lei, signora Audrey? chiede evidenziando il filo bianco e i punti non paralleli che tengono il bottone attaccato alla vestaglia. George straluna e ghigna: GEORGE - Mia moglie non saprebbe attaccare un bottone neppure se... -

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BRAND - ...se servisse a crearle un alibi, mister Frazer? ora il tono della voce dell'ispettore si è fatto freddo, ufficiale. Audrey recupera la vestaglia e controlla il bottone. Sporge le labbra come se volesse baciare qualcuno, poi tenta: AUDREY - Non mi ricordo di averlo cucito io, ma se l'ho fatto dev'essere stato anni fa.BRAND - Certo, signora. Anche se la moglie non può testimoniare contro il marito le consiglio di limitarsi nelle bugie. George strappa la vestaglia dalle mani di Audrey e guarda quel filo bianco anomalo che grida di essere stato attaccato da mani inesperte. AUDREY - George! Se continui a guardare ancora quel maledetto bottone mi metto a urlare! Esclama battendo i piedi. George scaglia la vestaglia in faccia a Jack che è rimasto sempre tranquillo, come se la cosa non lo riguardasse. GEORGE - Tu, tu, maledetto bastardo! Tu l'hai staccato e poi cucito in questo modo infame! Brand ferma George: BRAND - Si calmi. Questo bottone è un brutto indizio ma non prova un omicidio. George si siede sul letto, si sente svuotato. Scuote il capo a negare la realtà, a negarla a sé stesso mentre Jack, ineffabile, rimette la vestaglia sulla gruccia e la riappende nell'armadio.

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Questa scena serve a far nascere il fondato sospetto che la trappola in cui è caduto George gli sia stata tesa dalla moglie d'accordo con Jack, il maggiordomo. In effetti scopriremo poi che la moglie di George è l'amante del maggiordomo. Ma siamo ancora ben lontani dall'indovinare chi ha sgozzato il miliardario col famigerato coltello con la “A” incisa sul manico. Tra gli eredi c'è anche la sorella del miliardario e il figlio di lui, Julian, di 16 anni, disabile mentale che passa il tempo a giocare seduto a terra con dei trucioli. Anche il commissario a questo punto della trama non sa ancora da che parte cominciare: lo sa Angela, sorella di George, d'accordo col maggiordomo per eliminare dalla corsa dell'eredità anche Audrey, però restando in gioco, quindi senza commettere reati. Organizzerà una trappola dicendo a George che sua moglie è a letto con Jack e facendo in modo che egli abbia in mano una pistola con un solo colpo, che sparerà sui fedifraghi, ma il maggiordomo che si aspetta l'arrivo del marito cornuto si è ben coperto col corpo nudo di Audrey. Così Audrey muore e George viene arrestato. Ma ancora non abbiamo idea di chi abbia sgozzato il miliardario. Ora, per non raccontare l'intera trama presa come esempio, svelerò la “macchina”: Marta aveva un marito che si chiamava Arthur, socio di suo fratello, trovato venti anni prima sgozzato in Sud Africa dove i due erano padroni di una miniera di diamanti e il suo coltello con la “A” incisa sul manico, arma del delitto, era scomparso. Quindi per scatenare la valanga basta che Angela trovi Julian che gioca con un vecchio coltello con incisa una “A” sul manico e che lui le dica di averlo trovato in un cassettone in solaio perché poi Angela lo porti a Marta: sembra proprio l'antico coltello di Arthur, quello con cui fu ucciso. È la prova che fu suo fratello a ucciderle il marito e Marta corre a vendicarsi. In seguito Julian si farà sorprendere a incidere una “A” sui suoi trucioli e dirà a Marta che è stata Angela a chiedergli di fargliene una su quel coltello... così Marta si convince di avere ucciso suo fratello per un vigliacco trucco di Angela. La valanga continua a cadere seppellendo via via tutti gli eredi. Alla fine resta solo il ragazzino disabile che ride davanti al quadro del padre morto, perché è vero che la “A” l'ha incisa lui ma Angela non lo sapeva. 83

(Il finale dal romanzo di “A Come Assassino”) Julian è ritto davanti al grande dipinto che raffigura suo padre. Lo guarda con occhi sorridenti, felici: - Papà - gli dice - mi hai sempre detto che ero scemo. Anche tutti gli altri mi han sempre detto che ero scemo. È vero che quella “A” l’ho incisa io sul manico di quel coltello, ma Angela mica lo sapeva... eh, papà, anche lei mi chiamava scemo... A bocca aperta, sulla soglia del salone, Walter Brand e la giornalista Julie hanno ascoltato il monologo, basiti come pupazzi al museo delle cere.

Julian ha messo la prima carta e su di essa tutti hanno costruito il loro castello di morte, ma nessun tribunale può condannare qualcuno solo perché ha inciso una “A” sul manico di un coltello. Questo esempio di “macchina” a cascata, dove un piccolo fatto iniziale scatena una valanga di effetti clamorosi, non è semplicissimo da inventare e soprattutto è difficile tenerla sul terreno della logica. Serve un minimo di suspension of disbelief... però può dare origine a degli intrecci complessi e permette un certo approfondimento dei personaggi, che nei gialli rappresenta spesso un problema in quanto tutti si muovono in modo non corrispondente ai loro veri pensieri: è forse il limite maggiore che rende difficile l'esistenza di una letteratura gialla da Nobel. Ma noi qui vogliamo volare bassi, più artigiani che artisti. 2 - la tecnica dei pochi personaggi: “LIBIDO” Scrivere un giallo con molti personaggi è più facile che non scriverne uno con pochi personaggi: lapalissiano, perché l'intreccio ha meno possibilità di snodi, di colpi di scena, di divagazioni. Se poi i 84

personaggi sono solo quattro e non c'è neppure un commissario di polizia, diventa un esercizio di abilità per esperti. La costruzione della molla: “Libido”, film uscito nel 1965, è uno di questi esercizi: due coppie sposate e una villa abbandonata; vent’anni prima, in quella stessa villa, il padre di uno dei protagonisti uccise una donna durante una seduta di sesso estremo in una stanza piena di specchi e poi si suicidò buttandosi in mare dall’alto di una rupe. Suo figlio, ancora bambino, assistette all’orrenda scena con cui si apre la storia. Anche qui è bene acchiappare subito l'attenzione dello spettatore o del lettore. I personaggi Quando i personaggi sono pochi vanno curati e calibrati con precisione nanometrica. Dato lo shock iniziale si può ripartire con calma e mostrare il ritorno del bambino diventato uomo, sposato con una donna più grande di lui, accompagnato dal suo tutore che ha sposato una ragazzina tutta sexy. Così abbiamo i nostri quattro personaggi in scena: Cristian, il figlio traumatizzato del suicida, Eileen la moglie saggia e calma più matura di lui, Paul il tutore sulla cinquantina dai modi bruschi che ha sposato Brigitte, una ragazzina tutta sesso e tutta gaffe e provocazioni. Ci sono di mezzo i soldi: Cristian, sta per arrivare alla maggiore età ed ereditare la fortuna lasciata dal padre che finora è stata amministrata dal tutore. È un ritorno teso, Cristian non è mai più tornato in quella casa e questo ritorno è anche un test per controllare la sua stabilità psicologica perché ha avuto un'adolescenza difficile in seguito al trauma infantile. Il plot: La tensione è subito chiara, Cristian crede che il tutore lo voglia far passare per incapace di intendere e di volere tenendosi così l'amministrazione dei beni: il suo sospetto non pare infondato. Per lui quella stanza di specchi è un incubo ma per Brigitte, la giovane moglie di 85

Paul, è invece un posto eccitante e chiede di poterci dormire col marito. Una notte Cristian vede i due far l'amore in quella stanza e si sente assalito da una eccitazione morbosa che gli fa temere di essere come suo padre. Cerca di dominarsi ma le continue provocazioni della bella Brigitte rendono la cosa difficile. Paul ha venti anni più della sua provocante moglie ed è molto tollerante verso di lei, mentre Eileen, la moglie di Cristian, è insofferente verso le gaffe e gli atteggiamenti della ragazzina. Peggiorano la situazione alcune “presenze” che vede solo Cristian che gli fanno temere che suo padre o il suo fantasma si aggiri per la casa. Quando Eileen confessa a Paul che Cristian di notte si trasforma e diventa violento, decidono di andare nel paese più vicino per telefonare allo psichiatra che ha in cura Cristian da anni. Istigato da Brigitte, Cristian li segue in auto e vedendo la moglie entrare in un albergo col suo tutore pensa che siano amanti. Torna alla villa furibondo e tenta di violentare Brigitte. Arriva in tempo Paul ad evitare lo stupro e ne nasce una colluttazione. Cristian tira fuori una pistola e minaccia il tutore accusandolo di tramare con sua moglie per farlo passare per matto. A questo punto Eileen svela a Cristian la sua verità: il suo diventare violento nel fare l'amore con lei e gli mostra i segni dei graffi e dei lividi. Cristian vacilla: allora è come suo padre e volge la pistola contro sé stesso ma Paul riesce a deviare il colpo. Cristian ha un collasso nervoso e viene messo a letto. Il mattino dopo Paul è preoccupato dal ritardo dello psichiatra e torna da solo in paese per telefonargli. Cristian si sveglia e vede Eileen stesa a terra coperta di sangue. Fuori di sé corre nel corridoio gridando che l'ha uccisa. Brigitte, spaventata lo chiude in una stanza. Paul scopre che Eileen non ha mai telefonato allo psichiatra, la segretaria del dottore lo esclude. Sconvolto da un orribile presentimento, Paul si precipita nella villa: non capisce più che cosa stia succedendo e teme per la vita di Brigitte. Irrompe in casa chiamando la moglie: vede una scarpa col tacco a spillo in mezzo al salone, corre fuori e trova la vestaglia della moglie a terra, si affaccia dalla rupe, sotto cui mugghia il mare e chiama disperato: due mani gli danno una leggera spinta facendolo cadere nel burrone. Di chi sono quelle mani? Sono di Brigitte! La ragazzina dia86

bolica, con una radiolina a passo di danza torna in casa e le viene incontro Eileen coperta di sangue ma sorridente. Ecco la scena tratta dalla sceneggiatura del film: (dalla sceneggiatura originale di “Libido”)

BRIGITTE Uh, Eileen, mi hai fatto quasi paura… EILEEN Tutto bene, e Paul? Brigitte si stringe nelle spalle e dice con accento dispiaciuto: BRIGITTE È caduto dalla scogliera. Eileen annuisce e con le unghie si stacca il sangue raggrumato dei graffi sulla guancia, quelli che avrebbe dovuto farle Cristian durante l'ultima delle sue inesistenti crisi. Dà un'occhiata verso la stanza degli specchi. EILEEN Perfetto. Cristian andrà in manicomio. Povero Cristian! Dirà di avermi uccisa, mentre noi diremo che ha ucciso Paul perché convinto che fosse il mio amante... Brigitte sorride e giocherella con la radiolina. BRIGITTE Tutto secondo i piani. Ora i soldi sono tutti nostri, vero Eileen? Eileen allunga una mano e accarezza Brigitte: una carezza breve ma che rivela la qualità della loro intesa. Tuttavia Eileen sorride con ironia: EILEEN Certo cara, qualcosa ci sarà anche per te... Brigitte spalanca gli occhi stupita. 87

BRIGITTE Come qualcosa? Non dividiamo più a metà? EILEEN A metà? Sono miliardi, tesoro… Brigitte sospira con tristezza e mette il broncio BRIGITTE Ecco: lo sapevo che mi facevi il bidone… Eileen fissa ironica Brigitte che continua a starle ritta davanti con la radiolina in mano. BRIGITTE (come colpita da folgorazione) ...ma se tu fossi morta davvero, erediterei tutto io, come moglie del povero Paul! EILEEN Già, ma... Brigitte spiana il revolver che nascondeva dietro la radiolina, quello di Cristian. Sorride…

BRIGITTE Ma tu sei morta, ti ha ucciso Cristian. Spara.

Segue un finale a sorpresa ma qui interessa solo mettere in evidenza come si possa costruire un giallo basato sulla psicologia dei personaggi, illudendo il lettore o lo spettatore con una psicologia falsa e apparente per poi disvelare quella autentica solo alla fine e rendere così davvero difficile indovinare la soluzione finale. In storie come queste bisogna curare con grande attenzione i personaggi, utilizzandoli con abilità: dapprima il tutore sembra un malin88

tenzionato sposato con una stupidella sexy che dice e fa cose sciocche, provocante suo malgrado. La moglie di Cristian invece è una donna seria, posata, che cerca di rassicurare Cristian sul tutore dicendogli che non è un uomo malvagio e che ha sempre curato i suoi interessi. Il capovolgimento repentino dei caratteri svela la trama nascosta: a detta del pubblico e dei critici (Tim Lucas tra questi) LIBIDO è un giallo di cui nessuno è riuscito a indovinare il finale. 3 - La tecnica del viaggio e della ricerca: “Cu O” 2 Meme, Ramona, Olga. Tre belle ragazze di vent'anni. Fisico da indossatrici, coda di cavallo, una bionda, una rossa, una mora. Uno spettacolo e amiche per la pelle. Eppure... Eppure l'appassionato inventore di trame gialle ci può lavorare sopra e ricavare qualcosa di diverso. Ho accennato all'ambiente dicendo che è meglio un ambiente ricco che povero, però si può partire da un ambiente povero e puntare a una qualche troppo agognata ricchezza. È la trama di molte storie western ma vale anche per i nostri giorni. Oppure si può tentare l'incontro casuale con un tesoro, incontro foriero di inaspettati guai, oppure... sbrigliate la fantasia, le variazioni sono infinite. Io consiglio ai principianti di ambientare i gialli in città di provincia, oppure città d'arte, se volete scrivere un giallo italiano. Io ho ambientato storie gialle anche a Los Angeles ma alla fine non son riuscito a far giocare un buon ruolo alla città. I nostri film gialli della stagione d'oro che va dal 1960 al 1980 furono ambientati in città straniere per dar loro un tono meno provinciale, in realtà si mandavano un paio di operatori e un paio di attori e si giravano alcuni passaggi davanti a monumenti o panorami celebri e poi il film veniva girato a Roma.

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La costruzione della molla Come sempre bisogna partire con qualcosa di forte. Un omicidio in barca su un lago, una donna che lascia annegare il proprio amante perché nega di essere lui il padre del bambino che porta in grembo e gli allontana la barca ogni volta che il disgraziato cerca di aggrapparcisi, finché non lo vede sparire gorgogliando l'ultimo insulto nell'acqua verde scura del lago, al tramonto: sembra un buon inizio. I personaggi Dopo aver caricato la molla che deve costringere il lettore a leggere quello che viene dopo e allo spettatore della TV a non cambiare canale, possiamo come sempre prenderci un attimo di pausa per presentare i personaggi principali: si è detto delle tre belle ragazze: Meme, Ramona, Olga. È quest'ultima l'assassina del proprio amante. Un omicidio nato dal modo brutale il cui l'amante ha negato la paternità perché Olga non ha una natura violenta. È sempre stata una ragazza dolce che si sente forte solo insieme a Meme e Ramona, le due più scafate del trio. Ognuna delle tre ragazze ha lo stesso anello con incisa la formula chimica dell'ossido di rame, “Cu2O”, che però ha un significato segreto. Il plot L'amante di Olga era un rampollo di buona famiglia e nella piccola città si mormora contro di lei, dubitando che la morte sia avvenuta per un incidente. Meme e Ramona difendono Olga e il gossip delle signore bene diventa più malevolo: forse le tre sono lesbiche. Olga non regge e scappa a Firenze dove pare abbia un cugino pittore. Dapprincipio manda email e chatta con le amiche, poi di colpo più nulla. Dopo un mese di silenzio Ramona e Meme decidono di andare a Firenze per cercare di capire che cosa è successo alla loro amica. Ecco una situazione aperta a infiniti sviluppi: che cos'è capitato a Olga? Meme e Ramona si trovano invischiate in altri delitti, sospettate di saperne più di quel che sanno, scopriranno che Olga aveva dipinto un quadro, non finito, in cui si vede un uomo affogato e un feto morto 90

gonfio di acqua sul cui torace sta scritto “Cu2O”: questo quadro sarà la chiave del mistero ma questo non salverà Meme da una terribile fine e il colpevole presunto la farà franca, nonostante l'acutezza delle indagini del commissario Camilleri, ostacolato dal corrotto procuratore Giordano (in ogni giallo si può dare una pennellata sociale o di costume). La strada del viaggio e della ricerca può facilmente portare fuori dal giallo classico per scivolare verso una storia di avventura. Per limitare questo rischio che vanifica l'assioma del giallo, ossia offrire al pubblico la possibilità di indovinare la soluzione dell'enigma, è bene inventare qualcosa che circoscriva la casualità degli incontri e degli eventi. Nel caso di “Cu2O” è questa formula incisa sui tre anelli delle tre ragazze a intrigare di più. Come detto è la formula dell'ossido di rame ma questo non è di alcun aiuto. “Cu2O” è semplicemente un trucco per scrivere “Ra-Me(2)-O”, ossia le iniziali dei nomi delle tre ragazze: Ramona, Meme, Olga. Il commissario fiorentino Camilleri che indaga sugli omicidi e sulla scomparsa di Olga, scoprirà che manca un anello e da questo punterà i suoi sospetti sulla ragazza superstite, l'arresterà, ma non riuscirà a fornire prove convincenti. Questo potrebbe essere l'epilogo: 2027 Anno del Signore La presunta colpevole rimase in carcere, in custodia preventiva, per due settimane e poi il Tribunale del Riesame la fece scarcerare e tornò a Biella, dove si sposò subito con Marco Bassani, il fratello di Walter, entrando così nel gotha cittadino. Ebbero una prima figlia e la chiamarono Meme. Marco al Circolo Sociale disse “Giustizia è fatta”. La presunta colpevole si presentò poi in una lista civica per le elezioni comunali come perseguitata dalla magistratura toscana e venne eletta. Tre anni dopo fu dichiarata colpevole in primo grado dal Tribunale di Firenze e condannata a 25 anni di prigione. Fece appello e nelle more del processo diventò assessore regionale. La corte di appello, quattro anni dopo, la dichiarò innocente. La presunta colpevole aveva intanto avuto un maschietto e l’aveva chiamato Walter.

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Il PM impugnò la sentenza e tre anni dopo la Cassazione accettò il ricorso e il processo d’appello dovette essere ripetuto. Nel frattempo la presunta colpevole si era candidata al Parlamento, fu eletta e la terza figlia la chiamò Olga. Passarono altri cinque anni e stavolta la presunta colpevole, riconosciuta colpevole di tutti e quattro gli omicidi, stava per essere condannata in via definitiva ma i suoi avvocati riuscirono a far spostare il processo per legittima suspicione da Firenze a Roma dove il procuratore capo Giovanni Giordano s’era sempre detto convinto dell’innocenza di Ramona e della colpevolezza di Livia Berta, ormai deceduta. In attesa del nuovo processo, la presunta colpevole sta per diventare nonna e ha ereditato l’immensa fortuna dei Bassani perché Marco è morto in un incidente d’auto sull’unica superstrada, che super non è, che collega Biella col mondo. Un incidente chiacchierato perché gli è esploso il serbatoio della benzina ma la famiglia Bassani ha messo tutto a tacere dichiarando che è stata una disgrazia. Lucio Camilleri è rimasto un semplice commissario ed è sull’orlo della pensione mentre il capo procuratore Attilio Giordano è stato proposto come membro della Corte Costituzionale. Così potrebbero andare le cose. 4 - La tecnica della persecuzione: “LE FOTO PROIBITE DI UNA SIGNORA PERBENE” Una donna, Minou, è costretta da un ricattatore a diventare sua amante perché egli ha le prove che suo marito è un assassino. Per non mandarlo in galera, Minou è costretta ad accettare la relazione con il suo ricattatore (Andrea). La costruzione della molla: Si potrebbe partire dall'omicidio di cui è accusato il marito, un uomo ammazzato in una camera iperbarica; io ho preferito invece iniziare con la scena di una minaccia di violenza sessuale che si trasforma in un ricatto. Minou, bella moglie di un imprenditore in cattive acque, è minacciata di notte da uno sconosciuto in moto, un bell'uomo dal volto maschio e deciso. Minou cerca di scappare ma non ha alcuna possibilità

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di farcela. Ora l'uomo l'ha alla sua mercé: ma non la violenta, le dice che sarà lei a offrirsi a lui quando saprà la verità su suo marito. Minou si difende con arroganza: non è gelosa e suo marito è fedele. L'uomo le sorride: infatti suo marito non è un adultero, suo marito è un assassino. I personaggi: Minou è una bella donna borghese, abituata all'agiatezza e Pier, suo marito, è un industriale che produce attrezzature subacquee. Un matrimonio tranquillo ma riuscito. Minou ha un’amica, Dominique, molto bella ma molto libera nei suoi rapporti sessuali, sia con donne che con uomini e non nasconde il suo modo di essere. Il ricattatore si chiama Andrea, affascinante, con qualche sfumatura di sadismo e porterà le prove a Minou dell'omicidio commesso dal marito. Il plot La situazione sembra semplice: Pier doveva molti quattrini a un fornitore che stava per farlo fallire e questo fornitore è morto, per una disgrazia ufficialmente, in una delle camere iperbariche di Pier. Mentre Andrea ha le prove registrate che è stato un omicidio premeditato e minaccia di portarle alla Polizia se Minou non va a letto con lui e vuole che sia lei ad offrirsi. La donna raccoglie indizi che la confermano sul fatto che il marito, disperato, abbia potuto davvero commettere quel crimine e accetta il ricatto. Minou ingurgita pillole calmanti ma Andrea le dà l'ultimatum: Pier avrà l'ergastolo. Minou cede. Lo studio di Andrea è un’alcova sadomasochista con strane effigi, far l'amore con lui è un rito complicato, ma che finisce per coinvolgere Minou ben oltre la sua volontà. Qui la storia ha due colpi di scena: Andrea dice a Minou che le prove registrate sono false ma che ha fatto delle belle foto delle sue performance sessuali e ride alla rabbia della donna che minaccia di denunciarlo e di dire tutto al marito. Andrea ride sarcastico perché si immagina la faccia di Pier quando saprà dalla moglie che lo ha creduto un assassino al punto da andare a letto con lui. Entra in scena anche l'amica Dominique che gioca una parte ambigua, convince Minou a confessare tutto a Pier che però stenta a crederle. Intanto la polizia perquisisce lo studio alcova di Andrea e lo tro93

vano vuoto e sfitto da mesi. Il marito si convince che Minou ha delle allucinazioni. Una notte Andrea si introduce in casa di Minou e si diverte a terrorizzarla con un coltello, ma arriva Pier che lo fa secco con un colpo di pistola. Minou corre a rifugiarsi fra le braccia del marito che la respinge, indica Andrea morto e le dice sogghignando che ora farà un figurone sui giornali: un marito che riesce a uccidere l'assassino di sua moglie. Minou arretra, Pier la sta per uccidere. Potrebbe finire così con la morte di Minou e la vittoria di Pier che era d'accordo con Andrea fin dall'inizio per incassare una polizza vita da un milione di dollari. Ma al pubblico non piacciono i finali amari quando non c'è un forte sostegno nella storia, così arriva in tempo la polizia guidata da Dominique e a morire sarà Pier. La storia sembra finita e lo è, ma l'ultima scena la riapre con un dubbio: (dalla sceneggiatura originale di “LE FOTO PROIBITE DI UNA SIGNORA PERBENE”

È una bella giornata di sole. Le aiuole della clinica sono fiorite. Seduta al volante di una lussuosa auto scoperta, Dominique fuma, ombreggiata da un cappello molto elegante. Da dietro le grandi vetrate della clinica escono Minou, anch’ella elegante e con un largo vezzoso cappello, George (un impiegato della ditta di Pier) e il commissario Poretti. George porta una valigia. MEDICO L’unica cosa che le raccomando è di non ricominciare con quelle pillole. Si diventa dipendenti e finiscono per fare male. MINOU Glielo prometto, dottore! Il commissario le tende la mano COMMISSARIO Come si sente signora?

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MINOU (gli stringe la mano) Bene. Direi bene. La mia fiducia negli uomini è scossa, ma ho delle amiche. Dominique dà un colpo di clacson e tutti guardano da quella parte. La donna si volta e fa un cenno di saluto. Il commissario ricambia con un cenno della mano. George va a mettere la valigia nel portabagagli dell’auto di Dominique. MINOU Grazie di tutto. Sculettando sui tacchi a spillo la bella Minou va a sedersi al fianco di Dominique che fa rombare il motore e grida… DOMINIQUE Arrivederci!!!! L’auto parte e si allontana. Il dottore, George e il commissario la seguono con lo sguardo. COMMISSARIO Devo dire che l’ha presa bene. GEORGE La prenderei bene anch’io se avessi appena incassato un milione di dollari. COMMISSARIO Cioè? GEORGE L’assicurazione sulla vita era reciproca. Se moriva Minou, prendeva Pier, se moriva Pier prendeva Minou. Il commissario sgrana gli occhi, colto da un dubbio, si dà una grattata in testa e poi la scuote. COMMISSARIO No, no. Non ci voglio neanche pensare…

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E scappa via. Intanto l’auto con le due belle donne sparisce lungo i tornanti fioriti della collina.

La vedova è allegra e ricca, parte con l'amica del cuore e con un milione di dollari, quindi potrebbe darsi che... già, potrebbe darsi, ma non lo sapremo mai. 5 - La tecnica del serial killer: “LA GELIDA FIAMMA DELLA PAURA” Tecnica facile, un po' abusata. Io l'ho usata in modo, credo, originale. Il mio serial killer nella storia, non ancora realizzata, intitolata “La gelida fiamma della paura”, è un paranoico motivato e particolare. È motivato perché è sulle tracce di un diamantone da 127,37 carati, è paranoico perché qualcuno gli ha detto che quando ammazzi un uomo la tua immagine potrebbe rimanere sulla retina della vittima e gli scienziati moderni con tutte le nuove diavolerie potrebbero vederla, così quando ammazza taglia anche gli occhi alle sue vittime. La costruzione della molla: Questo rende la storia molto violenta e, se un giorno un regista deciderà di girarla, ne potrebbero uscire immagini fin troppo traumatizzanti per lo spettatore. Facile quindi partire con una sequenza come questa: (dalla sceneggiatura originale “La gelida fiamma della paura”)

TRENO. SCOMPARTIMENTO PRIMA CLASSE. L’uomo è molto nervoso anche se cerca di contenersi. Seduto vicino alla porta dello scompartimento, ben vestito, sulla quarantina, guarda l’ora al proprio Rolex da polso, poi sorride alla signora che gli siede

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di fronte, leggendo una rivista con occhiali dalle lenti rosate, molto eleganti. FRATELLO DI DENISE Mi scusi, signora, che ora fa lei? SIGNORA SUL TRENO Quasi le sei. L’uomo annuisce e guarda la suora (MELISSA) che gli siede di fianco. La suora sorride dolcissima e conferma, dando un’occhiata al suo orologio da tasca.

MELISSA Diciotto meno tre… L’uomo ringrazia con un cenno del capo e dà un’occhiata all’austero signore brizzolato, con qualche caratteristica araba, che siede accanto alla donna, intento a battere sui tasti di un laptop (AHMED), ma questi non alza gli occhi dalla tastiera. Entra un controllore. FRATELLO DI DENISE (al controllore) Manca molto alla frontiera? CONTROLLORE Quindici minuti. Dopo le gallerie. L’uomo annuisce di nuovo, si fa forare il biglietto e si appoggia allo schienale imbottito, chiudendo gli occhi. Il controllore fora anche i biglietti degli altri due viaggiatori ed esce. Il treno infila una galleria e per un attimo lo scompartimento è buio. Poi le luci di emergenza lampeggiano per una frazione di secondo e tornano a spegnersi. Nell’attimo di luce si intravede l’uomo col laptop che si sta muovendo per uscire dallo scompartimento. FERROVIA. TRATTO ALPINO. Il treno esce sferragliando dalla galleria.

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TRENO. SCOMPARTIMENTO PRIMA CLASSE. L’uomo col laptop esce dallo scompartimento, superando il fratello di Denise e la donna che ha sospeso la lettura per via del buio della galleria. AHMED (uscendo) Scusi. La donna annuisce e si rimette a leggere. Poi qualcosa attira la sua attenzione sull’uomo che le siede di fronte e che adesso si lascia scuotere dal treno, con gli occhi chiusi, la testa poggiata allo schienale. Le ciglia dell’uomo si intridono di uno strano umidore. Non è pianto. Da sotto le palpebre chiuse si sta formando una goccia scura. La goccia scivola verso la guancia: una lacrima di sangue! ZOOM VIOLENTO sulle lacrime in formazione. La donna strizza gli occhi, incredula, si toglie gli occhiali e guarda meglio: due lacrime di sangue stanno colando dagli occhi dell’uomo che gli scossoni del treno fanno cadere di lato. Anche sulla camicia, all’altezza del cuore, una macchia rossa si sta allargando. L’urlo agghiacciante della donna fa sobbalzare la suora che vede la testa dell’uomo scivolare verso di lei: nel movimento le sue palpebre si schiudono mostrando in un orrido DETTAGLIO le due cornee squarciate in senso orizzontale da un taglio sottile. La suora si fa il segno della croce e poi non riesce a dominare l’orrore e urla anche lei.

I personaggi: Dopo una sequenza così c'è il tempo per presentare i personaggi principali e quelli secondari. Poiché il primo morto è il fratello di Denise, presenteremo la ragazza che fa la cubista insieme alla sua cara amica Gretha che convive con un pittore di scarso successo che si chiama Andrea. Intorno alle due belle ragazze ruotano parecchi uomini che assumono via via più importanza alimentando sospetti e dubbi. Siccome la catena dei delitti è orribile e lunga non può mancare la figura di un commissario. Il commissario Foresi non brilla per perspicacia, anche perché ha un pregiudizio verso le donne che vivono esibendo il loro corpo e ogni tanto mormora “Mmmh, io ste mignotte

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non le sopporto...”, tuttavia sta sul caso come un mastino e non molla alcuna pista. Perno di tutto l’inghippo è un grosso diamante scomparso con la sua brava sorpresa finale. Il plot: È una storia che incrocia la tecnica della persecuzione in quanto la caccia al diamante finisce per puntare sulle due cubiste dopo una serie di altri delitti. Una delle due dovrebbe avere il diamante ma probabilmente non sa di averlo. Ho usato anche il “trucco” di Agatha Christie nei “Dieci Piccoli Indiani”, meno grave secondo me, ma uno di quelli a cui un “qualcuno” sembra tagliare gli occhi, sopravvive ed è in realtà l'assassino. Una delle cubiste, Denise, viene assassinata mentre sta scrivendo un SMS all'amica, un messaggio enigmatico: “Cara Gretha, non è vero che sei ingrass...”. Il commissario Foresi si scervella sul senso di quel messaggio interrotto, ma non ne viene a capo. L'unica parola che ha senso dopo “ingrass” è “ingrassata” ma non sembra avere senso. Ci arriverà Gretha nel finale e la scoperta la porterà al ritrovamento del diamante: la storia non finisce qui, anzi qui cominciano i fuochi d’artificio dei colpi di scena che ci condurranno alla fine: la borsa col diamantone viene scippata da due ragazzotti che poi, con calma, esaminano il contenuto della loro refurtiva; (finale: dalla sceneggiatura originale “La gelida fiamma della paura”) SCENA. UN PONTE SU UN CANALE I due ragazzi in Vespa fermano la moto all’imbocco di uno dei ponticelli pedonali che scavalcano il fosso pieno d’acqua che attraversa buona parte della città. Scendono dallo scooter e uno dei due rovescia sui mattoni del basso muretto di protezione il contenuto della borsetta di Gretha. DETTAGLIO: rossetto, rimmel, eyeliner, un pettine, una pinzetta, una lima per unghie, un borsellino con qualche moneta e un biglietto da cinquantamila lire e il grosso diamante semilaccato di rosso.

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1° RAGAZZO È andata buca. Proprio misera misera… L’altro esamina incuriosito il diamante a forma di enorme goccia 2° RAGAZZO E questo che roba è? Il compagno glielo leva di mano, gli dà un’occhiata, e lo palleggia, gettandolo per aria e riacchiappandolo al volo un paio di volte 1° RAGAZZO Vetro. Chincaglieria. Il Boccaccio non ci darebbe neanche un deca… E lo scaglia nell’acqua del Fosso. DETTAGLIO: con un bel “plumf” il Fiorentino scompare nelle acque scure. Lo spruzzo sollevato dal diamantone si congela nell’aria e sul fotogramma fermo la parola fine.

È un finale catartico, scelto per punire l'ingordigia di tutti i personaggi. Ovviamente è una scelta etica, fuori dall'intreccio giallo della storia. 6 - La tecnica della sostituzione di personaggio: In letteratura la tecnica della sostituzione del personaggio ha una storia antica come il mondo. Tragedie e commedie greche: Plauto ecc… Le varianti e gli esempi sono infiniti. Anche nel cinema sia la commedia che il giallo non fanno eccezione. Far credere a tutti che “A” sia “B” crea una enorme varietà di equivoci che possono essere sfruttati sia nella comicità che nella suspense. Io, per esempio, ho utilizzato questa tecnica in un trattamento che doveva diventare un film dal titolo “Personal Inferno” per la regìa di Lucio Fulci ma poi non venne realizzato. Ve lo presento così com’è stato scritto e tutto vi sarà più chiaro. 100

(racconto intero inedito “LA PARENTESI” – Personal Inferno) Gloria non aveva niente di particolare da fare in città, perciò per lei un posto valeva l'altro. Da quando aveva lasciato Newton Highlands, il Massachusetts e l'America, andava in giro con la sua chitarra e quando le capitava suonava in qualche locale di provincia della costa azzurra. Tuttavia da un paio di settimane le cose le andavano particolarmente male, per questo aveva accettato di dare una mano a Marcel in cambio di un centinaio di dollari. Sembrava una cosa facile: lei doveva stare in macchina col motore acceso e prendere a bordo Marcel dopo che lui avesse arraffato un po' d'oro dalla bacheca di una gioielleria. Le cose però erano andate in modo diverso dal previsto. Era suonato un allarme ed era arrivata una macchina della polizia. Dentro al negozio qualcuno aveva sparato. Gloria era scesa dall'auto, approfittando della confusione, e se l'era filata a piedi con la sua chitarra. Per questo ora si trovava su quella strada statale a fare l'autostop. Alzò il pollice al passare di un'auto che non rallentò neppure. Non era una strada molto frequentata, forse era meglio tagliare per la campagna sperando di arrivare all'autostrada prima che facesse scuro. Attraversò la strada ma faceva troppo caldo per camminare. Agitò la chitarra verso un camion che tirò dritto rombando e costringendola a fare un balzo indietro. Quel bastardo di Marcel forse era in carcere, o forse l'avevano addirittura ucciso. Per lei magari sarebbe stata la soluzione migliore, perché non le avrebbe mai perdonato di essere scappata lasciandolo nei pasticci. La Mercedes coupé si fermò davanti a lei senz'alcun rumore di freni facendola sobbalzare, come se fosse apparsa per magia sulla strada. Si avvicinò alla lucida carrozzeria nera trascinandosi la chitarra mentre i vetri elettrici si abbassavano: si sentì di colpo stanca e decise che avrebbe accettato qualunque cosa pur di mettere il culo su quegli interni di vera pelle. Si trovò davanti la faccia sorridente di Dottie: bocca ben disegnata, capelli pettinati con sapienza, occhiali scuri avvolgenti. Era raro che si fermasse una donna, una come quella poi, che puzzava soldi da ogni centimetro di pelle, praticamente mai. 101

- Vuoi un passaggio o mi fai una serenata? - l'interpellò ridendo Dottie levandosi gli occhiali e mostrandole due occhi scuri e ridenti. Gloria aprì la portiera e si lasciò andare sul grande sedile che la accolse in un abbraccio sensuale: - L'uno e l'altra se vuoi. - le rispose cercando di mantenersi all'altezza. Dottie rise e le disse che poteva mettere la chitarra sul sedile posteriore e abbassare lo schienale se voleva riposare. Gloria la ringraziò: era evidente che fosse stanca. Si diede un'occhiata nello specchietto di cortesia incollato sul retro del parasole: aveva le occhiaie e i capelli ricordavano più un pagliaio che un parrucchiere, tuttavia nell'insieme poteva gareggiare con quella fottuta riccona. Anche i suoi occhi erano scuri e una volta erano stati ridenti. - Posso? - chiese prendendo gli occhiali da sole dell'altra. Dottie annuì, già annoiata e pescò una pillola azzurra dal portaoggetti inghiottendola con un sospiro. Gloria si mise gli occhiali e si sistemò i capelli con le dita: ecco, adesso, di spalle in una notte buia avrebbe potuto sembrare anche lei una viziata allevata col cucchiaino d'argento. Dottie diede un'occhiata a Gloria mentre premeva sull'acceleratore: - Ti stanno bene i miei occhiali. Te li regalo. - pizzicò un'altra pillola - Ne vuoi? È roba buona. - Non ne dubito - rispose Gloria più acida del voluto - qui tutto è roba buona. Dottie rise troppo forte e si ficcò in bocca la pillola. Fece spallucce e premette di più sull'acceleratore. Il coupé scattò in avanti e le ruote fischiarono nella curva. Gloria si dovette aggrappare. Cercò di mostrarsi spiritosa: - Non ho fretta. - disse. Dottie rise di nuovo e pescò una terza dose dal portaoggetti. Gloria pensò che stava esagerando ma non erano affari suoi: se quella dannata miliardaria voleva sfondarsi insieme a quel gioiello di macchina non sarebbe stata una povera stronza autostoppista con la chitarra a cambiare le cose. Decise di rilassarsi contro lo schienale: - ... tanto è una vita di merda. - concluse a mezza voce, dando involontario suono ai suoi pensieri. - Perché? - chiese Dottie ma Gloria non le rispose. Dottie pigiò sul freno con forza e l'auto si bloccò con un urlo di pneumatici bruciati.

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Gloria si trovò aggrappata al cruscotto, con gli occhiali da sole incastrati sulla faccia. Dottie sbuffò e diede di nuovo gas: - Vedi che puttanata questi airbag! È tutto il giorno che faccio delle gran frenate e non si gonfiano mai. Mi sa che dovrò schiantarmi contro un palo per provarli. Perché di merda? Gloria faticò a riprendere il filo del discorso e del sedile e Dottie la guardò seccata: - La vita, dico. - Ah. Così. La mia è di merda. - Finalmente una che sa spiegarsi. Sei pratica della costa qui intorno? Io ho una villa da qualche parte sulla scogliera ma non ci sono mai andata. L'ho comprata qualche mese fa da un tizio che adesso è morto. - Attenta! - urlò Gloria perché vide Dottie puntare dritto contro il muso di un camion che stava venendo nella direzione opposta. Dottie zigzagò evitando lo scontro frontale e sollevando un effetto doppler di clacson che sembrò un insulto lamentoso. - Ho suonato un po' dappertutto qui intorno: marina, villaggi turistici, piani bar. Questa zona è piena di merdose ville strafiche. Come troverai la tua, Pollicina? Dottie le mise sulle cosce una cartina e la sua mano si attardò più del necessario sulla sua pelle abbronzata. Gloria non ci fece caso: sulla carta c'era un punto rosso con una freccetta e la scritta Nike. - Nike? - chiese Gloria. - Vuol dire vittoria. È il nome della villa. - E tu ci vai per la prima volta? Dottie annuì accelerando per sorpassare una Jaguar metallizzata coi vetri a specchio che subito accelerò in risposta. - E non conosci nessuno? Dottie fece di no con la testa, ci andava proprio per questo per stare qualche giorno in pace, rispose già distratta e tesa nel non farsi raggiungere dalla Jaguar metallizzata. Dottie accelerò ancora e affrontò un paio di curve al limite della tenuta di strada facendo urlare le gomme. Due poliziotti in moto sbucarono da un viottolo laterale accendendo le sirene e si lanciarono all'inseguimento.

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Gloria si aggrappò al maniglione sopra la portiera e urlò a Dottie di rallentare che dietro avevano la polizia. Dottie le diede uno sguardo di disprezzo: - La polizia è per i poveracci come te. Io vado in culo alla polizia! -e accelerò ancora. Imboccò un rettifilo a duecento all'ora e le moto dei due agenti restarono indietro. Dottie rise eccitata. Gloria le mise una mano su un braccio e le gridò: - Ferma. La poveraccia vuole scendere. Dottie si liberò con uno strattone, gli occhi accesi, esaltata: -Tu vuoi? Tu non vuoi un cazzo. - rise della sua battuta volgare e affrontò la curva tenendo il volante con una mano sola. L'auto cominciò a perdere aderenza con l'asfalto. Dottie tolse il piede dall'acceleratore e pigiò sul freno: la vettura sbandò e poi fece due volte testa-coda, divelse sei metri di guardrail e si schiantò urtando lateralmente contro un albero. Gloria urlò vedendo il mondo vorticare per due volte e chiuse gli occhi mettendosi un braccio davanti al viso. Quando tutto fu silenzio si scosse dalla polvere di vetro del parabrezza esploso nell'urto e riaprì gli occhi: Dottie non c'era più. Dalla sua parte anche lo sportello era scomparso. Gloria riuscì a lasciare quella lamiera contorta e si guardò intorno: lo sportello giaceva sul ciglio della strada. Corse da quella parte. Il corpo di Dottie galleggiava, a faccia in giù, nell'acqua pigra di una marrana che la stava portando via. Il suono delle sirene dei poliziotti la fece voltare: non doveva farsi prendere dalla polizia! Forse Marcel aveva fatto il suo nome e l'avrebbero messa in una cella per chissà quanto tempo. La testa le faceva un gran male per la botta, del sangue le colava su un occhio e vide il mondo diventare nero. Qualcuno la sorresse e si trovò a guardare due occhi azzurri e sorridenti. Il poliziotto fu molto gentile e la aiutò a sedersi ai piedi di un albero. - Lei andava davvero troppo forte, signorina. Può essere contenta di essere viva. Niente di rotto, vero? Gloria scosse il capo. Aveva del sangue sulla faccia per un taglio alla radice dei capelli, ma solo un graffio. L'altro poliziotto stava ispezionando l'auto di Dottie e trovò una borsetta e la chitarra. Gloria fece un gesto di protesta per la chitarra che sembrava intatta e il poliziotto dagli occhi azzurri equivocò e le sorrise: 104

- Dobbiamo vedere i suoi documenti. Sono nella borsetta? Possiamo prenderli? Gloria guardò il giovane uomo senza capire, poi si portò una mano sulla fronte. Il poliziotto annuì al collega che pescò nella borsetta un rotolo di dollari, fece una smorfia e li ributtò dentro, poi la sua mano emerse con la patente di Dottie. Diede appena un'occhiata a Gloria, controllò il bollo e la passò all'altro. Nessuno dei due badò alle differenze, del resto poco visibili, tra la fotografia un po' logora di Dottie e la faccia insanguinata di Gloria. L'agente con gli occhi azzurri si accovacciò davanti a Gloria sorridente, e le pulì la faccia col suo fazzoletto: - Io mi chiamo Gerald. Gerald Dershin. Se la sente di alzarsi signorina Dottie Fraser? Gloria cercò di protestare ma Gerald le offrì le mani come appiglio per alzarsi: - Coraggio, è tutto passato e le è andata bene. Adesso chiamiamo un'auto via radio e così lei può tornare a casa. - Non stavo andando a casa. - Gerald sbirciò di nuovo la patente. L'indirizzo era Evanston, Chicago, Illinois. Le sorrise più che amichevole e Gloria le disse quello che Dottie aveva detto a lei. - La villa Nike! Conosco il posto! - si voltò verso l'altro poliziotto Ti ricordi di Mirko? Quello che lavorava al Majestic? Hanno assunto lui poche settimane fa, lui e la moglie, li hanno assunti tramite un'agenzia. Son settimane che lustrano quella casa aspettando di conoscere la loro nuova padrona. Gerald guardò Gloria un po' intimidito. La ragazza si alzò e sorrise. Il mal di testa le stava passando. Quei due l'avevano presa per Dottie Fraser, quella strafica miliardaria. Meglio così. Gerald chiamò un'auto via radio mentre Gloria diede un'occhiata alla borsetta di Dottie: c'erano varie carte di credito e in una tasca ventimila franchi in contanti. - Chiamerò io il carro attrezzi e farò portare quel che resta della sua auto in un'officina. Credo che le converrà accettare un'offerta come rottame. Gloria alzò le spalle e Gerald annuì triste: certo a una come lei non doveva fregare nulla di aver distrutto quella gran bella macchina. Non ci fu verso per Gloria di liberarsi del poliziotto dagli occhi azzurri. Gerald insistette per accompagnarla con l'auto fino alla villa e presentarla a Mirko e a sua moglie Maria come la loro nuova padrona di casa. 105

Alla villa, una sontuosa costruzione al centro di un grande parco, Gloria ebbe un momento di imbarazzo, ma si riprese subito. Dottie le aveva detto di non essere mai stata là e la coppia di camerieri era stata assunta da poco: non potevano certo smascherarla. Gerald consegnò a Mirko le due valige di Dottie che aveva recuperato intatte nel bagagliaio dell'auto, Gloria si preoccupò della sua chitarra pizzicandole le corde che suonarono un accordo perfetto. Gerald guardava Gloria con l'espressione di chi intravede un paradiso impossibile e quando la ragazza lo ringraziò, riuscì a balbettare la richiesta di un permesso per venirla a trovare di tanto in tanto, per controllare che si trovasse bene, aggiunse. Gloria avrebbe voluto dire no, ma non poteva dispiacere a un poliziotto. Mirko e Maria erano simpatici, di mezza età, cordiali e comunicativi. Si felicitarono con grandi esclamazioni di approvazione che una donna bella e ricca come lei avesse comprato quella stupenda villa in uno dei posti più belli della costa. Dal terrazzo della villa il panorama era davvero suggestivo: il verde degli alberi arrivava fin quasi al blu del mare in un rincorrersi di piccoli golfi punteggiati qua e là da ville e piccoli paesi. Mirko e Maria le prepararono una bella stanza d'angolo con vista sul golfo e le disfecero le valigie piene di vestiti costosi e biancheria raffinatissima. Maria vuotò il beauty-case allineando davanti alla specchiera della toilette profumi e ciprie e le disse che, se voleva riposare, la cena sarebbe stata servita alle otto. C'era anche una videocassetta. Rimasta sola Gloria si spogliò e si mise sotto il getto caldo della doccia. Tutt'intorno un complicato gioco di specchi ripeteva la sua immagine. Più tardi, nuda davanti ad una delle specchiere appannate, cominciò a meditare sulla propria situazione tracciando disegni con le dita che la mostravano un po' alla volta a sé stessa. Quella situazione non avrebbe potuto durare. Presto qualcuno avrebbe trovato il cadavere della vera Dottie Fraser e allora, chissà, l'avrebbero accusata d'omicidio o almeno di mancato soccorso e di occultamento di cadavere. Avrebbe dovuto andarsene subito, si ripeteva Gloria, e rimettersi in mezzo alla strada con la chitarra a tracolla. Però quel posto era così bello e pieno di pace, così lussuoso ed era così piacevole vedere la riverenza negli occhi di Maria mentre le dice106

va che la cena sarebbe stata servita alle otto. Anche il bagno era lussuoso, con tanto oro e rococò, e il letto sontuoso le ricordava una qualche Versailles cinematografica. - Per una notte non succederà niente... - si convinse Gloria facendosi le boccacce allo specchio - Per una notte farò la strafica miliardaria... Aprì tutti i profumi, le creme, le ciprie. Un cofanetto conteneva le pillole blu con cui Dottie si dava la carica. Ci giocherellò un poco con quel cofanetto e poi decise che, visto che era per una sola sera, tanto valeva godersi tutto e ne inghiottì un paio. Prese la video cassetta e là infilò nel lettore sotto al televisore. L'avviò: era un promo recitato da Dottie Fraser a proposito di una finanziaria delle Bahamas. Bei paesaggi, un grattacielo e Dottie che firmava contratti di mutui che ella definiva con smaglianti sorrisi e generose scollature, “molto convenienti”. Infilata in uno dei begli abiti di Dottie, Gloria si stava godendo la gioia di una cena ben preparata e servita negli argenti al lume di candela davanti al mare punteggiato di lampare, quando una scampanellata la fece sussultare. - La signora attende qualcuno? - chiese Maria. Gloria scosse il capo spaventata. Mirko andò ad aprire e Gloria sentì, con la morte nel cuore, delle voci allegre avvicinarsi. Adesso sarebbe stata scoperta! - Due suoi ammiratori, signora Dottie - annunciò Mirko - i signorini Winkelsman. Si fece di lato ed entrarono Minou e Klaus. Gloria li fissò pallida e immobile. Klaus abbozzò un inchino mentre Minou, bruna e bellissima, si avvicinò tendendole le mani: - Ho sentito tanto parlare di lei che non mi pare vero di incontrarla! Appena ho saputo da Maria che era arrivata la padrona della villa mi sono precipitata qui. Mi chiamo Minou e scrivo su una rivistina di moda locale. Ho letto il suo articolo su Vogue. Assolutamente perfetto. Gloria prese le belle lunghe mani di Minou fra le sue e non oppose resistenza all'abbraccio appassionato della sconosciuta che le presentò Klaus come il suo “fratellino”. Klaus sorrise, si chinò a baciarle la mano e gli occhi scuri brillarono di interesse. Gloria ne fu deliziata e lasciò esplodere il suo sollievo per non essere stata riconosciuta insistendo perché cenassero con lei, con un'eccitazione che tradiva l'effetto delle due pillole blu. 107

Minou volle che Klaus le scattasse una foto con la grande Dottie Fraser e Gloria si prestò divertita. Fu una strana serata. Minou e Klaus erano divertenti, spiritosi e liberi da ogni tipo di remora o di pregiudizio. A volte sembravano più amanti che fratello e sorella e forse lo erano. Minou accarezzò le gambe di Gloria col polpastrello di un solo dito e Gloria ebbe un brivido. Minou la avvolse in un sorriso radioso e le sussurrò che anche lei trovava nell'appagamento sessuale il massimo del godimento possibile in questa valle di lacrime, proprio come sosteneva lei nel suo articolo su Vogue. Gloria, ogni volta che il discorso cadeva su fatti del passato di Dottie, che ignorava, cercava di non dare risposte ma Minou pareva aver captato questa sua debolezza perché ci tornava sopra e la fissava con quei suoi occhi profondi e sensuali che la turbavano. Klaus brindò a Dottie Fraser nella sua qualità di propugnatrice del libero amore. Gloria rise e non si oppose all'improvviso bacio di Klaus che la strinse tutta a sé, accarezzandole il collo, la schiena per poi sfiorarle il seno abbassandole con dolcezza le spalline del vestito. A quanto pareva la vera Dottie Fraser era ritenuta una delle più grandi scopatrici dei Due Mondi e i baci e le carezze di Klaus erano eccitanti e travolgenti. Klaus prese a baciarla per tutto il corpo e Gloria si abbandonò nonostante la presenza di Minou, che dal canto suo guardava affascinata la seduzione del fratello. L'alba li sorprese spossati sulla spiaggetta della villa e Gloria fu lieta di poter infilarsi sotto la coperta di seta del suo grande letto regale. La svegliò Maria che era quasi mezzogiorno portandole una coloratissima colazione a letto: tra frutta, fiori, succhi e caffè il grande vassoio d'argento sembrò una cornucopia d'abbondanza agli occhi trasognati di Gloria che stentò per alcuni secondi a riprendere il filo dell'avventura. Poi ricapitolò: quella Dottie oltreché miliardaria doveva anche essere una gran troia. Ma forse tutti i ricchi sono così, se uno può sempre fare tutto finisce che si annoia. Decise che si sarebbe “annoiata” almeno per un altro giorno e mangiò tutto con voracità. Con un semplice colpo di telefono e il numero di una delle carte di credito di Dottie ottenne che le portassero uno spider rosso e indossò un abito di seta dello stesso colore dal taglio sapiente e si accinse a vivere la sua giornata da miliardaria.

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-Una chiamata per lei da Chicago. - le sorrise Maria portandole il telefono cellulare fin dentro il bagno. Troppo tardi per far dire che non c'era. Dovette rispondere. - Hello... Una voce d'uomo, bassa e profonda, le disse: - Qui han paura che sia inutile scappare così. Pensano che ti troveranno. Comunque se ce la fai a sparire per un po' magari riusciamo a sistemare tutto. Poi c'è quello stronzo di Drenel, il banchiere, a cui stan cedendo i nervi. Abbiamo paura che parli. Qui vorrebbero usare il solito sistema. - Il solito? Ah sì, il solito... va bene... - bofonchiò Gloria. - Sei una gran figlia di puttana - rise lo sconosciuto da Chicago e aggiunse - Leggi i giornali domani. - Gloria sentì che aveva riattaccato. Chissà in quali impicci era immersa la vera padrona di quella villa. Si mise al volante e puntò verso la città: ormai per la polizia lei era Dottie Fraser. Mentre percorreva a passo d'uomo il lungomare, occhiali scuri bene inforcati, godette dell'ammirazione della gente: per la macchina, per lei, per la ricchezza che emanava l'insieme. Aveva l'esaltante sensazione del potere. Fermò l'auto davanti all'hotel Majestic e fece un cenno ad un inserviente che subito accorse premuroso. Gli disse di parcheggiarle l'auto e gli voltò le spalle senza attendere risposta. Gloria guardava le vetrine lussuose in modo nuovo, con la coscienza di poter comprare “quelle” cose. Entrò da un gioielliere e si comprò un Cartier. Se lo mise orgogliosa al polso. Entrò in una banca, esibì una delle carte di credito di Dottie, chiese e ottenne mille dollari in contanti. Entrò in un negozio di alta moda e scelse sei vestiti ordinando che glieli mandassero alla villa. Si fermò contro la balaustra, davanti al mare. Le spiagge erano piene di bella gente, il porto era pieno di grandi yacht: ma dove era vissuta lei fino ad oggi? Chiuse gli occhi e offrì la faccia al sole, godendo dell'essere come sanno fare solo i bambini. - Sei bellissima così... Gloria trasalì e aprì gli occhi mentre le labbra calde di Minou le sfioravano il collo. Gloria rise imbarazzata e Minou la prese sottobraccio: la notte precedente era stata la più esaltante della sua vita. Mentre parlava le accarezzava il braccio e Gloria si staccò da lei con un movimento brusco: 109

- Io non sono una fottuta lesbica. - Minou la guardò sorpresa per un attimo poi scoppiò a ridere come se avesse detto chissà quale amenità. Gloria cominciava a seccarsi. Si levò gli occhiali per guardare dritto negli occhi Minou ma non riuscì a dire nulla perché una voce maschile la gelò: - Ma guarda chi si vede! La mia cara Gloria! Con tutto il controllo che poté esercitare su di sé nell'udire quella voce, Gloria si rimise gli occhiali e si voltò. Marcel si fermò titubante e questo bastò a Gloria per rispondere senza alcuna intonazione: - Se si rivolge a me sbaglia persona. In tutti i sensi, buon uomo. Fu quel “buon uomo” pronunciato con aristocratico disprezzo e il taglio del vestito, il luccicare del Cartier e l'aria di ricchezza che avvolgeva Gloria, a far esitare Marcel che prese a passarsi una mano sul petto e poi sul mento continuando a fissare la donna. Tentò: - Eppure tu sei Gloria... - poi corresse - Tale e quale. - Non credo che sia un complimento. - tagliò corto Gloria prendendo per un braccio Minou e avviandosi senza più curarsi di Marcel. - E Klaus? - chiese Gloria a Minou tanto per rompere l'aria di imbarazzo che avvertiva in sé. - Al lavoro. - Che lavoro fa? - domandò Gloria e Minou rise di nuovo in quel suo strano modo esagerato. Gloria tornò a prendersi l'auto nel tardo pomeriggio e diede venti dollari all'inserviente che si inchinò tre volte: “Sei dollari e sessantasei cent per inchino” pensò Gloria e non le sembrò affatto caro. Le piaceva la gente che le faceva gli inchini ma doveva interrompere la fiaba. Quel porco di Marcel l'aveva riconosciuta e non avrebbe mollato l'osso tanto facilmente. L'aveva vista ben vestita e in grana, avrebbe cercato di attaccarsi addosso a lei come una sanguisuga: “La mignatta della mignotta” pensò e il gioco di parole la fece ridere forte mentre il vento della corsa le gonfiava i capelli. Nonostante tutto si sentiva felice, forse era la pillola blu che aveva inghiottito prima di uscire. Frenò davanti alla villa: c'era un'auto della polizia nel giardino. Si sentì perduta. Avevano certo trovato il cadavere di Dottie. Innestò la marcia indietro per fuggire ma dall'auto scese Gerald, il poliziotto dagli occhi azzurri, e la salutò con la mano: 110

- Signorina Dottie, mi deve firmare il verbale per l'incidente di ieri! Gloria spense il motore e scese. Se continuava a chiamarla Dottie poteva ancora sperare di farla franca. Gerald si offrì di accompagnarla nell'officina dove aveva fatto rimorchiare il relitto dell'auto: una brutta botta, il carrozziere offriva solo cinquemila franchi. Gloria rispose che era stanca e Gerald ci rimase male. - Senta, lei è un angelo, ma io non mi sono ancora del tutto ripresa dallo shock. Magari un altro giorno eh? - gli sorrise e Gerald si illuminò tutto felice. Gloria si era già voltata per andare nella villa quando un'idea improvvisa la colpì e fece un cenno al poliziotto: - Succede mai niente di grave da queste parti? Che so, morti ammazzati, roba così... - Ultimamente abbiamo avuto degli atti terroristici. Ma a parte quelle cose lì un mese fa un marito ha ucciso la moglie. L'anno scorso invece c'è stato un regolamento di conti tra bande criminali: tre morti. Perché? - Niente. Un tizio mi ha dato fastidio oggi in città... Gerald tirò fuori subito penna e taccuino per avere un identikit promettendo alla donna un'azione immediata e risolutiva. Era così patetico il poliziotto nella sua ansia di compiacere che Gloria gli sorrise materna. - Non importa. Se mi darà ancora fastidio glielo dirò. - Mi chiami a qualunque ora del giorno e della notte. Ecco questo è il numero di casa mia e questo della Centrale. Ad ogni ora del giorno e della notte. Gloria decise che poteva osare. Andò sul civettuolo e gli disse che aveva fatto un brutto sogno dopo l'incidente. Aveva sognato di essere affogata in una roggia, l'acqua era bassa ma non riusciva ad alzarsi. Gerald annuì comprensivo: è un classico dei sogni quello di non riuscire a fare le cose facili per questo i sogni diventano angosciosi. Gloria lo salutò e si diresse verso la villa: pareva che nessuno avesse ancora trovato il corpo di Dottie. Ma l'avrebbero trovato prima o poi e quindi era meglio tagliare la corda. Andò in camera a prendere la chitarra e la borsetta col denaro di Dottie. Sarebbe scappata con la spider oltre confine e poi l'avrebbe abbandonata da qualche parte. Si trovò Maria davanti, così inaspettata che urlò. La donna le diede un'occhiata sorpresa e poi le disse:

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- È venuta una donna a cercarla nel pomeriggio. Ha detto di chiamarsi Gloria. Gloria restò un momento a fissare il viso sereno di Maria alla ricerca di qualche segno diabolico. Poi si scosse e le disse che avrebbe preso l'auto, cenato fuori, che sarebbe tornata tardi e di non aspettarla. - Con la chitarra, signora? - domandò Maria. Gloria buttò la chitarra sul letto riuscendo a sorridere. Poi uscì in fretta e Maria le fece un lieve inchino. Gloria si affrettò verso la spider spiando tra le prime ombre della sera che si addensavano sotto le folte chiome degli alberi del giardino. Si sedette al volante e allungò la mano per girare la chiavetta dell'accensione: ma le chiavi non erano infilate al loro posto. Una mano d'uomo la prese da dietro chiudendole forte la bocca mentre con l'altra le fece spenzolarle davanti al volto le chiavi della macchina. - Cercavi queste, Gloria? Vide il volto di Marcel riflesso nello specchietto retrovisore. L'uomo ghignava soddisfatto. Allentò la stretta e raccontò di aver sparato sui poliziotti che se l'erano fatta sotto ed era corso in strada. Peccato che lei non ci fosse più, fortuna che aveva lasciato almeno l'auto ed era riuscito a scappare inseguito da qualche raffica di mitra che aveva bucato il serbatoio. Dopo cinque chilometri era fermo ma se l’era data a gambe. Gloria cercò di giustificarsi ma Marcel fu generoso: nessuna scusa, in quei momenti non tutti sanno tenere a posto i nervi. Piuttosto che fine aveva fatto fare alla vera Dottie Fraser? Quello sì che avrebbe potuto interessare la polizia visto che lei ne aveva preso il posto e i soldi. Gloria gli disse dell'incidente ma Marcel rise: che stronzata di alibi! Qual era la verità? Cercava di scappare con la macchina di Dottie quando era arrivata la padrona e le aveva dato un esagerato colpo in testa con la chitarra? - Che vuoi? - gli chiese Gloria piena di rabbia. Marcel si strinse nelle spalle: che può volere un uomo che scopre che la sua socia ha fatto carriera? Dividere il denaro e la felicità. Gloria lo guardò furibonda e gli intimò di andarsene. Marcel sorrise accondiscendente: questo si poteva trattare ma le sarebbe costato un bel po' di verdoni. Gloria saltò giù dall'auto e affrontò Marcel senza alzare la voce ma con una determinazione nuova:

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- Attento, piccolo cialtrone bastardo. Tu non stai più minacciando quella poveraccia di Gloria, tu stai minacciando Dottie Fraser che ha ben altro potere. Marcel sorrise, messo in lieve disagio dalla fermezza di Gloria. Spalancò le braccia assumendo l'aria più innocente che gli fu possibile: se proprio non era gradito se ne sarebbe andato con cinquantamila dollari, una sciocchezza per Dottie Fraser. Gloria cercò di riprendersi le chiavi dell'auto ma Marcel si ritrasse: - Se pensi di potertela filare ti sbagli. Gloria tornò nella villa: rabbia e paura diedero uno strano suono alla sua voce quando urlò con imperio a Maria di aver cambiato idea e che avrebbe cenato a casa. Corse su per la grande scala di marmo ma si bloccò sul pianerottolo: qualcuno stava suonando la chitarra. Guardò verso la cucina e vide Maria intenta ai fornelli. Si avvicinò alla porta della sua stanza e il suono cessò. Mise la mano sulla maniglia, esitò e poi spalancò l'uscio con forza: la sua chitarra era sul letto e le tende della portafinestra che davano sul terrazzo sembravano spinnaker gonfi di vento, ma nella stanza non c'era nessuno. Corse in terrazza: nessuno neppure lì. Si affacciò e vide nel giardino Mirko intento a potare un albero, arrampicato su di una lunga scala. Il tramonto arrossava il mare calmo tingendolo di sangue. Un grosso motoscafo puntava verso la villa e Gloria riconobbe a prua Minou col suo bel fratello. Un rumore di vetri infranti proveniente dal bagno la fece trasalire. Corse dentro, attraversò la camera e aprì la porta del bagno: una bottiglia di profumo giaceva frantumata sul pavimento. Gli specchi moltiplicarono la sua immagine ma non c'era nessuno. Gloria si accorse che qualcosa mancava sulla grande mensola della toilette: il cofanetto delle pillole era sparito! Controllò le ciprie, le creme, i profumi: quel cofanetto non c'era più. Alzò gli occhi sulla specchiera e urlò di terrore: riflessa nel gioco degli specchi per una frazione di secondo le sembrò di vedere il volto di Dottie! Scostò la porta a specchi della doccia, gli occhi colmi di paura, ma non c'era nessuno. Corse fuori, afferrò la chitarra ma la porta della stanza si aprì di scatto e Gloria levò la chitarra in alto per difendersi. Di nuovo si trovò davanti a Maria che la guardò incuriosita. - Sono arrivati i signori Winkelsman. Apparecchio per tre, signora Dottie? 113

- No. Non voglio vedere nessuno. Li mandi via e poi chiuda tutte le porte. Maria le diede un'occhiata critica ma si inchinò ed uscì. Gloria girò due volte la chiave nella toppa. Si sentiva in trappola. Vide il telefonino poggiato vicino al letto e si frugò in tasca alla ricerca del bigliettino datole da Gerald, il poliziotto. Lo trovò e fece il numero. Cercò di mantenere la voce tranquilla e gli disse che stava aspettando una sua amica che doveva arrivare da Parigi e che tardava troppo. C'era stato qualche altro incidente? Gerald, emozionato per la chiamata, assicurò a Gloria che non c'era stato nessun incidente, almeno nella sua zona ma che ora avrebbe fatto un fonogramma per avere notizie su tutti gli incidenti dello Stato. Gloria gli disse che non era necessario, ringraziò e chiuse la comunicazione. Spense la luce e uscì sul terrazzo per spiare il giardino buio: Marcel era sempre là? Il motoscafo dei Winkelsman dondolava legato ad una bitta del moletto privato. Non se n'erano ancora andati. Che cosa aspettavano? Il telefonino emise il suo trillo allegro e Gloria tornò dentro. Esitò prima di rispondere: - Chi parla? Rispose una voce di donna senza intonazione: - C'è un televisore lì intorno? - Sì... - Accendi. Stanno dando la notizia. - Clik. Gloria si precipitò a pigiare i bottoni del telecomando. C'era il telegiornale e stavano inquadrando il ponte di Notre Dame di Parigi visto da sotto. C'erano delle fotoelettriche che illuminavano dei poliziotti che portavano via il corpo di un uomo mentre lo speaker diceva:“...potrebbe essere un suicidio anche se i primi commenti sono molto scettici. Uno che si vuole ammazzare non va ad impiccarsi sotto al ponte di Notre Dame. Il banchiere Drenel si trovava in grave situazione finanziaria da quando la Commissione degli Esteri lo aveva incriminato per sospetto traffico d'armi con Damasco. Implicato in un vasto traffico di riciclaggio di denaro sporco con il coinvolgimento di grandi banche americane e molte società finanziare tra le quali, pare, alcune facenti capo alla ben nota Dottie Fraser che da due giorni sembrava essersi volatilizzata. Domattina sia il banchiere Drenel che la Fraser avrebbero dovuto rispondere alle domande dei giudici. Forse qualcuno aveva preferito 114

farli tacere per sempre. Ed ora lo sport. Oggi grande incontro di...” Gloria spense il televisore. Si sentiva la testa scoppiare: il banchiere Drenel... dobbiamo fare come al solito? Le avevano chiesto. E lei aveva detto “Come al solito. Va bene...” Quello era “il solito”? Qualcuno avrebbe fatto la pelle anche a lei? Di chi aveva preso il posto in quella maledetta villa? Sentì il rombo del motore del motoscafo che si accendeva e corse fuori per chiamare Minou, adesso non voleva più stare sola. Alzò una mano e aprì la bocca per chiamare ma si bloccò: a poppa del motoscafo, ben illuminato dai faretti del molo, c'era Marcel e stava stringendo la mano di Klaus che poi scese a terra a fianco di Minou mentre il motoscafo si allontanava nella notte portandosi via il suo ex complice. Minou alzò lo sguardo verso il terrazzo e Gloria si ritirò in una zona d'ombra. Vide che i due Winkelsman tornavano verso la villa. Dopo qualche minuto Maria bussò alla porta della stanza e le disse che i signori Winkelsman insistevano per parlarle. Gloria disse che non si sentiva bene e che voleva dormire, ma la voce di Klaus, allegra, le arrivò da dietro l'uscio: - Marcel ci ha detto tutto, cara. Per noi non cambia niente. Hai bisogno di aiuto e di parlare con qualcuno. Ti prego, apri. Gloria girò la chiave due volte nella toppa e Klaus corse ad abbracciarla - Che avete detto a Marcel? Perché è andato via? - Detto? - la irrise Minou - Gli abbiamo detto che l'assegno da cinquantamila dollari era pagabile al portatore, ecco cosa gli abbiamo detto. - E anche che se tornava avremmo pagato qualcun altro per fargli girare le pale dell'elica nella pancia. - aggiunse Klaus ridendo. Gloria cercò di sorridere ma aveva ancora paura. Klaus la tirò a sé e la baciò. Gloria si aggrappò a lui rispondendo al suo bacio e Klaus cominciò a spogliarla. Rotolarono avvinghiati sul letto. Minou, gli occhi sgranati per l'eccitazione, tirò giù la lunga cerniera lampo che aveva sul fianco del vestito. Il giorno seguente il sole splendeva nel cielo senza nubi. Nel grande letto regale Gloria, Klaus e Minou dormivano, nudi tutti e tre. Gloria aprì gli occhi e guardò i due. Si alzò senza far rumore, chiuse gli occhi perché si sentiva sfinita. Raccolse il proprio vestito, le scarpe, la chitarra e aprì la porta per svignarsela ma la voce gelida di Minou la bloccò sulla porta: 115

- Un altro passo e ti sparo. Minou impugnava una P38 puntandogliela contro. Nuda, con l'arma in pugno e il volto teso, Minou non sembrava proprio scherzare. Si mosse anche Klaus che realizzò la situazione in una sola occhiata e disarmò la sorella con un sorriso tranquillo: che bisogno c'era di usare simili modi con Gloria? C'era ormai un patto fra loro e anche qualcosa di più caldo... Klaus saltò giù dal letto e prese Gloria per mano, richiudendo la porta. Gloria tremava dallo spavento e Klaus le fece correre un dito dalla gola fino al centro del seno. Gloria non poté controllare un brivido di piacere ma gli levò la mano con rabbia poi spalancò la porta e chiamo forte il nome di Maria. Nessuno rispose nella villa silenziosa. Guardò Klaus che ora le sorrideva con aria meno amichevole e richiuse la porta. Le spiegò in tono piatto che avevano creduto bene di licenziare Maria e Gerald e rimanere soli loro tre nella villa: dovevano fare un certo lavoro ed era meglio non avere testimoni. - Quale lavoro? - chiese Gloria preoccupata. Minou si infilò una delle belle vestaglie di pizzo di Dottie e andò ad accendere il videoregistratore. Sullo schermo riapparve Dottie col suo promo. Gloria disse che l'aveva già visto ma Klaus le fece cenno di pazientare. Bloccò l'immagine là dove Dottie firmava un contratto di mutuo e sorrise a Gloria: notato niente? Gloria scrollò le spalle irritata. - Vedi, cara, la vera Dottie era mancina. Dovrai imparare a firmare con la sinistra, tesoro. Gloria guardò i due: avevano saputo la verità fin dal principio? Minou scosse il capo, la prima sera no. Poi avevano fatto quella foto, ricordava? In redazione ne avevano trovata una della vera Dottie Fraser e c'erano un bel po' di differenze, quindi, a meno che si fosse fatta una plastica per nascondersi... però poi avevano visto il nastro e notato che lei non era mancina. - La fotografia l'ho fatta pubblicare lo stesso però. Così avvaloriamo che tu sei Dottie! - terminò tutta contenta Minou mostrando a Gloria la copia di una rivista locale su cui spiccava la loro fotografia, quella che Klaus aveva scattato la prima sera, con una grossa didascalia in cui si annunciava l'arrivo di Dottie Fraser nella sua villa sulla costa. Gloria trasalì e Minou cercò di tranquillizzarla: nessuno avrebbe saputo dire che in quella foto non c'era la vera Fraser. Gloria era confusa. Klaus le prese le mani fra le sue assicurandole che non avrebbero mai tradito quello che chiamò “il loro piccolo segreto”. Il racconto del116

l'incidente e della morte di Dottie sollevò gridolini di incredula allegria da parte di Minou e di Klaus che non credettero a una sola parola, ma quando Gloria giurò che era la verità, Klaus le assicurò che quella verità a loro andava benissimo. - Non mi denuncerete alla polizia? - chiese Gloria incerta e Minou e Klaus risero. E perché mai? Quel loro “piccolo segreto” sarebbe stato di grande vantaggio per tutti e tre. Minou scese per preparare la colazione e Klaus trovò e stappò una bottiglia di champagne, ne offrì una coppa a Gloria e brindò: - A te che sei diventata ricca e a noi che siamo i tuoi soli amici! - Dobbiamo festeggiare! - disse Minou tornando col vassoio della colazione dove c'era anche una scatolina d'ebano piena di polvere bianca. Offrì una cannuccia d'argento a Gloria che si ritrasse. Ma Minou insistette: non poteva rifiutarsi se glielo chiedeva lei! Qualcosa nel tono di Minou non piacque a Gloria che però obbedì e aspirò un po' di polvere infilandosi la cannuccia nel naso. Minou aspirò a sua volta e Klaus ne prese un buon pizzico riempiendosi il cavo della mano sinistra tra pollice e indice per poi aspirare la droga con entrambe le narici. Gloria non riusciva a tirarsi su e raccontò la storia della telefonata e della morte del banchiere Drenel. Minou fece spallucce accarezzandole il collo: - Di che ti preoccupi? Quelle erano porcherie della vera Dottie... pensiamo a noi, tesoro. Fermarono sul video l'inquadratura del promo di Dottie in cui si vedeva abbastanza bene la firma che doveva servire da modello per Gloria. Klaus vuotò sul letto la borsetta di Dottie e frugò in ogni tasca. Si appropriò del rotolo di banconote, delle carte di credito e di un blocchetto di assegni. Gloria protestò ma Klaus le disse che i soldi servivano per coprire l'assegno dato a Marcel, altrimenti sarebbe andato alla polizia o tornato con qualche compare per dar loro fastidio. Klaus se ne andò in città e per ore Gloria si esercitò ad imitare la firma di Dottie mentre Minou le faceva la guardia curandosi le unghie. Verso sera Gloria, stanchissima, era riuscita a scarabocchiare qualcosa di simile alla vera firma di Dottie Fraser ma era ben lontana dalla perfezione. Buttò la penna sbuffando. Minou controllò gli ultimi fogli 117

poi, senza una parola, raccolse la penna e la ripiantò fra le dita di Gloria che aprì la bocca per protestare ma suonò il telefonino. Rispose Minou, poi coprì il microfono con una mano: era una chiamata per Dottie da New York. Meglio far loro sentire sempre la stessa voce. Hello...- disse Gloria e le rispose la voce maschile profonda e bassa: - Con chi sei? - Un'amica... - L'uomo ridacchiò poi aggiunse in tono grave: - Ce li hai addosso, bella. Dovunque tu sia ti conviene cambiare nascondiglio. Sono incazzati a morte. Vogliono sapere chi garantirà i loro crediti a Damasco e a Bagdad adesso che quello stronzo di banchiere è morto. Forse troveremo un accomodamento ma mi ci vuole almeno una settimana. Hai capito? - Sì... una settimana... - Se mi dici dove vai ti mando due dei nostri con le palle e... - No. - Come vuoi, Dottie. Se riesci a rimanere viva per una settimana forse diventerai vecchia. Gloria rimase col telefonino in mano, bianca di paura. Lo posò e prese la chitarra avviandosi verso la porta. Minou le sbarrò il passo. - Devo squagliarmela, Minou - le spiegò Gloria - Vogliono ammazzare Dottie e finiranno per ammazzare me se sto qui. Devo tornare ad essere Gloria. Minou la colpì all'improvviso con un fortissimo manrovescio che la mandò a sbattere contro la spalliera del letto e poi a terra con la bocca piena di sangue. Gloria, gonfia di rabbia, afferrò la P38 rimasta sul comodino e gliela spianò addosso. Minou la fissò per qualche secondo spaventata poi le sorrise con insolente disprezzo. Avvicinò le forbicine con cui si stava facendo la manicure agli occhi di Gloria, dicendole: - Sei solo una piccola troia, non hai il coraggio di sparare. Forza, spara, sennò ti cavo uno di quei tuoi begli occhi... Gloria si ritrasse, Minou la sovrastava, vicinissima. La punta delle forbicine stava calando davvero verso un suo occhio. Premette il grilletto. Click. Il percussore batté a vuoto. Gloria chiuse gli occhi e urlò mentre Minou si tirò indietro scoppiando a ridere. Entrò Klaus, guardò le due, poi prese un fazzoletto e afferrò la P38 per la canna levandola senza sforzo dalla mano della stordita Gloria. Le sorrise:

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- Tesoro, ho avuto un brutto incidente con questa e allora abbiamo pensato che era più sicuro che sopra ci fossero state le tue impronte invece delle mie. Gloria si lasciò guidare in fondo al parco. Klaus sollevò un telo catramato e le fece vedere per qualche secondo il cadavere insanguinato di Marcel. Gloria assalì Klaus graffiandogli il volto e gridando che era un bastardo assassino. L'uomo la afferrò per i capelli e la piegò con forza sulle ginocchia facendola urlare di dolore. Le disse, furibondo, col sangue che gli colava sulle guance: - Senti brutta troia, non crederai che abbiamo bevuto la storiella dell'incidente, vero? Tu hai fatto fuori la Fraser per venire a ficcarti nel suo nido. Okay, a noi va benissimo, però devi dividere, capito? Dividere ed essere carina, molto carina con noi due! E se io ti dico di succhiarmelo, tu me lo succhi come si deve, chiaro? Questo voleva fare il furbo e ho dovuto ammazzarlo. E adesso torniamo dentro e non fare più la stronza sennò ti mandiamo in galera per tutta la vita dicendo che ti abbiamo visto sparare a quest'imbecille! - Gloria dovette riprendere a fare firme e firme sui fogli bianchi cercando di imitare la firma di Dottie. A notte fonda Klaus sembrò soddisfatto e anche Minou. Le ultime firme erano accettabili, molto accettabili. Le fecero firmare un intero blocchetto di assegni. Poi Klaus la baciò sui capelli: aveva fatto un piccolo sondaggio in banca dove aveva qualche amico e aveva scoperto che per Dottie Fraser non c'erano problemi di soldi almeno fino a somme con sette cifre! E da domani avrebbero cominciato a incassare, con calma, senza esagerare negli importi. Gloria era sfinita ma la costrinsero a tirare un po' di coca e poi a servirli sessualmente tutti e due. Quando Minou si fu addormentata Gloria tentò di convincere Klaus ad andarsene loro due soli dopo aver preso i soldi della Fraser. Lei non voleva dividere né il denaro né il suo amore con Minou. - Ti voglio tutto per me... - sussurrò Gloria stringendosi addosso a lui e Klaus, eccitato, le fu di nuovo sopra, con violenza e la prese fino allo sfinimento. Gloria piangeva e godeva insieme. Il mattino dopo, Minou e Klaus la vestirono con grande attenzione: sarebbero andati in banca con un assegno firmato da Gloria e bisognava far colpo.

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Anche Minou ci teneva ad essere elegante e si mise il vestito di seta rossa. Uscirono in giardino, Klaus chiese a Gloria le chiavi della spider. Lei rispose che le aveva prese Marcel. Klaus imprecò e si avviò verso il fondo del parco per frugare il cadavere di Marcel. Gloria prese sottobraccio Minou e si avviò verso il molo dicendole di essere molto preoccupata per quella foto che aveva fatto pubblicare sulla rivista, non tanto per la sua faccia che, essendo in figura intera, non era poi così riconoscibile, ma per la notizia che Dottie Fraser era in quella villa. Chissà se avrebbero avuto il tempo sufficiente per i loro piani. Mentre parlava fece in modo che Minou venisse a trovarsi con le spalle all'acqua. All'improvviso le diede una gran spinta e la buttò in mare, poi si mise a correre. Minou starnazzò nell'acqua urlando aiuto. Arrivò Klaus inferocito e la aiutò a risalire. Gloria raggiunse la strada e continuò a correre cercando di fermare le auto che passavano, poi vide la spider rossa apparire rombando in fondo alla strada e si buttò nel folto della vegetazione. Si sentiva il cuore scoppiare, si ruppe un tacco e prese una brutta storta, dovette fermarsi ansimante e si guardò intorno: tutto era silenzio. Il pugno di Klaus la colpì con inaspettata violenza alla bocca dello stomaco facendola svenire. Tornò in sé e scoprì che era nuda legata sul letto. Minou davanti allo specchio si pavoneggiava con indosso il vestito di seta rossa. Una Jaguar metallizzata coi vetri a specchio entrò senza rumore nel parco della villa. Klaus la vide fermarsi davanti alla casa e si mosse verso di essa cercando di vedere chi ci fosse dentro, ma i vetri a specchio rifletterono soltanto la sua faccia. Poi la portiera si aprì di colpo, investendolo. Barcollò all'indietro e dalla macchina una mano guantata di nero lo afferrò per i testicoli. Klaus urlò tirato crudelmente in avanti. L'altra mano dello sconosciuto si serrò intorno alla sua gola e gli diede una tremenda torsione. Si sentì il suono di ossa rotte e Klaus si afflosciò morto a terra. I vetri posteriori della Jaguar scesero silenziosi, manovrati dal motorino elettrico e spuntò la canna di un grosso fucile a cannocchiale. Attraverso le lenti graduate del cannocchiale, venne inquadrata la finestra della stanza di Gloria: si vide chiaramente una figura di donna vestita di rosso che si pavoneggiava davanti ad uno specchio. La croce del mirino si fissò sulla testa bruna della donna. 120

Un dito guantato di nero premette un grilletto. Ci fu solo un "flop" soffocato, un buco nel vetro della finestra e una chiazza di sangue al posto della faccia di Minou. Gloria restò paralizzata a fissare con orrore quella faccia impastata di sangue e ossa spezzate mentre il corpo di Minou cadeva verso il vetro della finestra come un burattino a cui abbiano tagliato di colpo i fili. La sua faccia devastata e sfondata dall'orribile colpo ruppe il vetro della finestra e rimase lì, immobile, come se volesse vedere chi l'aveva uccisa. Vista attraverso il mirino del fucile telescopico la scena dovette riuscire gradita all'assassino perché i vetri a specchio tornarono ad alzarsi e la Jaguar metallizzata uscì silenziosa e lenta dal parco della villa. Sulla ghiaia rimase Klaus col collo spezzato. Gloria urlò senza riuscire più a fermarsi, si divincolò ma le corde ressero agli strattoni. Svenne. Come in un incubo, vide poi una mano di donna che poggiava il cofanetto di cocaina, quello che stava nelle valigie di Dottie e che era scomparso, sul piano del suo comodino. Gloria cercò di mettere a fuoco il volto della nuova venuta: le sembrò quello di Dottie. E sorrideva! Svenne di nuovo. Il rombo del motore penetrò nella sua coscienza. Era seduta sul sedile anteriore di un'auto di lusso. Tra le braccia aveva la sua chitarra. Si voltò a guardare chi guidava e sussultò, spalancò la bocca per urlare ma Dottie le sorrise mettendosi un dito sulle labbra per intimarle di star zitta. Gloria restò così, in silenzio, a guardarla per un minuto buono, poi riuscì ad articolare: - Non eri morta? Dottie rise, era allegra, distesa. Commentò di non essersi mai sentita così viva. Intanto la villa Nike si era riempita di poliziotti. Gerald si rigirava il suo berretto in mano, gli occhi azzurri colmi di lacrime, fissi sul cadavere sfigurato di Minou. Un ufficiale di polizia gli chiese due volte se riconosceva il cadavere e Gerald annuì: era Dottie Fraser, anche ieri aveva quel vestito... doveva essere Dottie anche se da viva era proprio tutta un'altra cosa... -... tu hai preso il mio posto e io ho pensato che quell'incidente era stato un gran colpo di culo: meglio che ammazzassero te che non me. 121

Ti chiedo scusa per questo e sono contenta che abbiano ammazzato un'altra. - Ma si accorgeranno che non sei tu, e anche se avessero ucciso me, la polizia prima o poi... - Oh sicuro. Ma a me bastano pochi giorni per... - Una settimana? - chiese Gloria. Dottie la guardò e rise. - Sì, una settimana giorno più giorno meno. - Ma perché sei tornata a prendere quelle pillole blu, non potevi farne a meno? Dottie pescò nel vano del cruscotto il cofanetto pieno di pillole blu. - Sai cos'è una EPROM? No? Beh, fa lo stesso. Nel cofanetto ne avevo nascosta una piena di dati importanti che mi servivano urgentemente proprio per sistemare quella faccenda: dovevo prenderlo. Tu eri uscita e non pensavo che saresti tornata subito. Gloria ci pensò su e poi chiese: - E del banchiere Drenel che ne dici? Dottie frenò e per poco Gloria non sfondò la chitarra. - Stai provando gli air bag? - le chiese e Dottie si piegò verso di lei e le spalancò la portiera: - Scendi e vattene. Dimentica tutto e non fare domande. E se qualcuno le fa a te non dare risposte. Poiché Gloria aprì la bocca per chiedere ancora, Dottie la buttò fuori con una spinta e richiuse lo sportello. Un ultimo sguardo e poi le disse, riavviando il motore: - Peccato però. Tu mi piaci. - Accelerò e frenò di nuovo. Mise fuori la faccia dal finestrino e le lanciò un ultimo avvertimento: - Attenta al culo, però! Qui intorno c'è un sacco di gente che crede che tu sia Dottie Fraser! - L'auto partì rombando e sparì in pochi secondi oltre una curva. Gloria si ritrovò sola e frastornata, la chitarra fra le braccia, sul ciglio della strada. Si incamminò e quando un'auto rallentò per offrirle un passaggio fece di no con la testa. 7 – La cassetta degli attrezzi Potremmo dilungarci e analizzare all’infinito le tecniche, le invenzioni e gli snodi che rendono interessante un giallo, ma ora, per otti122

mizzare i suggerimenti finora descritti, proviamo a metterli giù come se fosse uno schema che sia utile come “briefing” prima di iniziare la nostra storia gialla. Tiriamo i fili: Cose da non fare: 1) L'assassino è chi racconta la storia 2) L'assassino è qualcuno esterno alla storia 3) L'assassino non è un essere umano 4) L'assassino ha doti paranormali 5) L'assassino non è individuabile perché tu hai barato nel raccontare i fatti. Cose da fare: 1) Curare l'ambientazione, specialmente se raccontate un'azione in un’epoca storica. 2) Mantenersi sul giallo, evitando poi di finire nel poliziesco, nella fantascienza o nella fantasy. Per esempio ambientare un giallo nel futuro è pericoloso perché manca l'esperienza ambientale di chi legge. 3) Mantenere la coerenza, la personalità, la natura e il temperamento dei personaggi e non cambiarle a comodo vostro. A questo scopo può essere utile scrivere prima di iniziare la vostra “opera” delle schede dei caratteri come si usa fare per le serie televisive. 4) Decidere se la priorità è un romanzo o una storia per cinema e la TV, perché non è la stessa cosa. A questo proposito ecco l'ultimo capitoletto: Prima di iniziare a pensare e a scrivere la vostra storia è necessario avere bene in chiaro lo scopo, il motivo per cui la volete scrivere: La vostra storia è un romanzo giallo, cioè un libro, oppure la pensate come un film o una serie televisiva?

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Ve lo dovete chiedere e vi dovete dare una risposta prima di iniziare perché esistono delle differenze di struttura e linguistiche fondamentali fra la categoria libro e la categoria sceneggiatura. 8 - Modalità di scrittura: differenza tra il romanzo, il film o la sceneggiatura TV Un romanzo non è soggetto a limitazioni di tempo: un giallo può essere di poche pagine o di mille. Anche se “minore” si tratta sempre di letteratura e la parola che scrivete sarà l'unico messaggio che riceverà il lettore. Quindi è preferibile una prosa semplice ma che permetta dettagliate descrizioni di ambienti, personaggi situazioni, permetta anche digressioni (non esagerate!) ma esige un'assoluta coerenza nello sviluppo della trama. Il libro è un oggetto materiale che resta tra le mani del lettore, che può sfogliarlo all'indietro se non gli quadra qualcosa e non dovete mai essere colti in fallo. Ovviamente anche sceneggiati e film possono essere rewind o rivisti più volte ma avrete almeno la scusa del filtro della regia e degli attori, col romanzo non ci sono alibi. Il romanzo vi dà una grande libertà di espressione... se avete qualcosa da esprimere! Se vi capitasse di scrivere un giallo per il cinema probabilmente sarete già scafati e non vi servono consigli, tuttavia avendo io scritto essenzialmente per il cinema, ve li do lo stesso: E ricordatevi: primo, non annoiare. 1) Iniziare con una scena d'azione di grande impatto, spesso prima dei titoli di testa, accende l'interesse del pubblico pagante. 2) Dialoghi brevi e ficcanti perché è con essi che il regista e gli attori dovranno lavorare. Se vi vengono battute sarcastiche, spiritose, di costume, anche fuori trama di solito vanno bene. Del tipo, tratto dal film “Il tuo vizio è una stanza chiusa e io solo ne ho la chiave”:

Floriana: Senti è vero che dormivi con tua madre nel suo letto? Già da grandicello voglio dire.

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Oliviero: È vero che sei una puttana da quattro soldi? Floriana: Ma potrebbero essere quattro soldi spesi bene. 3) Evitate riferimenti temporali troppo precisi o ad avvenimenti eclatanti dati per conosciuti da tutti perché fanno invecchiare il film non appena la eco di quegli avvenimenti si indebolisce o si spegne. 4) Creare personaggi coloriti, sempre un poco fuori dalla norma, per incuriosire, dando loro risvolti caratteriali inaspettati: questo aiuta la suspense e può infittire il mistero proposto perché l'ambiguità dei protagonisti è spesso un ingrediente necessario. 5) Se iniziate con un delitto, la ricerca del colpevole non deve essere un'inchiesta piatta che porti noiosamente alla soluzione, ma solo una parte dell'ingranaggio che avrete inventato. Spesso gli autori di film gialli rimediano a questo pericolo con una fila di delitti, ma non è sempre la soluzione migliore, la vostra trama può restare intrigante anche senza bagni di sangue con capovolgimenti delle situazioni portando lo spettatore ad avere nuovi punti di vista, tutti diversi da quello che sarà la spiegazione finale. 6) A volte torna utile l'introduzione verso la metà del film di un nuovo personaggio che sconvolge quello che avete fatto sembrare un equilibrio tra i sospettati. Spetta più al regista che a voi creare immagini che diano suspense, tuttavia vanno suggerite. In un romanzo quando un personaggio mente raccontando fatti mai accaduti siete nelle regole, ma se in un film quel racconto falso diventa immagine, il pubblico sarà portato a credere che sia vero. Questo non è il parere di un grande come Hitchcock, tuttavia siete al limite della truffa al pubblico, a meno che non sottolineiate che si tratta di versioni diverse ma in buonafede dello stesso fatto come in “Rashomon” di Kurosawa (le testimonianze oculari anche nei processi reali possono differire). 7) È bene conoscere le antiche regole classiche: partire con antefatti forti, calare un po' la tensione per poi arrivare al cosiddet125

to “acme drammatico” a cui seguirà la catarsi finale. Non c'è obbligo di seguirle pedissequamente, la sceneggiatura è come una partitura musicale, ogni autore segue i propri ritmi. 8) Evitate il più possibile le voci narranti, specie su immagini fisse, è troppo facile descrivere in modo didascalico che il vostro protagonista proviene da bassi livelli sociali e che aveva uno zio nella mafia o un padre padrone o qualsiasi altra cosa. Può essere accettato un inizio didascalico se è molto efficace come nel film “Un piccolo grande uomo” in cui Dustin Hoffman attacca dicendo: “Sappi che 11 anni fa quando io avevo solo 10 anni...”, insomma evitate lunghe didascalie sonore o scritte per spiegare quello che non sapete scrivere per immagini. Il maestro Alessandro Blasetti, fondatore del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma usava aprire il suo corso di regia dicendoci: “Mario e Maria si vedevano spesso” non si può girare. 9) Evitate di cominciare le vostre storie dalla metà per poi tornare indietro in flashback: ci penserà qualche mediocre regista a costringere il montatore a farlo per evitare la noia.

Se dovrete scrivere gialli per la TV valgono le stesse regole che valgono per i film da sala con l'aggravante che se non agganciate subito l'attenzione all’inizio il telespettatore cambierà canale. Diversa è la situazione dei grandi serial televisivi che spesso partono senza sapere quale sarà il numero delle puntate essendo legati allo share e all'audience: qui conviene partire con tanti personaggi per poterli poi raccontare strada facendo usandoli per riempire le incognite ore della serie. Se la serie ha successo il compito dello scrittore, o più scrittori, si fa sempre più difficile perché dovrete inventare rapporti sorprendenti tra i personaggi, intrecci non pensati all'inizio e alimentare la storia con l'ingresso continuo di nuovi caratteri fino a scadere in colpi di scena, di solito fatali, del tipo: il capo dell'FBI è mio padre. Roba così. Ma a questo livello sarete già consumati professionisti.

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9 - Esperimento: Prova a indovinare come sono andate le cose Ora che i fondamentali della cassetta degli attrezzi del giallo li avete tutti, provate anche voi a cimentarvi con gli intrecci. Cercate di indovinare come sono andate per davvero le cose in questa scena che vi presento, tenendo conto di tutti gli elementi che emergono nella storia. Storia inventata per voi: “Chi ha ucciso il Finanziere e la sua giovane moglie”? Il commissario Testoni è stato mandato a indagare su due omicidi avvenuti nella villa del finanziere Barbieri. Il commissario ha l'abitudine di filmare le scene dei delitti e filma col cellulare fin dal suo ingresso nel giardino della villa Barbieri tutta rivolta verso l'interno, tranne una finestra del piano rialzato del lato nord che dà sul marciapiede della strada. Filma il viale di ingresso con una siepe potata per un metro e le altre siepi ancora da tagliare. Filma l'autista che sta lavando la macchina della famiglia davanti alla serranda del garage aperta. Filma l'uomo che lo attende sullo scalone della villa. Lo segue il tenente Pisca che fotografa dei dettagli: la siepe, l'auto, e il cerotto che l'autista ha sulla gola. Il commissario sullo scalone quasi inciampa in un gatto nero che fugge miagolando. Il tenente dice che porta male. -Sì, al gatto. - risponde il commissario. L'uomo in attesa è Ugo, sulla quarantina, affranto per quanto è successo e guida i poliziotti verso la porta dello studio del finanziere, che è chiusa a chiave con la chiave nella toppa. Il tenente Pisca si infila un guanto per girare la chiave ma Ugo gli dice di avere chiuso lui la porta dopo la macabra scoperta. Pisca apre e cede il passo al commissario che entra nello studio del finanziere, e abbraccia la scena con uno sguardo: ci sono due cadaveri, quello di un uomo di mezza età e quello di una giovane bella donna. Sono i corpi del finanziere Barbieri e quello della sua giovane seconda moglie Gloria. Il commissario gira una lenta panoramica della scena:“Prima che arrivino quelli dei R.I.S. e impapocchino tutto”, brontola.

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Filma con molta attenzione: la posizione dei due corpi, lei riversa nel proprio sangue ai piedi della scrivania e lui abbrancato alla stessa negli spasimi della morte, la mano rattrappita con la cornetta del telefono in mano come se avesse cercato di chiedere aiuto. Le macchie di sangue ovunque, un labbro gonfio della moglie come se prima di ucciderla l'avessero colpita al volto. Al centro dello studio sul pavimento c'è un altro schizzo di sangue con una traccia come se ci avessero trascinato qualcosa sopra. Il commissario filma i faldoni di pratiche, le penne, un tagliacarte, un paio di guanti, un libretto di assegni. Una copia di un quotidiano sulla scrivania, macchiata dal sangue del Barbieri, che mette in prima pagina, dopo le notizie politiche, la notizia di un altro delitto: un giovane, un certo Mario Pesce di anni 29 trovato morto in un bosco a 5 km dalla villa, strozzato ed evirato. La cassaforte è semivuota con le poche carte lasciate alla rinfusa da un ladro frettoloso, la finestra dello studio che si affaccia sulla strada, un primo piano rialzato a due metri dal suolo, è difesa da una grata che sembra integra, un'orma di piede quasi invisibile vicino alla finestra, il cestino della carta straccia con dentro un'altra copia dello stesso quotidiano, uguale, con gli stessi titoli di quello sulla scrivania, la pendola che segna le quattordici e diciassette. Intanto il tenente Pisca scatta delle foto dei dettagli della scena: la grata della finestra con le macchie di cemento bianco sul muro grigio, l'orma del piede sotto la finestra, in parte cancellata, la copia del quotidiano nel cestino che ripete il titolo di quello aperto sulla scrivania, il coltello piantato nella schiena del finanziere, la ferita nel basso ventre della moglie che ha perso molto sangue, le carte confuse nella cassaforte, la serratura non scassinata, la porta di ingresso nello studio e i primi piani delle persone presenti, vive e morte, compresa quella del commissario Testoni che ha un gesto di fastidio. Ha fatto la macabra scoperta Laura, venticinquenne, figlia di primo letto di Giovanni. Nella villa vivono altre otto persone: il marito di Laura, Ugo, un bell'uomo sulla quarantina; il fratello di Gloria, Piero, giocatore di basket alto quasi due metri; sua moglie Susy, una piccoletta tutta pepe che a fianco di Piero sembra una bambina; il fratello più anziano del finanziere, Leo; una cameriera friulana, Maria Pia; 128

un autista di cinquant'anni, Rodolfo; il giardiniere Agenore sulla quarantina addetto anche alla pulizia della piscina. Ospite occasionale il cugino prete don Elio, sulla trentina. Il tenente Pisca prende le impronte digitali di tutti gli abitanti della casa e il commissario Testoni li riunisce e ascolta le loro deposizioni. Apprendiamo così che la cassaforte ha un'apertura a tempo ed è possibile aprirla solo dalle dieci alle dieci e un quarto del mattino e che nessuno tranne il morto ne sapeva la combinazione, o almeno così tutti credono, il che dà un'idea limite sul momento dei due omicidi, ma la cassaforte è ancora aperta. La chiamata è arrivata alla polizia alle quattordici e sette e il commissario è arrivato sul posto da due minuti, quindi appena otto minuti dopo la chiamata fatta da Ugo, il marito di Laura, col proprio cellulare come da sua dichiarazione, e Ugo precisa che Laura, scoprendo la morte del padre ha urlato ed è svenuta, sono accorsi l'autista Rodolfo, il giardiniere Agenore e poco dopo don Elio e Susy, la moglie di Piero. Ugo ha fatto uscire tutti, ha portato fuori in braccio la moglie svenuta e ha chiuso lo studio a chiave prima di chiamare la Polizia. Quindi nessuno dovrebbe avrebbe potuto spostare qualcosa sulla scena del delitto. Il commissario prende le impronte digitali di tutti gli abitanti della villa e inizia gli interrogatori: vuole sapere dov'erano e cosa hanno fatto tutti i sospetti la mattina del delitto: La figlia del morto, Laura, racconta di essere andata a una seduta di yoga dalle dieci a mezzogiorno e di avere poi passato una mezz'ora col marito Ugo e non avendo visto il padre e la matrigna scendere a pranzo, di averli chiamati col cellulare ma senza ricevere risposta e di essere andata nello studio trovandosi di fronte alla macabra scena. Leo, il vecchio fratello del finanziere, è solito pranzare in camera sua da solo da anni ed è piuttosto sordo e dice di non essersi accorto di nulla fino alla chiamata del tenente Pisca. L'autista Rodolfo dichiara di essere andato a comprare il giornale per il signor Barbieri alle nove lasciandolo sulla scrivania come ogni mattina, il padrone non c'era, e di avere poi accompagnato Laura alle dieci a scuola di yoga, di averla attesa fino a mezzogiorno per riportarla a casa e di avere poi lavorato all'auto fino all'ora di pranzo. Maria Pia la cameriera dice che alle dieci e trenta, minuto più minuto meno, il dottor Barbieri le aveva detto di chiamare un taxi, tanto che 129

non avendo visto i signori a pranzo aveva detto agli altri che forse erano usciti con un taxi perché l'autista Rodolfo non c'era e aveva brontolato che era fuori perché stava aspettando la figlia Laura. Dopo aver servito a tavola Maria Pia era uscita perché era il suo pomeriggio libero. È tornata su richiesta del tenente Pisca che le aveva dato l'orribile notizia. Il giardiniere Agenore conferma il racconto dell'autista e dice di non aver visto uscire quella mattina i coniugi Barbieri e di non aver notato alcun estraneo nel giardino o intorno alla villa. Lui ha passato tutta la mattina a potare le siepi. Piero dice di aver passato la mattina in palestra e di essere poi andato a pranzo con amici, pranzo interrotto da una chiamata di Ugo che lo ha avvertito della disgrazia ed è tornato subito alla villa. Susy dice di essere rimasta a letto fino all’ora di pranzo. Don Elio, l'ospite, dice di essere andato in bicicletta in città dove ha assistito alla santa messa ed è tornato per l'ora di pranzo, ma era stanco, non ha pranzato e si è ritirato per un sonnellino, è stato svegliato dall'urlo di Laura. Ugo sostiene di aver passato la mattina nella biblioteca della villa impegnato su una ricerca sui foreign fighters, in particolare sui giovani che diventano islamici e si vanno ad arruolare con i tagliagole dell'ISIS. Il commissario Testoni mostra l'arma del delitto dentro una busta di nylon e chiede se qualcuno la riconosce. Solo Maria Pia dice che assomiglia a uno dei coltelli per il taglio della carne che tiene in cucina. Il commissario annuisce: sì, infatti da un primo controllo, sopra ci sono le sue impronte, quelle di Agenore, quelle di Piero, di sua moglie Susy e quella della povera signora Gloria. Maria Pia impallidisce: lei non ha nulla a che vedere con quel duplice assassinio e Agenore e la signora qualche volta, se c'erano tanti ospiti a pranzo, andavano a darle una mano in cucina; anche la signora Susy, seppur più raramente… per questo avranno preso in mano quel coltello. Piero invece in cucina l'ha visto di rado, aggiunge la cameriera lanciando un'occhiata di traverso allo spilungone che si incazza perché dice che prima di andare in palestra è passato in cucina a farsi un panino. Non sa quale coltello ha usato, magari quello. -A che ora si è fatto quel panino? - chiede Testoni.

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Piero sbuffa: alle nove era già in palestra. Saranno state le otto e mezza. -Quindi l'assassino ha preso quel coltello dopo le otto e trenta e se l'ha preso per uccidere probabilmente le sue impronte su questo manico non ci sono. Maria Pia, Agenore, Susy e Piero sospirano di sollievo, ma Testoni sogghigna e li gela: - Però mai confondere l'improbabile con l'impossibile. Il tenente Pisca controlla con la centrale i nomi di tutti i presenti nella villa: risultano tutti incensurati tranne Rodolfo, l'autista, che ha subito una condanna per truffa e un processo per omicidio ma dal quale è stato assolto. Testoni, informato dal tenente, rivolge alcune domande all'autista sul suo passato e Rodolfo risponde che si era trattato di un coinvolgimento casuale dovuto ad alcuni assegni da lui incassati per conto di quello che poi si rivelò un truffatore, ma lui non lo sapeva. -E l'omicidio? -Si trattò di uno scambio di persona. Io non c'entravo niente. Fu tre anni fa. -Di che si trattava? -Un dirigente d'azienda strangolato nel suo studio Testoni rimugina qualche secondo, poi: -Chi era il colpevole? -Non si è mai saputo. - risponde Rodolfo a disagio. -Chi l’ha assunta qui? -Il padrone poveretto. Fu un incontro occasionale, mi noleggiò con la mia vettura per un giro nei vigneti del Piemonte tre anni fa e fu contento del servizio tanto da offrirmi un posto fisso a casa sua. -Che si è fatto alla gola? -Oh, mi son tagliato stamattina facendo la barba. Testoni annuisce, perplesso e ordina che nessuno lascia la casa fino a nuovo ordine. Sosta di meditazione: avete un'idea di che cosa possa essere successo? No?! Ecco altri indizi e scoperte. Il giorno dopo arrivano i rilievi del RIS: 1 - La morte delle due vittime è avvenuta a distanza di pochi minuti, perché la donna è morta per dissanguamento, morti che l'anatomopatologo ha fissato tra le dieci e trenta a le undici e trenta del mattino. 131

2- L'uomo è morto quasi subito perché la lama del coltello è passata tra la quarta e la quinta vertebra e ha reciso il ramo discendente dell'aorta, mentre la donna è morta dissanguata per una ferita alla arteria iliaca esterna, al basso ventre. 3 - Il coltello è un normale coltello grande da cucina e ce ne sono altri simili nella villa, più o meno tutti con le stesse impronte di tutti gli abitanti. 4 - La macchia di sangue anomala in mezzo al pavimento nello studio del finanziere non appartiene né alle vittime né ad alcuno dei sospetti che vivono nella casa. 5 - Dalla cassaforte è scomparsa una collana di smeraldi regolarmente assicurata ma le perquisizioni della villa non l'hanno trovata. 6 - La grata della finestra dello studio è stata fissata da poco. 7- L'orma pallida di scarpa nello studio accanto alla finestra potrebbe essere di una Nike numero quarantatré. Non sono state trovare in casa Nike numero quarantatré. 8 - Il taxi che la cameriera ha detto d'aver avuto l'ordine di chiamare da parte del padrone non è mai stato chiamato. 9 - Dai tabulati risulta una telefonata partita dal cellulare di Agenore verso il cellulare dell'autista alle ore dieci e cinquantotto minuti. 10 - La linea telefonica fissa risulta interrotta dalle dieci e quarantasette. “Ricordatevi che non esistono delitti perfetti ma esistono molti indagatori imperfetti! Alla prossima! In base ai dati del RIS il commissario Testoni accusa la cameriera di avere mentito a proposito del taxi e Agenore confessa che il padrone due giorni prima gli aveva fatto rimurare saldamente la grata della finestra perché si era accorto che era stata scardinata e rimessa fintamente a posto certo per favorire l'ingresso di qualcuno. Don Elio dice di essere rientrato in bicicletta e che in giardino non c'era nessuno. Il commissario attacca: la catena degli alibi diventa fragile perché il giardiniere ha potato una sola siepe e non può averci messo due ore. Quindi l'autista è stato davvero due ore davanti alla scuola di yoga o ha potuto, non visto tornare nella villa e poi andar a prendere la figlia del padrone a mezzogiorno? - Perché il giardiniere ha telefonato all'autista? - E se il giardiniere non è stato sempre nel giardino si apre anche l'ipotesi di un assassino venuto da fuori.

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Torchiata dal commissario la cameriera racconta in lacrime, che mentre andava ad avvertire il padrone che la stazione dei taxi era sempre occupata e la linea telefonica di casa interrotta, ha visto il gatto correre fuori dallo studio con in bocca un sacchetto di nylon sanguinolento, è entrata e ha visto moglie e marito senza vita, ma ha visto anche la cassaforte aperta e la meravigliosa collana e non ha resistito: l'ha presa. È corsa dal giardiniere, suo amante, per mostragli la collana e dirgli del duplice omicidio. Che fare? Né lei, né il giardiniere avrebbero mai potuto piazzare la collana senza farsi subito beccare, così hanno telefonato all'autista, unica persona che aveva qualche legame con la malavita. I tre si sono accordati di non dire nulla e di lasciare che i delitti venissero scoperti da altri, com’è appunto successo quando la figlia si è preoccupata per l'assenza del padre e della matrigna a pranzo. Pisca vorrebbe che il commissario accusasse la cameriera dell'omicidio ma il commissario non la pensa così. La soluzione del furto e la restituzione della collana non aiuta per niente la scoperta dell'assassino. Almeno così crede lui. Seconda sosta di meditazione: avete le idee più chiare? Qualche sospetto vi è venuto? Non ancora? Le indagini portano a ulteriore scoperte. Il terzo giorno Testoni viene a sapere che Mario Pesce, il giovane strangolato ed evirato era l'amante di Gloria la giovane seconda moglie del Barbieri. È stato strozzato con una cinghia ed evirato ma i testicoli non sono stati trovati. L'uomo usava entrare nella villa dalla finestra dello studio che dà sulla strada, avendo reso mobile l'inferriata. Il fango sotto l'auto di famiglia scrupolosamente lavata da Rodolfo è quello del bosco dove è stato trovato morto Mario Pesce. Il giardiniere ha una relazione amorosa con Maria Pia, la cameriera, e non ha potato per tutta la mattina, ha potato solo una siepe e poi è stato chiamato da Maria Pia che ha rubato la collana, scoprendo i due cadaveri ma senza dare l'allarme. Il caso si è complicato: l'assenza del giardiniere dal giardino fa cadere tutti gli alibi supportati da lui circa il movimento della gente nel giardino e quindi dentro e fuori casa. I R.I.S: dimostrano che l'autista Rodolfo è l'assassino di Mario Pesce perché sotto le unghie della vittima c'erano tracce di pelle di Rodolfo: il

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cerotto copriva quel graffio e non un taglio del rasoio. Rodolfo ha anche un commercio di droga. I R.I.S. dimostrano che la macchia anomala di sangue in mezzo allo studio appartiene a Mario Pesce, la vittima evirata nel bosco. I R.I.S dichiarano che le Nike numero quarantatré potevano appartenere a Mario Pesce. L'autista confessa il delitto eseguito per ordine, dice lui, dal finanziere ucciso Barbieri, ma si dichiara innocente del duplice omicidio dei coniugi. Alla domanda del commissario sul perché oltre a uccidere Mario Pesce lo abbia anche evirato Rodolfo risponde che ha eseguito l'ordine del padrone che ha voluto che gli portasse quella prova. Rodolfo viene arrestato. Il vecchio Leo confessa di essere un cliente di Rodolfo perché è un cocainomane e di non essere il solo nella villa a servirsi di coca tramite Rodolfo, cosa che era insopportabile per la vittima, il finanziere Barbieri. “Mio fratello era molto all'antica, con un radicato senso dell'onore, direi, medioevale.” *** Il commissario Testoni è nei guai e aspetta il vostro aiuto, altrimenti il caso finirà tra i tanti delitti impuniti perché, ripeto, forse non esistono delitti perfetti ma il mondo è pieno di poliziotti coglioni. Per aiutare il povero commissario Testoni potete mandare la vostra ipotesi di soluzione a: [email protected] Ai solutori sarà mandato gratis un romanzo giallo.

10 - Conclusioni Questi consigli sono tecnici, non possono sostituire immaginazione e fantasia.

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Ci saranno sempre gialli nuovi e originali che esuleranno da queste indicazioni, ma il giallo dev'essere un gioco onesto tra lo scrittore e il pubblico. Dicono che questo tipo di racconto sia anacronistico e obsoleto: è un'opinione e come tale va rispettata. Poi ignorata. Io stesso non mi sono sempre attenuto alle mie regole poiché a volte le storie prendono la mano e i personaggi inventati acquistano corpo e arroganza e si rifiutano di fare quello che l'Autore vorrebbe imporre loro. Quando succede siete sulla buona strada ed è meglio assecondare il volere dei personaggi: significa che stanno diventando persone reali e che avete creato dei caratteri. È l'azione creativa più simile a quella di dio che io conosca. Fine Nota dell'Autore: nelle citazioni di film famosi avrete letto i nomi di chi ha scritto i copioni e quasi sempre vi saranno suonati sconosciuti, eppure quelli sono gli “Shakespeare” che hanno inventato le storie. I registi le hanno poi messe in scena e gli attori hanno recitato le battute. Ovvio che il cinema è fatto di immagini e gli scrittori forniscono solo il supporto letterario, però... In cambio sarete sempre pagati per primi.

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11 APPENDICE: regole di altri molto più importanti di me Le venti regole dello scrittore giallo S. S. Van Dine per poter scrivere un buon romanzo poliziesco:

1. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere 2. 3. 4.

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il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore. Non ci dev'essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all'altare. Né l'investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. Questo non è un buon gioco: è come offrire a qualcuno un soldone lucido per un marengo; è una falsa testimonianza. Il colpevole dev'essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. Risolvere un problema criminale a codesto modo è come spedire determinatamente il lettore sopra una falsa traccia per dirgli poi che tenevate nascosto voi in una manica l'oggetto delle ricerche. Un autore che si comporti così è un semplice burlone di cattivo gusto. In un romanzo poliziesco ci dev'essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorio non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema. Ci dev'essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell'assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev'essere remunerato! Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un po-

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liziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica, è battuto ab initio. 9. Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo "deduttore", un solo deus ex machina. Mettere in scena tre, quattro, o addirittura una banda di segugi per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l'interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c'è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi sta gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo a una corsa contro una staffetta. 10.Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona cioè, che sia divenuta familiare al lettore, e lo abbia interessato. 11.I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare. 12. Nel romanzo deve esserci un solo colpevole, al di là del numero degli assassinii. Ovviamente che il colpevole può essersi servito di complici, ma la colpa e l'indignazione del lettore devono ricadere su un solo cattivo. 13. Società segrete, associazioni a delinquere et similia non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo anche al colpevole deve essere concessa una "chance": ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe accetterebbe. 14. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz'altro escluse la pseudo-scienza e le astuzie puramente fantastiche, alla maniera di Jules Verbe. Quando un autore ricorre a simili metodi può considerarsi evaso, dai limiti del romanzo poliziesco, negli incontrollati domini del romanzo d'avventura. 15. La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall'inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il

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libro sino alla fine. Il che - inutile dirlo - capita spesso al lettore ricco d'istruzione. 16.Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di "atmosfera": tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l'azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dare verosimiglianza alla narrazione. 17.Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti dei banditi riguardano la polizia, non gli scrittori e i brillanti investigatori dilettanti. Un delitto veramente affascinante non può essere commesso che da un personaggio molto pio, o da una zitellona nota per le sue opere di beneficenza. 18.Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa truffare bellamente il fiducioso e gentile lettore. 19.I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. Congiure internazionali ecc. appartengono a un altro genere narrativo. Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni. 20.Ed ecco infine, per concludere degnamente questo manualetto, una serie di espedienti che nessuno scrittore poliziesco che si rispetti vorrà più impiegare; perché già troppo usati e ormai familiari ad ogni amatore di libri polizieschi. Valersene ancora è come confessare inettitudine e mancanza di originalità: • scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati; • il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole e lo induca a tradirsi; • impronte digitali falsificate; • alibi creato grazie a un fantoccio; • cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia;

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• il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente; • siringhe ipodermiche e bevande soporifere; • delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso; • associazioni di parole che rivelano la colpa; • alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra. Le dieci regole proposte da Ronald Knox: 1. 2.

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Il colpevole dev'essere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine; il lettore non deve poter seguire nel corso della storia i pensieri del colpevole. Tutti gli interventi soprannaturali o paranormali sono esclusi dalla storia Al massimo è consentita solo una stanza segreta o un passaggio segreto. Non possono essere impiegati veleni sconosciuti; inoltre non può essere impiegato uno strumento per il quale occorra una lunga spiegazione scientifica alla fine della storia. Non ci dev'essere nessun personaggio “cinese” nella storia. Nessun evento casuale dev'essere di aiuto all'investigatore e neppure lui può avere un'inspiegabile intuizione che alla fine si dimostra esatta. L'investigatore non può essere il colpevole. L'amico stupido dell'investigatore, il suo “dottor Watson”, non deve nascondere alcun pensiero che gli passa per la testa: la sua intelligenza dev'essere impalpabile, al di sotto di quella del lettore medio. L'investigatore non può scoprire alcun indizio che non sia istantaneamente presentato anche al lettore. Non ci devono essere né fratelli gemelli né sosia, a meno che non siano stati presentati correttamente fin dall'inizio della storia.

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Le argomentazioni e i quattro punti di Austin Freeman: Passando ora al lato tecnico, notiamo che la trama di un romanzo poliziesco è, in effetti, un argomento condotto sotto la maschera della finzione. Ma si tratta di una particolare forma di argomentazione. Il problema premesso, i dati per la sua soluzione sono presentati in modo da nascondere la loro relazione; e il compito del lettore è quello di raccogliere i dati, per riorganizzare nella loro sequenza logica corretta e verificare le loro relazioni, quando si fa questo la soluzione del problema deve essere evidente. La costruzione tende così a cadere in quattro fasi: (1) Dichiarazione del problema; (2) La produzione dei dati per la sua soluzione (indizi); (3) La scoperta, ad esempio, il completamento dell'indagine da parte del ricercatore e la dichiarazione da lui della soluzione; (4) La prova della soluzione da una esposizione delle prove. 1.

Il problema di solito è interessato a un crimine, non perché un crimine è un argomento interessante, ma perché costituisce l'occasione più naturale per un'indagine del tipo richiesto. Per lo stesso motivo l'assassinio, reato contro la persona è più comunemente adottata di reati contro la proprietà; e l'omicidio - vero e proprio, tentato o si sospetta - di solito è il più adatto di tutti. Un crimine capitale ci dà un avversario che sta giocando per la sua vita, e che fornisce di conseguenza il miglior soggetto per il trattamento drammatico. 2. Nella narrazione della storia dati e indizi, dovrebbero essere prodotti senza ambiguità per quanto riguarda i loro elementi essenziali. L'autore dovrebbe essere equo nella sua condotta di gioco. In nessun caso dovrebbe esserci inganno alcuno per quanto riguarda i fatti. Al lettore dovrebbe essere abbastanza chiaro ciò che egli può aspettarsi come vero. Dispositivi per confondere e indurre in errore il lettore sono cattiva pratica, attutiscono l'interesse, e sono inutili; il lettore inganna se stesso, non importa quanto chiari siano dati. Qualche anno fa ho ideato, come un 140

esperimento, una detective story invertita in due parti. La prima parte è stata un minuto e descrizione dettagliata di un crimine, esponendo gli antecedenti, le motivazioni, e tutte le circostanze concomitanti. Il lettore aveva visto il reato commesso, sapeva tutto il criminale, ed era in possesso di tutti i fatti. Si sarebbe sembrato che non ci fosse più niente da dire. Ma avevo previsto che il lettore sarebbe stato così occupato con il crimine che avrebbe trascurato l'evidenza. E così si è fu. La seconda parte, con l 'indagine sui reati, per la maggior parte dei lettori ebbe l'effetto di una materia. Tutti i fatti erano noti, ma la loro qualità probatoria non era rilevata. Questo fallimento del lettore di percepire il valore probatorio dei fatti è il fondamento su cui è costruita narrativa poliziesca. Si può assumere che l'autore può presentare i fatti senza paura solo a condizione che li esponga separatamente e non collegati. E con tanto più coraggio visualizza i dati, tanto maggiore sarà l'interesse intellettuale della storia. Per la tacita intesa dell'autore con il lettore è che il problema è suscettibile di soluzione ragionando sui fatti riportati; e tale soluzione deve essere effettivamente possibile. Il lettore dovrebbe avere un corpo di prove da prendere in considerazione, mentre la storia si dipana. Inserire nuovi dati di fatto alla fine della storia è ingiusto per il lettore, come l'introduzione di prove capitali - come quella di un testimone oculare - alla fine del racconto è radicalmente cattiva tecnica, pari a una violazione del patto implicito con il lettore. 3. La "scoperta", cioè, l'annuncio da parte del ricercatore della conclusione raggiunta da lui, chiude la questione altrimenti la costruzione ha fallito, e il lettore è stato truffato. La "scoperta" di solito è una sorpresa per il lettore e si formano così il climax drammatico della storia, ma è da notare che la qualità drammatica del climax è strettamente dipendente dalla convinzione intellettuale che lo accompagna. Questo è spesso trascurato, in particolare da romanzieri che sperimentano in narrativa poliziesca. Nel loro desiderio di sorprendere il lettore, si dimentica che egli deve anche essere convinto. L'intero effetto drammatico del culmine di un giallo è dovuto al riconoscimento improvviso da parte del lettore del significato di una serie di fatti finora incompresi. 4. La prova della soluzione. Questo è peculiare di questo tipo di storie. In tutti i romanzi ordinari, il culmine, o epilogo, pone fine alla storia, ed ogni continuazione è anti-climax. Ma un giallo ha un duplice carattere. C'è la storia, con il suo interesse drammatico, e 141

racchiuso in esso, per così dire, è il problema logico e il culmine della prima può lasciare quest'ultimo irrisolto. Tocca poi all' autore dimostrare al lettore che la conclusione è emersa in modo naturale e ragionevole dai fatti a lui noti, e che nessun’altra conclusione era possibile. Su questo si giudica la qualità di tutto il lavoro. Se lo scrittore ha accumulato i suoi misteri, nella speranza di riuscire a trovare una spiegazione plausibile; e ora, quando viene a saldare il suo conto con il lettore, il suo patrimonio logiche è pari a zero genera un senso di delusione. Un esempio tipico di questo tipo di anti-climax si verifica in "I delitti della Rue Morgue" di Poe quando Dupin segue i pensieri inespressi del suo compagno. Il lettore si stupisce e si meraviglia di come si possa compiere questa impresa apparentemente impossibile. Poi Dupin spiega; ma la sua spiegazione è totalmente non convincente, e l'impossibilità rimane. Il lettore si è stupito per niente. Non è mai troppo enfatizzato che per lettore critico la qualità in un giallo sta tutta nella razionalità della soluzione.

Fine

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Romanzi gialli scritti dall'Autore: A come Assassino – romanzo dalla commedia premio I.D.I. (solo in inglese: “A for Assassin”) Sangue in tasca – romanzo (anche in inglese:“Blood in my Pocket”) Brivido sulla schiena – romanzo Cu O - Il terzo anello – romanzo 2 The Case of Bloody Iris – romanzo (solo in inglese) The Orrible Dr. Hichcock – romanzo (solo in inglese)

Film gialli realizzati dalle sceneggiature dell'Autore LIBIDO – regia di Ernesto Gastaldi e Vittorio Salerno con Mara Maryl, Giancarlo Giannini, Dominique Boschero e Alan Collins IL DOLCE CORPO DI DEBORAH – regia Romolo Guerrieri con Carroll Baker e Jean Sorel COSÌ DOLCE, COSÌ PERVERSA – regia Umberto Lenzi con Carroll Baker e Jean Louis Trintignant DELITTO QUASI PERFETTO (The Almost Perfect Crime) – regia Mario Camerini con Philippe LeRoy e Pamela Tiffin TROPPO PER VIVERE, POCO PER MORIRE – con Claudio Brook, Daniela Bianchi e Sydney Chaplin DIAMANTI A COLAZIONE (Diamond for Breakfast) – con Marcello Mastroianni e Rita Tushingham LO STRANO VIZIO DELLA SIGNORA WARDH (Blade of the Ripper) – regia Sergio Martino con George Hilton ed Edwige Fenech 143

LE FOTO PROIBITE DI UNA SIGNORA PERBENE (Forbidden Photos of a Lady Above Suspicion) – regia di Luciano Ercoli con Dagmar Lassander e Pier Paolo Capponi LA MORTE CAMMINA CON I TACCHI ALTI – regia di Luciano Ercoli con Frank Wolff e Nieves Navarro LA CODA DELLO SCORPIONE – regia di Sergio Martino con George Hilton e Anita Strindberg TUTTI I COLORI DEL BUIO – regia Sergio Martino con George Hilton ed Edwige Fenech IL TUO VIZIO È UNA STANZA CHIUSA E SOLO IO NE HO LA CHIAVE (Your Vice Is a Locked Room ans Only I Have the Key) – regia di Sergio Martino con Edwige Fenech, Anita Strindberg e Luigi Pistilli PERCHÉ QUELLE STRANE GOCCE DI SANGUE SUL CORPO DI JENNIFER? (The Case of Bloody Iris) – regia di Giuliano Carnimeo con Edwige Fenech, George Hilton e Annabella Incontrera. (anche in inglese col titolo “The Case of Bloody Iris”) LA MORTE CAMMINA A MEZZANOTTE (Death Walks at Midnight) – regia di Luciano Ercoli con Nieves Navarro e Simón Andreu I CORPI PRESENTANO TRACCE DI VIOLENZA CARNALE (Torso) – regia di Sergio Martino con Luc Merenda, Suzy Kendall e Tina Aumont MILANO TREMA: LA POLIZIA VUOLE GIUSTIZIA – regia di Sergio Martino con Luc Merenda, Richard Conte e Martine Brochard TROPPO RISCHIO PER UN UOMO SOLO – regia di Luciano Ercoli con Giuliano Gemma e Nives Navarro MILANO ODIA. LA POLIZIA NON PUÒ SPARARE (Almost Human) – regia di Umberto Lenzi con Tomas Milian, Henry Silva e Laura Belli L'UOMO SENZA MEMORIA – regia di Duccio Tessari con Luc Merenda, Senta Berger e Umberto Orsini

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LA PUPA DEL GANGSTER – regia di Giorgio Capitani con Sophia Loren, Marcello Mastroianni e Aldo Maccione LA CITTÀ GIOCA D'AZZARDO (Gambling City) – regia di Sergio Martino con Luc Merenda, Corrado Pani ed Enrico Maria Salerno MORTE SOSPETTA DI UNA MINORENNE (The Suspicous Death of a Minor) – regia di Sergio Martino con Mel Ferrer, Claudio Cassinelli e Lia Tanzi LA CITTÀ SCONVOLTA: CACCIA SPIETATA AI RAPITORI (Kidnap Syndacate) – regia di Fernando Di Leo con James Mason e Luc Merenda LA STRANA STORIA DI OLGA “O” – regia di Antonio Bonifacio con Serena Grandi e Serena Poggi

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Indice

INTRODUZIONE

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1. CHE COS’È UN GIALLO 2. LA LETTERATURA E IL CINEMA 3. LA FILOSOFIA DEL GIALLO 4. LE TRAME 5. LE TECNICHE GENERALI 6. GLI ESEMPI

p. 9 p. 13 p. 21 p. 28 p. 36 p. 72

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Edizioni Il Foglio www.ilfoglioletterario.it

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