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Italian Pages 212 Year 2013
Gabriella Airaldi
COLOMBO DA GENOVA AL NUOVO MONDO
SALERNO EDITRICE
« Eccellentissimi re, in età giovanissima cominciai a navigare e continuo ancor oggi. La stessa arte induce chi la segue a desiderare di conoscere i segreti di questo mondo… ». Cinquecento anni fa Cristoforo Colombo ha lanciato la sua sfida al mondo e da allora il mondo continua a raccoglierla, affascinato dal mito di un uomo capace di superare le frontiere della conoscenza. Ma perché è toccato proprio a lui “scoprire” il Nuovo Mondo? Una scoperta che non consiste soltanto nell’andare in un posto sconosciuto, ma anche saperne tornare, conoscere, sperimentare, rischiare, oltrepassare confini dati, reali e mentali, laici e religiosi. Per comprendere il coraggio e l’intraprendenza di chi naviga nel Medioevo bisogna partire da lontano, da Fenici e Greci, che per primi attraversarono i mari del Mediterraneo, ma soprattutto bisogna partire da Genova, la piú “atlantica” delle città italiane, e dagli orizzonti aperti della sua storia.
PICCOLI SAGG I
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GAbrIeLLA AIrALdI
COLOmbO dA GenOvA AL nuOvO mOndO
SALernO edITrICe rOmA
Composizione presso Grafica Elettronica, Napoli Copertina: B. Agnese, Portolano dedicato a H. Ruffault, abate di S. Vedasto (1544), Washington (D.C.), Library of Congress. Nel riquadro, R. Ghirlandaio, Ritratto di Colombo (1520), Genova, Galata Museo del mare. Progetto grafico a cura di Mariavittoria Mancini. Realizzazione tecnica a cura di Grafica Elettronica, Napoli.
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edizione digitale: febbraio 2013 ISBN 978-88-8402-849-5
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edizione cartacea: maggio 2012 ISBN 978-88-8402-719-1
Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 2013 by Salerno Editrice S.r.l., Roma
non posso smettere di navigare, berrò ogni goccia della vita… (A. Tennyson, Ulisse) noi genovesi ci conosciamo tutti. (A. Carpentier, L’arpa e l’ombra)
PREFAZIONE « eccellentissimi re, in giovanissima età cominciai a navigare e continuo ancor oggi. La stessa arte induce chi la segue a desiderare di conoscere i segreti di questo mondo »: cinque secoli fa Cristoforo Colombo ha lanciato la sua sfida al mondo e da allora il mondo continua a raccoglierla, affascinato dal mito di un uomo capace di superare le frontiere della conoscenza. ma perché è toccato proprio a lui, a questo genovese determinato e aggressivo, “scoprire” l’America? Scoprire significa saper andare in un luogo sconosciuto, ma soprattutto saperne tornare; vuol dire conoscere, sperimentare, rischiare, oltrepassare confini dati, reali e mentali, laici o religiosi. Le radici della globalizzazione affondano nel cuore del medioevo, ma le sue dinamiche piú profonde ci sfuggono perché ancor oggi sappiamo poco di chi andava per mare in quel tempo lontano. Perché sappiamo poco della “curiosità” che ha spinto alcuni uomini del mediterraneo a superare le frontiere, affrontando senza sosta itinerari pericolosi e difficili. Perché spesso dimentichiamo che la cultura internazionale identifica negli italiani Colombo, vespucci, Caboto, verrazano i fondatori delle piú importanti epopee marittime. nella storiografia sul medioevo il mare ha un posto singolare. La sua essenzialità tematica è indiscussa, eppure, quando si tratta di mediterraneo, le ricerche di settore sovente finiscono col dissolvere la potenza evocativa della sua storia e delle storie che lo riguardano, affidando soltanto al mito le molte suggestioni che esso porta con sé. La storiografia piú recente, perfino quella italiana per la quale gli studi mediterranei sarebbero essenziali, continua a immergersi in una storia “di terra”; oppure vede questo mare come il riflesso di quelle vicende, come se esso non fosse stato e non fosse ancora il vero elemento dinamizzante di quella storia cosí come lo sono state l’ascesa dell’economia di mercato e del denaro. Salvo rari casi, neppure le letture di impianto economico che, nel secolo scorso, hanno rilevato il ruolo essenziale svolto dall’uomo d’affari italiano, banchiere di Corone, condottiero e ammiraglio, e rilanciato le precoci e indubitabili suggestioni creative del medioevo italico, hanno fatto saltare 9
prefazione
questo predominio. eppure da tempo la storiografia internazionale ha stabilito che l’apertura alla conoscenza del mondo, l’uso dei metodi e degli strumenti intellettuali e sperimentali per avviare questo processo e diffonderlo prima di tutto in europa e poi nel mondo è un’operazione innescata dagli Italiani. non sono solo le speculazioni degli intellettuali a fare del medioevo un’età piena di luce. Quella luce passa anche attraverso il dinamismo dell’esperienza, la fame di conoscenza e le “invenzioni” tecniche e tecnologiche che essa porta con sé. Come testimonia l’ulisse di Omero, preludio non casuale dell’ulisse dantesco e dell’ulisse di James Joyce, tutto parte da lontano. Sono i Fenici e i Greci i primi ad aprire il mediterraneo al mondo; i primi a proporre il viaggio per mare come simbolo e sintesi del fenomeno cognitivo reale e intellettuale. nel lungo viaggio di ritorno a casa ulisse affronta molte prove. Gli dei sorridono di lui: la sfida del viaggio, di qualunque viaggio, non è partire, ma ritornare. Gli dei sorridono di ulisse e della sua sfida, ma il poeta che fa del suo viaggio il tema di fondo dell’umana recherche non sbaglia. Che Omero avesse ragione lo dimostra l’altro grande viaggio per mare; quello al quale, fin dal primo momento, la storia ha assegnato una valenza mitica insieme al nome di chi lo ha compiuto. Il viaggio di andata e ritorno, ossia di scoperta, che, nel nome del genovese Colombo, ha portato l’europa verso un mondo nuovo, ha dimostrato soprattutto questo: che è stata l’antica, naturale curiositas dell’uomo del mediterraneo a vincere quella sfida.
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Parte I
uOmInI dI FrOnTIerA
I CONOSCERE I SEGRETI DEL MONDO eccellentissimi re, in giovanissima età cominciai a navigare e continuo ancor oggi. La stessa arte induce chi la segue a desiderare di conoscere i segreti del mondo. Sono già piú di quarant’anni che la pratico. Ho percorso tutte le rotte conosciute. Ho avuto rapporti e conversazioni con gente dotta, ecclesiastici e laici, latini e greci, ebrei e saraceni e molti altri di altre razze. In questo mio desiderio trovai nostro Signore assai propizio e per ciò ebbi da lui spirito d’intelligenza. nella marineria mi fece provetto, in astrologia mi dotò quanto bastava e cosí nella geografia e nell’aritmetica; e mi diede ingegno nell’anima e mani per disegnare la sfera con le città, fiumi e monti, isole e porti, tutto al suo posto. In questo periodo ho visto e mi sono sforzato di vedere tutti i documenti di cosmografia, storia, cronache, filosofia e altre arti, alle quali nostro Signore mi aprí l’intelletto per manifestarmi che era possibile navigare alle Indie e mi diede la volontà per l’esecuzione del progetto. e con questo fuoco venni alle vostre Altezze […].1
Cosí scrive Cristoforo Colombo ai re Cattolici nel 1501. Piú tardi aggiungerà: 1. Questa e le citazioni successive sono ricavate da testimonianze colombiane o relative a Colombo ripetutamente edite e tradotte. La piú recente edizione in lingua originale è C. Colón, Textos y documentos completos, ed. de C. varela, madrid, Alianza, 1992; Nuevas cartas, ed. de J. Gil, ivi, id., 19922, e Cartas de particulares a Colón y relaciones coetaneas, ed. de J. Gil y C. varela, ivi, id., 1984. A queste si rinvia per i testi citati. esistono diverse edizioni italiane, a partire dalla Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel quarto centenario della scoperta dell’America, roma, ministero della Pubblica Istruzione, 1892-1896, 9 voll., dalla Nuova raccolta colombiana, a cura del ministero dei beni culturali e ambientaliComitato nazionale per le celebrazioni del v Centenario della scoperta dell’America, roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, 1992-2003, in cui sono state aggiunte nuove testimonianze. Altre edizioni fanno parte della sterminata bibliografia su Colombo, a cui si rinvierà, quando necessario, di volta in volta. Altrettanto ampia è la bibliografia sui temi mediterranei e la loro connessione con la storia delle relazioni internazionali. Si tratta di studi che attualmente continuano solo fuori Italia, salvo rarissime eccezioni, e altrettanto accade per la storia del mercato e del primo capitalismo, fenomeni che hanno avuto la loro origine e la loro prima elaborazione in alcune aree della penisola italiana. Anche in questi casi, eccetto che per testimonianze ritenute essenziali, si rinvierà solo a testi recenti. Cfr. Colón, Textos, cit., pp. 444-45.
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parte i · uomini di frontiera I naviganti e l’altra gente che va per mare conoscono sempre meglio quelle parti del mondo dove vanno piú sovente e dove hanno contatti continui […] e cosí riceviamo con piacere le relazioni di quello che hanno visto, dato che è certo che diamo piú importanza a tutto ciò che sappiamo per esperienza.2
benché ormai sia l’Oceano lo spazio prediletto dei suoi viaggi, quando scrive le sue lettere, i suoi memoriali, le sue relazioni di viaggio, l’Ammiraglio lascia spesso trasparire il suo amore per il mediterraneo. Il mediterraneo, il “mare navigabile” per eccellenza del mondo medievale, è stato la culla della sua formazione. Ha lavorato sulle navi dei grandi clan genovesi, che da secoli ne solcano le rotte dal mar nero alle coste atlantiche, oltrepassando senza paura le famose colonne d’ercole; conosce la perizia dei “piloti” che vi lavorano… Infatti i marinai hanno sempre miglior conoscenza delle parti del mondo dove usano andare e dove fanno le loro contrattazioni continuamente. Anzi ci sono uomini señalados che si sono tanto impegnati in questo che conoscono tutte le rotte e quali tempeste possono aspettarsi in ogni zona del mediterraneo e nella navigazione verso le Fiandre, dove vanno in certe epoche i grandes marineros, quando non ci sono certamente vientos amorosos ma selvaggi, freddi e molto pericolosi. essi sono chiamati volgarmente pilotos, che è come dire in terra adalid (‘guida’). Come capita che uno non conosca bene il cammino da Granada a Fuentarrabía o a Lisbona altrettanto succede in mare, dove alcuni sono piloti « de Flandes y otros de Levante », ciascuno della zona che piú conosce e pratica. Se i venti aiutano, il transito è molto rapido… Forse Colombo pensa agli alisei che aiutano chi viaggia nell’Atlantico. L’Ammiraglio ama profondamente la natura, di cui sa leggere ogni minimo segno e che descrive con grande potenza di toni nei momenti di tempesta, come nella relazione sul quarto viaggio, la cosiddetta Lettera rarissima: mai occhi videro un mare tanto alto, orribile e schiumoso. Il vento non permetteva di andare avanti né di cambiare direzione e mi teneva in quel mare fatto sangue e ribollente come una caldaia per gran fuoco. mai il cielo apparve cosí spaventoso. un giorno e una notte arse come una fornace, e con i fulmini lancia2. Cfr. Colón, Textos, cit., p. 473.
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i · conoscere i segreti del mondo va tali fiamme che ogni volta guardavo se non avessero portato via alberi e vele. Cadevano con tanta furia e cosí spaventosi che pensavamo tutti che mi avrebbero affondato le navi. In tutto questo tempo mai cessò di cadere acqua dal cielo, né si poteva dire che piovesse, ma che si fosse scatenato un altro diluvio. La gente era cosí estenuata che desiderava la morte per uscire da tante sofferenze […].3
ricorda anche il penetrante profumo del lentisco di Chio, origine del mastice monopolizzato dai suoi compatrioti; la dolce brezza e i verdi paesaggi andalusi, le huertas di valenza e i campi di grano di Cordova, la quiete delle acque del Guadalquivir, il canto dell’usignolo, i monti della Sicilia, le terre ben coltivate di Castiglia e le moschee incontrate nel corso di numerosi viaggi e ora dominanti in Costantinopoli; battezza perfino un’isola, che regala a un amico carissimo, il savonese michele da Cuneo, con il nome – tuttora esistente – di Saona, un pezzo di mediterraneo nei Caraibi. ne recupera i miti piú saldi e antichi, le Amazzoni, il Prete Gianni, l’Aurea Chersoneso. A cinquant’anni con gli occhi malati, le gambe malferme e le mani che talvolta gli tremano, si cura con i ruvidi metodi tradizionali imparati in gioventú. Le ricette, che trascrive di suo pugno in margine ai testi, sono frutto della sua cultura d’origine, che annovera i Synonima medicinae dell’archiatra pontificio Simone Cordo e il Consilium de regenda sanitate di Ambrogio Oderico, fratello di nicolò, l’ambasciatore genovese suo grande amico al quale affida una copia del suo Libro dei Privilegi. Come suo fratello e come Colombo, anche Ambrogio è legato al pontefice savonese Giulio II della rovere, di cui è medico. Colombo è un uomo complesso. Comandante durissimo, capace di tener testa a ciurme vinte dalla paura, viceré implacabile e spietato, è però anche assiduo compulsatore di testi importanti. La sua passione culturale è indubbia. vive tra amici laici e religiosi spesso assai piú colti di lui in settori nei quali egli vuole rintracciare le prove della sua idea del mondo. Si circonda di testi importanti, che ama postillare con cura, come si vede per quelli di marco Polo, enea Silvio Piccolomini, Pierre d’Ailly e Plinio tuttora conservati nella biblioteca Colombina di Siviglia, nata dall’impegno del figlio secondogenito Fernando, bibliofilo appassionato e instancabile. 3. Ivi, p. 489.
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parte i · uomini di frontiera
Scrittore raffinato, adopera con disinvoltura una lingua che non è la propria, un castigliano che riassume in sé il profilo della sua vita, intriso di riflessi genovesi e portoghesi. Per il suo lavoro deve stendere relazioni e memoriali, tenere la contabilità, mantenere in vita una serie di relazioni con personaggi di vario genere, dalle grandi famiglie genovesi all’entourage regio portoghese e castigliano, e con esponenti religiosi di ogni livello, pontefici compresi. In effetti Colombo scrive e fa scrivere molto, e se si esamina il complesso della documentazione notarile o privata che lo riguarda, non nasconde proprio nulla. Certo, gli dà molto fastidio se qualcuno ricorda le sue modeste origini: a Hispaniola suo fratello, l’adelantado bartolomeo, farà tagliare la lingua a chi sostiene che il loro padre è un lanaiolo. ma Colombo è prima di tutto e soprattutto un buon genovese, nato e cresciuto in una città-stato che è il piú grande porto del mediterraneo e il forziere piú importante d’europa. È dunque un uomo che, allo stesso tempo, ha nel sangue gli affari e la guerra. ed è questo che distingue lui e i suoi conterranei dagli altri pur importanti mercanti italiani che allora hanno in mano banca e traffici europei, ma che, salvo qualche eccezione come il defunto suocero Perestrello (un portoghese di origini piacentine), non solo non uniscono mai le due attività, ma neppure le mettono assieme per offrirle ad altri. ed è questo che distingue Colombo anche dai Castigliani, di formazione e storia totalmente diversa. ed è questo che conoscono bene Fernando d’Aragona e i Catalani che circondano il re, i quali non gli sono amici. A quell’epoca, infatti, alla secolare concorrenza esistente tra Genova e la Corona d’Aragona, si aggiungono le nuove problematiche aperte dalle politiche statuali castigliana, portoghese, francese e dei loro alleati, le perenni oscillazioni dei poteri italiani: tutto ciò complicherà non poco la vita dell’Ammiraglio. Formatosi in una città-stato che ha una sua precisa identità e una sua storia, Colombo dimostra in ogni momento di essere figlio di quella cultura. Si può continuare a giocare su chi egli sia, da dove venga e dove abbia studiato, come fa, fin troppo ambiguamente, il figlio Fernando nella biografia che gli dedica. Ormai è certo però che quest’individuo, nato da lanaioli e divenuto prestissimo uomo di mare, non sa soltanto leggere, scrivere e fare di conto. benché passi la maggior parte della sua vita in mare, quando è a terra – lo dice lui stesso scrivendo a padre Gorricio, il certosino 16
i · conoscere i segreti del mondo
amico e archivista della famiglia – trascorre molto tempo compulsando testi importanti e discutendo con gente preparata nei campi che lo interessano. È questa un’altra delle sue sfide, quella di un “pratico”, che si è formato sull’esperienza e non solo su teorie libresche e, se sbaglia a prendere le misure del mondo, non lo fa perché è un “pratico” ma semmai perché segue elucubrazioni di teorici. Quando naviga, infatti, sa bene quello che fa. Come tutti i Genovesi anche di alta estrazione sociale, certamente Colombo in gioventú ha sempre parlato genovese. A Genova anche i discorsi in Consiglio sono tenuti in quella lingua e cosí vengono riportati per iscritto, in mezzo al latino, che a Genova sarà usato per gli atti pubblici fino al Settecento. Passato nella Penisola Iberica, Colombo scrive ora in una lingua che è un castigliano denso di portoghesismi ma anche di molti genovesismi. una lingua che comunque non è mai troppo lontana dagli altri idiomi della piú prossima area occidentale. d’altra parte è noto che in mare e nel commercio si usa una lingua “franca” e che i Genovesi sono adusi da secoli a insediarsi qua e là cambiando non solo nome ma anche idioma. Peraltro, diversamente dagli intellettuali che gli sono amici, l’Ammiraglio non ha certo confidenza con il latino né con il volgare culto. usa invece questa lingua “impura” in molti modi e toni diversi, sia quando racconta “da mercante” ciò che si può trovare nel mondo nuovo (e non solo l’oro che tutti cercano), sia quando tocca i temi della navigazione e parla dei suoi uomini, che egli sente e ritrae come un corpo unico con la nave, o quando descrive la natura in toni affascinati o, infine, quando comunica con gli amici e la famiglia. Come molti suoi concittadini accolti da secoli nelle promettenti terre iberiche, nonostante non parli mai della sua gioventú, Colombo non rinnega le sue radici familiari, anche se ora la sua famiglia è quella di cui lui – come altri Genovesi sparsi nel mondo – è diventato il capostipite. dal mediterraneo è venuta la religione che pratica e che, come scrive anche ad Alessandro vI, vuole diffondere. devoto ai santuari mariani e al dio che domina le tempeste, di cui immagina di ascoltare la voce nei momenti di difficoltà, sul far della sera partecipa al Salve Regina intonato dai suoi marinai. battezza con nomi di santi molte delle terre incontrate. La 17
parte i · uomini di frontiera
sua frequentazione di uomini di molte razze e religioni diverse gli fa dire che lo Spirito Santo alberga in tutti, ma allo stesso tempo, come per tutti i Genovesi, che sul nome di Gerusalemme hanno costruito il mito delle origini comunali: per lui “crociata”, “missione” e “affari” sono termini inseparabili. Proprio perché appartiene a una stirpe di guerrieri-mercanti, è il mercato a governare le sue azioni e a guidare la sua lettura del mondo, ed è sotto questa lente spietata che cadono gli uomini e le cose che incontra, che egli colloca senza remore nel ruolo previsto dai tempi: schiavi, spezie, oro, privilegi, monopoli. Tuttavia i ricordi e le reliquie che si affollano nella mente e negli scritti di un uomo non bastano certo a definirne l’identità. In fondo il mediterraneo è ormai alle sue spalle e che cosa significano ricordi e citazioni? Poco o nulla. All’epoca sua, quanti viaggiatori, quanti mercanti, pellegrini, guerrieri hanno affrontato le onde di quel mare, hanno descritto i suoi panorami, narrato le emozioni e le paure provate navigando, visitando i paesi piú lontani? Quanti uomini di mare vi hanno condotto ciurme, combattendo tra gli scogli del Tirreno, disegnando carte, fondando colonie? Colombo non è certo l’unico titolare di una memoria mediterranea, di un bagaglio culturale che affonda le sue radici in millenni di storia. ma il primo Ammiraglio del mare Oceano non è un uomo qualsiasi. Ha avuto una vita avventurosa e complicata, sa bene quel che vuole e sa anche quali carte può giocarsi ora che i rapporti con la Corona si son fatti difficili. una di queste, la piú importante forse, sta proprio nella sua provenienza, rivelata dalle parole con cui apre la lettera indirizzata ai re. Parole importanti, che, piú di ogni altro documento e piú di ogni altra dichiarazione, provando la sua origine, disegnano in pochi tratti la sua cultura di appartenenza. L’ouverture della lettera è semplice, quasi ovvia. dice Colombo: « In giovanissima età cominciai a navigare e continuo ancora oggi ». L’uomo dichiara il suo mestiere. Ha confidenza con il mare; sa leggerne i colori e gli odori; sa usare carte e stelle, strumenti e libri. Fin qui nulla di nuovo. ma poi subito aggiunge: « Quest’arte induce chi la segue a desiderare di conoscere i segreti del mondo ». Si sa che l’uomo scrive calibrando ogni parola. di colpo il suo discorso prende un tono diverso. Improvvisamente l’ars navigandi di cui sta parlando perde la sua connotazione operativa e, nelle 18
i · conoscere i segreti del mondo
parole dell’Ammiraglio, l’andare per mare assume una valenza nuova e perspicua. Il navigante non è un uomo qualunque; è un individuo curioso del mondo, ansioso di conoscenza. La sua azione lo porta ad andare oltre la semplice ricerca dell’oro e delle spezie. A lui compete, infatti, oltrepassare i confini dati; arrivare sempre piú lontano; giungere, infine, a svelare « i segreti del mondo ». navigare dunque non è solo un’ “arte” ossia un’attività pratica, quella che pure Colombo ha imparato e perfezionato, come dichiara qui, nei quarant’anni trascorsi sul mare. Il viaggio è qualcosa di diverso e di piú, è via di conoscenza, di possibile “scoperta”. navigare è, prima di tutto e soprattutto, una sfida: conoscere il mondo e descriverlo. nelle parole di Colombo il viaggio per mare si trasforma. Strumento di esplorazione, esso diventa struttura portante di una recherche che tocca l’esistenza. La sfida del navigante non è solo quella del rischio, dei pericoli, della morte. La sfida vera è un’altra: navigare è ricerca; desiderio di sapere; ambizione di superare qualsiasi barriera, reale e mentale. La frase scritta dall’Ammiraglio è chiara e appartiene a una cultura precisa; quella di ulisse, che ha sfidato gli dei e, senza temerne il sorriso, ha accettato, per primo, di fare del mediterraneo il palcoscenico di un itinerarium vitae e della sua erranza in quel mare il centro dell’esperienza umana. Cosí quello che ancora in età medievale si considerava il centro del mondo si è trasformato in un mare senza confini. Lo è stato per i Fenici e per i Greci; per i romani, che hanno fatto del Mare Nostrum l’asse del loro Impero. Lo è stato nel cuore del medioevo, quando, nell’estremo Occidente eurasiatico, le culture romana e germanica si sono fuse per dar vita a nuovi sistemi politici e culturali; quando, dal maghreb ai paesi dell’area bizantina e islamica, la circolazione dei mercanti e pellegrini arabi ed ebrei, assieme alle esperienze cristiane sulle coste di quel mare, hanno dimostrato con costanza e assiduità il raccordo esistente tra le ravvicinate frontiere di quel tempo.4 4. muove dall’area mediterranea l’avvio della globalizzazione: cfr. G. Airaldi, Dall’Eurasia al Nuovo Mondo. Una storia italiana (secc. XI-XVI), Genova, Frilli, 2007, e anche Gli orizzonti aperti. Profili del mercante medievale, a cura di G. Airaldi, Torino, Paravia, 1997, in partic. Ead., Per la storia dell’idea di Europa: economia di mercato e capitalismo, pp. 7-13; Ead., Mo-
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parte i · uomini di frontiera
Il mare di ulisse e la sua “odissea”, piú tardi assunti dalla cultura europea come simbolo dell’itinerario esistenziale, raccontano dunque una storia remota, che precede di molto i viaggi di beowulf, di brandano e la recherche di Perceval. una vicenda in cui, fin dal tempo piú antico, il mediterraneo è stato uno spazio di intensa operatività, e l’opzione mercantile che lo ha sempre abitato, lo strumento privilegiato per rielaborare continuamente il rapporto con il resto del mondo. L’attività marittima mediterranea, intesa come fenomeno di struttura, porta con sé infatti un dinamismo inarrestabile che, spingendo l’uomo a uscire dai suoi primi confini, lo obbliga ad aprirsi al mondo, a incontrarlo e a confondersi con esso. da questo punto di vista la progressiva scoperta dell’Oceano, condotta a termine in età medievale sulla base di importanti scambi con le culture atlantiche, diventa dunque il secondo passo di un lungo processo di mondializzazione, che trova le sue radici nell’antico impulso proposto dagli uomini del mediterraneo, detentori di una serie di complesse e ricche competenze che, germogliate nella penisola italica nel medioevo, resteranno a lungo in mani italiane. non a caso la cultura mondiale e non solo quella europea, superando ogni remora di sapore nazionalistico, ha scelto di collocare alle origini della grande sfida globale, insieme all’icona colombiana, anche quelle di vespucci, di Caboto e di verrazano. un riconoscimento dovuto ai figli delle città-stato italiane, che, alla fine dell’età medievale, hanno aperto la saga delle grandi “scoperte geografiche”. È un fatto che l’avventura dell’uomo del mediterraneo, che inizia da lontano,
delli coloniali e modelli, culturali dal Mediterraneo all’Atlantico, pp. 199-207; d. Abulafia, Gli Italiani fuori d’Italia, pp. 175-98. Per altri aspetti cfr. Le genti del mare Mediterraneo. Atti del xvii Colloquio internazionale di Storia marittima, napoli, 28-31 gennaio 1980, a cura di r. ragosta, napoli, Pironti, 1981, 2 voll. (in partic. J.e. ruiz domènec, El sueño de Ulises: la actividad marítima en la cultura mediterránea como fenómeno de estructura, pp. 27-59); Intercultural Contacts in the Medieval Mediterranean, ed. by b. Arbel, London, Frank Cass and Company Limited, 1996, e Le vie del Mediterraneo. Idee, uomini, oggetti, a cura di G. Airaldi, Genova, Ecig, 1997; Le partage du monde. Echanges et colonisation dans la Méditerranée médiévale, a cura di m. Balard e A. Ducellier, Paris, Publications de la Sorbonne, 1998. Sul ruolo del Comune medievale italiano come sede di una specifica formazione politica, economica e culturale, cfr. G. Airaldi, Alle origini del particolarismo. ‘Res publica’ e Comune nel Medioevo italiano, in Res publica, a cura di F. manti, milano-udine, mimesis, 2009, pp. 31-39.
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i · conoscere i segreti del mondo
non si concluderà mai, facendone un migrante disposto a muoversi in tutte le parti del mondo. In realtà Colombo non dice nulla di nuovo. Se nel XII secolo per la cultura tradizionale il mediterraneo è ancora il Medium terre tenens di una concezione eurocentrica modellata sull’antico Mare Nostrum, già a quel tempo, il beato ugo da San vittore sottolinea i meriti di una navigazione che penetra nelle parti piú segrete e remote del mondo, e raggiungendo i lidi piú lontani e toccando i piú orridi deserti, favorisce gli scambi con le nazioni barbare e per mezzo di lingue sconosciute. Quest’attività concilia le genti fra loro, seda le guerre, rafforza le paci e scambia i beni necessari all’uso di tutti.5
Queste parole, scritte in un’età che segna un fondamentale momento di passaggio, sono estremamente significative. In quel momento, infatti, anche un monaco sassone ben lontano dalle asperità del mondo degli affari e immerso in brume continentali legate a tutt’altra cultura, non può fare a meno di registrare l’aria nuova che circola da quando il mare è entrato prepotentemente nella vita di un’europa che, strutturata in gran parte su lenti moduli di vita agraria, viene sempre piú coinvolta da quell’economia di mercato destinata a rinnovarne totalmente l’immagine. Già alla fine del mille monarchie nascenti e città-stato, guidate da oligarchie che sono punta avanzata di un sistema in grado di sposare politica e mercato, si confrontano e si alleano in un gioco di espansione che le vede a diverso titolo protagoniste del grande mutamento di scenario europeo e internazionale. In modo piú rapido e piú evidente, ciò avviene nelle zone in cui la città esplica un ruolo centrale e cioè in buona parte dell’europa mediterranea, dove nuove proposte politiche contribuiscono a modificare ruoli e comportamenti. Assieme alla rivoluzione economica che promuove mercato e investimento, incentivazione agraria, evoluzione tecnica e tecnologica, trova sempre piú ampio spazio l’azione di un naviglio, che nutre e rinnova le sue forme sulla base dello scambio di conoscenze tra mediterraneo e At5. Hugonis de S. Victore, Eruditionis didascalicae, in Patrologiae cursus completus. Series latina, a cura di J.-P. Migne, vol. 176 1880, coll. 760-62.
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parte i · uomini di frontiera
lantico, portando con sé uomini e merci dappertutto. navi grandi e piccole circolano con sempre maggior frequenza sulle onde del mediterraneo e del vicino Atlantico e poiché il mare è davvero il regno della libertà, sia pur in mezzo a battaglie e a scontri con corsari e pirati, tempo e spazio assumono dimensioni piú brevi, i trasporti si fanno meno cari, i contatti si moltiplicano, la tipologia contrattuale si arricchisce delle variabili notarili genovesi, l’arte nautica e la cartografia aumentano d’importanza. L’Oriente, scrigno di almeno trecento tipi di “spezie”, resterà anche per Colombo il fine ultimo del mercante, ma l’apertura di nuovi orizzonti si declina soprattutto a Occidente. Lo si vede nel ruolo essenziale svolto da alcuni Comuni italiani, attivi sia nella costruzione del capitalismo mercantile sia nelle azioni di “scoperta”. dappertutto, con modulazioni diverse, gli uomini d’affari italiani proporranno o imporranno gli elementi fondanti del sistema di vita cittadino: un accesso pragmatico alla conoscenza, che comporta la valorizzazione dell’esperienza diretta e perciò un approccio razionale con il mondo, un’obbligata fusione con gli apporti di culture diverse, una crescita di preparazione tecnica e tecnologica, una forma urbis costruita sulle regole del mercato e sulla mentalità di chi lo guida; infine, un modello di vita rielaborato su una nuova cultura economica, che, mettendo al centro denaro e capitale, porterà con sé un’ovvia riconsiderazione del ruolo dell’individuo e della fisionomia della società. Cosí le loro alleanze con bisanzio e con l’Islam, con le Corone e i poteri feudali in Occidente avrebbero cambiato il volto dell’europa e del mondo. La forza del sistema posto in essere, infatti, non sarà piú legata soltanto a una politica di conquista di nuove terre da distribuire e perciò all’esclusivo uso delle armi. Anche se la guerra resterà uno strumento potente di espansione, la forza del sistema sarà invece sempre piú connessa alle pressioni di un mercato e di un capitale in grado di trovare la loro strada da soli e spesso in contrasto con la politica. Lo dimostra la storia del network genovese, a quel tempo il piú esteso e il piú articolato in ambito internazionale. Colombo stesso – quando scrive la sua lettera ai re – ha sperimentato i vantaggi di questo sistema, ma ne ha pure pagato i prezzi, come meglio si vedrà.
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II UNA CITTÀ SENZA MURA PER UN MONDO SENZA FRONTIERE L’Ammiraglio ha una formazione culturale di fondo del tutto diversa da quella castigliana che permea la parte piú importante della sua vita. La cultura che lo forma in gioventú viene da lontano e su di essa conviene soffermarsi per capire le ragioni del suo viaggio e i suoi stessi comportamenti.1 L’uomo della prima età medievale è immerso in una realtà e in una teoria politica legate a un concetto “discendente” del potere, in cui suddito e credente convergono nella figura del fidelis obbediente alle condizioni e alle regole di una società rigida ove non partecipa alle decisioni, non esprime la propria volontà, né mette in dubbio l’autorità di maiores ed episcopi. Tuttavia, tra i secoli XI e XII, giunge a conclusione un processo in cui, attraverso una lenta ma decisa separazione della sfera naturale dal soprannaturale, riprende vita il concetto di “cittadinanza”. Gradualmente l’individuo diventa titolare di diritti. entra in gioco l’idea della politica come valore in sé; un’idea che matura nel grande bacino del “particolarismo” politico medievale, nell’ambito del quale, pur trattandosi ancora di decisioni delegate a un parlamentum di individui scelti sulla base di prestabilite selezioni, cresce un processo di partecipazione. Se il termine e il concetto di “democrazia” hanno la loro radice nel mondo greco, il medioevo fa propria invece la prima definizione di “repubblica” comparsa a roma, adattando la formula « est igitur res publica res populi » alle nuove esigenze di carattere politico-istituzionale. In età medievale la parola respublica identifica di solito l’Impero romano-germa1. Sono ancora fondamentali W. ullmann, Individuo e società nel Medioevo, trad. it. romabari, Laterza, 1983 (ed. or. baltimore, The Johns Hopkins univ. Press, 1966); r.S. Lopez, La rivoluzione commerciale del Medioevo, trad. it. Torino, einaudi, 1975 (ed. or. new Haven, Prentice-Hall, 1971), e Id., Intervista sulla città medievale, a cura di m. berengo, roma-bari, Laterza, 1984. Sulla città e le sue varianti orientali e occidentali cfr. G. Airaldi, Guerrieri e mercanti, Torino, Aragno, 2004, pp. 7-37.
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nico, coincidente con la Christianitas. Giovanni di Salisbury usa il termine riferendosi all’organismo statuale in sé e san Tommaso e Jacopo da varagine sostengono che alla sua testa ci sta bene anche un principe. ma nel momento in cui i laici della monarchia inglese e quelli dei Comuni italiani elaborano comportamenti e norme, che, basati sulla formazione di un concetto “ascendente” del potere, promuovono il ruolo dell’individuo, libero di eleggere i suoi rappresentanti e regolare le proprie consuetudini, inizia un mutamento profondo. È trascorso circa un secolo da quando una delle tante “rivoluzioni storiografiche”, condotta su una rinnovata lettura di impianto economico, ha riesaminato sotto questa prospettiva anche la storia della città. Ciò ha aperto nuovi settori d’indagine e ha consentito di riproporre quanto già avevano segnalato, nell’Ottocento, il Sismondi e il Cattaneo, sia pure alla luce di istanze di carattere “nazionale” e di letture risorgimentali. Ambedue, infatti, ricollocando la vicenda del Comune italiano nell’ambito della storia della città europea e nel panorama dei poteri pubblici e delle loro interferenze, avevano colto i “caratteri originali” di questo fenomeno, che costituisce, insieme con le rivoluzioni dei popoli innescate dal risorgimento, uno dei contributi piú alti offerti dall’Italia alla formazione dell’identità europea. d’altra parte, non è un caso che ancora nell’attuale storiografia internazionale solo i Comuni italiani siano identificati e definiti “repubbliche” o “città-repubblica”, espressione coniata per distinguerle dal resto del panorama europeo. In effetti, alla radice dell’istituzione comunale c’è un impianto sostanzialmente rivoluzionario per quei tempi. Alla fine dell’XI secolo, nelle città tra le Alpi e il Tevere, si realizza una sintesi – peculiare nei suoi riflessi politici immediati e futuri, locali e internazionali – tra la nuova formula di governo pubblico, l’economia di mercato, la concentrazione di attività industriali e l’elaborazione di una cultura urbana. da questa singolare combinazione trae la sua linfa quel Comune che, da allora in poi, sarà l’unico titolare di un modello di “repubblica” alternativo al sistema monarchico, prima di tutto all’Impero e poi alle Corone europee e, naturalmente, ai loro funzionari. nella prima metà del XII secolo Caffaro di Caschifellone illustra perfettamente questo processo, sul quale dichiara invece la sua perplessità (e dal suo punto di vista con qualche ragione) l’arcivescovo Ot24
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tone di Frisinga, zio dell’imperatore Federico barbarossa, inorridito di fronte al sistema di governo delle città lombarde, nel quale anche i « meccanici », cioè i borghesi, ovvero i non “nobili”, possono aspirare alle piú alte cariche. Pur non dichiarandosi ribelle all’Impero, nel Comune italiano l’oligarchia di governo lo diventa assai rapidamente, manifestando la sua novità attraverso la gestione del potere affidata a uomini di alta ma variegata origine, per i quali il passo dall’autonomia alla sovranità è una necessità dettata dalla “libertà” di decidere e il “bene pubblico” non si identifica solo con l’Impero ma semmai con il Comune, ossia con la cittadinanza che vi fa riferimento. La novità matura nell’età del grande frazionamento politico e nell’ambito del fenomeno noto come “lotta per le investiture”, concentrato nel cuore di un Impero sempre piú instabile; si realizza in una penisola priva di re “nazionali” (ma non di re “italici”, che hanno la loro capitale in Pavia, proprio nel cuore del triangolo strategico che collega la Penisola all’europa centroccidentale); giunge quindi a compimento in quell’essenziale area di cerniera a cui tutti hanno fatto e faranno sempre riferimento. Qui, infatti, la crescita del movimento commerciale e l’azione rivoluzionaria di un “capitale caldo” costantemente reinvestito, pur non facendo saltare i princípi generali del sistema politico-sociale preesistente, ne operano di fatto un ridimensionamento definitivo. Lo obbligano, infatti, a confrontarsi con la città, una realtà solida e coesa, guidata sul piano delle scelte politiche ed economiche da un’oligarchia di uomini d’affari, il cui ruolo deriva dall’essere non piú sudditi o fideles ma “cittadini”. Solo nel Comune, infatti, si possono esercitare i tre poteri – legislativo, esecutivo, giudiziario – come espressione di una volontà piú ampia di cui si ha la rappresentanza e non solo come risultato di una delega ricevuta dall’alto o come legato di natura ereditaria. Si ripropone allora una nuova formula di città-stato. Inedite sfumature concettuali si aggiungono all’antico geroglifico egiziano che, con una croce inserita in un cerchio, proponeva la città come un incrocio di strade protetto da mura. mura e porte non segnalano piú soltanto una precisa posizione gerarchica nello spazio, ma contribuiscono in modo determinante a costruire l’identità “nazionale” di chi, radicandosi in quel micro25
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cosmo, acquista uno status che lo differenzia dal resto del mondo. Il Comune italiano è ben diverso dagli altri Comuni europei, giustamente definiti “isole in mari feudali”, mai dotati di sovranità; ed è un centro amministrativo e religioso del tutto differente dalla città-stato antica, dominata dai proprietari terrieri esterni (non a caso viene imposto il giuramento dell’abitacolo con il quale l’élite che s’inurba è obbligata alla residenza). nel Comune italiano, clero e feudalità non esercitano poteri pubblici, anche se il vescovo continua a svolgere (e in qualche misura accresce) il suo già eminente ruolo civico e le famiglie viscontili continuano a percepire qualcuno dei loro introiti. Insieme a un’assemblea popolare, convocata solo per ratificare o contestare le decisioni piú importanti, la nuova organizzazione promossa da un’aristocrazia mista di piccoli nobili e grandi borghesi, che decide la composizione dei due organi decisionali e operativi (i consoli e il consiglio, composto, secondo il nuovo lessico politico, non da patrizi ma da magnati), spacca l’ordinamento preesistente, che ruota sui tre “ordini” degli oratores, bellatores, laboratores (‘sacerdoti, guerrieri, lavoratori’). A sua volta, però, il gruppo che ha voluto la rottura con la tradizione assumerà nel tempo sfumature diverse. Infatti la nuova formula, promuovendo una costante crescita di nuovi clan, ne sollecita l’inserimento. Lo si vede a Genova nel 1339 con l’istituzione – apparentemente rivoluzionaria – del dogato. Tuttavia l’aristocrazia genovese, un’élite mista di “nobili” e di “popolari” (di “vecchi” e di “nuovi”) radunati in potenti unioni artificiali di famiglie costantemente legate al modello repubblicano, continuerà a essere lacerata da contrasti interni. Finché, nel 1528, Andrea doria riuscirà a fare degli “alberghi” un corpo unitario e da questa “unione” nascerà il “secolo dei Genovesi”. Anche le altre città europee rappresentano qualcosa di nuovo rispetto a piú antichi modelli. ma, a eccezione della Corona catalano-aragonese e poi di quella portoghese, le monarchie preferiranno sempre trattare con gli uomini d’affari italiani. Sono gli Italiani ad avere in mano il traffico e la finanza internazionali; e a quel tempo i porti continentali non svolgono ancora il ruolo che avranno in età moderna. Centro di produzione e di scambio, abitata da una collettività vitale e propositiva il cui nerbo è formato essenzialmente da uomini di affari e 26
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artigiani, la città assume ora un’identità collettiva e si autorappresenta come un corpo unitario; un fenomeno perfettamente illustrato dalla suggestiva definizione di roberto Lopez: « la città è uno stato d’animo ». non a caso in gioventú Lopez aveva avuto sott’occhio i documenti di uno dei primi Comuni italiani: Genova, città dove si incontra il piú antico esempio di consuetudines adprobatae, principale centro portuale del mediterraneo, collocato in una zona altamente favorita per gli scambi. una città molto apprezzata dall’europa occidentale e dall’Islam, decollata grazie all’incontro di volontà tra le élites locali e quelle internazionali. ma è tutto il caso italiano ad avere una sua storia originale. Alla fine del secolo XI, le città autonome nella penisola sono piú di dieci; prima che si chiuda il duecento sono piú di cento. Tra le città europee solo Parigi ha ricchezza e popolazione analoghe a quella di milano, venezia, Genova e Firenze, ma le somiglianze si fermano qui. In effetti, nel caso italiano non è tanto originale l’indipendenza – che pure ha la sua grande importanza – e nemmeno l’unione del contado alla città, quanto lo stravolgimento dei rapporti economici e sociali. Infatti il Comune italiano è governato da uomini d’affari liberi di decidere e ai loro interessi subordina quelli di tutti: nobiltà, chiesa e campagna. In quella parte della penisola in cui si realizza la vittoria del modello “borghese” che, diventando aristocrazia, attrae anche una parte della nobiltà, l’élite terriera perde le leve del potere. Tuttavia, la rivoluzione intrinseca al nuovo sistema e la nuova formula di governo, basata sulla volontaria associazione di uomini liberi e guidata da uomini d’affari, continuerà a lasciare perplessi gli altri europei, assai diffidenti nei confronti di questi uomini spregiudicati e sostanzialmente immuni da piú alti controlli e, soprattutto, detentori di quei capitali di cui le Corone sono consumatrici abituali ma non produttrici. Ai primi del Trecento, in dispregio degli odiati concorrenti genovesi, il catalano ramón muntaner scrive testualmente: « È pazzo il Signore o chiunque si fidi dell’uomo del Comune. Chi non sa cos’è la fede, non può rispettarla ».2 2. G. Airaldi, Storia della Liguria, iii. Dal 1492 al 1797, Genova-milano, marietti, 2010, p. 25.
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d’altra parte è evidente la scarsa simpatia che Colombo e il suo amico savonese michele da Cuneo, figlio di un altro importante Comune, nutrono nei confronti degli hidalgos, al di là del fatto che ci sia un problema di accaparramento e avidità evidente in entrambe le parti. Scrive Colombo che persone che in qualche caso in Castiglia non avevano la possibilità di sfamare un servo, qui [nell’isola Hispaniola] pretendevano di avere al proprio servizio sei o sette uomini e che io glieli mantenessi e pagassi loro un salario […]. essi non pensavano che le spezie non crescevano sugli alberi e che l’oro doveva trovarsi nelle miniere e cosí gli altri metalli […].3
aggiunge michele: « finché esisterà la Spagna non mancheranno traditori ».4 Ogni Comune, grande o piccolo, ha una sua fisionomia particolare anche sul piano simbolico-formale. Ha il suo statuto, il suo santo patrono, il suo vessillo e il suo sigillo, la sua moneta, la sua amministrazione della giustizia e il suo diritto di esigere imposte. Si realizza cosí una formula politica, economica e sociale, che, sulla sostanziale simbiosi tra feudalità minore esterna, nascente borghesia e massa dei lavoratori, dà vita a una “repubblica” assai diversa dall’antica res publica romana di matrice agraria, che ha sempre mantenuto una netta distinzione tra patrizi e plebei. Il Comune italiano, nato da una congiura contro i poteri costituiti e cresciuto contro di loro, mentre fornisce i primi strumenti alla formazione della coscienza individuale, promuove contemporaneamente il senso di appartenenza alla collettività, o meglio a quella collettività cioè a quella “nazione”. Lo afferma Caffaro, primo cronista laico ufficiale della storia comunale italiana, disegnando la figura di Guglielmo embriaco, eroe fondatore della nuova storia genovese. Lo afferma il Templare di Tiro, descrivendo il lontano discendente di Guglielmo – bertrand de Gibelet –, che, ormai signore in Oltremare, non vuole impugnare le armi contro i Geno3. Colón, Textos, cit., p. 421. 4. michele da Cuneo, Lettera a Gerolamo Aimari, in Nuova Raccolta Colombiana, v. La scoperta nelle relazioni sincrone degli Italiani, a cura di G. Airaldi e L. Formisano, roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, 1966, p. 171.
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vesi. Lo scriverà Colombo nella ben nota lettera al banco di San Giorgio: « benché il corpo sia qui, il cuore è lí di continuo ».5 nell’Italia centro settentrionale, vinti rapidamente tutti gli scontri con i poteri preesistenti dentro e fuori la città, il Comune promuove la formazione di quegli “stati regionali”, che sono il risultato finale della sua espansione (in Liguria, sia pure con larghe falle, se ne ha un primo esempio alla fine del XIII secolo). Assunto un ruolo egemone sui vicini piú deboli, Genova esporta – in tutto o in parte – il proprio sistema anche piú lontano secondo un’istanza globalizzante che prelude al futuro. I Genovesi modificano profondamente le realtà prossime o quelle incontrate ma a loro volta sono rigenerati dalle culture con cui vengono a contatto. Tuttavia per far rendere al meglio la mobilissima economia di mercato e tutto ciò che ne viene, per disporre della piú ampia libertà e della maggior sicurezza di movimento, per poter costantemente spostare le frontiere operative, è necessario il rispetto di regole rigide. Soprattutto occorrono strutture stabili, che siano allo stesso tempo solide ed elastiche. Per questo essi scelgono di mantenere intatta anche nell’esercizio degli affari la centralità della famiglia patriarcale, ricca di uomini da diramare per il mondo; di adoperare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo l’elemento base della famiglia-azienda (lasciando ad altri – come i Fiorentini – l’uso della società). Ora piú che mai diventa essenziale l’arcaico “patto di sangue” ovvero l’alleanza matrimoniale intesa come strumento fondante il patto tra clan genovesi e liguri. un sistema che, dalla Compagna (società di clan formati di mercanti e guerrieri che è all’origine del Comune) porterà i Genovesi a inventare la formula della maona (una sorta di Compagnia delle Indie ante litteram) e l’ “albergo”, aggregazione artificiale di famiglie sotto un unico nome, struttura politica economica e sociale di riferimento di tutta la storia genovese. Come ha scritto il poeta Alceo e ricordato Lopez: « non le case dai bei tetti, non le pietre di mura ben costruite, non i canali né le banchine fanno la città, ma gli uomini capaci di sfruttare l’occasione ».6 Fin dal mille sono i cittadini i piú accesi sostenitori di questa nuova res publica, come afferma, 5. Colón, Textos, cit., p. 482. 6. Lopez, Intervista, cit., p. 5.
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dopo Caffaro, l’arcivescovo Jacopo da varagine, parafrasando san Tommaso nella sua Cronaca di Genova, sulla scia degli autori dei Regimina civitatum del tempo; e « buon cittadino » è colui che sa difendere quella particolare res publica, quel ‘bene comune’. dunque res publica e Comune coincidono; autonomia cittadina e coscienza civica vanno insieme; matura una forte capacità autocelebrativa, che per tutti i Comuni italiani si fonda su una parola d’ordine: libertà. non è questa la libertà del filosofo, ma quella di difendere il diritto di essere padroni in casa propria, la libertà di decidere e di operare, disfacendosi di qualsiasi autorità superiore, un impero, un regno, un conte o un marchese. Su questi temi s’innesta l’affermazione della realizzazione individuale come principio fondante di una nuova etica, sicché nel momento del pieno trionfo del sistema e cioè nel duecento, san Tommaso, codificando il profilo della nuova società, sottolinea che è necessario contemperare individualismo e bene comune. Ovviamente garantire al massimo l’esercizio di questa libertà indebolisce l’esecutivo di fronte alle molteplici spinte oligarchiche e anarchiche, favorite anche dalle permanenti diseguaglianze di nascita. Il caso di Genova – con il grande incentivo che viene dalla continua apertura di orizzonti nuovi – è esemplare. Quando machiavelli, indicando le lotte interne come una costante dell’identità genovese, definisce il banco di San Giorgio « uno Stato nello Stato », dimostra di aver capito perfettamente da dove viene e dove va quella storia, anche se le sue remore sulla validità di quel sistema indicano che gli sfuggono le forti valenze intrinseche al “capitalismo familiare”. una formula crudele e perfino tragica, ma essenziale e addirittura obbligata, in una regione che per definizione è una “porta” tra l’europa e il mondo. Per questa scelta di fondo la « Gênes cruelle et carnivore » di Fernand braudel divora necessariamente qualsiasi formula statuale, la priva di una reale sua separatezza, rendendo inutile il succedersi di sistemi istituzionali che non ne alterano, se non per qualche nuova inclusione, la sostanziale fisionomia socio-economica della città. Tuttavia sta in questa formula apparentemente destabilizzante il fondamento di una “libertà” politica capace di opporsi in ogni tempo alla tirannide, un tema costante nella pubblicistica genovese, destinato ad acquisire una caratura piú ampiamente nazionale nell’Ottocento. Tema caro 30
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ai Genovesi, che non avranno mai un principe se non per tempi brevi, optando in ogni caso solo per un principe straniero, sostenuto a fatica e per poco tempo da una parte di essi: un Signore francese o milanese a cui fanno gola ruolo e ricchezze della città. Questa è la cultura del figlio di una città-stato. In realtà, fin da quando stipula con la Corona le Capitolazioni di Santa Fe e certamente quando arriva all’Hispaniola, Colombo ha in testa un progetto antico che contempla una serie di variabili, adattabili a situazioni diverse come quelle applicate nella composita formula messa in atto dai Genovesi nella costruzione del loro network. Partendo da Genova, da dove prende il via la storia dell’Ammiraglio e dei naviganti liguri che l’hanno preceduto sull’Atlantico, si ha la percezione di quanto sia diversa dal resto degli altri Stati italiani ed europei la vicenda di un’area periferica alla penisola; che, profondamente incardinata nel blocco euroccidentale, è destinata a diventare uno dei principali protagonisti dell’operazione di frontiera che porta alla costruzione di un nuovo Occidente. Partendo da Genova e dall’area ligure si ha una diversa lettura prospettica della centralità di un mediterraneo, nel quale, infatti, crescono storie assai dissimili tra loro, come dimostrano le differenze profonde tra le vicende di venezia e di Genova.7 La radice delle fortune di venezia si legge nella costante saldezza del suo rapporto con l’Oriente e il mondo bizantino. Il vertice della sua celebrazione di repubblica mercantile sta nel Milione di marco Polo, potente icona del mercante che, a fine duecento, è compiuta espressione di un’espansione europea che, guardando soprattutto a Oriente, fa dell’Occidente un tema non ignoto ma lontano da sé. Per Genova, invece, perfettamente inserita nella pars Occidentis dell’estrema penisola eurasiatica, la storia è la realizzazione – mai troppo celebrata – della costruzione di una 7. Sulle differenze tra Genova e venezia ha scritto r.S. Lopez, Venise et Gênes. Deux styles une réussite, in Id., Su e giú per la storia di Genova, Genova, univ. di Genova, 1975, pp. 35-43. nella stessa « Collana storica di fonti e studi », diretta da G. Pistarino, sono comparsi altri importanti contributi sulla storia internazionale. Cfr. anche G. Airaldi, Le repubbliche marinare e l’espansione mediterranea di Genova e Venezia, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, dir. n. Tranfaglia e m. Firpo, i/1. Il Medioevo. I quadri generali, Torino, utet, 1988, pp. 227-45.
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rete senza limiti geografici, in cui il tema della nuova frontiera, tenacemente perseguito con diverse modalità, ha un ruolo centrale. Lo dimostrano le modulazioni in cui si articola il suo modello insediativo e operativo, esteso fin dall’inizio del secolo XII da Occidente a Oriente. un sistema che abbraccia gli insediamenti diretti in Corsica e sul mar nero, i quartieri in zona cristiana, islamica, bizantina, europea, il merum et mixtum imperium dell’isola di Chio, gestita però dalla maona. un network differenziato per forme e durata; nutrito da una diffusa azione individuale, che, sostenuta dalle diramazioni delle grandi famiglie, propone stili di vita, formule politiche, economiche, sociali, culturali e perfino immagini urbanistiche che rinviano alla cultura del Comune di origine.8 L’espansione genovese e ligure, elastica nel modello e sempre piú ampia nello spazio, è la piú efficace testimonianza di una globalizzazione che comincia da lontano. In questo modello si può facilmente individuare la costante presenza di un sistema cittadino e “repubblicano”, che riproduce in miniatura le caratteristiche della città-stato di provenienza negli insediamenti diversamente regolati a seconda delle aree; che inventa e utilizza i suoi strumenti giuridici, istituzionali e sociali, adattandoli a sistemi diversi, in una sostanziale libertà d’azione che risponde a una “neutralità”, tipica dei Genovesi in ogni tempo, disposti a muoversi al di là di ogni steccato ideologico e di ogni ufficiale pronunciamento. Sono diverse e sottili le forme acculturanti, che privilegiano il primato del mercato e del denaro sulle piú statiche forme di vita caratteristiche di sistemi piegati alla rigidità dei ceti. Forse davvero Colombo vuole fare di Hispaniola una “colonia” genovese, come allora si vocifera, e ciò non piace ai Castigliani. ma l’Am8. Sui caratteri e sugli aspetti fondamentali dell’espansione genovese d’età medievale è tuttora insuperato r.S. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, bologna, Zanichelli, 1938; poi, con pref. e aggiornamento bibliografico di m. Balard, Genova, marietti, 1996. Cfr. inoltre G. Pistarino, La capitale del Mediterraneo: Genova nel Medioevo, bordighera, Ist. Internazionale di Studi Liguri, 1993. Per le differenze dei modelli d’insediamento tra Genova e venezia cfr. G. Airaldi, Investimenti e civiltà urbana nelle colonie medievali italiane, in Investimenti e civiltà urbana. Secoli XIII-XVIII. Atti della ix Settimana di Studi dell’Ist. « Francesco datini », Prato, 22-28 aprile 1977, a cura di A. Guarducci, Firenze, Le monnier, 1989, pp. 147-57. Per le caratteristiche urbanistico-ambientali degli insediamenti cfr. P. Stringa, Genova e la Liguria nel Mediterraneo, Genova, Sagep, 1982, e Mediterraneo genovese. Storia e architettura, a cura di G. Airaldi e P. Stringa, Genova, ecig, 2002.
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miraglio viene da una cultura diversa e lo dimostra in ogni momento della sua vita. d’altra parte, già la Compagna precomunale indica quale sarà il ruolo della città e dei suoi uomini. La nascita del Comune è legata al riconoscimento interno e internazionale di un arco ligure che è “porta” dell’europa centroccidentale. una funzione che anche il partner per eccellenza di quell’epoca, e cioè l’Islam, avalla. Il tema della Crociata quale elemento identificante della “nuova” storia del Comune, espresso da Caffaro nelle sue opere, dagli ormai perduti affreschi relativi alla conquista di Almeria e Tortosa dipinti in cattedrale e dalle lapidi celebrative poste sulla Porta Soprana, sottolinea proprio il carattere internazionale della “rivoluzione” politica. un’operazione voluta e promossa da piú volontà, in cui entrano tanto Goffredo di buglione come i vescovi di Orange e Grenoble, che vengono a Genova a predicare il “sacro passaggio”, nonché i partners preferiti dei Genovesi in quel momento: normanni, Provenzali, borgognoni. L’asse che si forma intorno al nome di Genova risponde al blocco di forze in cui la Liguria è inserita e che ora, sulla spinta decisiva che fa del mercato e dell’espansione elementi essenziali, ha deciso di muoversi da protagonista sul piano internazionale. L’operazione, che mira a rendere la città il porto privilegiato dell’Occidente europeo, è certamente una delle piú interessanti del panorama internazionale di quel tempo. La nascita del Comune, che fa del porto l’asse vitale della città e di un’ampia area regionale, condiziona la storia locale e internazionale. Si vede subito che ai Genovesi non importa tanto l’essere padroni di un porto di Crociate o pellegrinaggi – eventi interessanti sul piano speculativo ma legati al caso –, quanto diventare il tramite privilegiato dell’europa con l’Oriente ma soprattutto con l’Occidente e l’Atlantico.9 Senza il principale porto del mediterraneo quel fascio di comunicazioni in cui si identifica la Liguria non avrebbe ruolo. La congiuntura è favorevole. A quel tempo non ci sono nel mediterraneo porti di rilievo eccet9. Per tutto ciò che riguarda la storia genovese e ligure nei suoi caratteri interni e internazionali, nonché le vicende dei suoi esponenti maggiori e minori richiamati d’ora in avanti, cfr. G. Airaldi, Storia della Liguria, i. Dalle origini al 1492, Genova-milano, marietti, 2010.
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to Pisa; marsiglia è poco attiva fino alla metà del duecento; Aigues-mortes viene potenziato dal genovese Guglielmo boccanegra per le esigenze crociate di Luigi IX. barcellona decolla piú o meno nella stessa epoca. In effetti il porto sarà sempre difeso con determinazione contro i Pisani, contro Federico II, contro Alfonso d’Aragona, contro tutte le potenze europee che di volta in volta ne cercheranno il controllo. L’ostinata difesa della Corsica è, di fatto, la difesa del porto. non a caso Guglielmo boccanegra vuole qui il suo “Palazzo del mare”, il primo palazzo pubblico della città, piú tardi sede del banco di San Giorgio. Il porto e il suo funzionamento condizionano la vita genovese, ligure e internazionale. A esso si lega la ricchezza del ceto dirigente e il lavoro di una grande quantità di persone provenienti da tutta l’area ligure e dalle zone finitime. Qui transitano merci di ogni tipo e origine; qui, in una città sempre priva di una flotta pubblica, domina il naviglio privato; qui l’investimento nell’attività marittima e nell’ampliamento delle frontiere – o nella loro difesa – impone un forte impegno di capitali, che l’élite di governo, a qualsiasi fazione appartenga, mette subito in circolo, garantendo i suoi prestiti sulla cessione di pubblici introiti. Sul mare, sul mercato e su questa particolare forma di speculazione crescono i capitali che consentono ai Genovesi di effettuare investimenti e prestiti alle Corone e ai potenti. un’operazione che fa anche altra gente dei Comuni italiani, alla quale però essi aggiungono volentieri i loro guerrieri e i loro ammiragli. L’intreccio di navi, capitali e uomini è la formula sulla quale il ceto dirigente disegna la sua identità: quella propria di una regione fatta di gente che muove costantemente alla ricerca di nuove opportunità. La diaspora dei Liguri è un fenomeno di continuità interessante per chi si occupa di storia dell’emigrazione e spesso è convinto che esso cominci solo in età contemporanea. Come le élites, anche i « pratici » e le loro « parentelle » sono comunità dinamiche, che muovono verso la costa o verso Genova, che si disperdono sul territorio e fuori di esso, seguendo le loro attività, ma perlopiú legati alla piramide gerarchica strutturata intorno alla grande famiglia di riferimento, come capita anche ai Colombo della Fontanabuona, prima sparpagliati sul territorio e poi nel mondo. migranti per definizione, i Liguri si spostano continuamente nelle regioni finitime, in area padana, toscana, provenzale o in zone assai piú lontane, dove si apra qual34
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che prospettiva. Ovviamente va meglio se là ci sono insediamenti genovesi, siano essi in area mediterranea o nel mar nero, in area atlantica o, piú tardi, in America. Alla base di ciò, oltre alla povertà intrinseca di una regione che deve importare tutto, dalle materie prime alle vettovaglie, c’è indubbiamente quel « capitalismo drammatico », che, secondo braudel, fa degli abitanti di quest’area un fenomeno a sé. Sempre lui sostiene, infatti, che « trovando i Genovesi dappertutto, li riconosci sempre per la loro diversità ».
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III SCRIVERE, LEGGERE, FARE DI CONTO Scrive ancora l’Ammiraglio: « ho percorso tutte le rotte conosciute. Ho avuto rapporti e conversazioni con gente dotta, ecclesiastici e laici, latini e greci, ebrei e saraceni e molti altri di altre razze ».1 ed ecco che, insieme con la sua storia personale, davanti agli occhi dei re Cattolici si squaderna improvvisamente un mondo senza confini, un mondo di orizzonti aperti, di cui Colombo, abile nel disegnare le sue carte e nel narrare i suoi travagli tra le pericolose onde delle tempeste oceaniche, ritrae per loro il profilo. L’uomo che conosce il vecchio mondo sa come descriverlo in pochi tratti. ma Colombo farà cosí anche per il nuovo, quando, superata l’ultima frontiera, per conoscerlo e descriverlo, navigherà nell’area americana senza posa. Procederà su modelli antichi: quelli che seguono da secoli i suoi conterranei, signori dell’economia internazionale, generosi di tecnici della guerra, di piloti-nocchieri, di ammiragli e perfino di calafati; gente che va in giro per il mondo orientale e occidentale, incontra nuove culture e ne parla. Per tutta la vita Colombo segue gli itinerari che i Genovesi battono senza sosta dal millecento, che sembrano tutti scelti per superare le frontiere. egli dichiara dunque che è nel mediterraneo, nel costante, ineliminabile e antico incontro-scontro di civiltà, che ci si abitua a conoscere l’ “altro da sé”. È da questo mare, teatro di commerci e di battaglie, di vicende piratesche e corsare che nasce la sintesi del modello guerresco e mercantile, presupposto dell’espansione europea. È dal contatto e dal confronto con le culture “altre”, dall’ampio, ricchissimo bacino culturale del mediterraneo che gli europei traggono molta della loro sapienza e Colombo ha tratto la sua: marineria, astrologia, geometria, aritmetica, cosmografia, storia, filosofia. È attraverso quel mare che la gente dell’europa mediterranea ha imparato a usare la numerazione araba e la bussola, a fabbricare la carta, a co1. Colón, Textos, cit., p. 445.
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noscere merci e mercati, a elaborare trattati e manuali di mercatura, a formulare nuove tipologie contrattuali, ad approfondire nelle carte nautiche e nei portolani la sua immagine del mondo. Per questo conosce e sa usare lingue diverse, come dimostrano il dizionario latino-persiano-cumano, steso a Genova o in una colonia genovese e i dizionari latino-saraceni posseduti dai notai. Per questo, nel 1306, mauro da Carignano, rettore della chiesa di San marco al molo e cartografo che sa molto di Africa, incontrati un certo numero di etiopi e Armeni, li intrattiene sui loro usi e sulle loro credenze, ricavandone informazioni poi trascritte in un libretto ora perduto. Piú o meno nella stessa epoca, in una prigione egiziana, domenichino doria passa ad al-umari informazioni sul mondo che conosce, Principati turchi, Impero greco di Trebisonda ed europa cattolica inclusi.2 Il mercato risponde alle ferree regole del silenzio e della prudenza e i Genovesi sono fedeli alla consegna. Per loro, però, parlano le lettere-relazioni ai familiari e agli amici e gli atti dei loro notai, che rogano dappertutto, testimoniandone l’ampio raggio d’azione. Giovanni boccaccio scrive che il suo venerato maestro Andalò di negro, membro di un grande e antico clan genovese, con il quale Colombo avrà a che fare, e prestigioso autore di trattati di astronomia e di astrologia, « conosceva per averlo visto con i propri occhi quello che in genere conosciamo per sentito dire »; sostiene inoltre che i Genovesi sono i migliori esperti di cose cinesi; celebra in un breve testo la spedizione compiuta alle Canarie nel 1341 dal suo conterraneo Angiolino del Tegghia Corbizzi insieme con il genovese nicoloso da recco.3 molto tempo prima che l’arcivescovo Ottone di Frisinga esprimesse il suo stupore di fronte ai nuovi modelli politici italiani, già il colto Wipo aveva segnalato che gli Italiani mandavano a scuola i figli, anche se non avevano intenzione di avviarli alla carriera ecclesiastica; e, come si è detto, 2. Sulla formazione culturale si rinvia alle nn. 2 e 3 del cap. ii. Cfr. inoltre b.Z. Kedar, Mercanti in crisi a Genova e Venezia nel ’300, roma, Jouvence, 1981 (ed. or. new Haven-London, Yale univ. Press, 1976), e G. Airaldi, Genova e la Liguria nel Medioevo, Torino, utet, 1986 (nuova ed. Genova, Frilli, 2007), in partic. le pp. 127-212 e relativa bibliografia finale. 3. Cfr. G. Boccaccio, De Canaria, a cura di M. Pastore Stocchi, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, milano, mondadori, 1992, v/1 pp. 963-86.
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poco piú tardi ugo da San vittore avrebbe rilevato come la mercatura e la navigazione aprissero la mente dell’uomo alla conoscenza. Gli altri europei sanno che la gente del Comune italiano gode di maggior benessere; che vive a un livello culturale piú alto e piú raffinato; che ha piú facile accesso alla cultura di base e anche a quella alta, che si apre anche a laici non sempre appartenenti ai maiores. Anzi, l’allargamento progressivo dell’accesso alla gestione politica, che, in alcuni casi, arriva alla realizzazione del Comune delle Arti, indica una dinamica aperta in senso evolutivo. In effetti il laico dell’Italia comunale del XII secolo è assai piú favorito rispetto a quello sassone o a quello delle Fiandre, e ciò è dovuto in gran parte all’affermarsi del movimento comunale, sistema in cui la partecipazione dei laici alla vita pubblica è molto piú marcata che altrove. È questa una vera scuola di formazione politica e di responsabilità a vari livelli, anche se, naturalmente, allora si è ben lontani dal pieno godimento dei diritti. Tuttavia in questa nuova società, sempre secondo i modelli dell’epoca, ossia come lotta di fazione basata su un principio di scontri tra clan e loro gruppi di riferimento, entra in gioco un sistema “partitico” che rappresenta una formula rudimentale ma vivace di dibattito politico. Genova ne è certo la massima espressione, come testimoniano gli stessi trovatori genovesi e i loro violenti scontri poetici. Tutto ciò convive perfettamente con un’ampia valorizzazione dell’esperienza nella formazione individuale. Infatti le élites genovesi, fiorentine, veneziane sono abituate a completare la loro educazione con precoci tirocini in ambito marittimo e mercantile in diverse parti del mondo. dunque, in questo sistema ampio, diversificato e durevole nel tempo, la società dentro e fuori le mura cittadine appare meno statica che altrove. Lo dimostra la variegata tipologia giuridica delle componenti sociali, che vedono, accanto a una riformulazione dei ruoli già esistenti, la creazione di profili nuovi e l’arrivo dalla campagna di una fetta cospicua e crescente di popolazione. L’economia di scambio promuove la tenuta di scritture, spinge a raccogliere informazioni e memorie di viaggio, stimola e fa crescere l’attività di notai e cancellieri, impone di tenere libri contabili, obbliga dunque a saper leggere e scrivere. Anche le ragazze e gli apprendisti imparano a leggere e a tenere un registro di conti. Lo ricorda Giovanni boccaccio a proposito della genovese Ginevra Lomellini, la quale « meglio 38
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sapea […] fare una ragione che se uno mercatante fosse » (Dec., ii 9 10). Lo ricorda lo speziale lunigianese Giovanni Antonio da Faie, un quasi coetaneo di Colombo, ripensando alle notti spese per imparare a « compitare » per poter entrare nell’« arte ». In effetti, come scrive un Fiorentino: « se hai denaro non tenerlo a casa morto, perché è meglio lavorare invano che riposare invano; se non altro, guadagnerai abbastanza se non perdi il capitale e rimani in commercio » e un milanese: « non c’è un uomo sano, purché non sia un fannullone, che non riesca a guadagnare la vita col decoro che conviene alla sua condizione sociale ».4 All’aurea mediocritas della società greco-romana si sostituisce il guadagno individuale. Solidarietà e condivisione dei rischi sono un fenomeno trasversale. Ovunque si affermano sistemi societari; a Genova mai, perché qui, anche in età moderna, prevale la fortunatissima formula della famiglia-azienda. Per aiuti solidali ci sono le corporazioni di mestiere, le cosiddette “arti” e per atti di pietà le confraternite. Anche se pratica l’usura – fenomeno abituale a quel tempo in cui il prestito al consumo ma anche a fini di traffico è diffusissimo –, il ricco spera sempre di finire in Purgatorio (non a caso acquisito alla Cristianità in età medievale). Però sa che deve pentirsi e lasciare un po’ di denaro a qualche ente religioso che preghi per lui. Oggetto di critiche e condanne da parte di laici e religiosi figli del vecchio sistema, tuttavia la figura del mercante conferma sempre piú il suo ruolo dominante, anche se l’avarizia, biasimata da dante Alighieri e ben descritta dal boccaccio nei comportamenti del genovese erminio Grimaldi (Dec., i 8), penalizza pur sempre l’importanza di concetti come il credito, il risparmio e il rischio intrinseco alle azioni condotte in ambito internazionale. Il rischio è un modus vivendi tipico dei Genovesi, ma anche la prudenza e la condivisione della sorte lo sono. Prudenza e condivisione del rischio accompagnano sempre i viaggi di “scoperta”, compreso quelli di Colombo. I Genovesi applicano spesso i sistemi di “caratura” alla proprietà navale, frazionando l’esposizione tra soci. usano inoltre frequentemente l’acomendacio, un contratto che prevede l’esistenza di un socius stans e di un socius tractans, ovvero di un socio che mette il capitale e di un altro 4. Cfr. Lopez, Intervista, cit., p. 15.
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socio che va per il mondo, ossia, come diligentemente ma un po’ maliziosamente scrive l’onnipresente notaio, « quousque deus vel Fortuna administraverit ». Come ha rilevato roberto Lopez, in linea di principio il mutuante sopporta tutti i rischi di perdita del capitale e perciò, di solito, ha diritto a una quota che può addirittura toccare i ¾ del profitto. da parte sua il mutuatario deve sopportare invece i rischi della gestione e intascare solo il resto dei profitti. di fatto però i terzi entrano in rapporto solo con lui, che assume su di sé tutti i rischi diretti dell’operazione anche di fronte a loro. In realtà il contratto non è quello che sembra, e cioè un atto di prevaricazione del capitalista nei confronti del poveraccio. Se al gestore toccano tutti i rischi, solo a lui tocca di fatto trarre tutti i vantaggi possibili dall’operazione. Totalmente privo di controlli, egli può tranquillamente svolgere piú ruoli, dato che soltanto lui conosce il reale ammontare dei profitti realizzati. La formula d’affari piú amata dai Genovesi lascia un segno nel loro modo di condurre ogni trattativa, come si vede nel loro modello di espansione e particolarmente nel caso di Colombo. né è un caso che l’assicurazione veda la luce proprio a Genova, considerata l’alta percentuale di operazioni finanziarie e commerciali di carattere internazionale. L’affermazione di un sistema, che valorizza la conoscenza sperimentale e l’evoluzione tecnica e tecnologica in tutte le sue forme, agevola un progressivo e sempre piú ampio controllo delle vie marittime destinato a modificare le coordinate spazio-temporali. dalla complessa cultura della civiltà comunale germogliata nell’europa mediterranea prende vita un nuovo rapporto dell’individuo con un mondo che sente di poter dominare, e ciò innesca un processo di trasformazione culturale destinato a durare qualche secolo. Finché, come ha chiarito braudel studiando i diversi “tempi” della storia, esso si manifesta pienamente in età umanistico-rinascimentale, quando trionfa l’immagine di un individuo faber fortunae suae; quando la cultura della città – di cui Colombo è epigono e simbolo – brilla in piena luce e i nuovi saperi, promossi da una società basata sul negocium (che, secondo Isidoro di Siviglia e Giovanni balbi, sta per « negans ocium ») conquistano il loro spazio definitivo nella cultura europea. A questo modello si richiama l’umanista savonese Lorenzo Guglielmo Traversagni, che nel 1468 – quando Colombo ha diciassette anni e già na40
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viga – dedica a Giovanni del Carretto, signore di Finale, una fiaba di tono esemplare, che rinvia a un percorso esistenziale molto simile a quello del futuro Ammiraglio. nel suo De varia fortuna Antiochi il Traversagni racconta la storia di un vecchio contadino ligure che, consumato dagli stenti, dal gelo e dalla brina e dagli ardori di un sole che « lo abbronzava fino a farlo sembrare un etiope », decide di far fare al proprio figlio una vita migliore della sua. Cosí, considerando l’immensa fama di Genova in tutto il mondo e l’enorme quantità di ricchezze che i suoi abitanti avevano accumulato con il commercio varcando ogni oceano, pensò di far intraprendere a suo figlio questo genere di lavoro, cosí da acquisire una posizione onorata tra i ricchi mercanti. Sperava inoltre che ciò sarebbe stato agevolato dalla familiarità di molti cittadini, per essere stato a lungo con loro fin dalla piú tenera età e anche dal fatto che egli appariva molto abile, pronto d’ingegno, bello, modesto, dotato di raffinata gentilezza e di squisita integrità d’animo […].
Il vecchio esorta dunque Antioco ad abbandonare i campi e ad andare in città e aggiunge, consegnandogli i cinquecento ducati risparmiati a fatica: molti saranno i mercanti con i quali navigherai. mi raccomando, osserva attentamente e diligentemente il loro comportamento e il loro sistema di vita. Poni particolare attenzione a quanto ciascuno di essi dica o faccia. Fa’ tesoro di quanto avrai considerato degno di imitazione e di ricordo per affidarlo alla mente. non disprezzare mai l’opinione di qualsiasi individuo. Cerca soprattutto di ascoltare le opinioni altrui piuttosto che esprimere in disordine le tue. Sii verace e soprattutto cura di non promettere ciò che non sei in grado di mantenere o non intendi adempiere. Fa’ in modo di piacere a tutti con le parole e con i fatti, salva innanzitutto l’equità e ricordati di parlare con modestia. Preferisci un saggio consiglio alle ricchezze. non parlare mai di te stesso e, se lo fai, usa la massima discrezione. mostrati molto sollecito nell’elogiare il bene che hanno fatto gli altri. Quanto fai agli altri, non dirlo se proprio non sei obbligato […].5 5. Cfr. G.L. Traversagni, De varia fortuna Antiochi, a cura di G. Farris, Savona, Sabatelli, 1972, pp. 50-52, da cui sono tratte le due citazioni. Inoltre G. Airaldi, Senza un denaro al mondo. Vita e avventure di Giovanni Antonio da Faie speziale di fine Quattrocento, Genova, de Ferrari, 2009, e Ead., Genova e la Liguria nel Medioevo, cit., pp. 160-68.
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Con questo bagaglio di consigli il ragazzo parte per la sua avventura. Si tratta di un lungo viaggio, che lo conduce per tutto il mediterraneo, in cui – moderno protagonista di una particolare chanson de geste – Antioco deve affrontare i mille travagli della navigazione e del mercato, ciò che fornisce al narratore occasione per soffermarsi sulla descrizione delle genti che incontra e sulle loro diverse caratteristiche. La storia di questo giovane indomito, figlio di una regione cresciuta sotto l’immagine e lo stile di una città e della sua élite e capace di affrontare e superare con coraggio esperienze diverse, si concluderà infine nel felice connubio con la figlia di un re.
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Iv « ALLANT VERS L’ORIENT TOUJOURS… ». UNA NUOVA FRONTIERA Scrive Colombo: « nostro Signore mi aprí l’intelletto per manifestarmi che era possibile navigare da qui alle Indie […] e mi diede volontà per l’esecuzione del progetto ».1 Se l’Oriente resta la meta ambita da tutti, esso si raggiunge ormai passando da Occidente. ma su questa linea, sulla costruzione di un progetto occidentale ad ampio spettro si lavora da secoli, come dimostrano altri protagonisti che entrano a pieno titolo in quest’azione: Fiorentini, milanesi, Piacentini piú che i veneziani, intenti a difendere i loro punti di forza nel Levante. Si tratta di una rete capillare, in cui i Genovesi esercitano una funzione trainante e determinante per il ventaglio di alleanze poste in essere in area occidentale fin dall’età in cui il trinomio crociata-missione-mercato ha rivelato la molteplicità delle sue sfumature, consentendone un’applicazione modulare e variata. non si è mai spezzato il filo rosso che lega l’esperienza colombiana a quella storia ormai lontana. Quando Colombo sceglie di firmarsi Christoferens e sogna di riconsegnare Gerusalemme alla Cristianità, torna in mente l’immagine dell’uomo-simbolo della storia genovese. Torna in primo piano l’età in cui Caffaro disegna la figura di Guglielmo embriaco, il mercante-guerriero che, fatte delle sue navi torri da guerra essenziali alla conquista della Città Santa, diventa il capostipite di una nuova dinastia genovese: i Gibelet, signori dell’antica byblos. In essa e nella collettività che lo accompagna entro e fuori le mura genovesi si testimonia l’antico eminente ruolo internazionale di un Comune, protagonista dei primordi dell’espansione europea. In quell’età in cui la guerra sembra elemento portante della storia del mediterrano orientale, le parole ammirate e cordiali di al-Idrîsî e di alZûhri dimostrano la simpatia con la quale nel mediterraneo occidentale l’Islam guarda ai Genovesi, i soli che, già nel 1110-’12, siano sulle coste at1. Colón, Textos, cit., p. 445.
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lantiche, a Santiago, e poco piú tardi nella marocchina Safi, dove terminano le carovaniere africane. Titolari di una leadership riconosciuta da tutti, presenti nelle isole tirreniche e ben connessi ai potentati della costa provenzale, nel 1127 i Genovesi siglano patti favorevoli ai loro traffici con il conte di barcellona. A metà degli anni Quaranta si disinteressano della Seconda Crociata (hanno ormai un monopolio in quelle zone), ma si impegnano invece in un’operazione condotta sulle ispaniche Almeria e Tortosa; da questa, nel 1146-’47, pur senza riuscire a impiantare un sistema analogo a quello mediorientale, ricavano un notevole bottino, che tuttavia non sembra soddisfarne del tutto le attese. nasce infatti proprio allora il sistema delle « compere », i cui membri o gruppi di clan, che finanziano le imprese ordinarie e straordinarie del Comune, si fanno pagare gli interessi del prestito con la cessione degli introiti derivanti dalle imposte indirette, di cui esistono « luoghi » ovvero ‘quote’. nel 1407, con il loro consolidamento, vedrà la luce il banco di San Giorgio, garanzia di sopravvivenza del Comune e della formula di governo repubblicana, sede di investimento prediletto dei Genovesi e dei Liguri e per secoli prima cassaforte europea. Tanto le operazioni orientali quanto quelle occidentali sono condotte all’insegna del privato, con qualche copertura formale da parte del Comune, dovuta al fatto che i nomi dei clan familiari che governano, che detengono capitali e navi e conducono le operazioni, sono gli stessi. In quest’ottica i legami stretti con l’asse borgognone, normanno, occitanico e ispanico sono complementari ai fondaci privilegiati acquisiti sulla costa marocchina, da Ceuta a Saleh a Safi, nell’Africa berbera e nel maghreb, a bugia, Tunisi, Orano, Tripoli fino all’egitto. La presenza genovese a Lisbona, Cadice, Siviglia, nell’Algarve e in Andalusia già in età islamica, le concessioni dell’emiro a valenza, a denia e a maiorca, la costruzione di un monopolio mercantile e strategico – con una sempre maggiore azione e presenza nelle isole nel mediterraneo occidentale – si mantiene costante (nonostante la presenza pisana), fin oltre la metà del duecento, quando, debellata Pisa, emerge la ben piú potente Corona aragonese.2 2. Per i temi generali della storia mediterranea cfr. S.d. Goitein, A Mediterranean Society. The Jewish Comunities of the Arab World as Portrayed in the Documents of the Cairo Genizah, ora
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Il network formato dai rami dei clan che governano la politica e l’economia genovese stringerà sempre nuovi accordi con i titolari delle molte cellule di potere europee. Sarà la collaborazione tra alcune monarchie e alcuni Comuni italici a mutare le coordinate di un’espansione intesa fin dal mille non solo al controllo del mediterraneo orientale, via di esotiche ricchezze, ma soprattutto ostinata nello spostamento della vera frontiera, quella che sta nel mediterraneo occidentale, “porta” dell’Atlantico. In quest’azione, che prelude alla costruzione di un nuovo Occidente, i Genovesi sono all’avanguardia. Tutto ciò avviene nonostante la feroce concorrenza di altri: venezia, comunque poco interessata all’espansione atlantica e, dopo Pisa, gli Aragonesi. Con i Fiorentini invece in Occidente la collaborazione è costantemente aperta. Peraltro il sistema favorisce inevitabilmente l’ascesa di uomini “nuovi” e ciò porta con sé scontri tra le famiglie piú antiche, un gioco di schieramenti continuamente mutevoli e scelte diverse anche all’interno dello stesso clan. A Genova la contesa per il potere è piú aspra che altrove; qui avere in mano le leve decisionali significa poter scegliere dove indirizzare investimenti ed energie umane, quali alleanze esterne preferire. L’espansione favorisce un costante processo migratorio legato al variare e all’ampliarsi di insediamenti che vanno dal mar nero alla Penisola Iberica, dalle Fiandre alla Cina fino all’America, ma il ruolo della città la rende un boccone ghiotto per vicini come gli Angiò e la Francia, milano, i Savoia. A questo proposito, se si parla delle lotte interne e delle Signorie straniere su riassunto in Id., Una società mediterranea, milano, bompiani, 2008 (ed. or. berkeley-London, univ. of California Press, 1999); F. braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, milano, bompiani, 1987 (ed. or. Paris, Flammarion, 1985); G. Jehel, Il Mediterraneo medievale dal 350 al 1450, nardò, besa, 1999 (ed. or. Paris, Colin, 1992); m. Tangheroni, Commercio e navigazione nel Medioevo, roma-bari, Laterza, 1996; Il Mediterraneo attraverso i secoli, a cura di F. martignone, Genova, name, 2002. un profilo generale in m. mollat du Jourdin, L’Europa e il mare, roma-bari, Laterza, 1993 (ed. or. Paris, Seuil, 1993). Per quanto riguarda l’Occidente europeo e il mediterraneo occidentale cfr. J. Heers, L’Occidente nel XIV e XV secolo. Aspetti economici e sociali, milano, mursia, 1978 (ed. or. Paris, Puf, 1963); Id., Gênes au XV e siècle. Activité économique et problèmes sociaux, Paris, Puf, 1961; Id., Société et économie à Gênes (XIV e-XV e siècles), London, variorum reprints, 1979; G. Jehel, Les Génois en Méditerranée occidentale: fin XIe-début XIV e siècle, Amiens, univ. d’Amiens, 1993; d. Abulafia, I regni del Mediterraneo occidentale dal 1200 al 1500, trad. it. roma-bari, Laterza, 1999.
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Genova e si stende l’elenco delle cinque potenze che contano in Italia nel Quattrocento, basandosi solo su letture di carattere politico-istituzionale e senza tener conto del complesso ruolo di questa città “senza mura”, si perde di vista la storia “che non si vede”, ma si tradisce pure quella “che si vede”. nonostante tutte le rivoluzioni storiografiche, quando si studia il “potere” si persevera nel non voler considerare la pressione e il ruolo politico che un’economia di mercato giocata a livello internazionale esercita già a quell’epoca. In effetti nel Quattrocento la serie di vicende politiche che coinvolge Genova, portando con sé Signorie straniere, francesi e milanesi, è solo il risultato di alleanze o di scontri tra grandi gruppi economici ovvero tra i grandi clan che, come sempre, preferiscono non avere un Principe locale. L’ostinata difesa della libertas, manifestata in ambito pubblicistico da parte di chi vuole avere sempre mani libere in economia, è patrimonio dell’una come dell’altra fazione, un gioco tra “pari” che si perpetuerà nel tempo, facendo del trinomio culturale libertà-repubblica-neutralità il fondamento dal quale germoglierà la partecipazione genovese e ligure al risorgimento. Agire nel mediterraneo occidentale è impresa ben diversa dal compiere azioni intese a impadronirsi di una costa dove sfociano le principali vie di traffico orientali. nel Levante, dove bisanzio conta sempre meno, la frontiera è instabile, arretra o si espande solo in relazione a temi di confronto e scontro con l’Islam. A Occidente il discorso è diverso. Operare nell’ala estrema dell’eurasia significa davvero spostare la frontiera. I confini del mondo possono avanzare lí e non a Oriente, dove solo si acquistano o si perdono spazi di traffico. Quando Colombo decide di « buscar el Levante por el Poniente », intende superare quella frontiera. La sfida è alta. A Occidente, infatti, l’atavica paura del “mare Tenebroso” fa tutt’uno con l’inadeguatezza tecnologica del tempo. eppure, fin dai primi anni del XII secolo, alcuni uomini del mediterraneo, spinti dalla curiositas che, come dirà Colombo, « porta a desiderare di conoscere i segreti del mondo », erano già presenti e attivi sulle coste atlantiche. Tuttavia la conquista di nuovi spazi marittimi e la formazione di un nuovo Occidente avanzano per gradi. Cresce dapprima l’operatività nell’area dell’ “Atlantico mediterraneo”, per molto tempo navigato solo in verticale. Azioni di pacifico scambio s’intrecciano a vicende guerresche, 46
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nessuna delle quali però appare conclusiva come quelle che avvengono nel Levante, dove la perdita di Acri (1291) e poi quella di Costantinopoli (1453) sono davvero la testimonianza di un sistema che cambia. A Occidente il processo appare rovesciato: come in uno specchio ciò che a Levante è negativo nel 1291 e nel 1453, a Ponente, con il viaggio dei vivaldi (1291) e poi con la scoperta americana, si illumina invece di una luce positiva. Il mutamento di orizzonti è seguito con attenzione dalla Chiesa di roma, che accompagna con le sue istanze di crociata e missione questo lungo percorso. nei suoi momenti salienti i pontefici sono liguri. Lo è Innocenzo Iv, che, nel duecento, muove i suoi uomini verso l’Oriente e il marocco; lo sono niccolò v, Sisto Iv, Innocenzo vIII, Giulio II, che guarderanno con attenzione a quei Genovesi che, prima con il Portogallo e poi con la Castiglia, muovono sulle onde dell’Atlantico. nel duecento, il mediterraneo diventa definitivamente la plaque tournante di una dinamica operativa destinata a innescare la globalizzazione. nell’età degli “orizzonti aperti”, la bilancia dei pagamenti vira decisamente a favore dell’Occidente e, nel 1251, si conia la moneta aurea a Genova e a Firenze. Ciò avviene quando all’instabilità mediorientale, generata dall’espansione islamica, giunge a far da contrappeso la pax mongolica, che apre i diversi itinerari della “via della seta”. da Costantinopoli e dal mar nero, da Acri e da Tabriz, molti occidentali muovono verso il lontano Oriente. Il papa genovese Innocenzo Iv Fieschi, inaugurando una piú ampia politica della Chiesa romana, fa di Giovanni da Pian del Carpine il suo primo inviato ai mongoli. Arriva in Occidente l’onguto nestoriano rabban Sauma; Luigi IX invia Guglielmo di rubrouk. Giovanni da montecorvino è il primo vescovo a Pechino. Sono i mercanti genovesi e veneziani ad arrivare in Cina. Famoso su tutti è il veneziano marco Polo. I genovesi Illioni lasciano in Cina i loro suggestivi sepolcri, mentre tocca al mercante Andalò di Savignone accompagnare l’ultimo arcivescovo Giovanni marignolli. ma c’è dell’altro. Se la caduta di Acri e la fine della “pace mongola” spingono ad accelerare l’azione europea verso l’Atlantico per cercare una nuova via per arrivare a Oriente, va detto però che da tempo l’operatività dei Genovesi è presente in quell’area. Fin dall’età islamica l’Andalusia, l’Al47
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garve e il maghreb, zone di frontiera, pullulano di Genovesi. A Tunisi davanti al notaio Pietro battifoglio si snoda un’intensa sequenza di affari, a Ceuta si dibattono temi religiosi tra mercanti genovesi ed ebrei. nel maggio 1291 i fratelli ugolino e vadino vivaldi, accompagnati da frati francescani, partono da Genova sulle galee Allegranza e Sant’Antonio, armate da Tedisio doria, diretti ad partes Indie. L’evento testimonia una confidenza con l’Atlantico che ha radici lontane. Lo dimostra anche benedetto Zaccaria, Ammiraglio di Castiglia e poi di Francia, che, bilanciando la sua attività tra Oriente e Occidente, porta tra il 1277 e il 1278 le navi mediterranee a navigare verso le Fiandre e il nord. Lo prova l’atto del 1317 con il quale dom dinis di Portogallo sceglie il genovese manuele Pessagno come primo Ammiraglio della Corona portoghese. A quell’epoca i vivaldi, come molte altre importanti famiglie genovesi, hanno già una loro presenza stabile a Lisbona e nell’area dello Stretto. La storiografia considera il viaggio dei vivaldi la prima testimonianza importante di una volontà di espansione sull’Atlantico. evidentemente l’impresa è importante se perfino la cronaca ufficiale di Genova ne dà notizia, mettendo invece in secondo piano la perdita di Acri. L’atteggiamento del cronista Jacopo doria è rivelatore anche della difficoltà dell’impresa. egli non fa mistero, infatti, del rischio che si annida in un viaggio del genere. In effetti all’altezza delle Canarie la spedizione scompare (ma pochi anni dopo un Genovese incontra alle foci del Gambia un discendente dei vivaldi). Jacopo da varagine, arcivescovo di Genova contemporaneo del doria, non registra quel viaggio nella sua Cronaca, in cui, tornando sul tema gerosolimitano, dà invece grande spazio alla perdita di Acri. Pur continuando a oscillare tra Oriente e Occidente, si guarda con attenzione verso le nuove opportunità e verso il perfezionamento continuo delle conoscenze necessarie per affrontarle: l’uso del timone fisso e di navi sempre piú grandi, la perfetta conoscenza degli alisei, l’evoluzione della scienza cartografica e astronomica. Compare in quegli anni un testo che sarà molto caro a Colombo e che è tuttora conservato nella biblioteca Colombina di Siviglia con le annotazioni di suo pugno. Il Devisement du monde di marco Polo è un’opera molto particolare. Probabilmente basato su una “pratica di mercatura” veneziana e – strana coincidenza – steso da un romanziere pisano in una pri48
iv · «allant vers l’orient toujours…». una nuova frontiera
gione genovese, Il Milione è una testimonianza di natura polivalente.3 Interpretabile come l’autobiografia di marco o come il primo ritratto del mercante europeo, come l’elogio del mercante o come un’enciclopedia o un romanzo, di fatto il testo poliano celebra comunque colui che « possiede le chiavi per la conoscenza del mondo, per penetrarne i segreti e per descriverne le meraviglie ». Colombo ne riceverà una copia da John day, mercante inglese con il quale è in corrispondenza e finirà col servirsene ampiamente nei suoi scritti. Senza quel testo, senza le notizie raccolte nei manuali di mercatura toscani e veneziani, senza le carte e gli ammiragli della sua gente, senza i mille viaggi per mare e per terra, che punteggiano la lunga storia della gente del mediterraneo, mai forse Colombo sarebbe arrivato in America. dei due figli di una geografia, che ha la sua “camera fissa” sul mediterraneo, ma si estende da Pechino alle Azzorre, dalle brume inglesi fino ai deserti africani, il veneziano marco Polo rappresenta l’ipostasi piú antica: quella del mercante eurasiatico, che muove naturalmente verso Oriente e con il suo libro completa un ciclo di conoscenza e di descrizione del mondo. Il genovese Colombo, invece, segna il punto estremo di quella vicenda e l’inizio di un’altra. In tutti e due i casi la storia è sempre quella di chi, coerente all’antico canone mediterraneo, procede mutando con sistematica continuità le coordinate della conoscenza del mondo. Forse – come abitualmente si sostiene – la caduta di Costantinopoli rafforza l’impegno a spostare le frontiere e la spinta a cercare nuove vie per raggiungere le ricche terre orientali; anche se gli europei continuano a trafficare con i Turchi, a cominciare dai Genovesi che conservano Caffa fino al 1475 e Chio fino al 1566. È indubbio però che da tempo la Penisola Iberica abbia assunto un ruolo essenziale. Parte da qui, infatti, l’ “operazione nuovo mondo” e non a caso l’atto che fa saltare l’ultima frontiera è compiuto da un uomo del mediterraneo che vuole sperimentare un nuovo itinerario. La cupiditas spinge l’Ammiraglio verso Oriente, ma la curiositas lo spinge verso Occidente. Colombo non arriverà in Oriente, scoprirà 3. In proposito cfr. G. Airaldi, La casa e il viaggio. Il veneziano Marco Polo e la sua autobiografia, e La casa e il viaggio. Da Genova alla Cina nell’età degli Yuan, in ead., Dall’Eurasia, cit., pp. 31-59, e inoltre I Mongoli dal Pacifico al Mediterraneo, a cura di G. Airaldi et al., Genova, ecig, 2004.
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invece un mondo nuovo e sarà lui a illustrarne per primo le novità. Comunque si voglia leggere la fine della sua avventura, essa non appartiene a lui soltanto. La scoperta del nuovo mondo, infatti, è anche il risultato dei molti viaggi che, come marco e come lui, tanti altri uomini del mediterraneo hanno condotto dappertutto e senza sosta, per terra e per mare. Gente per la quale ciascuno dei luoghi visitati è sempre stato solo una delle tante tappe che formano il grande itinerario della ricerca. Sarà Thomas moore, ai primi del Cinquecento, a individuare nel navigatore-scopritore la guida piú adatta a sostituire il filosofo o il poeta alla costante ricerca di nuovi percorsi esistenziali. Solo chi conosce bene il mondo può raccontare con parole giuste l’armonia di una terra lontana. Solo può farlo chi « è andato per mare, certo, ma non come Palinuro, sibbene come ulisse, anzi come Platone ». Tutto il mediterraneo è raccolto nelle parole scelte per descrivere raffaele Itlodeo, l’uomo che, dopo aver navigato con vespucci e visitato il mondo, per Thomas moore è il solo che possa disegnare la sua Utopia.4
4. Cfr. G. Airaldi, America, spazio dell’utopia, in ead., Dall’Eurasia, cit., pp. 171-89.
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v SUPERARE LA FRONTIERA. UNA QUESTIONE DI METODO La storia dell’espansione non è solo un mosaico di vicende nutrite di rischio, avventura e avidità né un percorso da leggersi alla luce delle sole coordinate politiche. Queste maggiori e minori operazioni, questi viaggi intesi a trovare oggetti e spazi di scambio sempre piú lontani richiedono investimenti continui e mirati. Titolari di un’economia di consumo e di una dominante volontà accumulatoria, i poteri sovrani dell’età del frazionamento, come anche le monarchie del secondo medioevo (forse con le sole eccezioni delle Corone portoghese e aragonese, la seconda però attiva soprattutto in ambito mediterraneo), non sono in grado di gestire da soli operazioni del genere; che, seppur di modesto impegno finanziario, richiedono comunque un rischio d’investimento. Perfino per promuovere la piccola impresa colombiana – che mette assieme una nao e due caravelle e una novantina di uomini in tutto – sostenuta da capitali misti gestiti da un Genovese e da un ebreo converso, bisognerà ricorrere a escamotages da parte di una Corona impegnata in un assedio, che infatti non può fare altro che dirottarvi capitali e navi non suoi. Per questo, fin dal millecento, a chiunque abbia progetti di espansione è necessaria la collaborazione di chi appartiene a una cultura che considera il denaro non come instrumentum diaboli ma come molla di investimenti; una cultura del rischio; una cultura che non cerca l’oro solo a semplici fini di tesaurizzazione, ma lo considera la base necessaria a formulare piani che consentano di allargare i campi d’azione economica e a promuoverne di nuovi. una cultura che sia in grado di offrire allo stesso tempo capitali, naviglio e uomini adatti, tecnici in grado di entrare in ogni fase di queste operazioni. È ovvio però che chi detiene i capitali o la maggior parte dell’investimento, impone anche i suoi tecnici, come si vede nel caso di Colombo, che guida un’azione in cui i pur notevoli fratelli Pinzón sono ai suoi ordini.1 1. Sulla cultura degli affari e l’azione sul piano internazionale cfr. G. Airaldi, Cercando l’Oriente si trova l’Occidente. Una storia di lobby, in Ead., Dall’Eurasia, cit., pp. 99-117.
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Agli inizi del XII secolo alcuni Genovesi erano già sulle rive dell’Atlantico per costruirvi galee. La Cronaca Compostelana racconta che, a quel tempo, le coste galiziane erano battute da continue scorrerie di Scandinavi e di Inglesi, che, fingendosi pellegrini, le saccheggiavano; a loro spesso si alternavano altrettanto aggressivi Saraceni nonché qualche abitante del luogo che, approfittando della situazione, cercava di trarne vantaggio. Inoltre, tra la metà di aprile e la metà di novembre, le razzie e la paura di finire schiavi spingevano la gente verso l’interno, spopolando le rive tra il douro e le Asturie, e ciò assestava un duro colpo alla preminente attività agraria, che secondo gli usi feudali, obbligava “rustici” e “coloni” alle abituali corvées. In verità l’arcivescovo di Santiago e governatore della Galizia diego Gelmírez, che una volta aveva perfino dovuto abbandonare la recita del mattutino per lanciarsi a cavallo nella notte e organizzare la resistenza, aveva disposto la costruzione di castelli e torri da guerra e aveva chiamato al servizio di mare giovani coraggiosi. ma la perizia marinara degli uomini della costa era scarsa, salvo che nel caso degli abitanti di Santa maria de la Lanzada, un po’ piú abituati a navigare anche se là si costruivano solo imbarcazioni da carico destinate al piccolo cabotaggio o alla navigazione fluviale. L’arcivescovo aveva deciso dunque di chiamare gente del mediterraneo, optimi navium artifices, nautaeque peritissimi, invitando prima il magister axie genovese Ogerio, peritissimus navium artifex e poi anche un ignoto Pisano. La Cronaca narra che nel 1112 maestro Ogerio era arrivato con suoi uomini, aveva lavorato bene ed era stato altamente remunerato. Precisando che i Genovesi avevano costruito due biremi dette “galee” e il Pisano una, il testo sottolinea che si trattava di naviglio bellissimo e sconosciuto, munito di quegli speroni di ferro che garantiscono ogni vittoria. A quel tempo Santiago faceva parte di una contea castigliana, che nel 1143 diverrà regno con Alfonso Henriques, figlio di enrico I della casa di borgogna e di Teresa di Castiglia. Ai primi del duecento, quando i Portoghesi conquistano definitivamente l’Algarve, i Genovesi sono già attivi a Lisbona da tempo ed è in atto una fruttuosa collaborazione tra le marinerie atlantica e mediterranea. Alla fine del duecento le navi di benedetto Zaccaria e la coeva spedizione dei vivaldi testimoniano che la collaborazione ha dato i suoi frutti. non è dunque un caso che, nel 1317, il re dinis, figlio di matilde di Savoia e consorte di Isabella, figlia di Pietro III d’Aragona (l’uomo dei vespri sicilia52
v · superare la frontiera. una questione di metodo
ni) chieda al genovese manuele Pessagno di mettere a punto una flotta per la Corona portando con sé venti sabedores de mar, uomini ‘esperti di mare’. In effetti, la marineria ligure è l’unica tra quelle europee che, molto prime di quelle olandese e inglese, abbia avuto grande fama nel mondo. non è un caso se sono gli uomini dell’europa mediterranea ad aprire le prime rotte atlantiche. Ci vorranno due secoli prima che l’europa continentale conquisti la leadership dell’espansione mondiale e ne ridisegni il volto. In età medievale i Genovesi, guerrieri noti fin dall’età antica, bravi non solo nel mercato e nella gestione dei capitali come altri italiani, sono molto richiesti come ammiragli dappertutto, anche nei Paesi che si affacciano sull’Atlantico.2 Ciò avviene già alla fine dell’XI secolo, quando l’azione trainante svolta dal porto di Genova e dal network solido e interattivo di clan familiari inclina, anche sulla precisa richiesta di forze euroccidentali, verso una decisa opzione marittima. da quel momento in poi la Liguria diventa un “centro di eccellenza” per tutto ciò che riguarda la nave e la navigazione, scuole di formazione e di vita per tutti i ceti e sovente strumento di promozione sociale, come la storia dell’espansione atlantica, condotta in parte a opera dei Liguri, dimostra ampiamente, dato che forse alcuni dei primi “scopritori” delle isole atlantiche fanno parte dei sabedores de mar, che la Corona portoghese chiede a manuele Pessagno di portare con sé. Ovviamente il porto di Genova concentra la maggior serie di competenze, ma tutte le “arti” del mare sono presenti sulla costa ligure, che esporta dappertutto non solo ammiragli e costruttori di porti, torri e città, ma anche cartografi, fabbricanti di aguglie, maestri d’ascia, calafati sia nelle zone che controlla, sia dall’estremo Occidente al mar nero, dalle Fiandre all’Asia. La tipologia del naviglio che i Liguri sanno costruire e mettere in mare è assai estesa, com’è nota la loro capacità di cartografi. 2. Sulla marineria genovese ligure e le sue caratteristiche cfr. C. manfroni, Storia della marina italiana (dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto), roma, Forzani, 1897; P. Campodonico, La marineria genovese dal Medioevo all’Unità d’Italia, milano, Fabbri, 1989; Id., Dal Mediterraneo all’Atlantico. La marineria ligure nei mari del mondo, Genova, Tormena, 1996. un’efficace sintesi in J. Heers, Colombo: perché un genovese?, in « Cominciai a navigare in giovanissima età… ». Genova e Cristoforo Colombo. Atti del Convegno internazionale di Genova, 5-6 marzo 2004, a cura di G. Airaldi, Genova, Frilli, 2004, pp. 9-24.
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risale al tempo della Prima spedizione Crociata condotta da Luigi IX di Francia (abbondantemente sostenuta da navi e capitali genovesi), e cioè al 1248, la prima notizia ufficiale in proposito, quando, durante la traversata, Pietro doria mostra al re l’itinerario su una carta. Appartiene alla stessa epoca la piú antica carta posseduta, la cosiddetta Charta pisana di fabbricazione genovese; pure genovese è l’atlante di carte nautiche noto come Atlante Luxoro. Giovanni mauro da Carignano, un uomo dei Fieschi, fratello di un notaio e di un medico e rettore della chiesa di San marco al molo, oltre a combinare affari, ad affittare come magazzino per vele e altre attrezzature una parte dei suoi spazi e a scrivere sugli etiopi, disegna carte. Con il famoso Pietro vesconte, esistono a Genova altri nomi noti come quelli di battista beccari e dei fratelli maggiolo. Assai curiosa e interessante è la supplica diretta al doge Tommaso Fregoso e al Consiglio degli Anziani da Agostino da noli, fratello del piú famoso Antonio. Agostino, al momento unico estensore in Genova di « cartas pro arte navigandi » si trova in condizione di grande povertà, dato che non può con quest’arte « multum laboriosa cumulare pecunias ». Chiede pertanto di essere esentato per tutta la vita da « avarie », mutui e imposizioni reali e personali, come già concesso all’unico costruttore di bussole di Genova. L’ufficio di moneta concede un’esenzione della durata di dieci anni con la clausola che Agostino ammaestri nell’arte della costruzione di carte marine suo fratello, forse il futuro scopritore e « capitano donatario » di una parte delle isole di Capo verde. Il bacino di raccolta delle forze è ampio. dal comandante al mozzo, dai piloti, ai calafati o ai carpentieri, non tutti sono in senso stretto genovesi. L’armamento navale resta in mani private e la gente proviene spesso da zone che non fanno parte del dominio, ma sono controllate dalle grandi famiglie. I piú bravi maestri d’ascia e i migliori calafati, molto richiesti, si spostano spesso con i loro attrezzi. esistono vere e proprie dinastie di costruttori navali, detentrici di segreti di lavorazione che si imparano solo attraverso l’apprendistato. Si possiedono interi elenchi di materiali usati per la costruzione del naviglio, ma ciò non aiuta a capire come fosse fatto. Si sa che un buon maestro d’ascia costruisce vari tipi di natanti, seguendo l’intero ciclo produttivo: dall’acquisto del legname (rovere per l’opera viva e faggio per quella morta), compreso quello per il « garbo » e cioè la curva54
v · superare la frontiera. una questione di metodo
tura fino alle vele, a quello della pece e della stoppa. La lavorazione delle materie prime – legno, ferro e canapa – rientra in una specifica specializzazione produttiva e manifatturiera. Tra tanti tipi di naviglio la galea, dal colore glauco cosí simile al colore del mare, lunga quaranta metri, larga tra cinque e sei e alta non piú di dieci, è la prediletta dai Liguri, dotata com’è di uno scafo affascinante per la sua agilità, fondamentale in pirateria e corsa, attività in cui s’impegnano tutti; ma ci sono anche il bucio, il panfilo, la tarida, l’usciere (per il trasporto di cavalli), la saettia, il leudo, il baleniere, la nave, la caracca, il caravello, la cocca, che fa la sua comparsa all’inizio del Trecento. Il naviglio piú importante è comandato da un patronus-capitano, coadiuvato da un comito (un ‘nostromo’?), da uno scriba, da un pilota utile a fare il punto, dai nauclerii (‘nocchieri’), da maestri d’ascia, calafati, armaioli o bombardieri, cuoco, barbiere-cerusico, balestrieri, rematori. La formazione di chi naviga avviene sull’acqua. Colombo dice di aver preso la via del mare a quattordici anni, ma ciò spesso avviene qualche anno prima. L’arruolamento è libero, ci sono poche regole e non riguardano certo la preparazione individuale ma – come appare dal trecentesco Liber Gazarie (che nel nome richiama la Crimea nell’area del mar nero, estrema parte orientale delle rotte genovesi) – solo la parte tecnica della navigazione. nel 1470, raccontando del suo pellegrinaggio in Terrasanta, Anselmo Adorno, che proviene da bruges ed è uno dei tanti discendenti di Genovesi sparsi per il mondo (rami della sua famiglia fonderanno città e popoleranno anche l’America), espone con chiarezza quali sono le ragioni di fondo dell’alta qualità della navigazione genovese e dei suoi successi. Scrive Anselmo, partito da Genova: Il naviglio dei Genovesi è condotto con abilità e prudenza da marinai che sono delle loro riviere, sobri e contenti di poco, esperti all’arte marittima. Le altre nazioni marittime permettono che le loro navi siano montate da marinai stranieri e venuti da altrove. Costoro non sono per nulla solidali quando bisogna far fronte ai pericoli, né cosí rapidi perché non sono stati nutriti nella loro arte dalla loro giovinezza e non hanno l’esperienza dei marinai genovesi.3 3. Cfr. Heers, Colombo: perché un genovese?, cit., p. 15.
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A Genova i comandanti sono tutti genovesi o rivieraschi (di Camogli, Chiavari, rapallo, Savona, Porto maurizio e cosí via) e, ovviamente, gli ammiragli sono tutti liguri. L’assenza di un controllo pubblico (che non sia la riscossione dei dazi) e l’uso costante dell’armamento privato – la vera forza delle grandi famiglie genovesi che lo “prestano”, con i loro uomini, a tutti coloro che ne hanno bisogno compreso il Comune – segna la differenza con le pochissime città portuali dell’epoca. Per tornare sul tema della diversità tra Genova e venezia, le mude veneziane, messe all’incanto prima di ciascuna partenza, sono affidate a capitani che non conoscono ancora le navi. A Genova, invece, di solito il patronus è al tempo stesso costruttore, armatore, imprenditore dei trasporti e comandante in mare. Conosce il suo natante fin dai primissimi tempi della costruzione. Stipula i contratti con i carpentieri, sceglie e ordina il legno, le vele e le corde e pensa a tutto l’armamento. Talvolta ha soci, cioè gente che acquista le carature della nave. nasce cosí una società “a carati”, un sistema costante tra i Genovesi. Tocca a lui decidere i noli, il carico, l’itinerario, gli scali e il tempo delle soste per trovarvi altri noli. Stabilisce il prezzo e le condizioni di pagamento. Al ritorno fa i conti e distribuisce a ciascuno dei soci il suo guadagno. Questa libertà d’azione, che è anche quella di cercare ogni volta un equipaggio – cosa non facile dato che molti prendono il soldo e poi scappano –, è alla radice della preparazione marittima ed è estremamente formativa. ma c’è dell’altro. Infatti per poter uscire dai porti liguri bisogna conoscere anche altri aspetti della marineria. Il mare è infestato da pirati e corsari pisani, veneziani, catalani, ai quali, nell’Atlantico, si aggiungono fiamminghi, francesi, inglesi. La pirateria, spesso indistinguibile dal corsarismo, è parte integrante della formazione di chi naviga e la società la accetta come parte viva del sistema economico, tanto che Genova crea un apposito Officium Robarie per regolare tutte le questioni che ne nascono. dunque, come dimostra la carriera di molti Genovesi compreso Colombo, la guerra è compagna abituale dell’uomo di mare, che perciò ne fa una delle sue competenze e se la spende assieme al resto. balestrieri e macchine da guerra sono un’altra specialità ligure, cosí come lo sono i quotidiani scontri interni, con massacri, incendi, esili e una quantità impressionante di morti. Questo fa la differenza con le altre città “mercantili” europee, ma pure tra la gente dei 56
v · superare la frontiera. una questione di metodo
Comuni italiani genovesi e liguri si distinguono. Infatti non lottano solo all’interno delle mura cittadine o sul territorio, ma anche sul mare, dove spesso si scontrano fra loro o muovono guerra a un centro ribelle della costa, come capita con ventimiglia o Savona. Il mar nero, il mare d’Azov, il mar Caspio sono palestre abituali di questi avventurieri, capaci di risalire i grandi fiumi o di diventare signori feudali di comunità lontane. Colombo è un corsaro (e probabilmente un pirata) e lo dichiara apertamente. Il naviglio genovese va dappertutto, da Safi, Tunisi, Alessandria d’egitto al mare d’Azov; da Chio, a bruges e a Southampton. nel 1477 Colombo tocca l’ “ultima Thule”. Certi itinerari sono piú frequentati di altri, ma non ne esistono di fissi, come invece accade, ad esempio, per le mude di venezia o per le navi di marsiglia verso il maghreb o per le galee del re di Francia verso Alessandria. Come si vede negli atti dei notai, dove la formula « quousque deus voluerit » fa il paio con « ubicumque mundi partes », l’itinerario è lasciato aperto e si viaggia per mesi, toccando un numero importante di regioni e di porti, di luoghi dalle lingue e culture svariatissime. nessuna rotta, nessuno porto di scalo sono veramente privilegiati. Ciò significa beneficiare di una naturale preparazione all’avventura che porta ad accettare la “scoperta” come un fatto naturale. Genova ha poco in comune con altri centri marittimi. Infatti, diversamente da Pisa, napoli, marsiglia, venezia o barcellona, i Genovesi devono cercare ogni cosa lontano da sé. La città si affaccia su un mare aperto, profondo e ostile. bisogna tornare alle parole di Colombo per capire quale ruolo determinante un Genovese attribuisca alla navigazione. La libertà individuale del patronus, che viaggia per costeriam anche sei mesi senza riguadagnare Genova, ne fa una figura forte e polivalente, padrona del mare e dei tempi marittimi. I suoi viaggi lo portano lontano e lo mettono a contatto con genti diverse, facendone al tempo stesso e senza contraddizione un guerriero e un mercante, un pirata e un corsaro, ma soprattutto, inevitabilmente, un uomo curioso e informato del mondo.
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vI GUERRIERI E MERCANTI
Gli ammiragli genovesi costituiscono un capitolo a sé nella marineria mondiale del passato. Secondo la radice etimologica araba, il termine “ammiraglio” indica un comandante di uomini e non soltanto l’uomo di mare che sta a capo dei marinai. Per questo le Corone europee di solito conferiscono questo titulus, con tutti i privilegi e le rendite che gli spettano, a esponenti della nobiltà che nulla hanno a che fare con il mare. Forse è a questo piú preciso significato che si riferisce Colombo quando scrive nella sua lettera a Juana de la Torre: « Io debbo essere giudicato come un capitano inviato dalla Spagna ». A questo complesso di caratteristiche e non solo alla bravura del marinaio si richiama dom dinis di Portogallo quando fa del genovese manuele Pessagno l’Ammiraglio della Corona portoghese e a esso si richiamano anche le Capitolazioni concordate tra la Corona castigliana e Colombo. Per questo ogni ammiraglio, anche quando esercita la sua funzione in modo temporaneo, costituisce con i suoi uomini, le sue navi e i suoi beni un polo di forza notevolissimo, come si vedrà piú avanti, e non solo nel caso di Colombo. È noto che gli ammiragli genovesi sono bravissimi nella guerra marittima, dato che i Liguri sono abituati fin dai tempi piú lontani a combattere destreggiandosi tra le isole tirreniche. nel duecento, tra gli ammiragli genovesi a disposizione della Castiglia, oltre a un incerto raimondo bonifaz, che costruisce l’arsenale di Siviglia, e a ugo vento che, nel 1264, appronta a Portovenere quattro galee per la Corona (ma non sembra operativo), ci sono benedetto Zaccaria e poi egidio boccanegra. Lo Zaccaria ha già svolto una funzione di controllo marittimo per i bizantini nel mediterraneo orientale, vinto la battaglia della meloria (1284) e poi diventerà Ammiraglio della Corona francese. Anche l’imperatore Federico II di Svevia vuole ammiragli e collaboratori genovesi: tra loro, oltre a Guglielmo Grasso e Guglielmo Porco c’è anche il famoso enrico de Castro, il conte di malta cantato dai trovatori come « stella dei Genovesi » e ci sono nico58
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lino Spinola e Ansaldo de mari. Luigi IX il Santo, re di Francia, va in Crociata con due ammiragli genovesi, Giacomo da Levanto e ugo Lercari. Oltre a benedetto Zaccaria anche ranieri e Carlo Grimaldi sono ammiragli della Corona francese. Simone doria lo è della Corona ungherese. La “dinastia” dei doria annovera molti ammiragli tra le sue file, come il Corrado che combatte alla meloria e come Lamba che batte i veneziani a Curzola (1298). Lo ricordano le lapidi poste sulla facciata della chiesa gentilizia di San matteo e la “Loggia degli eroi” che campeggia nel magnifico palazzo del Principe a Fassolo; quello che volle costruire per sé Andrea doria, che da lí poteva vedere le sue navi, le stesse che come ammiraglio forniva all’imperatore Carlo v. Su quelle navi Gianandrea doria, erede del titolo e giovane “apprendista del mare”, racconta di aver navigato appena adolescente. e poi, al tempo di Colombo, forse c’è anche un famoso viseadmiral Colón, cosí brillante nella guerra marittima franco-castigliana.1 La storia di questi guerrieri-mercanti-marinai comincia da lontano. Il loro modello, infatti, è rintracciabile fin dalle origini del Comune: e assediata che ebbero per un mese la città [Gerusalemme], ecco che Guglielmo embriaco genovese e Primo, suo fratello, vennero con due galee a Giaffa e per paura dei Saraceni di Ascalona non poterono le galee tenere; perciò le distrussero e tutto il legname delle galee, che sarebbe stato utile alla costruzione delle macchine per la conquista della città, fecero portare a Gerusalemme. I cristiani che si erano molto rallegrati per l’arrivo dei Genovesi, li ricevettero con onore e da essi presero su ogni cosa consiglio sul modo di assalire la città. I Genovesi costruirono le macchine e tutto il necessario […].2
nelle parole di Caffaro, aristocratico di ceppo viscontile, console del Comune, guerriero e mercante, Gugliemo embriaco, che fa la sua prima 1. Il tema degli ammiragli genovesi, poco studiato nelle sue peculiarità, è stato recentemente affrontato in una sintesi e rassegna bibliografica da L.m. duarte, Zaccaria, Pessagno, Bocanegra. Os almirantes genoveses non primórdios das marinhas de guerra de Castela, França e Portugal, in Genova. Una “porta” del Mediterraneo, a cura di L. Gallinari, Genova, brigati, 2005, i pp. 259-94. Altre notizie in Airaldi, Storia della Liguria, i. Dalle origini al 1492, cit., e la bibliografia citata. 2. G. Airaldi, Guerrieri e mercanti. Storie del Medioevo genovese, Torino, Aragno, 2004, e ead., Blu come il mare. Guglielmo e la saga degli Embriaci, Genova, Frilli, 2006.
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parte i · uomini di frontiera
comparsa su una galea e poi, trasformatosi da marinaio in guerriero, appronta macchine da guerra essenziali alla conquista della Città Santa, appare il naturale simbolo di una realtà in cui, novello roland mediterraneo, il cavaliere s’impegna con uguale baldanza in operazioni marittime e commerciali, piratesche e di guerra santa. Qualunque sia la ragione che, nel 1099, ha portato i due fratelli e le loro navi nel mediterraneo orientale in un’operazione di natura apparentemente privata, le parole di Caffaro rivelano che i Genovesi navigano in quel mare prima della Crociata, come d’altronde confermano fonti ebraiche e arabe coeve. L’azione di Guglielmo e del fratello Primo, titolari di un’antica confidenza con quel mare e con le genti che lo abitano, rientra nei canoni di vita abituali per un consorzio familiare al vertice di una città, che già nel lontano 935 è stata oggetto di saccheggi per il suo benessere. una città alla quale, fin dal 958, re e marchesi hanno cominciato a riconoscere autonomie a quel tempo inusitate. Gli embriaci guidano con decisione la ristrutturazione del sistema politico, scegliendo di perseguire, come fanno altre famiglie, compresa quella dell’autore, la nuova scelta di un regime consolare espresso e sostenuto da una Compagna che ora li porta verso Gerusalemme. Tuttavia il discorso di Caffaro è piú raffinato e piú complesso. Caffaro non è certo il tradizionale cantore di un eroe, ma l’autore della storia di un Comune. Cosí l’epifania dell’embriaco, eroe del nascente Comune, scompare quasi subito e la sua avventura individuale viene riassorbita in un discorso corale, in cui le vicende dei leaders genovesi e dei loro clan diventano materia della canzone di una collettività che, protesa oltre le mura cittadine, opera già negli spazi dell’intero mediterraneo, come il primo storico del Comune dimostra nella ben studiata trilogia delle sue opere e nell’impianto della stessa Cronaca. Senza quel mare la storia dei Genovesi non esiste; anzi, senza di esso neppure esiste la storia europea. e, viceversa, il mediterraneo non può vivere senza questi uomini, che hanno deciso di impegnarvi le loro vite e le loro fortune in un gioco che egli ben conosce perché è stato tra i suoi creatori. I suoi Annali e gli altri due scritti, uno dedicato alla Crociata nel mediterraneo orientale e l’altro al mediterraneo occidentale, e in particolare alla spedizione condotta sulle ispaniche Almeria e Tortosa – opere da leggersi sempre non solo come storia di una città ma come incontro di piú 60
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volontà –, sono i primi testi a proporre i due temi di fondo, che successivamente diventeranno basilari. Caffaro sottolinea, infatti, l’essenzialità del ruolo svolto dall’europa mediterranea nel quadro della costruzione di un modello europeo di sviluppo mediante la promozione del mercato e del capitale voluta dagli uomini del Comune. È il primo a fare del mediterraneo il protagonista assoluto di una storia di lunga durata, interpretata come intreccio di forze vive, e nella loro diversità, operose, qualunque sia la natura contingente del loro rapporto. Per Caffaro il mediterraneo è il filo rosso di una storia europea letta, in una prospettiva non consueta, come una storia di “orizzonti aperti”. Spinto dalla sua vocazione di Genovese, che, pur legato al castello e alla terra, non può fare a meno né del mare né del mercato, l’uomo che appartiene alla città-Comune dell’europa mediterranea prende necessariamente le distanze dalla sola histoire évenementielle. Infatti quando ripensa un percorso storico, Caffaro lo dipana su tematiche che – pur basate su fatti – si spiegano e si capiscono solo se sono inquadrate nelle opportune scansioni della media e della lunga durata. Senza di esse egli stesso non sarebbe in grado di disegnare – come invece fa – il complesso dialogo tra le due sponde, intessuto di contenuti politici, economici e culturali che vanno ben oltre la pura contingenza. d’altra parte, la città, e soprattutto la città-stato, al pari del medium usato, la storia, è una creazione di quel mediterraneo che il cronista genovese per primo colloca tra i materiali della storiografia, facendone il cuore del suo racconto. ma c’è di piú. Per volontà pubblica i ricordi del vecchio Caffaro, destinati fino a quel momento a essere solo oggetto di racconto e di ascolto, trasformati in “documento”, diventano la “memoria” di una città, che si propone ufficialmente, anche sotto questo profilo, come erede della grande tradizione mediterranea, nella quale storia e memoria coincidono. A questa storia, a questa memoria che ancora al tempo suo continua a essere espressa in modo ufficiale e con le stesse caratteristiche del passato attinge Colombo, quando parla di una città « potente sul mare ». Il prototipo del modello genovese sta nella figura del guerriero-mercante che, navigando nelle acque di Giaffa, decidendo di trasformare le sue galee in macchine da guerra e fondando la dinastia dei Gibelet, apre la serie dei Genovesi sparsi per il mondo che prendono un altro nome senza 61
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mai separarsi dall’antico ceppo. ma certamente è lo splendido ritratto di benedetto Zaccaria, disegnato da roberto Lopez quasi un secolo fa, il simbolo di una storia altrimenti difficile da comprendere in tutte le sue sfumature. L’itinerarium vitae di benedetto, un uomo che spazia tra Oriente e Occidente da vero protagonista di un medioevo senza confini ed è Ammiraglio di piú Corone, spiega perfettamente metodi e procedure essenziali alla formazione del network genovese, cardine della « repubblica internazionale del denaro » in cui germoglierà il « secolo dei Genovesi ».3 esponente dell’élite della sua città, stretto collaboratore del basileus bizantino, per il quale opera in funzione antipiratesca nell’egeo, benedetto Zaccaria ottiene nel 1267 il suo primo punto di forza fuori delle mura, con il monopolio dell’allume di Focea, essenziale in tintoria, in conceria, in farmacia e nelle varie fasi della produzione artistica. un minerale prezioso, che il suo naviglio trasporta nelle Fiandre, area di elezione della produzione tessile. benedetto è un uomo d’azione, che promuove trattati per aprire nuove vie, cerca appalti e concessioni, privilegi ed esenzioni, impianta sistemi industriali, combina alleanze matrimoniali, usando come prediletto strumento per gli affari la “procura” a parenti stretti o acquisiti. Sono queste le armi di un uomo che, nel 1284, studia la manovra navale vincente alla meloria e che, nel 1289, tenta l’estrema difesa di Tripoli di Siria (ora Libano). Anche per lui come per tutti i Genovesi, il clan è il naturale complemento dell’azione individuale. Sempre in compagnia del fratello manuele, di figli, nipoti e generi, benedetto è uno dei modelli che servono a capire da quale mondo proviene l’Ammiraglio e a quali comportamenti si ispira. I vivaldi, che tentano di arrivare ad partes Indie proprio quando lui combatte nello Stretto, sono suoi parenti. uno dei suoi generi è Paolino doria, primo console di Caffa. un altro nipote famoso è Andalò di negro, maestro amatissimo del boccaccio. Si è già detto che le sue navi sono le prime tra quelle del mediterraneo ad avere toccato le Fiandre nel 1277-’78. 3. Fondamentale r.S. Lopez, Genova marinara nel Duecento. Benedetto Zaccaria, ammiraglio e mercante, milano-messina, Principato, 1933. Cfr. anche Id., Familiari, procuratori e dipendenti di Benedetto Zaccaria, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, a cura di A. Sisto, milano, Feltrinelli, 1962, pp. 209-49.
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nei primi anni novanta, benedetto, raccolte 7 galee con gente del Ponente ligure (dove ci sono i feudi di famiglia) arruolata dal fratello manuele, parte per Siviglia. La gente ligure accompagna sempre le azioni di questi personaggi. molti saranno i Liguri sulle navi di Colombo; che, investendo egli stesso nelle sue operazioni e scegliendo da sé le sue ciurme, si comporta esattamente come i suoi predecessori. benedetto è a Siviglia per un’operazione voluta da Sancio Iv contro i marocchini che controllano le teste di ponte di Tarifa e Algesiras. dopo la conquista castigliana del 1251, a Siviglia i Genovesi hanno confermato e accresciuto una presenza che data fin dall’età islamica, ma tutta l’area andalusa pullula di Liguri. Il patto con la Corona castigliana, che gli mette a disposizione altre 5 galee con equipaggi locali, porta con sé seimila doppie al mese e la città di Puerto Santa maria – in prossimità di Cadice – come feudo ereditario in cambio della promessa di tenere sempre una galea in difesa di Siviglia e di Cadice, ciò che significa un ulteriore consolidamento della posizione genovese sullo Stretto. Le operazioni di guerra, condotte tra l’agosto 1291 e l’ottobre 1292, si concludono con le vittorie di marzamosa e di Tarifa, sicché benedetto diventa Almirante mayor de la mar. Tuttavia nell’estate del 1294, per ragioni ignote, la relazione con la Corona castigliana si interrompe, sicché la conquista di Algesiras avverrà mezzo secolo dopo a opera di una flotta comandata da egidio boccanegra, Ammiraglio di Castiglia, fratello di Simone, primo doge di Genova, e da Carlo Pessagno, figlio del genovese manuele, che, diventato ammiraglio portoghese nel 1317, ha fondato la dinastia di cui Colombo incontrerà gli epigoni. Le navi di benedetto (di cui una, non infondatamente, porta il nome di Divitia), battono senza tregua le rotte tra Oriente e Occidente. Tuttavia, pur restando sempre attivo in area orientale, lo Zaccaria opera sempre piú intensamente in area occidentale. Infatti lo si incontra in area francese, da sempre zona di peculiare importanza per i Genovesi. In particolare lo è l’area provenzale dove da lí a poco i Grimaldi creeranno le basi del loro potere. Anche l’area normanna, bretone, borgognona sono zone interessanti per ragioni commerciali e finanziarie e per operazioni navali e militari in cui i Genovesi mettono a disposizione uomini, navi e capitali. Intensi e continui legami con la Corona francese ha il potente clan dei Fie63
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schi, grandi protettori di Colombo, ma anche i Grimaldi, e piú tardi gli Adorno e i Fregoso ne favoriscono l’intervento diretto su Genova, promuovendo o appoggiandone la Signoria, ciò che poi condizionerà non poco la vicenda dell’Ammiraglio. nell’angioina Provenza si è rifugiato il capitano del popolo Guglielmo boccanegra, prozio del futuro doge Simone, quando è stato cacciato da Genova e ad Aigues-mortes ha costruito un porto fortificato. Qui è stato seguito da nicolò Cominelli. Genovesi e Liguri sono attivi a rouen e a La rochelle. Sull’Atlantico nei primi decenni del duecento Guglielmo Spinola opera per conto di Filippo Augusto e di Luigi vIII e, piú tardi, a Genova gli ammiragli al servizio di Luigi IX con naviglio genovese per le sue Crociate ne ricavano prebende e feudi. In realtà la Corona francese, che guarda sia all’Atlantico sia al mediterraneo, non dispone di grande forza navale né la struttura socio-politica francese è fatta per promuoverla. È stato giustamente osservato che le sue navi restano sempre « scuderie sotto vela », dato che sono i cavalieri e non i marinai guerrieri a costituire il nerbo dell’armata. Anche i Francesi hanno i loro ammiragli, peraltro solo titolari di una carica. I famosi Colón, ai quali alludono sia Las Casas sia don Fernando rinviando a una parentela con Colombo, non sembrano certo un prodotto locale e il loro titolo di “viceammiraglio” potrebbe esserne una conferma. Anzi la storia di Colón il vecchio, che sposa, per volontà di Luigi XI, una nobildonna francese, richiama in qualche modo quella di Colombo, che impalma una nobile portoghese. Tra gli elementi che caratterizzano l’antico urto tra Francesi e Inglesi c’è anche la questione delle Fiandre, zona industriale di altissimo rilievo per la produzione tessile. Il conte è vassallo francese (nel 1405 si passa al ducato di borgogna e all’Impero). A bruges i Genovesi hanno una loggia con lo stemma di San Giorgio, la chiesa del Santo Sepolcro, mentre alcune famiglie “vecchie” e “nuove” hanno a disposizione loro quartieri. Oltre ai parenti di benedetto – vivaldi, doria e Cattaneo (qui Cathain e in Spagna Cataño) –, ci sono gli Spinola (qui Spingle, in area ispanica espíndola), i Lomellini, gli Adorno, i maruffo e altri ancora, tanti nomi poi confluiti in Anversa. nel 1295 Filippo Iv arruola i genovesi enrico marchese, ugo e Oberto 64
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Spinola, Lanfranco Tartaro e nicola da varazze e altri che, con le loro maestranze, manda a rouen a predisporre l’arsenale, ossia il Clos de Galées. Giungono in normandia anche 20 galee, apprestate in Liguria e poi consegnate a Guglielmo dei mari (de la mar), castellano di Aigues mortes e Guglielmo boccuse (bucuccio), che nei porti di rouen e di Harfleur si uniscono alla flotta di 57 galee e galeotte nonché ad altre navi dell’Hansa, a navi fiamminghe e iberiche. Questa intensa e prolungata presenza ligure sulle coste atlantiche fornisce indubbiamente qualche giustificazione alla possibile origine genovese o ligure del primo e piú noto dei corsari, Colón. nel 1296 l’Amiraus generaus scelto della Corona francese è benedetto Zaccaria. Anche questa volta lo Zaccaria fa onore alla sua fama di stratega dato che, ben prima di napoleone, progetta un vero e proprio blocco navale contro gli Inglesi. breve e assimilabile a un piccolo trattato di naumachia, il testo, che lo Zaccaria redige in francese, descrive i metodi da usare guerreggiando per mare e per terra ed è accompagnato da un preventivo di spesa (con stipendi abbastanza elevati per 4 mesi sicché nessuno avrebbe “mugugnato”: lardo, vino, carne e altro sarebbero stati acquistati sul salario; acqua, piselli, fave e pane sarebbero invece toccati alla Corona) e dalla descrizione della quantità e della tipologia di naviglio necessarie. L’Ammiraglio propone di devastare in rapida successione i porti inglesi appoggiandosi ai ribelli gallesi e scozzesi, ciò che avrebbe costretto il nemico a spendere molto denaro. In questo frangente benedetto è coadiuvato dal nipote Carlo di negro. In altri casi, oltre al fratello manuele, alter ego di benedetto come bartolomeo Colombo lo sarà di Cristoforo, saranno coinvolti il figlio Paleologo e il genero Andreolo Cattaneo, gente impegnata a vario titolo nel mercato e nell’attività navale. Tuttavia l’operazione non va a buon fine perché lo Zaccaria si ammala. L’anno seguente la situazione viene temporaneamente appianata da una delle solite alleanze matrimoniali. nel 1299 l’Ammiraglio è di nuovo all’opera. mentre Filippo il bello invade le Fiandre, lo Zaccaria, aiutato da Andreolo, sbarra la foce dello Zwin, per il quale arriva al mare il commercio di bruges, damm, Ypres e Lille. Qui chiude la sua esperienza francese. Gli subentreranno altri Genovesi, prima ranieri e poi Carlo Grimaldi, che con Aitone doria – corsaro e ammiraglio – si distinguerà compiendo 65
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prodezze in bretagna e in Inghilterra. La stirpe dei guerrieri-mercanti Grimaldi è in piena ascesa nel panorama internazionale. dopo molte vicende, nel 1330, Carlo Grimaldi si farà signore di monaco e, nel 1341, un patto consortile tra Grimaldi genovesi e monegaschi siglerà la nascita ufficiale della Signoria, da cui poi si dirameranno i signori di Antibes. Tornato in Oriente – dove vorrebbe persino portare una crociata di dame genovesi – nel 1304 benedetto ottiene Chio, concessagli dal basileus in feudo decennale. Al profumo del lentisco – produttore del prezioso mastice di cui lui per primo e poi altri Genovesi godranno il monopolio – si richiamerà Colombo, dimostrando cosí di essere stato anche là. Tornata in mani bizantine, nel 1346 Chio sarà ripresa dai Genovesi. Ai tempi dell’Ammiraglio l’isola è nelle mani di una maona espressione dell’ “albergo” dei Giustiniani e cosí resta fino al 1566. Guerrieri e mercanti dunque sono questi Genovesi e questa loro natura, perfettamente leggibile tanto nell’azione orientale quanto in quella occidentale, è essenziale nella storia della scoperta americana.
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vII UNA STORIA ATLANTICA risale al 1317 l’atto ufficiale, che siglando l’ormai avviato processo di costruzione del nuovo Occidente, inaugura un progetto atlantico inteso a spostare la frontiera, condotto in prima istanza dalla Corona portoghese. Con quest’atto, voluto dal re-poeta dom dinis, il genovese manuele Pessagno, investito del titolo di Ammiraglio della Corona, diventa il capostipite di una nuova, potente dinastia. Con quest’atto, l’ormai consolidata collaborazione tra il principe e il mercante assume una sfumatura inedita, mettendo in gioco poteri e spazi nuovi, dimostrando ancora una volta che spetta sempre ai popoli mercanti il compito di spostare i confini. Cosí capita con i Fenici, i Greci, i Cinesi e gli Arabi e, piú tardi, capiterà con gli Olandesi e gli Inglesi.1 Il tema della frontiera è determinante per capire perché, già in tempi precoci, la Penisola Iberica rappresenti per la piú “atlantica” delle città italiane la sua porta sull’Oceano. Tra i molti stranieri che collaborano con il Portogallo e la Castiglia, per la loro antica e assidua presenza, i Genovesi assumono presto una leadership e un ruolo decisivo non solo nei progetti di espansione, ma anche nella creazione dello Stato moderno. Le vicende europee, infatti, saranno sempre piú regolate dal movimento dei capitali, sempre piú spesso saranno le guerre condotte fuori dall’europa a condizionarne la vita e sovente sarà la « repubblica internazionale del denaro » a esserne il burattinaio.2 Spostare la frontiera è il grande tema che lega, in diversa scansione cronologica, Genova e Portogallo, Genova e Castiglia; e la storia delle esplorazioni e delle “scoperte” non è altro che 1. Su questi temi cfr. G. Airaldi, L’Europa e il Nuovo Mondo, e Il nuovo Occidente, in L’Eurasia, cit., pp. 87-199, e Dizionario storico biografico dei Liguri in America Latina da Colombo a tutto il Novecento, Genova-Ancona, Affinità elettive, 2006. 2. La repubblica internazionale del denaro tra XV e XVII secolo, a cura di A. de maddalena e H. Kellembenz, bologna, Il mulino, 1986, e inoltre F. braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), Torino, einaudi, 1982 (ed. or. Paris, Colin, 1979), passim, e Credito e banca dall’Italia all’Europa, a cura di G. Airaldi e G. marcenaro, Genova, La Stampa Industrie grafiche, 1992.
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un modo per leggere l’evolversi dell’antico patto tra il principe e il mercante, destinato a diventare opzione comune a tutte le Corone dell’europa occidentale, come dimostrano sul finire dell’età medievale anche enrico vII d’Inghilterra con Giovanni Caboto e, all’inizio del Cinquecento, Francesco I di Francia con Giovanni da verrazano. La prima storia atlantica è il paradigma perfetto di un’alleanza che, nata ormai da secoli in ben altri contesti, continua a funzionare in modo eccellente; e il preludio ufficiale di questa nuova puntata sta in quell’atto fondamentale e nel fondamentale documento che lo raccoglie, esaminato il quale si capirà come e perché Colombo si muova e operi alla luce di un sistema ben sperimentato e consolidato. Se esiste una battuta d’inizio nella storia delle “scoperte” oceaniche forse essa sta nell’atto del 1° febbraio 1317, con il quale « dom dinis, pela graça de deus rey de Portugal e do Algarve » conferisce a « micer manuel Peçagno de Genoa » il titolo di Ammiraglio della Corona, carica ereditaria in linea di primogenitura legittima, donandogli in perpetuo il logar di Pedreira in Lisbona (già destinato agli ebrei, ma d’ora in poi noto come o barrio do Almirante) e tremila lire portoghesi di rendita annua, ricavate dalle terre regie di Freelas, unhos, Sacavem e Camarati, da ricevere in rate trimestrali.3 da parte sua manuele, che si dichiara leal e verdadeiro vassalo del re, presta omaggio, giuramento di fedeltà sui vangeli, promettendo di servire bene e con lealtà il re ovunque egli desideri e contro tutti gli uomini del mondo, 3. La bibliografia sul rapporto tra Genova, i Genovesi e il Portogallo è molto vasta. Per il documento in questione cfr. L.T. belgrano, Documenti e genealogia dei Pessagno ammiragli del Portogallo, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», xxv 1881, pp. 241-316, e J.b. Pessanha, Os almirantes Pessanhas e a sua descendencia, Porto, Imprensa Portuguesa, 1933; P. Peragallo, Cenni intorno alla colonia italiana in Portogallo nei secoli XIV, XV e XVI, in « miscellanea di Storia italiana », s. ix, iii 1904, pp. 409-14; F. morais do rosario, Genoveses na historia de Portugal, Lisboa, Oficinas Graficas do Comercio, 1977; L.A. da Fonseca, Algumas consideraçôes acerca das relaçôes comerciais e marítimas de Portugal com Genova na baixa idade media, in Bartolomeu Dias e a sua epoca. Congreso internacional, Porto, 1988, Porto, universidade, 1989, iii pp. 635-44. una rassegna storiografica in L.A. da Fonseca, La storiografia portoghese tra Mediterraneo e Atlantico, in L’Europa tra Mediterraneo e Atlantico. Economia-società-cultura, a cura di G. Airaldi, Genova, ecig, 1992, pp. 15-19, e Id., Portugal entre dos mares, Lisboa, Mapfre, 1993, pp. 15-21, e in P. Pinto Costa, Portugal e Génova em tempos medievais: relaçoes e enquadramentos, in Genova. “Una porta” del Mediterraneo, cit., ii pp. 1049-68. Per altri aspetti v. magalhaes Godinho, Mito e mercadoria, utopia e prática de navegar. Seculos XIII-XVIII, Lisboa, difusão editorial, 1990.
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di qualsiasi stato e condizione, siano essi cristiani o saraceni. Promette che gli darà il suo bom conselho e che conserverà i segreti che egli gli confiderà o farà confidare. Per mare il suo corpo si muoverà al suo servizio quando almeno si muoveranno tre galee; per terra andrà sempre quando il re stesso si muoverà con il suo esercito. Promette inoltre che egli e i suoi successori (che dovranno essere sani di corpo e di mente e aver superato la pubertà) terranno sempre e continuamente con sé venti uomini di Genova sabedores de mar, adatti a essere alcaydes de galeas e arrayzes e che sappiano servire bene per mare sulle galee ogni volta che il re lo desideri. In qualsiasi altro momento manuele e i suoi successori potranno servirsi di loro per i propri commerci, inviandoli nelle Fiandre o a Genova o in qualsiasi altro luogo, pronti a richiamarli qualora il re ne avesse bisogno. Ogni alcayde di galea in servizio riceverà dodici lire e mezza al mese, acqua e biscotto; l’arrayz di galea, otto lire mensili, acqua e biscotto. Se qualcuno degli uomini fuggirà o morrà in servizio, l’Ammiraglio provvederà a sue spese a procurare entro otto mesi altri uomini sabedores de mar, in modo che il numero complessivo resti inalterato. Gli sarà consentito prelevare la quinta parte del bottino conquistato per mare sui nemici della fede o del Portogallo, fatta eccezione per lo scafo delle navi, le armi e gli strumenti nautici; mentre per i Saraceni – che toccano al re – spetterà a lui la quinta parte del prezzo di cento lire portoghesi per ciascuno. L’Ammiraglio avrà giurisdizione e potere su tutti gli uomini per terra e per mare ed essi gli dovranno la stessa fedeltà che devono al re. Altrettanta ne dovranno agli alcaydes dal momento dell’armamento a quello del disarmo delle galee. A garanzia delle due parti, gli scribi regi trascriveranno con cura tutto ciò che accadrà in mare. In assenza di successori legittimi e laici il feu tornerà alla Corona. Con successivi accordi si stabilisce che tutta la gente di mare dovrà obbedire all’almirante moor pena la distruzione della persona e dei beni. Tuttavia, nel 1319, dato che le rendite stabilite non consentono di provvedere al regolare versamento delle tremila lire annue e l’almoxarife Affonso Peres non riesce a individuare altri cespiti, la rendita in denaro viene convertita in terre piú adatte a esser date in feudo ereditario e cioè nel castello e nella vila di Odemira con tutti i suoi diritti, le rendite e pertinenze e con l’amministrazione della giustizia e ogni diritto di giurisdizione regia (a 69
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eccezione delle aree a pascolo circostanti). A loro volta l’Ammiraglio e i suoi successori saranno obbligati ad accogliere sempre il re e i suoi, a difenderli, a far guerra, tregua e pace su ordine del re, a cui riconoscono la suprema giurisdizione. restano di pertinenza regia eventuali giacimenti metalliferi e la decima sul commercio internazionale proveniente dall’area franco-tedesca, mentre toccherà all’Ammiraglio percepire interamente i diritti di pesca e gli altri diritti già di pertinenza regia. manuele Pessagno riceve inoltre il realengo di Alguez vicino a Lisbona entro precisi confini, con riserve regie e divieto di future alienazioni. esaminato di solito per il suo contenuto, l’atto ben si accompagna alla cerimonia con la quale, in pubblica udienza, dinis ratifica la sua decisione, ponendo nella mano destra dell’Ammiraglio un anello, nella sinistra uno stendardo con le armi regie e consegnandogli una corta spada. da parte sua – secondo la prassi – manuele Pessagno rende l’omaggio e la promessa di bene servire. I Pessagno serviranno la Corona fino al 10 giugno 1484 (quando Colombo è ancora in Portogallo), poi la famiglia continuerà a farlo inquartata con altri nomi. Per altri versi è pure intensa la collaborazione tra Genovesi e Portoghesi nel mediterraneo. non è un caso che, a Genova – da sempre grande mercato di schiavi –, bartolomeu dias, che Colombo incontrerà in Portogallo, acquisti una schiava nel 1478.4 È evidente dunque che qui non si tratta, come in altri casi, di un semplice contratto di carattere temporaneo. Per la prima volta in modo chiaro e preciso nell’estremo Occidente europeo due sistemi politici ed economici, due mentalità e due culture diverse decidono ufficialmente di procedere in una consonanza d’intenti, che segna il passaggio definitivo dell’espansione europea dal mediterraneo all’Atlantico. Tuttavia questa sto4. Per le relazioni con il mediterraneo cfr. v. rau, Portugal e o Mediterraneo no seculo XV, Lisboa, Centro de estudos da marinha, 1973; L.A. da Fonseca, Navegación y corso en el Mediterraneo occidental. Los portugueses a mediados del siglo XV, Pamplona, univ. de navarra, 1978; G. Airaldi, Portoghesi fra tre mari, in Il Portogallo e i mari. Un incontro tra culture. Atti del Congresso internazionale di napoli, 15-17 dicembre 1994, a cura di m.L. Cusati, napoli, Liguori, 1997, i pp. 110-17; Portogallo mediterraneo, a cura di L.A. da Fonseca e m.e. Cadeddu, Cagliari, Cnr-Ist. sui rapporti italo-iberici (in cui è da segnalare soprattutto L.A. da Fonseca, Portugal e o Mediterraneo no final da Idade media: uma visao de conjunto, pp. 13-279).
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ria, che pure seguirà una sua dinamica evolutiva con tappe intermedie tutte intessute di nomi liguri, attraverserà periodi di stallo, frenata da circa cent’anni di scontri interni alla Corona, nel corso dei quali ci si confronterà anche su una diversa idea dell’espansione, che qualcuno preferirebbe proseguire con le conquiste via terra in area africana e altri invece vorrebbero ormai portare sul mare e sul mercato. Sarà dunque possibile leggere la seconda puntata di questa vicenda solo alla fine del Trecento, con l’ascesa al trono della nuova dinastia degli Avis. A guidarne le scelte saranno un principe e due re, enrico detto il navigatore, suo fratello Giovanni I e soprattutto suo nipote Giovanni II. riprendendo con nuove e piú aggressive sfumature l’eredità di dom dinis, saranno loro ad aprire i loro progetti alla collaborazione di molti stranieri, promuovendo studi e viaggi di “scoperta”. Tra questi nomi non mancano certo quelli dei Liguri, legati piú di altri alla colonizzazione delle isole atlantiche, come meglio si vedrà. In effetti nel corso del Trecento la rete dei Genovesi in area occidentale si sta allargando. ne è esempio proprio la storia del clan dei Pessagno, la cui presenza sulle coste dell’Atlantico risale agli anni 1233 e 1234, con un Gherardo Pessagno attivo a La rochelle. nel 1317 la famiglia sembra toccare l’apice delle sue fortune. Se il 1° febbraio manuele ottiene l’alta carica di Ammiraglio della Corona portoghese, nel novembre successivo suo fratello Antonio diventa siniscalco di Guascogna, signore di Créon e dell’isola di Oléron. un terzo fratello, Leonardo, che nel 1303 è in affari con manuele e nel 1306, sempre con lui, noleggia a Gianuino malocello e ai suoi soci milanesi due galee con centoquaranta uomini pronte a recarsi « ad partes Anglie », proprio il giorno prima che dom dinis di Portogallo nomini suo ammiraglio manuele riceve da edoardo II di Inghilterra l’incarico di recarsi a Genova per provvedere al noleggio per tre mesi di cinque galee con duecento uomini da impiegare nella guerra di Scozia. Lontani o vicini, i fratelli Pessagno operano dunque spesso insieme negli affari, ma le loro fortune non sempre seguono gli stessi ritmi. Anche il nipote Antonio doria fa parte dell’entourage di corte e Giovanni da moneglia, segretario del Pessagno, è ciambellano dello Scacchiere in Irlanda.5 5. A.A. ruddock, Italian Merchants and Shipping in Southampton, 1270-1700, Southampton,
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Per i Genovesi recarsi « ad partes Anglie » significa andare a Londra, a bristol, a Sandwich e a Southampton, porti di forte presenza ligure. d’altra parte già da tanto tempo c’erano Inglesi attivi nell’ambito industriale genovese, mentre qualche genovese trafficava per la Corona inglese. Al tempo della Terza Crociata riccardo Cuor di Leone passa per Genova e, secondo la tradizione, da quel momento la Corona inglese adotta il vessillo con la croce di san Giorgio: la croce rossa in campo bianco identica a quella genovese. da fine duecento è attivo un itinerario che, partendo dagli insediamenti del mediterraneo orientale e toccando perlopiú Genova, punta sull’ “Anglia”. La Corona, desiderosa di aumentare le entrate anche per il continuo stato di guerra con la Francia, concede largo spazio agli stranieri, privilegiando la loro azione a scapito delle “gilde” locali, ancora poco organizzate, come dimostra la Charta mercatoria del 1303. Tra gli Italiani primeggiano i Fiorentini che sono esattori di decime, titolari di dogane portuali e forti prestatori di denaro; ma sono frequenti le situazioni di urto, a cui seguono sequestri di beni, rappresaglie, saccheggi, vendette private. In questo quadro i Genovesi manovrano a modo loro. Lo stato di guerra e le crisi xenofobe non li favoriscono, ma sanno come e quando affidarsi alla protezione dei salvacondotti regi per scambiare guado, zucchero, frutta secca e allume con lane, velli, stagno e pellami. Troviamo quindi con frequenza e continuità nomi famosi come quelli dei mallone, degli Spinola, dei di negro, dei Lomellini, dei Pessagno e cosí via. La navigazione in quelle zone acquista una tale importanza da ottenere uno spazio appositamente dedicato negli ordinamenti marittimi, che compaiono nel Liber Gazarie del 1340. d’altra parte mentre venezia avrebuniv. College, 1959; n. Fryde, Antonio Pessagno of Genoa King’s Merchant of Edward II of England, in Studi in memoria di Federigo Melis, napoli, Giannini, 1978, ii pp. 159-78; e.b. Fryde, Italian Merchants in Medieval England c. 1270-c. 1500, in Aspetti della vita economica medievale. Atti del Convegno di Studi nel x anniversario della morte di Federigo melis, Firenze-PisaPrato, 10-14 marzo 1984, Firenze, univ. -Ist. di Storia economica, 1985; d. Abulafia, Cittadino e ‘denizen’. Mercanti mediterranei a Southampton e a Londra, in Sistema dei rapporti ed élites economiche in Europa secc. XII-XVI, a cura di m. Del Treppo, napoli, Liguori, 1994, pp. 27392; e. basso, I Genovesi in Inghilterra tra tardo Medioevo e prima Età moderna, in Genova. Una “porta” del Mediterraneo, cit., i pp. 523-74, e Airaldi, Dall’Eurasia, cit., pp. 59-71.
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be inviato le sue mude alle Fiandre solo a partire dal 1319, i viaggi genovesi datano al 1277 e la presenza genovese a Southampton risale almeno al 1303. In queste zone come in altre dell’Occidente europeo traffica già a quel tempo la famiglia dei piacentini Pallastrelli, poi Perestrello, legata ai traffici in Genova e fuori (i banchieri e mercanti piacentini hanno sempre svolto un ruolo importante per i Genovesi). un ramo di questa famiglia è presente a Lisbona dal 1384 in posizioni elevate e nel 1446 con bartolomeo, divenuto “capitano donatario” di Porto Santo, raggiunge ulteriore importanza. Questa famiglia – soprattutto le donne nate dalle seconde nozze del Perestrello con Isabela moniz –, eserciterà una funzione importantissima nella vita di Colombo e non solo per il ruolo svolto dalla moglie Felipa e da sua sorella briolanja nelle vicende portoghesi e castigliane dell’Ammiraglio, ma perché – coinvolta nella congiura contro gli Avis –, lo costringerà a fuggire in Castiglia.6 In omaggio alla politica di lobby che contraddistingue l’azione genovese, i fratelli Pessagno non sono soli. Oltre ai loro parenti e sodali de mari, doria, Spinola e Fieschi – Antonio ha sposato una Fieschi e ha, come si è detto, un nipote doria –, un discreto numero di rami di famiglie genovesi ha piantato radici in area inglese. Proprio questi matrimoni sembrano segnalare l’importanza antica o acquisita dei Pessagno, anche se è dubbio che siano un ramo degli antichi, blasonati da Passano originari della riviera di Levante, come recitano le due lapidi poste sull’antica chiesa di Santo Stefano di Genova, al centro della zona in parte controllata dai Fieschi, dove abita chi, a vario titolo, si occupa del commercio e della lavorazione dei tessuti. In ogni caso, in armonia con il profilo guerresco prediletto dall’élite genovese, due epigrafi seicentesche celebrano due guerrieri, segnalando quanto profonda e durevole sia diventata, nello spazio e nel tempo, l’armonia dei Pessagno con la Corona portoghese. In una si ricorda Carlo 6. Cfr. L.A. da Fonseca, Importanza e significato del soggiorno di Colombo in Portogallo, in « Cominciai a navigare in giovanissima età… », cit., pp. 41-55, e G. Albini, Commercio di beni e commercio di denaro. I Piacentini, la società portoghese e la Corte (secoli XIV-XV), in Precursori di Cristoforo Colombo. Mercanti e banchieri piacentini nel mondo durante il Medioevo. Atti del Convegno internazionale di Piacenza, 10-12 settembre 1992, bologna, Analisi, 1994, pp. 115-39, e P. racine, Prêteurs et marchands. Les hommes d’affaires de Plaisance en Angleterre, in Precursori di Cristoforo Colombo, cit., 139-53.
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Pessagno, figlio di manuele e ammiraglio del Portogallo, che insieme con egidio boccanegra, ammiraglio del regno di Castiglia, guida le flotte iberiche che tentano di spostare la frontiera sul mare battendo la flotta marocchina ad Algesiras tra il 1341 e il 1344. L’altra ricorda che nel 1506, quando da quasi un secolo il titolo è ormai passato a una linea femminile e la frontiera europea si è spostata ben piú lontano, un altro manuele Pessagno – Ammiraglio del secondo squadrone della flotta guidata dal viceré dell’India Francisco de Almeida –, è al comando della fortezza di Angediva. In terra inglese però non ci sono soltanto guerrieri e mercanti-banchieri. Tra la gente di chiesa, titolare di prebende e canonicati, oltre ai malocello e ai Camilla, primeggiano i Fieschi, un nome essenziale nella vicenda di Colombo e della sua famiglia. Il cardinale Ottobono Fieschi, futuro papa Adriano v, ha soggiornato a lungo oltre manica e, nel 1318, anche il cardinale Luca Fieschi, imparentato con Antonio Pessagno, è in Inghilterra per conto di papa Giovanni XXII. Piú tardi i figli di nicolino Fieschi saranno titolari di prebende nelle cattedrali di York e Canterbury. All’inizio del Trecento, però, certamente i piú noti tra gli uomini di affari sono Giannotto e Guidetto Spinola, appartenenti a una delle piú famose e antiche famiglie genovesi, un clan di grande rilevanza anche in area ispanica. Sulle loro navi lana e stagno vengono imbarcati esenti da ogni imposta. Infine, nel 1312 il piú fiero concorrente dei Fiorentini Frescobaldi nel ruolo di banchiere della Corona inglese è il king’s merchant Antonio Pessagno che, a garanzia degli altissimi prestiti, riceve i gioielli della Corona. nulla di nuovo sotto il sole, dato che, un secolo prima, il trono di Federico II Hohestaufen era finito nelle mani di un trust di famiglie genovesi. Sono queste le premesse dei piú noti asientos (prestiti a breve) fatti alla Corona di Spagna nel « secolo dei Genovesi ». È prassi consolidata che questi debiti non vengano mai onorati in moneta. Con la vistosa eccezione del caso catalano-aragonese, le Corone europee mancano sempre di liquidità. Antonio Pessagno ottiene dunque le entrate provenienti dalle miniere di Cornovaglia e dalle dogane portuali di Londra e boston, a cui ben presto si aggiungono le decime d’Irlanda e infine tutti i proventi irlandesi. nel 1313 il credito tocca cifre astronomiche, superando perfino quello dei bardi, che poi avrebbero subito gravi danni dal fallimento che avrebbe segnato – con quello dei Peruzzi – il 74
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crollo di una parte della banca fiorentina. Francesco bardi, che, con Amerigo vespucci e altri, fa parte del circolo fiorentino in relazione stretta con Colombo, ne sposerà in seconde nozze la cognata briolanja. Abilissimo nel circoscrivere l’azione fiorentina, il Pessagno sa giovarsi di notevoli protezioni locali e delle buone relazioni personali con la Corona francese e con il Papato avignonese. nel 1313 incontra il fratello manuele a Parigi. In quegli anni, oltre a qualche versamento in sterline, gli sono offerti i manoir sequestrati ai Templari, le entrate doganali del regno e le rendite dell’allora vacante arcivescovado di Canterbury. nel 1314 è yeoman del re e, per qualche tempo, tesoriere della Corona, ricevendone di nuovo in pegno i gioielli. nel 1315 è fatto cavaliere, con una rendita di tremila sterline sulle entrate della Guascogna. Ottiene anche il maniero di Kennington e fonda il castello di Genua, ora Geaune. In quel momento Antonio Pessagno acquista un ruolo che nessun altro straniero avrebbe piú avuto presso la corte inglese. naturalmente, come tutti i Genovesi e come il fratello manuele, Antonio continua a investire in imprese commerciali e guerresche. non solo s’impegna con altri in un enorme prestito alla Corona per operazioni militari in Scozia, ma garantisce personalmente gli approvvigionamenti delle fortezze a nord; e, nei momenti di carestia, importa grano. nel 1317 è a Siviglia. Sul finire dell’anno diventa siniscalco del re, ma già l’anno successivo è rimosso dalla sua carica. Il suo nome scompare dai registri inglesi e se ne perdono le tracce. Forse si è rifugiato dal fratello manuele che, nel 1318, è ambasciatore ad Avignone. Giova forse ricordare che a quel tempo governano in Genova i capitani del popolo Carlo Fieschi e Gaspare Grimaldi (settembre 1317-luglio 1318), a cui subentra – promossa da quelle famiglie – una consignoria di Giovanni XXII e di roberto d’Angiò destinata a durare fino al febbraio 1335, quando viene scalzata dai capitani del popolo raffaele doria e Galeotto Spinola. Le lotte tra le vecchie famiglie preparano l’avvento del doge Simone boccanegra (1339), espressione del populus ossia dei “nuovi”. I dogati genovesi, che dovrebbero essere a vita, saranno invece caratterizzati da notevole brevità e intervallati da qualche Signoria milanese o francese. nel 1353-’56, si tratterà della fugace Signoria viscontea e, tra il 1396 e il 1409, di quella francese. 75
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nel 1325 edoardo II è convinto che Antonio Pessagno stia progettando, insieme con il fratello, un attacco alle squadre navali inglesi. Però l’anno seguente arriva in Inghilterra proprio manuele Pessagno, latore di liete novelle: infatti è in vista un matrimonio tra il duca di Aquitania (futuro edoardo III) e una figlia di Alfonso Iv di Portogallo. Con l’ascesa al trono di edoardo III, Antonio torna in auge. Già dal 1330, sir Anthony Pessayne partecipa alle sedute del Parlamento. Titolare di vasti crediti, l’anno successivo agisce in veste diplomatica presso il re di Francia e ad Avignone. nel 1332, in una lettera commendatizia per manuele, edoardo lo definisce « fideli milite et consiliario nostro ». Sei anni dopo Antonio muove con lui verso le Fiandre. È l’inizio della guerra dei Cent’Anni, in cui, come si sa, i Genovesi fuori di Genova e quelli di Genova non combattono sempre dalla stessa parte. Anzi, precedendo di duecento anni il comportamento di sir Orazio Pallavicino che, al tempo di elisabetta I, da Londra gioca su due fronti nella questione delle Fiandre ribelli alla Spagna su cui lucrano le piú importanti famiglie genovesi, Antonio de banca, un ricchissimo mercante-banchiere dell’entourage regio, capace di salvaguardarsi in tempo dall’insolvenza regia che colpirà invece bardi e Peruzzi e di diventare, nel 1350, titolare della zecca della Torre di Londra insieme con nicholas Chone, conduce a termine spregiudicate operazioni peraltro coperte dal segreto. Come si è detto, in area inglese conta moltissimo un ramo dei Fieschi, che si muove tra diplomazia e prebende ecclesiastiche. nicolino Fieschi fa parte del Consiglio regio. molto attivo sul piano diplomatico, è impegnato in ambito commerciale per le solite questioni piratesche e pure in problematiche piú sottili, relative all’armamento navale. nel 1338 infatti, insieme con Giovanni doria e il Fieschi, procura navi agli Inglesi, al tempo stesso ostacolando i Francesi nelle stesse operazioni. L’area di libero gioco è quella provenzale. ma il gioco è pericoloso e, nel 1340, ad Avignone nicolino viene rapito dai Francesi e salvato solo dall’intervento di benedetto XII. d’altra parte, fin dall’età di Innocenzo Iv, i Fieschi sono potentissimi alla corte pontificia sicché egli può continuare liberamente in un’azione che lo vede giostrare anche con il doge di Genova a favore di una neutralità genovese nel duello franco-inglese. Oltre a fare affidamento sul gruppo di parenti e fedeli che ha con sé, Antonio Pessagno collabo76
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ra con membri di altri gruppi familiari importanti, in particolare con gli usodimare, una famiglia di grande rilievo, di cui si parlerà piú avanti a proposito dei viaggi di “scoperta” e per l’alleanza matrimoniale con papa Innocenzo vIII. È Antonio usodimare a subentrare al Pessagno nel momento piú difficile. Anche l’usodimare e i suoi soci – di solito parenti e sodali – costituiscono un punto di riferimento finanziario importante per la Corona. Forse per questo Antonio e il fratello nicolò ottengono il prestigioso titolo di Connestabili di bordeaux e di viceammiragli di Guascogna. nel 1345 Antonio diventa supervisore e custode dei cambi a Londra. nel 1347, con Guglielmo e Antonio Fieschi, deve occuparsi dell’armamento di 12 galee per la guerra e impegnarsi a concludere un trattato con Genova. In queste trattative entrano naturalmente questioni di pirateria anglo-genovese. molte azioni di guerra e di pirateria sono condotte a termine da egidio boccanegra, il famoso “blackbeard” o “barbenoire”, definito dal poeta Laurence minot « terrore degli Inglesi », di cui si è già detto; egidio che, tra l’altro, nel 1338 partecipa anche a un’azione su Southampton, diventerà successivamente Ammiraglio castigliano e Signore di Palma del rio e Portocarrero. ma l’epilogo della sua vicenda sarà tragico: vittima degli scontri interni, egidio sarà giustiziato. da lui discenderà in linea femminile miguel Cervantes, che testimonierà spesso nella sua vita e nella sua opera, il forte legame che lo unisce a Genova e la sua profonda conoscenza del mediterraneo, dove combatte anche a Lepanto e a Corfú prima di cadere in mano islamica nel 1575. nella seconda metà del Trecento, l’alta qualità delle lane Cotswold e lo sviluppo dell’industria tessile nell’area di Winchester e Salisbury fa convergere l’attenzione genovese su Southampton, collegata con un fiume navigabile a Winchester e poi per via stradale a Londra, dove peraltro i Genovesi – noti come gli “uomini delle galee” – hanno un molo prossimo alla Torre. I fallimenti a catena dei mercanti-banchieri fiorentini e la rinnovata politica di apertura della Corona favoriscono ulteriormente il rapporto tra i Genovesi e il porto dello Hampshire, che consente un ancoraggio a ridosso dell’isola di Wight, agevolato dalle doppie maree. da questo momento e fino agli anni venti del Xv secolo essi diventano i fornitori di 77
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lana inglese per il nord e il Centro Italia. La loro attività diventa cosí importante che, nel 1353, chiedono di fondare una staple a Winchester, poi concorrenziale con quella fondata dagli Inglesi stessi a Calais nel 1360, mentre vanno perfezionando un rapporto con le aree prossime a Southampton, dove emergono già allora per una loro particolare capacità in ambito logistico. È un periodo instabile e denso di scontri, ma, tra il 1371 e il 1372, maturano condizioni ulteriormente favorevoli, sia pure intervallate da momenti di crisi dovuti ad atti di pirateria con conseguente momentaneo blocco delle relazioni, sequestri e divieti. risale al 1372 una visita di Geoffrey Chaucer a Genova in qualità di diplomatico. Con lui c’è anche Giovanni de mari, mercator regis. I nomi genovesi sono sempre gli stessi: doria, Spinola, Gentile, Grillo, de mari e de marini, Lomellini, Grimaldi, Giustiniani, di negro, Cattaneo e altri, tra cui i Pinelli, che poi operano in posizione nodale nella vicenda colombiana. nel 1378, auspice Giano Imperiale, i Genovesi chiedono di potere aprire in quello che ormai considerano un loro porto, e cioè a Southampton, una staple per tutto il loro commercio con il nord europa anche in funzione delle difficile situazione nelle Fiandre. Tutto funziona bene, nonostante le fiere resistenze dei mercanti londinesi, intimoriti dal fatto che questa operazione danneggi Calais in modo permanente. L’anno seguente, però, in prossimità di Lombard Street, l’Imperiale cade sotto il pugnale di un sicario, pagando con la vita l’ambizioso progetto. d’altronde questi uomini d’affari giocano sempre il tutto per tutto. Il carcere, l’annullamento dei crediti o addirittura la perdita della vita sono rischi messi in conto. Tuttavia sia nell’età di riccardo II sia in quella di enrico Iv, come cittadini a pieno titolo o come denizen – ovvero residenti autorizzati –, i Genovesi continuano a godere di pingui entrate e di titoli e prebende. È questo il caso di rinaldo Grillo, potentissimo a corte, e di Giovanni Grillo, che ottiene il baillage di Hastynges in Guascogna. Però proprio il loro legame con la corte provoca qualche danno, sicché, nel 1395, il fondaco dei Genovesi si sposta nella piú sicura bruges – ora sotto il ducato di borgogna – dove nel 1399 essi costruiscono la loro loggia. Intanto la presenza in Occidente dei veneziani e dei Fiorentini si è fatta piú assidua e le prime navi inglesi tentano di bucare la rete strategica dei Genovesi nel mediterraneo. nel corso del Quattrocento, un bilancia78
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mento tra la Corona francese e quella inglese non è facile. ma la politica delle “mani libere” continua a funzionare sicché il protezionismo inglese e l’aggressività dei merchants adventurers non pregiudicheranno le buone relazioni, e i prestiti di Antonio Spinola, yeoman ed esquire, e dei suoi fratelli serviranno anche a enrico vII Tudor. egli affiderà ad Antonio la sovrintendenza delle dogane di Southampton nonché – assieme ai suoi soci – il controllo dell’ufficio del cambio, mentre a benedetto Spinola toccherà svolgere funzioni diplomatiche tra Londra e milano in funzione antifrancese. da parte loro i de marini non perderanno il controllo del traffico a Southampton e il denizen Giovanni battista usodimare, nipote di papa Innocenzo vIII, potrà gestire senza difficoltà i benefici ecclesiastici di cui è titolare. nel 1497 a Londra sono presenti doria, Salvago, de mari, Calvo, de marini, Spinola, vivaldi, Grimaldi, Gentile, Cattaneo, Lomellini, Pinelli, Grillo, maruffo, de Franchi. Ci sono altri Liguri, specialmente i Savonesi, alcuni residenti, altri con piena cittadinanza. dunque se è vero che, a quell’epoca, almeno 21 dei 28 “alberghi” genovesi sono rappresentati a Siviglia, anche Londra non è da meno. Se ne riparlerà piú avanti quando l’alleanza ispano-inglese in funzione antifrancese e poi quella franco-portoghese in funzione antispagnola complicheranno ulteriormente il quadro. Infine sarà Anversa a diventare il punto di riferimento dei Genovesi in quell’area, e in quella sede si perfezionerà, grazie al rapporto con gli Asburgo, l’ormai antica relazione con la Spagna. Tuttavia neppure la scelta filospagnola del 1528 porterà a una rottura tra Genovesi e Inglesi. Infatti, come si è detto, Orazio Pallavicino e la “nazione” genovese di Londra saranno tra i finanziatori dei ribelli delle Province unite, e il Pallavicino, fattosi protestante, fungerà anche da agente segreto per elisabetta I, ricavandone onori e prebende.
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vIII « FRANC COM’EL GENOES… ». UNA STORIA SPAGNOLA nell’area ispanica tra le genti mediterranee Genovesi e Liguri sono un esempio unico per impegno, continuità e durata della loro presenza. non mancano certamente, soprattutto nell’età di Colombo, uomini d’affari Fiorentini, milanesi e Piacentini e navi veneziane e fiorentine solcano le acque atlantiche verso il nord europa. ma, come succede in Portogallo, i Genovesi sono i soli a mettere a disposizione un piú ricco ventaglio di competenze e non trattano solo merci o denaro. La collaborazione tra Genovesi e Spagnoli, questione importante per la complessità e la profondità di un rapporto di lunghissima durata, è uno dei grandi temi della storiografia internazionale. Anche se qualcuno pensa che la loro azione, come quella di altri Italiani, si sia rafforzata solo nel secondo Quattrocento, in realtà essa era già intensissima qualche secolo prima che Costantinopoli diventasse turca. d’altra parte quest’evento – atteso da tempo – non sembra pregiudicare in nulla il rapporto dei Genovesi con i Turchi, da sempre ottimo e che ora deve soltanto essere un po’ rielaborato. Come scrive l’ambasciatore fiorentino niccolò Soderini: « I Genovesi non hanno perduto nulla col Turcho, et vuole buona pace colloro: di che eglino sono tutti di buona voglia et molto allegri ».1 Sia la caduta di Costantinopoli (1453) sia quella di Granada (1492) sono state avvolte da un fumus propagandistico cosí fitto da mascherare la realtà. Infatti in ambedue i casi e per volontà delle parti in causa la situazione era in stallo da tempo. In questo senso è emblematico il caso di Pera. nel 1453 il quartiere genovese non entra nella debellatio di Costantinopoli. Solo due anni prima il sultano aveva rinnovato i patti con i Peroti, i maonesi di Chio e i Gattilusio di Lesbo. L’esito dell’ambasciata, con la quale il 29 maggio stesso il podestà genovese di Pera, Angelo Giovanni Lomellini, offre la resa a maometto II, si ritrova in un privilegio del 1° giugno, in cui vengono 1. Cfr. G. Airaldi, Storia della Liguria, ii. Dal 643 al 1492, Genova, marietti, 2009, p. 336.
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garantiti ai Peroti e ai Genovesi libertà personale, proprietà e libero commercio in tutto l’Impero turco (ovviamente da allora in poi con il pagamento di dazi). Si salvano le chiese, ma non se ne possono costruire di nuove né si possono suonare le campane. In una lettera del 23 giugno indirizzata al fratello, il Lomellini si dichiara orgoglioso di esser riuscito a trattenere un po’ di gente a Pera che, nei tre giorni in cui il sultano ha dato via libera al saccheggio, è diventata centro di rifugio e di contrattazione per il riscatto di prigionieri importanti, come il cardinale Isidoro arcivescovo di Kiev e di tutte le russie, Leonardo di Chio, il bailo veneziano e la sua famiglia. naturalmente in quell’occasione il sultano fa fare un censimento e una registrazione fiscale dei beni, sequestrando quelli dei fuggitivi. dal punto di vista numerico la situazione non cambia molto. Prima del giorno fatale c’erano a Pera 7000 abitanti, poi ce ne saranno 6000. una massiccia immigrazione turca compensa i morti e i fuggitivi, ma ancora nel 1477, dopo tante vicende, si contano 592 nuclei familiari cristiani, 535 turchi, circa mille tra armeni e altri. Certo, oltre alle gravi perdite umane e ai contraccolpi economici (compresa una caduta dei “luoghi” di San Giorgio a Genova, dove giungono molti profughi portando con sé oggetti e codici assai preziosi), ora è il protogerus turco e non piú il podestà genovese a occuparsi di tutto, anche se continua a rimanere in funzione il Consiglio e l’amministrazione della giustizia civile prosegue secondo i vecchi metodi (ma nel 1475 subentrerà un cadí turco). La moneta cambia e gli iperperi sono sostituiti dagli aspri. I Peroti sono assoggettati alla tassa personale annua ( gizyah), non possono tenere in casa propria né giannizzeri né schiavi, tantomeno turchi. Tuttavia, come confermano gli atti rogati in loco da notai genovesi, la vita continua e c’è un sostanzioso movimento di navi. membri di grandi famiglie sono spesso presenti a Pera, dove dimorano Francesco draperio, consigliere di maometto II, e suo genero Tommaso Spinola. È un fatto però che via via tutti gli altri insediamenti cadranno, eccetto Chio che, pur tributaria della Sublime Porta, diventerà punto di riferimento essenziale nei rapporti con la vasta area dell’Impero osmanlo, dove si ampliano ancora i confini del commercio genovese. Caffa cadrà nel 1475, ma Chio resisterà fino al 1566, cioè fino a qualche anno prima di Lepanto, battaglia alla quale infatti Gianandrea doria, che pure ha ereditato dallo zio Andrea la ca81
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rica di Ammiraglio del re di Spagna, manderà solo poche navi a testimonianza del suo scarso entusiasmo per l’impresa. Al momento della presa di Granada gli uomini d’affari genovesi sono ancora attivi in quella sede ed è un membro del potente clan dei Centurione a esprimere « tanta malinconia » per ciò che sta accadendo. nel porto di malaga, nel raffinato lusso di un Alhambra che ancora oggi è la miglior testimonianza dell’intenso scambio di due culture, i Genovesi continuano fino all’ultimo giorno a far parte dell’entourage regio, a esserne rappresentanti e ambasciatori. Anche in questo caso non si tratta solo dei fondaci ricchi di sete, frutta secca e zucchero che gli Spinola, i Cattaneo e altri si vedono sequestrare per rappresaglia nel 1452, come racconta il Liber damnificatorum in regno Granate. Proprio in quest’area è possibile cogliere le diverse sfumature che assume la parola “frontiera”, una variabile che oscilla costantemente tra il mercato, la crociata e la missione.2 Certo non c’è luogo che, come l’Andalusia, possa rappresentare la va2. vastissima è la bibliografia sul rapporto tra Genova e Spagna diversamente modulata sulle relazioni con l’area andalusa moresca e non, la Corona di Castiglia e la Corona catalano aragonese, sicché ci si limiterà a citazioni essenziali di volta in volta in riferimento alla tematica colombiana. Per una messa a punto recente, oltre a quanto già citato, si rinvia a G. Airaldi, Il canone occidentale e la falsa metamorfosi dei Genovesi, in El Mediterráneo medieval y renacentista. Espacios de mercados y de culturas, ed. J. Aurell, Pamplona, Eunsa, 2002, pp. 237-59, e Id., Metafora dell’Occidente, in Genova e la Spagna: opere, artisti, committenti e collezionisti, a cura di P. Boccardo, J.L. Colomer e C. Di Fabio, Cinisello balsamo, Silvana, 2004, pp. 8-17. Cfr. inoltre G. Airaldi-C. varela, Isabella di Castiglia. Una ferrea vocazione al potere, Genova, Costa e nolan, 1992; O.r. Constable, Trade and Traders in Muslim Spain. The Commercial Realignment of the Iberian Peninsula 900-1500, Cambridge, Cambridge univ. Press, 1994; La Spagna nell’età di Colombo, a cura di G. Airaldi e S. Fossati raiteri, Genova, ecig, 1995; En las costas del Mediterráneo occidental. Las ciudades de la Peninsula Ibérica y el reyno de Mallorca y el comercio mediterráneo en la Edad Media, dir. por d. Abulafia y b. Garí, barcelona, Omega, 1996. Aggiornamenti tematici e bibliografici sono reperibili in vari contributi raccolti in Genova. Una “porta” del Mediterraneo, cit.: m.T. Ferrer i mallol, I Genovesi visti dai Catalani nel Medioevo, pp. 137-74; r. Salicru i Lluch, Ecos de aculturación? Genoveses en el mundo islamico occidental y musulmanes en Génova en la Baja Edad media, pp. 175-96; m. González Jiménez, Genoveses en Sevilla (siglos-XIII-XV), pp. 197-212; G. Pagani, Guida agli studi degli ultimi cinquant’anni sulle relazioni tra il Comune di Genova e il Regno di Castiglia nel basso Medioevo, pp. 213-26; A. malpica Cuello-A. Fábregas García, Los genoveses en el reino de Granada y su papel en la estructura economica nazarí, pp. 227-58; d. Igual Luís, Emigración genovesa hacia el Mediterraneo bajomedieval, pp. 295-328.
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rietà e l’unità d’intreccio delle tre culture che vi si incontrano: la cristiana, l’ebraica e l’islamica. In questo senso l’Occidente ha un grande debito culturale nei confronti della Penisola Iberica e di fronte a questa testimonianza impallidisce il trionfalismo di chi fin da allora vede soprattutto nelle spedizioni crociate la chiave di lettura di eventuali “rinascite”. Fin dall’vIII secolo la Cordova degli Omayyadi è diventata la prestigiosa alternativa a bagdad e a bisanzio e la nascita dei reinos de Taifas non ha indebolito la funzione essenziale di quella città, di Siviglia, Granada, malaga né appannato i lineamenti di una vicenda, che vede per qualche secolo l’Islam ispanico illuminare del suo splendore culturale il buio Occidente, sublimando nelle sue vivaci città il patrimonio delle molte culture incontrate nella sua espansione. In quei secoli – come dicono le testimonianze della Geniza ebraica del vecchio Cairo e come ancora nel Trecento, esagerando un po’, ricorda Ibn Khaldûn – era scarsa la preparazione mercantile dei cristiani, che allora « non osavano far galleggiare nemmeno una tavola ». e, tuttavia, sicuramente per quanto riguarda Amalfi e Palermo, e nonostante Genova fosse oggetto di spietate, fruttuose scorrerie, non mancavano costanti contatti commerciali tra le diverse sponde del mediterraneo. I Genovesi frequentano la Spagna in tempi molto precoci, fin da quando sono andati in Siria. Qui, secondo il Calendario di Cordova, in gennaio si mettono i pali agli olivi e ai melograni, si potano le vigne, si raccoglie la canna da zucchero; in febbraio s’innestano peri e meli e i bachi da seta si mettono a “incubare”; in marzo si pianta la canna da zucchero e si innesta il fico; in aprile si seminano tra l’altro, il basilico, il riso, i fagioli, in maggio si raccolgono i semi oleosi; in settembre e ottobre si vendemmia e si battono le olive e cosí via. Palme, vigne, melograni, mandorli e aranci, zucchero, cereali, cotone e lino crescono nelle huertas andaluse. Si conia eccellente moneta aurea. Oro e argento, ferro, rame, mercurio, salgemma, galena, ma anche cristallo di rocca, lapislazzuli, marcassiti, lana e pelli alimentano un artigianato che nell’oreficeria, nel tiraz di Cordova e baza, nelle lame di Toledo, nelle cartiere di Játiva, nel cuoio, nella ceramica, nel vetro e negli schiavi trova le sue voci trainanti. nell’altra Spagna invece – quella cristiana e atlantica – dove nella stessa epoca si incontra il genovese Ogerio costruttore di galee per l’agguerrito 83
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vescovo difensore di Santiago, le ceneri del vescovo Fruttuoso di Tarragona, migrate già sulle coste liguri insieme con il culto di sant’ eulalia, riconducono alla nascita e alla crescita di un’ideologia antisaracena che comincia a prosperare in quell’epoca. ma si è detto che anche le azioni guerresche, condotte a termine allora nel mediterraneo occidentale, hanno un andamento troppo rapsodico per valere come testimonianza di una programmata Reconquista. Solo l’attacco condotto su Almeria e Tortosa negli anni 1146-’48 viene considerato dai Genovesi degno di memoria e celebrazione, ma l’elenco dei centri islamici ricordati nella tariffa vescovile genovese dei primi del secolo XII e nella decima maris arcivescovile del 1143 – ambedue relative ai traffici – attesta ben altri rapporti. d’altronde le prime voci che descrivono Genova medievale provengono proprio dal mediterraneo occidentale e dall’area ispanica. Al-Idrîsî, beniamino di Tudela, al-Zûhri, con le loro entusiastiche descrizioni della città e della leadership genovese in campo marittimo e mercantile testimoniano, in pieno XII secolo, una frequentazione senza problemi. Genovesi, ebrei, islamici non sono alternativi tra loro. Caffaro, pur stendendo le sue opere a fini propagandistici, non nasconde la consapevolezza di esser parte attiva di un contesto in cui, proprio attraverso il mercato, si supera qualunque contrapposizione ideologica e strutturale. Lo dimostra l’insistenza con la quale i Genovesi, pur decisi a ritagliarsi una precisa identità cristiana ed europea, ma maestri nel tessere le fila della storia “che non si vede”, resteranno sempre partner ideali per chiunque, come fin da allora dimostrano gli atti del piú antico registro notarile del mondo, quello del genovese Giovanni Scriba (1154-1164). Caffaro e molti altri, compreso Colombo, insistono e insisteranno sempre sulla conquista o riconquista di Gerusalemme: la partecipazione alla Crociata è il mezzo che il primo storico di Genova usa per “consacrare” il Comune nascente e a quel tema sono legate le “origini” della storia di Genova. ma la decisione del cronista di puntare una luce potente sulle coste ispaniche dimostra che è in atto un progetto piú ampio, che, prosperando sotto la superficie degli atti politici e diplomatici, ha già posto le radici di un fenomeno di interconnessione operativa, nel quale i big genovesi e ispanici – islamici e cristiani – sono destinati a incontrarsi in vista di ciò che veramente considerano un importante fine comune: la ricerca del beneficio. 84
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Il mercato cancella ogni confine, supera l’opposizione tra pubblico e privato, la cronologia politica e l’azione diplomatica. Se nasce qualche problema ciò non significa sempre che ci sia una rottura né implica che vengano meno i presupposti del rapporto e che non si possa tornare a collaborare. La riprova sta nel processo a Colombo; che, se lascia un pesante segno su di lui, non ha invece alcuna conseguenza nei rapporti tra le élites genovesi e quelle castigliane. una netta diversità strutturale delle culture e nei criteri di creatività economica non esclude che vi sia complementarietà nei rapporti politici e commerciali, come accade nelle relazioni tra i Genovesi e l’Islam arabo e turco. Per questo, al di là della propaganda, l’intreccio di interessi in area ispanica coinvolge tutti i “fronti” interessati, senza distinzione di sorta. non si tratta sempre di guerra, ma semmai di un gioco di scambi raffinato, condotto ad alto livello. Il rapporto tra i Genovesi e il regno di Granada è per secoli vivace e fecondo e i protagonisti lo vivono senza soluzione di continuità, nonostante tutte le implicazioni di carattere politico, economico e culturale che il tema della “frontiera” di momento in momento porta con sé. Sono amichevoli e precoci le relazioni che i Genovesi, nella loro ricerca d’oro e di vie alternative all’Oriente, instaurano con al-Andalus, con il marocco atlantico e piú generalmente con tutto il maghreb. Il mercato li ha aiutati a inserirsi nel tessuto andaluso e in questa zona l’operazionefrontiera, innescata dal gioco variabile delle alleanze, dove contrapposizione e tolleranza si intrecciano costantemente, si propone come una palestra importante per la complessa costruzione dell’identità europea. Il legame tra Genova e la Spagna si manifesta in tutta la sua forza e si chiarisce nelle sue diverse sfumature nel corso del duecento, soprattutto nella seconda metà del secolo, quando già esiste un diffuso network internazionale genovese e l’area ispanica ha disegnato definitivamente la sua identità “tridimensionale”, individuabile nell’Islam andaluso, nella Corona di Castiglia e nella Corona catalano-aragonese. emarginata progressivamente la concorrenza pisana, nel corso del XII e per tutto il XIII secolo, i Genovesi hanno fatto del mediterraneo occidentale, il proprio “territorio” e sino alla fine del secolo, quando la Corona aragonese, con barcellona, si rivela davvero il nemico piú pericoloso, questo ruolo non incontra seri ostacoli né da parte cristiana né da parte islamica. 85
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divisa in vari regni, sempre impegnati in continue scaramucce con l’Islam (poi raccolte artificiosamente sotto la denominazione di Reconquista) e in loro guerre interne, l’area spagnola si presenta generalmente come una zona ideale per gli investimenti dei Genovesi, che presto si mettono in concorrenza con gli ebrei, tradizionali finanziatori delle Corone e si specializzano in quegli asientos – prestiti di capitali e di navi – che li differenziano dai contemporanei. Portando in sé e con sé denaro, uomini e navi, essi si inseriscono con facilità in un tessuto in cui la guerra assorbe le energie e gli impulsi delle monarchie, mantiene stabile la struttura della società, garantisce una sussistenza basata prevalentemente sull’economia di consumo. nel corso del secolo XII in zona ispanica si sono creati spazi politici ed economici differenti. L’enclave islamica andalusa, costretta al ridotto granadino a partire dalla metà del duecento, mantiene in vita, con malaga, l’efficienza dei collegamenti che, attraverso l’area marocchina e maghrebina e pur nella crescente subalternità politica dell’Islam peninsulare, le consentono di conservare l’antica funzione di ponte e guardia dello Stretto. nel resto del territorio, oltre alla cerniera della navarra, dominano le due Corone ispaniche destinate ad avere un ruolo dominante a livello internazionale: la Corona di Castiglia e di León, sempre intenta alla conquista di territori interni, e quella catalano-aragonese, realtà polivalente e mediterranea, dove invece cresce la funzione mercantile dei porti di barcellona e di valenza. Pur continuando senza sosta a trafficare con l’area andalusa, tuttavia i Genovesi sono, sia pure a livello privato, parte attiva di quella “colonizzazione”, che, attorno alla metà del duecento, porta la monarchia castigliana a controllare alcuni capisaldi essenziali di al-Andalus, da Cordova e Siviglia fino a Cadice. e qui essi organizzano dappertutto, nei centri maggiori come in quelli minori, la loro presenza; acquisendo, come testimonia il Libro dei Privilegi ottenuti dalla Corona subito dopo la conquista di Siviglia del 1251, quel trattamento di “nazione privilegiata” che resta tale anche quando altri mercanti – fiorentini, piacentini, milanesi – operano sulla stessa scena. Allo stesso modo, sia pur con diverse sfumature, qualche anno prima, essi hanno rafforzato la loro presenza a valenza e nelle baleari, appena conquistate dalla Corona aragonese, anche se la ruta de las islas, che si apre 86
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da quel momento davanti alla Corona ed è destinata a consolidarsi dopo il trattato del 1244, che spartisce le zone di influenza con la monarchia castigliana, finirà per modificare completamente il tradizionale, amichevole rapporto tra Genova e barcellona. ma per ora il porto genovese domina il mediterraneo occidentale e continua a essere presente, con una rete poderosa di controlli, nella sua parte orientale, arrivando fino al mar nero. Ciò avviene anche se i Genovesi si scontrano violentemente al loro interno, questione che resterà sempre incomprensibile agli altri. nel corso del tempo si precisa sempre meglio la fisionomia del rapporto ispano-ligure, che lentamente lascia trasparire le sfumature che lo contraddistinguono. da un lato c’è una città-stato che continua a essere guidata da un’aristocrazia di consorzi familiari, che ampliano il loro network, allargano le maglie della loro aristocrazia del denaro, mutano formule governative, accettando perfino temporanee Signorie straniere in cambio del mantenimento del loro primato nell’ambito della finanza internazionale e in quello, sempre piú combattuto ma ancora sostenuto, in sede mercantile e militare. dall’altro ci sono le “tre Spagne”, che ormai hanno consolidato profili molto diversi tra loro e hanno precisato le differenze di rapporto che ciascuna di esse ha con Genova. Su questa “tridimensionalità”, che, al di là delle specifiche connotazioni interne, appare chiara tra la fine del duecento e la fine del Quattrocento, riposano l’essenza e la complessità del rapporto tra Genova e la Spagna. un rapporto sul quale si è ragionato molto, arrivando a parlare di affinità duale con la struttura dell’altro; un rapporto di lunga durata, che prescinde dalle vicende puntuali o dalle congiunture. Questo spiega azioni di gruppo e performances individuali, tutte intese a perfezionare il progetto fondante, quello di due zone di confine ambedue interessate a spostare la frontiera. un progetto, nonostante giochi su una comunicazione di tipo ellittico, che ne rende difficile la comprensione, che è alla base dell’intreccio di interessi che poi legherà i protagonisti della « repubblica internazionale del denaro » ai loro prestigiosi comprimari imperiali. Le testimonianze castigliane, assieme alla ricchissima documentazione genovese, confermano la solidità di relazioni basate su una collaborazione ad ampio spettro: si presta denaro e si amministrano beni, si appaltano servizi impositivi; ci si occupa della gestione contabile privata e pubblica; 87
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si entra nel gioco delle cariche civili e religiose quando qualche membro delle grandi famiglie decide di vivere per sempre lontano da Genova. Siviglia è colma di Genovesi, noti o meno noti, già due secoli prima di diventare la “porta delle Indie”. Lo stesso succede per Cordova, Cadice, Jérez de la Frontera e per altre sedi, piú o meno importanti. Si rafforzano cosí – ma è solo un esempio – rapporti proficui con i grandi signori andalusi, i medinaceli e i medina Sidonia, che controllano terre ben popolate, coste e tonnare, produzione di olio e naviglio, e che guardano con attenzione alle sperimentazioni atlantiche. Si tratta di commercio grande e piccolo, di operazioni di maggiore o minore impegno finanziario, di un costante andirivieni di artigiani e di marinai, che spesso poi si fermano in quell’area densa di proposte. Proprio alla corte di Alfonso X, il trovatore bonifacio Calvo, membro di uno dei consortili piú prestigiosi di Genova (è parente dell’ambasciatore che sigla per Genova l’atto del 1251, in cui si confermano quartiere e situazione privilegiata dei Genovesi nella Siviglia appena conquistata), tra un affare e l’altro scrive sirventesi che incitano il sovrano alla guerra. I suoi discendenti saranno tra i banchieri dell’Ammiraglio. In realtà non sarà solo la Corona a voler controllare Colombo dato che la lobby genovese, ben presente in tutta la vicenda colombiana, intende ricavarne i suoi frutti. La “nazione” genovese di Siviglia, con il suo quartiere, il suo Libro dei Privilegi e le sue tradizioni, ha una lunga storia; quella che raccontano le innumerevoli testimonianze dell’Archivio notarile e dell’Archivio delle Indie e che, senza soluzione di continuità, si riconnettono perfettamente alle notizie conservate all’Archivio di Simancas e all’Archivio di Stato di Genova. Sempre a Siviglia si conserva quel che resta della biblioteca dell’Ammiraglio. A Siviglia, come si è detto, sono rappresentati ben 21 dei 28 “alberghi”, che a Genova controllano il dogato e tutte le cariche piú importanti. La “via di Genova” cosí come la “madonna di Genova” restano ancor oggi a testimoniare la presenza di una natio composta dai piú importanti capitalisti del tempo. nel 1469, anno di carestia e peste, sono i Genovesi, in ogni epoca monopolisti del mercato del grano per tutta l’europa, a rifornire Siviglia del prezioso alimento. nel 1473, in occasione di un’altra carestia, la città deve nuovamente acquistare grano da un gruppo di importatori, di cui a fronte 88
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di 39 Genovesi figurano solo 7 mercanti di burgos, 4 Inglesi, 2 veneziani e 2 Fiorentini. nel 1489, sotto gli auspici dei consoli rufo doria e bernardo Grimaldi, le casate genovesi a Siviglia rispondono positivamente a Isabella di Castiglia, che chiede e ottiene il prestito di un milione di maravedíes, necessari a coprire le spese per la guerra di Granada.3 Per restare all’età di Colombo si può ricordare, a titolo di esempio, il caso dell’alleanza Centurione-Pinelli, fondamentale nella vicenda colombiana. I Centurione, presenti a bruges, Londra, Toledo, Cadice, Granada, Siviglia, maiorca, Sousse, marsiglia, rouen e in tutte le zone di “fiere” finanziarie, compresa medina del Campo, sono titolari delle miniere di Almadèn e di Tolfa, mercanti in molti settori, compreso quello delle monete di oro e di argento. Sono i piú importanti banchieri di Siviglia se non dell’intera area castigliana. Attivi anche in zona di controllo della Corona aragonese, in modo particolare a valenza, centro importante per le seterie e per i velluti in cui i Liguri hanno grande peso, intrecciano costantemente affari con i parenti Pinelli. una nipote del ricco e potente Francesco Pinelli, Argentina, ha sposato martino Centurione. I Centurione operano in sintonia con il converso Luís de Santángel, escribano de ración del re Fernando. Francesco Pinelli e il Santángel, oltre a controllare la tesoreria della Santa Hermandad (da dove prendono una parte dei fondi per il primo viaggio di Colombo), gestiscono pure le decime della cruzada, altra importante fonte di finanziamento. Inoltre Francesco, imparentato con il papa genovese Innocenzo vIII, agisce in veste di procuratore dei parenti Centurione, titolari della depositería per la zona Castiglia-León; Luís copre invece le zone di pertinenza della Corona aragonese, comprese quelle siciliane. Il Pinelli – ricchissimo uomo d’affari e banchiere, nonché jurado e fiel ejecutor nel Consiglio sivigliano –, è sposato con maria de la Torre e ha una splendida dimora, ricca di preziosi arazzi. Crea ed è primo gestore della Casa de Con3. Al pionieristico libro di r. Pike, Entreprise and Adventure. The Genoese in Seville and the Opening of the New World, Ithaca-new York, Cornell univ. Press, 1966, è seguita una nutrita serie di studi. Per un primo rinvio, cfr. Genova e Siviglia. L’avventura dell’Occidente, a cura di G. Airaldi et al., Genova, Sagep, 1988, e G. Airaldi-e. Parma, L’avventura di Colombo. Storia immagini mito, Genova, Fondazione Carige, 2006. una raccolta di ricerche in L. d’Arienzo, La presenza italiana in Spagna al tempo di Colombo, roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, 2010.
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tratación sivigliana esemplata sulla portoghese Casa da India, che egli controlla dal 1503 al 1509, insieme con tutti i traffici per le zone americane. Già cointeressato nel secondo viaggio, insieme con Francesco Cattaneo, Francesco doria, Gaspare Spinola e Francisco de riberol (rivarola) nonché con i tre Centurione – martino, Agostino e Pantaleone – il Pinelli presta un milione di maravedíes a Colombo, capitale necessario a costituire l’ “ottavo” da investire nel terzo viaggio. Francesco Pinelli e i suoi figli sono amici carissimi dell’Ammiraglio e della sua famiglia e li sovvenzionano con la loro banca associata ai Centurione e ai Grimaldi, un clan di grande peso che ha molto spazio nella vicenda colombiana. Con duarte Scaglia (escaja), altro amico di Colombo, anche bernardo Grimaldi è tra i ventidue Genovesi coinvolti nella conquista delle Canarie. Cristóbal Cattaneo è contador (‘amministratore’) del duca di medina Sidonia ed ha l’appalto della riscossione delle entrate di Llerena e Callera; Francisco Cataño, grande amico di Colombo, invia da Cadice panni, schiavi, ambra, zanne di elefante; Anfreon Cataño è agente a Safi; rafael è contador nel terzo viaggio di Colombo. d’altronde la loro famiglia è ai vertici della società iberica. Francisco tiene per Colombo i contatti con Gianluigi Fieschi, patriarca della grande famiglia presente in tutta europa e capo della fazione filofrancese a Genova, come meglio si vedrà. manuele è canonico della cattedrale di Siviglia, dove, insieme ad altre famiglie, ha una cappella privata. Ovviamente i Cattaneo sono presenti in altri paesi. Anche in età contemporanea i clan genovesi opereranno in questo modo, diramando loro membri in tutto il mondo e in tutte le condizioni: ciò serve da apprendistato, da infiltrazione e da controllo. Tra i contadores del duca di medina Sidonia – gente che oltre ad amministrare anticipa spesso denaro – ci sono molti Genovesi e tra loro compare nuovamente bernardo Grimaldi che, a un certo punto, ricava da queste operazioni piú di un milione di maravedíes e ha in casa sua pegni del duca quali oro, argento e pietre preziose. da parte sua, nel 1502, Francisco de riberol gli presta trentamila maravedíes e traffica per lui in olio, lingotti d’oro e velluto. Giacomo de riberol prende in appalto le rendite del sapone e gli Spinola trafficano con le sue tonnare. Suoi “paggi” e criados sono un Lercari, un Sopranis, uno Spinola e un Cattaneo e molti portano con sé la loro gente, tra cui un bottaio e un carrettiere liguri. 90
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nell’età di Colombo, incardinati nell’aristocrazia locale, i Genovesi sono asientisti, signori della guerra, monopolisti di zucchero, frutta secca e oricello, amministratori delle famiglie aristocratiche (a cui prestano denaro), mercanti di tessuti, appaltatori di forniture e imposte, titolari di cariche altissime a livello statale e locale, laico e religioso. Solo a Siviglia si va dagli oltre venti membri della famiglia Spinola (espíndola) a oltre una decina di Pinelli (Pinelo). molti sono i Cattaneo (Cataño), i Grimaldi (Grimaldo), i Centurione (Centurión). Ci sono de Fornari (Forne), Giustiniani (Justinián), Gentile (Gentil), Castiglione (Castellón), vivaldi (vivaldo), Adorno, Lomellini (Lomelín), di negro, Salvago, Sopranis, doria, Calvo, Cassana e cosí via. Come dice il sivigliano Luis de Peraza, che ne descrive il modus vivendi, si tratta di gente « prudente » che sa come arricchirsi senza perder di vista la carità, che ha organizzato bene la sua vita e non dimentica mai le sue radici genovesi. molti di loro stanno per andare in America, sicché poi i Cattaneo, i Grimaldi e i Centurione celebreranno nei loro palazzi genovesi le glorie “americane” di famiglia. Invece i rapporti dei Genovesi con la Corona aragonese sono molto diversi, tesi sul filo della sfida concorrenziale lanciata, a partire dalla fine del duecento, dai mercanti catalani nell’area mediterranea. una tensione costante anima il rapporto genovese-catalano e torna in mente ciò che ha scritto ramón muntaner, il cronista che crea per la Corona catalano-aragonese il mito dell’ “altro” e, ai primi del Trecento, disegna l’immagine di una monarchia che è modello politico ideale da contrapporre al nemico del momento: il Comune genovese. da una parte ci sono i mercanti-cavalieri; dall’altra, i mercanti-pirati, gente senza parola, affamata solo di facile bottino. muntaner nasconde le vere ragioni della sua aggressività: parla dei contrasti in Oriente, mentre l’attualità si gioca sullo scontro per la Sardegna, che i Genovesi difendono a cominciare dai doria, ma che ormai – come la Sicilia – è destinata a entrare nell’orbita aragonese. In effetti la storia della Corona d’Aragona rappresenta un caso a sé. Giacomo I (1213-1276) ha fatto una scelta politica che ha portato la Corona sul mare e all’inevitabile scontro con i Genovesi. Tra due e Trecento si spezza definitivamente l’antica alleanza tra Genova e barcellona. Al tempo della spedizione di Almeria e Tortosa i de volta avevano ottenuto la Signoria di Flix, restando poi tra i “fedeli” della Corona. e ottimo era sem91
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pre stato il rapporto con valenza e con maiorca. Poi la nuova politica di Giacomo I e l’apertura della « rotta delle spezie, rotta delle isole » avevano spezzato l’armonia. Per i mercanti catalani piú ancora che per quelli genovesi il mediterraneo occidentale, area privilegiata della loro eccellenza, è essenziale. In ogni caso, alla fine del duecento la Corona catalano-aragonese è ormai una potenza mediterranea affermata, alla pari con Genova, venezia, le Corone di Francia e d’Angiò sempre alleate tra loro. È presente e attiva dal maghreb fino all’egitto, alle baleari, alla Sicilia, alla Sardegna e in area greca. Il Tre e il Quattrocento non sono che una sequenza di guerre e di paci tra Genova e la Corona d’Aragona anche se l’esistenza di un consolato catalano a Genova e la presenza dei registri del Drictus Catalanorum, conservati fino a oggi nell’Archivio di Stato genovese testimoniano l’esistenza di un traffico regolare e costante. dato che il raggio d’azione della Corona d’Aragona resta essenzialmente nel mediterraneo, è evidente che la situazione non cambia neppure all’epoca del matrimonio di Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia (1469). Le due Corone, peraltro legate solo da un’unione personale, hanno caratteristiche e interessi molto differenti. L’unione matrimoniale non porta i Catalani né alle Canarie né in America, ma i cardinali di casa borgia – papa Callisto III e soprattutto Alessandro vI, il pontefice della “scoperta” – contano molto nella storia dell’espansione e delle relazioni internazionali. Tuttavia è chiaro che le situazioni dei due regni si influenzano vicendevolmente. Il matrimonio di Fernando con Isabella provoca una serie di guerre con il Portogallo, che si risolveranno solo con il trattato di Alcaçovas-Toledo (1479-’80). La questione mediterranea è un problema della Corona d’Aragona e provoca scontri con gli Angiò e la Francia. da quando Alfonso v sale al trono di napoli l’urto con Genova s’inasprisce. I Genovesi portano la guerra fin nel porto di barcellona e Alfonso sulle coste della Liguria. dopo la vittoria genovese di Ponza (1435) lo scontro continua e vede, per breve periodo, la presenza dei Catalani a Lerici e Portovenere. Fernando d’Aragona e il suo circolo catalano non amano Colombo forse perché l’Ammiraglio ha lavorato per renato d’Angiò e continua a mantenere rapporti con i Fieschi legati alla Corona di Francia, dal 1499 signora di Genova. non a caso Colombo è appoggiato, invece, dalla regina Isabella legata alla potente lobby tradizionalmente vicina alla Corona castigliana. 92
IX IL MARE, UNA MUTEVOLE FRONTIERA nella lunga e densa storia dei rapporti tra i Liguri e l’area iberica sono molti gli esempi che costituiscono una sorta di preludio alla “scoperta” e che possono essere letti come variabili interpretative di una ricerca che accomuna élites di origine diversa.1 Tra coloro che sono definiti dalla storiografia « precursori di Colombo » c’è Lanzarotto malocello, discendente di un’antica stirpe di uomini d’affari signora di terre in Liguria e di navi e autore, in una data collocabile forse nel 1312 ma piú probabilmente tra il 1338 e il 1339, di una scoperta o riscoperta delle Canarie. Lo rivela il vessillo genovese disegnato sulla carta di Angelino dulcert e il nome dell’isola – Lanzarote –, probabilmente governata da lui per vent’anni. Si dichiareranno suoi eredi i francesi maloixel. nel 1341 partono da Lisbona il genovese nicoloso da recco e il fiorentino Angiolino del Tegghia Corbizzi, che esplorano l’arcipelago delle Canarie. un’impresa che – come si è detto – Giovanni boccaccio, figlio di un mercante e legato ai fiorentini bardi, memorizza nel suo De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis, in cui per la prima volta si parla dei Guanci. Porta la data del 12 dicembre 1455 la lettera che Antoniotto usodimare, membro dell’antica e nota famiglia, invia ai suoi parenti, nella quale descrive il suo viaggio alle foci del Gambia, da dove poi ha risalito il corso del fiume. Antoniotto va alla ricerca di quell’oro africano che, in alleanza con i Centurione, cerca pure Antonio malfante, di cui resta una missiva, inviata al parente Giangiacomo marihoni, relativa al suo viaggio verso l’oasi di Tuat nel 1447, una zona di cui i Genovesi hanno notizie certe già nel duecento. 1. Sull’esplorazione e colonizzazione atlantica sono a tutt’oggi essenziali i lavori di Ch. Verlinden, di cui si rinvia qui solo alla sintesi Gens de mer mediterranéennes en Espagne et Portugal (XIVe-XVIe siècles), in Le genti del mar Mediterraneo, cit., i pp. 625-42. Cfr. anche F. Fernández Armesto, Before Columbus. Exploration and Colonisation from the Mediterranean to the Atlantic, 1229-1492, London, macmillan, 1987 (Philadelphia, univ. of Pennsylvania Press, 19922), e Airaldi, Dall’Eurasia, cit., passim.
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mercante di zucchero e di schiavi diventa Antonio da noli, membro di una famiglia di cartografi, che, lasciata Genova nel 1461 insieme con un fratello e un nipote, diventa “capitano donatario” di Santiago nell’arcipelago Capoverdiano, da lui in parte scoperto. Lí morirà nel 1497, lasciandone erede una femmina, dopo aver oscillato tra le Corone portoghese e castigliana, come fanno, in interessante analogia di comportamenti, Colombo, vespucci e i due Caboto. La sua storia non è troppo dissimile da quella dell’ammiraglio Pessagno, e ancor piú da quella di Colombo, che probabilmente lo conosce, dato che segnala l’« isola di Antonio ». Per molti versi simile alle precedenti è la vicenda di Francisco de riberol, che investe denari nel primo viaggio colombiano e poi in imprese americane insieme con Francesco doria, Francesco Cattaneo, Gaspare Spinola e altri Genovesi. nel 1492 il de riberol partecipa con il galiziano Alonso de Lugo alla conquista castigliana delle Canarie, ottenendone terre, poi dedicate alla coltivazione della canna da zucchero, e il monopolio dell’oricello. da Cadice suo fratello Cosma traffica molto in zucchero e schiavi tra le Canarie e la Spagna. L’introduzione della canna da zucchero nell’area portoghese risaliva ai primi anni del Quattrocento ed era stata subito inoltrata a madera, dove il capitano donatario di machico, Tristão vaz de Texeira aveva un genero genovese. Anche madera entra a far parte della rete genovese con i Cattaneo, i Gentile, i Lomellini, gli usodimare, i di negro e altri ancora. Colombo ci va per una partita di zucchero, a ridosso del 1479 – l’anno del trattato di Alcaçobas, che segna una prima spartizione oceanica tra Portogallo e Castiglia –, per conto di due membri del clan di negro e Centurione. Qui i piú importanti proprietari dei mulini da zucchero, con gli Adorno, sono i Lomellini (monopolisti del sughero portoghese e piú tardi del corallo tabarchino), mentre nelle Canarie, oltre ai riberol ci sono altri, compresi i Giustiniani, che, inter alia, controllano il monopolio del mastice di Chio. Tutti nomi che si incontrano in America, come quello dei Cassana, di cui uno è agente in Tenerife e un altro controlla la situazione a Terceira. In questa temperie e in questo mondo ligure disperso in varie parti si collocano perfettamente sia la lettera che il savonese michele da Cuneo scrive all’amico Gerolamo Aimari (ambedue appartengono all’ “albergo” 94
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di negro), al ritorno dal secondo viaggio fatto insieme con l’altro amico Colombo, sia la missiva che Gerolamo da Santo Stefano (poi in rapporti con l’Ammiraglio) scrive sul suo viaggio in Asia con Gerolamo Adorno, morto là nel 1496. A quel tempo Porto Santo è una capitanía, di cui bartolomeo Perestrello, padre di Felipa, consorte di Colombo è stato il primo titolare nel 1446. Le operazioni su Porto Santo e madera sono state condotte tra il 1418 e il 1420. Poi sono venute quelle sulle Azzorre nel 1427. Come molti suoi compagni d’avventura, bartolomeo, fedele del principe enrico, è cavaliere dell’Ordine militare di « Santiago de la espada », che, insieme all’Ordine del Cristo, partecipa intensamente alla colonizzazione atlantica. L’Ordine di Santiago ha nel monastero di Todos os Santos a Lisbona un centro femminile, dove è possibile incontrare, in veste di comendadora, la moglie di uno degli ammiragli Pessagno e dove Colombo trova la sua sposa. Questa è una delle tante prove dell’esistenza di uno stretto rapporto tra la vicenda di Colombo e la “cupola” dei Genovesi. Come si è detto, dal 1° febbraio 1317 fino al 10 giugno 1484 l’ammiragliato portoghese è nelle mani di una dinastia, ormai ben radicata in Portogallo e inquartata con le principali famiglie locali, che ha partecipato a pieno titolo con i suoi adepti all’espansione portoghese e, come si è visto, parteciperà attivamente con i suoi discendenti e con vasco da Gama – anche lui cavaliere di Santiago – alle operazioni di guerra e commercio in area indiana. Sempre all’Ordine di Santiago infine è legata la costruzione della mina di Guinea iniziata nel 1481, dove Colombo ricorda di essere stato, certamente dopo tale data (forse con Colón il vecchio?).2 È evidente il legame che esiste tra le famiglie dei grandi operatori del mare e del commercio genovesi e la piú importante aristocrazia locale non2. Sull’importanza dell’ordine di Santiago per l’espansione portoghese cfr. d.W. Lomax, Los Ordenes militares en la Península ibérica durante la Edad Media, Salamanca, Inst. de Historia de la teología española, 1976, e As Ordens militares em Portugal. Actas do i encontro sobre ordens militares, Palmela, 3-5 março 1989, coord. P. Pacheco e L.P. Antunes, Lisboa, ed. Colibrí-municipal de Palmela, 1991; Monaci in armi, a cura di F. Cardini, roma, retablo, 2004; L.A. da Fonseca, La colonia italiana in Portogallo, l’Ordine di Santiago e Colombo, in Genova Europa Mondo. Cristoforo Colombo cinque secoli dopo. Atti del Convegno internazionale di Genova, 19-20 maggio 2006, a cura di m. Macconi, Genova, Frilli, 2006, pp. 53-73.
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ché la loro partecipazione a pieno titolo nella composizione e nell’azione degli Ordini militari, che, oltre a essere grandi protagonisti dell’espansione, hanno pure un’importante presenza nella vicina Castiglia. È altrettanto evidente che il matrimonio di Colombo dimostra il suo ingresso nel potente circolo, di cui forse non sono solo i Pessagno a far parte, ma altri Genovesi naturalizzati e i loro parenti d’acquisto, Portoghesi o Castigliani. Quando Colombo fugge dal Portogallo nel 1485, egli porta comunque con sé le raccomandazioni e i privilegi che gliene sono venuti e, infatti, anche in Andalusia continua a essere legato all’ambiente portoghese. Inoltre occorre tenere presente il rapporto multipolare tra gli Ordini militari, le Corone e la Chiesa romana. resta il fatto che nelle grandi “multinazionali” familiari genovesi, ben ramificate e inquartate in tutto il tessuto occidentale e in particolare in quello ispano-portoghese, entrano sempre – direttamente o indirettamente – gli ammiragli. L’Ammiraglio costituisce un punto di riferimento o meglio un polo aggregante, una tutela di molte altre famiglie, grandi e meno grandi, unite in un tessuto operativo che si ripropone all’estero identico a quello originario. È la ribellione dei braganza e di diego, duca di viseu che gode la protezione dell’Ordine di Santiago (a cui prendono parte anche il marchese di montemayor e il conte di Penamacor, sposati con due cugine della moglie di Colombo), la ragione della fuga di Colombo e del rinvio del già programmato viaggio alle Indie di vasco da Gama, altro cavaliere dell’Ordine, poi incorporato alla Corona nel 1499. L’investimento in un’impresa atlantica, seppur modesta come il primo viaggio di Colombo, rappresenta comunque un rischio. Ancora oggi, nonostante tutti i calcoli fatti, è sempre difficile valutarne la vera entità, mai apertamente dichiarata da chi opera nel mondo degli affari ed è continuamente a caccia di possibili, fruttuose collocazioni del proprio capitale. L’investimento diventa piú alto e piú evidente solo se le cose funzionano. Capita cosí anche nel caso di Colombo, una vicenda in cui inizialmente la lobby genovese appare abbastanza defilata – di fatto agisce in prima linea il solo Francesco Pinelli – mentre si manifesta in maniera decisa nei viaggi successivi. d’altra parte ancorché i capitali dei Genovesi in queste imprese siano tutti privati e di piccolo impegno, è un fatto che prima e dopo di allora essi confermano la costanza e la coerenza del disegno che ne anima 96
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l’impiego, ben leggibile nella periodicità dei tentativi compiuti per spostare la frontiera. La natura delle forme di alleanza messe in atto si coglie perfettamente se si analizzano le varie fasi dell’esperienza colombiana, ricostruibili in un iter che ne comprende tutte le variabili, dalle Capitolazioni di Santa Fe al primo e agli altri viaggi, in cui l’abituale collaborazione tra lobby genovese e Corona castigliana è temperata dal rischio che l’operazione comporta e poi temporaneamente messa in crisi dall’inatteso risultato. Ciò fa ritenere a qualcuno, per molti indizi, che il viaggio colombiano notificato subito a tutti sia stato solo quello ufficiale, condotto dopo sperimentazioni precedenti compiute dall’Ammiraglio stesso. d’altro canto ogni viaggio di Colombo o di suoi predecessori e continuatori dovrebbe essere esaminato come caso a sé e sotto questa luce. La formula di base; che ben si coglie nella vicenda colombiana e nella crisi del 1500, consente di spiegarne tanto le ragioni quanto gli esiti “politici”. In questo senso va letta la pesquisa (‘inchiesta’) di bobadilla. Colombo sa bene, e lo dice apertamente, che c’è una lobby alle sue spalle, la stessa che lo sorveglia costantemente. bartolomeo Fieschi è sempre accanto a lui e altri di buon nome, sia pur in ruoli apparentemente dimessi, vanno subito con lui all’Hispaniola. Le lobby genovesi che operano nelle corti europee ed extraeuropee sono fortissime. Fedele a stretti criteri di privacy nonché a principi di neutralità, la lobby appare e scompare. nel caso di Colombo, a seconda del momento, sostiene in modo evidente l’Ammiraglio o scompare dietro le quinte, come fa ogni volta che è in gioco il tema della “frontiera” sia nell’area ispanica, sia sull’Atlantico, sia con i Turchi. La lobby che ha a che fare con lui è di natura composita, ossia è formata da nomi che appartengono alla vecchia e alla nuova aristocrazia. Si tratta di gente che da secoli ha relazioni costanti con la corte castigliana, è già inserita nell’élite civile e religiosa locale e da tempo gestisce monopoli e presta denaro. È naturale che, in una relazione di lunga durata, qualche frizione ci sia. dopo la rottura del 1500 il sereno tornerà presto, anche perché si risolveranno pure le problematiche relative alla questione napoletana. I nomi della lobby che vigila sulla corte sono gli stessi che compaiono costantemente nella vita e negli affari di Colombo. Sono gli Italiano (In97
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teriano), i Grimaldi, i Centurione, i di negro, gli Spinola, i doria, i Fieschi e via dicendo. Sono i nomi che si ritroveranno alla corte di Carlo v. basta scorrere l’epistolario colombiano per accertarsene. Secondo le Capitolazioni di Santa Fe spetta – tra l’altro – all’Ammiraglio il monopolio del controllo dei traffici oltre a una parte cospicua degli introiti. Sembra molto e certo lo è. va detto però che inizialmente nessuno sa bene a che cosa si va incontro; inoltre si sa perfettamente che Colombo ha degli obblighi non solo con la Corona castigliana ma anche con altri, e cioè con chi è e sarà sempre disposto ad allargare i cordoni della borsa per lui, per i suoi viaggi e per la sua famiglia. In questo senso hanno forse qualche ragione i francescani che, scrivendo da Santo domingo al cardinal Cisneros, non solo definiscono lui e i suoi fratelli Faraones, ma sostengono che l’Ammiraglio vuol cedere l’isola ai Genovesi. da un certo punto di vista ciò corrisponde alla verità: Colombo è uomo di una lobby e a essa deve rispondere. La sua è una posizione altalenante: all’inizio molto comoda e protetta, alla fine molto scomoda e inerme. È difficile dire, quando si difende a spada tratta, se lo fa solo per tutelare i suoi interessi o per difendere quelli di chi lo sostiene e lo finanzia. e quando si rivolge al banco di San Giorgio e al potente Gianluigi Fieschi, se lo fa per sé o per rifarsi alla tutela di una lobby, che in quel momento ha preso qualche distanza da lui. Colombo è un “pratico” ben piazzato, che ha alle sue spalle potenti gruppi di uomini di affari di cui è espressione e strumento. essi sono e restano sempre il suo riferimento, come appunto dimostra la loro presenza al suo fianco nei ruoli piú vari, dai piú alti ai meno evidenti secondo il buon uso genovese, che vede nella piramide sociale costruita attorno al grande clan e disegnata a sua immagine, la formula che ha costruito il piú forte e ampio network del tempo. d’altra parte il gioco lobbistico va ben al di là dell’investimento in eventuali “scoperte”. nella carenza di liquidità e nella fame d’oro che caratterizza quell’epoca, anche le continue guerre europee per terra e per mare nel mediterraneo e nell’Atlantico sono una notevole pompa aspirante di capitali, uomini e navi. Anzi quegli scontri trovano alimento e perfino causa nei giochi del mercato e del capitalismo già cosí vivaci a quell’epoca. Lo si vede nelle alleanze di veneziani e Genovesi con i poteri occidentali, come dimostra la storia degli ammiragli Colón di cui si parlerà. Gran par98
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te delle enormi fortune del già ricordato « secolo dei Genovesi » deriva dallo stato di guerra che domina il tardo medioevo e l’età moderna. buona parte degli scontri mediterranei nasce per il controllo delle vie di comunicazione peninsulari e marittime; ma un’altra e forse piú sostanziosa porzione è legata allo spostamento della frontiera o al consolidamento di altre già esistenti. Fin dalla prima età basso medievale la lobby genovese è il convitato di pietra della storia di Castiglia. Andrea doria e Adamo Centurione e poi Ambrogio Spinola, il conquistatore di breda, sono solo alcuni dei nomi che portano al massimo queste esperienze al tempo di Carlo v e dei suoi successori. Certo la storia dice che sarà soprattutto la Corona spagnola a usufruirne, ma come è stato ampiamente dimostrato, la funzione del capitale genovese supera largamente il famoso secolo e interessa ancora l’Austria imperiale, la Francia napoleonica e buona parte dell’azione politica risorgimentale. dunque Colombo ha un compito preciso. Indubbiamente quel viaggio ha un senso per lui, che, dalle Capitolazioni di Santa Fe in poi, non fa altro che seguire una procedura già usata da altri. Certamente ne ha per una Corona ansiosa di inserirsi in un’operazione atlantica di cui, anche dopo il trattato di Alcaçovas, ha un ruolo secondario. entrare in concorrenza con la Corona portoghese non è facile. nel 1488 i Portoghesi hanno superato il Capo Tormentoso – da allora in poi Capo di buona Speranza –, segno della riuscita di un caminho da India praticato da chi ha saputo battere con tenacia la costa africana. Inoltre fin dal Trecento essi si sono mossi con decisione verso le isole atlantiche e hanno perseguito un dominio del mare e dei traffici quando ancora le altre Corone europee se ne disinteressavano; o, come capita alla Corona francese nel secondo Quattrocento, sono imbrigliati negli scontri con la Corona d’Aragona per la parte mediterranea e con la Castiglia nell’area atlantica, proprio in alleanza con la Corona portoghese. ma il viaggio ha ancora piú senso per gli uomini d’affari genovesi, anche se non lo dimostrano subito apertamente, dato che, come al solito, giocano su piú tavoli. Infatti mentre Colombo e la lobby locale trattano alla corte spagnola, suo fratello bartolomeo si reca presso le corti inglese e francese, dove sono attivi altri rami delle stesse lobby. Certo sarebbe errato pensare che, pur nella valenza patriarcale del sistema, tutto partisse 99
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dai clan di Genova e ancor piú errato sarebbe pensare che i benefici derivanti da quel sistema ricadessero sul Comune. Fin dai tempi della Compagna, il sistema prevede un costante arricchimento dei clan e un altrettanto costante saccheggio del Comune. Che, nonostante le sue intitolazioni variabili nel tempo, resta sempre una società di capifamiglia che si spartiscono insieme ai ruoli pubblici pure il controllo del banco di San Giorgio. Ci sono sempre crisi, ma all’estero esiste una naturale collusione tra gli “alberghi” nobili e quelli popolari. A Genova le grandi famiglie continuano a fare le loro politiche anche in tempi di signoria straniera. non è un caso che nell’ultimo periodo della sua vita Colombo scriva a Gianluigi Fieschi, capo della famiglia che piú conta in quel momento, e al banco di San Giorgio. La prima organizzazione di debito pubblico si trasforma presto in istituto bancario e di emissione, in compagnia coloniale e di navigazione, con eserciti e flotte proprie e con proprio personale, e amministra le risorse fiscali, facendo da tesoreria e ricevitoria e infine da polmone finanziario della repubblica. Certamente è questo per tutti, come dice machiavelli, il vero “Stato” genovese. Affascinata dalla storia politica di cui restano sempre piú informazioni e assai meno favorita dai voluti silenzi dell’economia, la ricerca dà poco spazio alla storia “che non si vede”. d’altra parte né le ragioni né i tempi dell’economia sono gli stessi della politica e, in piú, mercato e finanza vanno per conto loro rispetto a una diplomazia che ne viene costantemente condizionata, guidata e superata. Ci si può chiedere allora chi abbia mandato il giovane Colombo presso Luís de la Cerda, il potente duca di medinaceli, a parlargli del suo progetto, come piú tardi il duca stesso racconterà al cardinale don Pedro González de mendoza, arcivescovo di Toledo: reverendissimo Signore, non so se vostra Signoria sa che io ebbi in casa mia per molto tempo Cristoforo Colombo, che veniva dal Portogallo e voleva recarsi dal re di Francia per potersene andare a cercare le Indie con il suo favore e aiuto; e io avrei voluto provarci e mandarlo da Porto Santa maria, dato che avevo una buona attrezzatura di tre o quattro caravelle e non mi chiedeva di piú. Però come vidi che questo affare era per la regina nostra Signora, lo scrissi da rota a Sua Altezza e mi rispose di mandarglielo. Io allora glielo mandai e supplicai Sua Altezza, dato che non volli tentare io stesso e lo indirizzavo al suo servizio che mi facesse grazia
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ix · il mare, una mutevole frontiera e parte in quello e che il carico e scarico di questo affare avvenisse nel Porto. Sua Altezza lo ricevette e lo affidò ad Alonso de Quintanilla. egli mi scrisse da parte sua che quest’affare non gli sembrava troppo sicuro; tuttavia se fosse riuscito, sua Altezza mi avrebbe fatto grazia e avrebbe dato parte in esso. e dopo averlo ben esaminato stabilí di mandarlo a cercare le Indie. Saranno otto mesi che è partito e ora è tornato a Lisbona e ha trovato tutto quello che cercava e perfettamente; ciò che subito io ho saputo. e per far conoscere tanto buona nuova a Sua Altezza, glielo scrivo con Suarez e lo invio a supplicare che mi faccia grazia che io possa inviare ogni anno là alcune caravelle mie. Supplico vostra Signoria che voglia aiutarmi in questo e che la supplichi da parte mia perché si è trovata tanto grande cosa come questa grazie a me e perché l’ho tenuto in casa mia due anni e l’ho indirizzato al suo servizio. dato che di tutto piú ampiamente la informerà Suarez, supplico che gli creda. Conservi nostro Signore la vostra reverendissima persona come vostra Signoria desidera. dalla mia “villa” di Cogolludo, il 19 di marzo [1493] baciamo le mani di vostra Signoria Luís3
3. Cartas de particulares, cit., pp. 144-46.
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Parte II
un uOmO TrA due mOndI
I « …SIENDO YO NACIDO IN GÉNOBA… »
Colombo nasce nel 1451, quando nel mediterraneo occidentale la situazione è complessa e la sua città è nel mirino di milano, della Francia e della Corona aragonese. Le ovvie aspirazioni dei vicini sono sostenute dall’interno da fazioni di grandi capitalisti schierate ora con l’uno ora con l’altro contendente anche nell’ambito dello stesso clan. Se, stando al fiorentino Soderini, nel 1453 davvero i Genovesi « non hanno perso nulla con il turco », in quell’anno però la flotta aragonese punta sulla Corsica e, l’anno seguente, arriva sotto Genova. L’isola viene ceduta in gestione al banco di San Giorgio e cosí pure capita per le colonie del mar nero. nel 1453 diventa arcivescovo di Genova Paolo Fregoso, fratello del doge Pietro, uomo di notevoli capacità e di altrettanto notevoli ambizioni. Il giovane è parte attiva di un gruppo di esponenti dei clan di punta, con i quali giocherà un ruolo fondamentale nella politica internazionale del tempo. Tra i suoi amici c’è Obietto Fieschi, fratello di Gianluigi, il patriarca del clan, e ci sono Francesco e Giuliano della rovere e Gianbattista Cibo, tutti e tre destinati al soglio pontificio e membri di famiglie imparentate tra loro. In quell’epoca già un altro pontefice ligure, nicolò v (Tomaso Parentucelli di Sarzana), ha emanato bolle relative all’espansione. La Dum diversas (1452) e la Romanus Pontifex (1454) hanno avallato le azioni di Alfonso v di Portogallo, che ha avuto « piena e libera facoltà » di attaccare e soggiogare saraceni e pagani e altri non credenti e nemici di Cristo, chiunque essi fossero e ovunque abitassero, di prenderne ogni genere di beni mobili o immobili e cosí pure di invadere e conquistare regni, ducati, contee, principati e altri dominii, terre, luoghi, campi, nonché di ridurre in schiavitú i loro abitanti. A quel tempo i Portoghesi esplorano la costa africana e le isole vicine; nel 1434 Gil eanes ha doppiato il Capo bojador. Il pontefice catalano, che subentra a quello ligure – Callisto III (il primo borgia della serie che si completerà con Alessandro vI) – con la sua Inter coetera accorda all’Ordine di Cristo la giurisdizione spirituale sulle scoperte. 105
parte ii · un uomo tra due mondi
A Genova dal 1447 il dogato è in mano ai Fregoso, grande clan “popolare”, che ha scalzato gli Adorno. Sostenitore della fallita spedizione di renato d’Angiò su napoli in alleanza con lo Sforza e Firenze, Pietro Fregoso, che governa dal 1450 – anno del Giubileo e dell’ascesa di Francesco Sforza al ducato di milano –, aderisce alla pace di Lodi del 1454 in funzione antifrancese. Come al solito, la situazione in ambito ligure è difficile. Oltre a controllare San Giorgio e avere uomini e capitali presenti dappertutto, le grandi famiglie hanno a disposizione gli uomini delle loro terre. A Ponente ci sono i doria, nell’interno gli Spinola e Adorno. A Levante dominano Fieschi e Fregoso, sicché la città è in perenne stato di agitazione. nel 1458 il doge Fregoso cede Genova alla Corona francese in cambio dei feudi di novi e voltaggio. Il nuovo governatore inviato da Carlo vII a Genova è Giovanni, figlio di renato d’Angiò, che i Genovesi hanno aiutato e aiuteranno ancora. Giovanni d’Angiò, che sul mare gode dell’aiuto del famoso corsaro portorino Scarincio, deve tener testa contemporaneamente a Adorno, Fieschi e Spinola che, appoggiati dallo Sforza, alleato con Alfonso d’Aragona, tentano di scalzarlo. morto Alfonso, Giovanni muove contro l’erede Ferrante. Il 14 settembre 1459, Pietro Fregoso tenta una sommossa ma viene ucciso. L’improvvisa alleanza tra Adorno e Fregoso, sostenuta da milano, obbliga i Francesi a chiudersi nel Castelletto e poi a rifugiarsi a Savona. È lo stesso renato d’Angiò a guidare le forze francesi che, raggiunta la città nel giugno del 1460, avanzano insieme ai fuoriusciti genovesi, arrivando fino a Sestri. ma il 17 luglio 1461, in una memorabile battaglia, l’arcivescovo Paolo Fregoso e Prospero Adorno li battono a Sampierdarena e i Francesi devono abbandonare il Castelletto. nonostante lo Sforza abbia sempre gli occhi puntati su Genova, ora anche il nuovo re di Francia, Luigi XI, si muove contando sull’appoggio dei Savonesi, a cui il 26 ottobre 1461 conferma gli ampi privilegi concessi dal suo predecessore. A Genova, intanto, il dogato di Prospero Adorno, seguito a un breve governo degli Otto Capitani degli “artefici”, dura solo da marzo a luglio del 1461. Auspice il « terribile arcivescovo », gli subentrano Spinetta e Ludovico Fregoso finché è lo stesso Paolo – doge per una quindicina di giorni, dopo altri sei mesi di governo di Ludovico – a riprendersi il potere. Tra il gennaio 1463 e l’aprile 1464, – quando il duca di mi106
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lano diventa signore di Genova – Paolo Fregoso afferma una volta per tutte il suo ruolo di doge-arcivescovo, unico nella storia genovese e non solo in quella. Scrive parole sconsolate lo speziale e cronista lunigianese Giovanni Antonio da Faie: « de le coxe de Zenoa da per lei vorave un libro molto grande per che fa speso mutamenti e de nove e grande coxe », che segnala anche come in quei tempi ci siano stati quattro cambiamenti: « Francesi, Adorno, Fregoso e Popolo puro », mentre, al momento in cui scrive, è doge Ludovico Fregoso che « si tiene anche Savona e Albenga per conto del re di Francia ». A questo punto conclude: « de le mutationi di Genova non volio piú scrivere perché mi pare che siano tante e si spese che dubito di non trovare tanto papero che bastase ».1 nella primavera del 1464, con l’aiuto di molti Genovesi operativi o transfughi a milano, Francesco Sforza, dopo una lunga e complessa trattativa, ottiene Genova e Savona dal re di Francia. A quel punto al doge-arcivescovo non resta che andarsene e dedicarsi ad altre attività, compresa quella piratesca, a lui assai congeniale. Genova ha sempre ricavato vantaggi dall’asse con milano e in età sforzesca si ripete ciò che già era avvenuto con la Signoria viscontea. molti milanesi e “Lombardi” circolano nelle aree coloniali genovesi o nei mercati occidentali, operando a vario titolo da Chio a Lesbo, a Pera, a marsacarès in società per il corallo, mentre a Caffa sono chiamati anche come esperti nella costruzione di bombarde e sono attivi nel mercato degli schiavi. I rapporti con la napoli di Ferrante – in buone relazioni con lo Sforza – migliorano, ma per gli uomini di affari genovesi non sono facili quelli con la Corona d’Aragona, e ciò, insieme con l’esistenza di piú o meno velate simpatie « franciosanti », è ragione di ripetute frizioni con milano. Però, nell’insieme, milanesi e Genovesi – e con loro Lombardi e Liguri – mettono in atto un’azione combinata dall’Occidente europeo a Tunisi alla russia alla Persia e, con Galeazzo maria, i milanesi prestano una notevole attenzione alla questione di Cipro, infine occupata dai veneziani nel 1474. Tuttavia proprio durante il primo e il secondo periodo della Signoria 1. Cfr. Airaldi, Senza un denaro al mondo, cit., p. 136.
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parte ii · un uomo tra due mondi
sforzesca su Genova (1464-1478/1487-1499) nel Levante tutto è in movimento. dopo Costantinopoli, tra il 1456 e il 1500 cadono in mano turca Atene, la Serbia, gran parte del Peloponneso, Trebisonda, mitilene, l’Albania, l’eubea, Cefalonia, Caffa, Soldaia, balaclava e mangup in Crimea, Chilia sulla foce del danubio e moncastro; infine modone e Corone. resta salda invece l’isola di Chio. d’altra parte, al di là delle parole, comprese quelle che lo Sforza spende a favore di una possibile ma sempre piú difficile difesa di Caffa, nessuno in Occidente pensa seriamente a una Crociata. Tantomeno i Genovesi – compresi i Giustinani di Chio – che si guardano bene dall’urtare i Turchi. Il primo giugno 1475 comincia il bombardamento della città, e, dopo un mese di resistenza, Caffa è costretta alla resa. Per gli abitanti non si profilano però le condizioni privilegiate che avevano ottenuto i Peroti. Il 7 e l’8 giugno i cristiani non latini, ovvero valacchi, moscoviti, Polacchi, russi, Georgiani, Circassi sono ridotti in stato di schiavitú e i loro beni sono confiscati. Il 9 e il 10, dopo una precisa inchiesta si procede all’esazione della tassa personale, e, passati in rivista giovani di ambo i sessi tra i 7 e i 20 anni, se ne scelgono circa tremilacinquecento destinati a diventare schiavi del sultano. Successivamente si passa alla riscossione della metà della cifra dichiarata come l’ammontare totale delle sostanze. Infine gli abitanti devono salire sulle navi turche per essere portati a Costantinopoli; ma non tutti si imbarcano e molti Genovesi e Liguri si disperdono nelle zone del mar nero, nel Caucaso, in Polonia o altrove. Intanto nel 1471, con il nome di Sisto Iv, diventa papa un altro ligure, il savonese Francesco della rovere. Come meglio si vedrà, è questo il momento in cui la famiglia di Colombo decide di trasferirsi a Savona. Quasi nulla si sa del futuro Ammiraglio, che, per sua esplicita ammissione, comincia ad andare per mare a quattordici anni, pressappoco nell’epoca in cui si instaura a Genova la Signoria sforzesca, dominante anche a Savona.2 2. Tutte le notizie sulla giovinezza e la famiglia d’origine di Colombo sono ricavate non solo dalle testimonianze narrative, ma dalla documentazione ufficiale, gran parte della quale è tuttora conservata in istituzioni pubbliche. In modo particolare quella relativa alla sua giovinezza, conservata nell’Archivio di Stato di Genova: edita piú volte è stata raccolta infine in Nuova Raccolta Colombiana, iv. I documenti genovesi e liguri, a cura di A. Agosto, Ist.
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La scarsità di notizie relative alla giovinezza di Colombo; il fatto che egli al momento della sua notorietà e cioè, a stare ai documenti, con le Capitolazioni di Santa Fe del 1492, porti già il nome di Cristóbal Colón; il fatto che molti hanno ritenuto impossibile che, a quel tempo e in quella società, il figlio di un tessitore di lana, un carminator ossia un ‘cardatore’, come lo definisce il genovese Senarega, potesse essere uomo di mare e diventare ammiraglio e per di piú sposo di un’esponente dell’aristocrazia portoghese; il fatto che l’Ammiraglio alluda costantemente alla ripresa della Casa Santa di Gerusalemme; i preconcetti di chi pensa ancora che il medioevo sia un’età buia e piena di misteri, hanno favorito il sorgere delle storie piú impensabili. Si è sostenuto che Colombo appartenesse ab origine a qualche lignaggio da scoprire; che Colombo fosse ebreo; che Colombo non fosse genovese (una delle teorie piú fantasiose e tenaci di tutti i tempi, se si esclude quella che ne fa il figlio di un papa). davvero non si capisce però perché, in questi casi, un personaggio come lui, che in ogni momento sa come giocare le sue carte, avrebbe dovuto tacere di appartenere a una famiglia rilevante o di essere figlio di un pontefice. A quel tempo i papi hanno molti figli per i quali si impegnano anche troppo, i loro nomi sono conosciuti e ciò avviene alla luce del sole. Se poi l’Ammiraglio avesse fatto parte di un lignaggio minore ormai entrato in qualche “albergo”, il suo rango sarebbe noto, come lo è quello delle altre famiglie che, come la sua, ruotano attorno a quelle di piú alto livello nella cerchia dei Fieschi e dei loro alleati. Se poi fosse stato di origini ebraiche e in seguito un converso fervente di fede fin troppo manifesta, lo si saprebbe, come lo si sa di altri, compreso il Santángel e altri personaggi presenti alla corte dei re Cattolici. Indubbiamente è stata l’ambiguità usata nella biografia stesa dal figlio Fernando a creare qualche problema. Fernando però scrive in tempi molto successivi e in ogni caso prendendo spunto dal dover difendere – e non solo in ambito processuale – l’ormai acquisita nobiltà e i relativi diritti familiari. redatte certamente prima del 1539, anno della scomparsa dell’autore, le Historie fernandine avrebbero visto la luce solo in un’edizione Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993. una messa a punto in A. Agosto, La questione colombiana. La parola ai documenti, in « Cominciai a navigare in giovanissima età… », cit., pp. 55-75.
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italiana nel 1571, dedicata a baliano de Fornari, membro di una famiglia molto legata ai Colombo, al quale era stato consegnato il manoscritto originale; che, secondo il desiderio del de Fornari, avrebbe dovuto essere pubblicato tanto in castigliano quanto in italiano. Per questo il de Fornari era andato da Genova a venezia; lí però, pressato dagli impegni, aveva affidato la cura del progetto al conterraneo Giovanni battista de marini sicché le Historie avevano visto la luce nella sola traduzione italiana. va da sé che tanto il de Fornari come il de marini appartenevano a famiglie largamente presenti in terra americana.3 La reticenza fin troppo evidente di Fernando a parlare delle origini del padre nasce forse dal fatto che egli davvero proveniva da una famiglia di artifices. Fernando contesta e detesta l’eruditissimo Agostino Giustiniani che, pur essendo conterraneo di Colombo come egli stesso sottolinea, ha scritto e pubblicato che l’Ammiraglio era un lanaiolo. ma anche gli amici di suo padre, Antonio Gallo e bartolomeo Senarega, oltre ad attestarne l’origine genovese, come d’altronde fanno moltissimi contemporanei, diplomatici, mercanti e prelati, che trasmettono la notizia della scoperta in ambito internazionale, dicono senza troppi giri di parole qual è l’ambito sociale di provenienza dell’Ammiraglio. Gallo parla di un Colombo lanerius che, come il fratello bartolomeo, « de more gentis in navigazione exiverat » (‘secondo l’uso della sua gente si era messo a navigare’). da parte sua il Senarega sottolinea che i due fratelli erano originariamente cardatori, spiegando per bene il significato di questa parola. va detto che il Gallo è il cancelliere del banco di San Giorgio e – al pari del Senarega, cancelliere del Comune e cronista ufficiale – è un fine intellettuale. Ambedue, come d’altronde nicolò Oderico, nel quale molto confiderà l’Ammiraglio, sono legati ai Fieschi e alla Francia. non a caso nel 1466 Antonio Gallo partecipa con Lazzaro doria a una spedizione contro barcellona. 3. Ancora validissimo F. Colombo, Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, a cura di r. Caddeo, roma, Coop. erre emme, 1992 (1a ed. milano, Iei, 1957-1958); Cfr. anche Nuova raccolta Colombiana, viii. Le Historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio don Cristoforo Colombo, a cura di P.e. Taviani e I. Luzzana Caraci, roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990.
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Altrettanto sostiene il vescovo Giustiniani, famoso biblista, membro del poderoso “albergo” dominante a Chio, che ben conosce la Spagna, avendo soggiornato là in gioventú; e cosí scrive battista Fregoso, che, già doge tra il 1478 e il 1483, scalzato dallo zio cardinale Paolo, dall’esilio di Fréjus nel suo De dictis et factis memorabilibus stenderà un memorabile ritratto dell’Ammiraglio. Cosí, infine, conferma la pesquisa condotta nel 1500 contro Colombo, recentemente rinvenuta nell’Archivio di Simancas, di cui si dirà. È un fatto che, dal 1499 pur in alternanza con qualche dogato, e fino al révirement definitivo di Andrea doria nel 1528, Genova sarà legata alla Francia e ciò creerà non pochi problemi agli uomini d’affari genovesi e liguri che operano in area iberica e nell’Italia meridionale nonché, ovviamente, a Colombo. In ogni caso, al di là della corrispondenza che l’Ammiraglio tiene direttamente con il Gallo, l’ambiente locale riceve la notizia dell’avvenuta scoperta dai due ambasciatori – il giureconsulto Francesco marchese e il nobile Giovanni Antonio Grimaldi –, inviati proprio per dirimere le questioni mediterranee che interessano Fernando d’Aragona. nessuno di loro, peraltro, mette in dubbio che Colombo sia genovese, come d’altronde prova la lunga – e ormai ben nota – serie di testimoni di varie nazionalità dell’epoca. una sua origine diversa, compresa quella savonese, di altre zone rivierasche, piacentina o addirittura monferrina, derivata dal fatto che ci sono molti Colombo sparsi dappertutto e recuperata da fonti tardive, è destituita di fondamento e soprattutto priva di controprove che non rinviino alle poco chiare operazioni scaturite dai successivi pleytos. A Genova, dove dal 1339 i dogi sono “popolari”, vale a dire appartengono a nuovi e potenti clan familiari, anche un artifex può aspirare alla carica, come dimostra il brevissimo, infelice dogato del tintore Paolo da novi. Qui soltanto il denaro porta con sé la gestione del potere e perciò – secondo i canoni genovesi – l’ascesa alla nobiltà. molti dogi appartengono a famiglie nuove, che hanno legato la loro crescita sociale alle arti. A Savona l’artifex Leonardo della rovere, padre di un pontefice e nonno di un altro, figura tra gli Anziani del Comune. I papi della rovere e l’Ammiraglio hanno le stesse origini; il che, come si vedrà, giocherà un ruolo importante nella sua vita. In ogni caso si è di fronte a una storia ben diversa 111
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da quella dell’area dove Colombo va a vivere e dove fonderà la nuova dinastia. Per quanto riguarda la sua storia giovanile è invece assai piú rilevante che due importanti testimoni, il figlio Fernando e l’amabile Las Casas, alludano al fatto che – secondo quanto l’Ammiraglio stesso ha sostenuto – egli non è stato il primo ammiraglio della famiglia. viene dunque in ballo il nome di quei Colón – il vecchio e il Giovane – ben noti alle cronache del tempo. un tema difficile da trattare per chi, spagnolo, sa che questi famosi pirati-corsari hanno sempre lavorato per la nemica Francia. e per chi, nato nel 1488, tre anni dopo l’arrivo del padre in Andalusia, salvo qualche lungo viaggio, trascorre là la maggior parte del suo tempo e che perciò, parenti o no che siano i Colón, li confonde tra loro cosí come confonde tutto – date, personaggi e fatti – della tempestosa vicenda che, secondo lui, ha portato Colombo in Portogallo nel 1476. È questa forse la piú importante di tutte le notizie che riguardano la sua gioventú, certamente quella che ha dato adito, e con qualche buona ragione, alle maggiori speculazioni. nessuno però ha mai fatto veramente i conti con l’Ammiraglio stesso che, da buon Genovese attento a preservare memoria di tutto in atti notarili e raccolte documentarie, non fa mistero di nulla che lo riguardi. I Liguri scrivono poco per diletto e, in questo senso, Colombo non fa eccezione alla regola. Però scrive molto, anche se per lui, come per altri, si tratta sempre di lettere, memoriali o relazioni. egli si comporta esattamente come si comportano gli altri “viaggiatori-scopritori” di cui si è detto, che scrivono solo se devono render conto a qualcuno e cioè, di solito, al gruppo che ha investito capitali in quell’operazione, perlopiú composto di parenti stretti o acquisiti. I Genovesi lasciano volentieri e frequentemente la parola solo al loro notaio. derivano, dunque, dalla costante abitudine di documentare ogni atto della vita, le informazioni che possediamo sulla storia familiare di Colombo, sulla vecchia e sulla nuova famiglia, sullo spazio che quest’istituzione fondamentale ha avuto nella sua formazione e nella dinamica che lo ha portato a compiere il famoso viaggio. Pure in questo caso si vedrà che l’Ammiraglio non è diverso da altri emigranti; che, come si è segnalato per altri, quand’anche si allontanino definitivamente dalla patria originaria, 112
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fondino nuove “dinastie”, prendano cognomi rivisitati e aggiungano alla loro una nuova nazionalità, continuano a vedere nella famiglia d’origine il vero cordone ombelicale che li lega alla terra in cui sono nati. In effetti tutte le testimonianze che ci sono pervenute confermano le armoniose relazioni che Colombo ha con tutti i suoi consanguinei. Certo egli non ama ricordare la semplicità delle sue origini, dato che approva l’operato del fratello bartolomeo, l’adelantado che fa tagliare la lingua di chi sostiene che egli sia stato un lanaiolo, e che, quando arrivano i piú modesti parenti genovesi, li aiuta senza troppo entusiasmo; ma, pur fondando una nuova famiglia di rango infinitamente superiore all’originaria, Colombo non dimentica né trascura mai quella di provenienza. Tra i tanti documenti che lo riguardano uno su tutti offre un quadro chiaro e completo di questa complessa vicenda. Si tratta di un atto che, unito alle informazioni derivanti essenzialmente dalle fonti notarili conservate all’Archivio di Stato di Genova, consente di capire da quali premesse parta la sua storia; quali siano i tasselli che, ricomposti in una loro intima consonanza dall’inizio alla fine della sua vicenda umana, testimoniano un percorso “esemplare”. un cammino che riconduce, ancora una volta, a quell’itinerario tra mediterraneo e Atlantico, tipico dell’ambito al quale appartiene e al quale farà riferimento in ogni momento della sua vita fino agli ultimi giorni. una delle testimonianze piú importanti per capire il passaggio dalla famiglia Colombo alla famiglia Colón, esempio puntuale del movimento della gente del mediterraneo verso l’Atlantico e della lenta ma decisa formazione del nuovo Occidente, si incontra nell’istituzione del “maggiorasco” che, in base a un privilegio del 23 aprile 1497, l’Ammiraglio fa stendere mentre fervono a Siviglia i preparativi per il suo terzo viaggio. Insieme con una serie di documenti, che Colombo si preoccupa di raccogliere sempre in quell’anno in un apposito Libro dei Privilegi, il “maggiorasco” rappresenta una testimonianza fondamentale per capire la storia di un uomo che, attraverso la sua famiglia vecchia e nuova e nonostante le sue avventure, ha mantenuto intatto e profondo il rapporto con la sua città.4 4. In aggiunta alla bibliografia già citata si rinvia qui una volta per tutte alle coordinate bibliografiche piú recenti relative alle informazioni sulla vita di Colombo, raccolte in varie
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L’atto del 22 febbraio 1498, che stabilisce l’ordinamento della sua successione, prevede che il maggiorasco e testamento sia « radice e piede del mio lignaggio e memoria dei servizi che ho reso alle Loro Altezze […] che, essendo io nato a Genova, venni a servirli qui in Castiglia […] e per loro scoprii a occidente della terraferma le Indie e le isole suddette ».5 L’atto segna ufficialmente la nascita di una nuova dinastia, di cui l’uomo che ora porta il nome di Cristóbal Colón diventa il capostipite. esiste dunque una data precisa dalla quale far iniziare la storia del nuovo ramo che è germogliato dal vecchio tronco, come è già capitato agli embriaciGibelet e a molti altri Genovesi. Secondo la prassi, dopo un ampio riferimento ai privilegi che procedono dalle Capitolazioni di Santa Fe, compaiono nel testo i nomi di coloro che, in ordine di successione, dovranno ereditare i diritti, lo stemma e la firma dell’Ammiraglio: nell’ordine il figlio primogenito diego, il secondogenito Fernando, i suoi fratelli, bartolomeo e diego e qualunque altro parente prossimo, a seguito del venir meno degli eredi maschi legittimi, « erediti il detto maggiorasco nel potere del quale perverrà essendo maschio legittimo che si chiami e sia chiarecenti opere di sintesi da J. Heers a P.e. Taviani, da L. Arranz a F. Fernández Armesto. Si vedano, inoltre, C. varela, Cristóbal Colón. Retrato de un hombre, madrid, Alianza editorial, 1992, e Ead., Colombo e i Fiorentini, trad. it. Firenze, vallecchi, 1988; G. Airaldi, Ritorno a los orígenes: « siendo yo nacido en Génoba », in Colón desde Andalucia, 1492-1505. Catalogo de la exposición, Archivo General de Indias, Sociedad estatal de Comunicaciones culturales, Sevilla, 20 junio-15 octubre 2006, madrid, Sociedad estatal de Conmemoraciones Culturales, 2006, pp. 97-112; Ead., « … de more gentis in navigationem exiverat ». Cristóbal Colón en Génova, in Cristóbal Colón, ed. C. martínez Shaw e C. Parcero Torre, valladolid, Junta de Castilla y León, 2006, pp. 41-62; Ead., « Porque las Indias non se pierdan… ». Gli Italiani sulle navi di Colombo, in Cristóbal Colón, 1506-2006. Historia y leyenda. Congreso internacional, Palos de la Frontera, 6-8 de septiembre de 2006, Palos de la Frontera-Huelva, univ. Internacional de Andalucía-Sede Iberoamericana Santa maria de la rábida-CSIC-Ayuntamiento de Palos de la Frontera, 2006, pp. 147-70; Ead., Da Genova al Nuovo Mondo e ritorno. Passando per Colombo, in Palabras e ideas. Ida y vuelta. xxxvi Congreso del Instituto Internacional de literatura iberoamericana I.I.L.I., Genova, 26 giugno-1° luglio 2006, roma, editori riuniti, 2008, pp. 23-33; Ead., « Lí mi giudicano come se fossi un governatore della Sicilia », Prefazione a C. varela, Inchiesta su Cristoforo Colombo. Il dossier Bobadilla, ed. e trascr. di I. Aguirre, trad. di m. macconi, Genova, Centro di studi Paolo emilio Taviani, 2008, pp. 5-13 (ed. or. La caída de Cristóbal Colón. El juicio de Bobadilla, ed. y trascr. de I. Aguirre, madrid, marcial Pons, 2006). 5. Questa citazione e le successive sono tratte da Colón, Textos, cit., pp. 353-62.
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mato sempre con il nome di suo padre e dei suoi antenati chiamati Colón ». Per tutti i membri della famiglia Colombo viene stabilita una minuziosa spartizione dei diritti e delle rendite. Prima di partire l’« Ammiraglio del mare Oceano, viceré e Governatore perpetuo di tutte le isole e terraferma scoperte e da scoprire » compie dunque un gesto fondamentale. nel suo caso, infatti, il maggiorasco, atto usuale in seno all’aristocrazia castigliana, assume i caratteri formali e sostanziali di un rito di passaggio: raggiunto il successo, Colombo vuole consolidarlo, deciso com’è a guardare avanti. ma quest’immigrato ormai illustre, che non si è mai fermato davanti a nulla, deve pur fare i conti con il passato che ha deciso di lasciarsi alle spalle anche se, pur sapendo di essere, come scriverà poi a Juana de la Torre « un pobre estranjero », ormai si comporta da castigliano, quale ormai ufficialmente è (anche se, come si sa, una nuova naturalizzazione non cancella la cittadinanza originaria). nonostante abbia un’origine sociale ben diversa da quella dei grandi uomini d’affari genovesi, ora che è nobile e ricco, egli non ha remore nel manifestare la sua fedeltà al sistema che gli ha consentito, come a molti altri della sua estrazione, di condividerne le esperienze sul mare e sulla terra. Proprio perché, come molti dei suoi conterranei abituati in ogni tempo a emigrare, ha cercato e trovato la sua fortuna lontano da casa, Colombo, ormai nobilitato, può dichiarare il suo orgoglio di appartenere a una grande potenza economica e marittima, madre di guerrieri, che sono non solo mercanti e finanzieri, ma anche tecnici esperti e ricercati come lui. Per questo un po’ piú tardi scriverà al banco di San Giorgio per istituire, in analogia ai membri che compongono i grandi clan genovesi, un « moltiplico » in denaro destinato all’estinzione del debito pubblico. Stabilisce, infatti, l’Ammiraglio che il suo erede tenga e sostenga sempre nella città di Genova una persona del nostro lignaggio, che abbia là casa e moglie, e le assegni una rendita con la quale possa vivere onestamente, come persona vicina al nostro lignaggio ed abbia piede e radice nella detta città, come nativa di essa, perché potrà avere dalla detta città aiuto e favore nelle cose che le abbisognano perché di lí partii e in essa nacqui […].
Stabilisce inoltre che si provveda non solo ad altri bisognosi, ma pure « alle persone del mio lignaggio piú bisognose che fossero qui o in qualunque 115
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parte del mondo ove si mandi a cercarle con diligenza e a carico della loro coscienza ». Aggiunge poi, con tratto tipicamente genovese che, chiunque sia l’erede, spedisca per via di cambio o in qualsiasi maniera potrà tutto il denaro delle rendite che risparmierà dal detto maggiorasco e con quello acquisti a nome suo e dei suoi eredi alcuni “luoghi” delle “compere” che tiene l’ufficio di san Giorgio, che rendono il sei per cento e sono denari molto sicuri […] perché là in San Giorgio qualunque denaro sta molto sicuro e Genova è città nobile e potente sul mare […].
Ciò dovrà servire, in accordo con i re, per provvedere alla conquista di Gerusalemme; e se il re non otterrà abbastanza denaro dalle imprese alle Indie per « dargli sostegno affinché possa conquistare tutto o almeno una parte, l’erede depositi e faccia capitale del suo tesoro nei “luoghi” di San Giorgio di Genova e là moltiplichi finché ne abbia tanto da poter fare qualche buona opera in quest’impresa di Gerusalemme ». Crede infatti Colombo che « dopo che il re e la regina nostri Signori » e i loro successori sapranno della sua decisione, si muoveranno a compierla oppure gli daranno aiuto e sostegno come a « criado e vasallo que lo hará en su nombre ». Aggiunge inoltre che il suo erede procuri e lavori sempre per l’onore, il bene e l’accrescimento della città di Genova e ponga tutte le sue forze e i suoi beni nel difendere e aumentare il bene e l’onore di quella repubblica, non andando contro il servizio della Chiesa di dio e l’alta condizione del re e della regina, nostri Signori e dei loro successori […].
In queste parole, conferma di un antico sistema e di un’antica alleanza, c’è la sintesi di secoli di storia passata e anche di quella futura; una storia che va da benedetto Zaccaria ad Andrea doria e oltre. Spetta inoltre all’erede e ai suoi successori, nonché ai fratelli bartolomeo e diego, portare le mie armi [lo stemma] che lascerò dopo la morte, senza riconoscerne altre all’infuori di quelle e l’erede suggellerà con il loro sigillo […]. e dopo che avrà ereditato e sarà entrato in possesso di esso, firmerà con la mia firma che ora uso, che è una .X. con una .S. sopra e una .m. con una .A. romana sopra e sopra di essa una .S. e dopo una .Y. greca con una .S. sopra, con le proprie linee e i segni
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i · «…siendo yo nacido in génoba…» come ora faccio e apparirà dalle mie firme che si troveranno e apparirà da questa. e non scriverà se non « el Almirante » anche se il re gli desse altri titoli o altri egli ne ottenesse, e questo si intende nella firma e non nel testo, nel quale potrà scrivere tutti i suoi titoli come meglio gli piacerà, solo nella firma scritta « Almirante ».
In questo documento, segnato profondamente dal vincolo di sangue che lega tutti coloro che ne sono protagonisti, compare il primo, aperto riferimento di Colombo alla sua famiglia e alla città di origine. Anello di congiunzione tra passato, presente e futuro, il maggiorasco offre dunque alcune coordinate importanti per intraprendere il percorso a ritroso indicato dall’Ammiraglio che, muovendo dalla Castiglia, regno di avventurose e indefinite aspirazioni oceaniche, riconduce a un modello iniziale preciso, quello espresso dalla piú “atlantica” delle città italiane. Si torna a un Comune « poderoso en la mar », come in effetti è considerato a quei tempi – nel quale un “mito delle origini” costruito sulla presa di Gerusalemme convive con la migliore istituzione finanziaria – il banco di San Giorgio – a cui gli europei possono affidare il proprio patrimonio. Cosí, allineato alla documentazione che oggi si possiede, il maggiorasco diventa occasione per partire per un viaggio nel tempo, reso piú facile e piú sicuro dopo secoli di diatribe, pleytos, condanne e celebrazioni. A denunciare il passaggio tra vecchio e nuovo, naturalmente, sono soltanto i maschi della famiglia e cioè i fratelli e i figli. La relazione interfamiliare segue le regole patriarcali. nel maggiorasco non viene dato spazio alcuno alle donne. Anzi l’Ammiraglio stabilisce che non erediti questo maggiorasco in nessuna maniera alcuna donna, salvo che né qui né in altro cabo del mundo non si trovasse uomo del mio vero lignaggio che si fosse chiamato e si chiamasse, egli e i suoi antenati, Colón. e se ciò accadesse (che dio non voglia) che in tal caso lo abbia la donna piú prossima en deudo y en sangre legitima – in parentela e sangue legittimo – alla persona che aveva ottenuto il detto maggiorasco […].
ma le donne non sono un tema secondario nella vita dell’Ammiraglio, che, nel corso delle sue varie vicende, ha persino qualche avventura, come quella con la signora de la Gomera. Per la regina Isabella, sulla quale con117
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ta moltissimo, Colombo ha parole di venerazione; per Juana de la Torre, governante del principe ereditario, prova una vera, confidente amicizia. In famiglia conta moltissimo l’energica cognata briolanja o violante, che nel 1485 che a Huelva è vicina a lui e a diego, prima temporaneamente affidato ai frati del convento della rabida di Palos. Conta qualcosa anche beatriz enríquez de Arana, la madre cordovese di Fernando, per un Ammiraglio che ricorda appena la madre Susanna Fontanarossa o la moglie portoghese Felipa. nel testamento le cita ambedue e ricorda in una lettera di aver lasciato in Portogallo moglie e figli « che non ho piú visto ». d’altro canto i genitori sono morti – del padre non si sa piú nulla dopo il ’94 – e pure la sorella è sparita. Colombo ha rarissimi cedimenti di carattere affettivo, ma scriverà all’erede diego: « Quanto a me non ho mai trovato migliori amici dei miei fratelli ». Ai due fratelli, bartolomeo e diego, l’Ammiraglio conferirà importanti cariche. ma il vero punto di forza sul quale egli può fare affidamento per tutta la vita è bartolomeo, il ragazzo che ha spartito con lui le prime esperienze marinare e sarà con lui dappertutto, dal Portogallo all’Hispaniola. Cartografo eccellente, guerriero aspro e impietoso ma sempre disposto a svolgere un ruolo diplomatico per la famiglia, bartolomeo è un personaggio di notevole spessore, anche se, a dire di Las Casas che predilige l’Ammiraglio, gli è comunque inferiore. La storia ci ha consegnato la sua immagine come quella dell’alter ego, con il quale Cristoforo finisce sempre per confrontarsi. bartolomeo è con lui a Lisbona e gira per le corti inglese e francese per esporre il suo progetto. È lui che, arrivato all’Hispaniola il 24 giugno 1494, Colombo sceglie come adelantado; ed egli ne ricambia la fiducia, combattendo al suo fianco, difendendone, prima e dopo la morte, l’immagine e la memoria alla corte spagnola come a quella romana, battendosi come un leone per i suoi diritti. bartolomeo diventa un uomo molto ricco, ma fino all’ultimo viaggio comanda una nave agli ordini di suo fratello. Sarà lui a chiedere e a ottenere da Giulio II che, il 10 aprile 1507, scriva a Fernando il Cattolico raccomandandogli i Colón « degni di ogni onore e protezione » e che, il 19 dello stesso mese, diriga un’altra lettera al cardinal Cisneros. dove, facendo riferimento a Cristoforo e ai diritti e ai privilegi delle Capitolazioni di Santa Fe, lo esorta a proteggere il diletto figlio di Colombo « nobilis viri didaci etiam Colon, archimarini insularum terrarum et marium predictorum 118
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eiusdem Christofori primogeniti et successoris ».6 L’Ammiraglio è morto da meno di un anno e già sono sorte diatribe sui diritti successorii del figlio diego. In questo soggiorno romano, bartolomeo è accompagnato dal cugino Andrea Colombo, che ha partecipato al quarto viaggio e che, perciò, è in grado di fornire molte notizie utili al frate marco di benevento per la stesura di un trattato di cosmografia, poi aggiunto alla ristampa della Geografia di Tolomeo che vede la luce l’anno seguente. dei tre fratelli emigranti, Giacomo – in terra spagnola diego – forse originariamente destinato alla Chiesa (ma non prenderà gli ordini), è l’unico che si incontra in veste di garzone nel 1484 a Savona e poi come tessitore di panni di lana a Genova nel 1487, quando compare in un atto tra rivieraschi. diego arriva in Spagna nel ’93 forse in compagnia del savonese michele da Cuneo, grande amico di famiglia, e subito proiettato nella nuova realtà, gli capita di dover governare temporaneamente al posto del fratello, che poi gli assegnerà un’altissima rendita. Quando l’Ammiraglio detta le sue volontà, il figlio diego ha circa diciotto anni. Tocca a lui ereditare i titoli e le prebende, testimoniati nel Libro dei Privilegi. Con lui l’Ammiraglio è fuggito dal Portogallo in Castiglia e con lui manterrà sempre un rapporto particolare, come si ha allora con un primogenito, erede designato di titoli e beni, il paggio per il quale i re Cattolici appronteranno un matrimonio ad alto livello con maria di Toledo, nipote del duca d’Alba. Anche se nato in Portogallo da madre portoghese, diego è ormai un castigliano. La sua residenza a Santo domingo, primo insediamento europeo in terra americana e seconda città fondata da Colombo dopo la Isabela, abbandonata a causa della sua insalubrità, risponde in tutto e per tutto al cliché castigliano. Come tutti i ragazzi e le ragazze di quell’epoca, diego diventa adulto prestissimo. È accaduto a suo padre e capita ai giovani di ogni ceto (Carlo v diventa re di Spagna a 16 anni e imperatore a 19). vive prevalentemente a corte, dove Colombo lo ritrova al ritorno dai suoi viaggi, ed è eviden6. Cfr. Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana pel quarto centenario dalla scoperta dell’America, iii/1. Fonti Italiane per la Storia della Scoperta del Nuovo Mondo. Carteggi diplomatici, raccolte da G. berchet, roma, ministero della Pubblica Istruzione, 1893, p. 17.
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te, dalla corrispondenza intercorsa tra i due, che il loro legame si va rafforzando man mano che si avvicina il tempo della disgrazia, della malattia e della morte. Piú passa il tempo e piú l’Ammiraglio, freddo mercante di schiavi e giustiziere implacabile, ha bisogno di solidarietà familiari e amicali. deve affrontare il fatto che la Corona non mantiene i patti, non corrisponde le paghe dovute agli uomini e, soprattutto, fa saltare il suo monopolio mercantile, concedendo ad altri il diritto di navigare alle « Indie ». Come si vedrà, Colombo si affida sempre di piú agli amici castigliani, portoghesi, italiani e genovesi, ma è sul suo primogenito che si appoggia. È al suo erede che, prima di partire per il quarto e ultimo viaggio, invia un memoriale che sembra un testamento, quando finalmente pensa anche alle due donne che al momento contano nella sua vita – beatriz de Arana e briolanja moniz – e per tutte e due stabilisce la stessa rendita annuale, diecimila maravedíes. raccomanda al figlio anche don diego, lo zio che al momento è a Cadice, che è sempre è stato ed è muy obediente. Gli affida anche la gestione del prestito avuto da Francisco de riberol, Francesco doria, Francesco Cattaneo e Gaspare Spinola, che gli è servito per far fronte all’impegno finanziario dell’ottavo richiesto. Piú tardi interverranno anche Pantaleone e Agostino Italiano e Francesco Grimaldi. nel 1504, in una lettera in cui ancora lamenta che vive di prestiti perché non gli si versa il dovuto né si pagano i suoi uomini, scrive: « Tu padre que te ama mas que a sí » e gli raccomanda anche il fratello minore, che « tiene buena natura » e non è piú un bambino. Al momento del “maggiorasco” il secondogenito Fernando ha tredici anni; figlio naturale di madre spagnola, seguirà il padre nel quarto viaggio e poi, oltre a essere un accanito e famoso bibliofilo, fondatore della famosa biblioteca Colombina di Siviglia, diventerà cosmografo maggiore di Carlo v. Sono i nomi dei suoi figli a indicare le due tappe fondamentali della vita di Colombo, trascorsa in zone dove i Genovesi hanno radici secolari. nato a Genova tra l’agosto e l’ottobre del 1451, Colombo se ne è allontanato – seppure con rientri che lo vedono momentaneamente presente ancora nel 1479 – fin da « giovanissima età », i quattordici anni confermati, con qualche approssimazione, dalle successive dichiarazioni. nel ’92, quando ha 41 anni, dice infatti di essere stato in mare continuamente per 120
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piú di 23 anni; nel 1501, afferma che ha navigato per piú di quarant’anni. I conti tornano dato che le coincidenze sono molte. non stupiscono comunque i vuoti che si incontrano nella biografia del giovane Colombo, fino al 1492 uno degli anonimi protagonisti di un’epoca in cui non si registrano le date di nascita e di morte – sistema che prenderà vigore soltanto dopo il Concilio di Trento – e ciò vale anche per re e principi. un uso che, come attestano le sue dichiarazioni di fronte a notai e ufficiali pubblici, lascia pure all’interessato qualche margine di dubbio sulla propria età. né stupiscono la mobilità di Cristoforo e di suo fratello bartolomeo, che peraltro confermano la sostanziale inafferrabilità degli individui. La stanzialità non è certo una caratteristica dei Colombo, come non lo è per la maggior parte dei Genovesi e dei Liguri e a maggior ragione non lo è per quelli come lui, che appartengono a categorie sociali borderline, ai “pratici”, che operano sotto la guida e l’ombrello protettivo dell’élite che li sposta di qua e di là nel mondo. Per fortuna, pur essendo figli di una società del denaro e della velocità del mondo degli affari e protagonisti di una mobilità regionale e internazionale, i Genovesi amano molto documentare tutto quel che fanno, soprattutto se si tratta di questioni d’affari o di atti fondamentali della vita. di loro comunque si sa soltanto quello che vogliono far sapere, dato che gli atti notarili e le lettere sono sempre gelosamente conservati in qualche archivio. Sicché per ricostruire le radici della storia di Colombo e dei suoi progetti, oltre alle fonti spagnole pubbliche e private e alle testimonianze narrative, non resta che procedere per la via maestra, quella che riconduce peraltro al piú grande Archivio notarile del mondo, quello di Genova. Servirsi cioè delle carte di colui che davvero rappresenta per i Liguri di qualunque ceto sociale un punto di riferimento obbligato. Figlio della cultura di una città che ha fatto della sua figura il perno dell’attività privata e pubblica, in virtú della sua continua presenza nella vita dei Genovesi, il notaio fornisce le notizie piú importanti sulla prima parte della storia familiare dell’Ammiraglio – e cioè sulla sua giovinezza –, grazie a ciò che l’invidia del tempo ci ha conservato.
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II RITORNO ALLE ORIGINI
Conviene dunque tornare alle origini e ripercorrere la vicenda tenendo conto dell’ambito in cui nasce, cresce e si forma colui che in gioventú conosciamo solo come Christoforus Columbus. Questo è il nome che gli attribuiscono gli atti notarili e cancellereschi genovesi e savonesi, sempre stesi in latino. nonostante le fantasiose acrobazie di Fernando, il milieu familiare di origine è relativamente modesto anche se non povero. Infatti considerare come prova di indigenza le questioni finanziarie che ogni tanto coinvolgono domenico Colombo e suo figlio Cristoforo, significa non tener conto dei caratteri di un’età in cui la circolazione di denaro liquido è praticamente inesistente, sicché il prestito (con relativi altissimi interessi) è una costante della vita a tutti i livelli sociali. non è un mistero che i capitalisti genovesi hanno costruito le loro fortune sui prestiti accordati a Corone e a molti altri minori poteri europei e sulle relative garanzie. Perfino i contratti di cambio hanno dato vita a molte, lucrose operazioni in questo senso. A quell’epoca chiunque possieda denaro liquido finisce spesso con l’esercitare qualche forma di usura nei confronti di chi ha bisogno, costretto a dare in garanzia temporanea magari con finte vendite, oggetti, case, terre, non sempre recuperati. Appena gli è possibile, anche il piccolissimo proprietario di beni o di una dote della moglie – sia pur modesta – entra in questa spirale. Cosí capita al padre di Colombo a Genova e a Savona. Queste operazioni sono costantemente presenti in un’età in cui, non a caso, ci si affanna tanto a cercare l’oro e – come fanno i Centurione – si commerciano sacchi di monete. I ceti piú modesti fanno i loro piccoli traffici con gente della propria zona di provenienza o del proprio ambito artigianale o con il proprio protettore. Succede cosí al ramo dei Colombo di Quinto con Antonio Gallo e a Colombo stesso nella preparazione dei suoi viaggi e nel corso della sua vita. una volta arrivati al successo, si entra a far parte del novero dei prestatori. un contemporaneo di Colombo, il già ricordato Giovanni Antonio 122
ii · ritorno alle origini
da Faie, che in gioventú conduce una vita grama come piccolo speziale, fatta fortuna, si trasforma da poveretto affamato di prestiti in ricco prestatore di denaro. Queste operazioni rendono sempre piú essenziali i detentori di capitali, grandi o piccoli che siano. Colombo stesso vive continuamente in questa girandola finanziaria, ma ciò non significa che, nonostante il suo continuo mugugno, sia finito in povertà. Come accade a quell’epoca ha titoli e rendite, ma le entrate sono un po’ troppo fluttuanti ed è il contante a mancargli. La storia di Giovanni, nonno dell’Ammiraglio, ci riporta a un ambito in cui terre, denari e lavoro rappresentano solo un dignitoso strumento di sopravvivenza per una società che, fin dal secolo XI, ha deciso di valorizzare il capitale e il mercato e di fare dell’attività marittima e finanziaria le chiavi privilegiate della sua crescita. Questa scelta, creando un’attrazione verso il grande porto, ha portato a una rielaborazione dell’attività industriale, orientandola decisamente verso il ruolo sussidiario e minore che, salvo rari casi e rari momenti, avrebbe poi sempre mantenuto. d’altro canto la crescita esponenziale del porto e della finanza genovese ha coinvolto in un effetto onda le genti della zona ligure e delle zone circonvicine e la piramide patriarcale, creata dall’ “albergo”, che estende la sua ombra sui protetti delle terre di riferimento, li ha comunque implicati, come indubbiamente capita ai Colombo. Sulla montagna ligure si vive malamente, sicché prima o poi si finisce per scendere sulla costa; ma anche quando, scivolando per le lunghe e strette valli longitudinali della riviera di Levante, si arriva finalmente al mare, s’incontrano solo borghetti costieri, nei quali a una buona attività marinara e cantieristica si affiancano altre piccole occupazioni, perlopiú di supporto alla città, che di fatto resta l’unica vera opportunità. un po’ diversa è la situazione nel Ponente, dove Savona, centro portuale e industriale, svolge anch’essa funzione attrattiva. Il ramo dei Colombo di moconesi scende sulla costa dalla Fontanabuona, muovendo in una Podesteria di grande estensione, quella del bisagno, che da nervi arriva alla displuviale con la val Trebbia e si chiude in città all’altezza del borgo di Santo Stefano nella zona dei lanaioli e tintori, dove il padre di Colombo avrà la prima e la seconda casa. La Podesteria fa spazio alla montagna, alla collina e ai minuscoli borghi sul mare – boccadasino 123
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(poi boccadasse), Quarto, Quinto, nervi –, agli orti che sostengono l’approvvigionamento cittadino e all’industria tessile, che si raccoglie sul rivotorbido, in prossimità dell’abbazia di Santo Stefano, dove anche il noto benedetto Zaccaria, tra tante attività, ha avuto una sua azienda tintoria. nonostante le incertezze di Fernando, che butta là una serie di notizie forse per mimetizzare l’origine del padre (che pure dovrebbe conoscere, legato com’è ai suoi amici genovesi e gran viaggiatore e frequentatore anche di Genova e della Liguria), la « parentella » Colombo da cui proviene l’Ammiraglio sembra originaria dell’area che faceva capo alla pieve di Sori e, in particolare, a una val Columbaria, individuabile tra l’entroterra di Sori e la val Fontanabuona. Già nel duecento ci sono Colombo in questa zona e altri ve ne sono a Genova. Generalmente si tratta di artifices, ma alcuni di loro sono pure impegnati in attività marittime a volte un po’ particolari, come nel caso del pirata vincenzo Colombo giustiziato nel 1492. Tra loro ci sono forse quei Colombo, migrati o nati a Cogoleto, poi coinvolti nei pleitos d’età moderna, e i famosi corsari Colón. Il fatto piú rilevante è però un altro: l’area di origine dei Colombo nonché le zone dove essi trascorrono buona parte della loro vita sono legate, direttamente o indirettamente, al controllo di uno dei piú prestigiosi clan europei. Infatti, tra i molti nomi presenti nelle vicende della famiglia Colombo e in particolare nella vita di Cristoforo, quello dei Fieschi e dei loro amici e alleati è certamente il piú frequente e il piú incisivo. Fanno riferimento ai Fieschi migliaia di uomini appartenenti a una rosa di « parentelle », che proviene dalle loro amplissime terre e li affianca sul territorio, in città e altrove, nell’ambito della quale essi scelgono coloro che decidono di portare con sé sia negli scontri interni sia all’estero per adoperarli diversamente a seconda della necessità. Anche la gente che fa parte del loro grande clan ha compiti e funzioni diversi e variabili, e lo si vede proprio esaminando la gente che circonda Colombo, tra cui bartolomeo Fieschi svolge un ruolo essenziale. Gli uomini che fanno riferimento al grande clan sono avvezzi a bilanciarsi tra varie attività. Passano tranquillamente dalla navigazione mercantile alla pirateria e alla guerra di corsa; operano, a seconda della necessità, nei quartieri “genovesi” delle diverse città europee o sulle turbolente acque mediterranee e atlantiche. d’altra parte, chi gira il mondo sa come 124
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aggiungere ai propri compiti un po’ di commercio spicciolo, per esempio quello delle lane pregiate, marocchine o inglesi, che domenico Colombo tratta, grazie a suo figlio o forse all’amico e mercante di riferimento Corrado da Cuneo, che appartiene all’ “albergo” di negro, alleato dei Fieschi come l’Aimari, a cui poi il figlio michele scriverà la sua lettera-relazione sul secondo viaggio; ma anche il piú minuto commercio di vino rivierasco serve alla famiglia Colombo per rimpinguare le scarse entrate di un’azienda artigiana. una necessità che il padre e gli altri familiari di Colombo sentono costantemente, soprattutto quando viene a mancare l’impiego pubblico – quello della custodia di un faro, di una torre e di una porta –, derivato dalla protezione della grande famiglia di riferimento, quella dogale dei Fregoso, e valido solo se essa e i suoi alleati Fieschi sono in auge. Questione difficile da appurare nella Genova del Quattrocento. una serie di atti notarili raccolti nel tempo attesta che il nonno e il prozio di Colombo – Giovanni e Luca – decidono d’installarsi nel piviere di nervi, uno a Quinto e l’altro a Quarto. Forse incide nella scelta di Giovanni, che diventa uno dei diciannove capifamiglia del piviere, la presenza in loco di Cristoforo Gallo, che appartiene a una famiglia di notai e proprietari terrieri, di armatori e imprenditori-mercanti tessili legata ai Fieschi. Cristoforo Gallo – che, per il nome che porta, potrebbe forse essere stato padrino del futuro Ammiraglio – ha un figlio, Antonio, che conterà molto nella vita di domenico e della sua famiglia, vicina di casa a Quinto e alla Porta Soprana di Genova. I Gallo provengono da moneglia e, come altre famiglie “popolari” quali i da bargagli, da moneglia, da noli, da recco, da Levanto, da Porto, da varagine, Oderico, Senarega e cosí via – nomi che in parte si incontrano anche nella vicenda di Colombo –, fanno parte di un ceto di professionisti importantissimo per far funzionare il sistema genovese. Infatti, come già il padre, anche Antonio è notaio ed è pure cancelliere del banco di San Giorgio. Possiede un’apotheca, in cui vende panni di produzione locale, fiorentina, lombarda, inglese. Grazie alla sua amicizia con Lazzaro doria (con il quale partecipa alla spedizione contro barcellona del 1466), entra nel lucroso commercio dell’allume. Come l’ambasciatore e amico di Colombo nicolò Oderico, traffica con la Corsica, ora controllata dal banco, e muove le sue navi, commerciando intensamente anche con Chio nelle mani della maona dei Giustiniani e con 125
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l’ormai turca Focea. Importa da Cadice tonno e panni inglesi e grano dalla Sicilia. mercante-banchiere, accetta depositi e opera nel cambio e nel prestito su pegno, pagando interessi e rivendendo i pegni ai gioiellieri. Ha case in città, “ville” e poderi dati in affitto o a mezzadria. una cugina di Colombo paga i debiti del marito cucendo tela per lui. Antonio compra e vende schiavi per uso familiare, ma non sembra entrare nel grande commercio a cui da secoli i Genovesi sono interessati. Autore di un’operetta sull’attacco a barcellona, informato forse dallo stesso Ammiraglio o dagli ambasciatori genovesi o da altri amici che hanno a che fare con l’area spagnola, scrive della scoperta colombiana nell’opuscoletto De navigatione Columbi, che lascia però incompiuto e che vedrà la luce piú di due secoli dopo. Per quel che se ne sa, Giovanni Colombo ha tre figli: Antonio, domenico, bartolomeo, e due figlie, maria e battistina. nel 1429 domenico viene indirizzato all’arte della lana e, appena undicenne, va come apprendista per sei anni presso il maestro tessitore Guglielmo di brabante di Allemagna. A sua volta nel 1439 domenico, ormai tessitore di panni di lana, prende come apprendista per cinque anni il dodicenne Antonio Leverone fu Lodisio di Ponte di Cicagna. La catena della Fontanabuona funziona e funzionerà sempre anche a Savona e in Spagna. Infatti, oltre al giovane Leverone che viene da Ponte di Cicagna, domenico Colombo prende con sé anche bartolomeo Castagnello, che proviene dal paese di quel nome e che piú tardi ricomparirà, con altri rivieraschi, a Savona insieme con il « maestro ». molte delle questioni che riguardano domenico e molte di quelle alle quali assiste in veste di testimone, coinvolgono gente del Tigullio, della Fontanabuona e della riviera di Levante. da quest’area anche Colombo trarrà alcuni membri dei suoi equipaggi nonché uno dei suoi criados, marco da bargagli. Quanto conti la piramide gerarchica e come funzioni il suo ombrello protettivo e organizzativo nei confronti dei Colombo lo si vede già il 6 settembre 1440, quando, nel parlatorio dell’abbazia di Santo Stefano, matteo Fieschi, procuratore del commendatario ettore Fieschi, concede in enfiteusi perpetua a domenico ed eredi una terra e la casa soprastante nel vico dell’Olivella che conduce alla porta e alla torre dello stesso nome. della porta e della torre in questione, per disposizione di Giano 126
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Fregoso, domenico diventa custode nel 1447, carica riconfermatagli da domenico e da Pietro Fregoso ancora nel 1450 e 1451. Intanto, nel 1448, il matrimonio della sorella battistina con Pasquale Fritallo costa troppo ai fratelli domenico e Antonio Colombo, che faticano a mettere assieme i beni dotali necessari, non versati integralmente anche se Antonio dal 1449 – sotto il dogato di Ludovico Fregoso – diventa custode della torre di Capo di Faro. due atti notarili (uno rogato il 31 ottobre 1470 e l’altro il 25 agosto 1479) hanno consentito di determinare la data di nascita dell’Ammiraglio. nel primo di essi, infatti, Cristoforo dichiara di essere maggiore di diciannove anni, nel secondo di averne circa ventisette. La sua data di nascita va dunque posta tra il 26 agosto e il 31 ottobre del 1451. In quell’anno, nella bottega del barbiere Andrea da Chiavari, domenico, ora cittadino genovese, è protagonista di un complicato affare di compravendita e locazione di terre site in Quarto; un maneggio che probabilmente nasconde un giro di denaro tra domenico e due conterranei, di cui uno è tessitore di lana. d’altra parte anche Antonio, che deve 20 lire ad Antonio Gallo, nel 1488 gli cederà a parziale soddisfazione un credito di 16 lire dovutegli da un tizio che ha mandato in prigione. A questo punto viene meno ogni notizia, salvo il fatto che, il 18 gennaio 1455, nel chiostro del monastero di Santo Stefano, Giacomo Fieschi, fratello e procuratore del commendatario, e i monaci concedono in enfiteusi perpetua a domenico e ai suoi eredi un terreno e la casa soprastante già acquistata da lui nel vico diritto, quella dove, da allora in poi, vivrà la famiglia. nel silenzio dei documenti è certo possibile pensare che, prima di arrivare a fare della navigazione la sua attività primaria, Cristoforo abbia vissuto altre esperienze, compresa quella di essere, insieme con il fratello bartolomeo, carminator con il padre. Leggendo i documenti genovesi e liguri, compresi quelli che riguardano i Colombo, è facile capire che ogni nucleo familiare di artigiani si organizza per sé, anche se può sempre appoggiarsi al gruppo parentale originario, peraltro senza troppi cedimenti e debolezze, anzi spesso prendendo le debite distanze in caso di difficoltà. Anche i matrimoni – lo dimostra la storia della « parentella » Colombo, compreso il caso di domenico, che sposa Susanna Fontanarossa, una ragazza della val bisagno che porta in dote qualche terra successivamente 127
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impegnata –, sono combinati all’interno dell’ “arte” di appartenenza, dove le donne svolgono un’intensa attività di supporto lavorativo. Padre di quattro figli maschi – Cristoforo, bartolomeo, Giacomo e Giovanni Pellegrino – e di una femmina, bianchinetta, domenico Colombo, che nel 1451 ha perduto il suo ufficio di custode della torre e della porta dell’Olivella, come ogni buon ligure è perfettamente consapevole che, tra tutti i mestieri ce n’è uno che, pur costando molta fatica e molti rischi, rende assai piú di tutti gli altri. A quei tempi navigare è tanto rischioso quanto remunerativo, anzi lo è piú che in altre epoche, dato che tra pirateria e corsarismo, piccole attività mercantili e mediazioni varie se ne cava abbastanza anche se si mette costantemente in gioco la pelle. A questo proposito Colombo è assai esplicito. nel 1502, scrivendo ai re da Granada, afferma che la gente di mare è codiciosa (‘avida’) di due cose: del denaro e di poter tornare a casa. Per questo affronta qualsiasi avventura – « todo lo aventuran » – senza aspettare a vedere che « el tiempo sea firme ». Comunque, di lí a poco tanto Cristoforo quanto bartolomeo cominceranno a navigare e finiranno con l’andarsene del tutto. Giacomo, invece, li seguirà molti anni dopo. Se Colombo appare un esempio di vivace mobilità, la sua famiglia d’origine non è da meno, anche se si tratta di migranti di tipo diverso. Già al tempo del nonno Giovanni esistono almeno tre nuclei derivati dal ceppo originario. Quello del prozio Luca sembra installato definitivamente nella zona di Quarto; degli altri due che hanno scelto di restare a Quinto, solo quello di Antonio si ferma, mentre domenico, come si è visto, se ne va a Genova. Ci sarebbero poi l’altro fratello bartolomeo, di cui poco si sa, e due sorelle, maria e battistina, anch’esse maritate in ambito artigianale. resta il problema degli altri Colombo, soprattutto di quelli che si trovano a Cogoleto e portano gli stessi nomi, che salteranno fuori in tempi di contenzioso. ma resta anche la questione dei famosi Colón, di cui a breve si parlerà. Comunque i tre figli maschi di domenico emigrano, mentre i figli di Antonio si dedicheranno all’arte della seta e tra i discendenti di Luca ci sarà pure un « antelamo ». due Colombo però raggiungeranno l’Ammiraglio. Giovanni, figlio di Antonio del ramo di Quinto, noto in Spagna come Juan Antonio, che, messo a imparare l’ars sartorie e legato ai Gallo (“Gallo” è il suo soprannome) finirà col raggiungere l’Ammiraglio 128
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e diventare il capitano di una delle navi del terzo viaggio, mentre un altro cugino dell’Ammiraglio, Andrea, avrà il ruolo di contador nel quarto. Tutto sembra confermare che il giovane Colombo, che lascia cosí pochi segni della sua presenza a Genova, agisca sempre in totale armonia con la sua famiglia anche se qualche volta le faccende del padre non vanno bene. In questi casi il suo nome compare sempre assieme a quello di domenico. Cristoforo è il primogenito o forse lo è diventato. Il nome del nonno paterno lo porta infatti Giovanni Pellegrino, vivente ancora nel 1473, e quello dell’altro nonno Giacomo, padre di Susanna Fontanarossa, è stato dato a uno dei suoi fratelli. non bisogna tuttavia drammatizzare né le vicende politiche che travagliano Genova a quell’epoca né i movimenti di terre e denari, abituali in quei tempi di scarsa circolazione monetaria, nei quali è spesso coinvolto domenico. risalgono al 1470 un tentativo di arbitrato e una sua temporanea carcerazione per un debito con Gerolamo del fu bartolomeo da Porto. un debito che però resta inevaso, dato che Colombo lo ricorderà nel suo testamento, lasciando venti ducati agli eredi. È dello stesso anno il documento riguardante una partita di vino da saldare parzialmente a Pietro belesio da Porto, in cui Cristoforo dichiara di avere già compiuto 19 anni. dunque le poche volte che, intorno agli anni Settanta, si incontra Cristoforo, lo si vede impegnato nei traffici del padre, sia quando domenico decide di mettere in piedi un commercio di formaggio a Genova – appoggiato al genero che opera nel settore –, sia quando gestisce una taverna a Savona, dove si è già trasferito (o sta per trasferirsi?) forse per le migliori possibilità offerte a un esperto textor pannorum in un centro di alta produzione com’è quella città. Qualcuno sostiene che il trasferimento sia dovuto a mutamenti politici che fanno venir meno la tradizionale protezione dei referenti Fieschi a seguito del temporaneo allentarsi della loro alleanza con i dogi Fregoso, con i quali peraltro sono imparentati. Spesso Savona è una città rifugio, in cui si ricompongono alleanze familiari in grado di superare ogni questione politica. O forse il trasferimento a Savona fa parte delle scelte di vita che portano domenico in tante direzioni, compresa quella di imbarcare i figli. Le stesse che lo inducono a spostarsi da Quinto a Genova, da Genova a Savona e da Savona a Genova, e che sono dettate dalle esigenze economiche legate al suo mestiere o alla tutela dei Fieschi, 129
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sempre disposti a proteggere i vari rami della famiglia Colombo. Certo, a partire dal 1471, la presenza sul soglio pontificio di un papa savonese e nel collegio cardinalizio di alcuni della rovere, Fieschi e Fregoso rappresenta senza alcun dubbio una garanzia per i Colombo.
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III DA GENOVA A SAVONA
Il 28 novembre 1470, a Genova, sotto gli olmi della piazza dell’abbazia di Santo Stefano, i consoli dell’arte dei tessitori di panni di lana, per delibera dei maestri della loro “arte”, di cui fanno parte domenico e benedetto Colombo, danno vita a una commissione al fine di stabilire il compenso che i tessitori devono ricevere dai lanaioli. L’anno seguente i Colombo sono ancora a Genova dove, forse proprio in vista di un definitivo trasferimento, è aperta una questione con i cognati per l’alienazione di parte dei beni terrieri dotali, operazione per la quale domenico sarà nuovamente in città nell’aprile del 1472. A questo punto è necessario ragionare su alcuni dati interessanti. nel marzo di quell’anno Cristoforo Colombo, lanaiolo di Genova, è a Savona, dove compare tra i testimoni al testamento di nicola monleone del fu Giovanni. L’atto è molto importante. non solo, infatti, il nome monleone riporta ancora una volta alla Fontanabuona, ma questo è anche il cognome di Luchina, moglie di Leonardo della rovere. Leonardo de Ruvere, che nel 1413, 1425 e 1427 fa parte del Consiglio degli Anziani savonese (a Savona come a Genova governa la parte “popolare”), in atti notarili del 1406 e 1410 è ricordato come acimator civis Saone, cioè ‘artigiano tessile’. Leonardo ha sposato Luchina monleone in seconde nozze, ma anche il nome della sua prima moglie – Selvaggia di Giuliano di valditaro – indica una provenienza dalla stessa area fliscana da cui vengono i Colombo. ma non basta. nasce da loro, nel 1414, quel Francesco, che, con il nome di Sisto Iv, sarà papa dal 1471 al 1484. Il fratello di Leonardo, raffaello, ha invece sposato Teodora di Giovanni manirola o menerola (se fosse manarola, il nome ricondurrebbe nuovamente alla riviera di Levante). da loro nascerà nel 1443 Giuliano, futuro papa Giulio II. Quasi coetaneo di Colombo, Giuliano gli sopravviverà qualche anno, dato che l’Ammiraglio morirà nel 1506 e Giulio II nel 1513. Si vedrà a suo luogo quanto i della rovere abbiano contato nella vita di Colombo: dall’aiuto che gli viene in ogni fase dai francescani, di cui Sisto 131
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Iv è stato generale, dagli interventi diretti del papa sulle azioni spagnole a proposito delle “decime”, dai parenti del papa – e soprattutto da Giuliano – nonché dalle loro amicizie. Giuliano, fatto subito dallo zio cardinale e vescovo di Carpentras proprio quando i Colombo si trasferiscono a Savona, è uomo di punta in area provenzale e nelle relazioni con gli Angiò. In effetti, durante il periodo milanese, le questioni internazionali sono gestite in gran parte da Savona o dalla Provenza. nell’agosto del 1472 domenico Colombo, che abita a Savona, è coinvolto con il figlio in una vertenza relativa a tessuti e quantità di lana, questione ancora viva nell’agosto del ’73, quando, con il consenso della moglie, decide di vendere la casa dell’Olivella, di cui otterrà l’intero pagamento di 155 genovini solo nel 1480. domenico è a Genova anche il 5 novembre 1476 per una cessione simulata di credito al notaio Francesco di Camogli, da cui riceverà, l’anno seguente, l’affitto della casa di vico diritto, locata al formaggiaio nicola maglio. Intanto, nel gennaio del 1477, ottiene il consenso della moglie per vendere o impegnare la casa con giardino a Porta Soprana. Comunque, a partire dal 1474 i Colombo sembrano ormai stabili a Savona, dove hanno bottega e casa nella contrada di san Giuliano, il quartiere dei lanaioli, e dove, in dicembre, i consoli e i membri dell’arte dei tessitori di panni di Savona, tra cui domenico e moltissima altra gente della Fontanabuona, approvano disposizioni statutarie relative ai lavoranti. A Savona i Colombo risiedono per molti anni, coltivando buone amicizie. Oltre a quella con i della rovere c’è quella, fondamentale, con i da Cuneo. Corrado da Cuneo e domenico Colombo hanno un rapporto solido e cosí l’hanno anche i loro figli, michele e Cristoforo. Ovviamente michele parte da una posizione sociale assai piú favorevole di quella dell’amico. Appartiene, infatti, a un’importante e ricca famiglia di uomini d’affari, che sono anche imprenditori, mercanti di panni, uomini politici e diplomatici. Grandi proprietari immobiliari, i da Cuneo inviano le loro galee in tutto il mediterraneo – dalla Spagna al Levante – e forse è su una delle loro navi e non necessariamente su un naviglio genovese – come si è ipotizzato – che Colombo è arrivato a Chio. I da Cuneo sono però interessati ad andare oltre, come si vede dal fatto che michele prende parte al secondo viaggio di Colombo. Hanno parentele importanti, con i della ro132
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vere e con i Centurione, gente di non poco significato nelle vicende colombiane. domenico acquista da Corrado una casa e un terreno in Legino da affiancare alla casa in cui vive e lavora. Altrettanto fa il padre di Leon Pancaldo (che poco piú tardi viaggerà con magellano), pure lui tessitore. I da Cuneo che, come l’Aimari a cui poi michele invia una lettera-relazione (è il primo “manuale di mercatura” che riguardi la terra americana), fanno parte dell’ “albergo” di negro legato ai Fieschi, sono uno dei punti di riferimento dei Colombo. rappresentano infatti gli imprenditori-protettori della minuta gente, abituata, dalla nascita fino alla morte, ad appoggiarsi a chi è piú importante. Cristoforo ha origini e storia assai piú modeste di michele, ma il Savonese è uno dei piú grandi ammiratori dell’Ammiraglio e l’amicizia è ricambiata; sicché, unico tra tanti, solo lui riceve in dono un’isola – Saona – e vede battezzato con il suo nome l’appena scoperto Cabo San miguel. La partecipazione di michele da Cuneo al secondo viaggio di Colombo va dunque collocata nel panorama di queste relazioni che meglio inquadrano premesse e contenuti della scoperta. Spirito acuto e scanzonato, uomo di corteccia dura, come d’altronde sono tutti i protagonisti di questa vicenda, con le luci e le ombre del suo comportamento, michele è un ligure che osserva il mondo senza paura, sicché sa illustrare perfettamente le difficoltà incontrate in zone sconosciute. Gli esempi sono molti: capita cosí per i travagli subiti dai cinquecento uomini che accompagnano Colombo nella spedizione al Cibao (da lui ostinatamente identificato con il Cipango dei suoi sogni). Tutti sono « non troppo bene in ordine de panni. e nel ditto viaggio tra l’andare, il stare e il ritornare, stetimo iorni 29 cum pessimi tempi e mal mangiare e pegio bevere »;1 anche se « per la cupidità del ditto oro tutti stavamo forti e gagliardi ». e succede lo stesso quando, giunti a « uno arcipelago de mare bianco » toccano finalmente terra e « presimo refrescamento del quale molto bisognavamo, perché eravamo stati giorni xii a gotto [a bicchiere]
1. Questa e le successive citazioni sono tratte da: michele da Cuneo, Lettera a Gerolamo Aimari, cit., pp. 169-200.
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uno de aqua, solum cum di quel pane della rape anteditte » (la manioca, di cui ha parlato diffusamente in precedenza): mentre durava, la compagna [la cambusa] cum chiodi era chiavata per comportarli pane che era poco, del quale poco inanti per le fortune se ne era bagnato cantara circa xv le quali butassimo in mare; pur alcune volte, quando ne davano, non era che oncie viii [poco piú di 200 g.] il dí per omo, e se non fusse stata la grande quantità de li pesci, a mal porto eravimo gionti.
michele è un osservatore attento, che non fa mistero di quello che pensa, né di quello che fa e vede fare. Fedele amico di Colombo, scherza apertamente sulle debolezze amorose dell’Ammiraglio, che, appena arrivato alla Gomera, si esibisce in una serie di « triumfi e tiri di bombarde e lanzafochi […] a cagione de la signora del ditto loco, de la quale fu alias il nostro armirante tinto de amore »; oppure sottolinea la sua ben nota prudenza nel gestire la scoperta, quando, onde evitare di essere smentito a proposito delle sue previsioni di trovare il Catai e sul fatto che Cuba sia terraferma (« alla quale pretesa la piú parte de nui altri se acordavamo »), decide che l’abate di Lucena, « omo scientissimo e richissimo », con il quale dibatte e che lo smentisce apertamente, non torni in Spagna con lui perché se « domandato di parere de la maestà del re, non causasse cum la sua risposta che ditto re non abbandonasse la intrapresa ». Per questo ha fatto giurare, pena spaventose punizioni, ai suoi uomini che Cuba è terraferma (ma questo il Savonese preferisce non dirlo). Peggiora di giorno in giorno il rapporto di Colombo con gli Spagnoli. Lui stesso ne scriverà apertamente ai re, se non altro per difesa personale. Pure michele, quando parla di loro, prende le distanze, affermando – come fa l’Ammiraglio – che i loro sogni di grandezza sono eccessivi e che tutte le occasioni sono buone per prevaricare o tradire. È vero che dall’altra parte – frati compresi – ci si lamenta dell’avidità dei Genovesi. dal canto loro, come si è detto, sia l’Ammiraglio sia michele non fanno mistero di quel che pensano degli Spagnoli. domina la crudeltà: scoperti in mercimoni segreti con gli Indios, i colpevoli sono frustati, sono tagliate loro le orecchie e il naso. In questa remota plaga viene meno il tradizionale buon rapporto tra Genovesi e Castigliani: quando ci si ritrova invischiati in vicende di questo genere, il tono cambia ed emergono ostilità “nazio134
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nali” pesanti, anche se il fronte si ricompone nel momento degli scontri con gli indigeni. Infine per nulla pietose, per non dire indifferenti, sono le parole che michele usa per raccontare il rinvenimento dei cadaveri degli uomini lasciati al fortino della navidad nel primo viaggio e le espressioni adoperate a proposito dei duecento uomini, non ancora rientrati da un’esplorazione e forse uccisi e divorati dai Cannibali. ma, al di là di ogni giudizio, bisogna fare i conti con gente abituata a convivere con la morte e che la morte non teme, dato che la incontra quotidianamente nelle vie della propria città. Cresciuto in una società come quella ligure, che da secoli va per il mondo e sa bene cos’è una colonia, michele non ha problemi nel porsi in atteggiamento di superiorità e indifferenza rispetto alla nuova umanità che incontra. Proviene da una società di mercanti di schiavi, lui stesso lo è come l’amico Colombo. In effetti, se si analizzano le sue parole, il senso è chiaro. Per la cultura e il diritto del tempo come per molte altre, lo schiavo non è una persona, bensí una cosa, una merce come un’altra. In questo senso gli europei sono senza pietà come i tanto deprecati Cannibali che, magari per usi rituali, si cibano di altri indigeni. dunque se Colombo gli regala una bella schiava e questa non vuole subire la sua violenza, michele la frusta finché non è soddisfatto dal suo comportamento, tale che « nel facto parea amaestrata a la scola de bagasse ». I poveri Indios, già tormentati dai Cannibali, di cui michele descrive ampiamente abitudini e sistemi, sono ora obbligati a fughe disperate anche di fronte ai nuovi arrivati, disposti a usare ogni mezzo, cruento e incruento, per averne ragione; le madri abbandonano i piccoli, i cacicchi prigionieri si mordono disperatamente le caviglie per sciogliere i lacci che li trattengono. delle migliaia di schiavi presi, moltissimi si ammalano, per esplicita affermazione di michele, e molti muoiono durante la navigazione di ritorno. Comunque l’oro non si trova o se ne trova poco e questo peggiora la situazione, anche se sono arrivate dalla Spagna quattro caravelle con cibo, medicine e altri sostegni. Invece si scoprono sempre nuove isole. michele colma di preziosi dettagli il racconto del suo viaggio, nel corso del quale, se non si trova l’oro, s’incontrano però nuove terre. ed è a questo proposito che traspare dallo scritto di michele la profondità del suo legame con Colombo; parole che sono, come ha sottolineato giustamente Jacques Heers, una delle prove 135
parte ii · un uomo tra due mondi
decisive dell’origine genovese dell’Ammiraglio. Come si sa, Colombo preferisce di solito fare affidamento solo sui parenti, soprattutto sull’adelantado bartolomeo, che rappresenta davvero il suo alter ego. Tra gli estranei, l’unico per cui fa eccezione è il da Cuneo. d’altra parte michele lo ricambia di uguale amicizia. Scrive infatti: ma una cosa voglio io ben sapiate, che al mio poco vedere, poi che Genoa è Genoa, non è nato uno homo tanto magnanimo et acuto del facto del navicare como il dicto signor armirante; per ciò che navicando, solum a vedere una nuvola o una stella di nocte, iudicava quello dovea sequire, et se essere dovea mal tempo, lui proprio comandava et staxeva al temone, et poi che la fortuna era passata, lui alzava le velle, et li altri dormiano […].
È michele il primo ad avvistare, nel corso dell’esplorazione, un capo con un bel porto, al quale l’Ammiraglio « pose nome el cavo de San michele Saonese per mio rispetto, e cosí notò nel suo libro ». Successivamente compare un’isola bellissima sopra uno cavo non troppo longinqua, la quale etiam io fui il primo a discoprire, la quale gira leghe xxv in circa, et etiam per mio amore a ella el signor armirante pose nome la bella Saonese, e me ne fece uno presente; e sotto li modi e forme convenienti, di ella presi la possessione, come faceva el ditto signor armirante de le altre in persona de la maestà del re: videlicet io per virtú de istrumento di notario publico. Sopra la ditta isola eradicai erba e tagliai arbori e piantai la croce e ancor le forche, e a nome di dio la batizai per nome la bella Saonese. e bene si può chiamar bella, perché li sono suso casali xxxvii cum anime ad minus xxx mila; e tutto questo nottò etiam nel suo libro il ditto signor armirante.
dunque il savonese michele è la sola persona alla quale Colombo ceda una signoria coloniale. un catalano, corso o provenzale, sostiene Heers con chiara allusione ad altre presunte origini colombiane, mai avrebbe battezzato Saona quel territorio.2
2. G. Airaldi, Il mercante europeo e il Nuovo Mondo. Michele de Cuneo versus Marco Polo, in ead., Dall’Eurasia, cit., pp. 117-35, e la bibliografia citata.
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Iv L’ETÀ DEI PAPI LIGURI, UNA STORIA DEL MARE
La Signoria sforzesca fa rifiorire l’antico rapporto tra Genova e milano. Il ducato è la naturale area di transito tra il mediterraneo e i paesi a nord delle Alpi, con i quali pure i Genovesi hanno ottime relazioni. Attento al commercio ma anche ai finanziamenti liguri, il duca guarda a Oriente ma anche a Occidente, in Oltremare come nella Penisola Iberica, dove però i traffici milanesi richiedono buoni rapporti con gli Aragonesi e con napoli, il che – come si è detto – spesso non collima con gli interessi dei gruppi di affari genovesi, ormai in netta affermazione sul piano internazionale. nel secondo Quattrocento, infatti, è la storia “che non si vede” a governare alcuni eventi destinati a cambiare le coordinate del mondo. Lo denuncia l’ascesa al soglio pontificio di ben tre Liguri, largamente coadiuvati da una nutrita e agguerrita presenza di cardinali conterranei, segno indubbio della potenza internazionale dell’area che rappresentano, ma soprattutto della forza di alcuni dei grandi clan familiari che affiancano loro uomini a questi pontefici, che, eletti a suon di quattrini, sono spesso strumenti degli interessi delle lobby internazionali di cui le loro famiglie fanno parte. È questa dunque l’età dei papi liguri – due Savonesi e un Genovese – e del legame profondo che essi ebbero tra loro e con il famoso doge-arcivescovo, poi cardinale, Paolo Fregoso e con altri amici, tra cui alcuni Fieschi e alcuni doria. In mezzo ci sono certamente Colombo e il suo famosissimo e ben piú longevo contemporaneo Andrea doria (1466-1560), in prima istanza ammiraglio francese e infine grande realizzatore dell’intesa con la Corona spagnola. eterna rivale di Genova, spesso Savona è rifugio dei membri di qualche importante famiglia genovese, centro di importanti incontri politici o base di operazioni marittimo-militari. Tuttavia la lente attraverso la quale dovrebbe essere letta la storia del rapporto tra Genova e Savona non va centrata solo sulla storia puntuale degli avvenimenti. È necessario, invece, guardare alla serie di legami maturati nel tempo sugli interessi dei grandi 137
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clan, in cui i cardinali, a volte piú di uno per famiglia come nel caso dei della rovere, svolgono un ruolo importante nel triangolo roma-Genova-Savona e nei rapporti con le altre potenze, milanesi, franco-angioine, aragonesi. È naturale che ai comportamenti di taglio nepotistico di questi papi con troppi familiari e troppi figli si accompagni il fatto che i pontefici liguri guardino con benevolenza a coloro che ruotano nella loro orbita, concedendo cariche e privilegi dappertutto. meno nota alle tradizionali biografie pontificie è invece la parte di interessi che, direttamente o indirettamente, genera benefici collegati all’economia dell’espansione e che ora perlopiú fa perno sulla centralità della Penisola Iberica, il vero crogiolo progettuale dell’epoca, tenendo però d’occhio il ruolo da sempre giocato dai Genovesi nel meridione italico nonché quello altrettanto importante svolto dalla Corona francese, da venezia e milano. È indubbio infatti che, proprio nell’età di Colombo, viene fuori in modo chiaro un asse con roma in cui le élites genovesi e savonesi operano spesso assieme. L’asse si rafforza durante il pontificato di Sisto Iv (1471-1484), il primo della rovere a comparire, anche se con lui emerge subito la figura del nipote Giuliano, fatto cardinale nello stesso anno, un uomo che conterà moltissimo nella vita di Colombo. Protonotaro apostolico è un altro personaggio di grande spessore e dinamismo, e cioè Obietto Fieschi, e con loro c’è Gianbattista Cibo, poi papa Innocenzo vIII. Altri Fieschi però ruotano in quest’ambiente: urbano, poi domestico di Innocenzo vIII; ettore, che pronuncerà l’Orazione di obbedienza per la sua elezione; soprattutto nicolò, fratello di urbano e di ettore, nell’82 vescovo di Fréjus e nell’84 di Tolone, poi protonotaro apostolico e cardinale, legato a Luigi XII e in grado di far valere le benemerenze fliscane anche con il catalano Alessandro vI, ricordandogli che lo zio Giorgio, arcivescovo di Genova, era stato tra i grandi elettori di suo zio Callisto III. Pontefice attento alla composizione del Sacro Collegio, alle scelte matrimoniali di parenti e amici, mandante non troppo segreto della congiura dei Pazzi, Sisto Iv controlla con i suoi parenti e i suoi alleati lo sfruttamento delle miniere di allume e di ferro e guarda con estrema attenzione a quell’area iberica, che ogni giorno di piú si sta rivelando la plaque tournante 138
iv · l’età dei papi liguri, una storia del mare
del futuro.1 Letta in questa prospettiva, la contrapposizione Genova-Savona non esiste. Se l’asse principale dei traffici è centrato sul grande porto genovese, Savona ne è il naturale porto succedaneo, dove pure si dà spazio alla vivace produzione artigianale locale, di cui l’imprenditoria legata all’arte della lana e del cuoio sono voci trainanti. Le rade di Savona e vado, intercambiabili e utili al pescaggio anche di navi di alto tonnellaggio e d’importanza pari a quelle di napoli, maiorca e Chio, favoriscono la simbiosi operativa dei gruppi familiari che governano le due città, spesso imparentati fra loro. In questa dimensione Savona rappresenta per molti Genovesi – e non solo per occasionali transfughi politici di alto ceto – una piazza interessante. I lanaioli savonesi, tra i quali approdano domenico Colombo e la sua famiglia, sono una corporazione molto piú incisiva di quella genovese. A Genova l’industria locale è penalizzata dalla centralità del mercato. A Savona è migrata e migra continuamente gente della Liguria di Levante, e, come si è detto, qui c’è una folta rappresentanza di lanaioli e forse di altri “pratici” provenienti dall’area fliscana. nel Quattrocento Savona, che certamente è il maggior polo artigianale di tutto il Ponente ligure, è anche al centro di un intenso movimento navale ed economico che dall’Inghilterra arriva fino a Chio. La costa tra Genova e Savona è fervida di cantieri, da cui forse hanno preso il via altri Colombo magari anche in relazione al ruolo svolto da Giuliano della rovere in Provenza e a Genova. Lo stesso Ammiraglio afferma di aver lavorato per renato d’Angiò. eletto papa con il nome di Sisto Iv da un conclave di diciotto cardinali che alla sua morte ne conterà venticinque, il generale dei francescani Francesco della rovere, cardinale dal 1467, oltre a dedicarsi ai suoi studi teologici e a discettare sull’Immacolata Concezione, a volere la biblioteca vaticana e la Cappella Sistina (con una edizione particolare anche a Savona), a fondare il piú antico monte di Pietà a Savona, a concedere a santa Caterina Fieschi Adorno la riunificazione degli ospedali genovesi sotto il suo controllo, si fa anche promotore dell’Inquisizione, con la bolla Summi 1. Su questi temi, oltre a quanto già citato, ma soprattutto in relazione ai pontefici della rovere e Cibo e ai loro collegamenti con le questioni relative all’espansione e alla storia genovese, cfr. Airaldi, Storia della Liguria, iii. Dal 1492 al 1797, cit., e la bibliografia citata.
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desiderantes del 1478, che, giocando sull’eliminazione della finanza ebraica, incoraggia certamente l’affermazione economica dei “conversi” e dei mercanti-banchieri italiani dell’epoca. Sisto Iv è anche il papa che con la bolla Aeterni regis del 1480 ratifica il trattato di Alcaçovas-Toledo (1479-’80), che prelude al piú noto trattato di Tordesillas (1494), steso all’ombra di un papa catalano – il secondo borgia –, in cui si stabilirà la raya che spartisce, a 100 km. dalle Azzorre, le aree di espansione mondiale delle Corone di Portogallo e di Castiglia. Al tempo del primo trattato Colombo è già in Portogallo e nel 1494 collabora alla stesura del secondo. Il trattato di Alcaçovas-Toledo stabilisce che l’area tra Fez, madera e le Azzorre e tutto ciò che si scoprirà a sud delle Canarie sia di spettanza portoghese, mentre le Canarie toccano alla Corona spagnola. La linea che passa a sud delle isole divide cosí l’Oceano in due parti, di cui quella a nord appartiene alla Castiglia e quella a sud al Portogallo. Si formano cosí due zone di influenza e si crea uno spazio di cerniera, noto come mare di Guinea, porta di accesso all’Atlantico meridionale. In questa zona, che interessa una fascia orizzontale dove gli alisei si incontrano con le latitudini medie situate tra le Canarie e Capoverde, si raccolgono le esperienze relative a quella navigazione verso Occidente nell’ambito della quale matura il progetto di Colombo, che certamente va al forte della mina, costruito nel 1481, dove dice di essersi recato al comando di due navi nel 1482 o nel 1483, anno in cui presenta il suo progetto a Giovanni II di Portogallo. Sisto Iv è il pontefice che lancia la cruzada, l’imponente raccolta di fondi per le operazioni militari finalizzate alla conquista di Granada (che avverrà al tempo di un altro papa ligure, Innocenzo vIII), e che va ad aggiungersi a quella già esistente in funzione antiturca. A lui, nel 1473, i Genovesi di Siviglia chiedono di nominare un arcivescovo genovese a tutela dei loro interessi. In effetti c’è un lungo periodo romano, in cui tutto – vescovadi e cariche civili – cade sotto il controllo dei Liguri. eccetto che nel periodo di presenza e influenza catalana, con Alessandro vI borgia dalla fine dell’agosto 1492 all’agosto 1503, i Liguri controllano il papato fino alla morte di Giulio II (1513). d’altra parte si sa che l’elezione di un pontefice è un fatto politico, oggetto di contrattazioni serrate, condotte sulla base di una notevole circolazione di capitali, di cui i Genovesi dispongono con grande fa140
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cilità. Solo i Fiorentini potrebbero intervenire, ma ciò capiterà un po’ piú tardi con i papi medici. Sisto apre le porte del Sacro Collegio e delle piú importanti cariche ai nipoti: Giuliano, nato nel 1443 come l’Antonio Gallo amico di Colombo e suo, fatto subito cardinale di san Pietro in vincoli, sarà vescovo di bologna, di Avignone e altre diocesi francesi; bartolomeo, vescovo di Ferrara e patriarca di Antiochia; Pietro riario, arcivescovo di Firenze e vescovo di Spalato, Siviglia, valenza e Senigallia; raffaello Sansoni, cardinale di San Giorgio in velabro e arcivescovo di Pisa; Gerolamo basso, cardinale di San Crisogono e arcivescovo di Genova; Ottaviano basso, vescovo di viterbo; Francesco basso, priore a Pisa. Fa cardinali il genovese Gianbattista Cibo, vescovo di Savona dal 1476 al 1482 e poi di molfetta e il genovese Paolo Fregoso. A loro vanno aggiunti i cardinali amici, compresi i Fieschi, sempre presenti nel Sacro Collegio. Ai laici pensa diversamente, conferendo loro anche titoli vicariali in temporalibus: Gerolamo riario sposa Caterina Sforza e ha la Signoria di Imola e Forlí; Leonardo, nominato prefetto di roma, sposa maria d’Aragona e diventa duca di Sora, stato e titoli ereditati alla sua morte da Giovanni della rovere, signore di Senigallia e di mondavio, sposato a Giovanna da montefeltro, sorella di Federico, comandante della Lega Italica costituita nel 1454 e fatto duca. nel 1503, appena salito al soglio pontificio, Giulio II assegnerà subito un ruolo rilevante all’unico erede rimasto, Francesco maria, figlio di Giovanni e di Giovanna da montefeltro, che fa adottare dall’ultimo feltresco, Guidubaldo. Cosí Francesco maria gli succede nel ducato di urbino con prerogative tali che, dopo la fine della Signoria roveresca, ne nascerà la Legazione di Pesaro-urbino, destinata a restare tale fino all’unità d’Italia. nel 1478 il prezioso allume di Tolfa, che dal 1462 subentra a quello delle ormai perdute miniere di Focea, passa dalla gestione fiorentina a quella genovese; diventa cioè monopolio del potente gruppo dei Centurione presenti in area iberica, nelle isole atlantiche e in altre parti del contesto europeo e viene scaricato in quantità massiccia nel porto savonese, dove si apprestano le navi per il papa. né si può ignorare l’intervento fondamentale di Sisto Iv a sostegno della congiura dei Pazzi di quello stesso anno; questione che, come appare evidente, va ben oltre le risse locali. In quell’epoca 141
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suo nipote Giuliano è attivissimo. Se in quel momento Sisto Iv predilige il nipote Pietro riario, è Giuliano, imparentato con Fieschi e con il Cibo che egli, ancora in buona armonia con il cardinale borgia, contribuirà a eleggere, quello tra i due che rivela personalità piú forte. Giuliano conta tra i suoi amici anche il portoghese Giorgio da Costa, che entra a far parte del Sacro Collegio con il Fregoso e il Cibo al tempo di Alcaçovas-Toledo quando Colombo è in Portogallo. Fa parte di questo gruppo il cardinale Giovanni, bastardo di Ferrante I di napoli. Il pontefice savonese è a quel tempo ben legato a milano, a sua volta abbastanza incline a privilegiare Savona su Genova. Ciò contribuisce a irritare una parte dell’élite genovese come dimostra, nel 1476, la congiura di Girolamo Gentile. Con lui è in ottimi rapporti proprio Giuliano della rovere, che lo incontra nell’angioina Avignone, dove il Gentile fugge subito dopo il fallimento della cospirazione antimilanese. dopo l’assassinio del duca di milano, però, sia a lui che al suo grande amico cardinale Cibo, una parte dei Genovesi chiede che il papa « pigli il dominio de quella città vel saltem la protectione de quella libertà ». In effetti Sisto ha scomunicato Obietto Fieschi, fratello del “patriarca” Gianluigi perché il protonotaro apostolico si era allontanato da roma con altri Genovesi per andare a Genova e partecipare alla congiura. Continua, infatti, la fervida amicizia tra Giuliano della rovere, Obietto Fieschi, Paolo Fregoso e Gianbattista Cibo. In questi anni il silenzio attorno a Colombo è pressoché totale. Le poche notizie riguardano la sua presenza a Savona nel 1472, dove lo si trova in marzo e in agosto, poi una sua temporanea e già citata presenza a Genova il 25 agosto del 1479. Tuttavia per sua stessa ammissione si sa che, negli anni Settanta, ha condotto una spedizione per conto del “roi rené” verso Tunisi contro la galeazza Fernandina. In quest’operazione corsara Colombo parte da marsiglia e qui torna. Perché parte e torna da marsiglia? È qui forse che, oltre a Giuliano della rovere, potrebbe entrare in gioco anche il famoso “archipirata” noto come Colón il vecchio. La questione degli ammiragli Colón, spinosa e insoluta, lo diventa meno se li si mette in relazione a Colombo, riordinando date, luoghi e azioni. Si sa per certo che Colón o Collom o Culam corsario, che opera per conto di Luigi XI tra il 1461 e il 1483, ha una base nel mediterraneo proprio a 142
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marsiglia, in giurisdizione angioina fino al 1486 quando la Provenza passa alla Corona francese. ma, come si vedrà, colui che è noto come il « terrore dei mari » ne ha anche altre. È questo il Colón successivamente noto come “il vecchio” per distinguerlo da “il Giovane”. nel 1461 è già viceammiraglio di Francia se si tratta, come è parso a qualcuno, di Guillaume de Casenove « dit Coulomp, escuyer et visadmiral de France », poi « maistre enquesteur et reformateur des eaux et forets en normandie et Picardie ». Signore di varelme e di mesnil Paviot, ha « gaiges et pensions » a Honfleur, Lisieux e dintorni. A questo Colón il re impone di sposare Guillemette Le Sec, da cui nascerà Jean de Casenove, signore di Gaillartbois. Gli Spagnoli dell’epoca sostengono che prima di lui i Francesi non sapevano navigare. Certamente si tratta di una figura molto particolare, non troppo lontana da quei personaggi genovesi e liguri di cui si è parlato e che hanno collaborato a vario titolo con la Corona di Francia tanto in ambito atlantico quanto in area provenzale e mediterranea. Qualcuno ne ha collegato il nome ai Colombo di Cogoleto, che facendosi forti di analogie di carattere onomastico e cronologico, sono poi parte volontaria o involontaria dei pleytos successivi alla morte dell’Ammiraglio. In ogni caso questo Colón opera prevalentemente da Harfleur, porto della baia della Senna di fronte a Honfleur – sua base in giurisdizione francese dal 1468 –, muovendo tra le Fiandre, le coste inglesi, bretoni e iberiche e attaccando nemici o presunti tali, comprese navi veneziane, genovesi e anche portoghesi, comportandosi dunque da pirata e da corsaro anche con gli alleati del re francese, come il Portogallo.2 La guerra tra Castiglia e Portogallo, che, dopo le nozze di Fernando e Isabella, nasce dallo scontro per la successione al trono castigliano, in cui Luigi XI è schierato contro Castiglia e Aragona per le questioni peninsulari, per il mediterraneo e per il rossiglione, provoca molti problemi nei porti del mediterraneo occidentale e della costa atlantica, mentre i re Cattolici tentano di forzare il blocco sulla Guinea. 2. Sulla questione, già oggetto di alcuni studi, cfr. ora la messa a punto di P.J. mazzoglio, I corsari Colombo e Cristoforo Colombo nella storia marittima portoghese, in Italia-Portogallo. Viaggi nella storia e nella cultura, a cura di C.m. radulet, viterbo, Sette Città, 2008, pp. 5087.
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nel 1470 Colón il vecchio, assoldato anche da Alfonso v di Portogallo, diventa corsario portugalexe. In quel momento forse ha già un’altra base a Lisbona, da dove compie alcune missioni in Guinea, zona in cui confluiscono schiavi e oro e pertanto oggetto di particolare cura da parte del principe Giovanni, che, tra l’altro partecipa alla presa di Arzila nel 1471. A quest’azione prende parte il fiammingo Antonio Leme che, secondo Las Casas, a madera informa Colombo di un avvistamento di tre isole avvenuto nel corso di un viaggio compiuto a Occidente; oppure è lo stesso Colombo a prender parte a quell’evento, dato che nel 1502 invia, tramite il fratello bartolomeo, i suoi saluti al comandante di Arzila. nel 1471 Colón cattura la nave genovese Negrona in mari inglesi e l’anno seguente conduce a termine altre imprese del genere contro gli Inglesi, alleati dei borgognoni e dei veneziani in funzione antifrancese. nel 1473, segnalato come Collóm e come « homo del re di Tunisi », ma anche come « homo regis Francie », batte le zone di Alicante e attacca navi aragonesi e veneziane presso Almeria. Assalta anche una nave fiorentina. nel ’74 quando i Portoghesi istituiscono il mare clausum di Guinea e lo difendono assoldando corsari, è attivissimo contro veneziani, napoletani e Catalani. In quell’anno il cosmografo fiorentino Toscanelli, tramite Fernão martins, ragguaglia il principe Giovanni sul possibile itinerario occidentale per le Indie. una lettera che forse Colombo ha in mano fin da allora e che comunque successivamente conoscerà. Intanto il corsaro del re di Francia continua nella sua attività, assalendo una nave pontificia e una genovese. nel 1475 però, per ordine di Luigi XI, deve unirsi alle forze portoghesi. da questo momento fissa definitivamente la sua base a Lisbona dove, secondo informazioni dell’epoca, « vive come se fosse a casa sua », anche se riceve l’ordine di armare 16 navi a Honfleur. nel corso del ’76 ulteriori scontri tra la bretagna e il golfo di biscaglia non hanno sempre esito fortunato. nel mese di agosto Cullam, ancora definito « famoso corsaro francese » parte, con Pero de Ataide e una flotta di 14 navi, 12 francesi e 2 portoghesi, per liberare Ceuta dall’assedio castigliano. L’operazione riesce e a Lagos egli incontra re Alfonso. Fatto uno scalo a Lisbona, decide di attaccare 5 caracche genovesi dirette in Inghilterra. Tra esse c’è la savonese Bechalla. In una terribile battaglia, durata dieci ore e avvenuta in prossimità del Capo San vincenzo, muoio144
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no piú di 800 tra Genovesi e Savonesi, 500 Francesi e oltre 500 Portoghesi e si perdono molte navi. È in questa circostanza che Colombo raggiunge la riva a nuoto forse dalle navi del corsaro e non da quelle genovesi, come invece di solito si sostiene? È questa la prima volta che tocca il suolo portoghese? Certo non è questo l’evento che, raccontando l’arrivo di suo padre in Portogallo, Fernando confonde con quello analogo, ma avvenuto nel 1485, in cui compare invece un Colón il Giovane, figlio del precedente nonché un nipote non meglio identificato. Ciò non impedisce che nel 1476, con il vecchio Colón ci fosse pure il Giovane e anche il nipote, forse sulla nave comandata dal Giovane (da qui la possibile confusione). Secondo Fernando era stato Colón il Giovane (altrimenti citato come Jean Coulomb, ma con qualche incertezza), l’ “archipirata illustre”, che lo stesso Fernando ricorda come famoso anche per le sue prodezze contro i musulmani, a far venire in Spagna e a far navigare il quattordicenne Cristoforo. Cosí dice Fernando, che considera questi Colón suoi parenti, e forse non è un caso che, nel corso dei viaggi fatti per rintracciare le origini della famiglia citi i Colombo di Cogoleto, lasciando però senza soluzione il problema. È stato forse il vecchio che può aver portato con sé Cristoforo in qualche impresa (come, ad esempio, quella su barcellona del 1466 o una analoga). Tutto, invece, va riportato al 1476, quando a Lisbona c’è Colón il vecchio, uomo assai stimato, probabilmente legato ai Pessagno, che nel 1483 morirà nelle Fiandre dove si è ritirato. nell’ottobre 1476 sette navi di Colón sono in disarmo a Lisbona, anche se continuano le azioni soprattutto contro gli Aragonesi. Cristoforo dice che nel 1477 ha viaggiato verso l’ “ultima Tule”, cento leghe oltre l’Islanda. Con chi ci è arrivato? Con navi genovesi, con navi portoghesi o con quel Colón, che, tra il 1478 e ’79, sempre impegnato negli scontri relativi alle questioni borgognona-francese-portoghese e castigliana, attacca ripetutamente navi aragonesi? dopo la sconfitta subita, il re portoghese decide di incontrarsi con il re di Francia in terra francese, sicché dovrà essere scortato fino a marsiglia. nel frattempo, proprio nel 1479 il corsaro attacca due navi dei Genovesi, che se ne lamentano con Luigi XI ovviamente senza ottenere alcun risultato. Che cosa fa e dove sta Colombo tra il 1472 e il 1479? La guerra tra renato d’Angiò e gli Aragonesi dura fino al genna145
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io 1479, prima che il trattato di Alcaçovas-Toledo metta un po’ di pace tra Portoghesi e Castigliani. Le date hanno sempre una loro importanza. nell’ultima occasione in cui Colombo è presente a Genova, e cioè nell’agosto del 1479, egli dichiara di essere a Lisbona già dall’anno precedente. dopo la fondazione del forte della mina in Guinea, l’azione portoghese di scoperta si amplia ulteriormente. ne seguono, tra l’altro, le spedizioni di diogo Cão nel 1485 e, nel 1488, quella di bartolomeu dias, che Colombo, tornato in Portogallo su invito di re Giovanni II, incontrerà. nell’agosto 1485 però Colón il Giovane, definito anche dai veneziani « fio de Colombo corsaro » intercetta loro galee, portando navi e bottino a Lisbona. Come si è detto è a quest’altro episodio, avvenuto sempre all’altezza di cabo San vicente e non a quello del ’76, che allude erroneamente Fernando. Già nel 1483 però Cristoforo Colombo ha parlato in Portogallo del suo progetto per arrivare alle Indie navigando a Occidente. Per questo forse nell’85 Giovanni II invia il dottissimo Josè vizinho in Guinea, ma poi finisce col rigettare la proposta. nel 1485 Colombo passa improvvisamente in Castiglia con il figlio diego, certamente perché la sua famiglia, entrata nella congiura capeggiata dai braganza, è tra quelle che progettano di aprire agli Andalusi il « cammino di Guinea ». don Fernando sostiene che non vuole occuparsi dei due famosi Colón e che non è necessario trovare al padre ascendenze illustri o patrie certe. Certo, con i sospetti che avevano accompagnato Colombo nell’ultima fase della sua vita e l’urto franco-spagnolo in atto quando è in vita Fernando, non sarebbe stato certo il caso di insistere. Perciò il figlio si limita a dire che « conforme alla patria dove andò ad abitare e a cominciare nuovo stato limò il vocabolo accioché avesse conformità con l’antico e distinse quelli che da esso processero da tutti gli altri che gli erano collaterali, e cosí si chiamò Colón ».3 Piú oltre aggiunge che lo stesso Ammiraglio in una sua lettera aveva sostenuto che « il suo traffico e de suoi maggiori fu sempre per mare » e che aveva scritto a Juana de la Torre: « io non sono il primo Ammiraglio della mia famiglia. mi mettano pure il nome che vor3. Questa e la citazione successiva sono tratte da F. Colombo, op. cit., pp. 55 sgg.
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ranno, che in ultimo david, re sapientissimo, fu guardiano di pecore e poi fu fatto re di Gerusalemme, e io servo son di quello stesso signore che mise lui in tale stato ». In effetti ci sono molte coincidenze interessanti in queste date e nell’azione di Colón e di Colombo e molte ce ne sono anche nell’oscurità che circonda le origini del pirata-corsaro, che ottiene titoli, prebende e una moglie importante come capita di solito ai Genovesi, ammiragli o no che siano. d’altra parte tanto l’area provenzale quanto quella normanna ospitano, come si è detto, esperienze analoghe. Come si è visto, i maloixel diranno di essere discendenti di Lanzarotto malocello. Certo una possibile parentela con il Colón spiegherebbe meglio perché Colombo in area iberica abbia assunto questo cognome. Si tratta pur sempre di un cognome prestigioso anche se pericoloso, dati i servizi prestati dai Colón alla Francia e al Portogallo, ma tutti sanno che questi “guerrieri del mare” cambiano facilmente e frequentemente i loro punti di riferimento. risale al 1472 l’ultimo atto savonese in cui compare Colombo e all’agosto del ’79 l’ultima sua presenza a Genova, testimoniata dall’atto notarile steso nello “scagno” di Lodisio Centurione in San Siro in cui, citato come teste nella controversia fra Lodisio e i fratelli Paolo e Cassano di negro, Cristoforo Colombo dichiara, sotto giuramento, di essere cittadino genovese, di avere circa ventisette anni e di essere in procinto di partire per Lisbona. dice che, mentre era a Lisbona nel luglio del 1478 con Paolo di negro, era stato mandato da lui a madera allo scopo di acquistare una partita di 2500 rubbi di zucchero da caricarsi sulla nave del portoghese Fernando Pallencio. ma avendo a disposizione solo 312 mila reali non aveva potuto provvedere all’intero pagamento. Immerso nei traffici e nell’attività corsara che neppure il ruolo di ammiraglio mai esclude, come si è visto nel caso di manuele Pessagno, a Lisbona colui che in questo documento compare come Cristoforo Colombo, ma poco piú tardi sarà noto come Cristóbal Colón, si è sposato e si è sposato bene, come d’altronde era capitato al probabile parente di cui gode la protezione e al quale forse deve anche la scelta del cognome con cui sarà conosciuto da allora in poi. Che tipo di relazione ha Cristoforo Colombo con i due Colón? Sappiamo che Felipa, la figlia di bartolomeo Perestrello e cognata del 147
parte ii · un uomo tra due mondi
nuovo “capitano donatario” di Porto Santo che diventa sua moglie, appartiene all’ala femminile dell’Ordine militare di Santiago, di cui è governatore e amministratore il principe Giovanni e di cui suo padre era membro. Cristoforo incontra la fanciulla nel convento di Todos os Santos, che appartiene all’Ordine, e la sposa tra gennaio e febbraio del 1479. Fuggito dal Portogallo nel 1485, Colombo vi tornerà dopo soli tre anni e su esplicito invito del re. Il soggiorno portoghese resterà fondamentale nella sua vita. Gliene resta un figlio, nonché la ritrovata amicizia della Corona e una serie di amici importanti. A burgos nel 1497 don Alvaro di Portogallo, fratello di Giovanni II, sostiene la sua richiesta ai re Cattolici perché gli conservino il “decimo” di proventi promesso con le Capitolazioni di Santa Fe, ora a rischio perché hanno concesso via libera a viaggi altrui. Anche la marchesa di montemayor, moglie del connestabile don Giovanni di Portogallo, ha ottimi rapporti con tutta la famiglia e in particolare con la cognata di Colombo, briolanja. Il cappellano della duchessa è molto impegnato nell’incassare le rendite oltremarine di criados e deudos di Colombo. Il fedele criado diego mendez che, insieme a bartolomeo Fieschi, si darà da fare per trarlo in salvo in Giamaica nel corso dell’ultimo viaggio, prima del 1494 era stato al servizio di Lope de Albuquerque, conte di Penamacor, e di sua moglie Leonor de noronha. Ana moniz, la nipote dell’Ammiraglio che sposa nel 1504 il jurado Giovanni di barahona riceve la sua dote dal conte di Faro. nel 1509 don Cristóbal de Sotomayor, figlio della contessa di Caminha, accompagna don diego a Santo domingo e regala preziosi manoscritti a don Fernando. Il progetto di Colombo è nato e cresciuto in Portogallo, dove egli ha imparato tutto su venti, maree, correnti e possibili itinerari, dove si è fatto una famiglia e dove ha trovato molti amici genovesi e portoghesi. un patrimonio prezioso di esperienza, di studio e di amicizie che egli può portare con sé ovunque vada o ovunque scelga di mandarlo la “cupola” dei Genovesi. Già al ritorno dal primo viaggio qualcuno mormora, e poi qualcuno scriverà, che egli deve tutto a un piloto desconocido. Forse qualcuno è già stato là, forse ci è arrivato lui stesso, dato che vi giunge con tanta sicurezza. È certo però che soltanto lui, come tutti coloro che compiono una scoperta, è stato il primo a rendere possibile e ripetibile un’esperienza allora ritenuta impossibile. Andando e tornando dall’America e dando no148
iv · l’età dei papi liguri, una storia del mare
tizia del suo viaggio, l’Ammiraglio del mare Oceano ha aperto la nuova e definitiva via verso Occidente nonché verso il “nuovo Occidente”. non a caso l’uomo che arriva in Castiglia nel 1485 è uno dei tecnici meglio preparati del suo tempo.
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v L’OMBRA DEI FIESCHI
nel 1478 a Genova la situazione è in piena effervescenza. Qui Giuliano della rovere incontra l’ambasciatore milanese per trattare della delicata posizione di Obietto Fieschi. Sisto Iv è favorevole a milano e desidera che Paolo Fregoso lo controlli perché non trami contro il ducato. Tra agosto e novembre del 1478 Prospero Adorno diventa prima vicario e poi doge. Già il 12 agosto i doria, scontenti della situazione, ne scrivono in proposito a milano proponendo come capi di un’eventuale ribellione battista Fregoso e Obietto Fieschi che ritengono fedeli allo Sforza. Occorre aver sicura anche Savona, che il 7 settembre Luigi XI conferma in dominio milanese. ma in novembre, dal suo feudo di novi arriva a Genova il nipote di Paolo Fregoso, battistino, che con i suoi armati, l’aiuto di Obietto Fieschi e del presidio milanese del Castelletto, sbalza dal potere l’Adorno, che si rifugia a Savona ottenuta dal duca. battista Fregoso resterà al dogato fino al 1483, quando sarà costretto dal terribile zio a lasciare il potere. Guerriero e diplomatico, battista è anche un uomo di studi. Qualche anno piú tardi, nel suo esilio di Fréjus, stenderà due testi notevoli, l’Anteros e il De dictis et factis memorabilibus. Intanto il pontefice ha cambiato idea, milano è precipitata negli intrighi e quando, nel 1480, Ludovico il moro prende il potere, Paolo Fregoso che sta dalla parte del papa e di napoli, lavora per liberarsene. Però, nella primavera di quell’anno, i Turchi occupano Otranto. viene bandita una « decima per la Crociata » con le abituali bolle di indulgenza e, sempre per volontà del pontefice, si appresta una grande flotta. Genova arma ventuno galee e Savona tre. Il comando dell’operazione è affidato all’arcivescovo genovese. Tuttavia la battaglia di Otranto, tanto celebrata dai letterati del tempo, è solo un’operazione di contenimento. Infatti l’Occidente ha buoni rapporti con i Turchi e vuole mantenerli. Grande cautela viene usata anche nella querelle sulla successione che si scatena alla morte di maometto II, quando il nuovo sultano baiazet si scontra con il fratello Gem. La storia di Gem è un esempio interessante della complessità dei rap150
v · l’ombra dei fieschi
porti tra europei e Turchi. Portato in Francia nel 1482, sotto gli auspici del Gran maestro dei Gerosolimitani, Pierre d’Aubusson, che ottiene qualche vantaggio per rodi dal sultano impegnandosi a custodirlo in cambio di 40.000 ducati l’anno, Gem sbarca a villefranche e viene trasferito nella sabauda nizza, dove è ospite di Gaspare Grimaldi. nel 1486 passa in Savoia, appena in tempo per evitare di essere assassinato dal Grimaldi, pronto a compiacere baiazet, con il quale sono legati tutti i Genovesi che hanno interessi a Chio, a Pera o quelli che, come Iacopo di Promontorio, stanno addirittura a corte o con essa hanno rapporti stretti come appunto il Grimaldi, raffaele de Fornari, meliaduce Spinola, Luca Sauli, tutti appaltatori a Chio. In questo ambiente circolano anche molti informatori, come Andrea milas, figlio di un Genovese e di una Trapezuntina, fratello di Iskander bey segretario del sultano. In effetti molta gente è interessata a Gem, a cominciare da Sisto Iv e da Innocenzo vIII, che fanno di tutto per averlo nelle loro mani. Per ottenere l’eliminazione del principe, che ora risiede a borganeuf in una torre appositamente costruita, detta Grosse Tour o Tour de Zizim, nel 1486 si muove tra Genova e Torino barak reis, che però non riesce nel suo intento, mentre battista Spinola tenta invece di favorirne una possibile fuga verso l’ungheria. Anche il sultano d’egitto vorrebbe averlo. Quando nel 1488 – forse anche per queste benemerenze – Pierre d’Aubusson è fatto cardinale, lo porta con sé a roma e lo chiude a Castel Sant’Angelo. Si apre un’intensa fase di negoziati tra Innocenzo vIII e il sultano. Anche il pontefice successivo, Alessandro vI, tenta di usare Gem per ottenere aiuti contro Carlo vIII. Il quale però, entrato in roma, lo libera il 27 gennaio 1495, progettando a sua volta di usarlo per eventuali conquiste orientali. ma dopo quasi tredici anni di prigionia, l’appena trentacinquenne principe-poeta muore, tagliando finalmente alla radice qualsiasi progetto su di lui. nel frattempo Genova e Savona, governata da bernardina, la moglie di battista Fregoso, attraversano un periodo di buoni rapporti tanto che, il 23 marzo 1482, si arriva a un trattato commerciale tra le due città. Il papa ora è immerso nella guerra di Ferrara, in cui è alleato con napoli e forse non è un caso che, già nel 1479, Gianluigi Fieschi abbia ricevuto il feudo di san valentino, località che controlla la maiella. nel 1483 però l’arcivescovo 151
parte ii · un uomo tra due mondi
Paolo spodesta il nipote, con l’aiuto di Agostino Fregoso e di Lazzaro doria (e forse con l’appoggio del papa). resterà al potere fino al 1487, quando torneranno i milanesi. nel 1484, asceso al pontificato il genovese Gianbattista Cibo, la fortuna di Giuliano della rovere cresce e con la sua cresce quella di Paolo Fregoso. Su Giuliano, infatti corre la voce che « a li effecti de tute cose lui è papa ». Anche i rapporti tra Genova e Savona non subiscono mutamenti. Gianbattista Cibo è stato vescovo di Savona ed è stato fatto cardinale da Sisto Iv. Figlio di una de mari e di un conte del Sacro Palazzo, senatore della città di roma, viceré che ha amministrato per conto di renato d’Angiò il regno di napoli, il nuovo pontefice discende da una grande famiglia mercantile di rango internazionale. Ha anche vissuto a napoli, dove nel 1486 sosterrà la pericolosa rivolta dei baroni, dalla quale lo salverà solo il genio militare di Giuliano. meno gloriose per lui sono la bolla Summi desiderantes sulla stregoneria e l’azione a sostegno dell’Inquisizione. Innocenzo fa in tempo a sapere della caduta di Granada il 2 gennaio 1492, ma nulla invece saprà del viaggio di Colombo, dato che muore nel luglio di quell’anno. Il Cibo è un padre prolifico e attento alle alleanze matrimoniali, che lo vedono bilanciarsi tra l’élite mercantile di Firenze e Genova. Sposa, infatti, il figlio Franceschetto, da lui investito della contea dell’Anguillara, a maddalena de’ medici. Conferisce la porpora al tredicenne Giovanni de’ medici, che a sette anni era stato fatto protonotaro apostolico e che piú tardi diventerà papa Leone X. La figlia Teodorina, invece, viene data in moglie a Gherardo usodimare, membro della famiglia genovese di cui si è parlato, fatto “depositario” generale della Camera Apostolica. La loro figlia Peretta usodimare, dopo un primo matrimonio con Alfonso del Carretto marchese di Finale, cui i Cibo sono legatissimi, convolerà a nozze con Andrea doria. Si ricorderà che, intorno alla metà del secolo, Antoniotto usodimare aveva risalito il corso del Gambia alla ricerca dell’oro per i Centurione di cui già si è segnalato il forte radicamento nella Penisola Iberica. Tra i finanziatori del terzo viaggio di Colombo insieme con gli Italiano, nello stesso anno fanno un altissimo prestito al gran capitano Gonzalo de Córdoba, agevolando cosi le sue operazioni per porre la penisola italica sotto il dominio spagnolo. L’unione familiare e di interessi tra Andrea doria e Adamo Centurione – tra un guerriero proprie152
v · l’ombra dei fieschi
tario di navi e il piú grande banchiere del suo tempo – sarà uno dei fondamenti delle grandi fortune accumulate nel « secolo dei Genovesi ». Accanto a nicolò doria, comandante della Guardia Pontificia, nel 1484 c’è il diciottenne Andrea, che viene da Oneglia e che inizia da lí la sua carriera d’uomo d’armi. Il doria resterà a roma fino al 1492, anno in cui si metterà al servizio del duca di urbino. Andrea, che ha una sua truppa composta da 25 archibugeri, combatterà con i della rovere per roccaguglielma, possedimento del fratello di Giuliano, Giovanni, prefetto di roma. È Innocenzo vIII che, alleato di Genova, Savona e napoli contro milano e Firenze nella « guerra detta di Pietrasanta » (1484-1485), stabilisce di assegnare Pietrasanta a Firenze e di riconsegnare Sarzana al banco di San Giorgio. Il pontefice si scontra con Ferdinando di napoli, ma presto torna l’intesa con il matrimonio tra sua nipote battistina e Luigi d’Aragona, nipote di Ferrante. Perduta la moglie, Luigi diventerà un dotto e famoso cardinale sempre in viaggio per tutta europa. da parte sua Giuliano della rovere se ne va come legato a Genova, dove c’è l’altro suo amico Paolo, doge-arcivescovo dal 1483 al 1487. Lí raccoglie soldi per preparare una flotta e per sollecitare l’angioino duca di Lorena a muovere verso napoli. È comunque evidente che le esperienze del giovane Colombo si collocano in un periodo difficile e decisivo per la penisola. I comportamenti fin troppo oscillanti dei gruppi genovesi aiutano a capire perché occorra ridisegnare il profilo colombiano tenendo conto di chi, apparentemente collocato in secondo piano, muove però le pedine del gioco. In effetti, anche per quanto riguarda la vicenda colombiana, bisogna fare attenzione alle grandi famiglie internazionali che, oltre a gestire capitali che condizionano la politica, hanno sempre qualcuno di loro (spesso piú di uno) dentro il Sacro Collegio; gente che, quando decide il nome del papa, guarda ben oltre la sua spirituale missione. non si può trascurare il fatto che, tra gli elettori di Sisto Iv, eletto da 18 su 25 cardinali, c’è già il valenzano rodrigo borgia, nominato da suo zio Callisto III insieme con l’altro nipote, il cardinale milà. A sua volta Sisto crea molti cardinali, tra i quali ci sono il Cibo vescovo di Savona e poi di molfetta, Paolo Fregoso e i suoi nipoti Giuliano della rovere, Gerolamo basso della rovere (una sorella di Giuliano è convolata a nozze con un basso poi marchese di bistagno e di monastero e un Antonio basso è ricordato nel codicillo testamen153
parte ii · un uomo tra due mondi
tario di Colombo), raffaele riario, domenico della rovere e Giovanni d’Aragona, il cardinale Giorgio da Costa di Lisbona, Ascanio maria Sforza oltre a un borbone e a un Foix. molti di questi nomi sono direttamente o indirettamente connessi alle vicende colombiane. All’elezione di Innocenzo vIII – che presenta una situazione analoga – sono presenti 26 cardinali e gli assenti sono 6. Alessandro vI borgia conta su 23 elettori. In questo caso il gruppo maggioritario è costituito dai 12 cardinali di Sisto Iv e dai 6 di Innocenzo vIII, tra i quali Lorenzo Cibo de mari, Ardizzone della Porta, vescovo di Aleria, Antoniotto Pallavicino, vescovo di ventimiglia poi di Orense e Giovanni de’ medici, futuro Leone X. Per l’elezione di Pio III la maggioranza è ormai formata dai 25 cardinali creati da Alessandro vI, dove tra molti borgia c’è comunque un Fieschi. Per l’elezione di Giulio II, che ha avuto uno scontro insanabile con lui, il borgia non si presenta. Colombo ha molti nemici ma può contare su molti amici e soprattutto sulla potente protezione di una delle piú famose stirpi europee. L’ombra dei Fieschi, la loro rete familiare estesa in tutta europa, le genti delle loro terre liguri, i loro alleati accompagnano tutte le vicende della famiglia di Colombo e l’Ammiraglio fino alla sua morte. Si tratta di una presenza assidua e discreta di cui offre testimonianza non solo un’ampia messe di documenti, ma l’arma stessa di Colombo « d’oro alla banda d’azzurro al capo di rosso » che rinvia, proprio nella figura principale della « banda d’azzurro », al grande clan fliscano, titolare di uno stemma a bande azzurre.1 Per capire cosa significa poter contare sui Fieschi in quel periodo, conviene rinviare alla storia del capo indiscusso di una famiglia che, tra tutte quelle liguri, è forse la piú ampiamente e saldamente inserita sul territorio, nel suo caso anche organicamente coeso, sul quale – in sintonia con il piú tradizionale modello europeo – si appoggia, servendosene come forza di pressione nei confronti degli altri gruppi genovesi, nobili o popolari, meno forti sul territorio pur se piú potentemente legati al mondo internazionale degli affari, quelli che con Andrea doria, ma non solo con lui, rappresentano di fatto il futuro della storia genovese e ligure. 1. Sul rapporto tra la famiglia Colombo e i Fieschi cfr. A. Agosto, Colombo e i Fieschi, Sestieri di Lavagna, Grafica Piemme, 1992, e anche Airaldi, Storia della Liguria, iii. Dal 1492 al 1797, cit., pp. 27-57.
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I Fieschi, conti di Lavagna, principi di val di Taro e marchesi di Santo Stefano, e in particolare il celebre Gianluigi, sono in grado di mobilitare dai tre ai quattromila uomini, di chiudere passaggi, di strozzare progressivamente i signori piú deboli come i malaspina o i Landi, di condizionare Francesi o milanesi per mare e non solo per terra, rimanendo essenzialmente fedeli a quella parte del modello genovese che vede prevalere il suo volto guerriero, mettendo uomini e navi e le loro stesse persone al servizio di napoli o dei Francesi. Anche il matrimonio di Gianluigi con Caterina del Carretto, che gli porta in dote tremila ducati, ha il significato di un’alleanza di forze “di terra” intese a stringere Genova in una morsa. basta leggere il suo testamento e i relativi codicilli per avere un’idea della potenza del clan fliscano, prima che Andrea doria gli assesti un colpo fatale. Il diritto di maggiorasco, di cui è titolare Gianluigi, gli consente di assegnare al primogenito Gerolamo Pontremoli, madrignano, Calice, veppoli, borgo val di Taro, varese Ligure, Santo Stefano d’Aveto, Torriglia, roccatagliata, Carrega, montoggio, Gremiasco, Cremonte, Garbagna, Grondona, Croce e l’ottava parte del feudo di Savignone, oltre ai palazzi di via Lata in Carignano a Genova e quello a recco. da parte sua Gerolamo verserà a Ottobuono, il prelato di famiglia, quattrocento ducati dalla gabella grossa e dalla gabella del vino di varese Ligure oltre a duecento ducati derivanti dai dazi del feudo di Calestano. Infatti un’eventuale nuova concessione del feudo di San valentino (confiscato dagli Spagnoli) comporterebbe solo una divisione tra i tre fratelli laici. Ai figli Scipione e Sinibaldo il padre conferisce Calestano e un terzo del marchesato di varzi, Loano (ma solo per il periodo che è portato via ai doria), tre palazzi, di cui due – uno con loggia – in San Lorenzo e uno in contrada malcantone (ossia nella zona dei maruffo), “ville” in val bisagno e a nervi, oltre a mille luoghi del banco di San Giorgio e gioielli di grande valore. Alla figlia Francesca lascia l’altissima dote di millecinquecento “luoghi” del banco (pari a quindicimila lire genovesi); alla moglie, in accordo con i figli, lascia l’usufrutto della dote, la “villa” di Staglieno e beni mobili. Se Caterina vorrà, potrà abitare in qualsiasi feudo e, in tal caso, i figli dovranno passarle un appannaggio idoneo, ricavato dai “luoghi” di San Giorgio, oltre a mille lire per le fanciulle povere e nubili dei suoi feudi. L’importanza dei Fieschi emerge dalla somma di molti dati: il ruolo 155
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internazionale di grande clan, le alleanze matrimoniali con tutte le famiglie che manovrano capitali, la loro funzione determinante presso la Curia romana e in tutta europa. Anche per Genova, come avviene per tutti i clan piú importanti, i Fieschi giocano comunque su alleanze variabili, di solito sancite da un matrimonio. Testimonianza del patto con gli Adorno è il matrimonio di Caterina con Giuliano Adorno, avvenuto nel 1463. La santa moglie di Adorno è figlia di Giacomo, già viceré di napoli, e di Francesca di negro. Il marito è cugino del Gerolamo Adorno che va in India (e vi muore il 27 dicembre del 1496) insieme con il Gerolamo da Santo Stefano che poi incontra Colombo in Spagna. Gli Adorno sono in Portogallo, in Spagna, a madera e nel resto d’europa, e piú tardi in brasile. Con i vivaldi sono tra jurados e regidores e gestori di tutte le imposte di Jérez nel 1485. Caterina Fieschi Adorno è zia di bartolomeo Fieschi, poi soprannominato “delle Indie”, comandante della Vizcayna nell’ultimo viaggio colombiano. È lui che, assieme a diego mendez, con una rischiosa traversata dalla Giamaica all’Hispaniola, salva l’Ammiraglio a cui sarà vicino anche nel momento della morte. Tra Quattro e Cinquecento, il potere dei Fieschi è altissimo e – al di là dei suoi personali vincoli – non è un caso che Colombo, ormai in difficoltà, scriva a Gianluigi, allora molto in auge. dal 1499 Genova è legata alla Corona francese, tradizionalmente amica dei Fieschi. ma forse è proprio questa una ragione in piú perché crescano i sospetti della Corona di Castiglia e soprattutto di Fernando d’Aragona. Sono i Fieschi – uno dei piú antichi, grandi e importanti gruppi parentali del mondo – a segnare, come si è visto, in una speciale sfumatura legata alla loro origine rivierasca e al loro ruolo in Genova, un’interessante battuta d’inizio alla storia dei Colombo e alla vicenda colombiana. d’altra parte, al di là di un controllo generale sulla politica e l’economia internazionale e locale e al di là di prebende e cariche, di grandi patrimoni terrieri e di importanti vie di comunicazione, essi hanno sempre prestato attenzione al mondo e non solo all’Occidente. Lo ha fatto il papa Innocenzo Iv Fieschi, promuovendo ambasciate ai mongoli e missioni in marocco; lo ha fatto suo nipote Opizzo, diplomatico in tutta europa, attivissimo in Oltremare, vescovo di Antiochia e poi amministratore apostolico in una Genova dilaniata dalle lotte di fine duecento; lo ha fatto l’aristocrazia “guelfa” alleata; lo ha fatto la gente del loro entourage, come il prete carto156
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grafo che lavora a San marco al molo o la gente che va con Colombo e che, come lui, viene dalle loro terre. Lo sterminato elenco dei loro nomi e delle funzioni svolte per secoli in ambito civile ed ecclesiastico, la quantità delle loro donne, da sempre andate spose a esponenti dei grandi clan genovesi e a quelli della grande aristocrazia internazionale, è sufficiente a segnalare la centralità del loro ruolo, destinato a durare fino a quando, nel 1547, il tremendo scontro finale con Andrea doria ne cancellerà castelli, palazzi e simboli. All’epoca di Colombo, il loro palazzo romano è al centro di trame in cui campeggia il nome di Obietto Fieschi, potente protonotaro apostolico, fratello del capocasata Gianluigi, che, come si è detto, nel 1478 guida una rivolta contro milano. Tra loro c’è ettore Fieschi, conte di Lavagna e conte palatino, avvocato concistoriale e ambasciatore della repubblica di Genova, che, il 27 aprile 1485, sottolinea nella sua Orazione di obbedienza pronunciata di fronte al nuovo pontefice – Innocenzo vIII – l’antica, tenace alleanza di Genova con la Santa Sede, snodatasi dalla presa di Gerusalemme nel 1099 fino alla battaglia di Otranto del 1480. nelle sue parole si staglia il profilo di una città da sempre rifugio sicuro di papi in fuga, come è stato per Innocenzo Iv, che porta lo stesso nome del nuovo pontefice. L’oratore infatti appartiene a un ceppo che, oltre a due papi, annovera ben settantadue cardinali e un enorme numero di prelati sparsi per tutto il mondo; che, oltre a essere titolare di immensi territori a cavallo tra l’area padana e quella parmense e in tutto il Levante ligure, ha spaziato sempre per tutto il mondo conosciuto. C’è dunque un periodo in cui a roma e nei territori controllati dai della rovere e dai Cibo, vescovadi e cariche civili sono controllate dai Genovesi, che oltre ad avere in mano già molta parte dell’economia iberica e internazionale, si ramificano ulteriormente in zone come l’Italia meridionale e la Spagna stessa, dove hanno centinaia di feudi. Solo in piccola parte questo ruolo imponente è conteso loro dai Fiorentini, tra i quali spiccano soprattutto i medici, come dimostrano le vicende colombiana e vespucciana. Però tra Fiorentini e Genovesi non c’è concorrenza, data la lunga e costante collaborazione. La presenza capillare dei Liguri a roma gioca certamente un ruolo nell’elaborazione della memoria colombiana. È vero che la scoperta avviene quando già si è realizzata a roma la “calata dei 157
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Catalani”, tradizionali nemici dei Genovesi, penalizzati nella conquista americana ma favoriti dal loro diuturno rapporto con il mediterraneo, dall’attenta politica di Fernando d’Aragona e dal poderoso recupero del papa borgia. Con le sue “bolle”, naturalmente favorevoli alla nuova espansione della Corona spagnola, ma proprio in quanto potestà universale, Alessandro vI è il primo a collocare l’evento in un contesto “alto”, voluto dalla Provvidenza, da celebrare in quanto tale, ma anche da collegare al lancio di quella Corona spagnola che si prospetta come la possibile artefice della costruzione di un altro Impero cristiano, idea che matura e cresce nella fase che segue immediatamente al viaggio e che sarà utilizzata largamente dall’Impero spagnolo ancora al momento della perdita delle sue colonie americane. Quest’idea, che propone l’immagine di un Colombo strumento della Provvidenza, ne colloca la memoria su un piano piú alto, e in qualche modo ne salva il ricordo fino al recupero di un’altra sua altrettanto forte ma piú laica identità, che lo interpreta come proiezione dell’homo faber fortunae suae, esempio di genio incompreso e perseguitato.
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vI DAL PORTOGALLO ALLA SPAGNA, PASSANDO PER GENOVA Il 1485 è per Colombo un anno di svolta. data a quell’anno infatti la sua fuga dal Portogallo in compagnia del figlio diego. Accreditano questa versione del suo improvviso passaggio in Spagna – peraltro assai romanzato nel tempo – l’instabile situazione politica portoghese, in cui egli, direttamente o indirettamente, svolge qualche ruolo, e il salvacondotto che il re Giovanni II gli rilascia tre anni piú tardi. Anche questi aspetti sono finiti nel calderone della rielaborazione mitica della storia dell’espansione, tipica di tutte le potenze coinvolte nel colonialismo; nell’ambito della quale i Genovesi, che ne rappresentano un caposaldo, sono ben presto recuperati dato che, bon gré mal gré, nessuno riesce mai a cancellare il ruolo svolto in età medievale, di cui Colombo rappresenta soprattutto il vertice e il simbolo. d’altra parte sono gli Italiani stessi a fare del tema del mare e dell’espansione, del mercato e del capitalismo uno degli elementi forti della ricostruzione del loro “mito delle origini” anche prima dell’unità italiana, facendolo rivivere periodicamente in senso positivo o negativo attraverso la ricostruzione della storia delle “repubbliche marinare”. In ogni caso il “periodo portoghese”, a partire dall’affascinante ma incredibile storia dell’arrivo di Colombo naufrago in Portogallo nel 1476, è sempre stato oggetto di studi importanti.1 Quando arriva in Castiglia e comunque ci arrivi, Colombo ha già maturato il suo progetto. nello scegliere a chi parlarne egli segue le abitudini dei Genovesi, che operano tranquillamente nello spazio economico tra Algarve e Andalusia sulle linee di un comportamento secolare che le vicende politiche non ostacolano. Anche il fratello bartolomeo, che va a trattare per lui alle corti inglese e francese, segue un filo di presenze genovesi attestato in quelle zone da secoli e ben collegato a quelle Corone. 1. È tuttora fondamentale J. manzano y manzano, Cristóbal Colón. 7 años decisivos (14851492), madrid, ediciones de Cultura Hispanica, 1989. Si veda inoltre il recente J. Gil, Columbiana. Estudios sobre Cristóbal Colón, 1984-2006, Santo domingo, editora búho, 2007.
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Tutto rientra nella norma; cosí come il fatto che, al pari di Colombo, anche altra gente proveniente dalla Penisola transiti nelle stesse zone, offrendo suoi progetti e sue capacità. Cosí fanno Giovanni Caboto, che l’ambasciatore spagnolo, raccontando del suo viaggio nel 1497, definisce « un genovese come Colón » e Amerigo vespucci. Giungendo alla rábida, primo punto d’incontro con la terra andalusa, Colombo sa che la Corona castigliana è impegnata nella risoluzione politica della questione musulmana. L’importante porto di malaga, dove i Genovesi hanno presenze secolari, è conquistato nel 1487 quando lui è già lí, mentre Granada cederà nel gennaio del 1492, dopo un fin troppo celebrato assedio. I lunghi assedi sono parte integrante della storia. Quello di Antiochia, al tempo della Prima Crociata, era durato un anno e poi era diventato un mito per l’Occidente in ascesa. Altrettanto succede con la presa di Granada, che consente di dar voce al mito di una Reconquista condotta a termine sotto l’egida di una pia regina, vocata a diffondere la Croce nel mondo. Fin dal 1492 Granada diventa parte della storia della Corona, che, alla luce di quell’evento, inizia un percorso di ricostruzione della propria storia. In verità, come sempre accade in tali circostanze, durante l’assedio, la vita procede normalmente e la gente si muove liberamente. nel caso di Granada ne sono esempio i Centurione, che operano allo stesso tempo sui due fronti. nell’appena costruito insediamento di Santa Fe può capitare di tutto: Fernando è oggetto di un attentato e la tradizione vuole che Isabella abbia esitato nel cambiarsi la camicia per un voto fatto a sostegno della presa cristiana della città (tema di fantasia, che affonda le sue radici nell’inesistente igiene del tempo) e cosí via. nell’andirivieni di gente piú o meno importante, c’è anche l’incontro tra Colombo e Isabella, molto esaltato già dai contemporanei, in realtà ben predisposto da una rete genovese e andalusa. nel frattempo, come si è detto, è in atto la conquista delle Canarie, affidata all’organizzazione di una società mista ispano-genovese. nei sette anni che trascorrono prima che arrivi il fatale “sí”, Colombo si muove in una postazione ideale per incontrare tutte quelle persone che in ogni epoca si affollano in un’area di confine dove si incontra gente solo interessata a promuovere viaggi o a parteciparvi. L’elenco è lungo e non completamente conosciuto, tenendo conto che molti hanno lavorato per 160
vi · dal portogallo alla spagna, passando per genova
attribuirsi meriti: aristocratici, spagnoli e italiani, cardinali, frati e cosí via. da molto tempo ci si accanisce per stabilire se l’impresa è italiana, spagnola o tutte e due le cose, e quali e quanti capitali ci siano dietro quei viaggi. Come ai nostri giorni in una spedizione del genere ci sono i capitali di chi li possiede e li può mettere a disposizione; fermo restando che il primo viaggio di Colombo (gli altri ebbero uno spessore diverso) si configura come un’impresa di impegno finanziario modesto ancorché di qualche rischio. La rete delle amicizie di Colombo è vasta e, in ogni caso, c’è il forte appoggio familiare. Tra Huelva e la rábida, Granada, malaga, Siviglia e Cordova, Colombo, oltre al sostegno dei fratelli e del figlio maggiore – subito piazzato presso la corte –, ha l’appoggio della cognata portoghese, di beatriz enríquez de Arana, madre di Fernando. Arrivano poi i cugini di Quinto, Giovanni Antonio e Andrea, che lo accompagneranno nel terzo e nel quarto viaggio. nel frattempo domenico Colombo rientra a Genova certamente nel 1480 e nel 1483, quando affitta la casa del vico diritto per due anni a un altro tessitore, tenendone parte per sé. da allora in poi le notizie relative ai Colombo sono scarse. In un atto tra rivieraschi risalente al 1487 compare Giacomo Colombo, indicato come tessitore di panni di lana. nel luglio dell’89 domenico Colombo stipula, anche a nome dei tre figli assenti, un accordo circa la dote di bianchinetta, non ancora versata, e che finirà per portare la casa di vico diritto nelle mani del genero, il formaggiaio Giacomo bavarello. nel 1490 e nel 1491 domenico affitta ancora parte della casa e fino al 1494, quando è citato come « già tessitore di panni di lana », continua ad apparire come testimone in contratti che riguardano gente della sua zona di origine. Poi non se ne hanno piú notizie. A Genova intanto fino al 1487 il doge-arcivescovo ha cercato di resistere. Ha tenuto presso di sé il figlio Fregosino e mandato l’altro figlio Alessandro, vescovo di ventimiglia, a Savona come governatore della città insieme con Alfonso Fregoso, che ha preso in custodia i forti. Alessandro Fregoso ha cacciato il vescovo Pietro Gara, preso la cattedrale e occupato la darsena, ma poi ha dovuto riparare nel castello. Infine il cardinale deve andarsene e parte con due navi verso roma, portando con sé tutti gli oggetti preziosi. Comincia ora un altro dominio milanese che durerà dal 1487 al 1499. Poi Genova sarà sotto il controllo francese. 161
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nel 1492, però, poco prima della morte di Innocenzo vIII, gli amici genovesi si incontrano tutti a roma per mettere in piedi una congiura contro lo Sforza. In quel momento il banco di San Giorgio offre a Giuliano della rovere ben 100.000 ducati da usare nel conclave. da parte sua Giuliano vorrebbe come papa il vecchio amico portoghese, Giorgio da Costa, e non il cardinale borgia con il quale ha pessimi rapporti, anche se poi finisce per dargli il voto, quando nell’agosto del 1492 il cardinale viene eletto. Parte dunque sotto il pontificato del borgia il fatale viaggio che porta Colombo nel nuovo mondo ed è a lui che l’Ammiraglio scrive per chiedergli di provvedere all’evangelizzazione delle nuove terre e per domandargli un cardinalato per il figlio minore, in giovanissima età (ma l’esempio del medici dimostra che ciò a quel tempo conta poco). È con questo papa spagnolo che si arriva al trattato di Tordesillas, che egli accompagna con alcuni importanti documenti, le prime bolle pontificie riguardanti il nuovo mondo. due anni dopo il della rovere è già in Provenza, dove resta durante il pontificato alessandrino, salvo darsi da fare per potere rientrare infine vittorioso. nel 1494 la discesa di Carlo vIII in Italia presenta dal suo punto di vista qualche vantaggio. Infatti a un’eventuale deposizione di Alessandro vI potrebbe aggiungersi anche la conquista francese del regno di napoli. Intanto, mentre difende gli interessi dei nipoti contro il borgia e i suoi eredi, continua a fare tentativi per cambiare il regime a Genova. Il 2 settembre 1494, morto Giangaleazzo, Ludovico il moro si fa riconoscere duca e Genova e Savona gli giurano fedeltà. Intanto gli amici di gioventú di Giuliano, Paolo Fregoso e Obietto Fieschi, tentano un colpo su Genova. ma l’azione non riesce. Sono questi anni turbinosi in cui Colombo decide il suo destino, certo non del tutto indipendente da questi avvenimenti. I milanesi e i romani presso la corte castigliana lo sostengono; ma, nonostante l’azione e la forte pressione della lobby, le azioni genovesi sono penalizzate dall’oscillante situazione politica, che infatti, non a caso, presto diverrà uno strumento di pressione su Colombo. Si sa bene che ciò che capita a Genova non riguarda l’azione delle cellule del network, ma si sa altrettanto bene che l’Ammiraglio è legato all’ambito fliscano e roveresco con tutte le conseguenze che ciò comporta. nel 1495, quando l’esercito di Carlo vIII passa dalla Lunigiana di ritorno da napoli, Giuliano della rovere persuade il re a mandare un contin162
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gente per accendere una rivolta a Genova e lui stesso va con loro. Come sempre è d’accordo con Obietto Fieschi. Suo fratello Gianluigi, nel febbraio del 1485 aveva ricevuto da milano il feudo pavese di bagnaria (zona che controlla una delle vie del sale) e nel 1489 era stato nominato capitano di Chiavari; mentre, nel 1490, Filippino Fieschi era stato tra i nobili deputati alla cura del castello di milano, dove aveva conosciuto il « magnifico Lionardo » impegnato nella costruzione di macchine da guerra. Quando Carlo vIII era sceso in Italia, Gianluigi Fieschi non si era fatto scrupolo di proporgli un’alleanza durevole e, quando possibile, il dominio di Genova, ricavandone già nel 1495 una pensione annua perpetua di 1200 ducati da riscuotersi sui dazi di Tortona e di Alessandria. La conquista francese di napoli vede però un rovesciamento di alleanze da parte del moro, maestro in operazioni del genere quasi come i Genovesi, e Carlo vIII viene battuto alla battaglia di Fornovo (1495). A Genova c’è un rigurgito antifrancese. navi capitanate da Francesco Grimaldi depredano le navi francesi del bottino. Sarzana, venduta da Piero de’ medici a Carlo vIII, viene ora rioccupata. neppure la visita del moro a Genova risolve una situazione che si sta facendo sempre piú delicata. Qualsiasi disegno abbia in mente, Giuliano della rovere ha comunque programmato di vivere tra Genova e Savona. nel 1494 ha progettato un bel palazzo a Savona (che comincia a costruire nel 1495) e ne compra un altro da Paolo Fregoso presso porta san Tommaso a Genova col consenso dei milanesi e dell’Adorno. Tuttavia nel 1498 il palazzo risulta occupato dalla moglie di Agostino Adorno. Il vicario ducale sostiene, infatti, che il palazzo è stato acquistato come residenza ufficiale e non privata sicché deve servire a chi è al governo in quel momento. Chiede dunque che gli si paghi un affitto, ma Giuliano rifiuta, decidendo di lasciarglielo in uso quando lui è assente. Sarà questa la dimora che, nel 1502, ospiterà Giovanna da montefeltro esule da Senigallia. In questo momento, accanto a Giuliano della rovere, emerge in piena luce Gianluigi Fieschi, capo del ramo di Torriglia, l’uomo al quale in extremis si rivolgerà Colombo, contribuendo a far lievitare i sospetti su di lui. nell’estate del 1496, quando i Francesi decidono un’altra spedizione in Italia, Gianluigi fa sapere che, con duemila Svizzeri, può prendere l’intera riviera di Ponente, compresa Savona. Ovviamente Obietto Fieschi, il 163
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Fregoso e Giuliano della rovere si danno da fare presso il re, affermando che loro e altri sono disposti a finanziare le truppe (già nella fase preparatoria Giuliano mette di suo 30.000 ducati), che il re, in effetti, poi invia nel corso dell’inverno del 1496-’97. È lo stesso Giuliano a comandare le milizie contro Savona, che arrivano però prima solo ad Altare e poi fino a Cairo. nel corso del 1498 si susseguono diversi avvenimenti. In marzo c’è un tentativo di conciliazione tra Paolo Fregoso e il duca di milano; in aprile scompaiono Carlo vIII e il Fregoso. A quel punto Giovanni Adorno muove verso la Lombardia per difendere milano dall’avvicinarsi di Luigi XII che, in quanto nipote di valentina visconti, accampa pretese sul ducato. ben diverso è il comportamento di Gianluigi Fieschi. Il “patriarca” della grande famiglia ora risponde al duca di milano che « per la molestia et ristrettezza de’ tempi » non è in grado di inviargli truppe, segno evidente che sta disponendosi a riprendere la tradizionale politica filofrancese della sua famiglia. Cosí, mentre suo fratello Filippino cede il castello di milano senza combattere, già nel 1499, il capo del ramo primogenito dei Fieschi di Torriglia, già Ammiraglio al momento della ripresa della signoria francese su Genova, riceve una pensione di 6000 tornesi oltre alla riconferma di feudi. Tre anni dopo Luigi XII gli affiderà il governo di tutta la riviera di Levante fino alla Spezia. Proprio nel 1502 il re sarà ospite del Fieschi a Genova, nel palazzo di via Lata. un soggiorno piacevole e interessante per il sovrano, che, a quanto scrive il fedele cronista Jean d’Auton, ebbe qui un breve intendyo con Tommasina Spinola. nel 1499, con una rapidissima campagna, Luigi XII prende milano. A Genova i Fregoso vittoriosi consegnano la città alla Francia, mentre gli Adorno fuggono. La signoria francese mette in crisi i rapporti con la Spagna e quella parte dell’élite che vi è impegnata. L’anno seguente un maldestro tentativo milanese per recuperare Genova, nonostante l’appoggio di qualche simpatizzante, finisce in nulla. Il risultato è che l’eterna antagonista Savona cresce nelle simpatie del re. Con la pace di Granada dell’anno 1500, Fernando il Cattolico e Luigi XII si spartiscono il regno di napoli. Sempre in quell’anno però Fernando annulla i privilegi genovesi nell’area italica di sua pertinenza e ciò non fa che aumentare lo scontento contro Luigi XII, che però non ha imposto alcun obbligo di intervento militare 164
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genovese per la questione di napoli e ha dato libertà di traffico nelle sue terre. In ogni caso qualche anno dopo, nel 1504, il napoletano diventerà vicereame spagnolo. In quegli anni il cardinale della rovere risiede frequentemente tra Genova e Savona ed è qui che, nell’agosto del 1503, gli giunge la notizia della scomparsa di Alessandro vI. dopo il brevissimo pontificato di Pio III, già in quell’anno Giuliano diventa papa con il nome di Giulio II. Lo resterà fino al 1513. La sua elezione galvanizza i Savonesi, verso i quali certamente egli ha un occhio di riguardo. La sua presenza sul soglio pontificio rafforza ancora l’azione dei Liguri in roma, e non soltanto quella dei della rovere e delle famiglie a loro collegate per parentela e alleanza. Con i papi liguri e soprattutto con l’ultimo di loro – un uomo determinante anche per le loro sorti politiche internazionali –, il Sacro Collegio è in mano ligure, e Fieschi, Cibo, Sauli, del Carretto, doria, de mari, Pallavicini, Centurione, Grimaldi, Spinola, Fregoso, Giustiniani, controllano affari e banca, l’allume di Tolfa, la depositeria Apostolica, l’Ammiragliato, la Guardia Pontificia. A lui si rivolgerà nel 1507 bartolomeo Colombo. Intanto nel 1496, a cercare fortuna all’ombra dell’Ammiraglio sono arrivati in Castiglia due suoi cugini, Giovanni Antonio e Andrea. Sono i loro nomi a riannodare il filo rosso che ricongiunge ancora una volta la storia dell’Ammiraglio a quella della sua famiglia d’origine. nell’Archivio notarile genovese si conserva l’atto con il quale l’11 ottobre 1496 i fratelli Giovanni detto “Gallo”, matteo e Amighetto de Columbo di Quinto decidono di dividere le spese per inviare uno di loro – e cioè Giovanni – « in Ispaniam ad inveniendum dominum Cristoforum Columbum, armiratum regis Ispanie »; nello stesso giorno Giovanni nomina procuratori la moglie bertonia del fu Giovanni di Figarolo e i due fratelli. Giovanni “Gallo”, un personaggio di cui i documenti consentono di tracciare un profilo non troppo dissimile da quello dei piú famosi cugini, è nato nel 1448. È figlio di Antonio, zio dell’Ammiraglio. mentre la famiglia di domenico si stabilisce presto a Genova, Antonio e i suoi figli rimangono nella “villa” di Quinto, nelle terre e nella case del nonno Giovanni, tra le quali c’è la « casa de li Columbi ». Qui cresce Giovanni “Gallo”, che precoce apprendista presso un un sarto, a 25 anni è lavorante presso un tessitore. Giovanni è un tipo forse un po’ troppo vivace, dato che nel 1485 è accusato dell’omicidio 165
parte ii · un uomo tra due mondi
di Pantaleone Cangialanza, un parente dello zio d’acquisto Agostino, maritato a maria Colombo; ma se la cava con una composizione finanziaria grazie all’arbitrato di Gianluigi Fieschi. Il 30 maggio 1498 Giovanni parte per il suo primo viaggio oltreoceanico, in verità abbastanza traumatizzante, dato che è tra quei Genovesi che i terribili francescani del cardinal Cisneros sperano di vedere andare via dall’Hispaniola insieme al rey Faraón per non tornare mai piú. Lo si rincontra già di ritorno a Genova il 19 febbraio 1500, mentre Colombo torna in catene alla fine di ottobre, sicché è probabile che abbia esaudito il desiderio dei frati. Las Casas definisce « hombre muy capaz y prudente y de autoridad », questo parente degli ammiragli Colón che essi collocano tra i criados e che gira tra Siviglia e Santo domingo sempre immerso in mille traffici e mille questioni. È evidente che per lui, ancora una volta, ha vinto la regola dell’emigrazione, che porta via dalla madrepatria un grande numero di Liguri. d’altra parte i Genovesi piú ricchi sono soliti accogliere presso di sé i parenti meno abbienti e Cristoforo e diego non vengono meno ai loro doveri. Giovanni “Gallo” non ha scelto una cattiva strada. A Quinto, infatti, pian piano il nome dei Colombo va scomparendo in un’inesorabile discendenza femminile e, nel primo trentennio del Cinquecento, anche il piccolo patrimonio terriero passa facilmente nelle mani degli amici Gallo.
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vII IN SPAGNA, TRA AMICHE E AMICI
Quando arriva in Andalusia, Colombo, che ha già perduto la moglie, trova una compagna nella cordovese beatriz enríquez de Arana, da cui nel 1488 ha il secondo figlio, Fernando. Anche in questo caso le penne scribacchine si sono scatenate senza motivo, dato che a quel tempo le unioni libere erano la maggioranza. beatriz ha due fratelli che si imbarcheranno con Colombo, ma di lei si sa poco. I contorni della figura di questa donna appaiono in controluce, sorretti quasi soltanto dallo scarno ricordo che Colombo stesso ne fa, affidandola a diego e tutelandone l’esistenza sul piano finanziario « per tacitare la coscienza ». Se della moglie e della madre dell’Ammiraglio non si sa nulla e poco è noto sulla sua compagna spagnola, tutta la famiglia nutre un grande affetto per una delle sorelle di Felipa, briolanja o violante moniz, sorta di angelo tutelare dei Colón, che ella segue costantemente fino ad accompagnare il nuovo ammiraglio diego a Santo domingo. briolanja, che gravita nell’entourage dei medina Sidonia, ha due mariti, il fiammingo miguel muliart, fatto uccidere da Colombo all’Hispaniola, e il fiorentino Francesco bardi, discendente dell’antica famiglia di buonissimo nome, che con Giannotto berardi è “fattore” dell’Ammiraglio. La protegge doña Isabel enríquez, marchesa di montemayor, cognata del re portoghese, che ne sarà esecutrice testamentaria. In questa veste, infatti, nel 1522 recupererà i 9000 maravedíes del prezzo di una schiava. Anche il cappellano della marchesa la aiuta, prestandole quaranta reali d’argento e ricevendone in pegno 302 perle. nulla invece si sa di Ana, l’altra cognata di Colombo sposata con Francisco de Garay che, nel 1536, diventerà alguacil mayor a Santo domingo. Infine c’è la nuora maria di Toledo, nipote del duca d’Alba e dell’ammiraglio di Castiglia. Le vicende successive alla morte di Cristoforo e diego Colombo, tra cui l’acquisizione di veragua e Giamaica e il tribolato trasporto delle ossa di Colombo dalla terra spagnola a quella americana, testimoniano la forza del suo carattere. notissima è beatriz bobadilla, nipote della marchesa di moya, consor167
parte ii · un uomo tra due mondi
te di Andrés Cabrera. della famosa, bellissima Cazadora (soprannome che le viene dal padre, cazador del re Fernando), consorte prima di Antón Peraza e poi dell’adelantado Fernando de Lugo. A detta di michele da Cuneo, l’Ammiraglio fu tinto de amor durante le sue soste alla Gomera. A Juana de la Torre, la governante del principe ereditario, Colombo si rivolge nei momenti di grande difficoltà. ma le parole che Colombo scrive a proposito di Isabella di Castiglia – fin dall’inizio favorevole al suo progetto e poi preziosissima figura di sostegno – e ciò che molti altri scrivono sul rapporto tra questi due personaggi, intenso e inalterato fino alla morte di lei, avvenuta due anni prima di quella di lui, hanno fatto sí che un alone romantico avvolgesse fin dall’inizio una vicenda segnata dalla forte personalità dei due personaggi e dal ruolo decisivo che essi hanno svolto nella storia. Tra gli amici piú o meno dichiarati, oltre ai duchi di medinaceli e medina Sidonia, Colombo annovera molta gente di prestigio. Tra essi ci sono alcuni “conversi” importanti come il valenzano Luís de Santángel, che, insieme a Francesco Pinelli, estrae dalle casse dalla Santa Hermandad ben 1140 dei 2 milioni di maravedíes necessari al viaggio. Ci sono Gabriel Sánchez, Alonso de Quintanilla, miguel ballester, Santiago margarit, Andrés Cabrera, Gutierre de Cárdenas e molti altri tra Castigliani e Catalani, compreso il sapiente Ferrer che tanto lo stima e che ruotano attorno al re Fernando, meno entusiasta però della consorte per il suo progetto e piú attento, in linea con la tradizione della Corona aragonese, ai problemi italiani e mediterranei. C’è poi il clan italiano, soprattutto quelli che appartengono alle grandi famiglie genovesi, direttamente o indirettamente coinvolti nelle spedizioni e abituali finanziatori suoi e della sua famiglia. Certamente Colombo incontra anche alcuni tra i piú colti e importanti uomini di cultura romani, milanesi, napoletani, genovesi, fiorentini: l’umanista lombardo Pietro martire d’Anghiera, corrispondente del cardinale Ascanio Sforza e del cardinale Luigi d’Aragona, legato al marchese di Tendilla; i due fratelli umbri Geraldini di cui uno, Alessandro, precettore-confessore di Isabella, diventerà vescovo di Santo domingo; l’umanista siciliano nicolò Scillacio. una delle piú solide amicizie di Colombo è quella con il novarese Gaspare Gorricio, consigliere attento e fidato nonché archivista 168
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di famiglia e certosino al monastero di Las Cuevas, dove, oltre alle carte di Colombo, saranno conservate per un po’ le sue ossa, poi oggetto di forsennati spostamenti e, recentemente, di fin troppe attenzioni scientifiche. C’è infine qualcuno che appartiene al grande gruppo dei Fiorentini, nel quale spiccano il “fattore” e finanziatore di Colombo, Giannotto berardi e altri mercanti, come i rondinelli e gli Strozzi e, soprattutto, come si è detto, Francesco bardi, marito di briolanja e procuratore dell’Ammiraglio. emerge tra di loro la figura di Amerigo vespucci, che Colombo considererà tra i suoi amici piú “sfortunati”, ovviamente prima che l’altro si getti nei viaggi americani. Insieme con i diplomatici, gli uomini di affari saranno i piú veloci nel diffondere la notizia della scoperta. L’Ammiraglio ha a che fare con potenti uomini di Chiesa spagnoli, il domenicano diego de deza, istitutore del principe Giovanni e poi vescovo di Zamora, Hernando de Talavera confessore della regina e primo vescovo di Granada, i francescani amici Perez e marchena (a Santo domingo altri francescani scrivono cose tremende su di lui e sui suoi amici genovesi); il potente cardinale Cisneros, a cui fa riferimento anche il benedettino catalano boyl che pure va con lui; il cardinale Pedro González de mendoza, arcivescovo di Toledo. Conosce il gerolamita ramón Pané, autore di interessanti note etnografiche sulle terre “scoperte” e il futuro storiografo Andrés bernal, cura de los Palacios. Lo accompagna nel secondo viaggio il padre di bartolomé de Las Casas, futuro fustigatore della Conquista spagnola. da ragazzino bartolomé aveva visto sfilare l’Ammiraglio per le vie di Siviglia e ne era stato affascinato. Piú tardi celebrerà la sua prima messa a Santo domingo, dove allora era viceré don diego, e da lui il vescovo di Chiapas otterrà la notevole quantità di documenti che piú tardi gli consentirà di stendere la sua Historia General de las Indias. In essa il domenicano, autore della famosa Brevisima relación de la destrucción de las Indias in cui condanna la Conquista, non solo fornirà una redazione del Diario del primo viaggio e moltissime altre notizie sull’Ammiraglio e la sua storia, ma gli dedicherà un famoso ritratto, forse il piú fedele tra le tante e incerte immagini che ne esistono, alle quali peraltro recenti indagini hanno aggiunto nuove testimonianze, come poi si vedrà. Scrive il Las Casas che Colombo 169
parte ii · un uomo tra due mondi era di statura alta, al di sopra della media; il viso lungo e autorevole; il naso aquilino; gli occhi verde-azzurri; il colorito bianco, tendente al rosso acceso; la barba e i capelli, quand’era giovane, biondi, ma ben presto per le fatiche gli si incanutirono. era attraente e allegro, garbato nel parlare, eloquente e brillante negli affari. era piuttosto serio, affabile con gli estranei, dolce e mite con quelli della sua casa, di misurata gravità e di buona conversazione, sicché poteva suscitare facilmente affezione in chi incontrava. Infine, la sua figura e il suo aspetto venerabile denunciavano una persona di alta condizione e autorità, degna di ogni reverenza […]. nelle cose della religione era certamente cattolico e di grande devozione […]. Fu uomo d’animo elevato, coraggioso, di alti pensieri, naturalmente incline a imprese e opere egregie e insigni per quanto si può cogliere dalla sua vita, dagli eventi capitatigli, dai suoi scritti, dalla sua conversazione. Paziente e uomo di molte sofferenze […] capace di perdonare le ingiurie e senz’altro desiderio, a quanto di lui si dice, se non quello che riconoscessero i loro errori coloro che l’avevano offeso e si riconciliassero con lui i malvagi. di grandissima costanza e generosità nelle incredibili e infinite fatiche che sempre lo colpirono, nutrí sempre grande fiducia nella Provvidenza divina; ebbe e conservò sempre grandissima fedeltà e devozione per i re, secondo ciò che io intesi da lui e da mio padre, che fu con lui quando tornò con le genti con le quali popolò quest’isola española l’anno 1493 e da altre persone che lo accompagnarono e da altre che lo servirono […].1
È evidente che il trentaquattrenne Colombo, descritto spesso come un povero diavolo in fuga con un figlioletto per mano, non è solo e non è impreparato. Ha le sue idee, i suoi progetti, in qualsiasi modo li abbia ottenuti: dagli scambi con Toscanelli, dalle carte del suocero, dalle misteriose parole di un mai dimostrato “pilota sconosciuto”, dalla lettura postillata di testi importanti. Conosce bene il mediterraneo e l’Atlantico, ha avuto contatti con gente di tutte le razze. Questo vale anche per la questione della sua formazione e della sua cultura, sospesa tra erudizione libresca, fedeltà alle auctoritates e culto della lettura sperimentale del mondo, la piú fervida di risultati in tutti i sensi e l’unica veramente “sua”. Infatti, nonostante il profluvio di citazioni presenti nei suoi scritti è davvero difficile dire quanto esse siano davvero farina del suo sacco fin dall’inizio e non risultato di un accumulo progressivo, che comunque lui deliberatamente 1. Bartolomé de Las Casas, Historia General de las Indias, madrid, Imprenta de miguel Ginestra, 1875, i pp. 43-44.
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cerca e accetta in quanto utile in ogni caso a difenderne l’ortodossia e a metterlo al riparo da eventuali accuse di eresia per ciò che dice o ciò che trova. ma in ogni epoca c’è il rischio che la novità non paghi e Colombo lo sperimenta in tutte le possibili sfumature, dal principio alla fine della vita. non sono tanto le misure del mondo a essere pericolose per un individuo proteso alla ricerca, quanto il dover innestare l’esistenza di “altro” su una tradizione inchiodata a un Creato simmetrico e stabile. Tanto sulla questione della cultura di Colombo quanto sul tema del suo essere uomo del medioevo o dell’età moderna e sui caratteri della sua pervasiva religiosità si sono scontrate le piú diverse teorie, che hanno coinvolto l’analisi delle citazioni dei suoi testi e dei suoi comportamenti, la decrittazione della sua firma, giungendo perfino a proporre una sua origine ebraica, di per sé possibile, ma solo basata su indizi mai convalidati da prove documentarie. non sapremo mai davvero quale fosse il vero background di cui era detentore né sappiamo se i suoi conti fossero volontariamente sbagliati per difetto o se l’America fosse stata annunciata, a parte il fatto che altri l’avessero toccata, vichinghi o Cinesi, poco importa. Sono tutti temi di eterna discussione, peraltro inutili, dato che l’ “errore” in quanto tale si scopre solo quando si hanno certezze su come è fatto davvero il mondo e non prima. In ogni caso Colombo non è isolato né abbandonato e neppure lo sarà del tutto piú tardi quando la fortuna gli volterà le spalle. Sarà questo un altro tema caro ai figli dell’età della ragione e dei Lumi, nonché a un Ottocento in cerca di eroi e geni calpestati nella loro ansia di libertà.
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vIII OPERAZIONE NUOVO MONDO
nella primavera del 1492 scatta dunque l’operazione che conduce al viaggio, che, al di là della mitografia successiva, di per sé è solo una delle tante esperienze di quel tempo. Colombo, che ha posto sul tavolo richieste analoghe a quelle fatte dal Pessagno quasi due secoli prima, dichiara di voler arrivare alle Indie. All’inizio tutto sembra filare liscio; ma non sarà cosí e lo si vedrà abbastanza presto sicché, nel 1498, oltre al “maggiorasco”, l’Ammiraglio metterà a punto una prima raccolta di 29 documenti che lo riguardano in un apposito Libro dei Privilegi. Con le Capitolazioni, stese il 17 aprile a Santa Fe della vega di Granada, creato Ammiraglio di quelle isole e terraferma « que por su mano o industria se descubrieren e ganaren en las dichas mares Oceanas », Colombo e i suoi eredi diventano titolari delle stesse prerogative e preminenze di don Alonso enríquez, allora Almirante Mayor di Castiglia. nello stesso momento il nuovo « Ammiraglio del mare Oceano » viene anche investito delle cariche di viceré e governatore generale dei territori citati. Si stabilisce che la Corona sceglierà i suoi funzionari fra le tre persone che, per ciascun incarico, egli avrà proposto. Inoltre, tolte le spese, Colombo tratterrà per sé la decima parte di tutte le mercanzie che si compreranno, scambieranno, troveranno e otterranno nell’ambito dell’Almirantazgo – perle preziose, oro e argento, spezie e qualsiasi altra cosa. Inoltre spetterà a lui o al suo teniente la competenza giudiziaria su tutti i pleitos relativi. Infine, ogni volta che si armeranno navi, Colombo potrà partecipare per l’ottava parte all’investimento, ricavandone l’ottava parte del guadagno. Sembra che in questo momento da parte degli investitori privati ci sia un moderato interesse né pare che i Genovesi mettano in atto pressioni particolari. dall’alto si muove l’accoppiata Santángel-Pinelli; dal basso, Colombo con berardi e compagni. Tutto regolare. Compaiono ciurme raccogliticce, tra cui pochi Genovesi o Italiani. In base a quello che si è detto a proposito dei ruoli ufficialmente svolti a bordo di una nave e della relativa corrispondenza con quelli rivestiti sul piano sociale, oltre alla se172
viii · operazione nuovo mondo
gnalazione di un certo calabrés, che poco ci dice, ci piacerebbe sapere a che famiglia appartiene Jácome el rico, mozzo genovese che, evidentemente già intenzionato a rimanere alle Indie, muore però alla navidad. estremamente interessante è invece Juan de vezano, probabilmente membro di un’antica famiglia lunigianese di tradizione marinara che, ormai inserita nell’ambito fliscano, fa parte dell’ “albergo” Cibo. Al secondo viaggio – che vedrà invece un piú aperto intervento finanziario genovese – partecipano piú Liguri. Oltre a un marinero « vecino de moguer », che porta il nome molto genovese di Francesco Calvo, ne compaiono diversi. Alcuni non sono identificabili, come domingo Fenerín (contremaestre della caravella Cardera), Francesco vecino di Cordova (dove pure esiste una forte colonia genovese), Johan Griego, vecino di Genova e marinero. Tra loro ci sono però figure che si distinguono: Giovanni da Porto, forse parente del cancelliere genovese e ambasciatore in Castiglia, e antico creditore dei Colombo. Tutti appartengono all’ “albergo” Gentile, come il cancellierecronista genovese di quel tempo, Ambrogio Senarega e l’ambasciatore nicolò Oderico. Compare un altro nome di rilievo, quello di rafael Cataño, forse iniziatore della forte presenza dei Cattaneo in area americana. Piú tardi – nel 1502 – si incontra il mozzo diego Cataño. ma il personaggio piú significativo è certamente michele da Cuneo, una presenza importantissima e non solo per la lettera-relazione che stenderà. Cominciano però in questa fase le difficoltà per Colombo. In qualche misura ciò potrebbe significare che ci sono problemi per il network, che comunque ha ormai messo le sue postazioni anche all’Hispaniola e sorveglia attentamente la situazione. In ogni caso dopo il secondo viaggio comincia un vero assalto al nuovo mondo. Infatti la Corona ha deciso di concedere altri permessi di navigazione alle Indie e vieta agli stranieri di recarvisi. Se i primi intaccano i privilegi di Colombo, il divieto non danneggia certo i Genovesi, molti dei quali da tempo sul piano formale non sono piú stranieri. d’altra parte i grandi gruppi d’affari non pensano certo a un dominio diretto; la loro storia dimostra che preferiscono altri sistemi: per esempio gestire monopoli, come capita a Chio per il mastice; per l’allume di Tolfa; per lo zucchero di Cipro e delle isole atlantiche, per l’oricello delle Canarie, per il sughero portoghese. da parte sua Colombo vorrebbe pure lui (come già il Pessagno o il da noli) esserne il tramite 173
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privilegiato, gestire le sue cariche e farsi i suoi affari. ma le cose non si mettono bene e, come si è visto, egli cerca di tutelarsi sia con il maggiorasco sia con la stesura di un primo Libro di Privilegi proprio prima del terzo viaggio. Questa volta si manifesta però l’intervento massiccio e decisivo di martino Centurione e di Pantaleone Italiano, mentre bernardo Grimaldi interviene con due caravelle. Tra i comandanti delle navi c’è anche il cugino Giovanni Antonio, mentre sulla Castilla con l’Ammiraglio compare un certo bartolomeo García “genovese”. Il mozzo Giacomo, anch’egli genovese, vecino di Palos, appare con gli altri legato finanziariamente al Grimaldi. In funzione di scudiero c’é anche marco da bargagli (de bargalio), che nel 1501 è ancora tra i piú fedeli collaboratori di Colombo. Anche lui appartiene a una famiglia che ruota nell’orbita fliscana. Oltre a un Luís de Saona e all’incerta presenza di Andrea Colombo, si registrano i nomi di altri Italiani, ma sempre legati a Genovesi, in questo caso a bernardo Pinelli: si tratta di un certo Giovanni di bologna, di Simone del Piemonte, di Giovanni mayo. Torna il nome del già ricordato Johan Griego marinaio al soldo di bernardo Grimaldi. nonostante le difficoltà di Colombo, evidentemente l’operazione è riuscita: la presenza italiana e soprattutto quella genovese sono piú alte che in precedenza. In realtà per l’Ammiraglio le cose non vanno bene e, ai primi d’ottobre del 1500, Colombo e i suoi fratelli sbarcano a Cadice in catene. Contro di loro ci sono le tremende accuse di bobadilla e le lettere dei francescani, che gli imputano di volere consegnare le Indie ai genovesi e scrivono al cardinal Cisneros, implorando che, da allora in poi, né lui né altri « de su nación venga en estas islas ». Per Colombo è un brutto colpo. doveva però aspettarselo, dato che l’evento che gli stesso aveva giudicato memorabile e che per primo aveva raccontato al mondo, aveva subito superato la sua persona, lui ne era stato travolto e la sua virtus cancellata. In effetti subito dopo il fatale viaggio la sua vicenda si sdoppia: da un lato c’è l’evolversi della sua storia personale; dall’altro si innesca la dinamica di un mito positivo-negativo che porta con sé un’altra conseguenza, quella per cui la persona sarà infine travolta dalla politica e poi dall’ideologia. due storie parallele sulle quali conviene soffermarsi. « Lí mi giudicano come se fossi un Governatore della Sicilia […]. Io 174
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debbo essere giudicato come un capitano che da tempo porta le armi al fianco senza abbandonarle nemmeno un’ora ».1 L’Ammiraglio del mare Oceano scrive cosí all’ama del principe Giovanni dalla nave che lo riporta in Spagna incatenato. In realtà Fernando e Isabella procedono contro di lui con la stessa, inesorabile determinazione con cui puntano su altri temi. Sulla cacciata degli ebrei; sulla cancellazione del regno moresco di Granata; sull’annullamento dell’infelice Giovanna, fragile erede di enrico Iv di Castiglia; e infine, sulla demolizione degli arditi progetti di due personaggi – l’ammiraglio Cristoforo Colombo e il gran capitano Gonzalo de Córdoba –, dissipando il contenuto delle loro operazioni in risultati ben diversi dal progetto iniziale. Come Colombo anche Gonzalo dovrà subire qualche indagine; anche a lui si chiederà di rendere conto delle spese e, dopo tanti successi, anche lui sarà privato della sua prestigiosa carica e morirà lontano dalla corte. A quel tempo, soprattutto in alcuni contesti, quando si mette in moto un’inchiesta su qualcuno, di fatto si è già deciso come andrà a finire. Gli archivi sono pieni di queste presunte operazioni di “pulizia” ed esiste una raffinata letteratura storica che si occupa di “inquisizioni” e processi del passato e del presente. difficili da usare ai fini dell’accertamento di una possibile verità storica, dato che manca la terzietà del potere giudiziario, queste testimonianze sono però molto utili per conoscere il piú generale contesto in cui i fatti avvengono. Alle analogie individuate nelle vicende di Gonzalo de Córdoba e di Cristoforo Colombo altri riscontri si possono aggiungere. non ultimo quello che rinvia al congelamento degli enormi crediti che i Genovesi hanno con la Corona spagnola, deciso da Filippo Iv nel 1627, forse giustificato dal fatto che, a quel tempo, si annunciavano tempi duri per l’Impero spagnolo. Ciò avrebbe certamente avuto qualche ricaduta sul network genovese, che fino a quel momento, come ha scritto braudel, aveva dominato il mondo degli affari e della finanza. All’epoca di Colombo l’intesa tra l’élite ligure e la Corona castigliana è ottima, come dimostra, tra l’altro, l’operazione condotta sulle Canarie, coeva a quella americana. dal canto loro i capitalisti genovesi sanno calco1. Colón, Textos, cit., p. 436.
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lare con attenzione i possibili rischi, il primo dei quali però consiste proprio nell’eventuale improvviso révirement del compare in affari, in questo caso la Corona castigliana. Il consolidamento dei crediti è solo un esempio di quello che può succedere in una società in cui le élites sono abituate a vivere di consumi e di guerra, come capita nell’antica tradizione europea. Per i Genovesi, invece, l’acquisizione di nuovi spazi raramente significa conquista diretta, privilegiando essi l’investimento. In effetti, per quanto riguarda la relazione tra loro e la Corona castigliana, la dinamica espansionistica va letta con una lente bifocale. essa si configura, infatti, non tanto come una serie di imprese singole ma semmai come un progetto di lunga durata, inteso a mantenere lo status quo delle élites – sia di quella castigliana sia di quella genovese. un progetto in cui, però, il comportamento della seconda, piú elastico e adattabile, disponibile a variare le proprie alleanze a seconda delle occasioni e a superare qualsiasi eventualità politica, è assai diverso da quello della prima. Come si è visto, il dominio milanese e francese dell’età colombiana sono signorie temporanee, utili solo a impedire l’eventuale affermazione di un potere monocratico locale, fumo negli occhi per un’élite politico-economica decisa a difendere la “libertà” di fare a modo suo. Il modello dell’espansione genovese è l’esatto contrario di quello castigliano, sicché, se le convergenze sono utili ad ambedue le parti in vista del raggiungimento del comune beneficio, è inevitabile però che talvolta si arrivi allo scontro, salvo rinegoziare subito dopo nuovi patti. La sfida, che le due parti accettano a fine Quattrocento, porta con sé delle novità, non ultimo l’incrociarsi dinastico delle Corone castigliana e aragonese, destinato a coinvolgere non solo l’Atlantico ma anche il mediterraneo. riproporre il tema della frontiera, cercare altri spazi di operatività, obbliga dunque a ridisegnare i rapporti in modo diverso da quello abitualmente usato in area ispanica, dove la collaborazione è sempre scivolata senza troppe scosse. esiste il precedente della fortunata combinazione tra la Corona portoghese e i Genovesi, che però rappresenta un’eccezione nel quadro occidentale e non coinvolge il mediterraneo dal punto di vista politico. dall’inizio del Trecento, la collaborazione con i Genovesi ha consentito al Portogallo di avviare una politica mercantilista sul genere di quella che, in 176
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direzione mediterranea, aveva promosso la Corona aragonese attraverso i punti forti di barcellona e di valenza. non a caso la parte catalana dell’entourage fernandino, che ha dalla sua un’antica e smaliziata capacità di movimento anche se al momento un po’ decaduta, è la piú attenta nell’esaminare il comportamento degli antichi nemici genovesi. In verità due modelli di espansione, due modi diversi di vedere il mondo, compaiono anche sullo sfondo della pesquisa di bobadilla. A questo proposito conviene offrire un altro tassello alla composizione del quadro. Certamente nella cultura di base di Genovesi e Liguri c’è l’uso spregiudicato e costante degli “strumenti” di cui si è parlato, gli uomini delle loro terre, le loro navi e il loro denaro. Però c’è anche altro. Infatti le élites dei Comuni che, alla fine del mille, hanno dato vita a un nuovo sistema politico, hanno chiesto agli esperti del diritto non solo di costruire una serie di strumenti giuridici utili a dimostrare la loro sostanziale parità con gli altri poteri esistenti, ma di produrre una tipologia contrattuale nuova, piú consona alle esigenze del sistema comunale. usati ormai da secoli, questi contratti non solo hanno garantito la fioritura e la tutela degli affari, ma hanno pure contribuito a forgiare la mentalità con la quale questi uomini hanno letto e interpretato il mondo anche sul piano delle relazioni internazionali. Come si è già ricordato, insieme con la procura e l’assicurazione, contratti familiari a chi traffica nel mercato e nella finanza, i Genovesi del medioevo amano usarne un altro, la commenda (acomendacio). un contratto che è stato all’origine della fortuna individuale di molti di loro e che, assai piú di altri, ha contribuito a costruire la loro forma mentis. Quando si ragiona dei patti intercorsi tra la Corona e Colombo, non bisogna lasciarsi ingannare dalla forma dell’atto di concessione graziosa, tipica della tradizione seguita nell’Occidente europeo, ma occorre invece guardare al dispositivo del documento, nel quale si manifesta ciò che davvero conta. nel caso in questione – ovvero nelle Capitolazioni di Santa Fe – ovviamente il rapporto è sbilanciato in partenza a favore di una delle due parti, dato che, seppure protetto dalla lobby, Colombo resta sempre – come lui stesso dirà – meno di « un moscerino sbattuto dalla tempesta » di fronte a una Corona, per la quale non esistono né contropoteri né terzietà giudiziaria. Tuttavia l’Ammiraglio sa bene come bilanciare la situazione; anzi, sa 177
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perfino come volgerla a suo vantaggio e a vantaggio della lobby alla quale è legato. I Genovesi come lui, abituati da secoli a essere protagonisti di atti in cui sono coinvolti poteri di vario genere, li interpretano sempre alla stessa maniera. Li leggono cioè proprio come se si trattasse di un’acomendacio, il contratto in cui è prevista l’esistenza di un socius stans e di un socius tractans, ovvero di un socio che mette il capitale e di un altro socio che va per il mondo, di cui già si sono delineate le caratteristiche. ma c’è dell’altro. Colombo – che certamente ha visitato la Chio gestita dai maonesi in regime semiprivato ma in accordo con il Comune genovese –, è l’erede di una lunga e variegata esperienza coloniale. diversamente dai Castigliani, lui sa bene che cosa è una colonia e sa che lí succede di tutto, compresa la violazione costante delle regole, peraltro ritenuta parte integrante del gioco. Anche Genova prevede che il funzionario considerato inadempiente debba essere oggetto di inchiesta e magari di destituzione, ma i Genovesi sanno altrettanto bene però che si fa un’inchiesta solo quando l’interessato non gode piú di copertura “politica”. L’Ammiraglio sa anche che, di fatto, egli è un uomo solo di fronte alla Corona. mai Genova ha svolto una parte ufficiale in trattative di questo tipo e molto raramente sono stati siglati patti da parte di suoi rappresentanti ufficiali, eccettuati i soliti, generici trattati, solitamente inutili e costantemente disattesi o superati. da parte sua la lobby spinge, ma si guarda bene dall’esporsi in caso di difficoltà; tende anzi a scivolare nell’ombra per non dover pagare prezzi di nessun genere. Cosí è successo nel 1098 in età crociata con boemondo di Taranto ad Antiochia e succede cosí con tutti gli altri, dal basileus bizantino al re di Portogallo: protagonisti diretti della trattativa sono di volta in volta singoli individui o gruppi di privati, che di solito hanno già piantato qualche radice delle loro aziende familiari in loco. d’altro canto questo comportamento rende piú facili i rapporti, lascia mano libera a tutti, consentendo un disimpegno spesso utile alle due parti. di regola il documento, che esce dalla trattativa iniziale, è ineccepibile e tale resta se ambedue le parti ne rispettano l’essenza. L’abilità del capitalista consiste nel saper scegliere bene il “socio” del momento, sperando che non vi siano da parte sua troppe sorprese. Se il gioco va in porto, la resa è altissima. non a caso i fratelli Colombo girano per le corti portoghese, francese e inglese, dove le lobby genovesi sono da tempo 178
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attive. e non è un caso che bartolomeo Colombo arrivi all’Hispaniola dopo esser rimasto a lungo a trattare con la Corona francese e inglese. Le Capitolazioni di Santa Fe testimoniano dunque soltanto che la Corona avrà nuove terre, nuovi introiti e schiavi per farne ciò che aggrada a lei e alla sua élite e che, dal canto loro, Colombo e i Genovesi avranno in cambio le cose che chiedono sempre e che sono sempre le stesse: mettere i loro uomini, familiari, dipendenti o amici (come quel Cattaneo o quel Fieschi, ambedue di grande famiglia, costantemente accanto a Colombo a Santo domingo) in postazioni chiave per impiantare monopoli e traffici gestiti da loro. di per sé le Capitolazioni sono la dimostrazione che il rapporto dei Genovesi con la monarchia castigliana non è mutato e funziona. Il patto tra Colombo e la Corona non è assolutamente una novità, come non è una novità che lui sia diventato Ammiraglio di una Corona. Però essere Ammiraglio e allo stesso tempo viceré e governatore è altra cosa. ed esserlo per una Corona di Castiglia che fino a quel momento non ne ha espressi, diversamente dalla Corona aragonese abituata a domini extraiberici, complicherà ulteriormente le cose. In effetti, le tre domande che l’inquisitore bobadilla pone ai 23 testimoni scelti per costruire la sua inchiesta, sottintendono di fatto una quarta e assai piú grave ipotesi di colpevolezza, che sembra trascendere le malversazioni e che presume il tradimento. A questo hanno alluso i frati francescani nelle loro lettere al cardinal Cisneros, colme di risentimento contro i “Faraoni” genovesi. Che cosa veramente intendono i frati quando scrivono che Colombo vuole « consegnare l’isola ai Genovesi »? Che cosa fa sospettare la ripresa dei contatti con San Giorgio e Genova da parte di Colombo? Le lettere che l’Ammiraglio invia a Genovesi che contano, come Gianluigi Fieschi? Infine, che cosa significa la costante presenza di bartolomeo Fieschi a fianco dell’Ammiraglio, da lui seguito fino al letto di morte? Anche se le lobby genovesi non hanno preferenze, a Genova i Fieschi appartengono pur sempre a un “partito” filofrancese. Per chi, se non per un Angiò, dichiara di aver fatto il corsaro Cristoforo Colombo? dall’ottobre del 1499 Genova è in signoria francese. bobadilla arriva nell’estate del 1500. Forse Colombo pensa davvero di fare qualche favore alla parte “francesizzante” dei suoi potenti amici? Che cosa vuole veramente la lobby che lo sostiene? non lo sappiamo. Sappiamo soltanto che 179
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questi gentiluomini-mercanti amano di solito tenere un profilo basso (come faranno in tutti i tempi, onde non danneggiare affari e famiglia) e mantenere un atteggiamento neutrale, aspettare insomma che la tempesta passi; lasciare, infine, come in effetti accade, che Colombo se la sbrighi da sé. Sembra dunque inevitabile che la Corona rescinda unilateralmente il contratto. dal suo punto di vista, le regole le fa chi comanda. Le lobby lo sanno, lo sa anche Colombo e certamente, se non altro per memorie familiari, lo sa il cognato Francesco, che discende da una grande famiglia di uomini d’affari fiorentini, falliti proprio a causa del congelamento dei crediti deciso da edoardo III d’Inghilterra nell’ormai lontano 1346. Le Corone sono abituate a disattendere ai loro impegni per le ragioni piú varie. Capita cosí anche con Colombo. Colombo, il socius tractans del contratto, l’uomo che gioca su piú tavoli ed è l’unico detentore della verità, deve dunque difendersi. Le Capitolazioni di Santa Fe erano chiarissime nel dargli carta bianca su tutto ciò che ora improvvisamente viene messo in questione. Peccato che, qualunque sia la verità, il giudice sia stato scelto solo da una delle due parti. Peccato che il socius stans sia una Corona desiderosa soltanto di manifestare la propria volontà d’imperio. Come Gonzalo de Córdoba anche Cristóbal Colòn perde il suo vicereame. e i Genovesi? I Genovesi non ci rimetteranno nulla. nel 1552-’56 il 51% dei prestiti contratti da Carlo v sarà in mano loro, da quel momento in poi destinati a diventare i protagonisti della scena finanziaria internazionale. nel 1575 e nel 1596, infatti, i banchieri liguri sottoscriveranno rispettivamente il 63% e il 75% degli asientos di Filippo II e tra il 1588 e il 1609 l’88% di quelli a Filippo III. Tra loro ci saranno “signori della guerra” come Andrea e Antonio doria e come Gianandrea doria, ammiragli di tre Asburgo, da Filippo II a Filippo Iv. Ambrogio Spinola comanderà, e finanzierà con altri, gli eserciti imperiali nei Paesi bassi e in Italia dal 1604 al 1631. È dunque evidente che, nonostante Colombo o forse grazie a Colombo, e soprattutto nonostante la pesquisa di bobadilla, tra la Spagna e i Genovesi di fatto non era cambiato nulla.
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IX IL VOLTO DI COLOMBO Già dal 1498 però Colombo ha messo sul tavolo le sue carte e ora si difende con energia, con memoriali e lettere, con il Libro de las Profecias, in cui la sua scoperta viene inserita in un tessuto intriso di tematiche di carattere millenaristico e messianico, che si richiama a Gioacchino da Fiore. L’Ammiraglio cerca anche l’appoggio dei molti amici, laici e religiosi e comincia, ora, attorno a lui una rinnovata danza di nomi genovesi e liguri. Ha sempre attentamente conservato i suoi documenti (di cui resta un parziale elenco) presso il fedele Gaspare Gorricio. Presso Gorricio stava anche una copia del Libro dei Privilegi del 1498 (ora conservata all’Archivo General de Indias di Siviglia), mentre un’altra, oggi perduta, era certamente all’Hispaniola ed era alla base della rielaborazione a cui procedette Colombo, tra il 1501 e il 1502, aggiungendo altri documenti.1 I due codici miniati, oggi conservati al Galata-museo del mare di Genova e al ministero degli Affari esteri di Parigi, che contengono 43 documenti tra il 1499 e il 1502, si aprono con i privilegi degli ammiragli di Castiglia e si concludono con la già citata lettera a Juana de la Torre. una terza copia cartacea era stata consegnata ad Alonso Sánchez de Carvajal, curatore degli interessi nelle Indie durante il governo del successore di bobadilla, nicolás de Ovando. Il destino delle due copie in pergamena, come Colombo stesso chiarisce nella sua corrispondenza, è quello di arrivare a Genova. dal 26 ottobre 1499, però, la città è in Signoria francese e ciò provoca qualche problema ai pur elastici clan genovesi, ai loro progetti e ai loro affari nonché ovviamente all’Ammiraglio. Proprio a quell’epoca, con istruzioni della repubblica datate 23 aprile 1501, arriva come ambasciatore presso i re Cattolici il giureconsulto nicolò Oderico. Infatti ai mercanti genovesi è stato vietato di esportare merci con le proprie navi dal regno napoletano. nicolò è amico di Colombo. Filofrancese, l’ambasciatore è legato al clan fliscano ed è stato tra i protagonisti del delicato passag1. Cfr. m. macconi, L’Ammiraglio, il Libro dei Privilegi e una misteriosa miniatura, in « viaggio in Liguria », 2 2010, pp. 75-82, a cui si rinvia anche per la bibliografia sul tema.
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gio sotto la Corona di Francia, operazione predisposta dai cardinali Fregoso e della rovere, ma guidata da Gianluigi Fieschi insieme con bernardo e Gian Ambrogio, nonché da altri personaggi di gran nome, tra cui Cristoforo Cattaneo e Giacomo Centurione, peraltro tutti appartenenti a clan importanti in Spagna e legati all’Ammiraglio. Alla cerimonia di dedizione della città, avvenuta a milano nel settembre 1499, hanno preso parte ventiquattro Genovesi “nobili” e “popolari”. dopo il giuramento di fedeltà di Giovanni de marini, altro fedele alla causa francese (altri de marini saranno però in messico), che ha offerto lo scettro dogale al re, nicolò Oderico gli ha consegnato il vessillo della città, Cristoforo Cattaneo le chiavi e nicolò brignole il sigillo. A questa cerimonia li hanno accompagnati i già ricordati bartolomeo Senarega, cancelliere del Comune, e Antonio Gallo, cancelliere del banco di San Giorgio. Il 21 marzo 1502, e cioè il giorno prima che sia conclusa e ufficializzata la stesura delle copie del nuovo Libro dei Privilegi, l’Ammiraglio invia una lettera all’Oderico. Colombo, che lamenta «la solitudine» in cui l’amico lo ha lasciato, gli scrive di aver consegnato a un altro amico – il già noto Francisco de riberol – «el libro de mys escrituras» perché glielo invii con «otro traslado de cartas mensajeras». Aggiunge che un’altra copia è in via di completamento e che sarà inviata tramite la stessa persona. All’interno di queste copie troverà un nuovo documento (forse la lettera inviatagli il 14 marzo 1502 dai re, in cui, sollecitando la partenza per il quarto viaggio, si fa cenno alla sua prigionia e si conferma che i suoi privilegi saranno ereditati dai figli). A quanto scrive, insieme con la lettera per l’amico è in partenza un’altra missiva indirizzata al « señor micer Juan Luis e a la señora madona Catalina », rispettivamente Gianluigi Fieschi e sua moglie Caterina del Carretto. Si è già detto dell’assidua presenza di bartolomeo Fieschi a fianco dell’Ammiraglio. bartolomeo lo seguirà nel quarto viaggio al comando della Vizcayna, affronterà un tempestoso viaggio in barca dalla Giamaica all’Hispaniola, portando con sé una lettera per nicolás de Ovando in cui Colombo scrive al governatore: « También os pido pro merced que ayàis diego mendez de Segura muy encomandado y a Flisco que es tan deudo mio y que sale de los principales de su tierra ». Deudo è un termine che contiene in sé piú sfumature. rinvia alla parentela (Colombo stesso lo usa in questo senso in un’altra lettera), e cioè alla “grande famiglia”, che vive di alleanze 182
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di sangue, in cui si indicano con questa parola gli obblighi reciproci che esistono tanto in ambito genovese quanto in ambito castigliano, ma sono codificati in quest’ultimo proprio con quella denominazione. In area castigliana lo stesso deudo però unisce il vassallo al monarca quando non ci sono obblighi definiti sul piano giuridico, ma esistono diritti e doveri reciproci. ed è a questo legame che Colombo rinvia per far intendere bene a Ovando il suo rapporto con bartolomeo. ecco dunque che, per spiegare la formula piramidale dell’ “albergo” che vincola non solo tutti i suoi appartenenti, ma anche i non familiari, Colombo usa una parola che sia comprensibile all’altro. Ci si deve chiedere comunque perché Colombo scriva al Fieschi, capo indiscusso della fazione filofrancese: se lo fa per i legami di dipendenza della sua famiglia o perché la situazione genovese porta ora nuovamente in quella direzione e può essergli utile ritornare alle antiche e mai perdute amicizie. Passano pochissimi giorni e, il 2 aprile 1502, Colombo scrive ai Protettori del banco di San Giorgio la notissima lettera in cui compare la frase « bien que el corpo ande acá, el coraçon está alí de continuo […]. Las cosas de mi impresa […] farían gran lumbre si la oscuridad del gobierno non le incobiera […] ». nella lettera comunica di aver inviato all’Oderico « el traslado de mys privilegios y cartas para que lo ponga en buena guardia. Folgaría que los viédeses »,2 confermando che i re lo tengono piú che mai in onore. In quel momento l’Oderico, incaricato di nuova missione in Spagna a causa della cattura di una nave genovese in acque siciliane, è ancora là e là riceve la copia consegnatagli dal de riberol. L’ambasciatore torna a Genova alla fine del 1502. Certamente il suo predecessore, benedetto da Porto, figlio dell’antico creditore dei Colombo e nel 1506 cancelliere del Comune, e il suo successore, Gerolamo di negro, appartengono all’area filofrancese legata ai Fieschi. ma si sa che nelle famiglie genovesi non tutti la pensano allo stesso modo e che i parenti all’estero agiscono come meglio credono sicché non è facile interpretare le cose. Certamente la prudenza non è mai troppa. Piú tardi l’Ammiraglio si lamenterà per non aver ricevuto risposta. In realtà, il cancelliere del banco, l’amico Antonio Gallo risponde alla 2. Colón, Textos, cit., pp. 482-83.
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lettera dell’Ammiraglio, scrivendo però contemporaneamente al figlio diego. Le due lettere partono in un unico plico indirizzato al solo diego, a cui il Gallo afferma che la lettera per il suo « excelentissimo padre, inclusa in questa, ve piacerà darli quando li serà la comodità del tempo et la sua presentia ».3 Le minute delle lettere si conservano nei registri del banco di San Giorgio. nella missiva a Colombo – definito « vostra claritudine » – si fa cenno a un incontro con messere nicolò (Oderico), che gli ha raccontato molte cose « dele gracie et privilegii vostri, li quali ha portati qui translati ». La questione è sottile. Il libro viaggia per via diplomatica, ma il Gallo preferisce indirizzare il plico al figlio di Colombo. Ha forse timore che la cosa si sappia o che la faccenda possa mettere in difficoltà l’Ammiraglio, già accusato di voler cedere l’isola ai Genovesi o a un principe straniero? È vero che i titolari della « repubblica internazionale del denaro » e la Corona francese non sono la stessa cosa, ma come i Genovesi anche i Castigliani possono giocare su piú tavoli. nel quarto drammatico viaggio – l’alto viaje iniziato nel maggio 1502 e concluso nel novembre 1504 –, il legame di Colombo con i suoi conterranei si rafforza ancora. Questa volta l’Ammiraglio ha con sé il fratello diego, il figlio Fernando e alcuni Genovesi, tra cui bartolomeo Fieschi, comandante della Vizcayna. Attraversata da eventi funesti ma anche da esperienze esaltanti, la vicenda ci è narrata direttamente da lui in un altro testo famoso – la Lettera rarissima – in cui descrive anche il tremendo uragano di Santo domingo, che lui solo aveva previsto, in cui perisce il suo nemico bobadilla e affondano l’oro spagnolo e le carte contro di lui, nel terribile anno trascorso da naufrago alla Giamaica (il marchesato, che con il ducato di veragua, diventerà piú tardi appannaggio della sua famiglia), senza rifornimenti e con le teredini che gli divorano le navi. È bartolomeo Fieschi che, percorrendo in canoa le 400 miglia che li separano da Santo domingo insieme con il fido diego mendez, risolve la situazione, consentendogli di tornare in Spagna nel 1504. Questa volta i Liguri che accompagnano Colombo sono molti: Pedro Gentil (Gentile), scudiero della Santiago de Palos e scrivano dell’armata, 3. Nuova Raccolta Colombiana, iv. I documenti genovesi e liguri, cit., pp. 312-13.
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Andrea ginovés (probabilmente il cugino), Juan Jácome, fray Alixandre, Juan Pasán (Pessagno?), legato ad Antonio Sopranis. Tra i mozzi ci sono battista ginovés e Francesco da Levanto (legato agli Italiano, che resta a Santo domingo), marco Suriano, marco durán genovese cirujano, bartolomeo, il contremaestre Antonio donato (dell’ “albergo” Cibo). Tra gli scudieri della nave capitana c’è un altro nome importante, quello di Guillermo Sopranis. Poi ci sono i mozzi Antonio Chavarin (forse un Clavarino?), Grigorio ginovés. C’è un battista ginovés, tintorero e scudiero della Santiago de Palos; un altro battista ginovés, mozzo nella Vizcayna e legato a bartolomeo Fieschi e a Giuliano Calvo. C’é il già ricordato diego Cataño, mozzo nella Santiago de Palos. Tornato dal viaggio, il 27 dicembre 1504, Colombo scrive un’altra lettera all’Oderico. La missiva, molto interessante, sembra confermare un suo possibile cambiamento di fronte. L’Ammiraglio ricorda di avergli parlato a lungo di questo progetto, rammentando di avergli inviato, per mano del de riberol, il Libro dei Privilegi e le lettere nonché altre due lettere per il banco di San Giorgio. nonostante il de riberol gli abbia detto che tutto è arrivato « en salvo », non ha mai ricevuto risposta. Aggiunge che, prima di partire per il suo viaggio, ha lasciato a Cadice un’altra copia del Libro dei Privilegi nelle mani di Franco Cattaneo, portador d’esta perché gliela inviasse. Scrive che, mentre era lontano, aveva inviato lettere ai re, di cui una è tornata nelle sue mani. egli la invia di nuovo insieme con questa e con il resoconto del viaggio in altra lettera, precisando che l’Oderico deve consegnarla « a micer Juan Luís con la otra de l’aviso ». rimane infine in attesa di lettere dell’amico che parlino cautamente del proposito in cui sono rimasti. e conclude cosí: Sono tornato qui molto ammalato. nel frattempo è mancata la regina mia signora – che dio ha con sé – senza che io potessi vederla. Finora non posso dire come andranno a finire le mie cose. Spero che la regina vi abbia provveduto nel suo testamento e il re mio signore risponde assai bene […]. Franco Cattaneo vi racconterà il resto piú diffusamente […].4
nello stesso giorno Colombo scrive anche a Gianluigi Fieschi a cui pure 4. Colón, Textos, cit., pp. 520-21.
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racconta di essere tornato dalle Indie molto malato e poco sereno per la sua situazione. e poi continua: « Credo che abbiate tenuto ben a memoria il libro che ho lasciato per voi a Cadice e anche l’aviso en que quedamos […], ma il latore della lettera e cioè Franco Cattaneo vi potrà parlare piú largamente di ciò in modo che vi serva da resoconto ».5 Aggiunge inoltre: « vorrei molto servirvi nei vostri affari con messer de ribera », e gli chiede di scrivergli piú diffusamente in proposito. Colombo ricorda qui di essere in rapporti con don Fadrique enríquez de ribera, che, entrato vittorioso all’Alhambra nel ’92 e ora governatore dell’Andalusia e giudice superiore nella giurisdizione di Siviglia, diventerà nel 1514 marchese di Tarifa. Il raffinatissimo don Fadrique, peregrinando verso Gerusalemme, visiterà Genova nel 1519, lasciandone memoria nel prezioso diario del suo viaggio. L’Ammiraglio lamenta di non aver ricevuto nessun riscontro da parte del banco di San Giorgio all’offerta del decimo della sua rendita « por descuento de sus derechos » anche se padre Juan gli dice che quelli di San Giorgio « sono nobilissimi signori e si comporteranno bene ». non sa nulla neppure delle promesse regie per il figlio diego e ciò lo fa star male piú della stessa malattia. non fa alcun riferimento al fatto che è salito al soglio pontificio Giuliano della rovere, uomo legatissimo ai Fieschi. un papa potente, che lui e la sua famiglia conoscono bene, a cui egli dice altrove di aver scritto perché il pontefice si è lamentato di non aver avuto piú sue notizie. Secondo una recente ipotesi, nella copia del Libro dei Privilegi conservata a Genova sarebbe ritratto il vero volto di Colombo. nella miniatura, collocata in testa alla c. xliiir e contenente la bolla papale Inter coetera del 4 maggio 1493, alla grande iniziale miniata “I” (In dei nomine) è attorcigliato un filatterio con l’incipit dell’Annunciazione, un richiamo alla devozione mariana di Colombo, alla quale rinviano anche il suo crittogramma e la formula « Jesus cum maria sit nobis in via », da lui molto usata. La lettera, inoltre, è istoriata con due ritratti di profilo ben personalizzati e raccolti da una decorazione a racemi stilizzati e motivi di fiori e foglie di melograno, simbolo di amicizia e concordia e altro rinvio al culto mariano. La 5. Ivi, pp. 521-22.
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gerarchia degli spazi indica una collocazione precisa che rinvia a ruoli differenti. nel ritratto in secondo piano l’uomo non porta segni di alcun genere, ha mento sporgente, bocca sottile, un accenno di barba, naso irregolare e occhi normali. Qualcuno ha pensato che questo fosse il ritratto di Colombo o quello di papa Alessandro (non considerando che mai un papa è ritratto senza il triregno o con il camauro o la mitria o con la tonsura ben evidente). Il profilo sottostante, ma in primo piano, assai piú dettagliato, ritrae un uomo tra i 40 e i 50 anni, con il volto lungo e magro, barba e baffi incolti, labbra carnose, naso pronunciato e aquilino, occhi gonfi e pesanti. L’uomo indossa un copricapo rosso con risvolti. una cuffia sottostante lascia intravedere capelli grigi e piuttosto lunghi. Secondo un’ipotesi precedente sarebbe questo il ritratto del cacicco indio Colón, a cui Colombo donò a Trinidad il suo copricapo, forse l’abituale gorra rossa usata in mare o forse qualcosa di piú importante, in cambio di una corona d’oro. I ritratti di Colombo esistenti sono molti e molto studiati, ma nessuno di essi sembra davvero corrispondere a quell’immagine che bartolomé de Las Casas, don Fernando, Angelo Trevisan e Fernandez de Oviedo hanno cosí ben descritto. Certo è che il profilo, che compare in primo piano solo nel Codice conservato ora al museo del mare Galata di Genova, sembra rinviare alle caratteristiche del volto dell’Ammiraglio, la faccia lunga, il naso aquilino, gli occhi ammalati. ed è certo che quel codice è stato consegnato a uno dei piú grandi amici di Colombo, nicolò Oderico, la cui famiglia fino al XvII secolo conservò presso di sé due copie del Libro dei Privilegi poi donate alla repubblica, una delle quali rimasta a Genova e l’altra finita a Parigi. Perché dunque non pensare che in quella copia il ritratto in secondo piano sia quello dell’amico a cui l’Ammiraglio chiede di tenere il codice « en buena guardia »? un amico che tuttavia è anche un tramite preciso che lo lega alla sua città. In questo caso la miniatura diventerebbe un mezzo non solo per consentire l’identificazione del destinatario o del possessore del manoscritto, ma anche quella del donatore, come accade proprio in quell’epoca quando si offre un libro particolarmente prezioso o considerato tale (basti pensare ai tanti manoscritti dedicati ai pontefici Cibo, della rovere, borgia, contemporanei dell’Ammiraglio). recentemente un’altra importante novità è emersa dal confronto di 187
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una tavola conservata nella sacrestia de los Calices della cattedrale di Siviglia e la nota Virgen de los Mareantes, oggi conservata nei reales Alcazares di Siviglia. In quest’ultimo retablo, che il famoso pittore Alejo Fernandez, nato a Cordova e noto come pintor Alemán, aveva dipinto per la Casa de Contratación tra il 1531 e il 1536, la figura rappresentata in ricchissimo abbigliamento in ginocchio sulla sinistra è comunemente ritenuta un ritratto postumo di Cristoforo Colombo. Circa vent’anni prima il Capitolo della cattedrale di Siviglia aveva incaricato lo stesso Fernandez di eseguire un retablo per l’altare maggiore. Tra il 1508 e il 1512 il pittore aveva eseguito quattro tavole con l’Incontro tra San Gioacchino e sant’Anna, la Nascita della Vergine, l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio, mai collocate però nel retablo dell’altare maggiore. nella tavola con l’Adorazione dei Magi compare, assieme ai tre re, un altro personaggio, inginocchiato in primo piano con una corona posta ai piedi della vergine. Il suo abbigliamento, la sua fisionomia e il suo atteggiamento corrispondono in maniera sorprendente a quelli del personaggio raffigurato nella Virgen de los Mareantes, solo che in questo caso il personaggio ha i capelli bianchi e non biondi come nell’altro ritratto. L’importanza di questa scoperta è data dalla datazione della tavola, vicinissima a quella della morte dell’Ammiraglio (1506) e dalla sua corrispondenza con la descrizione fisica che ne fa bartolomé de Las Casas. Colombo sembra ritratto nel suo ruolo di viceré, evidenziato dall’abbigliamento e dalla corona posta ai piedi della vergine, di cui egli era particolarmente devoto. I capelli bianchi sono una caratteristica alla quale egli stesso allude nei suoi scritti. È probabile che Alejo Fernandez, che fa parte della cerchia dei pittori famosi del tempo, abbia conosciuto l’Ammiraglio o a Cordova o a Siviglia. Le ossa di Colombo vengono trasferite dalla prima sepoltura nel convento francescano di valladolid a Siviglia nel 1509 e l’esecuzione della tavola dei Reyes risale proprio a quegli anni.6 La vita di Colombo si chiude a valladolid il 20 maggio 1506. Il giorno prima l’Ammiraglio ha fatto un’altra volta i conti con il suo passato. nel codicillo testamentario del 19 maggio è tornato su quanto ha stabilito nel 1498 e ripreso nel 1505, in cui non ha dimenticato le donne che lo hanno accompagnato nei tre momenti fondamentali della sua vita: la madre ge6. e. Parma, Il vero volto di Cristoforo Colombo, i.c.s.
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novese, la moglie portoghese e la compagna spagnola. Ha deciso anche di saldare altri suoi debiti: con gli eredi di Gerolamo da Porto, per le pendenze paterne di anni giovanili; con Antonio basso, un genovese che vive a Lisbona (forse un parente dei della rovere); con un ebreo che un tempo abitava alla porta della Judería di Lisbona; con gli eredi di Luigi Centurione Scotto e con gli eredi di Paolo di negro; con battista Spinola, genero del Centurione e figlio di nicolò Spinola di Luccoli di ronco, che stava a Lisbona nel 1482 (o con i suoi eredi, se egli è morto). Accanto a lui, come in tutti i momenti importanti della sua vita, ancora una volta c’è bartolomeo Fieschi. nel suo nome e nel nome di Genova si chiude definitivamente la storia dell’Ammiraglio del mare Oceano.
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X DA GENOVA AL NUOVO MONDO E RITORNO Il lungo viaggio di ritorno a casa compiuto da ulisse, in un mediterraneo allora unico mare dell’avventura umana, ha avuto in Omero il suo aedo. dell’altro grande viaggio che la storia ci consegna, quello che trasporta per la prima volta e definitivamente gli europei e i loro miti oltre le Colonne d’ercole, il cantore è l’uomo stesso che lo compie. È lui, infatti, il primo a stabilire le coordinate in cui si muoverà la memoria. ma non stanno certo nel suo Diario gli ingredienti necessari alla celebrazione dell’uomo e della sua scoperta o, a seconda degli umori e dei tempi, utili invece a una loro inappellabile condanna. Il Diario verrà alla luce molto piú tardi e in modi e tempi tali che non è possibile attribuire a questo prezioso manoscritto – di cui peraltro l’originale si è perduto nella notte dei tempi – troppe responsabilità. Quando Colombo, dopo sei mesi di navigazione, di cui tre trascorsi nell’esplorazione del mar delle Antille, riparte dal nuovo mondo verso il vecchio, tutto all’inizio sembra funzionare a meraviglia. Le due caravelle (la nao Santa Maria è naufragata nella notte di natale) filano tranquille sulle onde dell’Oceano e, ai primi di febbraio, già appaiono erbe, legni e voli di uccelli, segno dell’approssimarsi della terra. ma ecco che, il giorno 12, all’improvviso, «grande mar y tormenta» si abbattono su di loro. La disperazione di Colombo è grande e tale è la sua paura di non poter dimostrare che « aveva visto cose tanto grandi ed era stato veritiero nelle sue affermazioni ». Confida nel dio che già lo ha aiutato a superare le difficoltà in Castiglia, ma due pensieri lo tormentano: la sorte dei figli, che studiano a Cordova e che ora potrebbero diventare orfani di padre e madre, e i re, che mai sarebbero venuti a conoscenza del grande servizio che aveva loro reso. ma Colombo non si arrende. uomo di decisioni rapide ed efficaci prende una pergamena e, dice il Diario, «vi scrisse tutto quello che poté di quello che aveva trovato», pregando che chiunque la rinvenisse la consegnasse ai Sovrani. Poi la avvolge con le sue mani in una tela cerata, la chiude in un grande barile di legno e lo getta in mare. Infine colloca un’altra copia della lettera sull’albero di poppa perché superi indenne l’ormai certo naufragio. 190
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È ormai opinione generale che questa pergamena contenesse un testo identico a quello della lettera-relazione che, in due distinte versioni, Colombo, fortunosamente approdato il 4 marzo alle foci del Tago, decide di inviare ai re, a Luís de Santángel e a Gabriel Sánchez. di lí manda pure una lettera – ma di ben diverso tenore – al re Giovanni II di Portogallo, nella quale afferma che, nel corso del suo viaggio, non ha mai tenuto alcun comportamento lesivo dei patti stipulati tra Portogallo e Castiglia. È vero che Colombo ha con sé il salvacondotto regio, ma la situazione può proporre, e con maggior pesantezza, quanto già accaduto in uno scontro poco gradevole, una decina di giorni prima, alle Azzorre. A Lisbona l’Ammiraglio vede bartolomeu dias quale rappresentante della Corona. La risposta del re arriva l’8 marzo, e il giorno seguente Giovanni II e Colombo si incontrano al monastero de las virtudes, prossimo a Lisbona. L’incontro non è particolarmente felice, a causa della superbia dell’Ammiraglio e della diffidenza del re, almeno cosí dicono i cronisti portoghesi. Tuttavia gli si consente di tornare in Castiglia, ma solo per via di terra e a partire dal giorno 12. Per Colombo si profila il rischio che martín Alonso Pinzón, che da parecchio tempo si è allontanato sulla sua Pinta, lo preceda e incontri per primo i re, sicché decide di ripartire immediatamente. nella tradizione genovese scrittura e documento svolgono una funzione fondamentale e il notaio, con il suo latino irrigidito dalle formule è, dal medioevo in poi, una colonna del sistema. I Genovesi scrivono poco, soprattutto se devono parlare di sé; ma è inevitabile che una società costruita sul denaro e per il denaro da uomini che guardano e muovono sempre verso nuovi orizzonti graviti intorno al documento e soprattutto intorno a quel prezioso atto notarile, che, nelle sue infinite e snelle modalità di applicazione, dà vita a un sistema di comunicazione particolare e a una particolare mentalità. Lo dimostra con evidenza tutta la documentazione colombiana conservata negli Archivi genovesi, che, da sola, basta e avanza per stroncare alla base qualsiasi ipotesi fantasiosa sulle sue origini, che resta un problema di chi – in ogni tempo – non usa correttamente gli strumenti di lettura che la storia stessa ci offre. È evidente che Colombo, passando dal suo mondo alla Castiglia, abbandona alcune sue abitudini, compresa la lingua usata; ma non dà segno invece di voler abbandonare gli strumenti culturali sui quali si è formato. 191
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La parola scritta e il documento sono per lui essenziali. ne fa, anzi, uno strumento prezioso e un punto di forza della sua vita. Infatti scrive moltissimo, disponendo con disinvoltura di tutti i media che ha a disposizione per promuovere se stesso e il suo progetto, le sue idee e i suoi successi. Ciò accade la prima volta nel viaggio di ritorno, quando stende la Lettera, destinata a diventare subito il documento-monumento dell’uomo e dell’immaginario americano, che egli stesso crea con potenza d’immagini, abilità descrittiva e capacità di sintesi. dal momento della pubblicazione della Lettera, avvenuta immediatamente dopo il suo arrivo, la storia della scoperta dell’America, dei sogni e delle utopie, dei dilemmi e delle tragedie che l’hanno accompagnata nella realtà e nella leggenda entra a far parte dell’immaginario mondiale. Il vessillo castigliano e la croce, con cui Colombo “riconsacra” con un nuovo nome innumerevoli isole, la descrizione della natura meravigliosa e incontaminata, dell’attitudine pacifica e amorevole di gente, la cui stessa nudità appare garanzia di purezza incontaminata, appaiono all’uomo della Provvidenza che viene da un mondo piú buio, sanguinoso e violento come una visione propositiva di future, utopiche letture del mondo. ma l’uomo, che pensa intanto alla riconquista di Gerusalemme, non si nasconde e non ci nasconde l’ombra dell’oro, della schiavitú e del mercato che già viene intrecciandosi alle immagini di Amazzoni e Cannibali e alle reminiscenze di enciclopedici saperi medievali e poliani, suscitate dalla visione di quel mondo paradisiaco. ne scaturisce anche una precisa figura di narratore: quella di un uomo che sa come celebrarsi, lamentando quasi di sfuggita le contrarietà passate e presenti, illustrandosi per la leale fedeltà che lo distingue. un uomo che, vantando le sue beneremenze, chiede conferma dei privilegi concordati e altro ancora per la sua famiglia. Cristoforo si sente protetto da dio e messaggero di dio: « Christoferens » come si firmerà da allora in poi. nella Lettera compare tutto ciò che poi, di momento in momento diventerà oggetto di esaltazione e di esecrazione: l’eurocentrismo, il colonialismo, la missione e la crociata, il dibattito sulla schiavitú, il diritto naturale, il mito del buon selvaggio e la nascita dell’utopismo, il rifiuto della diversità e la “leggenda nera”, l’umanitarismo cristiano e il razionalismo laico, il tema dell’identità e il terzomondismo. 192
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La notizia del ritorno dell’Ammiraglio si sparge con grande rapidità. Il duca di medinaceli ne scrive già il 19 marzo e il 22 se ne parla anche a Cordova. ma è proprio la Lettera a moltiplicare la conoscenza dell’evento. Colombo, infatti, si comporta come ha fatto marco Polo in altri tempi. Lui stesso perfeziona il testo di quello che è destinato a diventare il primo best seller della storiografia americana. e le sue molte frequentazioni “trasversali” lo aiutano in questa attenta operazione d’immagine, in cui si avvale di tutta la rete dei suoi amici e protettori e, in modo particolare, di quella genovese e degli amici italiani di ogni ordine e grado. Si tratta di gente da secoli abituata ad aggiornare il proprio know how informativo al di fuori delle sedi ufficiali, ne siano tramite o fine i grandi trust finanziari piuttosto che qualche cardinale. Indubbiamente conta il fatto che, oltre a Santángel (che comunque opera in armonia con il genovese Pinelli), il fiorentino Giannotto berardi abbia coperto un quarto delle spese per il viaggio e che i Fiorentini siano legati a Colombo. ma se, grazie al loro ramificatissimo sistema familiare-aziendale, i Genovesi non hanno assolutamente bisogno di avere informazione da alcuno (dato che lo hanno direttamente da qualche parente ben piazzato a corte o presso corti minori ma non meno importanti), è invece oltremodo interessante trovare la notizia del viaggio registrata nel libro di conti di un pettinaiolo fiorentino già tra il 25 e il 31 marzo, cosí come è importante trovarla alla corte estense o a quella milanese, a venezia come a Siena. Il rapporto con Firenze non è solo d’affari, come si capisce dai nomi di Toscanelli e vespucci, e segue formule complesse e consolidate. Certo è visibile il buon funzionamento della “repubblica internazionale del denaro”, composta di grandi boss finanziari, che sono qualcosa di diverso da chi fa solo mercato. Come si è detto, braccio armato e finanziario degli Spagnoli, i Genovesi lo diventano assai prima dell’età moderna. La prima edizione del testo, che esce a barcellona nell’aprile 1493, rientra nella logica di un’ovvia divulgazione dei diritti spagnoli. Altrettanto importante è però l’immediata traduzione latina dovuta all’aragonese Leandro de Cosco, legatissimo ai re Cattolici e, al tempo stesso, chierico presso papa borgia. L’edizione appare in coincidenza con l’emissione delle “bolle alessandrine” (maggio-settembre 1493). Il testo latino ha immediatamente tre edizioni nella Penisola (due a roma e una a Firenze); ne 193
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ha tre a barcellona e, nel 1494, sei tra Anversa, basilea e Parigi. Quest’intensa azione mette in movimento anche il mondo accademico, nel quale peraltro si avvia anche una piú ampia operazione culturale, espressa innanzitutto dall’Opus epistolarum e dalle Decades de orbe novo di Pietro martire d’Anghiera, amico ed estimatore di Colombo, e della quale fanno parte altri testi, come quello di nicolò Scillacio. richiama nuovamente le vicende del testo poliano la retroversione in volgare compiuta del fiorentino Giuliano dati, uomo di chiesa legato a Giulio II, piú tardi fatto vescovo da Leone X, uscita a roma, in veste di cantare popolaresco in ottava rima, il 15 giugno 1493, appena due mesi dopo la traduzione del Cosco. In realtà, è difficile sapere che cosa Colombo davvero sapesse o che cosa davvero volesse quando si arrovellava sul suo controverso progetto. egli non parla certo di America né i suoi viaggi la cercano. Quando dice che intende « buscar il Levante por el Poniente » vuole, in base a informazioni e calcoli, arrivare alle coste dell’estrema parte orientale dell’orbis terrarum. Ciò è quanto continua a sostenere anche di fronte all’evidenza del diverso, anche se può sembrare strano che un uomo, che ha condotto tutta la sua vita all’insegna dell’esperienza e della ricerca, parta da un’ipotesi basata su un a priori e non su una prova empirica e non cambi idea neppure di fronte all’evidenza di prove che dimostrano il contrario. d’altra parte fino a quel momento l’America non esiste per chi crede in un orbis tripartitus. Come è stato giustamente detto, « le cose non esistono fino al momento in cui non diventano ciò che noi pensiamo che siano ». di fatto l’ “errore” di Colombo emergerà con chiarezza definitiva solo nel momento in cui si accerterà che ciò che ha trovato è qualcosa di distinto dall’estremità orientale dell’orbis terrarum, che si era prefisso di raggiungere e che aveva affermato di avere finalmente incontrato. In definitiva era stata solo la sua ostinazione a fargli superare la cortina di dubbi sollevata dai molti che non credevano nel suo progetto. La prima a dubitare era stata la Corona portoghese, ma anche ai dotti di Salamanca il suo progetto era parso inesatto nei calcoli e perciò irrealizzabile. Colombo ricorderà ripetutamente e con sempre maggior amarezza i molti ostacoli incontrati e le cattiverie ricevute prima e dopo il fatale viaggio, destinate ad acuirsi, in scansione accelerata, durante e dopo ogni impresa. e l’immagine di lui che, a Salamanca, si batte da solo in mezzo all’ostilità 194
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dei sapienti, l’immagine di lui che torna in catene sono destinate a diventare un topos prediletto in ambito ideologico, in sede letteraria e artistica, in cui si riflette la lotta della ragione e della “luce” di età illuminista, romantica e risorgimentale contro l’oscurantismo di poteri assoluti e oppressivi, imbevuti di religiosi fanatismi. Al suo ritorno, pur celebrato con grande fasto, la reazione ufficiale sembra comunque rivelare una qualche cautela sull’oggetto della scoperta, anche se l’immediata organizzazione di una spedizione di diciassette navi, dimostra l’evidente volontà regia di procedere alla colonizzazione e alla cristianizzazione di quelle che vengono definite « isole scoperte nelle Indie ». Si tratta di una denominazione destinata a durare a lungo, ben dopo il lancio del nome “America”, proposto nel 1507 da un fin troppo entusiasta martin Waldseemüller, evidentemente colpito dalle imprese vespucciane impropriamente datate in operette ad alta divulgazione, che avrebbero dato origine a dibattiti scientifici durati fino a oggi. La bolla papale Inter coetera del 3 maggio 1493 parla di « isole e terreferme nelle parti occidentali del mare Oceano verso le Indie »; formula ripresa, l’anno seguente, nel testo del trattato di Tordesillas. Agli uomini d’affari, invece, interessano poco le questioni intellettuali dato che percorrono vie piú concrete, ed è per ciò che la notizia di questo e degli altri viaggi entrano rapidamente in circolo senza troppi commenti. Però anche l’amico Pietro martire d’Anghiera, pur celebrando il suo eroe, si mantiene nel vago e parla di una parte della terra nascosta dalla Creazione, definita “nuovo emisfero” e piú tardi, negli anni Trenta del Cinquecento, definita anche « orbe novo ». ma si tratta di qualcosa di “nuovo” davvero o solo di una parte del “vecchio”? Comunque Colombo, sia o no convinto di quel che cosí testardamente afferma, decide di essere fedele fino in fondo alla tradizione. e ciò si accorda perfettamente con quella parte di lui, fideistica e un po’ messianica, da cui sembra farsi guidare nelle sue relazioni “ufficiali” con il mondo, per la quale abdica alla sua fede vera nell’esperienza rimanendo avvinto a quelle auctoritates, che escludono variabili al Creato. Come per l’ulisse dantesco, infatti, la sua ambizione di conoscenza potrebbe perderlo in un gorgo di superbia, pericoloso in un’età di avviata Inquisizione. Scoprire qualcosa che possa cambiare l’immagine data al mondo, potrebbe configurare come un peccato ciò, che in età successive, 195
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altri leggeranno invece come la felice fuga dal carcere dell’oscurantismo, che ha fatto a pezzi un’arcaica lettura del mondo. Per questo nell’ambito della cultura europea e poi in quella dei mondi nuovi il suo viaggio assumerà anche un carattere esemplare fino a diventare espressione dell’eroismo di un uomo capace finalmente di spezzare le sue catene. né sarà un caso che l’America sia da subito celebrata come paese della libertà e del futuro e l’uomo americano diventi il nuovo Adamo della cultura occidentale. Si sa bene come andò a finire tutta la faccenda. Si chiese a Colombo di provare la sua “verità” e ci furono altri tre viaggi, compiuti per dimostrare che ciò che aveva incontrato nel primo era un’estesa terraferma, che esisteva il passaggio marittimo che marco Polo aveva usato per tornare in europa. ma le cose non andarono per il verso giusto e da allora in poi si inanellò una catena di fallimenti e di tragedie, di urti e di violenze, di odi e tradimenti. L’ossessiva ricerca dell’oro e il mercato degli schiavi presero il sopravvento su tutto, ed è da queste vicende descritte da lui e dai suoi compagni alla Corona, che trasse origine e acquistò sempre maggior forza l’altra immagine di Colombo, e cioè quella che ne fa il primo conquistador. un’immagine che sarà sempre piú difficile distinguere da quella di una Corona spagnola cattolica e avida, quale emerge dalle tavole dell’olandese Theodor de bry, in cui l’Ammiraglio appare costantemente in armi. In realtà per Colombo la situazione va cambiando rapidamente. Già il 10 aprile 1495, la Real Provisión, che concede anche ad altri il permesso di navigare alle Indie, segna l’inizio del suo declino. Colombo continua tenacemente a viaggiare e a “scoprire”, ma la sua storia e i suoi racconti, le sue lettere e l’immagine che dà di sé assumono da ora in poi toni sempre piú cupi. « Credo che questo luogo sia il Paradiso Terrestre, dove nessuno può giungere se non per volontà divina. Io credo che questa terra che le vostre Altezze hanno ordinato di scoprire sia vastissima e che molte altre ne esistano a meridione, di cui mai si ebbe notizia ».1 nel corso del terzo viaggio, tra il 1496 e il 1498, arrivato allo stretto che divide Trinidad dalla terraferma, che ribattezza Tierra de Gracia, di fronte alla grande massa d’acqua 1. Colón, Textos, cit., p. 380.
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dolce che si perde nell’Oceano, posto di fronte all’evidenza frutto della sua ostinata ricerca sperimentale, ancora una volta Colombo si rifugia nella sua incrollabile “fede” iniziale e per non tradirla, pur tornando a parlare di otro mundo, di nuovo cielo e di nuova terra, sostituisce alla sua scoperta piú sensazionale l’immagine del Paradiso Terrestre, un altro topos caro alla tradizione colta. Si tratta di un’altra fuga di fronte alla realtà? O si tratta dell’ostinazione messianica, che cresce dopo il ritorno in catene, quando comincia a descriversi come uno straniero perseguitato e impoverito, quando insiste nel raccogliere ed elaborare dati e auctoritates a testimonianza della giustezza delle sue ipotesi, a illustrare le sue grandi capacità, mentre intanto appronta una nuova redazione del Libro dei Privilegi che, con il “maggiorasco”, con il quale trasmette i suoi diritti al figlio diego, deve rappresentare la summa di quanto gli spetta. Comunque un fatto è certo: da quel momento in poi esistono un nuovo Occidente e un nuovo concetto di Occidente. Subito dopo quel viaggio, infatti, il mondo si spalanca di fronte alle potenze europee, che, pur mimetizzando, nella costruzione delle loro mitografie, quest’importante anello di collegamento tra il mondo mediterraneo e la successiva ascesa continentale, non potranno mai rinnegare il contributo dell’uomo venuto dalla “piú atlantica” delle città italiane e l’atto con cui “fonda” un nuovo mondo al di qua e al di là dell’Atlantico. non a caso nel 1688, Cristoforo Keller, professore all’università di Halle, che nella prima edizione della sua Historia Universalis del 1685 ha introdotto la tripartizione tra età antica, età medievale ed età moderna, stabilirà infine che l’età medievale si è conclusa nel momento in cui sono avvenuti alcuni fatti fondamentali: la caduta di Costantinopoli, l’invenzione della stampa, la riforma protestante e, appunto, la scoperta dell’America.
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IndICI
INDICE DEI NOMI
Abulafia david: 20 n., 45 n., 72 n., 82 n. Adorno, famiglia: 64, 91, 94, 106, 107, 156, 164. Adorno Agostino: 163. Adorno Anselmo: 55. Adorno Gerolamo: 95, 156. Adorno Giovanni: 164. Adorno Giuliano: 156. Adorno Prospero, doge: 106, 150. Adriano v, papa: 74. Agosto Aldo: 108 n., 109 n., 154 n. Aguirre Isabel: 114 n. Aimari Gerolamo: 94, 125, 133. Airaldi Gabriella: 19 n., 20 n., 23 n., 27 n., 28 n., 31 n., 32 n., 33 n., 37 n., 41 n., 49 n., 50 n., 51 n., 53 n., 59 n., 67 n., 68 n., 70 n., 72 n., 80 n., 82 n., 89 n., 93 n., 107 n., 114 n., 136 n., 139 n., 154 n. Albini Giuliana: 73 n. Alceo: 29. Alessandro vI, papa: 17, 92, 105, 138, 140, 142, 151, 153, 154, 158, 162, 165, 187, 193. Alfonso I Henriques, re di Portogallo: 52. Alfonso Iv, re di Portogallo: 76. Alfonso v d’Aragona: 34, 92, 106. Alfonso v, re di Portogallo: 105, 144. Alfonso X, re di Castiglia: 88. al-Idrîsî: 43, 84. Almeida Francisco de: 74. al-umari: 37. Alvaro di Portogallo: 148. al-Zûhri: 43, 84. Andalò di Savignone: 47. Anghiera Pietro martire d’: 168, 194, 195. Angiò, famiglia: 45, 92, 132, 179. Antunes Luís P.: 95 n. Arbel benjamin: 20 n. Arranz Luís: 114 n. Asburgo, dinastia: 79.
Ataide Pero de: 144. Aubusson Pierre d’: 151. Aurell Jaume: 82 n. Auton Jean d’: 164. Avis, dinastia: 71, 73. baiazet, sultano: 150, 151. balard michel: 20 n., 32 n. balbi Giovanni: 40. ballester miguel: 168. banca Antonio de: 76. barahona Giovanni di: 148. bardi, famiglia: 74, 76, 93. bardi Francesco: 75, 167, 169. bargagli da (de bargalio), famiglia: 125. bargagli marco da: 126, 174. basso Antonio: 153, 189. basso enrico: 72 n. basso Francesco: 141. basso Gerolamo: 141, 153. basso Ottaviano: 141. battifoglio Pietro: 48. battista, ginovés: 185. bavarello Giacomo: 161. beccari battista: 54. belgrano Luigi Tommaso: 68 n. benedetto XII, papa: 76. benevento marco di: 119. berardi Giannotto: 167, 169, 172, 193. berchet Guglielmo: 119 n. berengo marino: 23 n. bernal Andrés: 169. bobadilla beatriz: 167. bobadilla Francisco de: 97, 174, 177, 179, 180, 181, 184. boccaccio Giovanni: 37 e n., 38, 39, 62, 93. boccanegra egidio: 58, 63, 74, 77. boccanegra Guglielmo: 34, 64. boccanegra Simone, doge: 63, 64, 75.
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indice dei nomi boccardo Piero: 82 n. boccuse (bucuccio) Guglielmo: 65. boemondo di Taranto: 178. bologna Giovanni di: 174. bonaparte napoleone: 65. bonifaz raimondo: 58. borbone, famiglia: 154. borgia, famiglia: 92, 105, 140, 154. borgia Alfonso: vd. Callisto III. borgia rodrigo: vd. Alessandro vI. boyl: 169. brabante di Allemagna Guglielmo di: 126. braganza, famiglia: 96, 146. branca vittore: 37 n. braudel Fernand: 30, 35, 40, 45 n., 67 n., 175. brignole nicolò: 182. bry Johann Theodor de: 196. buglione Goffredo di: 33. Caboto Giovanni: 9, 20, 68, 94, 160. Caboto Sebastiano: 94. Cabrera Andrés: 168. Caddeo rinaldo: 110 n. Cadeddu maria eugenia: 70 n. Caffaro di Caschifellone: 24, 28, 30, 33, 43, 59, 60, 61, 84. Callisto III, papa: 92, 105, 138, 153, 187. Calvo, famiglia: 79, 91. Calvo bonifacio: 88. Calvo Francesco: 173. Calvo Giuliano: 185. Camilla, famiglia: 74. Caminha, contessa di: 148. Camogli Francesco di: 132. Campodonico Pierangelo: 53. Cangialanza Agostino: 166. Cangialanza Pantaleone: 166. Cão diogo: 146. Cárdenas Gutierre de: 168. Cardini Franco: 95 n. Carignano Giovanni mauro da: 37, 54. Carlo v, imperatore: 59, 98, 99, 119, 120, 180.
Carlo vII, re di Francia: 106. Carlo vIII, re di Francia: 151, 162, 163, 164. Casenove Guillaume de: 143. Casenove Jean de: 143. Cassana, famiglia: 91, 94. Castagnello bartolomeo: 126. Castiglione (Castellón), famiglia: 91. Castro enrico de: 58. Cattaneo (Cataño), famiglia: 64, 78, 79, 82, 90, 91, 94, 173. Cattaneo Andreolo: 65. Cataño Anfreon: 90. Cattaneo Carlo: 24. Cataño Cristóbal: 90. Cattaneo Cristoforo: 182. Cataño diego: 173, 185. Cattaneo Francesco: 90, 94, 120, 179, 185, 186. Cataño Francisco: 90. Cattaneo manuele: 90. Cataño rafael: 90, 173. Centurione (Centurión), famiglia: 82, 89, 90, 91, 93, 94, 98, 122, 133, 141, 152, 160, 165. Centurione Adamo: 99, 152. Centurione Agostino: 90. Centurione Giacomo: 182. Centurione Lodisio: 147. Centurione martino: 89, 90, 174. Centurione Pantaleone: 90. Centurione Scotto Luigi: 189. Cervantes Saavedra miguel de: 77. Chaucer Geoffrey: 78. Chiavari Andrea da: 127. Chio Leonardo di: 81. Chone nicholas: 76. Cibo, famiglia: 152, 157, 165, 173, 185. Cibo battistina: 153. Cibo Franceschetto: 152. Cibo Gianbattista: vd. Innocenzo vIII. Cibo Teodorina: 152. Cibo de mari Lorenzo, cardinale: 154. Cisneros Francisco Jiménez de, cardinale: 98, 118, 166, 169, 174, 179.
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indice dei nomi Colombo, famiglia: 34, 110, 113, 115, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 130, 131, 132, 133, 143, 145, 154 n., 156, 161, 166, 173, 183. Colombo Amighetto, cugino di Cristoforo: 165. Colombo Andrea, cugino di Cristoforo: 119, 129, 161, 165, 174, 185. Colombo Antonio, zio di Cristoforo: 126, 127, 128, 165. Colombo bartolomeo, fratello di Cristoforo: 16, 65, 99, 110, 113, 114, 116, 118, 119, 121, 127, 128, 136, 144, 159, 165, 179. Colombo bartolomeo, zio di Cristoforo: 126, 128. Colombo battistina, zia di Cristoforo: 126, 127, 128. Colombo benedetto: 131. Colombo bianchinetta, sorella di Cristoforo: 128, 161. Colombo diego, figlio di Cristoforo: 114, 118, 119, 146, 159, 166, 167, 169, 184, 186, 197. Colombo Giacomo (diego), fratello di Cristoforo: 114, 116, 119, 120, 128, 161, 184. Colombo domenico, padre di Cristoforo: 122, 125, 126, 127, 128, 129, 131, 132, 139, 161, 165. Colombo Fernando, figlio di Cristoforo: 15, 16, 64, 109, 110 e n., 112, 114, 118, 120, 122, 124, 145, 146 e n., 148, 161, 167, 184, 187. Colombo Giovanni (Juan Antonio), cugino di Cristoforo: 128, 161, 165, 174. Colombo Giovanni, nonno di Cristoforo: 123, 125, 126, 128, 165, 166. Colombo Giovanni Pellegrino, fratello di Cristoforo: 128, 129. Colombo maria, zia di Cristoforo: 126, 128, 166. Colombo matteo, cugino di Cristoforo: 165. Colombo Luca, prozio di Cristoforo: 125, 128. Colombo vincenzo: 124. Colomer José Luis: 82 n.
Colón (Collom, Culam) il Giovane: 112, 143, 145, 146. Colón il vecchio: 64, 95, 112, 142, 143, 144, 145. Cominelli nicolò: 64. Constable Olivia remie: 82 n. Cordo Simone: 15. Córdoba Gonzalo de: 152, 175, 180. Cosco Leandro de: 193, 194. Costa Giorgio da: 142, 154, 162. Cuneo da, famiglia: 132, 133. Cuneo Corrado da: 125, 132, 133. Cuneo michele da: 15, 28 e n., 94, 119, 125, 132, 133 e n., 134, 135, 136, 168, 173. Cusati maria Luisa: 70 n. dante Alighieri: 39. da Passano, famiglia: 73. d’Arienzo Luisa: 89 n. dati Giuliano: 194. day John: 49. de Fornari (Forne), famiglia: 91. de Fornari baliano: 110. de Fornari raffaele: 151. de Franchi, famiglia: 79. del Carretto, famiglia: 165. del Carretto Alfonso: 152. del Carretto Caterina: 155, 182. del Carretto Giovanni: 41. della rovere (de ruvere), famiglia: 130, 131, 132, 133, 138, 153, 157, 165, 182, 189. della rovere bartolomeo: 141. della rovere domenico: 154. della rovere Francesco: vd. Sisto Iv. della rovere Francesco maria: 141. della rovere Giovanni: 141, 153. della rovere Giuliano: vd. Giulio II. della rovere Leonardo: 111, 131, 141. della rovere raffaello: 131. del Treppo mario: 72 n. de maddalena Aldo: 67 n. de mari (de la mar), famiglia: 73, 78, 79, 152, 165.
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indice dei nomi de mari Ansaldo: 59. de mari Giovanni: 78. de mari Guglielmo: 65. de marini, famiglia: 78, 79, 182. de marini Giovanni: 182. de marini Giovanni battista: 110. de riberol (rivarola), famiglia: 94. de riberol Cosma: 94. de riberol Francisco: 90, 94, 120, 182, 183, 185. de riberol Giacomo: 90. de volta, famiglia: 91. deza diego de: 169. dias bartolomeu: 70, 146, 191. di Fabio Clario: 82 n. di negro, famiglia: 72, 78, 91, 94, 95, 98, 125, 133. di negro Andalò: 37, 62. di negro Carlo: 65. di negro Cassano: 147. di negro Francesca: 156. di negro Gerolamo: 183. di negro Paolo: 147, 189. dinis I, re di Portogallo: 48, 52, 58, 67, 68, 70, 71. donato Antonio: 185. doria, famiglia: 59, 64, 73, 78, 79, 91, 98, 106, 137, 150, 155, 165. doria Aitone: 65. doria Andrea: 26, 59, 81, 99, 111, 116, 137, 152, 153, 154, 157, 180. doria Antonio: 71, 180. doria Corrado: 59. doria domenichino: 37. doria Francesco: 90, 94, 120. doria Gianandrea: 59, 81, 180. doria Giovanni: 76. doria Jacopo: 48. doria Lazzaro: 110, 125, 152. doria nicolò: 153. doria Paolino: 62. doria Pietro: 54. doria raffaele: 75.
doria rufo: 89. doria Simone: 59. doria Tedisio: 48. draperio Francesco: 81. duarte Luís miguel: 59 n. ducellier Alain: 20 n. dulcert Angelino: 93. durán marco: 185. eanes Gil: 105. edoardo II, re d’Inghilterra: 71, 76. edoardo III, re d’Inghilterra: 76, 180. elisabetta I, regina d’Inghilterra: 76, 79. embriaco Guglielmo: 28, 43, 59, 60. enrico I, duca di borgogna: 52. enrico Iv, re di Castiglia: 52, 175. enrico Iv, re d’Inghilterra: 78. enrico vII Tudor, re d’Inghilterra: 68, 79. enrico il navigatore, principe di Portogallo: 71, 95. enríquez Alonso: 172. enríquez de Arana beatriz: 118, 120, 161, 167. enríquez de ribera Fadrique: 186. eulalia, santa: 84. Fábrega García Adela: 82 n. Faie Giovanni Antonio da: 39, 107, 123. Farris Giovanni: 41 n. Federico I barbarossa: 25. Federico II Hohenstaufen, imperatore di Svevia: 34, 58, 74. Fenerín domingo: 173. Fernandez Alejo: 188. Fernández Armesto Felipe: 93 n., 114 n. Fernandez de Oviedo Gonzalo: 187. Fernando I d’Aragona: 16, 89, 92, 111, 118, 143, 156, 158, 160, 164, 168, 175. Ferrante I d’Aragona: 106, 107, 142, 153. Ferrer de blanes Jaime: 168. Ferrer i mallol maría Teresa: 82 n. Fieschi, famiglia: 54, 64, 73, 74, 76, 92, 98, 106, 109, 110, 124, 125, 129, 130, 133, 137, 138,
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indice dei nomi 141, 142, 154 e n., 155, 156, 164, 165, 179, 183, 186. Fieschi Antonio: 77. Fieschi bartolomeo: 97, 124, 148, 156, 179, 182, 183, 184, 185, 189. Fieschi bernardo: 182. Fieschi Carlo: 75. Fieschi Caterina: 139. Fieschi ettore: 126, 138, 157. Fieschi Filippino: 163. Fieschi Francesca: 155. Fieschi Gerolamo: 155. Fieschi Giacomo: 127, 156. Fieschi Gian Ambrogio: 182. Fieschi Gianluigi: 90, 98, 100, 105, 142, 151, 155, 156, 157, 163, 164, 166, 179, 182, 183, 185. Fieschi Giorgio: 138. Fieschi Guglielmo: 77. Fieschi Luca: 74. Fieschi matteo: 126. Fieschi nicolino: 74, 76. Fieschi nicolò: 138. Fieschi Obietto: 105, 138, 142, 150, 157, 162, 163. Fieschi Opizzo: 156. Fieschi Ottobono: vd. Adriano v. Fieschi Scipione: 155. Fieschi Sinibaldo: vd. Innocenzo Iv. Fieschi urbano: 138. Fieschi Adorno Caterina, santa: 139, 156. Figarolo bertonia di: 165. Figarolo Giovanni di: 165. Filippo II Augusto, re di Francia: 64, 180. Filippo III, re di Spagna: 180. Filippo Iv il bello, re di Francia: 64, 65, 175, 180. Fiore Gioacchino da: 181. Firpo massimo: 31 n. Foix, famiglia: 154. Fonseca Luís Adão da: 68 n., 70 n., 73 n., 95 n. Fontanarossa Giacomo: 129. Fontanarossa Susanna: 118, 127, 129.
Formisano Luciano: 28 n. Fossati raiteri Silvana: 82 n. Francesco I, re di Francia: 68. Fregoso, famiglia: 64, 106, 107, 125, 129, 130, 164, 165, 182. Fregoso Agostino: 152. Fregoso Alessandro: 161. Fregoso Alfonso: 161. Fregoso battista: 111, 150, 151. Fregoso bernardina: 151. Fregoso domenico: 127. Fregoso Fregosino: 161. Fregoso Giano: 126-27. Fregoso Ludovico: 106, 107, 127. Fregoso Paolo: 105, 106, 107, 111, 137, 141, 142, 150, 152, 153, 162, 163, 164. Fregoso Pietro: 105, 106, 127. Fregoso Spinetta: 106. Fregoso Tommaso, doge: 54. Frescobaldi, famiglia: 74. Fritallo Pasquale: 127. Fryde edmund b.: 72 n. Fryde natalie: 72 n. Gallinari Luciano: 59. Gallo, famiglia: 125, 128, 166. Gallo Antonio: 110, 111, 122, 125, 127, 141, 182, 183, 184. Gallo Cristoforo: 125. Gara Pietro: 161. Garay Francisco de: 167. García bartolomeo: 174. Garí blanca: 82 n. Gattilusio, famiglia: 80. Gelmírez diego: 52. Gem, principe: 150, 151. Gentile (Gentil), famiglia: 78, 79, 91, 94, 173. Gentil Pedro: 184. Gentile Girolamo: 142. Geraldini, fratelli: 168. Geraldini Alessandro: 168. Giacomo, mozzo genovese: 174. Giacomo I, re d’Aragona: 91, 92.
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indice dei nomi Gibelet, famiglia: 43, 61, 114. Gibelet bertrand de: 28. Gil Juan: 13 n., 159 n. Giovanna di Portogallo: 175. Giovanni I di Portogallo: 71. Giovanni II Avis di Portogallo: 71, 140, 144, 146, 148, 159, 191. Giovanni XXII, papa: 74, 75. Giovanni d’Angiò: 106. Giovanni d’Aragona, cardinale: 142, 154. Giovanni, figlio di Fernando d’Aragona e di Isabella di Castiglia: 169. Giulio II, papa: 15, 47, 105, 111, 118, 131, 132, 138, 139 e n., 140, 141, 142, 150, 152, 153, 154, 162, 163, 164, 165, 186, 187, 194. Giustiniani (Justinián), famiglia: 66, 78, 91, 94, 108, 125, 165. Giustiniani Agostino, vescovo: 110, 111. Goitein Shlomo dov: 44 n. González de mendoza Pedro: 100, 169. González Jiménez manuel: 82 n. Gorricio Gaspare: 16, 168, 181. Grasso Guglielmo: 58. Griego Johan: 173, 174. Grillo, famiglia: 78, 79. Grillo Giovanni: 78. Grillo rinaldo: 78. Grimaldi (Grimaldo), famiglia: 63, 64, 66, 78, 79, 90, 91, 98, 165. Grimaldi bernardo: 89, 90, 174. Grimaldi Carlo: 59, 65, 66. Grimaldi erminio: 39. Grimaldi Francesco: 120, 163. Grimaldi Gaspare: 75, 151. Grimaldi Giovanni Antonio: 111, 174. Grimaldi ranieri: 59, 65. Guarducci Annalisa: 32 n. Heers Jacques: 45 n., 53 n., 55 n., 114 n., 135, 136. Ibn Khaldun: 83. Igual Luís david: 82 n.
Illioni, famiglia: 47. Imperiale Giano: 78. Innocenzo Iv, papa: 47, 76, 155, 156, 157. Innocenzo vIII, papa: 47, 77, 79, 89, 105, 138, 139 n., 140, 141, 142, 151, 152, 153, 154, 157, 162, 187. Isabella d’Aragona: 52. Isabella di Castiglia: 89, 92, 117, 143, 160, 168, 175. Isidoro, cardinale: 81. Isidoro di Siviglia, santo: 40. Iskander, bey: 151. Italiano (Interiano), famiglia: 97, 152, 185. Italiano Agostino: 120. Italiano Pantaleone: 120, 174. Jácome el rico: 173. Jehel Georges: 45. Joyce James: 10. Juan Jácome: 185. Kedar bemjamin Z.: 37 n. Kellembenz Hermann: 67 n. Keller Cristoforo: 197. Landi, famiglia: 155. Las Casas bartolomé de: 64, 112, 118, 144, 166, 169, 170 n., 187, 188. Leme Antonio: 144. Leone X, papa: 152, 154, 162, 194. Lercari, famiglia: 90. Lercari ugo: 59. Le Sec Guillemette: 143. Levanto da, famiglia: 125. Levanto Francesco da: 185. Levanto Giacomo da: 59. Leverone Antonio: 126. Lomax derek William: 95 n. Lomellini (Lomelín), famiglia: 64, 72, 78, 79, 91, 94. Lomellini Angelo Giovanni: 80, 81. Lopez roberto Sabatino: 23 n., 27, 29 e n., 31 n., 32 n., 39 n., 40, 62 e n.
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indice dei nomi Lugo Alonso de: 94. Lugo Fernando de: 168. Luigi vIII, re di Francia: 64. Luigi IX il Santo, re di Francia: 34, 47, 54, 59, 64. Luigi XI, re di Francia: 64, 106, 142, 143, 144, 145, 150. Luigi XII, re di Francia: 138, 164. Luigi d’Aragona, cardinale: 153, 168. Luzzana Caraci Ilaria: 110 n. macconi massimiliano: 95 n., 114 n., 181 n. machiavelli niccolò: 30, 100. magalhaes Godinho vitorino: 68 n. magellano Ferdinando: 133. maggiolo, fratelli: 54. maglio nicola: 132. malaspina, famiglia: 155. malfante Antonio: 93. mallone, famiglia: 72. malocello, famiglia: 74. malocello Gianuino: 71. malocello Lanzarotto: 93, 147. maloixel, famiglia: 93, 147. malpica Cuello Antonio: 82 n. manfroni Camillo: 53 n. manirola (o menerola) Giovanni: 131. manirola Teodora: 131. manti Franco: 20 n. manzano y manzano Juan: 159 n. maometto II, sultano: 80, 81, 150. marcenaro Giuseppe: 67 n. marchena: 169. marchese enrico: 64. marchese Francesco: 111. margarit Santiago: 168. maria d’Aragona: 141. marignolli Giovanni: 47. marihoni Giangiacomo: 93. martignone Franco: 45 n. martínez Shaw Carlos: 114 n. martins Fernão: 144. maruffo, famiglia: 64, 79, 155.
mazzoglio Peter John: 143 n. mayo Giovanni: 174. medici, famiglia: 141, 157. medici Giovanni de’: vd. Leone X. medici maddalena de’: 152. medici Piero de’: 163. medina Sidonia, famiglia: 88, 90, 167, 168. medinaceli, famiglia: 88. medinaceli Luís de la Cerda, duca di: 100, 101, 168, 193. mendez de Segura diego: 148, 156, 182, 184. migne Jacques-Paul: 21 n. milá Giovanni di: 153. milas Andrea: 151. minot Laurence: 77. mollat du Jourdin michel: 45 n. moneglia da, famiglia: 125. moneglia Giovanni da: 71. moniz Ana: 148, 167. moniz Isabela: 73. moniz briolanja (violante), cognata di Colombo: 73, 75, 118, 120, 148, 167, 169. moniz Felipa, moglie di Colombo: 73, 95, 118, 147, 167. monleone Giovanni: 131. monleone Luchina: 131. monleone nicola: 131. montecorvino Giovanni da: 47. montefeltro Federico da: 141. montefeltro Giovanna da: 141, 163. montefeltro Guidubaldo da: 141. montemayor, marchese di: 96. montemayor Isabel enríquez de: 148, 167. moore Thomas: 50. morais do rosario Fernando: 68 n. muliart miguel: 167. muntaner ramón: 27, 91. niccolò v, papa: 47, 105. noli da, famiglia: 125. noli Agostino da: 54. noli Antonio da: 54, 94, 173. noronha Leonor de: 148.
207
indice dei nomi novi Paolo da: 111. Oderico, famiglia: 125. Oderico Ambrogio: 15. Oderico nicolò: 15, 110, 125, 173, 181, 182, 183, 184, 185, 187. Ogerio, magister axiae: 52, 83. Omero: 10, 190. Ottone di Frisinga: 25, 37. Ovando nicolás de: 181, 182, 183. Pacheco Paulo: 95 n. Pagani Gianluca: 82 n. Pallavicino, famiglia: 165. Pallavicino Antoniotto: 154. Pallavicino Orazio: 76, 79. Pallencio Fernando: 147. Pancaldo Leon: 133. Pané ramón: 169. Parcero Torre Celia: 114 n. Parentucelli Tomaso: vd. niccolò v. Parma elena: 89 n., 188 n. Pasán (Pessagno?) Juan: 185. Pastore Stocchi manlio: 37 n. Pazzi, famiglia: 138, 141. Penamacor Lope de Albuquerque, conte di: 96, 148. Peragallo Prospero: 68 n. Peraza Antón: 168. Peraza Luís de: 91. Peres Affonso: 69. Perestrello (Pallastrelli), famiglia: 73. Perestrello bartolomeo, suocero di Colombo: 16, 73, 95, 147. Perez: 169. Peruzzi, famiglia: 74, 76. Pessagno (Pessanha), famiglia: 70, 71, 72, 73, 96, 145. Pessagno Antonio: 71, 73, 74, 75, 76, 77, 94, 95. Pessagno Carlo: 63, 73-74. Pessagno Gherardo: 71. Pessagno Leonardo: 71.
Pessagno manuele: 48, 53, 58, 63, 67, 68, 69, 70, 71, 73, 74, 75, 76, 77, 95, 147, 172, 173. Pessanha José benedito: 68 n. Pian del Carmine Giovanni da: 47. Piccolomini enea Silvio: vd. Pio II. Piemonte Simone del: 174. Pierre d’Ailly: 15. Pietro III, re d’Aragona: 52. Pike ruth: 89. Pinelli (Pinelo), famiglia: 78, 79, 89, 91. Pinelli Argentina: 89. Pinelli bernardo: 174. Pinelli Francesco: 89, 90, 96, 168, 172, 193. Pinto Costa Paula: 68 n. Pinzón martin Alonso: 51, 191. Pinzón vicente: 51. Pistarino Geo: 31 n., 32 n. Plinio: 15. Pio II, papa: 15. Pio III, papa: 154, 165. Polo marco: 15, 31, 47, 48, 49, 50, 193, 196. Porco Guglielmo: 58. Porta Ardizzone della: 154. Porto da, famiglia: 125. Porto bartolomeo da: 125, 129. Porto benedetto da: 183. Porto Gerolamo da: 129, 189. Porto Giovanni da: 173. Porto Pietro belesio da: 129. Promontorio Iacopo di: 151. Quintanilla Alonso de: 101, 168. rabban Sauma: 47. racine Pierre: 73 n. radulet Carmen m.: 143 n. ragosta rosalba: 20 n. rau virginia: 70 n. recco da, famiglia: 125. recco nicoloso da: 37, 93. reis barak: 151. renato d’Angiò: 92, 106, 139, 142, 145, 152. riario Gerolamo: 141.
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indice dei nomi riario Pietro: 141, 142. riario raffaele: 154. riccardo I Cuor di Leone: 72. riccardo II, re d’Inghilterra: 78. roberto d’Angiò: 75. rondinelli, famiglia: 169. rubrouk Guglielmo di: 47. ruddock Alwyn Amy: 71 n. ruiz domènec José enrique: 20 n. Salicru i Lluch roser: 82 n. Salisbury Giovanni di: 24. Salvago, famiglia: 79, 91. Sánchez Gabriel: 168, 191. Sánchez de Carvajal Alonso: 181. Sancio Iv, re di Castiglia: 63. Sansoni raffaello: 141. Santángel Luís de: 89, 109, 172, 168, 191, 193. Santo Stefano Gerolamo da: 95, 156. Saona de Luís: 174. Sauli, famiglia: 165. Sauli Luca: 151. Savoia, famiglia: 45. Savoia matilde di: 52. Scaglia (escaja) duarte: 90. Scillacio nicolò: 168, 194. Scriba Giovanni: 84. Senarega, famiglia: 125. Senarega Ambrogio: 173. Senarega bartolomeo: 109, 110, 182. Sforza Ascanio maria: 154, 168. Sforza Caterina: 141. Sforza Francesco: 106. Sforza Galeazzo maria: 107, 108. Sforza Giangaleazzo: 150, 162. Sforza Ludovico maria: 150, 162. Sismondi Simonde de: 24. Sisto Alessandra: 62 n. Sisto Iv, papa: 47, 105, 108, 111, 131, 132, 138, 139 e n., 140, 141, 142, 150, 151, 152, 153, 154, 187. Soderini niccolò: 80, 105. Sopranis, famiglia: 90, 91.
Sopranis Antonio: 185. Sopranis Guillermo: 185. Sotomayor Cristóbal de: 148. Spinola (espíndola), famiglia: 64, 72, 73, 78, 79, 82, 90, 91, 98, 106, 165. Spinola Ambrogio: 99, 180. Spinola Antonio: 79. Spinola battista: 151, 189. Spinola benedetto: 79. Spinola Galeotto: 75. Spinola Gaspare: 90, 94, 120. Spinola Giannotto: 74. Spinola Guglielmo: 64. Spinola Guidetto: 74. Spinola meliaduce: 151. Spinola nicolino: 59. Spinola nicolò: 189. Spinola Oberto: 64-65. Spinola Tommasina: 164. Spinola Tommaso: 81. Spinola ugo: 64-65. Stringa Paolo: 32 n. Strozzi, famiglia: 169. Suriano marco: 185. Talavera Hernando de: 169. Tangheroni marco: 45 n. Tarragona Fruttuoso di: 84. Tartaro Lanfranco: 65. Taviani Paolo emilio: 110 n., 114 n. Tegghia Corbizzi Angiolino del: 37, 93. Templare di Tiro: 28. Teresa di Castiglia: 52. Toledo maria di: 119, 167. Tolomeo Claudio: 119. Tommaso d’Aquino, santo: 24, 30, 163. Torre Juana de la: 58, 115, 118, 146, 168, 181. Torre maria de la: 89. Toscanelli Paolo dal Pozzo: 144, 170, 193. Tranfaglia nicola: 31 n. Traversagni Lorenzo Guglielmo: 40, 41 e n. Trevisan Angelo: 187. Tudela beniamino di: 84.
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indice dei nomi ugo da San vittore: 21 e n., 38. ullmann Walter: 23 n. usodimare, famiglia: 77, 94. usodimare Antonio: 77. usodimare Antoniotto: 93, 152. usodimare Gherardo: 152. usodimare Giovanni battista: 79. usodimare nicolò: 77. usodimare Peretta: 152. valditaro Giuliano di: 131. valditaro Selvaggia di: 131. varagine da, famiglia: 125. varagine Jacopo da: 24, 30, 48. varazze nicola da: 65. varela Consuelo: 13 n., 82 n., 114 n. vasco da Gama: 95, 96. vaz de Texeira Tristão: 94. vento ugo: 58.
verlinden Charles: 93 n. verrazano Giovanni da: 9, 20, 68. vesconte Pietro: 54. vespucci Amerigo: 9, 20, 50, 75, 94, 160, 169, 193. vezano (vezzano) Juan de: 173. visconti valentina: 164. viseu diego, duca di: 96. vivaldi, famiglia: 64, 79, 91, 156. vivaldi ugolino: 47, 48, 52, 62. vivaldi vadino: 47, 48, 52, 62. vizinho Josè: 146. Waldseemüller martin: 195. Wipo: 37. Zaccaria benedetto: 48, 52, 58, 59, 62, 63, 65, 66, 116, 124. Zaccaria manuele: 62, 63, 65. Zaccaria Paleologo: 65.
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INDICE 9
Prefazione PARTE I · UOMINI DI FRONTIERA I. Conoscere i segreti del mondo II. una città senza mura per un mondo senza frontiere
13 23
III. Scrivere, leggere, fare di conto
36
Iv. «Allant vers l’Orient toujours…». una nuova frontiera
43
v. Superare la frontiera. una questione di metodo
51
vI. Guerrieri e mercanti
58
vII. una storia atlantica
67
vIII. « Franc com’el Genoes… ». una storia spagnola IX. Il mare, una mutevole frontiera
80 93
PARTE II · UN UOMO TRA DUE MONDI I. « … siendo yo nacido en Génoba… » II. Ritorno alle origini
105 122
III. Da Genova a Savona
131
Iv. L’età dei papi liguri, una storia del mare
137
211
indice
v. L’ombra dei Fieschi
150
vI. Dal Portogallo alla Spagna, passando per Genova vII. In Spagna, tra amiche e amici vIII. Operazione Nuovo Mondo IX. Il volto di Colombo
159 167 172 181
X. Da Genova al Nuovo Mondo e ritorno
190
Indici Indice dei nomi
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