Chi sono io, chi sei tu. Su Paul Celan 882118644X, 9788821186448


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Italian Pages 166 [157] Year 2000

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Chi sono io, chi sei tu. Su Paul Celan
 882118644X, 9788821186448

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Indice

, Introduzione di Franco Camera Avvertenza

VII

XXXIII

Chi sono io, chi sei tu? Prefazione Prefazione all'edizione riveduta

3

Tu puoi Dal non sognato rosa Nelle tacche Nei fiumi Davanti al tuo tardo viso Per le rapide della malinconia I numeri Nella roccia

10 14

Grigiobianco Con alberi cantati verso terra Tenaglia della tempia Nel chicco di grandine Stare Dà comàte il tuo sogno Con i perseguitati Filamenti di soli Nel carro serpeggiante Fenditure de11a faglia Ammasso di parole Io ti conosco Spazzata via

5

19 24

29 33 36 40

42 45

47 49 52

54 57 61 63 66 71 75 77

Postfazione Postfazione alJ'edizione riveduta

81 101

Note del curatore

119

Introduzione •

è quell'esporre che reca un annuncio, in quanto è in grado di ascoltare un messaggio » 1, « !pµ'T)VE\JEW

1. «

E difficile parlare di poesie. Difficile per chi non è poeta,

difficile per il poeta. E perché? Chi ha dimestichezza con le poesie non intende ricevere chiarimenti. Chi non ce l'ha non deve affatto essere informato. L'azione silenziosa che una poesia esercita tra gli uomini ha proprio bisogno di questi tentativi di interpretazione? Per niente. Si corre il rischio che cosl facendo questa azione venga disturbata? Sicuramente! Perché allora parlarne? » 2 • Questi interrogativi, con cui Max Kommerell inizia il suo volume dedicato alla comprensione dell'essenza del poetico, si prestano assai bene a delimitare lo sfondo problematico in cui viene a collocarsi ogni interpretazione della parola poetica e sono quanto mai adatti ad introdurci aUa lettura di questo« commento» di H.-G. Gadamer al ciclo di poesie celaniano Atemkrista/l [Cristallo di fiato]. Gli interrogativi posti da Kommerell mettono infatti l'accento su quella segreta tensione tra « poetare » e « interpretare », tra il « fare dell'artista » e il « fare dell'interprete», che è sempre stata al centro della riflessione filosofica di Gadamer e che dopo la pubblicazione di W ahrheit und Methode nel 1960 è stata oggetto di approfondimento e sviluppo in numerosi saggi e interventi. Questo « commento » rappresenta infatti una tappa di quell'itinerario di ricerca ormai quasi trentennale che è seguito all'opera principale, durante il quale gli interessi gadameriani nel campo * La presente Introdur.ione e il lavoro di tradU2ione sono il risultato di un periodo di ricerche iniziato durante: un so!l8iorno di studio presso l'Università di Freiburg i.Br. con una borsa concessa da! Deutscher Akademischer AustauschdiensJ, cui va il mio sentito ringraziamento. ' M. HEIDEGGEll, In cammino verso il linguaggio, rr. it. a cura di A. Caracdolo e M. Ca- \ racciolo Perotti, Mursia, Milano 1973, 10}. ' M. KOMMERELL, Gedanken uber Ged1ch1e, V. Klostermann, Frankfurc a.M. 1956', 7.

VIII

CHISONOIO,CHISEITU?

dell'estetica si sono rivolti costantemente alla « lettura » e all'« ascolto» dei poeti, arricchendo cosl la riflessione teorica sull'arte e sul ling.!_laggio di una vera e propria ermeneutica della del testo e guida il passaggio dal livello immediato della comprensione semantica alla esplicitazione del « senso unitario ». L'intelletto contribuisce a stabilire i collegamenti sintattici e a costruire una > (p. 114 ). Vinterprete si trova così ad essere solo di fronte alla parola scritta, senza intermediazioni, senza il filtro di un sapere particolare che non sia l'insieme delle sue esperienze. Questa lettura diretta - che ricorda il luterano sola scriptura - definisce la « situazione ermeneutica » in modo preciso e concreto anche nel caso in cui ci troviamo di fronte ad un linguaggio poetico completamente distaccato da quello naturale, in cui il testo non rinvia ad un orizzonte di significati condivisi e familiari. Anche nel caso delle poesie di Celan quindi « tutto si trova nd testo» (p. 102). Infatti la « sintassi nascosta » delle sue liriche ermetiche « non si può imparare su nessun altro testo al di fuori delle poesie stesse » (p. 85). Insieme all'accentuazione del « primato del testo>> - che, come è stato osservato, corre i] rischio di fornire una interpretazione « metabiografica >> della raccolta celaniarnr n - vanno rilevati altri tre aspetti che caratterizzano le diverse fasi dell'interpretazione gadameriana di questo ciclo di poesie. Il primo aspetto riguarda una antica regola delresegesi dei testi sacri, che Schleiermacher ha elevato a principio ermeneutico generale della lettura e dell'interpretazione e che Gadamer si propone di seguire anche nel contesto di questo « commento » (cfr. p. 82): di fronte all'intero ciclo e nell'ambito di ogni poesia occorre iniziare la lettura dal punto in cui balena un primo barlume di comprensione, per poi passare dalle « parti » al « tutto >>, dal « particolare » al « generale ». Proprio questa regola ermeneutica spiega la scelta di Atemkristall Questo ciclo, che Gadamer dichiara di aver « in una certa misura compreso» (p. 82), diventa così il testo « particolare» dal quale iniziare un lavoro ermeneutico che può introdurre l'interprete nel contesto più ampio dell'intera opera poetica celaniana. Il secondo aspetto riguarda invece il « principio con cu! lavora l'ermeneutica della parola poetica quando intende cogliere la particolare unità del tutto » 26 • Si tratta di un« principio» che non è estemo al testo, ma di una indicazione che l'interprete ha appreso dal paziente esercizio della lettura e dell'esecuzione del testo: « il principio della dissonanza armonica » 17 • Come nel caso dell'esecuzione di un brano " G. NEUlllANN, Recensione: a:-H.-G. GADAMER, Wer bi11 Jch ,md i«r bìst Du? Kammen• tar zu Celans « Atemkrirtalt ,., Suhrkamp, Ftankfutt a.M, 1973, in « Germanistik », lj •1974), 965. •• H.-G. GADAMEII, Celans Sr:hluftgedicht, cit., 68. "lvi.

INl'RODUZIONE

XIX

musicale, anche qui questo « principio » aiuta l'interprete a non rimanere frastornato datlo stridore delle dissonanze presemi nel verso e a seguire nel1'ascolto l'articolarsi e il fondersi dei suoni tra loro. Solo l'interprete che porta a compimento questo tipo di « esecuzione », prestando ascolto alla sottesa « armonia » che governa le più aspre e ostili dissonanze verbali, arriva a cogliere il « senso unitario » del messaggio poetico celaniano che spesso rasenta ]'indicibile e l'assurdo. Il terzo ed ultimo aspetto concerne l'esplicitazione del « senso unitario » dell'intero ciclo celaniano che costituisce il momento finale del processo di comprensione. È questo senza dubbio uno dei risultati più interessanti del « commento » gadameriano che può essere colto immediatamente anche da chi non è interessato a seguire dal punto di yista teorico i diversi momenti in cui si articola l'interpretazione della parola _IX)etica. La « comprensione unitaria » di questo ciclo è ottenuta da Gadamer individuando il « motivo dominante >> che collega tra loro le diverse poesie che lo compongono. Il cido è considerato come una « totalità » a] cui interno ciascuna poesia occupa un posto ben preciso e unico ed assume la propria « determinatezza » e la propria « individualità » a panire da] « tutto ». Questa struttura di opera unitaria è analoga a quella di una composizione musicale, al cui interno si possono distinguere tempi e tonalità sonore diversi. Il ciclo inizia con un gruppo di poesie introduttive nel movimento sommesso dell'« andante », cui segue lo sviluppo del tema principale nel « largo » formato dalle poesie che occupano la parte centrale del ciclo; vi è poi la ripresa nel « crescendo » finale di tutti i temi e infine l'« adagio» della conclusione col geometrico disporsi del suono e della parola nel « cristallo di fiato» nominato dall'ultima poesia. Ma se questa è la struttura formale del cido, l'impercettibile filo armonico che lo rende opera compatta, qual è secondo Gadamer il tema che lega le singole poesie formando una composizione dotata di « senso unitario »? E il tema universalissimo della poesia della poesia, del significato della creazione poetica 28 • Il ciclo celaniano è essenzialmente un « poema » che ha per tema là poesia e il suo linguaggio, è una ~riflessione » sul senso del poetare che non trova spazio in un testo metapoetico, ma che è all'opera nel poiein stesso. Il « motivo dominante » è infatti quello della ricerca della « parola- vera », una ricerca angosciante e affannosa, di cui ogni poesia, ogni verso e ogni 1 •

Per una fondazione teoretica del concetto di " poesia della poesia » rimando al saggio A. CARACCIOLO, La verità nel dominio del poetico, in «Teoria», 6 (1986), 3-31 (in partkolare p. 15). •

d1

xx

CHISONOIO,CHISEITU?

parola di questo ciclo sono frammenti pronunciati con voce ansimante e strappati al baratro dell'ammutolire. All'interno di questa struttura unitaria vi sono poi pause, intermezzi (come è il caso della penultima poesia), divagazioni, e vere e proprie « variazioni » sul tema principale del ciclo (come è il caso delle poesie che alJudono allo scorrere del tempo e della vita, all'approssimarsi della morte, all'appartenenza del poeta ad una determinata comunità storica, quella dei « persegui' tari » ). ' Ne!_l'interpretazione gadameriana il ciclo celaniano risulta cos} un~ unità tematica articolata jn una pluralità dì variazioni e motivi che, pur restando nettamente c.listinguibili, si richiamano e sono tra loro in armonia. L'ordine in cui si dispongono e di dislocano le singole poesie nel ·contesto del ciclo non è quindi arbitrario _e casuale, a!lche se non deve essere inteso come uno schema logico precostituito. La d~s~sizione delle poesie svilµppa il motivo dominante conferendo unità e coerenza all'intera composizione, e traccia un itinerario possibile che conduce alla « parola vera»: l'itinerario del poiein, « la via _ dell'arte» e dell'ispirazione per la quale la « poesia » (la Dichtung, l'atto dello scrivere ispirato) è già sempre « in cammino». La poesia percorre questa « via » fino in fondo e giunge alla meta che T'attende: giunge all'invisibile « cristallo di fiato » [Atemkristal[j nato dall'arresto impercettibile del « respiro » [Atem] di chi si trova col « fiato mozzato » di fronte al « volco della medusa », di fronte alla « maestà , dell'assurdo » 2". 6. Cerchiamo ora di delineare in modo più preciso il significato di questo itinerario poetico che conferisce forma unitaria al ciclo celaniano, ripercorrendone le tappe principali. Si è detto che il « motivo dominante » del cido, la ricerca della « parola vera », si articola nella forma di una composizione musicale le cui parti sì distinguono non solo per la presenza di tonalità sonore diverse e a volte contrastanti, ma anche per la diversità di contenuti e di accenti. La parte introduttiva colloca la ricerca della parola vera in uno spoglio paesaggio invernale in cui domina la presenza della neve in contrasto con la riccheZ7..a rigogliosa dell'estate. Il contrasto disarmonico tra estate e inverno ne evoca subito un altro, quello tra SO@O•e veglia, espresso concretamente dalla metafora dell'acido. Nella parte centrale domina un insieme di significati che abbraccia il mare, i fiumi, =-

,. Le espressioni « via dell'arte », « volto della medusa » e « maestà dell'assurdo » si trovano in P.Cu.AN, Der Meridian, cit., 194, 192 e 190.

INTRODUZIONE

XXI

la limpidità >) è custodito il « cristallo di fiato ». In sintonia con questi materiali linguistici si sviluppa nelle tre parti del ciclo la ricerca della parola vera da parte del poeta che si incammina per « la via dell'arte ». All'inizio egli è un dimesso viandante che sì lascia alle spalle l'estate e accetta la presenza della neve; poi un pellegrino avvezzo a rinunce e digiuni che, cercando di rimuovere l'ostacolo del linguaggio convenzionale, cerca disperatamente di aprirsi un varco per ritrovare almeno il riflesso della « parola vera » da cui è misteriosamente separato. Nelle poe~ie della parte centrale iJ poeta ricompare nella figura di un pescatore che tenta di ripescare la che domina questo ciclo. Questa poesia è un vero proemio che, come la prima nota di una com!X)sizione musicale, dà la giusta tonalità al tutto. Le poesie di questo ciclo sono in realtà cosl sommesse e quasi impercettibili come la Alemwende, come l'(( inversione del respiro». Esse sono la testimonianza di una situazione di estrema angoscia che opprime la vita e ripresentano di continuo la risoluzione di questo senso di oppressione o, meglio, non tanto il suo risolversi, quanto il suo elevarsi ad una forma linguistica definita. Queste poesie si ascoltano nel modo in cui si ascolta la profonda quiete invernale che avvolge tutto. Qualcosa di assai impercettibile si condensa in un cristallo, qualcosa di assai piccolo, di assai lieve e nello stesso tempo di molto preciso: la parola vera.

Von Ungetriumtem geatzt, wirft das schlaflos durchwanderte Brotland den Lebensberg auf. Aus seiner Krume knetest du neu unsre Namen, die ich, ein deinem gleichendes Aug an jedem der Finger abtaste nach einer Stelle, durch die ich mich zu dir heranwachen kann, die helle Hungerkerze im Mund.

Dal non sognato rosa, attraversata insonne la terra del pane accresce la montagna della vita. Con la briciola sua impasti tu di nuovo i nostri nomi che io, occhio che al tuo s'eguaglia in ciascun dito, vado tastando in cerca d'un punto che m'avvicini a te e a te mi desti con la chiara candela di fame nella bocca.

SU PAUL CELAN

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. Una talpa è all'opera. Questo non si può contestare, in quanto è ciò che è evocato principalmente dal dato semantico. Il verbo qufwerfen, « accrescere», è univoco. 1,1 Non può fuorviarci il fatto che il soggetto dj. questo verbo sia il Brotland, la testimonia (la « tua » testimonianza) sei « tu », quel tu familiare e sconosciuto che per l'io - che qui è sia l'io del poeta che quello del lettore - è il suo tu « tutto, tutto reale » [ganz, gan1. wirklich].

Postfazione

Se il cultore dei versi celaniani prende in esame la risonanza dell'opera di Paul Celan tra gli studiosi di letteratura e tra i critici letterari quale viene presentata dal volume curato da D. Meinecke 1461, egli prova più volte una certa delusione. Quanto in quel volume conoscitori ed esperti affermano attomo agli stessi versi, spesso con sottigliezza, talvolta con reale capacità di penetrazione, lascia presupporre, nonostante tutto, volente o nolente, che i versi celaniani si possano capire e valutare sulla base di questa comprensione solo se si riconosce l'angoscioso naufragare del poeta nelia parola diventata criptica o il suo improvviso ammutolire. Al contrario, mi sembra che finora si sia fatto troppo poco per comprendere la parola che non si è ancora completamente dissolta nel silenzio. Per il lettore di Celan uno dei lavori più urgenti rimane ancora in gran parte incompiuto. Ciò di cui il lettore ha bisogno non è un giudizio critico che riconosca che nei versi celaniani non si comprende più nulla, ma di far leva su quei punti che permettono di avanzare nella comprensione e di dire quindi come si comprenda. Nei bei tempi antichi questo procedimento si chiamava molto semplicemente « interpretazione reale» [Realinterprelation]. Non bisognerebbe accantonare tanto facilmente i diritti e le possibilità di questo tipo di interpretazione, tanto più se si ha a che fare con un poeta così legato alla tradizione com'era Celan. Non si tratta qui di ricercare il senso univoco di ciò che il poeta intendeva dire. Questo proprio no. Non si tratta neppure di stabilire il « senso univoco» di questi versi. Si tratta piuttosto del « senso » di qualcosa che ha molteplici sensi ed è indefinito; questo « senso », che la poesia ha ridestato, non è frutto di una scelta arbitraria e persona1e del lettore, ma costituisce l'oggetto dell'impegno ermeneutico che questi versi richiedono. Chi conosce la difficoltà di questo lavoro, sa che non può trattarsi di individuare tutte le connotazioni che la « comprensione » del testo poetico fa risuonare; si tratta piuttosto di rende chiaro il senso complessivo che spetta ad un testo di questo tipo in quanto unità linguistica, in modo tale che le

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CHI SONO IO, CHI SEI '111?

connotazioni non chiare in esso contenute trovino una base di senso a cui appoggiarsi. Questa operazione, in un poeta come Celan, che ha cosl fortemente accentuato il distacco dal linguaggio naturale, è sempre piena di rischi e ha bisogno di un controllo critico. Questo libro vuole essere un tentativo, che conterrà certamente molti errori, ma che, in quanto assolve ad un preciso compito, non può essere scambiato con nulla e non può essere sostituito da nulla. Il fatto che qui venga trattato proprio il ciclo Atemkristall - che in precedenza è stato pubblicato a parte e che introduce il volume Atemwende - non ha nessun'altra ragione se non quella che io credo di aver compreso in una certa misura le poesie di questo ciclo. Ed è conforme ad un antico principio ermeneutico iniziare nell'interpretazione di testi difficili da1 punto in cui si possiede una prima e più o meno sicura comprensione. Preferisco lasciare in sospeso se - come a me sembrerebbe- il ciclo Atemkristall rappresenti anche un punto elevato dell'arte poetica dì Celan, e se quindi non sia del tutto casuale credere di aver compreso proprio queste poesie, dato che esse per me risultano meno indecifrabili di alcune sue liriche posteriori. Sono convinto che il mondo di Paul Celan ha origini che sono assai lontane da quel mondo e da quelle tradizioni in cui io stesso - come il maggior numero dei suoi lettori - sono nato. lo non ho una conoscenza diretta della mistica ebraica, dei Chassidim (che però anche Celan conobbe solo attraverso Buber), e soprattutto delle usanze popolari delle comunità ebraiche dell'Europa Orientale, che per Celan erano il terreno naturale a partire dal quale egli si esprimeva. Mi manca anche quella conoscenza straordinariamente dettagliata che il poeta aveva della natura e spesso saremmo grati a chi ci fornisse delle delucidazioni in questa o in quella direzione. Ma anche queste delucidazioni avrebbero i loro inconvenienti. Si finirebbe in una zona pericolosa: potrebbe accadere infatti di impiegare conoscenze che forse il poeta stesso non possedeva. Talvolta Celan ci ha messo in guardia da un simile desiderio di conoscenze. Anche dove ci sono di aiuto conoscenze e informazioni offerte dal poeta stesso, della legittimità di tale aiuto decide alla fine so1o la poesia. L'aiuto può essere « sbagliato », e lo è quando la poesia non lo segue fino in fondo. Certamente ogni poeta richiede una certa dimestichezza e anche qui il « Jinguaggio » del poeta non è separato dal contesto della sua opera. Forse un aiuto ulteriore ci potrà venire dalle stesure preparatorie delle poesie di Celan che sono state conservate, ma anche questo non sarebbe un aiuto univoco, come ci ha insegnato l'esempio di Holderlin. Tutto sommato mi sembra giusto non considerare la poesia come un dotto crittogramma per eruditi,

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bensl come una creazione destinata agli appartenenti ad uno stesso mondo, ad un mondo formato da una stessa comunità linguistica, nel quale il poeta si sente a casa propria come il suo ascoltatore o lettore. Se il poeta è riuscito a creare poesie e là dove è riuscito a plasmare forme linguistiche che si reggono su se stesse, dovrebbe essere possibile anche all'orecchio poetico del lettore portare ad una cena chiarezza ciò che vale anche indipendentemente dal suo sapere individuale e al di là di esso, avvicinandosi cosl a quella « precisione » che costituisce il mistero apeno di questa poesia criptica. Certamente il processo di comprensione di una poesia non si svolge su un unico piano. Eppure questo processo viene a trovarsi in primo luogo su un solo piano: il piano delle parole. Comprendere Ie parole è quindi la cosa primaria. Perciò è escluso da questo processo chi non conosce la lingua in questione, e poiché le parole di una poesia formano un discorso unitario che ha respiro e voce, non si tratta affatto di comprendere solo il significato dei singoli vocaboli. Piuttosto il preciso significato di una parola si determina solo attraverso il senso unitario che forma il discorso. Il senso unitario, che il discorso poetico possiede, può essere anche assai oscuro, segnato da contrasti e da incrinature, frammentario e debole. La polivalenza dei vocaboli si determina di pari passo con l'attuarsi del senso del discorso, nell'atto che lascia cadere un significato mentre ne fa affiorare un altro. In ciò sta il senso univoco che appaniene necessariamente ad ogni discorso, anche a quello deHa poésie pure. Questo dovrebbe essere naturale e mi sembra assolutamente sbagliato non riconoscere che ogni singola parola debba essere compresa innanzi tutto nella precisa concrezione del suo significato all'interno del discorso e che questo livello primario del processo di comprensione non possa essere tralasciato. Questo vale perfettamente per le poesie di Celan, nelle quali la singola parola è detta in modo assai concreto e preciso. Non si può però definire in modo sufficientemente preciso e non si può determinare ciò che « anzitutto» il discorso dice se non si coglie con precisione ciò che le parole dicono, se non si realizza minimamente ad un primo livello - il livello della comprensione dei vocaboli, della loro funzione significante e denominate e del senso unitario che essi formano all'interno del discorso - quella vera precisione della parola detta che il discorso eleva a « poesia ». In verità non ci si può però fermare a questo primo livello. Infatti vi sono già sempre diversi livelli sovrapposti e proprio questo rende il compito del comprendere tanto difficile. Ma che cosa significa qui in generale «comprendere»? Vi sono forme molto diverse di « comprensione» che si possono mettere in

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atto mantenendo tra di loro una certa indipendenza. Tuttavia già nelle più antiche teorie ermeneutiche si è sempre sottolineato l'intreccio tra le diverse forme di interpretazione, anche se - come in particolare nel caso della metodologia dell'interpretazione di F.A. Boeckh - ci si preoccupa di mantenere chiaramente disùnte le diverse metodologie interpretative. Questo vale in particolare per l'antichissima dottrina del quadruplice senso della scrittura, che è semplicemente una illustrazione delle diverse dimensioni del comprendere. Che cos'è in Celan il sensus allegoricus? Notoriamente Celan non ha mai voluto saperne del fatto che nelle sue poesie vi fossero delle metafore e, se si considerano le metafore come parti o mezzi del discorso che vanno al di là di ciò che propriamente si dice o che entrano a far patte del linguaggi~ allora si comprende assai bene il rifiuto di Celan. Dove tutto è metafora, niente è metafora. Dove il testo semplice e preciso « intende » ciò di cui si parla non come qualcosa di precedentemente « posto >>, come un mondo già dato di senso e forma, ma in una cosa « intende» l'altra, nel «detto» il« non-detto» e nel« non » nient'altro che questo, non solo risultano distinti diversi livelli del dire, ma questi livelli sono anche mantenuti uniti proprio nella loro diversità. Qui non vi sono allegorie: tutto è immediatamente > nella poesia di Rilke. A1 contrario ogni lettore, e a maggior ragione anche ogni interprete, sarà sicuramente riconoscente se riceve delle rettifiche da patte di

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persone che sanno qualcosa di ciò che si dovrebbe e si potrebbe sapere. Allora non si tratta più di dettagli personali o occasionali, ma di veri e propri elementi che costituiscono lo stesso discorso poetico. Anche a me sono pervenute nel frattempo rettifiche di ogni sorta, alcune utili, altre più che utili, vale a dire essenziali, perché permettono di risolvere punti non sufficientemente compresi. Così fu utile per me venire a conoscenza da esperti di alpinismo del significato tecnico della locuzione Bufserschnee, « neve penitente » [531, per il quale devo ringraziare il Sig. Nypels. Cosl l'espressione menschengestaltiger Schnee, « neve dalla forma umana», che precede quella locuzione venne chiarita in modo convincente. Che anche la locuzione Wabeneis, « favo del ghiaccio», non sia una creazione poetica ma proprio un preciso termine tecnico è utile e tranquilizzante saperlo, ed è anche interessante sapere che con la locuzione Schliifenzange, « tenaglia della tempia », bisogna pensare alla Geburtsz.ange, al « forcipe» dei medici. Tutti questi esempi sono dati semantici primari _d~ testo che è bene conoscere con esattezza. Essi però non ci danno ancora una interpretazione completa: offrono solo alcuni elementi di tipo semantico-grammaticale che ci permettono di arrivare ad una interpretazione esauriente. Resta comunque da vedere caso per caso se questi elementi incidano sull'interpretazione, vale a dire sull'autentico messaggio della poesia. Vediamo i singo]i esempi. Mi chiedo se nel caso della poesia conclusiva del ciclo (pag. 77) non sia in realtà più sostenibile quello che io intravedevo nell'immagine di un pellegrino penitente che percorre i1 sentiero libero e sgombro. Certo il paesaggio - come nel frattempo sono venuto a sapere da esperti di alpinismo - non è qui so]o frutto di una fantasia poetica, ma è anche tratteggiato in modo molto preciso, dato che si parla di Bufterschnee, di « neve penitente ». Tuttavia è lecito chiedersi perché il poeta sce1ga qui questo particolare termine tecnico. Chi conosce questo termine comprenderà in modo più preciso perché prima si dice menschengestaitiger Schnee, « neve dalla forma umana». Ma è tutto qui? Non si potrà certo negare che ]a spiegazione della 1ocuzione « neve penitente » con l'espressione « neve dalla forma umana », o la spiegazione di questa con quella, significhi ancora qualcosa di più. Dal collegamento delle due espressioni diventa visibile l'insieme: diventa chiaro che la via verso lo Atemkristall porta ad attraversare la sorda indifferenza degli uomini rappresentata dalla « neve dalla forma umana». Forse ci si può anche chiedere se per chi parla questa via sia anche un itinerario di mortificazione, una via che passa per la contrizione alla quale egli si sottopone. Penitenza significa rinuncia cosciente e mi sembra evidente a che cosa si debba rinunciare. Si

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tratta del peccato della vanità in cui cade la « esperienza ammucchia[Anerlehte.r], per cui essa crede di essere la« vera» testimonianza. Solamente chi è capace di rinunciare alle banali suggestioni che gli provengono dalla chiacchiera e solo chi è in grado di spingersi più avanti di tutti gli altri che sono contriti come lo è egli stesso raggiungerà alla fine le « tavole ospitali ». Si devono comprendere questi versi in questo modo? Ma perché mai quj si trova la locuzione Bufterschnee? Non è il caso di ricorrere ad un esame comparato dei diversi passi. Anch'io so che Schnee, «neve», è una parola simbolica che vuole dire molte cose, che sarebbe in grado di formare un intero Schneepart 1s.11, una intera « zona di neve », e che fa da sfondo anche al ciclo Atemkristall, dove la prima poesia parla di «neve» come l'ultima. Non ho nulla contro l'esame comparato dei diversi passi. Ma credo che ogni poesia sia un« luogo» a sé, un mondo a sé che è irripetibile e unico come il mondo stesso. Anche questa « neve penitente» è ciò che è unicamente in questa poesia. In questo mi trovo per giunta d'accordo con quanto dice lo stesso Celan nel discorso dal titolo Der Meridian. Accetto quindi volentieri l'informazione che mi è stata data e tuttavia non mi sembra che in questo caso quanto ho utilmente appreso influisca su quel che la poesia effettivamente dice. In modo analogo stanno le cose con la locuzione Schliifenzange, « tenaglia della tempia » (pag. 47). Nel suo interessante saggio dal titolo Mystische E/emente bei Ce/an und Heidegg,er (pubblicato in « Zeitwende », Bd. 53, 1982, 65-92), Poggeler ha avanzato la tesi secondo cui il verso Du und der Resi deines Schlafs, « tu e il resto del tuo sonno », intenderebbe la Shekinah e la sua « nascita». Di questo la poesia non fa affatto parola. Tuttavia il collegamento col « forcipe » è del tutto esatto. Esso riguarda però solo il livello semantico più esb'inseco. Avrei dovuto pensarci anch'io; ma avrei da apportare qualche correzione alla mia interpretazione solo se questo collegamento desse luogo realmente a qualcosa di più che ad una semplice conferma di quanto avevo da parte mia già visto nella poesia. In che senso? Di quale « nascita » [ Gehurt] si parla qui? Forse che il « forcipe », che si usa durante il parto, viene « adocchiato » [beaugt] dallo « zigomo » Uochbein] del neonato? Proprio cosl sta scritto nel testo. Questa integrazione ci costringe a trasporre subito la locuzione Sch/iifenzange proprio come feci io, e a vedere sotto questa immagine le tempie che diventano grigie. È il testo che rende necessario intendere qui l'atto di guardarsi allo specchio e lo sgomento di fronte ai primi segni della vecchiaia. In questo modo il verso finale haht ihr Gehurtstag, « cade il ta»

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10,'5

vostro compleanno», assume il suo vero senso, il suo senso amaro. In verità non vi è alcun senso di gioia in questo giorno: è l'anniversario della vecchiaia e della morte, del « resto del tuo sonno ». Come vedo chiaramente ora, il « forcipe », evocato dalla « tenaglia della tempia », prelude proprio a questo finale. Il terzo esempio (pag. 66), toccato di sfuggita dal saggio di Poggeler e che inizia con la locuzione Hamischstriemen, è completamente diverso. In questo caso le rettifiche che mi sono state fatte toccano un punto essenziale. Quando ne venni a conoscenza molti anni addietro le trovai subito convincenti. Qui vorrei riconoscere che la mia interpretazione ha ricevuto un apporto essenziale. Per questo ho cercato di fornire una interpretazione migliore di quella tentata precedentemente e l'ho inserita nel testo di questa seconda edizione. In effetti è pur sempre vero che la poesia si muove tra l'immagine della crosta terrestre e quella della crosta del linguaggio. Ma nel frattempo mi è risultato chiaro che avrei dovuto intendere in senso letterale il verso dein Gelande, « il tuo terreno», nella prima strofa. In questo caso le mie conoscenze erano insufficienti e avrei avuto bisogno dell'aiuto del vocabolario, sempre che in esso si trovi il suggerimento giusto, oppure avrei dovuto procurarmi la spiegazione esatta da altre fonti (come ad esempio feci per la locuzione Hungerkerze, « candela di fame» [pag. 16 s.], la cui spiegazione mi fu data da amici).

2. Le

«

varianti'>

Pieno di speranze ho atteso di venire a conoscenza delle variant~ del ciclo di poesie da me interpretato. Gli abbozzi della poesia « Bfume » - che Rolf Bi.icher ha reso noti in occasione del convegno parigino su Celan del 1979 - mi fecero supporre, come già era avvenuto per gli abbozzi delle poesie di Holderlin, di poter trovare anche tra le carte lasciate da Celan e poi riordinate qualcosa di simile ad un autentico commento. In verità gli abbozzi che precedono una redazione definitiva non sono punti d'appoggio del tutto sicuri per l'interpretazione, poiché il poeta ha certamente la libertà di allontanarsi in seguito dalle sue originarie stesure. Ciononostante nel caso della poesia « Blume » i risultati furono buoni. Ora, grazie all'aiuto di Beda Alleman, sono entrato in possesso delle « varianti » relative al nostro ciclo di poesie. Purtroppo quel che se ne ricava è molto poco. Evidentemente il poeta ha portato a termine qùèsta parte della sua opera poetica ricorrendo ad un numero relativa-

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1

CHl SONO IO, CHI SEl TU?

mente limitato dì abbozzi e varianti. Può essere che la mia preferenza per queste ventuno poesie dipenda dal fatto che in questo caso egli segul in modo particolare l'ispirazione poetica. Nella maggior parte dei casi comunque le varianti non sono affatto vere e proprie stesure preparatorie delle poesie, bcnsl tracce di lavoro. Vorrei rendere note e discutere qui di seguito quelle poche varianti che possono avere un certo interesse per l'interpretazione delle poesie. Pag. 10

La prima stesura di questa poesia era completamente diversa nella parte finale. Dopo i due punti, al posto di sooft ich ... , « ogni volta che », seguivano i versi: Ich komme mit sieben Blattern vom Siebenstamm lo vengo con sette foglie del tronco a sette [rami] Non so cosa voglia dire la locuzione Siebenstamm 11,1. Sì ricollega forse al culto del candelabro dai sette bracci? L'unica cosa che la variante ci dice è che qui una espressione assai esoterica è stata sostituita nella versione finale da un contesto completamente accessibile e noto a tutti: la crescita rigogliosa del gelso. L'unica cosa che della prima stesura possiamo cogliere in quella definitiva è chiaramente il fago che attraverso la ripetizione sieben Btattern vom Siebenstamm si a.lfude a qualcosa di copioso. Sembra quasi un raccolto o un trofeo. La stesura finale è di una forza assai più incisiva e più concreta ed esprime la splendida sovvrabbondanza delia stagione in cui tutto germoglia, sboccia e fiorisce e che è difficile da sopportare. Pag. 14 La stesura preparatoria aiuta indirettamente a chiarire meglio solamente un verso della versione definitiva. Si tratta del verso 6: die ich ein deinem gleichendes Aug an jedem der Finger che io, occhio che al tuo s'eguaglia in ciascun dico

SU PAUL CELAN

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Questo verso nelle prima stesura suona: die ich {schlaf/os wie du] dein offenes Aug an jedem der Finger, « che io [come te insonne] il tuo occhio aperto in ciascun dito ... ». Le parentesi quadre significano che Celan ha cancellato subito le parole incluse in esse, che sono di un certo interesse in quanto stabiliscono una relazione con l'avverbio schlaflos, «insonne», del verso 2. Il verso 6 parla chiaramente di quelle augengleichen hellen [... ] Fingerspitzen, di quelle « chiare punte delle dita [ ... ] ali'occhio uguali », che mentre sono aperte rimangono nello stesso tempo cieche. Ein deinem gleichendes Aug, « un occhio che al tuo s'eguaglia» è dunque un occhio apeno che non vede nuUa, e questo è in effetti importante se lo si collega con il precedente avverbio schlafoJs, « insonne». Pag. 19 La variante Himmelssiiure, « acido del cielo», al posto di Himmelsmun7.e, « moneta del cielo », è stata chiaramente riconosciuta dallo stesso Celan come un errore di stampa (vedi la lettera al Dr. Unseld del gennaio 1968). Non vi è dubbio che Himmelsmunze fosse la vetsione originale ed essa venne ripristinata nuovamente dal poeta nel 1967. In realtà col termine Rìllen, «tacche», si accorda solo Himmelsmunze, mentre non va affatto bene Hìmmelssiiure. Tuttavia sembra che al poeta stesso sia piaciuta per un certo periodo quest'ultima locuzione. La prima versione dà molto da pensare e suona:

In die Himrnelssmi.inze im Tiirspalt pragst du das Won, das ich verriet, als ich mit becenden Fiiusten das Dach iiber uns Nella moneta del cielo nello spiraglio della pona tu conii la parola che io tradii quando, con mani in preghiera, smantellai il tetto sopra di noi, Qui balza agli occhi l'unità semantica di Miinze e Priigung, di « moneta » e « coniazione ». Questa era senza dubbio una unità originaria immediata.

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CHISONOIO,CHISEITU?

Il successivo cambiamento, che è rimasto anche nella stesura definitiva, suona: In clie Rillen der Himmelsmiinze im Tiirspalt presst du das Wort, dem ich entrollte ... Nelle tacche della moneta del cielo nello spiraglio della porta tu spingi la parola, da cui io rotolai via ... Qui l'aggiunta In die Ril/en, « Nelle tacche », si accorda proprio in modo chiaro con la locuzione Himmelsmunz.e,