C’era una volta in Italia. La settima arte in 100 capolavori del cinema italiano 8831222821, 9788831222822

Scrivere di cinema in tempi di lockdown, con le sale tutte tristemente vuote, può sembrare un azzardo, oltre che un eser

236 54 18MB

Italian Pages 238 Year 2021

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

C’era una volta in Italia. La settima arte in 100 capolavori del cinema italiano
 8831222821, 9788831222822

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

C'era una V4~lta in Italia

Antonio Ludovico

C'ERPl UNA VOLTA IN ITALIA LA SETTIMA AFlTE IN 100 CAPOLAVORI DEL CINEMA ITALIANO

v1

EDIZIONI

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell'Editore. ISBN 978-88-31222-82-2 Copyright © 2021 PM edizioni di Marco Petrini via Garibaldi, 3 17019 Varazze (SV) www.pmedizioni.it Prima edizione: luglio 2021

Indice

Prefazione. . . . . . . . . . . . . . Premessa . . . . . . . . . . . . . . . I vitelloni (1953) di Federico Fellini . .. La strada ( 19 54) di Federico ]Fellini . . Ladro lui, ladra lei (1958) di Luigi Zampa I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli . Il vedovo (1959) di Dino Risi . . . . . . . La grande guerra (1959) di Mario Monicelli. . Rocco e i suoi fratelli (1960) dii Luchino Visconti . La ciociara (1960) di Vittorio De Sica .. La dolce vita ( 1960) di Federico Fellini . . Il be/l'Antonio ( 1960) di Mauro Bolognini Il vigile (1960) di Luigi Zampa . . . . . . L'avventura (1960) di Michelangelo Antonioni .. Tutti a casa (1960) di Luigi C:omencini . . . . . La ragazza con la valigia ( 1961) di Valerio Zurlini Una vita difficile (1961) di Diino Risi . . . . . Il carabiniere a cavallo (1961) di Carlo Lizzani Il federale ( 1961) di Luciano Salce . . . . . . Divorzio all'italiana (1961) di Pietro Germi . . . Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini . . . . La notte (1961) di Michelangelo Antonioni .. . Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini .. . La ricotta ( 1962) di Pier Paolo Pasolini . . . .

5

. . . . . .

. . . .

10 13 16 18 21 23 25

. . 27 . . 29 . . 32

.. 34 .. 36 . . 38

. . 40 . . 42 .. 44

. . 46

.. 48 .. . . .. . . . . . .

50 52 54 56 59 61

Mafioso (1962) di Alberto Lattuada. . . . Gli anni ruggenti (1962) di Luigi Zampa . Il sorpasso (1962) di Dino Risi . . . . . . L'eclissi (1962) di Michelangelo Antoniani Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanny Loy Alta infedeltà (1963) di Franco Rossi, Elio Petri,

. . . . . . .. ..

63 65 67 69 72

Luciano Salce e Mario Monicelli . . . . . . . . . . . 7 4 Venga a prendere il caffè da no.i ( 1963) di Alberto Lattuada . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 Ieri,oggi e domani (1963) di \littorio De Sica . . . 78 Il boom (l 963) di Vittorio De Sica . . . . . . . . 81 Otto e mezzo (1963) di Federico Fellini . . . . . . 83 Le mani sulla città (1963) di Francesco Rosi . . . 85 Il processo di Verona (1963) di Carlo Lizzani. . . . 87 Matrimonio all'italiana ( 1964) di Vittorio De Sica . . 89 Per un pugno di dollari ( 1964) di Sergio Leone . . . . 91 Sedotta e abbandonata (1964) di Pietro Germi . . . . 94 Il Vangelo secondo Matteo (l 964) di Pier Paolo Pasolini 96 Il magnifico cornuto ( 1964) di Antonio Pietrangeli . . 99 Signore e signori ( 196 5) di Pietro Germi. . . . . . . 1O1 Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli. . 103 Per qualche dollaro in più ( 1965) di Sergio Leone . . 105 I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio. . . 108 I complessi (l 965) di Dino Risi, Franco Rossi e 11 O Luigi Filippo D'Amico . . . . . . . . . . . . . Fumo di Londra (1966) di Alberto Sordi . . . . 112 Uccellacci e uccellini ( 1966) dii Pier Paolo Pasolini. . 114 Il buono, il brutto, il cattivo ( 1966) di Sergio Leone 116 L'armata Brancaleone ( 1966) di Mario Monicelli . . 119

6

A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri . . . . . . Una giornata particolare ( 1977) di Ettore Scola . Il padre di famiglia (1967) di Nanny Loy. . . . . . Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa. . Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso? ( 1968) di Ettore Scola. . La ragazza con la pistola ( 196S) di Mario Monicelli Straziami, ma di baci saziami (1968) di Dino Risi . Il giorno della civetta (1968) dli Damiano Damiani . Banditi a Milano ( 1968) di Carlo Lizzani . . . . . Serafino ( 1968) di Pietro Genni. . . . . . . . . . . C'era una volta il \Vt,st (1968) di Sergio Leone. . . . Il commissario Pepe (1965) di Ettore Scola. . . . . . Amore mio aiutami (1969) di Alberto Sordi. . . . . Dramma della gelosia (1970) di Ettore Scola . . . . Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ( 1970) di Elio Petri . . . . . . . . . L'uccello dalle piume di cristallo ( 1970) di Dario Argento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il presidente del Borgo rosso Football Club ( 1970) di Luigi Filippo D'amico . . . . . . . . . . . . In nome del popolo italiano ( 1971) di Dino Risi . Giù la testa ( 1971) di Sergio Leone . . . . . . . Er più: storia d'amore e di coltello ( 1971) di Sergio Corbucci . . . . . . . . . . . . . . . . . Il gatto a nove code ( 1971) di ]Dario Argento . . . . Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanny Loy. Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata ( 1971) di Luigi Zampa . . . . .

7

121 123 125 127 129 131 133 135 137 139 141 143 145 147 149 152 154 156 158 160 162 164 166

Sacco e Vanzetti (1971) di Giuliano Montaldo . . . La classe operaia va in paradiso ( 1971) di Elio Petri . Milano calibro nove (1972) di Fernando Di Leo . . . Alfredo Alfredo ( 1972) di Pietro Germi . . . . . . . Mimì Metallurgico ferito nell'onore ( 1972) di Lina

168 171 173 176

Wertmuller . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lo scopone scientifico (1972) di Luigi Comencini .. Sbatti il mostro in prima pagina ( 1972) di Marco Bellocchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vogliamo i colonnelli (1973) di Mario Monicelli Malizia (1973) di Salvatore Samperi . . . . . . Il delitto Matteotti ( 1973) di Florestano Vancini. Amarcord ( 1973) di Federico Fellini . . . . . . . . Pane e cioccolata (1973) di Franco Brusati . . . . . . C'eravamo tanto amati ( 1974) di Ettore Scola. . . .

178 180

Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto ( 1974) di Lina Wertn1uller . . . . . . . . . Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani . . . . Romanzo popolare (1974) di Jv1ario Monicelli . . . . Pasqualino Settebellezze (1975) di Lina Wertmiiller . Amici miei ( 1975) di Mario 1v1onicelli . . . . . Fantozzi (l 975) di Luciano Salce . . . . . . . . Profondo rosso (l 975) di Dario Argento . . . .. Febbre da cavallo ( 197 6) di Steno . . . . . . . . Il secondo tragico Fantozzi (1976) di Luciano Salce . Brutti, sporchi e cattivi ( 1976) di Ettore Scola . . . . San Babila ore 20: un delitto inutile (1976) di Carlo . . L1zzan1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonio Gramsci: i giorni del carcere ( 1977) di Lino

8

182 184 186 189 191 193 195 197 199 201 203 206 208 210 212 215 217 219

Del Fra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un borghese piccolo piccolo ( 1977) di Mario Monicelli . . . . . . . . . . . . . . . L'ingorgo (1978) di Mario Monicelli . . . Café express (1980) di Nanny Loy .. Fontamara (1980) di Carlo Lizzani .. Elenco dei film per regista . . . . . .

9

221

. . . 223

. . . 225 . . . 227 . . . 229 . . . 231

Prefazione

C'era una volta un tempo in cui andare a Cinema non era considerata un' ahi tudine occasionale, ma rappresentava piuttosto un rito sociale conclamato, da ripetere fino a quindici o venti volte all'anno. Un tempo in cui le televisioni non avevano ancora preso possesso della stragrande maggioranza dei salotti del Bel paese, e il grande schermo finiva quindi per essere la più interessante e variegata forma di intrattenimento possibile. Ma soprattutto un tempo in cui l'Italia raggiungeva il suo primato dei biglietti staccati al botteghino, con una mole di oltre 800 milioni in un anno, una cifra da capogiro se paragonata ai giorni nostri, in cui si fatica ad arrivare a 100 milioni di biglietti staccati in 365 giorni. Quel tempo è stato il secondo dopoguerra, il periodo che segnò l'inizio dell'Epoca d'Oro del Cinema italiano, e da cui Antonio Ludovico fa iniziare il suo C'era una volta in Ita'./ia, un volume che accompagna il lettore attraverso 100 fra i più rappresentativi, iconici e imperdibili film che siano mai stati prodotti nel nostro Paese a cavallo tra la metà degli anni Cinquanta ed il 1980. Un nurnero, il 100, grazie al quale in questi ultimi due anrni segnati da una pandemia

IO

mondiale, si sono fortunatamente rimessi al centro del dibattito culturale quattro fra i tanti protagonisti di questo volume, Federico Fellini, Alberto Sordi, Giulietta Masina e Nino Manfredi, nel centenario dalla loro nascita. Le loro vicende umane e professionali, così come quelle di innurr1erevoli altri colleghi, sono tratteggiate all'interno delle 100 schede dei film che vanno a comporre un mosaico variegato e ben equilibrato. Senza fare distinzioni di genere, Antonio ha il pregio di porre sullo stesso altare il cinema "alto" così come il cosiddetto "popolaire". E ce n'è infatti per tutti i palati, da quelli più raffinati da cinema d'autore, con l'Antonioni de "Lavventura'' o il Visconti di "Rocco e i suoi fratelli", passando per il cinema di genere, dal western di Sergio Leone al noir di Fernando Di Leo, fino all'imprescindibile co1nmedia all'italiana di Monicelli, Scola e Risi e tanto, tanto altro ancora. Ogni scheda riporta certosini approfondimenti sul cast e sul contesto storico, immergendo il lettore in una lettura critica e analitica, in cui non mancano mai gli spunti e gli stimoli per portarlo a vedere o rivedere questa o quell'opera. Ne viene fuori così un vero e proprio viaggio lungo la storia del nostro Paese, affrontato attraverso la "lente di ingrandimento" della settima arte, che come nessuna delle altire arti ha saputo mostrarne i lati più buffi, così come quelli più pericolosi o drammatici. Un approccio quello di Antonio, che pagina

II

dopo pagina procede con l'incedere di un cinefilo che guarda al cinema italiano con la meraviglia della (ri) scoperta del tesoro più prezioso e che, raggiunta la fine di ogni capitolo, è capace di trasmetterti quell'irresistibile voglia di vedere immediatamente uno di quei capolavori. Potere del grande Cinema e di chi dimostra di saperlo amare per davvero. ANTONIO CAPELLUPO

Giornalista cinematografico e operatore culturale

12

Premessa

Penso che sia operazione alquanto difficile far comprendere alle nuove generazioni quanto grande sia stato il cinema italiano a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quanta influenza ebbe sull'intera cinematografia mondiale, quanti 1nodelli riuscì ad esportare, dal neorealismo alla commtedia. E poi, le valanghe di premi che conquistò, le statuette, i riconoscimenti, gli applausi a scena aperta. Si può ben dire, infatti, che gli anni d'oro del cinema italiano siano paragonabili ad un rinascimento, sia pure di celluloide, un momento ricco e fertile dove ogni cosa che veniva toccata si tramutava in oro colato. Registi come Rossellini, De Sica, Visconti, Fellini, Antoniani, e poi ancora, maestri assoluti come Monicelli, Germti, Petri, Lattuada, Pasolini, Loy, Salce, Scola, Bellocchio, Rosi, Damiani, Comencini, Leone siano stati artisti, geniali e innovativi, che tutto il mondo copiava e ci invidiava. Perché crearono un linguaggio nuovo, perché sapevano osare, perché sfaldavano antichi tabù, perché non avevano timore della sperimentazione. Accanto a loro, non bisogna dimenticare una folta schiera di sceneggiatori e produttori da fare venire la pelle dl' oca, per un risultato finale

13

che sorprese tutti, non solo per l'altissima qualità, ma anche per la considerevole quantità dell'offerta. In pratica, è come se un bagliore di luce si fosse concentrato solo sul nostro piccolo paese, uscito piegato e sofferente dalla grande guerra, ma anche voglioso di rialzarsi in piedi e ricominciare una nuova vita. E poi, particolare di non poco conto, ogni genere venne sviscerato con acutezza e profondità al punto da costituire una novità assoluta nel mondo dell'in1magine. Infatti, trovarono terreno fertile sia il dramma che la tragedia, così come esempi illuminanti furono offerti dalla storia in tutte le sue sfaccettature. Senza dimenticare la denuncia, nel senso più letterale del termine, come genere innovativo. E poi, il mondo degli ultirnLi, dei diseredati, dei poveri, venne esaminato e studiato con la lente di un entomologo da cineasti che avevano il pregio di essere anche sociologi di tutto rispetto, senza lasciarsi intimidire di mostrare il lato peggiore di una popolazione che stava ai margini. Lambiente borghese subì, di contro, la stessa penetrante azione analitica che svelo' impietosamente pregi (pochi) e difetti (tantissimi) in uno scenario di mutazione sociale che lasciava interdetti. Ma l'occhio vigile, acuto, trasparente di questi geni della macchina da presa non faceva sconti a nessuno, né si lasciò distogliere da una certa critica o, peggio ancora, dalla scure impietosa della censura, autentica mannaia che, con il concorso del Vaticano, colpì decine e decine di opere

14

d'arte in nome di un "con1une senso del pudore" che andava difeso ad ogni costo. Nonostante ciò, le storie scorrevano fluide, le sale erano piene, i ricchi produttori investivano, i grandi attori nascevano come funghi. Prova ne sia che, dopo la "n[leravigliosa dittaturà' di un gigante come Toto' e di tutte le sue infinite maschere, nacque in Italia una scuola di attori che si presero prepotentemente "la scenà', lasciando ai loro pur bravi colleghi le briciole. Sordi, ]Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Manfredi in campo maschile; Magnani, Loren, Lollobrigida, Cardinale, Vitti e Sandrelli in quello femminile si distribuirono la ricca torta costituita da incassi milionari e fecero incetta dli premi ad ogni latitudine, dagli Oscar a Cannes, dai David a Locarno, da Berlino a Roma. Tutto il mondo s'inchino' di fronte a quella che, a giusta ragione, venne definita la settima arte e l'Italia ne era protagonista assoluta. In questo libro ho voluto raccogliere cento film che, a parer mio, costituiscono quelli più rappresentativi o imprescindibili, lasciandone fuori altri cento e altri cento, ma non potevo mettere l'intero universo cinematografico italiano che una tavola abbondante aveva generosamente apparecchiato. Ho approfittato di una sosta forzata dovuta all'emergenza sanitaria e mi sono fatto Felicemente contagiare dalle meraviglie del cinema italiano degli anni sessanta e settanta, sia pure con qualche sacrosanta eccezione. Buona visione, pardon, buona lettura a tutti.

15

I vitelloni ( 19 53) di I~ederico Fellini

Storia autobiografica scritta da Flaiano e Pinelli, sceneggiata dallo stesso FelJlini ed ambientata nella sua città, a Rimini. I vitelloni nel gergo pescarese (città natale di Flaiano) sono dei figli di mamma nullafacenti, che oziano dalla mattina alla sera tra il biliardo e il bar, che non hanno voglia di lavorare. E questo film epocale li descrive perfettaJmente. Protagonisti quindi cinque amici sui trent'anni circa, ognuno con delle proprie peculiarità, ma tutti dediti alla bella vita e al vagabondaggio. Primo fra tutti Fausto (Franco Fabrizi), probabilmente il capo della combriccola, fidanzato prima e sposo dopo di Sandra (Eleonora Ruffo), sorella di Moraldo (Franco Interlenghi), poi ancora Alberto (Alberto Sordi), l'iintellettuale Leopoldo (Leopoldo Trieste) e Riccardo (Riccardo Fellini, fratello minore del regista). Tutti e cinque sembrano vivere all'insegna del divertimento e della spensieratezza, ma arriveranno momenti in cui la vita presenterà il conto e saranno dolori. Mem.orabili alcune scene come la festa di carnevale, i continui tradimenti di Fausto, lo sfottò di Alberto ai poveri lavoratori, la scomparsa di Sandra, il furto della sta.tua. Così come indimenti-

16

cabile sarà la partenza finale di Moraldo, forse il più assennato del gruppo, che prende un treno per una meta imprecisata, lasciando credere ad una scena fortemente auto biografica dello stesso Fellini. Non c'è dubbio alcuno che il grande regista riminese abbia voluto tratteggiare, attraverso la storia di cinque vagabondi, un'Italia che ritrovava la voglia di vivere ed il benessere, ma un paese ch,e ancora faceva i conti con antichi preconcetti, vecchie incrostazioni (vedi la scena in cui il padre frusta selvaggiamente Fausto come se fosse un bambino) che facevano fatica ad essere eliminate. Fellini non rinunciò a scritturare Alberto Sordi, nonostante il grande attore non godesse a quei tempi di grandissima simpatia, tant'è che si premurò di non farlo inserire nei manifesti. Da segnalare che Franco Fabrizi fu doppiato da Nino Manfredi e che nel cast si può notare la presenza della grande Paola Borboni (la madre di Sandra) e di un giovanissimo Enzo Andronico, che rivedremo in tantissimi film di cassetta di Franco e Ciccio. Voto: 9

17

La strada ( 1954) di Federico Fellini

Uno dei più grandi e commoventi film di tutti i tempi, una magia che corr.Lincia dal primo fotogramma e finisce con l'ultima drammatica scena, la poesia che si trasforma in arte visilva, in una parola un capolavoro universale. Quando Tullio Pinelli, coadiuvato da Ennio Flaiano, propose a Fellini questa sceneggiatura, era alle prese con I Vztelloni, e non diede molta importanza alla cosa, nonostante il suo amore innato per il mondo circense. C'è da dire che l'idea del film venne proprio a Pinelli quando vide per strada due girovaghi che tiravano a campare girando per le feste di paese, esattamente corr.Le Zampanò e Gelsomina. La storia sta tutta nel rapporto tra queste sue figure assolutamente antitetiche ed è densa di simbolismi, di brutalità, di infinita tenerezza. Zampanò è un "artistà' di strada che gira con un carretto facendo sempre lo stesso spettacolo, un numero di forza bruta; Gelsomina si unisce all'uomo forzuto e burbero perché venduta dalla madre per 10.000 lire, dopo che sua sorella è morta facendo lo stesso lavoro. Tra Zampanò e Gelsomina, quindi, s'instaura un rapporto di completa sottomissione della donna all'uomo, il quale però le

18

insegna a suonare il tamburello e la tromba. I due girano i vari paesi, le feste di piazza, s'introducono nelle bettole più degradate e così tirano a campare, fino a quando non incontrano un circo vero, con tanti artisti ai quali si uniranno. Tra questi ce n'è uno che suscita grande simpatia in Gelsomina e autentico odio in Zampanò: è il Matto, un equilibrista sempre allegro, un vero burlone che non rrtanca però anche di un certo spirito filosofico(meravigliosa la scena dell'utilità del sasso). Tra il Matto e :zampanò, però, non corre buon sangue, forse per dei trascorsi non ben precisati e finiranno per fare a botte, dove il povero Matto rimarrà ucciso accidentalmente. Questo episodio minerà ancor di più il carattere timido di Gelsomina che si lamenterà più spesso, entrerà in una crisi profonda e finirà per essere ab bando nata al suo destino. Il finale è degno di un grande romanzo ottocentesco, un lirismo che scuote gli animi anche degli spettatori più freddi e che pone Fellini come un autentico genio della macchina da presa. ][ncredibilmente azzeccati i personaggi di questo capolavoro: Giulietta Masina, in versione Charlie Chaplin è perfetta nel ruolo di spalla del burbero Zampanò, ch e viene interpretato da un Anthony Quinn magistrale, doppiato però da Arnoldo Foà. Per il Matto, Fellini scelse Richard Basehart, anche se qualcuno gli aveva consigliato Walter Chiari o Alberto Sordi. Girato lungo la costa laziale tra Cer1

19

via e Pomezia, in un'Italia rurale e sfiancata dalla grande guerra. Premio Oscar come miglior film straniero, in aggiunta a tutta una serie di riconoscimenti sparsi in tutto il mondo(meno in Italia, a voler essere sinceri) per un film che costituisce una pietra miliare del cinema mondiale e conferma il regista riminese come un cineasta di livello superiore. Voto: 1O con lode

20

Ladro lui, ladra lei (1958) di Luigi Zampa

È la storia, famosissima e vista oltre ogni immaginazione, di Cencio (Alberto Sordi) e Cesira (Silva Koscina), dei loro furti, degli espedienti più fantasiosi, delle truffe ai commercianti di tessuti, ma è anche una commedia dai toni dolci, che non smette mai di divertire. La storia è a tutti nota: Cencio è un avanzo di galera che vive nelle borgate romane ed è innamorato della sua vicina di casa, Cesira, la quale vorrebbe fare una vita diversa, affrancandosi dal quartiere dove è nata. Le varie situazioni, tutte ben congegnate dalla sagace sceneggiatura di Pasquale Festa Campanile, metteraru10 le cose al loro posto, ma Sordi è grandissimo nella parte del truffatore in vena di travestimenti (fantastico quello del prelato), così come l'avvenente Silva Koscina risulta perfetta come ragazza che sta al gioco, ma è combattuta e vorrebbe cambiare aria. Ma il piatto è ricco, perché ci sono anche Mario Riva, Carlo Delle Piane, Alberto Bonucci, Ettore Magni, Marisa Merlini, Anita Durante (la madre di Cencio), Nando Bruno (il brigadiere Clemente), Vinicio Sofia (chi non ricorda" Il turco napoletano"?) e l' allampanato Luigi Leoni (Morbillo). Esterni girati tutti tra la Casilina, la Nomentana, Corso Trieste ed altri quartieri

21

di una Roma diversa da coime la conosciamo oggi. Risultato piacevolissimo, com1nedia divertente e dai buoni sentimenti. Voto: 8,5

22

I soliti ignoti (1958) cìi Mario Monicelli

Può essere considerato, senza se e senza ma, il manifesto della commedia italiana, il punto iniziale e più alto di un nuovo modo di fare cinema, un linguaggio divertente e drammatico rnello stesso tempo, una comicità intrisa di neorealisrno. Monicelli sale in cielo dando dimostrazione di essere un genio assoluto della macchina da presa, riuscendo a trarre il meglio da un cast di primissimo livello e confezionare una storia che funziona ancora oggi a distanza di più di mezzo secolo, nonché abile a scoprire nuovi talenti. Inizialmente, il film avrebbe dovuto intitolarsi "Le madame", ma giustamente Monicelli fu messo al corrente delle possibili ripercussioni di una censura sempre molto attenta con i cosiddetti doppi sensi(la tnadama era in gergo la Polizia) e si virò per un titolo comunque accattivante. Inutile ripercorrere la storia, conosciuta in ogni latitudine, della banda di vagabondi romani alla ricerca del colpo alla cassaforte del Monte di Pietà in una immaginaria Via delle Madonne,, poiché la genialità del film e della sceneggiatura (Age e Scarpelli naturalmente) sta nelle inquadrature, nei dialoghi, nelle scene immortali (ad esempio, la lezione di scasso di Totò sulla terrazza

23

rimarrà impressa nella mente di chiunque), nelle caratterizzazioni di ogni personaggio. Come la balbuzie di Peppe er Pantera, (un insolito Vittorio Gassman in veste comica), il pugile che le prende da tutti, l' accento emiliano del mitico Capannelle (Carlo Pisacane), quello siciliano di Ferribotte (Tiberio Murgia), la goffaggine di Tiberio con il braccio ingessato(Marcello Mastroianni), la spavalderia di Cosimo (Memmo Carotenuto), la classe cristallina di Dante Cruciani (Totò), la sfrontatezza di l\rorma(Rossana Rory, la vedremo qualche anno più tardi con Antonioni in un altro capolavoro, L)eclissi), la timidezza di Carmela la siciliana (Claudia Cardinale praticamente all'esordio), l'ostentata emancipazione di Nicoletta (Carla Gravina), l'aria da sciupa femmine di Mario (Renato Salvatori). Il tutto, ben orchestrato dalla musica jazz di Piero Umiliani, altra novit2L assoluta, da una fotografia che ricorda molto la Roma pasoliniana, da un ritmo narrativo che non conosce cedimenti o punti morti. Curiosità: l'attore Tiberio Murgia, che nella sua vita, così come in questo film, ha fatto sempre la parte del siciliano geloso, in realtà era sardo e fu scovato in una pizzeria di Piazza di Spagna direttamente da Monicelli e i suoi sceneggiatori, tra i quali non va dimenticato il grande Italo Calvino. Che dire di più? Capolavoro. Voto: 1O con lode

24

Il vedovo (1959) di D1ino Risi

Senza dubbio uno delle più riuscite commedie degli anni sessanta (uscì a fine novembre del 1959), quella che vede due autentici giganti alla sceneggiatura, Fiorenzo Carpi e Rodolfo Sonego, che tanto merito avranno negli anni a seguire per il cinema italiano. La storia, se vogliamo, è di una semplicità disarmante, ma tale aspetto va considerato un punto di forza, non una debolezza. Il commendatore Nardi (Alberto Sordi) è un autentico fallimento in materia di affari, non gliene va bene una, ma ha la fortuna di aver sposato Elvira (una straordinaria Franca \laleri), un'affarista milanese che, al contrario, ha un fiuto e un cinismo eccezionali, al punto da avere accumulato risorse milionarie, ma si guarda bene dal dilapidarle. Ebbene, sempre in compagnia del fidato marchese Stucchi (Livio Lorenzoni), al commendatore non gli pare vero di sapere che il treno che avrebbe preso la consorte è deragliato e non vi è traccia della salJma, tanto che nessuno dubita più della sua scomparsa. Da qui, i preparativi per un funerale di altissimo livello, con decine di invitati e tutta una serie di progetti che, riconquistata la ricchezza poiché unico erede, mette in piedi. Sennonché,

25

per un autentico colpo di (s)fortuna, ricompare, viva e vegeta, la consorte del commendatore e tutti i sogni di gloria sfumano. A quel punto, non rimane che progettare un vero incidente, che avrà però un esito inaspettato. Storia grottesca ma probabilmente presa pari pari dalla realtà, con una serie di attori caratteristi che riempiono di contenuti tutte le scene (Gigi Reder, Nando Bruno, Ruggero Marchi, Mario Passante) ed è la conferma di Sordi come fuoriclasse della commedia e della Valeri come spalla all'altezza. Ritmo incalzante, dialoghi mai banali fanno poi da cornice ad una vicenda che si cala perfettamente nel clima di quegli anni di boom economico che ha visto l'Italia svegliarsi dal torpore derivato da una guerra lunga e sanguinosa. Si ride di gusto e si ha la sensazione che il maestro Risi abbia saputo mettere ogni cosa al suo posto, compresa la festa in casa con le canzoni di Alberto Rabagliati. Voto: 9

La grande guerra (195~~) di Mario Monicelli

Il manifesto più profondo e potente mai dedicato alla prima guerra mondiale. Monicelli, ben coadiuvato da Age, Scarpelli e Vincenzoni, fa il botto e realizza una pellicola che otterrà riconoscimenti a non finire. Protagonisti due spiantati soldati, due scansafatiche, che vanno al fronte ma cercano di evitare ogni più elementare dispendio di energie: Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Uno romano (Oreste Jacovacci) e l'altro milanese (Giovanni Busacca) dopo un inizio ingannevole, riescono a trovare una buona intesa e diventeranno grandi amici, anche perché tenteranno sempre di imboscarsi, non avendo alcuna forma di ideale. Nel mezzo, la bella Silvana Mangano, "figlia di nn'', esattamente come Gassman, che darà un tocco di gioiosa delicatezza alla pellicola. Dopo i primi addestramenti, le cose purtroppo si metteranno male per i due soldati che finiranno nelle mani nemiche degli austriaci, ma dopo un iniziale tentennarnento, sapranno morire da eroi, anche se ognuno a modo suo. Finale in crescendo, riscatto morale dei due protagonisti e grande purezza interiore fanno da sfondo ad un film che mette a nudo anche le condizioni miserabili in cui versava

l'esercito italiano nel 1916. Vinse molti premi, fu accolto a gran voce a Venezia e proiettò i due protagonisti verso traguardi ancora più grandi. Prova sublime di tutti (anche se Giuseppe M[arotta definì «una completa delusione» la performance di Gassman)e applausi garantiti, anche perché Monicelli seppe alternare, da grande maestro qual era, ironia e drammaticità. Nel cast da segnalare anche Bernardo Blier, Tiberio Murgia, Romolo Valli, Livio Lorenzon e Nicola Arigliano. Vale più di una lezione di storia e credo sia doveroso proiettarlo in tutte le scuole. Voto: 9

Rocco e i suoi fratelli ( 1960) di Luchino Visconti

Quando Suso Cecchi ]D'Amico scrisse insieme a Visconti Rocco e i suoi fratelli, s'ispirò a Lidiota di Dovstoevskij; infatti il principe è Rocco, mentre Rogozin può essere identificato in Simone e così crearono un meraviglioso melodramma che è considerato uno dei punti più alti di tutta la cinematografia, non solo italiana. La storia è una di quelle dove entrano a piedi uniti tanti segmenti della psicologia umana come la gelosia, l'ossessione, l'umana pietà, la bontà d'animo, la voglia di riscatto, il perdono, ma anche tristi pagine di cronaca degli anni sessanta, dove tante famiglie meridionali si trasferivano al nord per trovare lavoro. Rosaria, alla morte del marito, decide quindi di trasferire la propria famiglia, composta da quattro figli maschi, dalla Lucania a Milano, dove lavora ed è ben inserito Vincenzo, il primogenito, con la segreta speranza di dare un futuro a tutti. Seguiranno tantissimi avvenimenti, lieti e meno lieti, che contrassegneranno per sempre la sorte dei cinque fratelli, in particolare quella di Simone, il più turbolento (Renato Salvato-

29

ri), il quale si macchierà di gravi reati, farà debiti di gioco, si allontanerà dalla famiglia. Due le figure che emergeranno in questa baraonda di emozioni e colpi di scena: quella di Rocco (i\lain Delon), ragazzo buono e comprensivo e Nadia(Annie Girardot), una prostituta che finirà per costituire oggetto della violenta ossessione di Simone, disposto a qualsiasi azione turpe pur di possederla.Nel mezzo, la boxe come riscatto sociale, rivincita dei ceti meno abbienti, grimaldello per un facile inserimento sociale. Visconti ha realizzato il suo "romanzo " con mano sicura, modellando come un abile scultore attori comunque straordinari che, tutti indistintamente, lasciano una traccia indelebile. Il climax tende a diventare rovente nella seconda parte(ricordiamo che si tratta di un vero lungometraggio: tre ore di pellicola), con scene che metterebbero a dura prova anche il più insensibile degli spettatori. Visconti, il quale trasse ispirazione da un romanzo di Giovanni Testori, sapeva che andava incontro agli strali della censura, ma confezionò il suo prodotto come meglio non avrebbe potuto, guadagnando di più nelle sale di seconda e terza classe, ma quella era un'Italia che stava cambiando pelle. "Rocco ..." è un film stupendo, uno di queHi che non risente dell'usura del tempo, un'opera struggente che non ha paura dei cambiamenti sociali, perché è stata scritta e girata con il cuore da un regista sup erlativo. Nel cast abbiamo 1

30

anche Claudia Cardinale ((:;inetta), Paolo Stoppa(l'allenatore di pugilato) Corrado Pani, Katina Paxinou(la madre dei cinque fratelli), Spiros Focas, Claudia Mori, Alessandra Panaro. Musiche di Nino Rota. Voto: 1O con lode

31

La ciociara (1960) di Vittorio De Sica

La Ciociara trae spunto da uno dei drammi più angosciosi della seconda guerra mondiale, quello delle donne che subirono le violenze da parte delle truppe marocchine della V arrr1ata nel periodo tra l'aprile e il giugno del 1944, dopo la rottura del Garigliano, quando queste irruppero nella zona del cassinate. Addirittura, pare che il contratto di questi mercenari, assoldati dall'esercito francese, prevedesse e ritenesse lecito e consentito il diritto al saccheggio e alla violenza, cosa che subirono molte donne e anche molti uomini di quelle zone. Detto questo, non v'è dubbio alcuno che il film di Vittorio De Sica, tratto dal romanzo di Alberto Moravia, sia principalmente il film di una superlativa e straordinaria Sofia Loren, assolutamente dentro la parte di Cesira, una vedova che fugge da Roma con la figlia tredicenne per i continui bombardamenti, rifugiandosi in C:iociaria con un gruppo di sfollati. Per la parte di Rosetta, la figlia di Cesira, De Sica scelse una ragazzina che all'epoca aveva meno di 12 anni, Eleonora Brown,, alla sua prima esperienza cinematografica, rimanendo stregato dall' espressività innocente di quegli occhi. Particolare curioso: tra

32

le pretendenti alla parte, c'era anche Raffaella Carrà, ma fu scartata perché troppo adulta rispetto all' adolescente che avrebbe dovuto interpretare, nonostante un provino in cui recitò perfettamente. Inutile aggiungere che la storia de La ciocit1ra ha appassionato e fatto piangere intere generazioni, ha commosso ed atterrito un pubblico che non fu solo quello italiano, tant'è vero che il film fece incetta di premi e Sofia Loren acquisì lo status di attrice di statura internazionale. I continui bombardamenti, ii trasferimenti nelle zone di campagna in direzione Fondi, la lotta per la sopravvivenza e poi la scena finale di violenza sulle due donne consumata nella chiesa sconsacrata, rimarranno nella storia del cinema di ogni epoca. Nel cast anche un giovane Jean Paul Belmondo (Michele) che è un laureato in lettere innamorato di C:esira, così come il calabrese Raf Vallone (Giovanni),, ma si nota anche Pupella Maggio, Carlo Ninchi e Andrea Checchi. Sublime. Voto:10

33

La dolce vita ( 1960) cìi Federico Fellini

Considerato uno spartiacque del cinema italiano, La dolce vita risulta probabilmente uno dei film più visti e discussi di sempre. Ambientato nella Roma degli anni sessanta, in una Via Veneto perfettamente ricostruita negli studi di Cinecittà, Fellini ci ha voluto mostrare, attraverso gli occhi di Marcello(Mastroianni) uno spaccato di vita mondana attraverso una serie infinita di episodi collegati tra loro. Da premettere che alla fine degli anni cinquanta, la città di Roma era al centro del jet set e via Veneto era assalita dai "paparazzi", giovani fotografi alla ricerca dello scoop, come il rampante Cerusico (Enzo Cerusico). Tutto il film procede a strappi, sulla vita di Marcello, giovane ed avvenente scrittore, benvoluto in ogni ambiente e ripercorre, alla maniera di Fellini diverse situazioni di una Roma che pulsava di viita. Si va, quindi, dalle feste a casa dei ricchi borghesi agli spettacoli nei nightclub, dagli spogliarelli di signore deluse agli amori infranti, dalle scene patetiche di piresunti intellettuali ai falsi miracoli della Madonna. I~ poi, scrittori che uccidono i propri figli, paparazzi che non indietreggiano di fronte a nulla, il vuoto apparente che colma le stanche

34

vite di una generazione in fermento. Tre ore di film non bastano a Fellini per descrivere una Roma ansiosa di scoop e divertimento, ma lasciano l'amaro in bocca al cospetto di grandi tragedlie vissute con disinvoltura. E poi, non dimentichiamolo, c'è la mitica scena alla fontana di Trevi, con Anita Ekberg che implora Marcello di farsi il bagno sotto le cascate d'acqua: «Marcello, come here» urla la bellissima americana, come se fosse all'interno di un set. Collage ben riuscito di uno scorcio di vita densa e irripetibile. Decine e decine di attori si susseguono per quello che giustamente è considerato uno dei punti più alti della cinematografia mondiale, con un linguaggio innovativo per l'epoca e spiazzante per un pubblico probabilmente impreparato. Fellini si conferma un maestro della macchina da presa (Roberto Benigni definì Fellini come «la quercia alla quale si sono tutti alirnentati») ,ma non si possono non menzionare il duo Pinelli-Flaiano che hanno scritto una sceneggiatura rnemorabile. Tra i protagonisti, da segnalare Anouk Aimee, Yvonne Forneaux, Riccardo Garrone, Annibale Ninchi, Magari Noel, Alan Cuny e persino una giovanissima Nico, futura cantante dei Velvet Undergound. Bel siparietto rock con un Adriano Celentano scatenato. Tantissimi ingredienti, ma risultato di qualità. Voto:10.

35

Il be/l'Antonio (1960) di Mauro Bolognini

Tratto da un romanzo di Vitaliano Brancati, la storia di Antonio Magnano è una vicenda triste, pienamente calata nella morale religiosa di inizio secolo, pregna di pregiudizi e regole non scritte. Protagonista è un Marcello Mastroianni super, peraltro in un anno di grazia (La dolce vita uscirà sempre nel 1960), nei panni del più bel ragazzo di Catania, reduce dagli studi a Roma, ma soprattutto ambito da tutte le donne della città. I suoi genitori, però, hanno combinato un matrimonio d'interesse con la bella figlia del notaio Puglisi, Barbara(Claudia (=ardinale) e così sarà. Ma non saranno rose e fiori, perché quel matrimonio tanto celebrato non sarà mai consumato per l'impotenza di lui, circostanza che scatenerà le ire del suocero, pronto all'annullamento. E~olognini, anche grazie alla sceneggiatura di Pasolini, n1ette in scena con mano sapiente un autentico dramn1a umano, per di più vissuto non in solitario, ma in presenza di tutti. Antonio è combattuto, si dimena, non manca mai di rispetto alla propria consorte, ma questo non basta per la chiesa cattolica che considera l'unione materiale alla stregua di quella spirituale. Ricostruzione perfetta, toni giusti,

dialoghi pungenti, interpretazioni da premio Oscar, per le quali mi piace segnalare quella di Rina Morelli (la madre di Antonio)in una scena in chiesa con la nuora da fare accapponare ]la pelle. Bravissimo anche il virile Alfio (Pierre Brasseur) nei panni dell'uomo tutto d'un pezzo, divenuto in passato Federale di Catania per essere stato con nove donne in una notte sola. Nel cast anche un irriconoscibile e giovanissimo Tomas Milian nei panni di Edoardo, cugino di Antonio, senza la barba e l'accento romanesco che lo con traddistinguerà negli anni a venire. Storia potente, ancora oggi mette i brividi. Voto: 9

37

Il vigile (1960) di Luigi Zampa

Insieme a poche altre pellicole, Il vigile di Zampa può essere definita una di quelle commedie che tocca la perfezione, una storia talmente avvincente e ben costruita che non si smetterebbe mai di vederla con divertimento e ammirazione. Non c'è dubbio, infatti, che la vicenda di Otello Celletti, inflessibile vigile urbano con motocicletta, sia entrata prepotentemente nel cuore degli spettatori di ogni generazione, vuoi per la straordinaria mimica facciale di Sordi, vuoi per la cura maniacale di ogni scena. Ma attenzione: non c'è solo divertimento in questa storia, ma anche malcostume, corruzione e malaffare in genere. Era l'Italia degli anni sessanta, dell'inizio del boom economico, dei comitati d'affari, delle prebende, delle bustarelle e, contrariamente ai titoli di testa, la vicenda trasse spunto da una storia vera avvenuta l'anno precedente l'uscita del film. Inutile dire che l'interpretazione di Sordi come vigile attento e solerte risultò impareggiabile, ma Zampa riuscì a rr1ettere in piedi un cast sopraffino, formato da attori di primo piano e caratteristi di provata bravura. Mi riferisco in primis a Vittorio De Sica (il sindaco che non può perdere le elezioni), a

Marisa Merlini (Amalia, la compagna di Oreste), alla bellissima Silva Koscina che interpretò se stessa, Riccardo Garro ne (il tenente), Mara Berni (l'amante del sindaco), senza dimenticare il bambino provetto meccanico (Franco Di Trocchio), l'immarcescibile Nando Bruno (il cognato), Carlo Pisacane (il mitico "Capannelle "nelle vesti del padre di Oreste, eroe di guerra), Lia Zoppelli (la moglie del sindaco), Vincenzo Talarico (l'oratore e avvocato dei monarchici), Mario Riva, Gianni Solaro, Mario Scaccia (l'avvocato della difesa), Giulio Calì (il pastore). Insomma, un festival della commedia italiana senza infingimenti e senza inganni, ma con una sceneggiatura (di Rodolfo Sonego e Ugo Guerra) tesa alla denuncia e alla scoperta di intrighi e ricatti, tant'è che dovette superare molti ostacoli da parte della censura. Film indimenticabile, girato interamente a Viterbo, che innalzò Alberto Sordi su un gradino più alto rispetto a tutti i suoi illustri colleghi. Voto: 1O con lode

39

L'avventura (1960) dil Michelangelo

Antonioni

Primo dei tre episodi della cosiddetta trilogia dell'incomunicabilità, "L.A1.vventura "rappresenta per la gran parte dei critici il punto più alto della cinematografia di Antonioni. La storia, se vogliamo, è di una semplicità disarmante: un gruppo di amici fa una gita in barca alle isole Eolie, a Lisca Bianca per esattezza, ed Anna(una splendida Lea Massari), dopo aver manifestato tutta la sua insoddisfazione sul proprio rapporto a Sandro, suo fidanzato (Gabriele Ferzetti), sparisce di colpo e a nulla serviranno le affannose ricerche da parte di tutti, carabinieri compresi. Ma il punto nodale di tutta la pellicola non è questo, bensì il rapporto, che da subito, s'instaura tra la migliore amica di Anna (Monica Vitti al top) e Sandro. E qui entrerà in scena tutta la grandezza del cinema del regista ferrarese: le sue pause, i silenzi, i paesaggi (la Cattedrale di Noto, Taormina, Bagheria, Milazzo), i colori, le musiche, l'alienazione, l'incomunicabilità tra i vari personaggi. Il linguaggio cinematografico diventa arte, la narrazione tocca livelli impensabili, la storia cede il passo alla

40

tecnica espressiva dei protagonisti, ognuno con caratteristiche ben precise e poco importa che si superino abbondantemente le due ore di visione. Il regista ci parla attraverso i silenzi e le congetture dell'uomo e della donna, delle debolezze e dei falsi sentimenti, dei rimpianti e del desiderio. ]Lo fa con mano soave, anche se lo stesso dovette subire- solo in Italia- gli strali della censura, ma tornò da trionfatore dal Festival di Cannes, dove una giuria dii livello assoluto gli conferì il premio speciale della critica, nonostante i continui borbottii del pubblico in sala. Da segnalare che la genesi de L'avventura subì tutta una serie di intoppi, in parte legati al clima turbolento dell'isola, in parte derivati dalla produzione che non pagò le maestranze, cui seguirono diversi scioperi. Ma il risultato finale fu clamoroso, addirittura ci fu chi, come il grande Roberto Rossellini, giudicò l ~'avventura come il più bel film mai presentato ad un festival. Da segnalare che per Monica Vitti fu il prirno vero ruolo di una certa importanza, essendo pressoché sconosciuta al grande pubblico. Inutile dire che, per riconoscimento unanime, fu praticamente impeccabile. Da quel momento, la svolta della sua carriera, unita al sodalizio artistico/ sentimentale con Antoniani. Imprescindibile. Voto:9

41

Tutti a casa (1960) dil Luigi Comencini

Senza dubbio uno dei film più belli ed appassionanti che hanno come tern1a la seconda guerra mondiale e le sue contraddizioni. Siamo a settembre del 1943, l'Italia con il Maresciallo Badoglio firma l' armistizio e il sottotenente JVberto Innocenzi (JVberto Sordi) se ne accorge con ritardo, tant'è che è convinto che i tedeschi si siano alleati con gli americani. Scene quasi raccapriccianti si alternano per rappresentare lo stupore, la meraviglia per un "cambio di casaccà' che lascia interdetti gli stessi soldati, i quali non sanno che pesci prendere, confondendo il nemico con gli alleati dell'ultima ora. Ed allora, con a capo un gruppo di sbandati, l'ufficiale cerca di rientrare a casa, ma si trova in mezzo ad una serie infinita di peripezie che lo porteranno alla fine a rimanere solo con il fido Ceccarelli (Serge Reggiani), geniere, ma si percepisce che i militari siano scombussolati, non sappiano cosa è giusto e cosa è sbagliato (addirittura si rifiutano di prendere come ostaggio un tedesco il quale reclamava questo suo "diritto"), finendo per trovarsi sotto il fuoco nemico. Stupenda la scena della polenta con la salsiccia

42

con l'alleato americano che voleva fare il furbo. Come al solito, Comencini riesce a fondere da gran maestro, drammaticità ed ironia, provando ad essere leggero anche nei momenti più crudi. Sordi - da par suo - alterna fasi comiche e tipiche del suo personaggio a fasi più seriose, nelle quali mostra di cavarsela con grande maestria, specie nella scena finale quando si accorge che il suo amico è stato ferito e gli presta soccorso. Nel cast sono presenti anche Carla Gravina, addirittura Eduardo De Filippo nei panni del padre di Innocenzi, Martin Balsam e Nino Castelnuovo. Da segnalare che il ministro dell'epoca (;iulio Andreotti si rifiutò di mettere a disposizione della troupe due carri armati, tant'è che dovettero costruirli di compensato. Vinse due David di Donatello. Film di assoluta qualità e Comencini in stato di grazia sale sull'Olimpo. Voto: 9 1

43

La ragazza con la valigia (1961) di Valerio Zurlini

Film di una delicatezza e raffinatezza unica, che tratteggia con precisione ruoli e interpreti, che rimane sempre appeso in attesa dil qualcosa che non avverrà mai. La storia è ambientata a Parma, poi nella riviera romagnola e si svolge d'estate. Ed è una storia di tenerezza, di sguardi languidi, di parole non dette, ma anche di inganni, di amarezze, di false promesse e Zurlini pensò bene di affidare la parte della protagonista ad una bravissima Claudia Cardinale (doppiata però da Adriana Asti) nei panni di .Aida, una ballerina scaricata da un dongiovanni da strapazzo ed incontratasi per puro caso con il giovanissirno fratello di quest'ultimo. Ebbene, sarà proprio la figura di Lorenzo Fainardi (un Jacques Perrin alle prime armi; lo rivedremo più maturo nel capolavoro di Giuseppe Tornatore Nuovo cinema Paradiso) che spiccherà per la sua purezza, la sua fragilità, la sua ingenuità. Tra i due nascerà un legame improbabile, non fosse altro che per la differenza d'età, ma che Lorenzo rende vivo com le sue parole, i suoi silenzi, il suo innato rispetto per quella donna sconosciuta e

44

affascinante, al punto tale che perderà la testa, smetterà di studiare e susciterà il malcontento della zia che lo accudisce come un figlio. ]~on v'è dubbio che il film di Zurlini si regga sul confronto impari tra i due protagonisti, ma lo spettatore viene lentamente preso per mano e trascinato dolcemente verso traguardi lontani e impossibili. Sullo sfondo, tutta una serie di figuri che fanno da contraltare alla soavità di Lorenzo, giovani e meno giovani che cercheranno di approfittare di Aida Zepponi con metodi che la ballerina rifiuterà con sdegno, ma anche con malcelata insicurezza. Storia tenera, che mette in luce la fluidit~1 narrativa di un regista superlativo e di una sceneggiatura che tratteggia per bene alcuni aspetti importanti della nostra società. Di particolare livello il cast con un C:orrado Pani (compagno di Mina e padre di Massimiliano, pietra dello scandalo di un'Italia pre-divorzio) nelle vesti di Marcello Fainardi, fratello maggiore di Lorenzo, Riccardo Garrone (Romolo), Romolo Valli (Dorn Pietro), Luciana Angiolillo (la severa zia Marta), Gian Maria Volonté (Piero), Enzo Garinei (Nino). Musiche che svariano dalle note dolci di Mario Nascimbene (con Bruno Nicolai al clavicembalo e Mario Gangi alla chitarra) alle canzoni beat dell'epoca di Mina, Peppino Di Capri, Adriano Celentano e Umberto Bindi. La Cardinale si assicuro' un David speciale per la sua magistrale interpretazione. Film che non si dimentica facilmente. Voto: 8

45

Una vita difficile (19(Jl) di Dino Risi

Vent'anni della vita del nostro paese, dalla guerra partigiana al boom econornico. La triade Risi, Sonego e Sordi sembra in stato di grazia e realizza un film meraviglioso, equilibrato, con dosi di dramma e comicità versate in egual misura. Il protagonista assoluto è il partigiano Silvio Magnozzi (un Alberto Sordi su di giri) che, scampato ad un agguato nazista grazie all'intervento di Elena (una Lea Massari stupenda), si rifugia dapprima in un mulino e poi comincia la sua nuova vita con l'Italia liberata dal fascismo. Seguiranno anni di scarse soddisfazioni morali, pochi guadagni, tante umiliazioni, addirittura il carcere, sempre per rimanere fedele ai propri principi, fino al riscatto della scena finale, summa indelebile di un film straordinario. Risi riuscì a fotografaire benissimo gli anni della ricostruzione, non disdegnando le spiagge affollate, i night, i balli allora in voga, le macchine sportive, tutti simboli di una ripresa economica della quale però il giornalista e scrittore Silvio rimane un po' ai margini. Fino a quando non incontra un ricco industriale che, a prezzo di infinite umiliazioni, lo pagherà profumatamente, al punto tale che si permetterà perfino di com-

prare una pelliccia alla moglie. Scene indimenticabili quelle del lungomare di V'iareggio (in realtà è quello di Massa) con Sordi ubriaco che sputa alle macchine in corsa e, naturalmente, quella della piscina. Film che non ci si stanca mai di vedere, che è rafforzato dalla presenza di altri bravissimi attori come Franco Fabrizi (come dimenticarlo grande protagonista ne I vitelloni di Fellini?), Claudio Gora (lo vedremo giocare a ping pong con Gassman ne Il sorpasso l'anno dopo) e Daniele Vargas, nonché dalla presenza di mostri sacri come Alessandro Blasetti, Silvana Mangano e Vittorio Gassman che interpretano loro stessi in un carneo indimenticabile. Probabilnaente uno dei film italiani più belli di sempre, ma lo si può dire per altre decine e decine di pellicole. Strano che abbia vinto solo un David di Donatello per la produzione, ma questo fa capire il livello altissimo del cinema italiano di quegli anni fertili e, forse, irripetibili. Voto: 9,5

47

Il carabiniere a cavallo (1961) di Carlo Lizzani

Saturnino Manfredi, in arte Nino, nel 1961 era sicuramente un attore già affermato, non solo cinematografico, ma anche teatrale, senza dimenticare l'intensa attività di doppiatore (doppiò ad esempio Franco Fabrizi ne I Vitelloni di Fellini nel 1953) ed i registi facevano a gara per affidargli le parti più significative dei propri film, esattamente come avvenne per Il carabiniere a cavallo. Ed infatti, la sceneggiatura di questa divertente co1nmedia (Ruggero Maccari ed Ettore Scola) sembra sia stata scritta apposta per il ruolo di un Nino Manfredii mai così impacciato come nelle vesti di Francesco Bartolomucci, un carabiniere "ingabbiato" dalle rigide regole della Benemerita che vietavano il matrimonio se non dopo quindici anni di servizio. Caso volle che lo sfortunato carabiniere incontrerà Letizia (Annette Stroyberg, uno schianto di ragazza) e deciderà di sposarla comunque, prima che finisca il flusso amoroso della giovane, ma dovrà farlo in clandestinità. Purtroppo, queste intenzioni verranno impedite da tutta una serie di eventi, tra i quali il

furto del proprio cavallo, circostanza che provocherà una disperata ricerca, pena pesanti provvedimenti disciplinari per il povero carabiniere. Da sottolineare che per dirigere questa piacevole commedia, Lizzani offrì a Manfredi la più grande "spallà' di tutti i tempi, Peppino De Filippo (brigadiere Tarquinio), che sorresse il giovane protagonista con trovate da fuoriclasse autentico, in un turbinio di situazioni umoristiche e piene di verve, allietate dalle musiche di Carlo Rustichelli. Indimenticabile la scena della cattura dello zingaro nel fienile tra schiopp,ettate e situazioni originali. Nel cast presenti anche Maurizio Arena, Aldo Giuffrè, Luciano Salce, Mimmo Poli, Silvana Corsini, Clelia Matania e Luciano Bonanni. Girato tra il Pincio e il lago di Bracciano, questo film lo si può annoverare tra le commedie divertenti e di qualità. Voto: 7,5

49

Il federale (1961) di 1-'uciano Salce

Ambientato nelle campagne romane, in pieno conflitto mondiale, è uno dei tanti film che ha per tema la guerra e le sue conseguenze. Il graduato delle brigate nere Primo Arcovazzi (Ugo Tognazzi) viene incaricato dai superiori di catturare il professor Erminio Bonafé (Georges Wilson), nemico del fascismo e riportarlo a Roma. Come premio, sarà promosso Federale. Su queste premesse, si snoda l'intera storia messa in piedi da Castellano e Pipolo per un film che sta a metà strada tra lo storico e il satirico. Memorabili infatti le scene in cui il graduato viene sbeffeggiato dapprima da una giovanissima Stefania Sandrelli, poi dagli stessi tedeschi suoi alleati. Così come memorabili risultano le corse con il sidecar, poi requisito dagli stessi tedeschi e con una jeep finita nel fiume. Tra una poesia di Leopardi e i morsi della fame, tra una disavventura e un'altra, l'integerrimo e fanatico Arcovazzi riuscirà imperterrito a portare il prigioniero nella capitale e adempiere al suo dovere di camerata. Ma, nel frattempo, le cose sono cambiate, gli americani sono entrati a Roma, i partigiani controllano le città, i fascisti vengono prima malmenati e poi fucilati. È la sorte che

tocca ad Arcovazzi, il quale si presenta in una Roma in mano agli alleati con la camicia nera e mal gliene incolse. Verrà aggredito da una folla inviperita e poi messo al muro per la fucilazione. Sennonché, sarà proprio il suo nemico, il :suo vecchio prigioniero, il professor Bonafé che lo salverà da una morte sicura, togliendogli la camicia nera ed offrendogli la sua giacca borghese. Quadretto fedele di un qualunquismo che sfocia nella cocciutaggine e nell'arrivismo senza scrupoli, Luciano Salce (che fa anche una piccola parte) compie il suo capolavoro, confezionando un lavoro che, anche a distanza di oltre cinquant'anni, risulta efficace e non privo di stile personale. Le scene di guerriglia urbana, la lotta per la sopravvivenza, i nascondigli, le bombe scagliate dagli aerei che fanno da contraltare al fanatismo del protagonista, sempre intento alla cura del proprio fisico, sono im:m agini che rimangono impresse nella memoria dello spettatore. Grande cinema sicuramente e primo lavoro di un giovane Ennio Morricone, che da lì a poco conquisterà il mondo con le sue musiche senza tempo. Cast notevole con Renzo Palmer, Gianrico Tedeschi, Gianni Agus, Gino Buzzanca, fotografia impeccabile, dialoghi superlativi. Voto: 8,5

51

Divorzio all'italiana (1961) di Pietro Germi

Inserito nella lista dei cento film italiani da salvare, Pietro Germi realizza una storia che si cala perfettamente nella Sicilia del dopoguerra, quando ancora esisteva il delitto d'onore e il famigerato art 587, abolito nel 1990. Tratto da un ronrianzo di Giovanni Arpino, Un delitto d)onore, Germi riesce nel suo intento di descrivere un'Italia retrograda, grottesca, ipocrita, nella quale conta solo l'apparenza ed affida la parte del protagonista ad un immenso Marcello Mastroianni, nei panni del marito non più innamorato della propria moglie (un'irriconoscibile Daniela Rocca, imbruttita per l'occasione), ma invaghito della giovane cugina, Angela, una Stefania Sandrelli prorompente nella sua bellezza. Da qui tutta una serie di colpi di scena, situazioni drammatiche, fughe improvvise, vendette consumate, tutte situazioni vibranti che riescono nell'intento di descrivere e caratterizzare una storia che solo in un'Italia arcaica e bigotta poteva consumarsi, con tanto di inaspettato colpo di scena finale, tra personaggi caricaturali, volti grotteschi e maschere teatrali. Ed i paesaggi splendidi del ragusano fanno da sfondo in maniera sublime a questo che tutti considerano

52

il caposaldo della commedia all'italiana, che proprio da questo film mutuerà tale definizione. Pellicola che affermerà Germi come maestro indiscusso della macchina da presa e che lancerà in orbita anche la giovanissima ed avvenente Stefania Sandrelli, qui però doppiata, così come anche la Rocca. Nel cast attori di vaglia come Leopoldo Trieste (Carmelo Patanè), Lando Buzzanca, (Rosario Mulè), Odoardo Spadaro (Don Gaetano Cefalù), Pietro Tordi (l'avvocato De Marzi). Non v'è dubbio alcuno che la visione di questo film sia immune alle usure del tempo e lasci ogni volta una piacevole sensazione nello spettatore, anche in quello più esigente. Imprescindibiile. Voto: 10

53

Accattone ( 1961) di F•ier Paolo Pasolini

Primo film per lo scrittore friulano e prima opera che lascia a bocca aperta per le interpretazioni, per la fotografia (Tonino Delli Colli), per il montaggio (Nino Baragli), per la potenza espressiva di tutti gli attori non professionisti, fortemente voluti da Pasolini. Vittorio Cataldi (soprannominato Accattone) è uno scansafatiche, un nullafacente della borgata romana che tira a campare sfruttando il meretricio di Maddalena (Silvana Corsini)sottraendola ad un suo amico, ma quando quest'ultima va in prigione, egli s'innamora di un'altra donna, Stella (Franca Pasut) e cerca di darsi da fare, ma il lavoro non fa per lui, tant'è che ruba una motocicletta e ci rimane secco: «Mo sì che sto bene». Pasolini, fine intellettuale, riuscì a dare voce alle periferie, agli ultimi, ai diseredati, a coloro che non hanno nulla, neanche la voglia di lavorare. E lo fece in maniera superba, descrivendo il vero, senza infingimenti, senza trucchi, girando tra la Casilina, la Tiburtina e Testaccia. La cruda espressività di Franco Citti è come una lamina che penetra il cuore, il suo sguardo non ha bisogno di trucchi o censure, è vero come sono veri tutti i "ragazzi di vita'' della Roma del dopoguerra e

54

dispiace sapere che un maestro come Federico Fellini abbia sottovalutato questo lavoro, rifiutando la produzione, affidata poi a Silvano Bini. Accattone è un film che ti rimane dentro, che ti lascia col fiato sospeso, che non smetteresti mai di vedere, è cinema semplice che si trasforma in arte pura. 1v1ai come in questa storia le periferie sono state descritte così bene, al punto tale che non si può parlare di neorealismo se non si cita questo importantissimo documento: «non è la Reggia di Caserta, ma almeno non ci piove dentro», frase emblematica di tutta la storia, che sa di poesia e di tristezza. Non solo, ma ogni personaggio della borgata romana sembra sia uscito direttamente dalle cronache giornalistiche dell'epoca, con le sue fragilità e le sue debolezze. Sceneggiatura anche a cura di Sergio Citti (fratello di Franco), oltre che di Pasolini stesso, si nota nel cast una silenziosa Elsa Morante (prigioniera in un carcere femminile), ma abbiamo anche Adriana Asti (una prostituta), Paola Guidi (altra prostituta) e Piero Morgia. Imprescindibile. Voto: 10

55

La notte (1961) di Michelangelo Antonioni

Capitolo centrale della trilogia dell'incomunicabilità, La notte racconta con tutta la crudezza possibile il senso di vuoto e la dissoluzione di una coppia in crisi. La storia è tutta incentrata sui due protagonisti, Gianni Patorno (Marcello Mastroianni), scrittore di successo e sua moglie LidiaQeanne Moreau), i quali non si amano più e vagano per la città alla ricerca di emozioni che non troveranno mai. Le scene si svolgono in quattro ambienti diversi ed hanno al centro una Milano in costruzione, fatta di ponteggi, tubi, lamiere, simboli evidenti di un progresso economico che muterà luoghi e persone. I due si recano dapprima in ospedale a trovare un loro amico scrittore, poi alla presentazione del libro di Giovanni, quindi andranno in un nightclub ed infine chiuderanno la loro intensa giornata a casa di amici. Tutto ciò li renderà "nudi" di fronte a se stessi, con quel senso di malinconia e di inutilità e, di conseguenza, d'incomunicabilità che è tipico dei film del grande regista ferrarese. Lo si nota nello sguardo di Lidia, sempre pensieroso, perennemente sofferente, che non si lascia mai andare, come se avesse un groppo in gola, ma non è nient'altro che la scoperta di non essere

amata e la conferma di non amare più il suo uomo. Ogni parola, ogni sguardo, ogni accenno viene cadenzato da questa inconfessabile verità che si trasforma in ritrosia ed estraniamen1eo. Neanche la scoperta di un tradimento del marito, visto con i propri occhi, farà cambiare espressione a Lidia che accetterà il tutto con la consapevole passività di chi sa che la propria storia volge al termine e a nulla servono le parole o i rimproveri. Di grande impatto, poi, la scena finale, in un'alba fredda e grigia, nella quale la moglie legge al marito una lettera scritta da lui stesso, ma lo scrittore non la ricorda più. Antonioni sceglie di rappresentare il grigiore di un'esistenza frivola, tutta imperniata sul guadagno, sull'affermazione personale, sulla vanagloria, distribuendo scudisciate e fendenti ad una società balorda, che tratta Hemingway come «lo scrittore che uccideva gli elefanti e faceva montagne di soldi», dove il ricco industriale commissiona a Giovanni di scrivere un libro sulla sua vita di imprenditore di successo. Nel mezzo, una figura che potremmo definire di contrasto, quella di Valentina (Monica Vitti), la giovane figlia del Gherardini, che si apparta durante la festa a casa sua per leggere I sonnambuli dil Hermann Broch e che dimostra di avere una sensibilità fuori dal comune, ma anche un senso di tristezza evidente. Scritto da due fuoriclasse come Ennio Flaiano e Tonino Guerra, La notte non ebbe grande riscontro di pubblico, mentre,

57

come spesso avviene, fu accolto benissimo dalla critica, soprattutto a Berlino. :Musiche ed atmosfera jazz a cura del maestro Giorgio Gaslini che, stranamente, non collaborerà più con il regista ferrarese. Curiosità: alla presentazione del libro di Giovanni s'intravedono Salvatore Quasimodo (già Premio Nobel) ed un giovanissimo Umberto Eco. Voto: 8

Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini

Dopo Accattone, Pier Paolo Pasolini torna alle tematiche a lui più care: sottoproletariato, periferie, emarginazione, sofferenza. Lo fa, questa volta, con un'attrice vera, di quelle con un pedigree di lusso, Anna Magnani, la quale è una prostituta che vuole cambiare vita, ma soprattutto che vuole far crescere il figlio in un ambiente diverso. Quindi, la prima cosa che fa è cambiare casa e, naturalmente, anche lavoro. Acquista pertanto un carretto per la vendita della frutta al mercato. Il figlio (Ettore Garofolo, bravissimo), è un adolescente che non ha nessuna voglia né di studiare, né di lavorare ed è alla ricerca dei primi amori. S'invaghisce di una ragazza molto più grande di lui e molto più esperta della vita (Silvana Corsini), con la quale intreccia una relazione. Intanto, il vecchio compagno di Anna(l'Immancabile Franco Citti) si rifa vivo per chiedere un prestito a Mamma Roma e, pertanto, ella è costretta a ritornare in strada all'insaputa del figlio, il quale - però -- si fa beccare mentre ruba una radiolina e viene internato in un ospedale carcerario. Non v'è dubbio alcuno che il neorealismo, nonostante fosse finito da un pezw, sia presente in ogni

59

sequenza del film dello scrittore/ regista: lo possiamo incontrare nei dialoghi, nelle speranze, nei fallimenti, nei luoghi. Ed a proposito di luoghi, Pasolini gira tra il Quadraro, Guidonia, Frascati e Subiaco. A proposito di neorealismo, ad un certo punto si scorge la presenza di un'autentica icona del genere, ossia Lamberto Maggiorani, già ammirato in Ladri di biciclette. Film di un'intensità e di un vigore enormi, che graffia il cuore al punto giusto, che racchiude, così come anche Accattone (ed infatti troviarno tanti attori già visti), un universo che solo Pasolini sapeva raccontare con tanta maestria. Arte allo stato puro, senza fronzoli, appesantimenti o sovrastrutture, un lascito per le nuove generazioni pari ad un tesoro. Voto: 10

60

La ricotta (1962) di J>ier Paolo Pasolini

'

E uno dei quattro episodi che compongono il film Ro. Go.Pa. G ed è quello che diede maggiori grattacapi al regista friulano. Infatti, la pellicola fu posta sotto sequestro e Pasolini venne condannato a quattro mesi di reclusione per vilipendio della religione (fu poi assolto in appello perché il fatto non costituisce reato nel 1964). Lepisodio, secondo le intenzioni del regista, vuole essere una critica feroce alla borghesia italiana, uno schiaffo all'uomo medio, sottolineato anche dalle parole di Orson Welles - che fa il regista nel film - considerato pericoloso. Pasolini, per esporre questi concetti,utilizza la crocifissione di Gesù Cristo in una trasposizione che vuole desacralizzare il racconto del Vangelo, rifiutando ogni f1cile guadagno su una storia come quella del Salvatore. Protagonista di questa desacralizzazione Stracci (:Mario Cipriani), attore di borgata, che rimane secco sulla croce prima di girare l'ultima scena, ma che precedentemente si fa notare per una voracità "mascellare" fuori dal comune. Nel mezzo, vengono riprodotti due dipinti, uno di Rosso Fiorentino e l'altro di Jacopo di Pontorno, entrambi del Cinquecento, per i quali le scene saranno girate

61

a colori e non in bianco e nero. Si assiste poi ad uno spogliarello, ad un twist, a diverse trivialità del cast, alla famosa abbuffata, ad un Orson Welles nervoso più che mai ed infine alla crocifissione. Film dissacrante, che oltrepassa determinati steccati, che parla un linguaggio diverso e per certi versi scomodo, non ortodosso. Per tali ragioni, destinato alla critica da parte dei benpensanti, quasi conne un passaggio obbligato; Cosa che avvenne puntualmente. Nel cast tantissimi attori "pasoliniani" come Ettore Garofolo (ammirato in Mamma Roma), il voracissimo Mario Cipriani, Franca Pasut. Per la location, Pasolini non poteva che scegliere un luogo della periferia romana, quindi optò per una campagna nei pressi dell'Appia antica. Voto: 7

Mafioso (1962) di AllJerto Lattuada

Interamente girato a Belmonte Mezzagno, suggestivo borgo in provincia di ]Palermo, questo capolavoro di Alberto Lattuada affronta due problemi disgiunti e, nello stesso tempo, connessi tra loro: l'affrancamento dei siciliani dalla mentalitàLretrograda della loro terra d'origine e l'indissolubilit2L del loro agire, fedele alle vecchie tradizioni. Nino Badalamenti (un nome una garanzia) è il classico siciliano che ha fatto fortuna al nord, a Milano per l'esattezza, dove occupa un posto di rilievo in una fabbrica, decide di passare un lungo weekend con la sua famiglia a casa dai suoi genitori, in Sicilia. Siamo agli inizi degli anni Sessanta, il Sessantotto è ancora lontano, i costumi e le abitudini ricalcano grosso modo quelle di qualche secolo addietro. Onore, rispetto e baciamano sono pertanto all'ordine del giorno in quell'avamposto di frontiera dove pare che il tempo si sia fermato. Questo ed altro fanno da sfondo ad una storia che vede come protagonista assoluto un Alberto Sordi stratosferico, finalmente non nei panni del borghese impacciato e pieno di difetti, ma nel siciliano fiero della sua terra che rivendica con orgoglio dinanzi la sua biondissima moglie Norma 1

Bengell (bellissima attrice brasiliana), dai tratti somatici non proprio usuali per i suoi compaesani. Don Vincenzo è il temuto e rispettato boss del paese, al quale Nino non vede l'ora di porgere i suoi saluti, mostrando una riverenza al lin1ite della venerazione. Ed è su questi immarcescibili sentimenti che il boss locale decide di "rapire" il buon ]~ino, metterlo su un aereo direttamente per New York e commisionargli addirittura un omicidio. Il tutto:, con la complicità di altri sodali ed in completa segretezza. Cosa che avverrà in meno di ventiquattro ore, giusto il tempo di ritornare in Sicilia e giustificare un'assenza insignificante con la propria famiglia. Ritratto perfetto di un'Italia che viaggia a due velocità (si vede la Milano che corre a perdifiato e la stantia SiciHa), e che Alberto Lattuada è riuscito a rendere in modo encomiabile, esattamente come un'immagine di Cartier-Bresson. Sicuramente uno dei suoi lavori migliori, vuoi per la fotografia, vuoi per la storia, vuoi per la capacità di rendere tutto assolutamente credibile. Voto: 9

Gli anni ruggenti (19 62) di Luigi Zampa 1

Commedia pungente che dileggia il fascismo e che mette a nudo le pecche di un regime che, anche in provincia, si comportava con assoluta mancanza di rispetto per le regole. Siamo alla fine del 1937, quindicesimo anno fascista e in una provincia pugliese viene preannunciato l'arrivo da Iloma di un gerarca fascista per un'ispezione politico-amministrativa. Il podestà (un convincente Gino Cervi) va nel panico più totale, così come anche il capo politico, impersonato dal solito straordinario Gastone Moschin, impettito più che mai. Inutile dire che tra loro scoppia il panico, probabilmente perché hanno qualcosa da nascondere circa il loro operato e quando, a seguito di una soffiata, scambiano un semplice assicuratore romano (un innocuo Nino Manfredi) per il gerarca inviato dal regime, fanno a gara per trattarlo con tutti gli onori. Gli fanno conoscere i posti più. ameni, lo invitano a pranzo, gli riservano le attenzioni più meticolose, finanche gli presentano con chiaro interesse la bella figlia del podestà (Michèle Mercier). Ma il buon Omero Battifiori, l'assicuratore scambiato per un gerarca, non fa mistero del suo vero lavoro, nonostante nessuno gli

creda, fino a quando, durante la sua festa di fidanzamento non rompe gli indugi e rivela, una volta per tutte, la sua vera identità. Sconcerto e stupore tra i presenti, anche perché Omero non disdegna aspre critiche al Duce, cosa che lo rende più credibile nel suo vero ruolo di assicuratore, circostanza che gli farà perdere la stima della fidanzata, speranzosa di andare in sposa ad un uomo forte, un temerario, non un semplice assicuratore. CorrLmedia degli equivoci, girata tra i sassi di Matera ed ()stuni, ben congegnata da Luigi Zampa che si avvale di attori di provata attitudine. Da citare, infatti, anche il bravo Salvo Randone e la spumeggiante Angela ]Luce. Ottima ricostruzione del periodo, ma nota finale in agrodolce allorquando O mero legge in treno una lettera di un povero cristo che chiede al Duce una casa con la finestra perché non l'ha mai avuta. Voto: 8,5

66

Il sorpasso (1962) di I)ino Risi

Documento storico e sociale dell'Italia del boom, il primo vero film on the road che vanta decine di tentativi d'imitazione, un autentico masterpiece. Dino Risi descrive come nessuno l'alta borghesia italiana di inizio anni sessanta e lo fa servendosi di due assi della recitazione: l'introverso Jean Louis Trintignant e l' esuberante Vittorio Gassman. La storia è a tutti nota: in una Roma deserta, è il giorno di ferragosto, Bruno (Gassman) si ferma casualmente sotto la casa di un giovane studente di giurisprudenza, Roberto (Trintignant) e, con la scusa di fare una telefonata, lo invita a bordo della sua fiammante Aurelia Sport- a fare una passeggiata per il litorale romano, più precisamente dalla mitica via Aurelia fino a salire per la Versilia. Ecco, il film sta tutto nella contrapposizione tra i due caratteri completamente antitetici: timido lo studente Roberto, alle prese con lo studio della Procedura Civile, eccessivamente estroverso e vanitoso il vagabondo Bruno, alle prese esclusivan1ente con la bella vita e con le belle donne. Da qui, tutta serie di visite inaspettate, cene a base di zuppa di pesce, sconfinamenti in Toscana, gite in barca, incontri casuali, partite a ping

pong, balli di società, in urn via vai frenetico che mette a dura prova la pazienza certosina del mite Roberto. E poi, Dino Risi ci mostra tutto l'universo gioioso di tempi irripetibili, di un'Italia che rialzava la testa al ritmo del twist, di ville al rrLare, di motoscafi e sci d' acqua e il piacere di una socialità ritrovata dopo anni di oscurantismo. Ma "Il sorpasso" è anche un film di riflessione, specie quando Roberto medita sulla sua vita e sulle sue scelte future, fortemente incrinate e messe in crisi dall'esuberanza di rnolti personaggi incontrati in quella due giorni che, alla fine, si rivelerà fatale per lui. Non c'è un attimo di pausa, un fremito di noia in questo racconto appassionante di un maestro della cinepresa, che sale in alto per toccare vette mai più eguagliate. Nel cast si nota una giovanissima Catherine Spaak, Luciana Angiolilllo, Claudio Gora e Franca Polesella. Le musiche sono del maestro Riz Ortolani, ma ci sono brani di Domtenico Modugno, Edoardo Vianello, Peppino di Capri. Capolavoro da vedere e rivedere, tanto non stanca ~mai. Voto: 10

68

L'eclissi (1962) di Michelangelo Antoniani

Terzo e ultimo film del regista ferrarese sull' incomunicabilità (gli altri furono Lavventura e La notte) è una storia sulla crisi dei sentimenti nella quale Antoniani dimostra di possedere uno sguardo lucido sulla società in una fase dli continua evoluzione. La protagonista della storia è \ Tittoria, un'elegante ragazza borghese, impersonata da una Monica Vitti del tutto in contrasto col personaggio che abbiamo conosciuto in decine di film. Infatti, essa appare svuotata di ogni energia, melanconica, silenziosa oltre ogni limite, triste, tranne che nella meravigliosa scena della danza africana a casa di un'amica. Per il resto, si avverte e si tocca con mano il suo senso di vuoto, la sua angoscia, direi la sua noia borghese quando, con poche parole, lascia il suo fidanzato, innamorato come non mai. Giunge, pertanto, alla Borsa di Roma, dove sua madre (Lilla Brignone), in preda ad una folle ricerca di danaro e arricchimento, è impegnata in una serie di investimenti. Qui incontra Piero (un giovanissimo Alain Delon), un rampante agente di Borsa che, appena saputo della fine della relazione di Vittoria, si fa avanti. Da questo momento in poi, tutto il racconto

di Antoniani è incentrato sulla fredda, algida, grigia, storia d'amore tra Vittoria e Piero. Estraniamento e incomunicabilità costituiscono i due ingredienti principali di una relazione che è fatta di mezze frasi, di cose non dette, di timidi baci, di silenzi assordanti. E sono proprio i silenzi che caratterizzeranno la chiusura di un'improbabile storia che si manteneva in piedi su basi troppo fragili. La prova di quanto materiale fosse la vita di Piero, Vittoria l'avrà a seguito di un incidente automobilistico nel quale morirà un giovane ubriaco con la macchina rubata qualche ora prima proprio al freddo agente di Borsa. Il quale, si preoccuperà solamente della carrozzeria e della riparazione del radiatore, senza pensare a quella povera vittima. Si daranno, poi, appuntamento per il giorno dopo, ma nessuno dei due andrà al luogo previsto. Documento imprescindibile per comprendere la società italiana nel boom degli anni sessanta, Antoniani riesce in modo impeccabile a descrivere il mondo borghese con tutte le sue debolezze e contraddizioni. D'altronde, lui stesso ha sempre affermato che fu proprio la conoscenza di quel vuoto universo che gli indicò temi, personaggi e conflitti di sentimenti. Il cinema di Antonioni è un cinema un po' più complesso rispetto a tanti suoi coevi, perché è un cinema dove le immagini, le atmosfere e i silenzi prendono il posto dei dialoghi, delle battute, delle scene chiassose. Il grigiore esistenziale e il vuoto

assurgono infatti a protagonisti autentici, insieme al denaro che fa eclissare ogni barlume di relazione sociale. Girato a Roma, all'E,ur, s'intravedono la natura morta e i suoi freddi palazzi che danno, con la loro schematicità, un senso di vuoto, così come i mitici silenziosi minuti finali. Pre1mio speciale della giuria a Cannes e fine del bianco e nero per Antoniani che da quel momento girerà solo film a colori. Voto: 8

Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanny Loy

Napoli fu la prima fra le grandi città europee ad insorgere contro l'occupazione tedesca ed a liberarsi da sola nella seconda guerra n1ondiale. Dal 27 settembre 1943 (pochi giorni dopo l'armistizio) e fino al 30 settembre, un'insurrezione popolare nata liberamente liberò la città dal nemico tedesco ed i napoletani, armati di fucili, pietre, bottiglie di benzina, armi improvvisate, suppellettili di ogni tipo riuscirono in un'impresa sbalorditiva per coraggio ed abnegazione. Di quelle quattro giornate, Nanny Loy ci offrì una rievocazione superba, storicamente impeccabile, mettendo in campo tutto il suo estro narrativo. Scene indimenticabili furono quelle della fucilazione del marinaio (Jean Sorel) davanti alla folla inerme costretta ad applaudire, così come la rivolta dei terribili "scugnizzi" (in particolare Gennarino Capuozzo, cui il film è dedicato) armati di pietre e pochi fucili. Lunghi episodi di guerriglia tra le macerie di una città in ginocchio (ma non doma) avvolgono lo spettatore in un turbine di emozioni che appassionano e colpiscono il cuore. Pro-

tagonisti gli ultimi accanto ai borghesi, le donne accanto ai loro figli, gli anziani e i giovani, in una rivolta che ebbe del miracoloso se messa in relazione con i potenti mezzi bellici dell'ex alleato. Loy predispose un cast di eccellenza, pescando tra le migliori professionalità del tempo. Tra i tantissimi attori, si nota infatti il solito straordinario Gian Maria Volonté, Lea Massari, Luigi De Filippo, Aldo Giuffré, Enzo Turco (don Pasquale, il fotografo ambulante di Miseria e nobiltà), Pupella Maggio, Regina ]Bianchi, Enzo Cannavale, Frank Wolff, Raf Vallone, Carlo Taranto, Antonella Della Porta ed altri che si htrebbe fatica a ricordare. La potenza evocativa ebbe maggiore effetto anche grazie alle musiche di Carlo Rustiichelli, senza dimenticare il montaggio di Ruggero Mastroianni e la fotografia di Marcello Gatti. Quella di Napoli è una meravigliosa pagina di unità e coraggio che dovrebbe essere studiata ed approfondita in tutte le scuole, magari anche con la visione di questa magnifica pellicola, ricca di poesia e lirismo, giustamente candidata all'Oscar come miglior film straniero e migliore sceneggiatura. Esempio di cinema di livello nettan1ente superiore alla media, un capolavoro misconosciuto da rivalutare. Voto: 9

73

Alta infedeltà (1963) di Franco Rossi, Elio Petri, Luciano Salce e Mario Monicelli

Negli anni Sessanta non era cosa rara unire le forze e girare un film sfruttando le idee di più registi. Bastava trovare un filo conduttore, connotarlo con le proprie caratterizzazioni e il gioco era fatto, esattamente come un puzzle allegro e divertente. Prova riuscita in questo lungometraggio, film strutturato in quattro episodi, tutti incentrati sulla gelosia, nelle sue forme più assurde e imprevedibili. Si va dall'impiegato Franco Mangini (Nino Manfredi) che, gelosissimo della moglie, crede che la stessa sia oggetto delle attenzioni di un bel ragazzo, il quale, invece, è a lui interessato, a Laura che vuole a tutti i costi tradire suo marito, ma si ritrova a letto con lo stesso (Charles Aznavour). Fino ad una nevrotica Monica \ l itti che, accecata di gelosia per il marito, va a letto con il suo migliore amico. Per finire, probabilmente l'episodio più divertente, "Gente modernà' di Monicelli, con Ugo Tognazzi e Michele Mercier (la vedremo ampiamente nei panni di Angelica), dove la moglie costituisce merce di scambio per riparare delle ingenti perdite al gioco. Film raro,

74

forse colpevolmente caduto nel dimenticatoio, ma dotato di ottimi spunti che s'inseriscono nella lunga linea di una commedia all'italiana, terreno fertile oltre ogni immaginazione. Se a tutto ciò si aggiunge un cast d'eccezione, nutrito come non mai (Claire Bloom, Sergio Fantoni, Bernard ]Blier, Fulvia Franco, John Philip Law), si ha un'idea di un potenziale assolutamente elevato messo in campo per i quattro episodi ("Scandaloso", "Peccato nel pomeriggio", "La sospirosa'' e "Gente Moderna'') tutti da gustare. Voto: 7,5

75

Venga a prendere il c~(jè da noi (1963) di Alberto Lattuada

Tratto dal romanzo La spartizione di Piero Chiara (che avrà anche una piccola parte nel film), è un racconto che mette a nudo tutte le palesi contraddizioni di una borghesia dura a morire con i suoi ideali e le sue perversioni, una borghesia fatta di cliché e apparenze. Siamo a Luino, nel varesotto e il protagonista si chiama Emerenziano Paronzini (uno straordinario Ugo Tognazzi), vice capo servizio dell'ufficio delle Imposte, il quale viene trasferito nella cittadina lombarda e decide che, alla sua non più giovane età, è arrivata l'ora di contrarre matrimonio. C:onosce pertanto tre sorelle benestanti, le sorelle Tettan1anzi, con cui intreccia una relazione amichevole, i primi inviti a cena, i racconti iperbolici, le sue assurde 1nanie (usare il vino come collutorio, pulirsi i denti con lo stecchino). Poi,fatte le opportune scelte, decide di sposarsi con una delle tre (Angela Goodwin, che rivedremo anche in Amici miei), ma non disdegna affatto la corte delle altre due fameliche sorelle(la giunonica Francesca Romana Coluzzi, protagonista anche in Serafino e Milena Vuko-

tic, storica moglie di Fantozzi), tra ipocrisie e luoghi comuni, senza disdegnare anche una puntatina sulla cameriera, che gli costerà molto cara. Da rimarcare che tutto il lungometraggio si basa sulle insistenti vanterie di Emerenziana e sulle sue battute pruriginose, al limite del boccaccesco, nonché sulle voglie represse delle sorelle Tettamanzi, che scoprono d'un colpo le loro pulsioni erotiche, dapprima sopite. Il tutto, concentrato in una provincia che tutto vede e tutto sente, tra battutacce e scene grottesche, ma il divertimento non manca. Musiche di Fred Bongusto. Voto: 7,5

77

Ieri,oggi e domani (15~63) di Vittorio De Sica

C'erano una volta delle alchimie particolari che si creavano tra alcuni attori che lasciavano sbalorditi. Era come una magia, un tocco divino che consentiva ai registi di girare anche le scene più difficili senza troppi problemi. Quella tra Sofia Loren e Marcello Mastroianni era una di queste alchimie, un sodalizio che ha prodotto frutti copiosi per la commedia italiana, sbancando botteghini e vincendo premi in tutto il mondo. In questa commedia, strutturata ad episodi, abbiamo la consapevolezza di quan1to sopra, ma anche la versatilità di una Loren mai così avvenente in ogni sua manifestazione. Nel primo episodio, ''Adelina'', è una venditrice di contrabbando di sigarette a Forcella, nel cuore di Napoli, ma deve fare i conti con una condanna da scontare. I prim.i tempi riuscirà ad evitare la galera solo perché i finanzieri la troveranno sempre incinta, ma un incidente porterà il marito a non essere più in grado di procreare e quindi, sarà arrestata. Per quanto fantasioso possa risultare, effettivamente il primo episodio, scritto dal grande Eduardo, fu preso di-

rettamente dalla realtà, com una napoletana (Concetta Muccardi)che ebbe ben 19 gravidanze per evitare la galera. Il secondo, sicuramente il più debole, s'intitola ''Anna'' ed è ambientato a 1'v1ilano e vede la Loren negli insoliti panni di una moglie di un ricco industriale che tradisce con un giovane di basso rango, ma un banale incidente stradale rivelerà tutto il suo scarso interesse per quell 'amore effimero. Il terzo episodio, "Marà', la protagonista è una prostituta romana d'alto bordo che abita in un palazzo che si affaccia su Piazza Navona, dove riceve i suoi clienti. Ma conosce, in quanto dirimpettaio, un giovanissimo sacerdote che studia in collegio il quale s'innamora perdutamente di lei. Questo episodio è passato alla storia del cinema mondiale per lo spogliarello della Loren con Mastroianni assolutamente inebetito che n1iagola a letto biascicando parole incomprensibili. De Sica ha ritratto felicemente i tre episodi, costruendo abilmente i personaggi su misura per i due protagonisti, come un abile sarto fa con i suoi vestiti. Nel cast, però, ci sono anche altre figure che non possono considerarsi di secondo piano, perché riempiono di contenuti ed arricchiscono le scene. Ci riferiamo a Carlo Croccolo, Aldo Giuffrè, Tecla Scarano, Tina Pica, .Agostino Salvietti, addirittura s'intravede il maestro i\rmando Trovajoli. Premio Oscar nel 196 5 come miglior film straniero e David di

79

Donatello per entrambi i protagonisti. Sinceramente, era il minimo che si potesse attendere. Imperdibile. Voto: 1O al primo e al terzo episodio, 7 al secondo.

80

Il boom (1963) di Vittorio De Sica

Fotografia semiseria sugli anni del progresso nell'Italia dei primi anni sessanta, film che riflette e descrive l'aria borghese di alcune famiglie rampanti della Roma capitolina. Giovanni Alberti (Alberto Sordi) è un imprenditore edile in grande difficoltà economica, sommerso dai debiti ed in cerca di liquidità. Non lo aiutano né gli amici e colleghi, che preferiscono voltarsi dall'altra parte dinanzi le sue richieste di prestiti, ne' una moglie troppo frivola (Gianna Maria Canale) e incapace di optare per umo stile di vita più sobrio. Il fallimento è dietro l'angolo, allorquando - durante un incontro di lavoro - una ricchissima moglie (una severissima ed autoritaria Elena Nicolai) di un altro imprenditore (Ettore Geri) gli offre la possibilità di uscire dalla crisi economica a patto di vendere una cornea al proprio marito, vittima di un incidente di lavoro. Proposta bizzarra, illecita sicuramente, ma ben remunerata, addirittura con un ricco anticipo, che Giovanni incassa subito. Da qui il ritorno ad una nuova vita, le feste nel lussuoso appartamento dell'Eur, il ricongiungimento momentaneo con la propria consorte e con i propri amici, il tutto in un clima di rinnovata

81

tranquillità ed agiatezza. jMa verrà il giorno dell' operazione ed allora saranno guai. Film dell'ipocrisia, dei rapporti finti, della convenienza, De Sica calca la mano e grazie alla sceneggiatura di Cesare Zavattini monta una storia che regge bene, anche grazie all' apporto straordinario di Sordi, ma che sfiora il grottesco, che affida all'iperbole la cartolina di quegli anni frenetici di costante progresso economico. Le scalate sociali, le speculazioni edilizie, i prestiti, le cambiali, tutte facce della stessa medaglia di un ceto medio borghese che vuole emergere negli anni della ricostruzione. Si balla l'hully gully si beve fino a sera tardi, si fanno tanti pettegolezzi, partite a tennis, ma quando l'amico chiede aiuto scappano tutti. Particolare curioso e, per quanto mi riguarda, anche un po' sgradevole: ad un certo punto Alberto Sordi chiede alla Canale di trasferirsi a Catanzaro per un nuovo incarico, visti i tempi, ma la ricca signora borghese risponde atterrita: «Chiedimi tutto, ma a Catanzaro mai». Commedia divertente, con un cast di buon livello e le musiche del solito grande maestro Piero Piccioni, asso pigliatutto in quegli anni frenetici e creativi. Voto: 7

Otto e mezzo (1963) 4:fi Federico Fellini

Considerato dalla critica unanime come il capolavoro del regista riminese, in realtà è un film senza un'apparente trama, un filn1 in cui si svela cosa c'è dietro la macchina da presa. ]E Fellini è particolarmente abile nel "disegnare" storie-non storie che appartengono alla genesi di ogni produzione artistica. Si nota infatti Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) che da regista consumato si avvia alla nascita di una pellicola di cui però non c'è una trama vera e propria: esistono gli attori, gli sceneggiatori, il ricco produttore, ma è tutto immerso nella confusione mentale del regista. Il quale è alle prese con una moglie scaltra e astuta (Anouk Aimee), con un'amante capricciosa (Sandra Milo), con la donna dei suoi sogni (Claudia Cardinale, finalmente non doppiata) e con tutta una serie di personaggi che costituiranno il cast di questo film immaginario. E sussurra a bassa voce: «Volevo fare un film onesto, senza bugie di alcun genere, un film che potesse essere d'aiuto un po' a tutti. A che punto avrò sbagliato strada?». A scanso di equivoci, nonostante il racconto di Fellini soffra un po' di lentezza narrativa, non c'è dubbio che la mano del maestro si appalesa

in tutta la sua maestosità. ]'.'Jon mancano infatti scene magnifiche e fortemente evocative, tipiche del cinema felliniano: l'immancabile circo naturalmente, l'harem del regista, le prove delle scene con il megafono, tutti spezzoni dal sapore autobiografico. Guido appare sempre svogliato, senza idee, alla ricerca di un'identità, alle prese con situazioni interiori che non riesce a dissimulare. Le donne che lo circondano sembrano non soddisfarlo, nonostante le continue attenzioni che gli riservano, in un groviglio di situazioni non proprio chiare. E poi, dulcis in fundo, c'è la scena finale che merita da sola l'intera visione, quasi un commiato amaro dal set con tutta la troupe al completo. Fellini si dimostra, ancora una volta, cineasta di caratura internazionale: riuscì infatti a tirare fuori un capolavoro senza avere in mano una trama vera e propria. Nel cast grandi nomi come Barbara Steele, Mario Pisu, Annibale Ninchi, Rossella Falk e tanti altri. Il titolo deriva dal numero dei film sino a quel momento girati, alcuni dei quali in coppia con _Alberto Lattuada. Musiche dell'onnipresente Nino Rota. Voto: 9

Le mani sulla città (19163) di Francesco Rosi

Opera magistrale, che riesce a cogliere perfettamen te i fenomeni, i mutamenti, le evoluzioni della politica italiana attraverso una storia drammatica che risuona attuale come non mai. La speculazione edilizia sta alla base del film, ma soprattutto il maestro Rosi ci mostra con assoluta nitidezza e fluidità tutto ciò che sta dietro un accordo "immorale": gli affari, le rendite, i pacchetti di voti, le relazioni ambigue, gli accordi sottobanco. Tutto ciò rende la vicenda, come detto, di un'attualità disarn1ante e drammatica nel suo svolgimento. La scena si svolge a Napoli ed inizia con il crollo di un palazzo nel cuore della città a seguito del quale perderanno la vita due persone ed un bambino l'uso delle gambe. Ma il consiglio comunale, imperterrito, concede la licenza 1edilizia e vende un terreno per nuove costruzioni ad un imprenditore edile che, guarda caso, è lo stesso del crollo della palazzina e, per giunta, riveste anche il ruolo di consigliere comunale. Contro questo modus operandi si leva altissima la voce da parte delle opposizioni, in particolare da parte del consigliere De Vita (Carlo Fermariello, non un attore professionista, ma un vero sindacalista e uomo

politico, ingaggiato sul can1po da Rosi dopo averlo visto all'opera con la sua verve e la sua competenza in materia urbanistica) e sono magnifiche le scene delle lunghe discussioni di un consiglio comunale in parte colluso con i poteri forti. E~mblematica, poi, appare la didascalia finale: «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce». Rosi ha disegnato un quadro sociale e politico che sfiora la perfezione, ha fornito un'autentica lezione di cosél significhi film di denuncia e per far ciò si è dovuto "sorbire" tantissime sedute di consigli comunali partenopei, proprio per imparare a ricondurre fedelmente sullla pellicola il clima, le gestualità, gli umori di un'assise cittadina. Per fare ciò, si avvalse di straordinari attori professionisti, ma anche di semplici giornalisti e critici cinematografici. Nel cast spicca un grande Rod Steiger nei panni dell' imprenditore Edoardo Nottolla, ma anche un altrettanto convincente Salvo Randone e il sempre valido Guido Alberti. Lettura stilisticamente impeccabile di Rosi e film che si vede con piacere anche a distanza di sessant'anni. Non sarebbe male se lo proiettassero nelle scuole. Vinse il Leone d'oro a Venezia ed al regista, esclusivamente per questo film, conferirono la laurea honoris causa in pianificazione territoriale e urbanistica nel 2005. Voto: 9

86

Il processo di vérona (1~963) di Carlo Lizzani

Resoconto veritiero, documentato, lucido, della fine del fascismo dall'ordine del giorno Grandi (25 luglio 1943) fino alla fucilazione dei cinque "traditori". Tutto il film è basato sulla figura di Galeazzo Ciano (interpretato alla grande da Frank Wolff, doppiato però dall'immenso Nando Gazzolo) e di sua moglie Edda Mussolini (una Silvana Mangano turbata e combattiva, perennemente com la sigaretta in mano), sui ripensamenti, sulle ragioni, sulle giustificazioni, sui perché di quel voto che, di fatto, esautorò Mussolini, consegnando l'Italia al Maresciallo Badoglio. Non solo, ma l'intero resoconto si basa sui diari di Ciano e sulle contrattazioni con i tedeschi per consegnarli in cambio della vita. Lizzani, come al solito, appare lucido nel raccontare gli eventi come emersi dai documenti, descrive con verosimiglianza intere fasi processuali, fino alla richiesta di grazia, firmata dagli imputati e mai pervenuta al l)uce. Per rendere credibile l'intera pellicola, il regista romano si servì di un cast di altissimo livello, formato da attori straordinari come Claudio Gora (il giudice istruttore sempre con occhiali scuri), Salvo Randone (il pubblico accusatore),

Ivo Garrani (Roberto Farinacci), Franocoise Prèvost (Frau Beetz), Andrea Checchi (Dino Grandi), Henri Serre(Emilio Pucci), Umberto D'Orsi (Luciano Gottardi), Giorgio De Lullo (Alessandro Pavolini), Vivi Gioi (Donna Rachele), Tino Bianchi (il giudice Vecchini). Sceneggiatura di lfgo Pirro, soggetto di Sergio Amidei e meritato David di Donatello per Silvana Mangano. Come detto, ricostruzione storica perfetta, clima incandescente, scene claustrofobiche, impianto narrativo che regge fino all'epilogo finale che tutti conoscono. Andrebbe proiettato nelle scuole poiché co. . . . stltuisce uno spaccato storico troppo importante per essere ignorato. Illuminante. Voto: 8,5

88

Matrimonio all'italiarla (1964) di Vittorio De Sica

Trasposizione cinematografica della commedia di Eduardo e successo gararnti to grazie alla collaudata coppia formata da Marcelllo Mastroianni e Sofia Loren. La storia di Filomena Marturano e di Domenico Soriano è una vicenda passionale e amara, che contiene molti risvolti di natura sociale ed etica, ma rimane impressa nella mente dello spettatore perché ricca di umanità, sia pure calata in un clima apparentemente folcloristico. E poi, perché si passa dall'amore all'inganno, dal tradimento alla verità, dai bombardamenti della seconda guerra alla ricostruzione degli anni sessanta. I bassi di Napoli, i postriboli, gli avventori, le ristrettezze economiche, i compromessi, le passioni, il tutto raccontato con la tecnica del flashback da un regista che conosceva la macchina da presa come le sue tasche. Ma su tutto primeggia l'alchimia irripetibile dei due protagonisti, i quali sembravano fatti per recitare insieme: con gli sguardi, le parole, i silenzi, i baci appassionati. Nel cast figurano nomi di assoluto livello come Aldo Puglisi (impossibile dimenticarlo nel

capolavoro di Pietro Gern1i Sedotta e abbandonata), Tecla Scarano (Rosalia), Marilu' Tolo (Diana), Gianni Ridolfi (Umberto) e Vito Iv1orriconi. Conquistò meritatamente due nomination agli Oscar (la Loren e migliore film straniero), un Nastro d'argento e ben quattro David di Donatello, per una storia che non finisce mai di stancare e che non pare risentire del logorio del tempo. Musiche di Armando Trovajoli e produzione di Carlo Ponti. Voto: 8,5

Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone

Con l'avvento di Sergio Leone e i suoi spaghetti western, si assiste ad un ca:m biamento che potremmo definire epocale per quanto riguarda il linguaggio, le riprese, i tempi morti, le mlusiche. Non c'è dubbio alcuno, infatti, che esista un prima e un dopo Sergio Leone, vista la straordinaria genialità messa in campo dal regista romano, uno dei pochi facilmente esportabili anche in America. E pensare che la gestazione di questo primo episodio di quella che verrà battezzata come "la trilogia del dollairo" ha subito tanti inciampi, tanti ripensamenti, tanti ostacoli, che - in tutta sincerità - collidono con la meraviglia di una pellicola epocale. Il budget poco cospicuo, la scelta oculata dei protagonisti, l'incredibile scenografia, i costumi, i dialoghi, le musiche, tutto sembrava propendere per un risultato modesto o comunque inferiore alle attese. E invece miracolo fu. Tutto sembrò incastrarsi alla perfezione come un puzzle gigantesco dove ogni tessera era collocata al punto giusto. A cominciare dalla scelta di un giovane americano, sconosciuto ai

91

più, Clint Eastwood (doppiato da un immenso Enrico Maria Salerno) che convinse il regista per quelle sue movenze al rallentatore, per quella connaturata apatia che faceva da contraltare alla velocità di esecuzione quando impugnava la C:olt. E poi l'eclettico Gian Maria Volonté (celebrato persino dagli Oasis nel retro di copertina del loro primo album Definitely Maybe) nelle vesti dello spietato R~amon, ma i tantissimi caratteristi non furono da mteno. Come dimenticare le facce trucidi di Mario Brega, Aldo Sambrell, Sieghardt Rupp, Wolfang Lukschy, ]Benito Stefanelli o la voce cavernicola di Joseph Egger (Piripero con le sue casse da morto), gli occhi azzurri di Marianne Koch (Marisol), lo sguardo di José Calvo nei panni di Silvanito? E poi le musiche indimenticabili di Ennio Morricone, il fischio di Alessandro Alessandroni, la tromba di Michele Lacerenza. Per non parlare delle frasi, a corredo di scene passate alla storia, che ogni appassionato di cinema conosce a memoria: «Prepara tre casse», «Erano quattro», «Quando un uomo con un fucile incontra un uomo con la pistola... ». Ispirato da Kurosawa, Leone ebbe non pochi problemi anche dal punto di vista legale, ma il risultato ai botteghini fu clamoroso e c'è chi finalmente accostè> il western di Sergio Leone a quelli americani di John ]Ford ed aprì un varco verso altri episodi di eguale splendore. Se c'è un regista che possiamo appaiare tra i grandissimi di tutti i tempi,

92

se esiste un cineasta che può essere messo a confronto con gente come Bergman ,e Kurosawa, questi è certamente Sergio Leone. Senza se e senza ma. Voto: 1O con lode

93

Sedotta e abbandonatll (1964) di Pietro Germi

Il grottesco senso dell'onore, la verginità che viene violata, lo "scorno" con i vicini di casa, il matrimonio riparatore. Questi e tanti altri gli ingredienti di un film che muove da basi solide, grazie alla sceneggiatura di un fuoriclasse come Luciano Vincenzoni e si snoda attraverso una fitta rete di trame che vengono volta per volta riannodate e ricomposte. In una Sciacca meravigliosa, con una fotografia da brivido, Germi incastona una storia che pare uscita direttamente dal Medio Evo e non dagli anni sessanta del secolo scorso, quando ancora esisteva il delitto d'onore, una storia che lo stesso regista definì tragica e comica nello stesso tempo. La famiglia Ascalone risulta protagonista di uno scandalo senza precedenti, poiché la figlia minore (Stefania Sandrelli) rimane incinta del cognato, promesso sposo alla sorella mlaggiore. Il tutto, in pieno giorno, mentre gli altri componenti della famiglia dormono beatamente. Quando si viene a sapere che la giovane Agnese è incinta, viene fuori tutta la violenza sanguigna del padre (un Saro U rzì da premio Oscar),

94

il quale le tenterà tutte pur di salvare l'onore della famiglia. Capolavoro della satira, un Germi al massimo della sua arte, consegna alll'Italia tutta un manifesto insuperabile di cinema di altissimo livello. Non una parola di troppo, non una :scena fuori posto, ogni tassello viene montato con l'abilità di un architetto che sa di avere tra le mani un'opera superba. E Sciacca, diciamolo ancora una volta, si presta meravigliosamente per questo affresco di arte cinematografica. Da segnalare anche la presenza di un giovanissimo Lando Buzzanca e di Leopoldo Trieste con i "denti larghi". Poesia allo stato puro. Voto: 10

95

Il Vangelo secondo Ma~tteo (1964) di Pier

Paolo Pasolini

Trasposizione quasi fedele del Vangelo di Matteo, ritenuto dal regista quello più vicino alle sue idee. Si narra quindi la nascita di Gesù, il suo trasferimento in Egitto, l'uccisione dei bambini da parte di Erode, il battesimo di Giovanni ]Battista, il rientro a Gerusalemme fino al processo, la crocifissione e poi la resurrezione. Per potenza narrativa, scelta dei luoghi, fotografia, intensità ed evocazione è probabilmente il più bel film mai girato sulla vita di Cristo, sicuramente il più vero, fotograficamente impeccabile. Per fare ciò, Pasolini affidò il ruolo di protagonista non ad un attore affermato, ma ad uno studente di economia, sfuggito al regime franchista, presentatogli casualmente. Parliamo di Enrique Irazoqui (doppiato da Enrico Maria Salerno), all'epoca ragazzo di diciannove anni con idee marxiste e senza un soldo in tasca. Divenne poi un professore di econoimia e anche di letteratura e fu famoso nel mondo perché organizzava nel nord est della Spagna, a Cadaques, tornei mondiali di scacchi al computer. Detto questo, c'è da premettere che il

Cristo descritto da Pasolini è una figura molto umana, diremmo laica, sicuran1ente rivoluzionaria, che si irrita molto per 1 'ipocrisia umana, che lancia strali contro l'ingordigia e la cupidigia, che si scaglia contro chi predilige i beni materiali, che regala sorrisi sinceri ... ai bambini che accorrono a lui. E un continuo predicare quello della figura voluta da Pasolini, tra invettive e premonizioni, in costante cammino verso la morte certa, tra miracoli e parabole. Quando uscì nelle sale, paradossalmente fu apprezzato più dalla critica cattolica che da quella di sinistra, forse per la dedica a Papa Giovanni XXIII, sta di fatto che, come ricorda il produttore Alfredo Bini, fare a quei tempi un film di Pasolini sulla figura di Cristo era un'impresa non da poco, vista la condanna a quattro mesi di reclusione per vilipendio della religione che lo stesso regista aveva ricevuto per l'episodio de "La ricotta'', tratto dal suo film Ro. Go.Pa. G. Per il cast, il regista friulano, fedele al suo infallibile intuito, reclutò quasi tutti attori non professionisti, gente del popolo presa sul posto ed inoltre diede spazio a sua madre (Susanna Pasolini) per il ruolo di Maria da adulta ed alcuni scrittori suoi amici come Natalia Ginzburg, Enzo Siciliano, Alfonso Gatto, Marcello Morante, fratello di Elsa. Infine le scene: fu girato interamente nel meridione d'Italia, perché corrispondente, secondo il cineasta, ai luoghi di Gesù, al contrario di Israele, troppo modernizzata.

97

Spazio quindi ai Sassi di ~vlatera, la valle dell'Etna, i castelli pugliesi, i calanchi di Cutro e la spiaggia di Le Castella con il castello .Aragonese in Calabria. Per le musiche originali si affidò al maestro Luis Bacalov, quelle non originali furono tratte da opere di Bach, Prokofiev e Mozart, ma si sente anche un blues arcaico con la voce di Blind Willie Johnson. Che dire? Capolavoro, capolavoro, capolavoro. Voto: 10

Il magnifico cornuto ( 1964) di Antonio Pietrangeli

Quando la gelosia diventa un'ossessione, quando un semplice sentimento u1nano si trasforma in patologia. Siamo nella ricca Brescia, l'ambiente è quello tipico borghese, i nuovi ricchi avanzano nella scala sociale, si fanno la villa, hanno la seconda macchina, vanno a Cortina a trascorirere le vacanze. Ma hanno anche un'altra abitudine: tutti tradiscono tutti, in un disperato tentativo di provare nuove emozioni. In questo contesto, Andrea (Ugo Tognazzi) è un ricco imprenditore che vende cappelli e costituirebbe un'eccezione alla regola do~m inan te in voga nella ricca cittadina lombarda. È infatti sposato con Maria Grazia (Claudia Cardinale), la quale non pensa minimamente di tradire il proprio consorte. Ma sarà proprio una relazione extraconiugale di Andrea che scatenerà paradossalmente in lui il germe della gelosia nei confronti della moglie, cosa che diventerà in poco tempo possessività e patologia. C:ommedia divertente, con dialoghi e situazioni ben congegnate, ma l'impatto di Tognazzi su tutta la storia è imponente, si prende la

99

scena con una maestria che non teme confronti. Da segnalare che anche il resto del cast è di livello ottimale, tant'è che si contano attori superlativi del calibro di Gian Maria Volonté, Salvo Randone, Bernard Blier, Lando Buzzanca, Michèle Girardon. Si può ben dire che al giorno d'oggi una siffatta commedia, sia pure con tutti i limiti dovuti ad una leggerezza palpabile, sarebbe campione d'incassi. Una curiosità sullo sfortunato regista Antonio Piet:rangeli: morì a soli 47 anni per annegamento durante le riprese di un film (poi ultimato da Valerio Zurlini) e suo figlio è il cantautore Paolo Pietrangeli. Voto: 7

IOO

Signore e signori ( 196 5) di Pietro Germi

C'erano una volta gli sceneggiatori, personaggi unici che scrivevano, sperimentavano, mutuavano dalla realtà situazioni e circostanze che vivevano in ' prima persona. E il caso di questa gemma del cinema italiano, uno spaccato della provincia veneta della metà degli anni Sessanta. I~ Luciano Vincenzoni, così come Age, Scarpelli e Flaiano riescono nell'intento di costruire una satira spumeggiante che si snoda attraverso tre episodi, tutti degni della più alta comicità di stampo italico. D'altronde, con sceneggiatori di quella levatura e con un cast composto da gente come Gastone Moschin, Virna Lisi (qui al massimo del suo splendore), Alberto Lionello, E,eba Loncar, Moira Orfei, Franco Fabrizi, Gigi Ballista, Olga Villi e Nora Ricci, il risultato era pressoché garantito. Ed infatti, la provincia veneta, Treviso per l'esattezza, viene fuori con tutta la sua paradossale ipocrisia, con i suoi tradimenti, le scenate di gelosia, glli ammiccamenti, le serate danzanti (al ritmo dei Ribelli, che cantano Chi mai sarà la ragazza del Clan). Sono gli anni del boom economico, gli anni in cui i costumi sono meno castigati, le gonne cominciano ad accorciarsi, gli scandali sono

IOI

fatti alla luce del sole. E G~ermi si conferma un maestro indiscusso nel ritagliare piccole metafore di vita borghese, frammenti di quotidianità, stille di satira calate in ambienti finto perbenista, facendo incetta di premi (David di Donatello, miglior regista e miglior produttore,Gran Prix a Cannes, ecc) e riconoscimenti. Dopo il capolavoro Sedotta e abbandonata, un altro capitolo di una carriera che lancia definitivamente il regista di Genova ai massimi vertici della cinematografia italiana e, quindi, rr1ondiale. Film che diverte, fa riflettere e stranamente risulta poco conosciuto al grande pubblico. Voto: 9

102,

Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli

Il film che consacrò Stefania Sandrelli come stella di prima grandezza del cinema italiano, una storia triste, ma anche un atto di denuncia nei confronti del mondo del cinema. Siamo negli anni sessanta, lo si nota dall'abbigliamento, dalle macchine Fiat, dalle musiche di Sergio Endrigo e Mina, dalle acconciature dei capelli e Adriana è una bella ragazza di provincia che "sbarcà' nella capitale per fare del cinema. Inutile dire che tutta la trama è incentrata sul dramma personale che vive la giovane, elemento trainante che s'incastra perfettamente nell'atto di denuncia contro l'intero mondo cinematografico. Adriana è molto bella, è elegante, raffinata, parla poco, ma appare sempre triste, concentrata sul suo lavoro, con una punta di candore che sfocia nell'ingenuità. Di ciò sapranno approfittarne personaggi di pochi scrupoli, faccendieri di ogni risma e anche qualche pseudo amica per regalarle consigli non richiesti e false promesse. La sceneggiatura (ad opera di Scola, Maccari e dello stesso Pietrangeli) è volutamente frammentaria, le vicende

103

della protagonista si agganciano a quelle dell'Italia del boom economico, della grande ricostruzione e della trasformazione dei costumi. Si passa dalle feste in casa agli approcci con uomini altolocati, dalle interviste per programmi televisivi ai momenti di crisi interiore e Stefania Sandrelli appare a suo agio nei panni della ragazza di provincia fagocitata dalla grande metropoli. Nel cast figurano attori di primissimo piano quali Ugo Tognazzi (vincerà il Nastro d'argento come attore non protagonista), del quale risulterà indimenticabile la sua piccola ma significativa parte di Baggini, uno spietato Enrico Maria Salerno (Roberto) nei panni di un regista di successo. E poi, si nota Nino Manfredi (un talent scout), Franco Fabrizi (Paganelli), Franco Nero (il meccanico)Turi Ferro (il commissario di polizia), Mario Adorf (il pugile), Robert Hoffmann, Jean Claude Brialy. Musiche del maestro Piccioni, ma tantissime canzoni dell'epoca che spesso la protagonista sente con il suo piccolo giradischi in casa. Ebbe tre nastri d'argento: oltre quello vinto da Tognazzi (memorabile, come detto, la sua performance di guitto che balla sul tavolo imitando il rumore del treno), conquistò il riconoscimento per la regia e la sceneggiatura. Film di denuncia che sicuramente lascia una traccia. Si vede . con piacere. Voto: 7,5

104

Per qualche dollaro in più (1965) di Sergio Leone

Musica, facce, sguardi, tempi, c'è tutto il cinema di Sergio Leone in questo secondo e splendido (forse il più bello fra i tre, ma è difficile dirlo) episodio della famosa trilogia del dollaro. (;li aggettivi si sprecano per definire un'autentica opera d'arte, soprattutto nell' epico duello finale, scena tra le più suggestive del cinema di tutti i tempi. Per dare più sostanza a questo film, Sergio Leone riconfermò i due protagonisti del primo episodio, ossia Clint Eastwood (Il Monco) e Gian Maria Volonté (El Indio), doppiato da Nando Gazzolo, nonché gran parte dei validi caratteristi (Mario Brega, Aldo Sambrell, Joseph Egger, Benito Stefanelli e in più Luigi Pistilli e un giovane lomenico Modugno), sempre ricchissima fonte di idee. Ma è l'approdo finale che risulta ricco di acume, intelligenza ed è spiazzante per i canoni dell'epoca, ossia il viaggio nell'emancipata Inghilterra. Assunta Patane'(una Monica Vitti al massimo della sua avvenenza) è una giovane siciliana che viene rapita, sia pure per sbaglio, da Vincenzo Macaluso (un Carlo Giuffrè perfietto in veste di latin lover di provincia), il quale - dopo averla svergognata- non la vuole sposare e scappa a Londra. Da qui, la partenza di Assunta per lavare la terribile onta, spalleggiata dalla madre e dalle sorelle, armtata di pistola, biglietto di sola andata, fotografia del traditore ed immagine sacra di San Luigi. E l'impatto con la capitale inglese sarà

131

tra i più devastanti, considerati i costumi e l' emancipazione femminile decisamente in linea coi tempi, ma Assunta saprà districarsi nella metropoli londinese facendo una serie di incontri che muteranno definitivamente il suo carattere. La Sicilia rimarrà sempre sullo sfondo, ma si nota con il passare del tempo che la ragazza con la pistola acquisisce maggiore disinvoltura e consapevolezza: "presta'' ]le proprie gambe affusolate per una pubblicità di calze, suona la chitarra in un bar/ristorante, si veste alla rnoda mutuando lo stile colorato della Swinging London, comincia a fare buone amicizie. Tutto ciò la renderà invulnerabile all'incontro finale con il traditore, presa oramai da un nuovo modo di concepire le relazioni d'amore il che la pone su distanze siderali da quello che era considerato il suo chiodo fisso. Commedia satirica ben riuscita, dialoghi e interpretazioni al massimo, caratteristi collaudati (Tiberio Murgia, il mitico :'Ferribotte" de I soliti ignoti, Stefano Satta Flores e Aldo Puglisi, il protagonista di Sedotta e abbandonata di Germi) ,clima londinese costruito con mano felice, musiche beat in linea con il clima sessantottino dell'epoca e prodotto finale di gran qualità. In parole povere, quella di Assunta è una favola a lieto fine, raccontata con sagacia, ironia, humour. Voto: 9 1

I

32,

Straziami, ma di baci saziami ( 1968) di Dino Risi

Anche il grande Dino :Risi s'iscrive al partito della commedia italiana dove protagonista è la gelosia e confeziona una storia convincente, dove si ride e si riflette nel contempo. Il film sta tutto sulle spalle di Nino Manfredi (Marino B,alestrini) che fa il barbiere di provincia e durante un raduno folkloristico incontra Marisa (Pamela Tiffin), una giovane marchigiana con la quale scatta subito il cosiddetto colpo di fulmine. Cominceranno gli incontri furtivi, le canzoni cantate a due voci (L'immensità di Don Backy), i pomeriggi al cinema a vedere il Dottor Zivago, i sogni di gloria, ma tutto sarà ostacolato dal padre di lei, uno scultore dai tratti ruvidi, che ritiene Marino non all'altezza di sua figlia. Seguiranno infinite scene da fotoromanzo, tentativi di suicidio andati a vuoto, scenate di gelosia, perdita del posto di lavoro e tuffo nel Tevere da parte del povero Marino. Nel frattempo, la bella marchigiana si sposerà. con Umberto Ciceri (Ugo Tognazzi), un sarto sordorr.tuto con cui andrà a vivere, ma gli eventi saranno tali che il sogno d'amore alla fine

1 33

sarà coronato, complice anche la fortuna. Commedia simpatica, divertente, che offre anche diversi spunti dal punto di vista sociale, che parla di classismo e sfruttamento della manodopera nel mondo del lavoro, che ricalca con grazia il cliché, sempre molto seguito, della gelosia come tratto dominante di ogni rapporto d'amore. E poi Dino Risi, oltre alla sceneggiatura del duo Age/Scarpelli, si avvale di una serie di caratteristi che riempiono le scene:, colorandole di significato e divertimento. Mi riferisco al sempre burbero Gigi Ballista che fa l'ingegnere, ad Ettore Garofolo (già visto in Mamma Roma di Pasolini), che fa il barman, Livio Lorenzon (il celebre rnaggiordomo de Il vedovo), Moira Orfei, Michele Cirn.arosa, perfino il lottatore e nuotatore Samson Burke, visto già nei panni di Maciste con il grande Totò. La rr1usica che fa da sfondo è un tango, invero molto accattivante in voga nel periodo fascista dal titolo Creola. Voto: 7

1 34

Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani

Tratto dal primo romanzo di Leonardo Sciascia, il primo vero racconto in cui si parla esplicitamente della mafia nel passaggio da semplice fenomeno rurale a fenomeno cittadino. Ambientato interamente a Partinico, Il giorno della civetta è uno spaccato fedele della mentalità siciliana di inizio anni Sessanta e parte da un duplice delitto che tutti vorrebbero come passionale. A condurre le indagini c'è il giovane capitano Bellodi dei carabinieri, proveniente da Parma («vicino Milano») e la sua intuizione è quella giusta: non pista passionale, ma omicidi che rientrano nella speculazione edilizia e nel meccanismo di assegnazione degli appalti. Tuttavia, per portare avanti questa intuizione ci vogliono le prove e qui il gioco omertoso e degli intrecci investigativi sembrano fare a pugni, vista la palpabile impunità cui gode il boss del paese. Damiano Damiani fece subito centro con questa storia nella quale appare incredibile come tutti gli attori avessero le fisionomie facciali giuste: dal capitano Bellodi (un giovane Franco Nero che sembra la copia di Terence

1 35

Hill) a Don Mariano (Lee J. Cobb), dal confidente Parrinieddu (Serge Reggiani) alla meravigliosa Rosa Nicolosi (una Claudia Cairdinale da sballo, doppiata però in maniera straordinaria dalla grande Rita Savagnone, moglie di Ferruccio Amendola), dall'ineffabile Pizzuco (Nehemiah Persoff) alla macchietta Zecchinetta (l'ex puparo di Messina Tano Cima.rosa, al suo primo lavoro). Stessa cosa dicasi anche per Lino Coletta e Vincenzo Falanga, perfetti nella parte di scagnozzi di Don Mariano. c;razie anche alla fotografia di Tonino Delli Colli, Darniani ci regalò un must del genere giallo/ mafioso, un film mai sovrabbondante, ricco di citazioni, alcune delle quali addirittura faranno parte, da quel momento, del linguaggio comune: come dimenticare infatti la divisione degli uomini che tanto efficacemente ci narra Don Mariano, definendo «quaraquaquà» l'ultima categoria sulla terra? Film che ha segnato un'epoca, che non smette mai di suscitare emozioni, un piccolo capolavoro che, a mio parere, influenzerà tante opere che in futuro avranno maggiore fortuna (vinse infatti solo un David di Donatello). Imperdibile. Voto: 9

Banditi a Milano (1968) di Carlo Lizzani

Film che si potrebbe definire documentaristico, girato quasi in presa diretta rispetto ai fatti narrati. La storia è quella sanguinosa della famigerata Banda Cavallero, che alla fine degli anni Sessanta tenne in scacco la polizia di Lombardia e Piemonte con ben 17 rapine, alcune con morti ammazzati. Antesignano del genere polizziottesco, la pellicola cli Lizzani si pone come una ben documentata cronaca della rapina al Banco di Napoli di Milano eseguita sette mesi prima dell'uscita del film. I personaggi sono tutti ben caratterizzati, le scene degli inseguimenti appaiono veritiere, ma soprattutto ciò che colpisce sono le fasi preparatorie alle singole rapine, dove nulla è rimesso al caso. Protagonista assoluto è un maestoso Gian 1v1aria Volonté nei panni del capo della banda (Piero Cavallero), in perfetto stile e accento piemontese, con dosi abbondanti di cinismo e spietatezza. I suoi modi sono spicci, la sua personalità è debordante, il suo accento e le sue movenze rasentano la perfezione. Lo affiancano un convincente Don Backy, complice silenzioso e obbediente, un giovanissimo Ray Lovelock ed un altrettanto giovane Tomas Milian sbarbato nelle vesti del Commissario Basevi.

1 37

Figurano anche Piero Mazzarella, Carla Gravina ed Ezio Sancrotti. Le scene furono girate lì dove avvennero i fatti criminosi, quindi si scorge Largo Zandonai a Milano, la Fiat 1100 che cerca di sfuggire alle Alfa Romeo Giulia della Polizia, il tutto in una ricostruzione che, per l'epoca, destò meraviglia. Tra le canzoni della bella colonna sonora, spicca la splendida ¼rrei la pelle nera di Nino Ferrer. Apripista di un genere che negli anni settanta avrà molti seguaci ed un ricco filone che oramai fa parte solo del passato. Voto: 7

138

Serafino (1968) di Pietro Germi

Quando uscì fu un campione d 'incassi, anche grazie alla canzone cantata da un ispirato Adriano Celentano, all'epoca autentica rockstar italiana. Pietro Germi volle ricostruire la storia di Serafino nelle montagne tra l'Abruzzo e le Marche e la cosa funzionò benissimo, raccogliendo arnche i consensi della critica. Il pastore Serafin Fiorello parte militare ma viene immediatamente congedato per scarse attitudini ed indisciplina, di conseguenza può riprendere il suo lavoro nei campi con le pecore e i suoi amici pastori. Vive con una zia, sulla quale però hanno messo gli occhi famelici i parenti per via dell'eredità. Ne succederanno di tutti i colori tra processi per interdizione, matrimoni andati in fumo, auto americane distrutte in un dirupo, avventure amorose a ripetizione. La storia è piacevole, raccontata con gusto e cura del particolare, i paesaggi sono un giusto corollario, la voce di Celentano non guasta. Ma bisogna sottolineare che anche gli altri protagonisti non sono da meno: Saro Urzì (eccellente come al solito) fa lo zio Agenore ed è sempre arrabbiato come da copione, Nerina Montagnani è la zia Gesuina, Nazzareno Natale è Silio, il pastore che canta

1 39

in osteria (in realtà la voce è dello stesso regista Pietro Germi), Benjamin Lev è l'altro pastore innamorato di Asmara, la prostituta (la giunonica Francesca Romana Coluzzi), Ottavia Piccolo è la splendida e perfida Livia, cugina e amante di Serafino. Tutto sembra girare per il verso giusto, il ritmo,, le battute, i colpi di scena, per una commedia che può appagare anche i palati .... più raffinati. E una storia che parla con rara efficacia di attaccamento al denaro, alle cose materiali, in contrapposizione alla "filosofia " del pastore Serafino che si vuole godere la libertà e per questo è amato da tutto il paese. Infatti, tutto ciò che possiede, lo divide con gli amici, mostrando una generosità ed una bontà d'animo che cozza con la rnalvagità di tutti i suoi parenti. In un certo senso è un hippy senza saperlo, un uomo semplice che ama la natura, lo stare insieme, un piccolo eroe di montagna che odia le convenzioni sociali e il danaro. Questa chiave di lettura la considero del tutto personale, ma le sensazioni piacevoli che mi ha regalato il film di Germi m'inducano a riflettere in questi termini su un personaggio sui generis e ricco di fascino. Ottima commedia, girata peraltro da un grande regista. Voto: 8,5

140

C'era una volta il ~st (1968) di Sergio Leone

Primo capitolo di un'altra trilogia, quella del tempo (gli altri due saranno G'iù la testa e C'era una volta in America) ed altro colpo da maestro del più grande regista di tutti i tempi. Pirologo di dieci minuti sostanzialmente muto, azione rallentata il più possibile, ritmo scandito solo dal cigolare di una ventola e finale mitico con Armonica che porta via il corpo di Cheyenne mentre il treno arriva fischiando. Questo, ma anche molto altro per uno dei western più belli mai girati, un film nel quale regia, musica, montaggio, scenografia e attori formano un connubio unico ed irripetibile. La storia ha poca importanza, visto e considerato che la musica maestosa di Ennio Morricone regala emozioni a raffìca, anche grazie alla splendida voce di Edda Dell'Orso e le parole, così come i dialoghi servono a poco, tant'è che furono ridotti al minimo. Grazie al soggetto di due futuri registi come Dario Argento e Bernardo Bertolucci, alla fotografia di Tonino Delli Colli ed un cast stellare, Sergio Leone firmò un altro capolavoro nel quale non possono non

rimanere impressi nella mente di ogni spettatore gli occhi e lo sguardo di Claud.ia Cardinale (Jill), la freddezza di Henry Fonda (Frank), il suono dell'armonica di Charles Bronson (Armonica), la barba lunga di Jason Robards (Cheyenne), rna sono da segnalare anche le performance di Gabriele Ferzetti, Woody Strode, Lionel Stander e Paolo Stoppa. Un film epico, che influenzò tantissimi registi come Scorsese e Tarantino e che confermò Leone come artista di statura in ternazionale. "Io ho finito qui" dice Bronson alla Cardinale nella scena (non) d'amore più bella della storia del cinema. Spettacolo puro. Voto: 1O con lode

Il commissario Pepe (1965) di Ettore Scola

«C'è sempre più verità in una lettera anonima che in un proverbio cinese»: questa una delle frasi più significative di un film che si pone contro l'ipocrisia imperante di una provincia silenziosa e credente, che va in chiesa tutte le domeniche, ma che nasconde peccati inconfessabili. Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Ugo Faccio de Lagarda, Il commissario Pepe appare come uno straordinario specchio deformante di un'Italia silente, che agisce nell'ombra, che non fa rumore. Ma è la stessa Italia che produce, che crea posti di lavoro, che porta in dote pacchetti di voti. E che, di conseguenza, non conviene "toccare", consapevoli del fatto che sarebbe una materia scottante, di difficile gestione. Ettore Scola, unitamente al suo sceneggiatore Ruggero Maccari, imprimono alla storia un passo lento, circostanziato, prudente, ed affidano il ruolo di protagonista ad un Ugo Tognazzi volutamente sobrio, molto colto, in linea con un'etica che non trova riscontro nei silenziosi cittadini della provincia veneta di Casalnuovo (nome inventato). Infatti, quando il commissario Pepe, che solitamente agisce con il massimo della prudenza, scoperchia il vaso di

1 43

Pandora di un'inchiesta che mette a nudo "vizi e virtù" di un mondo apparentemente perbenista (prostituzione, pederastia, ecc), qualcuno più in alto di lui gli consiglia di lasciar perdere e di limi tarsi ai cosiddetti pesci piccoli. Girato tra Vicenza e Bassano del grappa, la storia appare come una commedia amara dai toni morbidi e la stessa figura del Commissario appare in linea con le sue scarse pretese, con la sua voglia di non scalfire consolidati equilibri. Nel cast figura il sempre simpatico Tano Cimarosa nei panni dell'agente Cariddi, Giuseppe Maffìoli nelle vesti di un mutilato che sembra avercela con il mondo intero e poi una serie di donne che fanno parte di quel mondo parallelo oggetto dell'indagine: Silvia Dionisio, Elsa Vazzoler, Dana Ghia, Rita Calderoni, Marianne Comtell, Véronique Vendell. Ma piace menzionare anche Gino Santercole, Pippo Starnazza e Umberto Simonetta. In pratica, un'opera moralizzatrice non portata a compimento per quieto vivere. Si vede con un misto di piacere e di amarezza. Musiche calzanti e, come al solito efficaci, di Armando Trovajoli. Voto: 7

1 44

Amore mio aiutami (1969) di Alberto Sordi

Per quanto il grande Albertone nostrano fosse osannato come attore (penso che nessuna persona sana di mente possa mettere in dubbio le sue immense doti interpretative), non fu la stessa cosa per il Sordi regista, scelta che molti, 1V1orandini tra tutti, misero sotto una cattiva luce. Eppure, questa, così come le altre storie raccontate dal Sordi regista appare convincente, ricca di spunti, piacevole, non banale. È chiaro che una grande mano la da una Monica Vitti al meglio delle sue possibilità, nei panni questa volta della moglie sì innamorata del proprio marito, ma che prende una sbandata colossale, ai liimi ti del patologico, per un altro uomo, conosciuto ai concerti di musica classica del mercoledì sera, complice sua madre. Il terzo incomodo (un algido Silvano Tranquilli)a dire il vero, non fa nulla per incrementare una passione che pare attanagli solo il cuore di lei. Ma la mogliettina, in ossequio alla sua naturale lealtà, decide di raccontare la verità all'ignaro marito, provocando naturalmente seri contraccolpi al loro ménage fa~miliare. Dialoghi sferzanti, colpi di scena a ripetizione, sonore scazzottate, tutte ben arricchite dalle soavi imusiche di Piero Piccioni,

1 45

fanno di questa commedia, nella quale compaiono pure Ugo Gregoretti e Mariolina Cannuli,un condensato piacevole di situazioni credibili e meno credibili, ma che funzionano a meraviglia. D'altronde, il tema della gelosia è stato sempre terreno fertile per i cineasti di tutto il mondo e la pur ricca cinematografia italiana non fece eccezione, tutt'altro. Gradevole. Voto: 7.

Dramma della gelosia (1970) di Ettore Scola

È possibile amare conteimporaneamente due uomini? Si può vivere cedendo alle lusinghe di due persone diverse nei modi e nel carattere? Questo è il dilemma, non risolto, di questa gradevole commedia all' italiana, scritta da Age e Scarpelli per uno Scola, raffinato interprete e cesellatore dei vizi delle classi subalterne. Oreste Nardi (Marcello M[astroianni) è un muratore con la passione per la politica e durante un comizio conosce un' avvenente fioraia (Monica Vitti), con la quale nasce un'attrazione fuori dal normale, nonostante egli sia sposato, sia pure con una donna molto più grande di lui. Tra i due, come detto, nasce una passione che sembra indissolubile, fatta di incontri al mare, lunghe telefonate d'amore, il tutto nella completa clandestinità. Tutto procede bene fino a quando Adelaide non conosce Nello (Giancarlo Giannini), un giovane pizzaiolo, del quale rimane irrimediabilmente attratta, finendo per vivere male quel rapporto fatto sì di carnalità, ma anche di rimorsi. Seguiranno tantissime situazioni tra il grottesco e l'imbarazzante, conscene tratte anche dalla politica attiva di quei tempi, con tanto di comizi e bandiere rosse, stralci che - effetti-

1 47

vamente - poco si adatteranno al tema principale che resta unicamente la gelosia. Oreste non si capaciterà di questo cambiamento radicale di Adelaide, addirittura si rivolgerà agli zingari per farsi fare una fattura, fino a quando non arrivedt il fattaccio che porrà fine alla disperata storia d'amore a tre. Commedia molto efficace, un Mastroianni n1olto simile allo stralunato Tiberio Braschi de I soliti ij~noti, una Monica Vitti alle prese con il suo consueto personaggio fatto di incertezze e cazzotti (ricevuti), un Giannini che sta a metà strada tra il comico e il burino. Belle le musiche di Armando Trovajoli, azzeccata la fotografia che ritrae una Roma sporca come non mai, trafficata e piena di smog. Pare che la sceneggiatura fu tratta da una storia vera, ma ciò non costituisce affatto un'eccezione, poiché sovente la realtà ha dato spunti e occasioni per grandissime pellicole. Particolarmente efficace risulta la presenza di Marisa Merlini, prostituta "timorata di Dio" e sorella di Adelaide e addirittura quella di un wrestler, Hércules Cortes, nei panni di un macellaio "con buone intenzioni", il tutto in un clima approssimativo e pecoreccio che contrassegnerà tutta la storia. Finale che riscatta e sorprende. Voto: 8

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Eli