Cento anni di cultura palestinese 8843043919, 9788843043910

Le vicende politiche della Palestina occupano da decenni la scena mediatica mondiale. L'immagine dominante dei pale

326 81 3MB

Italian Pages 263 [264] Year 2008

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Cento anni di cultura palestinese
 8843043919, 9788843043910

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Le sfere 42

A Pier Giovanni Donini

Isabella Camera d'Afflitto

Cento anni di cultura palestinese

Carocci editore

la

ristampa, marzo

l

edizione, novembre

a

©copyright

2008 2007

2007 by Carocci editore S.p.A.,

Finito di stampare nel marzo

Roma

2008

per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN

978-88-430-439 1-0

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.

171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Siamo su Internet: http://www.carocci.it

Indice

Introduzione

1.

11

Il risveglio culturale

19

Nascita di un'autocoscienza nazionale Il ruolo della stampa 21 Primordi femministi in Palestina 24

2.

L'incontro con l'Occidente

19

31

Prestiti e scambi tra culture: l'impegno degli intellettuali Traduzioni e adattamenti 38



La produzione letteraria prima del 1 948

31

45

La narrativa da KhalTI Baydas a Nagat1 Sidqi 45 Isl)aq Musà al-I:Iusayni 51 Gli ideali sovietici nella cultura palestinese 55 L'inquietudine del poeta 57



La nakbah

67

Etimologia della " catastrofe": gli scrittori raccontano 67 Tematiche ricorrenti nella produzione letteraria 73 Voci della diaspora: G abra Ibrahim G abra, Samirah 'Azzam, Ghassan Kanafani 78



La naksah

95

Letteratura della resistenza 9 5 La Palestina in versi 96 Scrittori dei T erritori Occupati

6.

11 o

127

Palestinesi-israeliani o arabi di Israele ?

Identità e appartenenza: nuove problematiche 12 7 Emil H:abibi tra pessimismo e ottimismo 130 Scrittori arabi che scrivono in ebraico 141



La letteratura dell'intifada

147

La rivolta delle pietre in versi e in prosa La seconda intifada 1 56

8.

Il romanzo contemporaneo

1 61

Vecchie e nuove voci della narrativa



147

1 61

L'autobiografia nella letteratura palestinese

169

Da memoria individuale a memoria collettiva

10. Il teatro palestinese

169

179

Teatro d'arte e teatro d'impegno

11. La Palestina nel cinema

179

189

Film e documentari per raccontare la storia

189

12.

Il fumetto palestinese La forza di una vignetta N agi al-'Ali 1 9 9

Note

197

197

211

Bibliografia

239

Indice dei nomi e delle opere

251

Introduzione

Le vicende politiche della Palestina occupano da decenni la scena me­ diatica mondiale. L'immagine dominante dei palestinesi è inevitabil­ mente legata all'irrisolto conflitto arabo-israeliano, con la rappresenta­ zione di leader, vittime, militanti, guerriglieri e, da qualche tempo, con l'ambigua figura del martire-attentatore. Eppure, nel breve e illusorio spiraglio di pace che si era aperto a Madrid nel 1991 erano apparsi per la prima volta dei volti diversi: un anziano medico, un'elegante signora anglicana, un professore formatosi negli Stati Un iti e un alto esponente politico. Non avevano divise militari né kefiyeh. Erano quattro volti di una società civile prestata alla politica per guidare i palestinesi ai nego­ ziati di pace avviati appunto a Madrid 1 • La politica è stata certamente " invasiva" nella difficile storia di que­ sto popolo, ma quanto ha condizionato ed è penetrata nella vita socio­ culturale dei palestinesi ? Nei filmati o nei resoconti sugli eventi quasi sempre luttuosi che coinvolgono i palestinesi, si parla sovente di Ramallah, si vede la piazza centrale di questa città con la sua curiosa fontana circondata da leoni di pietra, uno dei quali, fatto questo ancora più curioso, ha un orologio so­ pra la zampa. Forse indica che il tempo scorre anche per i palestinesi, che la società cambia, evolvendosi o involvendosi ? Difficile a dirsi. Di certo in quei filmati e in quei reportage non si vede quasi mai la bella casa di pietra che ospita il centro culturale al-Sakaklni, le sue mostre, le sue proiezioni, la sua sala per le letture pubbliche. Con questo libro, per una volta si sposta l'obiettivo dal conflitto per mettere a fuoco le espressioni artistiche, culturali, letterarie, teatrali, cinematografiche della Palestina. La cultura palestinese, tuttavia, appare oggi strettamente legata alle vicende storico-politiche della regione e, soprattutto, alla fase più recen­ te della spartizione, dell'esodo, dei campi profughi, della resistenza, con tutte le implicazioni che ne sono derivate. Si potrebbe così pensare che una cultura palestinese sia nata soltanto a partire dal 1948, se non dal 11

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

1 9 67 o addirittura dalla fi n e degli anni ottanta: cioè dalle fasi salienti della più recente storia mediorientale. In realtà, si può parlare di una cultura p rettamente palestinese già all'inizio del xx secolo, quando in Palestina si comincia a cristallizzare una coscienza nazionale e il concet­ to di patria inizia a trovare una sua rilevante espressione letteraria. Nei primi anni del Novecento la produzione letteraria attraversa una fase di transizione che trae le sue origini dalla nahrj,ah e dal filone tradizionale della cultura araba più in generale, in ritardo, però, rispetto alle avan­ guardie letterarie egiziane e siro-libanesi 2• A partire dal 1920, invece, emerge sempre più specificamente un'autocoscienza nazionale palesti­ nese, quale fattore dominante nella vita quotidiana, e in questi anni la letteratura comincia a mettersi al servizio della lotta nazionale, che di­ venta il tema prioritario. Con il 1948, anno della fondazione dello Stato d'Israele, gli arabi perderanno definitivamente la Palestina e quest'evento, che segna un vero e proprio spartiacque tra il prima e il dopo, viene indicato in arabo con il termine nakbah che significa "disastro " , "calamità" , " sciagura". Utilizzare tale terminologia in questa sede significa rispettare un senti­ mento ancora molto radicato in tutto un popolo della cui cultura si cer­ ca di delineare una seppur breve storia. E se per gli arabi gli eventi del 1948 s'identificano con la parola " catastrofe", perché noi in Occidente non dovremmo utilizzare questo termine, se e quando parliamo della loro storia? Che poi questa stessa data segni per gli israeliani un giorno festoso per la nascita del loro tanto sospirato Stato, questa è un'altra sto­ ria, l'al tra faccia della medaglia, che sarà studiata con il dovuto rispetto da altri specialisti. Questa storia bifronte, che da una parte segna un trionfo e dall'altra una sconfitta, si manifesta anche nella scissione di una storiografia che ci fornisce l' immagine di uno stesso paese su cui ciascuno vuole proiettare i propri ideali di nazione. La più recente storiografia israeliana sa rende­ re conto di questa duplicità 3• Dopo i disastri della Seconda guerra mondiale, mentre l'Europa co­ minciava a riprendersi e si gettavano le basi per una fruttuosa ricostru­ zione che avrebbe condotto ai ragguardevoli livelli oggi raggiunti, per il Medio Oriente iniziava, invece, un nuovo periodo fatto di guerre e tra­ gedie che non si è ancora concluso. La situazione, già incandescente, precipita infatti nel 1947, quando gli arabi non accettano la spartizione della Palestina, sancita dall' O N U , da loro ritenuta ingiusta. Lo scrittore Ghassan Kanafani (1936-1972) , parlando di questo concetto di «ingiu12

INTRO DUZIONE

stizia» subita dagli arabi, fa dire a uno dei protagonisti del suo famoso romanzo Ritorno a Haifa che «un errore sommato a un altro errore non dà un risultato giusto» e che «all'ingiustizia non si pone rimedio con un'altra ingiustizia» 4. Con il primo «errore» e con la prima «ingiustizia» lo scrittore fa esplicito riferimento alle persecuzioni naziste degli ebrei in Europa, che egli condanna senza mezzi termini. Kanafani, infatti, si compenetra in quella immensa tragedia umana degli ebrei, ma nello stesso tempo si chiede perché debbano essere proprio loro, i palestinesi, a dover pagare per quanto commesso da altri in Europa. Altri hanno causato «l'unica ferita dei nostri due popoli», come ha scritto il poeta arabo d'Israele Sam� al-Qasim (1939) in una poesia in cui dice «noi non abbiamo tessuto coperte da una treccia di capelli» 5• Nel 1948 per buona parte della popolazione palestinese inizia dun­ que una nuova vita, fatta di stenti e di sofferenze nelle sterminate tendo­ poli ospitate o, meglio, tollerate dai paesi arabi " fratelli" che temono la presenza di tanta umanità disperata. Il 1967, poi, rappresenta un nuovo spartiacque, paragonabile a quel­ lo del 1 948, una data che gli arabi chiamano con un altro termine conia­ to per l'occasione, al-naksah ( ''la ricaduta" , una malattia che è ritornata inesorabilmente) , per indicare la breve Guerra dei sei giorni con la quale Israele occupa la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, che da allora saranno chiamati "Territori Occupati " 6. Il resto è storia nota, che si può rac­ contare con le biografie di molti scrittori palestinesi e con la loro produ­ zione letteraria che riflette fin troppo fedelmente l'avvicendarsi delle va­ rie fasi storiche. Tra i numerosi esempi che si potrebbero cogliere, quel­ lo della vita dello scrittore GharTh al-'Asqalani (1 948) sembra uno dei più significativi: Sono nato nel 1948 nella città di al-Magdal, conosciuta in Israele come Ashke­ lon, da una famiglia che lavorava, come la maggior parte della gente del luogo, nell'industria tessile tradizionale. Quando è scoppiata la guerra del 1 948, la mia famiglia è fuggita a Gaza dove si è ritrovata con altre migliaia di famiglie a vive­ re in un campo profughi. Ho vissuto la mia infanzia e la mia gioventù sulla spiaggia di al-Shati, dune che costeggiano il Mar Mediterraneo. La vita nel campo ha lasciato tracce profonde nel mio universo sociale e psicologico. [ . . . ] Mi sono laureato in agronomia in Egitto, all'università di Alessandria. [ . . . ] Il 1967 mi ha colto separato dalla mia famiglia e nell'impossibilità di ritornare nel mio paese. Nel 1970 vivevo in Giordania e ho partecipato a fianco della resi­ stenza palestinese alla rivolta del Settembre Nero contro le autorità giordane 7.

13

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

La guerra del 1973 mi ha sorpreso, invece, mentre mi trovavo in Siria dove la­ voravo come ingegnere agronomo. Nel 1974 sono infine riuscito a rientrare a Gaza, grazie alla legge del ricongiungimento familiare 8 •

La vita di un'altra scrittrice, Liyanah Badr (1950), può essere presa ad esempio per proseguire l'iter della storia palestinese fino ai nostri giorni. Dopo essere nata a Gerusalemme, e vissuta a Gerico, nel 1967 si trasferi­ sce con la famiglia in Giordania, paese che lascerà a sua volta nel 1970, in seguito agli eventi del "Settembre N ero". Trova rifugio a Beirut, dove assisterà ad altre nuove tragedie: la strage di Tell al-Za'tar nel 1978 e quelle di Sabrah e Sha!Tia nel 1982. La cruenta guerra civile libanese la spinge, infine, a fuggire in Siria e poi in Tunisia, che accoglie molti esuli palestinesi in seguito all'espulsione dal Libano, nel 1982, dell'Organizza­ zione per la liberazione della Palestina. Dopo gli accordi di Oslo del 1993, che avevano gettato le basi per un simulacro di Stato palestinese, lascia infine anche la Tunisia alla volta di Ramallah, «un tempo verde sobborgo di Gerusalemme)), come la definisce Edward Said 9• Ecco di cosa parlano nelle loro opere tanti scrittori , poeti e artisti palestinesi: delle varie fasi che hanno contraddistinto la storia della Pale­ stina, amata, adorata e, forse, oltremodo idealizzata da chi ha perso per sempre il proprio paradiso. E come ricorda a questo proposito il poeta Murid al-Barghuthi: La Palestina non è quel ciondolo d'oro appeso a una catenina che adorna il col­ lo delle donne in esilio. Mi sono sempre chiesto, vedendo quel ciondolo, se le canadesi, norvegesi o cinesi, portano il loro paese appeso al collo come fanno le nostre donne. Un a volta ho chiesto a un amico: «Quando la Palestina non sarà più un gioiello da portare sull'abito da sera, un ornamento, un souvenir, un Corano d'oro ?» 10 •

La questione nazionale è stata indubbiamente centrale per gli autori pa­ lestinesi dai primi decenni del Novecento a oggi. Inizialmente la defini­ zione dell'identità nazionale si accompagna alla nascita stessa di una cul­ tura moderna e, in seguito, le varie fasi del conflitto con Israele scandi­ scono inevitabilmente la storia politica e la produzione letteraria. Ma se l'arte e la letteratura hanno un senso è perché possono esprimere la veri­ tà, l'imprevedibilità e l'universalità dell'esperienza umana anche al di là dei cambiamenti politici. 14

INTRO DUZIONE

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una produzione artisti­ ca monotematica, che non riesce a superare gli angusti ambiti regionali e nazionalisti, ma come potrebbe essere diversamente, visto il coinvolgi­ mento personale e umano di tanti autori, le cui biografie si incrociano con quelle dei loro protagonisti in altrettante storie scaturite dalla me­ moria collettiva di tutto un popolo e dalla realtà che li circonda ? Si trat­ ta comunque di una cultura che merita di essere conosciuta anche per il suo intrinseco valore artistico. Malgrado tutti i condizionamenti, il rapporto tra letteratura e poli­ tica assume una dimensione umana e universale come nel caso del poeta Ma.Qmiid Darwish secondo cui: «in situazione d'urgenza e di calamità umana, lo scrittore si mette alla ricerca di un ruolo morale da svolgere in altre forme di azione pubblica, un ruolo che rafforza la sua integrità let­ teraria» 11• Questo libro si propone, quindi, di rappresentare la storia della Pa­ lestina attraverso le esperienze personali e, soprattutto, le opere degli in­ tellettuali palestinesi. Non si tratta tanto di "letteratura della resisten­ za " , quanto piuttosto di "letteratura come resistenza": alla violenza del nemico, ma anche ai poteri interni e ai dogmatismi legati alla " causa", alla cancellazione della memoria, alle censure e alle forme di oppressio­ ne esercitate in seno alla società palestinese da leader politici, da struttu­ re patriarcali e dalle strumentalizzazioni ideologiche e religiose. Con il tramonto della politica laica, la voce di questa letteratura diventa ancora più importante come espressione di una potenzialità alternativa ai con­ flitti. Per questo, il " nostro " viaggio nella cultura palestinese sarà soprat­ tutto un'esplorazione della produzione artistico-letteraria dei palestinesi nella sua componente laica. I casi citati degli scrittori GharTh al-'Asqalani e Liyanah Badr non sono che due esempi di percorsi autobiografici, perché la storia palesti­ nese si può indifferentemente ripercorrere attraverso le memorie di molti altri scrittori e poeti famosi e meno famosi, musulmani e cristiani; tutti, indistintamente, con le loro esistenze di profughi o di stranieri in patria e, soprattutto, con le loro opere, hanno aggiunto un tassello al grande mosaico della cultura araba del Novecento, ancora così poco co­ nosciuta in Occidente. Questo libro è il frutto di un lavoro ventennale realizzato anche in un percorso didattico, insieme ad alcuni studenti della Facoltà di Lingue dell'Università di Napoli "l'Orientale" e della Facoltà di Studi Orientali 15

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

della Sapienza, Università di Roma, dove oggi insegno. N o n è a caso che tra le fonti secondarie ho citato tesi inedite che, altrimenti, sarebbe­ ro rimaste nell'ombra, ma che sono il risultato appassionato del lavoro di quegli studenti. Questo libro, tuttavia, non ha, e non vuole avere, la pretesa di essere esaustivo, non è che una tappa intermedia, un tentativo di sintesi di cir­ ca un secolo di storia culturale della Palestina. Molti altri sarebbero stati gli autori e le opere da citare ma, dopo tanti anni di lavoro, consegno alle stampe questo testo, nella speranza di aver colmato qualche lacuna nella conoscenza della storia della cultura palestinese. Sento il dovere di ringraziare con affetto Biancamaria Scarcia Amo­ retti che nel 1982 mi ha esortato a interessarmi di letteratura palestinese e della traduzione dall'arabo in genere. Senza quel prezioso consiglio probabilmente il mio percorso accademico sarebbe stato diverso e non avrei mai scoperto la passione per la letteratura araba che ha tanto cam­ biato la mia vita. Desidero ringraziare tutte le persone che hanno riletto il testo e mi hanno dato utili ed opportuni suggerimenti a partire da Daniela Amai­ di, Maria Avino, Riccardo Cristiano, Claudio Lo Jacono, Samuela Pa­ gani, Maria Carmela Pansa, Monica Ruocco, Paola Viviani, Patrizia Za­ nelli. Naturalmente è esclusivamente mia la responsabilità per ogni er­ rore o svista. Ad Ada Barbaro va infine la mia gratitudine per il suo vali­ do contributo per la compilazione dell'indice analitico.

Avvertenza

Per i nomi arabi mi sono attenuta ad una traslitterazione scientifica semplificata, sostituendo, laddove era possibile, alcune lettere con i se­ gni diacritici: le lettere arabe _t, g, g, s, g sono state sostituite rispettiva­ mente con th, dh, kh, sh, gh. Per agevolare la lettura anche ai non addetti ai lavori, i titoli delle opere arabe citate appaiono nel testo esclusivamente nella traduzione italiana, mentre nell'indice analitico vengono riportati anche nella tra­ slitterazione araba.

17

l

Il risveglio culturale

Nascita di un'autocoscienza nazionale La costa del Levante, nei suoi tratti palestinesi, libanesi e siriani, ha visto fiorire, tra la metà del secolo XI X e la Prima guerra mondiale, alcuni dei più importanti centri della rinascita culturale e del nazionalismo politi­ co arabo. È il caso del movimento fondato a Beirut verso il 1875 da Ibrahim al-Yazigi (1847-1906) 1 e soprattutto da Faris Nimr \ autore del celebre motto «Svegliatevi e sorgete, o Arabi!» 3 • Tra gli obiettivi di que­ sto movimento nazionalistico vi erano rivendicazioni politiche alla Su­ blime Porta 4, quali l'indipendenza del Libano e della Siria, e rivendica­ zioni culturali, quali il riappropriarsi dell'arabo come lingua ufficiale 5, secondo quanto sosteneva George Antonius 6 • Non si può dire che gli intellettuali palestinesi abbiano occupato immediatamente un posto di primo piano nell'ambito del movimento nazionalista arabo formatosi contro l'Impero otto mano 7. In Palestina operava però un fattore specifico di mobilitazione culturale e politica: la presa di coscienza della minaccia rappresentata dal nazionalismo ebraico nella sua espressione sionista. Il principale propugnatore di questa nuo­ va consapevolezza fu lo scrittore libanese, residente a Gerusalemme, N agili 'Azur1 8 che, insieme a un folto gruppo di intellettuali palestinesi, in un primo tempo soprattutto cristiani, tra i quali ' I sà Da'ud al-' I sà e KhalTI al-Sakak1n1, protestarono ripetutamente presso le autorità otto­ mane contro l'immigrazione ebraica, chiedendo al governo di Istanbul di opporsi con maggiore energia alle pressioni europee che, invece, ten­ devano a incoraggiarla 9. In questi e in altri autori dell'epoca la volontà di esprimere istanze palestinesi, e non genericamente arabe o, tanto meno, siriane o libanesi, rivela una chiara percezione della specificità culturale della popolazione araba della Palestina, premessa indispensabile alla formazione di un' au­ tocoscienza nazionale e alla rivendicazione dei diritti propri di una co19

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

m unità 10 • Questa consapevolezza era, però, fino alla vigilia della Prima guerra mondiale, patrimonio esclusivo di un'esigua schiera di intellet­ tuali che vedevano con preoccupazione la vendita della terra, sia da par­ te di latifondisti arabi, sia da parte di contadini, per lo più analfabeti, agli immigranti ebrei o alle organizzazioni intermediarie britanniche e non, con le quali venivano direttamente in contatto. Prima della Seconda guerra mondiale, tuttavia, l'idea che la popola­ zione della Palestina costituisse un'entità distinta in seno al mondo ara­ bo era patrimonio di pochi intellettuali e uomini politici, e lo stesso ter­ ritorio sotto Mandato britannico era per lo più considerato dai naziona­ listi arabi come una parte della Grande Siria. Negli anni successivi, in­ vece, i palestinesi rafforzeranno la loro autocoscienza, ed è proprio que­ sta consapevolezza di essere arabi, ma diversi dagli abitanti della Siria, della Giordania e dell'Iraq, a diventare tema ricorrente nella cultura pa­ lestinese nel suo complesso. Rashid al-Khalidi, da molti anni residente negli Stati Un i ti, in un famoso saggio ha cercato di individuare i punti essenziali di questa identità palestinese, a partire dal momento storico in cui per questo popolo è maturato gradualmente il senso di appartenenza nazionale 11 • Per vedere estendersi a tutta la popolazione araba della Palestina, o almeno a gran parte di essa, la consapevolezza di una specificità cultura­ le, e per assistere all'emergere in seno al movimento nazionalista arabo di una componente con obiettivi specificamente palestinesi, sarà neces­ sario attendere la fine della Prima guerra mondiale con gli accordi fran­ co-britannici per la spartizione dell'Impero ottomano. Ma sarà soprat­ tutto la Dichiarazione Balfour del 1 917 a spostare lo scontro dal livello generico del contrasto fra nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico a uno più diretto tra immigrati sionisti e popolazione autoctona. Proprio per effetto della Prima guerra mondiale, inoltre, la Palestina veniva a trovarsi di nuovo riunita entro i confini di una medesima entità territo­ riale - quelli del Mandato britannico - anziché divisa, come sotto l'Im­ pero ottomano, tra il vilayet di Beirut e il governatorato di Gerusalem­ me; questa circostanza, naturalmente, contribuì ad un rafforzamento dell'autocoscienza che si manifestò anzitutto nel proliferare a Giaffa, Haifa e Gerusalemme di circoli e associazioni politiche e culturali fon­ date alla fine del 1917, nel giro di pochi mesi dalla conquista britannica della Palestina meridionale e centrale 12• In questi circoli, accanto ad ar­ gomentazioni p rettamente culturali, si discuteva, fra l'altro, di come contrastare l'immigrazione sionista, nel tentativo di impedire, o almeno 20

l

I L R I S V E G L I O C U LT U RALE

limitare, la vendita di terreni ai nuovi immigrati. Le posizioni erano ab­ bastanza articolate: da chi era tentato di vendere le proprie terre ai prezzi allettanti offerti dalle organizzazioni sioniste a chi vi si opponeva energi­ camente 1 3• I diversi punti di vista, comunque, erano trattati anche sulla stampa locale che diede un grande contributo all'approfondimento del dibattito che assunse man mano toni sempre più vivaci.

Il ruolo della stampa Se la stampa ha consentito ai nazionalisti arabi in Palestina di far sentire la loro voce, facilitando il confronto delle posizioni e accelerando il pas­ saggio dal nazionalismo arabo a quello specificamente palestinese, nello stesso tempo ha fornito ai letterati uno strumento prezioso per la diffu­ sione delle opere di narrativa e di poesia che riflettevano l' identità di tutto un popolo. La prima fioritura di una stampa nella regione è frutto della rivolu­ zione dei "Giovani Turchi " che nel 1908 suscitò - con la promulgazione della Costituzione - speranze di progresso culturale e sociale che anda­ rono, però, in gran parte deluse. Fu infatti nello stesso anno che fece la comparsa il primo giornale stampato in Palestina, anche se le origini della stampa nella regione si possono far risalire al 1903, quando Ibrahim Zaka fondò " al-Nafir al-'uthmani" , giornale che ebbe vita ab­ bastanza movimentata con successivi trasferimenti 14 fino al 1930 ed espresse le prime istanze nazionalistiche della Palestina. Nel 1908 vide la luce anche il giornale "al-Karmil " 1 5 destinato a di­ ventare uno dei più autorevoli organi della stampa della comunità cri­ stiano-ortodossa, favorevole inizialmente alla congiunta azione antisio­ nista dei nazionalisti cristiani e musulmani. A partire dal 1923, in segui­ to ai contrasti che divisero il fronte cristiano-musulmano, la testata rap­ presentò una voce non trascurabile del movimento nazionalista, esor­ tando i lettori a boicottare i prodotti ebraici e a non intrattenere alcun rapporto con i sionisti, come reazione al boicottaggio da parte di questi nei confronti delle merci arabe 16 . Sempre nel 1908 G urg Hananiya fondava a Gerusalemme il giornale " al-Quds ", mentre nell'anno seguente nasceva a Giaffa "al-Akhbar" 1 7• Nel 1911, ancora a Giaffa, fecero la comparsa "al-l'dal al-Yaf' 18 e "al-Turkl'' 1 9 . 21

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Nel 1911, poi, videro la luce " al-l:furriyyah " 20 e " Filas�In " , che in arabo significa " Palestina", dei fratelli Yusuf e ' I sà Da'ud al-' I sà di Giaf­ fa. " Filas�In " ebbe vita più rigogliosa rispetto alle testate precedenti, svolgendo durante la Prima guerra mondiale un ruolo determinante nell'opposizione al movimento sionista. Il giornale fu anche un autore­ vole portavoce della rinascita culturale araba in Palestina, ospitando nel­ le sue pagine gli articoli dei massimi intellettuali dell'epoca, tra i quali G ubran KhalTI G ubran 21• Inizialmente bisettimanale, " Filas�In " si tra­ sformò in quotidiano, trasferendo la sede a Gerusalemme dove, a parti­ re dal 1920, la testata non tardò a incappare nell'ostilità delle autorità britanniche, tanto che uno dei fratelli, Yusuf, dovette emigrare a Dama­ sco 22• Il giornale prese inoltre coraggiose posizioni sul Mandato unico britannico, dando la preferenza a un Mandato comprendente anche Li­ bano, Iraq e Transgiordania, nella convinzione che una " sede" naziona­ le ebraica non sarebbe stata insidiosa per i palestinesi, se fosse sorta in mezzo ad un territorio arabo molto più vasto: «Accetterebbero gli Ebrei questo Mandato unico ? Probabilmente no, perché verrebbero sommer­ si quale minoranza in un mare arabo e perderebbero ogni speranza di formare una maggioranza e uno Stato proprio in Palestina. È per questo che essi organizzano campagne contro ogni federazione araba od orien­ tale, istigando le Potenze occidentali a soffocare simili movimenti>> 23 • E sempre secondo il giornale: « È evidente che i sionisti non vogliono un governo nazionale in Palestina fino a che gli ebrei sono in minoranza; soltanto quando l'immigrazione avrà loro permesso di eguagliare o su­ perare numericamente gli arabi, lo accetteranno» 24• Fra le varie testate giornalistiche apparse nei primi decenni del N o­ vecento, va ricordata "al-Nafa'is" di KhalTI Baydas (1874-1949 ) , uscita a Haifa nel 1908 e ritenuta la prima rivista letteraria della Palestina. Mal­ grado la sua esistenza breve e irregolare 25, " al-Nafa'is" costituisce, gra­ zie alla pubblicazione di racconti e romanzi a puntate, una preziosa te­ stimonianza dell'attività culturale in Palestina durante i primi decenni del xx secolo e, per le numerose traduzioni ospitate nelle sue pagine, ci offre anche la prima concreta dimostrazione dell'incontro culturale con l'Occidente. Un ruolo determinante lo svolse poi il giornale nazionalista " Suriya al- G anubiyyah" , fondato a Gerusalemme nel 1919 da Mu}:lammad l:fasan al-Budayr1, e diretto da 'Àrif al-'Arif, che per le sue istanze aper­ tamente nazionaliste fu sospeso dalle autorità britanniche soltanto un anno dopo la nascita. Il titolo, " La Siria meridionale " , alludeva chiara22

l

I L R I S V E G L I O C U LT U RALE

mente al disegno strategico della Grande Siria, corrispondente al cosid­ detto Bi/ad al-Shiim dell'epoca ottomana 26• Complessivamente, tra il 1908 e il 1928 furono censite a Gerusalem­ me oltre quarantaquattro pubblicazioni a stampa, tra riviste e quotidia­ ni; a Haifa, dal 1908 al 1929, videro la luce diciotto periodici, e a Giaffa, dal 1908 al 1927, quattordici. Nel medesimo arco di tempo anche nelle città di 'Akka 27, Betlemme e Nablus vennero fondate varie testate 28 . Sul piano più strettamente concettuale, le questioni dibattute nei vari giornali erano focalizzate sui limiti di una sterile assimilazione del patrimonio culturale occidentale come strumento di progresso e di rot­ tura con le tradizioni del passato. Queste tematiche, che all'epoca preoc­ cupavano l'opinione pubblica, furono affrontate non solo dalla stampa araba, ma anche da diverse pubblicazioni della comunità ebraica. Molti scrittori ebrei, infatti, come il premio Nobel Shmuel YosefAgnon 29 , sin dall'inizio del xx secolo si erano impegnati nei rispettivi paesi d'origine in una battaglia per la laicizzazione, nell'intento di adeguare la vita alle esigenze e ai ritmi più avanzati dell'Occidente e, una volta immigrati in Palestina, avevano continuato le loro campagne in favore della moder­ nizzazione. N ello stesso momento in cui un autore come Agnon dalle pagine della " Palestine Review" proponeva ai suoi lettori il tema dell'a­ deguamento ai tempi, la medesima questione veniva dibattuta con toni accesi anche dalla stampa araba. Va segnalato a questo proposito un in­ tervento di G ubran KhalTI G ubran su " al-Karmil " di Haifa, in cui il ce­ lebre letterato libanese invitava gli arabi a non respingere tutto ciò che proveniva dall' Occidente, e a far tesoro delle esperienze positive del suo patrimonio culturale 30• Tra le pubblicazioni apparse negli anni trenta, vanno poi ricordate, per la loro importanza sul piano culturale, il giorna­ le "al-Difa' " 3 1 e, soprattutto, " al-Ghad" e " al-Mihmaz" 32• La prima, caratterizzata da un netto orientamento di sinistra, nacque nel 1938 per iniziativa di un gruppo di militanti nazionalisti e ospiterà scritti di insi­ gni intellettuali come il poeta Abu Salmà, Emil l:fabThi ed Emil Tuma. N o n mancano tuttavia riviste letterarie fondate da diversi esponenti del­ la cultura palestinese dell'epoca. In una panoramica della stampa palestinese, che sicuramente non è esaustiva, non si può fare a meno di citare un intellettuale di N azaret, Sallm Qaba'yyin (1870-1951), perseguitato dalle autorità ottomane ed esiliato in Egitto nel 1897 dove fondò diverse testate 33, nelle quali non tralasciò mai di ricordare al lettore che il proprietario della rivista era " un palestinese autentico " che amava la sua patria 34• 23

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Quello che è rilevante, comunque, è che nei primi decenni del No­ vecento c'era un certo fermento culturale che interessava un po' tutte le città della Palestina, da Gerusalemme a Haifa. A Nablus, come ricorda la celebre poetessa Fadwà Tuqan (1917-2003): dall'inizio dell'occupazione britannica, gli uomini avevano fondato l a Scuola Nazionale di Nagah, oggi nota come università nazionale di Nagah. Nell'enfa­ si del tempo, essi crearono un Circolo culturale annesso alla Scuola, che in bre­ ve tempo diventò l'anima delle varie manifestazioni nazionaliste. Il Circolo iniziò a invitare intellettuali, scrittori e poeti della Palestina e anche degli altri paesi arabi, e ciò contribuì a rendere l'atmosfera nella città ancora più naziona­ lista. Nacque poi un'associazione di scout che influenzò la generazione più gio­ vane, fino alla rivolta del 1936. Il Circolo divenne così sede di fervore patriotti­ co, incoraggiando le masse a manifestare per strada la loro rabbia 35•

Primordi femministi in Palestina Anche le donne palestinesi, come le egiziane, ebbero un ruolo attivo nel movimento nazionalista arabo, ma in Palestina, diversamente dall'Egit­ to, le battaglie si caratterizzarono non tanto per motivi ideologici, quan­ to per un chiaro impegno politico contro il mandato britannico e, in particolar modo, contro il movimento sionista che favoriva dall'Europa l'immigrazione ebraica in terra palestinese. Le donne si impegnarono non solo a livello individuale, ma soprattutto come membri delle nume­ rose organizzazioni femminili che si andarono formando nella regione a partire dall'inizio del xx secolo. Le prime associazioni di donne in Palestina assomigliano, tuttavia, a quelle di ogni altra parte del mondo arabo e non solo, trattandosi di or­ ganizzazioni caritatevoli, indistintamente cristiano-ortodosse o islami­ che, dirette per lo più dalle figlie dell'alta borghesia, che con il loro ope­ rato aiutavano a livello di volontariato le persone, e soprattutto le don­ ne, più bisognose. È su questa scia che nacquero le prime organizzazioni a 'Akka nel 1903, a Giaffa nel 1910 e a Haifa del 1911, che presero il nome di al- Gam 'iyyah al-nisii 'iyyah ("Associazione femminile") 36• Naturalmente alla base di questo fermento c'era l'incremento della scolarizzazione della popolazione che includeva anche quella femminile, svolgendo un ruolo determinante per le trasformazioni socio-culturali di tutta la regione. Tra la fine del secolo XI X e l'inizio della Prima guerra 24

l

I L R I S V E G L I O C U LT U RALE

mondiale le scuole elementari a Gerusalemme, Nablus e 'Akka erano novantadue e dei circa 8.ooo studenti ben 1.480 erano bambine. Inoltre, le sempre più numerose scuole straniere confessionali sul territorio veni­ vano frequentate indistintamente da studenti di ambo i sessi 37. Ciò che all'inizio del x x secolo caratterizza il femminismo arabo in genere, e quello palestinese in particolare, è la commistione tra rivendi­ cazioni nazionaliste e timide istanze femministe che vengono messe in secondo ordine rispetto alle prime, sentite dalle donne come più urgen­ ti. Le palestinesi, infatti, non furono semplici osservatrici dei grandi cambiamenti che avvenivano nella loro terra, e già nel 1917 alcune don­ ne presero attivamente parte alle manifestazioni di piazza contro la Di­ chiarazione Balfour. Questa partecipazione femminile portò alcune si­ gnore, per lo più dell'alta borghesia, a fondare nel 1920 a Gerusalemme un'associazione di donne che fu sicuramente più politicizzata delle pre­ cedenti, anche per l'evolversi della situazione politica nella regione. Si susseguirono poi altre organizzazioni similari, come quella di Nablus, fondata nel 1921, sotto la presidenza di Mariam Hashim. All'inizio si trattava di un'associazione con scopi caritatevoli, poi nel 1929 si inserì nella più organizzata Unione delle donne arabe, fondata da Hudà al-Sha'raw1 3 8 in Egitto, e si trasformò in Unione delle donne della Pale­ stina, con ramificazioni in tutta la regione. La poetessa Fadwà Tuqan nelle sue memorie ricorda, tuttavia, come a quell'epoca la partecipazione politica delle donne appartenenti alla borghesia nazionalista si limitasse, in fondo, a qualche timida manife­ stazione in città e, soprattutto, agli invii di telegrammi di protesta e alla collaborazione con varie testate arabe. N elle campagne, invece, dove da sempre la popolazione femminile godeva di una maggiore libertà di mo­ vimento, anche dovuta al fatto che per lavorare nei campi non si porta­ va il velo, le donne erano più attive, lavoravano fuori dalle mura dome­ stiche, e potevano svolgere mansioni sociali e politiche, ad esempio assi­ stere le famiglie bisognose o sfamare i rivoltosi che fuggivano dalle città per trovare tra i contadini scampo e protezione ai soprusi britannici 39• Queste donne, che si impegnarono in seguito nella campagna per l'abolizione del velo, erano, però, ben lungi dal definirsi " femministe" dal momento che all'epoca il concetto di " femminismo " era ancora in pectore tanto nella società araba quanto in Occidente. Più che di fem­ minismo si può infatti parlare di movimenti di emancipazione fem­ minile. 25

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

N egli anni venti ci fu dunque un proliferare di organizzazioni fem­ minili come quella della Gam 'iyyat al-Nahtf,ah al-Nisii 'iyyah ( ''Associa­ zione della rinascita delle donne " ) , nata a Ramallah nel 1924, ma il gruppo maggiormente politicizzato e con aspirazioni più femministe fu sicuramente quello fondato nel 1927 a Gerusalemme, la Gam 'iyyat al-Sayyidiit al- 'Arabiyyiit ("Associazione delle signore arabe") , nel cui statuto era stabilito, tra l'altro, che si doveva «ricorrere ad ogni possibile mezzo legale per elevare la condizione della donna [ . . . ] , collaborare con tutte le istituzioni nazionali per il benessere del paese>> 40 • L'Associazio­ ne lavorò assiduamente per preparare la grande Conferenza delle donne arabe, tenuta a Gerusalemme il 26 ottobre 1929, nella casa della nota femminista Tarab 'Abd al-Had1 (1910-1976) , moglie dell'esponente na­ zionalista 'Awn1 'Abd al-Had1, che avrebbe fondato nel 1932 il partito !stiqliil ( " Indipendenza"). Oltre 300 delegate di tutta la Palestina parte­ ciparono alla Conferenza, nel corso della quale fu eletto un Comitato esecutivo composto di quattordici donne, tutte appartenenti a grandi famiglie di Gerusalemme 41 • Tra le risoluzioni promulgate dal Comita­ to, spiccano quelle di carattere p rettamente nazionalistico come l' oppo­ sizione all'immigrazione sionista, il netto rifiuto alla Dichiarazione Bal­ four, il pieno appoggio alla costituzione di un Governo nazionale, la promozione delle attività commerciali e industriali nella regione, e l'in­ tensificazione dei legami economici con la Siria e gli altri paesi arabi. Sul piano più strettamente femminista, si parla infine della necessità di una rinascita (nahtf,ah) delle donne in tutti i settori della vita pubblica. Una delegazione di partecipanti alla Conferenza andò poi in corteo sotto la casa del rappresentante britannico, e cinque di loro, tra le quali la nota giornalista 'Anbarah Salam al-Khalid1 (1897-1986), gli consegnarono le risoluzioni varate dal Comitato 42• Negli anni trenta le donne continuarono ad opporsi all'occupazione britannica della Palestina e cercarono di avere un ruolo sempre più atti­ vo nell'ostacolare l'imponente immigrazione sionista che, in seguito alle atroci persecuzioni naziste in Europa, si faceva sempre più consistente. N acque così una vera e propria rete di associazioni femminili nei centri urbani e rurali che si impegnarono attivamente per l'emancipazione del­ le donne, incoraggiando innanzitutto le famiglie a mandare le figlie a scuola. Sul piano politico, queste organizzazioni lavorarono per sensibi­ lizzare le donne sui problemi pratici, insegnando loro, ad esempio, come prestare soccorso ai caduti o assistere le famiglie dei carcerati.

l

I L R I S V E G L I O C U LT U RALE

Le palestinesi, infine, in stretto contatto con le femministe egizia­ ne, non tardarono ad adottare cambiamenti importanti, come l' aboli­ zione del velo, che molte egiziane, seguendo il coraggioso esempio di Hudà al-Sha'rawi, continuavano ad abbandonare a partire dal 1923 43 • E così nel 1927 'Anbarah Salam al-Khalidi tenne a Beirut delle confe­ renze con il capo completamente scoperto e molte delle donne che parteciparono agli scontri del 1929 si mostrarono per la prima volta anch'esse senza il tradizionale velo. Anche Tarab 'Abd al-Hadi fu una delle più agguerrite attiviste nella campagna del 1930 per l'emancipa­ zione femminile e per l'abolizione del velo. In un secondo momento l'Associazione delle donne arabe di Geru­ salemme si scisse in due organizzazioni: una legata al gruppo della fami­ glia al-NashashThi, e l'altra alla famiglia al-ljusayni. Questa frattura in­ terna sicuramente impedì al movimento femminista palestinese di avere una grande autonomia rispetto ai movimenti nazionalisti maschili e, probabilmente, fu una delle cause della regressione della condizione femminile che di lì a poco tempo sarebbe avvenuta in tutta la regione. Quando il generale Allenby visitò Gerusalemme, il 1 5 aprile 19 32, al­ cune donne furono di nuovo protagoniste della scena pubblica: la mu­ sulmana Tarab 'Abd al-Hadi tenne un vero e proprio comizio davanti alla chiesa del Santo Sepolcro, in cui denunciò con veemenza il compor­ tamento ostile dei britannici; contemporaneamente, la cristiana Matiel Mughannam, autrice di un famoso libro pubblicato in Inghilterra nel 1937 sulla donna palestinese 44, tenne un analogo comizio sulla spianata della moschea di 'U mar, in cui affermava, tra l'altro, che la nazione ara­ ba non avrebbe mai accettato l'ingiustizia imposta dal governo imperia­ lista britannico. Parallelamente, anche nel mondo ebraico ci furono molte donne e uomini che inscenavano analoghe manifestazioni contro i britannici, ma con motivazioni diametralmente opposte. Il 13 ottobre del 1933, nel corso di una violenta insurrezione nazio­ nalista, le donne arabe marciarono a fianco degli uomini, e ci fu uno dei primi lanci di pietre della storia palestinese, a quell'epoca diretti contro le forze di polizia britannica. Anche a Giaffa, il 27 ottobre, le donne pre­ sero coraggiosamente parte a una rivolta, dimostrando che non intende­ vano più restare chiuse in casa, ma volevano ed erano ben capaci di combattere a fianco degli uomini. Questo attivismo femminile preoccupò non poco le autorità gover­ native britanniche che temevano un'escalation in tal senso. Ma a frenare

CENTO A N N I D I C U LT U RA PALES T I N E S E

le donne ci pensarono gli stessi uomini palestinesi che evitarono di affi­ dar loro qualsiasi incarico di rilievo quando, nell'aprile del 1936, fonda­ rono la Suprema commissione araba per organizzare lo sciopero genera­ le e la rivolta che sarebbe durata fino al 1939. Le femministe, tuttavia, non si scoraggiarono, e quelle che non poterono più partecipare all'in­ surrezione, così come avrebbero voluto, ripresero la loro attività di seri­ vane, protestando da casa, con l'invio di telegrammi e lettere ai giornali e alle autorità, in cui denunciavano gli abusi commessi dalle forze bri­ tanniche nei confronti di tutta la popolazione. Proprio grazie a questa fitta documentazione, conservata in alcuni archivi britannici, si è potuto fare luce su molti eventi di quegli anni. Tuttavia, l'eccessivo zelo di alcune femministe all'interno delle mura domestiche fu mal visto dalle autorità britanniche, al punto che alcune di loro furono perseguitate e condannate per la loro attività gior­ nalistica, ritenuta insurrezionale. La giornalista Sadhig Na��ar 45, segre­ taria dell'Associazione delle donne di Haifa, fu imprigionata per diversi mesi con l'accusa di aver scritto articoli che, secondo i britannici, incita­ vano il popolo e, in particolare le donne, alla rivolta. Gli echi di quest'insurrezione popolare, in cui il ruolo delle donne fu comunque determinante, arrivarono in tutto il mondo arabo dove molti giovani risposero con entusiasmo agli appelli patriottici, soprat­ tutto quelli emanati dal movimento religioso dei Fratelli musulmani, guidato dall'egiziano Hasan al-Banna. Numerosi accorsero in Palestina, molto ben accolti dal mufti di Gerusalemme, Hagg Amin al-Husayni, del quale erano noti, d'altra parte, i legami con la Germania nazista, ne­ mica della Gran Bretagna. In Egitto si cominciarono così a raccogliere fondi per le famiglie dei caduti e dei prigionieri e, sulla scia di tale mobilitazione, l'Un ione delle donne egiziane, guidata da Hudà al-Sha'rawi, nell'ottobre del 1938 orga­ nizzò al Cairo la prima Conferenza pan-araba delle donne sulla Palesti­ na, alla quale parteciparono rappresentanti dall'Egitto, dall'Iraq, dal Li­ bano, dalla Siria e dall'Iran. La delegazione palestinese era formata da Tarab 'Abd al-Hadi, Sadhig Na��ar, Fatimah e Zahiyyah al-NashashThi, Salmà Raga'i al-Husayni, Sam!Qah al-Khalidi e altre 46• Tutta la stampa egiziana diede molto rilievo a questa conferenza di donne arabe, e la sto­ rica rivista femminista di lingua francese "L'Egyptienne" , fondata da Siza Nabarawi, dedicò all'evento un intero numero 47. Anche un'esponente di punta del movimento islamico femminile in Egitto, Zaynab al-Ghazali 48, diede un grande impulso al coinvolgimen-

l

I L R I S V E G L I O C U LT U RALE

to emotivo e politico delle donne egiziane in favore della questione pa­ lestinese e del ruolo svolto dalle associazioni femminili locali, organiz­ zando raccolte di fondi e inviando delegazioni in Palestina. N el 1946 la famosa femminista egiziana Doria Shafiq andrà anche lei in Palestina, invitata da Lull Abu al-Hudà, presidente della Società per la solidarietà delle donne in Palestina, e grande amica di Hind al-l:fusayni (1916-1994) , nota per il suo impegno nel campo dell'istru­ zione e per aver fondato Dar al-tifi( '' La casa del fanciullo " ) . In un arti­ colo, pubblicato sul suo giornale " Bint al-NTI ", Doria Shafiq lodò con enfasi il coraggio delle donne palestinesi, affermando che erano un esempio e un modello per le altre donne arabe 49• Una figura che va ricordata per il suo contributo al femminismo, nonché alle lettere arabe, in quanto poetessa e drammaturgo di spicco, fu Asmà Tubi, nata nel 1905 a Nazaret e morta nel 1983 in Libano dove si era rifugiata dopo il 1948. Redattrice della pagina femminile della rivi­ sta " G aridat Filastin ", collaborò a diverse emittenti radiofoniche, da " Radio Gerusalemme " a " Radio Vicino Oriente" , e fu anche presidente dell'Unione delle donne arabe di 'Akka. Malgrado fosse membro del­ l'Associazione della gioventù cristiana, e in seguito presidente dell'Asso­ ciazione della gioventù cristiano-ortodossa, Asmà Tubi studiò per due anni il Corano nella convinzione che solo la cultura islamica potesse far­ la arrivare a un buon livello di conoscenza della lingua araba. Come poetessa compose versi soprattutto nazionalisti, senza mai tralasciare di chiamare all'unità gli arabi, di qualunque fede religiosa fossero, per il bene della Palestina. Negli anni sessanta Asmà Tubi si entusiasmerà per la rivoluzione algerina, indicandola come esempio da seguire per tutti i palestinesi. Va citato, infine, un altro noto personaggio femminile, Esther Azhari Moyal (1873-1948), che si può considerare una vera e propria pioniera del dialogo interreligioso tra la comunità musulmana e quella ebraica della Palestina. Proveniente da una famiglia ebraica di Beirut, aveva studiato negli istituti libanesi, inglesi e americani, insegnato alla scuola dell'Alliance israelita e aveva anche diretto la sezione femminile di un istituto musul­ mano. Dopo aver sposato il palestinese Shimon Moyal di Giaffa, nel 1908 si era trasferita in Palestina dove aveva fondato un'associazione femminile. Pubblicò inoltre la rivista " al-Akhbar" e collaborò con il ma­ rito alla pubblicazione del giornale bilingue arabo-ebraico " Sawt al-Uthmaniyyah". Convinti entrambi della necessità di una pacifica 29

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

convivenza delle due comunità in Palestina, sebbene fossero di fede ebraica, a un loro figlio vollero dare il nome islamico di 'Abd Allah, in ricordo del nazionalista egiziano 'Abd Allah al-Nadim (1845-1896) 50 • Nel 1915, dopo la morte del marito, Esther Azhari Moyal si trasferì in Francia, a Marsiglia, dove tradusse e scrisse numerose opere e, in parti­ colar modo, si soffermò sullo scrittore Émile Zola e sul suo ruolo avuto nell' affaire Dreyfus. Negli anni quaranta fece ritorno definitivamente in Palestina, probabilmente per sfuggire alle persecuzioni naziste 5 1 • In conclusione si può affermare che il movimento femminista palestine­ se oltre a cercare di liberare la donna araba dalle catene della tradizione, includendo l'abolizione del velo tra le sue principali battaglie, prese atti­ vamente parte alle lotte nazionaliste. Considerato un simbolo di rispet­ to dalle classi agiate, l'abolizione del velo fu ostacolata soprattutto dagli ambienti conservatori che temevano una repentina occidentalizzazione della società araba, da loro considerata dannosa. Per questo motivo ne­ gli ambienti tradizionalisti venivano criticati sia gli uomini che avevano sostituito la tradizionale ke.fiyeh con il tarbùsh turco o, addirittura, con il cappello europeo, sia quelle donne che abbandonavano il velo o il tradi­ zionale fazzoletto per curiosi cappellini che andavano di moda a Parigi o a Roma, così come si possono vedere nelle fotografie dell'epoca di Tarab 'Abd al-Hadi o di Matiel Mughannam. Il processo di modernizzazione era ormai messo in moto, sebbene con sfaccettature diverse a seconda dei luoghi: a Giaffa e a Haifa, città costiere, le novità e i cambiamenti furono più rapidi rispetto ai centri dell'entroterra di Nablus o di Geru­ salemme, più fedeli alle tradizioni, così come ricorda Fadwà T uqan: Con il crollo del tetto della Palestina nel 1948, anche il velo finì per cadere dal volto della donna di Nablus che aveva lottato a lungo per liberarsi della mala 'ah, il tradizionale e spesso velo nero (che le copriva dalla testa alle cavi­ glie). Ma tutto questo aveva richiesto ben trent'anni: negli anni venti si era sbarazzata della tanniirah lunga e ampia, e l'aveva sostituita con un soprabito nero o marrone, o di un altro colore sobrio. Agli inizi degli anni quaranta si era liberata del manto che la copriva dalla testa fin alla vita [ . . ] e a metà sempre degli anni quaranta il mandi/, il velo nero, divenne trasparente. Nella metà de­ gli anni cinquanta, poi, il velo fu abbandonato definitivamente e apparve la bellezza dei volti a testimoniare con pudore la grazia di Dio 52• .

30

2

L'incontro con l'Occidente

Prestiti e scambi tra culture: l'impegno degli intellettuali N egli anni venti e trenta la Palestina era un mondo culturale aperto alle influenze esterne e particolarmente a quelle europee. Questa apertura verso il sapere occidentale deriva, tuttavia, da una serie di fattori che non si esauriscono nella massiccia presenza britannica, connessa all' am­ ministrazione mandataria. Anche l'immigrazione ebraica europea, ac­ compagnata da una fi o ritura di iniziative editoriali, rappresentò una sfi­ da, accelerando da una parte il naturale fermento culturale e, dall'altra, il processo che portò all'affermazione di una specifica identità naziona­ le. Questa identità si esprimeva anche nella promozione della lingua araba e nella sua attualizzazione, considerata come un fattore qualifican­ te dell'identità nazionale da effettuarsi attraverso la rievocazione dei fa­ sti del periodo classico. Va poi ricordato che, a causa del fenomeno della diglossia 1 , tipico nel mondo arabo, la popolazione si esprimeva in dia­ letto palestinese, che era diverso da quello egiziano, iracheno e così via. Una svolta fondamentale per l'incremento della scolarizzazione fu rappresentata dalla diffusione delle scuole straniere nelle quali i missio­ nari cristiani, cattolici, ortodossi e protestanti, approdati da secoli in T erra Santa, trovarono un terreno fertile per diffondere la loro fede. Erano pochi, infatti, i villaggi che non possedevano scuole di ogni culto, frequentate anche dai figli dei musulmani. La minoranza cristiana in seno alla popolazione araba della Palestina costituì la base su cui i mis­ sionari europei, soprattutto francesi e russi, avevano edificato una rete di scuole e collegi frequentati anche dalla borghesia locale. Lo scrittore libanese Mlkha'TI Nu'aymah (1894-1988), ad esempio, nella sua famosa autobiografia, intitolata Settant'a nni, ricorda come, tra la fine del secolo XIX e i primi anni del xx, la Società imperiale russa avesse istituito per la Palestina sotto il regime ottomano una serie di strutture bene organizza­ te che rispondevano a fini non solo religiosi e pedagogici, ma anche po31

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

litici, testimoniando così l'interesse dell'impero zarista per le comunità cristiane del Vicino Oriente 2• In queste scuole confessionali, che costituiranno il primo significa­ tivo incontro con l'Occidente, oltre all'insegnamento delle lingue stra­ niere, i missionari diedero nuovo impulso anche allo studio della lingua e della letteratura araba che, secondo la nota tesi dei precursori del na­ zionalismo arabo, languiva pesantemente dall'epoca della dominazione turca. Le prime scuole missionarie russe in Palestina risalgono al 18 53 e, per l'ottimo insegnamento impartito, fecero concorrenza agli altri isti­ tuti confessionali della regione, come quelli dei greci ortodossi, molto rinomati. Queste scuole non erano frequentate soltanto da studenti e studentesse cristiani, ma anche da giovani musulmani di entrambi i ses­ si, mandati dalle famiglie più aperte per accedere a un'educazione più adeguata ai tempi. Molto frequentate furono la scuola maschile Dar al­ mu allimin (''La casa degli insegnanti ") di Nazaret, detta anche " Semi­ nar", e g uella femminile, Dar al-mu 'allimat (''La casa delle insegnanti") a Bayt Gala, dove si sarebbero formati molti intellettuali palestinesi del primo Novecento, che acquisirono così un'ottima padronanza della lin­ gua e della cultura russa in generale. I missionari, inoltre, incoraggiaro­ no gli studenti offrendo delle borse di studio per recarsi in Russia. Molti di loro, però, inaspettatamente, non furono affascinati soltanto dalla grande letteratura di Tolstoj e di Dostoevskij , ma anche dalla nascente ideologia marxista che già faceva proseliti in tutto il mondo. Uno di questi studenti che sfuggì ai disegni dei missionari russi fu Bandall Salibah al- G awz1 (1871-1942), uomo di grande cultura e respiro intellettuale. Formato nelle scuole cristiane di Gerusalemme con la pro­ spettiva di diventare sacerdote, e mandato a perfezionare gli studi teolo­ gici in un istituto di Mosca, al- G awz1 divenne ben presto un fautore del materialismo storico e abbracciò con slancio il marxismo. Grande cono­ scitore della civiltà islamica, insegnò all'università di Baku in Azerbai­ gian, dove trascorse tutta la sua vita. Egli scrisse importanti opere di ca­ rattere accademico sui Mu'taziliti, i Qarmati e gli Ikhwan al-Safo ' ( " Fratelli della purità") 3, pubblicò numerose traduzioni dall'inglese, francese, russo, tedesco ed ebraico, tra le quali le opere di alcuni orienta­ listi della sua epoca. Fu anche traduttore nel senso inverso, facendo co­ noscere ai russi alcune opere del grande patrimonio arabo-islamico, come quelle di al-Baladhur1, di Ya'qub1 e di Ibn al-Ath1r. al- G awz1 ha lasciato oltre una ventina di libri in russo e molti scritti ancora inediti. 32

2

L'IN C O NTRO C O N L ' O C CID E N T E

Per la sua grande cultura e versatilità, è considerato una delle menti più brillanti del pensiero arabo del Novecento e uno dei primi ad aver cer­ cato di leggere il patrimonio islamico in chiave materialista, indagando con rigore metodologico le dottrine e i movimenti religiosi del passato e cercando di capire le implicazioni storiche e filosofiche che ancora pote­ vano avere sul pensiero musulmano moderno. Critico verso gli orientalisti della sua epoca, Bandali Salibah G al- awzi anticipa di mezzo secolo le tesi di Edward Said sull'orientali­ smo 4, denunciando le loro connivenze con le potenze coloniali. Egli sostiene che i popoli d'Oriente dovranno attraversare le stesse fasi del­ la storia occidentale e, rifacendosi alle note teorie vichiane dei corsi e ricorsi storici, ritiene che ogni popolo sia sempre soggetto agli stessi cambiamenti e debba quindi passare per i medesimi cicli sociali, per­ ché «non c'è differenza tra Occidente e Oriente e, in ogni caso, non c'è superiorità naturale di uno sull'altro e viceversa» 5• E così nei suoi scritti egli non può fare a meno di denunciare i limiti degli occidenta­ li, sempre troppo concentrati esclusivamente sulla loro visione euro­ centrica della storia: Gli storici occidentali hanno elaborato i loro giudizi basandosi unicamente sul­ la storia dell'Occidente. Essi conoscono poco la storia dell'Oriente. Stando così le cose, noi possiamo facilmente renderei conto delle stranezze e delle su­ perficialità che essi scrivono a proposito della storia orientale. Ed è una gran­ dissima approssimazione sentirli affermare che le nazioni orientali non hanno mai avuto, e non avranno mai, una Storia nel comune senso della parola; come anche quando pretendono che i metodi e la ricerca scientifica elaborata dagli uomini di scienza europei non potranno mai applicarsi alla storia dell'Oriente. Che stravaganza, o meglio, che perentoria ignoranza, è affermare con arrogan­ za che i fattori e gli agenti che operano nella storia delle nazioni europee - le leggi e i codici comuni delle loro società - sarebbero diversi dai fattori e dagli agenti della Storia, della cultura e della vita delle nazioni orientali ! 6

Questo approccio critico verso l'Occidente non impedisce a Bandai! SalThah al- G awzi di formulare giudizi negativi anche verso il mondo arabo che egli osserva senza i filtri dello sciovinismo e del romanticismo tipico di molti arabi emigrati. Nel 1929, infatti, in un suo scritto mette in guardia gli arabi contro «una stupida e ancestrale politica economi­ ca», contro i pericoli del fanatismo nazionalista «estremista e intolleran33

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

te», e contro il veleno del fanatismo religioso, basato sull'ignoranza dei veri principi della religione 7. Malgrado abbia passato tutta la vita lontano dalla sua Palestina, dove fece ritorno solo tre volte, Bandall SalThah al- G awzi riuscì a man­ tenere i contatti con gli intellettuali arabi, tra cui il siriano Qus�an�In Zurayq, con il quale collaborò ad alcune pubblicazioni scientifiche. Im­ portante fu il legame con il suo connazionale KhalTI al-Sakak1n1 che lo introdusse negli ambienti intellettuali del Cairo dove scriveva sulle più note testate dell'epoca quali " al-Muqta�af' , "al-Hilal " e "al-Siyasah" 8• Intellettuale di grande spicco, KhalTI al-Sakak1n1 (1878-1 9 53) fu an­ ch' egli uno dei massimi fautori della rinascita palestinese. Di religione cristiana, fondò l'Associazione della fraternità greco-ortodossa e, per il suo attivismo nazionalista e le sue idee ritenute sovversive, fu scomuni­ cato. N ella sua vita, però, non fu avversato solo dalla chiesa, ma anche dal potere ottomano che vedeva in lui un pericoloso agitatore. Sul gior­ nale " al-Iqdam" del 1914 aveva scritto: «Spetta al popolo prendere co­ scienza del fatto che possiede una terra e una lingua. Chi vuole uccider­ lo occupa la sua terra e gli taglia la lingua; ed è proprio quello che i sio­ nisti vogliono fare alla nostra nazione» 9 . Dopo aver seguito Fay�al 1 i n Iraq, al-Sakak1n1 s i trasferì in Egitto dove proseguì la sua missione politica, tenendo i contatti con molti in­ tellettuali palestinesi dell'epoca. Le autorità ottomane, temendo che i germi del suo spirito rivoltoso contaminassero altri arabi, lo esiliarono a Damasco dove rimase in prigione fino al 1918, quando uscì solo dietro il pagamento di un'alta cauzione. Influenzato dai valori occidentali assorbiti durante i suoi studi al British College di Gerusalemme e a New York, al-Sakak1n1 rappresen­ ta l'intellettuale arabo estremamente colto e versatile che non si fece offuscare dal settarismo della chiesa greco-ortodossa dell'epoca, diven­ tando uno dei massimi rappresentanti dell' intelligencija cristiana e pro­ gressista. Sempre molto attivo nel campo dell'istruzione, al-Sakak1n1 aveva fondato nel 1908 la Scuola costituzionale, e diverse altre scuole e istitu­ zioni culturali in cui, proseguendo nella sua missione di pedagogo, cer­ cò di instillare nelle menti delle future generazioni di palestinesi i prin­ cipi laici e scientifici della modernità. al-Sakak1n1 scrisse diverse opere, tra le quali La rinascita ortodossa in Palestina del 1913, considerata una delle prime pubblicazioni che attri­ buisce unità e specificità al territorio palestinese, sia pure in un contesto 34

2

L'IN C O NTRO C O N L ' O C CID E N T E

di problemi religiosi connessi all'amministrazione del patriarcato di Ge­ rusalemme. Egli, infatti, si adoperò molto per destare le coscienze con­ tro le ondate di immigrati che approdavano in Palestina all'inizio del xx secolo, e nelle sue memorie dal titolo Così sono, o mondo!, pubblicate postume nel 1955, usò il termine " invasione" per descrivere l'immigra­ zione ebraica nella Palestina che per lui rappresentava il «cuore della na­ zione araba dalla Penisola Araba all'Africa» 10 • Privata di questa compo­ nente così strategica, la nazione non sarebbe mai potuta diventare forte e unificata 11 • «Se si interrogassero gli arabi sul loro diritto a possedere la Palestina essi risponderebbero che si tratta di una parte della terra ara­ ba» 1 2• Espose queste sue teorie in molte altre opere che spaziano dalla storia, come La Palestina dopo la Grande Guerra del 1925, alla letteratu­ ra, come Letture linguistiche e letterarie del 1 9 20. Khalil al-Sakakini ci ha lasciato un gran numero di libri su argo­ menti filosofici, scientifici e anche letterari, e fu proprio la "scoperta" di un autore quale Nietzsche a segnargli la vita, come scrisse egli stesso: «Tutto mi pareva inutile [ . . . ] finché non lessi la fil osofia di Nietzsche, il fi l osofo della forza e della vita, tradotto da Fara.Q Anp1n 1 3• Appena finii di leggerlo, fui scosso, sparirono la tomba e il sudario: tornai alla vita, innanzitutto per grazia concessa da Dio, e poi grazie a Nietzsche e a Fara.Q Anp1n» 1 4• Nelle opere di narrativa, infine, l'autore eccelle per lo stile umoristico e brillante, come in quella dedicata a sua moglie, Per ri­ cordarti, del 1 940. Encomiabile fu poi il lavoro svolto dal medico e antropologo Tawfiq Kan'an (1882-1 964) . Dopo aver studiato a Gerusalemme, si laureò in medicina all'Università americana di Beirut e prestò servizio in diversi ospedali della Palestina. Grazie alla conoscenza del francese, dell'inglese, del turco e del tedesco, egli poté ampliare i suoi orizzonti, diventando un vero e proprio precursore della moderna metodologia scientifica; scrisse articoli sulla stampa tedesca, francese e inglese, e si adoperò per far conoscere in Europa i problemi inerenti al popolo e al territorio della Palestina. Tutta la sua opera si può considerare una dotta confutazione sul piano antropologico, medico e sociologico, dell'asserzione sionista secondo cui non esisteva alcun popolo palesti­ nese, ma " soltanto qualche migliaio di arabi e di beduini " , così come aveva risposto Weizmann ad Albert Einstein , quando questi si do­ mandò quale sarebbe stato il futuro delle popolazioni local i, se fosse andato in porto il sogno sionista 1 5• 35

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Il dottor Kan 'an dedicò tutta la vita a scrivere trattati e articoli per dimostrare che il popolo palestinese aveva una storia, una geografia e un passato degno di qualunque altra popolazione su questa terra e, malgra­ do fosse di religione cristiana ortodossa, fece appello alle comuni radici arabe della tradizione islamica, sentita dai cristiani di Oriente come pa­ trimonio culturale proprio. Scrisse in inglese il suo saggio più rilevante, The Arab Cause in Palestine, pubblicato nel 1936 e successivamente tra­ dotto in arabo dall'egiziano Salamah Musà 16• A Kan'an si deve anche il riordinamento del patrimonio folcloristico palestinese, dalla medicina popolare con i suoi rimedi tratti dalla conoscenza della botanica locale, alla tradizione favolistica e leggendaria. Per il suo impegno militante, fu perseguitato dalle autorità britanni­ che che egli attaccava sistematicamente anche sulla stampa inglese. In un articolo apparso sul " Daily Mirror" del 1936, il dottor Kan'an espri­ me tutta la sua amarezza verso la politica britannica ritenuta ingiusta: « È abbastanza realistico riscontrare come tutti gli arabi, musulmani o cri­ stiani, beduini o urbanizzati, analfabeti o istruiti, avvertano questa poli­ tica come una profonda ingiustizia e una tirannia che minaccia la loro esistenza. [ . . . ] E noi cristiani arabi palestinesi, che per la maggior parte abbiamo studiato presso le scuole britanniche, noi che più di tutti i pa­ lestinesi ci siamo sentiti vicini al popolo e alla letteratura britannica, oggi siamo quelli che più detestano ed avversano la politica della Gran Bretagna, contraria allo stesso cristianesimo» 17• Alla fine della Seconda guerra mondiale Tawfiq Kan'an, sua moglie e una sua sorella vennero arrestati per attività sovversiva e furono incar­ cerati nella prigione di 'Akka, con l'accusa, da essi tenacemente smenti­ ta, di aver collaborato con la Germania nazista. L'accusa fu poi ritenuta priva di ogni fondamento ed essi furono liberati dopo alcuni mesi di detenzione. Molti altri sono stati gli esponenti della comunità cristiano-ortodos­ sa che diedero il loro contributo al movimento nazionalista, venendo si­ stematicamente imprigionati dai britannici o, nel migliore dei casi, esi­ liati verso altri paesi arabi. Un posto a parte spetta a ' I sà Da'ud al-' I sà (1871-19 50) , conosciuto come politico moderato, che rappresentò la comunità arabo-cristiana ortodossa in diversi congressi in Palestina e in Cisgiordania. Nel 1928 fu eletto nella Commissione esecutiva araba e successivamente fece parte del partito dell'opposizione, Difesa nazionale.

2

L'IN C O NTRO C O N L ' O C CID E N T E

Prima di lui anche un altro palestinese, Rul:ii al-Khalidi (1864-1913) , aveva rappresentato la Palestina nelle istanze politiche internazionali della sua epoca. Nato a Gerusalemme da una famiglia aristocratica nota per le sue tendenze liberali, al-Khalidi studiò a Parigi, alla Sorbona, e nel 1899 divenne console generale a Bordeaux, ricoprendo questa carica fino al 1908. Grazie all'ottima conoscenza non solo del francese, ma an­ che del turco e del persiano, fu un precursore degli studi di letteratura comparata e introdusse la nozione di "scienze letterarie" . Fu un grande estimatore di Vietar Hugo, del quale non si limitò a tradurre alcune opere, ma le analizzò profondamente, «con la volontà di far conoscere agli arabi il poeta che ebbe una parte tanto fondamentale nel rivoluzio­ nare i canoni poetici classici)) 1 8 • Il suo saggio scritto in francese, Études sur Victor Hugo et sur la littérature chez !es Européennes et chez /es arabes, fu pubblicato a Bordeaux e successivamente tradotto in arabo e pubbli­ cato al Cairo dalla nota casa editrice Dar al-Hilal nel 1904. Per sfuggire alla censura ottomana che avversava la diffusione delle idee innovatrici e progressiste promulgate da Hugo, egli firmò il libro con lo pseudonimo di al-Maqdisi. Per l'alto valore scientifico, oltre che umano la Francia gli conferì alla memoria le onorificenze delle Palmes Académiques e della Légion d'h onneur 19. Rul).i al-Khalidi è stato anche uno degli storici arabi più rigorosi. Il maggiore apporto dato da questo autore alla comprensione della storia della Palestina si ha nella sua fondamentale Introduzione alla questione d'Oriente 20, pubblicata postuma nel 1925, in cui denuncia le responsa­ bilità dei turchi davanti alla colonizzazione europea della Palestina, ed espone i propri timori sulla possibilità che il suo paese possa sparire dal­ le carte geografiche. Si tratta di concetti che verranno ripresi nella sua opera, anche questa pubblicata postuma, Storia del sionismo, in cui sot­ tolinea con enfasi la netta distinzione tra sionisti ed ebrei, insistendo sul fatto che la lotta al sionismo non ha niente a che vedere con l' antisemi­ tismo che lui per primo aborriva 21 • La posizione lucida e lungimirante di questo intellettuale che si può definire un musulmano liberale, che aveva subito l'influenza dei riformatori Mul).ammad 'Abduh e G amal al-Din al-Afghani, fa sì che egli sia ancora oggi ricordato come una delle più eminenti figure della cultura palestinese. Infine si può ancora ricordare Is'af al-NashashThi (1882-1948) che diede un grande contributo agli studi moderni sulla morfologia e sulla lessicografia. 37

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Grazie agli sforzi encomiabili di tutti questi intellettuali palestinesi, vissuti nel primo Novecento, è possibile ricostruire l'ambiente culturale e politico della Palestina, caratterizzato da spinte innovative, conserva­ trici e da rivendicazioni nazionalistiche, tipiche dell'area mediorientale nel suo complesso, ma che in quella terra speciale assumono tutta un'al­ tra portata. L'apertura nei confronti dell'Occidente si è poi estrinsecata nell'in­ tenso movimento di traduzione, ad opera di quei palestinesi che, dopo aver assorbito esperienze esterne alla loro cultura, le hanno trasformate in rielaborazioni originali, arricchendo il proprio patrimonio culturale nei vari domini, da quello letterario a quello scientifico e storiografico.

Traduzioni e adattamenti L'incontro fra le varie culture produsse negli arabi una grande apertura intellettuale e fu costante nel tempo il loro desiderio di comprendere la lingua e la cultura degli altri, e di farla conoscere ai propri connazionali, grazie alle traduzioni di opere occidentali in lingua araba, alle quali i pa­ lestinesi diedero un importante contributo 22• Sulla scia degli egiziani al-Tah�aw1 23 e Salamah Musà o dei libanesi Fara}:l An�un e Mikha'TI Nu'aymah 24, che esaltò la figura del traduttore come «tramite della reciproca conoscenza tra noi e il resto dell'umani­ tà» 25, anche gli scrittori palestinesi si prodigarono per convincere i pro­ pri conterranei dell'importanza delle traduzioni ai fini del progresso ci­ vile di tutti i popoli, e numerosi intellettuali fondarono circoli culturali e riviste letterarie specializzate nella traduzione dei capolavori della let­ teratura mondiale. Molti autori, come KhalTI Baydas, 'Àdil Zu'aytir e G amTI al-Ba}:lri, tradussero opere letterarie, ma ci fu anche chi si occupò di traduzioni storiografiche e scientifiche, di grande utilità per il pro­ gresso della società araba. La letteratura russa fu quella che probabilmente influenzò maggior­ mente la narrativa palestinese del primo Novecento, ma anche delle ge­ nerazioni future, ed ebbe il grande merito di far uscire dall' isolamento i letterati arabi che si confrontarono con gli autori europei. Lo scrittore libanese Mikha'TI Nu'aymah fece una vera e propria autocritica della cultura araba che, secondo il suo autorevole parere, dopo secoli di deca­ denza stentava ancora a riprendersi: «Quando leggo la letteratura russa e penetro a fondo la sua filosofia, non posso paragonarla con la nostra

2

L'IN C O NTRO C O N L ' O C CID E N T E

produzione letteraria. O Dio mio, che grande discrepanza tra le due! Quanta inadeguatezza letteraria ancora ci circonda. N o i diamo impor­ tanza alle cose meno rilevanti e lasciamo perdere quelle considerevoli. Povero paese mio !» 2 6 • Uno dei più noti traduttori dal russo fu KhalTI Baydas. Nato nel 1 874 a Nazaret da una famiglia cristiano-ortodossa, studiò nel locale collegio al-Moskowbia e, per specializzarsi negli studi, fu mandato in Russia a spese della chiesa ortodossa. Al suo ritorno, insegnò e diresse a sua volta i collegi russi della città di Homs in Siria, dove visse per un certo periodo, e a Biskinta, in Libano, luogo in cui avrebbe incontrato Mikha'TI N u' aymah. Ritornato in Palestina, fondò la rivista settimanale " al-Nafa'is ", specializzata in traduzioni. Grazie all'ottima padronanza della lingua e della cultura russa, egli fece conoscere al lettore arabo i maggiori autori dell'Ottocento, a partire da Aleksander Puskin del qua­ le fu un grande ammiratore. La sua versione di La figlia del Capitano del 1898, pubblicata in arabo con il titolo di Ibnat al-Qubtiin, fu considerata in quegli anni, e anche nei decenni successivi, un eccellente modello di narrativa araba 27. Sull'attività dei traduttori palestinesi o arabi in generale dell'inizio Novecento, sono indispensabili, però, alcune precisazioni. Spesso, in conformità ai costumi dell'epoca, alcuni letterati non traducevano nel vero senso della parola, ma facevano piuttosto degli adattamenti, a volte senza neanche citare l'originale, ampliando o riducendo le opere p re­ scelte a proprio piacimento, al punto che a furia di manipolare i testi, ben poco rimaneva della trama primitiva. Ecco perché, per alcuni auto­ ri, non si può parlare di traduzioni vere e proprie, ma di un particolare fenomeno letterario che con l'egiziano al-Manfalliii (1876-1924) avreb­ be raggiunto una grande popolarità in tutto il mondo arabo per l'ele­ ganza dello stile prodotto 28 • Quando nel 1909 Baydas tradusse e pubblicò a puntate nella sua ri­ vista Il principe Serebriany di Aleksej Konstantinovic Tolstoj 29 , anzitut­ to cambiò il titolo in Gli orrori della tirannia e nella sua introduzione scrisse di aver apportato alcune modifiche e tagli rispetto alla trama principale per venire incontro ai gusti del lettore arabo 30• E anche quando diversi anni dopo, nel 1925, pubblicò la traduzione di un ro­ manzo di Emilio Salgari, di cui non indicò il titolo originale, ma soltan­ to quello arabo da lui creato, La bella mascherata, nella prefazione moti­ vò i vari cambiamenti apportati all'opera, affermando di averli fatti «per non annoiare il lettore» 31• Nella premessa a un altro suo lavoro, tratto 39

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

da un romanzo della scrittrice inglese Marie Corelli, Baydas ribadirà di aver fatto alcune modifiche rispetto alla trama originale, sempre per adeguarsi al gusto del lettore arabo 32• Queste due traduzioni, la prima di un'opera italiana e la seconda di una inglese, sono da considerarsi, tuttavia, dei sottoprodotti dell'attività di Baydas, il quale tradusse pre­ valentemente autori russi; sembra, in effetti, che egli conoscesse soltanto il russo e che da questa lingua abbia tradotto, di seconda mano sia il grande viaggiatore da tavolino veronese, sia la romantica scrittrice di lingua inglese 33. È opinione corrente, comunque, che da un punto di vista stilistico le traduzioni di Baydas furono molto apprezzate nella sua epoca; egli contribuì a diffondere alcune opere della letteratura russa moderna, spianando la strada a traduttori che avrebbero poi fatto conoscere altri capolavori della grande Russia. A Baydas va anche il merito di aver fatto scoprire agli arabi della Palestina la forma narrativa del racconto breve, che ben si addiceva alla pubblicazione a puntate sulla stampa e, in parti­ colar modo, sulla sua famosa rivista " al-Nafa'is " . Sembra che anche sua moglie, Idal Abu al-Rus, diplomata presso il collegio russo femminile di Bayt G ala, fosse una traduttrice dalla lingua russa 34• Baydas, come tutti i grandi traduttori, fece scuola e molti furono gli intellettuali che seguirono le sue orme, come Na�r1 al- G awz1 (19081 996) che studiò alla scuola del Patriarcato inglese di Gerusalemme e alla Scuola di giornalismo di Londra. La padronanza assoluta della lin­ gua inglese portò al- G awz1 a collaborare con il Centro americano di Da­ masco dove si era trasferito dopo il 1948 e per il quale tradusse oltre un centinaio di libri di carattere scientifico e letterario, come I racconti di Canterbury 35 di Chaucer, e Il circolo Pickwick 3 6 di Dickens. Ma al­ G awz1 sarà ricordato soprattutto per i suoi romanzi e per il contributo dato al teatro palestinese contemporaneo. Tra il 1925 e il 1930 aveva col­ laborato con alcuni suoi connazionali anche alla fondazione di un club sportivo e a una squadra di calcio palestinese. Va poi citato �mad Shakir al-Karm1 (1 894-1937) che studiò in Egit­ to, all'Università islamica di al-Azhar. Grande traduttore anche lui - pre­ valentemente dall' inglese - pubblicò sulla sua rivista "al-Mlzan '' molte opere della letteratura europea, fra cui scritti di Maupassant, Cechov, Wilde, Bernardin de Saint-Pierre, Shelley, Tolstoj e Chaucer, oltre che del filosofo e letterato indiano Tagore. Nel 1921 al Cairo �mad Shakir al-Karm1 diede alle stampe una raccolta dei suoi articoli, con il titolo di al-Karmiyyiit (Opere di al-Karm1) , nella cui introduzione esprimeva giu40

2

L'IN C O NTRO C O N L ' O C CID E N T E

dizi critici sulla produzione letteraria dell'epoca, nonché sulle traduzioni e sulle scelte operate dai suoi connazionali che, a parer suo, non erano state fatte con acume letterario. Anche KhalTI Baydas era d'accordo su questo stesso punto e invitò i suoi connazionali a non tradurre qualsiasi cosa provenisse dall'Europa perché molti letterati arabi avevano «tradotto importanti opere della let­ teratura occidentale, ma altri hanno tradotto solo lavori minori, inutili per il lettore arabo [ . . . ] . La gente comincia a leggere e ad apprezzare le cose buone [ . . . ] , ma ci sono anche dei lavori pessimi che non sono stati scritti da letterati, e che non si possono neanche chiamare lavori lettera­ ri. Queste opere rispondono unicamente a scopi commerciali e sono dannosi per il lettore sia dal punto di vista stilistico, letterario e lingui­ stico, sia da quello morale>> 37• Se era vero, quindi, che l'incontro con l' Occidente poteva essere fruttuoso e stimolante per i letterati arabi, era altrettanto veritiero che per molti si doveva scegliere meglio quello che si traduceva, prendendo in considerazione soltanto le cose eccellenti prodotte dalle altre culture. Un'altra figura che emerge nel panorama degli intellettuali che si prodigarono nelle traduzioni è G amTI al-Ba.Qri. Della vita di questo au­ tore si conosce ben poco, tranne il fatto che morì molto giovane, nel 1930, in piena attività letteraria, ucciso in una lite per il possesso di un pezzo di terra. È noto per aver fondato a Haifa nel 1922 un circolo cul­ turale che si proponeva di incoraggiare la conoscenza e la diffusione del­ la cultura araba. Fondò inoltre una casa editrice, La Stamperia naziona­ le, e una rivista letteraria, " al-Zahrah " 3 8 , che gli servì da efficace stru­ mento anche per la diffusione a puntate di opere occidentali, molte del­ le quali da lui stesso tradotte. Alcuni dei suoi scritti sono andati perduti, ma a lui sono attribuite diverse opere teatrali e alcuni racconti riuniti sotto il titolo di Racconti letterari, etici, sociologici e nazionalistici. Per gli studiosi rimane il problema di capire quali di questi testi sia­ no creazioni originali e quali siano, invece, frutto di traduzioni da opere non specificate. A G amTI al-Ba}:lri si attribuisce anche una raccolta di Racconti del genere poliziesco che non riscosse molto successo perché, se da una parte questo filone meno impegnato era gradito al pubblico, dal­ l' altra non era ben visto dalla critica e dagli intellettuali in genere, che lo giudicavano vuoto dal punto di vista letterario e creativo, e forviante dai problemi politici della Palestina 39. Quando si parla di traduzioni in ambito palestinese, però, non si può fare a meno di citare il nome di un'altra grande figura che non va 41

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

annoverata nel genere di traduttori-adattatori di cui si è appena parlato, ma che operò con rigore scientifico e grande acume letterario. La cultu­ ra palestinese, infatti, deve molto a 'Àdil Zu'aytir (1897-19 57) 40, che con la sua infaticabile opera fece conoscere agli arabi del suo tempo i più grandi capolavori della letteratura europea 41• Nato a Nablus, Zu'aytir studiò a Beirut, a lstanbul e al Cairo, dove approfondì gli studi religiosi e giuridici presso l'Università islamica di al-Azhar. Dopo l'esperienza egiziana, fondamentale per il suo orienta­ mento politico, si stabilì a Damasco dove rimase fino all'occupazione francese della Siria 4\ per poi trasferirsi a Parigi. Lì studiò diritto alla Sorbona e aderì all'Associazione nazionalista arabo-siriana. Il soggiorno parigino sarà fondamentale per la sua formazione umanistica e politica. Grazie ad un'approfondita conoscenza della lingua francese, egli entrò in contatto con gli intellettuali dell'epoca e in particolar modo con il fi­ losofo Gustave Le Bo n, del quale tradurrà in arabo diverse opere 43• In­ tellettuale stimato in tutto il Vicino Oriente, fu membro attivo dell'Ac­ cademia scientifica irachena e dell'Accademia della lingua araba di Da­ masco. Prima di ritirarsi a vita privata per dedicarsi esclusivamente alla traduzione, egli era stato professore presso la Facoltà di Diritto dell'U­ niversità di Gerusalemme e aveva esercitato la professione di avvocato. In una lettera a suo fratello Akram aveva scritto: «Ignoro quanto mi resti da vivere e mi si stringe il cuore al pensiero di non aver realizzato in am­ bito scientifico e politico quello che avrebbe potuto tranquillizzare la mia coscienza, ed è per questo che sono determinato nel lasciare la pro­ fessione di avvocato e lanciarmi sulla via della traduzione» 44. Spinto da questa forte passione, nel corso della sua intensa attività letteraria 'Àdil Zu' aytir farà conoscere al lettare arabo oltre alle opere di Gustave Le Bon, quelle di autori come Montesquieu, Rousseau, Emil Ludwig, Ernest Renan, Anatole France e molti altri. Inoltre egli ripropo­ ne agli arabi, in chiave moderna, quella che è considerata la prima tradu­ zione dal francese, e cioè Le Télémaque di Fénelon, ad opera del primo traduttore del XIX secolo, l'egiziano Rifa'ah Rafi' al-Tah�aw1 45. Tra il 1923 e il 19 57 Zu'aytir tradusse circa una quarantina di titoli, secondo i canoni che si era egli stesso imposto: non tradurre mai un'o­ pera già tradotta, tranne rare eccezioni, né tanto meno una il cui tema fosse stato già affrontato in precedenza da altri traduttori arabi, confer­ mando così la sua missione pionieristica nel campo della traduzione 4 6 • Anche sul piano dell'etica professionale, la sua fede islamica non gli im­ pedì di tradurre opere di autori notoriamente atei, o che contenessero 42

2

L'IN C O NTRO C O N L ' O C CID E N T E

un messaggio antireligioso, come quelle di Rousseau, Voltaire, Mon­ tesquieu. Zu'aytir riteneva, infatti, che la sua fosse una vera e propria missione militante, e che le scelte andassero operate liberamente, senza freni o coinvolgimenti religiosi e politici. Allo scopo di colmare le lacu­ ne degli arabi nella cultura occidentale, 'Adii Zu'aytir traduceva senza tagliare o manipolare il testo; egli rappresenta il traduttore nel senso moderno del termine 47. Nel corso della sua lunga carriera di traduttore non riuscì, tuttavia, ad evitare la polemica intellettuale che vedeva il noto scrittore egiziano Taha Husayn 48 (1889-1973) nei panni di un acerrimo critico. Tra i due scoppiò infatti una violenta diatriba dovuta al fatto che A ' dii Zu'aytir aveva tradotto un libro di Emil Ludwig, Napoléon, nel­ lo stesso periodo in cui un discepolo di Taha Husayn, MuQ.ammad Ibrahim al-Dassuqi, aveva dato alle stampe la traduzione della stessa opera con la supervisione del suo maestro. Taha Husayn infìerì aspra­ mente sulla traduzione di Zu'aytir, pubblicando una lunga recensione molto critica. Sembra che per reazione Zu'aytir si cimentò nella tra­ duzione de La psicologia dell'educazione di Gustave Le Bon, che in precedenza era stata tradotta da Taha Husayn in persona, «in una ver­ sione atrocemente mutilata», restituendola al lettore arabo nella sua integrità originale 49. Lo stesso Le Bon si era lamentato con Zu'aytir, affermando che la traduzione di Taha Husayn non era altro che il riassunto della sua opera. Questo "sgarbo" all'illustre intellettuale egi­ ziano costò a Zu'aytir il mancato ingresso all'Accademia del Cairo 50• Simili diatribe intellettuali non erano rare in un'epoca in cui, so­ prattutto in Egitto, ma anche in Iraq e nella regione siro-libanese, si re­ spirava un'aria di rinnovamento in un clima di grande fermento cultu­ rale del quale facevano parte anche gli intellettuali arabi della Palestina.

43

3

La produzione letteraria prima del 1 94 8

La narrativa da KhalTI Baydas a N agati Sidqi La produzione letteraria palestinese del primo Novecento ha profonde radici che s'intrecciano inizialmente con quelle della letteratura araba nel suo complesso. E, com'è accaduto per le altre letterature nazionali che sono man mano emerse dal grande flusso indifferenziato del mon­ do arabo, acquisendo gradatamente connotazioni egiziane, irachene, si­ riane, libanesi e così via, anche quella palestinese ha assunto con il tem­ po caratteristiche sempre più specifiche, connesse alla grande nahtj,ah culturale di tutto il Levante arabo. Ma oggi non è facile reperire molte opere letterarie risalenti alla prima metà del Novecento. Secondo alcu­ ni studiosi, i lavori anteriori al 1948 per la maggior parte sarebbero an­ dati perduti perché pubblicati da piccole case editrici locali o semplici tipografie, oppure su riviste dalla diffusione limitata; per contro, si sa­ rebbero salvati quelli divulgati in altre località del mondo arabo, soprat­ tutto a Beirut, a Damasco o al Cairo, dove l'editoria era già da tempo consolidata 1• La letteratura palestinese, tuttavia, prima del 1948 è marginale se pa­ ragonata a quella che sarà la futura produzione narrativa, poetica e tea­ trale. Shmuel Moreh, ad esempio, fa risalire l'inizio di questa letteratura soltanto a dopo la nakbah, delimitandola agli arabi di Israele 2; Shimon Ballas, invece, ammette l'esistenza di una produzione letteraria araba nella regione anteriore al 1 948, precisando, però, che fino al 1956 &_li au­ tori più rilevanti scrivevano prevalentemente poesia 3• Anche per Gabra Ibrahim G abra (1920-19 94) la moderna letteratura palestinese nasce du­ rante il primo decennio della diaspora, tra l'agonia del passato e le spe­ ranze del futuro 4. In effetti anche se è indiscutibile che all'inizio del Novecento la Palestina fosse culturalmente un'appendice dell 'Egitto, il paese arabo con la tradizione letteraria più consolidata, è pur vero che molti intellettuali palestinesi si adoperarono per un'autonoma rinascita 45

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

culturale, così come stava avvenendo nel resto del mondo arabo. Per questi, anzi, la rinascita avanzò di pari passo con le ondate del nascente nazionalismo, reso incandescente dai progetti sionisti sulla regione. Malgrado le obiettive difficoltà politiche, legate all'oppressione del regi­ me ottomano e alla successiva occupazione militare britannica, molti letterati cercarono di uscire dall'isolamento, sia prendendo contatti con l' intelligencija egiziana e siro-libanese, sia assimilando nuova linfa dal­ l'incontro con la cultura occidentale. L'intenso movimento di traduzione che si era sviluppato all'inizio del Novecento in tutto il Mashreq, l'Oriente arabo, fu di fatto fonda­ mentale per la nascita di una narrativa nuova che, basandosi anche su modelli esterni, contribuì al risveglio culturale di tutto il paese 5• Secon­ do Khalil Baydas, però, in Oriente si era tradotto più di quanto si fosse scritto, e questo anche perché il genere del romanzo era ancora nuovo per gli arabi 6 • E proprio come avviene ancora oggi a diversi traduttori che dopo aver tradotto tante opere arrivano a un punto in cui sentono il bisogno essi stessi di misurarsi con la scrittura per creare e non semplicemente tradurre le parole e i pensieri di altri, molti intellettuali palestinesi si lan­ ciarono nel campo della creazione letteraria, scrivendo prevalentemente in versi. La situazione cambiò con l'incremento di testate giornalistiche che iniziarono a ospitare sempre più spesso racconti o romanzi a puntate, anche frutto di traduzioni. Fu così che la narrativa trovò il suo spazio. Nel 1920 Khalil Baydas diede alle stampe L 'erede che si può conside­ rare in un certo qual senso il primo romanzo palestinese che risponde a canoni moderni e presenta connotazioni prettamente palestinesi e non genericamente arabe. Pubblicato inizialmente a puntate sulla sua rivista " al-Nafa'is " , e uscito successivamente a Gerusalemme in un unico volu­ me, riscosse notevole successo di critica. Alcuni si spinsero a dire che, così come Zaynab di MuQammad l:fusayn Haykal (1914) è stato il primo romanzo egiziano, L 'erede di Khalil Baydas sarebbe il primo palestinese. Anche se quest'opera non è ambientata in Palestina, ma in Egitto, dove si era trasferita la famiglia del protagonista di origine siriana, 'Azl.z al- l:falabi, molti sono gli spunti e i riferimenti alla situazione palestinese che si possono cogliere nella trama del romanzo che oggi ci può apparire abbastanza scontata e ingenua, ma all'epoca dovette sicuramente creare un certo scalpore per l'audacia del tema trattato. La storia, semplificata al massimo, descrive come lo sprovveduto protagonista, un giovane cristiano in cerca della felicità al di fuori del

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

proprio ambiente, sia caduto nella rete di un'abile ballerina che fa di tutto per impadronirsi della sua fortuna. Il nocciolo della questione è rappresentato proprio da questa figura femminile, Esther, un'ebrea arri­ vata con le prime immigrazioni sioniste dell'inizio del xx secolo, la qua­ le, aiutata da una combriccola di altri personaggi disonesti, dalla zia Ra­ chele all'usuraio Nathan, al venditore di strumenti musicali, complotta ai danni del giovane. Significativamente la storia si svolge sotto la vigile complicità di un colonnello che rappresenta in tutta evidenza le autorità britanniche sotto la cui protezione la Palestina mandataria è finita nelle mani dei sionisti. È abbastanza comprensibile che la costruzione di questa trama sia stata vista da molti come un «disegno tendenzioso» al fine di eccitare gli animi dei palestinesi contro gli ebrei 7 • Ma, a prescindere dalle vere o presunte intenzioni propagandistiche dell'autore, e dal giudizio sul va­ lore letterario dell'opera, è innegabile che a Baydas vada riconosciuto il merito di essersi cimentato per la prima volta nella storia della letteratu­ ra palestinese in un'opera impegnativa, politicamente schierata, legata alla realtà del suo tempo. Non si può, tuttavia, non rilevare che la scelta dei personaggi che animano la narrazione ricalchi inesorabilmente i temi di un antisemiti­ smo di tipo europeo, estraneo in genere agli arabi dell'epoca, ma certa­ mente non sconosciuto a una persona come Baydas che si era formato nelle scuole russe dei missionari ortodossi e quindi sicuramente influen­ zato dai contenuti antisemiti di una certa pubblicistica tipica dell'impe­ ro zarista di quel periodo. Va però rilevato che Baydas, in quanto mem­ bro della minoranza greco-ortodossa, doveva necessariamente mantene­ re buoni rapporti sia con la propria comunità cristiana, minoritaria in Palestina, sia con quella islamica. Perciò era molto più semplice per lo scrittore assegnare il ruolo dei " cattivi" a personaggi ebrei, piuttosto che raffigurare i musulmani nel ruolo di disonesti che approfittavano di un giovane cristiano. Oltre a questo romanzo, a KhalTI Baydas spetta anche la paternità di una raccolta di trentadue racconti, La rappresentazione degli spiriti, pub­ blicata al Cairo nel 1924, che ha fatto discutere gli studiosi, perché in un primo tempo si era pensato trattarsi di lavori originali, ma poi prevalse l'opinione che fossero le solite traduzioni o rielaborazioni, alle cui origi­ ni difficilmente si può risalire. Alcuni di questi racconti si basano su leg­ gende greche, indiane, faraoniche e perfino sulla guerra del Peloponne­ so narrata da Tucidide; altri, invece, sono presumibilmente originali, 47

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

poiché descrivono la vita della borghesia palestinese, insistendo in parti­ colare su temi socio-culturali e di costume 8• I critici arabi sono comunque concordi nell'attribuire a Baydas il merito di aver esercitato una funzione di stimolo per la cultura araba della Palestina 9, riunendo attorno a sé autori e traduttori come Antun Ballan, G ubran Ma�ar, Kalthum 'Awdah, Faris Mudawwar e Ibrahim l:fanna, i quali tradussero e scrissero soprattutto racconti pubblicati pre­ valentemente sulla sua rivista "al-Nafa' is ". Di Baydas non va trascurato, infine, l'impegno politico: nel 1908 fu eletto all'Assemblea mista, incaricata di tutelare i diritti della comunità cristiana ortodossa. Nel 1921, quando era già noto come scrittore, prese la parola davanti alla folla riunita per una cerimonia religiosa di fronte a Bah al-KhalTI, o Porta di Giaffa 10 , a Gerusalemme. La sua eloquenza in­ fiammò talmente gli ascoltatori che questi si riversarono nel vicino quartiere ebraico, dando origine a scontri su vasta scala; le autorità bri­ tanniche accusarono Baydas di aver fomentato la rivolta e lo arrestarono per attività sovversiva. Fu condannato a morte, ma la pena gli fu poi commutata a quindici anni di carcere. In un libro di memorie, Storia delle prigioni, egli descrisse gli anni di detenzione e la dura e iniqua re­ pressione britannica. Uscito di prigione, insegnò letteratura araba nella scuola vescovile di Gerusalemme, dove rimase fino allo scoppio della prima guerra arabo-israeliana nel 1948. In un primo tempo, convinto che, per la sua età, le truppe sioniste non gli avrebbero torto un capello, aveva pensato di rimanere, ma quando le vide entrare sparando nel quartiere fuggì anche lui con molti altri suoi connazionali per mettersi in salvo. Pochi mesi più tardi morì a Beirut, dopo un breve soggiorno ad Amman 11 • Sulla scia tracciata da Baydas, altri intellettuali della Palestina si ci­ mentarono nel nuovo genere del romanzo, in questo incoraggiati dal­ l' attività di traduzione ed evidentemente ispirati dal clima culturale scaturito durante gli anni della Prima guerra mondiale 1 2• Nello stesso periodo in cui Baydas iniziava a pubblicare L 'erede a puntate sulla rivi­ sta " al-Nafa'is " , un altro scrittore palestinese, Iskandar al-Khuri al-Baytagali (1890-1973 ) , nel 1920 dava alle stampe il romanzo La vita dopo la morte, in cui il conflitto mondiale fa da sfondo alle vicende narrate. I personaggi vengono travolti dagli eventi nella loro semplice realtà quotidiana, e uno dei protagonisti, NagTh, si vede costretto a partire per il fronte per evitare di essere considerato disertore. Al di là della storia descritta, si tratta di un'opera interessante soprattutto nella

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

descrizione dei personaggi, in particolare di NagTh cui affida un appel­ lo rivoluzionario rivolto alla comunità araba, ai suoi rappresentanti e ai giovani liberali. Esperto tessitore di dialoghi, al-Baytagali fa emerge­ re le personalità degli intellettuali che finiscono con l'essere essi stessi i veri protagonisti. Secondo un recente studio critico, quest'opera di al- Baytagali merita di essere considerata il primo romanzo palestinese, e non L 'erede di Baydas 1 3 . Di lskandar al-Khuri al-Baytagali si conosce anche un'altra opera narrativa, Nelpiù profondo, pubblicata nel 1947, interessante soprattutto per la rappresentazione della società palestinese dell'epoca. In questo la­ voro dai chiari intenti pedagogici, lo scrittore procede a una lunga disa­ mina dei problemi coniugali e dei rapporti extraconiugali, come si evin­ ce dal sottotitolo del romanzo, Analisi esauriente del matrimonio e dei rapporti sessuali presentata nella forma di una storia d'amore. Lo scopo dell'autore, a quanto pare, era quello di proteggere l'istituto del matri­ monio di fronte alla minaccia rappresentata dalle tendenze troppo per­ missive del secondo dopoguerra 14• Anche lui cristiano ortodosso come Khalil Baydas, si adoperò molto affinché i diritti della sua comunità confessionale fossero difesi, e fu anche un fervente sostenitore del dialo­ go islamo-cristiano. Fra gli scrittori che hanno fatto della nascente questione palestinese il fulcro della loro produzione letteraria, emerge G amal al-l:fusayni (1892-1 982) , noto soprattutto per due romanzi, Sulla ferrovia del lfigiiz e Thuriiyii (dal nome della protagonista) , pubblicati rispettivamente nel 1932 e 1934 a Gerusalemme, dei quali si sa ben poco perché praticamen­ te introvabili. Anche il celebre italianista e scrittore giordano ' I sà al-Na'uri 1 5 ricorda di averli letti quando abitava a Gerusalemme e affer­ ma che queste, come altre opere della letteratura palestinese anteriore al 1948, sarebbero andate irrimediabilmente perdute 16 . In queste due ope­ re, come in molte altre, si parla di nuovo delle vendite delle terre arabe ai sionisti, ma è soprattutto nel romanzo Sulla ferrovia del lfigiiz che ri­ salta il tema dell'angoscia per la perdita dalla Palestina, percepita come inevitabile per la comune sfiducia nei confronti della classe politica ara­ ba 1 7 • Negli anni decisivi per la sorte del paese, infatti, cominciava ad emergere nell'opinione pubblica un sentimento di impotenza e frustra­ zione, divenuto poi sempre più forte con il trascorrere del tempo 1 8 • Molti altri sono gli scrittori di quel periodo che si distinguono nella vita e nelle opere per l'impegno politico-sociale con cui seguono gli eventi che stanno maturando in Palestina. Nei loro lavori traspare l'an49

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

sia e l'angoscia di chi vede aumentare di giorno in giorno la presenza di stranieri nelle proprie città e villaggi e si sente impotente di fronte al precipitare degli eventi. È facile constatare quali siano i numerosi tratti in comune di queste opere: prima di tutto emerge l'attaccamento del palestinese alla terra, alla casa, e al paese. Si ripete lo stereotipo di ebrei descritti in maniera caricaturale, tra cui predomina la figura dell'usuraio senza scrupoli, o di altri personaggi negativi. Il contadino arabo - presentato per lo più come ingenuo e sprovveduto - si lascia trarre in inganno da astuti per­ sonaggi che sono in genere ebrei, ma talvolta anche arabi, palestinesi o no, che aiutano gli stranieri a danno dei propri connazionali, non preve­ dendo le disastrose conseguenze per la patria. Anche l'immagine della donna spesso rappresentata come un'occidentale, e quindi quasi sempre descritta come una libertina, è il frutto di una visione tipicamente ma­ schilista e preconcetta nei confronti dell'Occidente in genere. Si può facilmente notare, infatti, come il personaggio femminile, quando non è madre o figlia, venga troppo spesso identificato con don­ ne di facili costumi, soprattutto con le ballerine, il cui comportamento, per un certo strato della popolazione, era a quell'epoca indiscutibilmen­ te immorale e peccaminoso. Per gli scrittori musulmani, tuttavia, la donna-ballerina non doveva essere necessariamente ebrea, l'importante era che fosse comunque una "straniera", perché, per una sorta di pudore piuttosto ingenuo, nonché per una forma di rispetto nei confronti della comunità islamica a cui appartenevano, non potevano sparlare o infieri­ re su una donna musulmana, da sempre considerata la somma delle vir­ tù, e perciò una creatura da proteggere. Tra i rappresentanti di questo filone - interessante per il suo aspetto storico-politico, oltre che per la luce che getta su una certa concezione stereotipa dell'ebreo da parte dell'arabo palestinese 19 - va ricordato Mu}:tammad 'lzzat Datwazah (t887-1 984) , di cui si conosce Il proprieta­ rio e il sensale, pubblicato a Nablus nel 1934. Anche in questo lavoro vengono descritti i mezzi usati dai sionisti per ingannare i proprietari arabi e indurii a vendere le loro terre alle organizzazioni ebraiche in Pa­ lestina 20 • Così il solito contadino arabo ingenuo cade nelle grinfie del solito sensale ebreo che lo presenta a una ragazza, la solita ballerina; il poveretto perde la testa, la giovane gli fa spendere tutti i suoi risparmi e lo costringe a indebitarsi. Il sensale gli presta i soldi, che dovrebbero consentirgli di affrontare una nuova vita con la ragazza. Per restituire il debito, alla fine lo sprovveduto contadino è costretto a vendere la pro50

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

pria terra a poco prezzo 21 • Se questa trama può apparire abbastanza ri­ petitiva, va vista tuttavia come una concreta problematica che assillava gli intellettuali arabi dell'epoca. N el complesso, nella narrativa palestinese degli anni trenta, inizia a emergere in maniera evidente anche un'autocritica diretta contro gli arabi in genere, perché incapaci di difendere la Palestina e, in secondo luogo, verso i palestinesi stessi, per essersi lasciati impaurire, abbando­ nando le loro case e il paese. Oltre al tema scaturito dall'immigrazione ebraica in Palestina, molti autori trattano anche questioni che riguardano i conflitti in seno alla so­ cietà araba dell'epoca, come l'ingiustizia sociale, l'emancipazione fem­ minile e l'eterna diatriba tra modernisti e tradizionalisti. A tale proposi­ to va segnalato Yu}:lannah Dakrat, noto per due romanzi: L 'ingiustizia dei genitori e L 'o rigine della miseria, nei quali viene attribuita agli am­ bienti religiosi la responsabilità dell'arretratezza economica e sociale di gran parte della popolazione della Palestina 22• Per questo suo secondo lavoro Dakrat venne trascinato in giudizio 23. Mu}:lammad 'Adnani (1903-1981 ) , infine, poeta e romanziere, fu in­ fluenzato dal grande poeta egiziano A}:lmad Shawqi 24 che egli aveva co­ nosciuto personalmente quando studiava medicina al Cairo. La sua opera narrativa più importante è un'autobiografia che racconta la triste esperienza di quando, nel 1935, fu colpito da una grave malattia. L'opera descrive il suo girovagare da una città all'altra, in Egitto e in Europa, in cerca di cure mediche. Intitolata significativamente Ne/ letto, questa au­ tobiografia fu pubblicata per la prima volta nel 1946 ad Aleppo e ristam­ pata nel 1 9 53 2 5.

Is}:laq Musà al-l:fusayni N ella storia della letteratura palestinese merita un posto a parte il singo­ lare romanzo di Is}:laq Musà al-l:fusayni (1904-1990), Memorie di una gallina 26 , scritto nel 1943· Come ha osservato il celebre scrittore egizia­ no Taha l:fusayn nell'introduzione al libro, quest'opera si ricollega al fi­ lone classico-allegorico dei racconti di animali che percorre tutta la sto­ ria della letteratura araba, da Kalilah e Dimnah 2 7 in poi. Ma c'è anche chi ha accostato Memorie di una gallina al famoso La fattoria degli ani­ mali del 1945 di George Orwell 28• 51

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Il romanzo narra la storia di una gallina saggia e lungimirante, le cui azioni sono dettate da nobili principi. Le vicende si svolgono in un pol­ laio dove gli abitanti si sforzano di adattarsi nel miglior modo possibile alla realtà; ciò offre all'autore, che ci assicura che «la storia è fondamen­ talmente vera, con un minimo apporto della fantasia)) 29 , l'occasione di esaminare i rapporti tra individuo e società e, soprattutto, di mettere in guardia il lettore, attraverso l'allegoria dei polli, contro il pericolo sio­ nista: Questa storia descrive la vita di una gallina che è vissuta in casa mia. Tra noi è nata l'amicizia e anche l'affetto. lo ho osservato la sua vita d'ogni giorno; gli avvenimenti che ho narrato le sono accaduti davvero, non si tratta di esagera­ zioni [ . ] . Se alla mia amica gallina fosse possibile parlare una lingua compren­ sibile, ve lo racconterebbe lei stessa [ . . . ] io non ho fatto altro che tradurre quanto lei mi ha riferito 3 o . . .

La gallina di cui leggiamo le memorie, «filosofa e poetessa)) , come la definisce Taha Ijusayn, non tarda ad ambientarsi e a conquistare una posizione di prestigio, tanto da assumere il ruolo di vera e propria leader: Questa è una gallina molto intelligente, è una filosofa che studia i fatti della so­ cietà con molto acume e riflessione. Così essa arriva a scoprire quali siano i mali della società e a indicare i rimedi 3 1 •

Delle varie vicende che si susseguono, rilevante è il tentativo compiuto da un gallo estraneo di stabilirsi nel pollaio contro la volontà degli abi­ tanti originari: il capofamiglia, un gallo coraggioso, affronta l'intruso e lo uccide, restando però a sua volta mortalmente ferito. Successivamen­ te si forma una nuova generazione di galletti impavidi che assumono la guida della comunità, manifestando intenzioni anche piuttosto audaci dalle quali la protagonista riesce a dissuaderli: un brutto giorno i com­ ponenti di questa grande famiglia, al ritorno da una passeggiata nei campi, trovano il pollaio occupato da altri polli sconosciuti che, in un primo tempo, vengono accolti benevolmente dai legittimi proprietari, perché raccontano di non aver più un posto al mondo dove andare. Ben presto, però, appare chiaro che i nuovi venuti non hanno alcuna inten­ zione di esser considerati ospiti temporanei: 52

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

La tragedia si compì mentre tornavamo al pollaio, una sera, dopo una bella passeggiata. Sentimmo rumori inconsueti dall'interno del pollaio e ci fermam­ mo, pensando di scappare [ . . . ]. Poi ispezionammo tutto il cortile, angolo per angolo, e ci dirigemmo in fila verso il pollaio. Guardammo dentro , e vedemmo delle creature sconosciute; entrammo ed ecco che vedemmo i nostri posti oc­ cupati. Mi allarmai e gridai: " Chi è ? " . Una femmina mi rispose: " Non ti pre­ occupare, sorella! Siamo creature come voi. Siamo venute in questo pollaio perché non sappiamo dove andare". Chiedemmo: "Vi fermerete molto ?". Ri­ spose: " N o n lo sappiamo ". E così comi nciarono le nostre difficoltà: dividem­ mo il pollaio e passammo la notte in grande disagio 32•

I galletti decidono poi di scacciare i nuovi venuti con la forza, ma la pro­ tagonista, la gallina saggia, li persuade ancora una voi ta ad astenersi da gesti inconsulti e, piuttosto che espellere gli estranei, assume un atteg­ giamento conciliatorio e convince la propria famiglia a cedere la propria abitazione per cercarne un'altra. Questa decisione provocherà aspre po­ lemiche tra la generazione più giovane: " Ci troviamo di fronte a due alternative: o rinunciamo al nostro pollaio, oppu­ re lo teniamo e cacciamo gli stranieri. " Uno dei giovani disse: "N o n è ragione­ vole abbandonare il pollaio in cui siamo nati e cresciuti. Bisogna che i parenti forestieri si decidano a tornare da dove sono venuti ". I giovani erano tutti d' ac­ cordo, ma furono frenati da un loro capo che temeva lo scontro: " Calma, cal­ ma, miei cari, pensate davvero che i forestieri accetteranno di andarsene ? " 33•

La " saggia" gallina consiglia, inoltre, a tutti i componenti della famiglia che andranno in giro per il mondo alla ricerca di una casa nuova, di pre­ dicare nobili principi, gli stessi che essa cercherà di inculcare nei nuovi venuti. Questa gallina «saggia e lungimirante» è in realtà il personaggio che convince la propria gente ad accettare il fatto compiuto dell' occupazio­ ne straniera. Non è del tutto chiaro se, nel 1943, l'autore intendesse con quest'opera mettere alla berlina l'incapacità dei dirigenti nazionalisti arabi, e in particolare palestinesi, o se pensasse realmente di poter risol­ vere fraternamente la questione nazionale tra ebrei e palestinesi 34• Se da una parte è palese l'esortazione alla popolazione ad abbandonare il pae­ se, dall'altra è probabile che l'autore intendesse mettere in dubbio la ca­ pacità dei dirigenti palestinesi di guidare la propria gente; nello stesso 53

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

tempo lo scrittore così denuncia la rassegnazione di una certa parte della popolazione che, invece di reagire, sprofondava in una valle di lacrime. In realtà, molti sono nell'opera i riferimenti critici e autocritici ab­ bastanza espliciti al comportamento degli stessi palestinesi, come quan­ do lo scrittore descrive la reazione delle galline alla morte del gallo: N astro marito era appena morto e noi ci siamo accalcate intorno a lui, con le lacrime che ci sgorgavano dagli occhi. Abbiamo pianto disperatamente, ma non abbiamo saputo trarre una lezione dalle lacrime [ ... ]. Ci siamo così con­ vinte che la rassegnazione fosse l'ultima arma, e abbiamo trasportato nostro marito dalla sua dimora al luogo del riposo. Tornate alla nostra casa, abbiamo ripreso a lamentarci e a tormentarci, tanto che le nostre anime stavano per scappar via 35•

Taha tlusayn, che ben conosceva la questione palestinese, non volle tuttavia sottolineare nella sua introduzione gli evidenti aspetti politici dell'opera, ma preferì fare un discorso piuttosto diplomatico e concilia­ torio, scrivendo: Abbiamo letto questa biografia e condiviso le gioie e i dolori della gallina pale­ stinese. Abbiamo notato - che strano ! - come i sentimenti della gallina siano gli stessi di ogni arabo palestinese, anzi di qualsiasi abitante dell'Oriente arabo, per quanto riguarda l'amore del prossimo, l'avversione per l'odio, l'aspirazione a nobili ideali di giustizia sociale e internazionale, la nobiltà del carattere arabo e il suo desiderio di dignità paragonabile a quello del passato 3 6 •

In Palestina, com'è naturale, il significato politico della parabola di lsQ.aq Musà al-tlusayni provocò accesi dibattiti. Un altro scrittore, 'Abd al-tlamid Yasin, ad esempio, fu molto critico verso le Memorie di una gallina per gli strani consigli forniti dalla «saggia)) protagonista. Egli si scagliò, infatti, contro l'autore con queste parole: «N o n capisco che sen­ so abbia, da parte della gallina, descrivere gli intrusi come ospiti da ac­ cogliere con cortesia e dignità. E nemmeno riesco a comprendere il comportamento dei padroni di casa che abbandonano il pollaio, la­ sciando che vi si stabiliscano gli ospiti non invitati)) 37• Pertanto degno di elogio è, per questo scrittore, quel gallo che all'inizio della storia era stato più lungimirante e aveva combattuto contro il primo intruso, pa­ gando con la propria vita la convinzione che non ci si debba arrendere di fronte all'ingiustizia e all'aggressione. 54

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

A giudicare dalla reazione di questo scrittore, si comprende lo scal­ pore che il romanzo di ls}:laq Musà al-I:Iusayni suscitò tra gli intellettua1 i dell'epoca. In conclusione, Memorie di una gallina occupa un posto importante nella narrativa palestinese, perché, malgrado alcuni aspetti eccessiva­ mente parodistici, ha presentato con cinque anni di anticipo la nakbah palestinese con tutte le conseguenze umane che un tale evento ha pro­ dotto. Va, inoltre, riconosciuto il merito allo scrittore di aver fatto allu­ sioni per la prima volta nella letteratura palestinese anteriore al 1948 alla tragedia degli ebrei in Europa, e a trovare una certa "giustificazione" a quell'immigrazione di massa delle vittime naziste.

Gli ideali sovietici nella cultura palestinese A uno scrittore come ls}:laq Musà al-tlusayni si può contrapporre Ma}:lmud Sayf al-Din al- I ran! (1913-1974) , che emerge tra gli autori a lui contemporanei per l'aspirazione ad un rinnovamento politico-sociale che caratterizza i suoi scritti. Nel 1935 fondò la rivista settimanale "al-Fagr" 38 che fu una delle più accurate e brillanti pubblicazioni lette­ rarie nate in Palestina prima della nakbah. Ma i lavori di al- I ran! merita­ no di essere ricordati soprattutto per il loro contenuto sociale. La sua opera più importante è una raccolta di racconti pubblicata a Giaffa nel 1937 sotto il titolo di Prima fase, in cui l'autore afferma che non si può combattere efficacemente il sionismo senza una preliminare trasformazione della società araba. In questi racconti, che possono esse­ re annoverati nel filone realistico e pedagogico, sono messi in luce i va­ lori socialisti e la lotta di classe che lo scrittore reputa prioritaria a qua­ lunque altra battaglia. al- I ran!, infatti, non fa mistero del proprio schie­ ramento a sinistra, né della sua ammirazione per l'esperienza sovietica, ma nello stesso tempo non si spinge fino a proporre al mondo arabo un futuro comunista. Nei suoi scritti egli affronta, inoltre, in maniera estre­ mamente critica questioni quali il rapporto tra uomo e donna, la poliga­ mia, la disoccupazione e le condizioni deplorevoli dei lavoratori, non­ ché la corruzione dei dirigenti nazionali. Quest'ultimo tema verrà poi abbondantemente trattato dagli scrittori palestinesi dopo il 1 948, ma l'a­ verlo affrontato negli anni trenta fa di al- I ran! un precursore. Nella sua introduzione a questa raccolta di racconti lo scrittore chia­ risce inoltre il suo punto di vista sulla differenza tra "scrittori di ieri " e 55

C E N T O ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

"scrittori di oggi ", spiegando che i primi accettavano la realtà così co­ m' era e si accontentavano di descriverla dall'esterno; i secondi, invece, si sforzano di denunciare tutto ciò che nella vita va condannato, per pre­ parare la strada a una realtà diversa. al- I ran! metteva così in discussione la società araba tradizionale che giudicava incompatibile e anacronistica con le esigenze del mondo moderno. N ello stesso tempo egli si sforzava, tuttavia, di arginare la tendenza che mirava a sostituire i valori tradizio­ nali con quelli della cultura borghese occidentale. Un altro scrittore molto impegnato sul piano politico, oltre che cul­ turale, fu Nagati Sidqi (1905-1980) che, dopo aver studiato a Gerusa­ lemme, andò a completare gli studi in Russia dove si laureò in economia politica. Diventato giornalista, partì in seguito per la Francia, prima di raggiungere la Spagna dove seguì le vicende della guerra civile. Ritorna­ to in Palestina, si trasferirà in Libano, dove si dedicherà esclusivamente alla scrittura e alla traduzione. Nagati Sidqi fa parte di quegli autori che, prima del 1948, hanno dato un contenuto esplicitamente politico alla propria opera. Esperto dell'opera di Ibn Khaldun ( xiv secolo) , lo scrittore coniuga il pensiero del grande storiografo tunisino con la dialettica hegeliana, oltre a inte­ ressarsi ad autori come Puskin, Cechov, Gorkij . Sul piano letterario Sidqi si è distinto per una raccolta di racconti, pubblicata nel 1947 al Cairo con il titolo Le sorelle tristi. Il racconto che dà il nome al volume, narra la storia di cinque sicomori piantati in una strada di Tel-Aviv quindici anni prima, quando il quartiere era comple­ tamente arabo e davanti a una casa c'era un vecchio frutteto. Il narratore vede in sogno gli alberi sotto forma di sorelle tristi e imprigionate in un posto diventato loro estraneo; al suo risveglio prende atto che gli alberi sono ancora tenacemente abbarbicati al suolo, malgrado un forte vento che sembra sul punto di sradicarli. Nel dialogo che avviene tra gli alberi prevale una nostalgia acritica o apolitica per il passato, fino a quando non prende la parola il più giovane, nato nel 1917, data della Dichiara­ zione Balfour: questo sicomoro si limita a ricordare alle sorelle come il lutto comune risalga proprio alla sua data di nascita. In questo racconto l'allegoria ha lo scopo di mettere in luce i sentimenti della popolazione palestinese verso la penetrazione sionista e il loro tenace attaccamento alla terra. In un altro racconto compreso nel medesimo volume, e che riper­ corre temi già molto sfruttati dagli autori palestinesi a lui precedenti, Sidqi descrive, senza ricorso all'allegoria, la storia di un giovane arabo

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

ingannato da una donna venuta dalla Germania, alla quale ha incauta­ mente permesso di abitare in casa sua. La donna, che poi si scoprirà es­ sere un'ebrea - ricalcando quindi copioni già visti - con una serie di astute macchinazioni riuscirà infi n e a cacciare l'arabo dalla propria abi­ tazione. Opere come quelle di N agati Sidqi e di Mal).mud Sayf al-DIn al- I ran!, se da un lato ubbidiscono a canoni politici e sociali, da cui emerge il credo socialista degli autori, dall'altro dimostrano quanto la narrativa palestine­ se, all'epoca, non avesse ancora raggiunto alti livelli, tanto da far dire al grande scrittore C abra Ibrahim C abra: Fino al 1948, sul piano intellettuale, noi eravamo più o meno un'appendice dell'Egitto. Avevamo due o tre buoni poeti e quattro o cinque buoni prosatori , i quali però non avrebbero mai trovato posto, allora, in un'antologia della let­ teratura araba 39.

Con il passare degli anni, comunque, è indiscutibile che la letteratura palestinese raggiungerà livelli ragguardevoli, arrivando ad eguagliare la produzione egiziana o libanese, e consolidando la sua posizione nell' am­ bito della letteratura araba nel suo complesso.

L'inquietudine del poeta Così come tutti gli studenti del mondo arabo apprendono a memo­ ria i versi del poeta tunisino Abu '1-Qasim al-Shabbi ( 1 9 09-1934) , «Se un giorno la gente invoca la vita l risponde il destino» 40 , allo stesso modo conoscono quelli di Ibrahim Tuqan (1905-1941 ) , poeta palestinese a lui coevo: egli è alla porta, fermo ne ha paura la morte. Chetatevi tempeste, a quel coraggio, reverenti 4\

Nato a Nablus nel 1905, Ibrahim Tuqan studiò a Beirut, dove si laureò nel 1929, e insegnò all'Università americana. Nel 1933 rientrò in Palestina e collaborò alla sezione araba di Radio Gerusalemme fino al 1941 , quando si vide costretto per motivi politici a lasciare di nuovo il suo paese. Partì 57

CENTO A N N I DI C U LT U RA PALES T I N E S E

per Baghdad dove insegnò alla Dar al-mu 'allimin, l'istituto per la forma­ zione degli insegnanti, ma dopo poco ritornò definitivamente in patria, indebolito da una grave malattia che lo porterà precocemente alla morte nel 1941 . Le sue poesie furono pubblicate nel suo diwiin che ha conosciu­ to numerosissime ristampe in tutto il mondo arabo. Ibrahim T uqan era stato un assiduo collaboratore della rivista "al-Risalah ", fondata da Mmad al-Zayyat, una pubblicazione molto vi­ cina alle posizioni tradizionaliste, ma estremamente colte, dell'Universi­ tà islamica di al-Azhar del Cairo e che aveva animato il vivace dibattito intellettuale nell'Egitto a partire dagli anni trenta. Con i suoi scritti egli si inserì, infatti, in quel fecondo fermento culturale che caratterizzò la vita dei letterati arabi della prima metà del xx secolo 42. Come il tunisino al-Shabhi, anche Ibrahim Tuqan è da considerarsi dunque un poeta romantico che si nutrì della poesia occidentale da lui conosciuta in traduzione, grazie a una folta schiera di giovani poeti arabi che, confrontandosi con l'Occidente, spianarono la strada alla futura e rinnovata poesia araba; egli ebbe così modo di conoscere e apprezzare le scuole poetiche straniere e, soprattutto, le opere di Shelley e Byron, non­ ché quelle di Keats e Wordsworth. A differenza di al-Shabbi, però, Tuqan conferirà alla sua produzione una connotazione marcatamente politica e patriottica, tanto da essere considerato il precursore della mo­ derna poesia palestinese. Sul piano linguistico, egli introdusse innovazio­ ni, scrivendo anche in dialetto palestinese, nella convinzione che nella poesia non bisogna cercare tracce di un'elaborazione artificiale, giacché i versi ubbidiscono a ritmi e a una cadenza insita nelle parole stesse 43 • Se da un lato T uqan utilizza una metrica rigorosamente classica sull'esempio dei poeti neoclassici della scuola del "principe dei poeti ", l'egiziano Mmad Shawqi 44 - dall'altro, non disdegna il ricorso a un lessico meno ricercato, che meglio lo aiuta a esprimere le istanze nazio­ nalistiche del suo tempo. Interessante poi è il rapporto di Ibrahim T uqan con la sorella Fadwà (1917-2003) , destinata a diventare una delle più famose poetesse arabe. Egli la iniziò non solo alla scuola della vita, ma anche a quella del­ la poesia, come lei stessa ricorderà in più occasioni 45• Suo fratello Ibrahim, infatti, rappresentò per lei un vero e proprio maestro che le diede la possibilità di studiare in una famiglia fin troppo tradizionalista, sottomessa a un padre poco incline all'emancipazione della donna. N el 1 946 Fadwà dedicherà alla memoria del fratello un'importante opera,

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

Mio fratello Ibrahim, che è fondamentale per la conoscenza umana e let­ teraria di questo grande poeta. Come tanti intellettuali della sua epoca anche Ibrahim Tuqan visse con preoccupazione il fenomeno della crescente immigrazione ebraica, prevedendo con molti anni di anticipo l'evacuazione della popolazione araba dalla Palestina, come si coglie nei seguenti versi tratti dalla famosa poesia Voi Potenti: Ma perché prolungare lunghissima via E per noi e per voi, e perché prolungare il cammino ? Basta a voi la Terra che si svuoti di noi, o per noi preferite la morte ? 46

Con questo poema del 1935, che in un certo qual senso può sembrare la replica palestinese al proclama sionista di Theodor Herzl «una terra senza popolo per il popolo senza terra», Ibrahim Tuqan esprime le preoccupa­ zioni di tutti i palestinesi della sua epoca, vale a dire, la paura di veder spa­ rire il proprio paese e la propria identità dalla faccia della terra. Indirizzata ai "potenti ", si riferisce soprattutto alla Gran Bretagna che si era impe­ gnata a favorire la costituzione di una national home ebraica in Palestina, ma anche a quanti avevano sostenuto la Dichiarazione Balfour del 1917, gettando le basi di quello che sarebbe stato il futuro Stato di Israele. Il suo ardente fervore patriottico trapelerà in tante altre sue liriche, come in Patria mia, o ancora nella poesia Il numero Mille, in cui egli profetizza amaramente l'esodo dei palestinesi dalla loro terra, per far po­ sto ai nuovi arrivati: Tredici è ovunque numero cifra maledetta, ma eccone un altro far capolino nella disdetta: il numero Mille molto si avvicina al dolore inflitto alla Palestina. Mai conobbe ferocia più dura come nel giorno della cattura. Mille e poi mille son messi in fuga, lasciando il posto a chi la terra trafuga; Mille licenze, lasciapassare e fiumi di gente libera d'andare portando con sé nel profondo del cuore la paura per quanto di loro qui muore.

59

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Mille e poi mille si riversano in mare, ondate di barche pronte a salpare 47.

Nei suoi versi Ibrahim Tuqan commemorò, tra l'altro, i caduti negli scontri con le forze britanniche negli anni trenta, come nel noto poema Martedì rosso, che il maggior critico palestinese, I}:lsan 'Abbas (19202003), ha definito «il grano che ha fatto germogliare la pianta della poe­ sia palestinese)) 48• Questi versi furono scritti per ricordare tre connazionali 49 che la Gran Bretagna aveva accusato di aver fomentato la rivolta nel 1929 a KhalTI (Hebron) , e che, ritenendoli colpevoli, condannò a morte per impiccagione. Per i palestinesi, invece, i condannati simboleggiano i primi " martiri " , sacrificati in nome della nascente causa palestinese. E come ricorda Fadwà T uqan nelle sue memorie, dopo aver composto quei versi Ibrahim «diventò la voce, la coscienza patriottica e sociale dei palestinesi)) 50• Con queste sue poesie di carattere nazionalistico, Ibrahim T uqan anticipò i temi che sarebbero stati sempre più ricorrenti nella futura produzione letteraria palestinese. Passato alla storia come il "poeta della Palestina", va ricordato anche per aver trattato questioni che vanno dal­ la metafisica alla filosofia, dalla vita alla morte, ma anche per un filone, per così dire "erotico " , che non compare, però, nel suo diwiin, ma che molti nel mondo arabo conoscono e apprezzano. Grazie al suo spirito di pedagogo, Ibrahim Tuqan allevò una schiera di discepoli a cui fece amare la letteratura, spronandoli a comporre e aiutandoli a pubblicare sulle numerose riviste arabe alle quali egli stesso collaborava. Forse quello che si può considerare il suo più vicino discepolo è 'Abd al-Ra}:l.Im Ma}:lmud (191 3-1948 ) , che seguì le orme del maestro, co­ niugando l'impegno politico con quello letterario. Nato e cresciuto nella regione di Tulkarem, 'Abd al-Ra}:l.Im Ma}:lmud nel 1936 lasciò la Palestina alla volta dell'Iraq dove proseguì gli studi in una scuola militare. Tornato in patria nel 1946, collaborò ad alcune testate di sinistra tra cui "al-Ghad" e "al-Itti}:lad", organo que­ st'ultimo del Partito comunista. Da buon militante marxista qual era, 'Abd al-Ra}:l.Im Ma}:lmud riteneva che soltanto la classe operaia fosse in grado di ostacolare i disegni britannico-sionisti sulla Palestina, come si può ben notare nella poesia Rabbia. 6o

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

Il mondo si stringe e mi schiaccia, rende me giovane oppresso e l'anima mia gravoso fardello. I n quel tem p o fu la mia gente a !asciarmi crollare addosso quel funesto macigno pesante. L'anima mia grava troppo sugli altri la venderò per monete sonanti. Quando sconfitto ho accettato il ritiro la terra tradita ha stroncato il respiro. Chiusi gli occhi su un mondo corrotto che al farabutto piaceri concede e solo tormenti infligge all'onesto, di pane e denari incontrastati padroni, maledetti sempre gli usurpatori 5 1 .

'Abd al-R�Im M�mud prese parte alla guerra del 1948 e perse la vita a soli trentacinque anni, nella battaglia di al-Shagarah, vicino a Nazaret. Per questa morte incontrata sul campo, sarà ricordato dai palestinesi come il "poeta martire" . Impregnate di tristezza e nostalgia per una pa­ tria che viene percepita sempre più in pericolo, le sue poesie esortano, tra l'altro, i connazionali a difendere la terra con estremo coraggio anche a costo della vita. Significativi sono i versi in cui dice «La mia terra è la mia identità» 52• Con il consueto stile neoclassico dell'epoca, egli scrisse molte elegie per i combattenti e i caduti, e alcune di queste sono ricordate tuttora perché messe in musica e interpretate da famosi cantanti arabi. In ambito palestinese, poi, è molto nota una poesia in dialetto del­ la Galilea di un autore rimasto anonimo che, poco prima di essere giu­ stiziato dalle autorità britanniche a Haifa, nel 1939 , improvvisò questi versi: O notte, lascia che il prigioniero finisca il suo canto. All'alba, la sua ala batterà e colui che deve essere impiccato dondolerà nel vento. O notte, spezzati, lascia che ti apra il mio cuore; forse hai dimenticato chi sono

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

e quali siano i miei tormenti. Ahi, le mie ore sono scivolate veloci dalle tue dita. Non pensare che io pianga di paura, queste lacrime sono per la patria, per i bambini innocenti che a casa sono affamati, senza padre. Chi li nutrirà dopo di me? I miei due fratelli prima di me hanno dondolato sulla forca. Che vita condurrà mia moglie nella solitudine e nelle lacrime? N o n le ho regalato un bracciale per il suo polso quando la patria mi ha chiamato alle armi 53.

Molti altri intellettuali palestinesi si schiereranno in prima persona con­ tro l'occupazione britannica della Palestina, pagando duramente per la loro partecipazione attiva alle insurrezioni e ai combattimenti. Il poeta Ibrahim Nf1D (1910-1938 ) , ad esempio, morì anch'egli mol­ to giovane, a soli ventotto anni, combattendo negli scontri di Tura, in Galilea. Di umili origini, aveva lavorato come operaio in una tipografia e aveva militato in organizzazioni proletarie fino a quando fu arrestato dalle autorità britanniche. Uscito di prigione, divenne uno dei leader del Movimento nazionale palestinese. Come poeta, attinse soprattutto al patrimonio popolare, componendo poemi in dialetto del suo paese, volti a infiammare gli animi dei suoi corregionali. Secondo una consoli­ data tradizione, anche a Ibrahim N u}:l fu dato un soprannome, cioè quello di «poeta popolare della rivolta del 1936». Un altro autore scomparso prematuramente è, infine, 'Abd al-Khaliq Murlaq, nato a Nazaret nel 1910. Malgrado la sua breve vita - morì a soli ventisette anni per un incidente - ha lasciato un segno importante nella storia della letteratura palestinese. Definito il «poeta dell'emozione e del­ la tristezza», ci ha lasciato un unico diwiin, in cui, secondo i canoni ro­ mantici dell'epoca, già si notano i germi della poesia moderna, influenza­ ta dagli esponenti della corrente del mahgar, da KhalTI Murran a G ubran KhalTI G ubran 54• Egli fu molto attivo come giornalista, fondò a Haifa la rivista " Kashshaf al-Sa}:lra' " e collaborò a diverse testate come "al-Difa"' , "al-Nafir" e "al-Yarmuk" .

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

Il poeta più conosciuto dell'epoca è, tuttavia, 'Abd al-Kar1m al-Karm1 (1907-1 980) , noto semplicemente con il soprannome di Abu Salmà. Lega­ to come Ibrahim Tuqan ai canoni della poesia neoclassica, egli ripone nei suoi versi tutta la rabbia e l'impotenza per il destino del suo popolo, come nella poesia Dieci anni dopo: [ . . ] In nome dei bimbi del mio paese, Valichi rossi violati d'infamia E storia di vittime Su drappi funebri pianti dal tempo. In nome della mia gente, In quel che resta della mia terra, In nome loro, per le tristi strade del tormento. In nome loro, che in tutta la terra si offrono, Debole testimonianza del sopruso sofferto. Il nome loro ringhia nei miei canti Fatti di sangue e lacrime, fuoco ardente e fumo. In nome loro solennemente giuriamo N o n ci sarà per noi il domani Senza terra che benedica le nostre mani [ ... ] 55. .

N elle sue poesie Abu Salmà non disdegna, però, il tema dell'amore, su­ blimando alla maniera dei poeti dell'antichità la donna, pur sempre identificata con l'amata patria. Abii Salmà è stato un fecondo poeta anche dopo il 1948, contri­ buendo con i suoi versi, tradotti in molte lingue, a far conoscere la soffe­ renza del suo popolo. [ . . ] Non dire al poeta che canti con versi le notti d'ebbrezza, il tuo sguardo è del ritmo più sapiente, sfidano i giorni in te bellezza e amore: compagni a eternità, si dilettano e vegliano. Nascondere l'amore ? È un'ala in me la poesia, ogni volta che batte piano, inciampa. Dimenticare ? E forse non ti sei incamminato a quella terra pura, Palestina, ove canta ogni zolla gli eroi che vissero e tornano a vita ? .

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Vittima ingiusta, patria mia, perché vedo soltanto fronti impolverate ? 56

Tra i poeti prevalentemente romantici, un posto a parte si deve riservare a quelli estremamente tradizionalisti che, ricalcando antichi canoni stili­ stici e formali, diedero un particolare contributo alla poesia palestinese. Furono in molti a cimentarsi in questo genere, e sicuramente uno degli autori più geniali fu Al).mad al-H il mi 'Abd al-Baqi, noto per essere sta­ to, seppure per un brevissimo lasso di tempo, primo ministro nel gover­ no palestinese (Jjukumat 'Umum FilastTn) del 1948 con sede a Gaza. Figlio di una importante famiglia, 'Abd al-Baqi fu generale nell'e­ sercito ottomano, governatore militare di Gerusalemme, uno dei primi membri del partito !stiqlal e fondatore nel 19 30 della Banca nazionale araba. In seguito alla nakbah si trasferì al Cairo dove rappresentò la Pa­ lestina presso la Lega degli Stati arabi, e morì nel 1963. Se 'Abd al-Baqi è ricordato nel mondo arabo per il suo impegno po­ litico a favore della creazione di uno Stato palestinese, non è ancora molto conosciuto come poeta. Egli, invece, fu l'autore di un poderoso diwiin di quartine tutto scritto alla maniera di quei poeti tradizionalisti del XI X secolo che si dedicarono a virtuosismi linguistici, componendo versi che si leggessero tanto da sinistra verso destra, quanto da destra verso sinistra, oppure che cominciassero o terminassero tutti con una stessa lettera dell'alfabeto 57• L'opera di 'Abd al-Baqi, che oggi conosciamo grazie alla recente "scoperta" di un altro grande poeta palestinese, Ibrahim Na�rallah (1951 ) , che ha curato l'edizione del suo dTwiin, segue la metrica classica nella quale la quartina è costituita da quattro emistichi, il secondo e il quarto dei quali terminano con un'identica lettera dell'alfabeto. A que­ sto meticoloso rispetto della metrica, il poeta aggiunge il suo personale virtuosismo utilizzando nelle rime delle sue quartine tutte le lettere del­ l'alfabeto arabo dall'A/ifalla Ya ' (ossia dall'A alla Z) 58• Malgrado i suoi versi percorrano tutto lo scibile delle gioie e dei dolori umani, sempre molto forte è l'amor patrio verso la Palestina oltraggiata: Da Oriente a Occidente la Terra ho percorso da Nord a Sud l'ho attraversata Mai tanta spavalderia insolente ho scorso come di terra da gravi offese coltivata 59.

3

LA P R O D UZIO N E LETTE RARIA P RIMA D E L

1 9 48

Ci sono poeti, poi, come Iskandar al-Khuri al-Baytagali, già ricordato per la sua opera narrativa, che nelle sue poesie dialoga con i " fratelli " ebrei e , i n nome dell'antica fratellanza, s i strugge e s i domanda come sia stato possibile arrivare a odiarsi, dopo secoli di pacifica convivenza. Ri­ pensando inoltre, nostalgicamente, «ai bei tempi dell'Andalusia, quan­ do ci amavamo tutti !», sprona entrambe le parti a reagire a «questo cat­ tivo disegno che si è abbattuto su di noi» 60. Quest'identificazione della perdita dell'Andalusia, per molti arabi paragonabile alla perdita della Palestina, con il tempo diventerà un topos sempre più presente in tutta la produzione araba contemporanea 6 1• Si può concludere sinteticamente affermando che negli anni prece­ denti alla nakbah la poesia palestinese è percorsa da varie correnti poeti­ che, presenti in tutta la letteratura araba, impregnata di romanticismo e di un forte amor patrio. Gli autori palestinesi, anche quando esprimono la speranza, o meglio l'illusione, di toccare il cuore dei potenti, sanno comunque con certezza che i loro versi arriveranno, invece, al cuore del popolo che troverà proprio nelle poesie e nelle canzoni il sostegno ne­ cessario per affrontare la realtà. Se da una parte si ammette che, con le dovute eccezioni, si può par­ lare di una letteratura palestinese significativa soprattutto a partire dal 1948, in realtà la produzione letteraria precedente alla nakbah, in prosa e in poesia, merita di essere ricordata come degna testimonianza di tutta un'epoca e del processo evolutivo dell'autocoscienza nazionale palesti­ nese.

4 La nakbah

Etimologia della "catastrofe": gli scrittori raccontano Il termine nakbah, che alla lettera significa "catastrofe", "disgrazia", "sventura", indica per gli arabi la perdita della Palestina nel 1948 ed è usato oggi, in questo senso, anche nella pubblicistica e nella letteratura scientifica occidentale. Sul concetto di nakbah 1 sono stati scritti fiumi di parole nel mondo arabo, dagli studi di Qu��an�in Zurayq (1919-2000) , che è tra i primi a parlare della sconfitta morale oltre che materiale della Palestina in un li­ bro dal titolo Il significato della nakbah \ alla relativa voce dell'Enciclo­ pedia palestinese, in cui l'argomento è presentato come uno specifico campo di studi 3• Per il siriano Zurayq, professore all'Università ameri­ cana di Beirut e fondatore dell'Istituto di Studi palestinesi, la nakbah è il periodo più doloroso della recente storia araba perché ha mostrato agli arabi la loro incapacità di costituire una nazione (ummah) 4. Secondo quest'autore, «il sionismo vive nel presente e per il futuro, mentre gli arabi continuano a sognare i sogni del passato e a compiacersi della glo­ ria ormai lontana)) 5• La disperazione dei profughi, per Zurayq, è stata più gravosa di qualsiasi perdita concreta, e ha indotto le persone a vi­ vere e a rifugiarsi nel passato, nello struggente sogno del ritorno , idea­ lizzando a dismisura il loro paradiso perduto, mentre sempre secondo Zurayq, il trauma della nakbah avrebbe dovuto provocare una spinta verso il progresso e non verso l'annientamento 6• Per i palestinesi la nakbah coincide dunque con l'inizio della diaspora (shatiit) 7, in cui forte è la sofferenza per il distacco dalla terra e l'ansia per la ricerca dei propri familiari. Per molti di loro è anche l'inizio di una vita nelle tendopoli, nei numerosi campi profughi disseminati in Cisgiorda­ nia, a Gaza e negli Stati arabi fratelli. Questi ultimi devono ospitare, loro malgrado, migliaia di persone cacciate dalla Palestina che, per la maggior parte, non saranno mai integrate completamente, e sopravvivranno in

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Giordania, in Libano e in Siria con uno status di " rifugiati ", senza nazio­ nalità, e alla mercé delle N azioni Un i te, o meglio, dell'organismo prepo­ sto, l'uNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Re­ fugee in the Near East) . Questi palestinesi, secondo Ma}:lmud OatWish: continuarono a nascere senza motivo, a crescere senza motivo, a ricordare sen­ za motivo e a essere assediati senza motivo. Conoscono tutti la storia, una sto­ ria che som iglia a un incidente cosmico, a una catastrofe naturale. Però, hanno letto molto nel libro dei loro corpi e delle loro tende; hanno letto il loro essere discriminati, hanno letto i proclami nazionalisti, hanno letto le pubblicazioni dell'uNRWA, hanno letto le fruste della polizia. Hanno continuato a crescere e a moltiplicarsi dietro la barriera del campo profughi e dei centri di detenzione. Hanno letto la storia delle roccaforti e delle fortezze costruite dagli invasori per eternare i loro nomi in una terra che non è loro, come per alterare l'identità delle pietre e delle arance. La storia non è forse corruttibile ? 8

Per la cosiddetta " minoranza araba " di Israele la nakbah significherà, in­ vece, la "presenza-assenza" in un paese diventato loro estraneo. Forse qualche cifra può aiutare a comprendere la portata del fenomeno: nel maggio del 1948 su 1.40o.ooo palestinesi, circa 112.000 rimarranno in quello che sarà lo Stato d'Israele, 423.000 si stanzieranno a Gaza e in Ci­ sgiordania, e per 854.000 comincerà l'esilio in settantuno campi di rifu­ giati 9 • E, come rileva lo storico israeliano Ilan Pappe, «la catastrofe che col­ pì la Palestina sarebbe stata ricordata, nella memoria collettiva naziona­ le, come nakbah: la "catastrofe " che accese la fiamma dell'unione dei palestinesi in un movimento nazionale. Nel loro immaginario, i palesti­ nesi diventarono un popolo autoctono guidato da una guerriglia che cercava senza successo di spostare indietro le lancette dell'orologio. N el­ la memoria collettiva israeliana, la guerra diventò la lotta di un movi­ mento di liberazione nazionale contro il colonialismo britannico e l'o­ stilità araba: un movimento vittorioso nonostante tutto e tutti» 1 0 • I letterati palestinesi rimasti in quello che è diventato lo Stato d'I­ sraele e, soprattutto, quelli della diaspora, dopo il 1948 iniziano a scrive­ re in modo incessante e febbrile per mantenere ben salda la memoria da tramandare alle future generazioni. E così, anche scrittori, poeti e dram­ maturghi inseriscono nelle loro opere meticolosi inventari di quello che c'era e non c'è più, oppure continua a esserci, ma con un volto e un nome cambiati a causa delle nuove circostanze 1 1 • 68

4

LA NAKBAH

Mu��afà Murad Dabbagh (1898-1989) pubblica tra il 1947 e il 1965 un'opera in quindici volumi dal titolo La nostra patria, la Palestina 1 2, in cui elenca dettagliatamente tutto ciò che caratterizza il suo paese, dalla botanica alla zoologia, dalla geologia alla climatologia, dalla demografia all'archeologia, nonché quello che riguarda gli usi e costumi della popo­ lazione. Questo lavoro nasce dalla convinzione che l'esilio sarà lungo, donde la necessità di impedire che l'oblio del tempo cancelli dalla me­ moria collettiva ogni traccia del paese. Lo scrittore 'Àrif al-'Àrif (1892-1973) dà alle stampe un'altra opera monumentale in sette volumi (sei di testi e uno di immagini) , intitolata semplicemente al-Nakbah, nella quale racconta in ogni dettaglio la scomparsa della Palestina dalle carte geografiche. Egli recensisce città e villaggi e fornisce anche un elenco dettagliato dei palestinesi caduti per difendere la propria terra: solo nel 1948 ne conta 14.813, dei quali dichia­ ra la provenienza, la data e il luogo di morte 1 3 . Molte sono poi le opere dedicate alla strage di Deir Yassin 14, in cui morirono oltre duecentocinquanta palestinesi, per lo più anziani, donne e bambini, e che Ben Gurion, rispondendo a un'ondata di indignazione mondiale, attribuì a un gruppo incontrollato di estremisti ebrei. Questa tragedia fu determinante per l'esodo dei palestinesi dai villaggi vicini che, atterriti, abbandonarono le loro case per mettersi in salvo. Que­ st'aggressione alla popolazione civile contribuì, infatti, a "svuotare" la Palestina più rapidamente del previsto, tanto che il primo ambasciatore americano in Israele, McDonald, nel suo libro My Mission in Israel: 1948-1951 , cita una frase di Ha"im Weizmann su Deir Yassin: «Nessun di­ rigente sionista avrebbe mai potuto prevedere una così miracolosa ripu­ litura del paese» 1 5. E com'è stato quantificato da più fonti «tra il 1949 e il 19 52, furono evacuati quaranta villaggi palestinesi e i loro abitanti furono trasferiti in blocco in altre località, instradati oltre confine, dispersi nell'interno del paese» 1 6 • La tesi ufficiale israeliana «della partenza volontaria» , comodamente accolta dall' Occidente, viene considerata da parte araba un'ennesima ingiustizia e soltanto molti anni dopo verrà messa in discussione anche da alcuni storici israeliani come Benny Morris o To m Segev che corag­ giosamente esamineranno gli eventi del 1948 sotto una rinnovata luce e daranno il via alla nuova storiografia israeliana, oggi molto discussa nel loro paese. Morris arriva ad affermare che «nel tentativo di conservare un'immagine perfetta di se stessi, gli Stati o i movimenti politici riscri-

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

vono la loro storia, arrivando fino a falsificare i documenti sui quali si basa la loro storiografia. E il movimento sionista fu forse il più abile tra questi» 1 7• Nei giorni che precedettero e seguirono la proclamazione dello Sta­ to d'Israele, molti palestinesi espulsi dalla loro terra vagarono da un pae­ se all'altro nella frenetica ricerca dei propri cari e di un luogo che li po­ tesse accogliere, così come testimoniano i numerosi intellettuali della diaspora. Lo scrittore Ghassan Kanafani, di cui si parlerà oltre, in molte sue opere rievoca il doloroso distacco dalla propria terra e la frettolosa par­ tenza su mezzi di fortuna, dove le persone si accatastavano come merci. In uno dei suoi più bei racconti, La terra delle arance tristi, i protagonisti partono per sempre dalla Palestina verso un futuro oscuro, portando simbolicamente con sé alcune arance dei loro giardini, nella vana spe­ ranza di farvi ritorno prima che appassiscano: Quando andammo via da Giaffa diretti ad Akka , la tragedia non si era ancora compiuta. [ . . . ] Quella notte, tuttavia, qualcosa si cominciò a delineare: e la mat­ tina, quando gli ebrei presero a ritirarsi tra minacce e fumi d'ira, un grande ca­ mion si fermò davanti alla porta di casa. Un ammasso di semplici cose per dor­ mire vennero scaraventate sul camion, di qua e di là, con movimenti rapidi e febbrili. Me ne stavo appoggiato con la schiena al muro della vecchia casa quan­ do vidi salire sul camion tua madre, poi tua zia, poi i piccoli. Tuo padre spinse dentro al camion te e i tuoi fratelli in mezzo ai bagagli, poi mi prese dal mio an­ golo, mi alzò in alto e mi fece salire sul portabagagli di ferro sopra al tetto della cabina di guida. Lì trovai, seduto tranquillo, mio fratello Riad. Prima che mi si­ stemassi comodamente, il camion si era già messo in moto, e la mia amata Akka spariva poco a poco dietro le curve della strada che va a Ra's al-Naqiirah. [ . . . ] In serata, quando arrivammo a Sidone, eravamo diventati profughi 18 •

Tra lo sconforto da una parte, e l'inizio di una presa di coscienza dall'al­ tra, il racconto termina con l' immagine di gente allo sbaraglio, in cerca di un riparo per la notte, e di un vecchio che stringe ancora a sé alcune arance colte simbolicamente in Palestina prima della partenza: Negli occhi di tuo padre luccicavano tutte le piante di arancio che stava la­ sciando agli ebrei. Tutte le piante di arancio, da lui comprate, una per una, sembravano scolpite nel suo volto e luccicavano nelle lacrime che non riuscì a trattenere davanti all'ufficiale del posto di guardia 19•

4

LA NAKBAH

Molti altri saranno poi gli scrittori e i poeti che nelle loro opere e soprat­ tutto nelle loro autobiografie rievocheranno questo stesso momento così tristemente riportato nel racconto di Kanafani, rendendo pubbli­ che tante altre storie umane che, anche grazie alla letteratura, non saran­ no cancellate dalla memoria collettiva. Lo "svuotamento " di buona parte della popolazione araba della cit­ tà di Haifa è forse l'episodio su cui gli scrittori palestinesi hanno mag­ giormente insistito, coinvolgendo il lettore in storie dai risvolti natural­ mente tristissimi, e tutte attinte da eventi realmente accaduti e docu­ mentati: Poi ci fu il disastro di Haifa. Non dimenticherà quella sera! Era impegnato nel suo lavoro. Si era voltato verso il mare e aveva visto decine di barche cariche di gente. Gli abitanti della città erano sulle mura e nella zona del porto per cerca­ re di sapere. Sapevano degli scontri che erano in corso a Haifa e sapevano che le autorità inglesi avevano permesso ai sionisti, in segreto, di impadronirsi di tutti i punti strategici della città. Avevano dichiarato che avrebbero lasciato Haifa solo dopo la scadenza del periodo del Mandato , cioè mesi dopo. All'im­ provviso, però, avevano comunicato che dovevano sgombrare la città. Dal Car­ melo il terrore si riversò sui palestinesi che vivevano alle pendici del monte, e furono gli inglesi ad alimentare il fuoco, propagando il panico e nello stesso tempo aprendo il porto, facendo salire sulle navi chiunque volesse andarsene. Così vi si ammucchiarono i palestinesi, mentre le armi dal monte riversa­ vano la potenza del loro terrore. E le navi li depositarono sulla costa di Acri. Rottami umani. Alcuni si lamentavano per le ferite, altri per la fame, altri an­ cora per la paura 20•

Così Samirah 'Azzam (1927-1967) , un'altra scrittrice della diaspora, de­ scrive in un suo racconto, Il pane, l'espulsione dei palestinesi da Haifa, mentre per Ghassan Kanafani, che rappresenta proprio gli stessi eventi, tutto si svolse ancora più concitatamente: Il mattino del mercoledì 21 aprile 1 948. Haifa era una città che non si aspettava niente di particolare, anche se nel­ l' aria regnava una tensione indefinibile. Il bombardamento arrivò all'improvvi­ so da oriente, dall'alto del Monte Carmelo, e cominciarono a volare colpi di mortaio che andavano a cadere sui quartieri arabi. Le strade piombarono nel caos, e il terrore si impadronì della città, mentre la gente sprangava i negozi e le finestre delle abitazioni.

71

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Said si trovava proprio al centro quando il cielo di Haifa cominciò a riempir­ si del frastuono degli spari e delle esplosioni. Fino a mezzogiorno non pensò che si trattasse dell'attacco finale, poi, e soltanto allora, cercò di ritornare a casa in au­ tomobile, ma non tardò ad accorgersi che la cosa era impensabile. Si infilò per le vie laterali, tentando di raggiungere la strada per il quartiere di Halisa, dove abi­ tava, ma i combattimenti si erano già estesi. Intravide uomini armati che si preci­ pitavano dalle vie laterali in quelle principali, e viceversa. I loro spostamenti ob­ bedivano a ordini trasmessi da altoparlanti di cui si sentiva arrivare la voce da tut­ te le parti. Dopo qualche istante Said si rese conto di procedere senza mèta. I vi­ coli sbarrati dalle barricate, dagli spari e dai soldati, lo costringevano a dirigersi inconsapevolmente in una determinata direzione; ogni volta che cercava di ritor­ nare verso la direzione principale, sgusciando in qualche vicolo, era come se una forza invisi bile lo spingesse verso un'unica strada, quella del mare 21•

Gli eventi che produssero la nakbah rimarranno, quindi, impressi in maniera indelebile nella memoria degli scrittori arabi che continuamen­ te ne parleranno nelle loro opere, raccontando sia fatti autobiografici, sia esperienze altrui, perché siano tramandati di famiglia in famiglia, di paese in paese. Nasce così la cosiddetta «memoria dello sradicamento» (dhakirat al-iqtila ) , in cui si enfatizzano i ricordi della percezione visi­ va, olfattiva e sensitiva dell'ultimo paradiso perduto. E del proprio paese che non c'è più, si ricordano solo le cose belle, che aiuteranno i profughi a sognare il ritorno, a non rassegnarsi al loro nuovo status di rifugiati e a superare i disagi della vita nelle tendopoli, l'ansia, l'incertezza del fu­ turo. A proposito della disperazione dei profughi, secondo lo scrittore G abra Ibrahim G abra: «Bisognava essere ciechi per non accorgersi che tutto questo, prima o poi, avrebbe condotto a un'azione violenta» 22• Nella storia e nella cultura araba contemporanea, in conclusione, la nakbah non indica soltanto un periodo ben preciso, ma un vero e pro­ prio spartiacque tra il prima e il dopo. Per un altro intellettuale della diaspora come Edward Said, appar­ tenente a una benestante famiglia cristiano-palestinese, i giorni della nakbah non sono vissuti direttamente, ma solo di riflesso, tramite i rac­ conti di parenti e amici. Tracce di questi ricordi appaiono nelle sue fa­ mose memorie scritte in inglese, Out ofPiace: Ciò che mi commuove profondamente e mi sgomenta, oggi, è la portata della dispersione vissuta da familiari e amici della quale fui testimone sostanzial­ mente ignaro e inconsapevole nel 1948. Al Cairo notavo spesso la tristezza e la

4

LA NAKBAH

disperazione sulla faccia e nella vita di persone che in Palestina avevo conosciu­ to come normali e spesso prosperi borghesi, ma non avevo gli strumenti per comprendere la tragedia che li aveva colpiti e per collegare tra di loro i fram­ mentari racconti di ciò che era avvenuto in Palestina. [ . . . ] Tutto il parentado sembrava aver rinunciato per sempre alla Palestina, che diventò un posto dove non saremmo più tornati, sempre più raramente nominato, fonte di nostalgia struggente ma muta 23.

Per Edward Said, cresciuto al Cairo e negli Stati Un i ti, la nakbah non avrà dunque i risvolti drammatici degli altri scrittori palestinesi della diaspora, ma nelle sue memorie si percepisce il "silenzio " : quel silenzio che accompagnò i suoi familiari all'indomani degli eventi del 1948. Vi era un senso del pudore nel solo pronunciare la parola " Palestina", come se, evitando di parlarne, i protagonisti di questa storia vera cercas­ sero di cancellare il dolore in una sorta di «rimozione totale» 24• Per MamduQ. Nawfal, che ha vissuto la nakbah nella sua città di Qalqiliyyah, ancora oggi, dopo cinquant'anni, è difficile scindere i pro­ pri ricordi personali dalla memoria collettiva della sua gente 25• E, per concludere, tutto ciò che la nakbah ha rappresentato per i pa­ lestinesi è molto ben sintetizzato in un recente romanzo di Rula Jebreal, dedicato alla storica femminista palestinese Hind al-l:fusayni, in cui uno dei protagonisti così si esprime: È la catastrofe, il disastro, l'apocalisse. È la creazione dello Stato d'Israele in Pa­ lestina, è la dispersione del nostro popolo, la nostra diaspora. È difficile da spiegare, ma è qualcosa che ogni palestinese si sente dentro, come una ferita in­ sanabile, come un cortocircuito nella nostra storia. Quello che stiamo vivendo è un terribile paradosso storico 26 •

T ematiche ricorrenti nella produzione letteraria Fu negli anni cinquanta che si affermarono nuovi orientamenti nella poesia, nella prosa e nella critica letteraria. Ciò che la generazione prece­ dente aveva affrontato con cautela e fra mille contraddizioni fu invece abbracciato dagli autori del secondo dopoguerra con maggiore enfasi. Di fronte al trauma rappresentato dalla trasformazione di una parte consistente della Palestina in Stato israeliano, e alla sempre più aggressi­ va penetrazione degli interessi occidentali in un mondo arabo frustrato 73

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

nelle sue aspirazioni di reale indipendenza, i giovani autori guardavano la realtà sotto una luce nuova e, volendo tradurre per iscritto questa nuova esigenza, si spinsero fino a negare i canoni letterari tradizionali alla ricerca di una libertà di espressione adeguata alle loro ambizioni. Adottarono così forme di scrittura più moderne e meno radicate nel passato e, paradossalmente, man mano che sul piano politico si accen­ tuava l'alienazione del mondo arabo nei confronti dell'Occidente, la produzione artistica e letteraria dei giovani arabi veniva sempre più at­ tratta da modelli propriamente occidentali. Negli anni immediatamente successivi al 1 948 lo shock della nuova situazione porta gli intellettuali rimasti in patria e quelli della diaspora a una specie di pausa di riflessione. Per ragioni di forza maggiore le pub­ blicazioni si diradano e ci vorranno alcuni anni, prima che poeti e scrit­ tori, soprattutto della diaspora, riprendano a far sentire la loro voce in tutto il mondo arabo. Da allora in poi il flusso della loro produzione let­ teraria sarà inarrestabile e convulso, migliorando man mano anche da un punto di vista prettamente qualitativo 27• E per dirla di nuovo con le parole di G abra Ibrahim G abra: «Gli israeliani avevano fatto un grave errore di calcolo pensando che i profughi, un tempo per la maggior par­ te contadini analfabeti o semi-analfabeti, avrebbero ridotto il loro pro­ blema a quello della semplice sopravvivenza a ogni costo. Intellettuali palestinesi spuntarono improvvisamente dappertutto: scrivendo, inse­ gnando, parlando, facendo cose, influenzando l'intera società araba in molti modi imprevisti» 28• Con il trascorrere degli anni, la situazione si " normalizza" in Israele, dove i cittadini arabi, ossia i palestinesi che hanno acquisito la naziona­ lità israeliana, completamente isolati dal mondo arabo, devono impara­ re a convivere con i loro concittadini ebrei in una sorta di integrazione inevitabile, e per loro si rende indispensabile l'apprendimento della lin­ gua ebraica. Con questa integrazione formale, essi confermano l' immu­ tata volontà di tutti gli arabi di Israele di non abbandonare mai il paese natio, come ribadisce Tawfiq Zayyad (1922-1 994) in una sua famosa poesia, dal simbolico titolo Resteremo qui 29: [ . . . ] Qui, sui vostri petti, rimarremo come un muro. Laveremo piatti nei bar, riempiremo bicchieri per i signori, asciugheremo le piastrelle di cucine annerite per strappare un boccone per i nostri bambini 74

4

LA NAKBAH

dai vostri canini azzurrastri. Qui, sui vostri petti, rimarremo come un muro. Avremo fame, saremo nudi . . . Ma vi sfideremo. Reciteremo poesie Riempiremo le strade con manifestazioni di gente esasperata Riempiremo di orgoglio le prigioni Faremo dei nostri bimbi ... una generazione rivoluzionaria dopo l'altra [ ... ] A Lidda, Ram l ah, in Galilea . . . Resteremo qui Bevete il mare. . . Noi custodiremo l'ombra del fico e degli olivi, semineremo le idee, qual lievito nella pasta del pane [ . . . ] 3°.

La vita continua a essere sempre più disagiata, invece, per gli esuli della diaspora, che seguitano a vagare tra i vari paesi arabi che non li accolgo­ no benevolmente, nonostante i fiumi di parole scritti sulla loro causa. Ma la situazione dei profughi è critica anche in Occidente, sempre più infastidito dalla presenza dei nuovi immigrati che cercano di coinvolge­ re emotivamente l'Europa nella loro tragedia. Malgrado l'irrequietezza e la conseguente crescita della ghurbah, amara sensazione di estraneità e di emarginazione, il fervore culturale dei palestinesi conosce uno slancio, soprattutto in Europa, dove aumen­ tano le iniziative politiche e culturali a loro sostegno. Gli intellettuali palestinesi diventano così gli interlocutori privilegiati con i quali una parte esigua dell'Occidente si schiera, dando vita a numerose attività editoriali. Ed è sempre in ambito occidentale che alla fine degli anni ses­ santa si danno alle stampe le prime traduzioni di scrittori arabi che fa­ ranno "scoprire " agli europei questa diaspora, in precedenza completa­ mente ignorata. In Occidente si conosce prima di tutto la poesia mili­ tante, mentre i racconti e i romanzi faranno la loro comparsa soltanto in un secondo tempo. Le prime opere tradotte hanno, tuttavia, un caratte­ re prevalentemente impegnato, e rimangono per lo più sconosciute alla grande editoria che in Italia, a quell'epoca, continua a trascurare la lette­ ratura araba nel suo complesso 3 1 • Era un periodo in cui si traduceva dal­ l' arabo solo negli strettissimi ambiti accademici, dominati da un orien­ talismo avulso dalle problematiche contemporanee. Con il passar del tempo, però, la letteratura si rivelerà uno strumen­ to sempre più determinante e di agile comprensione anche per gli occi­ dentali, poco informati su questa parte del mondo. 75

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Tra i temi più ricorrenti nella produzione letteraria successiva alla nakbah emerge comprensibilmente quello del " ritorno ". Inizialmente la perdita della terra, della patria, da molti non è ancora recepita come de­ finitiva, e saranno numerosi i poeti, gli scrittori e gli artisti in genere che nelle loro opere ribadiranno il concetto del ritorno con carmi, racconti e canzoni. A questo proposito agli arabi viene subito in mente la poesia Ritorneremo del 1951, del famoso poeta Abu Salmà, che diventa rapida­ mente il simbolo delle aspirazioni palestinesi al ritorno in patria: Ritorneremo con le tempeste con il bagliore delle meteoriti con la speranza e con le canzoni con il volteggiare delle aquile [ . ] 32• . .

A questi versi risponde un altro poeta, Mu'in Bsisu (1927-1984) che, im­ medesimandosi in chi è rimasto nella Palestina diventata Israele, com­ pone nel 1967 una poesia in cui manda a dire ai palestinesi della diaspo­ ra che tutti loro, gli arabi di Israele, li stanno aspettando, sicuri che: [ . ] ritorneranno, sono sempre con noi [ ] Ho lasciato loro la porta aperta Il mio corpo è il terreno E questo è tempo d'arare E seminare Che aspetti ? Le previsioni del tempo ? Ho lasciato loro la porta aperta [ . . . ] Stanno arrivando Ho lasciato loro la porta aperta lo sono il baco e la seta Il mio corpo si annida nella cruna d'un ago Migliaia di aghi e fili Stanno cucendo camicie per gli alberi Che aspetti ? Migliaia di giornali Stanno sparando alla mia testa lo sono la prima notizia [ . . . ] 33. . .

. . .

4

LA

NAKBAH

Con il tempo oltre alla poesia, comincia ad affermarsi anche il racconto breve che, rispetto al romanzo e al lavoro teatrale, si rivela lo strumento più immediato e adatto alla rappresentazione degli eventi. Benché sia un genere letterario relativamente recente e importato dall'estero, il rac­ conto si dimostra subito «capace di comunicare istantaneamente una carica emotiva, diventando lo specchio per eccellenza della condizione del popolo di Palestina nella sua quotidianità e nel suo immagina­ rio» 34• Fin dall'inizio la produzione in prosa è caratterizzata dal particolare rapporto luogo-tempo vissuto dal palestinese, per il quale il luogo è na­ turalmente la patria perduta, a cui si alternano il campo-profughi, la terra d'esilio e, a volte, la prigione. Il tempo, invece, è fatto di sogni e di ricordi, ed è scandito con ritmo martellante dalle date di eventi infausti, dalla Dichiarazione Balfour del 1917 alla spartizione della Palestina san­ cita dalle Nazioni Unite nel 1947, alla nascita di Israele nel 1948 e alle guerre arabo-israeliane del 1956 e del 1967. In tutta questa produzione letteraria, dalla poesia alla prosa, abbon­ dano i simboli, come piantagioni di agrumi, mandorli e oliveti della ter­ ra perduta, spesso associati all'immagine della donna-madre; frequenti sono poi i riferimenti al fango, al sangue e alle mutilazioni della disfatta con la presenza, nei luoghi desolati, di animali insidiosi come vipere e topi. Tema fondamentale sarà sempre l'umiliazione dell'esilio, un'ama­ ra esperienza vissuta tra la corruzione dei «fratelli arabi», burocrati mer­ cenari o esaltati parolai pieni di inane retorica, e la meschinità organiz­ zativa dell'assistenza internazionale, rappresentata dalla tessera annona­ ria distribuita dall'uNRWA, l'organo delle Nazioni Unite per l'assistenza ai profughi. Questa tessera viene vista come l'elargizione di un' elemosi­ na, l'ulteriore umiliazione inflitta dall'Occidente. Si parla poi della vita nelle povere e inadeguate abitazioni per i figli degli esuli, e si affronterà anche il tema della perdita di identità e, naturalmente, della dispersione di intere famiglie sparpagliate nei vari angoli del mondo. Per chi è rima­ sto, invece, si aggiungerà un'altra umiliazione: la dipendenza economica da quei fratelli e cugini "sistemati" all'estero, e che spesso si dimentica­ no di chi è restato. Letteratura impegnata, dunque, in linea con le tendenze generali della produzione letteraria occidentale del secondo dopoguerra, ma ca­ ratterizzata, rispetto a quest'ultima, da un senso di disfatta generale dal­ la quale non ci si riesce a riprendere. Si tratta comunque di una lettera77

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

tura impregnata di una forte carica emotiva che scaturisce dal coinvolgi­ mento personale degli autori.

Voci della diaspora: C abra Ibrahim C abra, Samirah 'Azzam, Ghassan Kanafani Fin dall' inizio i rappresentanti della narrativa palestinese si possono di­ videre in due gruppi: quelli che nel 1948 lasciarono per sempre la Pale­ stina e quelli che, invece, rimasero " stranieri " in patria, andando a costi­ tuire la minoranza degli "arabi di Israele". Tra gli intellettuali della diaspora emerge C abra Ibrahim C abra, che sicuramente si può considerare uno dei massimi intellettuali arabi, e non solo palestinesi, del Novecento. Nato nel 1920 a Betlemme, studia al Collegio Arabo di Gerusalemme, poi parte per completare gli studi a Harvard. Tornato in patria, insegna letteratura inglese a Gerusalemme fino al 1948, quando lascia per sempre la Palestina per andare a vivere in Iraq, dove prosegue una brillante carriera all'Università di Baghdad. Scrittore, poeta, pittore e saggista, è stato uno dei maggiori critici della letteratura araba contemporanea. Come pittore, egli parteciperà con C awad Salim al Movimento di arte moderna di Baghdad, che farà scuo­ la in tutto il Vicino Oriente, e dedicherà alle arti figurative e plastiche importanti studi critici. Come traduttore, egli ha fatto conoscere agli arabi i capolavori della letteratura inglese, da Shakespeare a Faulkner, e ha perfino scritto in quella lingua diverse opere tra le quali un romanzo, Hunters in a Nar­ row Street del 196o, molto apprezzato dalla critica. In Iraq C abra si af­ ferma ben presto come scrittore, tanto da essere considerato addirittura uno dei più autorevoli esponenti della letteratura irachena. Pur rima­ nendo grato al paese che lo ha accolto, egli, però, non rinnegherà mai le proprie origini palestinesi e, a quanti lo accuseranno di averlo fatto 35, re­ plicherà polemicamente, affermando di non aver mai dimenticato la sua amata patria: «Vorrebbero che io portassi in tasca una manciata della sua sabbia in un sacchetto di carta, come prova delle mie sofferenze, mentre io porto nel mio sangue una pietra vulcanica)) 36• C abra, infatti, non rin­ negherà mai la Palestina, malgrado si sentisse pienamente integrato e re­ alizzato in Iraq: «Mi è piaciuto vivere a Baghdad, ho amato la città e la sua gente, ho amato soprattutto colei che poi ho scelto come moglie, ho sposato un'irachena e sono rimasto in Iraq [ . . ] . Sono palestinese. Vivo .

4

LA NAKBAH

in ogni istante la questione palestinese. Anche se da lontano, la vivo dal­ l'interno. La mia famiglia vive tuttora in Cisgiordania, a Betlemme [ . . . ] . Quello che è certo è che il gigantesco disastro, la nakbah, è stato l'evento fondamentale della mia vita» . Così dichiarava nel 1991 alla rivista " Linea d'Ombra" 37. Ed è sempre con lo sguardo rivolto alla sua Palestina che scrive alcuni dei suoi più significativi romanzi, come La nave del 1970, in cui affronta il tema dello sradicamento, della dispersione per il mon­ do di tanti suoi connazionali e dello spinoso problema della perdita del­ le radici: «Ho perso la mia terra a Gerusalemme e ho guadagnato un uf­ ficio di importazione in Kuwait ! Fui esiliato dalle mie radici e fui ripa­ gato del mio esilio con l'attività di compravendita!» 38• Così parla uno dei protagonisti di questo romanzo, in cui una crociera sul Mediterra­ neo si trasforma in una vera e propria evasione per quanti non riescono più a trovare collocazione in questo mondo. Il mare è il ponte della salvezza. Il mare morbido, soffice, antico, amorevole. Il mare oggi è nuovamente agitato. L'infrangersi delle sue onde è il ritmo violen­ to della linfa che spruzza il volto del cielo con fiori, ampie labbra e braccia tese come seducenti reti. Il mare nuova salvezza. Verso l'Occidente! Verso le isole di cornalina! Verso le rive su cui sorgeva, dalla schiuma del mare e dal soffio della brezza, la dea dell'amore [ . . . ]. lo amo il Mediterraneo, e navigo su questo mare, perché è il mare della Palestina, il mare di Jaffa e di Haifa, il mare delle alture occidentali di Gerusalemme e dei suoi villaggi. Se sali sulle alture di Ge­ rusalemme e guardi verso Occidente non sai dove finisce la terra e dove finisce il mare, e dove i due si incontrano con il cielo 39.

Questa evasione è temporanea per tutti i passeggeri della nave, tranne che per uno di loro che trova la soluzione alle proprie sofferenze solo nel suicidio. La fuga per mare descritta da G abra è abbastanza originale nel­ la letteratura palestinese, dove di solito si scappa per terra, e specialmen­ te attraverso il deserto, come nelle opere di Ghassan Kanafan1, di cui si parlerà oltre 40 . Un altro suo romanzo, In cerca di Walid Mas 'ud del 198o, che viene comunemente riconosciuto come il suo capolavoro, simboleggia l' odis­ sea palestinese. Il protagonista, scomparso misteriosamente, e che i vari personaggi ricercano, è l'emblema del destino di tutti i palestinesi: Da quando Mas'iid aveva lasciato questa vita, la sera del giorno prima, era come se lo avessimo sulle nostre spalle, da quel momento divenute più deboli,

79

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

incapaci di sopportarne a lungo il peso. Meditare sulla sua vita e sulla sua mor­ te era divenuto l'argomento della nostra conversazione per tutte le lunghe ore di quella notte, finché non ce ne siamo liberati, la mattina presto. Per questo abbiamo collaborato tutti, anche se i suoi amici, per la maggior parte, si avvici­ navano alla vecchiaia e le loro schiene erano già piegate da altri pesi [ . . . ]. Lo co­ noscevo da molti anni, eppure lo ricordo come un uomo dalla corporatura gi­ gantesca, la voce tanto alta da far tremare i vetri delle finestre quando rideva. Forse avevo sei anni quando lui era già un giovane uomo. Per me era nato gi­ gante, con quei due piedi enormi che si radicavano in terra come rocce quando stava fermo e volavano quando camminava. Ero un ragazzino quando la gente parlava del " battere i tamburi " e di sa far barlik, la Grande Guerra. Quando mangiavamo pane dal sapore di terra, quando si parlava di come si potesse fare pane dalle ghiande, quando gli uomini, di sera, raccontavano come nell'eserci­ to turco dovevano portare le taniche d'acqua come i somari, come fuggivano dal servizio militare per tornare al paese e alle loro famiglie, e intanto ci canta­ vano le canzoni, parlavano di un generale inglese che era entrato a Gerusalem­ me a piedi, dopo essere sceso da cavallo per rispetto della Terra santa. In quel momento non immaginavano certo quali sciagure quell'entrata avrebbe inflit­ to alla loro T erra santa 41•

G abra è anche l'autore di un sofisticato romanzo, Le altre stanze del 1 986, in cui affronta, in un abile incastro narrativo, il tema dello spazio, reale e immaginario, limitato o illimitato, che interagisce sempre, in ogni caso, contro il protagonista, il quale si sente perennemente confi­ nato in luoghi claustrofobici. Ciò non fa che accrescere il suo senso di angoscia e di paura, finché non ha l'impressione di essere stato privato anche dell'identità 42. In quest'opera è forte l'influenza di Il deserto dei Tartari dello scrittore Dino Buzzati, tradotto in arabo da Musà M. Badawi nel 1960 e molto conosciuto e apprezzato ancora oggi dagli in­ tellettuali arabi 43 • Come poeta G abra ha scritto liriche appassionate, in cui, ricalcando anch'egli i temi e i contenuti degli autori della diaspora, si strugge di do­ lore e nostalgia per la patria. Ciò è ben espresso nella sua famosa poesia Nel deserto dell'esilio in cui la dimensione spazio-temporale della Palesti­ na si estende a un ambito universale: N el deserto è un inseguirsi d i primavere Che ne è del nostro amore ? [ . . . ] Verde Palestina, terra nostra 8o

4

LA NAKBAH

Dai fiori come i pizzi delle gonne delle donne [ . . . ] Terra della nostra gioventù trascorsa Come sogni all'ombra di aranceti Tra i mandorli delle valli. Ricordaci erranti tra le spine del deserto Erriamo tra le rocce dei monti [ . . . ] 44.

G abra ha preso parte con altri grandi poeti arabi, tra cui Yusuf al- Khal, Unsi al-Hagg e Adonis, al rinnovamento che ruota intorno alla famosa rivista " Shi'r" (Poesia) e al movimento degli autori "tammuziani" che prendono il nome da Tammuz, mitico dio assiro-babilonese che muore e torna a nuova vita a ogni primavera. Egli così rielabora, come gli altri scrittori suoi coevi, i miti della fecondità e della rinascita. E proprio a questa divinità, G abra dedicherà la sua migliore raccolta di poesie dal ti­ tolo Tammuz nella città del t 9 59· Sempre a Baghdad egli dirige una rivista culturale ed artistica di avanguardia, intitolata "al-Nafç " (Il petrolio) , a cui collaborano molti intellettuali che all'epoca lavoravano per la Iraq Petroleum Company ( I P C ) , come il grande scrittore di origine saudita 'Abd al-Ralfman Munif (1933-2004) , con il quale G abra stringe una profonda amicizia. Proprio con Munif, nel 1982 G abra ha scritto il romanzo Un mondo senza carte geografiche, «un'avventura letteraria a quattro mani», per dir­ la con le parole di Munif, in cui i due autori avevano concepito e scritto una trama in comune, senza che si potesse riconoscere la parte scritta dali' uno o dall'altro. Ma in questo nostro mondo, fatto di carte geogra­ fiche, i cui confini sono ben delineati e tracciati a tavolino, G abra, come tanti iracheni, è stato coinvolto in un'ennesima guerra, quella del Golfo del 1991; allora ha cominciato lentamente a morire: prima è scomparsa la sua amata compagna di vita, l'irachena incontrata in gioventù a Bagh­ dad, vittima accidentale dello stesso conflitto, e poi lui stesso qualche anno dopo. Ha scritto G abra: Il senso di smarrimento in un esule è diverso da tutti gli altri sensi di smarri­ mento; è la sensazione di aver smarrito una parte del proprio io interiore, della propria essenza interiore. Un esule si sente incompleto, anche se ha a portata di mano, fisicamente, tutto quello che può desiderare. È ossessionato dall'idea che solo il ritorno in patria potrebbe liberarlo da tale sensazione, porre fine alla perdita, reintegrare l'io interiore 45.

8t

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Considerato uno dei massimi esponenti della cultura palestinese del Novecento, C abra ha ricevuto importanti riconoscimenti arabi e inter­ nazionali, tra i quali il Premio Sulçan al-'Uways 46 nel 1990. Tra i narratori della diaspora emerge il nome di Samirah 'Azzam. Nata ad 'Akka nel 192 7, dopo la fondazione dello Stato d'Israele lascia anche lei il suo paese alla volta dell'Iraq e, successivamente, del Libano dove lavora come insegnante. Scrive per molte testate arabe, traduce opere di grandi autori della letteratura nordamericana come Pearl Buck e John Steinbeck, e collabora a programmi radiofonici a Baghdad e a Beirut. Samirah 'Azzam è autrice esclusivamente di racconti brevi molto ap­ prezzati dalla critica araba che la definisce una dei capiscuola di questo genere letterario. Ha pubblicato cinque raccolte 47 in cui spiccano temi cari a tutti gli scrittori della diaspora, come il ricordo lontano e nostalgico della patria perduta e l'illusoria speranza di poterei tornare un giorno. È alla condizione degli esuli e dei diseredati del Libano e della Cis­ giordania che Samirah 'Azzam presta grande attenzione e scrive alcune delle pagine più commoventi della narrativa palestinese. La condizione del "profugo " diventa, così, il motivo più ricorrente nei suoi scritti, in cui denuncia lo smembramento di intere famiglie. In uno dei suoi rac­ conti più noti, Palestinese, che dà anche il titolo a una raccolta tradotta in italiano, il protagonista vorrebbe addirittura disfarsi della scomoda «etichetta di palestinese)) , appiccicatagli dalla storia, per poter almeno sognare una vita migliore: Se gli avessero ricostruito la storia non ne avrebbe tradito la memoria, non lo avrebbe certo misconosciuto prima che il gallo avesse cantato tre volte, gli avrebbe soltanto chiesto il permesso di modificare quel caso geografico, lo avrebbe fatto nascere in Libano invece che in Palestina. Tutto lì. Quella legge­ ra modifica lo avrebbe liberato della parola "Palesti nese" che lo riduceva a membro di un branco in cui si cancellavano i tratti delle persone. La pronun­ ciavano con tono pietoso, e lui non voleva esser commiserato; con astio, e lui non voleva essere oggetto del loro risentimento; con tono minaccioso ogni vol­ ta che i padroni delle botteghe più piccole spurgavano il loro rancore e lo tesse­ vano in teorie con cui interpretavano gli avvenimenti e i cui fili, fragili, ma fit­ ti, lo avvolgevano 48•

Samirah 'Azzam mette poi in risai to in modo particolare la condizione della donna araba, palestinese o libanese che sia, musulmana o cristiana.

4

LA NAKBAH

Per la scrittrice, di religione cristiana, la donna non è vittima soltanto delle circostanze politiche contingenti, ma di una società tradizionale e, in alcuni casi, arretrata, indipendentemente dal credo religioso di ap­ partenenza. Nel racconto Destino, una ragazza, secondo le classiche regole del matrimonio combinato, viene data in sposa a un uomo che non ama. Come in un film, la scrittrice ritrae questo evento nella chiesa, nel preci­ so momento in cui il padre "sta consegnando " la ragazza nelle mani del marito, con la benedizione del prete che sta ufficiando il rito: Un momento di distrazione e la fatidica parola sarebbe venuta fuori, così tutto l'incubo sarebbe finito. «Non voglio, non voglio !» Travolta dal turbamento, dalla stanchezza e dall'emozione, la ragazza si mise a ripetere quelle parole, e a gridarle. Ma il suo grido rimase muto e nessuno la sentì: non i preti, non i pre­ senti, e nemmeno quell'uomo che le stava al fianco. Fu sopraffatta dal frastuo­ no, mentre gli invitati suggellavano quella loro unione cantando: «Lo sposo l'ha incoronata di gloria e d'amore» 49•

In tutta la produzione letteraria di Samirah 'Azzam emergono così tante storie di famiglie lacerate dalla separazione: madri che si trovano in Pa­ lestina e figli in Libano e in Cisgiordania o, viceversa, madri che sono state colte dalla nakbah mentre si trovavano fuori dal paese e che non sono più potute tornare nella propria casa. Questo è il caso della prota­ gonista del racconto Ancora un anno, del 1 9 56, un'anziana donna che fa un disagevole viaggio in taxi nella vana speranza di rivedere la figlia ri­ masta nella Palestina diventata Israele, e si mette teneramente a raccon­ tare la sua vita a uno spazientito tassista: Noi abitavamo a Giaffa. La conosci Giaffa ? La nostra casa si trova a Darg al-Qala'. Avevamo un aranceto dai frutti dolci che splendevano come l'oro. Eravamo gente per bene. La nostra casa era molto ospitale, mio marito era mukhtar. [ . . ] lo questo viaggio non lo faccio per capriccio. Se fosse necessario ci andrei a piedi senza perdermi. Se tu fossi un genitore sapresti cosa vuol dire l'ansia delle madri. Non c'è niente di più caro di un figlio se non il figlio di tuo figlio. Il mio cuore sta volando e l'unica cosa che ora desidero è che questa not­ tata passi presto. Poi cercherò un'altra macchina che mi porti a Gerusalemme, e un autista bravo come te. Abbraccerò mia figlia Marie, senza stancarmi di te­ nermela vicina, e non la smetterò di farle domande fino a quando mi si secche­ rà la saliva. Le chiederò di Giaffa, chissà, forse lei ci sarà stata . . . E la nostra .

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

casa? Ci sarà ancora ? ... E la nostra gente ? Chi è rimasto e chi se n'è andato ? . . . E i l nostro aranceto ? L e avrà gustate ancora quelle arance ? E l a chiesa? C i sarà sempre padre Ibrahim ? . . . E i nostri amici ? Sara, Umm Giamil e Marianna . . . saranno ancora vive ? La vecchia cominciò a raccontare l a storia d i Sara, di U m m G iamil e di Mari anna 5o.

Questo accenno alle tre amiche della protagonista è un evidente riferi­ mento al fatto che in Palestina prima del 1948 la comunità cristiana rap­ presentata da Marianna, quella ebraica da Sara e quella islamica da Umm G amTI, viveva in pace e tra le persone c'era una profonda amici­ zia, al di là dell'appartenenza religiosa. Per i palestinesi della diaspora, infine, un elemento fondamentale, molto presente in tutta la produzione letteraria, era la radio che, attraver­ so diverse emittenti arabe, rappresentava per le famiglie separate l'unico esile filo di comunicazione tra i profughi. Ed è infatti proprio per mezzo della radio che la protagonista di questo stesso racconto di Sam!rah 'Azzam riesce a sapere, ad esempio, della nascita dei suoi nipotini: È nato un anno fa, a Natale. Noi l'abbiamo saputo dalla radio che Marie aveva partorito. No, veramente io non l'ho sentito direttamente, ma una mia amica l'ha sentito alla radio ed è venuta a dirmelo 51•

Analogamente i protagonisti di un altro racconto di Sam!rah 'Azzam, Trilli femminili, ricevono notizie dei loro familiari, grazie a una nota trasmissione radiofonica per i palestinesi: Qualche giorno fa un tale si presentò da Salma al-Sawaf per dirle che la Radio del Vicino Oriente nel programma " Lettere dai profughi ai loro familiari " ave­ va trasmesso questo messaggio: «Da Beirut: da Giamìl 'Abd Allàh al padre Karìm 'Abd Allàh, alla madre Salma e sua sorella Widàd, a Giaffa. lo sto be­ ne, e così anche la mia fidanzata Nadi a. Ci sposeremo alle tre di pomeriggio dell'otto maggio nella chiesa di Nostra Signora. Poi andremo a lavorare in Kuwait. Impazienti di avere vostre notizie, tranquillizzateci via radio». Salma e suo marito Karìm non riuscirono a trattenere le lacrime quan­ do, qualche giorno dopo, ascoltarono alla radio la loro risposta al messaggio del figlio: «Da Karìm 'Abd Allàh, dalla moglie Salma, e dalla loro figlia Wi­ dàd con il marito. Benediciamo il tuo matrimonio e ti auguriamo ogni bene !» 52•

4

LA

NAKBAH

La fine della vita di Samirah 'Azzam, proprio nel pieno della sua attività letteraria, stroncata da un infarto nell'agosto del 1967, coincide con altri tragici eventi palestinesi, scaturiti dopo la Guerra dei sei giorni. Ghassan Kanafani è sicuramente tra i più insigni rappresentanti della grande diaspora palestinese. Scrittore, drammaturgo, pittore, giornalista e critico letterario, nacque ad 'Akka nel 1936. La sua vita può essere con­ siderata una sintesi delle vicende palestinesi, e le sue tappe rispecchiano quelle dell'intero popolo della Palestina, dalla partenza precipitosa nel 1 948, all'esilio, al risveglio tardivo di una consapevolezza politica, tra re­ criminazioni e dissensi. Alla fondazione dello Stato d'Israele nel 1 948, la famiglia Kanafani lascia la Palestina, con la speranza di potervi ritornare nel giro di pochi giorni, al seguito degli eserciti arabi vittoriosi. Ma come per tanti altri connazionali, con il crollo di tutte le illusioni, inizia anche per questo nucleo familiare, che in Palestina possedeva un certo benessere, una triste e lunga diaspora, fatta di umiliazioni e ristrettezze economiche. L'esodo è rievocato nel racconto già citato La terra delle arance tristi, del 1962, che è quasi un resoconto autobiografico in cui lo scrittore parla con trasporto di quel viaggio senza ritorno. All' entusia­ smo di quanti pensavano che l'esercito arabo entrasse vittorioso in Pale­ stina, seguì, infatti, l'amara delusione per la disfatta. In realtà, nella vita di Kanafani il distacco dalla Palestina fu ancora più graduale di quanto descritto nel racconto. La famiglia decise di la­ sciare «temporaneamente» il paese, stabilendosi in un villaggio alla fron­ tiera libanese dove, insieme a molti altri connazionali, aspettò di poter far ritorno a casa. Dopo quaranta giorni il padre capì che era inutile aspettare e che non sarebbero mai più tornati nella loro terra. Destina­ zione definitiva della famiglia è Damasco dove Ghassan completa gli studi e lavora in una delle scuole dell'uN RWA. Nel 1 9 56 il giovane lascia la Siria per il Kuwait, a quell'epoca meta ambita di tanti palestinesi. In questo paese del Golfo, malgrado una certa agiatezza, dà ben presto se­ gni di una grande insofferenza e inizia a scrivere i suoi primi racconti di esule. Nel 1960 ritorna a Beirut, dove prende contatto con i militanti della resistenza palestinese e con il Movimento nazionalista arabo, l'or­ ganizzazione da cui sono scaturite alcune delle più importanti formazio­ ni politiche arabe, e inizia a collaborare con la sezione letteraria del setti­ manale "al-l:furriyyah " . Nella capitale libanese sarà fondamentale per la sua formazione politica e anche umana l'amicizia con il medico George l:fabash, fondatore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

( F P L P ) che nel 1969 gli affiderà la direzione del giornale "al-Hadaf'' , or­

gano ufficiale dell'organizzazione. Malgrado uno spiccato talento artistico, la frenetica attività politica dello scrittore finisce per prevalere su quella letteraria. Kanafani, a soli trentasei anni, nel 1972, cadrà vittima di un attentato terroristico, noto­ riamente attribuito ai servizi segreti israeliani; con lui morirà anche una sua giovane nipote che quel giorno lo scrittore aveva portato con sé in macchina. Ed è lecito chiederci con tristezza - come ha fatto il nostro arabista Francesco Gabrieli - «quanto avrebbe ancora potuto dare alle lettere, se la vita gli fosse durata» 53 • Il suo romanzo più famoso è Uomini sotto il sole, del 1964, dal quale il regista egiziano Tawfiq Sal il) ha tratto nel 1972 un memorabile film, Gli ingannati, di produzione siriana. È la storia di tre palestinesi che, per sfuggire alla miseria dei campi profughi, cercano di arrivare clande­ stinamente in Kuwait nascosti nella cisterna di un camion 54• I tre emi­ granti-fuggiaschi, che muoiono atrocemente nelle lamiere arroventate dal sole, simboleggiano tre generazioni diverse: il vecchio Abu Qays, che sembra vivere in un mondo pre-monetario, ha il miraggio di pianta­ re un paio di germogli di olivo, in Palestina o in Kuwait, a questo punto poco importa; il più giovane e spavaldo As'ad, che si è venduto «come un sacco di concime» al futuro suocero per racimolare soldi necessari al viaggio e pensa solo a diventar ricco. Infine, Marwan, il ragazzo che avrebbe preferito continuare gli studi, è costretto ad abbandonare la scuola e a «tuffarsi nella padella come tutti gli altri» perché il fratello maggiore, già sistematosi in Kuwait, ha deciso di sposarsi e non manda più soldi alla famiglia, secondo un'abitudine abbastanza diffusa tra gli emigranti. Il Kuwait degli anni sessanta rappresentava, infatti, per i poveri di­ seredati quello che per gli italiani significava l'America un secolo fa: Al di là di quello Shag, appena più in là, c'erano tutte le cose di cui era stato privato. Laggiù c'era il Kuwait . . . Là esisteva tutto ciò che nella sua mente era solo sogno e fantasia. Indubbiamente, laggiù esistevano cose reali fatte di pie­ tra, di terra, di acqua e di cielo, non come quelle che gli passavano per la sua povera testa . . . Ci dovevano essere certo vicoli e strade, uomini e donne, e bam­ bini che correvano tra gli alberi . . . No, no, alberi non ce n'erano. Sa'd, l'amico emigrato laggiù, che aveva lavorato da autista ed era tornato con soldi a paiate, diceva che laggiù alberi non ce n'erano. Gli alberi stanno nella tua testa, Abu

86

4

LA NAKBAH

Qais, nella tua testa vecchia e stanca. Dieci alberi dai tronchi contorti, che frut­ tavano olive e bendiddio tutti gli anni. In Kuwait non ci sono alberi 55•

In questo romanzo lo scrittore affronta anche argomenti spinosi, a par­ tire da una severa autocritica; Kanafan1, come molti altri palestinesi, si chiede infatti se in passato i suoi connazionali abbiano veramente fatto tutto il possibile per poter rimanere in patria, e deplora il continuo la­ mentarsi di chi passa il tempo a sognare sterilmente il campicello perdu­ to - a volte visibile soltanto dietro il filo spinato - ma ormai irraggiun­ gibile. Abu Qays, ad esempio, uno dei protagonisti di Uomini sotto il sole, viene sommessamente rimproverato dalla moglie e da un amico, in maniera del tutto esplicita, per non aver reagito sufficientemente per uscire dalla situazione in cui gli eventi del 1948 lo avevano fatto preci­ pitare: Negli ultimi dieci anni non hai fatto altro che aspettare. Ti ci sono voluti dieci lunghi anni di fame per capire che hai perduto i tuoi alberi, la tua casa, la tua giovinezza e tutto il tuo villaggio. In questi lunghi anni la gente è andata avanti per la sua strada, mentre tu te ne stavi accovacciato come un cane in una casa miserabile. Che ti aspettavi ? Che piovesse giù la ricchezza dal tetto ? Casa tua ? Ma quale casa tua ? Un uomo generoso ti aveva detto: «Abita qui !». Questo è tutto. E dopo un anno: «Dammi metà della stanza», così hai appeso qualche sacco rattoppato tra te e i nuovi vicini. E sei rimasto accovacciato fino a quan­ do non è arrivato Sa'd e ha cominciato a scuoterti come si scuote il latte per fare il burro 56 •

Sempre in questo romanzo, poi, il tema dell'inefficienza dei palestinesi, o meglio della loro classe politica, viene simbolicamente rappresentata dalla mancanza di virilità di un altro protagonista, il cinico camionista Abu Khayzuran, vittima di una ferita di guerra che lo ha reso impoten­ te. Costui, senza troppi scrupoli, conduce i suoi tre poveri connazionali alla morte, confondendo e assimilando la propria sciagura personale con quella della sua patria: E ora, da quella scena orribile erano passati dieci anni. Erano trascorsi dieci anni dal giorno in cui gli avevano strappato la virilità, e quella umiliazione lui se l'era vissuta giorno per giorno, ora per ora. L'aveva inghiottita con il suo or­ goglio, e sentita per ogni istante di quei dieci anni. E ancora non si era abitua­ to, non l'aveva mai accettata. Da dieci lunghi anni cercava di accettare la situa-

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

zione, ma come ? Confessare semplicemente che aveva perduto la propria virili­ tà per amore della patria? E a che cosa era servito ? Aveva perduto la virilità e la patria, e tutto quanto 57.

Così il destino dei tre personaggi - ognuno con il suo bagaglio di fru­ strazioni, di privazioni e di miseria - è nelle mani del camionista sen­ za scrupoli, allo stesso tempo carnefice e vittima della medesima situa­ zione. La tragedia si consuma sotto il sole arroventato di un mezzogiorno estivo, mentre il camionista viene trattenuto dagli annoiati funzionari del posto di frontiera che lo prendono in giro per certe sue presunte (e impossibili, data la sua menomazione) "notti brave ". Kanafani così accusa quegli arabi che dimostrano scarsa sensibilità e solidarietà per la questione palestinese e chiama in causa, come diretti responsabili della morte dei tre protagonisti, i burocrati arabi corrotti e anche loro frustrati dai loro regimi dittatoriali. Il fatto che i tre sfortuna­ ti siano morti senza nemmeno chiamare aiuto, può trovare spiegazione nella rassegnazione che accomuna le tre generazioni di palestinesi, non­ ché nella loro convinzione che tanto nessuno li avrebbe aiutati 58 • Il noto critico palestinese Il;san 'Abbas riferisce un episodio della vita di Kanafani legato all'epilogo di questo romanzo. Un giorno incontrai Ghassan a Beirut, dopo la pubblicazione del romanzo ; ci salutammo e lui mi chiese: «L'hai letto ?». «Certo, Ghassan, è davvero un rac­ conto affascinante, selvaggio, che attanaglia il lettore e non gli dà tregua fino alla fine, ponendogli una domanda terrificante: perché tutto finisce così ? Se volevi che questo racconto fosse simbolico, non mi pare che tu ci sia riuscito.» Ghassan mi guardò esitante, come se la sua fiducia in se stesso fosse stata scos­ sa, e replicò: «Se hai ragione tu, allora mi devo considerare fallito». Ma è stato veramente Ghassan a mancare il bersaglio, o piuttosto la mia prima lettura è stata sbagliata ? Ho riletto il racconto, e mi è apparso chiaramente sotto una nuova luce 59•

Le risposte agli interrogativi posti implicitamente da Kanafani e che po­ tevano non piacere ad altri palestinesi si potrebbero sintetizzare così: perché i sionisti hanno preso la Palestina? Perché gli arabi non l'hanno saputa difendere ? Perché gli arabi non sono uniti? Perché i palestinesi non si sono saputi organizzare ? Perché ci sono arabi che sfruttano la causa palestinese ? Ma la risposta più vera e più amara è quella che si in88

4

LA NAKBAH

tuisce dall'atteggiamento rassegnato dei tre protagonisti del romanzo di Kanafan1, che, si può dire, sono morti nel momento in cui accettano senza reagire di calarsi nella cisterna: «E chi ci dice che morire non sia meglio della vita attuale ?» 60 • Tra i tanti simboli a cui ricorre Kanafan1 - che sono del resto comu­ ni a tutta la letteratura palestinese 61 - il primo posto spetta naturalmen­ te alla terra, la cui perdita equivale alla privazione della patria e dell'i­ dentità. Quando uno dei personaggi di Uomini sotto il sole, scoraggiato dalle difficoltà che gli impediscono di arrivare in Kuwait, si getta esau­ sto sulla sponda dello Shan al-'Arab, sente che la terra che pulsa sotto di sé è viva, è la Palestina, la patria in cui vorrebbe almeno essere sepolto; e, poiché sa che gli verrà negata anche questa consolazione, non può fare a meno di invidiare un altro personaggio, il vecchio maestro Sal!m, a cui è toccata la " fortuna" di morire proprio il giorno prima dell'occupazione del suo villaggio da parte delle forze sioniste: appena una notte prima. C'è forse favore divino più grande ? È vero, gli uomini erano troppo occupati per pensare a seppellirti e a onorarti. Ma tu almeno , sei rimasto là . . . Ci sei rimasto ! Ti sei risparmiato l' umiliazione e la sventura, e la tua vecchiaia è scampata alla vergogna. Che Dio abbia misericordia di te, mae­ stro Salim 62.

In quanto simbolo della patria perduta, la terra appare dunque legata al­ l'uomo da un vincolo quasi di parentela. Il rapporto fra il contadino e la terra è cosi stretto che l'essere umano finisce talvolta per assomigliare al suo campo, come il personaggio di un altro racconto di Kanafan1, Fino a quando ritorneremo, che ha un volto che «Se lo guardi bene, ti sembre­ rà di guardare un campicello» 63. L'attaccamento del contadino palestinese alla sua terra, all'albero, e soprattutto all'olivo, compare ripetutamente nelle opere di Kanafan1. Va citato a questo proposito il memorabile vitigno di Umm Sa'd, eroina del racconto omonimo, da molti paragonata alla Madre Coraggio brech­ tiana, alla protagonista di La madre di Gorkij , o ancora alla Matriona di Solzenicyn. Diversamente dal germoglio d'olivo di Umm Sa'd, in Uo­ mini sotto il sole, il ramoscello tanto agognato da uno dei tre protagoni­ sti non verrà mai piantato perché lo scrittore farà morire l'uomo e la speranza. Umm Sa'd, invece, insegna che si deve ripudiare la disperazio­ ne e che non bisogna mai perdere la fiducia:

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

«È un ramoscello di vite. L'ho trovato sul bordo della strada. Lo voglio pianta­ re davanti alla porta, così vedrai, tra qualche anno ci sarà l'uva». Mi girai tra le mani quel ramoscello, era chiaro che non avrebbe mai dato niente. «Ti pare questo il momento, Umm Sa'd ?» Lei si riaccomodò lo scialle bianco sulla testa, segno che stava pensando ad altro. «Tu non puoi sapere che cosa sia una vigna, è una pianta che dà molto più di quanto chiede, un po' d'acqua e basta, non troppa, ché non va bene. . . Ma vedo che tu non vuoi credermi. C'è sempre un po' di umidità nell'aria e nella terra. . . È di là che assorbe l'acqua. . . e poi dà i suoi frutti senza risparmiarsi». «Ma è un ramoscello morto !» «Sembra così, è vero , ma in realtà è una vite». [ . . . ] Quando U mm Sa' d prese il suo fagotto e si diresse alla porta, nella stanza si sparse il profumo vero della campagna. Per un attimo pensai che se ne fosse già andata, ma attraverso i battenti spalancati mi arrivò la sua voce: «la vite ha cominciato a germogliare, ragazzo mio, ragazzo mio, ha cominciato a germo­ gliare !» Mi avvicinai alla porta e vidi Umm Saad accovacciata per terra, là dove un giorno, che in quel momento mi sembrò molto lontano, aveva piantato il ra­ moscello secco e scuro che mi aveva portato la mattina. Stava guardando la gemma verde che spuntava vigorosa 64•

La speranza in un avvenire migliore viene così affidata dallo scrittore alla generazione più giovane, cioè al figlio di Umm Sa'd, questa donna sem­ plice e risoluta, povera ma orgogliosa, che vuole reagire a tutti i costi pur di riscattare la sua vita da esule. Anche se analfabeta, la donna è capace di tener testa a un intellettuale come Kanafani che nel romanzo rappre­ senta un giornalista depresso, sull'orlo dell'annientamento, scosso, gra­ zie alla donna, dall'apatia in cui è precipitato. Eppure, la protagonista avrebbe molti più motivi per deprimersi perché, a differenza dell'uomo, vive in un misero campo profughi in cui le ore sono scandite dall' inces­ sante martellamento di notizie di guerra trasmesse dalla radio. Alla vista del bambino della donna che gioca con il fucile in mano, il giornalista si ridesta dal torpore, si sente orgoglioso della nuova generazione di pale­ stinesi e, soprattutto, di chi li ha messi al mondo e, riferendosi a Umm Sa'd, afferma: «lei genera e la Palestina prende>> 65, con esplicito riferi­ mento alle numerose giovani vittime del conflitto. Il coinvolgimento di bambini innocenti nel conflitto arabo-israelia­ no è il tema anche di un altro suo romanzo, Ritorno a Haifa, del 1969, in cui l'autore si sforza di vedere l'altra faccia della medaglia, e cioè quella dell'immigrazione ebraica all'indomani dell'atroce sterminio nazista.

4

LA NAKBAH

Gli israeliani non sono più dei nemici senza volto, ma degli esseri umani perseguitati anch'essi che si trovano, però, in case che un tempo erano state di palestinesi. Quasi cercando di trovare delle giustificazioni alla presenza degli immigrati ebrei in Palestina, lo scrittore fa dire a Sa'Id: «Non è colpa sua, no, non proprio», cioè, non è colpa della donna che abita nella sua casa di Haifa, da cui il protagonista di questa storia è sta­ to suo malgrado costretto ad allontanarsi. La nuova occupante è una polacca sopravvissuta agli orrori dei campi di sterminio nazisti che Kanafani cita espressamente. Questa donna è rappresentata dallo scrit­ tore con una forte carica umana, appunto quel nemico dal volto umano che a sua volta sente per i legittimi proprietari della casa in cui vive com­ mozione e solidarietà, unite alla consapevolezza che la propria tranquil­ lità si basa sull'infelicità altrui. «Oggi è un sabato vero», osserva la polac­ ca dopo l'espulsione degli arabi da Haifa nel 1948, «ma qui non c'è più un vero venerdì, e nemmeno una vera domenica>> 66. Questo romanzo rispecchia anche un'altra drammatica realtà, quel­ la di un bambino che l' identità palestinese non l'ha perduta, perché non l'ha mai avuta. La storia è semplice e complicata allo stesso tempo: una coppia palestinese, travolta dagli eventi, è costretta all'improvviso ad ab­ bandonare Haifa nel 1948, ma nella casa lascia, involontariamente, il fi­ glioletto appena nato. Il piccolo viene così allevato da una famiglia di ebrei, proveniente dalla Polonia. Soltanto dopo il 1967, in seguito al­ l' occupazione israeliana della Cisgiordania, i veri genitori sono autoriz­ zati a recarsi nella loro città seppure per una breve visita; la coppia ritor­ na a Haifa, rivede la loro casa e incontra il figlio perso. Qui i due pale­ stinesi si meravigliano di scoprire che il ragazzo, allevato amorevolmen­ te da questa famiglia di ebrei, è diventato sionista e non sente il richia­ mo del sangue. Alle parole commosse del padre, che crede di aver ritro­ vato il proprio figlio, il giovane, ormai israeliano, replica con durissime parole di accusa verso tutto il popolo palestinese: «Tutto ciò non sarebbe successo se vi foste comportati da persone civili e co­ scienti». «Come ?» «Non ve ne dovevate andare da Haifa. Se questo non fosse stato possibile, non dovevate a nessun costo abbandonare un lattante nella culla. Se fosse stato impossibile anche questo, non avreste mai dovuto abbandonare i tentativi di ritornare. Non mi direte che sia stato impossibile anche questo ? Sono passati vent'anni, signore, vent'anni ! Che ha fatto in tutto questo tempo per riavere

91

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

suo figlio ? lo, al suo posto, avrei preso le armi, per questo. C'è forse una ragio­ ne più valida? Incapaci! Incapaci ! Siete immobilizzati da queste vostre pesanti catene di arretratezza e di paralisi ! E non mi venite a dire che avete pianto ven­ t'anni ! Le lacrime non restituiscono le persone scomparse, né quelle perdute, e non fanno miracoli ! Tutto il pianto della terra non riesce a far galleggiare una barchetta che porti due genitori in cerca del figlio perduto . . . Ha passato ven­ t'anni a piangere. . . È questo che mi viene a dire ora? È questa la sua miserabile arma ?>> 67.

Ecco il solito atto di accusa da una parte, e di assunzione di responsabi­ lità dall'altra: il padre replicherà al figlio riconoscendo che effettivamen­ te avrebbero dovuto fare molto di più per riaverlo, dopo il fallimento della mediazione delle organizzazioni internazionali. Questo romanzo di Kanafani sicuramente ha lasciato il segno in molti arabi per la sua grande semplicità e calore umano. Non si deve, però, considerare Kanafani unicamente come autore di opere impegnate e intrise di una cupa tristezza. Perfino dopo la sua morte, egli non ha ancora terminato di sorprenderei con alcune pubbli­ cazioni uscite postume, che denotano ulteriormente una grande sensibi­ lità letteraria, ma anche uno spirito acuto e un forte senso dell'ironia. Kanafani ci ha lasciato infatti un'originale raccolta di testi satirici, pubblicata sotto lo pseudonimo di Faris Faris 68 , con l'introduzione del noto critico Mul;ammad Dakrub 69. Si tratta di articoli apparsi su di­ verse testate arabe, articoli anche provocatori su varie questioni politico­ sociali, nonché pungenti recensioni, o addirittura pesanti stroncature a questo o a quello scrittore arabo 70 • Furono presi di mira affermati auto­ ri come Yusuf Idris, 'Abd al-Ral;man Magid al-Ruba'!, e tanti altri, ma a livello mondiale anche Mao Tze Tung, Marx e Engels, dei quali lo scrittore palestinese non valutava l'ideologia comunista ma la produzio­ ne letteraria. Quello che Kanafani non poteva proprio sopportare era, infatti, la mediocrità della scrittura. Con lo stesso pseudonimo di Faris Faris, Kanafani aveva anche fon­ dato un'emittente radiofonica dalla quale aveva iniziato a diffondere settimanalmente sagaci chiose sui più vari argomenti, da quelli scientifi­ ci a quelli letterari, da quelli politico-ideologici a quelli nozionistici, nel­ la convinzione che attraverso la radio si potesse comunicare più libera­ mente che attraverso la carta stampata. Inoltre, utilizzare uno pseudoni­ mo poteva essere un elegante modo per raggirare una doverosa autocen­ sura, visto che egli era un esponente del F P L P . 92

4

LA NAKBAH

Lo scrittore riuscì a tenere nascosta la vera identità di Faris Faris quasi fino alla fine della sua vita e, secondo M�ammad Dakrub , questa segretezza gli procurava un immenso piacere, quasi infantile, perché gli consentiva probabilmente di evadere per un po' dalle sue responsabilità di uomo politico. N o n erano, invece, dello stesso avviso i direttori delle testate che pubblicavano questi articoli, poiché ricevevano insulti e let­ tere di protesta da tutti i letterati che si sentivano criticati e presi di mira dall'acuta penna di Faris Faris 71 • Kanafani era pienamente convinto che il livello culturale e civile di un popolo si misurasse anche nella capacità che questo ha di saper ridere di se stesso. Egli sottolineava come la satira fosse, in effetti, una delle tecniche di scrittura più difficili e sofisticate 72• N ella sua vasta produzione giornalistica, non mancano anche articoli satirici sulla disfatta della guerra del 5 giugno 1967: Il dato sorprendente di questa guerra, e della produzione scritta che ne è deri­ vata, è che nessun arabo abbia mai sentito l'esigenza di raccontarla, né diretta­ mente dal campo di battaglia, né, tanto meno, dall'ufficio degli incartamenti. I pochi libri apparsi dal versante arabo danno l'impressione di essere stati scritti per lavarsene le mani, per pareggiare i conti o per saldare le fatture, perciò gli arabi potranno anche "vantarsi" di aver preso parte a questa guerra e di esserne venuti fuori, senza che però nessuno di loro ottenga un riconoscimento, nem­ meno un corrispondente di guerra! [ . . ] Ma lasciamo perdere. Il meglio deve ancora arrivare. C'è, infatti, un'altra semplice considerazione da fare: noi non ci siamo limitati a schierarci con le mani conserte, come per creare una barriera che vietasse ai giornalisti stranieri di osservare quella guerra direttamente dalle finestre delle nostre case; poiché, è fin troppo evidente, nessuno dei nostri gior­ nalisti arabi ha avuto il coraggio di schiodarsi dalla sedia della propria scrivania e d'imbarcarsi assieme all'esercito, per raccontare la storia come testimone ocu­ lare di quella guerra che ha prodotto così tanti libri 73• .

Di Kanafani si conosce anche un filone per così dire amoroso: nel 1992 la famosa scrittrice siriana Ghadah al-Samman, rendendo pubblica una sua relazione con lo scrittore, diede alle stampe delle infuocate lettere di amore che lui le aveva scritto e che saranno l'oggetto di un appassionan­ te e intrigante feuilleton nel mondo arabo 74. Kanafani, che ci ha lasciato infine anche alcune opere teatrali di cui si parlerà oltre, è sicuramente stato uno degli scrittori più significativi della sua epoca, rappresentando con i suoi scritti le aspirazioni di tutti i palestinesi della diaspora. 93

5 La naksah

Letteratura della resistenza N egli anni sessanta la sempre più feconda produzione letteraria di poeti e scrittori palestinesi dà vita a quella che sarà chiamata "letteratura della resistenza" (adab al-muqiiwamah) che, a prescindere dal suo valore arti­ stico, diventa lo specchio di un preciso momento storico nella vita so­ ciale e politica di questa parte del mondo arabo. N el mese di giugno del 1 9 67, un altro termine compare nelle cronache del Medio Oriente: è la naksah, che in arabo significa " ricaduta" , nel senso di essere colpiti di nuovo dalla stessa malattia, ricadendo così nella "catastrofe " del 1 948: si riferisce, infatti, alla sconfitta araba che segue quell'evento che in Occi­ dente è noto come la "guerra dei sei giorni". Ma a parte la terminologia, che varia a seconda dell'angolazione da cui questa storia viene vista e raccontata, quello che è incontestabile è che il 1967, proprio come il 1 948, ha rappresentato per gli arabi una clamorosa disfatta, con la perdi­ ta di Gerusalemme Est, del Golan siriano e del Sinai egiziano, e per i pa­ lestinesi, in particolare, si è concretizzata in un'ulteriore sottrazione di territorio a favore dello Stato d'Israele. La Cisgiordania o West Bank (al-Piffah al-gharbiyyah) e la striscia di Gaza (al-Q#ii ') diventeranno uf­ ficialmente i "T erri tori Occupati". Per anni queste regioni si chiame­ ranno così, fino a quando l'aggettivo "occupati" tenderà sempre di più a essere omesso dai cronisti, e questi luoghi che erano sfuggiti fino al 1967 alla disgregazione delle proprie strutture economiche, sociali, pol itiche e culturali, conservando una certa omogeneità, diventeranno con il tem­ po semplicemente i "Terri tori ". Lo scrittore Murid al-Barghuthi nel suo citato romanzo autobiogra­ fico Ho visto Ramallah, si interroga su cosa siano, dopotutto, questi "Territori Occupati" dove: «non c'è nessuna differenza tra i rilievi del territorio giordano su cui mi trovo ora e quelli palestinesi che si trovano al di là del ponte [ . . . ] . Quando alla radio, sui giornali e sulle riviste, nei 95

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

libri e nei discorsi ufficiali si sente usare l'espressione "T erri tori Occu­ pati " , e la si sente anno dopo anno, festival dopo festival, conferenza al vertice dopo conferenza, cominci a pensare che si tratta di un luogo im­ maginario alla fine del mondo>> 1 • Il destino di quei palestinesi che nel 1948 erano sfuggiti alla nakbah, rifugiandosi nei campi profughi della Cisgiordania e di Gaza, si ripete, e l'intellettuale ancora una volta si appropria del ruolo di portavoce di tutto un popolo. Sul piano letterario questo particolare momento storico rappresenta un periodo molto produttivo e ricco di fermenti culturali in cui poeti e scrittori daranno alle stampe capolavori contraddistinti da innovazioni stilistiche, mentre sul piano contenutistico prevalgono temi consueti come quello del distacco dalla propria terra, della dispersione di intere famiglie e del sospirato ritorno. In tutti questi scritti predominano la rabbia e il dolore per quella che viene avvertita come un'ulteriore in­ giustizia. Nasce così la "letteratura della resistenza" e il primo a parlarne fu proprio Ghassan Kanafani che nel 1967 scrisse il saggio La letteratura della resistenza nella Palestina occupata, in cui metteva in risalto la valen­ za politica e letteraria dei grandi poeti palestinesi a lui coevi. Anche altri intellettuali della diaspora pubblicarono lavori analoghi \ inaugurando il filone della letteratura della resistenza che, se può sembrar frutto di un improvviso e spontaneo fervore poetico-nazionalistico, costituisce la na­ turale continuazione dell'opera dei poeti delle precedenti generazioni 3•

La Palestina in versi Sono inizialmente i poeti Ma}:lmud OatWish (1942) , Samil). al-Qasim (1939) e Tawfiq Zayyad (1929-1 994) a monopolizzare l'attenzione della critica araba e a far conoscere la questione palestinese anche in Europa, dove le loro poesie, già alla fine degli anni settanta, cominciano a essere tradotte dalla nuova generazione di orientalisti, o meglio di arabisti, che militano per quella causa. Ma saranno anche le poetesse Fadwà T uqan e Salmà al-Khaçlra' al- G ayyusi (1926) che, sull'esempio dell'irachena Nazik al-Mala' ikah (1923-2007), si libereranno dalle catene della tradi­ zione e abbracceranno il "verso libero " , contribuendo con le loro poesie a infiammare gli animi di tanti palestinesi dei Terri tori Occupati e della diaspora:

5

LA NAKSAH

[ . . . ] Spaventoso si levò il gemito, poi si levò quella voce desolata e afflitta: «Manda il tuo aiuto a Oriente, tutti i tuoi parenti son diventati profughi . . . )) Sospirai profondamente e trepidai per loro. Spedii ai miei parenti vesti che avevo raccolto per i mendicanti , un po' d'uva passa che non avevamo mangiato , qualche moneta attaccaticcia priva di lucentezza e tintinnio e lacrime e lacrime e lacrime e gemiti . . . D a quel giorno non diedi più l e mie monete al mendicante: i miei cugini eran divenuti profughi ! [ . . . ] 4.

Con questa poesia, Senza radici, del 1961, Salmà al-Khaçlra' al- G ayyiisi esprime la rabbia di chi assiste inerme al destino di un popolo che di­ venta profugo e preannuncia la ferma resistenza alla quale negli anni sessanta molti giovani aderiscono nella speranza di ritornare nel proprio paese. Ed è proprio a questa generazione che la poetessa rivolge il suo grido di dolore: « [ . . . ] O figli dei morti ! Siete come loro morti ? Orfani ? O ciò che resta della ferita di un popolo afflitto ?)) «Siamo tutto ciò. )) Una parola dal suono stridente e sgraziato ci unisce: p r o f u g h i 5 •

Molti sono i temi che accomunano questa nuova schiera di poeti: dal­ l'insofferenza verso l'occupazione israeliana alla determinazione di non rassegnarsi alla perdita della propria patria. Con la poesia Da dietro le mura, l'altra grande poetessa, Fadwà Tuqan, così si ribella alle autorità militari che limitano la libertà sua e della sua gente: [ . . . ] Velate pure la luce della mia libertà, e precludetemi i liberi spazi ; ma in questo mio cuore canoro non potrete mai spegnere lo spirito del canto. Il cuor mio, la mano di Dio lo ha foggiato in canto, traboccante dal profondo della fontana della vita [ . . . ] Maledette! Altre donne non io, si piegano a voi, rese mute dalle ire dei tiranni. Ma una come me, a vostro dispetto , resterà sempre figlia della natura e della vita.

97

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

lo canterò sempre, anche schiacciata dai vincoli , i canti e gli aneliti dell'anima mia. La vita di mia madre benedice il mio canto, che sgorga dal fondo della sua immensità 6 .

Famose sono poi le sue odi di lotta, in cui la poetessa chiede giustizia per il suo popolo offeso e umiliato, come quando evoca i «Sospiri davan­ ti allo sportello dei permessi»: Fermarsi sul ponte e mendicare un permesso ! Ahimè ! Mendicare, sì, un permesso d'attraversata! Soffocare, perdere il fiato N el caldo del mezzogiorno ! Sette ore d'attesa [ . ] Ahimè ! Mendicare un permesso ! E la voce di un m ili tare straniero scoppia furioso come uno schiaffo sul volto della folla: Arabi . . . Disordine . . . Cani ! Tornate indietro ! Non venite vicino al cancello ! [ . . . ] Chi ha rotto le ali al tempo ? Chi ha paralizzato le gambe del giorno ? Il caldo mi flagella la fronte, Il sudore mi colma gli occhi di sale [ . . . ] 7. . .

Con questi versi esplode tutto l'esuberante amor patrio della poetessa capace di farsi trasportare dalle più cieche passioni. «Sono diventata un amaro veleno - scrive ancora Fadwà - il mio sapore è mortale, il mio odio è tremendo e scende fino in fondo, il mio cuore è una roccia, è zol­ fo, è fontana di fuoco>> 8• Nel 1969 il generale israeliano Moshé Dayan, ritenendo le poesie di Fadwà Tuqan più pericolose delle azioni di guerriglia dei fedayyin, volle conoscerla e le chiese perché i suoi scritti fossero tanto pieni di odio. La poetessa rispose che si rendeva conto delle grandi sofferenze degli ebrei e del loro diritto a una vita libera, umana e dignitosa, ma non capiva per­ ché dovessero essere proprio loro, i palestinesi, a pagare per colpe com­ messe da altri. Al che Dayan ammise di non poterla certo biasimare, ag­ giungendo che si rammaricava di non avere in quel momento in Israele una poetessa nazionalista come lei 9 •

5

LA NAKSAH

Non sarebbe giusto, però, ricordare Fadwà Tuqan solo per i suoi versi infuocati e patriottici, perché celebri sono anche le sue poesie d'a­ more. Salvatore Quasimodo incontrò la poetessa a Stoccolma nel 1 9 59 e ne fu subito affascinato: «Tu sei bella, e i tuoi occhi profondi» 10 , recita­ no i versi che il nostro poeta le dedicò, corteggiandola. Ma lei rispose con un clamoroso diniego, seppure poetico: «Io, caro poeta, ho nella mia cara patria l un innamorato che aspetta il mio ritorno» 11• Struggente è la poesia che Fadwà Tuqan volle dedicare a Wa'il Zu'aytir, assassinato nel 1973 a Roma dai servizi segreti israeliani, che, come ha scritto Francesco Gabrieli, è stato «vittima di una lotta spietata senza esclusione di colpi, ma che egli conduceva armato solo di intelli­ genza e amor patrio» 12 • Quando giunse la notizia, intrisa del tuo sangue, ci coprì la vergogna. Quando dissero: «L'esilio e la malattia gli erano cibo e bevanda» ci coprì la vergogna. Quando dissero: «Ci dava, pur soffrendo la fame», ci turbammo e ci coprì la vergogna. E restammo allo scoperto, senza velo né schermo: chi coprirà la nostra nudità, chi farà scendere su di noi un velo, o eroe? [ . ] O tu che infondi un fremito nel mondo morto, tu gettato senza famiglia e senza terra sui marciapiedi dell'esilio gettato esausto stringendo al petto i giardini della Patria, i cieli della Patria, e le sue pianure sognanti i solchi e l'aratro e la pioggia, o tu cui la tristezza, nella terra del tuo deserto errar profugo, era pane, e polla d'acqua, o luna sorgente nella notte della diaspora, o tu che dicesti «no» alla morte e al deserto, e al volto che per vent'anni fu derubato della sua identità, tu, sole della nostra causa, dormi ora nella Patria pietosa. Ora tu sei in essa, o lontano e vicino a un tempo, o Palestinese, tu. O tu che hai rifiutato la morte, tu hai vinto la morte, oggi morendo 13• . .

99

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Tra i simboli a cui ricorrono i poeti si impone la terra, la cui perdita equivale alla privazione della patria e, di conseguenza, della personalità dell'individuo, ma anche un semplice certificato, come può essere la carta d' identità che, nel caso del palestinese, attesta la negazione di un'appartenenza. E perciò questo documento diventa uno dei simboli più ricorrenti della produzione letteraria di questo periodo, assumendo con gli anni l'emblema dello status del palestinese della diaspora e dei T erri tori Occupati. Il fatto di dover avere un documento di riconosci­ mento per certificare la condizione di «cittadino senza patria» , ha sem­ pre umiliato i palestinesi, al punto che molti poeti ne hanno fatto l' og­ getto delle loro liriche. Nel 1968 Mu'In Bsisu scrive una poesia intitolata proprio Carta d'identità: [ . . . ] Ho bussato a ogni porta Un a puttana mi nascose Ma fui tradito da un sant'uomo E tuttavia Dio era con me Testimoniò alla polizia In mio favore: " la scheda è pronta" "il vostro nome" " età" "indirizzo " " professione" La sua professione era Dio Gli presero le impronte digitali E lo fotografarono [ . . . ] Mia terra patria mia Da quando ti vidi barcollare ubriaca In tutti i locali pubblici e clandestini M'indebitai e divenni Lo schiavo di tutti gli usurai [ . . ] Il telefono squilla Pronto . . . pronto . . . pronto . . . Non c'è telefono per l a mia terra [ .. . ] 14. .

Qualche anno prima della naksah un altro giovane poeta, Mal).mud DaiWish, aveva anch'egli dedicato al prezioso documento d'identità una delle sue più note poesie, tratta dalla raccolta Foglie d'olivo del 1 9 64. 100

5

LA NAKSAH Scrivi: sono arabo il numero della mia carta d'identità è cinquantamila sono padre di otto figli e il nono . . . verrà dopo l'estate. Ti fa arrabbiare questo ? Scrivi: sono arabo lavoro con i miei compagni di pena tn una cava sono padre di otto figli per loro strappo dalle rocce i vestiti, il pane, i quaderni [ . . ] 1 5 . .

M�miid DaiWish con il tempo è diventato poi uno dei più grandi poe­ ti arabi contemporanei, nonché una delle voci più significative della causa palestinese. Nella sua poesia egli ha unito l'impegno politico al­ l' arte, riuscendo a conciliare le due cose con un'elevata grazia estetica, in un linguaggio in continua trasformazione stilistica e formale. Del resto egli ha sempre detto che ogni poeta in ogni tempo e ogni luogo è «figlio delle proprie circostanze storiche e sociali» 16 e per questo non può fare altro che riversare nei suoi scritti le sue ansie e speranze. DaiWish è nato nel 1941 in Galilea, nel villaggio di al-BiiWah, tante volte evocato nei suoi versi. N el 1948 segue la famiglia in Libano, paese da cui andranno via soltanto un anno dopo, riuscendo a ritornare in Pa­ lestina dove scopriranno che al posto dell'amato villaggio natio c'è una colonia ebraica. Da questo momento inizia lo struggimento del fanciul­ lo che, una volta poeta, non dimenticherà mai il suo piccolo paradiso perduto. Da giovane entra nel Partito comunista israeliano, Raqah, e ben presto unisce l'impegno politico con le sue aspirazioni letterarie. Arrestato più volte, sceglie infine l'esilio al Cairo e poi a Beirut dove ri­ marrà fino al 1982, collaborando alla rivista "Shu'iin Filas�Iniyyah " e di­ rigendo il Centro di studi palestinesi. Lascerà poi anche Beirut, oltrag­ giata dalla guerra civile per andare a Parigi e in seguito a Cipro, dove fonda la prestigiosa rivista "al- Karmil ". Ha diretto l'Unione degli scrit­ tori e giornalisti palestinesi, ed è stato membro del Comitato esecutivo dell'oLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) . Questo breve excursus sulla vita di DaiWish ci fa capire che posto 1 01

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

importante abbia occupato, per il poeta, il "sogno palestinese " . Le sue liriche, infatti , sono impregnate di nostalgia, di desiderio di possedere una patria, identificata anche con la donna-madre-terra-amata; terra dalle pittoresche immagini di ulivi in fiore, mandorli profumati, arance fragranti; terra confinante con l'immensità del mare o con infiniti deser­ ti: luoghi verso cui fuggire, ma attraverso i quali anche ritornare . . . a casa. «Perché, padre, hai lasciato il cavallo alla sua solitudine ? - si do­ manda in un'altra sua poesia - Perché dia vita alla casa, figliolo. Le case muoiono quando partono gli abitanti» 17. Con la naksah del 1967 nelle poesie di Darwish, come in quelle di altri poeti palestinesi, compaiono sempre più spesso armi, non solo quelle dei primi fedayyin, impegnati nella allora giovane guerriglia con­ tro l'occupante, ma anche quelle degli israeliani che si levano contro i civili palestinesi. Nel poema Scrivere alla luce di un fucile 18 , dalla raccol­ ta omonima del 1970, ad esempio, il poeta parla della ronda militare che assedia e umilia la popolazione: «Passa una sentinella notturna [ . . ] non brilla che un fucile [ . . ] ». E nella più nota poesia Rita e ilfucile, dalla rac­ colta Lafine della notte del 1967, messa in musica dal grande composito­ re libanese Marcel Khalifah, si riconosce tutta una generazione di pale­ stinesi: .

.

Fra Rita e i miei occhi si leva un fucile. Chi Rita conosce s'inchina e prega il dio che è negli occhi di miele. [ . . . ] Oh Rita ! Un milione di immagini un milione di uccelli un milione di appuntamenti sono stati assassinati da un fucile. Nome di Rita, festa, per le mia labbra, corpo di Rita, nozze per il mio sangue [ . . . ] 19.

1 02

5

LA NAKSAH

Come molti giovani in Europa, anche Darwish sogna che i fiori sostitui­ scano i proiettili dei fucili, e nella bella poesia, Il sogno dei gigli bianchi, messa anche questa in musica, invoca con enfasi canti di bambini e gigli bianchi: [. . . ] lo sogno gigli bianchi In un ramo d'olivo, un uccello che abbracci il mattino sopra i fiori di limone [ ] lo sogno gigli bianchi in una strada di canto e una strada di luce, e voglio un cuore buono che non sia pieno di fucili, e un giorno in tero di sole [ . ] Voglio un bimbo che all'alba sorrida non un pezzo di ricambio in strumenti di guerra. Son venuto per vivere il sole che sorge, ma non quello che tramonta. E non ho voglia di morire di combattere donne e bambini [ . . . ] 20• . . .

. .

L'altro poeta che ha contribuito a far conoscere la poesia palestinese fuori dal mondo arabo è Sam� al-Qasim, nato nel 1939. Druso della Galilea, egli fa parte di quella schiera di palestinesi che sono diventati, loro malgrado, arabi d'Israele. Con l:fabThi e altri esponenti di rilievo, aderì anch'egli al Raqah, il Partito comunista israeliano, partecipando intensamente alla vita politica e culturale del paese e dando impulso a diversi movimenti e organizzazioni culturali. È stato direttore della Fondazione popolare delle arti di Haifa, nonché presidente dell'V n ione degli scrittori palestinesi in Israele e ha collaborato alle maggiori testate arabe. È oggi considerato uno dei più grandi poeti arabi. Il suo nome compare insieme a quelli di Ma}:lmud Darwish e Tawfiq Zayyad nella prima raccolta di versi della resistenza palestinese, apparsa nel 1968 e cu­ rata da G hassan Kanafani. Come Darwish, Sam� al-Qasim conoscerà anche lui più volte il 1 03

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

carcere israeliano e il domicilio coatto, esperienze che riverserà in molti suoi poemi, come nella breve poesia Fine di una discussione con un carce­ riere, in cui così rivive quell'esperienza: Dalla finestra della mia piccola cella Vedo alberi che mi sorridono Tetti gremi ti di gente Finestre che piangono e pregano per me. Dalla finestra della mia piccola cella Vedo la vostra grande cella 2 1 •

Famosa è poi la sua poesia Stranieri in cui il poeta declama: Piangemmo . . . il giorno in cui altri cantavano cercammo rifugio verso il cielo il giorno che altri lo denigravano [ . . . ] Sopportammo . . . Sopportammo la nostra ferita sanguinante E partimmo . . . verso un orizzonte al di là dell'invisibile che ci chiama, a piccole schiere di orfani. Dimenticammo in una rovina tenebrosa. . . un anno dopo l'altro Restammo stranieri E piangemmo il giorno in cui altri cantavano [ . . . ] 22•

In un altro poema del 1967, Discorso al mercato dell'eroismo, SamiQ. al-Qasim così esprime il suo rifiuto alla rassegnazione: [ . . . ] Lotterò fino all'ultima pulsazione delle mie vene! Forse mi ruberai l'ultimo palmo della mia terra, forse darai la mia giovinezza in pasto alla prigione, forse ti precipiterai sull'eredità di mio nonno . . . masserizie, vasi, giare . . . forse brucerai l e m i e poesie e i miei libri, forse nutrirai i cani con la mia carne [ . . . ] ma non mercanteggerò ! Lotterò fino all'ultima pulsazione delle mie vene [ . . . ] 2 3.

Con questi versi di lotta SamiQ. al-Qasim afferma la propria determina­ zione a non lasciarsi sopraffare, malgrado avverta sempre più forte la sensazione d'impotenza e di frustrazione, come si riscontra in un'altra 1 04

5

LA NAKSAH

breve poesia, Labbra tagliate, in cui egli vorrebbe raccontare la storia di un usignolo morto, ma non può perché gli hanno tagliato le labbra 24• Il poeta si rivolge ai potenti della terra, affinché si assumano le loro responsabilità, scrivendo un'altra poesia dal significativo titolo, A tutti gli uomini raffinati delle Nazioni Unite: Signori d'ogni paese! A che servono in questi tempi Le cravatte a mezzogiorno ? Signori d'ogni paese! Il muschio che mi è cresciuto nel cuore Ha coperto tutte le " pareti di vetro". A che potrebbero servire in questi tempi Le infinite riunioni, gli importanti discorsi, le spie, le parole delle prostitute . . . e l e discussioni? [ . . . ] Signori d'ogni paese! Che la mia vergogna sia una peste e un serpente il mio dolore O scarpe nere e lucide di ogni terra! La mia ira è tanto più forte della mia voce . . . i o sono senza mani ! 25

In un'altra sua poesia, poi, Sam!Q al-Qasim si appella alla coscienza del­ la gente, nella speranza che la tragedia palestinese non diventi un'amara abitudine per chi la segue da lontano: Quel giorno fra i tanti in cui sarò ucciso mi troverà in tasca il mio assassino biglietti di viaggio uno verso la pace uno verso i campi e la pioggia uno verso la coscienza della gente. lo spero, mio caro assassino, che non sciuperai quei biglietti e partirai . . . 26

105

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Grande amico di M�mud Darwish, Sam� al-Qasim condividerà con lui molte esperienze umane e poetiche, e gli dedicherà anche una poesia in cui ricorda, non senza polemiche, la differente situazione di chi è ri­ masto in patria e di chi alla fine se n'è andato: Noi due amici, un esilio e una prigione, abbiamo attraversato un paese dietro l'altro [ . . . ] Ritorniamo E un frettoloso abbracciarsi nutre questo luogo del ritorno. L'incontro era per chiedere scusa? L'addio era per scappar via ? [ ... ] Ci divide l'Oriente Ci unisce l'Occidente, ma ovunque restiamo stranieri ! 27

Sul piano stilistico Sam� al-Qasim ha subito anche lui profonde tra­ sformazioni, alternando sapientemente «i metri classici al verso libero, con il susseguirsi di assonanze e allitterazioni che conferiscono alla sua lirica ritmo veloce e di forte impatto emotivo» 28• Sempre fedele al suo credo socialista, Sam� al-Qasim esprimerà poi tutto il disagio di chi vede crollare i propri ideali politici, in un'epoca in cui dichiararsi marxisti non ha più la stessa valenza del passato. Oggi molti si sentono a disagio a dichiararsi socialisti anche nelle loro conce­ zioni artistiche e letterarie. Avranno qualche problema. lo non mi sento re­ sponsabile degli errori d'applicazione del modello socialista. lo sono marxista e non capisco perché alcuni, gratuitamente, si offrono di scagionarmi da questa " colpa" e cercano di dipingermi come uno obbligato a essere marxista. Noi sia­ mo marxisti , vorrei che questo fosse molto chiaro a tutti 29•

L'altro nome di spicco della poesia palestinese è quello di T awfiq Zayyad (1929-1994) . Come molti intellettuali del suo tempo, anche Zayyad intreccia l' impegno letterario con quello politico e militante. Membro del Partito comunista, Raqah, conosce più volte le prigioni israeliane, ma poi intraprende la carriera politica e nel 197 4 è eletto par­ lamentare alla Knesset, in rappresentanza degli arabi di Israele. Nel 1975 si dimette per assumere la carica di sindaco di N azaret, che ricoprirà fino alla morte nel 1 994, per incidente stradale. Egli è forse il poeta che, 106

5

LA NAKSAH

dall'interno del paese, ha meglio saputo registrare gli eventi della naksah, che sembra catturare con una macchina fotografica: Da qui passarono verso Oriente come nuvole nere Uccidendo i fiori , i bimbi, il grano e le perle della rugiada, Seminando rancori, odio, tombe e coltelli. Da qui faran marcia indietro, anche se sarà lungo il tempo [ . . . ] Non ditemi «Abbiamo vinto !» N o i non guardiamo la superficie, ma La profondità del crimine. Non ditemi «Abbiamo vinto !» Conosciamo questa bravura [ ... ] 3°.

Di Zayyad sono anche famosi i versi del 1970 dedicati agli «amici ebrei che distribuirono nel cuore di T el Aviv - Piazza Dizengoff - opuscoli sui cinque martiri e furono attaccati dalla polizia che lacerò loro i vestiti e bruciò gli opuscoli e i libri che portavano [ ] » 31 • Questo episodio, che vide cittadini israeliani, ebrei e arabi, lottare insieme, offre al poeta l'occasione di nutrire speranze per un futuro migliore: . . .

Porto la rosa, la giusta pace e l'amore profondo. Questa è la mia mano. O compagni della nostra lotta in ogni angoscia, in ogni vena pulsante è il patto dell'amico verso l'amico. Bruciarono gli seritti della nostra lotta ? Illusione che colpisce l'annegato . . . Bruciarono l a verità? Chi la vede metter radici nel fuoco ? 32

Famosa è infine la sua poesia Diario delle nozze di sangue da Amman a Gerusalemme in cui Tawfiq Zayyad rievoca i drammatici eventi occorsi in Giordania nel 1970, noti come " Settembre Nero " . Oggi è sabato, terzo giorno del sangue, ed io scrivo d'una gente che è ribelle alla morte, d'un paese che non vuole

1 07

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

che lo sgozzino in silenzio. [ ... ] Sulle macerie e sotto le macerie, sulle soglie divelte delle case e sopra i pali della luce, e sui rami degli alberi infocati, e nei vicoli arati dai carri, è veloce il passaggio delle cose [ . . . ] 33.

In un incontro tra poeti palestinesi che si tenne a Haifa nel marzo del 1 9 68, anche Fadwà Tiiqan rievocherà i giorni della naksah, incoraggian­ do i suoi connazionali a non piegarsi davanti alla tragedia e a non darsi per vinti, nella speranza di un risveglio «sul sentiero del sole»: Alle porte di Giaffa, o miei cari , nello scompiglio delle macerie delle case, fra le rovine e le spine mi fermai e dissi agli occhi: fermatevi, piangiamo sui ruderi delle dimore di coloro che partirono e le abbandonarono [ . . . ] Eccomi davanti a voi Raccolgo e asciugo le lacrime dell'ieri Pianterò come voi i miei piedi nella patria e nella terra! Pianterò come voi i miei occhi sul sentiero del sole ! 34

Influenzata dalle correnti moderniste arabe ed occidentali, a partire dal periodo della naksah, la poesia palestinese non si fossilizza, ma si evolve­ rà in forme sempre più innovative e originali. Poeti come Mal)miid Darwish, Tawfiq Zayyad, Sam11} al-Qasim e Fadwà Tiiqan scriveranno versi in una continua metamorfosi sul piano estetico e formale. Simboli ricorrenti di questa produzione poetica sono sempre la terra-patria, gremita di olivi, mandorli e anche di smisurate tendopoli, abitate da figli, da padri valorosi e da allegoriche figure materne. Il sentimento che prevale in questi scritti è la tristezza, seguita dalla di­ sperazione. Compaiono armi e pietre, con spargimento di lacrime e di sangue, non mancano, però, simboli di rinnovata speranza come co­ lombe o ramoscelli di ulivi in cieli rischiarati. Molti poeti e scrittori, a prescindere dalla loro religione, si ispirano anche a figure allegoriche at­ tinte e dal patrimonio arabo-islamico e dal Vecchio e Nuovo Testamen­ to. La religione cristiana e la sofferenza del Cristo su questa terra, la stes1 08

5

LA NAKSAH

sa terra dove oggi tanto aspramente si combatte, finisce per rappresenta­ re per i poeti le tribolazioni inflitte ai palestinesi. Ma, come viene giu­ stamente rilevato, non si tratta qui di una letteratura religiosa: i nume­ rosi riferimenti al Corano o al Vangelo nelle opere di Sami"Q al-Qasim o di M�mud Darw1sh, tanto per !imitarci ai due più noti, «non compro­ mettono il tenore essenzialmente laico di una tale poesia» 3 5• Anche se i contenuti di questa produzione poetica sono sicuramente dolorosi, e non potrebbe essere diversamente, dal momento che la tra­ gedia palestinese è sotto gli occhi di tutti, non si può trascurare l' ele­ mento estetico, frutto del tentativo efficace di dare uno slancio nuovo alla lingua poetica, così come si può ben constatare in una delle più re­ centi liriche di M�mud Darw1sh. [ . . . ] Un giorno sarò ciò che voglio Un giorno sarò poeta E l'acqua asservita alla mia percezione. Metafora per la metafora La mia lingua, non dico e non indico Un luogo. Il luogo, mio peccato e mio alibi. Di là provengo. Il mio qui balza dai miei passi all'immaginazione . . . Sono colui che ero, colui che sarò, mi crea e mi abbatte lo spazio esteso, infinito. Un giorno sarò ciò che voglio [ . . . ] 36 .

N el commemorare nel 2004 la grande Fadwà T uqan, scomparsa l'anno

precedente, MaQ.mud Darw1sh, ricordando gli esordi della poesia pale­ stinese, ha dichiarato che, in quel preciso momento della storia, la poe­ sia si era disgiunta dalla sua natura, convergendo verso un'unica lirica, scritta da uno stesso poeta 37. Anche se fossi l'ultimo troverei le parole necessarie Ogni poesia è un disegno adesso alle rondini traccerò la mappa della primavera i tigli a chi passa per la via e lapislazzuli alle donne. Ed io,

1 09

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

la strada mi porterà ed io la porterò in spalla finché ogni cosa recupera il suo volto così com'è poi il nome originario. [ . ] Ogni poema è un sogno: "Ho sognato di sognare". Mi porterà e lo porterò finché scriverò l'ultima riga sul marmo della tomba: " Mi sono addormentato Per spiccare il volo" 38 • . .

E sembra particolarmente calzante riportare qui una frase di G abra

Ibrahim G abra quando sostiene che «tutti i Palestinesi sono per natura poeti. Forse non scrivono poesie, ma sono poeti, perché conoscono due cose importanti: la bellezza della natura e la tragedia. Chi associa queste due cose non può che essere un poeta)) 39•

Scrittori dei T erritori Occupati Quando si parla della narrativa palestinese, si pensa generalmente ai poeti e scrittori arabi rimasti in Israele, o a intellettuali che vivono in esilio. Per anni si è ignorata la generazione degli autori residenti nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, che ha invece prodotto una grande quantità di romanzi e di racconti. Al contrario dei palestinesi della dia­ spora, questi scrittori non possono idealizzare il "paradiso perduto " , dal momento che vedono tutti i giorni i grandi oliveti di Betlemme, i man­ dorli profumati della Galilea, e possono sentire il profumo delle belle arance di Gerico, ma il fatto di vivere sotto l'occupazione militare rende precaria la loro esistenza come cittadini e come letterati. La continua ri­ bellione contro gli israeliani diventa così il comune denominatore di tutta una produzione letteraria che, pur essendo giovane, è molto fecon­ da e originale per il continuo incontro/scontro con "l'altro " , ed è questa particolarità a rendere nuova e diversa la voce di chi scrive 40• Lo strumento letterario più utilizzato da questi narratori è inizial­ mente il racconto breve che assume le caratteristiche di un vero e pro­ prio documento di tutto un popolo ritratto in un preciso momento sto­ rico; con il tempo, poi, anche il romanzo verrà sempre più adottato da 110

5

LA NAKSAH

una folta schiera di scrittori che sfruttano il genere della fiction per rac­ contare episodi drammaticamente veritieri. Una delle maggiori rappresentanti della Cisgiordania è senza dub­ bio Sa}:tar Khalifah, che è anche la scrittrice palestinese più nota in Eu­ ropa, dove molti suoi libri sono stati tradotti e apprezzati dalla critica. È conosciuta anche in Italia e nel 1996 ha ricevuto a Roma il premio Al­ berto Moravia. Così come Emil I:IabThi ci rappresenta la vita dei cittadini arabi in Israele, Sa}:tar Khalifah ci ritrae in maniera molto realistica la vita dei pa­ lestinesi nei Territori Occupati e, in particolare, nella città di Nablus, dove è nata nel 1941. A parte l'autobiografia, Memorie di una donna non realista 4\ che esula dal filone della letteratura palestinese per essere collocata in quello più specificatamente femminista, gli altri romanzi sono ambientati nella Cisgiordania e trattano temi anche molto scottanti come quello della re­ sistenza o del collaborazionismo con gli occupanti israeliani di una parte della popolazione araba. Dopo aver pubblicato al Cairo nel 1974 il suo primo romanzo Non saremo mai più le vostre serve, in cui prevale ancora il tema delle rivendi­ cazioni femministe, Sa}:tar Khalifah si impone sulla scena letteraria araba con Ilfico d1ndia 4 2 del 1976, che subito riscuote un grande successo, a cui fa seguito, qualche anno dopo, I girasoli 43 • Nei suoi romanzi ci appaiono pittoresche descrizioni di luoghi, di città o di villaggi pullulanti di vita in cui si percepisce tutta la Palestina con i suoi odori, i suoi colori e le sue genti: dai religiosi ebrei dalle lun­ ghe treccioline, ai venditori arabi di ka 'k ( "ciambelle") e di profumati dolci di sesamo, ai preti e alle suore provenienti da tutto il mondo, che numerosi affollano le strade e i vicoli delle città palestinesi. SaQ.ar Khalifah pone, tra l'altro, l'accento anche sulle disuguaglianze sociali all'interno della comunità araba, sottolineando come gli apparte­ nenti alla piccola borghesia conservatrice siano tenacemente ancorati a valori tradizionali, mentre i personaggi di estrazione proletaria siano più progressisti e inclini alla ribellione: «La differenza di classe si vede anche quando uno attraversa la strada [ . . . ] » 44, afferma una delle protagoniste di I girasoli, rivolta a un suo compagno che ha la "colpa" di essere uno dei rampolli di un'agiata famiglia del paese, mentre, per i figli del proletaria­ to, l'avvenire si prospetta sempre più catastrofico, perché, come fa osser­ vare un altro personaggio, se i giovani palestinesi partono per studiare al­ l' estero, vengono poi scoraggiati dal ritornare nei luoghi di origine: 111

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Quando infine siamo medici e ingegneri, ci domandano il rimborso delle spese dei nostri studi. Poiché i nostri genitori non si possono dissanguare per farci ottenere, una volta rientrati nel nostro Paese, salari irrisori , allora la soluzione è l'esilio: il lavoro in Arabia Saudita, in Libia e nei paesi del Golfo. Risultato: la regione si svuota di quelli che hanno studiato e non rimangono che gli operai e i contadini; e ciò è esattamente quello che si augura Israele 45 •

La scrittrice mette in luce anche il conflitto tra generazioni e l'insoffe­ renza della gioventù che, privata dei valori fondamentali dei loro padri, attraversa una profonda crisi. È sintomatico, ad esempio, l' atteggiamen­ to ironico e derisorio di un altro personaggio del romanzo I girasoli, che esprime tutto il malessere della sua generazione per essere stata privata anche dei propri ideali: «Che Dio esista o no, questo è affar suo, quello che interessa a me, è il mondo di quaggiù» 46• Va ricordato, inoltre, che quest'opera è stata scritta nel 1980, prima dell'intifada, prima cioè che il movimento integralista islamico facesse tanti proseliti proprio tra la po­ polazione più giovane e diseredata. Malgrado la drammaticità degli eventi, nei suoi scritti Sal).ar Khalifah non rinuncia a qualche venatura d'ironia, come quando uno dei perso­ naggi di Il fico d1ndia spiega il proprio punto di vista sull'occupazione israeliana della Cisgiordania e sul concetto di libertà: «Tu ora sei nella zona liberata! È il 1967, non lo hai sentito annunciare alla radio israelia­ na? Tu ora, illustrissimo, sei stato liberato» 47• Così scrivendo, Sal).ar Khalifah non risparmia critiche al governo israeliano, che parla di liberazione invece di occupazione, e anche alla si­ nistra araba, in cui milita la maggior parte degli intellettuali palestinesi che si lasciano abbagliare dalle grandi parole prive di significato. Se da una parte, infatti, la scrittrice apprezza quanti nel mondo arabo sono vi­ cini alla causa palestinese, non può fare a meno di smascherare chi si ri­ corda dei palestinesi a parole, solo quando fa loro comodo. Se la prende così con quei regimi potenti che vivono «dietro il Ponte», intendendo con questa espressione i paesi arabi al di là del ponte di Allenby, che se­ gna il confine con la Giordania, perché: «Oltre il ponte c'è una prigione enorme, una grande prigione, e leggi militari» 48• Tutto il suo disprezzo va infine a quei governanti arabi che sfruttano il loro carisma sulle masse solo per sete di potere e ambizione personale: «Capi divinizzati che in origine erano con te, e che oggi sono contro di te [ . . ] e quello che resta è Sua Maestà e l'occupazione)) 49 • E, rivolta agli israeliani, si immedesi.

112

5

LA NAKSAH

ma nella loro difficile vita: «Povera te, Sa'diyyah ! Poveri ebrei ! Povera gente! Povera lira israeliana e povero dinaro giordano» 50• Per Sa}:lar Khalifah, infine, chi paga il prezzo maggiore è sempre la donna che deve affrontare una serie di problemi nuovi che vanno ad ag­ giungersi a quelli già esistenti, perché il maschio arabo, anche quello progressista, come sottolinea la scrittrice stessa nel descrivere un suo personaggio, predica bene e razzola male: « È proprio come tutti gli in­ tellettuali arabi, contraddittorio e vago. Principi generali per il popolo, ma in privato sono i primi a non seguirli» 5 1• Così si sfoga, infatti, una delle protagoniste di l girasoli, dove donne emancipate rivendicano il diritto di vivere da sole senza essere schiave dell'uomo e della famiglia patriarcale, e criticano quelle donne orientali che «pensano solo a spo­ sarsi>> 5 \ vivendo in totale dipendenza dall'uomo, come afferma un altro personaggio femminile: « È il destino di noi donne [ . . . ] . Se uno muore, noi moriamo con lui, se uno va in prigione, noi andiamo in prigione con lui» 53• La prigione, vera e metaforica, tanto spesso evocata nelle opere di Sa}:lar Khalifah, e di tanti altri scrittori dei Territori Occupati, diventa così parte integrante della vita di tutta una popolazione, costretta dalle circostanze a vivere sotto un continuo coprifuoco che viene inevitabil­ mente ricordato in molte sue opere: «Non uscire di casa. Hanno procla­ mato il coprifuoco e hanno cominciato le perquisizioni. Se uscirai pas­ serai di sicuro la notte in prigione» 54, oppure: «La prigione, sempre la prigione! Se esci per strada ti aspetta la prigione, se te ne stai in casa ti aspetta la prigione» 55. Come lo scrittore della diaspora ci descrive con angoscia gli stati d'animo di chi si sente esule, fuori dalla propria patria, in casa d'altri, così lo scrittore dei Terri tori Occupati avverte la stessa sensazione di estraneità-solitudine-incomprensione, quella ghurbah di chi si considera "straniero " in casa propria come Sha}:ladah, un altro personaggio del ci­ tato romanzo l girasoli, il quale sa di essere "estraneo " ovunque si trovi: Oltre alla radicata sensazione di inferiorità, Sha�adah avvertiva anche un senso di estraneità (ghurbah) sia tra gli arabi, sia tra gli israeliani. A Nablus si sentiva estraneo, malgrado vi abitasse sin dalla nakbah, quando era ancora un bambi­ no. Anche negli anni in cui lavorava nella proprietà della famiglia al-Karmi, anche lì si sentiva diverso. La stessa sensazione quando andava e quando ritor­ nava da quella proprietà. Si sentiva estraneo quando andava a Nablus, e si sen­ tiva estraneo quando ne era lontano. [ . . . ] Quanto al fatto di sentirsi estraneo 113

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

anche in ambito israeliano, era normale, visto che la loro religione non è la no­ stra, le loro abitudini non sono le nostre 56 •

Frustrazione, estraneità e altro rendono le persone anche ciniche, al punto che questo stesso personaggio, per sopravvivere si arrangia come può, trovando in fin dei conti la sua convenienza persino nell'occupa­ zione israeliana, perché grazie a questa l'uomo può avviare una piccola attività commerciale, senza porsi troppi problemi politici e ideologici: Dopo aver abbandonato la proprietà della famiglia al-Karmi, aveva lavorato come muratore e se l'era cavata bene. Aveva fatto l'operaio, e ci era pure riusci­ to; aveva lavorato come autista di un camion che trasportava arance, dal posto dove venivano preparate fino al porto, e anche lì se l'era cavata bene. Poi aveva lavorato come meccanico e come venditore di cianfrusaglie. Aveva fatto , alla luce del sole, un'infinità di altre piccole operazioni anche al di fuori della lega­ lità; lavori che, anche se illegali, erano molto diffusi, grazie a Dio e grazie alle condizioni e al momento particolarmente opportuno del paese. Era così diven­ tato proprietario di una macchina che utilizzava per ogni tipo di trasporto. Aveva preso l'abitudine di trasportare camicie, da e verso una delle tante fab­ briche di Tel Aviv. Prendeva le camicie dalle fabbriche, tagliate, ordinate e ca­ talogate, e poi le riportava alla stessa società, pronte per la vendita, con tanto di etichetta con su seri tto «M ade in I taly» o «Made in v SA» o «Made in J a­ pan» 57.

Un altro scrittore che con le sue opere ha contribuito a far conoscere la vita degli arabi nella Cisgiordania è G amal Bannurah, noto narratore e drammaturgo. Nato nel 1938 a Bayt Sal)ur, professore di scuola e gior­ nalista, più volte incarcerato per attività politica, ha pubblicato diverse raccolte di racconti, in cui sono riprodotte scene di vita quotidiana sotto l'occupazione. In una novella dal titolo Morte di un uomo, lo scrittore fa riferimen­ to a quello stesso sentimento di " estraneità" che una persona senza radi­ ci avverte in maniera drammatica. «Dove andrai ?» «Non so ... Sono una persona senza patria. Non c'è posto per me a questo mondo. Avverto un'estraneità (ghurbah) dovunque mi trovi, non riesco a tro­ vare un posto dove rifugiarmi. » «Ma sei nella tua patria. »

114

5

LA NAKSAH

«È la mia patria . . . senza che sia la mia. Qui non ho diritto alla cittadinanza. Nessuno riconosce i miei diritti .» «Eppure ci sei, malgrado tutto.» «Questo non basta ... dovrò fare il profugo (musharrad) per tutta la vita. . . Non troverò u n posto dove rifugiarmi . . . E l a mia terra, dalla quale sono stato sradicato, chi me la restituirà ?» 58•

Sempre nello stesso racconto, G amal Bannurah riprende il tema delle prigioni, tanto comune in tutta questa produzione letteraria da diventa­ re un triste refrain: «Cos'è successo?» «Hanno preso mio padre.» Lui restò in silenzio come se lo avesse previsto. Lei aggiunse: «Hanno per­ quisito la tua stanza, e hanno chiesto di te. lo ho detto che non sapevo niente». Poi alzò gli occhi piangendo e disse disperata: «Da questo momento non potrai più tornare a casa» 59.

Lo scrittore Akram Haniyyah (1953), invece, a differenza di G amal Bannurah o di Sa.Qar Khalifah, scrive racconti più fantastici e surreali, pur sempre ispirandosi alla realtà socio-politica del paese. Nato a Ramallah, è stato direttore del quotidiano " al-Sha'b " , e ha pubblicato diverse raccolte di racconti 60 che sono state ben accolte dalla critica. Nella novella Quel villaggio, quel mattino, l'autore ci descrive un cimite­ ro in cui i militari israeliani si stanno apprestando a distruggere alcune vecchie tombe, quando da una di essa si risveglia un defunto, disturbato dal rumore delle ruspe. Il protagonista, un vecchio, morto prima del­ l' occupazione del suo paese, si risveglia dopo un sonno di venti anni e si ritrova così proiettato in un'atmosfera surreale, cioè nella Cisgiordania degli anni ottanta: Il primo a vedere il movimento dell'uomo che usciva dalla tomba fu un soldato che si mise a gridare ad alta voce alla vista di un uomo che aveva l'odore dei morti, il colore dei morti, e il sudario dei morti. Il gruppo si rivolse verso l'uo­ mo che avanzava. Per qualche istante regnò lo sbigottimento, poi alcuni si ri­ presero e le guardie di frontiera rivolsero le loro mitragliatrici verso l'uomo, mentre la voce di uno di loro esplose: «Altolà!»

115

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Abii Ma}:lmiid capì che la lingua con la quale gli avevano gridato quell'ordine non era arabo, comunque si fermò. [ . ] «Chi sei ?)) Ma}:lmiid rispose con calma: «E tu chi sei ?)) «Le domande le faccio io, e tu rispondi !)) «Io sono 'Abd Allah Khali1 al-Qasimi )) «Di dove ?)) «Di questo paese!)) «Dov'è la tua carta d'identità ?)) «Carta d'identità ? Quale carta d'identità ?)) «Che fai qui ?)) «Ero morto nella mia tomba e il rumore della ruspa mi ha svegliato . )) [ . . . ] Fissò il volto del conducente della ruspa, e vide una faccia tonda, bian­ ca, con capelli biondi, di un uomo sulla trentina che indossava calzoncini corti e una camicia aperta sul collo. L'uomo continuava, tranquillo, a mano­ vrare la ruspa 6 1 • . .

Il racconto, che ci ricorda per qualche verso la maqiimah di MuQammad al-MuwayliQI 62, oppure la famosa opera teatrale dell'egiziano Tawfiq al-Hakim sulla leggenda dei sette dormienti 63, si conclude con la secon­ da morte del vecchio protagonista che, pur di non essere estradato e condotto in Giordania, così come i militari israeliani hanno intenzione di fare, si suicida lanciandosi nel fiume Giordano. In un altro racconto, Il Congresso delle attiviste del villaggio emette un importante comunicato, Akram Haniyyah ci parla sempre in chiave sur­ reale di un villaggio dove da qualche tempo succede qualcosa di strano. Le due levatrici del paese sono molto preoccupate perché, allo scadere del nono mese, le donne non partoriscono: i neonati si rifiutano di usci­ re dai ventri delle loro madri. Le donne del villaggio, come la terra, sono improvvisamente diventate " sterili" e non possono più partorire. Affin­ ché i bambini ritornino a nascere, è necessario, secondo la morale del racconto, che i padri, costretti all'esilio, ritornino in patria per porre fine all'Occupazione 64. Un altro tema affrontato da molti scrittori della Cisgiordania e di Gaza, e fonte di grande tensione nella regione, è poi quello della disoc­ cupazione. L'operaio palestinese, infatti, per poter lavorare deve accetta­ re il lavoro che gli viene offerto dall'imprenditore israeliano, ma per rag­ giungere il cantiere, deve necessariamente superare ogni giorno nume116

5

LA NAKSAH

rosi posti di blocco. N el racconto Le ore più tetre G amal Bannurah ci parla di un marito che preferisce essere disoccupato piuttosto che anda­ re a lavorare in Israele, attirandosi in questo modo le dure proteste della moglie che non sa, invece, come sfamare la famiglia 6 5 . Il lavoro dei palestinesi in Israele, dove c'è carenza di mano d'opera a buon mercato, ci ricorda quanto scriveva Emil l:fabThi; e cioè che i veri artefici del «miracolo della fioritura nel deserto» , tanto caro alla propa­ ganda sionista, sarebbero stati muratori, operai e contadini arabi 6 6 . Così come gli scrittori della diaspora ci avevano abituato a descrizio­ ni di tende, tendopoli, baracche, che rispecchiano concreti problemi e disagi per migliaia di persone, anche i narratori della Cisgiordania e di Gaza ci parlano di sterminati accampamenti dove «le tende sono disse­ minate al posto di piantagioni di frutta», come ha scritto MuQ.ammad Ayyiib 6 7 (1941 ) . Nato a Giaffa, ha scritto diverse raccolte di racconti. N ella novella dal titolo La tenda 68 l'autore ci presenta il protagonista che, in una interminabile fila, sta aspettando il suo turno per avere una tenda sotto cui riparare la sua famiglia dalle intemperie: Lunga, lunga era la fila della gente che aspettava. Più lunga della "Via Doloro­ sa" sulla quale " Egli " aveva camminato. Gli uomini aspettavano e nei loro oc­ chi si leggeva l'angoscia. La fila non si accorciava mentre il numero delle tende continuava a diminuire. La Via Dolorosa è lunga 69.

Qui Ayyii b evoca espressamente la passione del Cristo lungo la "Via Dolorosa", le cui sofferenze patite su questa terra venti secoli fa vengo­ no paragonate a quelle sopportate oggi dal palestinese sulla stessa terra. N el descriverei questa lunga fila di persone in angosciosa attesa, lo scrit­ tore ci trasmette tutta l'ansia di chi teme, man mano che le tende dimi­ nuiscono, di dover rimanere ancora una notte senza riparo, sotto un cie­ lo visto ormai come una minaccia. Scopriamo quindi che per i profughi di questo racconto le tende non sono tutte uguali, come affermava, in­ vece, la storica protagonista del romanzo di Kanafani, Umm Sa 'd, per la quale «una tenda è uguale all'altra» 70 • Per questo personaggio, infatti, ne esiste tutta una gamma: da quella a forma di paracadute ( barashut) , a quella a forma di capanna (kukh) che: allungata si potrebbe dividere in due con in mezzo una coperta; una delle due parti sarebbe una cucina, dove la moglie preparerebbe i pasti e dove ci si po­ trebbe lavare, mentre i bambini dormirebbero dall'altra parte 71•

117

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

In un lungo monologo lo scrittore sembra rivolgersi a quanti non si ren­ dono conto di cosa voglia dire vivere in una tenda esposta alle intempe­ rie, e la sua preoccupazione va soprattutto ai giovani, nati e cresciuti in condizioni così precarie, perché «cresceranno, ma saranno piante selva­ tiche» 72. Anche Sal).ar Khalifah nei suoi romanzi denuncia il disagio dei bam­ bini palestinesi che non vivono come il resto dei bambini nel mondo, perché perfino nei loro giochi parlano di armi. N el citato romanzo Ter­ ra di fichi d'India, la scrittrice riporta una cantilena infantile, in farcita di simboli nazionalistici: al-Alif: Allah Akbar al-Ba': biib al-&urriyyah al-Gim: al-gabhah al-sha 'biyyah al-Dal: dimuqrii{iyyah al-Shin: shammir dirii 'ak 'Arafat: ramz al-tatf&iyyah wa al-mim: mim al-ma&abbah al-Waw: wa&dah 'arabiyyah 73.

Cantilena che si potrebbe liberamente tradurre com segue: «D: Dio è il più grande l P: Porta della libertà l F: Fronte popolare l D: Democra­ zia l R: Rimboccati le maniche l A: Arafat: simbolo del sacrificio l 1: Innamorata l U : Unità Araba» . Il messaggio che Sa}:lar Khalifah e altri scrittori dei Territori Occu­ pati vogliono trasmettere al lettare è che non si può chiudere un'intera popolazione in campi profughi o in città con il coprifuoco perenne, per­ ché queste frustrazioni possono facilmente condurre a scelte pericolose soprattutto per la generazione più giovane. Per alcuni esuli, poi, le sterminate tendopoli che accolgono decine di migliaia di profughi fi n iscono per ricalcare simbolicamente la patria negata, così come ci racconta il poeta Mul;ammad al-Qays1 74 (19442003) nella sua autobiografia, !/ libro de/figlio: Con l'arrivo dell'estate cambiarono la disposizione degli abitanti all'interno dell'accampamento. Divisero le famiglie per zone, determinate in base ai paesi di provenienza. Così alle famiglie di Bayt Nabalah fu assegnato un quartiere, a quelle di al-'Abasiyah ne fu assegnato un altro, lo stesso si fece per la gente di Lidda. Stavano forse involontariamente disegnando per noi una cartina rim-

118

5

LA NAKSAH

picciolita della Palestina all'interno dell'accampamento ? O chissà, forse la gen­ te aveva portato con sé insieme alle chiavi di casa anche il nome del proprio vil­ laggio, assegnandolo ai vari quartieri, tributo psicologico di una geografia ne­ gata! Così la famiglia di mio zio si trovò ad abitare accanto a noi, e i compaesa­ ni e i vicini di casa di un tempo tornarono ad esserlo anche nell' accampamen­ to. E la vita riprese 75.

I cambiamenti nei villaggi e nelle città dove nuovi insediamenti ebraici si affiancano a vecchi villaggi arabi, o addirittura sorgono sulle loro ma­ cerie, vengono poi fedelmente registrati nelle opere di questi scrittori che diventano attenti testimoni della storia del loro paese. Sono nume­ rosissimi, infatti, i brani letterari sull'argomento, che hanno precisi ri­ scontri nelle cronache dell'epoca. Lo scrittore Akram Shar1m (1942) nel racconto intitolato La terra, narra e denuncia quello che è successo a QalqTiiyyah, nel giugno 1967, quando i militari israeliani per evacuare il paese, fecero uscire con la for­ za la gente dalle proprie abitazioni: «Con modi rozzi, senza spiegazioni . . . , senza dirci dove andavamo . . . )) «Glielo avevate chiesto ?)) «L'avevamo domandato . . . Ormai conoscevamo le loro facce. Da molto tempo le conoscevamo. Domandammo dove ci stavano portando, e loro dava­ no ordini in continuazione . . . Ci risposero sbraitando , spingendo, e ripetendo gli stessi ordini: " Sali ! . . . Non guardare indietro ! . . . Non parlare. . . Sbrigati ! " . Siamo saliti. Salimmo i o , i l piccolo Ma}:lmiid e 'A'ishah su u n camion, e l a ma­ dre invece, con il resto dei bambini e la fam iglia di suo fratello, su un altro. Gli ordini erano chiari, bisognava lasciare tutto sul posto . . . Per terra, perfino le co­ perte, i vestiti dei piccoli, rimasero per terra. Tutto ciò che stava per terra, così dicevano gli ordini, doveva rimanere là, per terra. In alcune case di Qalqi­ liyyah, come sapete, c'erano frigoriferi e lavatrici. Tutto è rimasto là)) 76 •

In un altro brano del medesimo racconto, lo scrittore denuncia poi lo sgomento della popolazione di QalqTiiyyah che, soltanto all'indomani dell'esodo, si rese conto che non tutti i camion erano andati nella stessa direzione e che quindi si stava verificando un'ulteriore dispersione della propria gente. Il mattino dopo, alle prime luci dell'alba, qualcuno di noi cominciò ad alzare la testa guardandosi intorno per vedere chi c'era e cercare di riconoscere il posto.

119

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Quanto al resto degli abitanti di Qalqi1iyyah, non li avevamo sentiti arrivare, così capimmo che i sionisti li avevano portati da qualche altra parte. Che Dio ci protegga dalle ingiustizie [ . . . ] : «Eravamo in piedi, quando ci dissero di anda­ re: " Muovetevi . . . Su! Andatevene dove volete . . . " e ci indicarono la direzione di Amman)) 77.

Mandare i profughi in direzione di Amman è poi un topos che compare spesso negli scritti di questi autori; agli occhi dei palestinesi la capitale giordana rappresentava, all'epoca, il luogo per eccellenza in cui gli israe­ liani si liberavano degli esuli. Ma la maggior parte degli abitanti di Qal­ qTiiyyah descritti in questo racconto di Akram Sharim non raggiunse mai la riva orientale del Giordano e, benché non possedesse più niente, tornò dopo qualche giorno ad accamparsi sulle macerie dove una volta c'erano le loro case. Il racconto termina con il testamento spirituale di un vecchio che in poche parole sintetizza la sua vicenda personale, che poi è anche la storia della Palestina nei venti anni successivi alla procla­ mazione dello Stato di Israele. Ora sono un vecchio che ha visto passare tre generazioni, quante sono quelle dei sionisti, da settant'anni fa ad oggi. Ho visto la rivoluzione del 1936, i com­ battimenti del 1948. Ho vissuto in prima persona la "guerra di giugno ", l'ab­ biamo vissuta con i nervi a pezzi. Sono vent'anni che abbiamo a che fare con i sionisti, li vediamo giorno e notte, sappiamo esattamente quello che vogliono [ . . . ]. G uardate come ci sono rimasti male nel vedere che siamo restati. Non sanno come comportarsi con noi. Noi li vediamo. Si domandano che devono fare di noi. Il loro problema siamo noi 78.

Val e la pena di confrontare il brano citato con la testimonianza raccolta

da Weinstock: «QalqTiiyyah (16. 500 abitanti) . I militari israeliani hanno raso al suolo due terzi della città con carri armati e bulldozers, e hanno minato una parte delle case dopo che, alle 4 del pomeriggio del 7 giu­ gno, avevano cacciato gli abitanti. Un ufficiale precisa con arroganza: " Era QalqTiiyyah, ora è Kfar Saba (località ebraica vicina) ". Una buona parte degli abitanti di QalqTiiyyah erano i profughi del 1948 che l ' u N R ­ WA aveva aiutato nella costruzione delle loro abitazioni» 79 . Un altro tema tra i più ricorrenti della narrativa dei Territori Occu­ pati è quello della nascente resistenza armata, che con il tempo assume dimensioni incontrollabili. Nel racconto Il ritorno, tratto dall'omonima raccolta, G amal Bannurah ci narra la storia di un uomo che dopo essere 120

5

LA NAKSAH

sparito per un certo tempo, torna a casa della moglie vestito dafidii 'i 80• L'epilogo della vicenda avviene nella piazza del paese dove sono convo­ cati gli abitanti per riconoscere il corpo di un combattente, che è natu­ ralmente lo stesso uomo, così drammaticamente riapparso sulla scena 81 • Qui l'autore ci presenta un personaggio che è tormentato da questa sua scelta estrema, tanto che prima di andare incontro alla morte si chiede «Se quello che sta per fare sia giusto o meno» 82• Anche Sal).ar Khalifah nei suoi romanzi ci ha parlato della lotta ar­ mata, di attentati e delle vittime innocenti di entrambi gli schieramenti. In Terra di fichi d1ndia la scrittrice riporta un episodio in cui un giova­ ne fida 'i uccide un ufficiale israeliano che sta al mercato con la moglie e la figlioletta; questa violenza si contrappone al gesto di un altro palesti­ nese che presta soccorso alla bambina e a sua madre, creature innocenti e vittime anch'esse delle terribili circostanze. G amal Bannurah insiste molto sul problema della gioventù e sul conflitto generazionale. I giovani, infatti, cresciuti in smisurate tendo­ poli, nutriti ed educati a spese dell'uNRWA in Cisgiordania e nella Stri­ scia di Gaza, lottano per i diritti negati e organizzano imponenti mani­ festazioni studentesche, preludio del ruolo dei ragazzi e dei ragazzini nelle future varie " intifade" che fecero tante vittime tra la popolazione più giovane. In un racconto del 1976, che s'intitola significativamente Occupazione 83 , sono narrati eventi realmente accaduti qualche anno prima in una scuola di Bayt Sal).ur, in cui gli studenti organizzano uno sciopero culminato con l'occupazione dell'edificio. Qui le rivendicazio­ ni degli studenti sfociano in istanze chiaramente politiche, legate alla vera "occupazione " del paese, che allegoricamente si identifica con l'oc­ cupazione nella scuola. Di noi hanno paura più di ogni altra cosa. . . Vogliono spegnere la fiamma della libertà che è in noi . . . Vogliono asciugare la nostra rabbia con tutti i mezzi; [ . . ] vogliono liberarsi di noi per poter occuparsi d'altro . . . Non vogliono problemi interni . . . per dar l'impressione che il nostro popolo abbia accettato la loro oc­ cupazione 84. .

Nel racconto, come nella realtà, gli studenti daranno il via a una delle manifestazioni più riuscite nella storia dei Territori Occupati, ampia­ mente riportata dalle cronache di quei tempi. In un clima di entusiasmi facili quanto ingenui, in questo stesso rac­ conto di Bannurah, gli studenti in segno di sfida innalzano sull'edificio 1 21

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

della scuola la bandiera palestinese che viene rimossa dalle autorità: «Stanno ammainando la bandiera dal suo posto», dice un giovane, e un altro gli risponde: «E noi la innalzeremo di nuovo» 85. Questa bandiera, simbolo della patria perduta, «che tutti volevano avere l'onore di tocca­ re, prima che sventolasse al vento» 86, sarà naturalmente immortalata in molti altri scritti di autori palestinesi e non solo della Cisgiordania e del­ la Striscia di Gaza. Nei suoi racconti, tuttavia, G amal Bannurah non affronta solo te­ matiche legate alla situazione politica del paese, ma mette a fuoco anche problematiche sociali radicare nella popolazione araba, quali ad esempio il ruolo della donna a cui il padre-padrone addirittura impedisce di stu­ diare, come nel racconto Morte di u n uomo: «Non so cosa fare durante la tua assenza. Non posso fare altro che aspettarti. » «Quando non sai cosa fare, leggi u n libro.» - Così dicendo, l e volle dare un libro. «Cosa dirà mio padre quando mi vedrà con un libro ? Tu non sai cosa è capace di fare, perché loro hanno paura che la mente di una ragazza possa riempirsi di quei pensieri che loro temono» 87.

A questo discorso il giovane obietta che il padre di cui si parla è pur

sempre un uomo che crede nella rivoluzione, ma la ragazza gli ribatte che, per quanto riguarda le donne, suo padre dimentica di essere pro­ gressista. In questo caso il giovanefida 'i recita la parte abbastanza scon­ tata del moderno rivoluzionario-intellettuale al quale spetta il compito di aiutare la giovane donna a riscattarsi e a farle capire che i rapporti tra un uomo e una donna possono essere diversi da quelli concepiti dai suoi genitori che appartengono ad una categoria di persone arretrate e anco­ ra dominate da retrogradi valori tradizionali, anche se si dichiarano pro­ gressiste. In questo stesso racconto, però, viene anche sottolineato come talvolta sia la stessa donna a non volere l'emancipazione e a non conce­ pire la propria vita senza «un uomo che non sia il suo padrone, e che non accampi diritti su di lei» 88• Sul tema del matrimonio combinato dalle famiglie e imposto ai gio­ vani contro la loro volontà, Bannurah si sofferma nel racconto Un 'altra strada, in cui una studentessa, grazie all'aiuto di un giornalista straniero, trova il coraggio di ribellarsi al padre per rompere il fidanzamento con un ricco commerciante arabo, che lei non ama 89 . Qui il ruolo del per­ sonaggio positivo che inculca idee progressiste alla ragazza è impersona­ to da un occidentale, un americano che dispensa buoni consigli a tutti. 1 22

5

LA NAKSAH

Da Gaza, emerge la figura di GharTh al-'Asqalani, considerato una delle personalità di spicco del panorama letterario palestinese 90 • Cre­ sciuto in un campo profughi della Striscia di Gaza, ha studiato in Egit­ to, ma nel 1970 si trova in Giordania dove partecipa ai drammatici eventi noti come Settembre Nero. Nel 1974 fa ritorno a Gaza dove tut­ tora vive. Il suo primo romanzo, Il collare del 1979, traccia un realistico quadro della situazione a Gaza sotto l'occupazione israeliana. Nel rac­ conto L 'uscita dal silenzio 9 1 , l'autore con uno stile scarno e telegrafico ci presenta una metafora della lotta armata in cui le bombe sono "arance" e i fedayyin sono "cavalieri ": Si è sparsa l a notizia che all'improvviso, a una sposa del campo, s i è gonfiato il ventre malgrado il fatto che suo marito fosse lontano. La notizia si è diffusa in tutte le case. La moglie è una bella giovane del campo che è orgogliosa della propria fertilità; il marito non è come il resto degli uomini, così affermano gli abitanti del campo 9 2•

Come nelle favole, l'autore descrive una bella sposa sempre sorridente, Salmà, figlia di uno shaykh taciturno, e un bel marito, alto, imponente, chiamato da tutti con il soprannome «Fiiris)) (" Cavaliere" ) . Ben presto si capisce quale sia la vera attività dell'uomo e perché intorno alla sua persona ci sia, da parte della popolazione, uno strano alone di mistero e nello stesso tempo di rispetto: Si venne a sapere che il " Cavaliere", nelle notti di luna piena, aveva l'abitudine di lanciare arance a gruppi di corvi, e qualcuno testimoniò che perfino la notte delle sue nozze egli fece tardi perché anche quel giorno era stato occupato a lanciare le arance come al solito. Dicono che i corvi l'abbiano riconosciuto e inseguito. Lui si è nascosto e non si è presentato dalla sua sposa all'i nizio della notte; nessuno sa se, alla fine della nottata, lui l'abbia abbracciata oppure no. La cosa sicura è che la giovane sposa non ha perso il sorriso fino ad ora 93 •

Il racconto termina poi con l'immagine di un ragazzino, il figlio del "ca­ valiere " , che anni dopo va dal vecchio shaykh taciturno, suo nonno, lo rimprovera di essere sopravvissuto di elemosina dell' u N RWA, e gli strap­ pa la tessera annonaria. Il vecchio non si rammarica per la mancanza di rispetto del nipote, ma questo gesto lo fa uscire per sempre dal silenzio in cui si era, agli occhi del giovane, vigliaccamente rifugiato. 123

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

In un quadro quanto più completo possibile della società arabo-pale­ stinese nei Territori Occupati non manca il caso di chi, oltre ad accettare passivamente l'occupazione israeliana, si abitua alla presenza dei soldati con la stella di Davide così come le generazioni passate si erano abituate alle precedenti dominazioni straniere. Questa situazione è brillantemente descritta da un altro scrittore, Tawfiq Fayyaçl, in un racconto lungo dal titolo Salim lo scemo. Il protagonista, lo scemo del villaggio, che poi tanto scemo non è, cerca invano di scuotere i compaesani dal torpore e dalla rassegnazione in cui vivono nel campo profughi di Jenin; essi, invece di reagire alla prepotenza della ronda militare, e all'occupazione israeliana in genere, passano intere giornate seduti al caffè, giocando alla tavola reale, ascoltando distrattamente le notizie date dalla radio, e confondendo il nu­ mero delle vittime della repressione con i punti segnati dai dadi: I dadi ricominciano a correre di qua e di là, e si fermano soltanto quando Sa11m " lo scemo ", furente, sputa sulla macchina m ili tare e rovescia una serie di insulti contro i soldati israeliani che si ostinano ad occupare la Palestina e non se ne vogliono andare. Poi si ferma su un lato del vicolo e comincia a far piove­ re sui giocatori di carte e di tric-trac tutto ciò che trova a portata di mano: pie­ tre, scarpe vecchie e rifiuti di ogni genere, perché non lo hanno aiutato ad in­ sultare i soldati occupanti e non sono mai intervenuti per salvarlo dalle botte atroci che si è preso ogni volta che è caduto nelle loro mani, perché non fanno altro che giocare a carte tutto il santo giorno invece di unirsi ai guerriglieri pa­ lestinesi, le cui notizie sono seguite soltanto da vecchie e fanciulli e perché non combattono gli israeliani fino a costringerli a ritirarsi dal campo 94.

Tawfiq Fayyaçl è nato a Haifa nel 19 39, ed è un arabo di Israele. Ha svolto attività di giornalista nelle riviste " al- G adid" e "al-Fagr" ed è sta­ to, come la maggior parte degli intellettuali del suo tempo, più volte ar­ restato per attività politica. In prigione, come egli stesso ha affermato con ironia, «ha imparato ancora meglio il significato della vita, della pa­ tria, della libertà» 95• Rimesso in libertà nel 1974, si è trasferito in Libano dove ha lavorato al Centro di Ricerche dell' OLP e, successivamente, in Tunisia. Fayyaçl è autore di romanzi, raccolte di racconti e opere teatra­ li. Il primo romanzo da lui scritto è Gli sfigurati, del 1964, in cui narra le condizioni di vita frustranti della gioventù palestinese; in un altro ro­ manzo, Amata milizia mia, parla della naksah del 1967 fino agli eventi del settembre del 1970. 1 24

5

LA NAKSAH

In un'analisi della narrativa dei T erri tori Occupati non si può fare a meno di rilevare, infine, l'importanza di talune particolarità lessicali e formali, che acquistano una valenza soprattutto politica. Molti sono i verbi e le parole che compaiono con maggiore frequenza in questa letteratura. Uno dei termini più diffusi deriva dalla radice qm ' e significa repressione. Sarà infatti l a continua repressione/ oppressione che il palestinese avverte in maniera incombente e viscerale a essere denuncia­ ta da tutti gli scrittori che utilizzano questa parola in espressioni fiorite o frasi fatte, insieme ad altre derivate appunto dalla stessa radice. Un esem­ pio ci viene fornito dal breve racconto di Akram Haniyyah, Una certa morte. . . una certa città, in cui la parola repressione compare ripetutamen­ te, «La repressione mi appariva come qualcosa di accertato che si doveva annientare» 96; poco più avanti si parla ancora dei «proiettili della repres­ sione» ( r�� al-qam') o di «fruste della repressione» (siyiit al-qam ') : «non avevamo difficoltà per in contrarci di nuovo, da una parte c'era il richia­ mo della patria, dall'altro le fruste della repressione» 97• Sempre nello stesso racconto lo scrittore allude alla «repressione che calpestava la totali­ tà dei discorsi e dei racconti ... dei pensieri e delle cose belle ... » 98 . N egli scritti di questi autori sono inoltre molto frequenti parole ebraiche o ebraico-arabizzate come assur ("proibito"), adòn (''signore"), 'aravìm (" arabi "), che vengono impiegate per fini p rettamente politici. Nessuno meglio di Sa}:lar Khalifah ha saputo tanto brillantemente "chia­ rire" al lettare il significato di questi termini. Uno dei protagonisti del ro­ manzo Terra difichi d'india, nel parlare con un altro personaggio, appena tornato nel paese dopo una lunga assenza, così spiega: «Domani impare­ rai che le parole adòn, islahli e shalòm, indicano che sei una persona ben educata e di buone maniere. Ma 'aravìm, invece, vuoi dire che sei un la­ dro, un poco di buono, ecc . . . » 99. Compaiono anche parole come adoniit, giftìt, che sono volontarie deformazioni arabe dell'ebraico 100 • Il quotidiano contatto con gli israeliani induce questi scrittori dei Territori Occupati a utilizzare un gergo burocratico comprensibile solo in ambito locale e che è entrato per forza di cose nella vita sociale e poli­ tica degli arabi della regione. Un a delle caratteristiche comuni agli scrittori di tutta l'area è la scrupolosa fedeltà nel voler riportare nei loro scritti la toponomastica araba, stravolta dagli israeliani che hanno sostituito i nomi geografici arabi con quelli biblico-ebraici. A questo proposito Sa}:lar Khalifah nel citato romanzo Ilfico d'india, evidenzia un dialogo " tra sordi ", e cioè tra un palestinese di Nablus, che insiste nel chiamare la sua città con il 125

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

nome arabo, e una guardia di frontiera, che si ostina, invece, a chiamar­ la con quello ebraico di Sehem (Sehim) : «Sono partito cinque anni fa per i paesi del petrolio. [ . . . ] Tre mesi dopo l'occu­ pazione. Abitavamo a Tulkarem. Mio padre è morto e mia madre si è stabilita a Nablus.» «Perché tua madre si è stabilita a Sehem ?» «Nablus le piace.» «Perché Sehem le piace ?» «Nablus le piace perché qui ci sono molti parenti. » «Perché hai lasciato i paesi del petrolio per venire a Sehem ? » «Sono tornato a Nablus perché mio padre è morto . . . » 1 0 1 •

Con una certa vena di umorismo gli scrittori arabi prendono in giro la pronuncia degli israeliani ashkenaziti, provenienti dall'Europa Orienta­ le, quando parlano in arabo, i quali, non riuscendo a pronunciare la " h " aspirata, emettono u n duro suono che corrisponde al raschiamento del­ la gola. A questo proposito Emil tlabibi nel romanzo Peccati dimentica­ ti 102 si burla di un israeliano che, non sapendo aspirare la " h " come fan­ no gli arabi, alle belle ragazze arabe diceva khabibi invece di babibi ("amore mio " ) , così tradendo la sua origine 103 . E in I girasoli S�ar Khalifah fa parlare un soldato israeliano a un posto di controllo, il quale invece di dire iftab ("apri ") dice iftakh: Iftakh [sic] bakiig ('' apri il bagaglio ") [ . . ] Iftakh mutur ('' apri il cofano") [ . . . ] If takh huwiya (''la carta d'identità") [ . . . ] Sakkar bakiig (''chiudi il bagaglio ") [ . . . ] Sakkar mutur ('' chiudi il cofano") [ . . . ] Sakkar tammak ('' chiudi il becco " ) 104• .

Naturalmente il rapporto tra l'israeliano e l'arabo, e i dialoghi che inter­ corrono tra le due parti, così come viene riportato da S�ar Khalifah e da altri scrittori, spesso non è paritario, né pacato, perché di solito ven­ gono citati stralci di interrogatori nei posti di polizia, di dogana, tutte occasioni, queste, in cui prevale l'elemento di forza da una parte e di de­ bolezza dall'altra. Il ricordo del civile scambio di idee tra i due protago­ nisti di Ritorno a Haifa di Kanafani è ormai lontano e sbiadito: la realtà, secondo gli abitanti della Cisgiordania e di Gaza, è ben diversa, e solo una persona che viveva lontano dalla propria terra, come Kanafani, po­ teva immaginare di far dialogare così pacatamente i due personaggi, l'e­ brea polacca e il palestinese Sa'id, cioè il nuovo e il vecchio proprietario di una stessa casa, mai ceduta liberamente. 126

6 P alestinesi-israeliani o arabi di Israele ?

Identità e appartenenza: nuove problematiche Sono molti i letterati arabi di Israele, di cui si è già parlato, che sono sta­ ti inglobati sotto l'unica "etichetta" di scrittori palestinesi. Eppure è vivo il dibattito in Israele tra intellettuali arabi che conti­ nuano a definirsi palestinesi e quanti, invece, si riconoscono come "ara­ bi di Israele" con tutte le implicazioni socio-politiche che tali definizio­ ni comportano. E come dice lo scrittore Riyaçl Baydas: «Ci sono palesti­ nesi che amano essere considerati, e considerare se stessi, degli israeliani, e altri che si sentono palestinesi e per nulla israeliani. Questa questione è molto delicata e noi siamo un poco, o forse, molto schizofrenici per ciò che riguarda l'identità>> 1• Riyaçl Baydas \ nato a in Galilea nel 196o, è autore di diverse raccolte di racconti tra le quali La fame e il monte del 198o e Una voce impercettibi­ le, pubblicata nel 1990. In tutte le sue opere lo scrittore fa emergere il proprio disagio di cittadino arabo in Israele che si sente perennemente "osservato " dai suoi concittadini israeliani. Nel racconto Prima che spunti l'alba 3 del 1990, la trama ruota intorno a una borsa apparentemente ab­ bandonata in un bar dove siede il protagonista che sta tranquillamente scrivendo. Comprensibili momenti di terrore si impossessano degli astanti che temono un attentato terroristico. Analoghe sensazioni di pau­ ra si appropriano anche del protagonista che, oltre a temere di essere egli stesso vittima del medesimo attentato, solo per il fatto di essere un arabo, rischia di essere accusato di una colpa che non ha. Il racconto si conclude con una signora che esce dalla toilette e si riappropria della sua borsa mai abbandonata, ma semplicemente appoggiata lì per caso. In un altro racconto, Il focolare, trapela sempre la percezione dello scrittore di essere un cittadino "diverso" dagli altri: Mi accomodai su uno dei quattro posti a sedere. Non appena l'autobus fu gre­ mito di passeggeri, una donna, che sembrava aver da poco superato la quaran-

1 27

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

tina, si sedette al mio fianco. Nei due posti di fronte si accomodarono due uo­ mini imponenti, che probabilmente l'accompagnavano; una volta occupati i posti vuoti, ripresero una conversazione forse interrotta dall'arrivo dell'auto­ bus. La donna, rivolgendo lo sguardo verso l'uomo che mi stava di fronte, dis­ se: "Qual è la soluzione, quindi ? Le fiamme continueranno a divampare così violente ?" I due uomini mi scrutarono furtivamente. Senza dubbio i miei tratti tipicamente orientali rivelavano la mia identità 4.

Da qui emerge il problema di come viene percepita questa "diversità " , che varia da scrittore a scrittore. M a al di l à delle definizioni, l a Palesti­ na, la patria perduta, che oggi ha un altro volto e un altro nome, rimane sempre presente in tutte le opere di questi scrittori arabi, come ribadisce lo stesso Baydas: La vita quotidiana che conduco in Palestina è sempre presente nei miei scritti anche se scrivo dell'Austria 5• Non posso sfuggire alla mia esperienza! Sono un palestinese nato in Israele, e tutti questi paradossi si riflettono nella mia scrittu­ ra che mi piaccia o meno. La nostra letteratura è la letteratura palestinese. N o i non abbiamo il privilegio di sedere in una torre e dimenticare la nostra vita lì. N o i non siamo svedesi e non viviamo in Svezia. Penso che la parte migliore della letteratura palestinese è quella che parla della vita quotidiana. La vera vita quotidiana 6 .

Tra gli arabi di Israele più famosi della generazione precedente a quella di Riyaçl Baydas spiccano i nomi di Emil I:IabThi, SamiQ al-Qasim, Tawfiq Zayyad, Salman Na!lir e tanti altri, mentre MaQ.mud Darw!sh, nato in Galilea, lascia definitivamente il paese nel 1971, entrando a far parte della diaspora palestinese. È interessante evidenziare, tuttavia, che molti di questi autori sono bilingue e sono portavoce di due culture: quella araba e quella ebraica, da loro appresa nelle scuole e nelle univer­ sità israeliane dove si sono formati culturalmente. Intellettuali come Emil l:fabThi o SamiQ al-Qasim partecipano al dibattito culturale in Israele, scrivendo in ebraico per giornali israeliani di Gerusalemme o di Haifa, rilasciando interviste alla radio e alla televisione israeliana, ma continuano a mantenere i legami con la cultura e la lingua madre, scri­ vendo in arabo per alcuni giornali israeliani, ma anche per la stampa edita in Cisgiordania o a Gaza. Quello che caratterizza questi scrittori, è il loro desiderio di tessere contatti con gli intellettuali di Damasco, di Beirut o del Cairo dove, dopo un periodo di totale isolamento, i loro 128

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

nomi cominciano a circolare, soprattutto a partire dal 1967. Sono sem­ pre più numerose, infatti, le antologie di poeti e narratori della Palesti­ na, pubblicate nel mondo arabo e tradotte anche all'estero, che mettono insieme le tre anime della cultura palestinese: quella degli arabi di Israe­ le, quella dei Territori Occupati e quella della diaspora. Ma un altro elemento, prima del 1967, sembra complicare ulterior­ mente la galassia culturale israeliana: gli intellettuali arabi di religione ebraica, principalmente quelli provenienti dall'Iraq, trovano sicuramen­ te più affinità linguistica e culturale con i letterati palestinesi che non con quelli israeliani di origine europea. Un esempio per tutti è Sasso n Somekh (1933) che, come molti altri israeliani di origine irachena, non ha mai veramente reciso, dal punto di vista culturale, il legame con la madrepatria. In un suo recente libro di memorie scritto in ebraico, e tradotto in inglese con il titolo di Baghdad Yesterday, lo studioso, che ha dedicato la propria vita all'insegnamento della letteratura araba nelle università israeliane, rievoca la sua giovinezza in una mitica Baghdad, mai dimenticata, da lui lasciata a diciassette anni per emigrare con la fa­ miglia in Israele. Il caso dell'emigrazione degli iracheni di religione ebraica è sicura­ mente emblematico. Nel 1948, inizialmente, furono solo quindici i cit­ tadini iracheni a decidere di trasferirsi in Israele, mentre appena un anno dopo il loro numero superò i trentamila e nel 1 9 51 arrivarono a no­ vantamila all'incirca. Dal 1 948 al 19 53 complessivamente lasciarono per sempre l'Iraq circa 125. 000 cittadini di religione ebraica 7 che andarono a raggiungere la folta comunità di ebrei provenienti dagli altri paesi ara­ bi, attraverso operazioni di tipo militare come quella soprannominata "Tappeto Magico " che si occupò del trasferimento dall'antica Babilonia di migliaia di iracheni privati della loro nazionalità 8• Per questi nuovi cittadini di Israele si pone in maniera ancora più problematico il fattore identitaria e linguistico, e molti intellettuali ebrei-iracheni continueran­ no ad esprimersi e a comporre le loro opere in lingua araba, mentre altri si adatteranno con il tempo ad usare la lingua della nuova patria. Ma è evidente che scrivere in arabo in ambiente ebraico significa inevitabil­ mente rimanere ai margini della cultura israeliana così come è successo allo scrittore Sam1r Naqqash (1938-2004) che, forse, è più conosciuto e stimato nel mondo arabo che nel suo paese. N e i suoi scritti egli esprime tutto il disagio di chi come lui avverte di essere stato strappato alle sue radici e alla sua cultura, non riuscendo mai a integrarsi e a sentire Israele come il proprio paese. «Io risiedo qui ma non sento nel mio animo di 129

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

vivere qui» 9 . Dalla sua prima raccolta di racconti L 'errore del 1 971 , al­ l'ultima del 1995, Profezie di un pazzo in una città maledetta, l'autore ri­ vive nostalgicamente la vita della comunità ebraica in un Iraq che rap­ presenta per lui la patria perduta. Un altro scrittore che, come Naqqash, nelle sue opere è legato al mi­ tico passato in Iraq è ls}:laq Bar Moshe (1927-2003) , autore dell'autobio­ grafia, sempre scritta in arabo, L 'uscita dall'iraq - memorie 1945-1950, e pubblicata nel 1975. La nostalgia e le sofferenze di questi autori per la perdita della patria irachena è paragonabile a quella degli arabi di Israele, anch'essi privati della loro amata Palestina.

Emil l:fahibi tra pessimismo e ottimismo Tra gli intellettuali palestinesi rimasti in patria, e divenuti cittadini di Israele, spicca il nome di Emil l:fabThi, uno dei più grandi scrittori del Novecento, autore di alcune opere tra le più significative della letteratu­ ra araba. Nato a Haifa nel 1922 da una famiglia cristiana, aderisce al Partito comunista all'inizio degli anni quaranta. Nel 1947 si schiera con la mi­ noranza del Comitato centrale, appoggiando la tesi sovietica della spar­ tizione della Palestina. N el 1948 si batte per la riunificazione del Partito comunista israeliano Maqi ed entra a far parte dell'Ufficio politico. In seguito, quando il Maqi diventerà un partito sempre più marcatamente ebraico, collabora alla fondazione del Riiqiib o N uova lista comunista, la cui maggioranza è composta da arabi 10• Deputato dal 19 52 al 1972 al Parlamento israeliano, la Knesset, continua la sua professione di giorna­ lista. Negli ultimi anni di vita l:fabThi abbandona il Partito comunista e il giornale "al-Itti}:lad" da lui diretto a lungo, ma non l' impegno politico e culturale, dedicandosi alla sua casa editrice Arabesque, e a una nuova rivista, "Masharif' , fondata nel 199 5 per valorizzare il patrimonio cultu­ rale palestinese. Nel 1989 riceve da Yasser 'Arafat la medaglia " al-Quds " (Gerusa­ lemme) , sommo riconoscimento palestinese per la Cultura e le Arti, e nel 1992 lo Stato d'Israele gli attribuisce un prestigioso premio letterario per i suoi romanzi, tradotti anche in ebraico. Autore di diverse opere narrative e teatrali, ha iniziato a far parlare di sé con una particolare raccolta di racconti, la Sestina dei sei giorni 11 , 130

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

pubblicata nel 1969. Articolati in sei episodi dal contenuto simbolico ed emblematico, i racconti affrontano con tono pungente e provocatorio il tema dello "svuotamento " della Palestina dai suoi abitanti e del sospira­ to ritorno in patria degli esuli. Le domande che scaturiscono dai suoi scritti sono in sostanza due: se i palestinesi non fossero emigrati in gran numero, ma fossero rimasti tutti in patria, anche a costo di grandi sacrifici, la situazione sarebbe pre­ cipitata così tragicamente ? E poi, se in seguito alla guerra del 1967 gli israeliani non avessero preso Gaza, il Golan e la Cisgiordania, come avrebbero potuto gli arabi rimasti in Israele incontrare i loro parenti di quei Territori Occupati, che non avevano più visto dal 1948 ? Domande, queste, che dal punto di vista politico potrebbero risultare provocatorie e poco adatte a suscitare grandi entusiasmi, ma che sono, invece, il ri­ flesso fedele di una difficile e contraddittoria situazione politica e socia­ le, qual è quella del cittadino arabo d'Israele. Può sembrare, infatti, paradossale per un palestinese che la naksah, la nuova " catastrofe" del 1967, abbia un lato anche " positivo ", eppure è proprio questo aspetto ad essere messo in risalto da l:fabThi. È la sconfi t ­ ta araba del 1967 a consentire, ad esempio, al protagonista di uno dei suoi racconti, un ragazzino deriso dai coetanei perché «senza origini», di scoprire che «anche lui aveva zii e cugini», cioè i parenti che arrivano dalla Cisgiordania per visitare il resto della famiglia rimasta in Israele, dopo vent'anni di separazione. La consapevolezza e la soddisfazione di avere anch'egli familiari lontani, come gli altri bambini del quartiere, non salva il piccolo protagonista dalla paura di perdere tutto ciò che proprio "grazie" alla naksah aveva scoperto di possedere. Rimane così senza risposta la domanda che egli non osa fare alla sorella, soprannomi­ nata " la filosofa": Come il resto dei ragazzi del quartiere, era sicuro che gli israeliani si sarebbero ritirati, e con il sorgere di ogni alba credeva che il ritiro si sarebbe avvicinato di un giorno. Restava a bocca aperta quando ascoltava con la massima attenzione sua sorella, " la filosofa", che parlava con sicurezza del ritiro. Cominciò ad ama­ re suo cugino Sami� di un amore sviscerato; lo ascoltava con meraviglia quan­ do gli parlava di suo fratello che faceva il farmacista in Kuwait, il quale aveva visitato il Cairo e aveva sentito cantare il cantante egiziano 'Abd al-J::I alim J::I a­ fi� in persona. La sorella, " la filosofa", sperimentava su di lui tutti i suoi con­ cetti politici quando lo aiutava a fare i compiti di scuola, o quando lo metteva a letto a dormire. Lui le domandava qualunque cosa gli venisse in mente, e lei gli

131

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

rispondeva. Lui era come lei, entusiasta del ritiro e convinto che si sarebbe si­ curamente verificato. Una sola domanda non ebbe il coraggio di farle, per pau­ ra di prendersi uno schiaffo, oppure per paura di qualcosa d'altro: «Se si ritira­ no, io tornerò ad essere come ero , senza cugini ?» 12 •

Il tema dell'incontro di parenti separati dal 1948, riuniti dopo la guerra del 1967, si ritrova in un altro racconto della Sestina, in cui una donna torna al suo villaggio dopo ven t'anni e può finalmente riabbracciare la vecchia madre paralitica. La sua storia viene così paragonata alla leggen­ da di G ubaynah, sottratta alla sua famiglia e alla sua terra: Eccola che ritorna dopo venti anni, per la strada del ponte, sopra il fiume san­ to, con un permesso di due settimane per visitare sua madre. [ . . . ] Entrammo nei vicoli del villaggio ed io le chiesi di guidarmi verso la casa di sua madre, se ancora la ricordava. Lei lo fece. lo mi addentravo con la macchina in una stra­ dina stretta, mentre lei mi guidava, poi mi sentii gelare, quando all'improvviso gridò: «Attento al fosso alla tua sinistra nel prossimo vicolo». E il fosso c'era an­ cora, proprio nel posto in cui Gubaynah pensava che fosse 1 3 •

Il ritorno dei parenti lontani che arrivano dopo il 1967 non è però sem­ pre ricompensato dal felice incontro e dal ritrovamento di persone o cose care, perché non tutti hanno lo stato d'animo di affrontare la nuo­ va situazione, e non tutti trovano un'accoglienza come quella raccontata con tanta emotività da Kanafani in Ritorno a Haifa 1 4• In un altro rac­ conto della Sestina dei sei giorni, così l:fabThi ci parla dell'incontro nel 1 9 67 tra palestinesi separati dal 1948: «Tu non incontri fantasmi vaganti ?» «Fantasmi vaganti ?» «Uomini e donne, provenienti da Gaza, dalla Cisgiordania e da Amman, e addirittura dal Kuwait che sono venuti attraverso il ponte, e percorrono i no­ stri vicoli in silenzio. In silenzio si dirigono verso i balconi e le finestre. Alcuni di loro bussano alle porte e chiedono educatamente di entrare per gettare uno sguardo e bere un sorso d'acqua. Poi vanno via in silenzio. Questa era la loro casa. Alcuni li ricevono con un sorriso di compassione, altri abitanti con un sorriso di pena. Alcuni li fanno entrare in casa e altri non gli aprono nemmeno la porta. Altri ancora non bussano neanche alla porta, e volgono lo sguardo in cerca di un passante dalla carnagione olivastra, al quale chiedere se ricorda che

132

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

qua c'era una casa di pietre scure ? Il passante a volte si ferma e ricorda, oppure gli dice: " Zio, io sono nato dopo ! " 1 5.

Questo è il racconto di una vecchia venditrice di cianfrusaglie, U mm al­ Rubabika (La robivecchi) , protagonista della novella omonima sempre tratta dalla Sestina di l:fabThi, che viene criticata dai suoi compaesani, perché nel 1948 non è espatriata, e ha avuto addirittura il coraggio di ab­ bandonare la propria famiglia, pur di non lasciare il paese: Lei si è ostinata a rimanere con la madre paralitica quando il marito se n'è an­ dato, portando con sé i figli nel primo esodo [ . . . ]. Voi non le avete creduto, quando diceva che anche lei non voleva lasciare la sua casa. Vi siete scambiati delle occhiate e avete mormorato che in questa faccenda ci doveva essere una storia d'amore, perché era insensato che lei volesse rimanere nella vallata per un altro motivo. Allora, potete rispondere ? Perché era ragionevole solo per voi rimanere qua ? 16

La naksah del 1967 non è quindi soltanto occasione per l'incontro di pa­ renti separati, ma funge anche da stimolo per una presa di coscienza da parte di chi ha fatto, invece, scelte ambigue e contraddittorie. È il caso di un professore di scuola, protagonista del quarto racconto della Sesti­ na, che per quasi ven t'anni ha rimosso il problema della Palestina, evi­ tando di incontrare un suo ex amico che rappresenta il suo passato e la sua coscienza. Questo personaggio, un arabo ben " integrato " in Israele, viene infatti turbato da un viaggio in Cisgiordania, sempre reso possibi­ le dalla guerra del 1967. Egli, rivedendo luoghi una volta familiari, si sente spinto a riannodare, seppure in maniera vaga e contorta, un'ami­ cizia interrotta, nella speranza di ristabilire i legami con il passato e di li­ berarsi del presente. Non lo so, ma qualcosa mi spinge ad aprire queste pagine delle mie vecchie amicizie [ . . . ] . È dalla guerra di giugno che me ne vado in giro con una grande ansia, cercando i vecchi amici [ . . . ] . Ma che cos'è questo passato ? Il passato non è il tempo. Il passato sei tu, quel tale e quell'altro . . . e tutti gli amici. Il quadro di questo passato lo abbiamo dipinto insieme. Ognuno di noi ci ha messo un colore suo, soltanto suo, finché non è comparsa l'immagine giovanile, splen­ dente, che abbraccia il mondo. Non riuscirò a ristabilire i legame con questo passato se non vedrò il quadro completo di tutti i suoi pezzi 17•

133

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

In un altro racconto della Sestina, dal simbolico titolo Il ritorno, l'incon­ tro tra due giovani sfocia, invece, in una specie di gara "politica" per di­ mostrare chi dei due ha preso parte a più manifestazioni contro l' occu­ pazione israeliana del 1967: Lei era venuta in visita con sua madre, mentre voi facevate una manifestazione, il primo maggio, e gridavate slogan per chiedere il ritiro. Si entusiasmarono tutte e due. Lei prese parte con sua madre al corteo delle donne e gridava con loro. La madre del ragazzo era nel corteo , e fu così che le invitò a casa sua a mangiare, e il figlio la incontrò. Lui la incantò con il racconto di una manife­ stazione nel 1958, e disse che la polizia l'aveva ostacolata. Le raccontò dei sassi che avevano gettato, degli arresti, dei deportati e dei canti popolari. Lei lo invi­ tò il cinque giugno, e gli dimostrò che anche lei sapeva tirare le pietre, e così l'hanno mandata via. Lui le dimostrò che i suoi racconti del 1958 erano sinceri, così lo hanno arrestato 1 8 •

Il carcere, tanto presente nella narrativa palestinese, per tlahibi può me­ taforicamente rappresentare anche un luogo eccelso, un surrogato di pa­ tria, in cui si incontrano e si riuniscono le due anime dei palestinesi: quelli di Israele e quelli dei Territori Occupati. In un altro racconto del­ la Sestina, L 'amore nel mio cuore, alcune ragazze della Cisgiordania, arre­ state per attività anti-israeliana, incontrano in carcere una coetanea di Haifa, nata e cresciuta in Israele: Voglio raccontarti di lei, mamma. No n è una delle nostre parti, cioè è un'araba di Israele. È detenuta dalla guerra di giugno, anche lei senza processo, con l' ac­ cusa di aver complottato con i nemici. In questa settimana l'hanno trasferita nella nostra cella [ . . . ] . Le abbiamo dato il benvenuto, e lei è diventata una di noi, come se ci conoscessimo da piccole. È della famiglia di al-Sar1, di Haifa. Abitavano nella Vallata della Croce, dove abitava la tua famiglia, mamma. Lei dice che sua madre senza dubbio si ricorderà di voi [ . . . ] . Lei canta insieme a noi. Ma mentre a me piace il cantante 'Abd al-Wahhab, lei preferisce Fayriiz, e in particolare la canzone Ritorneremo, ritorneremo. Ci sediamo intorno a lei e ci meravigliamo dei suoi pensieri. Quando le ho chiesto: «Che cosa ti emoziona nella canzone Ritorneremo, ritorneremo ? Tu non sei emigrata e non sei ritorna­ ta, ma sei rimasta nella tua patria», ma lei ci ha risposto: «La mia patria? lo mi sento come un profugo in un paese straniero. Voi sognate il ritorno e vivete questo sogno, ma io, dove ritorno ?» 19.

134

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

E con quest'ultima frase l:fabThi esprime tutta l'amarezza degli arabi di Israele, a cui è stato tolto anche il sogno del ritorno, tipico dei palestine­ si della diaspora. In questo stesso racconto lo scrittore ci presenta la fi­ gura di una secondina israeliana che cerca di aiutare le giovani detenute, portando fuori dal carcere le lettere che le ragazze scrivono ai loro fami­ liari. E questo incontro con "l'altro " , in questo caso la secondina israe­ liana, che qui svolge un ruolo positivo, fa sì che la protagonista possa dire che " anche all'inferno esistono gli angeli" 20 • Si apprenderà, poi, nel racconto, che l'israeliana sarà scoperta, processata e condannata per aver aiutato le ragazze arabe. I temi che l:fabThi tocca nella sua Sestina sono davvero tanti e tutti suscettibili anche di critiche da parte dei palestinesi della diaspora, e da­ gli arabi in genere, che non hanno però potuto fare a meno di tributar­ gli onori quando ha pubblicato nel 1974 quella che sarà considerata una delle opere principali della letteratura araba contemporanea, e cioè «il primo vero capolavoro arabo sulla tragedia del popolo palestinese» 21: Le straordinarie avventure nella scomparsa di Felice Sventura il Pessottimista, o, più semplicemente, Il Pessottimista. Paragonato ai grandi classici del patrimonio arabo 22 o ai capolavori della letteratura mondiale come Pantagruel di Rabelais, Gulliver di Swift, Il buon soldato Svejk di Hasek 23 e, soprattutto, il Candide di Voltaire, questo romanzo è stato tradotto in molte lingue, tra cui l'ebraico, e ha riscosso ovunque notevo­ le successo. In Israele l'opera è stata anche messa in scena ed interpretata dal noto attore Mulfammad Bakr1, grande amico di l:fabThi e come lui arabo-israeliano. In un articolo del "The Jerusalem Post" è stato scritto che conoscere le opere di Emil l:fabThi e andare a vedere la versione tea­ trale del romanzo Il Pessottimista, tradotto in ebraico con Ha 'op-Simist, «è un dovere civico, com'è stato andare a vedere i film sulla Shoah, l'O­ locausto, perché è ora che ogni cittadino di questo Stato sappia cosa vuoi dire essere arabo in mezzo a noi» 24• Il famoso e stravagante Pessottimista è dunque un arabo d'Israele, il cui stato d'animo oscilla in continuazione tra disperazione ed euforia. Si chiama Sa'Id, che in arabo significa " Felice" , e di cognome Abu Nalflfas, cioè "padre della sventura" , ed ecco come si presenta il prota­ gonista stesso a quanti vogliono capire l'origine del suo nome e sopran­ nome: Il mio nome, Felice Sventura, il Pessottimista, combacia alla perfezione con il mio aspetto e il mio carattere. Quella dei Pessottimisti è una famiglia illustre e

135

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

rispettata del nostro paese. [ ... ] Dopo la prima sciagura del 1948, i figli randagi della nostra famiglia si sono sparpagliati e si sono stabiliti in tutti gli angoli non ancora occupati del mondo arabo. [ . . . ] Prendete me, per esempio, io non fac­ cio distinzione tra pessimismo e ottimismo, allora mi chiedo, che cosa sono ? Sono pessimista o ottimista? Il mattino mi sveglio ringraziando Iddio che non mi ha portato via l'anima nel sonno. Se durante il giorno mi capita qualcosa di spiacevole, ringrazio sempre Iddio di avermi risparmiato il peggio, allora io chi sono un pessimista o un ottimista? 2 5

Già dal titolo si ha un'idea degli orpelli linguistici dello scrittore, il quale mette a volte a dura prova l'attenzione del lettore che spesso non riesce a cogliere immediatamente il sarcasmo e l'ironia di alcuni giochi linguisti­ ci. Il soprannome del protagonista, il Pessottimista (al-Mutashii 'il), è una parola inventata, frutto della fusione di due termini arabi realmente esi­ stenti: mutasha 'im (" pessimista") e mutafo 'il ("ottimista"), e in un capi­ tolo intitolato Ricerche sull'o rigine del "Pessottimista , l'autore illustra la sua teoria su questa «nuova razza umana», di cui il protagonista fa parte per discendenza, e ripetutamente si domanda, in maniera implicita o esplicita: «noialtri, siamo ottimisti o pessimisti ?» 2 6 • Il lavoro, che ci presenta situazioni paradossali, come l'intervento di un amico extraterrestre venuto in soccorso del protagonista nei momen­ ti peggiori, non ha una trama apparentemente articolata, ma si compo­ ne di un insieme di episodi disposti in capitoli e raggruppati in tre parti, a prima vista indipendenti, scritti tra il 1 9 7 2 e il 1 9 74. Ogni parte è preannunciata dalle poesie di tre autori palestinesi particolarmente cari a tlabibi: la prima da una poesia di Sami"Q al-Qasim, Tocco finale, rivol­ ta a «uomini e donne, vecchi, rabbini e cardinali, infermiere», tutta gen­ te che da tempo aspetta invano l'arrivo di lettere, mentre il poeta li esor­ ta a rimboccarsi le maniche: "

Dico a voi uomini ! A voi donne! A voi sceicchi, rabbini e cardinali ! A voi infermiere e tessitrici ! È già tanto che aspettate. Nessun postino bussa alla porta Per portarvi da oltre lo steccato Le lettere che aspettate. Dico a voi uomini !

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

A voi donne! Non aspettate più, non aspettate ! Scrollatevi di dosso il sonno E scrivetele voi Le lettere che aspettate 2 7.

La seconda parte è preceduta da quattro versi di Salim G ubran 28 che paragona il proprio amore per la patria a quello di una madre per il fi­ glio storpio, «Come la madre ama il proprio figlio storpio, così io lo amo, il paese mio, adorato)) 29 • La terza, infine, ha per prologo due versi di Sam!Q Sabbagh 3 0 da cui emerge la speranza in un futuro migliore. Oh! Quanto vorrei sentire I trilli di festa delle donne Con la loro millenaria nostalgia Di canti e di gioia 31•

Le tre parti sono poi contraddistinte dai nomi di strani personaggi fem­ minili che simboleggiano il ritorno, Yu'ad 3\ il rimanere, Baqiya 33, e infine il terzo personaggio che si chiama anch'essa Yu'ad, come il pri­ mo. Quest'ultima impersona una ragazza incontrata dal protagonista vent'anni prima, e da lui confusa con l'altra. Già da questa sintetica descrizione del romanzo si può avere un'idea della complessità dei salti cronologici e dell'intrecciarsi delle vicende che hanno suggerito paragoni con il Candide soprattutto nella formula­ zione dei vari capitoli: Come Felice partecipa per la prima volta alla guer­ ra d'indipendenza, Come Felice non morì da martire sulla frontiera libane­ se, titoli che ricordano i vari Come Candido incontrò l'antico maestro di filosofia, dottor Pangloss, e quel che ne seguì, e così via. Conscio degli spontanei paragoni che emergono tra le due opere, lo scrittore stesso dedica alla questione un intero capitolo, intitolandolo Della singolare affinità che c'è tra Candide e Felice, in cui alterna le fasi storiche dell'epoca in cui è ambientato il Candide con l'attualità palesti­ nese, dalla nakbah alla strage di Monaco: Nel settembre 1 9 7 2 , il giorno in cui i nostri sportivi furono uccisi a Monaco, la nostra aviazione militare non ci ha vendicati, ammazzando nei campi profughi in Siria, in Libano, donne e bambini appena iscritti allo sport della vita ? E la cosa non ci ha forse consolato ? 34

137

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Da sottolineare, in questo passaggio, come lo scrittore parli del tragico episodio evidenziando le due anime dell'arabo di Israele, che si sente arabo, ma sa di essere israeliano. L'autore, infatti, definisce " nostre " le vittime arabe dei campi profughi uccise dalla " nostra" aviazione israelia­ na, come anche " nostri " sono gli sportivi israeliani caduti a Monaco. E, ritornando al Candide, così l:fabThi spiega le differenze tra la storia del Pessottimista e quella del protagonista di Voltaire: «La questione è ben diversa, signor mio - risposi - Pangloss consolava le donne sventrate del suo popolo dicendo che i suoi soldati avevano fatto la stessa cosa anche alle donne dei nemici. Gli arabi d'Israele, invece, sono vittime di tutt'e due gli eserciti, quello degli avari e quello dei bulgari [ . . . ] . Prendi il villaggio di Barça'ah, che si trova nella zona del Triangolo tagliato in due - proprio come quel bambino del giudizio del re Salomone, la pace sia su di lui - metà giorda­ no e metà israeliano. » « M a il bambino del giudizio del r e Salomone, la pace s i a su d i lui, è rima­ sto intero, perché la vera madre si rifiutò di farlo tagliare in due. » «Eh, già! Barça'ah, invece, l'hanno divisa, e ciononostante è rimasta intera, e quando alcuni ladri rubarono una mandria giordana di una decina di capi, lasciando tracce nel villaggio di Barça'ah, il governo giordano lanciò contro il villaggio una spedizione punitiva di cavalleria. Era il 21 novembre 1 9 5 0 . Radu­ narono la gente, la buttarono per terra, la riempirono di botte e la saziarono di calci. Poi la gente di Barça'ah si dovette alzare per sfamare cavalli e cavalieri [ . . . ]. Quando questi cavalieri se ne furono andati, arrivarono i soldati di Pan­ gloss che se la presero con la gente del villaggio, e si sparpagliarono alla ricerca dei collaboratori degli invasori giordani.» [ . . . ] Per finire questo incredibile paragone tra noi e Candide, aggiungo ancora una cosa: «Candide, signor mio, diceva "Tutto, senza dubbio, va per il me­ glio". Bisogna riconoscere, tuttavia, che nel nostro mondo ci si può anche la­ mentare un po' per i danni materiali e morali. Quanto a me, neanche il lamen­ to mi è stato permesso» 35.

La storia del Pessottimista prende inizio quando il padre del protagoni­ sta, che è un informatore e collaboratore dei sionisti nella Palestina mandataria, durante i combattimenti del 1948 viene ucciso per ironia della sorte da una pallottola vagante. Felice, che in quel momento era con il padre, riesce a salvarsi riparandosi dietro un asino, per cui la sua vita in Israele è dunque dono della generosità di quell'animale, che mo-

6

PALES TIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RA E L E ?

rirà al posto suo. Felice scappa poi in Libano per mettersi in salvo, ma, ben presto pentito di questa sciagurata scelta, torna in patria. Qui chie­ de aiuto al poliziotto israeliano che manteneva i contatti con suo padre e che lo farà infi l trare come informatore all'interno della comunità ara­ ba, promettendogli in cambio di far tornare dall'esilio la ragazza da lui amata in gioventù. Questi due innamorati, proprio come Candido e Cunegonda, si lasciano e si ritrovano infi n ite volte, ma in un tempo e in uno spazio astratto. Una curiosa struttura narrativa, come si vede, di cui l:fabThl si serve per formulare numerose riflessioni di carattere politico e sociale. Scon­ tata è naturalmente tutta una serie di critiche rivolte allo Stato ebraico per gli atteggiamenti discriminatori nei confronti dei cittadini israeliani di origine araba. N o n sfuggono alla sua cruda sferzata gli inglesi, gli uni­ ci «ad avere il diritto di vantarsi della loro storia. E la storia non sembra mai giusta all'occhio dell'invasore, se prima non è stata falsificata)) 36. Ma l:fabThl non risparmia critiche neanche ai regimi arabi che si sono accontentati di velleitarie rivendicazioni nazionalistiche, senza far nulla di concreto per la causa palestinese e, in particolare, condanna la scarsa solidarietà del mondo arabo nei confronti di quegli arabi che sono rima­ sti in Israele, facendo dire al suo protagonista: «N o n ti aspettare che chi passa tutta la vita in mezzo ai posti di blocco, sotto una sorveglianza continua, senza nemmeno più radici, possa provare troppa solidarietà per la vostra causa, ora che è diventata l'esperienza di vita di un'intera nazione, dal Golfo all'Oceano)) 37• E per rendere ancora più sferzanti queste sue affermazioni, fa poi dichiarare al suo protagonista: «Gli arabi quando usavano il cervello, prima agivano e poi sognavano, non come fanno ora, che prima sognano e poi continuano a sognare)) 38• Già con questi brevi esempi si può capire perché l:fabThl sia stato un personaggio scomodo sia per gli intellettuali arabi che avevano preso le distanze da lui, dopo che nel 1992 aveva accettato un prestigioso premio letterario israeliano, sia per gli stessi israeliani, che pure gli avevano tri­ butato importanti riconoscimenti ufficiali. Egli, infatti, si sentiva emar­ ginato dagli arabi che non capivano le ragioni di chi, come lui, era rima­ sto straniero in patria, diventando cittadino arabo d'Israele e, a sua vol­ ta, criticava i palestinesi della diaspora che si crogiolavano sterilmente nella nostalgia della patria perduta. Per l:fabThl primo dovere di un palestinese sarebbe stato quello di ri­ manere a qualunque costo nel proprio paese, anche se questo non esiste139

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

va più: «Sono andati via i turchi e sono venuti gli inglesi [ ... ]. Allora come posso spostarmi io ? Io che sono giovane, con tutta la vita ancora davanti, dopo che gli inglesi sono andati via e che è venuto Israele?» 39• Egli, infatti, la sua terra non la lascerà mai perché «ogni posto del nostro paese è stato santificato con il sangue dei trucidati, e sarà sempre santo [ . ] . Sulla terra non c'è cosa più sacra del sangue umano ed è per questo che la nostra terra si chiama "Terra Santa"» 40• Parlando della sua terra, IjabThi rievoca poi in un minuzioso elenco i nomi e l' ubica­ zione dei villaggi arabi che non esistono più perché ricoperti da altret­ tanti insediamenti di coloni ebrei, e descrive la nuova toponomastica che ha imposto nomi ebraici a strade e città; tutto è cambiato, o piutto­ sto tutto ritorna all'antico tempo biblico mitizzato dagli israeliani i qua­ li, secondo il Pessottimista, hanno una memoria veramente lunga per­ ché «è gente che torna alla propria patria dopo un'assenza di duemila anni» 4 1• Il perenne dilemma tra il rimanere o il partire tormenta, infine, qua­ si tutti i personaggi delle opere di IjabThi, i quali si sentono "colpevoli " agli occhi dei palestinesi della diaspora per essersi integrati troppo in fretta nello Stato di Israele, dimenticando la vera condizione di chi è sta­ to costretto ad andar via, e preferendo una vita comoda, seppure di cit­ tadini di seconda classe, a una di stenti nei campi profughi. La rimozio­ ne dalla memoria degli eventi inerenti la nakbah viene così ripresa dallo scrittore che in molte sue opere fa allusione alla sindrome dell'oblio col­ lettivo, o del «misericordioso oblio», che avrebbe colto la popolazione araba di Israele in seguito della «sincope>> che ha colpito la Palestina nel 1 948. Un esempio di questo oblio si può ben cogliere nel romanzo Akhtayyah (Peccatuccio) , reso in italiano con Peccati dimenticati, del . .

1986: Mi sono trovato di fronte a un fenomeno di «misericordioso oblio». E ho tro­ vato che assomiglia al «misericordioso suicidio». L'uomo vi ricorre quando vie­ ne travolto da una notizia dolorosa; per esempio la presa di coscienza improv­ visa della morte. Ma è possibile che il «misericordioso oblio» colpisca in un solo istante tutta la gente ? 42

E così Emil IjabThi non andrà mai via dal suo paese, fino alla morte nel 1 9 9 6 , tanto da far incidere come epitaffio sulla sua tomba la seguente frase: «Io rimango a Haifa» 43 . 1 40

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

Scrittori arabi che scrivono in ebraico Nella galassia culturale degli arabi di Israele c'è anche chi compone poe­ sie e scrive romanzi e pièces teatrali direttamente in ebraico, sollevando non poche perplessità da parte della comunità araba fuori e dentro i confini di Israele, che non accetta questa " israelizzazione" così marcata della minoranza araba, al punto da guardare con sospetto chi scrive in ebraico. Questa diatriba può essere paragonata a quella degli autori francofoni del Maghreb, tuttora molto accesa nel mondo arabo, anche se le differenze sono vistose, dal momento che nel Maghreb molti arabi, a causa del colonialismo, non sono in grado di scrivere nella loro lingua, mentre, nel caso degli arabo-israeliani, la loro scelta linguistica viene vi­ sta da alcuni intellettuali del Cairo o di Damasco quasi come una pro­ vocazione. Questo è il caso di scrittori come 'Aiallah Man�ur (1934) e Rashid I:Iusayn (1936-1977) , ma anche di letterati della generazione più giovane, come Na'Im 'Araydi (1948 ) , Siham Da'ud (19 52) o il più noto Anilin Shammas (19 50) , per lo più appartenenti alla comunità cristiana o a quella drusa, mentre è più raro il caso di autori musulmani che scri­ vono in ebraico. I primi a pubblicare in ebraico sono stati 'Açallah Man�ur e Rashid l:Iusayn per la narrativa, e Sabri Giris (Jiryis) , per quanto riguarda la sag­ gistica 44• 'Aiallah Man�ur, che ha trascorso la sua infanzia in un kibbutz come un bambino ebreo, pubblica nel 1962 il suo primo romanzo in ara­ bo dal titolo E Samira è rimasta. Accusato dalla stampa di ostilità nei confronti di Israele, decide di "vendicarsi" pubblicando nel 1969 in ebraico il suo secondo romanzo, In una luce nuova, in cui mette in di­ scussione proprio i valori del sogno sionista del kibbutz. Questo roman­ zo, tuttavia, viene accolto bene dalla critica israeliana, perché al di là del­ le critiche politiche e ideologiche mosse dallo scrittore, viene molto ap­ prezzato il fatto che un autore arabo scriva in ebraico. Nel 1976 'Açallah Man�ur dà alle stampe un terzo romanzo in inglese e fonda il giornale arabo " al-Sibbarah". N a'Im 'Araydi, che appartiene alla comunità drusa, inizia a scrivere poesie in arabo, ma nel 1992 pubblica il suo primo romanzo in ebraico, continuando a utilizzare indistintamente le due lingue. «Non so - ha di­ chiarato lo scrittore - se io che scrivo in ebraico appartengo alla lettera­ tura ebraica, ma quello che so, invece, è che non sto scrivendo letteratu­ ra araba in ebraico» 45 • La sua scelta di scrivere in due lingue non con­ cerne dunque il bilinguismo, ma il fatto di appartenere a due culture. 1 41

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

La poetessa Siham Da'ud fa parte poi di quella schiera di letterati che, sin dalle loro prime opere, scrivono in ebraico, avendo studiato e gravita­ to nell'ambiente ctÙturale ebraico, molto vivace sin dall'inizio degli anni sessanta; periodo, invece, in cui gli arabi di Israele sono in un totale isola­ mento e non hanno nessun legame con il confinante mondo arabo. Salman Na�ur, nato nel 1949 , rappresenta, infine, un altro caso an­ cora, perché scrive in arabo e poi riscrive, non esattamente traducendo, la stessa opera in ebraico. Come avviene nel suo romanzo più noto, Vanno al vento, edito nel 1991 in arabo e ripubblicato un anno dopo in ebraico con il titolo di Holkim 'al Ha-ruah. Nelle due edizioni, infatti, sembra che l'autore abbia tenuto ben presente il target audience a cui si rivolge e, da qui, sorgono alcune differenze testuali 46• Lo scrittore più noto di tutta questa schiera di letterati bilingue è, tuttavia, An�un Shammas. Nato nel 1950 a Fassu�ah in Galilea, deve la sua fama anche internazionale al romanzo Arabeskot 47. Dopo aver stu­ diato all'Università ebraica di Gerusalemme, ben presto collabora alle maggiori testate del paese, e pubblica alcune raccolte di poesie in ebrai­ co e una sola in arabo, dal titolo Prigioniero del sonno e della veglia, del 1974. Sono versi giovanili in cui il poeta è alla ricerca della sua identità: [ . ] Scruto il mappamondo Alla ricerca del villaggio sperduto Che ho perduto Cerco nelle tasche di un avo che mai conobbi Frammenti di racconti e di nuovi profumi e al suo collo mi appendo come una farfalla [ . . . ] 48. . .

In tutte le sue opere Shammas si è comunque sempre prodigato per far conoscere la vita della minoranza araba di Israele dove, per uno come lui, è diffi c ile addirittura defi n irsi: «Qui la gente non sapeva come defi ­ nirmi. Un autore israeliano ? Mi hanno chiesto. N o n esattamente, an­ che se per anni mi sono definito così. Un arabo ? N o, neanche ! lo ho scelto l' impossibile combinazione di essere un israeliano-palestinese [ . . . ] perché così come Israele esiste, anche la Palestina esisterà» 49 • Arabeskot, ambientato nel villaggio natale dell'autore, può essere considerato una sorta di autobiografia che, attraverso le vicende di tre generazioni di arabi, fa conoscere una parte del mondo arabo di tradi­ zione cristiana. Il fatto di scrivere in una lingua che araba non è, ma che anzi è spesso considerata dai palestinesi la lingua del " nemico " , è costato 1 42

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

all'autore una pioggia di critiche da parte degli intellettuali arabi che hanno versato fiumi di inchiostro sull'argomento, considerando la scel­ ta linguistica di Shammas una sorta di tradimento. Non hanno gridato allo scandalo solo insigni studiosi arabi, come la libanese Yumnà al­ ' I d 50 , ma anche molti israeliani i quali non sono riusciti ad accettare il fatto che il libro di Shammas fosse accreditato come un prodotto della letteratura ebraica. A tutte queste critiche lo scrittore ha così replicato: «Sono approdato alla lingua ebraica con un particolare bagaglio cultura­ le, senza mai dimenticare le mie origini. Quando ho scritto questo libro, le ho dimenticate, altrimenti l'avrei scritto in arabo. Questa dimenti­ canza è una sorta di salvezza verso la lingua stessa, un omaggio che io of­ fro alla lingua ebraica che ho cercato di trattare con grande cautela, con rispetto, come un elefante arabo che entra in un negozio di porcellane, senza rompere niente, tentando di conservare all'interno tutta la parte di quel bagaglio che mi so n portato dietro dall'altra mia cultura, prove­ niente da quella parte del mondo che per molti arabi addirittura non esiste. È una specie di doppia redenzione)) 51 • Quello che Shammas vuole dimostrare agli israeliani è che «nella lingua ebraica ci sguazza come un pesce)) 5 \ anche meglio di un nativo ebreo, e che, piaccia o no agli israeliani, in quanto arabo di Israele, egli si sente ed è parte della loro letteratura. Inoltre, come ha dichiarato Shammas stesso in una intervista: «La lingua ebraica paradossalmente mi dà più sicurezza. N o n avrei mai avuto la stessa libertà se avessi scritto in arabo. Cosa avrebbero detto le mie zie e zii ? Questo è un atto co­ sciente di camuffamento. Uso l'ebraico come una copertura)) 53• Arabeskot, che è stato tradotto in molte lingue, ma non in arabo, ha avuto un grande successo internazionale, riconosciuto infine anche dalla stampa israeliana che si è spinta a scrivere: «Con questa sua opera, lo scrittore ridona alla scrittura ebraica l'onore che ha perso in massima parte durante gli ultimi dieci anni)) 54, e ancora: «Il ruolo di Shammas nella letteratura ebraica può esser paragonato a quello di autori asiatici anglofoni nella letteratura inglese, o a quello degli africani francofoni, senza i quali quelle letterature sarebbero molto più povere e noiose di quanto non lo siano)) 55• In realtà l'utilizzo della lingua ebraica per rac­ contare storie arabe è stato anche interpretato come «il segno di una possibile convivenza armoniosa)) 56 dei due mondi, distanti sotto tanti punti di vista, eppure così vicini. E proprio per questo, Anp1n Shammas si è offerto come ponte tra le due culture, traducendo opere dall'arabo 1 43

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

all'ebraico e viceversa. Emil l:fabThi aveva voluto, infatti, che fosse pro­ prio lui a tradurre in ebraico il suo capolavoro, Il Pessottimista. Malgrado gli onori ottenuti, nel 1987 Shammas lascia Israele per trasferirsi definitivamente negli Stati Un i ti dove insegna Letteratura moderna del Vicino Oriente all'Università del Michigan. Molti altri sono gli scrittori arabi di Israele che, come Shammas, rappresentano un ponte necessario affinché gli arabi conoscano la lette­ ratura israeliana e gli israeliani quella araba. Un ruolo meritorio in que­ sto campo spetta alla casa editrice al-Andalus di Tel Aviv, diretta da Yael Lerrer, che da anni è impegnata nella divulgazione di opere letterarie dall'arabo in ebraico, tradotte da poeti e scrittori della regione come il poeta MuQ.ammad Hamzah Ghanayem (19 57-2004) che si è prodigato nel far conoscere in Israele i grandi letterati arabi, a partire da MaQ.mud Darwish. L'impegno di Ghanayem si è poi focalizzato sulla rivista dal si­ gnificativo nome "Mifgash/Liqa"' (Incontro) , da lui diretta dal 1984 al 1991, in cui ha cercato di creare un dialogo genuino, malgrado le diffi­ coltà dei tempi. In una panoramica di letterati arabi di Israele va poi inserito Mu��a­ fà al-Marrar, un autore arabo che, a differenza di Emil l:fabThi, nel 1986 rifiuta il premio che gli viene conferito per meriti letterari dal governo israeliano. Nato nel 1930 nei pressi di Tulkarem, nel 1948 aveva parteci­ pato alla guerra ed era stato ferito. Diventato un affermato giornalista, scrive per diverse testate, tra le quali " G aridat al-aQ.dath " . Tra le sue opere, La via dolorosa del 1970, Giorni del nostro Paese del 1983, oltre ad alcuni scritti per l'infanzia. C'è poi il caso politico quanto letterario di uno scrittore come Sayyid Kashwà, autore di un best-seller scritto in ebraico, Arabi danzanti del 2002, che per certi versi si può definire un romanzo autobiografico. L'infanzia del protagonista, che coincide con quella dello scrittore ­ nato nel 1975 nei pressi di Gerusalemme - inizia in un villaggio palesti­ nese, dove i ragazzini giocano a fare i fedayyin. Poi la svolta; il ragazzo viene ammesso per meriti scolastici in un prestigioso college israeliano, e qui assistiamo a una vera e propria frattura nell'animo del giovane che inizia a rifiutare il suo status di arabo: Sembro più israeliano di un israeliano calzato e vestito. Sono sempre contento quando gli ebrei me lo fanno notare. «Non sembri affatto arabo)) , dicono. Al­ cuni sostengono che questo sia razzismo, ma io lo considero sempre un com-

1 44

6

PALESTIN E S I-IS RAE LIANI O ARABI DI IS RAE L E ?

plimento. Un successo. Del resto era questo che volevo diventare: ebreo. Ho lavorato sodo per farcela, e alla fine ci sono riuscito 57.

Questo protagonista che vuole diventare israeliano a tutti i costi, quasi ci riesce quando apprende la lingua ebraica in maniera eccellente, elimi­ nando ogni minimo difetto di pronuncia che lo smaschererebbe e gli re­ stituirebbe la propria origine rinnegata. Ma il conflitto interiore, che co­ munque lo tormenta, si acuirà con gli anni, soprattutto quando incon­ tra il suo primo amore, una giovane israeliana, la cui famiglia non tolle­ ra che la figlia sposi un arabo. Dopo questo ennesimo scontro con la realtà, il protagonista si ritrova sposato con una ragazza araba che non ama, e abbandona ogni sogno di rivalsa. È così che Sayyid Kashwà ha cercato di sbarazzarsi del suo ingom­ brante background di arabo, fatto di frustrazioni per non sentirsi né ve­ ramente arabo né veramente israeliano, ma questa sua lucida metamor­ fosi gli ha attirato non poche critiche da parte degli arabi fuori e dentro Israele. Sayyid Kashwà ha pubblicato, sempre in ebraico, un altro romanzo, Efu mattina 58 , che lo porterà a un'altra amara presa di coscienza; il pro­ tagonista non può fare a meno di constatare che, malgrado l'impegno profuso da un arabo in Israele per integrarsi nello Stato ebraico, non po­ trà mai aspirare ad avere una vita normale al pari di un israeliano, per­ ché sarà continuamente emarginato da una società che lo considera fon­ damentalmente indesiderato.

1 45

7

La letteratura dell'intifada

La rivolta delle pietre in versi e in prosa Con il termine al-intifatfah, che alla lettera significa "scuotersi", viene indicata l' insurrezione popolare dei palestinesi, esplosa il 9 dicembre 1987 a Gaza, nota anche come la " rivolta delle pietre" o al-intifot/ah al-kubrà ( ''la grande intifada" ) , che per la prima volta portò alla ribalta europea il dramma dell'occupazione israeliana a Gaza e nella Cisgiorda­ nia. Questo evento ha aperto la strada agli accordi di Osio del 1993, sfo­ ciati nel riconoscimento di una specie di governo autonomo, rappresen­ tato dall'Autorità nazionale palestinese ( ANP ) , istituita nel 19 94, che tuttavia non ha placato gli animi di chi non accetta una patria fram­ mentata e tanto poco indipendente. Il coraggio dei ragazzini che rispondono all'avanzare dei carri armati con il lancio delle pietre, ripreso dalle telecamere di tutto il mondo, ha dato impulso a un nuovo movimento dalla poesia alla narrativa, che ha assunto caratteristiche particolari, così com'era accaduto per la produ­ zione letteraria della nakbah e, successivamente, della naksah. Obiettivo di molte opere, scritte durante l'intifada, è quello di dimostrare al mon­ do intero il vero volto dell'occupante, compromettendo in parte l'im­ magine rassicurante che l'Occidente aveva d'Israele. Secondo il famoso scrittore di origine saudita 'Abd al-Ra}:lman Munif, la Palestina, grazie a questa rivolta popolare aveva ritrovato l'unità, perché la gente comune, prima ignorata, era ritornata ad essere ascoltata 1 • La produzione letteraria di quest'epoca, tuttavia, si può considerare come una continuazione o come una naturale evoluzione di quella che Kanafani aveva chiamato "letteratura della resistenza" e, come afferma il poeta al-Mutawakkil Taha (1958), l'intifada ha portato in questa lette­ ratura un fervore che può essere paragonato a quello che ha accompa­ gnato le grandi svolte storico-politiche del conflitto arabo-israeliano scaturito in precedenza 2• 1 47

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

In questo periodo si assiste in tutta la regione, compreso Israele, a un proliferare di giornali arabi che danno sempre più spazio alle voci di scrittori e poeti impegnati a sostenere verbalmente la rivolta. Nel 1988 l'Associazione degli scrittori arabi di Israele pubblica una rivista dal semplice titolo "48 " , e nel 1995 Emil H:abibi fonda a Haifa, con la colla­ borazione di molti intellettuali arabi di Israele, la rivista " al-Masharif' . 'lzz al-Din al-Mana�irah è una delle voci poetiche che maggiormen­ te ha influenzato, da un punto di vista letterario, gli animi dei palestine­ si artefici di questa nascente insurrezione popolare. Sin dal 1981 le auto­ rità israeliane avevano infatti proibito la circolazione delle sue poesie e l'ex viceministro della difesa israeliano, Yahoud Yaari, in un libro dedi­ cato all' intifada, ha addirittura attribuito l'origine della rivolta ai versi militanti di questo poeta, accusato di infiammare i cuori di tanti giova­ ni 3• Alla fine degli anni ottanta, la poesia di al-Mana�irah viene proibita anche in Giordania, dove si teme che la rivolta possa espandersi fuori dai confini della Cisgiordania. Nato a al-KhalTI (Hebron) nel 1946, al-Mana�irah lascia definitiva­ mente la Palestina nel 1 9 64 per condurre la vita dell'esule in Giordania, in Egitto e in Bulgaria, dove consegue un dottorato in letterature com­ parate; risiederà poi a lungo in Algeria, negli Stati Un i ti e di nuovo in Giordania, dove occuperà prestigiose cariche universitarie. In una bella poesia, Dall'esilio, rievoca la vita di esule e ribadisce che anche lontano dalla sua patria continuerà a scrivere, «min al-manjà sa-aktubu» 4, cioè scriverà del suo paese, mai dimenticato. al-Mana�irah ha collaborato a numerose riviste culturali palestinesi come " Shu'un Filas�iniyyah " e " Filas�in al-thawrah ", ed è autore di di­ verse raccolte di poesie 5• Un altro famoso poeta è Hanna Abu Hanna. Nato in Galilea nel 1928, ha vissuto a Gerusalemme e a Haifa e non ha mai lasciato il suo paese. Più volte imprigionato per militanza politica, partecipa con i suoi versi alle vicende dei fratelli palestinesi della diaspora e di quelli delle vi­ cine Cisgiordania e Gaza, dalla sua prima raccolta Il grido delle ferite del 1970 fino alle più recenti poesie che, come reportage televisivi, cattura­ no tragiche immagini in brevi e drammatiche riprese: [ ] Mi hanno sorpreso le guardie che imperversano nei campi Mi hanno picchiato Mi hanno rotto le ossa Mi hanno assestato il colpo di grazia . . .

7

LA LETTERATURA D E LL'IN TIFADA

Pestatemi pure come grano Non mi domerai ! [ . ] 6 . . .

Con lo scoppio della grande intifada, nel 1987 si assiste, malgrado il pe­ sante tributo pagato dalla popolazione in termini di morti e feriti, ad un rinvigorimento e ad un rafforzamento della produzione letteraria. L' at­ teggiamento "combattivo " dei ragazzini davanti ai militari israeliani, sembra dare nuovo vigore agli intellettuali, alcuni dei quali prendono parte personalmente a questa sommossa, venendo anche processati e imprigionati per il loro ruolo; ma proprio dalle prigioni, questi letterati scriveranno con rinnovato fervore poesie, racconti e pièces teatrali, per volere ancora una volta registrare, per la memoria futura, quello che sta accadendo nel loro paese. Anche lo scrittore Zaki al- I l ah dà il suo contributo alla produzione narrativa di questo periodo. Nato a Gaza nel 1950, ha vissuto a G abaliyyah, il più grande campo di rifugiati della Striscia di Gaza con oltre 6o.ooo abitanti. Ha iniziato a scrivere alla fine degli anni sessanta quando pubblica un racconto dal ti­ tolo La sete, in cui affronta le sofferenze dei profughi che, malgrado la grande arsura che li tormenta, non smettono di lottare per rivendicare migliori condizioni di vita. Nella sua terza raccolta, Muri di sangue, lo scrittore attraversa una nuova fase, cercando di plasmare la lingua araba proprio a partire dalla sua personale esperienza dell'intifada, ed elabo­ rando «Un racconto che abbia una forma originale e un ritmo incalzante capace di esprimere le sofferenze e le aspirazioni della popolazione pale­ stinese» 7• N el racconto dal titolo Sono tutti miei figli, lo scrittore riper­ corre gli attimi che seguono al ferimento di un bambino al quale il pa­ dre aveva inutilmente impedito di partecipare a quelle manifestazioni: Tu gli avevi sempre detto di stare al suo posto e di non mischiarsi in queste cose. "Tu sei troppo piccolo per lanciare le pietre, per essere ricercato, troppo giovane per tutta questa miseria e per tutte queste preoccupazioni. Cosa può fare una piccola mano contro la lama di un coltello ? " Lui faceva finta di ascol­ tarti, per farti piacere, e tu lo sapevi bene 8.

E poi la corsa verso la Croce Rossa di Gaza dove «oggi è più difficile per

un uomo arrivarci che per un cammello passare per la cruna di un ago» 9 • 1 49

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Sul piano letterario si assiste, quindi, a una nuova fase estremamen­ te produttiva, in cui gli scrittori con le loro opere sono chiamati a svol­ gere un'importante funzione di sostegno morale ai giovani rivoltosi, an­ che nella speranza che l'espediente letterario possa aiutare a far conosce­ re agli altri arabi e agli occidentali le sofferenze della popolazione. E così come nel passato, il compito del poeta e dell'intellettuale assume anche in questa fase un ruolo di incitamento emotivo per le masse, proprio come temeva il generale israeliano Moshé Dayan quando parlava del pericolo rappresentato dai versi infuocati di Fadwà Tuqan, che esaltava­ no migliaia di giovani palestinesi 10• Con un ritmo sempre più incalzan­ te, poeti e scrittori daranno alle stampe opere i cui protagonisti saranno i bambini che rischiano quotidianamente la propria vita e che, nell'im­ maginario popolare, diventano i nuovi eroi e i nuovi "martiri dell'lnti­ fada" (shuhadii ' al-intifot/ah) , come dal titolo di una poesia di Fadwà T uqan, in cui la poetessa sottolinea il loro sacrificio: Hanno tracciato la strada verso la vita L'hanno pavimentata di corallo, di linfe giovanili Hanno innalzato i loro cuori con in mano infuocate pietre di brace Hanno lapidato la belva della strada Hanno gridato: «È tempo della forza, muovetevi !>> La loro voce è arrivata Alle orecchie del mondo, alle orecchie del mondo si è elevata l'eco [ ] 1 1 • . . .

Poco prima della sua morte, anche il grande poeta Tawfiq Zayyad aveva composto dei versi dedicati ai bambini dell'intifada, e li aveva recitati al salone del libro del Cairo del 1994. Con questo suo ultimo componi­ mento poetico, Adnan e l'altro Adnan, Tawfiq Zayyad volle così parteci­ pare al dolore dei palestinesi per tante giovani vittime immolate per la patria. Ma}:lmud Darwish, che aveva commosso il mondo arabo quando gridava in faccia al soldato israeliano tutta la sua indignazione per essere solo un numero su una carta di identità 1 2, dedica un'intera opera all'in­ tifada con Gente che passa in poche parole, pubblicato nel 1994. In questo testo, che comprende scritti letterari e articoli politici, il poeta esprime le sue opinioni sugli eventi in corso, che si possono sintetizzare come una presa di coscienza in cui la rivolta popolare mostra «niente altro che

7

LA LETTERATURA D E LL'IN TIFADA

la verità dei fatti» 13 • Perché, come dice egli stesso, basta una semplice pietra C&agar) per prendere coscienza della propria identità e per espri­ merla 14• La pietra diventa così l'emblema della lotta e anche Darwish scrive una poesia in prosa dal lapidario titolo Sulla pietra. Ci sono tuttavia poeti e scrittori che sembrano quasi abusare del simbolo della pietra, ripetendolo eccessivamente e, a volte, anche su­ perficialmente 15• Per la narrativa sarà soprattutto la scrittrice SaQar Khalifah a farsi portavoce della nascente letteratura dell'intifada con il romanzo La por­ ta della piazza. Pubblicato in Libano nel 1990, il racconto è ambientato nel quartiere di Bah al-Sil}ah, nella città vecchia di Nablus, nelle cui stradine e vicoletti si aggirano uomini e donne con il loro carico di tra­ gedia e dove la popolazione ha vissuto per anni con l'angoscia del co­ prifuoco. L'esercito, approfittando del coprifuoco, aveva ostruito l'ingresso del vicolo che dava su Biib al-Sii&ah, con la solita barriera fatta di bidoni allineati uno so­ pra all'altro, pieni di ferro e di cemento. All'altro capo della stradina avevano poi installato un posto di controllo dal quale pendeva una barriera enorme, che oscurava le finestre del pianterreno di una casa, togliendo luce ai suoi abitanti. Nessuno poteva passare in un senso o nell'altro senza essere sottoposto a con­ trolli e perquisizioni 1 6 •

Sono i personaggi femminili di Samar, di Nuzhah, o della vecchia leva­ trice, la signora Zakiyyah, a dar luogo a una sorta di sodalizio di donne. Malgrado le grandi differenze sociali e ideologiche, le protagoniste sen­ tono che insieme possono lottare contro il tradizionale ruolo della don­ na in seno a una società in cui sono ancora radicati valori patriarcali. Il romanzo prende spunto da un' inchiesta sociologica di Samar che, da persona istruita e colta, intervista alcune palestinesi sulla loro vita socia­ le e politica, facendo emergere un quadro piuttosto desolato: l'uomo arabo, padre o fratello che sia, viene visto come un altro nemico da combattere, al punto che una delle protagoniste si chiede poi se sia stata solo l'intifada a ridurre la gente in quelle condizioni: È stata l'intifada a ridurci così ? Oppure la tensione, questa vita randagia e in­ stabile, questa situazione di confusione. La guerra, insomma. Il peggio è poi che la gente non la considera una guerra. Ma come altro definire la situazione

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

in cui ci troviamo ? Una guerra in cui, incapaci di colpire il nemico, abbiamo cominciato a fare del male a noi stessi. Alzare le mani su una donna ? 17

Nello stesso romanzo, inoltre, viene affrontato anche lo spinoso proble­ ma del collaborazionismo di una parte della popolazione, tanto che la vecchia Zakiyyah si chiede come sia possibile che «Fratello e sorella, figli della stessa madre, usciti dallo stesso ventre: l'uno diventa partigiano e l'altra una collaboratrice» 18• E si interroga ancora quando e se finirà un giorno, questa intifada: sarebbe mai finita questa paura, questa angoscia, questo spargimento di sangue ? Pensò all'oscurità che lei temeva per via dei diavoli e dei folletti. Pensò alle sue visite a domicilio, di notte [ . . . ]. Ciò che più la terrorizzava era la notte. La notte, il buio, le incursioni dell'esercito, gli scontri improvvisi e gli eventuali feriti. Ma la cosa peggiore era il fatto di non riuscire ad esprimere la paura che provava 19•

Questo personaggio femminile viene definito dalla scrittrice sia "mes­ saggera di pace e di gioia" sia " civetta del malaugurio " 20 , a seconda del suo ruolo: se fa nascere i bambini come levatrice, oppure se è funesta ambasciatrice di morte, quando comunica ai genitori il decesso di un fi­ glio. A causa dei lutti quotidiani, Nuzhah, l'altra protagonista del ro­ manzo, arriva addirittura a maledire la Palestina per averle fatto perdere il proprio fratello: «Ci sputo sulla Palestina. Voglio mio fratello, io, mica la Palestina» 2 1• E di fronte alla reazione scandalizzata delle astanti che l'ascoltano come se avessero sentito una bestemmia, Nuzhah conti­ nua con le sue disperate imprecazioni contro il paese che, dal suo punto di vista, le ha tolto proprio tutto: Maledetta la Palestina. Maledetto chi ti ha creato. Maledetta sia la tua terra e chiunque si proclami palestinese. Ti sei presa mia madre, mio padre, mio fratel­ lo, il mio onore e non mi hai lasciato nulla, Palestina. Nessuno è rimasto in vita. Non è rimasto nessuno di quelli che amo. Non un parente, non un amico. Tutti se ne sono andati. Tutti annientati, miserabili, affamati , spogliati di tutto 22•

In questo romanzo si fondono così le due passioni della scrittrice, la Pa­ lestina e il femminismo, per le quali non smetterà mai di combattere. SaQ.ar Khalifah, che è molto impegnata sul piano sociale, dal 1989 si oc­ cupa di un Centro delle donne con sede a Nablus e ha aperto sedi di­ staccate anche a Gaza nel 1991 e ad Amman nel 1 994.

7

LA LETTERATURA D E LL'IN TIFADA

In una recente intervista, SaQ.ar Khalifah ha così sintetizzato il suo ruolo di intellettuale e di donna palestinese: Prima degli accordi di Osio i miei romanzi si vendevano molto più di quanto non si vendano oggi in Germania, Svizzera, Austria, Olanda. Osio ha spinto l'Occidente, e soprattutto l'Europa, a credere che la questione palestinese fos­ se stata risolta, e si è abbassata l'attenzione anche verso la nostra letteratura, invece quel che succede oggi sta inducendo gli occidentali a ricredersi. Quan­ to a Israele, il conflitto che ci oppone ancora oggi è un conflitto per l' esisten­ za, un conflitto di lingua, identità, civiltà. Per me è una questione di identità e il mio nemico è colui che minaccia la mia identità come palestinese e come donna. Come donna, poi, mi sento provocata quando l'uomo minaccia la mia identità, e per questo io lotto con tutta me stessa e con ogni mezzo a mia disposizione 23.

Se le poesie di MaQ.mud DaiWish e i romanzi di SaQ.ar Khalifah ci fanno conoscere le conseguenze politiche e sociali dell'intifada sui palestinesi, appare particolarmente interessante constatare come lo scrittore arabo, residente in Israele, Riyaçl Baydas, descrive nei suoi racconti l'impatto della rivolta delle pietre sulla popolazione araba di Israele. In una novella di Riyaçl Baydas, Una scena: incontro furtivo, si rac­ conta la storia di un arabo di Israele che decide di lasciare il paese per andare a combattere a fianco dei suoi connazionali nei Territori Occu­ pati. N el racconto Ilfocolare, sono descritte le reazioni di alcuni israelia­ ni che in autobus commentano ad alta voce la rivolta delle pietre davan­ ti a un loro concittadino arabo che sente tutto il peso della situazione. L'autore, sempre in questa narrazione, tocca anche il tema del dissenso tra i giovani soldati israeliani, i cosiddetti refusnik, descrivendo la storia di un militare che, per essersi rifiutato di andare a reprimere la rivolta dei ragazzini, viene condannato e incarcerato. Nel racconto di G amal Bannurah, dal simbolico titolo Anche i sol­ dati piangono, così l'autore affronta l'argomento: I soldati continuavano a gridare e a minacciare, ma questo non impedì alle donne di aggredirli, nel tentativo di liberare il ragazzo, pur essendo percosse e respinte con il calcio dei fucili. Due soldati, tenendo il ragazzo per le mani e per le gambe, lo gettarono in fretta sulla j eep, fra le grida delle donne: «Assas­ sini! Criminali! Non avete timore di Dio. Non avete figli per cui invocare pietà». La camionetta sfrecciò via, tra le loro maledizioni. Il primo soldato 1 53

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

stava seduto, guardando il giovane che giaceva sul fondo della jeep come uno straccio, coperto di sangue e sudore. Era svenuto e non poteva muoversi. Il soldato cercò di coprirsi gli occhi che erano pieni di lacrime. «Piangi ?» chiese stupefatto il soldato che gli sedeva di fronte. Cercando di celare le lacrime il giovane esclamò: «Non posso sopportare la vista di un bambino che viene picchiato». «Come puoi avere compassione di questa gente ?» [ . . . ] . E l'altro re­ plicò: «Quanto odio questo lavoro. Dare la caccia ai bambini non è lavoro da uomini» 24.

Scopo di Baydas, e di tanti altri scrittori, sembra essere quello di dimo­ strare come nello Stato di Israele molte sono le persone, anche i militari, che si sono resi conto o stanno prendendo coscienza delle ingiustizie perpetrate ai danni dei palestinesi e, dunque, per ripetere la famosa frase di Emil l:fahibi, sanno che «anche all'inferno ci sono gli angeli)) 25• Que­ sto è un monito per gli arabi di non fare di tutta un'erba un fascio e di cercare il dialogo con le persone di buona volontà. Questa linea più conciliante verso gli israeliani è condivisa anche da 'lzzat al-Ghazzawi (19 51-2003) che, all'indomani del conferimento del premio Sakharov, assegnatogli nel 2001 dal Parlamento Europeo, ex ae­ quo con la pacifista israeliana Nurit Peled-Elhanan, si era dichiarato più che mai convinto che la politica dell'occhio per occhio non era vincen­ te, e che si doveva necessariamente trovare un compromesso per fare uscire dall'impasse la questione mediorientale. Facendo riferimento alla sua esperienza di carcerato in una prigione israeliana, aveva dichiarato: Durante la mia prigionia, durata tre anni, ho scritto un libro intitolato Lettere non ancora arrivate (1991), in cui mi interrogavo, nei peggiori momenti, sulla questione seguente: avrei potuto, con un mio libro, annientare l'immagine del soldato che mi controlla nella mia cella d'isolamento, attraverso il personaggio di un israeliano, un artista, un padre, un essere umano, uomo o donna qualsia­ si ? Quando la risposta è stata affermativa, ho continuato a scrivere. E quando sono uscito di prigione ho preso parte a Osio a incontri con diversi intellettuali delle due parti, per discutere su come potevamo contribuire alla pace 26 .

In un suo lavoro, La periferia, del 1993, in cui l'intifada fa da sfondo alle vicende narrate, al-Ghazzawi mette in luce come l'occupazione israelia­ na sia riuscita a respingere i palestinesi dal centro delle città e dei paesi alle periferie. Nel romanzo Monte Nebo, del 1996, sono narrate le vicen­ de di una famiglia dispersa dopo il 1967, che vive in un esilio segnato 1 54

7

LA LETTERATURA D E LL'IN TIFADA

dalla sofferenza e dalla nostalgia per la patria, mentre nel romanzo Ipas­ si, l'autore ci descrive la vita nei villaggi, sconvolta dall'intifada. Nella strada principale di " al-Giafanah" vi erano manifesti bianchi su cui c'era scritto con l'inchiostro rosso "Il sangue di al- Yusufr, 'Arifal-Ghanaym non sarà sprecato invano ! " . Giunsero dei gruppi di giovani con il viso coperto. Chiuse­ ro le vie d'uscita del villaggio con blocchi di pietre e bruciarono i copertoni delle macchine, mentre il cortile della casa della famiglia al-Ghanaym era gre­ mito di gente. [ . . . ] «l soldati entreranno nel villaggio con i carri armati e arre­ steranno i giovani che hanno preso parte alle azioni di violenza. » Così disse il sindaco dopo aver ricevuto una telefonata dal capo del quartiere generale. Tut­ tavia i militari non vennero quel giorno, né la mattina del giorno seguente. Aspettarono fino a sera. La gente doveva restare nelle proprie abitazioni, chiu­ dere perfettamente le porte e non soffermarsi davanti alle finestre. Gli ordini furono scanditi chiaramente dagli altoparlanti 27.

Scrittore e professore all'università di Bir Zeit, al-Ghazzawi, accusato di essere uno dei sostenitori dell'intifada, era stato incarcerato e aveva pas­ sato tre anni, dal 1989 al 1991, nel carcere di Ashkelon, in Israele. Du­ rante la rivolta delle pietre, nel 1993, egli aveva perso suo figlio Rami uc­ ciso dal fuoco israeliano mentre si trovava a scuola. Il grande dolore per la perdita del fi g lio lo segnerà fino alla sua prematura scomparsa nel 2003.

Infine questi scrittori affrontano nelle loro opere anche il crescente fenomeno dell'integralismo religioso che ha contaminato tanti giovani. In un racconto di Riyaçl Baydas, Prega per la pace nel mondo! 2 8 , scritto a Vienna nel 2 0 0 0 , l'autore affronta, tra l'altro, il tema della reli­ giosità in cui molti palestinesi di oggi si sono rifugiati in maniera sem­ pre più considerevole. Improvvisamente perse interesse verso il film, lo osservò in volto, poi diretta­ mente negli occhi. Senza smettere di fissare il viso calmo di lui, disse: «Come è potuto accaderti questo ?» Siccome il suo silenzio si prolungava lei gli chiese: «Perché non parli ?» Rispose con tono meravigliato che era tornato da pochi minuti e non ave­ vano parlato di niente. La moglie, prendendo il telecomando, si mise a ridere continuando a guardarlo con tenerezza: «Intendo dire, come è successo che hai cominciato a pregare ?»

155

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Pensò turbato tra sé: " Cosa vuole da me, perché ha aperto con me questo argomento mentre stiamo davanti a questa odiosa televisione ? È una faccenda che riguarda me soltanto ". Sentiva che la preghiera, la sua preghiera, era un campo ancora inesplorato e nuovo dentro di sé, faceva di tutto per custodirlo gelosamente, evitando che gli altri si intromettessero . . . perché non cominciava anche lei a pregare ? Mentre dava uno sguardo rapido alla televisione lei disse impaziente: «Avrei voluto sapere come questa cosa accade alla gente». E se le avesse detto, o piuttosto, se le avesse confessato che lui giorni prima aveva pregato Dio con fervore chiedendogli di distruggere i suoi nemici, farli scomparire dalla sua vista, lei ci avrebbe creduto ? Era arrabbiato, lui in realtà non aveva nemici; soltanto era nervoso, sul punto di scoppiare e così aveva pre­ gato Iddio di far sparire tutta quella sporcizia dalla sua vista, aveva pregato il Si­ gnore nel nome degli alberi, dell'autunno, del sole, della pioggia, del vento e di tutti gli elementi della natura, di far sparire i suoi nemici dalla sua vista. Invece di pregare Dio per aiutarlo a disperdere le nuvole di rabbia che gli avvolgevano l'anima, aveva pregato, in preda all'ira, per la distruzione del prossimo. Doveva dirle tutto questo ? Era così stanco ! No, non le avrebbe detto niente, dopotutto aveva dovuto fare già un enorme sforzo per ammetterlo con se stesso. Inoltre aveva chiesto perdono al Signore, agli alberi, alle tempeste, al vento e a ogni cosa. Poteva mai dire che la sua fede era ancora debole e fragile, e che era ancora in ba­ lia della tempesta che spesso non riusciva a evitare e ne veniva schiacciato; perché non era capace di approfondire questo discorso con nessuno ? 29

È interessante sottolineare come il protagonista di questo racconto, e d'altra parte lo scrittore stesso, siano di religione cristiana, e questo sta a evidenziare che la recente ondata religiosa che ha investito buona parte della popolazione araba in Palestina, accrescendo le fila dei vari movi­ menti integralisti, non è una prerogativa unicamente dei musulmani, ma ha contagiato anche le varie comunità cristiane della regione.

La seconda intifada Il 28 settembre del 2000, con l'inopportuna visita del leader del Likud Ariel Sharon alla spianata della moschea nella Gerusalemme araba, che provoca violenti scontri tra i palestinesi e l'esercito israeliano, il movi­ mento popolare dell'intifada che sembrava assopito riesplode ancora più violentemente. Dal punto di vista letterario inizia un altro periodo

7

LA LETTERATURA D E LL'IN TIFADA

che si rifà direttamente a questa seconda rivolta, passata alla storia come intifotf,at al-aq�à (dal nome della moschea di Gerusalemme) . E di nuovo poeti e scrittori comunicheranno ai lettori arabi le loro emozioni con la voce carica di dolore, come quando Mal).mud Datwish commemora con una struggente poesia le sequenze televisive dell'ucci­ sione del piccolo Mu}:lammad, morto sotto lo sguardo agghiacciato del padre e di milioni di telespettatori durante questa nuova intifada: [ . . . ] Mu�ammad vuol tornare a casa senza bicicletta. . . o camicia nuova, vuol tornare al suo banco di scuola [ . . . ] Mu�ammad senza pietre o schegge di stelle affronta un esercito [ ] Mu�ammad, Gesù bambino che dorme e sogna nel cuore di un'icona di rame, di un ramo d'olivo e dell'anima di un popolo che si rigenera [ ] Mu�ammad, povero angelo di pietra lanciata dal fucile di un cacciatore dal sangue freddo. Per un'ora la telecamera segue i movimenti del bimbo che sprofonda nella sua ombra pallido in volto, come l'alba col cuore, pallido, come una mela con le dita, pallide, come candele con rugiada, pallida, sul pantalone 3°. . . .

. . .

Altri scrittori immortalano nelle loro opere tragiche sequenze di scontri, diffuse in tutto il mondo dai media, con il rischio di abituare lo spetta­ tore a quelle visioni: le vite stroncate di tanti piccoli Mu}:lammad non fanno quasi più notizia. Ibrahim Na�rallah dedica alle piccole vittime di questa nuova intifa­ da diverse poesie, tra le quali !l loro sangue, in cui evoca con enfasi il san­ gue sparso dei giovani: Il loro sangue è buongiorno. Il loro sangue è buonasera. Il loro sangue, il loro saluto, 1 57

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

il loro messaggio per noi. [ . . ] Il loro sangue è amore Il loro sangue è rabbia [ ] 31• .

. . .

In un'altra poesia Ibrahim Na�rallah ricorda il reporter italiano Raffaele Ciriello, ucciso per le strade di Ramallah, mentre con la telecamera sta­ va riprendendo un ennesimo scontro tra soldati israeliani e bambini ara­ bi armati di pietre. N ome non sanno né lingua e lontana voce, la bambina uccisa, da chi dell'altro non sa dolore, il nome che non sapete tenete bene a mente, nel cuore, è Raffaele splendida rosa e nuova l'antica terra rossa schiude, nella primavera che verrà 32•

Il poeta di Ramallah al-Mutawakkil Taha, che ha dedicato molta della sua produzione letteraria a quest'insurrezione popolare, in una sua poe­ sia arriva anche ad invocare il " Messia dell'intifada" perché venga a ve­ dere i «nostri fanciulli resi orfani prima di nascere» 33• Ma è soprattutto sul mondo delle carceri che l'autore incentra molti suoi scritti. Alle "so­ relle" arabe arrestate e prigioniere nel carcere di Neve T ritsia, egli dedi­ ca un poema: Spero che tu stia bene Sorella dell'anima mia Che stiano tutte bene Le innamorate della vita [ . . . ] E chiedo come canta il prigioniero, - al mio cuore la domanda affrontiamo la sabbia con il canto sconfiggiamo la fiera dei deserti a nozze d'intifada non cessiamo la danza riempiamo lo spazio di canto [ . . ] 34• .

7

LA LETTERATURA D E LL'IN TIFADA

Il poeta 'Adnan al-DTh, infine, presterà la sua poesia dal titolo Inno al­ l'intifada al grande musicista libanese Marcel Khalifah, che la metterà in musica, riscuotendo un grande successo: Siamo il fuoco della lotta, siamo il soffio dei venti, siamo la sorgente del dare siamo l'esalazione di un profumo, siamo la voce della coscienza, siamo il rombo di un tuono . . . ad un'alba nuova la nostalgia di un suolo ad un'alba nuova il beneficio del sacrificio. Abbiam sognato di essere ci siam promessi di custodire il nostro diritto sulla nostra terra 35.

Anche un'altra cantante libanese, G iiliya Bu�rus, come Marcel Khalifah, sarà eletta portavoce della Palestina dell'intifada, con la canzone Rubbamii (Forse) , tratta da una celebre poesia di Sam"il:l al-Qasim, Discorso al merca­ to dell'eroismo, ripetutamente trasmessa dalle varie radio locali nei T erri to­ ri Occupati: Forse mi ruberai l'ultimo palmo della mia terra, forse darai la mia giovinezza in pasto alla prigione. Forse spegnerai la fiamma della mia notte, forse mi priverai del bacio di mia madre. Forse ti approfitterai di una distrazione del custode dei miei sogni, forse priverai i miei figli di un abito nel giorno di festa, forse erigerai un muro, ed un altro muro, ed un altro ancora, o nemico del sole ! . . . Ma non mercanteggerò ! Fino all'ultima pulsazione delle mie vene. Resisterò ! Resisterò ! Resisterò ! 36

Già con la prima intifada, G uliya Bu�rus era diventata ancora più famo­ sa con il brano Weyn al-malayyin (Dove sono i milioni?) - sottintesi i mi­ lioni di arabi - che fu visto come un'ulteriore incitazione per le masse arabe a non limitarsi a guardare la rivolta dei fratelli palestinesi, ma ad 1 59

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

affiancarli con slancio. Il leitmotiv «Dove sono i milioni di arabi, dove è il nostro popolo ?» con il quale la cantante esortava gli arabi a scendere in piazza, durante l' intifada, fu avvertita dagli israeliani come un vero e proprio appello agli arabi d'Israele, che fino ad allora sembravano essere piombati in quella sorta di oblio di cui parlava con tanto sarcasmo Emil l:fabThi. Questa poesia entrò nel repertorio musicale del mondo arabo e soprattutto nei territori del Libano meridionale, occupato da Israele, at­ tribuendo a G uliya Bu!rus anche la fama di cantante della resistenza li­ banese, oltre che di quella palestinese. L'intifada diventa così repertorio musicale portato avanti da molti artisti come, ad esempio, la libanese Kamiliya G ubran, del gruppo Sabrin, che ha cantato i versi dei grandi poeti da Sam!Q al-Qasim a Mal}mud Darwish. Non va dimenticato, poi, il ruolo storico avuto dal­ la più famosa cantante libanese, Fayruz che, con i brani composti dai fratelli Ral}bani, ha contribuito a rincuorare gli animi dei palestinesi a partire dalla canzone Gisr al- 'a wdah (Il ponte del ritorno) , fino all'ormai classica Zahrat al-mada 'in (Fiore delle città) , rappresentata per la prima volta al Festival dei Cedri a Beirut nel 1967, che si conclude con l'auspi­ cio di pace su Gerusalemme: «Con le nostre mani tornerà la pace a Ge­ rusalemme! La pace a Gerusalemme verrà, verrà, verrà!».

1 60

8 Il romanzo contemp oraneo

Vecchie e nuove voci della narrativa Numerosi sono gli scrittori palestinesi che soprattutto dal Libano fan­ no sentire la loro voce con opere poetiche e di narrativa; noti sono i ro­ manzi della scrittrice e regista già citata Liyanah Badr, nata a Gerusa­ lemme nel 1 9 50, che, dopo aver a lungo peregrinato come altri palesti­ nesi della diaspora, in Giordania, in Libano e in Tunisia, nel 1994 ri­ torna in Palestina. Dopo gli accordi di Osio nel 1993, infatti, alcuni letterati vengono chiamati in patria per contribuire allo sviluppo culturale della nascente " Entità palestinese ". Intellettuali che stavano fuori dal paese dal 1948 o che non l'avevano mai conosciuto, perché nati nella diaspora, ritornano così in quello che sarà il nuovo Stato della Palestina. A Ramallah Liyanah Badr collabora al Dipartimento per la Cinema­ tografia del Ministero della Cultura, ed è tra i fondatori del periodico culturale " Dafatir Thaqafiyyah " che cerca, tra l'altro, di far confluire in Palestina notizie e opere di tutti gli intellettuali palestinesi disseminati nel mondo. La scrittrice, che è anche un'affermata regista, è nota per un suo romanzo, tradotto in diverse lingue, Una bussola per girasoli del 1979 e, soprattutto, per la raccolta di racconti Un balcone su Fakahiini del 1983, che prende spunto dalla distruzione del quartiere al-Fakahani, nella periferia di Beirut, da parte dell'aviazione israeliana che nel 1982 occupò il Libano meridionale 1 • Tra le altre raccolte si segnala ancora Io voglio il giorno, del 1998, ma l'opera forse più rappresentativa di Liyanah Badr è il romanzo Le stelle di Gerico del 1993, che ci offre uno spaccato della vita quotidiana palestinese, fatta anche di piccole cose, in cui emerge, tra l'altro, la passione culinaria della scrittrice che quasi fa per­ cepire al lettore il soave profumo del caffè al cardamomo e delle succu­ lente pietanze che richiedono ore e ore di lavorazione da parte delle donne. 1 61

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

A nessuno al mondo verrebbe in mente di imbottire ogni tipo di verdure con il riso, fatta eccezione per gli abitanti di Gerusalemme: riempiono la zucca, le zucchine, le melanzane, i cetrioli, i pomodori, le patate, le foglie della verza e quelle della vite E per riempirle, rimuovono l'interno di tutte le verdure che non superano la grandezza di un dito. Mentre osservavo mia zia che affettava il pomodoro e spezzettava il cetriolo in parti minuscole per l'insalata, le chiesi: "Imbottite anche le lenticchie ? " 2• . . .

In questo romanzo la scrittrice, oltre ad avere sempre a cuore la questio­ ne femminile, ci guida anche nel magico mondo dei dervisci con tutto il loro pittoresco rituale che sempre affascina il lettore quasi inebriato dal­ l'intenso profumo dell'incenso profuso al suono dei tamburi. A seguito degli accordi di Osio, rientra a Ramallah anche un altro noto intellettuale, Ya}:lyà Yakhluf. Nato nel 1944 nel villaggio di Samakh, sul lago di Tiberiade, caduto in mano israeliana, lo scrittore ha vissuto in Giordania, in Libano e in Siria. È stato per molti anni segretario generale dell'Un ione degli scrit­ tori palestinesi e ha diretto la sezione culturale dell' O L P . Ritornato in patria, ha ricoperto a Ramallah diverse cariche di rilievo, fino a diventa­ re nel 2002 ministro della Cultura. Sul tema del ritorno sono incentrati due dei suoi più significativi ro­ manzi: Un lago dietro il vento, del 1991, seguito da Un fiume si bagna nel lago, del 1997, che ripercorrono i luoghi dell'infanzia dell'autore sul lago di Tiberiade. Autore molto prolifico, ha al suo attivo una decina di romanzi e rac­ colte di racconti da La puledra del 1974 a La mela deifolli, del t981, che prende il nome da una varietà di mela che cresce in Palestina e che dà un immediato e passeggero vigore a chi la mangia. Nel 2oo2 Ya}:lyà Yakhlufha pubblicato Cronache dell'invasione e del­ la resistenza 3 in cui risponde con un grido di speranza alla politica israe­ liana che erige mura per isolare la Cisgiordania dalle colonie ebraiche costruite in terra palestinese. In una recente intervista ha dichiarato: «l palestinesi possono perdere una battaglia, ma la loro identità nazionale rimane salda attraverso la loro determinazione a vivere nello spazio della speranza)) 4• Dalla diaspora giordana emergono le voci dello scrittore Rashad Abu Shawar, nato nel 1 942, autore di romanzi e raccolte di racconti, e di Laylà A!rash, nata a Bayt Sahur nel 1 9 51 . L'autrice ha vissuto a lun-

8

I L ROMANZO C O NTEM P O RA N E O

go a Doha in Qatar, dove ha lavorato come giornalista televisiva, pri­ ma di stabilirsi ad Amman dove attualmente collabora al quotidiano "al-Dustur" . Nel 1991 dà alle stampe una raccolta di racconti, seguita da due romanzi 5, ma deve la sua notorietà a Una donna per cinque stagioni del 1988, che narra le vicende di una famiglia di palestinesi emigrata nel fantasioso " emirato di Barqays " , dove tutto è dominato dall'emiro/padrone. La protagonista del romanzo è una moglie, N a­ dia che, grazie alla complicità di altre donne, trova la forza per ribel­ larsi a un marito autoritario. Il romanzo affronta temi come il ripu­ dio, il divorzio e la condizione della donna in una società fortemente maschilista. Dalla diaspora palestinese in Siria spicca il nome Ni'mah Khalid. Nata nel 1960 nella regione di Kuneitra in Siria, dove i suoi genitori, originari di un villaggio dell'Alta Galilea, si erano rifugiati nel 1948, l'autrice vive oggi nel campo profughi di Yarmuk a Damasco, che fa da sfondo alle vicende di molti suoi racconti 6• Tra gli scrittori palestinesi molto noti in Europa, dove i loro libri sono stati tradotti, emerge il già citato Ibrahim Na�rallah. Nato nel 1950 ad Amman, luogo di residenza della sua famiglia dal 1948, oltre ad essere un rinomato poeta 7, è anche affermato come romanziere. In Febbre 8 , che Fay�al Darrag ha definito uno dei migliori romanzi arabi 9 , l'autore descrive la vita di un emigrato palestinese che, per lavorare, si trasferisce in un villaggio desolato ai margini del deserto dell'Arabia Saudita, dove il protagonista, che è un colto maestro di scuola elementare, vivrà im­ prigionato in un tempo scandito dall'arsura del giorno in una sorta di incubo con un suo compagno che in realtà è il suo doppio, l'Altro che è in sé. Questo tema della dualità si districa in un continuo e abile gioco di immagini riflesse, «le figure, nelle pagine di Febbre, si moltiplicano e si riflettono a vicenda come in una " foresta di specchi ". E certamente l'instabilità, la minacciosa precarietà di ogni regola, di ogni abitudine, l'estrema !abilità del quotidiano, non possono che rimandare a una si­ tuazione politica che sembra sfuggire a qualsiasi " razionalità" , a qualsia­ si tentativo di governarla» 10 • In un'altra sua opera tradotta in italiano, Dentro la notte, diario pale­ stinese 11 , lo scrittore ci racconta, invece, la storia di due uomini qualun­ que che non riescono a liberarsi dagli incubi del coprifuoco, degli arresti e delle umiliazioni subite. L'incontro tra i due protagonisti avviene in una fossa comune dove uno dei due viene salvato dopo essere stato ere-

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

duto morto. Il corpo mutilato di quest'uomo, sopravvissuto, diventa così l'emblema delle sofferenze di tutti i palestinesi. Nel romanzo non ancora pubblicato in Italia, Uccelli in allarme, del 1990, che potrebbe essere considerato per certi versi autobiografico, l'autore narra della sua infanzia e della storia della sua famiglia. Il libro inizia con l'immagine di una madre che dialoga con il proprio bambino non ancora nato, che rappresenta l'infanzia negata di chi viene al mon­ do in un campo profughi. Lo scrittore stesso, infatti, è cresciuto nel campo profughi al-WaQ.adat, in Giordania, dove uno dei pochi passa­ tempi dei piccoli era la crudele caccia agli uccelli, descritta nel romanzo molto aspramente: Gli uccelli volano, mentre noi camminiamo: ti piacerebbe se qualcuno ti rom­ pesse le gambe ? [ . . . ] E neanche agli uccelli piacerebbe. Noi parliamo, mentre loro cantano, e non possono nemmeno dirtelo che soffrono se gli spezzi le ali; così, invece di dirtelo, sanguinano 1 2 •

L'immagine di uccellini inermi è qui affiancata a quella di bambini, an­ ch' essi inermi, ma diventati tiranni: «Tutto questo sangue da un solo uccellino ? Si domandò il piccolo tra sé e sé, e si rifiutò di catturare il passero» 1 3• In mezzo al branco di bambini più crudeli, il giovane prota­ gonista si erge così a difensore degli uccellini e, invano, tenta di sensibi­ lizzare i suoi compagni sull'inutilità di quel gioco malvagio. Uno dei romanzi più apprezzati dalla critica araba, e che Fay�al Darrag ha definito il «collasso del sogno palestinese» 1 4, è L 'eredità di SaQ.ar Khal!fah, pubblicato nel 1997 e incentrato sulle conseguenze degli accordi di Oslo del 1993. La scrittrice ci racconta la storia di una giovane donna, Zaynab, nata a New York da madre statunitense e padre palestinese che, nella terra in cui ha visto la luce, si sente un'estranea, né araba né americana. La parola " noi" mi faceva male. Che significava " noi " ? Chi eravamo noi ? N o i americani ? Ma io non ero americana. "E allora che cosa sei ? " - mi chiese un giorno sentendomi parlare così . Non risposi di essere araba, poiché non lo ero. E allora, chi ero ? Nonostante la cittadinanza di mia madre, il mio certificato di nascita, i miei titoli di studio, i miei libri, il mio accento, i miei vestiti e tutta la mia vita, non ero una vera americana. N el profondo di me stessa, non ero una vera americana. Quel pro-

8

I L ROMANZO C O NTEM P O RA N E O

fondo di me, popolato da immagini, visioni e nostalgici mawwàl, che appari­ vano come un soffio, un vento , il profumo delle violette e l'odore dei ricordi , lasciando nel cuore miele disciolto. La memoria s'involava come un nugolo di farfalle, ondeggiava per la stanza fino al mattino e l'oscurità s'impregnava del profumo di gelsomino e incenso, aroma di caffè al cardamomo, latte di man­ dorla, cannella, noce moscata, pane fresco e castagne. Le farfalle galleggiavano come vele, si agitavano come mani, come uno stormo di colombi. Il mio udito era scosso da una voce lontana che chiamava cantando: 'Amana, ya lei!', e mi abbandonavo alla malinconia 1 5.

Abbandonata dalla madre in tenera età, e rimasta incinta a quindici anni, la protagonista di questo romanzo viene disconosciuta dal pa­ dre palestinese e abbandonata alle cure della nonna materna america­ na. Dopo aver ricevuto la notizia che il padre, tornato in patria, è sul letto di morte, Zaynab cercherà di sciogliere il profondo dissidio in­ teriore che la dilania andando in Palestina. In quel paese devastato entra in contatto con ataviche tradizioni socio-culturali, a lei estra­ nee, e con la tragicità dell'esistenza quotidiana, e tenta di capire la realtà che la circonda, in modo da poter comprendere anche la parte più intima di sé. In quest'opera la scrittrice affronta il tema del ritorno nella Palestina di oggi, un paese che non assomiglia più al sognato paradiso perduto di tutta una generazione di palestinesi. La città venne chiusa e accerchiata, fu ordinato il coprifuoco ed ebbero inizio le perquisizioni sfrenate alla ricerca del colpevole. Ma il colpevole si era dile­ guato all'improvviso così come era apparso, la terra si era squarciata per ing­ hiottirselo proprio come lo aveva fatto germogliare. Alle autorità non rimase via d'uscita che l'applicazione di quei metodi che ormai non facevano più pau­ ra, né davano fastidio a nessuno. La gente, infatti, era abituata alle perquisizio­ ni, al coprifuoco, agli scioperi, alle strade bloccate, ai negozi chiusi, agli ortaggi lasciati a marcire che riempivano la città d'immondizia, alle fogne e alle acque di scolo, ai marciapiedi e all'asfalto in degrado, agli edifici diroccati come sche­ letri, e persino agli scheletri delle persone. La gente era abituata alla miseria, al­ l'umiliazione, era abituata a uno stile di vita paragonabile solo a quello delle ca­ verne . . . . Ma Nahlah non si era mai abituata: lei era stata in Kuwait, in ambien­ ti che non conoscevano restrizioni, né miseria, malgrado i mali, le divisioni e gli sconvolgimenti che la guerra del Golfo aveva portato con sé . . . 16 .

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Sa}:lar Khalifah ha scritto altre pagine molto significative sul tema del ri­ torno in patria e dell'amara delusione vissuta da alcuni esuli, soprattutto intellettuali, che hanno avuto questo "privilegio ". T i sdrai sotto u n albero e vengono giù datteri freschi, gocce d i rugiada e dia­ manti di manna di cui nutrirti e deliziarti. E in tutto ciò, quel che è meglio, è che sei tornato in patria, nella terra promessa. Come ogni volta, t'inchini, af­ fondi il viso nella terra e, con gli occhi bagnati di lacrime, dici alle telecamere e ai giornalisti che la patria è il grembo materno: senza di esso nulla sarebbe stato e nulla saremmo stati. E ti addormenti nella casa della tua famiglia come un sultano, mangi musakhkhan e mansaf, tamriyye· spicchi d'aglio e kunafe a vo­ lontà. E tra un invito e l'altro, scendi in paese per sondare il mercato . . . , confi­ dando nella paziente resistenza della gente. Qual è il prezzo della terra ? Quan­ to va al dunum ? Quanto costa un appartamento in un palazzo ? Qual è il prezzo di magazzini e negozi ? Quanto costa la buonuscita ? Perché ? Che storia è que­ sta? Un pezzetto di magazzino, una stalla sulla via della discarica, che non vale un centesimo, e chiedi migliaia di dinari ? Nossignore, ci hai preso per una banca che stampa banconote ? Noi, signore, siamo miserabili, e quello che ave­ te provato voi, l'abbiamo provato anche noi. Quello che avete passato voi, l'ab­ biamo passato anche noi, e abbiamo dato almeno quanto voi. Voi avete dato il sangue, noi abbiamo messo i soldi: la rivoluzione ha preso e non ha dato nien­ te. Su, tirate fuori la torta che ce la dividiamo 17.

In un suo romanzo più recente, Una calda primavera 1 8 del 2004, l' autri­ ce si sofferma sull'assedio alla Muqata, a Ramallah nel 2002, in cui 'Arafat resistette per oltre due anni prima di perdere la sua ultima batta­ glia con la vita nel 2004. La storia narra di una famiglia in cui presto emergono aspre diver­ genze tra un padre, votato alla causa palestinese, e i suoi due figli: il pri­ mo pensa solo alla musica e sogna di partire, mentre il secondo che vor­ rebbe dipingere, abbandona i giovanili desideri di artista in erba e viene, invece, travolto dalla realtà dopo gli eventi di Ramallah e l'assedio di 'Arafat alla Muqata. Con l'epilogo del romanzo la scrittrice tocca il deli­ cato tema dell'autodistruzione, nel nome dello "pseudo-martirio" isla­ mico a cui vanno incontro alcuni giovani palestinesi che sacrificano la propria vita nel disperato, quanto inutile, tentativo di servire la propria causa. Anche in questo romanzo la scrittrice dedica particolare attenzione 1 66

8

I L ROMANZO C O NTEM P O RA N E O

alla donna palestinese, spronata a combattere contro una società ancora troppo patriarcale. Tutti i giorni si recava alla libreria del padre dove leggeva libri e riviste mentre era seduto alla cassa. Suo padre era il proprietario di una libreria che si chiama­ va al-Galli. Aveva cominciato a lavorare dopo l'occupazione del '48, consegna­ va giornali a domicilio in bicicletta. Dopo l'occupazione del resto della Palesti­ na aveva fatto molti progressi perché la città di 'Ayn al-Margah era cresciuta a causa dell'immigrazione. La moschea era diventata più grande e la gente che pregava aumentava sempre di più. Il ministero incaricato degli affari religiosi aveva costruito vari negozi e lui aveva scelto il più piccolo, il più economico e il più vicino alla moschea 19.

Ed è così che Sa}:lar Khalifah, dal suo primo romanzo all'ultimo, con­ tinua a ripercorrere fedelmente tutte le fasi della storia della sua Pale­ stina. Anche se non è palestinese, va poi citato il libanese Elias Khuri (1948 ) , il cui bel romanzo, La porta del sole 20 , può essere considerato una vera e propria epopea di mezzo secolo di storia della Palestina, dal­ l' epoca della nakbah a oggi. E come è stato scritto nella presentazione dell'edizione italiana, «è un romanzo che parla soprattutto d'amore, un amore cui viene negata la banalità del quotidiano e perciò si trasforma in passione e genera sentimenti forti» 21 • Un romanzo che esula dalle consuete tematiche proposte dai narratori palestinesi è La luce blu del 2001 , dello scrittore l:fusayn al-Barghuthi (19 5 4-2002) , che si può definire un libro di iniziazione mistica: il rac­ conto autobiografico ripercorre gli anni trascorsi dall'autore negli Stati Un i ti e il suo incontro con un sufi di origine turca che influenzerà in maniera determinante la sua vita. Opera diametralmente opposta è Sensi del 200 3 , della giovane scrit­ trice 'Adaniyyah Shibll (19 75 ) . In questo romanzo i tragici eventi della Palestina vengono visti attraverso gli occhi ingenui di una bambina che stenta a capire la realtà che la circonda. Ogni sera la ragazzina va a letto per ubbidire al sonno, stasera va a letto per ub­ bidire alla madre. Di tanto in tanto, attraverso la porta che separa la sua stanza dal salotto , dove tutta la famiglia è riunita, sente degli spezzoni di parole "lzo­ ni", " ttana", " Dio", " gazzini ", " acciona", " atila". Quest'ultima non è per

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

niente facile da completare. Poi sente il tasto del televisore che viene schiaccia­ to. Riesce appena a sentire da dietro la porta, e " atila" si trasforma in "a bra e atila". Con qualche sforzo diventa "Sabra e Shatila". C'è sempre un po' di sabr, " pazienza", lì dove crescono i fichi d'india, che in arabo si chiamano allo stesso modo, ma non sa se queste piante nascono dai semi, in arabo shatl. Poi si addormenta [ . . . ] 22•

Uno sguardo infine a quegli scrittori che si sono così bene integrati nei paesi della diaspora che li hanno ospitati, che hanno scritto le loro opere nella nuova lingua adottata. È il caso di Ibrahim al-Su� (Souss) , nato a Gerusalemme nel 1943, scrittore, pianista e compositore che ha vissuto a lungo a Parigi, città in cui ha ricoperto cariche politiche come rappre­ sentante dell' O L P e successivamente presso l'U nesco. I suoi romanzi, scritti in francese, e conosciuti anche in Italia 23 , ripropongono lontani ricordi di una Palestina sparita. In particolare, in Lontano da Gerusalem­ me, del 1987, riaffiora una moderna versione di Romeo e Giulietta, in cui il personaggio maschile è un arabo-palestinese e quello femminile un'ebrea tedesca, in un paese prima dei grandi sconvolgimenti del 1 948. Anche in Italia alcuni palestinesi hanno scritto testimonianze e sto­ rie autobiografiche nell'intento di far conoscere ai loro nuovi connazio­ nali le loro radici, mai dimenticate. È il caso della bella autobiografia di Salwà Salem (Salim) (1940-1992) , Con il vento nei capelli, vita di una donna palestinese 24, raccontata da Laura Maritano che ha raccolto i ri­ cordi di una donna araba residente nel nostro paese, e precocemente strappata alla vita da una malattia incurabile. Racconti bilingue, in arabo e in italiano, sono, invece, quelli pubbli­ cati a Roma nel 1998 dalla giovane Ranya I:Iammad (1970), dal titolo Palestina nel cuore 25. Più recente è il romanzo di Rula Jebreal (1973), La strada dei fiori di Mirai, che rievoca memorie di un tempo lontano 26 , e quello di Muin Masri (1962) , Io sono di là, pubblicato nel 2005 a Torino, in cui il prota­ gonista, perduta l'identità in una guerra che non è solo sua, ma di tutto il popolo palestinese, fa emergere la propria condizione di solitudine ed estraneità rispetto ad un mondo a cui non sente più di appartenere 27•

1 68

9 L'autobiografia nella letteratura p alestinese

Da memoria individuale a memoria collettiva N ella produzione letteraria palestinese la componente autobiografica è molto presente sin dall'inizio del 1900. Numerosi sono gli autori che hanno scritto autobiografie nell'intento di contribuire con le loro opere a rafforzare la memoria collettiva di tutto un popolo. Sembra, infatti, che questa scrittura obbedisca a un preciso dovere che è quello di registrare scene di una vita cambiata non solo per il natu­ rale scorrere del tempo, ma soprattutto per i grandi stravolgimenti di geopolitica avvenuti nel territorio, toponomastica compresa. Sono nu­ merosi, infatti, i villaggi e le località, dove gli autori sono nati e cresciu­ ti, oggi completamente cancellati dalle carte geografiche, ma che rivivo­ no nitidamente nelle opere di poeti e scrittori. In uno sguardo generale alla nascente narrativa palestinese, va ricor­ dato il Romanzo di Mu.flib al-Ghassiini, di NagTh Na��ar (1865-1947) , fondatore della rivista " al-Karmil " , che si può considerare una vera e propria autobiografia scritta sotto forma di romanzo nel 1922. L'opera narra le vicende dello scrittore costretto a vivere in clandestinità per sfuggire alle autorità ottomane. Molte autobiografie del primo Novecento pongono l'accento sul­ l'immigrazione sionista, a partire da quella di KhalTI al-Sakakini che, nelle sue memorie, dal titolo Così sono, o mondo, uscite postume nel 1 9 55, ripercorre gli eventi della propria vita a partire dalla Dichiarazione Balfour del 1917 fino al 1948. L'autore, in particolare, denuncia il peri­ colo che incombeva sulla terra palestinese «che si sta vendendo zolla dopo zolla, [ . . ] con i battelli che ci inondano ogni giorno di centinaia di immigrati» 1 • N agati Sidqi ci parla, invece, della sua esperienza, comune a molti .

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

altri giovani arabi, quando nel 1925 decise di recarsi in Unione Sovieti­ ca, malgrado l'opposizione paterna: «Quando riceverai questa lettera, mi troverò al largo del Mar Mediterraneo sulla via di Mosca dove vado a studiare all'università, ma tu non angosciarti e non rattristarti per me» 2 • Con queste semplici parole il giovane N agati aveva così comunicato al padre la sua partenza. L'autore racconta poi come il genitore, in preda alla disperazione, abbia inscenato davanti al Palazzo del Governo una protesta contro i bolscevichi che gli avevano " rapito " il figlio 3• Le me­ morie di Nagati Sidqi sono particolarmente interessanti perché, oltre a manifestare una dichiarata fede marxista, forniscono molte informazio­ ni sulla situazione politica della regione e sui cambiamenti che si susse­ guivano rapidamente: «L'occupazione imperialista occidentale ha scon­ volto la vita degli arabi, ha distrutto le loro esistenze, la loro capacità produttiva, la loro vita sociale, da ciò il loro desiderio di libertà, deside­ rio che è umano» 4. I nteressanti sono anche le sue considerazioni lette­ rarie nel confrontarsi con la nuova grande cultura, quella sovietica, dalla quale lo scrittore rimane totalmente affascinato. Nagati Sidqi, come molti arabi di quell'epoca resta, inoltre, particolarmente folgorato dalla figura di Stalin, al punto da tradurre in arabo una poesia di encomio, scritta da un suo amico uzbeko, che paragona lo statista sovietico al sole e lo chiama «cavaliere della gioia che in lungo e in largo porta felicità, fonte di luce e letizia» 5• Una volta tornato in patria, lo scrittore raccon­ terà nelle sue memorie la sua militanza comunista, ricordando molti suoi compagni di fede politica, arabi ed ebrei provenienti dai paesi del­ l'Est europeo 6, con i quali in seguito avrebbe fondato il Partito comu­ nista in Palestina, e di tutte le persone menzionate, lo scrittore fornisce una breve biografia. In quest'opera, Memorie di Nagiitz- Sidqi, sono inol­ tre riportati diversi episodi leggeri e ironici, come quello occorso a un compagno dello scrittore, Raçlwan al-tlalu, che al suo arrivo in Russia, quando gli venne rubata la valigia si chiese ingenuamente «come fosse possibile che proprio in un Paese socialista avvenissero furti ! » 7. Vanno poi segnalate le memorie di Hisham Sharabi, nato a Giaffa nel 1927, che l'esilio ha condotto negli Stati Uniti. Insigne professore al­ l'V niversità di Georgetown, Sharabi, che è un noto intellettuale arabo, ha fondato la prestigiosa rivista "J ournal of Palestine Studi es ". Autore di numerose opere di carattere storico e politico, ha scritto nel 1978 un'autobiografia dal titolo La brace e la cenere in cui rievoca le differenti tappe della sua vita dalla Palestina al Libano, dove aveva studiato, fino agli Stati Uniti.

9

L'AUTOBIO G RAFIA N E LLA LETTERA T U RA PALESTIN E S E

Nel caso della letteratura palestinese, però, le memorie più frequenti sono quelle che evocano ricordi giovanili, quando gli autori ripercorro­ no i momenti più belli della loro vita in Palestina, in un'epoca in cui possedevano due cose ormai perdute per sempre: la gioventù e la pa­ tria. Ecco come G abra Ibrahim G abra, nella prima delle sue opere auto­ biografiche 8, Il primo pozzo del 1987, tradotta in molte lingue 9, richia­ ma alla mente gli anni della sua adolescenza a Betlemme, quando, poeta in erba, sente il richiamo dell'arte: Da scoprire c'era la bella città di Gerusalemme, quartiere dopo quartiere, pie­ tra dopo pietra, sia le pietre antiche che quelle poste di recente, la città della storia e quella del presente. Dovevo ancora scoprire le riviste egiziane che ogni settimana ci mettevano in rapporto con il mondo e ci informavano delle lotte politiche e letterarie del Cairo. C'erano i libri che riuscivamo a ottenere con difficoltà, a volte con l'inventiva, altre col sacrificio: antiche biografie, racconti, romanzi , raccolte di poesia, libri di storia. Nuovi insegnanti tornavano da uni­ versità lontane a comunicarci l'amore per la conoscenza. C'erano anche le ra­ gazze appetibili che a un certo punto cominciai a vedere ovunque mentre cam­ minavo, in un sogno senza fine. Oppure ero io a sognare, e in sogno, scrivevo lunghe lettere in cui sogno e realtà si confondevano. Il disegno con la matita o gli acquerelli mi facevano vedere persone e cose nelle loro forme dai contorni netti e precisi. Dovevo scoprire la musica. Il liuto, la chitarra e il violino che cercavo di imparare da solo per quanto mi era possibile, non avendo nessuno che mi insegnasse 10 •

Anche Fadwà T uqan, come si è visto, è autrice di un'autobiografia in cui ripercorre nostalgicamente gli anni della sua adolescenza, nel rimpianto del fratello Ibrahim che la introdusse nel magico mondo della poesia. La nota poetessa parla schiettamente della sua famiglia, conservatrice e tra­ dizionale e, in particolare, di un temibile padre che, tuttavia, non riuscì a placare le sue inquietudini giovanili e la sua grande forza interiore che divamperà negli anni successivi. Sin dalla prima pagina, Fadwà Tuqan si chiede perché abbia scritto queste memorie, e la risposta sta nell' affer­ mazione: «La mia è la storia della lotta di un granellino alle prese con la terra rocciosa e dura. È una storia di una lotta contro la siccità e la roccia. Poco importa se perdiamo la battaglia, l'essenziale è non lasciarsi mai ab­ battere, né di rendere le armi» 1 1 •

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Quest'opera è poi stata adattata per lo schermo dalla scrittrice e re­ gista palestinese, Liyanah Badr, che nel 2 o o o ha dedicato alla grande poetessa, ormai anziana, un interessante documentario, ambientato nella vecchia casa della famiglia Tuqan a Nablus. Qui la protagonista rivisita episodi della sua infanzia che, inevitabilmente, si fondono con quelli della sua città natale, attraverso una confessione fiume dai toni malinconici, ma non rassegnati. « È la storia di una poetessa palestinese nella città di Nablus»: è con queste semplici parole che Fadwà viene in­ trodotta, prima di apparire in tutta la sua bellezza ed eleganza sullo schermo 12• Sono stati, infatti, principalmente i poeti ad aver scritto le più belle memorie della letteratura palestinese, da Fadwà Tiiqan a Mal).mud Darwish, da al-Mutawakkil Taha a M�ammad al-Qaysi, o a Murid al-Barghuthi. Nelle loro autobiografie puntualmente affiora l'indelebile impronta del poeta che inframmezza il testo narrativo con poesie più o meno brevi. Ma si possono considerare anche delle autobiografie le liri­ che di Samil). al-Qasim e di quanti hanno fedelmente annotato in veri e propri componimenti poetici le loro personali esperienze di vita. Nell'autobiografia di Mu}:lammad al-Qaysi, Il libro del figlio del 1997, frammentari ricordi giovanili del passato si intrecciano e si mesco­ lano al presente, nella reminiscenza di un'infanzia infranta dall'esodo del 1948, anno delle prime peregrinazioni di profughi. Nato nel 1944 in un piccolo villaggio della Striscia di Gaza, è stato profugo in diversi pae­ si arabi, prima di stabilirsi definitivamente in Giordania, dove è morto nel 2 0 0 3 . In !/ libro delfiglio, che è la prima parte di un'opera dal titolo !/ libro di Hamdah 1 3 , com'è consuetudine in altri romanzi di narratori­ poeti, il testo è intramezzato da frequenti versi: Parlare di te al vento, parlare con me stesso, questa è la legge del mio cuore e il mio ultimo sostegno: foglie verdi foglie secche foglie bagnate di pietre preziose e acque sotterranee foglie di henné e spezie odorose foglie per le mie preoccupazioni foglie per i sogni infranti, per finestre senza origine foglie sotto la mia protezione foglie d'olivo foglie imbevute di vino di mosto d'argento e di burro

9

L'AUTOBIO G RAFIA N E LLA LETTERA T U RA PALESTIN E S E

foglie di lampade buie tra le dita foglie liriche che penetrino nella prosa del figlio che sta preparando il suo libro, mentre il tuo, Il libro di Hamdah, è ormai terminato. Il tuo libro si è liberato , come una gola e una serata profumata di timo, ha ferito figli afflitti per la lontananza delle madri e ha recitato la mia introduzione 14 •

N eli' autobiografia del poeta Mal).mud Darwish, Una memoria per l'o­ blio del 1987, invece, non è l'infanzia a essere rievocata, ma le vicende dei profughi palestinesi scaraventati in una terra araba non sempre ospi­ tale, in questo caso la capitale libanese 1 5 che fu teatro della sanguinosa guerra civile che infuriò dal 1975 al 1990. Le memorie si riferiscono in particolare agli eventi dell'agosto del 1982: Ma perché si pretende che chi è stato gettato dai flutti dell'oblio sulla costa di Beirut sia un'eccezione alla regola della natura umana? Perché si reclama così tanto oblio ? E chi, in mezzo a questa lamiera vibrante, ha la capacità di costrui­ re per loro una memoria nuova in cui si spezzi l'ombra di una vita lontana ? Ma lì, c'è oblio sufficiente perché essi dimentichino ? Chi li aiuterà a dimenticare, in questo clima di oppressione che gli conti­ nua a ricordare che sono estranei a questo luogo e a questa società ? Chi li ac­ cetterà come cittadini ? Chi li difenderà dalle staffilate della persecuzione e del­ la discriminazione ? " Non siete di qui " 16•

Molte altre saranno le memorie arabe che parlano di questo stesso pe­ riodo libanese, a partire da quelle di Rashad Abu Shawar, dal titolo Oh Beirut! del 1983, in cui anch'egli rievoca i giorni dell'assedio israeliano a Beirut e la definitiva espulsione dei membri dell'oLP nel 1982. L'autore, che è nato nella Galilea, è stato a lungo a Damasco, città che lo ha defi­ nitivamente accolto, dopo essere vissuto in diversi campi profughi. C'è poi una buona parte di scritti autobiografici che possono rien­ trare nel filone della letteratura delle prigioni 1 7• Uno dei primi è quello del pioniere del romanzo palestinese, KhalTI Baydas che, nel suo libro di memorie, Racconto delle prigioni, parla della sua esperienza in un carcere britannico in Palestina. Anche Nagati Sidqi, nella sua citata autobiografia 18, aveva rievocato l'arresto subito nel 1931 quando, dopo una sentenza emessa dal tribuna­ le di Giaffa, fu accusato, insieme a un suo compagno, Mal).mud al-Maghribi 19, di far parte di un'organizzazione clandestina comunista. 173

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Il poeta e drammaturgo Mu'In Bsisu, invece, è autore di un'auto­ biografia scritta sotto forma di diario, Quaderni palestinesi, Memorie di prigione, pubblicata a Beirut nel 1969, in cui aveva attentamente anno­ tato la dura esperienza del carcere: La cella mi ha insegnato a viaggiare verso spazi lontani, e a scrivere anche verso spazi lontani. Il carcerato sempre viaggia con la mano nell'acqua e tenta di scri­ vere con la voce. [ . . . ] Sul muro della cella i carcerati scrivono i loro nomi grat­ tando il muro con bottoni della camicia o con un chiodo. La prima cosa che fa il carcerato è di scrivere il suo nome sul muro della cella, sempre scrive il suo nome, la data di arrivo e il paese di origine, a mo' di augurio per il carcerato che dopo di lui verrà. Sempre il carcerato, prima della scarcerazione, ne registra la data quasi volesse dire a suo figlio, o a suo nipote, il futuro carcerato: nessu­ na prigione può essere costruita su un carcerato, nessuno ospedale può essere costruito su un malato 2 0 •

Molti altri saranno poi gli intellettuali arabi dei Territori Occupati o di Israele che, avendo trascorso un periodo della loro vita in un carcere israeliano, hanno rievocato quei tristi momenti nelle loro memorie. Uno dei più noti è stato al-Mutawakkil Taha 21 che nella sua autobio­ grafia La sabbia e il serpente ha parlato della sua esperienza in carcere nel 1988: La prigione è come una freccia che colpisce i nascondigli del cuore e svela i segreti del tempo angosciante, fa del ricordo dell'infanzia e della passione la più amata delle pene e ci descrive attraverso un'immagine di fierezza! La prigione è la tomba di tutte le epoche e nella nostra è un giardino del disonore 22•

In quest'opera narrativa frammentata da versi, al-Mutawakkil Taha rac­ conta i numerosi arresti che seguirono la grande intifada del 1987, e mette in evidenza un altro aspetto dell'occupazione israeliana, peggiore forse della carcerazione stessa: l'assedio fisico e psicologico di cui si sente perennemente vittima la popolazione inerme. Queste memorie fanno parte di quel particolare ramo della letteratura palestinese definita "let­ teratura di An�ar 3 " , che prende il nome dalla prigione Katsi'iut, nel de174

9

L'AUTOBIO G RAFIA N E LLA LETTERA T U RA PALESTIN E S E

serto del Negev, dove Israele internava, all'indomani dell'intifada, i fau­ tori dell'insurrezione popolare 23 • Il carcere nei racconti di molti autori arabi divenne con il tempo un vero e proprio "laboratorio culturale" dove i poeti-prigionieri componevano e declamavano i loro versi, im­ mediatamente memorizzati e trasmessi agli altri prigionieri, imitando così le antiche tenzoni poetiche degli arabi del periodo preislamico. Nelle sue memorie al-Mutawakkil Taha fornisce dettagli sulla sua esperienza di prigioniero politico, rinchiuso per ben tre volte, dal feb­ braio del 1988 alla primavera del 1989, nella prigione "An�ar 3 " : Mi trovavo con trenta ragazzi e uomini in una cella che non avrebbe potuto con­ tenerne più di quindici, dovevamo fare i nostri bisogni in un barile di plastica schifoso che traboccava di escrementi, e che a volte vacillava sotto il peso di chi si sedeva sopra. . . e a volte si rovesciava. Questo accadeva spesso, così la camera e le coperte erano piene di sporcizia ed emanavano un fetore asfissiante; di conse­ guenza preferivamo non mangiare e bevevamo solo tanta acqua. Lavarsi era un sogno praticamente impossibile data la mancanza di sapone e di shampoo ! 24

In un altro brano lo scrittore ricorda poi i " loculi" in cui i detenuti venivano rinchiusi per punizione: Questi loculi erano una stanza di mattoni e cemento armato, alta settanta centi­ metri e larga altrettanti, con una porta di ferro spessa, all'interno della quale ve­ niva spinto il carcerato legato con le manette e con in testa un sacco di tela nau­ seabondo 2 5 •

L'esperienza del carcere è trattata, invece, in modo anche sarcastico da Ma.Qmiid Darwish, più volte passato per le prigioni israeliane dal 1961 al 1970, quando nel suo citato libro di memorie, Una memoria per l'oblio, si ricorda di quando stava in carcere e sentiva la mancanza della tazzina di caffè: Ma non mi sono mai abituato alla mancanza del caffè del mattino, né a bere quella risciacquatura che è il tè. Che sia per questo che non mi sono adattato alla prigione ? Un'amica, dopo che mi rilasciarono dalla prima prigionia, mi chiese: " Ti è andata bene ?" e io risposi: " No, perché non danno il caffè " 26 •

La notoria passione di Ma.Qmiid Darwish per il caffè compare poi in molte sue poesie, come in quella dedicata a sua madre: 175

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

Ho nostalgia del pane di mia madre del caffè di mia madre della carezza di mia madre ho nostalgia. [ . . . ] 27.

Sono sicuramente ancora molte le autobiografie della letteratura palesti­ nese che si dovrebbero qui citare. A mo' di esempio se ne ricordano solo due delle più recenti e delle più note anche in Occidente: Ho visto Ra­ mallah 28 , di Murid al-Barghuthi ( 1944) , e Sempre nel posto sbagliato ( Out of Piace) 29 del grande intellettuale palestinese Edward Said (1935-2002) . al-Barghuth1 30 ci parla dell'esperienza commovente del suo ritorno in Palestina nel 1996, dopo decenni di ghurbah in Ungheria e in Egitto, afflitto da un'incurabile nostalgia, mentre Said, in questa sua opera, scritta in inglese, ripercorre la storia della sua infanzia al Cai­ ro e poi negli Stati Un i ti, dove la famiglia si era trasferita 31• Interessanti sono le considerazioni di al-Barghuthi che rivede la realtà che lo circonda con gli occhi di un outsider, confrontandosi con il paesaggio e con chi è rimasto: Dicevo ai miei amici egiziani che la Palestina è verde, coperta di alberi , cespu­ gli e fiori selvatici. Cosa sono queste colline spoglie e aride ? Mentivo ai miei amici ? Oppure Israele ha trasformato la via verso il ponte in una strada desola­ ta che non ricordo di aver mai visto durante la mia infanzia? Ho dato agli stra­ nieri un'immagine ideale della Palestina perché l'avevo perduta ? 32

Edward Said, che ha scritto anche la presentazione a queste memorie di al-Barghuthi, mette in evidenza i molti tratti in comune con l'autore, dal momento che anch'egli ha vissuto tutta la vita lontano dalla Palesti­ na, sognando un improbabile ritorno. Avendo compiuto un viaggio simile a Gerusalemme (dopo un'assenza di qua­ rantacinque anni), conosco bene il miscuglio di sentimenti - felicità, natural­ mente, oltre a rimpianto, dolore, sorpresa e rabbia, tra gli altri - che accompa­ gna un ritorno del genere. La grande novità e l'efficacia del libro di al-Barghuti stanno nel fatto che esso ritrae con precisione e mette a fuoco quel turbine di sensazioni e pensieri che in tali occasioni travolgono qualsiasi individuo. In fondo la Palestina non è un posto qualunque 33.

9

L'AUTOBIO G RAFIA N E LLA LETTERA T U RA PALESTIN E S E

Il tema del ritorno dei palestinesi in visita nel loro paese è ripreso in tut­ te le opere più recenti di questa produzione letteraria che rappresenta uno specchio fedele delle vicende personali degli scrittori e del loro tem­ po, e dei fattori che hanno contribuito alla formazione della loro perso­ nalità artistica ed umana. Nel racconto autobiografico, Le bien des absents, del 2001, di Elias San bar il ritorno in Palestina viene preannunciato da suo padre con toni aman: Quando si va dal sud di Giaffa verso la nostra città al nord, ricordati bene . . . un giorno percorrerai questa strada e non dovrai perderti né avere l'aria di uno straniero che sbarca al Paese . . . alla tua destra troverai Salama, in questo villag­ gio riposa uno dei compagni del profeta e il villaggio è riconoscibile per la cu­ pola del santuario. È circondato da campi di grano e d'avena, di banani e aran­ ci. Salama era un piccolo villaggio ma aveva solo cinque caffè e una piccola compagnia d'autobus, la " Salama-Abassiya Automobile Company". Il villag­ gio è caduto il 30 aprile 1948. Ben Gurion venne a visitare il sito e quel giorno annotò che vi era rimasta solo una " vecchia donna cieca". Dopo Salama passe­ rai per Masudie e poi J arisha, e allora dovrai dirigerti verso J ammasin e . . . U n giorno t u percorrerai questa strada. Ricordati bene i nomi e n o n t i pre­ occupare se non troverai tutti questi villaggi. La maggior parte sono stati rasi al suolo. Non ti preoccupare, essi ti vedranno perché sono ancora là. La terra è ostinata 34 •

Il druso Salman Nap1r, infine, riassume in una sua opera autobiografica dal titolo Memorie gli eventi in comune a molti palestinesi, enunciando una dopo l'altra le cruente guerre che hanno insanguinato il Medio Oriente a partire dal 1948, e si spinge fino a rimproverare i genitori di aver fatto nascere dei figli in un luogo tanto tragico 35• Quel che si evince, dunque, in questa produzione letteraria, è che, attraverso le opere autobiografiche di tanti scrittori e poeti, scorre la tri­ ste storia della Palestina del xx secolo.

177

lO

Il teatro p alestinese

Teatro d'arte e teatro d'impegno Il teatro palestinese nasce come manifestazione patriottica sin dall'epoca del protettorato britannico, con la messa in scena di spettacoli popolari che si svolgevano principalmente nelle piazze e nei circoli letterari delle varie città della regione. La prima opera teatrale rappresentata nel 1918 al Circolo letterario di Gerusalemme, presieduto da G amil al-Husayni, fu Saladino, seguita da altre pièces dal contenuto essenzialmente storico-religioso 1 • Un ruolo importante per lo sviluppo del teatro nella regione fu svolto dalle numerose chiese cristiane che iniziarono a infondere nei giovani l'a­ more per questo genere letterario nuovo e di importazione occidentale 2, rappresentando, oltre a drammi di carattere religioso, opere di stampa na­ zionalista che, anche se non sempre di eccelso livello, ben rispondevano alle esigenze pedagogiche e politiche di quel momento storico. Nei semi­ nari e nei teatri parrocchiali cominciarono poi a essere rappresentati i classici del patrimonio universale da Shakespeare a Molière, e anche le opere di autori più moderni come Nietzsche, del quale, nel 1916, fu mes­ so in scena I ladri dellaforesta nella Scuola al-Mi!ran a Gerusalemme. Una caratteristica del nascente teatro palestinese, e molto diffusa nel mondo arabo di quel tempo, è l'assenza di attrici e di ruoli femminili che, in genere, venivano affidati ad adolescenti o a uomini, perché per la società dell'epoca era disdicevole che una donna, cristiana o musulmana che fosse, calcasse le scene. Per ovviare a questo problema, G amil al-Bal)ri e molti altri artisti, predilessero per i loro lavori soggetti storici, in cui potevano facilmente fare a meno di introdurre personaggi femmi­ nili, agevolati dal fatto che la storia universale narra soprattutto epopee maschili. Come drammaturgo, al-Bal)ri scrisse diverse pièces teatrali, ma viene ricordato innanzi tutto per l'opera Ilprigioniero del castello, pubbli­ cata a Haifa nel 1920. Malgrado la sua breve vita, G amil al-Bal)ri, che 179

CENTO A N N I DI C U LT U RA PALES T I N E S E

aveva una trentina d'anni quando morì, ebbe un ruolo molto attivo nel­ la cultura palestinese del primo Novecento. All'inizio del xx secolo arrivarono in Palestina anche compagnie iti­ neranti arabe, egiziane e libanesi, che vantavano un'esperienza artistica già consolidata, e che con le loro rappresentazioni in tutto il mondo ara­ bo contribuirono a rafforzare questo genere letterario e ad attrarre molti giovani intellettuali. Tra le compagnie egiziane che si esibirono in Pale­ stina tra il 1925 e il 1933 ebbero un gran successo quelle di Nagib al- R1Qan1, di 'Ali al-Kassar e del libanese G Cug Abyaçl che presentò Luigi XI, Edipo re e Tartujfe. Nella compagnia " Rams1s " di YusufWahbi reci­ tarono le prime donne musulmane della storia teatrale araba 3, tra le quali la mitica Rose al-Yusuf, Zaynab Sidq1 e Fa!imah Rushd1. Nel 1933 questo gruppo teatrale presentò Rasputin e Il segreto della confessione. Per lo sviluppo e l'affermazione del teatro in Palestina, un ruolo de­ terminante fu comunque svolto dalle emittenti Radio Gerusalemme e Radio Vicino Oriente che, grazie ai fratelli Saliba e Na�r1 al- G awz1, tra­ smisero diverse commedie, coinvolgendo un sempre maggior numero di ascoltatori. I fratelli al- G awz1 inaugurarono quello che si può definire un teatro sociale, e si stima che negli anni venti a Gerusalemme operassero una trentina di compagnie che rappresentavano, accanto ai classici mondia­ li, lavori dal contenuto sempre più marcatamente politico 4. Fu soprat­ tutto Na�r1 al- G awz1, nato nel 1908 a Gerusalemme e morto nel 1996 in Siria, a cimentarsi in opere politiche, a partire dalla denuncia della ven­ dita di terreni palestinesi alle organizzazioni sioniste, argomento che preoccupava molto gli intellettuali dell'epoca. Nel 1928 Na�r1 al- G awz1 fondò l'associazione teatrale " Le arti e la rappresentazione" e una sua compagnia che, nel 1933, mise in scena La verità sovrasta, scritta nel 1 927. Per questo drammaturgo il compito del teatro non doveva essere solo quello di intrattenere il pubblico, ma so­ prattutto di educare le coscienze e metterle in guardia su quanto stava accadendo in Palestina. Egli compose atti unici, anche molto brevi, e per questo facilmente rappresentabili nelle scuole e nelle parrocchie del­ la regione, incoraggiando così i più giovani ad avvicinarsi a questo gene­ re artistico. Malgrado fosse di fede cristiana, egli attinse ispirazione per alcune sue opere dal grande patrimonio islamico. Qualche anno prima della sua morte scrisse un'opera sulla storia del teatro palestinese che pubblicò a Cipro 5• 180

10

IL TEATRO PALESTIN E S E

Un posto importante nella storia di questa produzione spetta poi alla scrittrice e poetessa Asmà Tuhi che scrisse diversi lavori teatrali, tra i quali L 'o rigine dell'albero di Natale, Lo sterminio dello zar di Russia e del­ la suafamiglia del 1925, Donne e segreti, sempre negli anni venti, e La pa­ zienza e la gioia, del 1943. Negli anni quaranta ci fu un ulteriore sviluppo della produzione teatrale, grazie a una figura religiosa, l'archimandrita Is�Ifan Yusuf Sali m (1913-1983) di Nazaret che aveva studiato per un certo periodo in Italia. Egli scrisse numerosi lavori come I prigionieri della libertà e La tragedia di San Pietro, senza trascurare il repertorio musicale al quale dedicò una pièce dal titolo La musica è la migliore cura. Negli anni cinquanta la caratteristica del teatro arabo nel giovane Stato di Israele è data dalla presenza di compagnie arabo-israeliane in cui si esibivano indifferentemente attori appartenenti alle due comuni­ tà. Inizialmente furono soprattutto gli intellettuali ebrei provenienti dal mondo arabo, e principalmente dall 'Iraq, a dare un contributo originale a questa nuova produzione teatrale, e la collaborazione arabo-israeliana in questo settore artistico è forse il dato più significativo del panorama culturale di quel periodo, anche se bisogna aspettare gli anni sessanta per avere opere di maggior spessore e più mature. Nel 1962, infatti, na­ sce a N azaret il circolo al-Histradut, che dipendeva dal Sindacato dei la­ voratori. Si trattava di una compagnia teatrale, diretta dallo scrittore Ibrahim Shuba� che presentò alcune interessanti pièces, tra le quali Il contratto, del grande drammaturgo egiziano Tawfiq al-l:faktm, e il clas­ sico francese I Miserabili. Nel 1965, sempre a Nazaret, fu fondato "Il teatro moderno" che rappresentò diversi lavori sia arabi sia stranieri. La direzione artistica fu affidata a An�wan Sali}:l, nato a N azaret, che aveva studiato regia in Francia e che sarà considerato un modello per molti giovani registi. In questo teatro, che rimase attivo fino ai primi anni settanta, lavorarono artisti come Vietar Qamar e Sub}:l1 Damun1. Nel 1965, a Haifa, un altro letterato molto versatile, Tawfiq Fayyaçl, affronta in maniera ancora più esplicita la tragedia del popolo palestine­ se nel dramma dal titolo La casa della follia. In quest'opera lo scrittore riversa tutta la solitudine e l' isolamento che sente in quanto arabo di Israele: lo stesso «isolamento e solitudine del popolo palestinese nell' af­ frontare il proprio destino completamente da solo, e nell'affrontare, sempre da solo, la lotta per la sua liberazione e la liberazione della pro­ pria patria» 6• 181

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

I drammaturghi palestinesi della diaspora fondano compagnie e asso­ ciazioni teatrali nei vari paesi arabi che li ospitano: a Damasco, ad esem­ pio, nel 1966 viene creata l'Associazione del teatro arabo palestinese che, a partire dalla capitale siriana, fa conoscere in tutto il mondo arabo opere in cui sono messe in risalto le sofferenze del popolo palestinese. Anche famosi scrittori e poeti dalla diaspora, come Ghassan Kanafani e Mu'in Bsisu, compongono significative opere teatrali negli anni che vanno dal 196o al 1970. Nel 1 9 62 Kanafani scrive un dramma dal titolo La porta 7 in cui, se­ condo quanto dichiara egli stesso, «riprende un'antica leggenda araba, apportando poche modifiche all'originale» 8• Si tratta del racconto della lotta impari che un semplice uomo, Ad, re di un'antica tribù, ha ingag­ giato contro il Dio Huba, uno dei tanti idoli dell'Arabia preislamica, qui raffigurato come il potere assoluto a cui ribellarsi per non rimanere oppressi. In quest'opera Kanafani non nomina neanche una volta la sua amata patria, ma i riferimenti alla questione palestinese sono piuttosto evidenti, come è pure palese che per l'autore la terra della Palestina rap­ presenta quel paradiso che l'uomo non deve conquistare, ma plasmare fin dalle origini: «Non c'è nessun paradiso, - afferma uno dei protago­ nisti - e se ve ne fosse uno, non potrebbe compensare degnamente le pene della vita» 9. Di notevole interesse è inoltre l'opera teatrale del poeta Mu'in Bsisu. Nato a Gaza nel 1927, dopo il 1948 inizia la sua diaspora in diversi Stati arabi tra i quali l'Egitto, dove aveva studiato e dove collaborerà al presti­ gioso quotidiano "al-Ahram". Militante comunista, viene perseguitato e imprigionato in Egitto, che lascerà poi alla volta di altri paesi arabi, tra i quali l'Iraq e il Libano. A Beirut Bsisu collabora all'ufficio politico del­ l' O L P , ma nel 1982, con l'espulsione dei palestinesi, è costretto ad andare via. Si trasferisce infine a Londra dove muore nel 1984. N el dramma Sansone e Dalila 10 , messo in scena per la prima volta al Cairo nel 1971, Mu'in Bsisu ritrae la tragedia della Palestina attraverso la rivisitazione in chiave moderna del racconto biblico di Sansone e Dalila. Quest'opera è un'allegoria della situazione prima del 1965, anno in cui viene fondata l' O L P , e ogni personaggio rappresenta un chiaro simbolo legato alle vicende palestinesi. In particolare una donna, Rim, raffigura l'evolversi della presa di coscienza da parte del popolo, e a questo perso­ naggio l'autore affida il messaggio finale, e cioè che solo l'unità del po­ polo potrà essere l'arma che sconfiggerà il nemico.

10

IL TEATRO PALESTIN E S E

Mazin:

Il maestro disse: " Disegna! " " Disegno cosa?" " Una banana. " Piansi finché il maestro mi sussurrò all'orecchio: " Non hai mai visto una banana ? " Gridai: " Mio padre possiede un frutteto. N o i possediamo un bana­ neto a Giaffa ! " I ragazzi risero. Chi non riderebbe, padre. Quel ragazzo il cui padre possiede a Giaffa un bananeto non ha mai visto una banana? Chi non riderebbe delle tue carte, della tua chiave ? La madre: Ma chi non riderebbe delle tue parole ? Se tuo padre aveva conser­ vato una chiave in mano, perché non l'hai presa tu ? Perché non l'hai innalzata come un vessillo e non hai combattuto per la fine­ stra e la porta ? Perché non l'hai affilata come un pugnale, per tra­ figgere il volto del tuo nemico ? Mazin: Il volto del mio nemico ? lo non ho mai visto il volto del mio nemico, madre. N o n so chi sia, madre. T e lo chiedo adesso, rispondimi ! È questa luce rossa? Il volto del mio nemico ? [ . . . ] o questi fili spi­ nati qui davanti [ . . . ] Ci dicevi: nel terzo anno torneremo. Il mae­ stro ci diceva: nel quarto anno torneremo. La radio ci diceva: nel quinto anno torneremo. I giornali dicevano . . . La prima danzatrice del cabaret diceva. . . Le canzoni dicevano . . . Il cinema e la televisio­ ne, e questo teatro hanno detto e continuano a dire . . . Passano gli anni e noi diciamo . . . Passano gli anni e noi siamo sempre qui 1 1 •

In un'altra sua pièce dal titolo La tragedia di Guevara, pubblicata al Cai­ ro nel 1969, Mu'In Bsisu ripropone, come altri scrittori, il tema delle sofferenze del Cristo, paragonate ai patimen ti dei palestinesi della sua epoca: Marianna: Nessuno mi conosce tranne te. Nessuno tranne te conosce la mia sofferenza. Quanto è facile scrivere della corona di spine ! Del calice di aceto ! Quanto è difficile ornarsi con la corona di spine ! Bere il calice di aceto ! Quanto è facile battere un chiodo ! Quanto è difficile un chiodo nella palma!

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Ram6n:

Nessuno mi conosce tranne te. Nessuno tranne te conosce la mia sofferenza. Siamo nati per vivere. Perché morire ? Morire per vivere! 1 2

È dopo la naksah del 1967 che avviene un cambiamento importante nel­ la produzione letteraria palestinese, così come nel teatro, che diventa un vero e proprio forum dal quale far sentire la propria voce al resto del mondo arabo. Nel 1967 An�wan Sali}:l fondò a Nazaret "al-Masra}:l al-sha'hi" che poté mettere in scena solo due opere, Il Padre di Strindberg e Il servito­ re di due padroni di Goldoni, prima di cessare ogni attività. In questo teatro si esibirono gli attori Yusuf Fara}:l e Adib l:fahshan di Haifa, che furono i primi arabi a frequentare l'Istituto superiore di recitazione a Ramat Ghan in Israele 1 3 • Ad al-Ramah nacque " al-Masra}:l al-balad1" , un teatro quasi amato­ riale, che vide tra i suoi fondatori Nayif Khur1, il primo arabo a specia­ lizzarsi all'università di Gerusalemme in questo settore. La compagnia, che girò per i villaggi palestinesi, rappresentò opere del repertorio arabo quale Padri efigli di Mlkha'TI Nu'aymah 14. Nayif Khur1 collaborerà poi con il Teatro "al-Nahiçl" e altri teatri, prima di trasferirsi a Haifa nel 1975. " al-Nahiçl" , fondato nel 1967, ha rappresentato lavori come La tempesta di Shakespeare, Il barbiere di Baghdad del famoso drammatur­ go egiziano Alfred Farag, e vide tra i suoi collaboratori AdTh l:fahshan, Makram Khur1, Sam1r al-Bim, Faryal Khash!bun e altri. Sempre a Haifa, un altro teatro molto attivo anche nelle scuole del paese fu quello di al-Karmah che mise in scena, con la regia di Fu'ad 'Awçl, La testa del mamelucco Gabir di uno dei massimi drammaturghi arabi del xx secolo, il siriano Sa'd Allah Wannus 1 5 • Numerosi festival di teatro si susseguono poi a Ramallah e a Geru­ salemme. F rançois Abu Salim fonda quella che viene considerata la pri­ ma compagnia professionale del teatro palestinese "al-Balal!n " e da que­ sta sperimentazione nasce nel 1977 la famosa compagnia " al-l:fakawat1", molto conosciuta in Europa e anche in Italia, dove cresce l'interesse per la questione palestinese e, di conseguenza, per la cultura di questo paese. Opere come In nome del padre, della madre e delfiglio (1978 ) , seguito da Magub Mahgub (1980) e Kofor Shamma (1987) , storia di un villaggio cancellato dalla carta geografica 16, vengono rappresentate in molti tea-

10

IL TEATRO PALESTIN E S E

tri del mondo arabo e in Europa, dove la compagnia si esibisce in diversi festival . A Gerusalemme nascono il Centro artistico "al-Was1�1", del gruppo musicale Sabr1n, nonché numerosi centri culturali e sociali che si prefig­ gono, tra l'altro, di incoraggiare le tradizioni del folclore locale, diffon­ dendo, ad esempio, la dabkah, danza popolare della regione siro-pale­ stinese. Nella parte orientale di Gerusalemme si afferma la compagnia "al-Qa�abah " di Georges Ibrahim, nata negli anni settanta, che mette in scena lavori importanti da un punto di vista politico oltre che artistico. Interessante è la versione palestinese di Romeo e Giulietta, in cui i Mon­ tecchi parlano arabo e ritraggono i palestinesi, e i Capuleti parlano ebraico e rappresentano gli israeliani. C'è poi il Teatro " al-Maydan " fondato a Haifa nel 199 5 con la dire­ zione di Makram Khur1. Questo teatro, a differenza degli altri, allestisce spettacoli che incontrano il gusto di un pubblico più esigente, incorag­ giando autori locali a scrivere. N el loro repertorio si trovano opere di Wannus, come Il re è il re, fino ai lavori di Alfred Farag e di Dario Fo 17. In un breve excursus della storia del teatro palestinese, va poi se­ gnalata la compagnia dal simbolico nome " 'lnad" (ostinazione) , fon­ data nel 1987 a Bayt G ala, che ha una sezione di teatro per ragazzi e che mette in scena opere di Kanafan1 o del siriano Wannus. Solo nel 2 o o o la compagnia, che oggi si è sciolta, aveva realizzato ben 203 rappresen­ tazioni nel sud della Cisgiordania, a cui aveva assistito un gran numero di bambini dei villaggi e dei campi profughi nell'area di Betlemme e Hebron. Questo gruppo si proponeva di incoraggiare l'educazione tea­ trale nella scuola pubblica allo scopo di formare una società civile, edu­ cando la generazione più giovane alla democrazia e al pluralismo. Con la messa in scena di Fino a quando ? ( Unti! When ?) , diretta da Ra' idah Ghazalah (Raeda Ghazaleh) , la compagnia ha partecipato nel 2001 al Festival del teatro sperimentale del Cairo e a quello di Amman in Gior­ dania. Lo spettacolo dall'indicativo titolo Natale e Ramadan, rappre­ sentato anche in diversi palcoscenici italiani, sta a indicare la secolare pacifica convivenza dei cristiani e dei musulmani in Palestina. No n si può fare a meno di citare, infine, un drammaturgo israeliano molto amato dagli arabi, Chanoch Levin (1943-1999), che in diversi suoi lavori si è schierato dalla parte dei palestinesi, denunciando la poli­ tica dei nuovi insediamenti in Cisgiordania. Nel dramma scritto in

C E N T O ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

ebraico lo, tu e la prossima guerra, l'autore critica apertamente le scelte israeliane perseguite dopo il 1967, mettendo in crisi i valori della politi­ ca israeliana. Un posto a parte merita poi Emil l:fabThi, di cui si è a lungo parlato come romanziere, autore di un dramma, Casi della vita 18, pubblicato nel 1 9 62. Protagonista è una famiglia che racchiude in sé ben quattro generazioni di palestinesi con i rispettivi punti di vista: ci sono i vecchi, legati alla memoria del passato; i figli che, pur lottando per la stessa cau­ sa arabo-palestinese, militano tutti in movimenti diversi e sono quindi in contrasto tra loro; i più giovani invece rappresentano la generazione inerme che soffre a causa delle grandi difficoltà in cui vivono quotidia­ namente. Ma il vero protagonista del dramma risulta essere un compo­ nente della famiglia esule, il cui unico sogno era quello di ritornare fi­ nalmente nella propria patria, nella propria casa, dalla propria famiglia. Il suo rientro, però, causerà soltanto scompigli che si concluderanno con una nuova fuga, o meglio, con la sua rinnovata scomparsa dalla sce­ na. L'opera, che è scritta in lingua colloquiale, mostra tutta l'inconfon­ dibile vena ironica di l:fabThi che arricchisce il vivace dialetto parlato dai palestinesi con i suoi consueti virtuosismi lessicali. Ma non si può parlare di Emil l:fabThi senza soffermarci sull'indi­ menticabile interprete della versione teatrale del suo Pessottimista, il fa­ moso attore e regista MuQ.ammad Bakr1. Nato nel 19 53 in Galilea, Bakr1, come l:fabThi, è un arabo di Israele, ben integrato nel nuovo Stato, che non ha mai dimenticato, però, di es­ sere anche un arabo palestinese. Ha recitato in arabo e in ebraico nei principali teatri di Israele e della Cisgiordania. N el suo repertorio ci sono opere di Garcia Lorca, Arthur Miller, Mul).ammad al-Maghur e Georges Shahadah, ma anche di autori israeliani come Yehoshua Sobol. Al " Khan Theatre" di Gerusalemme e al teatro "al-Qa�abah " di Ramallah, l'attore ha riscosso un grande successo recitando nella versione araba di Romeo e Giulietta, in una co-produzione arabo-israeliana del 1994. Al suo grande amico Emil l:fabThi, Bakr1 ha dedicato un documen­ tario, Da quando te ne sei andato (Since You 've Been Gone) , in cui rac­ conta, sulla tomba dello scrittore a Haifa, il deteriorarsi della situazione politica e sociale negli ultimi anni. « È stato il mio maestro - ha dichiara­ to l'attore in una recente intervista -, è lo scrittore che più amavo, i suoi racconti sono molto belli e importanti, hanno una visione ottimista, in lui vedo un modello di speranza e di dignità. Per questo mi sembrava t86

10

IL TEATRO PALESTIN E S E

importante provare a raccontargli come si vive nel nostro paese da quando lui non c'è più. In questi anni il conflitto tra Israele e Palestina sembra essersi indurito, il futuro sembra molto difficile . . . La seconda lntifada ha reso la nostra realtà molto dura. So bene che la disperazione, l'umiliazione, la fame, la violenza dell'occupazione scatenano altra vio­ lenza. Ma l:fabTh1 che, come me, era contro la violenza, non avrebbe condiviso le attuali forme di lotta. Combattere uccidendo insieme a te altre persone innocenti, non ha senso» 19.

11

La Palestina nel cinema

Film e documentari per raccontare la storia La cinematografia araba, in genere, è ancora poco conosciuta in Occi­ dente, anche se negli ultimi anni si è assistito in molti paesi europei a un moltiplicarsi di iniziative e di festival che hanno mostrato a un pubbli­ co, seppure di nicchia, politicamente impegnato e terzomondista, film e documentari di cineasti provenienti dalla sponda meridionale del Me­ diterraneo. La questione palestinese in tutta la sua complessità è stata oggetto di molte sceneggiature da parte di registi del mondo arabo che, nei loro corti e lungometraggi, hanno cercato di far conoscere realtà poco note al di fuori dell'ambito locale, con un sottile intreccio tra rappresentazione artistica e realtà politica, che la cinematografia rende in maniera ancora più esplicita rispetto alla produzione letteraria. Ed è per questo che una tale trattazione, seppure sintetica, trova spazio in queste pagine. Naturalmente si tratta di una produzione apparentemente monote­ matica, come monotematica è quasi la totalità della produzione lettera­ ria nella regione mediorientale: nuove guerre e nuove tragedie fornisco­ no infiniti spunti ai vari registi 1• In un primo momento sono i cineasti della diaspora che riescono ad imporsi sulla scena internazionale e a far trasmettere i loro film nel cir­ cuito di distribuzione europeo; in un secondo momento, anche alcuni film di registi che vivono nei territori palestinesi o in Israele arrivano ad essere proiettati nelle nostre sale cinematografiche. Oggigiorno è co­ munque molto più facile di una volta conoscere questa cinematografia grazie a molte iniziative come, ad esempio, il progetto "Dreams of a N ati o n " che, tramite un sito internet, fornisce informazioni su registi palestinesi e sulla loro più recente produzione cinematografica 2• Registi arabi, soprattutto egiziani e iracheni, hanno dedicato alla Palestina alcune delle pellicole più significative della storia del cinema

C E N T O ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

arabo, mettendo in scena i capolavori della narrativa araba contempora­ nea, nel felice binomio cinema-letteratura. Inizialmente è stata la cine­ matografia di Stato siriana ad aver incoraggiato e sostenuto, attraverso l'Organismo generale del cinema siriano, film sulla Palestina, ad opera di registi anche non siriani. Un ruolo importante ha svolto la nota rivi­ sta cinematografica " al-Hayah al-sinima'iyyah " , nata a Damasco negli anni settanta, che ha sempre dedicato molto spazio a questa tematica, pubblicando per intero copioni di sceneggiature di famosi film. Da parte palestinese, intanto, sono nate varie strutture che si sono organizzate per sostenere i cineasti e i loro film. Nel 1968 fu fondata ad Amman, e successivamente trasferita a Beirut, l'Unità dei film di Pale­ stina, poi il Gruppo del cinema palestinese, sostenuto dall' O L P e trasfor­ matosi più tardi nell'Organizzazione del cinema palestinese e poi, anco­ ra, in Film di Palestina 3. Questi organismi, per mancanza di fondi, hanno prodotto dappri­ ma soprattutto documentari, con i cineasti che hanno svolto allo stesso tempo più ruoli, dal regista allo sceneggiatore, dal cameraman al mon­ tatore. Uno dei primi film della cinematografia palestinese è Con l'anima, col sangue, del 1971, di Mu��afà Abu 'Ali, che ha ottenuto un riconosci­ mento al Festival del cinema di Damasco nel 1972. Il titolo si rifà al noto slogan con cui tuttora la popolazione araba inneggia i suoi leader nelle manifestazioni di piazza. In principio si tratta, in sostanza, di una cinematografia che ha un carattere prettamente militante, al punto che è stato scritto che i cineasti palestinesi imbracciano le telecamere come fucili 4; uno di questi registi, Han! G awhariyyah, viene anche ucciso sul campo, proprio mentre sta fi l mando un ennesimo scontro tra la popolazione e l'esercito israeliano. In realtà questa prima produzione cinematografica si compone di corti e mediometraggi che si prefiggono di mostrare al mondo intero gli abusi degli israeliani e le umiliazioni inflitte al popolo palestinese. Sul piano pratico questi registi incontrano non poche diffi c oltà, al di là del fattore economico, per la mancanza di libertà di girare in Israele o nei Territori Occupati. Questo ostacolo, però, viene, a volte, aggirato con l'aiuto di cineasti europei che, a differenza dei palestinesi, possono, naturalmente, circolare e filmare più liberamente in queste zone. Uno dei capolavori del cinema arabo sulla questione palestinese è Gli ingannati, del regista egiziano Tawfiq SaliQ prodotto dalla Siria nel 1972

11

LA PALES TINA N E L CINEMA

e ispirato al noto romanzo Uomini sotto il sole, dello scrittore Ghassan Kanafan1 5• Il film, che è un vero e proprio cult di questa cinematografia, è stato visto anche in Italia in diversi festival dedicati alla Palestina, non­ ché trasmesso qualche anno fa a notte fonda da Rai 3 · La sceneggiatura, che è molto fedele all'opera letteraria, differisce, tuttavia, in qualche sfu­ matura solo apparentemente insignificante, ma politicamente piuttosto rilevante 6• Anche da un altro famoso romanzo di Kanafan1, nel 1982, è stato tratto un film, Ritorno a Haifa, del regista iracheno Qasim l:fawal, ma, in questo caso, si tratta di un'opera artisticamente piuttosto modesta che cerca di avvicinare emotivamente lo spettatore arabo alla causa della Palestina 7• Una delle prime pellicole significative è Kafr Qasim, del 1974, del regista libanese Burhan 'Alawiyyah, che prende il nome dal villaggio in cui il 29 ottobre del 1 9 56 l'esercito israeliano sterminò molti civili. In un abile incastro tra fiction e realtà storica, il film mostra spezzoni di docu­ mentari dell'epoca, dai discorsi del ra 'is egiziano Nasser alle scene del processo agli ufficiali israeliani, accusati della strage, ai nomi delle vitti­ me, 49 per l'esattezza, che scorrono sullo schermo. Questi film non sono destinati solo ai palestinesi, in improvvisate sale cinematografiche della regione, ma anche al più vasto pubblico ara­ bo, allo scopo di informarlo e, quindi, renderlo partecipe di quanto è accaduto e accade in Palestina e nelle zone abitate dai rifugiati. Ma il vero successo è quando queste pellicole riescono ad uscire dai circuiti arabi e arrivano nei festival e nelle sale cinematografiche europee dove vengono visti dal solito pubblico per lo più simpatizzante per la causa palestinese. Il film si rivela, infatti, uno strumento ancora più efficace del libro, perché può raggiungere un maggior numero di persone anche comple­ tamente a digiuno di storia contemporanea dei paesi arabi. Per avvalora­ re l'autenticità delle loro storie, molti registi fanno sistematicamente ri­ corso nelle loro opere a vecchi spezzoni di documentari, con il rischio che una troppo fedele descrizione della situazione reale appesantisca il film influendo a volte negativamente sulla qualità artistica. La rappre­ sentazione di eroi troppo mi t ici e straordinari e l'eccessivo ricorso a slo­ gan propagandistici se, da una parte, suscitano un immediato impatto emotivo su un pubblico non eccessivamente maturo, dall'altra, possono inficiare la qualità della pellicola stessa. Non bisogna d'altronde dimen­ ticare che, nel caso della cinematografia palestinese, si tratta di una pro-

CENTO ANNI DI C U LT U RA PALESTIN E S E

duzione giovane e che non ha alle spalle l'esperienza del cinema egizia­ no, nato all'inizio del xx secolo. Una svolta qualitativa, secondo alcuni critici cinematografici, è il lun­ gometraggio del 1980 La memoria fertile, di Miche! Khleifì (Khulayfi) , uno dei maggiori cineasti palestinesi, che ci presenta i ritratti della nota scrittrice Sal).ar Khalifah e di una vedova di un villaggio della Galilea, Fara!). tfatum. Le donne, oltre a dover subire quotidianamente i soprusi dell'occupazione israeliana, devono lottare anche contro un'ottusa men­ talità maschilista di una parte della società araba. L'insistenza sull'arretratezza dei costumi patriarcali nella regione è il tema di un altro noto film di Miche! Khleifi, Nozze in Galilea del 1987, che nel 1988 ha vinto il Thanit d'oro al Festival di Cartagine. Il film nar­ ra la storia della cerimonia di un matrimonio che si svolge in un villag­ gio durante il coprifuoco; il padre dello sposo, pur di far celebrare le nozze, si vede costretto a invitare i militari israeliani come ospiti d'onore alla festa. Nel 1990 il regista ha dedicato all'intifada un film, Il cantico delle pietre, in cui una coppia di giovani non deve far fronte soltanto alla drammatica quotidianità della rivolta popolare, ma, ancora una volta, alla retrograda mentalità di alcuni arabi. Michel Khleifi, che è nato a Nazaret nel 1950 e vive a Bruxelles dove insegna all' Istituto superiore di arti e spettacolo, nel 2004 ha realizzato con il regista israeliano Eyal Sivan un altro film, Route 181 , che ha riscos­ so un successo internazionale. Il titolo della pellicola prende il nome dal numero delle risoluzioni dell' O N U del 1947 che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati. In un viaggio virtuale, e al tempo stesso rea­ le, perché i due registi hanno girato per due anni all'interno del paese, si svolge questo film-inchiesta, con interviste agli abitanti delle due comu­ nità, araba e israeliana. Nel 1993 Rashid Mashrawi realizza Coprifuoco che riceve al Cairo la " Piramide d'oro " per il miglior film. Questo regista, che è nato a Gaza nel 1962, nelle sue opere si concentra sulla realtà dei campi profughi che conosce molto bene per esservi vissuto a lungo, prima di trasferirsi a Ra­ mallah dove, nel 1996, ha fondato un centro per la produzione e la dif­ fusione dei film palestinesi. Nel 1998 Mashrawi gira Dietro le mura sulla paradossale condizione di Gerusalemme Est. N el 2002 realizza Ticket to jerusalem che riscuote un grande successo: è la storia di un proiezionista palestinese del campo profughi di Aman che vuole caparbiamente far vedere i propri film ai bambini nei campi e a quelli di Gerusalemme Est nel cortile di una casa occupata da coloni israeliani.

11

LA PALESTINA N E L C I N E M A

In questa breve rassegna di cineasti palestinesi, un posto a parte spetta a Elia ( l liya) Sulayman, nato a Nazaret nel 196o, vissuto a Geru­ salemme e formatosi a New York, dove ha soggiornato dal 1982 al 1993. Nel suo primo lungometraggio, Cronaca di una sparizione del 1996, il regista, che è anche il protagonista del film, si interroga con autoironia sull'identità palestinese minacciata di estinzione. Girata a Gerusalem­ me, la pellicola offre uno spaccato della vita di un paese la cui popola­ zione deve quotidianamente fare i conti con la grave situazione politica e con gli aspri conflitti sociali, fonte di perenni frustrazioni per chi si sente privato di tutto, finanche dell' identità. Il film, che ha fatto scopri­ re a un sofisticato pubblico europeo il talento di questo cineasta palesti­ nese, ottiene il premio per la migliore opera prima al Festival di Venezia del 1996. Al Festival di Cartagine, invece, la pellicola suscitò grandi po­ lemiche. Il pubblico non comprese la sottile ironia del regista che, nella scena finale, fa sventolare la bandiera israeliana: lo accusarono, infatti, di essere sionista 8• Nel 1998 Sulayman realizza Il sogno arabo, che si può sinteticamente definire un viaggio attraverso la quotidiana ingiustizia. Con il mediometraggio Cyber Palestine del 1999, Elia Sulayman nar­ ra in chiave surreale la storia di una coppia di giovani che fa ritorno a Gaza e cerca di evadere dalla quotidianità dell'occupazione israeliana navigando nel cyberspazio. Qui il cineasta mostra allo spettatore tutta la contraddizione di un mondo telematica perfetto che si scontra con la povertà polverosa di Gaza. Il suo secondo lungometraggio, Intervento divino, del 2002, che ha ricevuto il premio della Giuria all'edizione 2002 del festival di Cannes, è stato molto apprezzato per lo stile surreale e onirico. In questa pellicola, di produzione tedesco-palestinese, il regista tratta, infatti, il drammatico conflitto arabo-israeliano con sottile ironia, presentando e interpretan­ do egli stesso, com'è stato spesso rilevato, gag umoristiche alla maniera di Jacques T ati. Sulayman, che con la sua ironica disperazione ha segnato una tappa nella cinematografia palestinese, ha partecipato anche al film collettivo a più voci Guerra del Golfo e. . . dopo del 1991 con un particolare episodio, Omaggio per un assassinio. Fra le cineaste spiccano i nomi di May Ma�r1 e Liyanah Badr, entram­ be impegnate nella realizzazione di documentari che mostrano varie realtà della storia palestinese. Oltre al filmato sulla famosa poetessa Fadwà T uqan, Fadwà, la storia di una poetessa palestinese del 2000, Liyanah Badr ha realizzato nello stesso anno un altro documentario, Ulivi, in cui rac193

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

conta il sistematico sradicamento di piante di ulivo da parte degli israelia­ ni e il tenace attaccamento dei contadini alla loro terra. May Ma�ri, nata nel 19 59 ad Amman da padre palestinese e madre americana, nei suoi film-documentari presta una particolare attenzione all'infanzia dei Territori Occupati e dei vari campi profughi, dove la gente vive e cresce perennemente sotto il coprifuoco. Sull'argomento ha realizzato i film-inchiesta Children ofFire e Children ofShatila, ma forse l'opera più riuscita della regista è Frontiers ofDream and Fears (tradotto in arabo con Abliim al-manjà) del 2001 , in cui due ragazzine presentano due realtà diverse: una vive in Libano, nel campo di Sha�Tia, l'altra a Dheisha, nei pressi di Betlemme. Malgrado l'impossibilità di incontrar­ si, le giovani riescono a conoscersi per via telematica e, grazie a internet, stringono un'amicizia coronata da uno straziante incontro dietro il filo spinato che segna il confine tra il Libano del Sud e Israele. Molti altri sono i film palestinesi o sulla Palestina che andrebbero qui citati. Un evento internazionale è stato sicuramente la proiezione nelle sale cinematografiche anche occidentali della pellicola La porta del sole, del regista egiziano Yusri N a�rallah, frutto di una coproduzione franco-egiziana. Il film, uscito nel 2004, è tratto dal citato romanzo del noto scrittore libanese Elias ( l lyas) Khurl. Ma forse il film che ha fatto più discutere recentemente è Paradise Now, del regista palestinese Han! Abu As'ad, uscito nel 2005, che affronta il drammatico tema dei giovani diseredati, facili prede di crudeli organizzazioni pseudo-religiose che li istigano a compiere azioni terroristiche suicide. Negli ultimi anni sono usciti nelle nostre sale cinematografiche film di registi arabi, israeliani e occidentali, che presentano la questione pale­ stinese da più angolazioni: da Oltre le sbarre, del 1984, di Uri Barbash, a quelli usciti nel 2004 come La sposa siriana di Eran Riklis e Il muro di Simone Bitton, fino ai più recenti apparsi nelle sale nel 2005 come Mu­ nich, di Steven Spielberg, Free Zone, di Amos Gitai, e Pour un seui de mes yeux, di Avi Moghrabi, definito l' enfont terrible del cinema israelia­ no 9 • Anche un giovane regista italiano, Saveri o Costanzo, ha realizzato con attori israeliani e arabi un bel film, Private, del 2004, che però è sta­ to girato in Calabria, non avendo potuto farlo in Israele 10 • Molti di questi film sono stati interpretati da noti attori come Makram Khuri e Mulfammad Bakri che sono considerati delle vere e proprie stelle della cinematografia araba. Nel 2002 Mulfammad Bakri ha anche realizzato, prodotto e interpretato un documentario che ha fatto molto discutere in Israele: ]enin ]enin, sul lungo assedio della 194

11

LA PALESTINA N E L C I N E M A

popolazione del campo profughi di Jenin, culminato in un massacro di civili. Bakri che, come si è visto, nel 2005 aveva dedicato un docu­ mentario all'amico e scrittore E m il I:Iabibi, nel 1998 aveva prodotto un altro documentario dal breve ed eloquente titolo, 1948, in cui ri­ percorreva le tappe salienti della storia palestinese dalla nakbah in poL N o n si può parlare di Palestina nel cinema senza soffermarsi sul re­ gista iracheno Qays al-Zubaydi, nato nel 1939, che ha consacrato la sua 11 opera alla questione palestinese • Dopo aver studiato cinematografia a Baghdad, l'artista parte per la Germania dove affinerà la sua formazione artistica a Berlino, diventata sua città di adozione. Sin dall'inizio egli si interessa alla Palestina e dedica ai bambini pa­ lestinesi il suo primo cortometraggio di venti minuti dal titolo La testi­ monianza dei bambini palestinesi in tempo di guerra, del 1972, seguito da un nuovo documentario nel 198o, La patria dei fili spinati, premiato al Festival del cinema documentario di Lipsia nel 1980. Ma il suo docu­ mentario più famoso è Palestina. . . archivio di un popolo del 1984, in cui Qays al-Zubaydi si avvale di una grande quantità di materiale di archi­ vio e presenta la storia del popolo palestinese dall'inizio del 1900 fino al 1974, anno in cui l'oLP fu riconosciuto come organismo rappresentante la Palestina all'Assemblea generale delle N azioni Un i te. Altre sue pellicole significative sono Donatore di libertà del 1989 e, soprattutto, il documentario sulla nota avvocatessa israeliana Felicia Langer, che tanto si era prodigata per la causa palestinese. Da allora al-Zubaydi persegue il suo percorso di ricerca con lo sco­ po di creare un archivio, catalogando qualunque documentario, film o breve servizio televisivo che abbia a che vedere con la Palestina. «Lo scopo finale - ha dichiarato l'artista in un'intervista - è quello di da­ re alle stampe un'opera dal titolo " Palestina nel cinema " , che racchiu­ da tutte le produzioni cinematografiche che hanno avuto a che fare con la Palestina in qualche modo, comprendendo anche le produzioni 1 straniere» 2 •

195

12

I l fumetto p alestinese

La forza di una vignetta La satira nel mondo arabo non è un fenomeno né nuovo né raro. Le sue origini risalgono all'epoca della naht}ah, quando coraggiosi giornalisti iniziarono a pubblicare scritti umoristici, corredati da disegni e carica­ ture. La vignetta si rivelò ben presto un efficace strumento di denuncia e di critica verso la politica e i suoi rappresentanti che furono facili bersa­ gli di acuti disegnatori, al punto che, com'è ovvio, i primi giornalisti di queste testate furono in breve tempo perseguitati dai vari regimi presi di mira dalle loro penne. In Egitto nel 1877 Ya'qub Sanu' (1839-1 912), considerato il padre del teatro egiziano, fondò al Cairo il giornale satirico "Abu Na?-?-arah Zarqa' " (Quello dagli occhiali azzurri) , scritto in dialetto egiziano e ar­ ricchito da numerose vignette. Nel 1881 un altro giornalista molto ver­ satile, 'Abd Allah al-Nadim, pubblicò la testata "al-Tankit wa '1-tabkit " (L'ironia e il biasimo). Anche questa, come la precedente, in­ corse nella censura e il suo fondatore fu costretto all'esilio 1 • Malgrado ciò, i semi della stampa umoristica erano stati gettati, e i suoi frutti fu­ rono raccolti da molti giornalisti e disegnatori in tutto il mondo arabo a partire dal noto periodico libanese " al-Dabbur " (Il calabrone) , creato da Yusuf Mukarzal nel 192 3 a Beirut. Nella seconda metà del Novecento molti giornali arabi fanno ri­ corso allo strumento della satira e, soprattutto, alle vignette umoristi­ che per denunciare e sintetizzare con un tratto di matita eventi o per­ sonaggi politici, protagonisti della storia mediorientale, in cui la que­ stione palestinese sarà, naturalmente, molto presente. In Palestina e in Israele spiccano i nomi di due affermati pittori, noti anche nel campo del cartoon: Sulayman Man�ur e Walld Abu Shaqrah 2• Nato a Umm al-FaQ.m nel 1946, Walid Abu Shaqrah dipinge in particolar modo i paesaggi con i simboli della terra natia: fichi d' india, mandorli, olivi, 197

CENTO ANNI D I C U L T U RA PALE S T I N E S E

, .

o

�$�� � �l �� " (J�' rJ .j.4 �jo:Ui u � 'Abd 'Abid1, in " al-Adab " , vol. 5 0 , 9 - r o , 2002.

mentre Sulayman Man�ur, nato a Birzeit nel 1947, predilige personag­ gi che esprimono tutto il disagio della popolazione raffigurata in pri­ gioni, dietro un filo spinato, con armi strette in pugno. L'artista ritrae anche rappresentazioni del Cristo in croce, ramoscelli di ul ivo e vivaci orizzonti con i colori della bandiera palestinese in un paesaggio di rin­ novata speranza per il futuro. Oggigiorno sono veramente molto numerosi i caricaturisti che an­ drebbero citati in una sia pure breve rassegna della stampa umoristica della regione. A mo' di esempio, ci limiteremo a ricordare 'Abd 'Àbidl, noto artista arabo di Israele, e la più giovane 'U mayyah G ul)a. Nato nel 1942 a Haifa, 'Ab d 'Ab idi, che ha studiato in Germania, a Dresda, ha pubblicato sulle più prestigiose testate arabe, ed è stato il

12

I L F U M ETTO PALE S T I N E S E

. sedute su delle amtco o d.' un Due do!"ne sono d�' di a _.r arrivo ... roCee •n attes parte eg•z•an a della un ·

·

Joe Sacco, tratto da Palestina, Gruppo Editoriale L' Espresso, Roma

2006.

primo artista palestinese ad aver creato, insieme a uno scultore israelia­ no, un monumento alla resistenza palestinese a Sikhnin, nel nord di Israele, dove risiede. Famosi sono i suoi quadri, ma anche i suoi disegni che ritraggono gruppi di persone accalcate in angosciosa attesa: quasi degli schizzi tratteggiati fittamente in bianco e nero. 'Umayyah G u9a, nata a Gaza nel 1972, è oggi una delle più affer­ mate artiste della Palestina. Le sue colorate e vivaci vignette appaiono regolarmente sul quotidiano "al-Quds " , a cui collabora dal 1 9 9 9 , ma anche sui più noti giornali arabi come il londinese "al-l:Iayah " . Mal­ grado la giovane età, ha già ricevuto diversi premi e riconoscimenti per la sua opera. Le vignette di questi autori appena menzionati e di tanti altri arti­ sti arabi oggigiorno si possono facilmente vedere in internet. Le nuove 199

CENTO A N N I DI C U LT U RA PALES T I N E S E

tecnologie, infatti, si rivelano uno strumento molto utile per i palesti­ nesi; quadri, sculture, disegni, vignette, colorate o in bianco e nero, diventano alla portata di tutti e rompono il loro isolamento. È così che artisti della Cisgiordania, di Gaza, d'Israele e della diaspora si pos­ sono finalmente confrontare e incontrare, anche se solo per via tele­ matica. La questione palestinese è stata anche oggetto di alcune pubblica­ zioni di cartonisti occidentali che hanno cercato di far conoscere attra­ verso i loro disegni le varie fasi della recente storia mediorientale. Famo­ so è il libro di J oe Sacco, Palestina. Reportage a fumetti 3, definito da Ed­ ward Said «Un lavoro politico ed estetico di straordinaria vivacità» 4, e quello di Vauro Senesi, Palestina su carta 5, solo per citare i più noti in Italia.

Nagi al-'Ali

Le vignette di Nagi al-'Ali sono tratte dal sito www. najialai.net.

Eccolo! È lui, Han�alah (Handala) ! Il mitico personaggio dei fumetti arabi più famoso al mondo. Creato dall'acuto stile di Nagi al-'Ali, è di­ ventato con il tempo il simbolo della Palestina: un bambino scalzo e con pochi capelli, ritratto quasi sempre di spalle. 200

12

IL F U M ETTO PALE S T I N E S E

Ma come nasce questo personaggio ? E perché suscita sempre tanto interesse ? Nel mondo del fumetto palestinese, sicuramente un posto a parte spetta a Nagi al-'Ali 6• Nato nel 1937 in un piccolo villaggio nell'Alta Ga­ lilea da una famiglia contadina, ben presto, come tanti suoi connaziona­ li, conosce anch'egli i disagi dell'esule. Il suo villaggio di al-Shagarah vie­ ne cancellato dalle carte geografiche e la famiglia di Nagi al-'Ali trova ri­ fugio a 'Ayn al-l:filwah, nei pressi di Sidone, nel Libano meridionale, in uno dei tanti campi profughi della regione. Malgrado un precoce talento artistico, N agi al-'Ali non potrà dedi­ carsi presto al disegno, come avrebbe voluto, e dovrà interrompere gli studi per trasferirsi a Beirut a lavorare. Spinto da un grande desiderio di migliorare e di riscattare la sua umile vita, nel 1 9 57 parte per l'Arabia Saudita dove rimane, però, solo due anni. Tornato in Libano, a Beirut, si iscrive all'Accademia delle Belle Arti, che non riesce a frequentare re­ golarmente poiché, entrato in contatto con il movimento nazionalista arabo, viene più volte processato e arrestato per militanza politica. Le pareti della cella gli offrono, tuttavia, la possibilità di affinare il suo trat­ to di disegnatore e di caricaturista, con un talento che metterà a frutto una voi ta uscito di prigione. Riesce infine a trovare un posto di inse­ gnante di disegno presso la Facoltà G a'fariyyah nella città di Tiro, dove risiederà per due anni, dal 1961 al 1963. N agi al-'Ali pubblica le sue prime vignette sul quotidiano " al-Yawm " , ma poi, nel 1961, avviene una svolta importante nella sua vita: l'incontro con lo scrittore Ghassan Kanafani che lo mette in con­ tatto con il quotidiano "al-l:furriyyah ". Kanafani, infatti, subito indivi­ dua in Nagi al-'Ali un grande talento che può essere messo al servizio della causa palestinese. I primi disegni appaiono su " al-l:furriyyah " del 25 settembre del 1961 e sono accompagnati da un articolo di Kanafani dal titolo Lui aspetta che noi andiamo in cui lo scrittore avverte il lettore dell'acume e della durezza dei disegni di Nagi al-'Ali, mettendo in evi­ denza la dimensione altamente simbolica delle sue vignette 7. Nasce una profonda amicizia tra i due e Nagi al-'Ali disegna la copertina del primo romanzo di Kanafani, Lo schiavo, che rimarrà incompiuto, mentre ven­ gono pubblicati tutti i disegni che l'artista ha dedicato ai vari capitoli dell'opera. Alla fine del 1961, Nagi al-'Ali, come tanti altri intellettuali palesti­ nesi, tra i quali lo stesso Kanafani, lascia il Libano e si trasferisce in Ku201

C E N T O ANNI D I C U L T U RA PALE S T I N E S E

wait dove inizia a collaborare con la rivista "al-Tali' ah " in qualità di giornalista e vignettista. In Kuwait creerà il suo indimenticabile personaggio, il bambino ljan?-alah, il cui nome trae origine da "al-l)an?-al ", uno spinoso arbusto selvatico della regione, dai frutti amari. tfan?-alah fa la sua prima compar­ sa il t3 luglio del t 969 sulle pagine della rivista kuwaitiana " al-Siyasah ", a cui Nagi collabora. «tfan?-alah è nato in Kuwait dieci anni fa - ha dichiarato l'artista in un'intervista - e avrà sempre dieci anni. È l'età che avevo io quando ho lasciato la mia patria. Quando ritornerà avrà sempre dieci anni e solo al­ lora ricomincerà a crescere. Le regole della natura non si applicano a lui. Io lo disegno come un bambino che non è bello, e non è neanche vizia­ to, grasso, felice e rilassato. È un ragazzino scalzo come quelli dei campi profughi. All'inizio era solo un bambino palestinese, poi la sua coscien­ za si è sviluppata verso orizzonti più universali)) 8. In questo periodo Nagi al-'Ali sogna di andare a studiare all'Accade­ mia di Belle Arti in Italia o al Cairo, ma nel 1974 fa ritorno in Libano e collabora sempre più assiduamente al quotidiano " al-Safir" e ad altre te­ state arabe che ormai si contendono le sue vignette. Dalla matita di N agi al-'Ali nascono altri personaggi indimenticabi­ li, come la bella "zia" tfanifah, rappresentata con il tradizionale abito 202

12

I L F U M ETTO PALE S T I N E S E

" B uongiorno, Beirut " .

palestinese, sempre molto triste, spesso ritratta piangente, ferita, con le stampelle o dietro il filo spinato. " Zia" Hanifah non è una donna dimessa o rassegnata; nei vari dise­ gni mostra coraggio e dignità come quando, ad esempio, è ritratta in­ cinta, alta e imponente davanti a un piccolo soldato israeliano con il mi­ tra, sullo sfondo di un muro su cui è scritta ripetutamente la parola �abran (" pazienza ! " ) . 203

CENTO A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

N e i difficili anni della guerra civile libanese Nagi al-'Al! affina ancora di più il suo talento; l'invettiva grafica delle sue vignette non risparmia né i leader dei regimi arabi né la dirigenza palestinese che, secondo l'artista, si è macchiata di molte colpe. Ben presto l'artista diventa un personag­ gio scomodo per tutti, non solo per gli israeliani che all'epoca, nel 1982, hanno invaso il Libano, ma anche per i politici arabi che finiscono per essere, loro malgrado, gli abituali protagonisti delle sue caricature. I di­ segni di Nagi al-'Al! finiscono così per scandire i vari segmenti della sto­ ria mediorientale. Una sua indimenticabile vignetta, quando l' OLP vie­ ne espulso dal Libano, rappresenta la bella "zia" l:fanlfah ferita, in lacri­ me, che cosparge di fiori il cammino dei palestinesi che stanno lascian­ do la terra libanese. In un diverso disegno questa stessa donna ferita con una mano sorregge una stampella e, con l'altra, sventola una kefiyeh e mostra tutta la sua dignità davanti al piccolo protagonista, l:fan�alah, sempre ritratto di spalle e con le mani incrociate dietro la schiena. In un altro disegno, ancora, questo stesso bambino è disegnato di profi l o, chi­ no a baciare il braccio ferito e bendato di "zia" l:fanlfah, ornata di una ghirlanda di fiori. 204

12

I L F U M ETTO PALE S T I N E S E

Con il passare del tempo, le sue vignette cominciano a creargli qualche problema e per l'artista Beirut non è più un posto sicuro, così nel 1983 decide di ritornare in Kuwait: «Ho lasciato Beirut per motivi politici e non per la mia sicurezza personale>> - confessa N agi al- 'Ali in una inter­ vista rilasciata a un giornale saudita. «Chi deve morire, muore ovunque. Il Centro di ricerche palestinesi era stato chiuso. Al quotidiano "al-Sa­ fir" era stata imposta una censura opprimente, per questo mi sono sen­ tito pronto a tornare sull'altro fronte, in Kuwait, dove attraverso la stampa, relativamente libera, potevo portare avanti il mio impegno e la mia lotta)) 9• In Kuwait "al-Tall'ah " e " Qabas " pubblicano le sue vignette diven­ tate nel frattempo sempre più pungenti, soprattutto quando denuncia senza mezzi termini quei regimi arabi che si sono venduti all'America. La bandiera statunitense comincia a comparire con maggiore frequenza nei suoi disegni, inasprendo anche gli americani che lo accusano di fo­ mentare nei loro confronti il rancore dei lettori arabi 1 0 • Un a sola sua vi­ gnetta, infatti, finisce per esprimere esplicitamente il disagio di tanti arabi e, soprattutto, di tanti palestinesi. Significativo è il disegno che ri­ trae il solito bambino J:Ian�alah, sempre più piccolo, davanti a una gi­ gantesca testa a strisce con un riquadro di stelline, su uno sfondo tap205

C E N T O ANNI D I C U L T U RA PALE S T I N E S E

pezzato a mo' di decoro con una sola parola, "la", che significa sempli­ cemente " no ! " . Famosa è anche un'altra vignetta che mostra due uomi­ ni grandi e grossi che giocano a scacchi in una partita impari , evidente allegoria dei potenti della terra che liquidano senza scrupoli il destino della Palestina. La stessa metafora è riproposta in un racconto breve di Ghassan Kanafani, in cui i soliti due potenti si stanno giocando a tavola reale (tawlah) la vita di un ignaro bambino che simboleggia appunto la Palestina 1 1 • E, ancora, le vignette di N agi al- 'Ali ritraggono enormi barili di pe­ trolio arabo. I barili sono bucati e perdono il prezioso oro nero che sgor­ ga in direzione degli uSA, su un fondale di stelle di Davide, e il tutto so t­ to lo sguardo del piccolo ljan?-alah, che osserva con le mani incrociate dietro la schiena, dando sempre le spalle al lettore. ljan?-alah, questo bambino, innocente e inerme come la popolazione civile palestinese, secondo il suo autore è l'ignaro spettatore di vicende molto più grandi di lui, in cui vitali decisioni vengono prese nelle stanze del potere di Washington, Tel Aviv, Parigi, Londra, ma pure del Cairo e Beirut. E, come ha scritto il noto critico palestinese Fay�al Darrag, anche 206

12

IL F U M ETTO PALESTIN E S E

se questo bambino non è andato a scuola, capisce le cose meglio di tanti 1 professori 2 • All'inizio della sua creazione, Nagi al-'Ali aveva, tuttavia, mostrato l:fan�alah di faccia, come quando lo si vede con una manina aggrappata al filo spinato, oppure quando sventola la bandiera libanese e sul volto ha impresso il numero di una risoluzione dell' O N U , la numero 452, non rispettata da Israele. È la risoluzione del 20 luglio 1979 con la quale il Consiglio di sicurezza dell' O N U in giunge a Israele di interrompere le co­ struzioni di nuovi insediamenti nei Territori Occupati. Poi c'è la svolta: la disparità della forza militare tra le due parti in causa, l'acuirsi delle violenze nei Terri tori Occupati della Cisgiordania e di Gaza, e le delusioni scaturite anche dalla dirigenza palestinese, spin­ gono N agi al-'Ali a girare definitivamente il suo mitico personaggio, che da quel momento in poi apparirà solo di spalle, non mostrerà più il suo volto. Con il tempo l:fan�alah cambierà, non verrà più ritratto come un inerme spettatore, con le mani incrociate dietro la schiena, ma imparerà a reagire a suo modo: ora stringe in pugno un kalashnikov, ora una spa­ da che assomiglia a un pennino o, ancora, una penna stilografica più si­ mile a un missile. E, soprattutto, negli anni ottanta, prima dello scoppio dell'intifada, questo stesso bambino impara a tirare i sassi, da solo o aiu­ tato da altri bambini o da donne che raccolgono per lui le pietre da lan­ ciare al nemico. «Quando disegno, riesco a ritrovare un certo equilibrio interiore, per questo il disegno mi consola ma contemporaneamente mi procura non poche sofferenze. Rispetto ad altri mi ritengo fortunato perché, almeno attraverso le vignette, riesco a scaricare tutte le mie an­ gosce. Gli altri, la maggior parte della gente, non hanno nemmeno que­ sto, assistono alle ingiustizie, ingoiano tutti i veleni e muoiono per la rabbia e il senso di impotenza.» Così aveva dichiarato nel 1984 al quoti­ diano "al-Nida' " 1 3 • Intanto, se da una parte cresce la popolarità di Nagi al-'Ali nel mon­ do arabo, dall'altro cresce l'ostilità nei suoi confronti da parte di chi, come la borghesia araba e palestinese, si sente perennemente attaccato dalla sua satira. E il bambino l:fan�alah, precursore dell'intifada, comin­ cia a dare fastidio veramente a molti. Malgrado sia al massimo della sua popolarità - pubblica il suo terzo libro di disegni - Nagi al-'Ali comincia a sentirsi psicologicamente asse­ diato anche in Kuwait, ma non si lascia intimidire. 207

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

In un'altra intervista, sempre del 1984, aveva dichiarato: «Non devo smettere di disegnare . . . continuerò . . . Se non trovo un giornale disposto a pubblicare le mie vignette, disegnerò sugli alberi, sui marciapiedi» 14 • Con il trascorrere del tempo Nagi al- 'Ali si sente sempre più isolato; le sue vignette, una volta richieste dai maggiori giornali arabi, cominciano a essere censurate. Una parte della leadership araba e palestinese, con le forze più conservatrici, conducono contro l'artista una vera e propria campagna denigratoria, mobilitando i religiosi, sempre pronti a scende­ re in piazza quando vengono istigati, anche se per futili pretesti: si rim­ proverava all'artista di essere ateo e avverso alla religione islamica. E così, in Kuwait, si susseguono manifestazioni di protesta contro Nagi al- 'Ali. A questi attacchi rispondono forze arabe progressiste che difen­ dono l'artista con articoli pubblicati su alcuni giornali della regione. Ma ciò non basta a frenare i suoi diffamatori, tra cui la destra araba in gene­ re e della Palestina in particolare. Si arrivò addirittura al punto di impe­ dire a N agi al-'Ali di partecipare all'annuale giornata palestinese per la Terra che si tenne nella capitale del Kuwait nell'aprile del 1984. L' escala­ tion di questa campagna si concluse con la definitiva espulsione di Nagi al- 'Ali dal Kuwait. Quest'artista, che nel corso della sua vita aveva pub­ blicato oltre quarantamila vignette, è ormai diventato un personaggio scomodo non solo per Israele, ma per molti regimi arabi che si rifiute­ ranno perfino di ospitarlo. Sarà quindi in Europa, a Londra, che N agi al- 'Ali troverà asilo, con­ tinuando instancabilmente e caparbiamente a inondare con i suoi dise­ gni quella stampa araba che è ancora disposta a pubblicarglieli, come il quotidiano arabo "al-ltti}:lad" , organo del Partito comunista, o il gior­ nale giordano " Sawt al-sha'b ". È soprattutto ai palestinesi dei Territori Occupati che N agi al-'Ali si rivolge, per mostrare loro che non sono sta­ ti abbandonati. Ma nell'estate del 1987 un attentato a Londra pone tra­ gicamente fine alla sua vita e a quella che egli considerava una vera e propna mtsstone. O nostro bel vagabondo ci hai lasciato. [ . . . ] O mio povero signore, torturato per il nostro amore, il nostro amore che ci porta alla morte. Il loro odio contro il coraggioso inchiostro [ . . . ]

208

12

I L F U M ETTO PALE S T I N E S E

J:Ian�alah Perla dei sogni, o popolo di orfani quale vittima è immolata nel mio cuore . . . E i l mio cuore che cosa l'ha ingannato Che cosa l'ha ingannato ? 1 5

Così scrive il poeta di Ramallah al-Mutawakkil Taha, nel settembre del 1987. E come lui molti altri saranno i poeti e gli scrittori che renderanno omaggio a Nag1 al-'Al1 e al suo personaggio. Su questo ennesimo delitto rimasto irrisolto si sono fatte varie sup­ posizioni che hanno gettato nello sconforto molti palestinesi. N o n si tratterebbe di un complotto israeliano ma, secondo taluni, le responsa­ bilità dell'assassinio ricadrebbero addirittura sui massimi vertici dell'Or­ ganizzazione per la liberazione della Palestina 1 6• Le cronache dell'epoca parlano di arresti effettuati dalla polizia britannica di agenti del Mossad israeliano, ma anche di quelli dei servizi segreti palestinesi. «Fuoco pale­ stinese ha colpito il palestinese N agi al- 'Ali>> , ha esplicitamente scritto Fay�al Darrag 1 7• Il regista egiziano 'À!if al-Tayyib ha provato a dare un'interpretazione dei fatti, nel corso di un documentario sull'artista, girato in Libano, in In­ ghilterra e in Palestina, intervistando amici e familiari dell'artista scom­ parso 1 8 • Anche un altro regista egiziano, Bash1r al-Dlk, gli ha voluto dedi­ care un film, sollecitato dal famoso attore egiziano N fu al-Shar1f, sconvol­ to dalla notizia di questo ennesimo assassinio politico. Prima di stendere il copione della sceneggiatura, il regista si è documentato su N agi al- 'Ali, ri­ percorrendo le varie tappe della sua vita, dal campo profughi dove aveva trascorso la sua infanzia a Beirut, a Sidone, nel Kuwait, fino a Londra. Il film, uscito nel 1991, ha causato, però, non pochi problemi al regista, ac­ cusato dagli egiziani di essere contro gli accordi di pace di Camp David 1 9 . Citando Ghassan Kanafan1 che, nel suo saggio sulla rivoluzione pa­ lestinese del 1936 aveva scritto: «Chi comanda non combatte e chi com­ batte non comanda», Fay�al Darrag ha detto che «N agi al- 'Ali ha com­ battuto dal giorno della sua nascita fino all'ultima ora della sua vita e ha lasciato dietro di sé uno strano combattente che non comanda, non combatte e non muore!» 20 • 209

CENTO ANNI D I C U LT U RA PALE S T I N E S E

I n un'intervista rilasciata nel 1 9 7 5 , Na gi al- 'Ali aveva infine dichia­ rato: « l o milito per la causa palestinese e non per le singole fazion i pale­ stinesi. Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palesti­ na, che per me si estende dall' Oceano Atlantico fi no al Golfo>>

21 0

21 •

Note

Introduzione 1 La delegazione palestinese era composta da l:faydar 'Abd al-Shafi', l:fanan Mikha'Il Ashrawi, �a'ib 'Ariqat (Saeeb Erakat) , Mamdu� Nawfal. 2 Per nahrjah si intende il risveglio culturale che prese inizio alla fine del XVI I I secolo i n Egitto e nella regione siro-libanese. Cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea. Dalla nahçlah a oggi, Carocci, Roma 2007 (la ed. 1998) . 3 Cfr. l. Pappe, Storia della Palestina moderna, una terra, due popoli, Einaudi, Torino 2005. 4 Cfr. Ghassan Kanafani, Ritorno a Haifa, traduzione di l. Camera d'Afflitto, presentazione di F. Gabrieli (Ripostes 1985), Edizioni Lavoro, Roma 2003, p. 55· 5 Cfr. Samih al-Qasim, Versi in Galilea, a cura di W. Dahmash, presentazione di R. La Valle, Edizioni Q, Roma 200 5 . La poesia I bambini di Rafoh è tradotta da L. Ladikoff, pp. 40-1. 6 Con la stessa guerra Israele occupa anche Gerusalemme Est, le alture del Golan siriano e la penisola egiziana del Sinai. 7 Si tratta della sommossa popolare del settembre del 1970, terminata con la sanguinosa repressione da parte dell'esercito di re l:fusayn, che fece migliaia di vit­ time tra i palestinesi. 8 Cfr. AA.VV . , Le bel/es étrangères: 12 écrivains palestiniens, Centre National du Livre, Ministère de la Culture, Paris 1997, pp. 14-5. 9 Cfr. Prefazione di Edward Said a Murid al-Barghuti, Ho visto Ramallah, traduzione di M. Ruocco, Bisso, Nuoro 2005, p. 8. 10 Cfr. Murid al-Barghuti, Ho visto Ramallah, cit. , p. 30 . Cfr. AA.VV . , Viaggio in Palestina, Nottetempo, Roma 2003 , p. 9· n

l

Il risveglio culturale 1 Figlio del poeta e filologo libanese Na�If al-Yazigi, noto per aver sostenuto che ogni cristiano di lingua araba doveva partecipare, in quanto componente del popolo arabo, alla rinascita della sua patria, è considerato pertanto uno dei più au­ torevoli precursori del movimento nazionalista arabo; cfr. I. Camera d'Afflitto, 211

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

Letteratura araba contemporanea. Dalla nahçlah a oggi, Carocci, Roma 2007 ( la ed.

1998 ) , pp. 36-9. 2 Fondatore all'età di vent'anni della rivista " al-Muqta�af' (Beirut 1876), si tra­ sferì poi nel Sudan, dove nel 1903 patrocinò la nascita del primo giornale arabo lo­ cale, " al-Sudan ". Aderì giovanissimo alla massoneria. Cfr. "Oriente Moderno ", XXXI I , 1952, p. 51; V. Vacca, Storia del risveglio dei popoli arabi in un recente libro di Giorgio Antonius, in "Oriente Moderno ", XIX, 1939, pp. 121-9; I. Camera d'Afflit­ to, Letteratura araba contemporanea, cit. , p. 50. 3 È il verso utilizzato da George Antonius nel suo storico libro, The Arab Awakening, Hamish Hamilton, London 1938, p. 84. 4 Dal termine al-Bab al-'AII (la Sublime Porta) , che indicava il governo dell'Impero ottomano. Il nome si riferisce all'ingresso del Palazzo sultaniale. 5 La lingua dell'Impero ottomano era il turco, che si limitava prevalentemente alla burocrazia. 6 Palestinese di origine libanese e di religione cristiana greco-ortodossa, George Antonius nacque al Cairo nel 1891 e morì in Palestina nel 1941. 7 È stato calcolato che tra gli iscritti alle società nazionaliste arabe, alla vigilia del­ la Prima guerra mondiale, i palestinesi fossero meno di un quinto; cfr. C. E. Dawn, The Rise ofArabism in Syria, in "The Middle East Journal ", XVI , 1962, pp. 148-9. 8 Autore del libro Un réveil de la nation arabe dans l'Asie turque (Paris 1905) in cui viene ampiamente sviluppato il tema dell'inevitabilità di uno scontro fra nazio­ nalismo arabo e nazionalismo ebraico. Cfr. P. G. Donini, Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 189-90. 9 I primi contrasti fra contadini arabi ed ebrei immigrati vengono fatti risalire al 1885-86 e la prima protesta antiebraica, organizzata da parte di commercianti e professionisti per lo più cristiani, al 1891. Cfr. N. Mandel, Turks, Arabs and]ewish Immigration into Palestine, 1882-1914, in A. Hourani (ed. ) , Middle Eastern Affairs, Oxford University Press, London 1965, pp. 77-86. Si veda anche dello stesso auto­ re, The Arabs and Zionism before World War 1 , University of California Press, Ber­ keley 1976, e Y. Porath, The Emergence of the Palestinian-Arab National Movement (1918-1929), Frank Cass, London 1974. 10 Cfr. P. G. Donini, Sull'evoluzione dell'autocoscienza etnica palestinese, in " Quaderni di studi arabi", I, 1983, pp. 105-36. 11 Cfr. Rashid Khalidi, Palestinian Identity. The Construction ofModern Natio­ nal Consciousness, Columbia University Press, New York 1997. Il libro è stato an­ che tradotto in italiano, Identità palestinese: la costruzione di una moderna coscienza nazionale, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 12 Cfr. P. G. Donini, Sull'evoluzione dell'autocoscienza etnica palestinese, cit. , p. 117. 13 Cfr. P. G. Donini, Per una storia economica della Palestina, in " Palestina", 9-11, 1970, pp. 77-104. 14 Il giornale, che era stato fondato ad Alessandria d'Egitto, fu successivamente trasferito a Gerusalemme, poi a Haifa e a Giaffa. 15 Fondato a Haifa da Nagib Na§§ar (1865-1947) che nel 1911 pubblicò un libro 21 2

NOTE

sulla storia e gli obiettivi del sionismo, dal titolo al-�uhyuniyyah: mulakhkha� ta 'rikhiyyan &attà 1905. Secondo N a��ar il sionismo era un movimento razzista che

aveva lo scopo di liberare la Terra Santa dai suoi abitanti originari. 16 Cfr. "Oriente Moderno", v, 1925, pp. 197, 477; VI, 1926, p. 261; V I I I , 1928, pp. 252, 404, 530-1; I X , 1929, pp. 457, 463, 466, 561, 565; X , 1930, pp. 66, 116, 155, 251, 259; X I , 1931, pp. 28-9, 528; X I I , 1932, p. 438; X I I I , 1933, pp. 252-5, 311, 321, 337-9, 341-2; xv, 1935, p. 198. Cfr. Giizif Qoseph) Basil, Amai Zayn al-Din, Tatawwur al-wa 'tfrnamiidhii, qi�a�iyyah .filastrniyyah, Dar al-l:fadathah, Bayriit 1980, p. 28. 17 Fondato da Bandai! Ghurabi. 18 Fondato da Bakri al-Samhiid. 19 Fondato da 'Adii Gabir, fu sospeso pnma dell'inizio della Prima guerra mondiale. 20 Fondato da Tawfiq Sambiid. 21 Noto in Occidente come Jibran Khalil (o Kahlil) Jibran. 22 A Damasco fondò nel 1920 la nota testata "Alif-Ba"' che fece sentire la pro­ pria voce fino alla proclamazione dell'unità siro-egiziana nel 1958. 23 Cfr. " Oriente Moderno ", v, 1925, p. 625. 24 Jbid. 25 In origine settimanale, dal decimo numero cambiò il nome in " al-Nafa'is al-'a�riyyah " diventando quindicinale e successivamente mensile. La rivista, la cui sede fu trasferita a Gerusalemme, continuò a uscire fino al 1912, poi fu sospesa e ri­ prese le pubblicazioni dopo la guerra nel 1919, per scomparire definitivamente nel 1923. 26 Cfr. Rashid Khalidi, Palestinian Jdentity, cit., pp. 162-3. 27 È il nome arabo di San Giovanni d'Acri, l' Akko degli israeliani. 28 Si ricorda, tra l'altro, la pubblicazione del giornale " al-Sam!r", fondato nel 1926 dall'Associazione Islamica di Giaffa. 29 Premio Nobel per la Letteratura nel 1966. Cfr. I. M. Lask, The Story Teller Agnon, in " Palestine Review", I I I , August, 1938, p. 18. 30 Cfr. Gubran Khalll Gubran, Li-naqtabis 'an hum al-tan�rm wa '1-tartrb, in " al-Karmil", 26 settembre 1931, p. 3 · 31 Fondato a Giaffa nel 1934 da Ibrahim al-Shança. 3 2 I l giornale " al-Ghad", bimensile, sopravvisse fino al 1948, mentre " al-Mihmaz" si estinse dopo una breve esistenza di appena un anno. 33 Nel 1900 fondò " al-Usbii' ", nel 1903 " 'Ariis al-Nll" e nel 1924 " al-Ikha' ", spe­ cializzata in traduzioni. Qaba 'yyin si definiva un amico di Tolstoj e tradusse alcune sue opere pubblicate a puntate. 34 Cfr. l:fanna Abii l:fanna, Tala 'i ' al-nahtjah fr Filastrn, 1862-1914, Mu'assasat al-dirasat al-filasç!niyyah, Bayriit 2005, pp. 65-6. 3 5 Cfr. Fadwà Tuqan, Ri&lah �a 'bah, ri&lah gabaliyyah, Dar al-shuriiq, 'Amman 1985, p. 87. Il libro è stato tradotto in inglese con A Mountainousjourney, The Wo­ men's Press, London 1990, e in francese con Le Rocher et la peine. Memoires, Lan­ gues et Mondes, Paris 1997. 36 Cfr. Radwà 'Ashiir, 'An al-kiitibah fr Filastrn wa '1- Urdunn, in Dhiikirah 21 3

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

li '1-mustaqbal, in Mawsu 'ah li '1-mar 'ah al- 'arabiyyah (II), al-Maglis al-A'là

li 'l-Thaqafah, al-Qahirah 2002, p. 301. 37 lvi, p. 302. 38 Sul movimento femminista in Egitto cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 182-90. 39 Cfr. Fadwà Tuqan, Ri&lah �a 'bah, ri&lah gabaliyyah, cit., p. too. 40 Cfr. M. Badran, Feminists, Islam and Nation: Gender and Making ofModern Egypt, The American University of Cairo, Cairo 1996, p. 224. 41 Sulla storia del femminismo arabo in Palestina, cfr. E. Fleischmann, D. J. Gerner, Paper Proposedfor Presentation at the Fulbright Conference "Women in the Global Community , lstanbul, www . lark.cc.ku.edu. 42 Cfr. Radwà 'Ashfu, :4n al-katibah fi-Filastrn, ci t., pp. 301-2. In realtà 'Anbarah Salam al-KhaliciT era una libanese trapiantata in Palestina dopo aver sposato, nel 1929, A!).mad al-Khalidi. 43 Cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 189-90. 44 Cfr. Matiel Moghannam, The Arab Woman and the Palestine Problem, Her­ bert Joseph, London 1937 (Hyperion Press, London 1976). 45 Moglie dell'esponente nazionalista NagTh Na��ar, fondatore di " al-Karmil ". 46 Cfr. Georgette 'Açiyyah Ibrahim, Hudà Sha 'rawi, al-Zaman wa 1-riyadah, Dar 'Açiyyah li '1-nashr, vol. 1, Bayrut 1998, pp. 232-3. 47 Si tratta del n. 146 del 1939. 48 Storica esponente del movimento islamico femminile, nata nel 1917, autrice di un'autobiografia, più che altro memorie di prigione, Giorni della mia vita, in cui de­ scrive la sua militanza nell'Associazione delle signore musulmane, una frangia del Movimento islamico da lei fondato nel 1936 quando aveva solo diciotto anni. Cfr. M. C. Paciello, Zaynab al-Ghaziili al- Gabili, militante islamica egiziana: un modello islamico di emancipazionefemminile?, in "Oriente Moderno ", 2, 2002, pp. 275-319. 49 Cfr. C. Nelson, Doria Shafik, Egyptian Femminist, The American University Press, Cairo 1996, p. 131. 50 Noto nazionalista egiziano, uno dei pionieri della stampa satirica nel mondo arabo. N el t88t aveva fondato al Cairo il giornale umoristico " al-Tanklt wa '1-tabklt". Cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , p. 33 e F. De Angelis, La letteratura egiziana in dialetto delprimo Novecento, J ouvence, Roma 2007. 51 Cfr. B. Baron, The Women s Awakening in Egypt: Culture, Society and Press, Yale University Press, New Haven and London 1994, p. 21. 52 Cfr. Fadwà Tuqan, Ri&lah �a 'bah, ri&lah gabaliyyah, cit., p. 174. "

2

L' incontro con l ' Occidente

t Per diglossia nel mondo arabo si intende la differenza della lingua scritta, che si può definire lingua classica, da quella parlata o dialettale, che varia da paese a paese e da città a città. 214

NOTE

2 Cfr. F. Gabrieli, L 'esperienza russa di Nu 'ayma, in AA . vv . , A Mikhaìl Nu ayma in occasione de/90° compleanno, Istituto per l'Oriente, Roma 1978, p. 5· 3 Movimenti teologici islamici medioevali. Cfr. C. Baffìoni, Filosofia e religione in Islam, Carocci, Roma 1997. 4 Cfr. E. Said, Orientalismo, Feltrinelli, Milano 1999. 5 Cfr. Subhi Hadidi, Figures palestiniennes, in E. San bar, S. Hadidi, J. C. Pons, Palestine: l'enjeu culture!, Circé, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1997, p. 45· 6 7 8

lvi, p. 44-5. lvi, p. 47· Su queste storiche testate della nahtjah, cfr. M. Avino, L 'Occidente nella cultura araba, J ouvence, Roma 2002. 9 Cfr. Elias Sanbar, Figures du Palestinien. Identité des origines, identité de devenir, Gallimard, Paris 2004, p. 95. 10 lvi, p. 48. n Cfr. Subhi Hadidi, Figures palestiniennes, cit., pp. 48-9. 12 lvi, p. 51. 13 Noto intellettuale libanese che visse a cavallo fra il X I X e il xx secolo. Cfr. P. Viviani, Un maestro del Novecento arabo. Fara� Antun, J ouvence, Roma 2004. 14 Cfr. M . Avino, L 'Occidente nella cultura araba, ci t., p. 164. 15 Cfr. Subhi Hadidi, Figures palestiniennes, cit. , p. 6o. 16 Cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea. Dalla nah4ah a oggi, Carocci, Roma 2007 (ta ed. 1998 ) , pp. 165-9. Salamah Musà (1887-1958), noto intellettuale egiziano, è il fautore del laicismo arabo. 17 Cfr. Subhi Hadidi, Figures palestiniennes, cit., p. 66. 18 Cfr. M. Avino, L 'Occidente nella cultura araba, ci t., p. 76. 19 Cfr. S. Descamps-Wassif, Dictionnaire des écrivains palestiniens, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1999, pp. 77-8. Per un ritratto più approfondito di Ru}:l.I al­ Khalidi, cfr. Rashid al-Khalidi, Palestinian Identity. The Construction of Modern National Consciousness, Columbia University Press, New York 1997, pp. 76-88. 20 Il titolo per intero dell'opera è Muqaddimah fi- 'l-mas 'alah al-sharqiyyah

mundhu nash 'atihii al-ulà ilà al- aqd al-thiimin m in al-qarn al-thiimin 'ashar. 21 Cfr. Subhi Hadidi, Figures palestiniennes, cit., p. 37·

22 Sul movimento di traduzione in Palestina a partire dal 1898, cfr. J::l u sam al-KharTh, ljarakat al-targamah fi-FilastTn, al-M u' assasah al-' arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, Bayrii.t 1995. L'autore fornisce inoltre un accurato elenco di un mi­ gliaio di opere tradotte da palestinesi dal 1898 al 1985. 23 Cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 45 e ss. 24 Tra i massimi intellettuali libanesi della prima metà del Novecento. Su di lui, cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 99-100; B. Piro­ ne, Il sistema filosofico-religioso di Mikhaìl Nu 'aymah, in " O riente Moderno", LVI I , 1977, pp. 65-76; AA.vv., A Mikhaìl Nu 'ayma in occasione de/ 90° compleanno, cit. 25 Da " al-Ghirba! ", p. 126, citato in R. Dorigo, Padri e figli, in AA.vv., A Mi­ khaìl Nu ayma in occasione del 9oo compleanno, ci t., p. 148. 21 5

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

26 don 27 28 29 30

Cfr. Sabry Hafez, The Genesis ofArabic Narrative Discourse, Saqi Books, Lon­ 1993, p. 153. lvi, p. 152. Cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 77-80. Da non confondersi con il più noto autore russo Lev Nikolaevic Tolstoj . Cfr. Na�ir al-Din al-Asad, Mu&atfariit 'an Khalil Baydas. Ra 'id al-qi��ah al- 'arabiyyah fr Filastfn, Ma'had al-dirasat al-'arabiyyah al-'aliyyah, al-Qahirah 1963, p. 94· 31 Ibid. 3 2 lvi, p. 6o. 33 Secondo un recente studio sulla nahtjah palestinese, Baydas avrebbe anche tradotto da lingue come il turco, il tedesco, il francese e l'inglese. Cfr. l:fanna Abu l:fanna, Tala 'i' al-nahtfah fi- Filastfn, 1862-1914, Mu' assasat al-dirasat al-fìlasçiniyyah, Bayrut 2005, p. 65. 34 Tuttavia nel prezioso testo di al-KhaçTh, sul movimento della traduzione in Palestina, il suo nome non compare. Cfr. l:fusam al-KhaçTh, lfarakat al-targamah fi-Filastfn, ci t. 35 Con il titolo Qissat May, aw al-kharlfwa 'l-rabf (, pubblicato a Damasco nel 1922. 36 Con il titolo Mudhakkiriit Bzkwzk, pubblicato a Damasco nel 1926. 37 Cfr. Na�ir al-Din al-Asad, Mu&atfariit 'a n Khalzl Baydas, cit. , pp. 51-2. 38 La rivista successivamente cambiò il nome in " Zahrat al-Gamil ", e poi ancora in " Zuhur". 39 Cfr. Guzif Basil, Amal Zayn al-Din, Tarawwur al-wa 'Zfi-namiidhig qi�a�iyyah filastfniyyah, Dar al-l:fadathah, Bayrut 1980, p. 32. 40 Per un'approfondita analisi sul ruolo svolto da 'Adii Zu'aytir, cfr. la tesi di dottorato di C. Baldazzi, Il ruolo degli intellettuali arabi tra Impero ottomano e Mandato: il caso della famiglia Zu 'aytir (1872-1939), Università degli Studi di Napo­ li " L'Orientale" (collana " Dissertationes" ) , Napoli 2005. 41 Cfr. Ya�yà Gabr, Shaykh al-mutargimzn al- 'arab 'A dii Zu 'aytir (1897-1957), Manshurat al-Dar al-waçaniyyah li '1-targamah wa '1-çiba'ah wa '1-nashr, Nablus 1997· 42 Occupazione che durerà dal 1920-1946. 43 Cfr. C. Baldazzi, Due percorsi intellettuali: 'A dii Zu 'aytir e Gustave Le Bon, in " O riente Moderno", Studi in memoria di Pier Giovanni Donini, X X I V , 2-3, 2005, pp. 287-307. 44 Cfr. Chaabane Ben Achour, Ade/ Zuayter ou le sacerdoce du traducteur, in " Qantara", 23, Printemps, 1997, p. 9· 45 Cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , p. 45· 46 Cfr. Chaabane Ben Achour, Ade/ Zuayter ou le sacerdoce du traducteur, cit., p. 9· 47 Cfr. C. Baldazzi, Due percorsi intellettuali: 'A dii Zu 'aytir e Gustave Le Bon, cit. , p. 307. 48 Tra i massimi esponenti della cultura egiziana del xx secolo. Su di lui, cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit., pp. 161-4.

21 6

NOTE

49 Cfr. Chaabane Ben Achour, Ade/ Zuayter ou le sacerdoce du traducteur, cit., p. 9· 50 Cfr. C. Baldazzi, Due percorsi intellettuali: 'Adi/ Zu aytir e Gustave Le Bo n, cit. , p. 306.

3 La produzione letteraria prima del 1 9 4 8

1 Cfr. A}:lmad Abu Maçar, al-Riwiiyah fr '1-adab al-filasrrnt, Dar al-�urriyyah, Baghdad 1980, p. 7; M. Peled, Annals ofDoom: Palestinian Literature 1917-1948, in "Arabica", 26, 1982, p. 150. 2 «Arabic literature in lsrael is stili in its fi.rst stages of development. Yet this li­ terature, now only 18 years old, is a true mirror for ali the aspects of Arab life in lsrael». Cfr. Sh. Moreh, Arabic Literature in Israel, in "Middle Eastern Studies ", I I I , 1967, p. 283. 3 Cfr. Sh. Ballas, La littérature arabe et le conjlit au Proche-Orient (1948-1973), Anthropos, Paris 1980, p. 17. 4 Cfr. J abra Ibrahim J abra, L 'esule palestinese come scrittore, traduzione di A. Cristofori, in " Linea d'ombra", 63, settembre 1991, p. 54· 5 Cfr. P. Cachia, Translations and Adaptations 1834-1914 , in M. M. Badawi (ed.) , Modern Arabic Literature, Cambridge University Press, Cambridge 1992, pp. 23-35· 6 Sulla nascita del romanzo arabo cfr. Sabry Hafez, The Genesis ofArabic Narrative Discourse, Saqi Books, London 1993 e l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea. Dalla nah4ah a oggi, Carocci, Roma 2007 (la ed. 1998 ) , pp. 80-95. 7 Cfr. Sh. Ballas, La littérature arabe, cit., p. 31. Cfr. anche M. Peled, Annals of Doom, cit., pp. 152-3. 8 Cfr. Na�ir al-Din al-Asad, Mu&atfariit an Khalrl Baydas. Ra 'id al-qi��ah al- arabiyyah fr FilasrTn, al-Qahirah 1963, pp. 79-88. 9 Cfr. Yaghi Hashim, ljarakat al-naqd al-adabTfi Filasrrn, Ma'had al-dirasat al'arabiyyah al-'aliyyah, al-Qahirah 1973, p. 156. 10 "Jaffa Gate" in M. Peled, Annals ofDoom, cit. , p. 150, ma " Bah al-Khalil " in Na�ir al-Din al-Asad, Mu&atfariit an Kha/Tl Baydas, cit. , p. 23: il luogo è lo stesso, ma nessun arabo dice "Jaffa Gate", come nessun ebreo parlerebbe di " Bah al-Khalil ". 11 Cfr. A}:lmad Abu Maçar, al-Riwiiyah fr '1-adab al-filasrrnt, cit. , pp. 12 e 29. Per altre notizie su KhalTI Baydas, cfr. S. Descamps-Wassif, Dictionnaire des écrivains palestiniens, lnstitut du M onde Arabe, Paris 1999, pp. 54-5; AJ:lmad 'U mar Shahin, Mawsu at kuttiib Filasrrn, Muna?-?-amat al-ta�rir al-fi.lasçiniyyah, Dimashq 1992, pp. 162-4. 12 Per approfondimenti sulla nascita del romanzo palestinese, cfr. lj:anna Abu Ij:anna, Talii 'i ' al-nahtjah fr Filasrrn, 1862-1914 , Mu'assasat al-dirasat al-fìlasçiniyyah, Bayrut 2005, pp. 97-116. 13 lvi, p. 104. 21 7

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

14 15

lvi, pp. 54-5; M. Peled, Annals ofDoom, cit. , p. 154. 'Isà al-Na'uri (1918-1985), giordano, è stato uno degli italianisti più attivi del xx secolo. Va ricordato per aver tradotto molti tra gli autori più illustri del panora­ ma letterario italiano. 16 Cfr. A}:lmad Abu Maçar, al-Riwtiyah fr 'l-adab al-filasrz-ni, cit. , p. 55· 17 Cfr. Sh. Ballas, La littérature arabe, ci t., p. 29. 18 Cfr. M. Peled, Annals ofDoom, ci t., p. 160. 19 Su questo argomento cfr. A}:lmad Abu Maçar, al-Shakh!iyyah al-yahudiyyah fr 1-riwtiyah al-filasrz-niyyah, in " al-Aqlam", 2, 1979, pp. 24-7. 20 Cfr. R. Dorigo Ceccato, La terra e l'altro nel teatro arabo moderno, in R. Dori­ go Ceccato, T. Parfitt, E. Trevisan Semi, L 'altro visto dall'altro, Cortina, Milano 1992, pp. 38-40. 21 Cfr. A}:lmad Abu Maçar, al-Riwtiyah fr 'l-adab al-filasrz-ni, ci t., p. 56. 22 lvi, p. 54· 23 Cfr. Sh. Ballas, La littérature arabe, ci t., pp. 28-9. 24 Su Shawqi, cfr. I. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 108-9. 25 Cfr. A}:lmad Abu Maçar, al-Riwtiyah fr 1-adab al-filasrz-ni, cit. , p. 43; A}:lmad 'Umar Shahin, Mawsu 'at kutttib Filasrz-n, cit. , pp. 121-3. 26 Pubblicato per la prima volta nell'agosto dello stesso anno nella collana "lqra"' della Dar al-Ma'arif del Cairo, poi in una seconda edizione del 1953. 27 Celebre raccolta di favole arabe di provenienza indo-iranica dell'viii secolo, i cui protagonisti sono animali parlanti. Cfr. la traduzione italiana a cura di A. Bor­ ruso e M. Cassarino, lbn Muqaffa, Il libro di Kalila e Dimna, Salerno Editore, Roma 1991. 28 Cfr. Elias Sanbar, De l'identité culture/le des palestiniens, in E. Sanbar, S. Ha­ didi, J. C. Pons, Palestine: l'enjeu culturel, Circé, lnstitut du M onde Arabe, Paris 1997, p. 46. 29 Cfr. ls�aq Musà al-J:Iusayni, Mudhakkirtit dagagah, Dar al-Ma'arif, al-Qahirah 1943 , p. 9· 30 Ibid. 31 Cfr. Taha J:Iusayn, al-Muqaddimah, in ls�aq Musà al-J:Iusayni, Mudhakkirtit dagtigah, cit. , p. 5· 3 2 Cfr. ls�aq Musà al-J:Iusayni, Mudhakkirtit dagtigah, cit. , p . 40. 33 Cfr. M. Peled, Annals ofDoom, cit. , p. 162. 34 Cfr. Sh. Ballas, La littérature arabe, cit. , p. 34· Il critico israeliano qui con­ trappone l'atteggiamento di ls�aq Musà al-J:Iusayni, «qui suggère l'idée de coopé­ ration, et peut-etre de la coexistence entre les deux peuples en Palestine», a quello di uno scrittore successivo, quale N aga ti �idqi. 35 Cfr. ls�aq Musà al-J:Iusayni, Mudhakkirtit dagtigah, cit., p. 54· 36 lvi, p. 7· 37 lbid. 21 8

NOTE

38 Questa rivista di Ma�mud Sayf al-D!n al-Iran! non va confusa con un'altra rivista palestinese, dallo stesso titolo, pubblicata a Nazaret nel 1959· 39 Cfr. J abra l. J abra, The Palestinian Exile as Writer, in "J ournal of Palestine Studies ", 8, 1979, p. 86. 40 Cfr. Abii '1-Qasim al-Shabhi, lriidat al-&ayiih, dalla raccolta Aghiint al-&ayiih pubblicata postuma al Cairo nel 1955· 41 Questa poesia, dal titolo Ilpartigiano (al-Fida 'i) , è stata tradotta in italiano da Wasim Dahmash. Cfr. AA.vv., La terra più amata. Voci della letteratura palestine­ se, a cura di W. Dahmash, T. Di Francesco, P. Blasone, Manifestolibri, Roma 2002, p. 17. 42 Cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 1 55-61. 43 Cfr. E. Sanbar, S. H adidi, J. C. Pons, Palestine: l'enjeu culture!, Circé, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1997, p. 56. 44 Cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 108-9. 45 Cfr. Fadwà Tuqan, Ri&lah �a 'bah, ri&lah gabaliyyah, Dar al-shuriiq, 'Amman 1985, p. 69. 46 La traduzione di questa poesia, Voi Potenti, è di W. Dahmash. Cfr. AA.VV., La terra più amata, cit. , p. 18. 47 Traduzione di C. Bonadies. 48 Cfr. E. Sanbar, S. Hadidi, J. C. Pons, Palestine: l'enjeu culture!, cit. , p. 57· 49 'Aça al-Z!r, Mu�ammad Gamgum, Fu' ad Higazl. 50 Cfr. Fadwà Tiiqan, Ri&lah !a 'bah, ri&lah gabaliyyah, cit. , p. 69. 51 Traduzione di C. Bonadies. 52 Citato in P. G . Donini, Sull'evoluzione dell'autocoscienza etnica palestinese, in " Quaderni di studi arabi", 1, 1983, p. 115. 53 Cfr. AA.vv., Palestina: Versi della resistenza, EAST, Roma 1974, p. 4· 54 Per mahgar si intende la letteratura d'emigrazione, e in particolare quella dei siro-libanesi nelle Americhe. Cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contempo­ ranea, cit. , pp. 129-32. 55 Traduzione di C. Bonadies. 56 Dalla poesia Orizzonte profomato (al- 'Ufq al-mu 'artar), traduzione di W. Dahmash e G. Scarcia, in AA.vv., La terra più amata, cit. , p. 20. 57 Su queste composizioni poetiche, cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea, cit. , pp. 101-2. 58 Cfr. �mad al-l:film1 'Abd al-Baq1, Dtwiini; a cura di Ibrahim Na�rallah, Mu' assasat Khalid Shuman, 'Amman 2002. 59 lvi, p. 19. 6o Cfr. P. Martinez Mond.vez, Al-Andalus, Espafia en la literatura drabe contem­ poranea, Editoria! Mapfre, Madrid 1992, p. 136. 61 Su questo argomento, ibid e Kamil al-Sawafir1, al-Shi 'r al- arabi al-&adzth fr Filasrzn, Maktabat nahçlat Mi�r, al-Qahirah 1964. 21 9

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

4 La nakbah La parola nakbah deriva dalla radice NKB che ricopre vari significati affini, come " lasciar cadere", " lasciar cadere qualcuno in disgrazia", " rendere infelice", " colpire qualcuno (disgrazia) ". Cfr. Vocabolario Arabo-Italiano, a cura di R. Trai­ ni, Istituto per l'Oriente, Roma 1993. 2 Cfr. Qugançin Zurayq, Ma 'nà al-nakbah, Dar al-'Ilm li 'l- Malayin, Bayrut 1948, e Ma 'nà al-nakbah mugaddadan, Dar al-'Ilm li 'l- Malayin, Bayrut 1967. Cfr. tJabTh Qahwagi, al- 'Arab fr �ili al-i&tilal al-isrii zli mundhu 1948, Muna��amat al-ta}:lrir al-filasçiniyyah, Bayrut 1972, p. 315. 3 Cfr. la voce 11m al-Nakbah, in al-Mawsu 'ah al-.filastiniyyah, Dimashq 1984, vol. IV, pp. 503-5. 4 Cfr. Jihane Sfeir, Al Nakbah, L 'i mmaginario collettivo dell'espulsione del 1948 tra i profughi palestinesi, in "Alternative", 5, luglio/agosto 2004, pp. 126-34. 5 Cfr. R. Cristiano, La speranza svanita, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 75· 6 Cfr. Qugançin Zurayq, Ma 'nà al-nakbah, cit. , p. 42, citato in Jihane Sfeir, Al Nakbah, cit. , p. 127. 7 Cfr. l'introduzione di Guido Valabrega a Nakba, a cura della Fondazione in­ ternazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli, Ripostes, Salerno­ Roma 1988. 8 Cfr. Mahmud Darwish, Una memoria per l'oblio, traduzione di L. Girolamo, con la collaborazione di E. Bartuli, postfazione di G. Scarcia, J ouvence, Roma 1997, pp. 15-6. 9 Cfr. Elias Sanbar, Les Palestiniens dans le siècle, Gallimard, Paris 1994, p. 61. 10 Cfr. l. Pappe, Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, Einaudi, Torino 2005, p. 172. 11 Interessanti riflessioni sulla nakbah si possono trovare in Mamdouh N ofal, Rejlections on al-Nakba, in "Journal ofPalestine Studies ", XXVIII, 1, 1998, pp. 5-9. 12 L'opera sarà ristampata in 11 volumi nel 1989. 13 Cfr. Elias Sanbar, Figures du Palestinien. Identité des origines, identité de devenir, Gallimard, Paris 2004, p. 195. 14 Nella notte tra 1'8 e il 9 aprile del 1948 la popolazione del villaggio di Deir Yassin fu massacrata da un'unità dell' Irgun Zwai Leumi, guidata da Menahem Be­ gin. 15 Cfr. Elias Sanbar, Figures du Palestinien, cit. , p. 198. 16 Cfr. l. Pappe, Storia della Palestina moderna, cit. , p. 179; cfr. il paragrafo La pulizia etnica della Palestina (marzo-maggio 1948), pp. 158-61. 17 Cfr. Elias Sanbar, Figures du Palestinien, cit. , p. 139. 18 Cfr. l. Camera d'Afflitto (a cura di), Scrittori Arabi del Novecento, 2 voll., Bompiani, Milano 2002, pp. 257-8. 19 lvi, p. 258. 220

NOTE

20 Cfr. Samira 'Azzam, Il pane, in Palestinese! E altri racconti, a cura di W. Dah­ mash, Edizioni Q, Roma 2003, p. 17. 21 Cfr. Ghassan Kanafani, Ritorno a Haifa, a cura di I. Camera d'Afflitto, Edi­ zioni Lavoro, Roma 2003, p. 8. 22 Cfr. Jabra Ibrahim Jabra, Le sindrome de Faust, in " Qantara", 23, 1997, Prin­ temps, p. 42. 23 Cfr. E. Said, Sempre nelposto sbagliato, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 129-30. 24 lvi, p. 132. 25 Cfr. Mamdouh N ofal, Reflections on al-Nakba, in "J ournal of Palestine Stu­ dies", cit., p. 5· 26 Cfr. Rula Jebreal, La strada dei fiori di Miral, Bur, Milano 2005, p. 142. 27 Sulla " letteratura della resistenza" dopo il 1948, cfr. Ghassan Kanafani, al-Adab al-filasrTnT al-muqiiwim ta&ta al-i&tiliil 1948-1968, Mu' assasat al-Ab�ath al-'arabiyyah, Bayrut 1987. 28 Cfr. J abra Ibrahim J abra, L 'esule palestinese come scrittore, traduzione di A. Cristofori, in " Linea d'ombra", 63, settembre 1991, p. 54· 29 Dalla raccolta Ashuddu alà aydTkum, del 1966. 30 Cfr. G. Canova, La poesia della resistenza palestinese, in " Oriente Moderno", 5J, 1971, p. 622. 31 All'inizio degli anni ottanta la piccola ma coraggiosa casa editrice Ripostes di Salerno darà alle stampe le prime opere palestinesi, a partire da alcuni romanzi e opere teatrali di Ghassan Kanafani, Emil Habibi, Tawfiq Fayyad e Muin Bsisu. Cfr. la bibliografia. 3 2 Dalla poesia Ritorneremo (Sa-na 'ìid) del 1951. 33 Dalla poesia Stanza 405, in Mueen Bsyso, Poesie sui vetri delle finestre, traduzione di A. Mariani, Ufficio della Lega degli Stati Arabi, Roma s.d., pp. 39-41. 34 Cfr. AA.VV., Histoires et nouvelles de Palestine, traduction de C. Krul, intro­ duction de Mahmud Mawid, le Sycomore, Paris 1979, pp. 10-1. 3 5 Cfr. 'Abd al-Ra�man Abu 'Anif, nella rivista " al-Hilal " del gennaio 1977, ci­ tata da AJ:lmad Abu Maçar, al-Riwiiyah fi- 1-adab al-filasrTni", Dar al-�urriyyah, Baghdad 1980, pp. 244-5. 3 6 lvi, p. 245. 37 Cfr. L 'esperienza dello sradicamento. Incontro con ]a bra Ibrahim ]a bra, a cura di L. Orelli, in " Linea d'ombra", settembre 1991, p. 48. 38 Cfr. Giabra Ibrahim Giabra, La nave, traduzione di M. Falsi, Jouvence, Roma 1994, p. 46. 39 lvi, pp. 13 e 31. 40 Per un raffronto fra il tema della fuga nei due autori, cfr. D. R. Magrath, A Study of Rigiilfi- 1-Shams by Ghassiin Kanafoni", in "Journal of Arabic Literature ", 10, 1979, pp. 96-7. 41 Traduzione di W. Dahmash. Del romanzo sono stati tradotti in italiano sol­ tanto alcuni brani in AA.vv. , La terra più amata. Voci della letteratura palestinese, a cura di W. Dahmash, T. Di Francesco, P. Blasone, Manifestolibri, Roma 1992, pp. 135 e 138. 221

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

42

Cfr. l. Camera d'Afflitto, L 'espace Kabus, in La poétique de l'espace dans la lit­ térature arabe moderne, sous la direction de B. Hallaq, R. Ostie, S. Wild, Presse

Sorbonne Nouvelle, Paris 2002, pp. 121-30. Su questo romanzo cfr. Ibrahim al-Sa'afrn, al-Ghurafal-ukhrà wa ishkaliyyat al-wa'i, in AA.vv., al-Qalaq wa tam{id al-&ayah, Kitab takn-m Cabra Ibrahim Cabra, al-Mu' assasah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, Bayrut 1995, pp. 236-53. 43 Cfr. l. Camera d'Afflitto, L 'espace Kabus, cit. , p. 124. Cfr. Id., L 'influenza del­ la letteratura contemporanea italiana sugli scrittori arabi, in " Prisma", Dipartimen­ to Generale per l'Informazione estera, Giza 2/2005, pp. 18-22. 44 Cfr. F. M. Corrao (a cura di), Poesia Straniera-Araba, La Biblioteca di Re­ pubblica, Roma 2004, p. 465. 45 Cfr. Jabra Ibrahim Jabra, L 'esule palestinese come scrittore, cit. , p. 54· 46 Sconosciuto in Occidente, questo prestigioso premio è molto noto in ambito arabo, paragonabile al premio N o bel. 47 Piccole cose, La grande ombra, E altri racconti, Il tempo e l'uomo, La festa dalla

finestra occidentale. 48 49

Dalla raccolta Palestinese! E altri racconti, cit. , pp. 49-50. Traduzione di I. Camera d'Afflitto, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) Scritto­ ri arabi del Novecento, ci t., pp. 206-7. 50 Traduzione di I. Camera d'Afflitto, ivi, pp. 193 e 195. 51 lvi, p. 192. 52 Cfr. Samira 'Azzam, Zagharid, traduzione di l. Camera d'Afflitto, in " Linea d'ombra", 63, settembre 1991, p. 57· 53 Cfr. F. Gabrieli, Presentazione, in Ghassan Kanafani, Ritorno a Haifa, cit. , p. VIII. 54 Cfr. Ghassan Kanafani, Rigai fr 1-shams, in Ghassan Kanafani, al-A thar al­ kamilah, Dar al-kutub, Bayrut 1972. Il libro è pubblicato in Italia col titolo di Uo­ mini sotto il sole, traduzione di l. Camera d'Afflitto, Sellerio, Palermo 2001. 55 Cfr. Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, cit., pp. 23-4. 56 lvi, p. 16. 57 lvi, pp. 58-9. 58 Cfr. il CAP. 10. 59 Cfr. I�san 'Abbas, al-Mabnà al-ramzzfr qi�a� Ghassan, in Ghassan Kanafani, al-A thar al-kamilah, ci t., vol. 1, pp. 15-16. 6o Cfr. Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, cit. , p. 25. 61 Cfr. ad esempio G . Canova, La poesia della resistenza palestinese, cit. , pp. 591-2. 62 Cfr. Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, cit. , p. 21. 63 Cfr. Ghassan Kanafani, al-A thar al-kamilah, ci t., vol. I I , p. 794· 64 Cfr. Ghassan Kanafani, La madre di Saad, traduzione di l. Camera d'Afflitto, Edizioni Ripostes, Salerno-Roma 1985, pp. 70, 109-10. 65 lvi, p. 108. 66 Cfr. Ghassan Kanafani, Ritorno a Haifa, cit. , p. 31. 67 lvi, p. 54· 222

NOTE

68 Cfr. Ghassan Kanafani, Maqiiliit Faris Fiiris - Kitiibiit siikhirah, Dar al-Adab, Bayriit 1997. 69 Sul giornale "al-Mu}:larrir", sul supplemento settimanale della rivista "al-Anwar" e sulla rivista " al-�ayyad". 70 Cfr. l'intervista rilasciata da Anny Kanafani alla rivista " al-Adab " nel 1992, nel ventennale della scomparsa dello scrittore. 71 Cfr. Ghassan Kanafani, Maqiiliit Fiiris Fiiris, cit. , p. 11. 72 Ibid. 73 Ibid. La traduzione dall'arabo del brano è di G. Cataldo. 7 4 Cfr. Ghadah al-Samman, Rasa 'il min Ghassiin Kanafonz ilà Ghiidah al-Sammiin, Dar al-Tallah, Bayriit 1992. Cfr. la tesi di laurea non pubblicata di P. Barbato, Lettere d'amore di Ghassiin Kanafonz a Ghiidah al-Sammiin, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2002-03.

5 La naksah 1 Cfr. Murid al-Barghuti, Ho visto Ramallah, traduzione di M. Ruocco, Ilisso, Nuoro 2005, p. 15. 2 Cfr. Yiisuf al-KhafTh (1931) pubblicò a Damasco nel 1968 uno studio dal tito­ lo Dzwiin al-waran al-mu&tall e analogamente 'Abd al-Ra}:lman Yaghi, al Cairo, dava alle stampe nel 1969 Diriisiitjt shi 'r al-artj al-mu&tallah. 3 Cfr. G. Canova, La poesia della resistenza palestinese, in "Oriente Moderno ", 51, 1971, p. 583. 4 Cfr. G. Canova, Due poetesse, Fadwà Tuqiin e Salmà 'l-Khatjrii' al- Gayyus'i, in "Oriente Moderno", 53, 1973, p. 890. 5 lvi, p. 893. 6 Cfr. F. Gabrieli, Sei fogli del Divano di Fadwà, in " O riente Moderno ", LX, 1980, pp. 151-2. 7 Cfr. Fadwà Tiiqan, Sospiri davanti allo sportello dei permessi, in AA.vv., Palestina. Poesie, a cura di B . Scarcia, Ila Palma, Palermo 1983, p. 89. Ibid. 8 Cfr. l'intervista a Fadwà Tiiqan rilasciata a Isabella Camera d'Afflitto, in " il 9 manifesto ", 19 luglio 1992, p. 13. 10 Cfr. G . Canova, Due poetesse, Fadwà Tuqiin e Salmà '1-Khatjrii ' al- Gayyus'i, cit. , p. 879. La poesia era stata tradotta dall'italianista giordano 'Isà al-Na'iiri. Cfr. Issa Naouri, Due poesie di Padua Tucan, in " Levante", vn, 4, 1960, pp. 23-5. 11 Dalla poesia Lan ab'i'a &ubbahu (Non vende�ò il suo amore) , cfr. G . Canova, Due poetesse: Fadwà Tuqiin e Salmà 'l-Khatjrii ' al-Gayyus'i, cit., p. 879. 12 Cfr. F. Gabrieli, Sei fogli del Divano di Fadwà, cit. , p. 149. 13 Dalla poesia Al martire, traduzione di F. Gabrieli, ivi, pp. 156-7. 14 Cfr. Mueen Bsyso, Poesie sui vetri delle finestre, ci t., traduzione di A. Mariani, Ufficio della Lega degli Stati Arabi, Roma s.d., pp. 12-3. 223

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

15

Ma}:lmii.d Darwish, Carta d'identità. Cfr. G. Canova, La poesia della resistenza

palestinese, cit. , pp. 595-7·

16 Cfr. R. B. Campbell, s.j . , A 'lam al-adab al- 'arabi al-mu 'asir - siyar wa siyar dhiitiyyah, Markaz al-Dirasat li '1-'alam al-'arab1 al-mu'a�ir, Ga� i'at al-Qiddis Yu­

suf, Bayrii.t 1996, vol. I, p. 594· 17 Cfr. Mahmud Darwish, Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?, a cura di L. Ladikoff Guasto, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2001. 18 Cfr. G. Canova, La poesia della resistenza palestinese, cit. , pp. 6 04 -7 . 19 Traduzione di W. Dahmash, G. Scarcia, A. Arioli, in AA.vv., La terra più amata. Voci della letteratura palestinese, a cura di W. Dahmash, T. Di Francesco, P. Blasone, Manifestolibri, Roma 2002, p. 69. 20 Traduzione di B. Scarcia, dall'album Il sogno dei gigli bianchi, a cura di W. Dahmash, Edizioni musicali, Monsano ( AN ) 1996, pp. 15-9. L'opera è dedicata alla memoria della giornalista del TG3 Ilaria Alpi. 21 Cfr. G . Soravia, Ahmed Addous (a cura di) , Sei poeti di Palestina, in "In for­ ma di parole", I I I , 2003, p. 71. 22 Cfr. G . Canova, La poesia della resistenza palestinese, cit., p. 610. 23 Tratta dalla raccolta Kh#iib fr suq al-batiilah, traduzione di G. Canova, ivi, pp. 611-2. 24 Cfr. F. M. Corrao (a cura di) , Poesia Straniera-Araba, La Biblioteca di Re­ pubblica, Roma 2004, p. 480. 25 Dalla poesia A tutti gli uomini raffinati delle Nazioni Unite, traduzione di Issa Naouri, Versi di fooco e di sangue, Ufficio della Lega degli Stati Arabi, Roma 1969, pp. 51-2 e in AA.vv. , Palestina. Poesie, cit. , pp. 144-5. 26 Dalla poesia Biglietti di viaggio ( Tadhakir safar) , cfr. G. Soravia, A. Addous (a cura di) , Sei poeti di Palestina, cit. , p. 57· 27 Cfr. L. Ladikoff, La poesia di Samih al-Qasim, in " L'ospite ingrato ", 1 , 2005, pp. 143-4· 28 Cfr. Samih al-Qasim, Versi in Galilea, a cura di W. Dahmash, presentazione di R. La Valle, Edizioni Q, Roma 2005, p. 123. 29 Cfr. L. Ladikoff, La poesia di Samih al-Qasim, cit. , p. 13 7 . 30 Dalla poesia Parole sull'aggressione. Cfr. G. Canova, La poesia della resistenza palestinese, cit. , p. 624. 31 Dedica alla poesia Gli opuscoli bruciati, traduzione di G. Canova, ivi, p. 6 2 6 . 32 Ibid. 33 Traduzione di G. Scarcia, in AA.vv., La terra più amata, cit. , pp. 26-7 . 34 Dalla poesia Non pian�erò, traduzione di G. Canova, Due poetesse: Fadwà '[uqiin e Salmà 1-Khatjra ' al-Gayyusl, ci t., pp. 885-6. 3 5 Cfr. M. Lagarde, Poèmes palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, in AA.VV. , Poèmes palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, P I SAI , Roma 2005, p. 15. 3 6 Cfr. Mahmud Darwish, Murale, a cura di Fawzi Al Delmi, Epoche, Torino 2005, p. 13. Cfr. Mahmud Darwish, Mura!, traducci6n de R. I. Martinez Lilla, pre­ sentaci6n de P. Martinez Mond.vez, Ediciones del Oriente y del Mediterd.neo, Madrid 2003, pp. 201-20. 224

NOTE

37

Cfr. Elias Sanbar, Figures du Palestinien. Identité des origines, identité de deve­ nir, Gallimard, Paris 2004, p. 241. 38 Cfr. Ma}:lmud Darwish, Io, anche se fossi l'ultimo, in La mia ferita è lampada ad olio, traduzione di F. M. Corrao, De Angelis Editore, Avellino 2006, p. 105. 39 Cfr. Giabra Ibrahim Giabra, La nave, traduzione di M. Falsi, Jouvence,

Roma 1994, p. 25. 40 Cfr. I. Camera d'Afflitto, Sulla narrativa dei Territori Occupati, in " O riente Moderno ", v , 7-9, 1986, pp. 119-68; Id., L 'israeliano visto dalla scrittore palestinese: evoluzione di un 'immagine letteraria, in R. Dorigo Ceccato, T. Parfitt, E. Trevisan Semi, L 'altro visto dall'altro, Cortina, Milano 1992, pp. 83-91. 41 Tradotto in italiano con il titolo La svergognata, traduzione di P. Redaelli, Giunti, Firenze 1989. 42 Cfr. Sa}:lar Khalifah, al-�ubbiir, Dar Ibn Rushd, Bayrut 1978. Pubblicato in Italia con il titolo Terra di fichi d1ndia, traduzione di C. Costantini, Jouvence, Roma 1996. 43 Cfr. Sa}:lar Khalifah, 'Abbiid al-shams, Dar al-Katib, al-Quds 1980. 44 lvi, p. 8. 45 lvi, p. 9· 46 lvi, p. 7· 47 Cfr. Sa}:lar Khalifah, al-�ubbiir, cit. , p. 88. 48 Cfr. Sa}:lar Khalifah, 'Abbiid al-shams, cit., p. 43· 49 Ibid 50 lvi, p. 35· 51 lvi, p. 17. 52 lvi, p. 19. 53 lvi, p. 32. 54 lvi, p. 43· 55 Ibid 56 lvi, p. 34· 57 lvi, p. 33· 58 Cfr. Gamal Bannurah, Mawt insiin, dalla raccolta lfikiiyat gaddi, Manshurat al-katib, al-Quds 1981, e pubblicato anche in Khayri Man�ur, al-Kaff

wa 1-mikhriiz, adab al-muqiiwamah fr Filastfn al-mu&tallah: al-Piffah wa '1-Qi{ii' ba 'd 1967, Dar al-shu'un al-thaqafiyyah wa '1-nashr, Baghdad 1984, pp. 246-82.

Cfr. p. 276. 59 Cfr. Gamal Bannurah, Mawt insiin, in Khayri Man�ur, al-Kaffwa 1-mikhriiz, cit. , p. 275. 6o Tra le sue prime pubblicazioni, si ricordano le raccolte di racconti al-Safrnah al-akhfrah, Dar al-kitab al-'arabi, al-Quds 1979, e Qi�a� qa�frah min al-watan al-mu&tall, Manshurat al-da'irah, al-Quds 1981. 61 Cfr. Akram Haniyyah, Tilka al-qaryah. . . dhiilika al-�abii&, tratto da Khayri Man�ur, al-Kaffwa '1-mikhriiz, cit. , pp. 301-8. Il racconto è stato tradotto da I. Ca­ mera d'Afflitto e pubblicato in AA . vv . , La terra più amata, cit. , pp. 183-8. 62 Il discorso di 'isà ibn Hishiim, ovvero un intervallo di tempo {lfadtth 'isà ibn Hishiim 225

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

aw fotrah min al-zaman). Su quest'opera cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba contemporanea. Dalla nah�ah a oggi, Carocci, Roma 2007 (la ed. 1998), pp. 70-2. 63 Cfr. Ah/ al-Kahf, tradotto in italiano con il titolo La gente della caverna, a cura

di U. Rizzitano, Centro per le relazioni itala-arabe, Roma 1960. 64 Cfr. Akram Haniyyah, Mu 'tamar fa "aliyyiit al-qaryah yu�diru n ida ' hiimm, tratto da K}l ayri Man�iir, al-Kaffwa 1-mikhriiz, ci t., pp. 297-300. 65 Cfr. Gamal Bannurah, A&lak al-sa at, citato in Sh. Ballas, La littérature arabe et le conjlit au Proche-Orient (1948-1973), Anthropos, Paris 1980, p. 298. 66 Cfr. Emil J::I ahib1, al- Waqii 'i ' al-gharzbah fr ikhtifo ' Sa 'td Abz '1-Na&iis al-Mutashii 'il, Muna��amat al-ta�r!r al-filasç1niyyah, Bayriit 1980, p. 126. Tra­ dotto da I. Camera d'Afflitto e L. Ladikoff e pubblicato in Italia con il titolo Il Pessottimista, un arabo d1sraele, Bompiani, Milano 2002. Su questo romanzo cfr. il C A P . 7· 67 Tra le sue opere ricordiamo le raccolte di racconti La belva feroce del 1978 e Immagini e racconti del 1990. Ha pubblicato inoltre un romanzo, La mano urta contro il punteruolo, nel 1990. 68 Cfr. M u�ammad Ayyiib, al-Khaymah, in Khayri Man�iir, al-Kaff wa 1-mikhriiz, cit. , pp. 341-4. 69 lvi, p. 342. 70 Cfr. Ghassan Kanafani, La madre di Saad, traduzione di l. Camera d'Afflitto, Edizioni Ripostes, Salerno-Roma 1985, in particolare il capitolo C'è tenda e tenda, pp. 76-9. 71 Cfr. Mu�ammad Ayyiib, al-Khaymah, in Khayr1 Man�iir, al-Kaff wa 1-mikhriiz, cit. , p. 341. 72 lvi, p. 344· 73 Cfr. Sa�ar Khallfah, al-�ubbiir, cit. , p. 113. 74 Poeta e scrittore, nel 1948 si ritrova a vivere nei campi profughi della Cisgior­ dania. Ha lavorato come professore in alcuni paesi arabi e ha vissuto anche a Lon­ dra, dove collaborava a diverse pubblicazioni in lingua araba. Nel 1998 ha vinto il premio Babt1n per la poesia. Tra le sue numerosissime pubblicazioni ricordiamo la sua autobiografia, Kitiib al-ibn, pubblicata nel 1997. Alcune sue poesie sono tradot­ te da R. Budelli, cfr. AA . VV . , Poèmes palestiniens d'aujourd'hui, cit. , pp. 189-97. 75 Cfr. Muhammad al-Qaysi, l/ libro de/figlio, traduzione di P. Vardaro, Edizio­ ni Lavoro, Roma 2000, p. 63. 76 Cfr. Akram Shar!m, al-Arrj, in al-Sugiinii ' Iii yu&aribuna, ltti�ad al-kuttab al-'arab, Dimashq 1972, pp. 43-52. Questo racconto è stato tradotto in francese da C. Krul in AA . vv . , Histoires et nouvelles de Palestine, introduction de Mahmud Mawid, le Sycomore, Paris 1979, pp. 103-11. 77 Cfr. Akram Shar!m, al-Arrj, cit. , p. 48. 78 lvi, pp. 51-2. 79 Cfr. N. Weinstock, Le sionisme contre lsrael, Maspero, Paris 1969, p. 497· 8o È il singolare della parolafidii 'iyyun (fedayyin). 81 Cfr. Gamal Banniirah, al- 'Awdah, Dar �ala� al-D1n, al-Quds 1976. 82 lvi, p. 268. 226

NOTE

83 Cfr. Gamal Bannurah, I'ti!iim, tratto dalla raccolta al- 'Awdah, cit. Pubblicato in Khayri Man�ur, al-Kajfwa 1-mikhriiz, cit., pp. 235-45. Il racconto è stato tradotto da I. Camera d'Afflitto e pubblicato in AA . vv . , La terra più amata, cit., pp. 175-82. 84 lvi, p. 176. 85 lvi, p. 182. 86 lvi, p. 180. 87 Cfr. Gamal Bannurah, Mawt insiin, ci t., pp. 253-4. 88 lvi, p. 255· 89 Cfr. Gamal Bannurah, Tarrq iikhar, tratto dalla raccolta al-'Awdah, ci t. 90 Cfr. Fakhri �ali!), Ishkiiliyyiit al-riwiiyah al-filasrrniyyah ta�ta al-i�tiliil, 1n " al-Aqlam" , XVI , 7, 1981, p. 57· 91 Cfr. Gharlb al-'Asqalan1, al-Khurug 'an al-!amt, in Khayr1 Man�ur, al-Kaff wa '1-mikhriiz, ci t., pp. 309-16. 92 lvi, p. 309. 93 lvi, pp. 309-10. 94 Cfr. Tawfiq Fayyaçl, Salrm al-Bahlul, in " Shu'un filasç1niyyah ", 57, 1976, p. 66. Cfr. Salìm lo scemo, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, Ripostes, Salerno-Roma 1984, pp. 113-33. 95 Cfr. R. B. Campbell, s.j . , A 'liim al-adab al- 'arabr al-mu 'ii!ir - siyar wa siyar dhiitiyyah, cit. , vol. 1 1 , p. 1065. 96 Cfr. Akram Haniyyah, Dhiit mawt... dhiit madrnah, in " al-Aqlam", xvi, 7, 1981, p. 89. 97 lbid. 98 lvi, p. 90. 99 Cfr. Sal).ar Khal1fah, al-�ubbiir, cit. , p. 88. 100 Il plurale di adòn (signore) in ebraico si effettua con la desinenza -rm (ado­ nrm) e non con quella -iit, che è invece caratteristica del plurale femminile arabo, usato qui in modo dispregiativo. La parola gifrrt (fi a mmiferi), poi, sembra un mi­ scuglio dall'ebraico gafrur (gafrurrm) e l'arabo kibrrt. Sal).ar Khallfah è inoltre mol­ to esplicita laddove riporta il gergo usato da alcuni israeliani che associano la parola 'aravrm (arabi) ai termini melukhlahrm ('' sporchi ") o muharribrn (" terroristi " ) . 101 Cfr. Sal).ar Khallfah, al-�ubbiir, cit. , pp. 15-6. 102 Su questo scrittore e sul romanzo cfr. il C A P . 7· 103 Cfr. Emile Habibi, Peccati dimenticati, traduzione di B. Marziali, Marsilio, Venezia 1997, p. 32. 104 Cfr. Sal).ar Khallfah, 'Abbiid al-shams, cit. , p. 20.

6

Palestinesi-israeliani o arabi di Israele ? 1 Si veda l'intervista di Riyaçl Baydas rilasciata a Valentina Napoletano in Riyiit/ Baydas e la letteratura degli arabi di Israele, tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2005-06. 227

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

2 Per un approfondito studio delle opere di Riya4 Baydas, cfr. A. El ad-Bouski­ la, Modern Palestinian Literature and Culture, Frank Cass, London 1999, pp. 63-80. 3 Tratto dalla raccolta Una voce impercettibile. 4 Dalla raccolta Pianificazioni preliminari del 1988, traduzione di V. N apoletano. 5 Paese dove lo scrittore si è trasferito. 6 Si veda l'intervista di Riya4 Baydas rilasciata a Valentina Napoletano in Riyiit/ Baydas e la letteratura degli arabi di Israele, ci t. 7 Cfr. Abbas Shiblak, The Lure of Zion. The Case of the Iraqi ]ews, Al Saqi Books, London 1986, p. 111. 8 Cfr. P. G. Donini, Le comunità ebraiche nel mondo. Storia della diaspora dalle origini a oggi, Editori Riuniti, Roma 1988, pp. 129-39. 9 Cfr. J . Bloom, Language, Dialects and Identity, in " Banipal ", 24, 2005, p. 96. 10 Cfr. A. Greilsammer, Les communistes israéliens, Presses de la Fondation Na­ tionale des Sciences Politiques, Paris 1978, pp. 146-7, 251-3, 362-5. 11 Cfr. Emil l:fabThi, Sudiisiyyat al-ayyiim al-sittah, Dar al-'Awdah, Bayrut 1968, tradotta in italiano con Sestina dei sei giorni, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Pa­ lestina. Tre racconti, Ripostes, Salerno-Roma 1984, pp. 73-114. 12 Cfr. Emil Habibi, Di come Mas 'ud conobbe la felicità grazie a suo cugino, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, cit. , p. 8o. 13 Cfr. Emil Habibi, La perla blu e il ritorno di Giubayna, in I. Camera d'Afflitto (a cura di), Palestina. Tre racconti, cit. , pp. 100, 102-3 . 14 Cfr. il C A P . 5· 15 Cfr. Emil Habibi, Umm Robivecchia, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, cit. , pp. 9 2-3. 16 lvi, pp. 90-1. 17 Cfr. Emil Habibi, Finalmente fioriti, i mandorli.', in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, cit., p. 87. 18 Cfr. Emil Habibi, Il ritorno, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, cit., p. 99· 19 Cfr. Emil Habibi, L 'amore nel mio cuore, in I. Camera d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, cit. , p. 111. 20 lvi, p. 113. 21 Cfr. A}:lmad Abu Mafar, al-Riwiiyah fr 'l-adab al-filastfnf 1950-1970, Dar al-}:lurriyyah, Baghdad 1980, p. 301. 22 Questo romanzo di l:fabThi è stato paragonato alle Maqiimiit di al-Hamadhani (sec. x), riprese in epoca moderna da Mu}:lammad al-Muwayli}:li. Cfr. R. Allen, The Arabic Nove/. An Historical and Critica/ Introduction, University of Manchester, Manchester 1982, p. 67. 23 Cfr. Sh. Ballas, La littérature arabe et le conjlit au Proche-Orient (1948-1973), Anthropos, Paris 1980, p. 304; T. Le Gassick, The Luckless Palestinian, in " The Middle East Journal", XXXIV, 1980, pp. 215-6. 24 Cfr. " The Jerusalem Post", 24 ottobre 1986. 228

NOTE

25 Cfr. Emil Habibi, Il Pessottimista, un arabo dTsraele, Bompiani, Milano 2002, pp. 10-1 e 15. 26 lvi, p. 15. 27 lvi, p. 4· 28 Salim Gubran, nato nel 1941, è una figura di spicco della poesia palestinese. È vissuto in Galilea. Aderisce al Partito comunista israeliano, Raqah, e collabora alle testate storiche della sinistra ebraica: " al-lttihad ", " al-Ghad" e " al-Gad!d". Alcune poesie di Salim Gubran sono tradotte in itaÙ ano da C. lntartaglia, in A A . vv . , Poè­ mes palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, P I S A I , Roma 2005, pp. 132-55. 29 Cfr. Emil Habibi, Il Pessottimista, cit. , p. 78. 30 Samil:I Sabbagh è nato nel villaggio di Baql'ah nel 1947. Ha aderito al Partito comunista. 31 Cfr. Emil Habibi, Il Pessottimista, cit. , p. 132. 32 Il nome deriva dal verbo ada, " ritornare ". Nella traduzione italiana al perso­ naggio è stato dato il nome simbolico di " Bentornata". 33 Il nome deriva dal verbo baqiya, " rimanere". Nella traduzione italiana al per­ sonaggio è stato dato il nome simbolico di " Benrimasta". 34 Cfr. Emil Habibi, Il Pessottimista, ci t., p. 84. 35 lvi, p. 86. 3 6 lvi, p. 30. 37 lvi, p. 162. 38 lvi, p. 36. 39 lvi, p. 37· 40 lvi, p. 29. 41 Ibid 42 Cfr. Emil Habibi, Peccati dimenticati, traduzione di B. Marziali, Marsilio, Venezia 1997, p. 15. 43 Cfr. S. Descamps-Wassif, Dictionnaire des écrivains palestiniens, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1999, p. 51. 44 Cfr. Geries Sabri, Gli Arabi in Israele, Editori Riuniti, Roma 1969. 45 Cfr. A. Elad-Bouskila, Modern Palestinian Literature and Culture, cit. , p. 47· 46 lvi, p. 57· 47 Cfr. A. Shammas, Arabeschi, traduzione di L. Lovisetti Fua, Mondadori, Milano 1990. 48 Dalla poesia E poi come potremo noi cantare, traduzione di F. Zappa, in AA.VV . , Poèmes Palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, cit. , p. 206. 49 lvi, p. 55· 50 Cfr. Yumnà al-'Id, Takniyyat al-sard al-riwa l, Dar al-Farabi, Bayrut 1990, p. 149· 51 Cfr. A. Elad-Bouskila, Modern Palestinian Literature and Culture, cit. , p. 53· 52 lvi, p. 53· 53 lvi, p. 54· 54 lvi, p. 51. 55 Ibid. 229

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

56 Cfr. S. Descamps-Wassif, Dictionnaire, cit. , p. 101. 57 Cfr. Sayed Kashua, Arabi danzanti, traduzione di E. Loewenthal, Guanda, Parma 2003, p. 77· 58 Cfr. Sayed Kashua, Efo mattina, traduzione di E. Loewenthal, Guanda, Par­ ma 2005 .

7 La letteratura dell' intifada 1 Cfr. 'Abd al-Ra}:lman Munif, al-Ma 'nà wa '1-mabnà, in " al-Karmil", 66, 2001, pp. 10-8. 2 Cfr. al-Mutawakkil Taha, al- Thaqiifoh wa 1-intifot/ah ba 'd alf yawm min al-intifotjah, Manshiirat ltti}:lad al-Kuttab al-Filasriniyyin, Ramallah 1991, p. 121. 3 AA.VV . , Les bel/es étrangères: 1 2 écrivains palestiniens, Centre National du Livre, Ministère de la Culture, Paris 1997, p. 28. 4 Cfr. Ra�I �addiiq, Shua 'rii ' Filasrzn fr '1-qarn al- 'ishrzn, al-Mu'assasah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa'l-nashr, Bayriit 2000, pp. 412-3. 5 Tra i suoi dzwiin più noti, L 'uscita dal Mar Morto del 1969 e Gafrii del 1991. 6 Dalla poesia Signora dell'amore che uccide, tradotta da F. Zappa, in AA . vv . , Poèmes palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, P I S A I , Roma 2005, p. 74· 7 AA.vv. , Les bel/es étrangères: 12 Écrivains palestiniens, cit. , p. 21. 8 lvi, p. 25. 9 lvi, p. 24. 10 Cfr. G. Canova, Due poetesse: Fadwà Tuqiin e Salmà al-Khatjrii ' al- Gayyust, in " O riente Moderno", 53, 1973, p. 88o. n Dalla poesia di Fadwà Tuqan Shuhadii ' al-intifotjah, in 'Adii Abii 'Amishah, Shi'r al-intifotjah, ltti}:lad al-kuttab al-filasriniyyin, al-Quds 1991, pp. 53-4. 12 Il riferimento è alla poesia di Ma}:lmiid Darwish, Carta d'identità, citata nel C A P . 6. 13 Cfr. Sobhi Boustani, lntifoda et littérature palestinienne, in L 'impacte des pier­ res. La première lntifoda et les littératures arabe et israélienne, textes rassemblés par D. Delmaire et E. Persyn, Cartouche, Lille 2003, p. 6o. 14 Cfr. Ma}:lmiid Darwish, 'A birnn fr kaliim abir, Dar a1-'Awdah, Bayriit 1994, p. 170. 15 Cfr. Sobhi Boustani, lntifoda et littérature palestinienne, cit. , p. 62; A}:lmad Abii Marar, al-Riwiiyah wa '1-&arb, al-Mu'assasah a1-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, Bayriit 1994, p. 124. 16 Cfr. Sahar Khalifah, La porta della piazza, traduzione di P. Redaelli, J ouven­ ce, Roma 1994, p. 57· 17 lvi, p. 63. 18 lvi, p. 22. 19 lvi, p. 20 20 Ibid. 230

NOTE

21 lvi, p. 176. 22 lvi, p. 177. 23 Da una intervista rilasciata dalla scrittrice a l. Camera d'Afflitto al Cairo nel febbraio 2004. Cfr. www . arablit.it. 24 Cfr. Gamal Bannurah, lntifoda, racconti, a cura di L. Ladikoff, supplemento al n. 7 di " Bollettario ", gennaio 1992, p. 23. 25 Cfr. Emil Habibi, L 'amore nel mio cuore, in La sestina dei sei giorni, in I. Came­ ra d'Afflitto (a cura di) , Palestina. Tre racconti, Ripostes, Salerno-Roma 1984, p. 113. 26 Dal discorso ufficiale pronunciato da 'lzzat al-Ghazzawi il 12 dicembre del 2001 in occasione del conferimento del premio Sakharov. Cfr. www. izzatghazzawi. com. 27 Traduzione di P. D'Amico. Cfr. 'lzzat al-Ghazzawi, al-Khuruwat, Dar al-shuruq, 'Amman 2000, p. 8. 28 Cfr. Riya4 Baydas, lfiwar al-sharfot al-!iimit, Dar al-Madà, Dimashq 2003, pp. 71-83. 29 Cfr. D. Migliore, Letteratura palestinese dell'intifoda al-aqsà, tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2004-2005. 30 Questa poesia, recitata da Ma�mud Darw!sh all'indomani della morte del piccolo Mu�ammad, è stata trasmessa da diverse televisioni arabe. Ed è da una di queste trasmissioni che è stato preso il testo qui tradotto. 31 Traduzione di W. Dahmash, cfr. AA.VV. , Poèmes palestiniens d'hier et d'au­ jourd'hui, cit. , p. 218. 3 2 Cfr. AA.vv . , Letteratura Palestinese - Antologia, a cura di W. Dahmash, La Sa­ pienza Orientale - Studi, Roma 2005, p. 93· 33 Cfr. la poesia Ti hanno espulso, traduzione di C. lntartaglia, in AA . vv . , Poèmes palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, ci t., p. 252. 34 Cfr. al-Mutawakkil Taha, al-Ram/ wa '1-afà, szrat Katszut mu 'taqalah An!iir J, al-Mu'assasah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, 'Amman 2001, pp. 90-1. Tra­ duzione di W. Dahmash e G. Scarcia, in AA.vv . , La terra più amata. Voci della let­ teratura palestinese, a cura di W. Dahmash, T. Di Francesco, P. Blasone, Manife­ stolibri, Roma 2002, p. 81. 3 5 Cfr. 'Adnan al-DTh, Nashzd al-lntifotjah, tratto dal sito in lingua araba www . alj esr.com. Cfr. S. Sibilio, La Palestina nei versi dei poeti della resistenza. In­ contro tra poesia e musica, tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2002-03. 36 Traduzione di S. Sibilio.

8

Il

romanzo contemporaneo

1 Cfr. A. D'Ancicco, Liana Badr: la Palestina e le donne, tesi di laurea non pubblicata, Istituto Universitario Orientale, N apoli, a. a. 2000-2001. 2 Cfr. Liyanah Badr, Nugum Arz&a, Dar al-Hilal, al-Qahirah 1993, pp. 36-7. 231

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

3 Cfr. Ya�yà Yakhluf, Yawmiyyiit al-igtiyii� wa '1-�umud, Dar al-shuruq li '1-nashr wa '1-tawz!', 'Amman 2002. 4 Cfr. Amine Hassan, Sur le front de l'espoir. L'intervista, del 15/o1/2o03, è apparsa sul sito www . hebdo.ahram. org. 5 N el 1997 pubblica Due notti e l'ombra di una donna (Laylatiin wa �il/ imra 'ah) e nel 1999 Il nitrito delle distanze (�ah"il al-masiifot) . 6 Cfr. E. Calabrese, Viaggio nella letteratura palestinese nei campi profughi: ana­ lisi e traduzione della raccolta di racconti "Il confronto " di Ni 'mah Khiilid, tesi di lau­ rea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2002-03. 7 Nel 1997 ha vinto a Dubai il prestigioso premio Sulçan al-'Uways per la poe­ sia. Nel 1999 ha pubblicato la raccolta Bi-smi 'l- Umm wa 1-Ibn, per la quale è stato accusato di blasfemia da parte di un siriano, il dr. Mu�ammad al-Buti, che lo in­ colpava di aver usato arbitrariamente un versetto del Corano. 8 Cfr. Ibrahim Nasrallah, Febbre, traduzione di L. Capezzane, Edizioni Lavo­ ro, Roma 2001. La poetessa Salmà al-Khaçlra' al-Gayyus1, che ha scritto la prefazio­ ne all'edizione araba, ha definito l'opera uno dei migliori romanzi palestinesi degli anni ottanta. 9 Cfr. Faisal Darraj , Disparities ofthe Palestinian Nove/, in " Banipal ", numero monografico A Feature on Palestinian Literature, 15!16, 2002-03, p. 51. 10 Cfr. F. La Porta, Introduzione a Febbre, cit. , p. x. 11 Cfr. Ibrahim Nasrallah, Dentro la notte, diario palestinese, traduzione di W. Dahmash, Il isso, Nuoro 2002. 12 lvi, p. 98. 13 Cfr. Ibrahim Na�rallah, Tuyur al-�idhr, Dar al-Adab, Bayrut 1996, p. 99· Cfr. C. Bonadies, Tuyur al-�idhr di Ibrahim Na�ralliih , tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2002-03. 14 Cfr. Faisal Darraj , Disparities ofthe Palestinian Nove/, cit. , p. 51. 15 Cfr. Sa�ar Khal1fah, al-Miriith, Dar al-Adab, Bayrut 1997, pp. 26-7, traduzio­ ne di L. Raiola. Il romanzo è in corso di stampa presso la casa editrice Ilisso di Nuoro. 16 Cfr. Sa�ar Khallfah, al-Miriith, ivi, p. 110. 17 lvi, pp. 119-21. 18 Cfr. Sa�ar Khallfah, Rabz �iirr, Dar al Adab, Bayrut 2004. 19 Traduzione di E. Calabrese. 20 Cfr. Elias al-Khuri, La porta del sole, traduzione di E. Bartuli, Einaudi, Tori­ no 2005. 21 lvi, nella quarta di copertina. 22 Cfr. 'Adaniyyah Shibli, Sensi, traduzione di M. Ruocco, Argo, Lecce 2007, p. 75· 23 Cfr. Ibrahim Souss, Lettera a un amico ebreo, Tranchida, Milano 1990; Id. , Le rose dell'ombra, Tranchida, Milano 1994; Id., Le rondini di Gerusalemme, Tranchi­ da, Milano 2002. La traduzione è di O. Rota. 24 Cfr. Salwà Salem, Con il vento nei capelli. Vita di una donna palestinese, a cura di L. M aritano, Giunti, Firenze 1993 (2002) . 232

NOTE

25 26 27

Cfr. Rania Hamad, Palestina nel cuore, Sinnos, Roma 1998. Cfr. Rula Jebreal, La strada dei fiori di Mira!, BUR, Milano 2005. Cfr. Muin Masri, Io sono di là, Michele Di Salvo Editore, Torino 2005.

9 L'autob iografia nella letteratura palestinese

1 Cfr. Sobhi Boustani, Nationalisme juif et littérature palestinienne, in AA .vv. , Nationalisme juifet environnement arabe 1904 -1917, Textes réunis par S. Boustani et

F. Saquer-Aabin, Editions Scientifiques du Conseil Scientifique de l'Université Charles-De Gaulle, Lille 2004, pp. 164-5. 2 Cfr. Nagati �idqi, Mudhakkiriit NafJitz $idqZ, Mu'assasat al-dirasat al-filasçiniyyah, Bayrut 2001, pp. 21-2. 3 lvi, p. 22. 4 lvi, p. 44· 5 lvi, pp. 68-9. 6 lvi, pp. 71-4. 7 lvi, p. 75· 8 L'autore ha pubblicato nel 1991 un'altra autobiografia, Yawmiyyiit Sarriib

'A.!fon.

9 In italiano è stato pubblicato con Ipozzi di Betlemme, traduzione di W. Dahmash, Jouvence, "Memorie del Mediterraneo ", Roma 1997. 10 lvi, pp. 203-5. 11 Cfr. Fadwà Tuqan, Ri&lah �a 'bah, ri&lah gabaliyyah, Dar al-shuruq, 'Amman 1985, p. l . 12 Fadwà, regia di Liana Badr, musica di Bashar A. Rabou, Palestina 2ooo, 56', video. 13 Il riferimento è a sua madre tJamdah a cui ha dedicato l'opera. 14 Cfr. Muhammad al-Qaysi, l/ libro de/figlio, traduzione di P. Vardaro, Edizio­ ni Lavoro, Roma 2000, p. 8. 15 Sul tema delle traversie dei palestinesi in Libano e della scarsa solidarietà con cui vi furono accolti, cfr. R. Sayigh, The Palestinian Identity among Camp Resi­ dents, in "Journal ofPalestine Studies ", VI, 3 , 1977, p. 3 · 16 Cfr. Mahmud Darwish, Una memoria per l'oblio, traduzione d i L . Girolamo, con la collaborazione di E. Bartuli, postfazione di G. Scarcia, J ouvence, Roma 1997, pp. 15-6. 17 Cfr. I. Camera d'Afflitto, Prison Narratives: Autobiography and Fiction, in AA.vv . , Writing the Self Autobiographical Writing in Modern Arabic Literature, edi­ ted by E. de Moor, R. Ostie, S. Wild, Saqi Books, London 1997, pp. 148-56. 18 Cfr. Nagati �idqi, Mudhakkiriit Nagiitz $idqZ, cit. 19 Dirigente del Partito Comunista in Palestina, di origine algerina, a servizio del Komintern a Mosca fino al 1937. lvi, pp. 74-5. 233

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

20 Cfr. Mu'in Bsisu, da Quaderni Palestinesi, traduzione di A. Arioli, in AA . vv . , La terra più amata. Voci della letteratura palestinese, a cura di W. Dahmash, T. Di

Francesco, P. Blasone, Manifestolibri, Roma 2002, p. 125. 21 al-Mutawakkil Sa'Id Bakr Taha, meglio noto come al-Mutawakkil Taha, è nato nel 1958 a Qalq1liyyah. Oggi dirige un importante centro culturale, Bayt al­ Shi'r ('' La casa della poesia"), fondato nel 1998. È presidente dell'associazione Shu 'arii ' bi-Iii IJudud ( '' Poeti senza frontiere "). Cfr. www .pal-poetry.gov.ps. 22 Cfr. al-Mutawakkil Taha, al-Rami wa '1-afà, szrat Katszut mu 'taqalah An!iir 3, al-Mu'assasah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, 'Amman 2001, p. 93· Tradu­ zione di D. Palermo, tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napo­ li " L'Orientale", a.a. 2003-04. 23 Cfr. 'Adii Ab ii 'Amishah, al-Ightiriib wa 'l- 'urnbah, al-lntifotjah wa irhii!iitu­ hii wa �hirat adab An!iir 3, in �urat al-ghinii : diriisiitfr ibdii ' al-Mutawakkil Tiihii, a cura di Mirad al-Siidan1, Dar al-magid li '1-nashr wa '1-tawzl', Ramallah 2003. 24 Cfr. al-Mutawakkil Taha, al-Rami wa 'l-afà, cit. , p. 27. 25 lvi, p. 40. 26 Cfr. Mahmud Darwish, Una memoria per l'oblio, cit. , p. 20. 27 Traduzione di W. Dahmash, G. Scarcia, in AA.vv., La terra più amata, cit. , p. 71. 28 Cfr. Murid al-Barghuti, Ho visto Ramallah, traduzione di M. Ruocco, Ilisso, Nuoro 2005. 29 Cfr. Edward Said, Sempre nel posto sbagliato, Feltrinelli, Milano 2000. 30 Nato in Palestina nel 1944, è conosciuto soprattutto come poeta. 31 Con la sua autobiografia al-Barghiith1 ha vinto nel 2002 il premio egiziano "NagTh Ma�fii�" per la narrativa. 32 Cfr. Murid al-Barghuti, Ho visto Ramallah, cit. , p. 35· 33 Cfr. Edward Said, Prefazione, ivi, pp. 5-6. 34 Cfr. Elias Sanbar, Le bien des absents, Actes Sud Babel, Paris 2001, p. 132. 35 Cfr. AA.vv . , Letteratura Palestinese - Antologia, a cura di W. Dahmash, La Sa­ pienza Orientale - Studi, Roma 2005, pp. 198-212.

lO

Il teatro palestinese Cfr. Reuven Snir, Palestinian Theatre, Reichert, Wiesbaden 2005, p. 24. Sul teatro nel mondo arabo, cfr. l. Camera d'Afflitto, Letteratura araba con­ temporanea. Dalla nahçlah a oggi, Carocci, Roma 2007 (1998), in particolare il cap. 5, Cenni sul teatro arabo. Per una visione più approfondita del teatro arabo, cfr. M. Ruocco, Il teatro nel mondo arabo, Carocci, Roma (in corso di stampa). 3 Donne arabe cristiane si erano già esibite nella compagnia del siriano �mad Abii Khal11 Qabban1 (1836-1906) . 4 Cfr. M. Ruocco, Questione palestinese: scene di resistenza, in " Hystrio", xv, 1, 2002, pp. 24-7· 2

23 4

NOTE

Si tratta della Storia del teatro palestinese (Ta 'rzkh al-masraf? al-filastzni) pub­ blicata a Nicosia nel 1990. 6 Cfr. R. B. Campbell, s.j . , A 'lam al-adab al- 'arabi" al-mu 'ii�ir - siyar wa siyar dhiitiyyah, Markaz al-Dirasat li '1-'alam al-'arab1 al-mu'a�ir, Gami'at al-Qiddis Yu­ suf, Bayrut 1996, vol. n, p. 1064. 7 Cfr. Ghassan Kanafani, La porta, in C. F. Barresi (a cura di) , Palestina. Dimensione teatro, Ripostes, Salerno-Roma 1985, pp. 17-61. 8 lvi, p. 19. 9 lvi, p. 40. 10 Cfr. Muin Bsisu, Sansone e Dalila, in Palestina. Dimensione teatro, cit. , tradu­ zione di C. F. Barresi, pp. 77-164. 11 lvi, pp. 87-8. 12 Cfr. AA.vv . , Letteratura Palestinese - Antologia, a cura di W. Dahmash, La Sa­ pienza Orientale - Studi, Roma 2005, p. 166. 13 Cfr. Nayif Khur1, al-lfarakah al-masraf?iyyah al-filastzniyyah fi- 'l- Calzi, in " alAdab ", 51, 7-8, 2003, pp. 43-8. Cfr. p. 44· 14 Cfr. Padri e figli, traduzione di R. Dorigo, in AA.vv . , A Mikhaìl Nu 'ayma in occasione de/90° compleanno, Istituto per l'Oriente, Roma 1978, pp. 147-63. 15 Su Sa'd Allah Wannus cfr. L 'ultimo ricordo, traduzione di M. Ruocco, Jou­ vence, Roma 2004. 16 Quest'ultimo viene portato anche in Italia nel 1988 al Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure a Cervia. Cfr. M. Ruocco, Questione palestinese: scene di resistenza, cit. , p. 26. 17 Cfr. Nayif Khur1, al-lfarakah al-masraf?iyyah al-filastz-niyyah fi- al- Galtl, cit. , p. 46. 18 Cfr. Emil Habibi, Casi della vita, in Palestina. Dimensione teatro, cit. , tradu­ zione di C. F. Barresi, pp. 63-76. 19 Si veda l'intervista di C. Piccino a Mohammed Bakri, in "Alias ", 17, " il ma­ nifesto" , 27 aprile 2006.

11

La Palestina nel cinema 1 Cfr. l:f usayn al-'Awdat, al-Sznimii wa 1-qatfiyyah al-filastzniyyah, al-Ahal1, Dimashq s.d. 2 Cfr. www . dreamsofanation.org. 3 Per notizie sul cinema palestinese cfr. A. Morin, E. Rashid, A. Di Martino e A. Apra (a cura di) , Il cinema dei Paesi arabi, Marsilio, Venezia 1993, pp. 165-73; Khàmais Khayati, Il cinema palestinese, in AA . vv . , Il cinema dei Paesi arabi. Quarta edizione 1997, Edizioni Magma-Fondazione Laboratorio Mediterraneo, Napoli 1997, pp. 71-9; AA . VV . , Cinema dei Paesi arabi, dodicesima mostra internazionale del nuovo cinema, Pesaro 12h5 settembre 1996, n. 68, pp. 257-62.

23 5

C E N T O ANNI D I C U LT U RA PALES T I N E S E

4 Cfr. J. C. Pons, La création artistique, in E. Sanbar, S. H adidi, J. C. Pons, Palestine: l'enjeu culture/, Circé, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1997, p. 117.

5 Cfr. pp. 86-9. Nell'ultima scena, ad esempio, laddove lo scrittore ci presenta l'autista senza 6 scrupoli che non ha esitato a far entrare i malcapitati in una cisterna arroventata dal sole e si domanda perché i tre non abbiano bussato per chiedere aiuto, il regista ci mostra i personaggi che invece bussano invano alle pareti della cisterna. Questa differenza, che può sembrare insignificante, denota, in realtà, un ben diverso atteg­ giamento politico. Lo scrittore Kanafani appare più pessimista, perché ci descrive tre esseri umani talmente rassegnati, che non cercano neanche di scampare al loro destino; il regista egiziano, al contrario, ce li presenta meno rassegnati, perché han­ no cercato di reagire, ma sono stati ingannati da tutti. Da qui, appunto, il titolo della pellicola: Gli ingannati. Cfr. A. Nicosia, Il cinema arabo, Carocci, Roma 2007, pp. 57-8. 7 È in corso la lavorazione di una nuova versione cinematografica di questo romanzo, con attori arabi e israeliani, e prodotta dall'Italia. 8 Si veda l'intervista al regista pubblicata nel sito www . indiewire.com. 9 Cfr. www . france-palestine.org. 10 Il film ha vinto il festival di Locarno nel 2004. 11 Cfr. G. Vargiu, Palestina ... Archivio di un popolo: Qays al-Zubaydz e il docu­ mentario, tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orien­ tale", a.a. 2003-04. 12 Dall'intervista rilasciata dal regista a Giorgio Vargiu 1'8 marzo 2004. lvi, pp. 50-1.

12

I l fumetto palestinese 1 Cfr. F. De Angelis, La letteratura egiziana in dialetto nel primo Novecento, J ouvence, Roma 2007. 2 Cfr. J. C. Pons, La création artistique, in E. San bar, S. Hadidi, J. C. Pons, Pa­ lestine: l'enjeu culture/, Circé, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1997, p. 115. Per una panoramica dell'arte palestinese, cfr. Kamal Boullata, Art ( excerpts from the Ency­ clopedia ofthe Palestinians) , Palestinian American Research Center ( PARe ) , 2000,

pubblicato nel sito dell'Università di Birzeit, www . virtualgallery.birzeit.edu. 3 Pubblicato in Italia da Mondadori nel 2002, I Fumetti di Repubblica-L 'Espresso, 2006. 4 Cfr. Ornar al-Qattan, Palestine, by]oe Sacco, in " Banipal", 15!t6, 2002, p. 97· 5 Pubblicato in Italia da Kufia-il Manifesto, 2003. 6 Tra le numerosissime pubblicazioni a lui dedicate, si segnala il dossier della rivista libanese " al-Adab", dal titolo Niigz- al- 'Alt, Il fascino della dignità (Niigz­ al- 'Alt, Si&r al-kariimah) , che ha pubblicato gli articoli di 3 2 seri ttori e artisti arabi

NOTE

in occasione del quindicesimo anniversario della sua morte. Cfr. " al-Adab ", 50, 9-10, 2002, pp. 47-105. 7 Cfr. Sulayman al-Shaykh, Ma/ami& wa ma&artiit wa marii&il, in " al-Adab ", Niigz- al- 'Ali, Si&r al-kariimah, ci t. , p. 62. 8 Cfr. www . media-alliance.org. Cfr. " al-Yamamah " del maggio 1984, citato nel sito www . tmcrew.org. 9 10 Il " New York Times" scrisse a tale proposito: «Le vignette di Naji Al-Ali ri­ specchiano fedelmente l'opinione che il cittadino arabo ha degli USA». Citato nella rivista " al-Mawqif' del 6 marzo 1985, riportato nel sito internet www . tmcrew.org. 11 Cfr. Solo dieci metri, in l. Camera d'Afflitto (a cura di) , Scrittori Arabi del Novecento, 2 voll. , Bompiani, Milano 2003, vol. 1, pp. 265-70. 12 Cfr. Fay�al Darrag, al- Taliqfi- magiil al-muqayyad, in " al-Adab", Niigt al- 'Ali, Si&r al-kariimah, ci t., p. 69. 13 Cfr. " al-Nida"' del 4/7h984, citato da M. d'Ovidio, Caricatura e satira politi­ ca in Medio Oriente, tesi di laurea non pubblicata, Università degli Studi di Napoli " L'Orientale", a.a. 2003-04, p. 93· Molte notizie sulla vita e l'opera di Nagi al-'Ali si trovano in numerosi siti internet, operando la ricerca soprattutto come " Naj i Ali ". 14 "Al-Qabas ", 12/51l984, citato nel sito www . tmcrew. org. 15 Dalla poesia lfan?Alah, traduzione di C. Intartaglia, in AA.vv. , Poèmes Palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, PISAI, Roma 2005, p. 257. 16 Cfr. Khal!l Abu 'Arafah, Li-miidha yataraddad �awtuhu fi--nii &attà al-yawm ?, in " al-Adab", Niigz- al- 'Alt, Si&r al-kariimah, cit. , p. 56. 17 Cfr. Fay�al Darrag, al- Talzq fi-magiil al-muqayyad, cit. , p. 65. 18 Il documentario " Naji Ali " a cura di 'Arif al-Tayyib è stato presentato anche in I tali a, nel corso di diverse manifestazioni cinematografiche sulla Palestina. 19 Accordi conclusi nel settembre del 1978 con cui l'Egitto stipulava un trattato di pace separato con Israele. 20 Cfr. Fay�al Darrag, al- Taltq fi-magiil al-muqayyad, cit. , p. 69. 21 Cfr. " al-tlasna' al-sakhirah ", del 15 agosto 1975, citato nel sito www . tmcrew. org.

23 7

Bibliografia ·

Storia e critica letteraria AA.vv.,

Cinema dei Paesi arabi, dodicesima mostra internazionale del nuovo cinema,

Pesaro 1 2!15 settembre 1996, n. 68. AA.vv.,

Il cinema dei Paesi arabi. Quarta edizione 1997, Edizioni Magma-Fondazio­

ne Laboratorio Mediterraneo, Napoli 1997. AA.VV.,

Les bel/es étrangères: 12 écrivains palestiniens, Centre National du livre, Mi­

nistère de la Culture, Paris 1997.

Histoires et nouvelles de Palestine, traduction de C. Krul, introduction de Mahmud Mawid, le Sycomore, Paris 1979.

AA.VV.,

AA.vv.,

Writing the Self Autobiographical Writing in Modern Arabic Literature, edi­

ted by E. de Moor, R. Ostie, S. Wild, Saqi Books, London 1997. ALLEN R.,

The Arabic Novel An Historical and Critica/ Introduction, University of

Manchester, Manchester 1982. AVINO M.,

L 'Occidente nella cultura araba, Jouvence, Roma 2002.

BAD RAN M . ,

Feminists, Islam and Nation. Gender and Making of Modern Egypt,

The American University of Cairo, Cairo 1996.

Due percorsi intellettuali: '.A di/ Zu 'aytir e Gustave Le Bon, in " O riente Moderno", Studi in memoria di Pier Giovanni Donini, XXIV, 2-3, 2005, pp. BALDAZZI

c.,

287-307.

Il ruolo degli intellettuali arabi tra Impero ottomano e Mandato: il caso della fa­ miglia Zu 'aytir (1872-1939), Università degli Studi di Napoli " L'Orientale" (collana

ID.,

" Dissertationes " ) , Napoli 2005. *

In questa bibliografia sono riportati soltanto i principali testi di riferimento. Per i nomi propri è stata indicata solo l'iniziale, tranne che per i nomi arabi. Nel­ l' ordine alfabetico non si tiene conto dell'articolo arabo al-. 23 9

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

BALLAS SH.,

La littérature arabe et le conflit au Proche-Orient (1948-1973), Anthro­

pos, Paris 1980. ID.,

Le personnage israélien dans la littérature arabe, in " Les nouveaux cahiers ", 44,

1976, pp. 46-52. ID.,

The (Ugly) Israeli in Arab Literature, in " New Outlook", XVI I, 9, november

1974, pp. 78-86. BEN ACHOUR CHAABAN E, Adel Zuayter ou

le sacerdoce du traducteur, in " Qantara",

23, Printemps, 1997, pp. 8-9. B LASONE P . , La cultura palestinese e Ghassan Kanafoni, in AA.vv. La terra più ama­ ta. Voci della letteratura palestinese, manifestolibri, Roma 2002, pp. 211-5. B O ULLATA KAMAL, Art (excerpts from the Encyclopedia ofthe Palestinians) , Palesti­

nian American Research Center ( PARe ) , 2000. BO USTANI s o B H I , lntifada et littérature palestinienne, in L 'impacte des pierres. La première lntifada et les littératures arabe et israélienne, textes rassemblés par D. Del­

maire et E. Persyn, Cartouche, Lille 2003. ID., Le personnage de "l'éntranger " (al-gharTh) dans la littérature palestinienne: Essai sur les ceuvres de Gh. Kanafonl, E. ljabzbz et S. Khallfa, in "Arabi c and Middle Ea­

stern Literatures ", 3, 2, 2000, pp. 235-47.

Nationalisme juifet littérature palestinienne, in AA.VV., Nationalisme juifet en­ vironnement arabe 1904-1917, Textes réunis par S. Boustani et F. Saquer-Aabin,

ID.,

Editions Scientifiques du Conseil Scientifique de l'Université Charles De Gaulle, Lille 2004. CAM ERA D'AFFLITTO

1.,

L 'espace Kabus, in La poétique de l'espace dans la littérature

arabe moderne, sous la direction de B. Hallaq, R. Ostie, S. Wild, Presse Sorbonne N ouvelle, Paris 2002. ID.,

Letteratura araba contemporanea. Dalla nah4ah a oggi, Carocci, Roma 2007 ( I

ed. 1998 ) . ID.,

L 'evoluzione della narrativa palestinese dalla Nahda alla Nakba, in " Lingua,

letteratura, civiltà", 5, 1983-84, pp. 83-109. ID.,

L 'influenza della letteratura contemporanea italiana sugli scrittori arabi, in " Pri­

sma", Dipartimento Generale per l'Informazione estera, Giza 2, 2005, pp. 18-22. ID.,

L 'israeliano visto dallo scrittore palestinese: evoluzione di un 'immagine letteraria,

in R. Dorigo Ceccato, T. Parfitt, E. Trevisan Semi, L 'altro visto dall'altro, Cortina, Milano 1992, pp. 83-91. ID.,

Narrativa palestinese contemporanea: note su alcuni autori, in " Quaderni di stu­

di arabi" , I, 1983, pp. 67-85.

BIBLIO G RAFIA

ID.,

Per una storia della letteratura palestinese, in " Linea d'ombra ", 63, settembre

1991, pp. p-8.

Prison Narratives: Autobiography and Fiction, in AA.VV., Writing the Self Auto­ biographical Writing in Modern Arabic Literature, edited by E. de Moor, R. Ostie,

ID.,

S. Wild, Saqi Books, London 1997, pp. 148-56. ID.,

Simbolo e realtà in Ghassan Kanafani, in " O riente Moderno", LXIV, 1984, pp.

33-40. ID.,

Sulla narrativa dei territori occupati, in " O riente Moderno ", v, 7-9, 1986, pp.

119-68. CANOVA G . ,

La poesia della resistenza palestinese, in " Oriente Moderno", 51, 1971,

pp. 583-630. I D . , Due poetesse: Fadwà

Tuqiin e Salmà al-Khatjrii ' al- Gayyust, in "Oriente Moder­

no", 53, 1973, pp. 876-93. C RISTIANO R.,

La speranza svanita, Editori Riuniti, Roma 2002.

DAHMASH

Voci palestinesi dell'intifada, Vecchio faggio, Chieti 1989.

w.,

DARRAJ FAISAL, Disparities ofthe Palestinian Nove!, in " Banipal", A Feature on Pa­ lestinian Literature, 15h6, 2002-03, pp. 47-52. D ESCAMPS -WAS SIF s.,

Dictionnaire des écrivains palestiniens, lnstitut du Monde

Arabe, Paris 1999. DONINI P. G . ,

Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Laterza,

Roma-Bari 2003. ID.,

Le comunità ebraiche nel mondo, Storia della diaspora dalle origini a oggi, Edito­

ri Riuniti, Roma 1988. ID.,

Per una storia economica della Palestina, in " Palestina", 9-11, 1970, pp. 77-104.

ID.,

Sull'evoluzione dell'autocoscienza etnica palestinese, in " Quaderni di studi ara­

bi", I, 1983, pp. 105-36. DORIGO CECCATO R . , La terra e l'altro nel teatro arabo moderno, in R. Dorigo Cec­ cato, T. Parfìtt, E. Trevisan Semi, L 'altro visto dall'altro, Cortina, Milano 1992, pp. 38-40. DORIGO CE CCATO R., PARFITT T., TREVISAN SEMI E. (a cura di) , L 'altro visto da/­ /'aftro. Letteratura araba ed ebraica a confronto, Cortina, Milano 1992. ELAD -BOUSKILA AMI,

Modern Palestinian Literature and Culture, Frank Cass,

London 1999. GAB RIELI F.,

147-57·

Sei fogli del Divano di Fadwà, in " Oriente Moderno ", LX, 1980, pp.

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

GERIES SABRI,

Gli Arabi in Israele, Editori Riuniti, Roma 1969.

GIARDINA A., LIVERANI M., SCARCIA B.,

La Palestina, Editori Riuniti, Roma

1987. GREILSAMMER A.,

Les communistes israéliens, Presses de la Fondation Nationale des

Sciences Politiques, Paris 1978. HAFEZ s.,

The Arabs and Zionism before World War 1, University of California

Press, Berkeley 1976. ID.,

The Genesis ofArabic Narrative Discourse, Saqi Books, London 1993.

ID.,

Tradition and Innovation in the Fiction of Ghassan Kanafoni, in "Journal of

Arabic Literature", VII, 1976, pp. 53-64. JABRA I B RAHIM JABRA,

The Palestinian Exile as Writer, in "Journal of Palestine

Studies ", 8, 1979, pp. 77-87 (trad. it. in " Linea d'ombra", 63, settembre 1991, pp. 51-5). ID.,

Le sindrome de Faust, in " Qantara", 23, Printemps, 1997, p. 42.

JAYYUSI SALMA KHADRA,

Anthology of Modern Palestinian Literature, Columbia

University Press, New York 1992. ID.,

Modern Arab Fiction, an Anthology, Columbia University Press, New York

2004. J I HAD HASSAN KAD HIM,

Le roman arabe (1834-2004), Sindbad Actes Sud, Paris

2006. KHALIDI RAS H I D , Identità palestinese: la costruzione di una moderna coscienza na­ zionale, Bollati Boringhieri, Torino 2003 (Palestinian Identity, The Construction of Modern National Consciousness, Columbia University Press, New York 1997) . KHALIDI WALI D, Antes de su diaspora, una historia de los palestinos a través de la fo­ tografia 1876-1948, Les Editions de la Revue d'Études Palestiniennes, Paris 1988. KHAYATI KHÀMAI S ,

Il cinema palestinese, in AA.vv. , Il cinema dei Paesi arabi. Quar­

ta edizione 1997, Pesaro 12ft 5 settembre 1996, 68, pp. 71-9. KILPATRIK H.,

The Arabic Novel· a Single Tradition ?, in "Journal of Arabic Litera­

ture", v, 1974, pp. 93-107. ID.,

Commitment and Literature: the Case ofGhassan Kanafoni, in " B ritish Society

for Middle Eastern Studies Bulletin", I I I , ]une 1976, pp. 15-9. ID.,

Tradition and Innovation in the Fiction of Ghassan Kanafoni, in "Journal of

Arabic Literature", VII, 1976, pp. 53-64. LADIKOFF L.,

113-51.

La poesia di Samih al-Qasim, tn " L'ospite ingrato ", I, 2005, pp.

BIBLIO G RAFIA

LANNUTTI G . ,

Storia della Palestina, Datanews editrice, Roma 2006.

LE GAS S I C K T . ,

The Luckless Palestinian, in " The Middle East Journal ", XXXIV,

1980, pp. 215-23. MAGRATH D . R., A

Study o/Rigai fi '1-Shams by Ghassan Kanafon'i, in "Journal of

Arabic Literature", 10, 1979, pp. 96-7.

Turks, Arabs and ]ewish Immigration into Palestine, 1882-1914, in A. Hourani (ed. ) , Middle Eastern Affairs, Oxford University Press, London 1965.

MAN D E L N.,

MARDAN -BEY FARO UK, SANBAR ELIAS, jérusalem,

le sacré et le politique, Sindbad­

Actes Sud, Arles 2000.

Le droit au retour, Sindbad-Actes Sud, Arles 2002. E I D D . , tre arabe, Sindbad-Actes Sud, Arles 2005.

IDD.,

MOGHANNAM MATIEL,

The Arab Woman and the Palestine Problem, Herbert Jo­

seph, London 1937 (Hyperion Press, London 1976).

Arabic Literature in Israel, in " Middle Eastern Studies", III, 1967, pp.

MOREH SH.,

283-94· ID.,

An Outline of the Development ofModern Arabic Literature, in "Oriente Mo­

derno", LV, 1975, pp. 8-28.

Nakba, introduzione di G. Valabrega, Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli, Ripostes, Salerno-Roma 1988. NICOSIA A.,

Il cinema arabo, Carocci, Roma 2007.

N O FAL MAMDOUH, XXVIII,

l,

Rejlections on al-Nakba, in "Journal of Palestine Studies ",

1998, pp. 5-9.

O RELLI L. (a cura di), L 'esperienza dello sradicamento. Incontro con jabra Ibrahim jabra, in " Linea d'ombra", 63, settembre 1991, pp. 47-50. PAPPE

1.,

Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, Einaudi, Torino

2005. PELED M . , Annals ofDoom: Palestinian Literature 1917-1948, in "Arabica", 26, 1982,

pp. 143-84. P O RATH Y.,

The Emergence ofthe Palestinian-Arab National Movement (1918-1929),

F rank Cass, Lo n don 197 4· Ruocco M . ,

Questione palestinese: scene di resistenza, in " Hystrio", xv, 1, 2002, pp.

24-7· SACCO J . , Palestina Reportage a Fumetti, Mondadori, Milano 2002 (I Fumetti di Repubblica-L'Espresso, Roma 2006) . 243

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

SANBAR E., HAD I D I s . , PONS J .

c.,

Palestine: l'enjeu culture/, Coordonné et présenté

par Farouk Mardam-Bey, Circé, lnstitut du Monde Arabe, Paris 1997. SANBAR E.,

Figures du Palestinien. Identité des origines, identité de devenir, Galli­

marci, Paris 2004. ID.,

Le bien des absents, Babel, Paris 2002.

I D . , Les Palestiniens dans le siècle, Gallimard, Paris 1994. SCARCIA B . ,

fpoeti della resistenza pafestinese, in " Palestina", 5-8, 1969, pp. 26-37.

S F E I R J I HANE, Al Nakbah, L 'immaginario collettivo dell'espulsione de/ 1948 tra i profughi palestinesi, in "Alternative", 5, luglio/agosto 2004, pp. 126-34.

The Lure ofZion, The Case ofthe Iraqijews, Al Saqi Books, Lon­

S H I B LAK ABBAS,

don 1986, p. 111. SNIR R.,

Palestinian Theatre, Reichert, Wiesbaden 2005.

VACCA v.,

Storia del risveglio dei popoli arabi in un recente libro di Giorgio Antonius,

in " Oriente Moderno", XIX, 1939, pp. 121-9. WARNO C K KITTY, Land before Honour: Palestinian

Women in the Occupied Territo­

ries, Macmillan, Basingstoke 1990. WEINSTOCK N.,

Le sionisme contre Israel, Maspero, Paris 1969.

ZEI DAN J . T., Arab

Women Novelists, State University of New York Press, Albany

(NY) 1995·

Romanzi, racconti e poesie palestinesi in italiano AA.vv.,

Calchi di poesia araba contemporanea, trad. di Fuad Cabasi, Mondadori,

Milano 1962. AA.vv.,

La terra più amata. Voci della letteratura palesinese, a cura di W. Dahmash,

T. Di Francesco, P. Blasone, manifestolibri, Roma [1992] 2002. AA.vv.,

Palestina. Poesie, a cura di B. Scarcia, Ila Palma, Palermo 1983.

AA.vv.,

Poèmes palestiniens d'hier et d'aujourd'hui, PISAI, Roma 2005.

AA.VV.,

Viaggio in Palestina, Nottetempo, Roma 2003 .

'AzZAM SAM I RA,

Palestinese! E altri racconti, a cura d i W. Dahmash, Edizioni Q,

Roma 2003. BANNURAH GAMAL,

lntifada, cura e trad. di L. Ladikoff, supplemento al n. 7 di

" Bollettario", gennaio 1992. 244

B I B L I O G RAFIA

BARGH OUTHI M USTAFA,

Restare sulla montagna, trad. di M. Boffito, Nottetempo,

Roma 2007. AL-BARGHUTI MURID,

Ho visto Ramallah, prefazione di E. Said, trad. di M. Ruoc­

co, Ilisso, Nuoro 2005. (a cura di) , Palestina. Dimensione Teatro, presentazione di G . Scar­ cia, Ripostes, Salerno-Roma 1985.

BARRESI F.

c.

BSISU MUIN,

Poesie sui vetri dellefinestre, trad. di A. Mariani, Ufficio della Lega de­

gli Stati Arabi, Roma s.d. ID., Sansone e Dalila, trad. di C. F. Barresi, in Palestina. Dimensione teatro, presen­ tazione di G. Scarcia, Ripostes, Salerno-Roma 1985, pp. 78-164. CAM ERA D'AFFLITTO 1. (a cura di) , Palestina. Tre racconti, presentazione di B. Scarcia, Ripostes, Salerno-Roma 1984. ID. (a cura di) ,

Scrittori arabi del Novecento, 2 voli. , Bompiani, Milano 2003.

CO RRAO F. M. (a cura di) , In un mondo senza cielo. Antologia della poesia palestinese, Giunti Editore, Firenze 2007. ID. (a cura di) ,

Poesia straniera-araba, La Biblioteca di Repubblica, Roma 2004.

(a cura di) , Letteratura palestinese - Antologia, La Sapienza Orienta­ le-Studi, Roma 2005.

DAHMASH

w.

DARWI S H MAHMUD, Il sogno dei gigli bianchi, trad. di B. Scarcia, a cura di W. Dahmash, Edizioni musicali, Monsano ( AN ) 1996. ID.,

La mia ferita è lampada ad olio, trad. di F. M. Corrao, De Angelis Editore,

Avellino 2006. ID.,

Meno Rose, trad. di G. Scarcia, F. Rambaldi, Cafoscarina, Venezia 1997.

ID.,

Murale, a cura di Fawzi Al Delmi, Epoche, Torino 2005.

ID.,

Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?, a cura di L. Ladikoff Guasto,

Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2001 . I D . , Una memoria per l'oblio, trad. d i L . G irolamo con la collaborazione d i E . Bar­ tuli, postfazione di G. Scarcia, Jouvence, Roma 1997. FAYYAD TAWFIQ, Selim lo scemo, trad. di I. Camera d'Afflitto, in Palestina. Tre rac­ conti, Ripostes, Salerno-Roma 1984, pp. 115-33. GlABRA I B RA H I M GlABRA,

I pozzi di Betlemme, trad. di W. Dahmash, Jouvence,

Roma 1997. ID.,

La nave, trad. di M. Falsi, Jouvence, Roma 1994.

HAB I B I EMIL, Casi della vita, trad. di C. F. Barresi, in Palestina. Dimensione Tea­ tro, presentazione di G. Scarcia, Ripostes, Salerno-Roma 1985, pp. 63-76. 24 5

C E N T O A N N I D I C U L T U RA PALES T I N E S E

ID.,

Il Pessottimista, un arabo d1sraele, a cura di I. Camera d'Afflitto, trad. di I. Ca­

mera d'Afflitto e L. Ladikoff, Bompiani, Milano 2002. ID.,

Peccati dimenticati, trad. di B. Marziali, Marsilio, Venezia 1997.

I D . , Sestina dei sei giorni, trad. di I . Camera d'Afflitto, in Palestina. Tre racconti, Ri­ postes, Salerno-Roma 1984, pp. 73-114. HAMAD RAN IA, JEB REAL R.,

Palestina nel cuore, Sinnos, Roma 1998.

La strada dei fiori di Mira!, Bur, Milano 2005.

KANAFANI GHASSAN,

Il cappello e ilprofeta, trad. di M. Criscuolo, Cicorivolta Edi­

zioni, Villafranca Lunigiana ( Ms ) 2007. ID.,

La porta, trad. di C. F. Barresi, in Palestina. Dimensione Teatro, presentazione

di G. Scarcia, Ripostes, Salerno-Roma 1985, pp. 18-61. ID.,

Ponte per l'eternità, trad. di M. Criscuolo, Cicorivolta Edizioni, Villafranca

Lunigiana ( Ms ) 2006. ID.,

Ritorno a Haifa. La madre di Saad, trad. di I. Camera d'Afflitto, presentazione

di F. Gabrieli, Ripostes, Salerno-Roma 1985. ID., Ritorno a Haifa, trad. di I . Camera d'Afflitto, presentazione di F. Gabrieli, Edizioni Lavoro, Roma 1991 [2003 ] . ID.,

Se tu fossi u n cavallo e altri racconti, trad. d i A. Lano, presentazione d i l . Came­

ra d'Afflitto, Jouvence, Roma 1993. I D . , Uomini sotto il sole, trad. di I. Camera d'Afflitto, in Palestina. Tre racconti, Ri­ postes, Salerno-Roma 1984, pp. 19-72. ID.,

Uomini sotto il sole, trad. di I. Camera d'Afflitto, nota di V. Consolo, Sellerio,

Palermo 1991. KAS H UA SAYE D,

Arabi danzanti, trad. [dall'ebraico] di E. Loewenthal, Guanda,

Parma 2003 . ID.,

Efo mattina, trad. [dall'ebraico] d i E. Loewenthal, Guanda, Parma 2005.

KHALIFA SAHAR,

La porta della piazza, trad. di P. Redaelli, Jouvence, Roma 1994.

ID.,

La svergognata, trad. di P. Redaelli, Giunti, Firenze 1989.

ID.,

Terra difichi d1ndia, trad. di C. Costantini, presentazione di D. Maraini, Jou­

vence, Roma 1996. AL-KHURI ELIAS,

La porta del sole, trad. dall'arabo di E. Bartuli, Einaudi, Torino

2005. MASRI MUIN,

lo sono di là, Michele Di Salvo Editore, Torino 2005.

NAOURI I S S A (a cura di) , Versi di fooco e di sangue, Ufficio della Lega degli Stati Arabi, Roma 1969.

B I B L I O G RAFIA

NAS RALLAH I B RAHIM,

Dentro la notte, diario palestinese, trad. di W. Dahmash,

Il isso, Nuoro 2002. ID.,

Febbre, trad. di L. Capezzane, Edizioni Lavoro, Roma 2001.

AL-QA S I M SAM I H ,

Versi in Galilea, a cura di W. Dahmash, presentazione di R. La

Valle, Edizioni Q, Roma 2005. AL-QAYS I M U HAMMAD,

!! libro del figlio, trad. di P. Vardaro, prefazione di W.

Dahmash, Edizioni Lavoro, Roma 2000. SAID E.,

Sempre nelposto sbagliato, Feltrinelli, Milano 2000. Con il vento nei capelli. Vita di una donna palestinese, a cura di L.

SALEM SALWÀ,

Maritano, Giunti, Firenze 1993 (2002) . S HAMMAS ANTON, Arabeschi, trad. [dall'ebraico] di L. Lovisetti Fuà, Mondadori,

Milano 1990. S H I B LI 'ADANIYYAH ,

Sensi, trad. di M. Ruocco, Argo, Lecce 2007.

SORA VIA G., ADDOUS A. (a cura di) ,

Sei poeti di Palestina, in "In forma di parole",

III, 2003. s o u s s I B RAH I M ,

Le rondini di Gerusalemme, trad. di O. Rota, Tranchida, Milano

2002. ID.,

Le rose dell'ombra, trad. di O. Rota, Tranchida, Milano 1994.

ID.,

Lettera a un amico ebreo, trad. di O. Rota, Tranchida, Milano 1990.

TOQAN FADWA,

Poetessa araba della resistenza, a cura di Issa l. Naouri, prefazione

di F. Gabrieli, Ufficio della Lega degli Stati Arabi, Roma s.d.

Testi

in lingua araba

AA.vv.,

al-Qalaq wa tamgrd al-�ayiih, Kitiib takrrm Gabrii Ibrahrm Gabrii, al­

Mu'assasah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, Bayrut 1995. 'ABBAS I I;I SAN,

al-Mabnà al-ramzrfr qi�a� Ghassiin, in Ghassan Kanafani, al-A thiir

al-kiimilah, I vol., Dar al-Tall'ah, Bayrut 1972. ABù 'AM I S HAH 'A.DIL,

�hirat adab An�iir 3 ,

al-Ightiriib wa 'l- 'urubah, al-lntifotjah wa irhii�iituhii wa in �urat al-ghina : diriisiitfribdii ' al-Mutawakkil Tiihii, a cura

di Mirad al-Sudani, Dar al-magid li '1-nashr wa '1-tawzi' , Ramallah 2003. ID. (ed.) ,

Shi'r al-intifotjah, ltti�ad al-kuttab al- filasriniyyin, al-Quds 1991.

ABù 'ARAFAH KHALiL,

Li-miidha yataraddad �awtuhu fi--nii �attà al-yawm ?, In

" al-Adab ", Nagr al- 'Ali, Si�r al-kariimah, 50, 9-10, 2002, pp. 56-8. 2 47

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

ABù GH UNAYMAH,

Filasrrn wa 1- 'ayn sfnima 'iyyah, Manshiirat ltti�ad kuttab

al-'arabi, Dimashq 1981. ABù I;IANN.A I;IANN.A,

Tala 'i ' al-nahtjah fr FilastTn, 1862-1914, Mu'assasat al-dirasat

al-filas!Iniyyah, Bayriit 2005. ABù MA 'fAR AI;IMAD,

al-Riwayah fi- 1-adab al-filastTnT 1950-1970, Dar al-�urriyyah,

Baghdad 1980. ID.,

al-Riwayah wa 1-&arb, al-Mu'assasah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr,

Bayriit 1994. ID.,

al-Shakh�iyyah al-yahudiyyah fi- 1-riwayah al-filastTniyyah, in " al-Aqlam ", 2,

1979, pp. 24-7· AL-ASAD N.A� I R AL-D IN, Mu&atfarat 'an KhalTl Baydas. Ra 'id al-qi��ah al- 'arabiyyah fi-FilastTn, Ma'ad al-dirasat al-'arabiyyah al-'aliyyah, al-Qahirah 1963. AL- 'AWDAT I;I U SAYN,

al-STnima wa 1-qatjiyyah al-filastTniyyah, al-Ahall, Dimashq

s.d.

'An al-katibah fi- FilastTn wa 'l- Urdunn, in Dhakirah li 'l-mustaqbal, in Mawsu 'a h li 'l-mar 'ah al- 'a rabiyyah ( 1 1 ) , al-Maglis al-A'là ' .A s H ù R RADWÀ,

li 'l-Thaqafah, al-Qahirah 2002, pp. 127-53. 'Azz.AM SAMIRAH,

Dawr al-adab fr ma 'rakat FilastTn, in " al-Adab", XIII, marzo

1965, pp. 8-10. BASIL GùZIF Qoseph), ZAYN AL-DIN AMAL, Tarawwur al-wa 'T fi- namadhig qi�a�iyyah filastTniyyah, Dar al-l:fadathah, Bayriit 1980. CAM P B ELL R. B., s.j . , A 'lam al-adab al- 'a rabT al-mu a�ir - siyar wa siyar dhatiyyah, Markaz al-Dirasat li '1-'alam al-'arabi al-mu'a�ir, Gami'at al-Qidd!s Yiisuf, Bayriit 1996. DARRAG FAY�AL, al- TalTq fi- maga! al-muqayyad, in " al-Adab", NagT al- 'Ali, Si&r al-karamah, 50, 9-10, 2002, pp. 65-9. GABR YAI;IYÀ, Shaykh al-mutargimTn al- 'arab 'A di/ Zu 'aytir (1897-1957), Manshiirat

al-Dar al-wa!aniyyah li '1-targamah wa '1-!iba'ah wa '1-nashr, Nablus 1997. AL-GAWZI NA�RI,

Ta 'rTkh al-masra& al-filastTnT, Nicosia 1990.

AL- GAYYÙS I SALMÀ AL-KHADRA,

a/-Adab a/-fi/as{TnT a/-mu a�ir, 2 voli. , al-Mu'assa­

sah al-'arabiyyah li '1-dirasat wa '1-nashr, Bayriit 1997. I;IAFIZ �ABRI,

al- Uq�u!ah al-filastTniyyah fi- FilastTn al-mu&tallah, in " al-Adab ",

marzo 1972, pp. 18-20, 71-3. HAS H I M YAG H I ,

ljarakat al-naqd al-adabT fi- FilastTn, Ma'had al-dirasat

al-'arabiyyah al-'aliyyah, al-Qahirah 1973.

BIBLIO G RAFIA

AL-'Io YUMNÀ,

Takniyyat al-sard al-riwa 'i, Dar al-Farabi, Bayrut 1990.

I D RIS S U HAYL, Adab ma ba 'da al-naksah, in "al-Àdab ", XVI, aprile 1968, pp. 4-6. KANAFANI GHAssA.N,

al-Adab al-filast'in'i al-muqawim ta�ta al-i�tiliil 1948-1968,

Mu'assasat al-Ab�ath al-'arabiyyah, Bayrut 1987. ID.,

Maqalat Faris Faris, Kitabat sakhirah, Dar al-Adab, Bayrut 1997·

AL-KHAT I B �:�us.AM,

ljarakat al-targamah fr Filasr'in, al-Mu'assasah al-'arabiyyah li

'1-dirasat wa '1-nashr, Bayrut 1995. KHùRI NAYIF,

al-ljarakah al-masra�iyyah al-filast'iniyyah fr al- Gal'il, in " al-Adab ",

51, 7-8, 2003, pp. 43-8. MAN � ù R KHAYRI, al-Kaff wa 'l-mikhraz, adab al-muqawamah fi- Filast'in al-mu�tallah: al-Piffah wa 'l-Qi{a ' ba 'd 1967, Dar al-shu'un al-thaqafiyyah wa

'1-nashr, Baghdad 1984. MOREH S H . ,

al-Naqd al-�ad'ith fi- 'l-adab al- arab'i al-mu a!ir, Dar al-nashr, Tel

Aviv 1968. MUNIF 'ABD AL-RAI:IMAN,

al-Ma 'nà wa 'f-mabnà, in " al-Karmil", 66, 2001, pp.

10-8. QAHWAGI I:IABIB,

al- 'Arab fi-�ill al-i�tilal al-isra zl'i mundhu 1948, Muna��amat al­

ta�r1r al-filasf1niyyah, Bayrut 1972. �ADDùQ RA:ç> l ,

Shu ara ' Filast'in fi- 'l-qarn al- 'ishr'in, al-Mu'assasah al-'arabiyyah

li '1-dirasat wa '1-nashr, Bayrut 2ooo. �ALII:I FAKH RI,

Ishkaliyyat al-riwayah al-filasr'iniyyah ta�ta al-i�tilal, in " al-Aqlam",

XVI , 7, 1981. AL-SAWAFIRI KAM IL,

al-Shi 'r al- arab'ial-�ad'ith fi-Filast'in, Maktabat nah4at Mi�r,

al-Qahirah 1964. SHAHIN AI:IMAD 'uMAR,

Mawsu 'a t kuttab Filast'in fi- 'l-qarn al-'ishr'in, Da'irat

al-thaqafah, Muna��amat al-ta�r1r al-filasflniyyah, Dimashq 1992. w.Aol FARùQ,

Madkhal ta 'r'ikh'i li 'l-riwayah al-filast'iniyyah, in " Shu'un filasfl­

niyyah ", n. 110, gennaio 1981, pp. 119-32. YAGH I 'ABD AL-RAI:IMAN,

Dirasatfi-shi'r al-art/ al-mu�tallah, Il Cairo 1969.

Z U RAYQ QU�TANTIN, Ma 'nà al-nakbah, Dar al-'Ilm li '1- Malayin, Bayrut 1948. ID.,

249

Ma 'nà al-nakbah mugaddad:m, Dar al-'Ilm li '1- Malayin, Bayrut 1967.

Indice dei nomi e delle o p ere

'Abbas I�san, 6o, 88, 222 'Abd al-Baqi A�mad al-l:filmi, 64, 219 'Abd al-Hadi 'Awni, 26 'Abd al-Hadi Tarab, 26-8, 30 'Abd al-l:falim l:fafi�, 131 'Abd al-l:famid Yasin, 54 'Abd al-Khaliq Muçlaq, 62 'Abd al-Shafi' l:faydar, 211 'Abd al-Wahhab, 134 'Abduh Mu�ammad, 37 'Àbidi 'Abd, 198 Abii 'Ali Mugafà, 190

Bi 'l-m&, bi 'l-da m ( Con l'anima, col sangue) , 190 Abii 'Amishah Adii, 230, 234 Abii 'Anif 'Abd al-Ra�man, 221 Abii 'Arafah Khalil, 237 Abii As'ad Hani, 194 Abii l:fanna l:fanna, 148, 213, 216-7

Nidii ' al-guru& (Il grido delle ferite) , 148; Sayyidat al- 'ishq al-qattiil (Si­ gnora dell'amore che uccide) , 230 Abii al-Hudà Luli, 29 Abii Maçar �mad, 217-8, 221, 228, 230 Abii al-Riis Idal, 40 Ab ii Salim F rançois, 184 Abii Salmà [al-Karmi 'Abd al-Karim] , 23, 63, 76

Ba 'd 'ashrat sinin (Dieci anni dopo) , 63; Sa-na 'ud (Ritorneremo), 76, 221 ; al- 'Ufq al-mu 'attar ( Orizzonte profumato), 219

Abii Shaqrah Walid, 197 Abii Shawar Rashad, 162, 173 Yii Bayrut! ( Oh Beirut.0 , 173 Abyaçi Giirg, t 8o Addous Ahmed, 224 'Adnani M u�ammad, 51 Fi 'l-sarir (Ne/ letto) , 51 Adonis, 81 al-Mghani Gamal al-Din, 37 Agnon Shmuel Yosef, 23 'Alawiyyah Burhan, 191 al-'Ali N agi, 200-2, 204-10, 237 Allen R., 228 Allenby E. H. H., 27 Alpi I . , 224 Amaldi D . , 16 Antonius G., 19, 212 Ançiin Fara�, 35, 38, 215 Apra A. , 235 'Arafat Yasser [Arafat] , 130, t66 'Araydi Na'Im, 141 al-'Arif 'Arif, 22, 69 al-Nakbah (La catastrofe) , 69 Arioli A. , 224, 234 'Ariqat �a'ib [Saeeb Erakat] , 211 al-Asad Na�ir al-Din, 216-7 Ashrawi l:fanan Mikha'Il, 211 'Ashiir Radwà, 213 al-'Asqalani Gharib, 13, 15, 123, 227

al-Khurui, 'an al-�amt (L 'uscita dal si­ lenzio) , 123; al- Tawq (Il collare) , 123

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

'Açiyyah Ibrahim Georgette, 214 Açrash Laylà, 162

Imra 'ah li 1-forul al-khamsah ( Una donna per cinque stagioni) , 163; Laylatiin wa �il/ imra 'h (Due notti e l'ombra di una donna) , 232; �ahi/ al-masiifot (Il nitrito delle distan­ ze) , 232 Avino M., 16, 215 'Aw4 Fu'ad, 184 'Awdah Kalthum, 48 al-'Awdat l:f usayn, 235 Ayyub Mu�ammad, 117, 226 al-Khaymah (La tenda) , 117; �uwar

wa &ikiiyiit (Immagini e racconti) , 226; al- Wa&sh (La belva feroce) , 226 Azhari Moyal Esther, 29-30 'Azuri Nagib, 19 'Azzam Samirah, 71, 78, 82, 84-5, 221-2 � m iikhar (Ancora un anno), 83; Ashyii ' !aghirah (Piccole cose) , 222;

al- 'id min al-niifidhah al-ghar­ biyyah (La festa dalla finestra occi­ dentale) , 222; Na!ib (Destino), 83; al-Sii 'ah wa 'l-insiin (Il tempo e l'uomo) , 222; Wa qi!a! ukhrà (E al­ tri racconti) , 222; Zaghiirid ( Trilli femminili) , 222; al-:?ill al-kabir (La grande ombra) , 222; al-Khubz (Ilpane) , 71; Filas[ini (Palestinese) , 82, 222

Badawi Musà M., 8o, 217 Badr Liyanah, 14-5, 161, 172, 193, 231, 233

Bu!ulah min agi 'abbiid al-shams ( Una bussola per girasoli) , 161; Fadwà, &ikiiyat shii 'irah min Fila-

s[fn (Fadwà, la storia di una poetes­ sa palestinese) , 193; Nugum Ari&ii (Le stelle di Gerico) , 161; Shurfoh 'alà al-Fiikahiini ( Un balcone su Fiikahiini) , 161; Uridu al-nahiir (lo voglio il giorno) , 161; Zaytuniit ( U­ livi) , 193 Badran M., 214 Baffioni C., 215 al-Ba�ri Gamil, 38, 41, 179

al-Riwiiyiit al-adabiyyah al-akhlii­ qiyyah al-igtima 'iyyah wa 1-wata­ niyyah (Racconti letterari, etici, so­ ciologici e nazionalistici) , 41; Ri­ wiiyiit al-bulisiyyah wa 1-lu!u!iyyah (Racconti del genere poliziesco) , 41; Sagfn al-qa!r (Il prigioniero del ca­ stello), 179 Bakri Mu�ammad, 135, 186, 194-5, 235 Bakri al-Samhuri, 213 al-Baladhuri, 32 Baldazzi C., 216-7 Ballao Ançun, 48 Ballas Sh., 45, 218, 226, 228 al-Banna J:Iasan, 28 Bannurah Gamal, 114-5, 117, 120-2, 153, 225-7, 231 A&lak al-sa at (Le ore più tetre) , 117; al- 'Awdah (Il ritorno) , 120; al- Gu­

nud yabkuna ayrjan (Anche i solda­ ti piangono) , 153; lfikayat Caddi (Racconti di mio nonno), 225; f'ti­ !iim ( Occupazione) , 121; Mawt in­ san (Morte di un uomo), 114, 122; Tariq iikhar ( Un 'altra strada) , 122 Barbaro A., 1 6 Barbash Uri, 194 Barbato P., 223 al-Barghuthi l:fusayn, 167

IN DICE D E I N O M I E D E L L E O P ERE

al-f!aw' al-azraq (La luce blu), 167 al-Barghiithi Murid, 14, 95, 172, 176, 211, 223, 234

Ra 'aytu Ramallah (Ho visto Ramallah) , 95, 176 Bar Moshe Is�aq, 130 Baron B . , 214 Barresi C. F., 235 Bartuli E., 220, 232-3 Basil Giizif Uoseph] , 216 Basso L. , 220 Baydas Khalil, 22, 38-41, 45-9, 173, 216-7

Ahwiil al-istibdiid ( Gli orrori della ti­ rannia), 39; al-lfasnii' al-mutanak­ kirah (La bella mascherata), 39; lfadith al-sugun (Storia delle pri­ gioni) , 48, 173; Ibnat al-Qub[iin (Figlia del Capitano) , 39; Masiiri� al-adhhiin (La rappresentazione de­ gli spiriti) , 47; al- Wiirith (L 'erede) , 46, 48-9 Baydas Riya4, 127-8, 153-5, 227-8, 231 al-Bu 'rah (Il focolare) , 127, 153; al­

Gu' wa 'l-gabal (La fame e il mon­ te) , 127; Mashhad· liqa' kha[if ( Una scena: incontro furtivo), 153; Qabla an yabzug al-fagr (Prima che spunti l'alba) , 127; �alli min agl sa­ liim al- 'alam! (Prega per la pace nel mondo.0 , 155; �awt khiifit ( Una voce impercettibile) , 127, 228; Ta kh[i[iit awwaliyyah (Pianifica­ zioni preliminari) , 228 al-Baytagali Iskandar al-Khiiri, 48-9, 65 Fi 'l-�amim (Nel più profondo), 49;

al-lfayiih ba 'd al-mawt (La vita dopo la morte) , 48 Begin Menahem, 220 253

Ben Gurion D., 69 al-Bim Samir, 184 Bitton S., 194 Il muro, 194 Blasone P., 219, 221, 224, 231, 234 Bloom J . , 228 Bonadies C., 219, 232 Borruso A., 218 Boullata Kamal, 236 Boustani Sobhi, 230, 233 Bsisii Mu'In [Bsyso o Bsisu] , 76, 100, 174, 182-3, 221, 223, 234-5

Bi[iiqah shakhsiyyah ( Carta d'identi­ tà) , 100; Ma 'siit Guevara (La trage­ dia di Guevara), 183; Dafotir fila­ spniyyah Mudhakkirat al-sign ( Qua­ derni palestinesi, Memorie di pri­ gione) , 17 4; Shamsun wa Dali/ah (Sansone e Dalila) , 182 Buck P., 82 al-Budayri Mu�ammad tlasan, 22 Budelli R., 226 Kafr Qiisim, 191 al-Buti Mu�ammad, 232 Buçrus Giiliya, 159-60 Rubbamii (Forse) , 159; Weyn al-ma­ layyin (Dove sono i milioni?) , 159 Buzzati D., 8o Byron G. G., 58

Cachia P., 217 Calabrese E., 232 Camera d'Afflitto l., 211, 214-7, 219-23, 225-8, 231, 233-4, 237 Campbell R. B., 224, 227, 235 Canova G., 221-4, 230 Capezzane L., 232 Cassarino M., 218

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

Cataldo G., 223 Cechov A. P., 40, 56 Ben Achour Chaabane, 216-7 Chaucer G., 40 Ciriello R. , 158 Corelli M . , 40 Corrao F . M., 222, 224-5 Costantini C., 225 Costanzo S., 194 Cristiano R., 16, 220 Cristo fori A. , 217

Dabbagh Mugafà Murad, 69

Bi/aduna Filastfn (La nostra patria, la Palestina) , 69 Dahmash Wasim, 211, 219, 221, 224, 233-5 Dakrat Yu�annah, 51

'A�l al-shaqii ' (L 'origine della mise­ ria), p; �ulm al-wiilidayn (L 'in­ giustizia dei genitori) , 51 Dakriib Mu�ammad, 92-3 D'Amico P., 231-2 Damiini �ub�I, 181 D'Ancicco A., 231 Darrag Fay�al [Darraj Faisal], 163-4, 206, 209, 232, 237 Darwazah Mu�ammad 'lzzat, 50

al-Malliik wa 'l-simsiir (Ilproprietario e il sensale) , 50 Darwish Ma�miid, 15, 68, 96, 100-3, 106, 108-9, 128, 144, 150-1, 153, 157, 160, 172-3, 175, 220, 224-5, 230-1, 233

'A birnn fi kalam abir ( Gente che passa in poche parole) , 1 5 0 ; A&lam al­ Zaniibiq al-baytjii ' (Il sogno dei gi­ gli bianchi) , 103, 224; A khir al-layl 2 54

(La fine della notte) , 102; 'Alà al­ &ai,ar (Sulla pietra), 151; Awriiq al­ zaytun (Foglie d'olivo), 1oo; Bi{ii­ qat huwiyyah ( Carta d'identità) , 100-1, 224; Dhakirah li 'l-nisyiin ( Una memoria per l'o blio) , 173, 175; Kitiibah alà tjaw' bundu­ qiyyah (Scrivere alla luce di un fo­ ci/e) , 102; Ritii wa 'l-bunduqiyyah (Rita e ilfoci/e) , 102 al-Dassiiqi Mu�ammad Ibrahim, 43 Da'iid Siham, 141-2 Dawn C. E., 212 Dayan Moshé, 98, 150 De Angelis F., 214, 236 Delmaire D., 230 Al Delmi Fawzi, 224 de Moor E., 233 de Saint-Pierre B., 40 Descamps-WassifS., 215, 217, 229-30 al-Dib 'Adnan, 159, 231

Nashid al-intifotfah (Inno all'intifoda) , 159 Dickens C., 40 Di Francesco T., 219, 221, 224, 231 al-Dik Bashir, 209 Di Martino A., 235 Donini P. G., 212, 219, 228 Dorigo [Dorigo Ceccato] R. , 215, 218, 225, 235 Dostoevskij F., 32 D'Ovidio M., 237 Dreyfus A. , 30

Einstein A. , 3 5 El ad-Bouskila A. , 228-9 Engels F . , 92

IN DICE D E I N O M I E D E L L E O P ERE

Falsi M., 221, 225 Farag Alfred, 184-5

lfallaq Baghdad (Il barbiere di Baghdad) , 184 Fara�Yusuf, 184 Faryal Khashibun, 184 Faulkner W. , 78 Fayruz, 160

Gisr al- 'Awdah (Il ponte del ritorno) , 16o; Zahrat al-Madii 'in (Fiore delle città), 160 Fay�al 1 [re dell'Iraq] , 34 Fayya4 Tawfiq, 124, 181, 221, 227

Bayt al-gunun (La casa della follia) , 181; lfabibati Milishiyii (Amata milizia mia), 124; al-Mushawwa­ hun ( Gli sfigurati) , 124; Salim al­ Bahlul (Salim lo scemo) , 124 Fénélon F., 42 Fleischmann E., 214 Fo D., 185 France A., 42

( Tammuz nella città), 81; Yaw­ miyyiit (Diario di) Sariib 'Affon, 233 Gabrieli F., 86, 99, 211, 215, 222-3 Gamgum Mu�ammad, 219 Gawhariyyah Hani, 190 al-Gawzi Bandali �alibah, 32-4 al-Gawzi N a�ri, 40, 180

al-lfaqq ya 'lu (La verità sovrasta) , 180; Mudhakkiriit Bikwik (Il circo­ lo Pickwick) , 40, 216; Qjssat May, aw al-kharif wa 'l-rabi' (I racconti di Canterbury) , 40, 216 al-Gawzi �aliba, 180 al-Gayyiisi Salmà al-Kha4ra', 96-7, 232 Bi-la gudhur (Senza radici) , 97 Gerner D. J ., 214 Ghanayem Mu�ammad Hamzah, 144 Ghazalah Ra'idah, 185 al-Ghazali Zaynab, 28

Ayyam min &ayati ( Giorni della mia vita) , 214 al-Ghazzawi 'lzzat, 154, 231

Gabir 'Adil, 213 Gabr Ya�yà, 216 Gabra Ibrahim Gabra U abra Ibrahim Jabra] , 45, 57, 72, 74, 78-82, 110, 171, 217, 219, 221-2, 225

'A lam bi-la kharii 'i( ( Un mondo senza carte geografiche) , 81; al­ Ba&th 'an Walid Mas 'ud (In cerca di Walid Mas 'ud) , 79; al-Bi 'r al­ ulà (Il primo pozzo), 171; Fi 'l-!a&ra' al-manfà (Nel deserto del­ l'esilio) , 8o; al-Ghurafal-ukhrà (Le altre stanze) , 8o; Hunters in a Nar­ row Street, 78; al-Safinah (La nave) , 79; Tammuz fi 'l-madinah 255

Gabal Nabu (Monte Nebo) , 154; al­ lfawaf (La periferia), 154; al-Khu­ tuwat (Ipassi) , 155; Rasa 'il lam ta!il ba 'd (Lettere non ancora arrivate) , 154 Ghurabi Bandali, 213 Giris Uiryiso Geries] �abri, 141, 229 Girolamo L., 220, 233 Gitai Amos, 194 Goldoni C., 184 Gorkij M., 56, 89 Greilsammer A. , 228 Gubran Kamiliya, 16o Gubran Khalil Gubran, 22-3, 62, 213 Gubran Salim, 137, 229 Gu�a 'U mayyah, 198-9

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

l:fabash George, 85 l:fabibi Emil, 23, 103, 111, 117, 126, 128, 130-40, 144, 148, 154, 160, 186-7, 195, 221, 226-9, 231, 235 Akhtayyah (Peccatuccio, trad. it. Pec­ cati dimenticati) , 126, 140, 227, 229; al- 'Awdah (Il ritorno) , 134, 228; ljina !a 'ida Mas 'ud bi-ibn

'ammihi (Di come Mas 'ud conobbe la felicità grazie a suo cugino), 228; al-ljubb fi qalbi (L 'amore nel mio cuore) , 134, 228, 231; al-Khanzah al-zarqii' wa 'awdat Gubaynah (La perla blu e il ritorno di Giubayna) , 228; al-Mutashii 'il (Il Pessottimi­ sta), 135-8, 144, 186, 226; Qadar al­ dunyii ( Casi della vita), 186, 235; Sudasiyyat al-ayyiim al-sittah (Se­ stina dei sei giorni) , 130-5; Umm al­ Rubiibikii (Robivecchi) , 133, 228; Wa akhiran nawwara al-lauz (Fi­ nalmente fioriti, i mandorli.0 , 228 Hadidi S ubhi, 215, 218-9, 236 Hafez Sabry, 216-7 al-Hagg Unsi, 81 l:fahshan Adib, 184 al-l:faldm Tawfiq, 116, 181

Ah! al-kahf (La gente della caverna) , 226; al-Bu 'asii' (I Miserabili) , 181; al-$afqah (Il contratto) , 181 Hallaq Boutros, 222 al-l:falu Ra�wan, 170 al-Hamadhani Badi' al-Zaman, 228 l:fammad Ranya, 168, 233 Hananiya Gurg, 21 Haniyyah Akram, 115-6, 125, 225-7

Dhiit mawt. . . dhiit madinah ( Una certa morte. . . una certa città), 125;

Mu 'tamar fo"aliyyiit al-qaryah yu­ !dir nidii' hiimm (Il Congresso delle attiviste del villaggio emette un importante comunicato), 116; Qj!a! qa!irah min al-watan al-mu&tall (Racconti brevi dalla terra occupa­ ta) , 225; al-Safinah al-akhirah (L 'ultima nave) , 225; Tilka '1-qaryah. . . dhiilika 'l-!aba& ( Quel villaggio, quel mattino) , 1 1 5 l:fanna Ibrahim, 48 Hasek J ., 135 Hashim Mariam, 25 Hashim Yaghi, 217 Hassan Amine, 232 l:fatum Fara�, 192 l:fawal Qasim, 191 Haykal Mu�ammad l:fusayn, 46 Zaynab, 46 Herzl Th. , 59 Higazi Fu'ad, 219 Hourani A., 212 Hugo V., 37 l:fusayn [re di Giordania] , 211 l:f usayn Rashid, 141 l:fusayn Taha, 43, 51-2, 54, 218 al-l:fusayni [famiglia] , 27 al-l:fusayni Gamal, 49

'Alà sikkat al-ljigiiz (Sulla ferrovia del ljigiiz) , 49; Thuriiyii, 49 al-l:fusayni Gamil, 179

$a!ii& al-Din ( Saladino) , 179 al-l:fusayni Hagg Amin, 28 al-l:fusayni Hind, 29, 73 al-l:fusayni Is�aq Musà, 51, 54-5, 218

Mudhakkiriit dagiigah (Memorie di una gallina) , p , 54-5 al-l:fusayni Salmà Raga'i, 28

IN DICE D E I N O M I E D E L L E O P ERE

lbn al-Athir, 32 Ibn Khaldun, 56 Ibn Muqaffa, 218

Kalilah wa Dimnah (Kalilah e Dimnah) , 51 Ibrahim Georges, 185 ldris Yiisuf, 92 al-'Id Yumnà, 143, 229 al-Il ah Zaki, 149

al- 'A tash (La sete) , 149; lf#iin min dam (Muri di sangue) , 149 lntartaglia C., 229, 23 1, 237 al-lrani Ma�miid Sayf al-Din, 55-7, 219 Awwal shawt (Prima fase) , 55 al-'lsà 'lsà Da'ud, 19, 22, 36 al-'Isà Yiisuf, 22

J abra Ibrahim J abra, cfr. Gabrii Ibra­

him Gabrii Jebreal Rula, 73, 168, 221, 233

Kanafan1 Anny, 223 Kanafan1 Ghassan, 12-3, 70-1, 78-9, 85-93, 96, 103, 117, 126, 132, 147, 182, 185, 191, 201, 206, 209, 221-3, 226, 235-6

al- 'Abid (Lo schiavo) , 201; Adab al­ muqiiwamah jì Filastin al-mu&tal­ lah (La letteratura della resistenza nella Palestina occupata), 96; 'A 'id ilà lfayfo (Ritorno a Haifa) , 96, 126, 132, 191; Art/ al-burtuqiil al­ &azin (La terra delle arance tristi) , 70, 85; 'Asharat amtiir faqat (Solo dieci metri) , 237; al-Biib (La por2 57

ta) , 182, 235; !là an na 'ud (Fino a quando ritorneremo) , 89; Maqiiliit Fiiris-Fiiris - Kitiibiit siikhirah (Ar­ ticoli di Fiiris Fiiris - Scritti satiri­ ci) , 223; Rigiil jì '1-shams ( Uomini sotto il sole) , 86-9, 191, 222; Umm Sa 'd (La madre di Saad) , 89-90, 117 Kan'an Tawfiq, 3 5-6 al-Karm1 �mad Shakir, 40

al-Karmiyyiit ( Opere di al-Karmi) , 40 Kashibun Faryal, 184 Kashwà Sayyid, 144-5, 230 al-Kassar 'All, 180 Keats J., 58 al-Khal Yusuf, 81 al-Khalid1 �mad, 214 al-Khalid1 'Anbarah Salam, 26-7, 214 al-Khalid1 Rash1d [Khalidi Rashid] , 20, 212-3, 215 al-Khalid1 Ru�1, 37, 215

Muqaddimah jì '1-mas 'alah al-shar­ qiyyah (Introduzione alla questione d'Oriente) , 37; Ta 'rikh al-!ahyu­ niyyah (Storia del sionismo), 37 al-Khalid1 Sam1�ah, 28 Khalid Ni'mah, 163 Khal1fah Marcel, 102, 159 Khal1fah Sa�ar, 111, 113, 115, 118, 120, 125-6, 151-3, 1 64, 166-7, 192, 225-7, 230, 232 'Abbiid al-shams (I girasoli) , 111-3, 126, 225; Biib al-Sii&ah (La porta della piazza), 151, 230; Lan na- 'uda

gawiiri lakum (Non saremo mai più le vostre serve) , 111; al-Miriith (L 'e­ redità) , 1 64; Mudhakkiriit imra 'ah

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

ghayr wiiqi 'tyyah (Memorie di una donna non realista) , 111; Rabì &arr ( Una calda primavera), 166; al­ �ubbiir (Il fico d1ndia, trad. it. Terra di fichi d1ndia) , 111-2, 118, 125, 225-7 al-KhaçTh l:f usam, 215-6 al-KhaçTh Yusuf, 223 Khayati Khàmais, 23 5 Khleifi Michel, 192

al-Dhiikirah al-kha�ibah (La memo­ riafertile) , 192; Nashtd al-&agar (Il cantico delle pietre) , 192; Route 181, 192; ' Urs al- Galzl (Nozze in Gali­ lea), 192 Khuri Elias [llyas] , 167, 194, 232

Biib al-shams (La porta del sole) , 167, 194 Khur! Makram, 184-5, 194 Khur! Nayif, 184, 235 Krul C., 212, 226

Ladikoff (Guasto) L., 211, 224, 226, 231 Lagarde M., 224 Langer F., 195 La Porta F., 232 Lask l. M., 213 La Valle R. , 211 Le Bon G . , 42-3 Le Gassick T., 228 Lerrer Yael, 144 Levin Chanoch, 185 Loewenthal E., 230 Lo Jacono C., 16 Lorca G., 186 Lovisetti Fua L., 229 Ludwig E., 42-3

al-Maghrib! Ma�mud, 173 al-Maghuç Mu�ammad, 186 Magrath D. R. , 221 Ma� fu� N agTh, 234 Ma�mud 'Abd al-Ra�Im, 60-1 Ft &alat ghatfab (Rabbia), 6o al-Mala'ikah Nazik, 96 al-Mana�irah 'lzz al-D!n, 148

al-khurug min al-ba&r al-mayt (L 'u­ scita dal mar Morto), 230; Min al­ manjà (Dall'esilio), 148; Gafrii, 230 Mandel N., 212 al-Manfaluç! Mugafà Luçfi, 39 Man�iir 'Açallah, 141

Wa baqiyat Samtrah (E Samira è ri­ masta) , 141 Man�iir Khayr!, 225-7 Man�iir Sulayman, 197-8 Ma o Tze T ung, 92 Mariani A. , 221, 223 Maritano L., 168, 232 al-Marrar Mugafà, 144

Ayyiim baladnii ( Giorni del nostro Paese) , 144; Tartq al-iiliim (La via dolorosa) , 144 Martinez Lilla R. l . , 224 Martinez Montavez P . , 219, 224 Marx K., 92 Marziali B., 227, 229 Mashrawi Rash!d, 192

Khalfal-aswiir (Dietro le mura) , 192; Man 'u al-tagawwul ( Coprifooco) , 192 Ma�ri May, 193-4

A&liim al-manjà (Frontiers of Dream and Fears) , 194 Masri Muin, 168, 233 Maçar Gubran, 48

IN DICE D E I N O M I E D E L L E O P ERE

Maupassant G., 40 Mawid Mahmud, 221, 226 McDonald J. G., 69 Migliore D., 213 Miller A., 186 Moghrabi Avi, 194 Molière, 179 Montesquieu Ch. L., 42-3 Moravia A., 111 Moreh Shmuel, 45, 217 Morin A. , 235 Morris B., 69 Moyal Shimon, 29 Mudawwar Faris, 48 Mughannam [Moghannem] Matiel, 27, 30, 214 M ukarzal Yiisuf, 197 Munif 'Abd al-Ra�man, 81, 147, 230

'A lam bi-la kharii '# ( Un mondo senza carte geografiche) , 81 Miisà Salamah, 36, 38, 215 al-Mutawakkil Taha, 147, 158, 172, 174-5, 209, 230-1, 234, 247 Hal ab 'aduka ( Ti hanno espulso), 231; lfan�lah, 208-9; al-Rami wa 1-afà (La sabbia e il serpente) , 174 Mufran Khali1, 62 al-Muwayli�I Mu�ammad, 228

lfadzth 'isà ibn Hishiim aw fotrah min al-zaman (Il discorso di 'lsà ibn Hishiim, ovvero un intervallo di tempo) , 225-6

al-NashashThi Fafimah, 28 al-N ashashThi Is' af, 3 7 al-NashashThi Zahiyyah, 28 Na�rallah Ibrahim, 64, 157-8, 163, 219, 232 Bariirz al-lfummà (Febbre) , 163; Da­ muhum (Il loro sangue) , 157; Mu­

garrad 2 foqar (Dentro la notte, diario palestinese) , 163; Tuyur al­ �idhr ( Uccelli in allarme) , 164 Na�rallah Yusd, 194 N a��ar N agili, 169, 212-4

Riwiiyah Mufli� al-Ghassiinz (Romanzo di Mufli� al-GhassiinÌ) , 169 N a��ar SaQig, 28 Nasser G., 191 Nafiir Salman , 128, 142, 177

Mudhakkiriit (Memorie) , 177; Yams­ hun 'alà al-rz� (Holkim 'al Har­ wah) ( Vanno al vento) , 142 al-Na'iid 'Isà [Issa Naouri] , 49, 218, 223-4 N awfal Mamdii� [N ofal Mamdouh ] , 7 3 , 2 1 1 , 220-1 N elson C., 214 Nicosia A. , 236 Nietzsche F. W. , 35, 179 Nimr Faris, 19 Nu'aymah Mlkha'il, 31, 38-9, 184

al-Abii' wa 1-banun (Padri e figli) , 184; al-Ghirbiil (Il setaccio) , 215; Sab'un (Settant 'anni) , 31 Nii� Ibrahim, 62

N abarawi Slza, 28 al-Nadim 'Abd Allah, 30, 197 Napoletano V., 228 Naqqash Samir, 129-30 al-NashashThi [famiglia] , 27 259

Orelli L., 221 Orwell G., 51 Ostie R. , 222, 233

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

Paciello M. C., 214 Pagani S . , 16 Palermo D . , 234 Pansa M. C., 16 Pappe Ilan, 68, 211, 220 Parfitt T., 218, 225 Peled-Elhanan Nurit, 154 Peled M., 217-8 Persyn E., 230 Piccino C., 235 Pirone B . , 215 Pons J . C., 215, 218-9, 236 Porath Y. , 212 Puskin A. S., 39, 56

Qaba'yyin Sallm, 23, 213 Qabbani A}:lmad Abu Khalil, 234 Qahwagi l:fabTh, 220 Qamar Vietar, 181 al-Qasim Sami�, 13, 96, 102, 104-6, 108-9, 128, 136, 159-60, 211, 224

Aw/ad Rafah (I bambini di Rafah), 211; Ghuraba' (Stranieri) , 104; Khatimat al-niqash ma' saggan (Fine di una discussione con un car­ ceriere) , 104; Khi{ab jì suq al-bara­ /ah (Discorso al mercato dell'eroi­ smo), 104, 159; Ilà gamì al-rigal al­ aniqiyyin li gamb hai 'at al-umam al- mutta&idah (A tutti gli uomini raffinati delle Nazioni Unite, 105; al-Shifoh al-maq�u�ah, (Labbra ta­ gliate) , 105; Musk a-khitiim ( Tocco finale) , 136 Quasimodo S . , 99 al-Qattan 0., 236 al-Qaysi Mu�ammad, 118, 172, 226, 233 260

Kitab lfamdah (Il libro di Hamdah) , 172; Kitab al-ibn (Il libro del fi­ glio) , 118, 172

Rabelais F., 135 Rabou Bashar A. , 233 Ra�bani (musicisti) , 160 Raiola L., 232 Rashid E., 235 Redaelli P., 225, 230 Renan E., 42 al-Rtl:Iani NagTh, 18o Riklis Eran, 194 Rizzitano U., 226 Rota 0., 232 Rousseau J. J ., 42-3 al-Ruba'I 'Abd al-Ra�mam Magid, 92 Ruocco M., 16, 211, 223, 232, 234-5 Rushdi Façimah, 180

al-Sa'afin Ibrahim, 222 �abbagh Sami�, 137, 229 �abrin (gruppo musicale) , 185 Sacco J ., 199-200 �adduq Ra4I, 230 Said Edward, 14, 33, 72-3, 176, 200, 211, 215, 221, 234 Sakakini Khalil, 11, 19, 34-5, 169

Filasfin ba 'd al-lfarb al-Kubrà (La Palestina dopo la Grande Guerra) , 35; Kadha anii ya dunya ( Così sono, o mondo.0 , 35, 169; Li-dhikraki (Per ricordarti) , 35; Murala 'at fi' l-lughah wa 'l-adab (Letture lingui­ stiche e letterarie) , 35; al-Nahtjah al-urthudhuksiyyah jì Filasfin (La rinascita ortodossa in Palestina) , 34

IN DICE D E I N O M I E D E L L E O P ERE

Sakharov A. D., 154, 231 Salem [Salim] Salwà, t68, 232 Salgari E., 39 �ali� Ançwan, t8t, 184 �ali� Fakhr1, 227 �ali� Tawfiq, 86, 190 al-Makhdu 'un (Gli ingannati), 86, 190 Salim Gawad, 78 Salim Isçifan Yiisuf, 181

Ma 'siit al-qiddis Butrus (La tragedia di San Pietro), t8t; al-Muszqà khayr al- 'iliig (La musica è la mi­ gliore cura), 181; Suganii' al-&ur­ riyyah (I prigionieri della libertà) , t8t Sambiir1 T awfiq, 213 al-Sam�iiri" Bakri, 213 al-Samman Ghadah, 93, 223 Sanbar E., 177, 215, 218-20, 225, 234, 236 Sanii' Ya'qub, 197 Saquer-Aabin F . , 233 al-Sawafir1 Kamil, 219 Sayigh R., 233 Scarcia (Scarcia Amoretti) B., 16, 223-4 Scarcia G., 219-20, 224, 231, 233 Segev T., 69 Senesi V., 200 Sfeir J ihane, 220 al-Shabbi Abii '1-Qasim, 57-8, 219 Aghiinz al-&ayiih (I canti di vita) , 219 Shafiq Doria, 29 Shahadah Georges, t86 Shahin A}:lmad 'Umar, 217-8 Shakespeare W. , 78, 179, 184 Shammas Ançiin, 141-4, 229

Aszr yaq:rAtt wa nawmz (Prigioniero del sonno e della veglia) , 142; 261

Thumma kayfo sa-ta 'tz al-qa!zdah (E poi come potremo noi cantare) , 229 al-Shança Ibrahim, 213 Sharabi Hisham, 170

al- Gamr wa 'l-ramiid (La brace e la cenere) , 170 Sha'rawi Hudà, 25, 27-8 al-Sharif Niir, 209 Shari"m Akram, 119-20, 226 al-Artj (La terra), 226 Sharon Ariel, 156 Shawqi A�mad, 51, 58, 218 Shelley P. B., 40, 58 Shiblak Abbas, 228 Shibll 'Adaniyyah, 167, 232 Masiis (Sensi) , 167 Shubaç Ibrahim, t8t Sibilio S . , 231 �idqi Naga d, 45, 56-7, 169-70, 173, 218, 233

al-Akhawiit al-&azzniit (Le sorelle tri­ sti) , 56; Mudhakkiriit Nagiitz �idqz (Memorie di Nagati Sidqi) , 170 �idqi Zaynab, t8o Sivan Eyal, 192 Snir Reuven, 234 Sobol Yehoshua, t86 Solzenicyn A. , 89 Somekh Sasson, 129 Soravia G., 224 Spielberg S., 194 Stalin J . , 170 Steinbeck J. E., 82 Strindberg J. A., 184 al-Siidani Mirad, 234 Sulayman Elia [Iliya] , 193

ljarb al-Khalzg wa ba 'd ( Guerra del Golfo e dopo) , 193; al-ljulm al- 'a-

C E N T O ANNI DI C U L T U RA PALESTIN E S E

rab'i (Il sogno arabo), 193; Takr'im bi 'l-qatl ( Omaggio per un assassi­ nio), 193; Waqii 'i' ikhtifo' ( Crona­ ca di una sparizione) , 193; Yad ilii­ hiyyah (Intervento divino), 193 al-�ii� [Souss] Ibrahim, 168, 232 Swift J., 135

Tagore R. , 40 al-Tahçawi Rifa'ah Rafi', 38, 42 Tati J . , 193 al-Tayyib 'Açif, 209, 237 Tolstoj A. K. , 39 Tolstoj L., 32, 40, 213, 216 Traini R., 220 Trevisan Semi E., 218, 225 Tiibi Asmà, 29, 181

A�l Shagarat al-M'ilid i (L 'origine del­ l'albero di Natale) , 181; Ma�ra' qay�ar Rusiyii wa a 'ilatihi (Lo ster­ minio dello zar di Russia e della sua famiglia) , 181; Nisii' wa asriir (Donne e segreti) , 181; $abr wa fa­ ra& (La pazienza e la gioia) , 181 T ucidide, 4 7 T iima Emil, 23 Tiiqan Fadwà, 24-5, 30, 58, 6o, 96-9, 108-9, 150, 171-2, 193, 213-4, 219, 223, 233

Akh'i Ibriih'im (Mio fratello Ibriih'im ), 59; Lan abkiya (Non piangerò), 224; Min warii' al-gudriin (Da die­ tro le mura) , 97; Lan ab'i 'a &ubbu­ hu (Non venderò il suo amore) , 233; Ri&lah �a 'bah, ri&lah gabaliyyah ( Viaggio difficile, viaggio della montagna) , 233; Shuhadii' al-intijà�h (Martiri dell'int�dah), 150

Tiiqan Ibrahim, 57-60, 63, 171

Ayyuhii al-aqwiyii' ( Voi Potenti) , 59; D'iwiin Ibriih'im (Il d'iwiin di Ibrii­ h'im ), 58; Maw{in'i (Patria mia) , 59; Raqm 1000 (Il numero Mille) , 59; al- Thuliithii' al-&amrii' (Marte­ dì rosso) , 6o

al-'Uways Sulçan, 82, 232

Vacca V. , 212 Valabrega G., 220 Vardaro P., 226, 233 Vargiu G., 236 Viviani P., 16, 215 Voltaire F. M., 43, 135, 138

Wahbi Yiisuf, 180 Wanniis Sa'd Allah, 184-5, 235

al-Malik huwa al-malik (Il re è il re) , 185; M'iliidah wa Ramatfiin (Natale e Ramadan) , 185; Ra s al-Mamluk Giibir (La testa del mamelucco Gii­ bir) , 184 Weinstock N., 120, 226 Weizmann C., 35, 69 Wild S., 222, 233 Wilde 0., 40 Wordsworth W. , 58

Yaari Yahoud, 148 Yaghi 'Abd al-Ra�man, 223 YakhlufYa�yà, 162, 232

Bu&ayrah warii' al-rz& ( Un lago dietro il vento), 162; al-Muhrah (La pule-

I N D I C E D E I N O M I E D E L L E O P ERE

dra), 162; Nahr yasta�imm jì 'l bu­ �ayrah ( Un fiume si bagna nel lago) , 162; Tuffo� al-magiinzn (La mela dei folli) , 162; Yawmiyyiit al­ igtiyii� wa 1-�umud ( Cronache del­ l'invasione e della resistenza) , 162 Ya'qubi, 32 Yasin 'Abd al- ti amid, 54 al-Yazigi Ibrahim, 19 al-Yazigi Na�If, 211 al-Yiisuf Rose, 180

Zaka Ibrahim, 21 Zanelli P., 16 Zappa F . , 229-30 Zayn al-Din Amai, 213, 216 Zayyad Tawfiq, 74, 96, 103, 106-8, 128, 150

'Adniin wa 'Adniin akhar (Adnan e l'altro Adnan), 150; Hunii baqun (Resteremo qui) , 74; Kalimiit 'an al- 'udwiin (Parole sull'aggressione) , 107, 224; al-Maniishzr al-mu�tara­ qah ( Gli opuscoli bruciati), 107,

224; Yawmiyyiit min 'urs al-dam

(Diario delle nozze di sangue da Amman a Gerusalemme) , 107 al-Zayyat A}:lmad, 58 al-Zir 'Aça, 219 Zola Émile, 30 Zu'aytir 'Adii, 38, 42-3, 216

Ru� al-tarbiyah (La psicologia dell'educazione) , 43 Zu'aytir Akram, 42 Zu'aytir Wa'il, 99 al-Zubaydi Qays, 195

Ahib al-�urriyyah (Donatore di liber­ tà) , 195; Filas{tn. . . sigill sha 'b (Pa­ lestina. . . archivio di un popolo), 195; �ala� al-Dzn al-Ayyubz (Sala­ dino) , 195; Shahiidat al-atfàl al-fi­ las{tniyyzn jì zaman al-�arb (La te­ stimonianza dei bambini palestinesi in tempo di guerra) , 195; Waran al­ asliik al-shii 'ikah (La patria dei fili spinati) , 195 Zurayq Qugançin, 34, 67

Ma 'nà al-nakbah (Il significato della nakbah) , 220