Carri armati: Storia illustrata dei mezzi corazzati 8809906918, 9788809906914

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Carri armati: Storia illustrata dei mezzi corazzati
 8809906918, 9788809906914

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STORIA ILLUSTRATA DEI MEZZI CORAZZATI

ROBIN CROSS & DAVID WILLEY INTRODUZIONE DI DAN SNOW

PREFAZIONE DI DAN SNOW // 04-05

SOMMARIO

CAPITOLO 1 // 06-09

LE ORIGINI CAPITOLO 2 // 10-17

IN BATTAGLIA CAPITOLO 3 // 18-25

LE BATTAGLIE DI PASSCHENDAELE E CAMBRAI CAPITOLO 4 // 26-29

I PRIMI CARRI ARMATI FRANCESI CAPITOLO 5 // 30-35

LA PIENA MATURITÀ DEL CARRO ARMATO CAPITOLO 6 // 36-39

CARRO CONTRO CARRO // L’A7V TEDESCO CAPITOLO 7 // 40-41

GLI ULTIMI CARRI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE CAPITOLO 8 // 42-45

TRA LE DUE GUERRE // TANK E TATTICHE DEI BRITANNICI CAPITOLO 9 // 46-51

LA GERMANIA SI RIARMA

CAPITOLO 10 // 52-53

GUDERIAN CAPITOLO 11 // 54-57

CORAZZATI SOVIETICI // 1930-1942 CAPITOLO 12 // 58-61

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA CAPITOLO 13 // 62-65

LA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE CAPITOLO 14 // 66-71

IL “CASO BIANCO” // L’INVASIONE TEDESCA DELLA POLONIA CAPITOLO 15 // 72-79

IL BLITZKRIEG CAPITOLO 16 // 80-83

IL CARRO ARMATO DI FANTERIA A22 CHURCHILL CAPITOLO 17 // 84-89

LA GUERRA NEL DESERTO // 1940 CAPITOLO 18 // 90-95

ERWIN ROMMEL // LA VOLPE DEL DESERTO

CAPITOLO 19 // 96-101

EL ALAMEIN CAPITOLO 20 // 102-107

OPERAZIONE BARBAROSSA // CARRI ARMATI SUL FRONTE ORIENTALE CAPITOLO 21 // 108-111

IL T-34 CAPITOLO 22 // 112-117

OPERAZIONE ZITADELLE // LA BATTAGLIA DI KURSK CAPITOLO 23 // 118-121

BALZA IN SCENA LA TIGRE CAPITOLO 24 // 122-127

I CACCIACARRI CAPITOLO 25 // 128-133

LE STRANEZZE DI HOBART CAPITOLO 28 // 146-153

CAPITOLO 26 // 134-141

NORMANDIA //

PATTON

LO SCENARIO MUTEVOLE

CAPITOLO 29 // 154-157

CAPITOLO 27 // 142-145

CARRI ARMATI IN ESTREMO ORIENTE E NEL PACIFICO

LA SACCA DI FALAISE

CAPITOLO 30 // 158-163

LA GUERRA IN TEMPO DI PACE CAPITOLO 31 // 164-167

CARRI ARMATI BRITANNICI DELLA GUERRA FREDDA CAPITOLO 32 // 168-171

CARRI ARMATI SOVIETICI DELLA GUERRA FREDDA CAPITOLO 33 // 172-175

CARRI ARMATI FRANCESI E TEDESCHI DELLA GUERRA FREDDA CAPITOLO 34 // 176-181

CARRI ARMATI IN MEDIO ORIENTE CAPITOLO 35 // 182-187

LE GUERRE DEL GOLFO CAPITOLO 36 // 188-189

IL FUTURO DEI CARRI ARMATI INDICE ANALITICO // 190-192

// PREFAZIONE

PREFAZIONE

Nel 1916 vide la luce una nuova arma: rivoluzionò a tal punto il modo di combattere che la sua inconfondibile silhouette sarebbe divenuta il simbolo stesso della guerra. Il veicolo da combattimento corazzato, o carro armato, mutò il corso della storia del Ventesimo secolo. Trionfo di innovazione, sul sanguinoso sfondo della Prima guerra mondiale, fu catapultato dal tavolo da disegno al campo di battaglia in meno di due anni. Subito, come mostrano questo libro e le sue splendide illustrazioni, fu adottato da tutti i contendenti, taluni con più efficacia di altri, nell’immediata consapevolezza del suo potenziale. I mezzi qui descritti sono presenti in larga parte nello straordinario Tank Museum di Bovington, nel Dorset, che documenta nel modo più completo la storia e le caratteristiche di questi mostri corazzati. Il carro armato ha rappresentato una tappa fondamentale nella meccanizzazione della guerra, vale a dire il tentativo di tecnici e scienziati di sostituire carne e sangue con acciaio e benzina, e ha accelerato il processo storico per cui la guerra stessa è diventata uno scontro sul campo di battaglia di industrie e di intere società, più che di uomini. Quando fece la sua prima apparizione sul teatro delle ostilità, durante la Battaglia della Somme, nel settembre 1916, la sua ef-

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ficacia fu dubbia, ma sufficiente a indurre il comandante delle forze britanniche, Douglas Haig, a ordinare un buon quantitativo dei nuovi mezzi per l’anno seguente. Questi avrebbero deluso chi si aspettava che potessero porre fine, da soli, allo stallo della guerra di trincea, ma ebbero un ruolo chiave nella disfatta dell’esercito tedesco nell’estate e nell’autunno del 1918. Da allora, i veicoli corazzati sono stati protagonisti dei campi di battaglia dal Nord della Francia, nel 1940, alla penisola coreana, spianando la via alla brillante avanzata tedesca nelle Ardenne, guidando la ritirata di Rommel dall’Africa Settentrionale, soccombendo a Kursk, uscendo dal mare nel D-day, avanzando lentamente verso Berlino da Est e da Ovest, tenendosi testa a vicenda sulle Alture del Golan e nel Deserto del Sinai, reprimendo il dissenso per le vie di Praga e di Budapest, spazzando via il regime sud-vietnamita e rovesciando Saddam Hussein. Il termine «carro armato» è quasi sinonimo di forza militare, la sua immagine ne è divenuta il simbolo. Pochi sistemi d’arma hanno avuto un impatto vasto come quello del carro armato nei primi cento anni della sua esistenza.

DAN SNOW

SoprA: Un sottotenente britannico dirige via radio i Chieftain sotto il suo comando. Il Chieftain è stato il carro da combattimento dell’esercito britannico tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta del Ventesimo secolo.

A fronte: M26 Pershing della 2a Divisione corazzata degli Stati Uniti attraversano le macerie della città tedesca di Magdeburgo, occupata nell’aprile del 1945.

CAPITOLO // 1

LE ORIGINI IL CARRO ARMATO, LA PIÙ RIVOLUZIONARIA INNOVAZIONE IN FATTO DI GUERRA TERRESTRE USCITA DAL PRIMO CONFLITTO MONDIALE, GIUNSE COME RISPOSTA A UN URGENTE PROBLEMA STRATEGICO, PALESATOSI A POCHI MESI DALL’INIZIO DELLE OSTILITÀ. LA FINE DELL’ESTATE E L’INIZIO DELL’AUTUNNO 1914 SEMBRAVANO ANNUNCIARE UNA GUERRA DI MOVIMENTO, CON BELGI E BRITANNICI CHE ERANO RICORSI ALLE AUTOBLINDO DURANTE LA COSIDDETTA «CORSA AL MARE», IN CUI OGNI TENTATIVO TEDESCO DI ATTACCARLI AI FIANCHI AVEVA PROGRESSIVAMENTE SOSPINTO I DUE SCHIERAMENTI VERSO LA COSTA DEL MARE DEL NORD. In breve tempo, tuttavia, la guerra di trincea portò allo stallo il Fronte occidentale. Le prime trincee apparvero nel settembre 1914 e, di lì a qualche settimana, la stasi che avevano prodotto nel settore dell’Aisne si diffuse, paralizzando il campo di battaglia dal Mare del Nord alle Alpi: si definiva così il tenore dei successivi tre anni e mezzo di ostilità, con la guerra che assumeva l’aspetto di un gigantesco assedio, dominato dall’artiglieria e dalle mitragliatrici.

Il Landships Committee Entrambi gli schieramenti andarono in cerca di una nuova arma, che superasse quell’impasse difensiva. I tedeschi cominciarono a sperimentare le armi chimiche e furono i primi a usare il gas di cloro, il 22 aprile 1915, a Ypres. Malgrado qualche isolato successo, tuttavia (a Ypres crearono un varco di 6,5 chilometri nel fronte francese), la soluzione non si dimostrò decisiva. Gli Alleati tentarono per altre vie. Alle loro truppe sul Fronte occidentale serviva qualcosa che fosse in grado di calpestare il filo spinato, di superare l’accidentato terreno tra le trincee nemiche e di portare il fuoco delle armi direttamente in faccia ai tedeschi, proteggendo al tempo stesso i loro uomini da quello delle mitragliatrici e dell’artiglieria germanica. Per concepire un’arma simile – una sorta di «nave terrestre» (landship) – nel febbraio 1915, il Primo Lord dell’Ammiragliato, Winston Churchill, istituì il Landships Committee. Il comitato annoverava inizialmente tre membri: sir Eustace Tennyson d’Eyncourt, direttore delle costruzioni navali dell’Ammiragliato, il colonnello Wilfred Dumble, ex dirigente della London Omnibus Company ora nella Naval Brigade, e il comandante di stormo Thomas Hetherington dell’RNAS (Royal Naval Air Service, la branca aerea della marina militare). Questi tennero rigorosamente all’oscuro delle loro decisioni i Commissari dell’Ammiragliato, il Ministero del Tesoro e Lord Kitchener, che si temeva potessero bloccare il progetto.

Nascita del carro armato Il primo carro armato ebbe diversi artefici. Gli esponenti della marina che avevano costituito il Landships Committee originario non giunsero di fatto a un progetto attuabile e, in ultima istanza, la messa a punto di un veicolo da

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A SiniStrA: Una posizione difensiva tedesca con mitragliatrici e filo spinato. L’iniziale speranza e convinzione che i soli uomini sarebbero riusciti a prendere tali posizioni con il supporto di un po’ di artiglieria furono presto deluse. in bASSo A SiniStrA: Lo «Zar» mostra che l’idea della «grande ruota» non era esclusivo appannaggio della Gran Bretagna. L’équipe russa incaricata del progetto ne sottopose un modellino in scala al sovrano, che in seguito ne ordinò la realizzazione nelle dimensioni effettive. Con la sua configurazione a triciclo, dimostrava scarso equilibrio e, bocciato ai collaudi nell’agosto 1915, fu smantellato nel 1923. A fronte, SoprA: Un’autoblindo Minerva dell’esercito belga nel 1914. L’uso di auto blindate era già stato collaudato da vari paesi prima della Grande guerra. All’imporsi della guerra di trincea, che vanificò l’uso di questi veicoli da strada, l’esercito belga inviò i suoi ad assistere i russi sul Fronte orientale. A fronte, Sotto: Un trattore Holt 75 usato dai britannici per il traino di pezzi di artiglieria sul Fronte occidentale. Nei primi anni del conflitto, l’americana Holt ebbe agenti che vendevano i suoi trattori agli eserciti britannico, francese, austriaco e tedesco.

combattimento corazzato venne affidata all’esercito. Il progetto dovette molto alla visione di un membro dei Royal Engineers (il genio militare), uomo di formazione scientifica e veterano del conflitto boero: il colonnello Ernest Swinton. Nella sua autobiografia, Eyewitness [Testimone oculare], del 1932, egli ricorda come approdò all’idea del carro armato nell’autunno del 1914. Nel luglio di quell’anno, quando l’Europa era ancora in pace, aveva ricevuto la lettera di un conoscente, Hugh F. Marriott, ingegnere minerario, che gli prospettava un possibile uso del trattore americano cingolato Holt come veicolo da trasporto in contesti bellici. Lui aveva passato l’informazione a chi di dovere e se ne era dimenticato fino all’ottobre 1914, quando Lord Kitchener lo aveva inviato sul Fronte occidentale come corrispondente di guerra ufficiale britannico. Allora gli erano tornate in mente le possibili applicazioni del cingolato in un veicolo da combattimento. Il War Office britannico aveva già testato il trattore Holt ad Aldershot, ma solo per il traino di pezzi d’artiglieria. Nell’ottobre 1914, Swinton suggerì a sir Maurice Hankey, segretario del Comitato di Difesa Imperiale, di adottare il cingolato per trainare un cassone d’acciaio, armato di cannone e di mitragliatrici, oltre la terra di nessuno fra le trincee e fino all’artiglieria del nemico, annientando fanti e artiglieri lungo il percorso. La nuova arma avrebbe permesso alla fanteria di raggiungere i propri obiettivi senza subire perdite devastanti.

LE LANDSHIP DELLA MARINA

«Little Willie» L’idea di Swinton trovò infine un sostenitore in Winston Churchill e la sua proposta fu inoltrata al Landships Committee, che, il 29 luglio 1915, diede ordine di costruire un veicolo sperimentale. Responsabili della progettazione e costruzione del primo carro armato della storia furono William Tritton, direttore esecutivo della Foster macchine agricole di Lincoln, e il tenente Walter Wilson, della Royal Naval Reserve. Entrambi erano esperti ingegneri. Tritton aveva già realizzato un veicolo a ruote giganti per l’attraversamento delle trincee; Wilson, in tempo di pace, era specializzato nella produzione di ingranaggi e dedito alla progettazione di automobili, autocarri e motori aeronautici (il suo camion Hallford fu ampiamente usato durante la Prima guerra mondiale). Il 26 agosto fu presentato un modello in legno della nuova creazione, inizialmente battezzata «Tritton Machine». I collaudi cominciarono a Lincoln a inizio settembre 1915. La «Macchina» era costituita da un cassone rettangolare in lamiera d’acciaio, trasportato su cingoli «Creeping Grip» della Bullock Tractor Company di Chicago. Il prototipo era sormontato da una finta torretta, che avrebbe dovuto alloggiare un cannoncino da due libbre, ovvero con proiettili da circa un chilo, e varie mitragliatrici. Era alimentato da un motore Daimler da 195 cavalli, mentre stabilità, sterzata e capacità di superare le trincee erano assicurate da una coppia di ruote direzionali posteriori. La «Tritton Machine» somigliava a un carro armato moderno, ma si dimostrò deludente. Il War Office la voleva in grado di oltrepassare una trincea larga 1,5 metri, ma il veicolo riuscì soltanto a superarne una di 1,2. Nell’inverno del 1915 subì un rifacimento, venne dotato di un nuovo telaio e di nuovi cingoli, provvisto di una vera torretta e ribattezzato «Little Willie». Non riuscì però comunque a soddisfare i nuovi standard di attraversamento trincee imposti dal War Office e fu soppiantato dal prototipo di tutti i carri armati pesanti britannici della Prima guerra mondiale.

«Big Willie» Nell’inverno del 1915 il War Office era arrivato a chiedere una «nave terrestre» in grado di oltrepassare una trincea larga 2,4 metri e di scavalcare un parapetto alto 1,4 metri. Per soddisfare quei criteri, Walter Wilson progettò il successore di «Little Willie», il romboidale «Big Willie», con i cingoli che correvano anche al di sopra dello scafo. Fece a meno della torretta e garant garantì un baricentro basso, installando due cannoni da 6 libbre, cioè circa tre chili, in gondole (sponson) che sporgevano ai lati. Gruppo motore, cingoli e ruote direzionali erano gli stessi

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La ricerca di un’arma rivoluzionaria da parte del Landships Committee seguì due linee: veicoli big wheel e veicoli cingolati. Fu realizzato un primo prototipo con ruote enormi, ma era vulnerabile al fuoco d’artiglieria. Così, l’ingegnere colonnello R.E.B. Crompton, insieme a Bramah Joseph Diplock della Pedrail Transport Company, mise a punto un unico cingolo largo con ruote fisse che correvano su un nastro mobile, producendo scarso attrito e bassa pressione al suolo. Per esaudire una richiesta del direttore del Dipartimento dell’aria dell’Ammiragliato, che voleva un veicolo a due cingoli con cannone da 12 libbre (5,4 chilogrammi) e torretta, Crompton si ritrovò a realizzare una macchina da 30 tonnellate. La presentò al Landships Committee nel marzo 1915 e ottenne il via libera per la costruzione di 12 esemplari, destinati a due ipotetici squadroni, 20° e 21° landship del Royal Naval

A SINISTRA: Più somigliante a un tram, la Pedrail Machine viene testata sui campi trincerati del centro ricerche militari di Porton Down. Non sarà un successo.

Air Service. Nell’intento originario di Crompton, le «navi terrestri» dovevano essere prive di armi e limitarsi a trasportare gruppi di incursione-trincee all’assalto delle linee nemiche. Il progetto, però, non sopravvisse a una sua ispezione delle condizioni del Fronte occidentale, nel 1915, ed egli decise di dividere la landship in due semiscafi collegati da un giunto articolato, sperando di aumentarne la manovrabilità. Installò inoltre quattro torrette, che ricordavano quelle di una corazzata. I cambiamenti ritardarono la costruzione delle 12 landship per l’RNAS, che ben presto furono soppiantate da altri progetti. Una macchina a semiscafo singolo non corazzata del peso di 32 tonnellate fu realizzata dalla Stothert and Pitt di Bath e ai collaudi raggiunse la velocità massima di 24 chilometri orari. Il veicolo non fu mai usato in azione.

IN BASSO A SINISTRA: Il maggior successo ai collaudi di «Little Willie» fu dovuto al cingolo. I primi test con i cingoli disponibili erano falliti: un nuovo progetto, con flange interne per assicurare il cingolo a solchi sullo scafo, si dimostrò efficace e fu usato per i carri armati britannici della Prima guerra mondiale.

di «Little Willie», contro cui «Big Willie» si trovò a competere ai collaudi a Hatfield Park, nell’Hertfordshire, all’inizio del 1916. Durante le prove, «Big Willie» riuscì a oltrepassare una trincea di 3 metri e a superare un ostacolo verticale di 1,4 metri. All’Alto Comando britannico, qualcuno rimaneva scettico riguardo alla nuova arma. Lord Kitchener la liquidò come un «bel giocattolo meccanico», ma sir Douglas Haig, comandante del BEF, il Corpo di spedizione britannico, dal dicembre 1915, non vedeva l’ora di usarla e caldeggiò l’entrata in azione più rapida possibile delle nuove macchine, cui fu dato nome in codice tank, «cisterna», perché, tolte le armi, sembravano veicoli deputati al trasporto d’acqua. Opportunamente rinominato «Mother», il carro armato avrebbe fatto ben presto il suo debutto sul campo di battaglia.

IN BASSO A DESTRA: Le prime bocche da fuoco installate sul «Mother» e sui successivi Mark I versione «maschio» furono ex cannoni navali da sei libbre in grado di sparare proiettili ad alto potenziale esplosivo e palle da cannone: ideali per distruggere i fortini in calcestruzzo.

Il «Mother» viene testato a Burton Park, fuori Lincoln. La sua forma innovativa gli permetteva di oltrepassare una trincea tedesca, laddove il «Little Willie» avrebbe fallito.

CAPITOLO // 2

IN BATTAGLIA I PRIMI TANK ARRIVARONO SUL FRONTE OCCIDENTALE NELL’AGOSTO 1916, IN PIENA CAMPAGNA DELLA SOMME, LA PRIMA OFFENSIVA BRITANNICA DI PORTATA VERAMENTE AMPIA, CHE SI SVOLSE DA LUGLIO A NOVEMBRE. ALL’EPOCA SI ERA GIÀ IMPANTANATA IN UNA SERIE DI AZIONI MINORI E SI SAREBBE CONCLUSA STRAPPANDO APPENA 10 CHILOMETRI AL NEMICO, ALL’AGGHIACCIANTE COSTO DI 600.000 PERDITE ALLEATE. Per tentare di uscire dall’impasse, Haig aveva ordinato 150 nuovi carri armati, incoraggiato dai rapporti favorevoli del suo osservatore ai collaudi di Hatfield, il maggiore Hugh Elles, ufficiale dei Royal Engineers. I tank e i loro equipaggi divennero parte della Sezione Pesante del Corpo Mitraglieri (MGC), che Elles avrebbe in seguito comandato (e più tardi il Tank Corps, il Corpo corazzato). Nella battaglia si sarebbero utilizzati dei Mark I da 28 tonnellate. Essenzialmente uguali al prototipo «Mother», questi erano in pratica dei cassoni metallici a forma di losanga su cui correvano i cingoli. Erano prodotti in due versioni, «maschio» e «femmina»: i maschi erano armati di cannoni da 6 libbre, in gondole ai lati dello scafo, adatti a distruggere posizioni nemiche, le femmine erano dotate solo di mitragliatrici, da usare contro la fanteria.

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Entrambe le versioni erano scomode e sfiancanti da manovrare per gli equipaggi di otto uomini all’interno dello scafo, che era privo di comparti. La velocità massima fuoristrada era di 6,5 chilometri orari: i tank erano più lenti della fanteria che li accompagnava e la loro stazza li rendeva obiettivi vistosi. Venivano facilmente messi fuori uso dai bombardamenti e non erano affatto a prova di proiettile.

A fronte, A SiniStrA in Alto: I carri armati esistevano nelle versioni maschio e femmina. Qui un tank femmina, con le due mitragliatrici Vickers nella gondola. Le gondole erano alloggiamenti a forma di bovindo che sporgevano ai lati.

Battesimo di fuoco

Sotto: Un Mark I maschio sulla Somme. La tettoia superiore era coperta di rete metallica ed era stata installata sui carri della Compagnia C per evitare che le granate tedesche atterrassero sul tetto piatto del tank.

Nel febbraio 1916, il colonnello Swinton aveva sottoposto un memorandum al Consiglio di guerra britannico insistendo che i nuovi mezzi non andassero usati con il contagocce, ma in una grande «operazione combinata» su un fronte di 8 chilometri, accompagnati da fanteria, gas e fumogeni. I percorsi andavano

preparati accuratamente in anticipo e alcuni carri dovevano essere dotati di radio. Quando però i tank entrarono in azione, il 15 settembre 1916, a due mesi e mezzo dall’inizio dell’offensiva della Somme, le raccomandazioni di Swinton furono largamente ignorate. L’azione prescelta per il debutto ebbe luogo a Flers-Courcelette: un’offensiva su vasta scala, concepita per assestare un duro colpo alle difese tedesche e ripristinare la mobilità nel settore. La fragilità meccanica, insieme a qualche errore nel dispiegamento tattico, limitò l’efficacia dei 32 Mark I delle Compagnie C e D, Sezione Pesante Corpo Mitraglieri, che erano giunti alla linea di partenza. Nove carri subirono avarie, cinque abbandonarono il campo e dieci furono danneggiati dal fuoco nemico. All’interno dello scafo si arrostiva – le temperature raggiungevano i 50° C – l’aria era satura di vapori di benzina e monossido di carbonio. La mancanza di sospensioni comportava il continuo sballottamento degli uomini mentre il veicolo avanzava su terreno accidentato, con il rischio di gravi infortuni. Se il carro veniva colpito, schegge d’acciaio rovente schizzavano qua e là, esponendo l’equipaggio a ustioni simili a quelle che si riportavano nelle acciaierie. I soldati indossavano maschere di cuoio e maglia metallica, oltre all’elmetto di cuoio che li proteggeva dagli urti. Sterzare era enormemente difficile. La sterzata si controllava variando la velocità dei due cingoli e richiedeva gli sforzi congiunti di ben quattro membri dell’equipaggio: due piloti e due «addetti al cambio». Uno dei piloti (il capocarro) azionava i freni, mentre l’altro innestava la marcia. Il comandante poteva anche effettuare svolte di entità modesta tirando un cavo di acciaio che bloccava una delle due ruote direzionali posteriori e facendo così slittare il carro nella direzione desiderata. La comunicazione, in quell’inferno, era rudimentale. Il pilota, innestata la marcia, comunicava con gli addetti al cambio facendo segnali concordati con le dita, dopo aver richiamato la loro attenzione battendo colpi sul blocco motore con un grosso martello o una chiave inglese. Se il motore si spegneva, gli addetti al cambio lo riavviavano usando l’apposita manovella:

un grosso aggeggio posto tra il motore e la scatola del cambio. Il rumore assordante all’interno dello scafo rendeva del tutto impossibili le comunicazioni via radio con i posti di comando. L’alternativa era data da piccioni viaggiatori, rilasciati attraverso uno sportello delle gondole, oppure da bandierine e dischi colorati. Uno dei tank danneggiati dal fuoco nemico era comandato dal tenente Basil L.Q. Henriques della Compagnia C, che così ha ricordato la notte del 13 settembre: Il 13 ci muovemmo dal campo, dietro le linee, alle cinque del pomeriggio. Procedevamo in lunga processione e si avanzava piano, perché le curve richiedevano parecchio tempo di manovra. I soldati accorrevano ai lati del percorso, ci guardavano con gli occhi spalancati. A migliaia ci sciamarono intorno e pareva che tutti esultassero al nostro passaggio. L’accoglienza riservata a Henriques e compagni dal nemico, il 15 settembre, fu assai meno cordiale:

Quando fummo vicini, i tedeschi ci colpirono con tutta la forza. Uno schianto contro il mio sportello, sul davanti, mi spedì addosso una pioggia di schegge e avevo sangue che mi colava sul volto. Un minuto dopo, lo stesso accadde al mio pilota. Poi andò

A DESTRA IN ALTO: Un piccione viaggiatore rilasciato dal portello di una gondola. Le comunicazioni erano rudimentali: si effettuavano segnalazioni con le bandierine e si fece qualche esperimento con le prime radio, che però erano disturbate dagli scossoni. SOPRA A DESTRA: L’elmetto di cuoio senza visiera permetteva di accostarsi alle feritoie senza spostarlo indietro sulla testa. Fu piuttosto impopolare, perché, a distanza, potevano essere scambiati per elmetti tedeschi Pickelhaube senza chiodo. SOPRA A SINISTRA: Gli «schizzi di proiettile» – piombo fuso che s’insinuava nelle fenditure dello scafo o scaglie di vernice che si staccavano dall’interno in seguito all’impatto – potevano accecare gli occupanti. Gli equipaggi furono dotati di questa speciale protezione, come misura di sicurezza.

in frantumi il prisma e ci fu un secondo schianto di fronte a me (una bomba, credo). Il successivo ferì così malamente il guidatore che dovemmo fermarci. A quel punto non vedevo più nulla, i prismi erano tutti andati, e così pure un periscopio, mentre con l’altro non si vedeva un bel niente. Mi voltai e vidi gli artiglieri sul pavimento… non riuscii a capire il motivo. Poiché la fanteria si stava ormai avvicinando, la macchina [il carro armato] era impossibile da guidare e, come scoprivo in quel momento, le fiancate non erano antiproiettile, decisi che, per evitare la cattura, avrei fatto meglio a ritirarmi. A dispetto di avversità e guasti meccanici, nove carri riuscirono ad avanzare in testa alla fanteria di supporto, a superare le trincee germaniche e a fronteggiare fanti e mitragliatrici del nemico, costringendo i tedeschi a lasciare il villaggio di Flers. Quei tank ebbero un ruolo significativo,

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il 15 settembre, nell’avanzata britannica di circa 1800 metri sul fronte di 8 chilometri tra Flers e Courcelette. Il successo iniziale alimentò fugaci speranze di far breccia, ma intervenne il maltempo, il fango rallentò le operazioni e la battaglia finì per impantanarsi nelle strategie di logoramento. Nondimeno, i carri armati esercitarono un notevole effetto psicologico sulle difese tedesche, che, sulle prime, si sentirono del tutto impotenti davanti a quei «mostri», capaci di scavalcare inesorabilmente le loro trincee sparando un’infilata di raffiche di mitragliatrice. Nella fase finale della Battaglia della Somme, un piccolo numero di carri armati si distinse a Beaumont-Hamel, mentre circa 60 Mark I e Mark II presero parte alla Battaglia di Arras, nell’aprile 1917. I Mark II erano meccanicamente identici ai Mark I, ma, concepiti a scopo di addestramento, erano insufficientemente corazzati.

A SiniStrA in Alto: Il primo messaggio inviato dalla fanteria a un carro armato in azione, alle 09:15 del 15 settembre 1916. Il fuciliere J.W. Dobson, 2° Battaglione, Brigata Fucilieri della Nuova Zelanda, portò il biglietto al carro e lo guidò verso l’obiettivo. Qui SoprA e in Alto: Basil Henriques prese parte al primo attacco con carri armati a Flers. Il prisma attraverso cui stava guardando, frantumato dal fuoco nemico, gli investì il volto. Quando gli furono tolti i frammenti, ne fece incastonare uno in un anello e lo donò alla moglie Rose.

Arras

Sotto: Il carro armato della Compagnia C, Crème De Menthe, avanza rimbombando il 15 settembre 1916. Una delle ruote posteriori è già andata persa. Il tank fu immortalato dai fotografi ufficiali e, quando questa immagine apparve sulla stampa britannica, fu copiata dai fabbricanti di souvenir.

Le grandi battaglie di Verdun e della Somme, nel 1916, non erano riuscite a superare l’impasse strategica sul Fronte occidentale e, nella primavera del 1917, gli Alleati pianificarono nuove offensive per uscire dalla situazione di stallo. Mentre i britannici finalizzavano i preparativi del progettato attacco ad Arras, tuttavia, i tedeschi ultimarono la ritirata oltre la fortificata Linea Hindenburg e, ritirandosi, fecero terra bruciata, con la sistematica distruzione di strade, ponti ferroviari ed edifici lungo il cammino. Lasciarono così agli alleati una desolata distesa di fango e neve da attraversare, prima di ritrovarsi di fronte la formidabile posizione difensiva del nemico. Dopo un bombardamento preliminare di cinque giorni, l’offensiva ebbe un inizio promettente. Il 9 aprile, primo giorno di battaglia, il Canadian Corps si aggiudicò buona parte del crinale di Vimy, rilievo sotto il controllo tedesco all’estremo settentrionale del fronte britannico. Tale era la

rapidità con cui i fanti canadesi procedevano verso il crinale, che lasciarono indietro gli otto Mark II della 12a Compagnia, Battaglione D, fortemente impediti nell’avanzata. … la compagnia era destinata a non raggiungere i fanti. Oltrepassando i crateri di Litchfield, Pulpit e Zivy, raggiungemmo Hunland e l’area bombardata, che le piogge notturne avevano trasformato in una spugna, del tutto incapace di reggere le nostre 30 tonnellate e passa. Prima di arrivare alla seconda linea dei boches [i tedeschi], ogni comandante era sceso a sgomberare il passaggio davanti al proprio carro, ma anche quel sistema non funzionò e, a metà del tragitto sulla via di Lens, tutti i tank rimasero bloccati, malgrado le tre ore buone passate dagli equipaggi a spalare. All’epoca non c’erano ancora le travi di disincagliamento e le piastre e le maglie dei cingoli più ampie risultavano inutili: servivano solo a impigliarsi nel filo spinato, aggrovigliandolo attorno al veicolo. Non ci fu nulla da fare, se non aspettare

gli ordini, che il maggiore Watson portò di persona nel pomeriggio, mentre gli equipaggi erano rientrati al campo. Per fortuna i canadesi erano inarrestabili, quel giorno, e presero tutti gli obiettivi. Le forti piogge avevano creato laghi fangosi in cui i carri finirono ben presto per impantanarsi, poi la neve coprì il campo di battaglia, rendendoli un bersaglio evidentissimo per gli artiglieri tedeschi. Ben pochi dei 60 tank diretti ad Arras scamparono alle conseguenze di impantanamenti, guasti o bombardamenti nemici. I dieci dell’8a Compagnia, Battaglione C, vennero messi fuori uso, ma non prima di avere annientato varie postazioni nemiche di mitragliatrici e cecchini. Della 9a Compagnia entrarono in azione solo

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cinque macchine. Il tank del sottotenente Williams (C50) fu colpito da «una whizz-bang, una granata da 77 millimetri, giù per la torretta di comando», prima di incagliarsi. Williams effettuò riparazioni di emergenza sul cingolo destro, dove si erano rotte due guide. Ci vollero quattro ore di lavoro e solo perché il carro si impantanasse di nuovo.

SoprA: Operaie dipingono l’interno di un carro armato. Si usava vernice bianca per tentare di riflettere la luce all’interno del veicolo.

A deStrA: Tra le risposte tedesche all’apparizione del carro armato ci fu la creazione di 50 batterie di cannoni da 7,7 centimetri, che si potevano tenere nascosti vicino alla linea del fronte.

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Dopo un’altra ora e mezza, il formidabile Williams era tornato ad avanzare, ma il buio gli impedì di giungere in aiuto della fanteria, bloccata presso un caposaldo nemico. Tornò il mattino dopo a distruggere la posizione, ma, mentre inseguiva i tedeschi in ritirata, il suo carro fu colpito da una granata pesante, che uccise lui e tre uomini dell’equipaggio, ferendone altri due. Se i carri armati cominciavano a dimostrare la loro utilità, Arras ne riconfermò la facilità all’avaria e la tremenda vulnerabilità a ostacoli ben piazzati, oltre che al fuoco nemico. Un giudizio della parte avversa, riportato dal diario di guerra della 27a Divisione tedesca per l’aprile 1917, ci fornisce la valutazione nemica della nuova arma alleata, con cui si cominciava a familiarizzare: I grovigli di filo di ordinaria entità sono facilmente superati dal carro armato. Nel caso invece di grovigli vasti e fitti oltre una certa altezza, come davanti alla Linea Hindenburg, il filo riesce a inceppare i cingoli. L’11 aprile uno dei carri è rimasto irrimediabilmente intrappolato in uno dei nostri grovigli. Le trincee profonde, perfino quelle larghe due metri e mezzo, sembrano un grosso ostacolo per queste macchine. Di giorno e a lunga distanza, i carri verranno affrontati con ogni batteria disponibile ad aprire il fuoco e non impegnata in mansioni più importanti. L’11 aprile batterie di ogni tipo sono riuscite a debilitarli. Ai comandanti si deve permettere di agire di propria iniziativa, con la massima autonomia possibile. Di notte, solo il fuoco a corto raggio promette buoni risultati. L’11 aprile ha dimostrato che cannoni e mitragliatrici con munizioni perforanti possono metterli fuori uso. Il fuoco diretto ai fianchi è più efficace di quello frontale. Il maggior pericolo, per i carri, è dato dalla rapida infiammabilità dei serbatoi di benzina e olio, e il fuoco di mitragliatrice è in grado di incendiarli. La guarnigione in trincea si riparerà dietro il parapetto e dirigerà il fuoco contro la fanteria ostile che segue i carri: sparare con armi leggere ordinarie contro i carri è del tutto inutile.

A SiniStrA: Iron Duke, un carro Mark II maschio, ad Arras. Le ruote posteriori sono state rimosse, perché virtualmente inutili. Da notare gli “Spuds”, maglie dei cingoli di dimensioni più ampie poste a intervalli regolari per distribuire meglio il peso del mezzo su terreni cedevoli.

CAPITOLO // 3

LE BATTAGLIE DI PASSCHENDAELE E CAMBRAI I PRIMI NOVE MESI DI AZIONE DEI CARRI ARMATI, DALLA SOMME AD ARRAS, AVEVANO PRODOTTO RISULTATI ALTALENANTI, MA HAIG, PER NULLA SCORAGGIATO, REAGÌ ORDINANDO ALTRE MILLE MACCHINE. NEL NOVEMBRE 1916 ESTESE LE SEI COMPAGNIE CORAZZATE DELLA SEZIONE PESANTE DEL CORPO MITRAGLIERI AI BATTAGLIONI DI QUELLO CHE, IL 28 LUGLIO 1917, SAREBBE DIVENUTO IL TANK CORPS, AL COMANDO DI HUGH ELLES. Due mesi prima della sua creazione, Haig aveva riferito al War Office: «…gli eventi hanno dimostrato l’utilità dei carri armati… quale mezzo per superare le resistenze ostili… e per limitare le perdite tra le truppe d’attacco. Ritengo che l’esperienza acquisita fin qui consenta ormai l’adozione ufficiale del tank a complemento dei sistemi di offensiva esistenti». La sua principale preoccupazione, nell’estate del 1917, era quella di lanciare un’offensiva britannica sul saliente di Ypres (che sarebbe divenuta la Terza battaglia di Ypres, detta anche di Passchendaele). Lo scopo era giungere a Ostenda, prendendo la base dei sottomarini nemici, e sbarrando la ferrovia belga da cui dipendevano le comunicazioni dei tedeschi. La sua intelligence espresse preoccupazione per il terreno acquitrinoso su cui si sarebbe trovato a combattere, ma il 25 luglio 1917 egli informò il Gabinetto di guerra che era pronto. I tedeschi colsero con largo anticipo le avvisaglie dell’offensiva e, al momento dell’attacco, c’erano ormai due milioni di combattenti ad affollare il saliente. Il bombardamento preliminare di Haig distrusse il fragile sistema di drenaggio dell’area e le sue 13 divisioni

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avanzarono, il 31 luglio, in un pantano ulteriormente esacerbato dalla pioggia battente. Sulla Somme, i tank erano stati spinti avanti in modo scoordinato, a Passchendaele si impantanarono ben presto nel fango. Il colonnello J.F.C. Fuller, che negli anni tra le due guerre sarebbe stato tra i pionieri della guerra corazzata, ha ricordato il truce scenario di Poelcapelle, sulla via di Passchendaele, nell’ottobre 1917: Feci a guado la strada, che era sommersa da 30-60 centimetri di fango… Era il caos totale, coperta di detriti, di veicoli guasti, di cavalli e uomini morti o morenti. Ne avrò passati a centinaia, insieme a parti del corpo di umani e animali disseminate ovunque. Mentre mi avvicinavo a Poelcapelle, i nostri cannoni cominciarono a sparare… Era come trovarsi in un fornelletto da campo gigante: questa è l’immagine più fedele che mi viene in mente. Via via che mi avvicinavo ai carri abbandonati, la scena si fece davvero agghiacciante: feriti giacevano affogati nel fango… Il tank più vicino era femmina. La gondola di destra aveva i portelli aperti e fuori spenzolavano quattro paia di gambe. Uomini esausti e feriti avevano cercato rifugio all’interno della macchina e là dentro morti e moribondi giacevano in un mucchio aggrovigliato.

in bASSo A SiniStrA: Questo Mark IV riporta in grande un numero tattico (102) per facilitare il riconoscimento. I carri da addestramento avevano numeri a tre cifre: la prima corrispondeva alla compagnia o, più tardi, al battaglione di appartenenza del tank. Sotto: La gondola di un Mark IV maschio mostra il cannone da 6 libbre a canna accorciata: quelli più lunghi dei modelli precedenti si impigliavano talvolta negli ostacoli. Le mitragliatici Hotchkiss sono state sostituite da Lewis su snodo a sfera. A fronte: Non tutti i carri riuscivano a superare le fascine. Nel pieno dell’attacco a Cambrai, Hyacinth soccombe. Lo circondano i soldati del 1o Battaglione del Reggimento del Leicestershire.

MARK IV SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 8 PESO: 28 tonnellate CORAZZATURA: 12 mm ARMAMENTO: 2 cannoni da 6 libbre, 4 mitragliatrici Lewis (maschio), 6 mitragliatrici Lewis (femmina) VELOCITÀ MASSIMA: 6 km/h AUTONOMIA: 56 km MOTORE: Daimler 105 hp, benzina

SoprA, dAll’Alto in bASSo: Nel luglio 1917 venne formato il Tank Corps e si produsse un nuovo fregio da basco, assieme al distintivo, caratteristico e tuttora indossato, da braccio. I primi equipaggi dei carri armati costituivano una branca del Corpo Mitraglieri detta Sezione Pesante. Portavano dunque le Vickers incrociate del Corpo.

I Mark IV erano stati introdotti nel giugno 1917 sul crinale di Messines, dove avevano superato la fanteria, su terreno asciutto. Il nuovo modello, simile a Mark I, II e III, introduceva un certo numero di migliorie, dettate dall’esperienza acquisita in battaglia. Era provvisto di un nuovo radiatore, di un silenziatore e di cingoli in acciaio stampato

con maggiore tenuta, benché l’ultimo durasse comunque solo una trentina di chilometri. La corazzatura con piastre da 12 millimetri si dimostrò efficace contro i proiettili perforanti, anche se il Mark IV restava vulnerabile all’artiglieria tedesca. L’armamento principale del maschio fu sostituito, abbandonando i cannoni lunghi da 6 libbre calibro 40 per le più corte versioni calibro 23, che riducevano al minimo i danni da incagliamento; anche le gondole furono modificate (in entrambe le versioni, maschio e femmina), in modo da poterle rientrare durante il trasporto ferroviario. L’equipaggio del Mark IV fu dotato di portelli di emergenza aggiuntivi e, per il rifornimento di carburante, si introdusse un sistema a pompa, più affidabile di quello a gravità del Mark I. La benzina era trasportata in un serbatoio corazzato esterno allo scafo, sul retro del tank, in modo da ridurre i rischi di incendio. Si mantenne il motore Daimler 105 cavalli del Mark I, pur riconoscendo che offriva una potenza insufficiente. Sul muso il Mark IV trasportava una fascina (legni racchiusi da una catena) lunga circa 3 metri e del diametro di 1,4 da sganciare nelle trincee nemiche per facilitarne l’attraversamento. Questo era anche agevolato dalla tadpole tail, la «coda di girino», un prolungamento posteriore in acciaio dolce che aumentò il gap superabile da 3 a 4,3 metri.

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Benché il campo della Terza battaglia di Ypres fosse palesemente inadatto all’uso del nuovo Mark IV, Haig liquidò con disinvoltura la richiesta di sir Eustace Tennyson D’Eyncourt, l’architetto navale che aveva presieduto il Landships Committee, di ritirarlo dalla battaglia e destinarlo all’impiego su terreni più idonei. «Anche in condizioni simili» replicò «queste macchine hanno reso un prezioso servizio, più che sufficiente a giustificare la decisione.»

La Battaglia di Cambrai L’idea alla base dell’azione era stata partorita nell’agosto 1917, prima che si palesasse il disastro di Passchendaele. Concepita in origine come un’incursione di carri armati e fanteria a sud di Cambrai, un settore tranquillo ancorché ben fortificato che la 2a Armata Tedesca teneva senza eccessivo dispiegamento di forze, doveva durare appena qualche ora, prima che le forze d’attacco si ritirassero. Alla fine dell’autunno 1917, però, Haig smaniava per un qualunque successo che oscurasse la débâcle di Passchendaele e il modesto raid si trasformò in una penetrazione in grande stile a Cambrai e oltre. L’occasione si presentò quando il generale di brigata Elles, ora al comando del nuovo Tank Corps, propose un piano per sfondare la Linea Hindenburg, l’insieme di fortificazioni in cui i tedeschi si erano rintanati tra il febbraio e il marzo 1917, con un attacco a sorpresa lanciato sul terreno compatto e poco accidentato verso Cambrai. Promuovendo l’idea di usare per la prima volta i tank in massa, il colonnello J.F.C. Fuller, ufficiale di stato maggiore assegnato al Tank Corps, propose un rivoluzionario attacco effettuato da 476 carri insieme alla fanteria, e sferrato senza alcun bombardamento preparatorio. Il territorio – per lo più a pascoli collinari – si prestava all’uso dei cingolati. L’elemento sorpresa era fondamentale. A SiniStrA: Uno dei progetti originali per la fabbricazione del Mark IV britannico. È stato ritrovato solo quando la Vickers Defence Company ha ripulito gli archivi dei vecchi disegni, nel 2004.

LE FASCINE Il comandante del Mark IV Harrier ha ricordato: «Ci assegnavano enormi fascine fatte di 75 fasci di sterpi legati insieme con catene in un ammasso cilindrico... Venivano issate in alto, sopra il carro, e quando questo si affacciava su una trincea, un rapido meccanismo di sgancio permetteva alla fascina di cascarci dentro, in modo che la macchina ci si calasse dolcemente sopra e il muso riuscisse ad arrivare dall’altra parte senza difficoltà… Quando Harrier arrivò alla seconda trincea della Linea Hindenburg, il mio sergente, Callaghan, fermò il carro per aggiustare la posizione, io azionai il meccanismo di sgancio e la fascina cadde sul fondo. Ma era caduta di traverso! Callaghan calò piano il tank sulla fascina, ma i cingoli non facevano presa e giravano a vuoto… Con pazienza e abilità, mise in folle, poi spinse il motore al massimo e insistette con la frizione... alla fine riuscimmo a portare i cingoli in una posizione in cui avevano appoggio e uscimmo lentamente dalla trincea.»

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A FRONTE: Ordine Speciale n. 6 dal Comandante, il general maggiore Hugh Elles, agli uomini del Tank Corps, emanato il 19 novembre 1917 prima dell’attacco di Cambrai. L’ordine viene ancora letto dal Royal Tank Regiment durante le commemorazioni del Cambrai Day. SOTTO: Carri armati Mark IV con tanto di fascine sono trasportati in treno per l’attacco di Cambrai. La pianificazione logistica coinvolta nei preparativi dell’attacco fu immensa e considerevolmente efficace.

Le forze d’attacco della 3a Armata del generale Julian Byng si sarebbero concentrate in segreto, mentre gli artiglieri si sarebbero predisposti in silenzio, senza sparare colpi preliminari: una precauzione resa possibile dai progressi tecnologici compiuti in artiglieria durante il conflitto. Il bombardamento sarebbe stato sospeso fino all’alba del giorno dell’attacco, quando la prima ondata di carri avrebbe lasciato la linea di partenza. Loro missione principale sarebbe stata schiacciare i grovigli di filo spinato antistanti la Linea Hindenburg, un compito che era stato in precedenza affidato all’artiglieria, con risultati deludenti sulla Somme. I carri, operando a gruppi di tre, dovevano superare tre file di trincee tedesche, lasciando cadere le loro fascine in successione. In ciascun gruppo, uno dei tank si sarebbe mosso circa 90 metri avanti ai due compagni, sopprimendo il fuoco nemico. La fanteria, procedendo in fila, sarebbe venuta subito dietro i carri e, una volta che questi le avessero aperto la via attraverso le barriere di filo spinato, annientando le mitragliatrici nemiche, avrebbe spazzato via le ultime resistenze, offrendo a sua volta ai carri protezione ravvicinata dai cannoni tedeschi.

I fumogeni avrebbero annebbiato i punti di osservazione del nemico, mentre gli aerei del Royal Flying Corps (RFC) avrebbero bombardato e mitragliato centri di comunicazione, postazioni di cannoni e trinceramenti. Superate le trincee tedesche, si sarebbe impiegata la cavalleria per sfruttare la breccia aperta dai carri. L’audace piano aveva due difetti principali. Non c’erano riserve sufficienti e l’avanzata dei carri sarebbe avvenuta su un fronte troppo vasto, invece che contro punti tattici accuratamente scelti. Inoltre, l’asse dell’avanzata avrebbe incuneato i carri tra due canali, il Canal du Nord e il St Quentin-L’Escaut: vie d’acqua che avrebbero offerto protezione nel caso del raid veloce, ma che nell’operazione più ambiziosa avrebbero aumentato la vulnerabilità dei tank a una contromossa decisa. Si lanciarono alcuni attacchi simulati a nord e a sud dell’obiettivo reale per confondere il nemico, ma il 19 novembre una comunicazione telefonica britannica intercettata dai nemici («Martedì, le Fiandre») insospettì il comandante della 2a Armata tedesca, il generale von der Marwitz, che aggiunse una divisione alle sue difese.

Il 20 novembre, alle 06:20 del mattino, circa 380 carri armati, concentrati in nove battaglioni, lasciarono rombando la linea di partenza. Erano supportati da 54 carri da rifornimento, dotati di slitte, 32 provvisti di grappini per trascinare via il filo spinato e aprire un varco alla cavalleria, due con attrezzature per la costruzione di ponti e cinque con apparecchi radio (in grado in inviare messaggi in codice Morse, seppure con lentezza e limitata affidabilità). Nello stesso tempo, l’artiglieria della 3a Armata aprì il fuoco, inviando i difensori tedeschi nei loro bunker sotterranei, dove rimasero, certi che i bombardamenti, come già più volte avvenuto, sarebbero durati per giorni. La stessa convinzione era condivisa dall’Alto Comando tedesco, che non fece contromosse. Di conseguenza, alla fine del terzo giorno, la 3a Armata era avanzata di circa 8 chilometri, aprendo un varco di 10 chilometri nella Linea Hindenburg. Aveva distrutto l’equivalente di due divisioni tedesche, impadronendosi di 120 cannoni e facendo 7500 prigionieri. Carri e fanteria avevano riportato una vittoria tattica, ma il guadagno strategico si dimostrò effimero. Il 20 novembre, i carri armati superarono la fanteria ed erano in testa di circa un’ora quando raggiunsero i ponti sul canale di St Quentinl’Escaut a Masnières e Marcoing. Uno dei ponti, già indebolito da una carica esplosiva, crollò sotto il peso di un tank e la battaglia in quel settore si trasformò in un duello tra artiglieria tedesca e carri armati. Fanteria e cavalleria britanniche, quando infine arrivarono, furono ridotte al ruolo di spettatrici. Un ritardo simile ci fu nella porzione centrale-sinistra dell’avanzata britannica, al crinale di Flesquières. Il comandante della 51a Divisione, Harper, aveva deciso

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di adottare tattiche diverse da quelle impiegate dal Tank Corps e in quel settore permise ai carri di avanzare troppo rispetto alla fanteria, che perse il varco nel filo spinato e fu bloccata dal fuoco delle mitragliatrici tedesche. L’occasione era perduta. I pochi cannoni tedeschi rimasti a sparare riuscirono a colpire a distanza ravvicinata un carro armato dopo l’altro, mentre questi costeggiavano il crinale senza il supporto della fanteria, che avrebbe fatto piazza pulita degli artiglieri. I tedeschi abbandonarono Flesquières alle prime luci del 21 novembre, ma avevano rallentato l’impeto dell’avanzata. I britannici, con la fanteria spossata e i carri decimati, non poterono procedere ancora. I tedeschi, inoltre, avevano trovato un antagonista formidabile ai tank nel cannone da campagna da 77 millimetri, usato in precedenza su camion come arma antiaerea. Al termine della Battaglia di Cambrai, avrebbe imposto gravi perdite ai carri armati britannici. Benché non potesse esser chiaro all’epoca, gli scontri di Cambrai – che proseguirono per cinque giorni, al termine dei quali un contrattacco tedesco riguadagnò gran parte delle conquiste britanniche – contenevano già molti aspetti che avrebbero caratterizzato le grandi battaglie terrestri della Seconda guerra mondiale: tra questi, l’uso di veicoli corazzati, il ricorso a fuoco d’artiglieria senza aggiustamenti preliminari, l’impiego dei fumogeni e del fuoco di sbarramento delle mitragliatrici, la conquista della superiorità aerea e il supporto dell’aviazione, l’uso dei fanti più per fare piazza pulita delle resistenze residue che non come avanguardia dell’offensiva principale. Queste lezioni diedero anche al colonnello Fuller molto su cui riflettere.

IN BASSO A SINISTRA: Al comando del sottotenente Walter Farrer, Flying Fox II tentò di attraversare piano il ponte di Masnières, ma finì per farlo crollare. L’equipaggio riuscì a scamparla, ma la possibilità di far breccia oltre il canale era svanita. SOTTO: Il contrattacco tedesco a Cambrai implicò la perdita definitiva di molti carri che il Tank Corps avrebbe potuto recuperare. L’esercito tedesco ne avrebbe poi integrato un certo numero nella sua forza corazzata. A FRONTE: Sul finire del 1917 i carri armati cominciarono a girare per città e paesi della Gran Bretagna, contribuendo a raccogliere fondi a sostegno dello sforzo bellico. L’apparizione di un tank suscitava immancabilmente l’interesse della stampa e la campagna ebbe un enorme successo, promuovendo il carro armato come grande successo britannico.

CAPITOLO // 4

I PRIMI CARRI ARMATI FRANCESI IL DEBUTTO IN COMBATTIMENTO DEL MARK I DURANTE LA BATTAGLIA DELLA SOMME AVEVA ATTIRATO L’ATTENZIONE DELL’ALTO COMANDO BRITANNICO E DI QUELLO FRANCESE SULLE POSSIBILITÀ OFFERTE DAI VEICOLI CORAZZATI, FAVORENDO UNO SCAMBIO DI INFORMAZIONI E UN CERTO GRADO DI COLLABORAZIONE TRA I DUE. Un ruolo fondamentale nel dialogo ebbe un ufficiale d’artiglieria francese, Jean-Baptiste Eugène Estienne, che i suoi connazionali definiscono spesso il «padre del carro armato». Nell’estate del 1915, Estienne seppe che l’ingegnere automobilistico Eugène Brillié, della ditta Schneider, e il chimico inventore Jules Louis Breton, che era stato sottosegretario di Stato alle Invenzioni e alla Difesa Nazionale, stavano mettendo a punto un dispositivo tagliafilo spinato su un cingolato tipo Holt. Bombardò il quartier generale del comandante in capo dell’esercito francese, il generale Joseph Joffre, di lettere che proponevano usi offensivi di un simile veicolo, da lui ribattezzato «corazzata di terra», ma lo staff di Joffre non inoltrò le missive al generale. A differenza dei britannici, il cui Landships Committee aveva avuto un ruolo determinante nello sviluppo del carro armato, l’approccio dei francesi al problema individuato da Estienne nelle prime fasi della guerra fu un patchwork di interessi concorrenti, ignari dei reciproci risultati. Il 9 dicembre 1915, Estienne accompagnò il generale Pétain, comandante della 2a Armata francese, a una dimostrazione del dispositivo della Schneider, che sarebbe stato costruito sia in versione armata, sia in versione blindata (tracteur armé et blindé). Il progetto, di cui Estienne aveva solo una conoscenza estremamente vaga, riaccese il suo entusiasmo per la corazzata di terra. Il 1° dicembre 1915, una settimana prima di partecipare alla dimostrazione, aveva scritto una lettera personale a Joffre, uomo dell’artiglieria come lui, invocando la creazione di una forza di sfondamento di veicoli blindati e fanteria, adatta a ogni terreno. Ne seguì una riunione, il 12 dicembre, con il capo di stato maggiore di Joffre, il generale Jules Janin, tre giorni prima che il prototipo della Schneider ricevesse il via libera ufficiale con un ordine iniziale di dieci macchine. Lo stesso giorno, Estienne contattò Louis Renault, pioniere dell’industria automobilistica francese e produttore, in tempo di guerra, delle granate da 75 millimetri, con un progetto per la realizzazione di carri armati. Renault sulle prime rifiutò, ma il 18 gennaio Estienne convinse Joffre della validità dell’idea.

Lo Schneider e il Saint Chamond Dai progetti concorrenti per la realizzazione di un veicolo corazzato da guerra francese emersero due carri armati pesanti. Lo Schneider era essenzialmente un cannone d’assalto, l’antenato del semovente d’artiglieria.

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Benché non fosse stato coinvolto nella sua concezione, Estienne fu messo in contatto con il team di progettisti di Brillié alla Schneider e riuscì a influenzare la versione posta in produzione. Il primo lotto di macchine, dette «tracteurs Estienne», fu consegnato nel settembre 1916, mentre il Mark I britannico aveva il suo battesimo del fuoco sulla Somme. In seguito, i tracteurs divennero noti come «chars d’assault» o semplicemente «chars». Lo Schneider era essenzialmente un grande cassone corazzato su treno cingolato Holt, provvisto di un motore 70 cavalli. Lo sperone frontale e la «coda» posteriore erano caratteristiche già presenti nel progetto originario di Brillié per il dispositivo taglia-filo spinato. L’obice da 75 millimetri era alloggiato in una gondola sulla destra dello scafo e, su entrambi i lati, c’erano anche due mitragliatrici Hotchkiss. Ben presto si evidenziarono alcune pecche progettuali: le sporgenze sul muso e sul retro riducevano le prestazioni su terreni accidentati e nell’attraversamento delle trincee, il brandeggio delle armi principali era limitato, visione e aerazione erano inadeguate, i serbatoi del carburante, interni, rappresentavano un potenziale rischio di incendio durante l’azione, mancava un’uscita sul lato sinistro e la corazzatura offriva una protezione insufficiente, soprattutto dai proiettili perforanti «K» tedeschi, che, penetrando nello scafo, spedivano addosso all’equipaggio una pioggia di schegge e piombo fuso. Si lanciò un programma di migliorie, che però procedette a passo di lumaca. Lo Schneider era nato per essere il carro armato pesante dell’esercito francese, ma aveva un rivale, il Saint Chamond, che non era stato commissionato dall’esercito ed era il risultato di un accordo politico industriale stretto all’insaputa di Joffre, di Estienne e dei dirigenti Schneider. Il responsabile del sotterfugio era Jules Louis Breton, che aveva autorizzato La Compagnie des Forges et Aciéries de La Marine et d’Homécourt, un’impresa industriale situata a Saint Chamond, vicino a Lione, a progettare una versione migliorata dello Schneider. Il prototipo, ultimato nel settembre 1916, aveva un armamento più pesante del rivale, con un cannone da campagna da 75 millimetri fissato frontalmente su una piastra corazzata – il più potente mai montato su un tank prima del 1941 – e quattro mitragliatrici Hotchkiss (una per lato, una davanti, una dietro). Il Saint Chamond, però,

SoprA: Il generale Jean-Baptiste Estienne fu tra i principali fautori dell’uso di veicoli corazzati.

A fronte, in Alto: Uno Schneider viene caricato su un camion in attesa di lasciare la fabbrica. Sono visibili l’obice da 75 millimetri e la mitragliatrice Hotchkiss con il suo supporto. A fronte: Tre Schneider fuori combattimento mostrano la triste sorte di molti dei primi carri armati francesi sul campo di battaglia.

A SiniStrA: Il primo uso del Saint Chamond, nel maggio 1917, evidenziò varie pecche progettuali. Si apportarono modifiche ai modelli successivi, ma non fu comunque un successo.

conservava ancora molti difetti del predecessore. Come lo Schneider era un cannone d’assalto con un grosso sperone sul muso e una sporgenza dietro, scarse prestazioni su terreno accidentato, scarsa manovrabilità, visione inadeguata e una collocazione problematica delle uscite. Vantava la trasmissione elettrica, che eliminava le difficoltà nel cambio marce tipiche di tutti i primi carri armati e semplificava la sterzata, gestita con i comandi sul davanti e sul retro, ma la trasmissione, nei fatti, si dimostrò inaffidabile e causò un alto numero di guasti.

L’Offensiva Nivelle Nell’autunno 1916, mentre gli scontri a Verdun si placavano, il generale Robert Nivelle, successore di Pétain al comando delle forze nel settore, lanciò una serie di contraccolpi lampo che riguadagnarono il terreno ceduto in febbraio con un numero di perdite relativamente basso. Dopo il successo a Verdun, Nivelle prese il posto di Joffre come comandante in capo dell’esercito francese e promise di porre velocemente fine alla guerra con «violenza, brutalità e rapidità». I piani alleati per un’offensiva congiunta nella primavera del 1917, con l’alto comando britannico che si poneva riluttante agli ordini di quello francese, furono intralciati dal ritiro dei tedeschi, il 16 marzo, oltre la fortificata Linea Hindenburg.

Con una sicurezza di sé che sconfinava nel patologico, Nivelle ignorò le mutate circostanze e i suoi piani non subirono variazioni, quando l’offensiva fu sferrata, il 16 aprile, su un fronte di 40 chilometri a est di Soissons. Prima che cominciasse la battaglia, Nivelle aveva previsto che la vittoria sarebbe costata circa 10.000 uomini. Solo nei primi quattro giorni, 5a e 6a armata francesi subirono 120.000 perdite. Anche i carri armati della Francia, debuttati in combattimento il 16 aprile, persero molte unità. Nella prima giornata erano stati impegnati 132 Schneider, ma molti si guastarono o rimasero incagliati nel tentativo di oltrepassare le trincee tedesche e furono ridotti in pezzi dall’artiglieria nemica. 57 macchine furono distrutte e molte altre danneggiate oltre ogni possibilità di riparazione. Il 5 maggio, a Laffaux Mill, i Saint Chamond seguirono gli Schneider in azione. Dei 16 messi in campo molti rimasero incagliati nelle trincee, ma solo tre furono distrutti in combattimento. In seguito, vennero schierati 12 gruppi di Saint Chamond e questi carri trovarono utile applicazione come cannoni d’assalto nell’estate 1918, quando il campo ritrovò una certa mobilità, riuscendo a distinguersi e a tartassare i cannoni da campagna tedeschi a distanza di sicurezza. All’epoca, tuttavia, i francesi avevano ormai rivolto l’attenzione a un carro armato dal design più innovativo e leggero.

SAINT CHAMOND SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 9 PESO: 23 tonnellate CORAZZATURA: 11 mm ARMAMENTO: cannone da 75 mm, 4 mitragliatrici Hotchkiss VELOCITÀ MASSIMA: 12 km/h MOTORE: Panhard-Levassor 90 hp, benzina

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A fronte: Carri armati Saint Chamond in addestramento. Il muso allungato comportava incagliamento e scarsa capacità di oltrepassare le trincee.

CAPITOLO // 5

LA PIENA MATURITÀ DEL CARRO ARMATO IL 1918 VIDE IL RITORNO DELLA MOBILITÀ SUL FRONTE OCCIDENTALE E CON ESSA UNA NUOVA OCCASIONE PER I CARRI ARMATI DI DIMOSTRARE LA LORO UTILITÀ. L’OFFENSIVA DI PRIMAVERA DEI TEDESCHI, CHE EBBE INIZIO IN MARZO, PORTÒ A UNA RAPIDA AVANZATA E IL 3 GIUGNO ERANO DI NUOVO SULLA MARNA, A 90 CHILOMETRI DA PARIGI. Si imponeva un contrattacco e, il 24 luglio 1918, il comandante in capo delle forze alleate, il maresciallo francese Ferdinand Foch, annunciò: «È giunto il momento di abbandonare il generale atteggiamento difensivo al quale siamo stati costretti dall’inferiorità numerica e di passare all’offensiva.»

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Renault FT: il carro leggero francese Il carro armato avrebbe avuto un ruolo significativo nella risposta alleata e si preparava ad assumere nuove forme. I primi modelli britannici e francesi, che privilegiavano l’aspetto della protezione su quello della mobilità, erano lenti e pesanti, con un raggio d’azione limitato e facilmente soggetti ad avarie.

Sotto: Una delegazione britannica si recò a vedere il nuovo Renault a Champlieu, centro specializzato di collaudo dell’artiglieria. I Tank Corps usarono un certo numero di carri armati Renault, soprattutto per mansioni di collegamento.

La guerra implica sempre tempi morti prolungati. Qui, nell’estate del 1918, truppe canadesi si riposano ai margini della strada, mentre un barelliere si rivolge a un membro dell’equipaggio di un Renault con mansioni di collegamento.

Nel novembre 1916, il pioniere francese Jean-Baptiste Estienne sostenne che la realizzazione dei carri avrebbe dovuto muoversi in una direzione radicalmente diversa: punto di partenza irrinunciabile la leggerezza e la mobilità, più che la robustezza. Quando Estienne aveva avvicinato l’ingegnere Louis Renault nel 1915, con la richiesta di creare un carro armato pesante, era stato respinto. A un anno di distanza, Renault, non più occupato da altre commissioni di guerra, si decise ad accettare la sua proposta, questa volta relativa a un tank assai più mobile, e il progetto avanzò con sorprendente rapidità. Il Renault FT sarebbe stato un carro leggero, di supporto alla fanteria: poiché Renault non riteneva che i motori disponibili avrebbero garantito a un carro pesante un sufficiente rapporto potenza/peso, commissionò al suo

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principale progettista, Rodolphe Ernst-Metzmaier, un veicolo che non pesasse più di 7 tonnellate. Lo stesso Renault guidò il prototipo ai collaudi, nel febbraio 1917. Fu effettuato un ordine iniziale di 150 esemplari, da usare come veicoli comando con i battaglioni pesanti. Le critiche iniziali, secondo cui il veicolo aveva un armamento troppo leggero, con la sua mitragliatrice Hotchkiss da 8 millimetri in torretta circolare d’acciaio colato, furono affrontate nell’aprile 1917, quando Estienne insistette che alcuni dei carri montassero anche un piccolo cannone. L’arma prescelta fu un Puteaux da 37 millimetri, alloggiato in una torretta poligonale Berliet di piastre rivettate. Questa, in seguito installata su molti dei modelli in produzione, fu a sua volta sostituita, verso la fine del conflitto, da una torretta circolare progettata dalla società Girod.

SOPRA: Progetti del Char D’Assaut 18 cavalli Renault, Prima guerra mondiale, dal manuale originario, rilasciato agli equipaggi per spiegare la manutenzione base del carro armato, nonché le caratteristiche e i dati fondamentali del veicolo. In fondo al testo c’erano disegni tecnici che mostravano le parti in sezione e riportavano gli schemi di funzionamento.

Il Renault FT fece il suo debutto sul campo di battaglia il 31 maggio, durante la seconda Battaglia della Marna, l’offensiva finale dei tedeschi nel 1918, prima che la marea cambiasse a loro sfavore. Circa 30 FT stroncarono un attacco nemico ma, non avendo il supporto della fanteria, furono costretti a ritirarsi. Il capitano Aubert, comandante di una sezione della 304a Compagnia, 2o Battaglione Carri Leggeri, 501o Reggimento Artiglieria Speciale, prese parte all’attacco francese, il 31 maggio: Ci fu di nuovo il segnale di «avanzare» e, questa volta, proseguimmo tra le armi e i trofei abbandonati a terra dal nemico durante la ritirata. Sparammo qualche salva contro

i punti da cui sembrava provenire il fuoco automatico. La nostra fanteria, però, non pareva seguirci; si limitava a guardarci allontanare. Sul ciglio di un burrone, a una distanza, a occhio, di circa 600 metri, apparve un cannone anticarro. Vedemmo il bagliore dello sparo e fu evidente che mirava proprio a noi. Le prime salve ci caddero davanti in rapida successione. Una cilecca dopo l’altra, apparentemente: i proiettili rimbalzavano più e più volte con un gran polverone, ma non scoppiavano. Senza fermare l’equipaggio, il comandante aprì il fuoco contro il cannone, che rispose senza risparmiarsi. Nel corso di quel duello, una granata ci finì proprio davanti, spedendo nuvole di fumo polveroso e bollente in faccia all’equipaggio, dietro le feritoie. Il cannone mobile, però,

SOTTO: Il Renault FT aveva in dotazione una mitragliatrice Hotchkiss da 8 millimetri (visibile qui) o un cannone Puteaux da 37 millimetri. Quello nell’immagine è un carro armato da addestramento. I 150 esemplari prodotti a questo scopo erano realizzati con acciaio non temprato e avevano targhette che segnalavano la modifica. Nel particolare, la targhetta identificativa del produttore.

era all’altezza di quello fisso: virando rapidamente, il carro armato mise in fretta a tacere il fuoco nemico. Avanzammo ancora zigzagando verso il cannone, che non rispose più.

La Battaglia di Hamel Nell’estate del 1918, il carro armato pesante britannico Mark IV era stato ormai sostituito dal Mark V, che esteriormente appariva simile al suo predecessore, ma aveva al suo attivo alcune modifiche interne significative. Il nuovo tank debuttò in combattimento il 4 luglio 1918, nella Battaglia di Hamel, in Francia settentrionale, 3 chilometri a nord-ovest di Villers-Bretonneux. L’azione era stata concepita per precludere ai tedeschi il controllo del villaggio, che fungeva da saliente alle spalle degli Alleati e avrebbe permesso ai nemici di costituire una minaccia per Amiens. La principale componente alleata in battaglia era l’Australian Corps, al comando del generale John Monash, un uomo di grande perspicacia che, ad Hamel, mise in atto tutta una serie di misure tattiche: lancio con il paracadute di cassette con forniture medicinali e munizioni, uso di carri armati con la stessa funzione di rifornimento, impiego dei razzi di segnalazione al

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quartier generale dei battaglioni per trasmettere messaggi urgenti alle retrovie. Nell’attacco furono usati 60 carri combattenti e quattro di rifornimento della 5a Brigata corazzata britannica: la segnaletica colorata sullo scafo permetteva alle unità di fanteria di supporto di identificarli e seguirli. I fanti avrebbero dovuto avanzare dietro il fuoco di sbarramento, ma i carri della 5a Brigata non riuscirono ad arrivare alla linea di partenza prima che la fanteria fosse partita e quest’ultima si ritrovò rapidamente coinvolta in un intenso scontro. Al sorgere del sole, i Mark V arrivarono finalmente sul campo di battaglia e spazzarono via le ultime sacche di resistenza. Preparando la battaglia, Monash aveva calcolato che i suoi obiettivi si sarebbero potuti conseguire in circa 90 minuti. Sbagliò di poco: ce ne vollero 93. I carri furono ritirati alle 17:30, portando con sé molti feriti e lasciando la fanteria a sventare un contrattacco tedesco in serata. Anche se Hamel fu uno scontro su scala ridotta rispetto ai consueti standard del primo conflitto mondiale (non si perse alcun carro armato e le perdite tra gli equipaggi dei tank ammontarono a 13 feriti), prefigurava la fine della guerra di trincea. Un attacco ad armi combinate aveva rapidamente avuto la meglio del nemico trincerato.

SOTTO: Questo Mark V (H 41) riporta i contrassegni dell’8o Battaglione (H) del Tank Corps all’epoca della Battaglia di Amiens, l’8 agosto 1918. Prese parte allo scontro agli ordini di un giovane ufficiale di nome Harold Whittenbury, poi decorato con la Military Cross. A FRONTE: Durante la campagna dell’agosto 1918, carri armati Mark V avanzano portando «culle» (crib): intelaiature metalliche circondate da assi di legno che erano in sostanza un sostituto riutilizzabile delle fascine.

MARK V SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 8 PESO: 28 t CORAZZATURA: 14 mm ARMAMENTO: 2 cannoni da 6 libbre, 4 mitragliatrici Hotchkiss (maschio), 6 mitragliatrici Hotchkiss (femmina) VELOCITÀ MASSIMA: 7,4 km/h MOTORE: Ricardo 150 hp, benzina

Il più grande svantaggio del Mk IV era stato un inefficiente sistema di guida, per il quale era necessaria l’attenzione di ben quattro membri dell’equipaggio. Si sapeva da tempo, ormai, che nelle

successive evoluzioni del carro armato sarebbe stato essenziale prevedere un nuovo sistema di trasmissione, azionabile da un solo uomo. Dopo i collaudi effettuati a Oldbury nel marzo 1917, si optò per una scatola del cambio progettata dal maggiore Walter Gordon Wilson, che lavorò anche a un motore più potente, il Ricardo 150 cavalli. Sul tetto del carro armato, verso il retro, c’era una cabina rialzata dotata di cerniere, che permetteva agli occupanti di attaccare la trave di disincagliamento senza lasciare il veicolo. Sul retro dello scafo si applicò, inoltre, un supporto per una mitragliatrice in più. I primi Mark V arrivarono in Francia nel maggio 1918. Ne furono costruiti 400. L’armamento principale era costituito dal cannone navale da 6 libbre. Alcuni furono convertiti nei cosiddetti Ermafroditi (o Mark V Compositi), con una gondola del modello maschile e una di quello femminile, per evitare che si ritrovassero in condizioni di potenza di fuoco inferiore davanti ai Mark IV maschi catturati e riutilizzati dal nemico o a agli A7V tedeschi.

CAPITOLO // 6

CARRO CONTRO CARRO // L’A7V TEDESCO I TEDESCHI TARDARONO A CONVERTIRSI AL MEZZO CORAZZATO SUI CAMPI DI BATTAGLIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE. SOLO QUANDO I MARK I FURONO USATI A FLER, NEL 1916, L’ALTO COMANDO TEDESCO SI FECE ATTENTO, ACCORGENDOSI DELLA NUOVA ARMA. Nel settembre del 1916 fu infine istituita una commissione per esaminare il problema: l’Allgemeines Kriegsdepartement, 7 Abteilung, Verkehrwesen (Dipartimento di Guerra Generale, Divisione 7, Settore trasporti; la nomenclatura era un espediente di sicurezza). Tra i suoi compiti c’era la raccolta di informazioni sui carri armati alleati, lo sviluppo di misure anticarro e la creazione di un progetto autoctono. Il primo tentativo in tal senso, revival del progetto d’anteguerra di un «incrociatore di terra corazzato» da 550 tonnellate, rievoca l’immaginario di H.G. Wells e fu rapidamente messo da parte. A disegnare il primo carro armato tedesco fu Joseph Vollmer, ingegnere e capitano nella Riserva Militare. Vollmer seguì il cammino intrapreso dai britannici Tritton e Wilson. Il suo punto di partenza fu un autocarro cingolato preesistente, che dotò di una corazza in acciaio, ma che si dimostrò inefficace ai collaudi e non andò oltre lo stadio di prototipo. Egli si rivolse allora a cingoli Holt costruiti su licenza in Ungheria. Questi furono allungati e dotati di molle, per adattarli al telaio di un veicolo da 30 tonnellate che era in grado di attraversare trincee larghe un metro e mezzo, raggiungeva una velocità di almeno 12 chilometri orari

ed era armato di mitragliatrici e di un cannone. Il primo prototipo, senza corazza, costruito da Daimler-Benz e con due motori 100 cavalli accoppiati a far da propulsore, fu testato a Berlino nell’aprile 1917. Tra le successive modifiche ci furono l’aggiunta di più mitragliatrici e il miglioramento della visione, poi ebbe inizio la produzione, nell’ottobre 1917, con un ordine iniziale di 100 carri armati. Nel frattempo, il veicolo era stato denominato A7V, dal nome del «Dipartimento di Guerra Generale» con le relative sottodivisioni, e fu classificato come Sturmpanzer Kraftwagen: veicolo a motore corazzato d’assalto.

L’A7V in azione Le istruzioni tedesche emanate nel gennaio 1918, alla vigilia del primo impiego dell’A7V, erano essenzialmente simili a quelle fornite al Tank Corps britannico. Secondo le Norme per il ricorso ai distaccamenti di carri armati d’assalto, compito dei tank era fornire supporto alla fanteria e demolire ostacoli, capisaldi e postazioni di mitragliatrici. Lo stretto contatto con la fanteria era giudicato «della massima importanza»; ove necessario, si potevano aggregare divisioni del genio, che assistessero i carri sui terreni più difficoltosi. Cortine fumogene, il favore del buio A SiniStrA: Furono prodotti oltre 50 veicoli nella versione A7V Uberlandwagen. Il veicolo da trasporto ebbe un successo limitato, perché, al pari del carro armato, aveva scarsa autonomia e nel 1918 le riserve di carburante necessarie ad alimentare il doppio motore erano ridotte. Per una delle unità fu usata la svastica come segno di identificazione.

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e altre forme di occultamento andavano sfruttate per celare i veicoli, che sarebbero tornati immediatamente al coperto, appena ultimata la missione. Verso la fine del marzo 1918, i tedeschi lanciarono l’Offensiva Ludendorff, che intendeva assestare un colpo fatale a occidente, spezzando le linee francesi e britanniche. Gli attacchi, guidati dalle truppe d’assalto, cominciarono in un nebbioso 21 marzo. Gli A7V erano pronti a debuttare sul campo di battaglia e, nella prima giornata di offensiva, cinque carri armati dell’Abteilung (Reparto) 1, agli ordini del capitano Greiff, furono dispiegati a nord del Canale di Saint Quentin. Tre subirono un guasto prima ancora di entrare in azione, gli altri due vennero fermati dal contrattacco britannico. Quel primo tentativo di entità ridotta fu il preludio di uno storico evento, appena un mese dopo: il primo scontro tra carri armati della storia. Il 24 aprile, nella foschia del primo mattino, ispessita da fumogeni e gas, tre Abteilungen di A7V – per un totale di 13 carri – guidarono la fanteria verso il Bois d’Aquenne e i centri di Villers-Bretonneux e Cachy. Furono avvistati dalla fanteria britannica e questa avvertì l’equipaggio di un Mark IV maschio, comandato dal tenente Frank Mitchell, che c’erano «carri crucchi in arrivo»! Quello di Mitchell era uno dei tre tank britannici nelle vicinanze.

ARMAMENTO ANTICARRO TEDESCO Per rispondere alla nuova minaccia dei primi carri armati, i tedeschi erano stati costretti a escogitare armi anticarro. All’inizio del 1917 si era spedito in fretta e furia al fronte il TAK (Tankabwehrkanone) da 37 millimetri della Rheinmetall, speciale cannone anticarro a proiettili penetranti che si dimostrò relativamente efficace. In alternativa, si potevano attirare i carri nemici oltre le trincee per poi affrontarli con i cannoni da campagna da 77 millimetri del reggimento artiglieri di una divisione di fanteria con comuni proiettili esplosivi e, in seguito, con proiettili perforanti. Fanti dei battaglioni pionieri furono radunati in distaccamenti anticarro ed equipaggiati di «teste» di granate legate insieme, in grado di mettere fuori uso i cingoli. Quella modalità di attacco dipendeva dal fatto che i mitraglieri disperdessero la fanteria alleata al seguito dei tank. Lanciafiamme e mortai potevano essere usati per colpire direttamente la parte superiore di un carro armato, spesso appiccando il fuoco. All’inizio, i fucili anticarro usavano le cartucce e i proiettili dei fucili comuni, con il proiettile inserito al contrario e una carica propulsiva aumentata. I proiettili perforanti K potevano essere sparati da un fucile di fanteria e, alla giusta angolazione, davano il 30 per cento di probabilità di penetrare una corazza da 8 millimetri.

Gli altri due erano «femmine», armate solo di mitragliatrici. L’apparizione degli A7V causò il panico, mentre i bestioni avanzavano, distanziando rapidamente la fanteria tedesca. Gli uomini di Mitchell se la passavano male, con la pelle ustionata, gli occhi gonfi e irritati dai gas. Guardando fuori da una feritoia, il comandante vide «…avanzare un mostro dall’aspetto tozzo e arrotondato; dietro di lui la fanteria a ondate e, ancora più lontano, sulla sinistra e sulla destra, altre due di quelle testuggini armate». Gli A7V erano poco meno di 300 metri di distanza. L’azione consistette in 30 minuti di manovre al rallentatore, durante le quali gli A7V, più rapidi, ebbero la meglio. Raffiche di mitragliatrice crepitarono sui fianchi del Mark IV di Mitchell, mentre i carri tedeschi sparavano i primi colpi a distanza, poi le due femmine vennero colpite e costrette alla ritirata. Anche il mitragliere posteriore dell’equipaggio di Mitchell era stato ferito da un proiettile che aveva perforato la corazza, e l’altro aveva gli occhi infiammati dai gas. Fu allora che sette carri leggeri Whippet, inviati a rispondere alla fanteria nemica, si ritrovarono nel bel mezzo della battaglia. Tre furono colpiti, gli altri batterono frettolosamente in ritirata, credendo fosse l’artiglieria a sparare. Mitchell, che disperava di poter prendere un bersaglio mobile, decise di

in bASSo A SiniStrA: Furono ordinati 100 telai di A7V, ma vennero realizzati solo 20 carri armati completi e più di 50 diventarono veicoli da trasporto cingolati, prima che la fine della guerra limitasse un’ulteriore produzione. Qui il prototipo mostra la struttura base e la piattaforma di guida, prima dell’aggiunta della corazzatura. Sotto: Un ufficiale britannico mostra l’uso di una postazione di mitragliatrice su un A7V catturato. L’interesse per l’impiego del carro armato da parte dei tedeschi raggiunse l’apice nella primavera del 1918, mentre le Forze Alleate sul Fronte occidentale si preparavano all’offensiva del nemico.

arrestare il suo tank e riuscì a mettere a segno un colpo alla torretta dell’A7V, costringendolo a fermarsi: «Un altro boato e ancora un altro sbuffo dalla parte anteriore del carro armato indicarono un secondo colpo a segno! Sbirciando con gli occhi gonfi dalla sua fenditura, il mitragliere gridò parole di trionfo, coperte dal rombo del motore. Poi, di nuovo, mirò… e centrò un’altra volta l’obiettivo». I resoconti della vicenda, a questo punto, differiscono. Stando a Mitchell, l’A7V fu messo definitivamente fuori uso e i membri del suo equipaggio vennero uccisi mentre si lanciavano fuori dal veicolo. I tedeschi dichiararono che l’A7V era riuscito a ritirarsi. Qualunque sia la verità, fu un incontro storico.

A7V SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 18 PESO: 30 t CORAZZATURA: 30 mm ARMAMENTO: Maxim-Nordenfelt da 5,7 cm, 6 mitragliatrici Maxim da 7,92  mm VELOCITÀ MASSIMA: 12 km/h MOTORE: 2 Daimler 101 hp, benzina L’A7V da 30 tonnellate era il classico cassone corazzato, armato sul davanti di un cannone Maxim-Nordenfelt da 57 millimetri, con cadenza di tiro inferiore a quella dei 6 libbre sui tank britannici, oppure di un Sokol catturato (una variante russa del Nordenfelt) e di sei mitragliatrici raffreddate ad acqua, due per lato e due sul retro. Aveva un numeroso equipaggio di ben 18 elementi. Portava a bordo fino a 60 cartucciere da 250 proiettili ciascuna per le sue mitragliatrici e 180 colpi per il cannone (cifra che arrivò anche a 300). I 500 litri di carburante erano immagazzinati in un serbatoio interno, per alimentare il doppio motore, conferendo al carro armato una velocità fuori strada di circa 5 chilometri orari e un’autonomia su strada di 60 chilometri. Su sterrato l’autonomia scendeva a 32 chilometri. Rispetto ai tank britannici, l’A7V aveva una corazza più spessa, ma con meno acciaio temprato e un rapporto potenza/peso più elevato. Il suo baricentro era alto e le sporgenze, davanti e dietro, lo rendevano poco idoneo all’attraversamento di trincee e ai terreni accidentati. Lo scafo impediva al guidatore la visione del terreno antistante il carro, creando una zona cieca di circa 10 metri.

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A SiniStrA: Questo motivo cromatico è stato ricreato su una copia a grandezza naturale dell’A7V, costruita nel 2009. Degli originali ne resta solo uno, portato in Australia come trofeo alla fine della guerra. Sotto: L’A7V Hagen, numero 528, Abteilung 2, vicino a VillersBretonneux, nell’aprile 1918. Malgrado l’aspetto imponente e le 30 tonnellate di peso, poteva viaggiare a velocità doppia, su terra battuta, rispetto al Mark IV britannico.

CAPITOLO // 7

GLI ULTIMI CARRI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE NEL LUGLIO 1918 LE OFFENSIVE TEDESCHE SUL FRONTE OCCIDENTALE ERANO ORMAI CESSATE, PER LASCIARE POSTO ALLA CONTROFFENSIVA DEGLI ALLEATI (OFFENSIVA DEI CENTO GIORNI), CHE PORTÒ A CONCLUSIONE LA GUERRA. IN QUESTE BATTAGLIE FINALI I CARRI ARMATI, IN NUMERO SEMPRE CRESCENTE, EBBERO UN RUOLO DI RILIEVO. Durante la Battaglia di Amiens, l’8 agosto 1918, 288 Mark V, insieme a 96 carri medi Whippet, a 72 Mk V* (una variante allungata di 2 metri per l’attraversamento delle trincee più larghe), 12 autoblindo Austin e 90 FT francesi furono impiegati in un solo giorno su un fronte di 40 chilometri, anticipando la moderna guerra corazzata. Il quartiermastro generale Erich Ludendorff lo definì «il giorno nero dell’esercito tedesco», durante il quale britannici e francesi infersero al nemico un doppio colpo sul Fronte occidentale. I britannici attaccarono di nuovo sulla Somme, ma, memori della lezione di Cambrai, evitarono un bombardamento preliminare e supportarono l’offensiva con 462 carri. La nebbia celò l’impeto iniziale, che nel giro di 24 ore si era addentrato di 16 chilometri nelle posizioni tedesche. Subite più di 100.000 perdite, i tedeschi ricaddero oltre la Linea Hindenburg. L’artigliere dell’Ulster Aubrey Wade vide i carri avanzare nelle prime ore del mattino ad Amiens: Grigie sagome imponenti incombevano all’orizzonte. Le flange dei cingoli mordevano il terreno al loro avanzare: erano i più grandi dell’intera tribù, con mitragliatrici a prua e a poppa, cingoli che li sospingevano avanti come navi dalle torrette massicce. Uno dopo l’altro ci passarono accanto diretti alle trincee, in successione, e io me ne stavo lì a guardare, stupefatto dal loro gran numero. Wade assistette all’attacco: …Mai si era sparato un simile fuoco di sbarramento nel settore di Amiens. Era colossale. A nord e a sud il fronte ardeva per i cannoneggiamenti. Coperta da un muro viaggiante di granate la 5a Divisione australiana, che noi avremmo dovuto seguire, partì all’assalto. L’esercito di carri emerse lentamente allo scoperto da dietro le trincee di prima linea, oltrepassandole con terrore e smarrimento del fronte nemico. Non tutto andò liscio per gli Alleati, l’8 agosto. Un Mark V, il carro numero 9003 Barrhead del 2° Battaglione del Tank Corps, che operava con la 2a Divisione australiana, era in azione da 16 ore quando si unì a un attacco della fanteria a sud di Harbonnières:

L’attacco ebbe inizio all’una e trenta del pomeriggio. Si incontrò una forte resistenza di mitragliatrici, cannoni anticarro e bombardieri. Le mitragliatrici vennero presto ridotte al silenzio; i cannoni da sei libbre di Barrhead aprirono il fuoco

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GLI WHIPPET A CACHY Gli Whippet furono inizialmente usati per rafforzare i battaglioni regolari di carri armati in «Compagnie X» supplementari. In tale veste furono coinvolti nel primo scontro tra carri a Villers-Bretonneux, il 24 aprile 1918. Lo stesso giorno, nel vicino villaggio di Cachy, gli Whippet misero a segno un singolare successo contro il grosso di un nucleo di fanteria tedesca. Un aereo di ricognizione della neoformata Royal Air Force (R.A.F.) aveva avvistato due battaglioni di fanti nemici a est di una zona trincerata detta Linea di scambio di Cachy, dove si nascondevano alla fanteria britannica. Il pilota sganciò un messaggio sopra la Compagnia X, 3°  Battaglione del Tank Corps, riferendo la posizione del nemico. Il comandante della Compagnia deviò i suoi sette Whippet verso il punto dell’avvistamento e sorprese i tedeschi che riposavano con le armi posate da una parte. Gli Whippet attaccarono. Nella carneficina che seguì, causarono al nemico 400 perdite, tra cui gli uomini che erano rimasti schiacciati sotto i loro cingoli. Tre Whippet furono danneggiati dal fuoco di un A7V che era intervenuto, non visto; un altro fu distrutto. La fanteria tedesca falcidiò allora con furore i soldati scesi dai carri danneggiati e, impossibilitata a perseguire la missione originaria – occupare il piccolo centro di Cachy – si radunò attorno all’A7V a una certa distanza, a est del villaggio.

Sotto: Ecco il formidabile Musical Box del comandante Arnold, con i feriti che si riparano dietro il veicolo dopo la famosa azione dell’8 agosto. Poiché Arnold e il suo equipaggio furono catturati al termine dell’azione, il racconto degli eventi del giorno sarebbe stato reso noto solo a guerra finita.

CARRO MEDIO MARK A WHIPPET SPECIFICHE PESO:14 t CORAZZATURA: 12 mm ARMAMENTO: 4 mitragliatrici 0.303 VELOCITÀ MASSIMA: 13,4 km/h

su alcuni ottimi bersagli e le sue mitragliatrici fecero piovere una grandinata di piombo sui tedeschi, che vedemmo scappare in tutte le direzioni. Avanzando, via via che ci si avvicinava all’obiettivo, il fuoco d’artiglieria divenne assai pesante; era un continuo esplodere di granate attorno a Barrhead, perciò il pilota prese un andamento a zig-zag per schivare i colpi, mentre i nostri cannonieri mantenevano un fuoco sostenuto. A quel punto, un uomo dell’equipaggio fu ferito e, mentre il sottoufficiale gli esaminava le lesioni, il carro fu colpito. L’urto spedì l’intero equipaggio ai quattro angoli del carro armato e lo riempì di fumi soffocanti. Feci uscire quattro uomini e li piazzai dietro il tank, perché erano tutti feriti. Tornai a bordo per vedere che ne fosse stato degli altri due e li trovai entrambi morti. Il proiettile, probabilmente esplosivo, ci aveva colpito sul davanti della gondola di destra ed era esploso all’interno, distruggendo i cilindri del motore. Il comandante del veicolo portò assistenza ai feriti e ne inviò tre al più vicino posto di medicazione, prima di correre in cerca di una barella per l’altro uomo, che non era in grado di muoversi. Quando tornò, Barrhead era stato di nuovo colpito e prese fuoco. L’uomo, gravemente ferito, morì poco dopo.

Il «giorno nero» dell’esercito tedesco Ad Amiens, alcuni carri leggeri Whippet si erano addentrati nelle retrovie tedesche e uno, detto Musical Box, si spinse così avanti da rimanere isolato oltre le linee nemiche. Lo Whippet numero 344 del 6o Battaglione Tank Corps, agli ordini del tenente C.B. Arnold, era partito all’ora zero l’8 agosto e, dopo avere oltrepassato la strada ferrata a Villers-Bretonneux, si era ritrovato lontano dalla sua unità. Senza cedere al panico, Arnold si recò in aiuto della fanteria australiana, sottoposta a un pesante fuoco d’artiglieria. Musical Box avanzò per 550 metri, aggirando la batteria tedesca, prima di ridurla al silenzio dal retro con le sue mitragliatrici. Per le successive nove ore, Arnold e i suoi fecero l’inferno nelle retrovie nemiche, disperdendo un battaglione di fanteria, sparando ai palloni da osservazione, interrompendo le linee di comunicazione, prima che i tedeschi riuscissero a riprendersi. Alle fine, il fuoco tedesco forò le taniche di benzina legate allo scafo dello Whippet, inondando l’interno di fumi e costringendo l’equipaggio a respirare attraverso le mascherine dei loro respiratori. Alle 15:30, Musical Box prese fuoco. Mentre gli uomini si lanciavano fuori, il pilota venne colpito e ucciso, il resto dell’equipaggio fu preso prigioniero. Arnold fu sottoposto a un duro interrogatorio e passò cinque giorni in isolamento, alimentato con una scodella di zuppa al giorno e nient’altro.

Lo Whippet nacque dalla proposta di William Tritton, nel 1916, di realizzare un carro armato veloce, manovrabile e soprattutto meno costoso. Il prototipo, il primo carro britannico con torretta girevole (presa da un’autoblindo Austin), partecipò ai collaudi di inizio marzo 1917. Il feldmaresciallo Haig ne ordinò subito 200, i primi due dei quali arrivarono sul Fronte occidentale il 14 dicembre 1917, con il Battaglione F del Tank Corps. Gli Whippet erano privi di molle, ciò che garantiva una durata dei cingoli di circa 30 chilometri, simile a quella del Mark IV, e il loro comparto di combattimento era una torretta poligonale fissa sul retro del veicolo. I due motori Tylor da 45 cavalli, uno per cingolo, erano del tipo usato negli autobus a due piani dell’epoca e collocati in un comparto anteriore. Progettati per sfruttare occasioni tattiche in seguito agli sfondamenti operati da carri pesanti, gli Whippet entrarono in azione per la prima volta nel marzo 1918, e si distinsero supportando le divisioni di fanteria, tartassate dalle offensive primaverili dei tedeschi. Alla fine della guerra, la 3a Brigata corazzata ne aveva messi in campo 48 per ciascuno dei suoi due battaglioni.

A SiniStrA: La chiave di Musical Box, che Arnold riuscì a salvare durante la prigionia, fu in seguito donata al Tank Museum. Sotto: Whippet procedono con la fanteria nelle avanzate di agosto. Quando non era in azione, lo Whippet veniva guidato con il portellone posteriore aperto, per tentare di dissipare il caldo infernale che si creava all’interno.

CAPITOLO // 8

TRA LE DUE GUERRE // TANK E TATTICHE DEI BRITANNICI IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE AVEVA PROMOSSO L’IDEA CHE LA TECNOLOGIA POTESSE ESSERE APPLICATA ALLA SOLUZIONE DI IMPELLENTI PROBLEMATICHE MILITARI. LA GUERRA AEREA AVEVA MESSO IN LUCE L’IMPORTANZA DELLA RICOGNIZIONE, CHE A SUA VOLTA ACCELERÒ LA REALIZZAZIONE DEI CACCIA E, IN SEGUITO, DEI BOMBARDIERI. Sul fronte di terra, però, la proposta del colonnello J.F.C. Fuller di dirigere forze meccanizzate contro i centri di comando, controllo e logistica del nemico penetrando in profondità con grandi avanzate, doveva ancora trovare un vasto ascolto. La dottrina di Fuller incontrò notevoli resistenze, per una serie di ragioni. La prima fu che, dopo la fine del conflitto, nel novembre 1918, c’era scarsità di fondi da dedicare allo sviluppo di nuovi armamenti e una comprensibile riluttanza a farlo, appena conclusa la «guerra che porrà fine a tutte le guerre». L’esercito britannico sciolse gran parte delle sue formazioni di carri armati e mantenne solo cinque battaglioni equipaggiati di Mark V e di carri medi Mark C, macchine romboidali progettate da William Rigby, con un equipaggio di quattro uomini e un armamento principale di cinque mitragliatrici 0.303. Fu effettuato un ordine iniziale di 6000 Mark C, ma venne cancellato al termine della guerra e solo 50 carri furono consegnati. Il Mark C partecipò alla Parata della Vittoria del 1919, ma la sola azione cui prese parte fu quella di sedare le rivolte dei lavoratori dei sindacati a Glasgow nello stesso anno. Dalla metà degli anni Venti, fu sostituito da Medium Mark I

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e Medium Mark II. Il ritmo e l’innovazione nel design dei carri armati, inevitabilmente, rallentò; il budget per lo sviluppo dei successori del Mark C venne sperperato nel carro medio Mark D e il governativo Tank Design Department (Dipartimento di Progettazione Carri Armati) fu drasticamente ridotto nel 1923, lasciando la messa a punto di questi veicoli in mano a privati. Ciò significava in pratica la Vickers-Armstrong, che nel 1920 aveva gareggiato con il Tank Design Department per la realizzazione di un nuovo carro leggero da fanteria, presentando un progetto a losanga che ricordava le tipologie della Prima guerra mondiale. Il progetto Vickers integrava un certo numero di migliorie, come le sospensioni a molla o la torretta totalmente girevole, ed era anche molto più piccolo e leggero del Mark C, ma la sua trasmissione avanzata era inaffidabile e il progetto venne abbandonato. La Vickers persistette e mise a punto il carro leggero Mark I, alcuni prototipi del quale parteciparono ai collaudi a Bovington nel 1923. Il carro, rinominato Medium Tank Mark I (carro medio Mark I) nel 1924, era alimentato da un motore aeronautico Armstrong Siddeley 90 cavalli. Una torretta cilindrica dal

Sotto: Sezione di un Vickers Medium in cui è visibile il motore, un Armstrong Siddeley V8. È stato il primo carro armato con torretta in servizio attivo per i britannici; benché realizzato in un numero di esemplari relativamente ridotto, si rivelò molto influente.

profilo smussato, in cima allo scafo, alloggiava un cannone da tre libbre (47 millimetri) a tiro rapido e quattro snodi a sfera per mitragliatrici Hotchkiss. Fondamentale innovazione fu la torretta da tre posti, perché il comandante del tank non era più gravato dall’incombenza di caricare il cannone. La sua maggiore libertà di dedicarsi ai compiti di valutazione e comando sarebbe stata un grosso vantaggio in combattimento: purtroppo tale beneficio non fu del tutto compreso e la caratteristica non venne più replicata fino all’introduzione del PzKpfw III, nel 1937. Il design dei Medium Mark I, tuttavia, presentava anche qualche difetto. Il layout interno, con i serbatoi della benzina nel comparto principale, ne aumentava la vulnerabilità. Malgrado i quattro snodi, poi, la torretta lasciava spazio solo per una mitragliatrice alla volta. Ce n’erano altre due all’interno dello scafo, ma il mitragliere addetto a usarle era anche il meccanico del carro armato. Le piastre da appena 6,25 millimetri potevano essere penetrate anche dal fuoco di una mitragliatrice leggera e presentavano numerose “shot-traps” per quello dei fucili anticarro: punti, cioè, in cui i proiettili rischiavano di rimbalzare in modo da colpire e danneggiare altre parti del carro. Negli anni tra le due guerre, il Medium Mark I divenne un’immagine familiare, usata quale emblema di un esercito britannico modernizzato, e restò in uso fino al 1938, accanto al suo successore più evoluto, il Mark II, nel Royal Tank Corps (istituito nel 1923). I fautori della «teoria corazzata» dovettero

aspettare fino agli anni Venti prima della messa a punto di carri di peso medio con velocità fuoristrada che si avvicinasse ai 32 chilometri orari, sospensioni e cingoli affidabili, oltre che un’autonomia di oltre 200 chilometri. Questi aggiunsero una nuova dimensione alla guerra meccanizzata e permisero di testare l’idea di penetrazione a lungo raggio di J.F.C. Fuller in una modalità che era relativamente libera dal ruolo di supporto della fanteria. Gli scettici, tuttavia, obiettarono che la corazza dei nuovi carri era inadeguata e non compensata a sufficienza dalla velocità. Nondimeno, fu data priorità alla loro produzione, perché poco costosi e utili per operazioni di polizia nei possedimenti coloniali. I carri pesanti, superiori alle 20 tonnellate, furono esclusi, semplicemente per ragioni di costi. Nei tardi anni Venti la Forza Meccanizzata Sperimentale (in seguito ribattezzata Forza Corazzata) aveva compiuto manovre meccanizzate, ma l’unità ebbe vita breve e fu sciolta entro la fine del decennio. Il pregiudizio contro qualunque parvenza di meccanizzazione su vasta scala dell’esercito britannico era profondamente radicato: molti, nell’establishment militare, concordavano appieno con Rudyard Kipling, che attribuì alle manovre meccanizzate del 1930 nella Piana di Salisbury «il puzzo di un’officina e l’aspetto di un circo», mentre, ancora nel 1936, Alfred Duff Cooper, Segretario di Stato per la guerra, avrebbe detto agli otto reggimenti di cavalleria che si apprestavano a meccanizzarsi: «È come chiedere a un grande interprete musicale di gettare il violino e dedicarsi, in futuro, al grammofono».

Sotto: Due carri medi Vickers Mark I (a destra nella foto) e un Mark II.

BASIL LIDDELL HART (1895-1970) Teorico influente e fautore della guerra corazzata, Basil Liddell Hart partecipò alla Prima guerra mondiale con la Fanteria Leggera Reale dello Yorkshire, assistendo all’azione a Ypres e sulla Somme nel luglio 1916. Tra il 16 e il 18 luglio risultò disperso nel Bosco di Mametz e ne uscì con un’intossicazione da fosgene. Rimase nell’esercito fino al 1924, quando divenne vice-corrispondente di guerra per il «Morning Post» (in seguito per il «Daily Telegraph»). All’epoca in cui si dimise, nel 1935, era il più influente commentatore di questioni militari in Gran Bretagna e convinto sostenitore della «teoria corazzata». Nel novembre 1920, durante una conferenza al Royal United Services Institute (RUSI), definì la sua «Strategia del torrente in espansione», un’anticipazione del Blitzkrieg, secondo cui un esercito doveva «mantenere la potenza dell’attacco per l’intera estensione del sistema difensivo nemico», che poteva «giungere anche a chilometri di profondità». Tra i suoi ispiratori c’era J.F.C. Fuller, con cui negli ultimi anni intrattenne un pungente rapporto di amore-odio. Liddell Hart ritornò sul tema nella sua opera del 1927 The Remaking of Modern Armies [La ricostruzione degli eserciti moderni], in cui sostenne: «Lo sviluppo di una potenza di fuoco meccanizzata ha annientato la forza d’urto della cavalleria contro un nemico adeguatamente equipaggiato, ma sulla terra ferma, il veicolo blindato a cingoli o il carro armato leggero sembrano gli eredi naturali del cavaliere mongolo, perché i “cingolati” sono essenzialmente cavalleria meccanica. A un’attenta riflessione appare chiaro che potremmo ritrovare la mobilità e l’efficacia offensiva dei mongoli, tornando alla semplicità di un esercito altamente mobile». Nei primi anni Venti, i suoi scritti furono assimilati da Heinz Guderian, che sarebbe divenuto il principale fautore del Blitzkrieg in Germania. Nella sua autobiografia, Erinnerungen eines Soldaten (1950) [Ricordi di un soldato, Baldini & Castoldi 1962], Guderian attribuì a Liddell Hart il merito di aver messo in luce l’importanza delle forze corazzate in attacchi a lungo raggio e in operazioni contro i sistemi di comunicazione del nemico; nonché di aver proposto un modello di divisione che combinasse unità di carri armati e fanteria corazzata. Liddell Hart, nella Prefazione all’edizione inglese dei Ricordi, intitolata Panzer Leader (1952), gli restituì il complimento definendolo il «fautore e realizzatore» di una nuova concezione dell’arte della guerra.

Ciò nonostante, nel 1931, fu costituita a titolo provvisorio una brigata di carri armati, che diede prova di efficaci modalità di manovra a massa, controllate via radio. Nel 1934 ricevette un assetto permanente e fino al 1938 fu l’unica unità meccanizzata dell’esercito britannico, che impiegò la maggior parte dei suoi carri. A deStrA: I carri armati ebbero il privilegio di aprire la Parata della Vittoria nel 1919. Colmo dell’ironia, però, i tank che sfilarono non erano mai stati usati in azione. Erano del nuovo tipo: il Medium Mark C.

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CAPITOLO // 9

LA GERMANIA SI RIARMA SI DICE CHE ADOLF HITLER, OSSERVANDO UN’ESERCITAZIONE CHE COINVOLGEVA CARRI MARK I A KUMMERSDORF, ABBIA ESCLAMATO: «ECCO QUEL CHE MI SERVE! QUELLI VOGLIO!». L’ANEDDOTO APOCRIFO RISPECCHIA ADEGUATAMENTE LE IMPRESE DEL FÜHRER DOPO L’ASCESA AL POTERE DEL 1933: IMPRESE CHE PORTÒ A TERMINE A COSTO DI ESACERBARE UNA PROFONDA FRATTURA NELL’ESERCITO TEDESCO. Questa frattura vedeva schierati i fautori della teoria corazzata da una parte, primo fra tutti Heinz Guderian, e i conservatori dall’altra, come il generale Ludwig Beck, capo di stato maggiore tedesco dal 1933 al 1938, che infine si dimise per protesta contro i piani di guerra di Hitler. Nel gennaio 1934, il Führer aveva segretamente ordinato che l’esercito triplicasse le proprie forze rispetto al limite di 100.000 unità stabilito dal Trattato di Versailles nel 1919: un incremento da attuare nel giro di nove mesi. Il primo anno di Hitler come cancelliere vide quasi quadruplicare il bilancio nazionale per la difesa e, nel marzo 1935, egli annunciò l’esistenza di un’aviazione tedesca: la Luftwaffe.

L’eredità di von Seeckt L’ambizioso programma di espansione militare di Hitler dovette molto alle basi poste dal generale Hans von Seeckt, dal 1919 al 1926 comandante in capo del Reichsheer, le Forze Armate Nazionali concesse alla Germania dal Trattato di

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Versailles. Dopo la grande epurazione postbellica di ufficiali, solo i migliori erano rimasti al loro posto. Von Seeckt pretese che ogni subalterno potesse comandare un battaglione, ogni ufficiale superiore una divisione: di conseguenza, il Reichsheer si delineò come una forza assai coesa, straordinariamente professionale ed efficiente. Impenetrabile e austero, Von Seeckt era soprannominato «la Sfinge». Fu creativo nell’aggirare le limitazioni di Versailles sul possesso tedesco di dotazioni pesanti, a causa della quale, fino al 1932, i soldati alle manovre usarono «carri armati» fasulli, montati su ruote di bicicletta. Dopo una lunga serie di trattative con gli Alleati, l’esercito tedesco fu autorizzato a costruire un piccolo veicolo blindato con torretta girevole che, sebbene privo di armamenti, era particolarmente utile per insegnare agli ufficiali le basi del conflitto corazzato. Seeckt caldeggiò inoltre la messa a punto di veicoli da ricognizione a otto o dieci ruote (Sonderkraftfahrzeug), per aggirare il divieto di adozione di cingolati.

A SiniStrA e SoprA: Prima della Seconda guerra mondiale, le Forze Armate tedesche imposero per i veicoli corazzati un motivo mimetico a due tonalità. I colori prescelti furono il Dunkelbraun n. 45 (marrone scuro) e il Dunkelgrau n. 46 (grigio scuro), tinte difficili da distinguere cromaticamente nelle immagini in bianco e nero.

Von Seeckt aveva combattuto sul Fronte orientale della Prima guerra mondiale e contribuito alla pianificazione dell’Offensiva di Gorlice-Tarnów nel 1915; aveva dunque familiarizzato con l’idea di una guerra di movimento, assai diversa dall’ossessione per la guerra statica che continuò a caratterizzare la mentalità dominante in seno all’Alto Comando francese tra le due guerre. Il suo Führung und Gefecht der verbundenen Waffen [Comando e combattimento con le armi combinate] del 1921 delineò la tattica fondamentale e le idee operative che avrebbero plasmato l’esercito tedesco nei primi tre anni della Seconda guerra mondiale. Malgrado le sue vedute politiche fortemente conservatrici, Seeckt non esitò a stringere un accordo segreto con l’Unione sovietica nel 1922, per l’addestramento di fanteria e aviazione tedesca in Russia. Nella primavera del 1927, dopo che il generale si era ormai dimesso, due carri armati sperimentali con cannone da 75 millimetri, costruiti in segreto in Germania (nome in codice: «Veicoli Militari n. 20»), furono inviati in Unione sovietica per sostenere i collaudi a Kazan. Li seguirono veicoli di minori dimensioni, uno dei quali era dotato solo di mitragliatrici: il precursore del Panzerkampfwagen I. Forse il lascito più importante di Seeckt fu quello di favorire una mentalità rivolta al futuro anziché mollemente adagiata sulle esperienze del periodo 1914-1918.

Egli immaginava la prossima guerra come una serie di operazioni altamente mobili di artiglieria, fanteria, veicoli corazzati e aviazione, uniti insieme per concentrare una potenza di fuoco superiore e sopraffare il nemico in punti strategici ben scelti: un’anticipazione del Blitzkrieg.

Il Panzerkampfwagen I (PzKpfw I) Nel 1933, il segreto che aveva circondato il riarmo della Germania si andava ormai dissipando, ma, poiché la messa a punto di una scuderia di veicoli corazzati avrebbe richiesto un certo numero di anni, si decise di costruire dapprima veicoli leggeri, che le nuove unità corazzate avrebbero potuto usare per acclimatarsi e a scopo di addestramento. La Krupp diede inizio alla produzione del Panzerkampfwagen I (PzKpfw I) nel 1934. Il Modello A, di cui si fabbricarono solo 300 esemplari, aveva un motore di potenza insufficiente e fu sostituito dal più lungo e potente Modello B, di cui si realizzarono 2000 veicoli. Il PzKpfw I era un piccolo carro biposto che, persino per i modesti standard dell’epoca, lasciava parecchio a desiderare. La corazza era sottile e le molte fessure e giunture la rendevano vulnerabile agli attacchi. Il motore a quattro cilindri M305 60 cavalli bastava a stento e il comfort dell’equipaggio era decisamente sacrificato. Le sospensioni erano state plagiate dai carri leggeri britannici Carden-Lloyd degli anni Venti.

SoprA: Il generale Hans von Seeckt. Sotto: Il Partito nazista sfruttò entusiasticamente il valore propagandistico del carro armato, qui esibito come simbolo di forza a un raduno a Kamenz, in Sassonia.

Quando lo scafo era chiuso, la visione del capocarro risultava fortemente limitata ed egli passava perciò la maggior parte del tempo in piedi, con la metà superiore del corpo esposta. Il brandeggio della torretta era eseguito a mano e il comandante aveva anche l’incarico di azionare le due mitragliatrici. Il PzKpfw I conobbe il servizio attivo con i Nazionalisti nella Guerra civile spagnola (1936-1939) e in quell’occasione alcuni esemplari furono dotati di un cannone da 20 millimetri, per migliorarne la potenza di fuoco. In seguito, il PzKpfw I rivide l’azione nel marzo 1938, quando la 2a Panzer Division prese parte all’Anschluss, l’annessione tedesca dell’Austria. L’operazione fu allestita come una dimostrazione politica più che un’azione militare, i carri decorati più che mimetizzati. Il loro incedere era spesso interrotto dai cittadini festanti che li coprivano di fiori e molti subirono guasti sulla via di Vienna. Il tenente Helmut Ridge, membro dell’equipaggio di un PzKpfw I durante l’Anschluss, avrebbe ricordato in seguito che «gran parte dei carri finiva spesso per fermarsi, tossendo e sputacchiando, mentre sferragliava lungo il percorso... Ciò significava scendere, aprire i portelli di accesso e cercare di rimetterlo in moto. Talvolta, cambiare una candela o azionare la pompa del carburante a mano – guadagnandoci ustioni, lividi, facce e dita nere – bastava a far ripartire la “bestia” con un rombo; altrimenti, veniva indecorosamente trasportata via da una squadra di recupero». L’Anschluss e il successivo smembramento della Cecoslovacchia, nel marzo 1939, furono denominati «guerre dei fiori» dalla Wehrmacht (che aveva sostituito il Reichsheer nel 1935). Prove più dure attendevano la Panzerwaffe, la forza corazzata della Germania, e, durante la Seconda guerra mondiale, il PzKpfw I e il suo successore, il PzKpfw II, avrebbero partecipato a campagne in Polonia, Norvegia, Francia, Paesi Bassi, nei Balcani e in Africa Settentrionale, oltre che all’invasione dell’Unione sovietica. Allo scoppio del conflitto, il principale fautore della teoria corazzata era Heinz Guderian, l’uomo che aveva guidato i carri tedeschi durante l’Anschluss, e tutta una nuova famiglia di veicoli blindati tedeschi si stava evolvendo.

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PZKPFW II AUSF F SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 3 PESO: 9,35 t CORAZZATURA: 30 mm ARMAMENTO: 1 cannone KwK 30 o 38 da 2 cm, 1 mitragliatrice MG 34 da 7,92 mm, coassiale con l’armamento principale

in Alto: La produzione di PzKpfw I e II servì all’industria tedesca per farsi le ossa nella realizzazione di carri armati, quanto all’esercito per addestrare le forze al loro uso. Qui, carri PzKpfw I durante un’esercitazione di addestramento. A fronte: Carri armati attraversano un fiume nel 1939. Di lì a un anno le tattiche apprese in addestramento saranno impiegate per varcare la Mosa a Sedan.

VELOCITÀ: 40 km/h MOTORE: Maybach HL62 140 hp, benzina Il PzKpfw II fu ordinato nel luglio 1934 come soluzione provvisoria nello sviluppo del PzKpfw III e fu progettato dalla Maschinenfabrik Augsburg-Nürnberg (MAN), con un layout simile a quello del PzKpfw I. Le prime tre varianti del PzKpfw II – i modelli A, B e C – erano assai simili, ma l’Ausf B aveva un motore più potente, marce e cingoli nuovi ed era più pesante dell’Ausf A. L’Ausf C, apparsa nel 1937, aveva una corazza più spessa, che ne accresceva ulteriormente il peso. Nel 1939, furono dispiegati 1226 PzKpfw II nella campagna di Polonia (insieme a 1445 PzKpfw I). Le varianti più veloci, Ausf D ed E, potevano raggiungere i 55 chilometri orari, ma le loro prestazioni fuoristrada erano deludenti. Il cannone da 20 millimetri del PzKpfw II aveva una portata massima di 600 metri e sparava solo munizioni perforanti. La variante finale, l’Ausf F del 1940, vantava una corazza più spessa e una velocità superiore, pur mantenendo il cannone da 20 millimetri; il peso aggiuntivo, però, rappresentava uno sforzo supplementare per il motore. Il PzKpfw II era la spina dorsale della Panzerwaffe nel 1939. La produzione continuò fino ai primi del 1944: a quella data si erano realizzati circa 2000 PzKpfw II e loro varianti. Il telaio di questo carro armato fu la base di una serie di veicoli speciali: una versione anfibia (Schwimmpanzer II) fu predisposta per l’Operazione Seelöwe (Leone Marino), l’abortita invasione dell’Inghilterra attraverso la Manica; un veicolo da ricognizione, il Luchs (Lince), entrò in servizio nel 1943. A queste si aggiunsero una conversione a lanciafiamme detta Flammpanzer II, l’obice semovente da 105 mm Wespe (Vespa) e il cacciacarri Marder (Martora).

pAgine precedenti: Due pagine da un album di figurine tedesco del 1936, sponsorizzato da una marca di sigarette. I fumatori potevano collezionare le immagini a colori dell’esercito tedesco e incollarle nell’album. Raccolte simili erano in voga in molti paesi europei dell’epoca, dedicate a personaggi sportivi, star del cinema, animali selvaggi o mezzi di trasporto.

CAPITOLO // 10

GUDERIAN ALL’INDOMANI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE, I TEORICI DELLE FORZE ARMATE SI CONFRONTARONO CON LA NASCENTE TEORIA DELLA GUERRA MECCANIZZATA. L’ESIGENZA ERA EVITARE LA STASI DELLA GUERRA DI TRINCEA E RIPORTARE MOVIMENTO E MANOVRE SUL CAMPO DI BATTAGLIA.

I progressi all’inizio furono lenti, in parte per la scarsa affidabilità meccanica dei veicoli corazzati degli anni Venti, ma anche a causa della predilezione dura a morire dell’establishment militare per la cavalleria tradizionale. Un nuovo approccio alla guerra meccanizzata si sviluppò in Germania dopo che Hitler respinse il Trattato di Versailles e adottò una politica di riarmo, prima segreta, poi annunciata al mondo nel marzo 1935. La dottrina, in genere denominata Blitzkrieg («guerra lampo»), aveva numerosi sostenitori, ma l’uomo che più si associa alla sua attuazione è il colonnello (poi generale) Heinz Guderian, specialista di segnalazione e trasporti motorizzati, che aveva combattuto a Verdun nel 1916 e aveva visto con i propri occhi l’assurda carneficina prodotta dalla guerra statica moderna. Il suo entusiasmo per i carri armati si accese nel 1922, quando rivestì un incarico all’Inspektion der Krafttruppen (Ispettorato delle truppe motorizzate). Dal 1928 insegnò tattica dei mezzi corazzati a classi composte da ufficiali di ogni arma, riuniti insieme al Kraftfahr-Lehrstab (Corpo di Istruzione dei Trasporti Motorizzati), a Berlino. Nei tardi anni Venti, perfezionò le sue idee sull’impiego dei corazzati, respingendo la dottrina francese secondo cui dovevano essere di semplice supporto alla fanteria e sostenendo che avrebbero dovuto invece costituire un’arma a sé, operando in modo indipendente e assumendo il ruolo decisivo svolto dalla cavalleria nei secoli precedenti. La sua dedizione alla teoria corazzata trovò espressione eloquente nel libro del 1937 Achtung Panzer! [AchtungPanzer! Lo sviluppo delle forze corazzate, le loro tattiche ed il loro potenziale operativo, trad. dall’inglese di Paolo Cappetti, Hobby & Work 1996], che sostenne l’importanza dell’«approccio indiretto». Questo evitava l’attacco frontale del nemico e la sua distruzione con la mera potenza di fuoco, per concentrarsi invece sul rapido smantellamento dei suoi sistemi di comando e controllo. Il punto focale sul campo di battaglia, lo Schwerpunkt, si doveva sfondare con l’intervento di unità corazzate, rapide e indipendenti, coordinate via radio. Queste avrebbero penetrato le difese nemiche, giungendo in profondità nelle retrovie, poi, con l’aiuto della fanteria e dell’artiglieria di supporto, avrebbero racchiuso i superstiti in sacche isolate. L’uso di bombardieri avrebbe accelerato il processo. Nel 1930, Guderian divenne comandante della 3a Kraftfahr Abteilung, battaglione motorizzato con carri armati finti

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e mitragliatrici anticarro, nelle vicinanze di Berlino. Attribuì grande importanza alla comunicazione via radio tra un carro e l’altro, che era guardata invece con sospetto dai suoi superiori. Informato che Guderian voleva «comandare via radio dalla prima linea», il generale Ludwig Beck esclamò: «Scempiaggini! Un comandante di divisione se ne sta dietro con le carte e un telefono. Il resto è utopia». Nell’ottobre 1931, Guderian fu nominato Capo di stato maggiore dell’Ispettorato delle truppe motorizzate, agli ordini del generale Oswald Lutz, suo acceso sostenitore. Nel giugno 1934, seguì Lutz nelle nuove KraftfahrKampftruppen (Truppe motorizzate d’assalto), che effettuarono le prime manovre nel luglio 1935. Quell’autunno, sulla scia dell’annuncio del riarmo tedesco, si istituirono tre divisioni corazzate, a Weimar, Würzburg e Berlino.

SoPra: Il generale Guderian, Hitler e il feldmaresciallo Keitel, Capo di stato maggiore della Difesa tedesca, nel 1943.

Benché Guderian fosse solo un colonnello, gli venne affidato il comando della formazione di Würzburg, un’occupazione che, nei successivi due anni, lo tenne opportunamente lontano dal dibattito politico sull’uso del mezzo corazzato. La rapida ascesa di questo paladino della modernità non aveva riscosso l’approvazione generale, come egli stesso avrebbe ammesso nella sua autobiografia postbellica, Ricordi di un soldato: Quando si trattava di costituire una forza d’aviazione operativa indipendente o di allestire la neonata forza corazzata nell’esercito, lo Stato maggiore generale si dimostrava avverso a queste innovazioni. L’importanza di tali progressi tecnici, per l’influsso che avevano sulle operazioni delle Forze Armate combinate, era insufficientemente studiata e apprezzata, perché si temeva che avrebbero ridotto, da un lato l’importanza dell’esercito nel suo complesso, dall’altro il prestigio delle armi più antiche del servizio. Verso la metà degli anni Trenta, le obiezioni dei conservatori potevano anche apparire ragionevoli. Se i progressi tecnici avevano perfezionato le armi offensive, avevano anche migliorato i sistemi di difesa, rendendoli in grado di resistere agli attacchi con forze relativamente limitate. Inoltre, era chiaro che la Germania non possedeva le risorse per finanziare la creazione di un grande esercito di leva e l’applicazione della teoria corazzata al tempo stesso. Una Panzer Division da mantenere ed equipaggiare costava circa 15 volte più di una divisione di fanteria. Prima del 1939, ben poco suggeriva l’opportunità di una spesa tanto elevata. Nell’autunno del 1938, Guderian fu nominato Capo e Ispettore Generale delle Forze Mobili, che comprendevano truppe moto-corazzate: in parte una manovra di alti ufficiali ai vertici del Reichswehr, i generali von Brauchitsch e Beck, per tenerlo occupato in una posizione marginale. Durante l’occupazione dell’Austria (marzo 1938) e della Cecoslovacchia (marzo 1939), comandò le colonne corazzate e, quando scoppiò la guerra, nel settembre 1939, guidò il XIX Corpo Corazzato nell’invasione della Polonia. Le tensioni irrisolte tra i tradizionalisti (fanteria e artiglieria) e i modernisti nell’esercito tedesco fecero sì che, alla vigilia del conflitto, solo una su 20 delle sue divisioni fosse corazzata e con veicoli al 90 per cento obsoleti (PzKpfw I e II). I due principali carri da combattimento, PzKpfw III e IV, avevano un armamento insufficiente ed erano in numero troppo esiguo: solo 309 dei 3195 totali. La forza meccanizzata della Germania, come il suo omologo francese, era ancora subordinata alla strategia tradizionale della manovra decisiva in mano a un esercito di massa e i sostenitori dell’approccio indiretto, se ne accorgessero o meno, erano usciti sconfitti dalla discussione.

a deStra: Fino agli anni Trenta, Guderian dovette battagliare con l’ala conservatrice dell’esercito tedesco, che vedeva i carri armati solo come supporto alla fanteria.

Qui la sua pubblicazione dal titolo Die Panzertruppen und ihr Zusammenwirken mit den anderen Waffen [Le truppe corazzate e la loro cooperazione con le altre armi].

ACHTUNG PANZER! Il pionieristico libro di Guderian si apre con un’acuta analisi delle operazioni corazzate degli Alleati nella Prima guerra mondiale, criticando i falliti tentativi britannici e francesi di attaccare a profondità sufficienti e di schierare forti riserve mobili in grado di sfruttare i successi ottenuti. Gli Alleati riuscivano a penetrare oltre le linee nemiche, ma mai a sfondare completamente il fronte. Inoltre, i tank erano rallentati dal passo lento della fanteria e dell’artiglieria trainata da cavalli. La soluzione di Guderian era una divisione corazzata del tutto meccanizzata, che s’imperniasse su un carro medio, rapido e fortemente armato, di «sfondamento», non sui pesanti carri di supporto alla fanteria preferiti dai francesi. I comandanti di tali mezzi sarebbero stati «addestrati a

combattere in vaste formazioni, fornendo la massima concentrazione di fuoco. Dietro, a breve distanza, sarebbe venuta una fanteria completamente motorizzata, il cui ruolo sarebbe stato di far piazza pulita delle resistenze residue, sfruttare la breccia e proteggere da un contrattacco delle forze corazzate nemiche i fianchi vulnerabili del saliente creato dai panzer». Secondo Guderian i carri armati del nemico rappresentavano la minaccia principale. Era perciò essenziale una forza aerea tattica che collaborasse strettamente con i corazzati. Egli concludeva: «Riassumiamo perciò i requisiti di un attacco corazzato decisivo in questi termini: terreno adatto, elemento sorpresa e dispiegamento di massa dell’ampiezza e profondità necessaria».

CAPITOLO // 11

CORAZZATI SOVIETICI // 1930-1942 NEGLI ANNI TRENTA, L’UNIONE SOVIETICA FU LEADER NELLA REALIZZAZIONE DI VASTE FORMAZIONI CORAZZATE E VIDE LA CREAZIONE DI NUMEROSI CORPI MECCANIZZATI. QUESTI DOVETTERO MOLTO AL RADICALISMO STRATEGICO DEL MARESCIALLO MICHAIL NIKOLAEVICˇ TUCHACˇEVSKIJ, IL CAPO DI STATO MAGGIORE DI STALIN, EX UFFICIALE ZARISTA CHE ERA DIVENUTO UNO DEI PIÙ ABILI COMANDANTI BOLSCEVICHI DURANTE LA GUERRA CIVILE RUSSA. Tuchačevskij era stato grandemente influenzato dagli scritti di Fuller e di Liddell Hart e fu la forza trainante della creazione dei corpi meccanizzati sovietici, perfetta attuazione della sua teoria delle «operazioni di profondità», in cui carri pesanti di supporto alla fanteria e carri cavalleria veloci si sarebbero dedicati a fendere le difese frontali del nemico per penetrare fino alle retrovie. Come i fautori tedeschi della guerra corazzata – soprattutto Guderian – Tuchačevskij incontrò una feroce resistenza da parte dell’establishment militare sovietico, ma le sue tesi trovarono vasto ascolto in seno all’Armata rossa e furono integrate nei Regolamenti di combattimento provvisori del 1936. Egli non sopravvisse alle epurazioni staliniane dell’esercito e venne fucilato insieme ad altri sette generali l’11 giugno 1937. Nell’autunno 1938, erano ormai passati per il plotone di esecuzione anche tre dei cinque marescialli dell’Armata rossa, 13 dei 15 comandanti dell’esercito e 186 dei suoi 406 generali di brigata. Ne seguì un consolidamento del potere di reazionari come il maresciallo Kliment Vorošilov, antico sodale di Stalin e Commissario del Popolo per la Difesa, che mise la retromarcia alle riforme di Tuchačevskij. Fraintese le lezioni della Guerra civile spagnola e della scarsa performance dell’Armata rossa nella Campagna finlandese del 1939-1940, i corpi meccanizzati furono sciolti.

Khalkhin Gol A una diversa conclusione sull’uso del mezzo corazzato giunse invece, nel 1939, il generale Georgij Žukov. Era stato al comando del Primo gruppo sovietico-mongolo, durante il brutale scontro tra l’Unione sovietica e l’Armata del Kwantung giapponese, nel 1939, al confine tra la Mongolia e lo stato fantoccio nipponico del Manciukuò. I tentativi giapponesi di estendere le frontiere oltrepassando il fiume Nomonhan erano passati dall’incursione su scala ridotta a una vera e propria battaglia – Khalkhin Gol – in cui i carri 500 BT-5 e BT-7 di Žukov circondarono la 6a Armata giapponese, irrompendo nelle sue retrovie, a dimostrazione dell’efficacia delle tattiche di penetrazione profonda di Tuchačevskij e anticipando i trionfi del Blitzkrieg tedesco nel 1940. Di conseguenza, lo Stavka, l’Alto Comando sovietico, cambiò politica e ordinò con urgenza la ricostituzione delle divisioni corazzate dell’Armata rossa. Il lancio, però, dell’Operazione Barbarossa, l’invasione dell’Unione sovietica da parte

dell’Asse, il 22 giugno 1941, colse l’Armata rossa nel bel mezzo di quella frettolosa riorganizzazione. Entro la fine del 1941, tutte le grandi unità corazzate sovietiche erano state distrutte o smantellate e sostituite da brigate, reggimenti e battaglioni di minore entità, usati in ruolo di supporto alla fanteria. Così, nelle battaglie intorno a Mosca che seguirono alla controffensiva sovietica del dicembre 1941, l’Armata rossa non fu in grado di circondare i vasti raggruppamenti tedeschi, perché le mancavano le necessarie unità di carri armati. Lo Stavka concluse che c’erano scarse possibilità di conseguire il successo operativo senza aggiungere carri, corpi meccanizzati e armate di corazzati di più vaste dimensioni.

SoPra: La Parata del primo maggio sulla Piazza Rossa, nel 1940. A quell’epoca il patto tra Hitler e Stalin era ancora saldo e l’Unione sovietica forniva materie prime all’industria bellica del Führer.

La lunga via del ritorno Nuove formazioni apparvero nell’estate del 1942, solo per essere schiacciate nel corso di feroci battaglie sul Caucaso e nel corridoio del Donec. Il comando degli ufficiali di fanteria, poco avvezzi al mezzo corazzato, la rigidità tattica e i migliori riflessi dei tedeschi sul campo di battaglia misero ancora una volta in forse il futuro dell’arma corazzata sovietica, ma ormai il numero di comandanti abili ed esperti a disposizione era sufficiente a convincere il maresciallo Fedorenko, Capo del Direttorato centrale delle forze meccanizzate ed esitante convertito a quel nuovo modo di far guerra, che indietro non si poteva tornare. Soprattutto, poi, l’Armata rossa aveva una nuova arma: il T-34/76.

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a fronte: Il carro BT-7 era una versione perfezionata del precedente BT-5, con motore più potente, struttura interamente saldata e corazza anteriore più spessa.

SoPra: Per il movimento in acqua, il T40A veniva dotato di casse di galleggiamento interne nella parte posteriore del veicolo anfibio.

a deStra: La velocità relativamente elevata del BT7 compensava in parte la corazzatura sottile.

IL GENERALE PAVEL ROTMISTROV 1901-1982 Rotmistrov era un appassionato sostenitore degli eserciti corazzati, un tattico e un comandante operativo straordinario. Nella primavera del 1942, lo Stavka aveva attivato 12 corpi e due armate corazzate e in aprile Rotmistrov divenne il comandante del VII Corpo corazzato (dal luglio parte della 5a Armata Corazzata). Nelle battaglie attorno a Voronež, Stalingrado e Rostov, cominciò a formulare un metodo operativo fondato su un alto grado di agilità e su una manovra attiva, diretta, potente. All’epoca, tuttavia, la 5a Armata rimaneva ancora solo un’armata di fanteria dalla forte componente corazzata, con una brigata indipendente di carri. Quest’ultima, pur avendo in teoria un complemento più nutrito, schierava in pratica non più di 50 carri, in due battaglioni di circa 23 elementi ciascuno: numeri tatticamente più adatti, nelle fasi iniziali della guerra, a comandanti che stavano imparando le basi della guerra corazzata nel pieno di una campagna e che avevano bisogno di unità snelle, per infilarsi rapidamente nelle falle della difesa non appena si presentavano. Rotmistrov era convinto che il mix di carri armati e fanteria fosse una soluzione sbagliata e che il futuro prevedesse armate interamente composte di carri. La sua genialità gli consentiva quello che, in altre circostanze, sarebbe sembrato un fatale individualismo. All’inizio del 1943, Stalin fu persuaso ad autorizzare la creazione di cinque armate corazzate vere e proprie e Rotmistrov ebbe il comando della 5a, che avrebbe svolto un ruolo determinante nella Battaglia di Kursk.

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CAPITOLO // 12

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA NELL’AUTUNNO DEL 1939, LA GERMANIA ERA SULL’ORLO DI UNA GUERRA MONDIALE, IN CUI LE SUE FORZE CORAZZATE AVREBBERO INIZIALMENTE PREVALSO SULLE RIVALI EUROPEE. IL PRINCIPALE VANTAGGIO TEDESCO ERA UN NOCCIOLO DURO DI OTTIMI UFFICIALI CONVINTAMENTE FAVOREVOLI ALLA TEORIA CORAZZATA. UNO DI ESSI ERA IL GENERALE RITTER VON THOMA.

Da colonnello, von Thoma aveva guidato la componente di terra della Legione Condor tedesca, che, durante la Guerra civile spagnola (1936-1939), combatté per i Nazionalisti del generale Franco contro i Repubblicani appoggiati dall’Unione sovietica. La principale arma corazzata della Legione Condor era il PzKpfw I, che era stato ordinato come veicolo leggero da addestramento nel 1933. Il primo prototipo era stato consegnato nel 1934 e la produzione era cominciata nel luglio dello stesso anno. Lo scafo dalla corazzatura leggera rendeva il PzKpfw I altamente vulnerabile agli attacchi dei T-26 sovietici schierati dai

Repubblicani, che erano armati di un cannone da 45 millimetri. Il primo lotto di carri tedeschi arrivò in Spagna nel settembre 1936. Von Thoma ricorda:

Diluendo gradualmente il personale tedesco, riuscii ben presto ad addestrare un vasto numero di equipaggi spagnoli. Li trovai rapidi a imparare… ma anche a dimenticare. Nel 1938 avevo ormai quattro battaglioni corazzati al mio comando, di tre compagnie ciascuno, con 15 carri armati per compagnia. Quattro delle compagnie erano equipaggiate con carri russi (catturati). Avevo anche 30 compagnie anticarro.

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SoPra: Carri PzKfz I attendono di entrare in azione. Gli equipaggi tedeschi trassero qualche valido insegnamento dagli eventi spagnoli, ma gran parte dei combattimenti fu in realtà sostenuta da equipaggi autoctoni.

FIASCO A FUENTES DE EBRO Nell’ottobre 1937, l’esercito repubblicano lanciò un’offensiva alla città di Saragozza, guidata dal Reggimento corazzato internazionale, l’ultima unità corazzata sovietica inviata in Spagna. Due ore prima dell’attacco, il reggimento fu informato che avrebbe dovuto trasportare elementi della fanteria sui suoi veicoli. La decisione fu avversata da consiglieri e ufficiali, secondo cui avrebbe esposto la fanteria a un inutile rischio. L’attacco avvenne poco dopo mezzogiorno, il 13 ottobre. I 48 carri BT della Brigata corazzata internazionale spararono una salva, quindi partirono «come un treno espresso», con la fanteria aggrappata ai fianchi. Molti uomini caddero, finendo schiacciati dai carri che venivano dietro. Mentre i tank oltrepassavano le linee franchiste, si attirarono il fuoco amico, prima di superare un’erta pendenza verso la pianura sottostante. Lì si impantanarono in un labirinto di fossati e canneti, ritrovandosi sotto il fuoco dei Nazionalisti e dei loro cannoni anticarro. Finite le munizioni e privi del supporto della fanteria, furono costretti a ritirarsi. Venne ordinato loro di tornare a estrarre i veicoli incagliati: compito che rivelò un alto numero di caduti e la perdita di svariati veicoli.

Circa 400 carristi tedeschi fecero esperienza di combattimento in Spagna, impiegando fino a 200 uomini alla volta.

L’intervento di Stalin I carri sovietici catturati che von Thoma usò in Spagna (e per ciascuno dei quali pagò un compenso di 500 pesetas) erano T-26 leggeri da 9 tonnellate, forniti dall’Unione sovietica ai Repubblicani spagnoli. Prima dello scoppio della guerra, le forze corazzate del governo repubblicano erano costituite da appena due reggimenti, per lo più provvisti di carri armati Renault della Prima guerra mondiale. La prima spedizione di carri sovietici arrivò nell’ottobre 1936 e dei 331 inviati in totale ai Repubblicani nel corso dell’intero conflitto, 281 furono T-26, il modello sovietico più largamente prodotto degli anni Trenta. Gli altri erano dei Bistro-Khodny («carro veloce») o BT: carri da 11 tonnellate derivati da un progetto americano di J. Walter Christie, ma con torretta e cannone di costruzione sovietica, concepiti per manovre di profondità. Scrivendo sul «Times» dell’8 aprile 1937, J.F.C. Fuller osservò: I tre tipi di carri che ho osservato in Spagna – italiano [tankette CV3], tedesco e russo – non sono il frutto di uno studio tattico, ma di una mera produzione in serie a basso costo.

SOPRA: Questo elmetto degli equipaggi corazzati spagnoli datato 1935 era stato copiato da una versione italiana e fu utilizzato dai carristi di Franco. Il fregio riporta l’aquila franchista e la croce.

Timidezza tattica Durante la Guerra civile spagnola, entrambe le parti mantennero un atteggiamento conservatore riguardo all’uso del mezzo corazzato. Von Thoma confessò che «il generale Franco voleva suddividere i carri tra la fanteria, al modo classico dei generali della vecchia scuola. Dovetti costantemente combattere quella tendenza, tentando di usarli invece in un assetto concentrato».

A SINISTRA: Ritter von Thoma guidò la forza corazzata tedesca in Spagna, ma ebbe di rado l’occasione di sfruttarne appieno il potenziale. I corazzati erano suddivisi in piccole formazioni, usate per lo più a supporto della fanteria su entrambi i fronti.

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A FRONTE: Un manifesto propagandistico della Guerra civile spagnola con un carro armato stilizzato che si appresta a «schiacciare il fascismo». SOTTO: Un carro leggero T-26 di fabbricazione sovietica, catturato ed esposto dai Nazionalisti. Era di gran lunga il migliore in uso durante la Guerra civile, ma aveva un’autonomia di appena 150 ore, prima di dover fare rifornimento, e 800 chilometri da percorrere prima che si usurassero i cingoli.

Anche il comandante della componente corazzata repubblicana, il generale Dmitri Pavlov, era riluttante a usare i carri in operazioni indipendenti. Li vedeva come supporto alla fanteria, ma le comunicazioni radio inesistenti tra corazzati, fanteria e artiglieria del versante repubblicano minavano ogni possibilità di un’efficace collaborazione. Inoltre, le brigate corazzate di Pavlov erano riluttanti ad associarsi ad altre armi, che spesso lanciavano attacchi lungo assi del tutto prevedibili. Per di più, le unità di fanteria repubblicana non erano addestrate a compiere azioni con i carri ed erano fiaccate dal morale basso. Molte, semplicemente, rifiutavano di accompagnare i carri in azione. La Guerra civile spagnola vide numerose schermaglie, ma nessuna battaglia campale tra carri. Dalla metà dell’ottobre 1937 il numero di equipaggi corazzati sovietici si ridusse, anche se parte del personale rimase con mansioni di

consulenza. L’ultima operazione importante cui presero parte gli equipaggi sovietici fu l’aspra battaglia di Teruel, dal 15 dicembre al 22 febbraio 1938. I 104 carri schierati, il meglio della forza corazzata sovietica in Spagna, non furono usati in massa: singoli battaglioni vennero deputati a sostenere attacchi diversi, sferrati col maltempo e su un territorio montuoso. Carri ed equipaggi si guadagnarono le lodi della fanteria cui prestarono supporto e le perdite furono relativamente modeste: 24 tank, di cui sette catturati. Altri 63 richiesero una riparazione sul campo o una ricostruzione in fabbrica. Il generale Pavlov, al ritorno dalla Spagna, fu posto a capo del Direttorato delle forze corazzate e motorizzate dell’Armata rossa. Questa, dietro suo consiglio, scisse le vaste unità corazzate e le ridistribuì all’interno della fanteria: una decisione che avrebbe avuto funeste conseguenze nell’estate del 1941.

CAPITOLO // 13

LA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE NEGLI ANNI TRENTA, LA MINACCIA DI UNA GUERRA FU L’ELEMENTO TRAINANTE DELLA POLITICA ESTERA DI HITLER, CHE SEPPE MAGISTRALMENTE GIOCARE SUL DESIDERIO DI PACE DI BRITANNICI E FRANCESI, SUL TIMORE DEI LORO GOVERNI DI DAR VITA A UNA NUOVA CARNEFICINA, ANCHE PIÙ TREMENDA DI QUELLA DEL 1914-1918, E SULLA LORO ESTREMA RILUTTANZA A STRINGERE ALLEANZE CON L’UNIONE SOVIETICA.

La rimilitarizzazione tedesca della Renania, voluta da Hitler nel marzo 1936, suscitò in Francia un ripensamento delle priorità difensive e quel settembre vide il lancio di un programma di meccanizzazione e la creazione di tre Divisions Légères Méchaniques (DLM, Divisioni leggere meccanizzate) e due Divisions Cuirassées (DCR, Divisioni corazzate). I progressi, comunque, procedevano a passo di lumaca. Nonostante questo, furono introdotti nuovi carri armati. Nel 1936 entrò in servizio il carro pesante Char B1, come pure il medio, vigoroso Somua S-35. Le lotte politiche interne, però, e l’instabilità in ambito industriale, minarono fatalmente il programma di meccanizzazione. Nel 1936 erano stati prodotti 120 carri al mese, ma già l’anno seguente la cifra si era ridotta a un misero 19. Il budget francese per gli armamenti fu quadruplicato, ma fu anche in buona parte sperperato.

Gli avvertimenti ignorati All’inizio del 1935, l’agenzia di intelligence francese, il Deuxième Bureau, aveva segnalato l’apparizione della prima Panzer Division tedesca e le sue previste finalità, suscitando, però, scarsa attenzione. Come molti dei loro colleghi britannici, gli alti ufficiali francesi della cavalleria restavano aggrappati all’idea che «la benzina è sporca, lo sterco no». Difficilmente, per loro, carri armati e aerei avrebbero riscritto le regole del guerreggiare. Non mancò qualche autorevole voce fuori dal coro, tra cui il politico Paul Reynaud e il maggiore Charles de Gaulle. Già nel 1924, Reynaud aveva sollecitato la costituzione di un’armata offensiva mobile e, in seguito, trovò un alleato in de Gaulle, che, in una serie di articoli, sostenne la creazione di due divisioni corazzate. Nel 1934, quest’utimo pubblicò un libro, Vers L’Armée de Métier [Verso l’esercito di mestiere], elaborando le proprie idee, e fu perciò eliminato dalla lista delle promozioni del 1936.

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SoPra: L’emblema del 4ème Cuirassiers, 1ère DLM, che adottò un distintivo con l’effigie di Giovanna d’Arco.

SOPPRA E A DES DESTRA: Pagine dal manuale del Somua S-35. Questa edizione di 78 pagine fu pubblicata nel 1938 e mostra immagini del veicolo e dei suoi principali sistemi. IN ALTO A DES DESTRA: Il riarmo francese, dopo la rimilitarizzazione tedesca della Renania, portò alla creazione di tre Divisioni leggere meccanizzate (DLM), costituite da reggimenti della cavalleria. Il Somua S-35 era un carro progettato appunto a uso della cavalleria e fu il primo con torretta e scafo realizzati per fusione. Questo in particolare apparteneva al 18ème Régiment de Dragons.

A FRONTE, IN ALTO: Il Char 2C fu progettato durante la Prima guerra mondiale. Di questi mostri da 70 tonnellate furono costruiti solo dieci esemplari: nel 1940 erano ormai obsoleti, ma ancora in uso per motivi di propaganda.

CARRO PESANTE CHAR B1 SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 4 PESO: 32 t CORAZZATURA: 60 mm ARMAMENTO: 1 obice da 75 mm, 1 cannone da 47 mm, 2 mitragliatrici VELOCITÀ MASSIMA: 28 km/h MOTORE: Renault, 6 cilindri

Benché Verso l’esercito di mestiere mancasse dell’incisività analitica dell’Achtung-Panzer! di Guderian, de Gaulle vi esprimeva un giusto disprezzo per la mentalità militare passiva che trovava la sua più insulsa espressione nella Linea Maginot: un complesso di posizioni difensive in acciaio e cemento lungo la frontiera orientale francese che era l’incarnazione del disfattismo. Egli riteneva che mobilità e manovra fossero la chiave di un difesa efficace e invocava la formazione di un esercito interamente professionale, imperniato su sei divisioni corazzate con il supporto dell’aviazione.

Buoni da rottamare Il messaggio di de Gaulle fu cordialmente ignorato. Peggio, la lezione della Guerra civile spagnola fu totalmente fraintesa in Francia. La scarsa performance dei carri armati sul campo, una combinazione di tecnologia inadeguata e ottusità militare, servì solo a confermare la diffidenza generale nei confronti del mezzo corazzato. Parlando con il Capo di stato maggiore generale imperiale britannico, sir Cyril Deverell, nel 1936, il generale Maurice Gamelin, suo omologo francese, liquidò i corazzati tedeschi usati in Spagna come un «ammasso di rottami».

Le origini del Char B1 risalgono alla competizione del 1921, lanciata dalla Section Technique des Chars de Combat sotto la direzione del generale Estienne, per il progetto di un carro da 15 tonnellate con cannone da 47 o 75 millimetri montato a scafo. Ne risultò il Char B, che di tonnellate ne pesava 32 ed era armato di obice da 75 millimetri, due mitragliatrici fisse sul davanti dello scafo e due installate in torretta. Solo 35 di quei carri furono realizzati prima dell’introduzione di un modello più avanzato: il Char B1 bis. Di questo furono costruiti 365 esemplari. Il B1 bis aveva lo svantaggio della torretta monoposto, con il capocarro che, in torretta, doveva fungere da cannoniere e servente, oltre a dirigere i

membri dell’equipaggio ed eventualmente comandare un plotone o squadrone di altri carri. Il pilota doveva passare le munizioni al cannoniere, nonché puntare e azionare l’obice da 75 millimetri. Questo sparava solo in avanti e per il puntamento verticale doveva essere elevato dal pilota tramite un volante. L’operatore radio e il servente, al centro del carro, non avevano alcuna visuale esterna. Poiché il B1 era concepito come arma di supporto alla fanteria, aveva un’autonomia su strada limitata di 140 chilometri in marcia alta e si affidava ad autocisterne munite di tubi per il rifornimento. Si dimostrò un fiero avversario per i mezzi corazzati tedeschi sottoarmati, e spesso fu in grado di resistere al fuoco nemico.

Nel 1937, la nuova Instruction sur l’emploi tactique des Grandes Unités [Istruzioni sull’impiego tattico delle grandi unità] dell’esercito francese affermava: «…Il progresso tecnico non ha modificato apprezzabilmente, quanto alla sfera tattica, le regole essenziali tracciate dai suoi predecessori». Alla fanteria andava «il compito principale, in battaglia. Protetta e accompagnata dai suoi cannoni e da quelli dell’artiglieria, occasionalmente preceduta da carri armati, aviazione eccetera, conquista il terreno, lo organizza e lo mantiene». Queste priorità soffocarono gli sporadici tentativi dell’esercito francese di innestare aspetti della teoria corazzata sulla propria sovrastruttura, fondata su fanteria e artiglieria. Era troppo poco, troppo tardi. Nel maggio 1940, circa 800 carri armati francesi furono inseriti nelle divisioni di cavalleria (DLM) e altri 800 sparpagliati in battaglioni indipendenti della fanteria. I restanti andarono a comporre le tre nuove divisioni corazzate (DCR) formate quell’anno. Ciascuna schierava solo la metà dei carri di una Panzer Division tedesca. Il comando della 4a Divisione corazzata, che ancora era a malapena al 50 percento della sua costituzione, fu affidato al generale Charles de Gaulle.

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SoPra: Lo stendardo da tromba del 507o Reggimento corazzato, agli ordini di Charles de Gaulle. SoPra, a SiniStra: Il Renault Char B1 fu il più importante carro armato in uso in Francia, giudicato da molti il migliore del mondo prima della Seconda guerra mondiale. Aveva un obice da 75 millimetri, in grado di sparare proiettili esplosivi e un cannone anticarro a tiro rapido da 47 millimetri installato in torretta. a fronte, in alto: Questo Char B1 fu catturato dai tedeschi. Liberato dai britannici nel 1945, rimase per un certo periodo alla School of Tank Technology, prima di arrivare al Tank Museum. a fronte, in baSSo: Il design dello Char B1 evocava quello dei carri armati britannici della Prima guerra mondiale.

CAPITOLO // 14

IL “CASO BIANCO” // L’INVASIONE TEDESCA DELLA POLONIA IL 1° SETTEMBRE 1939, PRIMA DELL’ALBA, LA LUFTWAFFE DIEDE INIZIO A UN BOMBARDAMENTO DI PUNTI STRATEGICI IN TERRITORIO POLACCO. ERA IL PRELUDIO A UNA DIMOSTRAZIONE DEL GRADO DI RAPIDITÀ E POTENZA CHE LA WEHRMACHT AVEVA RAGGIUNTO NEGLI ANNI TRENTA. L’esercito polacco era sparpagliato lungo i confini del paese, con poca o nessuna riserva, e favorì un rapido accerchiamento da parte dei due gruppi d’armate tedeschi: il Gruppo d’armate Nord, sotto il generale von Bock, che attaccava da Pomerania e Prussia orientale su entrambi i lati del Corridoio di Danzica (la striscia di territorio che separava il corpo principale della Germania dalla Prussia orientale), e il Gruppo d’armate Sud, agli ordini del generale von Rundstedt, che giungeva da Slesia e Slovacchia. Tra le 58 divisioni che li costituivano ce n’erano sette corazzate, quattro corazzate leggere e quattro motorizzate di fanteria, per un totale di circa 3200 carri armati e veicoli blindati, sostenuti da due migliaia di aerei, di cui 900 bombardieri e 230 bombardieri in picchiata. La Polonia aveva 32 brigate di fanteria, 11 brigate di cavalleria e due brigate meccanizzate. Lo schieramento corazzato dei polacchi consisteva in circa 220 carri leggeri moderni con cannoni da 37 millimetri, 800 tankette obsolete e 90 autoblindo. I polacchi avevano firmato trattati con Gran Bretagna e Francia, stando ai quali avrebbero dovuto reggere due settimane agli assalti tedeschi, prima che i loro alleati attaccassero gli invasori a ovest. La mossa degli alleati, tuttavia, non giunse mai.

La débâcle In due giorni la Luftwaffe si era aggiudicata la supremazia aerea e il cordone difensivo polacco era stato frammentato in gruppi scoordinati. Il piano tedesco (nome in codice “Piano Bianco”) coinvolgeva un doppio movimento a tenaglia: quello interno consisteva nel chiudere sulla Vistola, vicino a Varsavia, mentre quello esterno doveva serrarsi sul fiume Bug, a Brest Litovsk, 160 chilometri a est della capitale polacca. Le divisioni moto-corazzate tedesche, che costituivano meno del 30 per cento della forza di invasione, non erano concentrate in modo da operare autonomamente, come auspicato da Guderian, ma erano distribuite nelle diverse armate, in raggruppamenti delle dimensioni di un corpo. Lo stesso Guderian, guidando il XIX Corpo corazzato, che aveva ordine di operare in stretta coordinazione con il fianco sinistro della 3a Armata del generale Küchlers, mentre avanzava dalla Prussia orientale all’est di Varsavia, smaniava di poter scatenare la sua forza. In una memorabile giornata, una divisione motorizzata e due corazzate del XIX Corpo avanzarono di 80 chilometri in 12 ore.

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I CARRI POLACCHI DEL 1939 Alla vigilia dell’invasione tedesca, i polacchi disponevano di circa 1020 carri, 220 dei quali erano moderni Renault R35, Vickers E e PZI 7TP, il modello polacco di più recente progettazione. Il resto era costituito da modelli più vecchi, tra cui tankette e FT francesi. Non c’era paragone rispetto alla forza corazzata tedesca. Le tankette TK3 e TKS erano di costruzione polacca, sulla base del telaio Vickers. Le TK3 erano armate di una mitragliatrice Hotchkiss, mentre alcune TKS in versione potenziata avevano un fucile anticarro da 20 millimetri, in grado di penetrare qualunque corazzatura tedesca: nel settembre 1939, però, ce n’erano davvero poche disponibili. Nel 1936, i polacchi ordinarono il carro leggero Renault R35 in sostituzione degli obsoleti FT. 50 vennero consegnati nello stesso anno, ma furono di utilità limitata. Sacrificavano la sicurezza alla velocità, il loro motore tendeva a surriscaldarsi e il principale armamento, il cannone Puteaux da 37 millimetri a canna corta era adatto solo contro casematte e nidi di mitragliatrici, ma inservibile contro i carri armati tedeschi. Il carro 7TP a torretta singola fu lo sviluppo più efficace del Vickers E effettuato da una compagnia straniera.

Per il resto, però, dall’inizio alla fine, in tre settimane di campagna contro la Polonia, il movimento delle forze corazzate tedesche fu strettamente coordinato con quello della fanteria che stavano supportando. I corazzati avevano l’incarico di guidare l’avanzata dell’intero esercito, con ordine di non intraprendere azioni indipendenti. Non dovevano tentare di penetrare in profondità nelle retrovie nemiche: avevano invece il tradizionale compito di proteggere i fianchi della fanteria, che era la principale preoccupazione dell’Alto comando tedesco. Il destino della Polonia fu segnato il 17 settembre, quando l’Armata rossa la invase da est, secondo i termini del Patto di non aggressione siglato con i nazisti nell’agosto 1939. Cinque giorni dopo, la 3a Panzer Division si unì ai sovietici in una parata della vittoria a Brest Litovsk. Questi non fecero una buona impressione. Un soldato tedesco definì i loro armamenti «un ammasso di rottami untuosi». Per la 3a Divisione corazzata il combattimento era finito, si ritirò in Prussia orientale e il XIX Corpo moto-corazzato fu sciolto, lasciando Guderian con il solo staff del suo quartier generale. Nella Campagna polacca, la Panzerwaffe aveva perso 236 carri. Gli equipaggi e i loro comandanti, però, si erano arricchiti di una preziosa esperienza e i mezzi erano stati messi alla prova in battaglia, una cosa che le

SoPra: L’agonia della Polonia fu completa con l’intervento delle forze sovietiche da est. Qui, uno scambio tra tedeschi e sovietici accanto a un’autoblindo russa BA 1. a fronte: L’uso della ricognizione e del collegamento per via aerea, con apparecchi come questo Fiesler Fi156 «Storch», consentiva alle formazioni in prima linea di essere sempre informate sugli sviluppi, anche quando le comunicazioni radio venivano interrotte.

Pagine Seguenti: Carri leggeri 7TP polacchi dotati del cannone Bofors da 37 millimetri di fabbricazione svedese. La versione precedente del 7TP aveva due torrette. Lo scafo si basava sul carro Vickers da 6 tonnellate, vastamente esportato all’estero o costruito su licenza da vari paesi negli anni Trenta.

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CAVALLERIA POLACCA DEL 1939 SPECIFICHE // 7TP EQUIPAGGIO: 3 PESO: 9,5 t CORAZZATURA: 17 mm

loro controparti francesi e britanniche dovevano ancora sperimentare. Guderian era stato in grado di gestire le divisioni leggere e corazzate come un’unica entità, un passo significativo verso i trionfi del 1940. Fautori e oppositori della guerra corazzata avevano molto su cui riflettere. I carri armati tedeschi si erano mossi rapidamente e avevano mantenuto lo slancio per tutta la campagna, sconcertando chi era stato dell’idea che la mancanza di supporto logistico li avrebbe costretti ad arrestarsi.

ARMAMENTO: 1 cannone da 37 mm, 1 mitragliatrice da 8 mm VELOCITÀ MASSIMA: 32 km/h MOTORE: Saurer diesel, 6 cilindri Nel 1939, l’esercito polacco possedeva circa 1020 carri. Schierava inoltre 70.000 cavalieri in 11 brigate. La cavalleria polacca era addestrata a operare come riserva mobile e rapida; generalmente gli uomini smontavano dalle cavalcature e combattevano a piedi, usando tattiche di fanteria. Erano dotati di armi moderne, come mitragliatrici, fucili anticarro wz. 35, tankette TKS e cannoni anticarro Bofors da 37 millimetri. A poche ore dall’invasione tedesca, la cavalleria polacca riuscì a infliggere una sconfitta ai Panzer nemici ricorrendo a queste tattiche, ma ben presto fu chiaro che la cavalleria non aveva più un ruolo decisivo sul campo di battaglia.

a fronte, in alto: La guerra moderna avrebbe ben presto messo in luce la vulnerabilità della cavalleria sul campo di battaglia. a fronte, in baSSo: 300 tankette TK 3 furono realizzate con un sistema di rimorchio agganciabile che veniva trainato nei tragitti fuoristrada. Lungo le strade, invece, la tankette veniva trasportata sul rimorchio, che sfruttava però il motore del carro armato. In questo modo venivano risparmiati preziosi chilometri di usura dei cingoli.

Sotto: Dopo la campagna, le croci bianche furono ridipinte, perché costituivano un bersaglio troppo evidente per i cannoni nemici.

CAPITOLO // 15

IL BLITZKRIEG IL 10 MAGGIO 1940, LA GERMANIA DIEDE INIZIO ALLA SUA OFFENSIVA NELL’OVEST, NOME IN CODICE «COLPO DI FALCE» (SICHELSCHNITT ), ATTACCANDO OLANDA E BELGIO. IL PIANO OPERATIVO DELL’INVASIONE ERA SCATURITO DALLE DISCUSSIONI TRA IL CAPO DI STATO MAGGIORE DEL GRUPPO D’ARMATE A, ERICH VON MANSTEIN, E IL GENERALE HEINZ GUDERIAN, COMANDANTE DEL XIX CORPO CORAZZATO. UN INCONTRO TRA MANSTEIN E ADOLF HITLER, NEL FEBBRAIO 1940, AVEVA ACCESO L’ENTUSIASMO DEL FÜHRER E AVEVA DATO IL VIA A UNA PIANIFICAZIONE DETTAGLIATA.

L’invasione di Olanda e Belgio era stata concepita per attirare il Corpo di spedizione britannico (BEF) e gran parte delle forze francesi verso nord. Il grosso delle forze corazzate tedesche, allora, avrebbe invaso il settore sguarnito delle Ardenne, a sud, attraversato la Mosa e aperto un varco attraverso la Francia settentrionale fino alla Manica, intrappolando le forze alleate in un’immensa sacca. L’attacco all’Olanda e al Belgio

sarebbe stato lanciato dal Gruppo d’armate B, con due corpi corazzati nel proprio ordine di battaglia. Il Sichelschnitt sarebbe stato invece vibrato dal Gruppo d’armate B del generale Gerd von Rundstedt, con un’avanguardia di tre corpi corazzati. Nel sud, il Gruppo d’armate C avrebbe dovuto effettuare azioni di fissaggio sulla Linea Maginot e lungo il corso superiore del Reno.

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SoPra: Il sistema difensivo francese si fondava su un massiccio complesso di fortificazioni – la Linea Maginot – e su una forza mobile che avrebbe risposto a eventuali aggressioni tedesche attraverso il Belgio. Qui un cannone anticarro francese in un fortino sul confine.

A DE DESSTRA: La stretta collaborazione con la Luftwaffe fu essenziale per il successo dell’avanzata tedesca. Ufficiali della Luftwaffe viaggiavano con i carri armati, su semicingolati e autoblindo muniti di radio, pronti a richiedere il supporto dell’artiglieria aerea.

L’Alto Comando degli Alleati ebbe un ruolo attivo, ancorché inconsapevole, nella riuscita del Sichelschnitt. Il generale francese Maurice Gamelin, comandante in capo degli Alleati, era convinto che l’attacco tedesco, quando fosse arrivato, sarebbe stato una versione meccanizzata del Piano Schlieffen, già adottato per l’iniziale offensiva tedesca sul Fronte occidentale nel 1914; avrebbe aggirato la Linea Maginot, il sistema difensivo fortificato lungo il confine francese, passando per Olanda e Belgio. Egli decise perciò di ordinare alle 13 divisioni del BEF e alle 27 migliori divisioni dell’esercito francese di recare supporto alle 11 divisioni olandesi e alle 22 belghe sul fiume Dyle.

Forza corazzata: Alleati e tedeschi In termini di forza corazzata, i due eserciti erano quasi equivalenti. I tedeschi disponevano di circa 2500 carri armati, per la maggior parte PzKpfw I e II. I francesi ne schierarono circa 3000, di cui 2285 moderni. Il BEF aveva a disposizione 200 carri leggeri e 100 carri più pesanti di fanteria. Non aveva formazioni dedicate: la sola divisione

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a fronte, SoPra: Un PzKpfw II attraversa il fiume Semois, a Bouillon. L’avanzata tedesca seminò il panico in alcune parti dell’esercito francese. a fronte, Sotto: Varcata la Somme (sulla sinistra), i veicoli della 7a Divisione corazzata costeggiano la ferrovia e proseguono l’avanzata attraverso una valle. Sotto: Carri armati irrompono oltre le mura dello Chateau du Quesnoy. Di fronte a queste immagini si può ben immaginare il «fattore panico» suscitato dai carri sulla fanteria.

corazzata britannica, la First Armoured, non era ancora pronta per il combattimento. A decidere il risultato fu il modo assai diverso in cui l’Alto comando tedesco e quello alleato intendevano l’uso dei mezzi corazzati. I carri francesi avevano un raggio d’azione limitato e l’80 per cento era sprovvisto di radio. Inoltre, erano distribuiti a casaccio nei gruppi d’armata di Gamelin e per più della metà legati alla lenta fanteria. Al contrario, le dieci divisioni corazzate e le sei divisioni motorizzate tedesche erano tutte dispiegate nell’Ovest. La dottrina corazzata tedesca privilegiava il ruolo offensivo e lasciava il massimo d’iniziativa ai gradi più bassi del comando. Le formazioni di panzer – che erano essenzialmente unità autosufficienti di armi combinate, con corazzati, fanteria motorizzata e genieri – avevano il compito di attaccare fronti tattici ristretti, per sfondare in profondità lo Schwerpunkt (il punto decisivo) con l’assistenza dell’aviazione e quindi sbilanciare il nemico, sfruttando rapidamente la breccia. I francesi, invece, segnati dalle immense perdite della Prima guerra mondiale, immaginavano un campo di battaglia in cui il prudente controllo esercitato dagli ufficiali in comando le avrebbe ridotte al minimo. L’enfasi era posta sulla difesa in profondità; le forze mobili andavano tenute lontane dal fuoco nemico e l’artiglieria aveva il compito di supportare fanteria e mezzi corazzati; le formazioni di carri armati erano destinate a supportare le unità di fanteria: una ricetta per il disastro.

FL AVION 15 MAGGIO 1940 Dopo avere stabilito teste di ponte sulla riva occidentale della Mosa, il Panzergruppe Kleist respinse una serie di contrattacchi dei francesi. Questi tentarono, allora, di infliggere un colpo più pesante con le tre divisioni corazzate (DCR), ma l’esito fallimentare evidenziò l’abisso tra l’approccio tedesco e quello francese alla guerra corazzata. I carri della 1a DCR impiegarono 14 ore a coprire i 37 chilometri che li separavano dal fronte. Quando giunsero all’area-base di Flavion, non si fece alcun tentativo di nascondere gli Char B e le Hotchkiss 39. Mancando una riserva di taniche, che permettesse agli equipaggi di rifornire i veicoli, si dovette aspettare l’arrivo delle autocisterne e mentre questi facevano rifornimento, furono sorpresi dal 66° Battaglione corazzato nemico, i cui PzKpfw II e 38(t), di fabbricazione ceca, attaccarono in una formazione a cuneo. I 38(t) dovettero avvicinarsi a meno di 200 metri per colpire con i loro 37 millimetri la corazza laterale, più sottile, e le griglie di ventilazione degli Char B. Alcuni PzKpfw IV attaccarono gli autocarri con munizioni esplosive. Solo 17 dei 175 carri della 1a DCR sopravvissero allo scontro. Molti equipaggi, privi di carburante, distrussero i propri carri armati. La mattina del 16 maggio, una breccia di 65 chilometri era stata aperta nel fronte francese e la 7a Panzer Division vi passò attraverso.

Anche la semplificata organizzazione di comando, che da Hitler e dal suo quartier generale, l’Oberkommando der Wehrmacht (OKW), giungeva all’Alto comando dell’esercito, l’Oberkommando des Heeres (OKH), e poi direttamente ai gruppi d’armata, dava ai tedeschi un vantaggio sugli Alleati. Analogamente il supporto offerto dalla Luftwaffe con i suoi bombardieri Ju 87 Stuka, che di fatto fungevano da artiglieria aviotrasportata, permise alla Germania di polverizzare le postazioni della resistenza alleata.

La caduta della Francia Gli olandesi avevano capitolato in cinque giorni e la principale posizione fortificata del Belgio a Fort Eben-Emael fu rapidamente neutralizzata dai tedeschi. Secondo i piani di Gamelin, BEF e armate francesi si diressero a nord-est, sulla linea del Dyle, mentre nel Valico di Gembloux si combatteva la prima grande battaglia corazzata della Seconda guerra mondiale: il 12 e 13 maggio si scontrarono il XVI Corpo corazzato tedesco (3a e 4a Divisione corazzata) e il I Corpo di cavalleria francese (2a e 3a Divisione meccanizzata leggera), che copriva il dispiegamento della 1a Armata francese lungo la linea del Dyle. Entrambi gli schieramenti persero più di 100 carri armati, ma i tedeschi riuscirono a recuperare e riparare molti dei veicoli danneggiati, mentre i francesi si ritirarono, lasciando i mezzi colpiti sul campo.

SoPra: Bourgueil, un carro Char B della 1a DCR, abbandonato vicino a Bergues. Trasferitosi in Belgio, il meglio della forza corazzata francese dovette ritirarsi nuovamente in Francia, quando divenne chiara la reale ubicazione dell’attacco tedesco. a SiniStra: Hitler conferisce con von Rundstedt nel corso della campagna. Egli fu sorpreso dalla rapidità dell’azione di sfondamento e della vittoria.

a fronte: Un chiaro esempio del comando dispersivo e dello spreco di risorse dimostrato dall’esercito francese in quest’occasione fu la perdita dei carri Char B a Beaumont. Sette carri armati si ritirarono verso la città, dove, senza più carburante e tagliati fuori dall’avanzata dei tedeschi, furono usati per bloccare la strada principale. Qui, soldati tedeschi ispezionano il disastro.

SOPRA: Un carro leggero Hotchkiss H38 diretto al fronte. Nel 1940 le forze corazzate di Alleati e tedeschi si potevano considerare grossomodo equivalenti, quanto a dotazioni.

CARRI VELOCI, LEGGERI E DI FANTERIA Verso la fine degli anni Trenta, i britannici avevano messo a punto tre diversi tipi di carro armato: il leggero, il veloce o cruiser («incrociatore») e il carro di fanteria. Quest’ultimo era progettato per operare appunto a supporto dei fanti, era lento e pesantemente armato, per far fronte ai cannoni anticarro. I carri cruiser dovevano adempiere al ruolo di inseguimento e penetrazione proprio della cavalleria: erano dunque più rapidi e dall’armamento meno pesante. I carri leggeri svolgevano compiti di ricognizione e pattugliamento. Gli avvenimenti della Battaglia di Francia dimostrarono che, in uno scontro ad alta intensità, i carri di fanteria erano troppo lenti, mentre i cruiser erano sottoarmati e passibili di guasti. In seguito, il tentativo di risolvere questi problemi rese meno netta la distinzione tra le due categorie.

A SINISTRA: Elmetto dei membri dell’equipaggio di un tank britannico con l’emblema della 9a Divisione armata. Il panda designava le unità di addestramento, non di combattimento.

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La vera minaccia per gli Alleati, tuttavia, incombeva da sud. Il Gruppo d’armate A, guidato dal Panzergruppe Kleist, stava avanzando attraverso le Ardenne. Era il punto più pericoloso per la spinta meridionale dei tedeschi. Si generò un colossale ingorgo, con 41.140 veicoli, di cui 1222 carri armati, che si facevano strada attraverso le Ardenne. Il Gruppo d’armate A, in quel momento, era terribilmente esposto, ma non ci furono interventi aerei alleati. La Luftwaffe, al contrario, ebbe un ruolo cruciale nell’assicurare tre teste di ponte attraverso la Mosa, tra il 13 e il 15 maggio. Il 13 maggio, 310 bombardieri, 200 bombardieri in

picchiata e 30 caccia compirono 1215 sortite in una serie di attacchi sul tratto di 5 chilometri della Mosa attorno a Sedan. Durante quelle operazioni, la 9a Armata francese fu distrutta e la 2a Armata fortemente debilitata. Tra il 16 e il 21 maggio, irrompendo dalle teste di ponte sulla Mosa, le unità corazzate tedesche attraversarono la Francia settentrionale lungo un fronte di 80 chilometri. Al comando del XIX Corpo corazzato del Gruppo d’armate A, Heinz Guderian sfondò le difese francesi a Sedan, oltrepassò a forza la Mosa e, così facendo, rivendicò con la forza dei fatti il suo appoggio prebellico alla teoria corazzata. Per gli Alleati, la Battaglia di Francia era persa.

SoPra: Drake, Duck e Daffodil, i carri armati Matilda I del 4o Reggimento corazzato reale, avanzano nella campagna francese. Il dipinto fu realizzato dal pilota di Daffodil al suo ritorno in Inghilterra.

CAPITOLO // 16

IL CARRO ARMATO DI FANTERIA A22 CHURCHILL IL CHURCHILL, CONCEPITO COME SUCCESSORE DEL MATILDA II, FU IN REALTÀ UN RITORNO AL PASSATO. SI COMINCIÒ A LAVORARE AI PROTOTIPI, DALLA DESIGNAZIONE A20, NEL SETTEMBRE 1939, ALLA HARLAND AND WOLFF DI BELFAST. IL NUOVO CARRO ARMATO PESANTE DI FANTERIA AVREBBE DOVUTO ATTRAVERSARE TRINCEE DI NOTEVOLE LARGHEZZA E SUPERARE TERRENI DEVASTATI DALLE GRANATE. a SiniStra: Non è chiaro se il celebre tank debba il suo nome al primo ministro inglese o al suo avo, John Churchill, duca di Marlborough.

Furono prodotti quattro prototipi, la cui forma romboidale con gondole laterali ricordava i Mark IV e V della Prima guerra mondiale. Con l’entrata in guerra della Gran Bretagna, molti ufficiali in comando si aggrapparono all’idea che combattere sul Fronte occidentale avrebbe richiesto le stesse modalità degli scontri finali del 1918, quando si era ridato movimento al campo di battaglia, ma a costo di immense perdite (240.000 per l’esercito britannico, tra il 21 marzo e la fine di aprile del 1918). L’A20 non andò oltre la fase di prototipo, ma la Vauxhall Motors, ottenuto l’appalto per il successivo carro di fanteria, l’A22, lo usò come punto di partenza per quel progetto.

Le fortune della Gran Bretagna nel conflitto erano in ribasso: il BEF era stato spedito via dalla Francia, abbandonando tutti i suoi mezzi pesanti, e l’invasione tedesca rimaneva una minaccia concreta. Alla Vauxhall furono dati solo 12 mesi per entrare in produzione. Si decise di accelerare il processo utilizzando il motore Bedford Twin-Six 350hp dell’A20 per il nuovo carro, cui fu dato nome Churchill (non è chiaro se con riferimento al primo ministro del periodo bellico o al suo celebre antenato, il duca di Marlborough). Modelli pilota furono disponibili entro sette mesi e la prima produzione di 14 esemplari giunse a completamento nel giugno 1941. Con un calendario così forsennato non

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SoPra: Granata da demolizione Numero 1, sparata con mortaio spigot Petard. Questa carica da 18 chili conteneva una piccola quantità di propellente, che era in grado di spedirla a un massimo di 100 metri. Gli effetti esplosivi erano considerevoli.

tardarono a emergere mille difetti che richiesero un anno per essere corretti, ma il Churchill ne uscì con un design più moderno, dalla silhouette più bassa e dalla corazzatura più spessa: due requisiti essenziali sul campo di battaglia negli anni centrali del conflitto. Meno rassicurante era il cannone da 2 libbre – un anacronismo per il 1940 – che costituiva il principale armamento dei Churchill I. Gli faceva da complemento un obice close support («supporto ravvicinato») da 76 millimetri, fissato in basso, sul davanti dello scafo, accanto al pilota, in una disposizione simile a quella del carro pesante francese Char B1. Il Churchill II e i modelli successivi eliminarono

l’obice sullo scafo in favore di una mitragliatrice BESA. Nel marzo 1942 era ormai disponibile il cannone da 6 libbre, che fu montato in torretta sul Churchill III. Il Mark VII aveva un cannone da 75 millimetri e il Mark VIII un obice close support da 95 millimetri. Circa 200 Churchill, in Africa Settentrionale, furono modificati in modo da alloggiare un cannone da 75 millimetri, con una capacità esplosiva/ perforante (HE/AP) e una mitragliatrice Browning da 7,62 millimetri – presi entrambi da carri armati americani – in torretta. La conversione andò sotto il nome di NA75 (North African 75 mm). Dal 1943, la Vauxhall mise a punto un Churchill dall’armamento più pesante, basato sul Mark VII.

SOPRA: Il mortaio Petard. All’attivazione, un lungo percussore faceva detonare la carica presente nel proiettile. Il mortaio si poteva ribaltare verso l’alto per permettere all’equipaggio di caricarlo dallo sportello scorrevole del tetto, poi veniva riabbassato per sparare.

CARRO DI FANTERIA CHURCHILL A22 SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 5 PESO: Mark I e III 38,5 t; Mark III-VI 39 t; Mark VII e VIII 40 t CORAZZATURA: Mark I-VI 102 mm; Mark VII e VIII 152 mm ARMAMENTO: Mark I 1 cannone da 2 libbre in torretta e 1 obice da 76 mm frontale, una mitragliatrice BESA; Mark III-IV 1 cannone da 6 libbre, 2 mitragliatrici BESA; Mark IV (NA75) 1 cannone da 75 mm ex-Sherman, 1 mitragliatrice coassiale Browning 0.30, 1 mitragliatrice sullo scafo; Mark V 1 obice da 95 mm, 2 mitragliatrici BESA; Mark VI 1 cannone da 75 mm, 2 mitragliatrici BESA; Mark VII 1 cannone da 75 mm, 2 mitragliatrici BESA; Mark VIII 1 obice da 95 mm, 2 mitragliatrici BESA VELOCITÀ MASSIMA: Mark I-VI 25 km/h; Mark VII e VIII 20 km/h MOTORE: Bedford Twin-Six da 350 hp, benzina

Si trattava dell’A43 Black Prince, armato di cannone da 17 libbre, alloggiato in una torretta più grande, che a sua volta richiese uno scafo di maggiori dimensioni. Nel maggio 1945 ne erano stati costruiti sei prototipi, ma, poiché il carro principale da combattimento Centurion aveva cominciato l’iter di produzione, il progetto fu accantonato. Il Churchill fu il primo carro armato britannico con sterzo «rigenerativo» Merritt-Brown. Questo permetteva di risparmiare una notevole potenza e consentiva al pilota, che sterzava a barra, di compiere curve più brusche. Il sistema Merritt-Brown, con le sue varianti, sarebbe divenuto parte integrante dei carri armati successivi. Il Churchill era capace di superare i terreni più impervi e di affrontare ripide pendenze che il nemico riteneva a prova di carro. Lo spazioso scafo, inoltre, permise le conversioni più diverse, tra cui l’Ark (Armoured Ramp Carrier), dotata di rampe, che poteva entrare in un fosso anticarro o addossarsi a un muro costiero, permettendo così il passaggio di altri veicoli sopra di esse, e l’AVRE (Armoured Vehicle Royal Engineers). Tra le altre varianti c’era un semovente cacciacarri dotato di cannone, di cui si costruirono 24 esemplari per la difesa interna, nel 1941; la maggior parte di questi fu in seguito riconvertita al trasporto dei dispositivi di sminamento Snake: tratti di tubi da 76 millimetri imbottiti di esplosivo, che venivano sospinti in un campo minato e fatti esplodere.

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Sotto: Il Churchill, benché originariamente progettato come carro di fanteria, ebbe il suo specifico come base per tutta una serie di conversioni specializzate. Qui l’AVRE, Armoured Vehicle Royal Engineers, con il mortaio Petard.

CHURCHILL CROCODILE Il Crocodile era il più efficace carro lanciafiamme del periodo bellico e in numerose occasioni convinse le truppe nemiche ad arrendersi al suo solo apparire, sparando poche fiammate. Era costituito da un lanciafiamme Wasp applicato a un tank Churchill VII, che si portava dietro un rimorchio sganciabile a due ruote da sei tonnellate e mezzo, contenente 1800 litri di combustibile e l’azoto compresso necessario per 80 fiammate da un secondo. Il rimorchio era collegato a un tubo corazzato, installato nella parte inferiore del tank, e a una lancia che sostituiva la mitragliatrice BESA standard. Il Churchill poteva dunque fungere sia da carro armato, sia da carro lanciafiamme, con una portata di 110 metri. Durante la guerra ne furono realizzati circa 800, di cui 250 riservati all’uso in Estremo Oriente. I Crocodile furono impiegati in Normandia e nell’Europa nord-occidentale.

I Churchill videro l’azione per la prima volta durante il disastroso raid su Dieppe del 19 agosto 1942. Solo 29 dei 58 carri del Calgary Regiment, assegnato all’Operazione Jubilee, sbarcarono a terra: due affondarono nelle acque profonde, 12 rimasero incagliati sulla spiaggia ghiaiosa, 15 riuscirono a superare le fortificazioni costiere, ma il loro cammino fu intralciato da numerosi ostacoli. Tornarono alla spiaggia, dove furono di supporto alla fanteria canadese, che compiva l’incursione. Tutti i tank furono lasciati indietro e i loro equipaggi uccisi o catturati. I tedeschi, esaminando i Churchill abbandonati, si fecero un’opinione poco lusinghiera della corazzatura e dell’armamento, stimandoli inferiori ai loro carri armati e a quelli sovietici. Alcuni Mark III furono testati direttamente sul campo, nella seconda Battaglia di El Alamein (ottobre 1942), e in seguito impiegati in Tunisia e in Italia. Varie brigate di Churchill furono dispiegate nell’Europa nord-occidentale, dove si dimostrava utile la loro spessa corazza, ma risultarono comunque sottoarmate rispetto ai mezzi tedeschi. Il Churchill rimase in servizio fino agli anni Cinquanta.

SOPRA: Il Churchill Crocodile in una dimostrazione del suo lanciafiamme. Il rimorchio conteneva il combustibile e l’azoto compresso per lanciare il liquido incendiato. Un tubo attraversava il carro armato e sostituiva la mitragliatrice di scafo.

CAPITOLO // 17

LA GUERRA NEL DESERTO // 1940 DOPO L’ENTRATA IN GUERRA DELL’ITALIA, IL 10 GIUGNO 1940, L’ESERCITO ITALIANO IN LIBIA, AGLI ORDINI DEL MARESCIALLO RODOLFO GRAZIANI, DIEDE INIZIO AI LUNGHI PREPARATIVI DELL’AVANZATA NEL CUORE DELL’EGITTO CHE SAREBBE INIZIATA IL 13 SETTEMBRE 1940 A OPERA DI CINQUE DIVISIONI ITALIANE.

Con i suoi 250.000 uomini, l’esercito di Graziani in Libia superava per numero i 60.000 soldati a disposizione del suo avversario britannico, il generale Richard O’Connor, comandante della Western Desert Force (Forza Operativa del Deserto Occidentale), ma i britannici avevano un vantaggio significativo in termini di mezzi corazzati. Gli italiani possedevano alcune tankette 200 L3, armate solo di mitragliatrici e che non avevano retto il confronto con i carri sovietici nella Guerra civile spagnola. Armi più pesanti erano rappresentate dai carri medi M11/39 e M13/40, rispettivamente con cannoni da 37 e da 47 millimetri. Gli equipaggi, però, non erano abituati a operare in grandi formazioni. La forza corazzata italiana era in condizioni di netta inferiorità rispetto ai cruiser A9, A10 e A13 della Western Desert Force, l’ultimo dei quali era il primo carro britannico a sfruttare la sospensione Christie «Big wheel»,

che offriva un’ottima velocità fuoristrada. Nel giugno 1940, poi, la forza britannica era stata potenziata con i carri di fanteria Matilda II. L’armamento principale di tutti questi tank era un cannone da 2 libbre e in larga maggioranza erano dotati di radio, mentre i veicoli italiani ne erano privi.

Il laboratorio del deserto Il terreno piatto e ingannevolmente monotono del Deserto Occidentale costituiva un laboratorio in cui mettere alla prova le teorie dello scontro corazzato delineate negli anni Trenta. Questo non era però un esercizio in cui gli italiani erano ansiosi di cimentarsi. Raggiunto Sidi Barrani, sulla costa del Mediterraneo, vicino al confine egiziano, Graziani fece costruire un anello di posizioni fortificate, supportate da artiglieria e forza corazzata, dove rimase, dando al generale O’Connor e all’Ufficiale Generale in comando (GOC) per il

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SoPra: Alcune Autoblindo 41 italiane attraversano un villaggio libico. L’esercito italiano aveva equipaggiamenti qualitativamente eterogenei: questo veicolo era relativamente efficace, con posizioni di guida davanti e dietro.

a fronte: Carri britannici A9 lasciano l’Egitto per il fronte. La censura del periodo bellico ha occultato i contrassegni dell’unità.

Medio Oriente, sir Archibald Wavell, una possibilità di attaccare. Le probabilità, ora, giocavano a loro favore; i britannici avevano in campo quasi 300 carri armati, contro i 120 modelli inferiori del nemico.

SOPRA: Le tankette italiane Carro Veloce 33, esibite in un’immagine propagandistica d’anteguerra, erano in realtà di dubbio valore come veicoli da combattimento.

Beda Fomm

A DESTRA: Elmetto italiano con imbottitura anteriore, che serviva per poggiare la testa accostandosi ai dispositivi di visione del carro armato. La protezione in cuoio per il collo era concepita per schermare dalle schegge di proiettile.

Il 9 dicembre, i britannici colpirono a Nibeiwa, dove i Matilda della 7a Divisione corazzata falciarono la forza corazzata italiana, distruggendone o catturandone la gran parte e costringendo gli italiani a una ritirata a rotta di collo, che non si arrestò finché non raggiunsero Beda Fomm, 650 chilometri più a ovest. O’Connor, all’inseguimento, tentò di bloccare gli italiani tra un assalto condotto lungo la strada costiera e un «gancio» sferrato dal deserto. La Combe force – elementi della 7a Divisione corazzata con autoblindo, ma senza carri armati – era stata inviata attraverso il deserto a intercettare le colonne di italiani che scendevano verso sud da Bengasi lungo la Via Balbia, l’unica asfaltata del teatro di guerra, che abbracciava la linea costiera. Il mattino del 5 febbraio 1941, 2000 uomini della Combe force sbarrarono la strada nei pressi di Beda Fomm, mentre 22 cruiser e 36 carri leggeri della 4a Brigata corazzata corsero a supportarli. I mezzi corazzati britannici arrivarono quel pomeriggio e i carri leggeri attaccarono ripetutamente ai fianchi la lunga colonna della fanteria italiana, i cui 50 carri M13/40 avanzavano disordinatamente in coda. A qualche tentativo italiano di scacciare i carri leggeri, il giorno dopo, risposero i cruiser del 2o Battaglione del Royal Tank Regiment (2 RTR), il Reggimento corazzato reale. Nel raggio di 600 metri furono distrutti o messi fuori uso otto carri italiani. Quelli britannici, mai privi di rinforzi, con un flessibile controllo via radio e il supporto di artiglieria e cannoni anticarro, tennero a bada i mezzi nemici fino al giorno successivo. Spostandosi da una posizione di fuoco all’altra,

SOTTO: Questo gagliardetto di un veicolo italiano fu preso come souvenir da un soldato britannico in Africa Settentrionale.

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SOPPRA E A DES DESTRA: Questi «Airgraph» furono spediti a casa, in Gran Bretagna, da Herman Marshall, del 142o Reggimento corazzato reale, mentre si trovava in Medio Oriente. Il sistema Airgraph era stato concepito negli anni Trenta dalla Kodak, ma fu sfruttato al massimo proprio nel periodo bellico, quando, per accelerare la posta o facilitare la logistica del trasferimento, i messaggi disegnati o scritti venivano trasferiti su microfilm. Questo, inviato per posta aerea, veniva poi ingrandito e stampato su carta fotografica per il destinatario.

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MATILDA SPECIFICHE // MATILDA II EQUIPAGGIO: 4 PESO: 26,5 t CORAZZATURA: 78 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 2 libbre o 1 obice da 76 mm sui modelli close support, 1 mitragliatrice 0.303 Vickers (Mark I), sostituita da 1 BESA da 7,92 mm sui Mark successivi VELOCITÀ MASSIMA: 24 km/h MOTORE: Mark I e III 2 AEC 87 hp, diesel; Mark III-V 2 Leyland 95 hp, diesel

dietro creste che correvano parallele alla strada, i cruiser e i carri leggeri britannici inflissero gravi perdite, pagando per parte loro un prezzo assai modesto. Cyril Joly, un ufficiale del RTR, ha descritto il triste spettacolo di un M13/40 «cotto». Era l’incubo di ogni carrista: la distruzione completa del tank, avvolto dalle fiamme. «Con orrore, vedemmo una figura con il volto annerito e gli abiti infuocati uscire dalla cortina di fumo, incespicando. Barcollò per qualche metro, poi cadde in spasmodica agonia, rotolandosi freneticamente sulla sabbia dura, nel disperato tentativo di spegnere le fiamme. Invano. Braccia e gambe cominciarono via via ad agitarsi più piano, finché alla fine, con uno spasmo convulso, restò immobile.»

Lo shock prodotto dal Blitzkrieg tedesco costrinse i britannici a mettere a punto carri pesanti e medi più veloci, in grado di combattere in grandi battaglie multi-carro. Il ruolo del carro di fanteria avrebbe dovuto valersi del complemento del semovente d’artiglieria e lo sviluppo del Matilda evidenzia questo cambiamento. Il carro di fanteria Matilda I A11, di cui furono costruiti 139 esemplari dal 1937, era armato solo di una mitragliatrice. Il Matilda II era equipaggiato di un cannone da 2 libbre (40 mm), ma senza proiettili esplosivi, che erano inutili a supporto della fanteria. Matilda I e II operarono entrambi in Francia nel 1940, ma dopo l’evacuazione di Dunkerque, la produzione del Mark I fu interrotta e il Mark II prese il nome di Matilda, dall’anatra protagonista

di un fumetto dell’epoca. Nel Deserto Occidentale, nel 1940-1941, il tank si guadagnò l’appellativo di «Regina del campo di battaglia». Il regno del Matilda giunse bruscamente al termine con l’arrivo dei cannoni a doppio impiego da 88 millimetri dell’Afrikakorps tedesco. Questi erano in grado di distruggerlo e il Matilda cominciò a scomparire dal campo di battaglia. I tentativi di aumentarne l’armamento fallirono, perché la torretta era troppo piccola per alloggiare un cannone più grande, e l’ultima azione nel Deserto Occidentale in cui venne usato fu la Battaglia di El Alamein, nel luglio 1942. Era però un veicolo ideale per consentire speciali applicazioni e la sua carriera in quel campo era tutt’altro che conclusa.

Entra in scena Rommel Il 9 febbraio, la 7a Divisione armata aveva ormai raggiunto El Agheila, nella Cirenaica occidentale. Qui, gli italiani si arresero senza condizioni. A O’Connor, le cui linee di rifornimento erano state sfruttate al limite, si ordinò di fermarsi e di rivolgere l’attenzione alla Grecia. In appena due mesi, lui e Wavell avevano conseguito una vittoria rimarchevole: con un bilancio di sole 2000 perdite, la Western Desert Force aveva distrutto nove divisioni italiane e preso 130.000 prigionieri, facendo avanzare il fronte di circa 800 chilometri. Prove più dure si profilavano all’orizzonte. Il 12 febbraio arrivò in Africa Settentrionale Erwin Rommel.

Sotto: Matilda II, costruito dalla North British Locomotive Company nel maggio 1941, dipinto come Golden Miller, il carro guidato dal tenente colonnello R.B. Foote quando ottenne la Victoria Cross in Libia, nel giugno 1942. Il motivo mimetico detto «schema Caunter» fu adottato solo sul teatro mediorientale. a fronte: Un Matilda II che ha subito varie perforazioni ed è stato distrutto oltre ogni possibilità di riparazione.

CAPITOLO // 18

ERWIN ROMMEL // LA VOLPE DEL DESERTO ROMMEL ERA STATO IN FANTERIA DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE, RICEVENDO LA «POUR LE MÉRITE», LA MASSIMA ONORIFICENZA TEDESCA, DOPO L’OFFENSIVA DI CAPORETTO DEL 1917, IN CUI AVEVA DIMOSTRATO LE DINAMICHE QUALITÀ DI LEADERSHIP CHE CARATTERIZZARONO TUTTA LA SUA CARRIERA. Il 12 maggio 1940, al calar della sera, i motociclisti della 7a Divisione corazzata, inviati in ricognizione, trovarono una diga sguarnita sulla Mosa, a Houx, a nord di Sedan. Nella notte attraversarono il fiume fin sulla sponda occidentale, a una distanza di circa 110 metri, dove furono raggiunti dai rinforzi. Il mattino dopo, i genieri di Rommel cominciarono a disporre ponti galleggianti sul fiume, mentre i carri armati, in attesa di oltrepassarlo, distruggevano i bunker francesi. In serata i ponti erano in posizione e i primi mezzi corazzati varcarono la Mosa. Liquidato un tiepido tentativo di contrattacco francese, Rommel irruppe in aperta campagna il 15 maggio, avanzando di 27 chilometri con 15 morti sul versante tedesco. Nella sua corsa lungo il «corridoio» dei panzer, fu brevemente intralciato ad Arras, il 21 maggio, da un contrattacco coordinato dal general maggiore H.E. Franklyn, impiegando la 1a Brigata corazzata inglese (6o e 8o Battaglione, Fanteria leggera di Durham) ed elementi della 3ème Division Légère Méchanique francese. L’attacco colpì il fianco destro della 7a Panzer Division, mentre avanzava verso ovest, a sud di Arras, e lo spezzò in due, sopraffacendo due reggimenti motorizzati. Le armi anticarro da 37 mm si dimostrarono inefficaci contro la spessa corazza dei carri di fanteria britannici Matilda A11. Rommel riuscì a riunire la sua divisione grazie ai cannoni da 88 mm della contraerea usati in funzione anticarro, ma il suo rapporto, secondo cui era attaccato da «centinaia» di carri armati nemici, ebbe un ruolo significativo nella decisione dell’Alto comando tedesco di fermare per 24 ore la spinta corazzata verso la costa, contribuendo al successo dell’evacuazione di Dunkerque. a fronte, in alto: Rommel guarda scaricare i suoi carri armati a Tripoli. La sconfitta italiana a Beda Fomm confermò la convinzione di Hitler che ai suoi alleati sarebbe servita una mano e si offrì di inviare in fretta almeno una Panzer Division.

a deStra: Rommel prestava scarsa attenzione agli ordini da Berlino e nessuna ai suoi superiori italiani, ma dava estrema importanza al supporto logistico dal continente. Spesso fu la logistica a decidere l’esito delle campagne in Africa Settentrionale.

a fronte, in baSSo: I panzer raggiunsero la Manica il 10 giugno 1940 a Les Petite Dalles, in Normandia. Qui, alcuni soldati tedeschi sfruttano l’occasione per portarne uno sulla spiaggia e scattare qualche foto.

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LÕAfrica Settentrionale All’inizio del 1941, Hitler inviò un corpo di spedizione motocorazzato, l’Afrikakorps, a supporto dell’invasione italiana dell’Egitto. Quando Rommel arrivò a Tripoli, il 12 febbraio 1941, gli italiani erano stati ormai scacciati dalla Cirenaica orientale (Libia) dai britannici. Tecnicamente agli ordini dell’Italia, Rommel partì subito all’attacco ed entro giugno l’Afrikakorps aveva riconquistato l’intero territorio perso dai suoi alleati e assediato il porto di Tobruch, sulla costa libica, che era occupato dalla 9a Divisione australiana. Stava ancora imparando i rudimenti della guerra corazzata, ma possedeva un carisma sconfinato e una comprensione intuitiva della mobilità sul campo di battaglia, che si confaceva naturalmente a un uomo del suo temperamento. Era anche un maestro dell’inganno militare, la tattica che l’Armata rossa chiamava maskirovka e che i sovietici avrebbero utilizzato così bene a Kursk nel 1943. Rommel era arrivato in Africa Settentrionale con la sua avanguardia, la 5a Divisione leggera, il cui nucleo centrale era il 5o Reggimento corazzato, con 80 PzKpfw III e IV e 70 PzKpfw I e II. Creò l’illusione di una forza corazzata più vasta con la cosiddetta «Divisione di cartone»: carri armati finti, realizzati con legno e tela su telai di automobili. All’avvio della prima offensiva, la divisione fasulla sollevò un gran polverone, che convinse la guarnigione britannica a El Agheila, nella Cirenaica occidentale, a ritirarsi, temendo di rimanere vittima di un assalto corazzato di inaudita potenza. Britannici e tedeschi condividevano la convinzione che nel Deserto Occidentale carri armati e cannoni fossero le armi determinanti. Su entrambi i fronti la distruzione dei corazzati nemici era considerata la premessa essenziale della vittoria, ma Rommel gestì le sue risorse numericamente inferiori con maggiore abilità. I comandanti inglesi, invece, cercarono di imitare la cavalleria a cavallo loro antenata, lanciando goffe cariche contro il nemico, e non seppero inoltre sfruttare le brevi «finestre di opportunità» che si presentavano. Come i migliori comandati di forze corazzate, Rommel era sempre in prima linea, spesso con sgomento del suo staff, e più e più volte il suo «sesto senso» creò le condizioni affinché i carri britannici venissero attirati verso la distruzione per effetto dei cannoni anticarro da 88 millimetri. La rapida creazione di gruppi tattici ad armi combinate, in cui l’Afrikakorps eccelleva, era un’altra strategia efficace di Rommel. Tuttavia, fu infine il suo sesto senso a tradirlo. Nel novembre 1941, la forza corazzata tedesca, abilmente concentrata e sapientemente gestita da comandanti che beneficiavano di comunicazioni radio di livello superiore, inflisse un duro colpo a 4a e 22a Brigata corazzata britannica a Sidi Rezegh, riducendo la loro forza combinata di 350 carri ad appena 50. Rommel, allora, gettò via il vantaggio guadagnato abbandonando l’immediata zona di battaglia per assaltare le linee di

a deStra: Dopo essere arrivato in Libia, Rommel esibì i suoi carri armati per le vie di Tripoli. Alcuni li fece girare più di una volta, per farli sembrare di più.

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approvvigionamento britanniche, convinto che ciò avrebbe costretto i nemici alla ritirata generale. La sua incapacità di distruggere completamente il gran numero di carri britannici colpiti diede il tempo ai britannici di ripararli e rimettere insieme la forza corazzata a Sidi Rezegh. Quando Rommel tornò a Sidi Rezegh, la sua forza era stata indebolita, uscendo ammaccata da vari scontri con l’artiglieria britannica, e l’apparato logistico era sull’orlo del collasso. All’inizio di dicembre, fu costretto ad ammettere la sconfitta e si ritirò a El Agheila a leccarsi le ferite.

Il Deserto Occidentale I comandanti delle forze del Deserto Occidentale erano prigionieri della geografia e del clima del teatro bellico. Entrambe le parti erano in Africa Settentrionale con equipaggiamenti fatti per combattere in Europa, ma, come osservò il giornalista Alan Moorehead: «…era sempre il deserto a dettare il passo, a formulare i piani e a prendere le decisioni».

Il Deserto Occidentale era un’arida, brulla distesa. Per lunghi tratti, il margine della piana costiera rivolto verso l’interno era costeggiato da alture o da un ripido bassopiano, che limitavano il movimento degli eserciti entro una lingua di terra larga 65 chilometri. La guerra in Africa Settentrionale fu caratterizzata da una serie di avanzate e ritirate lungo la striscia di 1900 chilometri da Tripoli, a ovest, ad Alessandria, a est, nella quale i soli punti di valore militare erano una serie di piccoli porti. La guerra assunse la forma di rapide incursioni da un punto di rifornimento marittimo all’altro, con lo scopo di privare il nemico d’acqua, carburante, munizioni e cibo: gli elementi essenziali della guerra nel deserto. In ciò i britannici erano fortemente svantaggiati. I loro carri armati erano nettamente sottoarmati rispetto ai Pzkpfw III e IV di Rommel, i cui cannoni da 50 e 75 millimetri sparavano proietti più pesanti a distanze superiori, rispetto alle principali controparti nemiche, l’americano M3 Stuart, detto «Honey» dai

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SoPra: L’arrivo del carro leggero americano M3 Stuart fu salutato con entusiasmo dai britannici per la sua alta affidabilità e la sua facilità di manutenzione. Il nomignolo Honey gli deriva dall’espressione inglese It runs like a honey (simile al nostro «va che è una meraviglia»).

a fronte: Il destriero del generale, Tmimi, acquerello dipinto in Libia probabilmente dal maggiore Legrand. Il carro armato è un Crusader. La piccola torretta della mitragliatrice fissata accanto al portello del pilota è stata rimossa.

britannici e il carro «incrociatore» Crusader. Era molto difficile per i tank britannici avvicinarsi quanto bastava per sparare un colpo decisivo. I tedeschi, inoltre, beneficiavano della relativa omogeneità dei loro carri, che potevano scorrazzare per il campo di battaglia a velocità simili e compiere più facilmente manovre di massa. Così, mentre i corazzati tedeschi operavano all’unisono, quelli britannici, con la loro molteplicità di tipi – leggeri, cruiser, pesanti e di fanteria – erano troppo disuniti sul campo. Ancora, i tedeschi contavano in più sui loro potenti cannoni anticarro, benché i britannici fossero stati indotti a credere che fossero i soli panzer, non artiglieria e panzer insieme, i principali killer del deserto. La situazione migliorò nella primavera del 1942, con l’arrivo in Africa Settentrionale del carro medio americano M3 Grant, che aveva una corazzatura frontale da 50 mm e un cannone da 75 millimetri nella gondola di destra. Ciò permise all’8a Armata britannica di colpire i cannoni anticarro a lunga distanza con proiettili esplosivi. Il Grant, però, con il suo equipaggio da sei uomini e un cannone supplementare da 37 millimetri in torretta, era un tank piuttosto ostico da comandare. Un sergente americano addetto alla manutenzione lo definì una «cattedrale ambulante» ed era difficile da nascondere dietro una cresta senza che, in alto, spuntasse la torretta. Ciò malgrado, la bilancia, in Africa Settentrionale, cominciò a pendere dalla parte dei britannici.

CRUSADER SPECIFICHE // MARK III EQUIPAGGIO: 5 PESO: 19,75 t CORAZZATURA: 51 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 6 libbre, 1 mitragliatrice BESA VELOCITÀ MASSIMA: 43 km/h MOTORE: Nuffield Liberty 340 hp, benzina Carro cruiser più grande e pesante, concepito per sostituire i precedenti A9, A10 e A13. Il prototipo del Crusader fu consegnato nel marzo 1940 e ne furono costruiti in totale 5300, tra cui alcuni modelli close support Mk I e II, armati di obice da 76 millimetri al posto del cannone standard da 2 libbre. La sospensione Christie permetteva di spostarsi più rapidamente rispetto alla velocità massima ufficiale, giungendo fino a 65 chilometri orari, una caratteristica che impensierì non poco l’Afrikakorps. Il Crusader soffrì del fatto di essere messo in campo in fretta e furia e, nel giugno 1941, durante l’Operazione Battleaxe, il suo primo impegno in Africa Settentrionale, ne furono catturati diversi a causa di guasti del motore. Ciò nonostante, questo carro armato fu assai apprezzato dai suoi equipaggi, combatté per tutta la Campagna nordafricana e, all’epoca della Battaglia di El Alamein, era ormai armato di cannone da 6 libbre, alloggiato dietro un mantelletto ingrandito.

CAPITOLO // 19

EL ALAMEIN DOPO LA RITIRATA A EL AGHEILA, ROMMEL NON DOVETTE ASPETTARE A LUNGO PRIMA DI RIPRENDERE L’OFFENSIVA. UNA VOLTA CHE IL FELDMARESCIALLO ALBERT KESSELRING, COMANDANTE IN CAPO DELLE FORZE TEDESCHE NEL MEDITERRANEO, EBBE STABILITO LA SUPREMAZIA AEREA SULLE ACQUE AL LARGO DELLE COSTE ITALIANE, LE LINEE DI APPROVVIGIONAMENTO DI ROMMEL FURONO BEN DIFESE. ORA I CONVOGLI POTEVANO ATTRAVERSARE IN SICUREZZA IL MEDITERRANEO PORTANDO CORAZZATI PESANTI E CANNONI ANTICARRO. Nel gennaio 1942, Rommel avanzò impetuoso lungo la strada costiera, prendendo Bengasi, Derna e la metà occidentale della Cirenaica. Mentre i britannici preparavano il contrattacco, li anticipò, snidando i Francesi Liberi (elementi militari che avevano continuato a resistere ai tedeschi, soprattutto nelle colonie, dopo la resa francese del 1940) da Bir Hacheim, poi prendendo Tobruch, con il suo porto di importanza vitale, nonché 33.000 prigionieri a fine giugno. Ormai feldmaresciallo, avanzava inarrestabile, spinto dalla grandiosa strategia dell’Asse, che contemplava una falciata verso sud dal Caucaso e un attacco verso nord-est dall’Egitto, in una colossale manovra a tenaglia volta a conquistare le ricchezze petrolifere del Medio Oriente. Benché ciò mettesse a dura prova le sue linee di approvvigionamento, Rommel decise di inseguire l’esercito britannico in Egitto, imponendo un’ulteriore disfatta a Marsa Matruh, per poi essere fermato in luglio, nella prima Battaglia di El Alamein, dal Comandante in capo in Medio Oriente, sir Claude Auchinleck. Lo scontro finì una situazione di stallo, ma

il vantaggio strategico andava all’8a Armata perché operava vicino alla propria base e riceveva rinforzi con una rapidità che l’Afrikakorps non avrebbe potuto eguagliare.

Alam Halfa Alla fine di agosto, Rommel rinnovò l’attacco con 203 carri armati tedeschi e 234 italiani, mirando a far breccia nel settore meridionale della Linea di El Alamein, per poi piegare a nord verso la costa e costringere l’8a Armata a ritirarsi. La mossa era stata anticipata da sir Auchinleck che aveva predisposto un piano difensivo poi adottato dal nuovo comandante dell’8a Armata, il generale Bernard Montgomery. Avendo ricevuto considerevoli rinforzi, disponeva ormai di 700 carri armati per far fronte all’attacco. Rommel lo sferrò la notte fra il 30 e il 31 agosto, ma fu fermato a sud della cresta di Alam Halfa da una forza difensiva coordinata che contemplava tank, artiglieria, cannoni anticarro, aerei da attacco al suolo e fitti campi minati. Il 4 settembre, Rommel ordinò la ritirata. SoPra: «Jock» Fraser del 6o RTR guidava il Grant di Montgomery. Pensò che un basco sarebbe stato più pratico nell’angusto interno del carro armato e diede il suo al comandante. Montgomery ci aggiunse il fregio di generale e in seguito lo donò al Tank Museum. a SiniStra: Entrambi gli schieramenti ricorsero a strategie di inganno. Furono creati finti accampamenti ed emesse false trasmissioni radio per creare l’illusione di una presenza in forze dove non ce n’era alcuna. Di notte, poi, si sostituivano i camion con i carri armati, appositamente camuffati con coperture o teli, per non svelare l’entità della forza corazzata.

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L’intervento dell’aviazione ad Alam Halfa fu una vera doccia fredda per i tedeschi. Il dottor Alfons Selmayr, della 2a Abteilung, 5o Panzer Regiment, ha ricordato: L’aviazione britannica cominciava a far pagare il conto. Non avevamo mai visto nulla di simile! Venivano verso di noi, senza fine, come squadriglie a una dimostrazione del Partito [nazista], e ovunque vedessero anche pochi veicoli insieme, sganciavano. Il mio panzer vibrava fin nelle giunture e quello di un comandante di compagnia davanti a me fu colpito direttamente sulla torretta. Comandante e servente, feriti, morirono in seguito; cannoniere e marconista riportarono gravi lesioni. E, a parte qualche benda, io non avevo forniture mediche a disposizione.

El Alamein La situazione si era capovolta. Come britannici e francesi avevano scandagliato ansiosamente il cielo nel maggio 1940, temendo di avvistare i bombardieri in picchiata Stuka, così la Panzerwaffe del tardo 1942 giunse a temere l’aviazione alleata. Rommel, poi, era a corto di rifornimenti. Nel settembre 1942 aveva chiesto 12.000 tonnellate di carburante, 9000 tonnellate di munizioni e 6000 di razioni. Finì per ricevere solo un nono delle munizioni richieste, meno della metà della benzina e un terzo delle provviste di cibo. Al contrario, uomini e mezzi per l’8a Armata affluivano ininterrottamente al teatro nordafricano. Quando Montgomery lanciò la sua offensiva, il 23 ottobre, subito prima di mezzanotte, schierava 195.000 uomini; 1029 carri armati, più un’immediata riserva di 200 e altri 1000 in preparazione in officina; 2311 cannoni e 750 aerei, 530 dei quali pronti all’uso. L’Afrikakorps contava 104.000 uomini (50.000 tedeschi e 54.000 italiani), 520 carri, di cui 31 PzKpfw II e 278 M13/40 italiani, in quattro divisioni (15a e 21a Panzer Division, più l’Ariete e la Littorio); 1219 cannoni e 675 aerei, di cui 150 tedeschi e 200 italiani pronti all’uso. Rommel prevedeva da tempo un’importante offensiva dell’8a Armata, ma i due comandanti avversari rappresentavano stili del tutto contrastanti. Se il condottiero tedesco era un genio dell’improvvisazione, Montgomery era l’esatto opposto: la personificazione del metodo. A differenza dei suoi predecessori britannici, che si erano lasciati facilmente sedurre dall’apparente libertà di manovra offerta dal deserto, egli

giunse alla pragmatica conclusione che le divisioni corazzate del suo schieramento non avevano la predisposizione al Blitzkrieg del nemico e preferì non accontentarsi di un ambito di manovra in cui i britannici, di solito, non primeggiavano. Anziché correr dietro all’Afrikakorps verso Tripoli – uno schema già ripetuto non meno di tre volte – volle infliggere al nemico una sconfitta devastante, che avrebbe del tutto annientato il potere di aggressione dell’Asse. La Battaglia di El Alamein sarebbe stata inaugurata da un massiccio bombardamento dell’artiglieria, seguito da un assalto della fanteria con i carri pesanti. Solo una volta dilaniate le posizioni del nemico in quello che definì «un combattimento di cani», Montgomery avrebbe scagliato contro e attraverso quelle posizioni la sua compagine corazzata principale. Quando ebbe inizio il bombardamento, alle 22:00, il suo piano si rivelò efficace. Era il preludio di una battaglia ad armi combinate che avrebbe coordinato tutti gli elementi di supporto dell’8a Armata: artiglieria, carri armati, cannoni anticarro, supporto aereo e attività di sminamento da parte del genio. C’era un solo assente, sulla scena: Rommel, che era in congedo per malattia in Germania. Tornò frettolosamente in Africa Settentrionale il 25 ottobre.

Sotto: Ragguagli prima dell’attacco. Il 23 ottobre, Montgomery aveva 1029 carri armati pronti a entrare in azione, tra cui 170 Grant (come questo), 252 Sherman, 294 Crusader, 194 Valentine e 119 Stuart, oltre alla riserva mista di altri 200 veicoli. in baSSo: La fase di logoramento della Battaglia di El Alamein comportò la perdita di ingenti quantità di mezzi corazzati da entrambe le parti. Qui un PzKpfw IV in fiamme. Questa volta fu la forza corazzata tedesca che non riuscì a recuperare i suoi carri, mentre l’8a Armata avanzava implacabilmente.

SOPPRA E ACCANTO: I soldati ricevevano manuali sulle munizioni per imparare a identificarle e conoscerne tipi, codici cromatici, requisiti di conservazione. Data la natura di queste informazioni – letteralmente questione di vita o di morte – era di particolare importanza la chiarezza dei disegni. Queste pagine provengono da un manuale distribuito alle truppe britanniche in Africa Settentrionale e descrivono le nuove munizioni americane fornite.

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CARRO MEDIO M3 GRANT SPECIFICHE // M3 (GRANT/LEE) EQUIPAGGIO: 6 (Grant) 7 (Lee) PESO: 27 t CORAZZATURA: 65 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 75 mm (gondola), 1 cannone da 37 mm (torretta), 4 mitragliatrici 0.303 VELOCITÀ MASSIMA: 42 km/h MOTORE: radiale Wright 340 hp, benzina; Chrysler Multibank 370 hp, benzina; doppio motore General Motors, diesel, per un totale di 375 hp L’esperienza sul campo di battaglia negli anni 1939-1940 aveva dimostrato che il cannone da 37 mm del carro medio americano M2 non sarebbe stato abbastanza potente per il modo attuale di far guerra e il suo successore fu l’M3 Grant/Lee, che entrò in servizio attivo negli eserciti statunitense e britannico nel 1941. L’anno prima era arrivata negli Stati Uniti una commissione britannica con l’intento di ordinare carri armati su progetto britannico alle aziende americane. Lo U.S. National Defense Advisory Committee, temendo un’imminente sconfitta dei britannici, rifiutò di concedere che i tank fossero prodotti su loro disegno. Questi accettarono allora una versione dell’M3 che integrasse una torretta in ghisa più grande rispetto alla versione standard, a conferma della loro pratica di installare la radio del veicolo proprio in torretta, dove era azionata dal servente. L’armamento del nuovo carro contemplava tre settori. Il capocarro avrebbe potuto utilizzare la mitragliatrice Browning 0.303 nella cupola rotante indipendente, mentre il cannoniere in torretta avrebbe contrastato i corazzati nemici con il cannone anticarro da 37 millimetri o la fanteria con la mitragliatrice Browning coassiale. Il cannone a scafo da 75 millimetri avrebbe potuto sparare munizioni sia perforanti sia esplosive. Prima del Grant, gli equipaggi britannici potevano abbandonare un veicolo fuori uso soltanto uscendo da sopra. Il Grant permetteva una via di uscita più facile grazie a grandi portelli laterali. Il carro entrò in azione nel Deserto Occidentale durante le battaglie di Ain el-Gazala e di Knightsbridge, nel 1942, la prima volta in cui l’8a Armata raggiunse una sorta di parità con il cannone da 75 millimetri del PzKpfw IV. Partecipò anche alle Battaglie di Alam Halfa e di El Alamein, oltre che all’inseguimento dell’Afrikakorps in Tunisia, quando ormai lo stava già, gradualmente, sostituendo lo Sherman. All’epoca in cui le sorti dell’8a Armata apparivano disperate, il tank fu soprannominato ELH, Egypt’s Last Hope: «l’ultima speranza dell’Egitto». Vennero prodotti in totale 6258 M3, di cui 3352 uscirono dalle linee di produzione della Chrysler: un primo esempio di applicazione dei metodi produttivi dell’automobile alla manifattura di veicoli da combattimento.

crumbling, lo sbriciolamento, spostando lo Schwerpunkt da un settore all’altro e costringendo i corazzati dell’Asse a reagire. I riflessi superiori in campo della forza corazzata tedesca fecero sì che l’8a Armata subisse le perdite più ingenti, ma quel livello di logoramento non poteva essere sostenuto a lungo. Il 3 novembre, Rommel aveva solo 30 carri armati utilizzabili a disposizione e il giorno dopo cominciò a intaccare le forze rimanenti. Al contrario, l’8a Armata contava circa 500 perdite corazzate e, di quei carri, molti furono riparati.

L’epilogo Montgomery eseguì l’ordine del generale Harold Alexander (succeduto ad Auchinleck nell’agosto 1942) di sconfiggere Rommel, ma l’insufficiente preparazione con cui tentò di finire l’Afrikakorps avrebbe esposto la sua gestione della battaglia a più di una critica. Aveva spostato la 7a Divisione corazzata dal settore meridionale affinché fungesse da riserva mobile. Appena penetrate in profondità le difese dell’Afrikakorps, la divisione avrebbe dovuto colpire Rommel nelle retrovie e circondarlo, costringendolo con le spalle al mare. L’inseguimento fu malamente eseguito. Come concluse Liddell Hart: Dopo l’evento, si è incolpata soprattutto la pioggia del fallito tentativo di bloccare la ritirata di Rommel; a un’attenta analisi, però, appare chiaro che le migliori occasioni erano state già sprecate prima che la pioggia intervenisse… per l’ampiezza troppo limitata delle manovre, per un eccesso di prudenza, una scarsa padronanza del fattore tempo, la riluttanza ad avanzare al buio e quell’essere tanto concentrati sulla battaglia che si dimenticano le condizioni essenziali per sfruttarla in senso decisivo. A sua discolpa, Montgomery confidò al suo diario, la vigilia della battaglia:

La prima fase dell’offensiva britannica comportava un attacco diversivo sferrato dal XIII Corpo a sud, mentre a nord la fanteria del XXX Corpo tentava di aprire due corridoi attraverso fitte strisce minate da cui far passare la 1a e la 10a Divisione corazzata. I progressi erano lenti, ma Montgomery, consapevole del tallone d’Achille di Rommel, la mancanza di carburante, decise di porre in atto quello che definiva il

SoPra: Una pausa nei combattimenti, il 31 ottobre: qui alcuni carri Valentine e i loro equipaggi del 40o Reggimento corazzato reale con fanti australiani al Thompson Post, una posizione aspramente contesa, che attirava continui e pesanti contrattacchi di fanteria e corazzati tedeschi.

…l’addestramento [dell’8a Armata] non era ottimale e cominciavo a rendermi conto che avrei dovuto stare molto attento… a non affidare a formazioni e unità compiti che non sarebbero probabilmente state in grado di eseguire, visto il basso livello di preparazione… Non dovevo essere troppo ambizioso nelle mie pretese.

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a fronte: Un M3 a Fort Knox, nel giugno 1942. L’M3 era in realtà un modello provvisorio, in attesa che l’industria americana si attrezzasse per fabbricare il più complesso Sherman. Per i britannici, l’M3 divenne il carro medio Grant, con una nuova torretta destinata ad alloggiare la radio e senza una grande cupola per il comandante: ciò lo rendeva più basso di una trentina di centimetri.

CAPITOLO // 20

OPERAZIONE BARBAROSSA // CARRI ARMATI SUL FRONTE ORIENTALE L’INVASIONE DELL’UNIONE SOVIETICA, NOME IN CODICE OPERAZIONE BARBAROSSA (DAL NOME DI FEDERICO BARBAROSSA, SOVRANO DEL SACRO ROMANO IMPERO), AVREBBE DOVUTO ESSERE, NEI PIANI, L’ULTIMA DELLE GUERRE LAMPO DI HITLER E LA PIÙ GRANDE DIMOSTRAZIONE DELL’EFFICACIA DEL BLITZKRIEG. ALTO COMANDO TEDESCO E OSSERVATORI MILITARI IN OCCIDENTE PREDICEVANO CON SICUREZZA CHE L’ARMATA ROSSA, STORDITA DALLA FORZA D’URTO DELL’ATTACCO, SAREBBE STATA SCONFITTA NEL GIRO DI QUALCHE SETTIMANA.

L’invasione ebbe inizio alle 3:30 del mattino del 22 giugno 1941. Per l’operazione erano state costituite 11 nuove Panzer Division, espandendo i quattro gruppi corazzati (Panzergruppe) a 19 divisioni corazzate alla testa di sette armate di fanteria, nella più vasta operazione della storia militare fino ad allora pianificata. Tre milioni di soldati, con il supporto di 3850 carri armati, 7184 cannoni e quasi 2000 aerei, si misero in moto lungo un fronte che andava da Memel (oggi Klaipėda) sul Baltico, a Odessa sul Mar Nero: una distanza di 1600 chilometri. Il Gruppo d’Armate Nord, agli ordini del feldmaresciallo Ritter von Leeb, avrebbe dovuto attaccare dalla Prussia Orientale verso Leningrado, coadiuvato dai finlandesi, avanzando sull’Istmo di Carelia. La formazione più forte, il Gruppo d’Armate Centro,

sotto il feldmaresciallo Fedor von Bock, si sarebbe diretta a nord della barriera naturale delle paludi d’acqua dolce del Prypjat’ verso Smolensk: il percorso che aveva seguito Napoleone nel 1812. Nella fascia meridionale, il Gruppo d’Armate Sud del feldmaresciallo von Rundstedt sarebbe avanzato verso l’Ucraina, il paniere dell’Unione sovietica, e le regioni petrolifere industriali di Donec, Volga e Caucaso. Il meglio dell’Ostheer (le Forze di attacco dell’Est) dovette addentrarsi in una vasta zona di steppe, foreste e paludi. Le divisioni corazzate avanzavano in un’immensa nube di polvere. Nell’avanguardia, i veicoli da combattimento – panzer leggeri, motociclisti, fanteria a bordo dei sidecar – furono schierati in formazioni a punta di freccia ad anticipare il contatto con il nemico.

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Sopra: Soldati sovietici esaminano un PzKpfw II. Benché nel 1941 fosse ormai considerato obsoleto, per la scarsità di veicoli più moderni prese parte all’Operazione Barbarossa con circa 700 esemplari sui 3850 carri armati tedeschi. a fronte: L’equipaggio di un BT-7 in perlustrazione. In gran parte dei veicoli sovietici d’anteguerra, le comunicazioni erano rudimentali e spesso ci si affidava a segnalazioni con le bandierine, mentre solo le varianti di comando possedevano apparecchiature radio.

Venivano poi i panzer medi e pesanti, accompagnati dalla fanteria leggera a bordo di camion, e nella retroguardia l’artiglieria motorizzata a rimorchio. L’Armata rossa, nel mezzo di una totale riorganizzazione e dispiegata in avanti a coprire ogni curva e rientranza della frontiera, fu martoriata da una serie di massicce «battaglie del calderone» (Kesselschlacht), come venivano chiamate le azioni volte a circondare e racchiudere in sacche le forze nemiche. Al termine della prima settimana di luglio, l’Oberkommando des Heeres (OKH, l’Alto comando

dell’esercito tedesco) concludeva che 89 delle stimate 164 divisioni sovietiche si potevano stralciare dall’ordine di battaglia dell’Armata rossa. A Minsk e Smolensk, in luglio, il Gruppo d’Armate Centro aveva preso 400.000 prigionieri, 3100 cannoni e 3200 carri T28, T26 e BT, ma a un prezzo enorme per l’Ostheer, inducendo il comandante della 18a Panzer Division a esprimere il timore che la perdita di uomini e mezzi si sarebbe in ultima istanza rivelata insostenibile, se non si voleva finire con l’«autodistruggersi per la vittoria».

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I carri armati e la tirannia della distanza Due fattori si rivelarono determinanti sul Fronte orientale. Il primo era tecnico e fu l’arrivo al fronte del carro medio T-34 e del carro pesante KV-1 dell’Armata rossa. Il T-34 si dimostrò l’arma vincente dell’Armata rossa e decisamente all’altezza di PzKpfw III e IV, malgrado la più ampia torretta da tre posti di questi ultimi, rispetto alla configurazione biposto del tank sovietico. Il colonnello (poi general maggiore) F.W. von Mellenthin avrebbe in seguito ricordato: Guderian descrisse la violenza con cui il suo XXIV Corpo corazzato fu attaccato al nord-est di Orel l’11 ottobre 1941 e osservò significativamente: «Molti T-34 russi entrarono in azione e inflissero pesanti perdite ai carri armati tedeschi. Fino a quel momento avevamo goduto di un’indubbia superiorità in fatto di corazzati, ma di lì in poi la situazione risultò capovolta».

Tre mesi di vittoria erano costati alla Germania oltre mezzo milione di vittime. Anche le battaglie del calderone costarono perdite inattese, perché le sacche isolate di sovietici cercavano di spezzare gli accerchiamenti, costringendo le forze mobili d’attacco a sostenere scontri difensivi, un compito per il quale non erano adeguate. Nel 1941 l’Ostheer perse 2500 carri armati solo in Russia, a fronte di una produzione totale dell’anno di 3623 corazzati, di cui soltanto 467 erano PzKpfw IV. Il resto era già obsoleto.

Il KV-1 era il più formidabile carro armato del mondo, all’epoca della sua apparizione, nel 1941, e l’Armata rossa l’unico esercito con carri pesanti in produzione. Era in grado di sconfiggere quasi ogni arma che i tedeschi gli schierassero contro, e il suo affidabile motore diesel 600 hp gli consentiva un raggio d’azione di oltre 320 chilometri. Nelle prime fasi dell’Operazione Barbarossa fu limitato solo dall’addestramento insufficiente degli equipaggi dell’esercito russo e dalle dotazioni di qualità inferiore in loro possesso. Anche la topografia della Russia e il suo clima furono avversari formidabili per l’Ostheer. I vasti spazi si dimostrarono troppo sconfinati persino per gli eserciti tedeschi e, mentre questi vi si addentravano sempre di più, le loro linee di approvvigionamento e i loro sistemi di manutenzione e riparazione a livello centrale si facevano progressivamente più fragili e lenti. Fu il colpo più duro per le divisioni corazzate. Poiché lo scartamento ferroviario in Unione sovietica era diverso da quello tedesco e la posa di binari non riusciva a tenere il passo con l’avanzata dell’Ostheer, rimandare indietro i veicoli danneggiati divenne impossibile e l’arrivo di pezzi di ricambio s’interruppe.

a SiniStra: Un ufficiale tedesco indica un proiettile da 88 millimetri conficcato in un KV-1. Si vedono i segni di altri colpi che non sono riusciti a penetrare. I cannoni anticarro standard tedeschi potevano ben poco contro il KV-1. Sopra: Il comandante di un carro armato sovietico si arrende. In seguito, Stalin avrebbe fatto fucilare per mancato adempimento del dovere molti valorosi soldati che avevano combattuto con coraggio e, costretti ad arrendersi, erano miracolosamente sopravvissuti alla prigionia tedesca.

Il clima russo strinse l’esercito in una morsa, con il famigerato fango autunnale (rasputiza) che imperversò finché i tedeschi non furono scacciati dall’Unione sovietica. Quel problema insolubile, che si ripeteva a ogni disgelo primaverile, era esacerbato dalle condizioni dissestate del sistema stradale, che indusse Liddell Hart a osservare: Se il regime sovietico le avesse dato [alla Russia] un sistema di strade paragonabile a quello dei paesi occidentali, probabilmente sarebbe stata invasa in breve tempo. Le forze meccanizzate tedesche furono ostacolate dal pessimo stato delle vie di comunicazione. Con una precisazione, però. I tedeschi persero la possibilità della vittoria perché avevano affidato la loro mobilità alla ruota anziché al cingolo. Su quelle strade fangose, il trasporto su ruote restava bloccato, mentre i carri armati riuscivano a proseguire. Le forze corazzate con trasporto a cingoli avrebbero potuto invadere i centri vitali russi molto prima del sopraggiungere dell’autunno, a dispetto delle cattive condizioni stradali.

La sconfitta del Blitzkrieg Nell’ottobre 1941, cominciò a cadere la prima neve dell’inverno. Hitler doveva scegliere se puntare dritto a Mosca o rafforzare il fianco meridionale per assicurarsi le materie prime e le ricchezze agricole dell’Ucraina. All’arrivo dell’inverno – per cui l’Alto comando tedesco non aveva equipaggiato l’Ostheer – l’avanzata rallentò, con temperature così basse che i pezzi d’artiglieria gelavano in blocchi inamovibili. Alcune pattuglie tedesche raggiunsero un capolinea dei tram alla periferia di Mosca, da cui si vedevano le cupole del Cremlino scintillare nel sole. Poi, il 6 dicembre, l’Armata rossa contrattaccò con divisioni fresche e bene equipaggiate, accorse dalla Siberia. Benché nelle battaglie attorno a Mosca l’Armata rossa non fosse

INCONTRO RAVVICINATO CON IL KV-2 A due giorni dall’inizio dell’Operazione Barbarossa, la 6a Panzer Division trovò la sua via di approvvigionamento bloccata da un carro armato sconosciuto che si ritiene fosse un KV-2. Il tank rimase lì per due giorni. Le sue prime vittime furono 12 camion di rifornimenti, cui poi seguirono due cannoni anticarro da 50 millimetri. Un cannone da 88 millimetri fu distrutto a una distanza di oltre 900 metri. I tedeschi, allora, lanciarono un’incursione notturna in cui due cariche satchel (esplosivi improvvisati) furono applicate al carro armato russo. Vennero fatte esplodere, ma il tank continuò a sparare. Il mattino dopo, panzer leggeri misero in atto un finto attacco, mentre un altro cannone da 88 millimetri fu portato a finire il carro nemico. Questo infine fu ridotto al silenzio, quando due genieri infilarono granate a manico in un buco alla base della torretta. Solo due dei proiettili da 88 millimetri sparati al KV-2 ne avevano penetrato la corazza, mentre quelli da 50 millimetri erano riusciti solo a lasciare striature bluastre carbonizzate sullo scafo.

riuscita a circondare i vasti raggruppamenti tedeschi, in quanto mancava delle necessarie formazioni di carri armati (lo Stavka non aveva ancora ricostituito corpi meccanizzati/corazzati e armate corazzate sufficienti, dopo il loro scioglimento nel 1940), fece comunque arretrare il Gruppo d’Armate Centro di 320 chilometri, prima che l’offensiva si arrestasse con il disgelo primaverile del 1942. Il Blitzkrieg aveva trovato un degno avversario.

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SOPRA: Una colonna di PzKfpw II tedeschi si ferma al sopraggiungere dell’inverno russo. La Wehrmacht non era adeguatamente preparata a sostenere le rigide temperature incontrate in Russia: uomini e veicoli ne soffrirono. Il servizio di sentinella dovette essere limitato a turni di 15 minuti, per impedire che ai soldati venissero i geloni.

A FRONTE: Un membro dell’equipaggio di un KV-1 si appresta a ricaricare il cannone principale da 76 millimetri e la mitragliatrice DT con munizioni da 7,62 millimetri in caricatori a tamburo.

CAPITOLO // 21

IL T-34 IL T-34/76, COLONNA PORTANTE DELLA FORZA CORAZZATA SOVIETICA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, OFFRIVA UN SUPERBO EQUILIBRIO TRA MOBILITÀ, PROTEZIONE E POTENZA DI FUOCO ED È SPESSO RITENUTO LA BASE DEL MODERNO DESIGN DEL CARRO ARMATO. ERA IL TANK LE CUI ARMI SI POTEVANO CONSIDERARE SENZ’ALTRO DECISIVE E SEGUITÒ A COMBATTERE DAL 1941 AL 1945. CONCEPITO COME SOSTITUTO DELLA SERIE BT DI CARRI CRUISER, FU PROGETTATO DA UN TEAM GUIDATO DA MIKHAIL KOSHKIN PRESSO LA FABBRICA DI LOCOMOTIVE DI CHAR’KOV.

Comfort spartano Introdotto nel 1941, il T-34 faceva poche concessioni alla comodità dell’equipaggio. All’inizio, non aveva la radio e gli mancava una torretta con vista a 360° per il capocarro. Alloggiava quattro militari: pilota e mitragliere a scafo, che occupavano sedili simili a poltrone nella parte anteriore del tank (il secondo azionando la mitragliatrice Degtyaryov da 7,62 millimetri a gas) e, stipati nella torretta biposto, servente e capocarro, che fungeva anche da cannoniere. I due occupavano sedili imbottiti, montati su un supporto tubolare e provvisti di un ampio schienale con cuscino, adattato all’anello di torretta. Poiché i sedili erano anche attaccati all’anello, non giravano insieme al cannone, quando la torretta brandeggiava, il che costringeva servente e capocarro a contorcersi sul sedile, per accompagnare la rotazione del cannone. In combattimento, il capocarro gridava indicazioni tramite un microfono al pilota, che aveva solo una visuale ristretta, e sbraitava ordini al servente sul tipo di munizioni che gli occorrevano, chinandosi sul periscopio o accostandosi al telescopio a gomito per puntare il cannone, calcolando

la gittata, aprendo il fuoco e poi tenendosi bene alla larga dal 76,2 millimetri che rinculava tornando indietro di 35 centimetri buoni. Ciò non gli lasciava molto tempo per vedere cosa facessero gli altri carri della sua formazione. Usando un grilletto manuale per azionare il cannone, l’indaffarato capocarro poteva rimanere in torretta per periodi prolungati. A complicargli ulteriormente la vita, il brandeggio alimentato a corrente si guastava spesso e costringeva il capocarro-cannoniere a far ruotare la pesante torretta con un comando manuale, situato in posizione talmente scomoda da farlo contorcere, accovacciato, girando la manovella a tutta forza, mentre cercava di tenere la testa saldamente premuta contro l’anello di gomma dell’oculare, che altrimenti avrebbe lasciato filtrare la luce, disturbando la mira. Il servente era ugualmente sotto pressione. Dei 77 proiettili trasportati dal T-34/76 (in media, 19 perforanti, 53 esplosivi e cinque shrapnel), solo nove erano immediatamente accessibili; gli altri 68 erano suddivisi in otto fusti metallici sul fondo della torretta, coperti da stuoie di gomma che costituivano il pavimento. A ogni azione che richiedeva un discreto numero

Sopra: Durante il secondo conflitto, il governo sovietico fornì un certo numero di carri armati da ispezionare alle forze britanniche e americane e la School of Tank Technology di Chertsey stese un rapporto sul T-34. Qui, tratta dal rapporto, una sezione dettagliata mostra numerose componenti del T-34/76.

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di colpi senza pause apprezzabili, doveva smantellare il pavimento per ricaricare il cannone. Armeggiando tra stuoie e fusti, era esposto a un notevole rischio ogni volta che il cannone sparava, espellendo un bossolo rovente. Tali svantaggi erano compensati dalla sospensione modificata del T-34, una versione del sistema Christie che aveva stupito gli osservatori stranieri negli anni Trenta, permettendo alte velocità sui terreni più accidentati. I cingoli larghi riducevano la pressione del terreno e assicuravano che il carro armato rimanesse mobile anche nel fango o nella neve: fattori stagionali onnipresenti sul Fronte orientale della Seconda guerra mondiale. Un motore diesel adatto a tutte le condizioni climatiche consentiva al tank un ottimo rapporto potenza/peso e un’autonomia di 300 chilometri – il triplo del Tiger e quasi il doppio del Panther – fondamentale nei vasti spazi sovietici. La corazzatura inclinata aumentava la resistenza alla penetrazione dei proiettili e il cannone a canna lunga e a tiro rapido da 76,2 millimetri completava un design ben equilibrato, che favoriva una rapida produzione in serie, nonché un’agevole riparazione e manutenzione sul campo.

Visto dai tedeschi Il T-34 rappresentò il 68 per cento dell’intera produzione sovietica di carri armati nel corso della Seconda guerra mondiale. I comandanti tedeschi nutrivano un sano rispetto nei suoi confronti. Il general maggiore F.W. von Mellenthin,

che era stato sul Fronte occidentale in qualità di Capo di stato maggiore del XLVIII Corpo corazzato e della 4a Armata corazzata, ne avrebbe ricordato l’elevata qualità: «Quei carri armati non furono mandati in battaglia in gran numero finché le nostre avanguardie non cominciarono ad avvicinarsi a Mosca; allora, ebbero un ruolo essenziale nel salvataggio della capitale russa». Ciò malgrado, in combattimento, le formazioni sovietiche avevano sempre buone probabilità di farsi colpire e danneggiare dalle più esperte unità tedesche, anche quando queste ultime erano in numero notevolmente inferiore. Un membro della 6a Panzer Division scrisse: «Avevamo un solo vantaggio: la mobilità. Loro erano come una mandria di bufali, priva della libertà di movimento dei leopardi che l’attaccano ai fianchi… E i leopardi eravamo noi». Descrivendo le «battaglie del calderone» del 1942, un ufficiale di stato maggiore tedesco si espresse in modo altamente critico riguardo alle formazioni corazzate sovietiche: Nella battaglia principale, brancolavano intorno, in massa; si muovevano con esitazione e senza un piano preciso. Si intralciavano a vicenda, venivano goffamente incontro ai nostri cannoni anticarro e, dopo esser penetrati nel nostro fronte, non fecero nulla per sfruttare il vantaggio; se ne rimasero lì, indolenti e inattivi. Quelli erano i tempi in cui singoli cannoni anticarro tedeschi… riuscivano a crivellare e a mettere fuori uso più di trenta carri armati in un’ora.

Sopra: Pulizia della canna del cannone da 76 millimetri. Il T-34, come altri carri prodotti in massa in diverse fabbriche, mostra numerose variazioni nel design e nei particolari, dovute alle modifiche operate all’esaurimento delle vecchie parti.

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CARRO PESANTE IS-2 SPECIFICHE // IOSIF STALIN 2 EQUIPAGGIO: 4 PESO: 46 t CORAZZATURA: 160 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 122 mm, 2 mitragliatrici da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: 37 km/h MOTORE: V21S 520 hp, diesel Nell’ottobre 1943 furono emanate le direttive per la produzione in serie di un nuovo carro armato, lo Iosif Stalin (IS). Il tank, denominato IS-1, era più leggero del KV-1, ma aveva una corazza più spessa e meglio conformata, che offriva maggiore protezione. Il suo armamento principale era un cannone da 85 millimetri, lo stesso in dotazione al T-34/85, che però gli conferiva una potenza di fuoco non superiore a quella di un carro medio. Alla fine dell’ottobre 1943, fu accettato come standard l’IS-2, provvisto di cannone da 122 millimetri, e l’IS-1 venne potenziato. L’IS-2 stava alla pari del Panther e il Tiger riusciva a penetrarne la corazza solo a meno di 1750 metri, una distanza cui diventava a sua volta vulnerabile al 122 millimetri dell’avversario. All’inizio del 1944, l’IS-2 entrò in servizio in reggimenti di carri pesanti. Via via che ne diventava disponibile un maggior numero, fu annesso un reggimento pesante, ove possibile, a tutti i corpi corazzati e infine si costituirono brigate di carri pesanti, formate da tre reggimenti di IS-2 ciascuna. Durante la guerra furono costruiti circa 3400 IS-2, che rimasero in uso fino agli anni Cinquanta inoltrati. L’IS-3, di cui si realizzarono circa 350 esemplari prima della fine del secondo conflitto, non vide l’azione entro la conclusione della guerra. Mantenne il cannone da 122 millimetri, ma beneficiò di una migliorata disposizione della corazzatura. Le sue principali caratteristiche erano una torretta bassa a cupola e uno scafo con corazza vantaggiosamente inclinata. Restò in servizio fino agli anni Sessanta. Il modello finale abbandonò il prefisso IS per effetto della destalinizzazione.

Nell’autunno del 1943, il T-34 adottò un cannone da 85 millimetri e fu ridisegnato come T-34/85. Alla fine del 1943, ne erano stati costruiti 283 e, nei successivi 12 mesi, ne uscirono dalla fabbrica altri 11.000. Il T-34/85 rimase in produzione fino alla metà degli anni Cinquanta e in servizio con altri eserciti anche nei decenni successivi.

a SiniStra: La costruzione del T-34 in tempo di guerra rappresenta una delle più grandi epopee della storia dell’Unione sovietica. Intere fabbriche vennero trasferite verso Est, lontano dall’avanzata tedesca e protette dalla catena degli Urali.

CAPITOLO // 22

OPERAZIONE ZITADELLE // LA BATTAGLIA DI KURSK NEL GENNAIO 1943, SUL FRONTE ORIENTALE, LE SORTI DELLA GUERRA SI ERANO RIBALTATE A SFAVORE DELLA GERMANIA. LA RESA DELLA 6a ARMATA TEDESCA A STALINGRADO FU SEGUITA DA UNA MASSICCIA CONTROFFENSIVA SOVIETICA TRA OREL E ROSTOV, CHE MINACCIÒ CHAR’KOV E LE FORZE TEDESCHE IN RITIRATA DAL CAUCASO. La ritirata fu arrestata da una contromossa brillantemente concepita, attuata in febbraio-marzo dal feldmaresciallo Erich von Manstein, comandante del Gruppo d’Armate Sud. Quando i combattimenti cessarono, nel fango del disgelo primaverile, lasciarono attorno alla città di Kursk un immenso saliente a forma di pugno, che si protendeva a ovest, dal cuore dell’Ucraina, oltre il fronte tedesco.

Il saliente di Kursk esercitava un’orrenda fascinazione su Hitler. Come disse a Guderian, reintegrato in veste di Ispettore delle truppe corazzate, ogni volta che pensava all’attacco imminente in quel settore, gli si rivoltava lo stomaco. Per asportare quello che agli occhi del Führer appariva come un vero e proprio tumore, l’Alto comando tedesco pianificò un attacco concentrico

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Sopra: Fanti trasportati dai carri scendono per accompagnare i KV-1 all’attacco. In questa fase della guerra, il KV-1 cominciava a diventare più raro a vedersi sul campo di battaglia, con la produzione sovietica che stava passando al T-34/85 e ai carri della serie IS. a fronte: La Battaglia di Kursk vide l’introduzione del Panther. Il tank presentò varie pecche iniziali, che erano causa di guasti alla trasmissione, e l’impiego di 192 esemplari da parte del Gruppo d’armate Sud fu un disastro. Alla fine della prima giornata di attacco, il 5 luglio, rimanevano operativi solo 40 Panther.

verso i suoi fianchi nord e sud. L’Armata rossa sarebbe così stata intrappolata all’interno e a quel punto si sarebbe proceduto a farla a pezzi. Gli ingenti preparativi tedeschi dell’operazione (nome in codice: Zitadelle, «cittadella») richiesero tre mesi. I sovietici ne furono bene informati dalla rete spionistica Lucy, in Svizzera, da John Cairncross, loro «talpa» all’interno della stazione di decodifica britannica di Bletchley Park e dalle informazioni giunte attraverso i canali ufficiali britannici, opportunamente emendate. Di conseguenza, lo Stavka, l’Alto comando sovietico, ebbe tutto il tempo di rafforzare le difese del saliente, che alla fine di giugno era presidiato ormai da due fronti dell’Armata rossa – i Gruppi d’Armata di Centro e di Voronež – e brulicava di un milione trecentomila uomini, con 100 cannoni per chilometro lungo il probabile asse dell’avanzata. Circa 2000 carri armati e semoventi d’artiglieria consolidavano le difese e, oltre il Fronte della

Steppa, c’era l’ampia riserva della 5a Armata corazzata della guardia. A nord e a sud del saliente c’erano otto linee difensive fortemente scaglionate che comprendevano fitti campi minati e sistemi di trincee collegate alle postazioni anticarro. Inoltre, i russi misero in atto una vasta serie di misure ingannevoli (maskirovka), come la creazione di falsi concentramenti di truppe, lo schieramento di carri armati fasulli o di finte formazioni aeree e circa 40 campi d’aviazione fittizi, con tanto di falsi aerei e torri di controllo. Questi furono ripetutamente bombardati dalla Luftwaffe nel preludio alla battaglia. Il piano dell’Armata rossa era assorbire il colpo dell’assalto tedesco per poi lanciare una controffensiva. Per l’Operazione Zitadelle, Manstein aveva a disposizione due Gruppi d’Armate – Centro (guidato dal feldmaresciallo Günther von Kluge) e Sud – per un totale di 900.000 uomini schierati e 2380 carri armati e cannoni d’assalto, supportati da 2500 aerei.

La divisione corazzata più potente nell’ordine di battaglia di Manstein era la Grossdeutschland, parte della 4a Armata corazzata sul fianco meridionale del saliente. Era dotata di 163 carri e 35 cannoni d’assalto, oltre a una compagnia di 14 PzKpfw VI Tiger e a due battaglioni di PzKpfw V Panther, arrivati al fronte in giugno. Le divisioni di panzer e panzergrenadier (granatieri corazzati), che dovevano aprire l’avanguardia nell’Operazione Zitadelle erano fresche, riequipaggiate e intervenute in forze, benché pesasse la perdita di personale temprato dalla battaglia e di comandanti esperti avvenuta nel corso dell’inverno. La divisione dei panzergrenadier si era evoluta in una formazione di fanteria motorizzata, che andava a rafforzare la vera e propria Panzer Division, ma, con il progredire del conflitto, la distinzione tra le due si fece assai meno netta, soprattutto tra le SS, al crescere della loro dotazione di mezzi corazzati da combattimento. Manstein e il generale Walter Model, al comando della 9a Armata, sul fianco nord del saliente, adottarono tattiche diverse per sfondare le difese dell’Armata rossa. Confidando di possedere un adeguato rapporto fanteria/ corazzati, Model decise di impiegare fanteria, genio e artiglieria per aprire varchi nelle linee russe, in cui avrebbe fatto passare i suoi panzer. Sul fianco sud, Manstein, temendo invece di non avere fanti a sufficienza per sostenere una tattica simile, pianificò di far breccia nelle linee nemiche usando i mezzi corazzati. Lo strumento della tattica di Manstein fu il Panzerkeil (il «cuneo corazzato»), con Tiger in punta, Panther e PzKpfw IV a ventaglio dietro, seguiti dalla fanteria dotata di armi automatiche e granate. Alla base del cuneo c’erano panzergranatieri armati ancora più pesantemente su veicoli di trasporto truppe cingolati. Una volta fatta irruzione nel sistema di trincee russo, lo slancio dei panzer andava mantenuto a ogni costo. Gli equipaggi ricevettero ordini severi: in nessun caso dovevano fermarsi per assistere i veicoli colpiti. Quando Hitler lanciò l’attacco Zitadelle contro i fianchi del saliente, il 4 luglio, le avanguardie corazzate tedesche finirono nella trappola mortale preparata da Žukov e furono massacrate senza pietà. A sud, il 12 luglio, nel punto più settentrionale dell’avanzata guidata dalla 4a Armata corazzata, il II Corpo corazzato delle SS (II SS-Panzerkorps) si scontrò a testa bassa con la 5a Armata corazzata della guardia, che arrivava frettolosamente dalla riserva strategica oltre il Fronte della Steppa. La mischia che ne seguì a Prokhorovka fu la più grande battaglia di carri armati della Seconda guerra mondiale. Mentre i veicoli si affrontavano a distanza ravvicinata, al II SS-Panzerkorps fu completamente sbarrato il passo.

a deStra: Alcuni Panther Ausf. D pronti alla consegna subiscono un’ispezione. Il costo di un Panther, al netto di cannone e radio, fu stimato nel giugno 1944 in 76.000 Reich Marks, contro i 250.000 Reich Marks di un Tiger I (sempre senza cannone e radio).

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In un’area non più vasta di 8 chilometri quadrati, circa 300 carri e semoventi tedeschi dovettero affrontare oltre 600 tank sovietici. Lo scontro fu feroce. Helmut Steiner, della 9a Panzer Division, che guidava un PzKpfw IV alla sua prima azione, ha ricordato come il carro armato vicino al suo fosse esploso in una fiammata arancio. Lui tenne il piede premuto sull’acceleratore, finché «le ossa del piede non mi fecero male». Il superstite, momentaneamente accecato, di un tank sovietico semidistrutto gli passò davanti barcollando e lui ne colse fugacemente il volto attraverso la feritoia, «fermo immagine di un misto di shock, terrore e sbigottimento», prima che lo sventurato «sparisse sotto i cingoli». Il tenente Rudolf von Ribbentrop, comandante di compagnia nella Panzergrenadier Division Leibstandarte SS Adolf Hitler, inorridì al vedere il gran numero di carri armati sovietici sul campo di battaglia. Oltre la piccola altura, circa 150-200 metri avanti a me, apparvero 15, poi 30, poi 40 carri. Alla fine, erano troppi

per contarli. I T-34 venivano verso di noi ad alta velocità, trasportando uomini di fanteria… Ben presto la nostra prima granata fu in volo e, all’impatto, uno dei T-34 cominciò a bruciare. Erano ad appena 50-70 metri da noi… La valanga di carri nemici ci veniva incontro, un carro dopo l’altro! A Prokhorovka, il II SS-Panzerkorps inflisse ingenti perdite alla 5a Armata corazzata della guardia, danneggiando o distruggendo 400 veicoli a un costo relativamente limitato per il proprio schieramento. Per molti dei suoi uomini, tuttavia, quella battaglia fu l’ultima goccia. L’estenuante passaggio attraverso le difese dell’Armata rossa, durante il quale, prima dello scontro di Prokhorovka, avevano perso 330 carri e cannoni d’assalto, aveva già sfibrato loro il morale al punto che la determinazione a compiere attacchi contro la forte resistenza sovietica andava rapidamente sfumando. Non appena la spinta tedesca a nord e a sud del saliente fu contenuta, l’Armata rossa sferrò una serie di dirompenti contrattacchi, che nel settembre 1943 avevano ormai rispedito l’Ostheer oltre la linea del fiume Dnepr.

SOPRA: Lo schema mostra i punti chiave da mantenere lubrificati sul Panther (in arancione). Le parti indicate in verde sono invece da controllare e quelle in blu da pulire.

A FRONTE: Se i tedeschi avevano copiato i cingoli larghi, la corazzatura inclinata e la manovrabilità del T-34, non erano però riusciti a cogliere l’insistenza sovietica sulla semplicità di fabbricazione, che aveva permesso di produrne un gran numero. Questa sezione del cambio di un Panther ne mostra la complessità, malgrado l’obiettivo dichiarato di semplificare il veicolo in vista di una produzione in serie.

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PZKPFW V PANTHER SPECIFICHE // PZKPFW V PANTHER EQUIPAGGIO: 5 PESO: 43-45,5 t CORAZZATURA: 120 mm ARMAMENTO: 1 cannone L/70 da 75 mm, 2 mitragliatrici da 7,92 mm VELOCITÀ MASSIMA: 55 km/h MOTORE: Maybach HL230 P30 700 hp, benzina

Il Panther era la risposta tedesca al T-34. Ne incorporava le principali caratteristiche: corazzatura inclinata, velocità e manovrabilità. Hitler si era fortemente interessato alla fase progettuale e la prima produzione di carri armati uscì dalla Maschinenfabrik Augsburg-Nürnberg (MAN) nel gennaio 1943. Le caratteristiche più notevoli del Panther erano il suo cannone L/70 da 75 millimetri, il glacis (cioè la piastra corazzata anteriore) inclinato, i cingoli larghi e le sospensioni a barre di torsione. La rapidità con cui fu messo in produzione, tuttavia, rese trasmissione e sterzo meccanicamente inaffidabili. Il motore aveva una tendenza a surriscaldarsi, come avvenne quando il Panther fece il suo debutto a Kursk, dove spesso si incendiava. Modifiche successive mitigarono i difetti iniziali e il carro armato andò a equipaggiare uno dei due battaglioni di ciascun Reggimento corazzato. Ne furono prodotte tre versioni principali: il Model D, il Model A e infine il Model G. Circa 3740 Panther erano dei Model G. La derivazione più notevole del Panther fu il cacciacarri Jagdpanther, ma vennero anche realizzate le versioni carro comando, carro di osservazione per artiglieria e carro recupero.

CAPITOLO // 23

BALZA IN SCENA LA TIGRE ALL’EPOCA DELLA SUA INTRODUZIONE, NEL 1942, E PER UN CERTO PERIODO SUCCESSIVAMENTE, IL PZKPFW VI TIGER I FU IL CARRO ARMATO PIÙ POTENTE DEL MONDO. ERA GIUSTAMENTE TEMUTO E OGNI SOLDATO ALLEATO AVREBBE RICORDATO CON RISPETTO MISTO AD APPRENSIONE IL ROMBO DEL SUO MOTORE IN LONTANANZA. Le origini del Tiger risalivano a ideazioni prebelliche finalizzate allo sviluppo di Panzer più pesanti, riprese in seguito agli scontri del 1940 con i carri francesi e britannici, pesantemente corazzati. Nell’aprile 1941 fu inserito nelle specifiche il cannone a tiro rapido da 88 millimetri. La messa a punto venne accelerata in seguito a una riunione con Hitler, il mese successivo, e ulteriormente affrettata dagli incontri con i nuovi tank sovietici. Per l’appalto concorsero Porsche e Henschel, ma l’Agenzia per gli armamenti respinse gli anticonvenzionali progetti della Porsche. La Henschel si aggiudicò il contratto e la sua concorrente, per nulla scoraggiata, si buttò a capofitto in altri progetti per il ramo artiglieria dell’esercito, tra cui una nuova generazione di cacciacarri, riciclando risorse destinate allo sviluppo del Tiger, che fu prematuramente inviato a combattere sul Fronte orientale nell’agosto-settembre 1942.

Un debutto disastroso Come un bimbetto con il trenino nuovo, Hitler voleva sempre usare i suoi «giocattoli» appena uscivano dalla produzione, sfruttando l’effetto sorpresa e l’impiego in massa. Il primo lotto di Tiger fu sbattuto in azione pezzo per pezzo durante un’operazione secondaria nelle paludose foreste intorno a Leningrado, dove, avanzando pesantemente in fila indiana lungo il sentiero boschivo, i tank furono abbattuti uno dopo l’altro dai cannoni anticarro sovietici. Malgrado l’infausto debutto, il Tiger si rivelò in seguito un’arma formidabile. Il suo cannone da 92 colpi picchiava duro e superava in gittata quello del T-34; i suoi proiettili da 88 millimetri riuscivano a perforare corazze da 112 millimetri a 450 metri di distanza e in seguito furono perciò assai temuti dagli equipaggi degli M4 Sherman, il principale tank alleato in Europa Occidentale. Questo netto squilibrio di potenza rispecchiava i due diversi approcci scelti da Alleati e tedeschi tra produzione in serie e tecnologia. I tedeschi optavano per la seconda, gli americani, con la loro industria smisuratamente più vasta, sceglievano la prima. Si concentravano su carri armati più agili e leggeri, il che lasciava gli equipaggi britannici e statunitensi in una condizione di svantaggio contro avversari più pesantemente armati e corazzati. La corazzatura del Tiger non aveva l’inclinazione ideale, ma era spessa 100 millimetri sul davanti, 80 millimetri ai lati. Il tank pesava 56 tonnellate, cosa che ne limitava la velocità fuoristrada a 19 chilometri orari e l’autonomia a circa 95 chilometri, imponendo un notevole sforzo alla trasmissione.

Nel novembre 1942, la produzione aveva raggiunto il ritmo di 25 Tiger al mese. Nell’agosto 1944, quando si cessò di fabbricare il Tiger I, ne erano stati realizzati 1300 esemplari, una quantità relativamente piccola a fronte del suo influsso sul morale degli Alleati. Oltre che sul Fronte orientale, il Tiger operò in Tunisia, Sicilia, Italia peninsulare, Francia ed Europa nordoccidentale, equipaggiando i battaglioni di carri pesanti di circa 30 veicoli, sotto il controllo del quartier generale di un’armata o corpo. Al Tiger I seguì in servizio attivo, nell’estate del 1944, il Tiger II o Königstiger, noto agli Alleati come «Royal Tiger». Sviluppato anch’esso dalla Henschel, era più grande, meglio protetto e più pesantemente armato del suo predecessore. La sua corazza era più spessa e disposta con criteri più scientifici, sfruttando i piani inclinati. Benché poderosi e con buone probabilità di arenarsi in una battaglia dai movimenti rapidi, i Tiger erano in grado di avere la meglio anche in circostanze sfavorevoli e di abbattere numerosi veicoli corazzati nemici, riportando il minimo di danni.

a SiniStra: La posizione del pilota nel Tiger I. Il suo portello era sulla sinistra, il quadro strumenti sulla destra. Il volantino manuale sopra il volante serviva ad aprire e chiudere la feritoia sul davanti del carro. Sopra: Un proiettile esplosivo da 88 millimetri (da un Tiger I). a fronte, in alto: Questo disegno in sezione del Tiger era stato prodotto nell’ambito di un vasto resoconto britannico su un Tiger 131 catturato in Tunisia. a fronte, in baSSo: Il Tiger 131 fu trasferito al Tank Museum nel 1951 e restaurato in condizioni di funzionamento nel 2004. Viene ancora usato per dimostrazioni ed è apparso nel film di guerra Fury nel 2014.

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TIGER I SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 5 PESO: 56 t CORAZZATURA: 120 mm ARMAMENTO: 1 cannone L/56 da 88 mm, 2 mitragliatrici da 7,92 mm VELOCITÀ MASSIMA: 45,4 km/h MOTORE: Maybach HL230 P45 700 hp, benzina

A SINI INISSTRA E A FRONTE: Il Tigerfibel del 1942 era un libretto illustrato con vignette, motti, rime e schede utili, per dar modo ai membri dell’equipaggio di usare al meglio il carro armato e svolgere correttamente la manutenzione.

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CAPITOLO // 24

I CACCIACARRI LA SECONDA GUERRA MONDIALE VIDE IL FIORIRE DI UN ALTRO MEZZO CORAZZATO DA COMBATTIMENTO: IL CACCIACARRI, ARMATO DI CANNONE, MA CON UN RANGE OPERATIVO RIDOTTO RISPETTO AL CARRO ARMATO E PROGETTATO PER DISTRUGGERE EFFICACEMENTE I CORAZZATI NEMICI. QUALCUNO ERA POCO PIÙ DI UN’IMPROVVISAZIONE, ALTRI AVEVANO ALLA BASE UNA PROGETTAZIONE PIÙ SOFISTICATA. Di tutti gli attori del conflitto, i tedeschi furono i più propensi all’uso del cacciacarri, e nelle formazioni corazzate distinguevano poco tra cacciacarri e carro armato propriamente detto. La prima generazione di cacciacarri tedeschi o Panzerjäger («cacciatori di carri

armati») montava cannoni anticarro dietro uno scudo a tre lati, su un telaio opportunamente adeguato. Più di 200 PzKpfw I obsoleti furono modificati eliminando la torretta e ricostruiti come Panzerjäger I, armandoli di cannone anticarro da 47 millimetri.

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Il Marder («Martora») II fu introdotto nel 1942, dopo che l’aspro combattimento sul Fronte orientale aveva indotto a una revisione delle tattiche corazzate. La prima versione sfruttava il telaio dei PzKpfw II Ausf. A, B, C ed E, su cui era montato un cannone anticarro L/46 Pak 40/2 da 75 millimetri; la seconda usava il telaio dei PzKpfw II Ausf D ed E ed era armata di un cannone sovietico Modello 36 catturato da 76,2 millimetri, con camera di scoppio sostituita per adattarla ai colpi da 75 millimetri tedeschi. La versione più diffusa fu il Marder III, entrato in servizio nel 1942 e basato sul telaio del PzkPfw 38(t) di fabbricazione ceca. I modelli successivi ebbero il cannone anticarro tedesco L/46 Pak 40/3 da 75 millimetri. Il Marder I, che stranamente fece la sua apparizione sul campo solo nel 1943, era armato di cannone anticarro Pak 40/1 da 75 millimetri sul telaio del cingolato francese Lorraine, un veicolo corazzato per il trasporto truppe dall’armamento leggero, o su quello del carro leggero francese Hotchkiss, o ancora del carro di fanteria francese FCM. Furono prodotti in totale 716 Marder II

Il Ferdinand

Sopra: Il Panzerjäger I montava un cannone anticarro da 47 millimetri sul telaio del PzKpfw I. Il veicolo offriva una certa protezione all’equipaggio e il cannone una mobilità difficile da eguagliare nella tradizionale configurazione a rimorchio.

Nell’esercito tedesco, i cacciacarri dipendevano dall’artiglieria. Nel 1943 c’era un urgente bisogno, sul Fronte orientale, di cacciacarri semoventi e cannoni di supporto alla fanteria (Sturmgeschütze) in sostituzione degli obsoleti cannoni anticarro a rimorchio da 37 e 50 millimetri, insufficienti contro il T-34. I Marder avevano parzialmente colmato quella lacuna, ma la loro sovrastruttura aperta in alto lasciava il personale troppo esposto. Il dottor Ferdinand Porsche, che non era riuscito ad aggiudicarsi la commessa per il Tiger, si accostò a Hitler con un progetto per la costruzione di un potente Jagdpanzer («carro armato da caccia»), chiamato in origine Ferdinand (in seguito rinominato Elefant), sul

a fronte: Un cacciacarri Marder II attraversa un villaggio russo. La vastità degli spazi e la mancanza di strade asfaltate comportavano l’usura dei veicoli e costituivano un notevole problema logistico per i tedeschi.

e 1577 riconversioni Marder III. Il Marder I era considerato un equipaggiamento da seconda linea; Marder II e III operarono invece con le unità anticarro delle divisioni corazzate e di fanteria della prima linea, finché non furono sostituiti con cacciacarri ancora più formidabili.

telaio concepito in origine per il Tiger mai realizzato. Hitler comprese immediatamente che la produzione di Jagdpanzer avrebbe potuto essere più rapida e meno costosa di quella di carri armati e avrebbe costituito una via più semplice al potenziamento della Panzerwaffe. In ciò fu incoraggiato dall’Arma di artiglieria, decisa a mantenere i cannoni d’assalto e i cacciacarri nella propria sfera di controllo. Il cacciacarri pesante Ferdinand montava un cannone da 88 millimetri su una sovrastruttura fissa sul retro dello scafo ed era protetto anteriormente da 200 millimetri di corazza. A prima vista era un mostro dall’aspetto formidabile – peso: 67 tonnellate – ma era più costoso da produrre del Marder, di cui condivideva l’area di fuoco limitata, e mancava di armamento secondario. Essenzialmente un fortino mobile e simbolo del crescente gigantismo che aveva contagiato la Panzerwaffe, il Ferdinand era straordinario in difesa, ma meno adatto a un ruolo offensivo mobile. Nel luglio 1943, durante la Battaglia di Kursk, in cui furono schierati 76 Ferdinand in due battaglioni corazzati sul fianco nord del saliente, la brutale potenza di fuoco e la corazzatura pesante consentirono loro di far breccia senza difficoltà nelle zone difensive sovietiche, ma ben presto si ritrovarono isolati in un dedalo di trincee, dove furono

separati dai carri armati, necessari a coprire i fianchi. Privo di armamento secondario, il Ferdinand cadeva spesso vittima degli uomini della fanteria sovietica, che spuntavano dalle loro buche, gli saltavano a bordo in movimento e dirigevano i lanciafiamme sulle griglie di aerazione. Riesaminando la performance di questi cacciacarri a Kursk, Guderian li giudicò:

Sopra: Veicoli catturati vengono portati a esaminare negli Stati Uniti. Sulla sinistra c’è un Marder II con il cannone anticarro da 7,5 centimetri; sulla destra un Wespe, che sfruttava lo stesso telaio del PzKpfw II, ma montava un obice da 10,5 centimetri.

…incapaci di combattimento a distanza ravvicinata, poiché privi di munizioni sufficienti (perforanti o esplosive) per i loro cannoni, difetto aggravato dal fatto che non possedevano mitragliatrici. Una volta fatta irruzione oltre le linee della fanteria nemica, dovevano fare letteralmente il tiro alla quaglia con il cannone. Non riuscirono a neutralizzare, tanto meno a distruggere, la fanteria e le mitragliatrici del nemico e i nostri fanti non poterono, perciò, avanzare dietro di loro: quando raggiunsero l’artiglieria russa erano ormai abbandonati a se stessi. Dopo il fallimento di Kursk, i Ferdinand/Elefant ebbero una seconda vita meno grama. Dotati di mitragliatrice a scafo, i superstiti di Kursk furono inviati in Italia, dove se la cavarono egregiamente in posizioni semistatiche, la spessa corazza che si dimostrava quasi impermeabile ai cannoni anticarro alleati.

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Sostituzione dei Marder Lo Jagdpanzer IV fu introdotto verso la fine del 1943, per sostituire i Marder nei battaglioni di cacciacarri delle Divisioni corazzate. Dal peso di 24 tonnellate, sfruttava il telaio del PzKpfw IV, con una camera di combattimento interamente separata e una corazzatura dalla buona inclinazione, che si estendeva anche al retro del veicolo e che gli valse il nomignolo di «anatra di Guderian». Le versioni successive dello Jagdpanzer IV, con corazzatura frontale spessa 80 millimetri, furono armate di L/70 KwK 42 da 75 millimetri e di una mitragliatrice. Spesso si aggiungevano gonne protettive laterali come difesa dai proiettili a carica cava e, verso la fine della guerra, si stese uno strato di pasta speciale Zimmerit sulla corazza per contrastare l’applicazione di mine magnetiche. La velocità massima di questi mezzi era di 39 chilometri orari. Lo Jagdpanther entrò in servizio nel 1944. Da molti ritenuto il migliore cacciacarri della Seconda guerra mondiale, sfruttava il telaio del Panther ed era armato di un cannone L/71 Pak 43/3 da 88 millimetri, alloggiato in una sovrastruttura bene inclinata. Con il suo peso di 45 tonnellate, era in grado di raggiungere i 45 chilometri orari e aveva un equipaggio di cinque uomini. I suoi svantaggi erano il

brandeggio limitato e un’altezza di quasi 3 metri, che rendeva difficile nasconderlo in caso di imboscata. Lo Jagdpanther sostituì il cacciacarri pesante Nashorn («Rinoceronte») aperto in alto, che equipaggiava battaglioni forti di 30 unità agli ordini dei comandanti d’armata.

Cacciacarri alleati L’armata rossa aveva utilizzato per l’SU-85 il telaio del T-34 con il suo cannone D-5T da 85 millimetri, che fuoriusciva da una sovrastruttura chiusa. Una versione dall’armamento potenziato – l’SU-100, con cannone da 100 millimetri – fu introdotta nel 1944 e andò a equipaggiare molti degli stati clienti e alleati dell’Unione sovietica dopo la guerra. I battaglioni di cacciacarri (tank destroyer, TD) americani dovevano essere mobili e compatti, per contrastare le azioni di sfondamento corazzato dei tedeschi su un fronte limitato. Di fatto ciò avvenne solo in un’occasione, in Tunisia, a El Guettar, tra il marzo e l’aprile del 1943, quando 50 carri della 10a Divisione corazzata riuscirono a sopraffare la 1a Divisione di fanteria statunitense, prima di finire in un campo minato ed essere poi fermati da artiglieria, cannoni anticarro e 31 cacciacarri M10 Wolverine americani.

Sopra: Lo Jagdpanther. Hitler aveva un debole per i cacciacarri e, alla dimostrazione del primo Jagdpanther, nel dicembre 1943, sostenne che il veicolo aveva costi di produzione inferiori, minor peso e maggiore mobilità del Tiger II, armato dello stesso cannone.

CACCIACARRI M10 SPECIFICHE // M10 EQUIPAGGIO: 5 PESO: 29,4 t CORAZZATURA: 37 mm ARMAMENTO: 1 cannone M7 da 76 mm, 1 mitragliatrice Browning 0.50 VELOCITÀ MASSIMA: 48 km/h MOTORE: Doppio motore GMS6/71 diesel (M10), Ford GAA V8 benzina (M10A1) 375 hp L’M10 era un cacciacarri realizzato sul telaio del carro medio M4A2 Sherman, con corazzatura dello scafo inclinata e dotato di una torretta aperta capace di brandeggio a 360°. Montava un cannone a tiro rapido da 76 millimetri. Nel giugno 1942 il progetto fu standardizzato e il telaio degli M4A3 Sherman fu usato per aumentare la produzione nella versione denominata M10A1. Furono realizzati quasi 5000 M10 e 1413 M10A1. Alcuni M10A1 senza torretta furono in seguito riconvertiti all’uso come trattori di artiglieria pesante (M35). L’M10 entrò in servizio durante le fasi conclusive della guerra in Africa Settentrionale.

I cacciacarri americani, detti anche Gun Motor Carriages, erano mobili, pesantemente armati e, in genere, con torretta aperta. L’M10 Wolverine sfruttava lo scafo e la trasmissione di un M4 Sherman e aveva un cannone da 76 millimetri. Probabilmente il più efficace di tutti i tank destroyer degli Stati Uniti fu il rapido, potente M18 Hellcat, anch’esso dotato di cannone 76 millimetri. Ne furono costruiti poco più di 2500, dalla sezione Buick della General Motors, tra il luglio 1943 e l’ottobre 1944, ma solo il successivo M36, con la grande torretta che alloggiava un cannone da 90 millimetri e con la corazza spessa 50 millimetri, poteva rivaleggiare a lunga distanza con i corazzati tedeschi. Nel 1945 ne erano stati ormai costruiti circa 1700. Come la controparte tedesca, l’artiglieria britannica manteneva gelosamente il controllo del settore cacciacarri. Anche i britannici, inoltre, incontrarono difficoltà nel sistemare il cannone anticarro da 17 libbre su carri standard adeguati. Ne risultò il TD Archer, costruito con scafo e telaio di un carro armato Valentine e su cui fu appunto montato il 17 libbre, in una struttura fissa e aperta sul retro del veicolo. Ciò implicava che, oltre ad avere un brandeggio limitato, il veicolo doveva essere girato in posizione per sparare. Un altro svantaggio era che il cannone rinculava direttamente verso il sedile del pilota. Introdotto nell’autunno 1944, l’Archer rimase in servizio dopo la guerra. Vide l’azione per l’ultima volta con l’esercito egiziano nel conflitto del 1956 con Israele.

Sopra: Un Archer usato dagli uomini della Royal Artillery con funzione di fuoco di supporto nell’inverno del 1944. Sparava proiettili esplosivi su obiettivi nemici con il cannone da 17 libbre.

a fronte: Il cacciacarri americano M10 in Germania, nel 1945. La corazza sottile e la torretta aperta implicava che questi veicoli si dovessero manovrare in modo molto diverso da un carro armato convenzionale.

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CAPITOLO // 25

LE STRANEZZE DI HOBART IL RAID SU DIEPPE, DISASTROSA «RICOGNIZIONE IN FORZE», AVEVA DATO SE NON ALTRO AGLI ALLEATI UN SANO AVVERTIMENTO SUI RISCHI DI UN’INVASIONE PREMATURA DELL’EUROPA NORD-OCCIDENTALE. ERA EVIDENTE CHE LA FORZA D’INVASIONE ALLEATA AVREBBE DOVUTO SUPERARE IN FRETTA GLI OSTACOLI E LE FORTIFICAZIONI COSTIERE PRESENTI SULLE SPIAGGE DELLA NORMANDIA, PERCHÉ LA TOPOGRAFIA DELL’ENTROTERRA SI PRESTAVA A UN CONTRATTACCO DA PARTE DEI CORAZZATI TEDESCHI. L’Alto comando degli Alleati non aveva certo bisogno che gli si ricordassero gli sbarchi a Salerno del settembre 1943, in cui un assalto ben pianificato era quasi fallito per la rapidità della reazione tedesca. L’invasione dell’Europa nord-occidentale, nel 1944, esigeva la messa a punto di versioni modificate dei corazzati, che sarebbero intervenute a stendere ponti su corsi d’acqua e fossati, a lanciare fiamme, a distruggere fortini e postazioni nemiche, a guadare fiumi e, prima ancora, a facilitare lo sbarco degli eserciti alleati e il consolidamento di una posizione sicura sul territorio francese. Allo scopo si costituì la 79a Divisione corazzata, agli ordini di sir Percy Hobart (universalmente soprannominato «Hobo») e i veicoli che realizzò presero l’affettuoso nomignolo di «Stranezze di Hobart».

Mezzi anfibi Il punto di partenza era l’invasione delle spiagge. La divisione del generale Hobart mise a punto una serie di armi ingegnose, in grado di aprire varchi in campi minati o di far breccia nelle mura costiere che dominavano il litorale. Soprattutto, occorrevano carri armati che si potessero far partire dalle navi e che arrivassero a riva in acqua, a supportare la fanteria d’assalto. L’idea era stata elaborata dall’ingegnoso J. Walter Christie nel 1924, quando un veicolo anfibio corazzato di sua concezione era giunto per mare da una nave a una spiaggia di Porto Rico. Nei primi anni Trenta, la Vickers-Armstrong aveva costruito due prototipi di carri leggeri anfibi, e circa 4000 ne erano stati fabbricati in Unione sovietica tra il 1933 e il 1939 come T-37 e T-38. Questi, però, erano veicoli piccoli, armati solo di mitragliatrice e unicamente in grado di navigare nelle acque calme dell’entroterra. Il problema fu risolto da un ingegnere ungherese, Nicholas Straussler, che era divenuto cittadino britannico nel 1933. Straussler aveva lavorato alle autoblindo, ai trattori di artiglieria e ai carrelli per bombe usati dal Comando bombardieri della RAF. Nel 1941, concepì uno speciale telo galleggiante e lo adattò a un carro leggero Tetrarch, equipaggiato di eliche che erano azionate dalla stessa trasmissione responsabile del movimento dei cingoli. Le due forme di propulsione, eliche e trasmissione del tank, diedero il nome al sistema: Duplex Drive o DD.

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Il Tetrarch DD superò efficacemente i test di collaudo a Brent Reservoir e al largo di Hayling Island e si diede il via libera alla riconversione di 600 carri di fanteria Valentine che erano usati per test e addestramento. Il tank scelto per l’Operazione Overlord, quella degli sbarchi in Normandia, fu l’M4 Sherman, che in versione DD avrebbe equipaggiato tre battaglioni corazzati americani, tre britannici e due canadesi.

L’Operazione Overlord Il 6 giugno 1944, gli Sherman DD attraversarono la Manica su mezzi da sbarco: quelli britannici e canadesi trasportavano cinque carri ciascuno, quelli americani, più corti, quattro. Nella Baia della Senna gli Sherman ebbero fortune alterne. A Juno Beach, ventuno dei 29 veicoli approdarono nel punto prescelto per l’invasione. A Gold Beach, otto carri della Sherwood Rangers Yeomanry naufragarono durante l’avvicinamento e, quando gli altri approdarono, gli Sherman Crab avevano già annientato le posizioni dell’artiglieria e i nidi di mitragliatrici che avrebbero dovuto essere i loro obiettivi. A Utah Beach, il 70o Battaglione corazzato USA lanciò 27 DD, ma questi, confusi dalla spessa cortina di fumo, approdarono per la maggior parte a 1800 metri di distanza dall’obiettivo. 112 DD erano stati assegnati a Omaha Beach, con 56 carri a testa del 741o e 743o Battaglione corazzato americano. Alle 05:40, a 5 chilometri dalla costa, il 741o lanciò 29 DD, 27 dei quali affondarono. Gli altri furono depositati direttamente sulla spiaggia un’ora dopo. A Utah Beach le onde erano state troppo alte per i mezzi anfibi. Il loro punto di approdo era una chiesa all’orizzonte e, per mantenerla in vista, i veicoli erano stati costretti a scostarsi progressivamente dal litorale, imbarcando acqua nei dispositivi di galleggiamento.

IN ALTO: Uno Sherman DD sganciato dal mezzo da sbarco. Si finì per concludere che, in caso di mare mosso, era meglio correre il rischio di arrivare più vicino alla spiaggia prima di lanciare i tank anfibi. SOPRA: Il distintivo della 79a Divisione corazzata britannica. A DESTRA: Il Davis Escape Apparatus, equipaggiamento di salvataggio sottomarino in dotazione ai DD. A FRONTE: Un Churchill con ponte a trave scatolare. Usato in genere per oltrepassare fossati lunghi fino a 9 metri, questi ponti mobili furono impiegati come rampe nel D-Day, per permettere ai veicoli di proseguire dalle spiagge, superando le fortificazioni costiere.

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A SINI INISSTRA: Uno Sherman BARV (Beach armoured recovery vehicle) su una spiaggia della Normandia. Poteva trainare a riva veicoli che imbarcavano acqua, o risospingere in mare mezzi da sbarco più leggeri rimasti incagliati.

SOPRA: Uno Sherman DD sgonfia lo schermo di galleggiamento. Si pompava aria compressa in tubi di tela e, una volta gonfiato totalmente, lo schermo era mantenuto in posizione da appositi fermi.

IL GENERALE PERCY HOBART 1885-1957 Influenzato da Fuller e da Liddell Hart, Hobart era divenuto un appassionato sostenitore della teoria corazzata. Nel 1931, assunse il comando del 2o Reggimento corazzato reale, in cui promosse l’uso della radiotelefonia per il comando dei corazzati in azione. Nel 1933, divenne Ispettore del Corpo corazzato reale e un anno dopo ricevette il comando della 1a Brigata corazzata. Durante un’esercitazione nella Piana di Salisbury, dimostrò che una vasta formazione corazzata poteva spostarsi di 240 chilometri in tre giorni, distribuendosi lungo percorsi scelti, da una posizione a un’altra, e sfruttando ogni parvenza di nascondiglio naturale, nonché la gradita coltre delle tenebre, in un’anticipazione del Blitzkrieg. Hobart premeva per una totale meccanizzazione dell’esercito britannico, un’intuizione per cui riuscì a rendersi estremamente impopolare. La sua proposta del 1937 di una divisione corazzata costituita da una brigata corazzata, una brigata di cavalleria con uno o due reggimenti di carri leggeri e un gruppo motorizzato di fucilieri, cannoni anticarro, cannoni antiaerei, artiglieria da campo e Genio Reale, somigliava a quella che sarebbe stata una divisione corazzata del 1944. Il suggerimento, all’epoca, gli ottenne un rimprovero dal War Office. Hobart riscosse maggior favore in Germania, presso Heinz Guderian. Nel 1938 fu inviato in Egitto per formare una divisione mobile e costituire la forza che sarebbe divenuta in seguito la 7a Divisione corazzata (i Desert Rats, «Topi del deserto»). Nel 1939, tuttavia, fu sollevato dal comando e tornò in Inghilterra, dove fu inserito, volente o nolente, nella lista degli ufficiali a riposo ed entrò nella guardia civile della sua città. Churchill lo salvò dal pensionamento e gli affidò il comando dell’11a Divisione corazzata, appena costituita. Nell’estate del 1942 fu nominato comandante della 79a Divisione corazzata. Il vigoroso e combattivo Hobart ricevette sostegno in questo ruolo dal cognato, il generale Montgomery, che convinse il generale Eisenhower, Comandante supremo del Corpo di spedizione alleato, dell’importanza di corazzati specializzati nella pianificazione dell’Operazione Overlord.

Il bestiario di Hobart Gli Sherman DD furono le sole «stranezze» adottate senza riserve dagli americani. In realtà, entro la fine della guerra, la 79a Divisione corazzata aveva messo a punto un’intera famiglia di veicoli militari per usi speciali, quasi tutti basati su versioni modificate dei carri armati Churchill e Sherman (quest’ultimo particolarmente apprezzato per l’affidabilità meccanica). Tra essi c’erano il «Crocodile», un Churchill con lanciafiamme, e l’AVRE (Armoured Vehicle Royal Engineers), un Churchill attrezzato per distruggere le fortificazioni difensive tedesche. Il cannone principale dell’AVRE era stato sostituito da un mortaio Petard, che sparava proiettili da 18 chili pieni di esplosivo (li chiamavano «Bidoni della spazzatura volanti»), distruggendo ostacoli in calcestruzzo. Il «Crab» era uno Sherman dotato di flagelli di sminamento: spezzoni di catena attaccati a un tamburo rotante, che facevano esplodere le mine al passaggio del tank. Il BARV, veicolo corazzato da recupero su spiaggia (Beach Armoured Recovery Vehicle), era uno Sherman impermeabilizzato, la cui torretta era stata sostituita da una sovrastruttura corazzata. Capace di operare in acqua fino a 2,7 metri di profondità, era concepito per sgomberare dalle spiagge i veicoli arenati o affondati. La Canal Defence Light era un’ingegnosa invenzione, il cui nome induceva ingannevolmente a immaginare uno scopo difensivo: una lampada ad arco al carbonio inserita nella torretta di un carro armato e concepita in realtà per accecare e confondere i soldati nemici durante un attacco notturno. Non fu usata durante il D-Day, ma venne impiegata in Germania nelle fasi finali del conflitto. La 79a Divisione corazzata, che comprendeva sette brigate e 17 reggimenti, non operava come una singola divisione: i suoi veicoli venivano distribuiti in piccole quantità a formazioni incaricate di operazioni diversissime tra loro come sbarchi e attraversamento di fiumi. Per risolvere le eventuali difficoltà d’uso, ufficiali di collegamento della 79a venivano assegnati alle unità che ricevevano i suoi mezzi speciali. Una volta completata l’operazione, i veicoli tornavano alla Divisione.

SOPRA: Uno Sherman Crab mostra l’impiego dei flagelli. Le catene facevano detonare le mine disseminate davanti al carro, ma potevano anche strappare grovigli di filo spinato, come si vede qui.

A FRONTE: Il Bert, un Churchill che ha perso un cingolo davanti al Casinò di Dieppe, viene ispezionato da truppe tedesche. Il raid fu pagato a caro prezzo in termini di uomini e materiali e diede ai tedeschi un certo numero di Churchill da esaminare.

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CAPITOLO // 26

NORMANDIA // LO SCENARIO MUTEVOLE GLI SBARCHI IN NORMANDIA, CHE AVVENNERO IL 6 GIUGNO 1944 E APRIRONO UN SECONDO FRONTE CONTRO LA GERMANIA A OCCIDENTE, SEGNARONO UN PUNTO DI SVOLTA NEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE. NEI QUATTRO ANNI TRASCORSI DAL SUO INIZIO, IL NUMERO E IL RUOLO DEI CARRI ARMATI NEGLI ESERCITI DEI PRINCIPALI PAESI COINVOLTI ERANO MUTATI DRASTICAMENTE. a SiniStra: Il metallo delle difese anticarro tedesche in sovrappiù veniva forgiato in quattro «denti» applicati sulla parte anteriore del carro armato, per permettergli di solcare campi coltivati e siepi.

Nel 1943-1944 gli Stati Uniti produssero 47.000 carri armati, quasi tutti M4 Sherman. Nel 1940, prima dell’entrata in guerra, ne avevano prodotti 346. Sempre nel biennio 1943-1944 la Germania aveva fabbricato 29.600 carri armati e cannoni d’assalto (con l’eccezione del Tiger, i tedeschi facevano scarsa distinzione tra i due). Nello stesso periodo, la produzione sovietica di tank fu di 29.000 unità, quasi tutte del tipo T-34 e tutte realizzate negli immani stabilimenti di Čeljabinsk, soprannominata «Tankograd», la città dei carri armati. Di contro, in quei due anni, l’«industria artigianale» britannica del mezzo corazzato produsse solo 5000 veicoli. I britannici giunsero invece ad affidarsi all’M4 Sherman americano quale colonna portante delle loro divisioni corazzate. A Bulson, nel 1940, durante la Battaglia di Francia, la semplice eventualità di carri tedeschi in avvicinamento era bastata a seminare il panico in un’esperta divisione di

fanteria francese. Nel 1944, le navigate truppe che si trovavano a combattere sullo stesso territorio sapevano bene che fuggire era assai più pericoloso che tentare di mantenere le posizioni. Le formazioni corazzate tedesche non operavano più come avanguardia indipendente, ma avanzavano di concerto con una fanteria specializzata (i panzergranatieri) e supportati dall’artiglieria. La fanteria che abbandonava le proprie posizioni si esponeva a un variegato fuoco nemico. Scegliendo invece di non cedere terreno, poteva tenere a bada gli aggressori mentre chiamava a rinforzo l’artiglieria, l’aviazione e, almeno in teoria, un intervento dei propri mezzi corazzati. Il carro armato, di per sé, non era più uno strumento strategico autonomo. Piuttosto, era diventato parte integrante di un logoramento tattico che mirava a sfiancare il nemico anziché sfondarne le linee con la singola stoccata concepita da Liddell Hart e Fuller.

a fronte: La produzione dello Sherman sfruttava le risorse dell’industria automobilistica.

Lo spiraglio si richiude Subito dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, si profilò una fuggevolissima possibilità di risposta decisiva per i corazzati tedeschi. La Panzer Division più vicina alle posizioni alleate, il 6 giugno, era la 21a Divisione corazzata, parte del Gruppo d’armate B di Rommel, posizionata vicino a Caen, sul fianco orientale della britannica Sword Beach. Rommel era assente in congedo per malattia, ma il suo capo di stato maggiore, il generale di divisione Hans Speidel, ottenne il via libera dell’OKW a contrattaccare. Passarono però altre due ore prima che il suo diretto superiore, il generale Erich Marcks emanasse un ordine operativo, affinché i carri armati tentassero di introdursi nella breccia rimasta aperta tra Sword e Juno Beach. Speidel sperava che ciò avrebbe fermato l’avanzata dei britannici su Caen, che era ad appena 13 chilometri dal mare, e aggirato la loro testa di ponte. Marcks ammonì: «Se non riesce a ricacciare in mare gli inglesi, perdiamo la guerra». Alle 18:00, una brigata di fanteria britannica, accompagnata dai carri armati della Staffordshire Yeomanry, avanzava su Caen, quando incontrò l’avanguardia della 21a Panzer

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Division. Mentre il 22o Reggimento corazzato si faceva avanti per attaccare la testa di ponte nemica, i PzKpfw IV tedeschi si trovarono di fronte i cacciacarri Firefly («lucciola») della Staffordshire Yeomanry (Sherman armati di cannoni da 17 libbre) e subirono gravi perdite. Sorvolati da alianti della 6a Divisione paracadutisti e temendo di restare tagliati fuori, preferirono ritirarsi. Il 7 e l’8 giugno, la 12a Divisione SS Hitlerjugend attaccò i canadesi sulla loro testa di ponte, ma non riuscì a far breccia e ad arrivare al mare. Gli Alleati, che erano in grado di rafforzare le loro teste di ponte a un ritmo più rapido rispetto ai tedeschi, sotto costante attacco aereo, raccolsero le forze per un contrattacco decisivo. Il comandante delle forze di terra, il generale Montgomery, aveva sperato di prendere Caen entro il 6 giugno, ma si era scontrato con la forte resistenza della 12a Panzer Division SS il 7 e l’8 giugno, giorni durante i quali un attacco corazzato alla città fu sconfitto dai pochi battaglioni di Tiger presenti in Normandia. Un’altra offensiva – nome in codice Operazione Epsom – sferrata dalla 15a Divisione scozzese, venne fermata da 9a e 10a Panzer Division, e dopo cinque giorni di massicci scontri, l’operazione fu annullata.

SOPRA: Questi semplici schemi erano distribuiti agli equipaggi dei tank britannici, per aiutarli a stimare gli effetti dei vari tipi di munizioni sui carri tedeschi in servizio. Il Comet montava un cannone da 77 millimetri e la scheda, del 1944, descrive le possibili prestazioni a varie distanze dei due principali tipi di colpi anticarro in dotazione. DS significa Discarding Sabot e si riferisce a proiettili con involucro (sabot, il guscio esterno) a perdere. A FRONTE, IN ALTO: Il 147o Reggimento del Corpo corazzato reale si prepara all’offensiva in Normandia. Gran parte dei carri usa i cingoli anche come protezione extra. A FRONTE, IN BASSO: Prima dell’invasione alleata, Rommel ispeziona i semoventi d’artiglieria dell’unità del maggiore Becker.

OPERAZIONE GOODWOOD Negli intenti di Montgomery questa operazione, lanciata il 18 luglio a sud-est di Caen, avrebbe spalancato agli Alleati la via di Parigi, oltre la Cresta di Bourguébus. L’azione coinvolgeva la Divisione corazzata della Guardia, più la 7a e l’11a, e fu preceduta da un massiccio bombardamento aereo, il più pesante della Campagna di Normandia, che lasciò i sopravvissuti tedeschi in uno stato di shock. Tiger del peso di 56 tonnellate vennero capovolti dalla forza d’urto e i Pzkpfw IV rimasero sepolti sotto mucchi di terra. Entro metà mattina, i carri armati inglesi erano a metà strada rispetto all’obiettivo. Il successo pareva assicurato. Il comandante di un Gruppo di battaglia della 21a Panzer Division, colonnello Hans von Luck, avvistò la massa di Sherman in avvicinamento. Improvvisò in fretta una linea difensiva con i carri superstiti

e i cannoni da 88 millimetri, che abbatterono 12 Sherman; poi una compagnia del 503o Battaglione corazzato pesante incontrò la Divisione corazzata della guardia e ne colpì altri nove. Nel primo pomeriggio, i carri britannici erano ai piedi della Cresta di Bourguébus, ma in cima c’erano i battaglioni del genio della 1a Panzer Division SS, accorsa in battaglia come fanteria e supportata dai propri tank e da quelli della 12a Panzer Division SS. Mentre il Reggimento «Fife and Forfar Yeomanry» si disponeva a prendere il crinale, fu accolto dal fuoco di cannoni da 75 e 88 millimetri che pioveva dall’alto. Ben 126 Sherman andarono perduti: oltre la metà delle forze in dotazione alla Yeomanry. Nei precedenti scontri, la Divisione corazzata della guardia aveva perso 60 tank. L’Operazione Goodwood, partita sotto i migliori auspici, si era trasformata in un disastro per i corazzati alleati.

Sopra: L’uso dei bombardieri per sgomberare il percorso all’avanzata principale aveva causato infinite dispute all’interno dell’Alto comando alleato. Per le forze tedesche l’effetto fu devastante, come dimostra questo Tiger del 503o Battaglione.

PANZERFAUST, BAZOOKA E PIAT Il Panzerfaust era un’arma anticarro manuale tedesca senza rinculo, azionata da un singolo uomo. Era costituito da un corto tubo d’acciaio contenente una carica di lancio, in cui si inseriva una bomba a carica cava. Si infilava sotto il braccio, si mirava, usando come riferimento la testa della bomba, e si premeva il grilletto, azionando la carica propulsiva e sparando, con espulsione di gas dal retro del tubo ad annullare il rinculo. Il primo modello apparve nel 1942, ma aveva una gittata di appena 30 metri. Al termine del conflitto, le centinaia di migliaia di Panzerfaust distribuite alla Volkssturm (la Guardia Nazionale tedesca) erano efficaci contro i carri armati fino a 150 metri di distanza. Davano il meglio contro le corazzature laterali e posteriori, più sottili, ma potevano anche penetrare quella anteriore di gran parte dei tank alleati. In termini di efficienza economica, un Panzerfaust nelle mani di un bravo tiratore era tra le armi più efficaci della guerra. Il suo equivalente made in USA era il bazooka, che lanciava razzi anticarro da 60 millimetri, denominati M1, M1A1 o M9. Un tubo leggero (in due pezzi nel caso dell’M9) era sorretto a spalla dal tiratore, che lo puntava usando un semplice mirino. Un razzo con alette stabilizzatrici e dalla testata con carica cava veniva inserito nell’estremità posteriore del tubo e sparato premendo un grilletto ad accensione piezoelettrica. L’effettiva gittata del bazooka era di circa 135 metri e la testata poteva penetrare corazze da 200 millimetri. Il PIAT britannico (Projector, Infantry, Anti-Tank, «proietto anticarro per fanteria») funzionava secondo il principio del mortaio spigot. Una carica di lancio, innescata da un mollone, sparava una granata con testata a carica cava a una distanza di 110 metri. Il PIAT entrò in servizio nel 1943 e fu usato per la prima volta durante l’invasione alleata della Sicilia. Stando ai collaudi, quest’arma poteva mandare a segno il colpo nel 60 per cento dei casi, entro un range di 90 metri, ma le spolette difettose facevano sì che solo il 75 per cento dei colpi andati a segno esplodesse sul bersaglio. In Normandia il PIAT rese ragione del 7 per cento circa di carri armati tedeschi messi fuori uso.

Logoramento Gli Alleati impiegarono sei settimane di aspri combattimenti a estendere la testa di ponte in Normandia. Alla destra di Montgomery, le forze americane avanzarono attraverso la penisola del Cotentin verso Cherbourg, importante per le sue strutture portuali, che fu presa il 27 giugno dal VII Corpo statunitense. Raggiunto dall’VIII Corpo, questo si rivolse poi a sud e attraversò combattendo il bocage, un patchwork di campi, fitte siepi e paludi che era il terreno perfetto per un’imboscata. Il paesaggio assai impervio confinava i carri armati sulle strade. Il primo Sherman del 737o Battaglione corazzato indipendente che aveva tentato di aprirsi un varco attraverso una siepe era finito a pancia in su come una testuggine. Una soluzione fu dotare alcuni Sherman di «denti» montati sul davanti, che consentivano al tank di aprirsi la via a falciate attraverso le fitte barriere naturali. Un «effetto collaterale» positivo di quella difficoltosa situazione fu che il problematico ambiente neutralizzava il vantaggio sulla lunga distanza dei cannonieri a bordo dei tank tedeschi. E tuttavia questi

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attendevano i carri alleati, che erano costretti a uscire allo scoperto anzi tempo. Le perdite furono ingenti da entrambe le parti. La Panzer Lehr Division, comandata dal generale Fritz Bayerlein, si ritrovò sul cammino del VII Corpo USA mentre lanciava il suo assalto su Saint Lô, a circa 19 chilometri da Omaha Beach. L’attacco fu preceduto da un bombardamento a tappeto e Bayerlein ne testimoniò così i devastanti effetti: «Dopo un’ora non avevo più comunicazioni con chicchessia, anche via radio. A mezzogiorno, ormai, nulla era più visibile, se non polvere e fumo. La mia prima linea pareva la superficie lunare e almeno il 70 per cento delle mie truppe era fuori combattimento: tutti morti, feriti o storditi.» A Bayerlein era stato promesso un battaglione SS di 60 Tiger. Ne arrivarono cinque. Con appena 14 carri rimanenti, si ritirò la notte del 17 luglio e Saint Lô fu presa il giorno dopo. La Panzer Lehr era stata un tempo la divisione corazzata forse più forte dell’esercito tedesco e le sue rovinose condizioni dimostravano l’asprezza degli scontri in Normandia.

Sopra: Istruzioni per l’uso del Panzerfaust di epoca bellica. La carica cava poteva arrivare a 30 metri e perforare corazze di 200 millimetri, se esplodeva con la giusta angolazione (aveva minore effetto sulle superfici inclinate). Il Panzerfaust, prodotto in massa, era semplice da usare e molto efficace. È tra i precursori dell’onnipresente lanciarazzi dei giorni nostri.

I carri bruciati erano sempre uno spettacolo mesto. Il soldato Austin Baker dei Royal Dragoons Guards andò in cerca di un suo amico, Wally Walters, in un Cromwell incendiato: …L’esterno è di solito di un color ruggine sporco, opaco, l’interno un caos annerito. C’è un odore strano, indescrivibile. Il fondo del carro armato di Jonah era stato squarciato dall’esplosione e riuscimmo a guardare dentro

dal di sotto. Non c’era traccia di anima viva in torretta, a parte una massa informe sul sedile di guida che doveva essere Walker. Vedemmo un corpo a terra, vicino al cingolo sinistro. Qualcuno ci aveva steso sopra un telo, ma noi lo sollevammo. Era probabilmente Brigham Young, ma sarebbe stato impossibile riconoscerlo: nero, bruciato ovunque… Parte dei calzettoni era tutto ciò che rimaneva dei vestiti. Nessuno trovò mai traccia di Wally.

SOPRA: Un Tiger ne traina un altro. Ufficialmente era vietato, perché lo sforzo in più imposto al motore del tank che trainava poteva comprometterlo a sua volta, ma il bisogno di recuperare i potenti veicoli faceva sì che la norma venisse spesso ignorata.

A DE DESSTRA: Il distintivo della 11a Divisione corazzata britannica.

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SOTTO: Schizzo di un Panther messo fuori uso in Normandia, eseguito da Christie Fyffe. Il soggetto è erroneamente denominato Tiger. Molti soldati avevano visto ben pochi tank tedeschi «dal vivo» e non possedevano le conoscenze dettagliate che abbiamo noi oggi.

CAPITOLO // 27

LA SACCA DI FALAISE LA PRIMA E ULTIMA APPLICAZIONE DEL BLITZKRIEG DA PARTE DI UN ESERCITO ALLEATO NEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE SI EBBE DURANTE LA BATTAGLIA DELLA SACCA DI FALAISE, NELL’AGOSTO 1944. Fallito il tentativo tedesco di contenere la testa di ponte alleata in Normandia, un torrente di colonne motorizzate e meccanizzate irruppe nello stretto corridoio tra Mortain e il mare, ad appena 32 chilometri di distanza, precipitando gli eventi che portarono all’ultima grande battaglia corazzata in Francia. Hitler, che ormai si aggrappava a ogni speranza, vide l’espansione degli Alleati come una nuova opportunità. Disse al personale operativo: Dobbiamo agire come il lampo… Quando raggiungeremo il mare, le teste di ponte americane saranno tagliate fuori… Potremmo persino riuscire a isolare l’intera testa di sbarco. E non dobbiamo attardarci a cercare di contenere gli americani che hanno già sfondato. Il loro turno verrà dopo. Dobbiamo tagliare a nord come il lampo e rivoltare l’intero fronte nemico da dietro. a

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Quattro divisioni corazzate – 2 , 116 , 1 e 2 SS – si portarono al fianco della 1a Armata statunitense, mentre si dirigeva rapidamente a sud dalla Bretagna. Gli Alleati, però, avevano il vantaggio di intercettare con regolarità e decodificare le trasmissioni tedesche (denominate in codice informazioni «Ultra»), che localizzavano con precisione i movimenti del nemico. Di conseguenza, quattro divisioni americane – 3a corazzata, 30a e 44a, con la 2a corazzata di riserva – furono incaricate di bloccare l’Operazione Lüttich, la spinta tedesca verso l’Atlantico, lungo la valle della Sée. La notte tra il 6 e il 7 agosto, la 2a Panzer Division fu fermata dalla 30a Divisione, i cui cacciacarri colpirono 14 panzer prima di attendere che la luce del giorno portasse il supporto aereo. Nell’estate del 1944, ogni divisione di fanteria britannica e americana possedeva ormai fino a 100 cannoni anticarro e centinaia di razzi anticarro a lancio manuale. In generale, la corazzatura può essere perforata da colpi di diametro uguale al suo spessore e solo le corazze tedesche più spesse erano superiori ai 100 millimetri. Se inoltre nel 1940 i corazzati tedeschi erano raramente disturbati dall’intervento aereo alleato, l’equilibrio era mutato anche in quest’ambito in favore degli Alleati e i cieli erano sgombri della presenza della Luftwaffe. Il 7 agosto, i Typhoon sottoposero i mezzi corazzati tedeschi a otto ore e mezza di attacco con i razzi. Come avrebbe osservato un comandante della 2a Panzer Division, «I vostri cacciabombardieri, semplicemente, ci inchiodarono al suolo». Gli attacchi aerei inflissero un pesante colpo psicologico alla Panzerwaffe. Ricerche successive condotte dal 21o Gruppo d’armata tentarono di appurare il danno inflitto a svariate centinaia

CARRO MEDIO PZKPFW IV SPECIFICHE // PZKPFWIV MODEL H EQUIPAGGIO: 5 PESO: 25 t CORAZZATURA: 80 mm ARMAMENTO: 1 cannone L/48 da 75 mm, 2 mitragliatrici da 7,92 mm VELOCITÀ MASSIMA: 42 km/h MOTORE: Maybach HL120 TRM 300 hp Il PzKpfw IV fu il solo carro armato tedesco a rimanere in produzione senza interruzioni per l’intera durata del conflitto. Le specifiche, che risalivano al 1935, prevedevano che il peso della battaglia fosse sorretto da due principali tipi di veicoli corazzati: il primo, armato di cannone a tiro rapido, era il PzKpfw III; il secondo, un tank di supporto con proiettili esplosivi di grosso calibro, era appunto il PzKpfw IV. Le consegne cominciarono nel 1939 e il Modello D prese parte alle campagne di Polonia e di Francia. Il PzKpfw’s IV montava in origine un cannone KwK 37 L/24 a canna corta da 7,5 centimetri e il suo layout somigliava a quello del PzKpfw III. C’erano tre comparti per l’equipaggio: pilota e operatore radio occupavano quello anteriore, con la mitragliatrice a scafo sulla destra e leggermente arretrata rispetto al guidatore. La torretta, nella camera di combattimento, ospitava capocarro, cannoniere e servente. Il brandeggio della torretta era assicurato da un motore elettrico (nel PzKpfw III avveniva invece a mano). Il IV trasportava fino a 80 proiettili per il cannone, più 2800 colpi in cartucciere per le mitragliatrici. L’esperienza sul campo indicò il bisogno di aumentare la corazzatura del PzKpfw IV e il processo ebbe inizio con il Modello E. Nel 1943, l’adattamento di un cannone L/43 a canna lunga da 75 millimetri per il Modello F2 cambiò radicalmente il ruolo di questo carro armato, che divenne un veicolo da combattimento e, insieme al sovrarmato Modello G con gonne laterali protettive, cominciò gradualmente a soppiantare il PzKpfw III. I Modelli G successivi presentavano un più potente cannone L/48 da 75 millimetri, che portò il PzKpfw IV grossomodo al livello del T-34. Cannone più grande significava anche torretta corrazzata più spaziosa. L’ultimo Modello fu il J, che apparve nel 1944 e aveva più elementi in comune con il carro armato che aveva cominciato la guerra. Nel 1945 ne erano stati ormai consegnati 8000. Alcuni erano ancora in uso nell’esercito siriano all’epoca della Guerra arabo-israeliana (1967).

Sopra: Il distintivo della 1a Divisione corazzata polacca, che raffigura un elmo alato.

di panzer tedeschi, cannoni d’assalto e altri veicoli corazzati nella Sacca di Falaise. Conclusero che solo il 4,6 per cento era stato annientato da razzi e bombe, mentre quasi il 40 per cento era stato distrutto dagli stessi equipaggi per evitare la cattura e circa il 30 per cento era stato abbandonato senza alcun danno. Era stato l’effetto snervante di un attacco aereo ininterrotto, più che l’effettivo danneggiamento fisico, a incrinare il morale dei tedeschi.

Si forma la Sacca di Falaise A sud di Falaise si andava formando una sacca, in cui la 7a Armata, la 5a Armata corazzata e il Gruppo corazzato Eberbach rischiavano di essere intrappolati dalla 1a Armata canadese e dalla 2a Armata britannica, che avanzavano da settentrione, e dalla 1a e 3a Armata degli Stati Uniti, che premevano verso nord, quest’ultima agli ordini del generale George S. Patton. Perché il Blitzkrieg abbia successo, la vittima deve inconsapevolmente «collaborare» alla propria distruzione. Nel 1940 erano stati l’Alto comando francese e quello inglese a infilare la testa nel capestro e ora Hitler, l’artefice dei trionfi del 1940-1941, divenne l’involontario complice degli Alleati ordinando che l’Operazione Lüttich venisse reiterata l’11 agosto. Sei divisioni corazzate avrebbero dovuto attaccare a sud-ovest, guidate dal generale Hans Eberbach.

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Il Comandante in capo del Führer per l’Ovest, il feldmareschiallo Günther von Kluge, che aveva insistito per la ritirata, era fin troppo consapevole dell’«assurdità di una vasta forza militare di 20 divisioni che pianifica tranquillamente un attacco, mentre a distanza il nemico sta laboriosamente annodando il cappio con cui verrà strangolata». Kluge, implicato nel complotto dinamitardo di luglio per uccidere Hitler, si suicidò il 17 agosto. La Sacca di Falaise aveva cominciato a formarsi il 13 e la trappola scattò sei giorni dopo, anche se i combattimenti proseguirono fino al 21 agosto. Degli 80.000 soldati tedeschi presi nella sacca ne sfuggirono solo 20.000. Tra gli altri, 10.000 furono uccisi e 50.000 si arresero. Nel caos che seguì, gli americani trovarono 380 carri armati e semoventi, più di 700 pezzi d’artiglieria e 5000 veicoli. Nei settori britannico e canadese si reperirono 187 tank e semoventi, 157 autoblindo e veicoli per il trasporto truppe, 252 pezzi d’artiglieria e 2500 veicoli a motore. Il Comandante supremo del Corpo di spedizione alleato, generale Eisenhower, fece il giro del campo di battaglia due giorni più tardi, imbattendosi in «scene che solo Dante avrebbe potuto descrivere. Per centinaia di metri era letteralmente impossibile camminare senza posare il piede su qualcosa che non fosse carne morta o in decomposizione».

Sopra: Un PzKpfw IV della 21a Panzer Division, messo fuori uso in Normandia. Le gonne corazzate laterali erano state aggiunte per contribuire a disturbare l’arrivo dei proiettili solidi, rendendoli meno efficaci. Potevano anche far detonare un colpo esplosivo e avevano il vantaggio di far esplodere i proiettili a carica cava sparati da Bazooka o PIAT lontano dalla corazzatura principale del veicolo, mitigandone perciò l’effetto.

pagine SucceSSive: La devastazione seminata nella Sacca di Falaise s’impresse in chiunque ebbe occasione di vederla. I disperati tentativi dei soldati tedeschi di sfuggire agli attacchi aerei e al fuoco d’artiglieria da tre lati li indussero ad abbandonare gran parte degli equipaggiamenti.

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CAPITOLO // 28

PATTON GEORGE S. PATTON FU L’ILLUSTRE APOSTOLO DELLA TEORIA CORAZZATA TRA I GENERALI DEGLI ALLEATI OCCIDENTALI NEL SECONDO CONFLITTO E UN UOMO CHE, FINO AL TERMINE DELLA CARRIERA, NON EBBE PAURA DI SUSCITARE POLEMICHE. In Sicilia nel 1943 e in Europa nord-occidentale nel 1944-1945 gestì magistralmente grandi formazioni corazzate, inducendo il generale Günther Blumentritt, biografo postbellico di Gerd von Rundstedt, a definirlo «il più aggressivo comandante di forze corazzate degli Alleati». Nel 1916 aveva affiancato il generale John J. Pershing nella campagna contro il rivoluzionario messicano Pancho Villa. Dopo l’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale (1917) fu nello staff del Corpo di spedizione americano (AEF), ma nel novembre di quell’anno gli affidarono il comando di un corso di addestramento per equipaggi di carristi. L’obiettivo dell’AEF era creare un corpo corazzato di 200 carri pesanti Mark V britannici e di 1000 carri leggeri Renault. L’ambizioso progetto fu, però, ridimensionato e si costituirono infine otto battaglioni pesanti e ventuno leggeri. Di questi, solo quattro videro l’azione in combattimento. Nel dicembre 1917 Patton incontrò il colonnello J.F.C. Fuller, che lo ragguagliò sull’uso dei carri armati nella Battaglia di Cambrai. Entrò per la prima volta in azione al comando della 304a Brigata corazzata (326o e 327o Battaglione corazzato), appartenente alla 1a Armata USA, nella Battaglia di SaintMihiel, saliente nemico che minacciava i movimenti alleati nella Champagne. Patton perlustrò personalmente l’area, prima di sferrare l’attacco.

La teoria corazzata Due settimane più tardi rimase ferito durante l’offensiva della Mosa-Argonne e non rientrò in azione fino al termine della guerra. Nel 1920, membro di una commissione incaricata di redigere un manuale sulle operazioni con mezzi corazzati, cominciò a sviluppare l’idea che non andassero usati quale mero supporto alla fanteria, ma che potessero operare come forza indipendente. Divenne anche un acceso sostenitore dell’ingegnere americano J. Walter Christie e del suo sistema di sospensioni M1931, che permetteva ai corazzati di aumentare la propria velocità fuori strada. Nel clima postbellico di ridimensionamento militare e isolazionismo americano, tuttavia, le sue idee ottennero scarso successo… Almeno fino ai tardi anni Trenta, in cui sembrava profilarsi la prospettiva di una nuova, imminente guerra mondiale. Patton mal tollerava i suoi doveri nel periodo di pace, ma, nel 1939, al comando del 3o Cavalleria, incontrò il Capo di stato maggiore americano, generale George C. Marshall, che lo segnalò come candidato ideale per la promozione a generale. Nel 1940, nel corso di manovre militari, conobbe il generale

Adna Chaffee, altro fautore americano della teoria corazzata e comandante del I Corpo corazzato statunitense. Nell’aprile 1941, promosso general maggiore, Patton assunse il comando della 2a Divisione corazzata. Era ormai il più insigne esperto di guerra corazzata dell’esercito americano, instancabile sostenitore del movimento offensivo. Vistoso personaggio che girava con revolver dal calcio d’avorio (ricordo dei tempi del Messico), era la quintessenza del soldato americano.

Africa Settentrionale e Sicilia Nel 1942, durante l’invasione nordafricana nell’ambito dell’Operazione Torch, Patton guidò la Task Force occidentale sbarcata a Casablanca. Nel marzo 1943, dopo che Rommel aveva sbaragliato l’inesperto II Corpo USA al Passo di Kasserine, in Tunisia, Patton assunse il comando personale della formazione, ripristinando la disciplina e il morale. Diede inizio a grandi cambiamenti, ordinando che tutti i soldati indossassero uniformi pulite e impeccabili, imponendo rigorose tabelle di marcia e insistendo sull’assoluta obbedienza al protocollo militare, prima di affidare il comando al generale Omar Bradley per poter prendere parte alla pianificazione dell’Operazione Husky, l’invasione della Sicilia.Durante l’Operazione fu il comandante della 7a Armata che occupò la metà occidentale dell’isola e in quell’occasione la sua carriera rischiò di concludersi bruscamente, quando, nel corso di due diversi episodi, il 3 e il 10 agosto 1943, colpì alcuni soldati ospedalizzati, che soffrivano di «stress da battaglia». Gli episodi furono portati alla luce dal giornalista Drew Pearson e il polverone che ne seguì tenne Patton lontano dal Sopra: Il distintivo della 2a Divisione corazzata americana. a SiniStra: Il primo incontro di Patton con i mezzi corazzati fu nel novembre 1917, quando gli affidarono l’addestramento della nascente forza corazzata americana in Francia. Avendo appreso a guidare un Renault presso la fabbrica, portava personalmente i carri armati giù dal treno in retromarcia, al loro arrivo nel nuovo centro di addestramento di Langres. a fronte: Un manifesto americano di propaganda del periodo bellico.

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A SINISTRAA: Il libretto originale era parte di una serie realizzata dal Dipartimento della guerra degli Stati Uniti nel tentativo di far giungere ai soldati in servizio le informazioni e le esperienze di combattimento più aggiornate. «Poiché per essere efficaci», recitava l’Introduzione, queste «devono raggiungere prontamente il soldato, la pubblicazione non subisce ritardi, garantendo così che rappresentino sempre un’accurata sintesi delle vedute del Dipartimento della guerra». Si invitavano i soldati a inviare i loro contributi. A FRONTE: L’artiglieria mobile aiutò a mantenere lo slancio dell’offensiva di Patton ad Avranches. Qui, cannoni semoventi M12 da 155 millimetri sparano in batteria. Il servente in primo piano regge una carica a sacchetto piena di propellente.

comando di forze in combattimento per i successivi 11 mesi. Il più cauto e riservato generale Omar Bradley, allora subalterno di Patton, fu nominato comandante della 1a Armata americana, che si preparava a invadere la Normandia. Il rispetto per Patton da parte dell’Alto comando tedesco contribuì a un suo ruolo di rilievo nel piano di depistaggio alleato, l’Operazione Fortitude, che precedette l’Overlord. I tedeschi furono indotti a credere che Patton fosse stato nominato comandante della 1o Gruppo d’armate degli Stati Uniti (First United States Army Group, FUSAG), che si accingeva a compiere un’invasione al Passo di Calais, ma che di fatto era un’unità del tutto fittizia. Di conseguenza, la 15a Armata tedesca rimase in quell’area per far fronte alla minaccia fantasma.

Sfondamento ad Avranches Patton rientrò in servizio attivo a fine luglio 1944, al comando della 3a Armata degli Stati Uniti, parte del 12o Gruppo d’armate di Bradley nella Francia nord-occidentale. La sua leadership nell’offensiva verso Avranches mostrò al meglio la sua versione del Blitzkrieg. La 3a Armata impiegò unità di ricognizione per stabilire forza e disposizione del nemico. Semoventi d’artiglieria avanzarono con le avanguardie di Patton e sottoposero il nemico a fuoco indiretto. Velivoli leggeri sorvolarono il campo di battaglia in ricognizione, avvistando l’artiglieria. Una volta immobilizzato il nemico, la fanteria meccanizzata andò all’attacco con il supporto dei corazzati. Altre unità corazzate tentarono di sfondare, sfruttando qualunque apertura e impedendo al tempo stesso ai tedeschi di ritrovare l’equilibrio. L’efficiente esecuzione della sequenza dipese dalla ricognizione aerea e dal massiccio supporto tattico dell’aviazione, coordinato nel punto di

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7 6 1°  B A T T A G L I O N E C O R A Z Z A T O Prima e durante la Seconda guerra mondiale, la legge federale impediva ai soldati afro-americani di operare insieme alle truppe di bianchi nell’esercito degli Stati Uniti. L’establishment militare americano nutriva anche forti riserve circa l’opportunità di impegnare truppe afro-americane in combattimento. Ciò malgrado, nel 1941, il generale Lesley J. McNair, comandante delle Forze di terra dell’esercito, suggerì di testare unità afro-americane di combattimento. Il 1° aprile 1942 fu attivato il 761o Battaglione corazzato a Camp Clairborne, in Louisiana, che cominciò l’addestramento su carri leggeri M5 Stuart. Passò poi agli M4 Sherman a Fort Hood, Texas, e fu inviato in Europa nell’autunno del 1944. Il battaglione si era addestrato per quasi due anni, vedendo nel frattempo unità di bianchi spedite oltreoceano dopo appena due mesi di training. Ebbe il suo battesimo di fuoco l’8 novembre 1944, quando in battaglia morirono 105 uomini, 14 carri armati andarono perduti e altri 20 tank furono danneggiati in combattimento. Prese parte alla liberazione di Bastogne, a dicembre, poi varcò la Linea Sigfrido con la 4 a

Divisione corazzata. A fine conflitto si ricongiunse con il Primo fronte ucraino dell’Armata rossa in Austria. I Black Panthers, come era soprannominato il battaglione, avevano il motto: «Pronti a combattere». Per il suo straordinario eroismo in azione, tra il 15 e il 19 novembre 1944, al sergente maggiore Ruben Rivers è stata conferita una Medaglia d’onore postuma nel 1997. Il capocarro, sergente Warren G.H. Crecy («il più cattivo del 761o»), un tipo silenzioso e affabile, fu segnalato per la Medaglia d’onore dopo che, armato solo di una mitragliatrice, aveva sbaragliato una postazione anticarro e un certo numero di nidi di mitragliatrici sotto il fuoco nemico. Ricevette una promozione sul campo e andò in congedo con il grado di maggiore. Il 24 novembre 1947, il 761o fu riattivato come unità integrata e rimase in servizio fino al 1955. Nel gennaio 1978 ricevette la Presidential Unit Citation, una delle più alte onorificenze militari americane, dal presidente Jimmy Carter e nel 2005 è stato inaugurato un monumento in suo onore, in 761o Tank Battalion Drive, a Fort Hood, durante una cerimonia cui hanno preso parte i veterani sopravvissuti.

contatto con il nemico da un controllore del traffico aereo a bordo di uno dei carri armati in prima linea. La rapida avanzata di Patton da Avranches ed Argentan – circa 100 chilometri – fu eseguita in due settimane e resa unicamente possibile dalla ricezione delle informazioni Ultra sui movimenti tedeschi, che permisero al generale di concentrare le forze per una contromossa. A metà agosto 1944, Patton stava ormai esaurendo le riserve di carburante, ma era impaziente di varcare il Reno. Il 21 agosto scrisse sul suo diario: «Abbiamo in questo momento la più grande occasione di vincere la guerra. Se mi lasceranno proseguire con tre corpi… Potremmo essere in Germania in dieci giorni». Ma il Comandante supremo degli Alleati, generale Dwight D. Eisenhower, era favorevole a una strategia del «fronte ampio» che permettesse alla 3a Armata di Patton, sul fianco destro, di mantenere lo slancio verso la Saar, mentre il 21o Gruppo d’armate di Montgomery, sulla sinistra, prendeva i porti di rifornimento della Manica e invadeva le basi di lancio delle V1. Patton non poté fare le cose a modo suo. Apparentemente, lui e Montgomery erano ai poli opposti. Montgomery era totalmente astemio, compassato, pedante… un uomo spigoloso, che nella figura ricordava in qualche modo un uccello. Patton era l’incarnazione di un’aggressività made in USA, fermamente convinto che, se si prendeva il nemico per il naso, era solo «per assestargli meglio un bel calcio nel didietro». I due uomini erano giunti a nutrire una cordiale antipatia reciproca durante la Campagna di Sicilia, dopo la corsa per arrivare a Messina, ma avevano più aspetti in comune di quanto fossero disposti ad ammettere. Entrambi erano istintivi showmen (i revolver di Patton andavano di pari passo con la variegata collezione di fregi da berretto di Monty) e nascondevano personalità complesse dietro un egotismo fin troppo ostentato. Nei loro uomini suscitavano emozioni contrastanti, qualcuna non proprio lusinghiera. Spesso si diceva che il soprannome di Patton – il vecchio «Sangue e budella» – stesse in realtà per «il nostro sangue, le sue budella».

LÕOffensiva delle Ardenne Nel dicembre 1944, i tedeschi lanciarono nelle Ardenne la loro ultima grande offensiva in Occidente. Fu l’ultimo azzardo di Hitler: troppo poco, troppo tardi. Come osservò ironicamente Sepp Dietrich, comandante della 6a Armata corazzata SS (una delle due impegnate nell’offensiva): «In fondo Hitler vuole solo che attraversi un fiume, prenda Bruxelles, poi vada a conquistare Anversa. Il tutto nella stagione peggiore dell’anno e attraverso le Ardenne, dove la neve ti arriva alla vita e non c’è spazio nemmeno per affiancare quattro carri armati, figurarsi intere divisioni corazzate». Tuttavia, l’Operazione Wacht am Rhein («Guardia al Reno») inflisse un forte shock agli Alleati, prima che riuscissero a ricomporsi e tentassero di gestire il saliente tedesco, il cosiddetto Bulge, che si era costituito. Patton, la cui 3a Armata era bloccata da aspri combattimenti vicino a Saarbrücken, comprese subito la situazione e ordinò al suo staff di preparare

a deStra: La Cavalleria sorpassa le macchine che ben presto la eclisseranno.

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tre diversi ordini di emergenza per l’invio della 3a Armata verso nord, a fendere il lato meridionale del saliente. Il 19 dicembre, a una riunione dell’Alto comando alleato vicino a Verdun, Eisenhower chiese a Patton quanto ci sarebbe voluto per liberare sei divisioni della 3a Armata, affinché accorressero a liberare la 101a Divisione aviotrasportata americana, intrappolata a Bastogne. Il generale disse allo stupefatto Eisenhower che sarebbe stato pronto a partire con tre divisioni già il 21. Eisenhower lo autorizzò ad attaccare con la 4a Divisione corazzata, più 26a e 80a divisione di fanteria, il 22 dicembre. Il 21, fedele al suo gusto per il linguaggio colorito, Patton disse a Bradley: «Brad, questa volta il crucco ha ficcato la testa nel tritacarne e sarò io a girare la manovella». Mantenne la parola. Con una delle manovre meglio eseguite dell’intero conflitto, completata in quattro giorni, disimpegnò e riallineò tre divisioni affinché tagliassero il fianco meridionale del saliente, che si stava allungando. Bastogne fu liberata dalla 4a Divisione corazzata il 26 dicembre. Gli Alleati passarono all’offensiva il 3 gennaio 1945, con condizioni atmosferiche in rapido miglioramento, e il 16 gennaio il saliente era stato ormai eliminato. Le perdite inflitte all’esercito tedesco erano state di 100.000 uomini uccisi o feriti e di circa 800 tank distrutti. La 3a Armata varcò il Reno il 22 marzo 1945. La notte tra il 26 e il 27 marzo Patton inviò una colonna corazzata in profondità oltre le linee tedesche, fino a un campo per prigionieri di guerra a Hammelburg, a est di Francoforte. La colonna raggiunse il campo, ma subì pesanti perdite mentre tornava verso le linee americane. Patton sostenne che il suo scopo era stato confondere il nemico, ma si scoprì che suo genero, il tenente John K. Waters, catturato dai tedeschi in Africa Settentrionale nel 1943, era tra i detenuti del campo di Hammelburg. Resta il sospetto che il suo obiettivo principale fosse salvarlo, cosa in cui fallì: Waters restò ferito nel corso dell’operazione. Patton finì la guerra con un’altra fulminea avanzata, in Cecoslovacchia. Richiese poi, ma non riuscì a ottenere, un comando nel Pacifico. Nel luglio 1945 fu nominato governatore militare della Baviera, ma fu costretto a recedere per alcuni commenti favorevoli nei confronti dei nazisti. Morì in un incidente d’auto il 9 dicembre 1945.

M4 SHERMAN SPECIFICHE // M4 SHERMAN EQUIPAGGIO: 5 PESO: 30,2-33,6 t CORAZZATURA: 75-105 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 75 mm, 2 mitragliatrici Browning 0.30 VELOCITÀ MASSIMA: 38-47 km/h MOTORE: (M4 e M4A1) Wright Continental R-975 radiale 353 hp, benzina Durante la guerra, gli Sherman furono di gran lunga i tank degli Alleati Occidentali realizzati in maggior numero: un tributo al talento degli americani per la produzione in serie. Cessata la fabbricazione, nel giugno 1945, ne erano stati costruiti 49.234. L’esperienza in campo non tardò a rivelare che lo Sherman era sottoarmato rispetto a Tiger e Panther tedeschi, perciò i modelli successivi furono dotati di cannone da 76 millimetri, il che migliorò le capacità perforanti del tank, ma non gli fece comunque eguagliare la versione riconvertita dai britannici, il Firefly, dotato di cannone da 17 libbre. Benché gli Sherman non fossero più propensi a prender fuoco di altri carri, se perforati da un proiettile tedesco, le loro munizioni tendevano a incendiarsi a causa del sistema di stivaggio. Per ridurre tale rischio si introdusse lo stivaggio «umido», con contenitori circondati da una «camicia d’acqua». Oltre a costituire l’ossatura della forza corazzata degli Stati Uniti in tempo di guerra, lo Sherman fu anche la colonna portante delle divisioni corazzate britanniche.

Sotto, a SiniStra: Un proiettile da 75 millimetri sparato dall’M4 Sherman. Si utilizzava un codice cromatico, affinché i soldati distinguessero a prima vista il tipo di munizioni. Nero stava per «perforante»: un colpo solido senza contenuto di esplosivo. Sotto: Un M4A2E8, versione successiva dello Sherman con cingoli più larghi e cannone a tiro rapido da 76 millimetri in una torretta ridisegnata. Questo veicolo è apparso nel film del 2014 Fury. a fronte: Uno Sherman della 9a Armata USA nel fango della Germania, all’inizio del 1945. I cingoli distribuiscono il peso del tank, addentando il terreno fangoso con i loro rilievi. Se però il tank resta incagliato, ci vorranno funi di traino o pale e legni per liberare i cingoli.

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CAPITOLO // 29

CARRI ARMATI IN ESTREMO ORIENTE E NEL PACIFICO I GIAPPONESI COMINCIARONO A SPERIMENTARE CON I CARRI ARMATI ALLA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE, ACQUISTANDO UN MARK IV BRITANNICO E, CIRCA 12 MESI DOPO, UN GRUPPETTO DI WHIPPET E DI RENAULT FT FRANCESI. LA PRIMA UNITÀ DI CARRI ARMATI NIPPONICA FU COSTITUITA NEL 1925, MA IL SOLO TANK STRANIERO DISPONIBILE ALL’EPOCA ERA UN OBSOLETO RENAULT FT E CIÒ INDUSSE ALLA REALIZZAZIONE DI UN MODELLO AUTOCTONO.

Il primo carro armato giapponese Il team di progettazione, diretto dal capitano (poi generale di divisione) Hara, portò a termine l’incarico in ventuno mesi. Il primo tank nipponico, costruito presso l’Arsenale di Osaka, diede una dimostrazione presso l’area di addestramento alle falde del Fuji nel 1927. Pesava 18 tonnellate, aveva una velocità su strada di 20 chilometri orari e tre torrette: una centrale biposto, armata di cannone a bassa velocità da 57 millimetri e due monoposto con mitragliatrici, sul davanti dello scafo e sul retro, dietro il comparto motore. Il veicolo fece una grande impressione, ma non venne adottato dall’esercito giapponese. Questo emanò invece le specifiche per un mezzo di supporto alla fanteria da 10 tonnellate, che divenne il carro

Type 89 medio, con un’unica torretta biposto, armata di cannone da 57 millimetri. Il motore originale a benzina fu in seguito sostituito da un sei cilindri diesel raffreddato ad aria nel Type 89B, che dimostrò migliori prestazioni in Manciuria (dal 1932 colonia giapponese di Manciukuò e importante base industriale). Tra il 1931 e il 1939 furono costruiti circa 400 Type 89. Il debutto in combattimento arrivò nel 1932, a seguito del cosiddetto “incidente di Mukden”, scintilla per la Guerra di Shangai: una serie di brutali scontri tra Giappone e Cina che precedette la Seconda guerra sino-giapponese, iniziata cinque anni dopo. La performance del Type 89 durante la Guerra sinogiapponese fu buona, ancorché contro un nemico che

Sopra: La guerra con la Cina, nel 1937, indusse il comando giapponese a scegliere il Type 97 o Chi-Ha rispetto a un progetto rivale, il Chi-Ni, che era più leggero quanto a protezione e ad armamento. Il Chi-Ha aveva caratteristiche progettuali simili al carro leggero Type 95 Ha-Go, ma con una torretta biposto e una corazzatura più spessa.

a SiniStra: Il progetto del Type 89 fu influenzato dai tank di importazione europea, in particolare il Vickers Medium C. I primi modelli avevano motore a benzina, ma, a metà degli anni Trenta, il Giappone varò per i suoi veicoli un programma di dieselizzazione, che diede luogo a una nuova variante, il Type 89 B.

possedeva poche armi anticarro. Il mezzo venne però surclassato dai corazzati sovietici nello scontro del 1939 tra russi e giapponesi a Khalkhin Gol. I nipponici si erano spinti al di là del fiume Nomonhan, provocando lo scoppio di una grande battaglia con la forza corazzata sovietica agli ordini del generale Žukov, che circondò e distrusse la 6a Armata nemica con una «battaglia del calderone», prefigurando così il Blitzkrieg del 1941.

CARRO MEDIO TYPE 97 CHI-HA SPECIFICHE // TYPE 97 CHI-HA EQUIPAGGIO: 4 PESO: 15 t CORAZZATURA: 25 mm

Supporto alla fanteria

ARMAMENTO: 1 cannone da 57 mm, 2 mitragliatrici da 7,7 mm, anteriore e posteriore

La disfatta di Khalkhin Gol accelerò la produzione del Type 97, anche se fece poco per cambiare la dottrina giapponese del mezzo corazzato. Sotto l’influsso dei pionieristici progressi compiuti in Gran Bretagna da Hobart all’inizio degli anni Trenta, era stata costituita una brigata meccanizzata ad armi combinate, promessa di qualcosa di più della filosofia del supporto alla fanteria. Tuttavia, dopo lo scoppio della guerra con la Cina, nel 1937, la brigata fu sciolta e i suoi carri armati suddivisi tra le formazioni di fanteria. Solo nel 1942 i giapponesi ebbero qualche ripensamento, concentrando i loro tank in tre divisioni, la cui arma principale era il Type 97. Il Giappone organizzò l’impero acquisito entro il 1940 in una Sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale. Le sue conquiste, prima e dopo l’ingresso nella Seconda guerra mondiale, a seguito dell’attacco alla base navale statunitense di Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, furono largamente ottenute con le grandi navi, specialmente portaerei, con i bombardieri, i caccia e la fanteria. La spinta tecnologica dell’industria bellica giapponese si incentrava su navi da guerra e aerei, più che sui carri armati.

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VELOCITÀ MASSIMA: 38 km/h MOTORE: Mitsubishi 170 hp raffreddato ad aria, diesel Il Type 97, fabbricato in larga parte dalla Mitsubishi, entrò in servizio nel 1937 e divenne la colonna portante del braccio corazzato giapponese. L’esperienza degli scontri con i carri armati sovietici, nel 1939, indicò che il Giappone rischiava di restare indietro rispetto all’Occidente in termini di progettazione di mezzi corazzati e il Type 97 fu riarmato con un cannone a tiro rapido da 57 millimetri, alloggiato in una torretta più grande, che ne aumentava il peso a 15,75 tonnellate. Questa versione cominciò a raggiungere i reggimenti nel 1942. Il tank aveva circa 120 colpi (80 esplosivi e 40 perforanti), più 2350 per mitragliatrice. La maggiore percentuale di munizioni esplosive rispetto ad altri carri armati del periodo derivava dalla convinzione dei giapponesi che il ruolo principale del tank fosse quello di supporto alla fanteria, più che di arma da usare contro i corazzati nemici. Il telaio del Type 97 fu usato per un numero ridotto di semoventi: il cacciacarri Ho-Ni I, armato di cannone da 75 millimetri; l’Ho-Ni II con obice da 105 millimetri e l’HoRo con obice da 150 millimetri.

Il Giappone riusciva a produrre solo 500 carri medi all’anno circa e, tra 1944 e 1945, la devastazione seminata sulle sue fabbriche dai bombardamenti americani azzerò praticamente la produzione. Durante l’intero periodo bellico, il supporto alla fanteria rimase il ruolo predominante dei corazzati nipponici, il che contava ben poco nei sei mesi vittoriosi che l’ammiraglio Yamamoto, comandante in capo della Flotta combinata nipponica dal 1939, garantì all’imperatore Hirohito nel 1941. Gli Alleati, all’epoca, avevano pochi carri armati nell’area pacifica ed estremo-orientale. Mentre il generale Yamashita annoverava 200 carri nella forza con cui prese Singapore nel febbraio 1942, il suo avversario britannico, il generale Percival, non ne aveva alcuno, in aggiunta ai pochi cannoni anticarro. Fu un distaccamento giapponese di 15 Type 97 medi e Type 95 leggeri a sfondare le difese inglesi lungo il fiume Slim, creando le premesse per la caduta della città. Una volta contenuta l’offensiva nipponica nella Battaglia del Mar dei Coralli (maggio 1942), e respingendola poi nelle Midway a giugno, anche gli Alleati cominciarono a impiegare i carri come supporto alla fanteria, nella lunga e aspra controffensiva sferrata nel Sud-est asiatico continentale e sulle isole del Pacifico. I britannici schierarono i Grant e gli americani gli Sherman, entrambi superiori ai tank giapponesi, molti dei quali venivano usati in ruoli statici difensivi, come nella difesa di Iwo Jima, tra il febbraio e il marzo 1945.

Principali operazioni La principale offensiva sferrata dai carri armati giapponesi fu quella che includeva l’Operazione Ichi-Go nella Cina meridionale (estate 1944), in cui la 3a Divisione corazzata, che schierava 255 Type 97 e Type 95, ebbe un ruolo significativo contro i cinesi. A sud di Imphal, nel giugno 1944, il 14o Reggimento corazzato sostenne un duro scontro con gli M3 britannici, in cui perse quasi tutti i suoi carri armati. Fu ricostituito alla metà circa della forza originaria e poi distrutto a Meiktila, tra il febbraio e il marzo 1945. A Luzon, Yamashita, l’eroe di Singapore, usò la 1a e 2a Divisione corazzata per coprire la sua ritirata verso l’interno, nel marzo 1945. L’ultima battaglia cui presero parte i carri giapponesi fu sull’isola di Šumšu, dopo l’invasione sovietica della Manciuria. All’indomani della resa tedesca, nel maggio precedente, quattro armate sovietiche erano state rapidamente trasferite in Siberia e in Mongolia e una massiccia offensiva lungo quattro assi era stata lanciata, l’8 agosto 1945, da un milione e mezzo di uomini e 5500 carri armati, in larga parte T-34/85. L’Unione sovietica occupò la Manciuria nel giro di due settimane.

a deStra: Un mitragliere australiano, il caporale G.G. Fletcher, spara con la sua Bren su alcuni soldati giapponesi che fuggono da un fortino a Giropa Point, Buna, Papua Nuova Guinea (gennaio 1943). Il tank, un M3 Stuart, ha distrutto il fortino mentre la fanteria della Compagnia D del 12o Battaglione avanzava al suo fianco attraverso i palmeti. L’uso dei corazzati in Estremo Oriente richiedeva un’ottima cooperazione tra fanteria e carri armati nella ristretta, chiusa posizione del territorio.

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CAPITOLO // 30

LA GUERRA IN TEMPO DI PACE ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, GLI ESAUSTI VINCITORI COMINCIARONO A SMANTELLARE GLI ENORMI APPARATI MILITARI CHE AVEVANO ASSEMBLATO PER SCONFIGGERE LE POTENZE DELL’ASSE. Nel 1945, l’esercito degli Stati Uniti aveva schierato 16 divisioni corazzate, comprensive di 52 battaglioni carri, più altri 65 battaglioni indipendenti, al di fuori delle divisioni stesse. Nel 1948 aveva un’unica divisione corazzata con 373 carri armati ufficialmente al suo attivo. Il resto dei tank dell’esercito era stato suddiviso tra i battaglioni corazzati delle divisioni di fanteria e le compagnie reggimentali di corazzati. Una divisione aveva una forza nominale di 147 carri armati. Non c’erano battaglioni indipendenti di carri o di cacciacarri. Il Comando cacciacarri era stato smantellato e non veniva rimpianto, avendo esercitato un funesto influsso sullo sviluppo dei carri armati nel periodo bellico.

La Guerra di Corea I rapporti tra Unione sovietica e Alleati occidentali degenerarono ben presto in un clima prima di mutuo sospetto e poi di aperta ostilità, inaugurando il periodo della cosiddetta Guerra fredda, in cui vaste forze di terra della NATO a guida statunitense si opponevano a quelle del Patto di Varsavia dominato dall’URSS nell’Europa centrale. La minaccia di un catastrofico conflitto nucleare manteneva la pace, ma il tentativo di Stati Uniti e Unione sovietica (con la Cina sua alleata dopo la Rivoluzione comunista del 1949) di aggiudicarsi un vantaggio geostrategico l’uno sull’altro suscitò una serie di «guerre per procura» in vari punti del globo.

Sotto: Un T-34/85 catturato viene ispezionato da soldati ONU. I T-34/85 costituirono l’avanguardia dell’invasione nordcoreana del Sud nel giugno 1950. Gli americani si affrettarono a mandare nel paese veicoli e armi più moderne, come l’M26 Pershing, che si dimostrò superiore al vecchio carro armato sovietico.

Al termine del conflitto mondiale, la Corea, precedentemente occupata dal Giappone, era stata suddivisa lungo il 38o Parallelo, con le forze sovietiche a controllarne la parte settentrionale e quelle statunitensi la parte meridionale. Il presidente nordcoreano Kim Il-Sung reclamava l’intero paese, ma le elezioni nel Sud produssero un governo amico degli Stati Uniti e nel 1949 le truppe sovietiche e quelle americane si erano ormai ritirate. Gli sforzi diplomatici per risolvere le tensioni tra Corea del Sud e Corea del Nord vacillarono e scoppiò una serie di scontri di confine. Nel giugno 1950, con la certezza di avere il sostegno della Cina (dove i comunisti di Mao avevano preso il potere nel 1949), il Nord, con l’esercito del popolo coreano (KPA), invase il Sud, bloccando una forza delle Nazioni Unite, a predominanza americana, entro il Perimetro di Pusan, nella Corea sud-orientale. Il KPA aveva messo in campo circa 250 T-34/76

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e T-34/85 con ruolo di supporto alla fanteria, mentre il Sud si appoggiava a corazzati statunitensi. All’epoca dell’invasione, le quattro divisioni di fanteria americane in Giappone possedevano tutte una compagnia di carri leggeri M24 Chaffee, entrati in servizio in Europa nel 1944. Vennero precipitosamente spedite in Corea. Il cannone 75 millimetri del Chaffee era incapace di perforare il T-34/85 e la sua stessa corazzatura non resisteva ai cannoni dei tank sovietici. Alla fine del luglio 1950 cominciarono ad arrivare carri medi americani, ma sul teatro non fu inviata alcuna divisione corazzata, perché i comandanti in loco consideravano il terreno generalmente sfavorevole a operazioni corazzate su vasta scala. Ciò nonostante, nel 1950, furono mandati in Corea 309 M26 Pershing e si rimediò alla mancanza di compagnie reggimentali di corazzati con M4 Sherman revisionati. Il 15 settembre di quell’anno, il Comandante in capo delle

Sopra: Un M46 ne traina un altro fuori dal fango. In Corea, gli appezzamenti inondati delle risaie rendevano assai più difficoltoso il movimento dei tank. Denti e artigli di tigre disegnati sugli scafi avevano lo scopo di spaventare i soldati cinesi, cui si attribuiva un superstizioso timore dei grandi felini.

M26 PERSHING SPECIFICHE // M26 PERSHING EQUIPAGGIO: 5 PESO: 41,1 t CORAZZATURA: 102 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 90 mm, 1 mitragliatrice 0.50, 1 mitragliatrice 0.30 VELOCITÀ MASSIMA: 48 km/h MOTORE: Ford GAF V-8 500 hp, benzina Il Pershing, in origine T26E3, fu concepito quale risposta a Tiger e Panther, con un cannone da 90 millimetri capace di perforare la loro corazza, bassa silhouette e scarsa mobilità complessiva sul campo di battaglia. Ebbe però uno sviluppo discontinuo a causa del disaccordo circa la necessità di un carro pesante tra l’Agenzia per gli armamenti USA, la Forza corazzata americana e le Forze terrestri dell’esercito degli Stati Uniti. Per il comandante delle Forze terrestri, generale Lesley McNair, l’arrivo di un nuovo mezzo pesante equivaleva all’introduzione di complicazioni superflue in una catena di approvvigionamenti transatlantica già al limite del collasso. Nella Forza corazzata, poi, molti ritenevano – a torto, come sarebbe emerso – che l’M4 Sherman stesse già al

pari dei corazzati tedeschi. Il generale George Marshall, Capo di stato maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, diede il via libera alla produzione del T26E3, che ebbe inizio nel novembre 1944. Al tank fu dato nome Pershing, in onore del comandante del Corpo di spedizione statunitense nella Prima guerra mondiale. Il primo lotto di 20 Pershing arrivò ad Anversa nel gennaio 1945. Altri 310 giunsero in Europa prima della fine della guerra, ma solo i venti iniziali videro l’azione in combattimento. Dodici furono spediti a Okinawa nell’agosto 1945, ma il Giappone si arrese prima che venissero impiegati. Il Pershing fu in seguito riclassificato tra i carri medi e, in forma ridisegnata, ebbe ottime prestazioni nella Guerra di Corea come M46 Patton.

L’M26 Pershing si discostava significativamente dal design dei carri armati americani precedenti. Nel gennaio 1945 una ventina di M26 furono inviati in fretta in Europa con il supporto della Missione Zebra, una squadra di tecnici che doveva testare sul campo alcuni armamenti. Entro la fine del conflitto, in maggio, arrivarono altri 310 esemplari, ma solo i primi videro il combattimento.

forze ONU, generale Douglas MacArthur, condusse uno sbarco con mezzi anfibi a Incheon, all’estremo nord della costa occidentale sudcoreana, e insieme a un’efficace offensiva di sfondamento da Pusan, ricacciò il KPA in Corea del Nord. Durante i combattimenti che seguirono, si ebbero in totale 119 azioni carro-contro-carro, per lo più su scala ridotta, che coinvolsero unità di esercito e marina degli Stati Uniti e in cui furono messi fuori uso circa 97 T-34. Dopo il novembre 1950, i tank nordcoreani si videro di rado.

Vietnam Proprio come in Corea, la lunga Guerra del Vietnam ebbe origine dall’apertura ai nazionalisti seguita alla sconfitta dei giapponesi in una ex colonia europea e portò a un confronto indiretto tra superpotenze altrettanto pericoloso. Cominciò nel 1946, con i nazionalisti vietnamiti (Việt Minh) che combattevano contro il restaurato dominio coloniale francese, e finì nel 1975, con la sconfitta delle forze sudvietnamite (ARVN), sostenute dagli Stati Uniti, per mano dell’esercito nordvietnamita (NVA). I carri armati ebbero un ruolo relativamente marginale nel conflitto. La guerra terrestre, in Vietnam, era dominata dalla fanteria e dalla potenza di fuoco, soprattutto perché i nordvietnamiti, all’inizio, avevano pochi carri propri e i loro avversari – i francesi, poi gli americani con i loro alleati – consideravano il conflitto più una serie di operazioni di guerriglia, in un ambiente inadatto ai corazzati. Solo nel novembre 1967 uno studio di fattibilità americano rivelò che i tank potevano operare sul 60 per cento circa del territorio vietnamita durante la stagione secca e sul 46 per cento durante quella monsonica, mentre i veicoli blindati di trasporto truppe erano in grado di operare sul 65 per cento del territorio in ogni momento dell’anno. Il ruolo principale dei carri armati in Vietnam fu quello di supportare la fanteria e la minaccia più grave che si trovarono a fronteggiare fu rappresentata da mine e armi anticarro. I tank impiegati nel conflitto furono, sul versante americano, il carro medio M48 Patton, il leggero M551 Sheridan e alcuni medi M4A3-M4A6 Sherman. Dalla fine del 1968, il contingente australiano fu costituito da tre squadroni del 1o Reggimento corazzato del Regio corpo corazzato australiano (Royal Australian Armoured Corps, RAAC), equipaggiato di Centurion. L’esercito nordvietnamita e le unità regolari dei Viet Cong (gli insorti comunisti) erano forniti di mezzi sovietici: carri medi T-34/85, il carro da combattimento (main battle tank, MBT) T-54 e gli anfibi leggeri PT-76. I cinesi inviarono all’NVA il carro da combattimento Type 59 (una versione del T-54), il carro leggero Type 62 (versione più piccola del Type 59) e il mezzo anfibio leggero Type 63, la loro versione del PT-76. Il principale tank dell’ARVN era l’americano M41 Walker Bulldog, che sostituì i leggeri M24 Chaffee, lasciati ai sudvietnamiti nel 1954 dai francesi in partenza. Il Chaffee era stato molto apprezzato dagli equipaggi vietnamiti che, di corporatura piccola, non risentivano dell’interno angusto assai impopolare tra gli americani.

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SOPRA: Carri leggeri PT-76 attraversano un fiume. Il PT-76 era un veicolo da ricognizione. Era in grado di navigare, il che gli consentiva un’eccezionale mobilità, ma lo rendeva più largo di veicoli equivalenti e dalla corazzatura leggera. I nordvietnamiti lo usarono durante la Guerra del Vietnam. Aveva una notevole potenza di fuoco, ma era vulnerabile alle armi anticarro. A DESTRA: Un esempio dell’immaginario di tigri e dragoni dipinto sui carri armati americani in Corea nel 1951.

Ben Het Ci fu un solo scontro di carri armati in Vietnam, tra i corazzati dell’NVA e quelli degli Stati Uniti: una schermaglia che ebbe luogo a Ben Het il 3 marzo 1969. Due PT-76 del 202o Reggimento corazzato NVA furono avvistati di sfuggita nella nebbia fitta, a una distanza di 1000 metri da alcuni M48 del 1o Battaglione, 69o Reggimento corazzato. I loro fari a infrarossi non erano in grado di penetrare quella foschia, ma il bagliore dalle bocche da fuoco dei PT-76 permise agli americani di localizzare il nemico e il soldato specialista Frank Hembree riuscì a colpire uno dei veicoli. La fiammata che ne derivò illuminò il secondo PT-76, che subì la stessa sorte. Per quasi tutta la guerra, l’NVA, che mancava di copertura aerea, fu riluttante a impegnare in battaglia vasti corpi corazzati e attribuì grande importanza al mimetismo. Tuttavia, nella primavera del 1972, durante la prolungata battaglia per An Loc, si scagliarono attacchi sulla città occupata dall’ARVN con T-54 e PT-76 alla testa di fitti schieramenti di fanteria. Questi vennero sventati da fanteria sudvietnamita, elicotteri anticarro USA con missili TOW (Tube-launched, Optically tracked, Wire-guided, filoguidati a puntamento ottico e con tubo di lancio) e massicce incursioni aeree dalla USAF, come le missioni «Arc Light», compiute da bombardieri B-52, durante le quali l’NVA perse circa 80 veicoli corazzati nel corso di sei settimane di battaglia.

M24 CHAFFEE SPECIFICHE // M24 CHAFFEE EQUIPAGGIO: 5, talvolta ridotti a 4 PESO: 18 t CORAZZATURA: 38 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 75 mm, 1 mitragliatrice Browning 0.50, 2 mitragliatrici Browning 0.30 VELOCITÒ MASSIMA: 56 km/h MOTORE: doppio Cadillac 44T24 110 hp, benzina

Si è stimato che la perdita complessiva di mezzi corazzati delle forza del Nord nell’offensiva della primavera 1972 fu di circa 700 unità. Gli Stati Uniti si ritirarono dal Vietnam nel 1973 e la vittoria nordvietnamita seguì nell’aprile 1975, dopo la schiacciante offensiva lanciata dall’NVA contro una demoralizzata ARVN. A mezzogiorno del 30 aprile 1975, un T-54 nordvietmamita irruppe oltre i cancelli del palazzo presidenziale di Saigon, portando a conclusione il trentennale conflitto.

Sotto: Il carro leggero M-24 fu usato durante la guerra da francesi e sudvietnamiti. Nel 1954 ne furono persino inviati 10, smontati, per via aerea a Dien Bien Phu, nel tentativo di rompere l’assedio vietnamita. Verso la metà degli anni Sessanta, la mancanza di ricambi costrinse alla loro sostituzione degli M24 dell’ARVN con gli M41 Walker Bulldog.

SOPRA: Le forze australiane in Vietnam furono supportate da uno Squadrone di 26 Centurion. Questi furono schierati per la prima volta nel 1968 e rimasero operativi fino al ritiro, nel 1971. Ai tank fu aggiunto un certo numero di caratteristiche extra, come lo stivaggio di un maggior quantitativo di munizioni e attrezzature. Furono anche rimosse le gonne laterali corazzate, avendo riscontrato che la folta vegetazione della giungla tendeva a impigliarvisi. I carri erano Mark 5/1, armati di cannone da 20 libbre.

A DE DESSTRA: I Centurion inviati in Vietnam subirono alcune modifiche perché meglio si adattassero all’apparato logistico americano. Un buon esempio è dato dalla mitragliatrice 0.30 M1919 montata in corrispondenza del portello del capocarro. BASSO A DE DESSTRA IN BASS O: Un M48A3 in Vietnam. La principale minaccia per i carri armati erano le mine e le armi leggere anticarro, come i lanciarazzi portatili (RPG). L’equipaggio di questo veicolo ha aggiunto sacchi di sabbia a scopo protettivo: era una pratica comune quando i tank venivano usati per scortare i convogli, in previsione del fuoco nemico.

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CARRI ARMATI BRITANNICI DELLA GUERRA FREDDA L’ABITUDINE BRITANNICA DI CLASSIFICARE I TANK IN CARRI DI FANTERIA E CRUISER IMPIEGÒ MOLTO TEMPO A SCOMPARIRE. TUTTAVIA, GIÀ NEL 1943, QUANDO SI INIZIÒ A PROGETTARE IL CENTURION, IL GENERALE (POI FELDMARESCIALLO) BERNARD MONTGOMERY AVEVA OSSERVATO I VANTAGGI DI UN UNICO CARRO «UNIVERSALE», CHE EGLI DEFINIVA «CAPITALE»: UN TEMA SU CUI TORNÒ NEL 1946, QUANDO DIVENNE CAPO DI STATO MAGGIORE IMPERIALE. Questa idea del carro armato «universale» prefigurava l’ideazione, negli anni Sessanta, del carro da combattimento (Main Battle Tank, MBT): un singolo modello che avrebbe unito gli aspetti delle diverse categorie di corazzati – leggeri, medi e pesanti – tipiche della Seconda guerra mondiale. Questo sviluppo non incontrò un favore unanime al War Office, ma un candidato al ruolo era già in attesa dietro le quinte: il Centurion. L’A41 Centurion era stato originariamente concepito

per essere un cruiser, ma dopo la guerra adottò molte caratteristiche dell’A45, un carro da 55 tonnellate per il supporto alla fanteria mai giunto oltre lo stadio di prototipo. Nei tardi anni Quaranta riapparve modificato come FV214, il Conqueror da 65 tonnellate. Questo era armato di un cannone americano da 120 millimetri, con munizioni perforanti dall’involucro a perdere (APDS) e dall’anima in tungsteno, a sostituire i tradizionali colpi perforanti a pieno calibro e i colpi esplosivi a testa schiacciabile (High

Sotto: Come gran parte degli altri carri armati, i Centurion ricevevano continue migliorie nel corso della durata in servizio. Una delle più significative fu l’introduzione, nel 1959, del cannone L7 da 105 millimetri. All’epoca il Centurion era in grado di sconfiggere qualunque tank sovietico.

Sopra: Un carro armato non è un ambiente confortevole in cui vivere e combattere. Questo Centurion è stato sezionato per mostrare l’equipaggio in torretta. Il capocarro è seduto dietro il cannoniere sulla destra della torretta, con il servente sulla sinistra. Quest’ultimo è il solo membro dell’equipaggio con un po’ di spazio in cui muoversi. Il quarto uomo, il pilota, è solo nello scafo.

Explosive Squash Head, HESH), succeduti alle convenzionali munizioni esplosive. Il Conqueror, che era in parte una risposta al carro pesante sovietico IS-3, fu collaudato nel 1952 e avrebbe dovuto operare insieme al Centurion, del quale i primi Mark I erano arrivati in Europa settentrionale meno di un mese dopo la resa incondizionata della Germania. Furono realizzati solo 180 Conqueror, ma rimasero in servizio nell’esercito britannico fino al 1966. Per allora il Centurion si era ormai imposto come carro da combattimento britannico. I primi Centurion operativi, nel 1945, erano armati di cannone da guerra da 17 libbre (76 millimetri). Nel 1948, il Centurion Mark III fu potenziato con cannone da 20 libbre o 83,8 millimetri, un’arma influenzata dal KwK 43 L/71 da 88 millimetri del Tiger II, che molti considerano il miglior cannone da carro armato della Seconda guerra mondiale. Era stabilizzato elettronicamente in elevazione e azimut, un immenso passo avanti nel controllo dell’orientamento e del tiro. Insieme a proiettili perforanti a pieno calibro convenzionali, il Centurion utilizzava munizioni APDS con velocità iniziale superiore a quella di tutte le altre munizioni per carro armato del suo tempo. Nel 1955, il suo cannone da 83,8 millimetri fu sostituito dal cannone L7 da 105 millimetri. Anche la piastra del glacis fu ispessita (una lezione appresa dall’inferiorità britannica in termini di potenza di fuoco e protezione rispetto ai carri tedeschi della Seconda guerra mondiale), si aggiunsero luci a infrarossi per il combattimento notturno e fu installata un’arma di puntamento. Il cannone da 105 millimetri e i suoi derivati hanno armato, si stima, circa 35.000 carri armati in tutto il mondo, tra cui il tedesco Leopard 1, l’israeliano Merkava e lo svedese S-tank: ciò ne fa il cannone da carro armato postbellico più usato al di fuori del blocco sovietico.

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Quando il Centurion cominciò a lasciare il servizio in Gran Bretagna, negli anni Sessanta, altre nazioni, soprattutto Israele, si fecero avanti per acquistarne esemplari con trasmissioni e motori nuovi e più potenti. Fece il suo debutto nella Guerra di Corea con tre squadroni dell’8o Reggimento Ussari irlandesi del re. Operando con temperature sotto zero, nell’inverno 1950-1951, l’8o Ussari imparò presto a parcheggiare sulla paglia, per evitare che i cingoli ghiacciassero di notte. Durante la Battaglia del fiume Imjin, nell’aprile 1951, i Centurion coprirono la ritirata della 29a Brigata, perdendo cinque unità, per lo più recuperate e riparate in seguito. Negli anni Cinquanta, i Centurion equipaggiarono tre divisioni corazzate britanniche in Germania e tra quel decennio e il successivo furono acquistati da 16 paesi, con oltre la metà della produzione di 4432 carri destinata all’esportazione.

Il Chieftain Al Centurion seguì come carro da combattimento il Chieftain, concepito nel corso degli anni Cinquanta, anche se il prototipo fu costruito solo nel 1959. Tra le sue caratteristiche più innovative c’era la posizione supina del guidatore, che permise di abbassare l’altezza dello scafo, rendendolo un bersaglio meno vistoso per i corazzati nemici. Tra gli effetti di tale configurazione ci fu la riduzione del peso totale a 55 tonnellate – rispetto alle 65 del Conqueror – malgrado la corazzatura frontale più spessa. Il cannone rigato da 120 millimetri del Chieftain lo rendeva il carro armato più potente della NATO. A differenza di Centurion e Conqueror, entrambi alimentati da motori Rolls-Royce, il Chieftain era alimentato da un motore d’aviazione, ispirato a uno di fattura tedesca precedente al secondo conflitto mondiale.

CARRO DA COMBATTIMENTO CHIEFTAIN SPECIFICHE // CHIEFTAIN EQUIPAGGIO: 4 PESO: 55 t CORAZZATURA: (glacis) 120 mm; (fianchi dello scafo) 38 mm; (torretta) 195 mm ARMAMENTO: 1 cannone rigato L11A5 da 120 mm, 2 mitragliatrici da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: (su strada) 48 km/h MOTORE: Leyland L60 750 hp, multicarburante

Questo ammetteva un’ampia varietà di carburanti, fattore significativo in seguito alla decisione NATO del 1957 di dotare i veicoli da combattimento di motori multicarburante. I problemi associati alla soddisfazione di tale requisito ritardarono al 1966 l’invio del Chieftain in servizio attivo. All’inizio, il suo sistema di controllo di tiro era costituito da una mitragliatrice di puntamento da 12,7 millimetri, montata sopra il cannone principale. Questa sparava raffiche di colpi a una distanza massima di 2400 metri, oltre la quale la carica tracciante del proiettile si esauriva, benché la punta esplosiva creasse ugualmente uno «sprazzo» visibile al momento dell’impatto. A partire dai primi anni Settanta, la mitragliatrice di puntamento fu sostituita da un telemetro laser con range di 10 chilometri, che permetteva di agire più rapidamente su un maggior numero di bersagli a distanza superiore. Modelli successivi sono stati equipaggiati di sistemi di controllo di tiro basati su computer balistico e in molti i fari a infrarossi sono stati rimpiazzati con sistema di osservazione a camera termica TOGS (Thermal Observation Gunnery Sight). Il Chieftain era inoltre dotato di snorkel (presa d’aria) per il guado in profondità. Questo tank venne fornito ad almeno sei paesi, tra cui Iran, Kuwait, Oman e Giordania. Il contributo di Israele fece sì che il Chieftain fosse in grado di operare efficacemente in posizione hull-down (scafo nascosto, ma torretta esposta) nell’ambiente del deserto, e tale collaborazione fu poi di spunto per la realizzazione del Merkava israeliano. Fu inoltre il generale Tal delle Forze di difesa israeliane a consigliare al governo di Israele l’acquisto di 707 Chieftain nel 1971. Il tank fu ampiamente usato dagli iraniani nella Guerra Iran-Iraq del 1980-1988. In seguito, Chieftain del Kuwait videro l’azione nell’ambito della Prima guerra del Golfo, in cui ne furono persi 136. a deStra: Per qualche ragione i carri armati sembrano avvincere a tutte le età. Qui tre bambini della Germania Ovest si imbattono in un Chieftain. Le esercitazioni portavano i tank al di fuori delle normali aree di addestramento e rendevano più frequenti i contatti con la popolazione civile. I 12 tubi sopra il cannone principale venivano usati durante le esercitazioni come alternativa più economica all’impiego di proiettili.

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CAPITOLO // 32

CARRI ARMATI SOVIETICI DELLA GUERRA FREDDA A DIFFERENZA DI STATI UNITI E GRAN BRETAGNA, SUOI ALLEATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, L’UNIONE SOVIETICA MANTENNE UNA FEDE INALTERATA NELL’IMPORTANZA DEI CORAZZATI COME ELEMENTO DOMINANTE DELLE FORZE TERRESTRI. LUNGI DAL RIDURRE IL NUMERO DI CARRI ARMATI E DI DIVISIONI CORAZZATE AL TERMINE DEL SECONDO CONFLITTO, CONSERVÒ UN NUTRITO QUANTITATIVO DI T-34 – CIRCA 25.000 IN UNA CINQUANTINA DI DIVISIONI CORAZZATE – E LA POLITICA ALTAMENTE PRAGMATICA DI BASARE OGNI NUOVO MODELLO DELL’ERA POSTBELLICA SUI MODELLI PRECEDENTI CHE SI ERANO DIMOSTRATI DI MAGGIOR SUCCESSO. Negli anni successivi al 1945, i carri armati dell’esercito sovietico (come era stata ribattezzata l’Armata rossa nel 1946) dominarono la scena, soprattutto grazie all’atteggiamento aggressivo dell’URSS durante la Guerra fredda. All’inizio del 1989, due anni prima del crollo del suo impero, l’Unione sovietica e i suoi satelliti dell’Europa orientale, organizzati nel Patto di Varsavia (Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania Est, Ungheria, Polonia e Romania), erano in grado di mettere in campo più di 57.300 carri, contro i 22.224 della NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, che comprendeva Stati Uniti, Canada, Regno Unito e 13 nazioni dell’Europa occidentale).

I successori del T-34 Il T-34/76, forse il progetto di carro armato di maggior successo della storia, si dimostrò capace di notevole espansione. Dal 1943, la sua torretta con cannone da 76 millimetri fu sostituita da una nuova e allargata, con un più potente cannone da 85 millimetri. Nel 1945 fu introdotto il T-44, che sposava la torretta del T-34/85 a uno scafo più basso e a nuove sospensioni. La prima produzione arrivò in tempo per essere spedita in Estremo Oriente a partecipare all’offensiva contro il Giappone in Manciuria, nell’agosto 1945. Al T-44 seguirono il T-54 e il più potente T-55, i principali tank sovietici della metà del Ventesimo secolo. Furono in seguito costruiti circa 100.000 T-54 e T-55 in Polonia, Cecoslovacchia e Cina (il secondo come Type 59). I T-54 ebbero un ruolo di rilievo nella repressione dell’insurrezione ungherese nel 1956 ed entrambi i modelli combatterono in molti altri conflitti, tra cui la Guerra dei sei giorni arabo-israeliana nel 1967, quella del Vietnam nelle sue fasi finali, i conflitti degli anni Ottanta in Afghanistan e Angola e la Seconda guerra del Golfo nel 2003. Il T-62 fu introdotto nel 1961 e dotato di cannone U-5T ad anima liscia da 115 millimetri con controllo di tiro integrato. Basato sul T-55, il T-62 fece comunque compiere un passo in più al design del carro armato. Il suo cannone sparava penetratori a energia cinetica APFSDS («proiettili perforanti con alette stabilizzatrici e involucro a perdere») con una velocità iniziale (1680 metri al secondo) superiore a quella di ogni altra arma per tank contemporanea, che permetteva una maggiore penetrazione. In seguito, l’armamento ad APFSDS

fu adottato quasi universalmente dagli eserciti del mondo. Quando la produzione del T-62 nella sua forma modificata cessò in URSS (1983), ne erano stati costruiti circa 20.000. Al T-62 seguì il T-64, che introdusse il cannone ad anima liscia da 125 millimetri. Il T-64 era altamente efficace, ma complicato e costoso. La sua controparte, il T-72 era di più semplice fabbricazione e funzionamento: ne furono realizzati circa 30.000, di cui 6000 vennero esportati. Il T-72 comprendeva nuove caratteristiche. Dal 1978 fu dotato di telemetro laser, in sostituzione di quello ottico a coincidenza, che non si poteva usare per distanze superiori ai 1000 metri. Dopo il 1985 tutti i T-72 videro aggiornare i loro cannoni da 125 millimetri affinché potessero sparare missili anticarro guidati, oltre alle munizioni standard del cannone principale, tra cui colpi esplosivi anticarro (HEAT) e APFSDS.

Sopra: Il T-55 sovietico è uno dei carri armati più diffusi dell’era postbellica. Ne furono costruiti oltre 50.000 e furono esportati in decine di paesi. Visto il costante tentativo dei due blocchi coinvolti nella Guerra fredda di ottenere intelligence sui veicoli in possesso dell’avversario, molte informazioni erano strettamente riservate. Questa immagine era usata per permettere ai soldati di identificare il T-55: era probabilmente una foto scattata di nascosto e il timbro SECRET dimostra la delicatezza del materiale.

Sotto: Queste schede di identificazione prodotte dall’esercito degli Stati Uniti rientravano nel massiccio sforzo compiuto dalla NATO per assicurarsi che i soldati conoscessero a fondo l’aspetto dei veicoli sovietici e di quelli alleati, limitando così al massimo gli episodi di fuoco amico, nel caso in cui la Guerra fredda si fosse fatta… calda. Ancora oggi e per ragioni molto simili, il riconoscimento dei veicoli è una componente chiave dell’addestramento militare.

CARRI ARMATI E ARMI NUCLEARI Gli eserciti con gli arsenali moderni più sofisticati negli anni Settanta erano quelli dell’Unione sovietica e dei membri della NATO. I carri armati vennero sviluppati in obbedienza a strategie opposte, benché i rispettivi armamenti mostrassero non poche somiglianze. La determinazione sovietica a evitare il gran numero di perdite subite durante la Seconda guerra mondiale, ispirò una strategia di operazioni offensive. Ciò implicava un’ingente potenza di fuoco e rapidità di manovra, per fiaccare le difese, prima che i tank e la fanteria meccanizzata si affrettassero a sfruttare eventuali brecce e a prendere gli obiettivi, con le armi nucleari tattiche che avrebbero finito per distruggere ciò che avrebbero dovuto proteggere. Nel gennaio 2006, il governo polacco pubblicò un piano di battaglia sovietico declassificato del 1979 («Sul Reno in sette giorni»), che delineava un attacco in stile Blitzkrieg all’Europa occidentale e l’uso di armi nucleari in risposta a un’offensiva nucleare della NATO. Quella rimase la dottrina del Patto di Varsavia fino alla fine degli anni Ottanta e spiega perché in Polonia fossero dislocate fino a 250 testate nucleari tattiche. La capacità della NATO di ritirarsi e contrattaccare di fronte a un’offensiva era determinata dall’esigenza di proteggere il territorio che era nata per difendere. All’epoca in cui l’offensiva sovietica era una possibilità concreta, la strategia difensiva della NATO contemplava l’uso di qualunque arma, dall’artiglieria a lunga gittata ai missili e ai razzi a corto raggio, con carri armati supportati dalla fanteria e risorse tattiche aeree.

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Il T-72 aveva in comune con il T-64 e tutti i successivi carri sovietici un sistema di caricamento automatico che riduceva le dimensioni del tank, eliminando il bisogno di un servente dedicato al compito e riducendo l’equipaggio a tre persone.

Minacce alla supremazia del carro armato Nei primi anni Settanta, il dominio del tank sul campo di battaglia fu messo in discussione dall’apparente letalità dei missili, dimostrata nelle fasi iniziali della Guerra araboisraeliana del 1973, in cui molti carri armati di Israele furono distrutti o messi fuori uso dai lanciamissili a spalla egiziani. In seguito, contromisure come i sistemi di inganno radar a infrarossi e il potenziamento delle corazzature rispedirono i progettisti dei missili al tavolo da disegno, a concepire testate anticarro per attacco multiplo o attacco dall’alto (top attack). Dal 1985, il T-72 fu provvisto di corazza reattiva esplosiva (ERA, explosive reactive armour). Si tratta di un «sandwich» di piastre d’acciaio con uno strato intermedio di esplosivo che deflagra verso l’esterno alla penetrazione di proiettili a carica cava, limitandone l’avanzata anche del 70 per cento. Il T-72 era stato usato da oltre 40 paesi di tutto il mondo e fu seguito da un carro armato da combattimento di terza generazione, il T-80, evoluzione del T-64 e primo tank con motore costituito da una turbina a gas. Al passo con la più recente tecnologia occidentale nel campo, il T-80 presentava corazzatura composita, avanzato sistema di controllo di tiro computerizzato e armamento principale ad anima liscia da 125 millimetri, con munizioni

APFSDS ad alta velocità. Fu introdotto nel 1976, quando T-64 e T-72 erano già in produzione, creando così una situazione per cui l’Unione sovietica aveva tre carri armati con lo stesso cannone da 125 millimetri e capacità di combattimento analoghe, ma alimentati da motori diversi e con scafo, sistema di rotolamento e controllo di tiro differenti. Inoltre, il T-80 costava il doppio del T-72, il che indusse a riconcentrarsi sul T-72, pur mantenendo una produzione di T-80 su scala ridotta, per dare lavoro alla fabbrica di Omsk che lo produceva. Nel 1985 fu introdotta una nuova versione diesel, il T-80UD, ma dopo il crollo dell’URSS, il T-80 non fu più disponibile per l’esercito russo, perché costruito in Ucraina. Il T-90, di cui fu avviata una modesta produzione nel 1993, è un T-72 significativamente aggiornato. L’armamento principale è un cannone ad anima liscia da 125 millimetri, in grado di sfruttare munizioni APFSDS, HEAT e HEFRAG (High-explosive fragmentation, proiettili esplosivi a frammentazione) e di sparare missili guidati anticarro, capaci di perforare corazze da 950 millimetri. Il cannone antiaereo telecomandato da 12,7 millimetri può essere azionato dall’interno del tank dal comandante. Il T-90 è dotato di un sistema di protezione stratificato: corazzatura composita e corazza reattiva Kontakt-5 di terza generazione in torretta. Tra i dispositivi di contromisura annovera disturbatori radar IR, sensori laser, lanciafumogeni e un sistema di controllo computerizzato. Il carro armato è inoltre dotato di protezione NBC (nucleare, biologica, chimica), difese antimine e sistemi antincendio automatici.

SOPRA: I T-62 a Praga durante l’invasione sovietica del 1968. Il primo è preso a sassate da alcuni civili. Il T-62 era il sostituto sovietico del T-55. Montava un nuovo cannone ad anima liscia da 115 millimetri, concepito per sconfiggere i più recenti carri armati occidentali.

A FRONTE: Il BMP-1 fu il primo Veicolo da combattimento di fanteria (IFV) progettato per operare su un campo di battaglia nuclearizzato. Montava un cannone da 73 millimetri e un missile anticarro AT-3 Sagger, cosa che gli permetteva di combattere senza esporre la fanteria a bordo a condizioni pericolose. Era però insufficientemente armato, vulnerabile agli incendi e con un interno eccessivamente angusto.

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CAPITOLO // 33

CARRI ARMATI FRANCESI E TEDESCHI DELLA GUERRA FREDDA STATI UNITI E GRAN BRETAGNA NON ERANO I SOLI PAESI NATO CON PROGRAMMI DI SVILUPPO CORAZZATI. IN FRANCIA, LA REALIZZAZIONE DI CARRI ARMATI RIPRESE DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE, NELL’INTENTO DI PRODURRE UN TANK PIÙ POTENTE DELL’M4 SHERMAN, DI CUI LE TRE RICOSTITUITE DIVISIONI CORAZZATE FRANCESI ERANO EQUIPAGGIATE A FINE CONFLITTO. IN GERMANIA, DOPO LA SCONFITTA DEL 1945, NON SI COSTRUIRONO NUOVI CARRI FINCHÉ NON EBBE INIZIO, NEL 1956, LA PROGETTAZIONE DI UN TANK MODERNO CHE SOSTITUISSE GLI M47 E M48 PATTON DELLA BUNDESWEHR (L’ESERCITO DELLA GERMANIA OVEST). Carri armati francesi Il primo carro armato francese postbellico, l’ARL 44, fu una frettolosa improvvisazione, armata di un cannone antiaereo da 90 millimetri adattato e con un sistema di rotolamento che ricordava quello del Char B-1 degli anni Trenta. Ne furono realizzati solo 60, tra il 1947 e il 1949, per dedicarsi ben presto alla concezione di un tank più moderno, l’AMX 50, che nei piani doveva essere l’unico carro da combattimento dell’esercito francese. Sarebbe stato mobile, pesantemente armato e facile da produrre in serie. Una caratteristica innovativa del suo design era la torretta basculante. Il cannone era fissato alla parte superiore, che seguiva il movimento di elevazione e abbassamento dello stesso e ciò permetteva un semplice sistema di carica automatica. Il sistema aveva però lo svantaggio che la torretta non risultava adeguatamente ermetica alle sostanze contaminanti di tipo nucleare o chimico. L’AMX 50 non entrò mai in servizio attivo. Fu invece fornito ai francesi un alto numero di M47, in sostituzione dei vecchi Sherman. Torretta basculante e sistema di carica automatica furono incorporati anche nel carro leggero AMX 13, di cui circa 2800 esemplari vennero esportati in oltre 12 paesi tra gli anni Cinquanta e i Sessanta. Furono usati dagli israeliani durante la Crisi di Suez del 1956 e nella Guerra dei sei giorni del 1967. Nel 1964, l’esercito francese riarmò l’AMX 13 con un cannone da 90 millimetri. Il tank rimase in servizio attivo per la Francia fino al 1987 e proseguì poi a operare in altri eserciti, in particolare a Singapore e in Indonesia.

L’AMX 30 Inizialmente concepito, nel 1957, come progetto franco-tedesco congiunto, l’AMX 30 fu infine realizzato solo dai francesi ed entrò in servizio attivo nel 1966, sostituendo l’M47. Nel 1977, l’esercito francese ne aveva ricevuti 1084 e ne erano stati costruiti quasi 900 per altri paesi. L’AMX 30 aveva una torretta convenzionale con cannone da 105 millimetri. Questo sparava munizioni Obus G e proiettili HEAT, che sfruttavano cuscinetti a sfera interni alla granata per evitare che la rotazione impartita dalla rigatura del cannone riducesse le prestazioni. Sistema di controllo di tiro aggiornato, telemetro laser e munizioni APFSDS caratterizzarono l’AMX 30B2, introdotto nel 1982.

Il Leopard tedesco Il primo progetto per un carro armato postbellico tedesco giunse come collaborazione tra Germania Ovest, Francia e, più tardi, Italia. Dopo una serie di test in competizione, tuttavia, ciascun paese decise di portare avanti il proprio concept. L’impresa avveniva in un momento – sul finire degli anni Cinquanta – in cui l’emergenza delle testate HEAT aveva posto in discussione il futuro del carro armato. La soluzione della Porsche, che si era aggiudicata la realizzazione del tank tedesco, si incentrò sulla potenza di fuoco e sulle prestazioni fuoristrada. L’adozione del cannone britannico L7 da 105 millimetri e di un motore V-10 diesel 830 cavalli soddisfaceva quei requisiti. Il Leopard, però, era significativamente sottoarmato rispetto all’M60 e ai sovietici T-55 e T-62. Il primo lotto di carri fu consegnato nel settembre 1965 alla Bundeswehr, che infine schierò 2237 Leopard 1, mentre 2537 furono acquistati dagli eserciti di Belgio, Olanda, Norvegia, Australia, Canada,

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Danimarca, Grecia, Turchia e Libano. La Germania Ovest sciolse l’ultimo battaglione di Leopard 1 nel 2003.

Leopard 2 Nel 1963, la Bundeswehr entrò a far parte di un programma congiunto con quello USA per la creazione di un nuovo e più potente tank. I tedeschi lo abbandonarono nel 1969, ma continuarono a lavorare al progetto, realizzando, nel 1971, 16 prototipi di quello che divenne il Leopard 2, armato di cannone ad anima liscia Rheinmetall da 120 millimetri. Dopo un ritardo causato in parte da ripensamenti della Bundeswehr, nel 1977 furono ordinati 1800 Leopard 2. Il primo di questi, fabbricato da Krauss-Maffei Wegmann e con accresciuta protezione sul davanti dello scafo, fu consegnato a fine ottobre 1979. La produzione per la Bundeswehr si concluse nel 1992, epoca in cui erano stati costruiti 2125 esemplari.

Sotto: Le prime versioni del Leopard 1. Fu il primo carro armato realizzato dalla Germania Ovest dopo la fine della Seconda guerra mondiale. A differenza di Tiger e Panther del periodo bellico, il Leopard 1 poneva l’enfasi su mobilità e potenza di fuoco a spese della protezione: la corazzatura era sottile persino per gli standard dell’epoca.

CARRO DA COMBAT TIMENTO LECLERC SPECIFICHE // LECLERC EQUIPAGGIO: 3 PESO: 56 t CORAZZATURA: modulare composita ARMAMENTO: 1 cannone GIAT CN 120-26/52 da 120 mm, 1 mitragliatrice coassiale da 12,7 mm, 1 mitragliatrice da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: 72 km/h MOTORE: SACM (Wärtsilä) 8 cilindri 1500 hp (1100 kW), diesel Il progetto del carro armato fu realizzato nel 1986 e le consegne all’esercito francese cominciarono nel 1992, proseguendo fino al 2006, epoca in cui ne erano stati fabbricati 406 e venduti 388 all’esercito degli Emirati Arabi Uniti. L’armamento principale del Leclerc è un cannone ad anima liscia da 120 millimetri, capace di sparare gli stessi proiettili del Leopard 2 tedesco e degli M1 Abrams statunitensi. La torretta fu progettata intorno al sistema di caricamento automatico e, senza più l’esigenza del servente umano, l’equipaggio fu ridotto a tre elementi. Il tank ha una cadenza di tiro di 12 colpi al minuto ed è in grado di sfruttare sei diversi tipi di munizioni, benché non possa passare da un tipo all’altro, una volta caricato. È provvisto di sistemi di

controllo di tiro e gestione del campo di battaglia all’avanguardia, incluso un sistema digitale con display che fornisce immagini in tempo reale, e la combinazione del visore del cannoniere con il dispositivo di visione panoramica del comandante ne assicura la valenza hunter-killer (caccia d’assalto). Il Leclerc resta uno di carri da combattimento (MBT) più leggeri al mondo, con un ottimo rapporto potenza/peso e una delle migliori accelerazioni (da 0 a 32 chilometri orari in meno di sei secondi). È stato impiegato in varie missioni di peace-keeping e in conflitti a bassa intensità nel Kosovo e in Libano. I Leclerc degli Emirati Arabi Uniti hanno preso parte a combattimenti in Yemen nel 2015.

il più recente MBT francese è il Leclerc. È entrato in servizio negli anni Novanta e Duemila. È dotato di caricamento automatico, dunque presenta un equipaggio ridotto a tre elementi. Ha operato in operazioni di pace in Kosovo e in Libano. Gli Emirati Arabi Uniti lo hanno impiegato in azioni di combattimento in Yemen.

a deStra: Con le loro 55 tonnellate e oltre, i carri armati moderni sono spesso troppo pesanti per i ponti delle zone in cui si trovano a operare. Una delle soluzioni è dimostrata da questo Leopard 2: grazie alla tenuta stagna, è in grado di immergersi completamente e di avanzare sul letto di un corso d’acqua. L’assetto subacqueo non è velocissimo da approntare, ma aumenta notevolmente la mobilità del tank.

Il Leopard 2 ha avuto due sviluppi principali. Il primo, Leopard 2A4 (il membro più numeroso della famiglia), integrava un sistema automatico di soppressione incendi ed esplosioni e un sistema di controllo di tiro completamente digitale, oltre a una torretta modificata, con corazzatura piatta a piastre di titanio e tungsteno. Il Leopard 2A5, entrato in servizio per la Bundeswehr nell’estate del 1998, ha potenziato la corazzatura del 2A4, specialmente con la nuova corazza frontale a forma di cuneo sulla torretta che ne ha modificato notevolmente l’aspetto. Ha inoltre introdotto una torretta elettrica e migliorato il sistema di frenata. Tutti i 2A5 sono stati poi convertiti nel Leopard 2A6, dotato del nuovo cannone L/55 ad anima liscia da 120 millimetri, con la lunga canna che consente una velocità iniziale superiore e una maggiore capacità perforante. Un ulteriore miglioramento, il Leopard 2A6M, presenta una protezione supplementare antimine sotto il telaio. Il crollo dell’Unione sovietica, nel 1991, portò a un calo immediato delle tensioni internazionali e a un ridimensionamento degli eserciti europei, in particolare delle flotte di carri armati. La Bundeswehr, che al culmine della Guerra fredda aveva una forza corazzata di 85 battaglioni per un totale di oltre 5000 carri armati, li aveva ridotti entro il 2015 a quattro battaglioni e circa 250 Leopard. La produzione complessiva ammonta a 3480 esemplari e ci sono Leopard 2 in servizio negli eserciti di Austria, Canada, Cile, Danimarca, Finlandia, Grecia, Indonesia, Norvegia, Polonia, Portogallo, Singapore, Spagna, Svezia, Svizzera e Turchia. L’esercito ito olandese aveva eliminato i suoi Leopard nel 2011, ma ne ha riattivata ta una piccola unità nel 2015. I Leopard hanno visto l’azione in Kosovo con le forze NATO nel 1999 e con la coalizione a guida USA in Afghanistan nel 2007-2008. La prima perdita subita ta da un suo equipaggio risale al 25 luglio 2008, quando un Leopard ard 2A5 danese ha urtato un ordigno esplosivo improvvisato e il pilota è rimasto ucciso.

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LEOPARD 2A7 SPECIFICHE // LEOPARD 2A7 EQUIPAGGIO: 4 PESO: 62,5 t CORAZZATURA: composita di terza generazione, comprensiva di acciaio, tungsteno e plastica mista a ceramiche ARMAMENTO: 1 cannone ad anima liscia da 120 mm, 1 mitragliatrice da 12,7 mm, 1 mitragliatrice da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: (su strada) 72 km/h MOTORE: MTU MB 873 Ka501 1500 hp, diesel Il 2A7 è l’ultimo della serie di upgrade del Leopard. Il primo lotto è stato consegnato alla Bundeswehr nel 2014. Il 2A7 presenta una protezione passiva di ultimissima generazione, con corazzatura inferiore in grado di difenderlo da mine e ordigni improvvisati e adattatori per il montaggio di moduli di corazza supplementari o protezioni contro i lanciarazzi. La corazzatura modulare facilita la pronta sostituzione di moduli danneggiati in situazioni di combattimento. L’armamento principale è un cannone Rheinmetall L/55 ad anima liscia da 120 millimetri; si carica manualmente ed è compatibile con tutte le munizioni standard NATO oltre che con le nuove munizioni esplosive programmabili, che gli permettono di gestire il bersaglio senza uscire allo scoperto e anche in mezzo agli edifici. Questi colpi multifunzione si possono impiegare contro truppe, veicoli corazzati ed elicotteri a bassa quota. Il pilota dispone di camera termica anteriore e posteriore; il comandante e il cannoniere hanno camere supplementari per la sorveglianza a lungo raggio. Il tank è dotato di sistemi di comando e controllo e di un sistema di gestione del campo di battaglia all’avanguardia.

CAPITOLO // 34

CARRI ARMATI IN MEDIO ORIENTE LA COMPONENTE CORAZZATA DELLE FORZE DI DIFESA ISRAELIANE (IDF) EBBE INIZI MODESTI. NEL 1948, QUANDO IL NUOVO STATO DI ISRAELE FU MINACCIATO DI DISTRUZIONE DAI PAESI ARABI VICINI, DURANTE LA PRIMA GUERRA ARABO-ISRAELIANA, POTÉ SCHIERARE SOLO UN SOLITARIO M4 SHERMAN, DUE CROMWELL, 12 CARRI LEGGERI HOTCHKISS H35 E QUALCHE AUTOMEZZO BLINDATO DI FABBRICAZIONE LOCALE. DA QUELL’INIZIO POCO PROMETTENTE, TUTTAVIA, È DERIVATA UNA DELLE MIGLIORI FORZE CORAZZATE DEL MONDO POSTBELLICO. a SiniStra: Un soldato britannico ispeziona un SU-100 egiziano catturato durante la Crisi di Suez del 1956. L’SU-100, di fabbricazione sovietica, è un esempio di cacciacarri. Monta un cannone abbastanza potente da distruggere un carro armato, ma è privo della complicata e costosa torretta. Ciò lo rende più economico e più facile da fabbricare, ma meno versatile. Sovietici e tedeschi ne fecero largo uso negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale.

Il conflitto del 1956 Solo con la guerra del 1956 le IDF cominciarono a spostare l’attenzione sull’elemento corazzato. Nel 1955, la Francia aveva cominciato a esportare armi in Israele, che acquistò circa 100 Sherman e carri leggeri AMX 13, armati di cannone da 75 millimetri. Nello stesso anno, la miscellanea egiziana di Sherman e corazzati britannici si arricchì di 230 T-34/85 e di 100 cacciacarri cecoslovacchi SU-100. Così, quando Israele attaccò l’Egitto nel Sinai, il 29 ottobre 1956, nell’ambito di una campagna congiunta con Gran Bretagna e Francia che mirava a contrastare il

piano di nazionalizzazione del Canale di Suez del presidente Nasser, i due opposti schieramenti misero in campo corazzati del periodo della Seconda guerra mondiale. Questi erano inferiori ai Centurion fatti sbarcare dai britannici a Port Said all’inizio di novembre, come parte delle operazioni francobritanniche congiunte contro il Canale. Durante la Campagna del Sinai, gli israeliani conservarono i loro tank, aggirando con la ricognizione i corazzati egiziani, per lo più assegnati alla fanteria e in posizioni statiche, il che permise alle loro task force corazzate di prendere il nemico alle spalle.

I tank egiziani venivano distrutti dove si trovavano o colpiti dai corazzati israeliani se tentavano di spostarsi. Quando fu dichiarato il cessate il fuoco, il 6 novembre, gli israeliani avevano catturato 125 carri armati e 60 veicoli di trasporto truppe dell’Egitto e occupato il Sinai (da cui si ritirarono nel marzo 1957). Lo schiacciante successo di Israele nel 1956 diede enorme impulso ai corpi corazzati delle Forze di difesa israeliane e nel 1960 queste acquistarono 30 Centurion nuovi e usati dai britannici, armati di cannoni da 84 millimetri. Nel 1962, le IDF comprarono altri Centurion, questa volta con cannone L7 da 105 millimetri, che fu impiegato anche per riarmare il primo lotto. Nel 1967, le IDF avevano ormai acquisito 385 Centurion, che costituivano la componente più significativa della sua flotta di corazzati. Sotto la rigida disciplina del general maggiore Israel Tal, ammiratore di Guderian, al comando dei corpi corazzati, le capacità a lunga distanza degli equipaggi di Centurion e M48 (acquistati dalle IDF nel 1965) furono rigorosamente affinate. Nel marzo 1965 Tal, a bordo di un M50 Super Sherman con cannone a tiro rapido da 75 millimetri, impiegò due minuti a distruggere cinque trattori siriani (che tentavano di sbarrare gli affluenti del Giordano) a una distanza di 2000 metri.

La Guerra dei sei giorni Il grande momento di Tal venne il 5 giugno 1967, seconda giornata della cosiddetta Guerra dei sei giorni: una serie di

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attacchi preventivi sferrati da Israele contro paesi arabi vicini, dopo un progressivo crescere delle reciproche tensioni. In qualità di comandante dell’84a Divisione corazzata, Tal compì una serie di azioni di sfondamento lungo la via costiera mediterranea tra Gaza e al-Arish: veniva così ricompensato il suo insistere sull’importanza di un’artiglieria impeccabile, oltre alla sua estrema sicurezza di sé e fiducia negli uomini e mezzi al suo comando. Lungo tutto il fronte del Sinai, i carri armati delle divisioni di Tal, del generale Joffe e del generale Sharon penetrarono in profondità nelle retrovie egiziane, in una classica attuazione del Blitzkrieg. A un certo punto, vicino a Nakhle, i corazzati di Sharon superarono la 125a Brigata corazzata, parte della 6a Divisione d’Egitto, i cui veicoli erano ordinatamente accostati alla strada: gli equipaggi erano fuggiti senza alcun tentativo di sottrarli al nemico, non avendo peraltro ricevuto ordine di farlo. Qualche ora dopo, Sharon ispezionava il resto della Divisione: altri 60 carri armati, 100 cannoni e 300 veicoli. L’8 giugno gli israeliani erano sul Canale di Suez. Dei 935 tank schierati dagli egiziani ne erano andati perduti circa 820. Centinaia di cannoni e oltre 10.000 veicoli – più dell’80 per cento dell’arsenale egiziano – erano nelle mani di Israele, a fronte di 1300 perdite subite dalle IDF, tra cui 300 morti. Sul versante orientale di Israele ci fu un aspro scontro corazzato in Samaria con i carri della Giordania, prima che l’offensiva delle IDF a Nablus causasse il crollo delle forze giordane. A nord, sulle Alture del Golan, in Siria, fanteria e forza corazzata delle IDF aprirono brecce nelle posizioni

SOTTO: Le Forze di difesa israeliane acquistarono varie centinaia di M48 dagli Stati Uniti tra gli anni Sessanta e Settanta. Ne catturarono inoltre 100 dalla Giordania durante la Guerra dei sei giorni del 1967. Dopo il conflitto, gli israeliani aggiornarono i loro M48 in vari modi: il più evidente fu l’installazione del cannone da 105 millimetri. Li chiamarono Magach («speronamento»).

difensive del nemico, richiamando il piano di battaglia di Cambrai del 1917, le truppe siriane si diedero alla fuga e gli equipaggi dei carri armati abbandonarono i veicoli. Dei 373 T-54 e T-55 persi dall’esercito egiziano durante la Guerra dei sei giorni, molti furono reimpiegati da Israele, che ne equipaggiò un’intera brigata corazzata. Gli israeliani catturarono anche circa 100 carri M48 giordani, pure inseriti nelle loro formazioni corazzate.

La Guerra del Kippur Il 6 ottobre 1973, Israele affrontò un’altra guerra con i paesi arabi vicini, quando Egitto e Siria sferrarono un attacco a sorpresa durante la festività ebraica di Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione. Il loro attacco simultaneo impedì a Israele di concentrarsi sull’uno e poi sull’altro, mentre la grande attenzione posta da siriani ed egiziani nello sposare le tattiche ai terreni di scontro pose all’inizio in seria difficoltà le IDF. Nel nord i siriani, con 1000 carri armati, tra cui alcuni T-62 dotati di camere a infrarossi per visione notturna e di cannoni ad anima liscia da 115 millimetri, detenevano un vantaggio iniziale di 5:1 (di 12:1 in certi settori). Compirono incursioni nelle Alture del Golan, ma non riuscirono a prendere i ponti sul Giordano, la chiave della sicurezza israeliana. Furono tenuti a bada dai 170 Centurion di due brigate corazzate IDF, alcuni schierati in combattimento, altri usati per tappare le aperture che minacciavano di aprirsi. l’Alto comando israeliano prediligeva l’impiego del Centurion sulle rocce del Golan, con le robuste sospensioni e i cingoli interamente in acciaio. La superiorità dell’artiglieria israeliana e sforzi attentamente calibrati permisero di non perdere terreno, mentre si facevano accorrere in massa i rinforzi. Combinando Armi guidate e squadre di corazzati anticarro, i siriani eliminarono la prima linea di difese israeliane nel giro di 24 ore e avanzarono fino a una decina di minuti (in carro armato) dal Fiume Giordano e dal Mare di Galilea. Poi, come i T-34 dell’Armata rossa nel 1942, persero coesione e cominciarono a muoversi alla rinfusa. In quattro giorni di aspri combattimenti, i Centurion e i Super-Sherman delle IDF ebbero ragione di circa 400 corazzati siriani, poi respinsero il nemico con sostenuti contrattacchi aerei e corazzati. Il 12 ottobre, 300 tank giordani e iracheni lanciarono un attacco sul fianco delle IDF, che si stavano spingendo oltre

CENTURION MARK 3 SPECIFICHE // CENTURION MK3 EQUIPAGGIO: 4 PESO: 49 t CORAZZATURA: 152 mm ARMAMENTO: 1 cannone da 84 millimetri, 1 mitragliatrice di puntamento Browning 0.50, 1 mitragliatrice Browning 0.30 VELOCITÀ MASSIMA: 34 km/h MOTORE: Rolls Royce Meteor Mk1VB 12 650 hp, benzina

il Golan e verso Damasco. Ne derivarono due frenetiche giornate di scontri ravvicinati (200-300 metri) carro-controcarro, che lasciarono sul campo 60 carcasse in fiamme, per lo più irachene. Sul fronte settentrionale del conflitto, gli arabi persero nel complesso quasi 1200 carri armati, contro i 250 degli israeliani, di cui la metà poté essere riparata.

a fronte: Gli israeliani ribattezzarono i loro Centurion ShoÕt («frusta»). Erano stati potenziati con cannoni autoctoni da 105 millimetri, oltre a motori e mitragliatrici americane. Questa torretta monta una mitragliatrice M2 calibro 0.50.

Il fronte egiziano A sud, gli egiziani conseguirono un successo di tattica delle comunicazioni e strategia. Avevano convinto l’intelligence militare israeliana che i massicci preparativi per l’attraversamento del Canale di Suez fossero solo operazioni di addestramento e manovre militari: un inganno degno dell’Operazione Fortitude che aveva preceduto l’invasione della Normandia nel giugno 1944. Il superamento stesso del Canale, poi, che implicò il simultaneo trasferimento di cinque divisioni nel giro di 24 ore (su dieci ponti per carri e veicoli, più altri dieci per la fanteria), mentre ci si scontrava con il nemico colto di sorpresa, fu un altro pezzo di bravura tecnica e organizzativa. Gli egiziani avevano anche anticipato la reazione israeliana – massicci e rapidi contrattacchi di aviazione e mezzi corazzati – e avevano dotato la fanteria di razzi Sagger anticarro e di missili leggeri antiaerei Strela SA-7 in abbondanza. Il contraccolpo, quando giunse, l’8 ottobre, fu affidato ai carri armati della 162a Divisione israeliana, non supportata da artiglieria e fanteria, e comportò gravi perdite – 165 tank su 268 – senza riuscire a impedire agli egiziani di espandere le loro posizioni in una testa di ponte ininterrotta. La situazione fu salvata dai riflessi migliori delle IDF sul campo di battaglia, tanto sul fronte settentrionale quanto su quello meridionale. Gli attacchi siriani ed egiziani si sbriciolarono su «incudini» corazzate, che combinavano fanteria e artiglieria meccanizzate per rallentare e infine sconfiggere il nemico. L’azione giunse al culmine, nel nord, il 9 ottobre, quando la 1a Divisione corazzata siriana fu circondata sulle Alture del Golan. Il 14 ottobre, gli egiziani lanciarono sei colonne corazzate – circa 1000 tank supportati dall’artiglieria – dalla loro testa di ponte, nel tentativo di penetrare di una cinquantina di chilometri, raggiungendo i passi di Gidi e Mitla. Nella più vasta battaglia di carri armati dalla Seconda guerra mondiale, i carri egiziani furono affrontati e sconfitti da 750 M48 ed M60

La produzione del Centurion ebbe inizio nel gennaio 1945 e la sua prima azione fu con l’esercito britannico, durante la Guerra di Corea, dove dimostrò le sue capacità sulle pendenze. Rappresentò il primo tentativo di produrre un carro «universale» e archiviare la vecchia distinzione tra «cruiser» e «carro di fanteria». Aveva glacis dalla corazzatura inclinata e una torretta di forma migliorata. L’Mk 1 montava un obsoleto cannone da 76,2 millimetri, ma l’Mk 3 era armato di un più efficace 84 millimetri, stabilizzato elettronicamente in elevazione e azimut, per un migliore controllo dell’artiglieria e del tiro. Quando fu dotato di cannone L7 da 105 millimetri, insieme a munizioni più potenti, l’Mk 9 divenne in grado di perforare le più spesse corazze sovietiche. Tra il 1946 e il 1962 furono prodotti 4423 Centurion, in 25 diversi modelli e con numerose varianti, che equipaggiarono eserciti di varie parti del mondo. Nel 2006, le IDF usavano ancora Centurion fortemente modificati come veicoli di trasporto personale corazzati e per il genio.

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a fronte: Un Merkava Mark III. Questa versione, introdotta dal 1989, è stata la prima armata di cannone ad anima liscia da 120 millimetri in una torretta ridisegnata. Presentava anche un motore più potente, corazzatura perfezionata e sistema di controllo di tiro aggiornato rispetto alle versioni precedenti.

MERKAVA IV SPECIFICHE EQUIPAGGIO: 4 PESO: 65 t CORAZZATURA: composita con componenti classificate ARMAMENTO: 1 cannone da 120 mm ad anima liscia in grado di sparare missili anticarro a guida laser (LAHAT) e missili guidati anticarro (ATGM), 1 mitragliatrice da 12,7 mm, 2 da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: 64 km/h MOTORE: 1500 hp turbo diesel

israeliani, che ne distrussero circa 250. Le IDF ricevettero poi rapidamente il rinforzo di corazzati di fornitura americana, che aumentarono l’entità della loro flotta a 2000 unità. In tutto, le perdite delle IDF su entrambi i fronti sono state stimate in circa 850 corazzati, di cui forse 400 furono recuperati dal terreno di scontro e riparati. Il 16 ottobre, fu il turno di Israele di attraversare il Canale di Suez. Quando gli egiziani contrattaccarono, il 17 ottobre, i loro carri armati intrapresero una missione suicida. Lo scontro corazzato sulla sponda occidentale era stato vinto, la minaccia delle armi guidate anticarro su quella orientale era stata neutralizzata, Il Cairo era in pericolo e, il 24 ottobre, fu imposto un cessate il fuoco. In seguito, si dibatté ampiamente sull’efficacia delle armi anticarro nelle fasi iniziali del conflitto, ma l’analisi postbellica dimostrò che la grande maggioranza delle perdite in mezzi corazzati si poteva attribuire ai cannoni dei carri armati e che la maggior parte dei centri messi a segno dai missili era avvenuta nelle primissime fasi, prima che gli israeliani comprendessero appieno la minaccia che costituivano. Più di 3000 carri armati arabi erano andati perduti, contro un nemico che dipendeva quasi totalmente dai cannoni e che, dopo gli scontri iniziali, aveva dimostrato una comprensione delle manovre decisive degna di Guderian.

Il Merkava Dopo la Guerra dei sei giorni, le IDF diedero alta priorità alla realizzazione di un carro armato autoctono e il progetto si avvalse della supervisione del generale Israel Tal, attingendo anche alle lezioni impartite dalla Guerra del Kippur. I primi prototipi del Merkava («carro») furono costruiti nel 1974 e i primi tank vennero consegnati all’esercito israeliano nell’aprile 1979. La minaccia costante alle frontiere nord e sud del paese, rappresentata fin dal 1948 dai paesi arabi vicini, rese Israele uno dei massimi fautori della guerra corazzata. Per Tal, l’alta probabilità di sopravvivenza doveva essere il valore fondante del progetto, che avrebbe dovuto offrire la massima protezione a equipaggi e munizioni. Ciò indusse a un certo distacco dal consueto layout dei carri da combattimento, ponendo motore e trasmissione nella parte anteriore del Merkava, a schermare gli occupanti dagli attacchi frontali. Le munizioni del cannone da 105 millimetri furono

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collocate sul retro dello scafo, dove erano meno vulnerabili, e si aggiunse un portellone posteriore, che avrebbe permesso rifornimenti maggiormente protetti e facilitato le evacuazioni. Il Merkava debuttò in combattimento durante la Guerra del Libano, nel 1982, nel corso della quale operò anche come veicolo di trasporto personale di fortuna, alloggiando dieci soldati o feriti in grado di camminare a spese dello spazio destinato alle munizioni. Il Merkava Mark II entrò in servizio nell’aprile 1983, con migliorie dettate dall’esperienza libanese e ispirate alla sopravvivenza in contesto urbano. Tra queste, il mortaio da 60 millimetri fu spostato dal tetto del tank all’interno dello scafo, per proteggere l’operatore dal fuoco di armi leggere, si aggiunsero catene sotto il cesto della torretta, volte a far deflagrare anzitempo le granate a razzo (RPG), e si aggiornò il sistema di controllo di tiro. Il Merkava Mark III arrivò nel dicembre 1989 con ulteriori novità, tra le quali il cannone IMI da 120 millimetri, di fabbricazione israeliana, l’aggiunta di designatori laser e l’adozione della corazza modulare Kasag, che facilitava la rapida sostituzione e riparazione in combattimento. Nel 1995 fu introdotto il sistema di controllo di tiro del Mark III BAZ («Luce splendente»), che accresceva la capacità del tank di colpire bersagli mobili, mentre si muoveva a sua volta. Il Merkava Mark IV divenne operativo alla fine del 2004. Aveva un più potente motore turbo diesel da 1500 cavalli, torretta di forma rinnovata, una combinazione di corazzatura passiva e attiva e la piastra inferiore ispessita contro la minaccia delle mine. Durante la guerra del 2006 contro Hezbollah (il «Partito di Dio»), l’organizzazione sciita operante al confine settentrionale di Israele con il Libano, le IDF si trovarono di fronte una nuova generazione di missili anticarro, soprattutto il Kornet con guida laser, di fabbricazione russa, ritenuto capace di perforare fino a 1200 millimetri di corazza d’acciaio con protezione ERA. Durante la campagna furono colpiti circa 50 Merkava II, III e IV (14 furono messi fuori uso dai razzi), bilancio che ha accelerato l’introduzione, nel 2010, del Sistema di protezione attiva Trophy. Questo impiega il radar per individuare i missili in arrivo e proiettili stile «pallettoni metallici» per intercettarli. Dal 1979, sono stati prodotti 2270 Merkava: 250 Mark I, 580 Mark II, 780 Mark III e 660 Mark IV.

CAPITOLO // 35

LE GUERRE DEL GOLFO I PUNTI DEBOLI E I PUNTI DI FORZA DELLE TECNOLOGIE NATO E DI QUELLE SOVIETICHE FURONO MESSI ALLA PROVA DALLA PRIMA GUERRA DEL GOLFO, SCOPPIATA QUANDO IL DITTATORE IRACHENO SADDAM HUSSEIN INVASE IL KUWAIT, DOPO UNA DISPUTA SUI DIRITTI DI SFRUTTAMENTO DEI CAMPI PETROLIFERI AL CONFINE CON L’IRAQ. L’esercito iracheno, che invase e occupò il Kuwait il 2 agosto 1990, contava prevalentemente su dotazioni e addestramento di provenienza sovietica e cinese, benché si discostasse dall’atteggiamento dei sovietici nella sua ostinata determinazione a combattere da posizioni statiche: una tendenza ereditata dalla Guerra Iran-Iraq degli anni 1980-1988. L’Iraq si trovò di fronte una coalizione composta da forze americane, arabe, britanniche e francesi, in prevalenza equipaggiate dalla NATO e da essa indottrinate all’impiego di tattiche altamente mobili. La Coalizione diede inizio a un’azione militare contro lo stato aggressore il 17 gennaio 1991 e in quattro giorni conquistò il primo obiettivo, ottenendo la supremazia aerea. Il successivo, sistematico martellamento della forza terrestre

a SiniStra: Nell’era predigitale e pre-telefonia mobile della Prima guerra del Golfo gli equipaggi dei carri armati ricevevano queste cartoline da spedire a casa per mantenere i contatti.

a SiniStra: Un T-72M iracheno catturato. Il T-72 era il più avanzato carro sovietico in dotazione all’esercito iracheno. Veniva usato dal corpo d’élite della Guardia Repubblicana e i suoi successi all’epoca della Guerra Iran-Iraq lo avevano fatto percepire come una minaccia assai concreta dalle forze della Coalizione. In realtà, l’M1A1 Abrams americano si sarebbe dimostrato assai superiore.

a fronte: Un M1A1 Abrams americano durante la Guerra del Golfo del 1991. L’M1A1 aveva rappresentato un importante progresso per l’esercito degli Stati Uniti, quando era stato introdotto negli anni Ottanta. Vantava una potenza di fuoco e una corazzatura migliorate rispetto all’M60, nonché un sistema di controllo di tiro altamente affidabile e una velocità ineguagliata, per un carro armato da combattimento.

M1A1 ABRAMS SPECIFICHE // M1/M1A1/M1A2 EQUIPAGGIO: 4 PESO: M1 54 t, M1A1 57 t, M1A2 62 t CORAZZATURA: M1, M1A1 corazza composita Burlington, M1A2 corazza composita rinforzata con armature all’uranio impoverito ARMAMENTO: M1 cannone rigato L/52 M68 da 105 mm; M1A1, M1A2 cannone ad anima liscia L/44 M256A1 da 120mm; Armamento secondario: 1 mitragliatrice pesante M2HB da 12,7 mm, 2 mitragliatrici M240 da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: 72 km/h MOTORE: a turbina Honeywell AGT1500C multicarburante 1500 hp

Nel 1972, il Congresso degli Stati Uniti diede il via libera alla produzione di un nuovo carro da combattimento che sostituisse l’M60. Fu approvato un progetto della Chrysler e nel 1980 la produzione dell’M1 Abrams ebbe inizio. I primi 2374 tank erano armati di cannone L7 da 105 millimetri, ma dopo il 1985 la versione M1A1 fu dotata di un Rheinmetall M256 ad anima liscia da 120 millimetri, che sparava proiettili con alette stabilizzatrici e che era stato concepito per il Leopard 2. L’M1A2 rappresentò in seguito un ulteriore passo avanti, con camera termica indipendente e stazione delle armi (Weapon Station) per il capocarro, sistema di navigazione e posizione oltre a una serie completa di comandi e display collegati da un data bus. L’M1 adottò la corazza britannica Chobham e un’ulteriore protezione fu in seguito assicurata da una corazzatura speciale con integrazione di uranio impoverito. I sistemi di controllo di tiro dell’Abrams calcolano soluzioni per cannoniere e comandante con un’affidabilità del 95 per cento. Sono alimentati da sensori che determinano velocità e direzione del vento, temperatura dell’aria, pressione, peso e temperatura della canna e persino l’eventuale caduta di pioggia su un lato della canna stessa: tutti fattori che condizionano la performance. Alla vigilia della Prima guerra del Golfo, furono inviati circa 1850 M1A1 nel Golfo Persico e, durante il conflitto, gli equipaggi di questi tank poterono individuare i bersagli grazie ai visori termici. Nell’Operazione Desert Storm il fuoco amico si dimostrò un pericolo più grave di quello rappresentato dai corazzati iracheni e i successivi veicoli da combattimento furono dotati di pannelli identificativi CIP (Combat Identification Panels) sui fianchi e sul retro della torretta, per ridurre simili incidenti. I M1A1 furono meno usati nell’invasione dell’Iraq del 2003. In quella operazione superavano comunque per armamento i T-55, T-62 e T-72 iracheni, ma si dimostravano vulnerabili alle mine e agli attacchi ravvicinati con i lanciagranate a reazione anticarro RPG-7, i discendenti del Panzerfaust.

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A FRONTE, SOPRA: L’equipaggio di un Challenger 1 britannico si è costruito una casa lontano da casa usando il veicolo, alcune reti mimetiche e qualche telo. Le operazioni nel deserto rendono difficoltosi i rifornimenti: gli uomini hanno dovuto portare con sé molto più del solito ma lo spazio in un tank resta assai limitato. A FRONTE, SOTTO: Un veicolo da ricognizione Scimitar accompagnato da una squadra di cecchini, durante l’invasione dell’Iraq del 2003. Gli Scimitar operano al fianco dei Challenger nei Reggimenti corazzati dell’esercito britannico. Questa immagine dimostra quanto i corazzati cooperino ancora con la fanteria. I cecchini ricevono protezione dallo Scimitar, fornendogli al tempo stesso una migliore conoscenza dell’ambiente e un sistema d’arma assai meno distruttivo.

A DE DESSTRA: I soldati britannici ricevevano una dettagliata intelligence prima di entrare in azione. Questa pubblicazione conteneva informazioni essenziali, che aiutavano gli equipaggi dei carri armati a identificare corazzati e aerei iracheni. Descriveva anche i distintivi sulle uniformi dei nemici e le tattiche impiegate dai loro tank e dalle loro unità di fanteria.

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irachena con l’aviazione e l’artiglieria disabilitò i T-55, T-62 e T-72 e smantellò postazioni chiave del sistema di comando e controllo del nemico. Contemporaneamente, le forze di terra della Coalizione venivano trasferite in segreto da est a ovest. Il 23 febbraio la Coalizione aveva ormai piazzato due corpi all’estremo fianco destro iracheno. Gli iracheni avevano posizionato 26 divisioni in una fascia difensiva, dietro la quale c’erano nove divisioni meccanizzate più esperte e otto divisioni della cosiddetta élite della Guardia Repubblicana dispiegate nelle retrovie. L’offensiva terrestre della Coalizione, l’Operazione Desert Storm, fu lanciata il 24 febbraio e superò rapidamente campi minati, fossati e berme che difendevano la frontiera irachena. Due divisioni dei Marine degli Stati Uniti si addentrarono nella cinta difensiva vicino all’autostrada costiera, mentre VII e XVIII Corpo della Coalizione accerchiarono l’avanguardia delle difese irachene, che subito crollò, lasciando esposte le unità della Guardia Repubblicana.

La Battaglia di 73 Easting Lo scontro corazzato durante il quale debuttò in azione il carro da combattimento M1A1 Abrams fu sempre pressoché unilaterale. Per buona parte di due giornate consecutive, il VII Corpo attraversò combattendo le linee della Guardia Repubblicana. Nel pomeriggio del 26 febbraio, il 2o Reggimento di cavalleria corazzata americano (2o ACR), unità di ricognizione del VII Corpo, uscì da una tempesta di sabbia e fronteggiò la Divisione Tawakalna irachena su un tratto desertico vicino a un settore denominato «73 Easting». L’avanguardia del reggimento, costituita da nove M1A1 Abrams e 12 veicoli di trasporto truppe M3 Bradley, agli ordini del capitano H.R. McMaster, distrusse l’intera cinta difensiva che si trovò di fronte. In poco più di mezz’ora colpì 37 T-72 e altri 32 veicoli corazzati nemici. Le truppe da ricognizione ai due lati di McMaster riscossero analoghi successi e i tre gruppi, complessivamente, distrussero un’intera brigata della Guardia Repubblicana. Un contrattacco iracheno fu neutralizzato, con 113 corazzati nemici distrutti a fronte di un solo Bradley. Il 2o ACR aveva mantenuto una serrata, efficiente formazione di combattimento nel bel mezzo di un’aspra tempesta di sabbia senza riportare guasti meccanici significativi. Nello scontro, l’artiglieria dei suoi equipaggi fu straordinaria. I primi tre centri della Eagle troop furono messi a segno in tre singoli spari da un unico M1A1, in meno di 10 secondi. L’85 per cento degli spari del 2o ACR colpì l’obiettivo a distanze massime di 2000 metri, al di sotto dell’effettiva portata di 2500 metri dell’Abrams. La forza corazzata irachena, che aveva subito il costante bombardamento di aviazione e artiglieria, priva di intelligence e con le comunicazioni disturbate o interrotte, non poté reagire.

A DESTRA: Al migliorare delle corazzature dei carri armati, anche le munizioni dovettero evolvere di pari passo. Questo è un proiettile perforante L27 britannico, con alette stabilizzatrici e involucro a perdere, di quelli usati dal Challenger 2. Presenta un penetratore più lungo, in grado di trapassare la corazza più spessa. Le alette fanno volare il dardo diritto, come una freccetta, invece di ruotare stile pallottola: ciò gli permette di viaggiare più velocemente, a vantaggio della capacità di penetrazione.

A SINISTRA: Questo basco fu indossato dal comandante di brigata Patrick Cordingley durante la Guerra del Golfo. Era al comando della 7a Brigata corazzata, una delle due inviate dall’esercito britannico. Il fregio è quello di colonnelli e generali di brigata.

CHALLENGER SPECIFICHE // CHALLENGER 2 EQUIPAGGIO: 4 PESO: 61,5 t CORAZZATURA: Chobham/Dorchester Livello 2 ARMAMENTO: 1 cannone rigato L30A1 da 120mm, 1 mitragliatrice a catena coassiale da 7,62 mm, 1 mitragliatrice da 7,62 mm in cupola VELOCITÀ MASSIMA: (su strada) 59 km/h MOTORE: Perkins CV-12 1200 hp, diesel

Sotto: Challenger 1 comandato dal tenente colonnello Arthur Denaro durante la Guerra del Golfo del 1991. Denaro capeggiava i 57 Challenger degli Ussari irlandesi della Regina, uno dei tre reggimenti armati che presero parte al conflitto. Sulla fiancata del carro sono dipinti il nome, Churchill, e l’indicativo radio, 11B.

L’aspetto più significativo del Challenger era la sua corazza Chobham, la cui esatta composizione rimane segreta, ma contempla tegole in ceramica balistica, incastrate in un telaio metallico e saldate a una piastra posteriore e a vari strati elastici. Ciò consente una resistenza superiore ai proiettili a carica cava come gli HEAT e infrange i proiettili perforanti come gli APFSDS. Il motore Rolls Royce da 1200 cavalli del Challenger 1 gli conferiva un’ottima mobilità. Aspetti meno soddisfacenti erano il cannone rigato da 120 millimetri, meno potente di quello ad anima liscia dell’M1A1, e il sistema di controllo di tiro, invariato rispetto al Chieftain. Nella Prima guerra del Golfo, si inviarono in Arabia Saudita 221 Challenger 1 della 1a Divisione corazzata britannica. Questi furono modificati per operazioni in ambiente desertico, con corazza Chobham supplementare, protezione attiva ERA sul muso e sulla piastra del glacis, fusti di carburante esterni e generatori di fumo. La forza britannica fu assegnata al comando del VII Corpo americano.

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Nel giro di un centinaio di ore, la 1a Divisione corazzata britannica distrusse la 46a Brigata meccanizzata, la 52a Brigata corazzata ed elementi di almeno tre divisioni di fanteria del VII Corpo iracheno, catturando o distruggendo circa 200 carri armati e un significativo numero di altri veicoli. Il GPS e il sistema di osservazione a camera termica (TOGS) dei Challenger si dimostrarono particolarmente efficaci, permettendo di compiere attacchi notturni e in condizioni di scarsa visibilità. Non un solo Challenger andò perduto nell’azione e uno si aggiudicò il centro più lontano della storia, distruggendo un carro armato iracheno con proiettile APFSDS a una distanza di oltre 5100 metri. Verso la fine degli anni Ottanta, il Chieftain andava sostituito e il Ministero della Difesa commissionò una versione potenziata del Challenger 2 alla Vickers Defence Systems. Questa contemplava una nuova torretta, sistema di controllo di tiro rinnovato e cannone rigato L30A1 da 120 millimetri, cui si poterono anche adeguare i Challenger 1. Tuttavia, il crollo dell’Unione sovietica, nel 1991, con conseguente ridimensionamento dell’esercito britannico, determinò un ordine di appena 127 Challenger 2. Il Challenger 2 è uno dei carri armati meglio protetti al mondo. La corazza Chobham di seconda generazione, detta «Dorchester», protegge torretta e scafo. La torretta e il cannone sono movimentati da dispositivi elettrici a stato solido, anziché da un più pericoloso sistema idraulico. Il primo assaggio di combattimento per questo tank è giunto nel marzo 2003, durante l’invasione dell’Iraq. I carri armati della 7a Brigata corazzata fornirono fuoco di supporto alla fanteria britannica e affrontarono i corazzati iracheni intorno a Bassora. Nessun Challenger andò perduto a causa del fuoco nemico, ma uno fu distrutto da fuoco amico. Due membri dell’equipaggio morirono, quando i proiettili HESH del Challenger che li aveva attaccati colpirono il portello del comandante: le schegge roventi in torretta innescarono un’esplosione all’interno del tank.

CAPITOLO // 36

IL FUTURO DEI CARRI ARMATI IN UN CERTO SENSO, LA STORIA DEL CARRO ARMATO, ANZICHÉ IN TERMINI DI MIGLIORAMENTO DELLA POTENZA DI FUOCO, DELLA PROTEZIONE O DELLA MOBILITÀ, SI POTREBBE LEGGERE SEMPLICEMENTE COME UNA LOTTA COSTANTE PER LA SOPRAVVIVENZA. INFINITE VOLTE QUESTO MEZZO È STATO DICHIARATO OBSOLETO, SOLO PER RIAPPARIRE IN FORME PIÙ AVANZATE E PIÙ LETALI. Al termine del primo conflitto mondiale si era sperato di non vedere mai più una guerra di tali proporzioni e che non ci sarebbe mai più stato bisogno di carri armati. Molti furono smantellati o esposti come monumenti alla memoria. Quando poi arrivò la Seconda guerra mondiale, si dovettero concepire nuovi tank, più costosi e sofisticati… Eppure nel 1945 armi a basso costo come il Panzerfaust, maneggiate da un singolo soldato, riuscivano già a distruggerli! L’era del tank era finita? Ben presto fu chiaro che le forze corazzate avrebbero svolto un ruolo determinante, qualora la Guerra fredda fosse giunta allo scontro. Molte nazioni produssero i propri veicoli o li acquistarono dalle superpotenze. I missili anticarro, usati con effetti devastanti dalle forze terrestri nella Guerra del Kippur (1973) risollevarono la questione, come pure, di lì a poco, l’adeguamento dei missili all’attacco di elicotteri a bassa quota. Nuove misure difensive furono prontamente concepite e si tornarono a valorizzare tattiche ad armi combinate, che sfruttavano carri armati, fanteria, artiglieria e difese aeree mobili in cooperazione. L’aggiunta delle corazze reattive fornì ulteriore protezione dalle testate missilistiche. Sembrava prevedibile che la fine della Guerra fredda avrebbe rallentato o concluso lo sviluppo dei carri armati, specie in Occidente: molte migliaia di esemplari furono smantellate o vendute a poco prezzo. Per le forze armate occidentali, gran parte delle operazioni svolte dagli anni Novanta a oggi hanno richiesto il dispiegamento su grandi distanze e hanno imposto di operare tra i civili, conquistandone l’appoggio. Si presumeva che i tank, con la loro stazza, sarebbero stati difficoltosi da schierare e avrebbero probabilmente causato danni a edifici e infrastrutture, alienando il consenso della popolazione locale. Ciò indusse sulle prime a progettare «pesi medi» più piccoli e leggeri, che fossero anche più facili da trasportare. Dopo il 2003, le campagne di contro-guerriglia in Afghanistan e in Iraq videro l’elevata minaccia degli ordigni improvvisati, il che spostò l’attenzione su veicoli di trasporto truppe più pesanti, con buona protezione inferiore e generale. Ben presto fu evidente che il tank aveva ancora un ruolo da svolgere, benché non necessariamente quello per cui era stato inizialmente progettato. I carri armati assicuravano un grado di protezione che ben pochi altri veicoli erano in grado di fornire e offrivano fuoco di supporto o sorveglianza a lungo raggio grazie al loro armamento e alle loro camere ad alta precisione. La mera presenza di un carro armato,

a SiniStra: Un corazzato improvvisato dalle forze curde in Siria. La creazione di veicoli «home made» su telai di bulldozer e scavatrici dimostra l’incessante esigenza di veicoli corazzati tra le forze combattenti. Sotto: I vantaggi in termini di costi e di mobilità dei corazzati di peso medio, come questo CV 90, costruito in Svezia, sono chiari ai governi e alle forze armate. Tuttavia, come nel caso di molti altri veicoli militari, l’esigenza di perfezionare i livelli di protezione e aggiungere ulteriori migliorie a scopo difensivo ha implicato un aumento del peso di alcuni modelli da 23 a 35 tonnellate.

inoltre, fungeva spesso da deterrente per il nemico. In tempi più recenti, i conflitti in Libano, Georgia, Ucraina, Siria e Yemen hanno riconfermato l’utilità e potenza di questi mezzi nel loro tradizionale ruolo di combattimento. Per tutto questo periodo alcuni paesi hanno continuato a progettare e fabbricare corazzati propri, come il sudcoreano K2, il cinese Type 99 e l’israeliano Merkava Mark IV. Molte nazioni hanno approfittato del fatto che Germania e Olanda stessero riducendo le loro flotte di Leopard 2 per sostituire i loro vecchi veicoli con poca spesa; altre si sono dedicate per la prima volta a progettare i propri tank. L’Altay turco, per esempio, è destinato a rimpiazzare i carri armati tedeschi e americani in dotazione alla Turchia dal 2018. Altre nazioni ancora hanno invece scelto di aggiornare carri armati preesistenti, a una frazione del costo di una nuova produzione da zero. Dalla fine della Guerra fredda, migliaia di M1 Abrams americani sono stati ricostruiti per mantenerli fruibili sul campo di battaglia, in linea con una visione sempre più diffusa del carro armato come «piattaforma»: un qualcosa che si

a deStra: Un T-14 Armata è stato mostrato per la prima volta in pubblico nel maggio 2015, in occasione della Parata per il Giorno della Vittoria, sulla Piazza Rossa di Mosca. Dispone di torretta automatizzata, con camera indipendente del comandante fissata sul tetto, e di vari sistemi di protezione attiva. Il comandante, in piedi, spunta dal suo portello, dietro il cannone. Cannoniere e pilota siedono fianco a fianco alla sua sinistra.

prevede destinato a subire molteplici cambiamenti nell’arco della sua durata di utilizzo, dalle ricostruzioni, agli upgrade in grado di abbracciare nuove tecnologie, all’aggiunta di dotazioni innovative che gli permettano di far fronte a nuove minacce, esistenti o previste. Le nuove tecnologie hanno permesso alternative a corazze sempre più pesanti: i sistemi di protezione attiva possono rilevare i proiettili in arrivo e neutralizzarli sparando un colpo (come il Trophy israeliano) o azionare jammer (disturbatori di frequenza) e generatori di fumo (come lo Shtora russo). La corazzatura stessa continua a evolvere: laminati, ceramiche e materiali plastici sono oggi largamente in uso e offrono maggiore protezione del tradizionale acciaio. La più agile armatura «a gabbia» è stata concepita per sconfiggere armi più leggere. I sistemi di gestione in rete del campo di battaglia permettono un’immediata condivisione delle informazioni circa la posizione di forze amiche e nemiche, ma l’elettronica è anche sempre più usata, a bordo, in sostituzione dei sistemi idraulici o meccanici. Sono già operativi veicoli automatizzati, senza equipaggio, che hanno la prerogativa altamente desiderabile di non mettere a rischio vite umane. Le esercitazioni, peraltro, hanno dimostrato nei comandanti una maggior propensione a rischiare, quando i soldati non sono a bordo di un corazzato. L’uso di nuove tecnologie porta con sé anche nuovi potenziali problemi: errori di programmazione, possibilità di sabotaggi o azioni di disturbo, vulnerabilità di centri di comando e satelliti di importanza vitale. Se dei carri armati si possa davvero fare a meno sul campo di battaglia non è ancora chiaro. Mentre continuano ad affrontare tutta una serie di minacce – da parte di altri tank, di aerei, di missili, di ordigni improvvisati – il loro uso efficace nei conflitti contemporanei sembra indicare che hanno ancora un importante ruolo da svolgere. Là dove le forze in campo ne sono prive (per esempio i combattenti curdi in Siria), si dimostrano piuttosto ansiose di procurarseli o di improvvisarne versioni di fortuna. La lezione impartita dal primo secolo di vita del carro armato sembra essere questa: si troveranno sempre nuovi modi per sconfiggerlo, solo perché i suoi utilizzatori adattino veicolo e tattiche a neutralizzarli. È il costante processo di azione e reazione dello sviluppo tecnologico applicato alla guerra. Un’eccessiva attenzione alla tecnologia, però, potrebbe indurre a trascurare l’elemento umano. L’imponente presenza

T-14 ARMATA SPECIFICHE // T-14 ARMATA EQUIPAGGIO: 3 PESO: 48 t CORAZZATURA: Sconosciuta ARMAMENTO: 1 cannone ad anima liscia da 125 mm, 1 mitragliatrice Kord da 12,7 mm, 1 mitragliatrice PKTM da 7,62 mm VELOCITÀ MASSIMA: 80-90 km/h MOTORE: ChTZ 12H360 (A-85-3A) 1500 hp, diesel. Il nuovo T-14 appartiene a un’intera famiglia di corazzati pesanti russi che avrà il vantaggio di usare parti e sistemi di manutenzione in comune. Aspetto essenziale del progetto è una torretta automatizzata, con nuovo dispositivo di caricamento automatico, in grado di gestire penetratori a energia cinetica più lunghi di quelli usati dai tank russi precedenti (e più lunghi sono, più corazze riescono a sconfiggere). Il caricatore contiene 32 colpi, sparabili con ciclo di ricarica di 5 secondi e c’è una riserva di 13 colpi extra, ma l’equipaggio deve scendere dal veicolo per caricarli. Il carro armato dimostra un nuovo rispetto per la sopravvivenza di chi vi alloggia e i tre occupanti – pilota, cannoniere e comandante – sono ora in un unico comparto sul davanti del veicolo. I sistemi di protezione attiva, in grado di interferire con la traiettoria dei missili e di neutralizzare i proiettili in arrivo, sono e saranno aggiornati al progredire delle relative tecnologie. Intanto si continua a dibattere sull’effettiva efficacia dei molti nuovi sistemi, ma i russi sperano di finanziare il costoso progetto anche con l’aiuto delle esportazioni.

di un carro armato ha ancora un notevole effetto sul morale delle truppe amiche e un considerevole impatto psicologico su quelle nemiche… proprio come ai tempi della Prima guerra mondiale. Come ha detto un peacekeeper britannico in Bosnia: «Se arrivi in Land Rover ti prendono a sassate; se ti presenti su un Challenger, la gente se ne va con un: “Beh, magari oggi no...”». Con i suoi cent’anni sulle spalle, il carro armato resterà, nel bene e nel male, un’arma potente nei decenni a venire.

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INDICE ANALITICO A

A7V Uberlandwagen, carro armato 35, 36-39, 40 A9, carro cruiser 84, 95 A10, carro cruiser 84, 95 A11 Matilda I, carro armato 79, 89, 90 A12 Matilda II, carro armato 4, 84, 89 A13, carro cruiser 84, 95 A20, prototipo 80 A22 Churchill, carro di fanteria 8083, 129, 132 A41 Centurion, carro da combattimento 160, 163, 164165, 176, 177, 178 A43 Black Prince, carro armato 82 A45, carro di supporto alla fanteria 164 Abrams, carro armato 174, 181, 183, 186, 188 Afghanistan 168, 175, 188 Africa Settentrionale e Sicilia 4, 50, 81, 86, 89, 90, 92, 94, 95, 97, 98, 118, 126, 138, 146, 150, 152 Airgraph 87 Alam Halfa, Battaglia di (1942) 96, 97, 100 Alexander, Harold 100 Altay, carro armato 188 Amiens, Battaglia di (1918) 34, 40, 41 AMX 13, carro leggero 172, 176 AMX 30, carro armato 172 AMX 30B2, carro armato 172 AMX 50, carro armato 172 «Anatra di Guderian» 125 Angola 168 Anschluss (1938) 50 APDS (proiettili perforanti con involucro a perdere) 164, 165 APFSDS (proiettili perforanti con alette stabilizzatrici e involucro a perdere) 168, 187, 170, 172, 187 Arabo-israeliana, Guerra (1956) 176 Arabo-israeliana, Guerra (1967) 142, 168 Arabo-israeliana, Guerra (1973) 170 Archer, cacciacarri 126 Ark (Armoured ramp carrier) 82 ARL 44, carro armato 172 Armata (T-14), carro armato 189 Armi guidate anticarro 178, 181 Armour-Piercing Discarding Sabot vedi APDS Armour-Piercing Fin Stabilized Discarding Sabots vedi APFSDS Armstrong Siddeley 142 Arnold, C.B. 40, 41 Arras, Battaglia di (1917) 10, 12, 13, 14, 17, 18 AT-3 Sagger, missile anticarro 170 Aubert, 33 Auchinleck, Claude 96, 100 Austria, Occupazione dell’ (1938) 50, 53 Autoblindo 41, 84 Avranches, sfondamento ad (1944) 148, 149, 150 AVRE (Armoured Vehicle Royal Engineers) 82, 132

B

BA 1, autoblindo 67 BARV (veicolo corazzato da recupero su spiaggia, Beach Armoured Recovery Vehicle) 131, 132 Bayerlein, Fritz 139 BAZ («Luce splendente»), sistema di controllo di tiro 181 Bazooka 139, 143 Beaumont-Hamel, Battaglia di (1916) 12, 77 Beck, Ludwig 46, 52, 53 Becker, 137 Beda Fomm, Battaglia di (1940) 86, 90 Bedford Twin Six 350hp, motore 80 Ben Het, Battaglia di (1969) 162 Berliet, torretta poligonale 32 BESA, mitragliatrice 81, 83 «Bidoni della spazzatura volanti» 132 «Big Willie» 8 Bistro-Khodny («carro veloce») 59 Bletchley Park 111 Blitzkrieg 44, 47, 52, 54, 72-79, 89, 97, 102, 106, 132, 142, 143, 149, 155, 169, 177 BMP-1, Veicolo da combattimento di fanteria (IFV) 170 von Bock, Fedor 66, 102 Boero, conflitto 7 Bofors, cannone 67, 71 Bourguébus, Cresta di 138 Bourgueil, Char B, carro armato 77 Bradley, Omar 146, 149, 152 von Brauchitsch, Walther 53 Breton, Jules Louis 26 Brillié, Eugène 26 Browning mitragliatrice 100, 181 di puntamento 178 BT, carro armato 59, 104, 108 BT-5, carro armato 54 BT-7, carro armato 54, 102 Buick, divisione, General Motors 126 Bulge, Battaglia di (1944-1945) 150 Bullock Tractor Company 8 Byng, Julian 23

C

C50, carro armato 14 Cachy, Linea di scambio di 37, 40 Cairncross, John 113 Cambrai, Battaglia di (1917) 18, 21, 23, 24, 40, 146, 178 Canal Defence Light 132 Carden Lloyd, carro leggero 47 Carro Veloce 33, tankette 86 Carter, Jimmy 149 Cecoslovacchia, Occupazione della (1939) 50, 53 Cento giorni, Offensiva dei (1918) 40 Centurion (A41), carro da combattimento vedi A41 Chaffee, Adna, carro armato vedi M24 Challenger 1, carro armato 184, 187, 189 Churchill 187 Challenger 2, carro armato 186, 187

«Chars d’assault» 26 Chi-Ha, carro armato 154, 155 Chi-Ni, carro armato 154 Chieftain, carro da combattimento 5, 165, 166, 187 Chobham, corazzatura 183, 187 Christie, J. Walter 59, 128, 146 Christie, sospensione «big wheel» 84, 95, 109 Chrysler 100, 183 Churchill, carri armati 80-83, 129, 132, 187 AVRE 82, 132 Bert 132 lanciafiamme «Crocodile» 83, 132 Mark I 82 Mark II 82 Mark III 81 Mark VII 81 Mark VIII 81 Churchill, John, duca di Marlborough 80 Churchill, Winston 6, 8, 80, 132 «Coda di girino» 19 Combe force 86 Conqueror (FV214), carro armato 164 Cooper, Alfred Duff 43 «Corazzata di terra» 26 Cordingley, Patrick 186 Corea, Guerra di 4, 158-161, 165, 178 Crecy, Warren 149 «Creeping Grip», cingoli 8 Crème De Menthe, carro armato 13 Crompton, R. Evelyn B. 8 Cromwell, carro armato 140, 176 Crusader, carro cruiser 94, 95, 97 «Culle» (crib) 34 Curdi 189 CV 90, carro armato 188 CV3, tankette 59

D

D-5T 85 mm, cannone 125 Daimler 101 hp, motore 38 105 hp, motore 19 195 hp, motore 8 Daimler-Benz 36 Davis Escape Apparatus 129 D-Day (6 giugno 1944) 4, 129, 132 Degtyaryov 7,62 mm, mitragliatrice 108 Denaro, Arthur 187 Deverell, Sir Cyril 64 Dieppe, raid su (19 agosto 1942) 83, 128, 132 Dietrich, Sepp 150 Diplock, Bramah Joseph 8 DS-S-85 85 mm, cannone 111 DT mitragliatrice 106 Dumble, Wilfred 6 Dunkerque, evacuazione di (1940) 89, 90 Duplex Drive (DD), carri armati 128 Dyle, Linea del 74, 77

E

Eberbach, Hans 142 Egiziano, fronte 178 Eisenhower, Dwight D. 132, 143, 150, 152 El Agheila, Cirenaica 89, 92, 94, 96 El Alamein, Prima battaglia di (1942) 89, 96-101 El Alamein, Seconda battaglia di (1942) 83 Elefant, cacciacarri pesante 123, 124 Elles, Hugh 10, 18, 21, 24

ERA (Corazza reattiva esplosiva) 170, 181, 187 Ernst-Metzmaier, Rodolphe 32 Esplosivi a frammentazione vedi HEFRAG Esplosivi a testa schiacciabile vedi HESH Esplosivi anticarro vedi HEAT Estienne, Jean-Baptiste Eugène 26, 32, 64

F

Falaise, Sacca di 142-145 Farrer, Walter 24 Fascine 18, 21, 23, 34 FCM, carro di fanteria 123 Fedorenko, Feodor 54 Ferdinand, cacciacarri pesante 123, 124 Fiesler Fi 156 Storch 67 Finlandese, campagna (1939-40) 54 Flammpanzer II 50 Flers-Courcelette, Offensiva di (1916) 11, 12 Flesquières, crinale di 24 Fletcher, G.G. 156 Flying Fox II, carro armato 24 Foch, Ferdinand 30 Foote, Henry R.B. 89 Forges et Aciéries de La Marine et d’Homécourt 26 Foster macchine agricole 8 Francia, Battaglia di (1940) 78, 79, 134 Franco, Francisco 58, 59 Franklyn, Harold Edmund 90 Fraser, «Jock» 96 Fuller, John F. C. 18, 21, 24, 42, 43, 44, 54, 59, 132, 134, 146 FV214 Conqueror, carro armato 164 Fyffe, Christie 141

G

Gamelin, Maurice 64, 74, 75, 77 de Gaulle, Charles 62, 64 Gembloux, Valico di 77 General Motors 126 Georgia, conflitto in 188 giapponesi, carri armati 154-156 Girod 32 Gorlice-Tarnow, Offensiva di (1915) 47 GPS 187 Granata da demolizione Numero 1 80 Graziani, Rodolfo 84 Greiff, 37 Guardia civile (britannica) 132 Guardia Nazionale tedesca vedi Volkssturm Guderian, Heinz 44, 46, 50, 52-53, 54, 64, 66, 67, 69, 72, 105, 112, 124, 125, 132, 177, 180 Guerra civile russa (1917-1922) 54 Guerra civile spagnola (1936-1939) 50, 54, 58-61, 64, 84 Guerra dei sei giorni (1967) 168, 172, 176-181, vedi anche Araboisraeliana, Guerra (1967) Guerra fredda 158, 164-175, 188 Gun Motor Carriages 126

H

Haig, Douglas 4, 8, 10, 18, 21, 41 Hallford, camion 8 Hamel, Battaglia di (1918) 34 Hankey, Maurice 7 Hara, 154 Harland and Wolff 80

HEAT (esplosivi anticarro) 168, 170, 172, 173, 187 HEFRAG (esplosivi a frammentazione) 170 Henriques, Rose 12 Henriques, Basil Lucas Quixano. 11, 12 Henschel 118 HESH (colpi esplosivi a testa schiacciabile) 165, 187 Hetherington, Thomas 6 Hindenburg, Linea 13, 17, 21, 23, 24, 28, 40 Hirohito, imperatore 156 Hitler, Jugend 136 Hitler, Adolf 46, 52, 54, 62, 72, 77, 90, 92, 102, 106, 112, 114, 116, 117, 118, 123, 124, 125, 142, 150 Hobart, sir Percy («Hobo») 128, 132, 155 Holt 75, trattore 6 Holt, cingoli 36 Holt, Trattore cingolato 7, 26 Hotchkiss H35, carro leggero 176 H38, carro leggero 78 H39, carro leggero 123 mitragliatrice 18, 26, 32, 33, 43, 67, 75 Hussein, Saddam 4, 182 Hyacinth 18

I

IFV (Veicolo da combattimento di fanteria) 170 Insurrezione ungherese (1956) 168 Iosif Stalin, serie vedi IS, serie Iran-Iraq, Guerra (1980-88) 166, 182 Iraq, Invasione dell’ (2003) 185-187, 188 vedi anche Guerra del Golfo IS-1, IS-2, IS-3, carri pesanti 111 Iwo Jima, Battaglia di (1945) 156

J

Jagdpanzer IV, cacciacarri 125 Jagdpanzer, vedi Ferdinand e Elefant Janin, Jules 26 Joffe, 177 Joffre, Joseph 26, 28 Joly, Cyril 89

K

K2, carro armato 188 Kesselring, Albert 96 Khalkin Gol, Battaglia di (1939) 54, 155 Kim Il-Sung 159 Kipling, Rudyard 43 Kippur, Guerra del (1973) 178, 180, 188 vedi anche Arabo-israeliana, Guerra (1973) Kitchener, Lord 6-8 von Kluge, Günther 113, 143 Königstiger («Royal Tiger») 118 Kosovo 174, 175 Kraftfahr-Kampftruppen (Truppe motorizzate d’assalto) 52-53 Kraftfahr-Lehrstab (Corpo di istruzione dei trasporti) 52 Krauss-Maffei Wegmann 173 Krupp 47 Küchler, 66 Kursk, Battaglia di (1943) 4, 56, 92, 112-117, 124-125, 192 KV-1, carro pesante 105, 106, 111, 113

L

L3, tankette, Luchs (Lince), veicolo da ricognizione 84

L30A1, cannone rigato 187 L/46 Pak 40/2, cannone anticarro 123 L/46 Pak 40/3, cannone anticarro 123 L/55, cannone ad anima liscia 175 L7, cannone 165, 173, 177, 178, 183 L/70 KwK 42, cannone 117, 125 L/71 Pak 43/3, cannone 125, 165 Laffaux Mill 28 Landships Committee 6, 8, 21, 26 Leclerc, carro da combattimento 174 von Leeb, Ritter 102 Leopard, carri armati 173-176 Leopard 1, 164, 173 Leopard 2, 173, 174, 175, 183, 188 Leopard 2A4, 175 Leopard 2A5 175 Leopard 2A6 176 Leopard 2A6M 175 Leopard 2A7, 175 Lewis, mitragliatrici 18 Leyland, motori 89, 166 Libanese, conflitto 174, 181, 186 Liberty, motore 95 Liddell Hart, Basil 44, 54, 100, 106, 132, 137, 192 Lince (Luchs), veicolo da ricognizione 50 «Little Willie» 8, 9 Lorraine, veicolo di trasporto truppe 123 von Luck, Hans 138 Ludendorff, Offensiva (1918) 37 Ludendorff, Erich 40 Lutz, Oswald 52

M

M1 Abrams, vedi M1A1 Abrams M1A1 Abrams, carro armato 124-126 M1A1, Bazooka 139 M1, Bazooka 139 M10 Wolverine, cacciacarri 125, 126 M10A1 cacciacarri 126 M11/39, carro armato 84 M12 155 mm, semoventi d’artiglieria 148 M13/40, carro 84, 86, 89, 97 M18 Hellcat, cacciacarri 126 M19, cacciacarri 107 M1919 0.30, mitragliatrice 162 M1931, sistema di sospensioni 146 M1A2 Abrams, carro armato 183 M24 Chaffee, carro leggero 146, 159, 161, 162 M240, mitragliatrici 183 M256, cannone Rheinmetall da 120 mm 183 M256A1 cannone ad anima liscia 183 M26 Pershing, carro pesante (T26E3) 4, 159, 160, 161 M3 Bradley, veicolo da trasporto personale 186 M3 Grant/Lee, carro medio 95, 100 M3 Stuart «Honey», carro medio 94, 95, 156 M305, motore quattro cilindri 60 hp 43 M35 Trattori di artiglieria pesante 126 M36, cacciacarri 126 M4 Sherman, carro armato 118, 126, 129, 134, 149, 152, 160, 161, 172, 176 M4A1 Sherman 152 M4A2 Sherman, carro medio 126 M4A2E8 Sherman 152 M4A3 Sherman, carro medio 126 M4A3-M4A6, carri medi 161 M40, cacciacarri 107

M41 Walker Bulldog, carro armato 161, 162 M46 Patton, carro armato 160 M47 Patton, carro armato 118, 172 M48 Patton, carro medio 162, 172, 177, 178, 181 M48A3 carro armato 162 M5 Stuart, carro leggero 149 M50 Super Sherman, carro armato 177 M551 Sheridan, carro leggero 161 M60, carro armato 173, 181, 182, 183 M9, Bazooka 139 MacArthur, Douglas 161 Maginot, Linea 64, 72, 74 von Manstein, Erich 72, 112, 113, 114 Mao Tse-Tung 158 Mar dei Coralli, Battaglia del (1942) 156 Marcks, Erich 136 Marder (Martora), cacciacarri 50, 123, 124, 125 Marder I 123 Marder II 123 Marder III 123 Mark 5/1, carro armato 163 Mark C, carro armato 42 Mark D, carro armato 42 Mark I, carro armato 10, 11, 12, 20, 26, 36, 42, 43, 46, 153 Mark II, carro armato 12, 13, 20, 42, 43 Mark III, carro armato 20, 83 Mark IV carro armato 20, 80 Mark IV, carro armato 21, 34, 35, 37, 41 Mark V, carro armato 34, 35, 40, 42 Hermaphrodite (Mark V Composito) 35 Numero 9003 «Barrhead» 40 Mark VI 82 Mark VII (Churchill) 81, 83 Mark VIII 82, 83 Marlborough, duca di, vedi Churchill, John Marna, Seconda battaglia della (1918) 30, 33 Marriott, Hugh F. 8 Marshall, George C. 146, 160 Martora, cacciacarri vedi Marder von der Marwitz 23 Maschinenfabrik AugsburgNürnburg (MAN) 50, 117 Matilda I (A11), carri armati 89 Matilda II (A12) carri armati 80, 84, 89 Maxim-Nordenfelt, cannoni 38 MBT (main battle tank, carro da combattimento) 161, 164, 174 vedi anche Manciuria, invasione sovietica della (1945) McNair, Lesley J. 149 von Mellenthin, F.W. 105, 109 Merkava, carro armato 165, 166, 181, 188 Merritt-Brown, sterzo «rigenerativo» 82 Messines, crinale di 19 Mezzi da sbarco, 129 Mitchell, Frank 37, 38 Mitsubishi 155 Model, Walter 114 Modello 36 da 76,2 mm, cannone anticarro 123 Monash, John 34 Montgomery, Bernard 96, 97, 100, 132, 137, 138, 139, 150, 164 «Mother», prototipo 8, 10 Moorehead, Alan 94

N

NA75, mitragliatrice 81, 82 Nashorn (Rinoceronte), cacciacarri pesante 125 Nasser, Gamal Abdel 176 NATO 158, 165-166, 168, 169, 172, 175, 182 Nazisti 47, 67, 97, 152 NBC (nucleare, biologica, chimica) protezione 170 Nibeiwa, Battaglia di (1940) 86 Nivelle, Robert 28 Nivelle, Offensiva (1916) 28 Normandia, sbarchi in (1944) 83, 90, 129, 130, 137-143, 149, 178 vedi anche D-Day (6 giugno 1944) North African 75 mm (NA75), mitragliatrice 81, 82 North British Locomotive Company 89 Nucleari, armi 169 Nuffield Liberty, motore 95

O

O’Connor, Richard 84, 86, 89 Offensiva di primavera (1918) 30 Operazioni: Barbarossa 54, 102-107 Battleaxe 95 Desert Storm 183, 186 Epsom 139 Fortitude 149, 178 Goodwood 138 Husky 146 Ichi-Go 156 Jubilee 82 Lüttich 142-143 Overlord 129, 132, 149 Seelöwe (Leone Marino) 50 Torch 146 Wacht am Rhein (Guardia al Reno) 150 Zitadelle (Cittadella) 112-117 Ordigni esplosivi improvvisati (IED) 106, 188, 189

P

Panzerfaust 138, 184 Panzerjäger I, cacciacarri 122 Panzerkampfwagen 38(t) (PzKpfw 38(t)) 123 Panzerkampfwagen I (PzKpfw I), carro armato 47, 50, 53, 58, 74, 92, 122 Panzerkampfwagen II (PzKpfw II), carro armato 50, 74, 75, 92, 97, 123 varianti Ausf A–F 50, 123 Schwimmpanzer II (versione anfibia) 50 Panzerkampfwagen III (PzKpfw III), carro armato 43, 50, 53, 92, 94, 105, 142 Panzerkampfwagen IV (PzKpfw IV), carro armato 92, 94, 100, 105, 125, 137 Panzerkampfwagen V (PzKpfw V) Panther, carro armato 114, 116, 119 Panzerkampfwagen VI (PzKpfw VI) Tiger, carro armato 109, 111, 114, 123, 124, 134, 137, 138, 139, 152, 160 Tiger I 118 Tiger II 118, 164 Panzerkeil («cuneo corazzato»), tattica 114 Passchendaele (1917) 18, 21 Patto di non aggressione tra nazisti e sovietici (1939) 67 Patto di Varsavia 158, 168, 169 Patton, George S. 142, 146, 149, 150, 152 Patton vedi M46-48

190-191

Pavlov, Dmitri 61 Pearl Harbor (1941) 155 Pedrail Machine 8 Percival, Arthur 156 Pershing, John J. 146, 160 Pétain, Philippe 26, 28 Petard, mortaio 132 PIAT (Projector, Infantry, AntiTank) 139 Piccioni viaggiatori 11 Polonia, Invasione tedesca della (1939) 50, 53, 66-71, 142 Porsche 173 Porsche, Ferdinand 118, 123 Prima guerra del Golfo (1990–91) 166, 182, 183, 187 Prima guerra mondiale 4, 8, 36, 40, 42, 44, 47, 52, 53, 59, 76, 80, 90, 146, 154, 160, 189 Prokhorovka, Battaglia (1943) 114, 116 Protezione NBC vedi NBC PT-76, carro anfibio leggero 161, 162 Puteaux, cannoni 32, 67 PZI 7TP, carro leggero 67

R

Renania, Rioccupazione tedesca della (1936) 62 Renault, carri armati 146 Char B, carro armato 62, 64, 75 Char B-1, carro pesante 81, 172 Char B-1 bis 64 Char D’Assaut 18 Chevaux 32 FT 32, 33, 40, 67, 154 R35 67 Renault, Louis 26, 32 Reynaud, Paul 62 Rheinmetall cannone ad anima liscia da 120 mm 173 L/55 175 M256 183 TAK, cannone anticarro da 37 mm 37 Riarmo tedesco 47, 52 von Ribbentrop, Rudolf 116 Ricardo, motore 150 hp 35 Ridge, Helmut 50 Rigby, William 42 Rinoceronte vedi Nashorn Rivers, Ruben 149 Rolls-Royce, motori 165 Rommel, Erwin 4, 89, 91-95, 96, 97, 100, 137, 146 Rotmistrov, Pavel 58 Royal Tiger vedi Königstiger RPG, lanciarazzi 181 RPG-7, lanciagranate a reazione 183 von Rundstedt, Gerd 66, 72, 102, 146

S

Saint Chamond, carro armato 26, 28 Saint-Mihiel, Battaglia di (1918) 146 Saragozza, Offensiva di (1937) 59 Schlieffen, Piano 74 Schneider, carro armato 26, 28 Schneider, industrie 26 Schwerpunkt (punto decisivo) 52, 75, 100 Schwimmpanzer II 50 Seconda guerra del Golfo (2003) 168 Seconda guerra mondiale 24, 47, 50, 62-157, 164, 165, 168, 169, 172, 176, 178, 188 Blitzkrieg 72-79 caduta della Francia 77 guerra nel deserto 90-101 invasione della Polonia 66-71 vigilia della 62-65 Seconda guerra sino-giapponese (1937-1945) 154

Section Technique des Chars de Combat 64 Sedan, Ardenne 79, 90 von Seeckt, Hans 46, 47 Sharon, Ariel 177 Sherman 100, 126, 129, 133, 134, 137, 138, 139, 149, 152, 156, 159, 160, 161, 172, 176, 177 Crab 129, 132 Firefly 137, 152 M4 vedi M4 Sherman Sho’t (Centurion), carro armato 161, 164, 165, 176, 177, 178 Shtora, carro armato 189 Sichelschnitt («Colpo di falce»), Offensiva 72, 74 Sicilia, Invasione alleata della 139, 146, 150 Sidi Rezegh, Battaglia di (1941) 92, 94 Siria 142, 177, 178, 188, 189 Sistemi di protezione attiva 189 Sokol, cannone 38 Somme, Prima Battaglia della (1916) 4, 10, 11, 12, 13, 18, 23, 26 Somme, Seconda Battaglia della (1918) 40, 44 Somua S-35, carro medio 62 Sonderkraftfahrzeug 46 Speidel, Hans 137 Stalin, Iosif, 54, 56, 59 Stalin, Iosif vedi IS, serie S-tank 165 Stothert and Pitt 8 «Stranezze» di Hobart 128-133 Straussler, Nicholas 128 Strela SA-7, missili leggeri antiaerei 178 Stuart, carri armati 94, 149 Sturmgeschütze 123 Sturmpanzer Kraftwagen 36 SU-100, cacciacarri 125, 176 SU-85, cacciacarri 125 Super-sherman 178 Suez, Crisi di (1956) 172, 176, 177, 178, 181 Swinton, Ernest 7, 8, 10, 11

T

T-14 Armata, carro armato 189 T-26, carro armato 58, 59 T26E3 Pershing, carro pesante (M26) 160 T-34/76, carro armato (T-34/85) 54, 108-111, 156, 158, 160, 168, 176 T-37, carro armato 128 T-38, carro armato 128 T-44, carro armato 168 T-54, carro da combattimento 161, 162, 168, 178 T-55, carro armato 168, 173, 178, 183, 186 T-62, carro armato168, 173, 178, 183, 186 T-64, carro armato 168, 170 T-72, carro armato 168, 170, 186 T-80, carro armato 170 T-80 UD, carro armato 170 T-90, carro armato 170 TAK, cannone anticarro da 37 mm vedi Rheinmetall TAK Tal, Israel 166, 176, 181 Tank Museum 4 Tennyson d’Eyncourt, Eustace 6, 21 Teruel, Battaglia di (1937-1938) 61 von Thoma, Ritter 58, 59 Tiger 109, 111, 114, 118, 123, 124, 134, 137, 138, 139, 152, 160, 165 TK3, tankette 67 TKS, tankette 67, 71 Tritton, William 8, 36, 41 «Tritton Machine» 8

Trophy, carro armato 189 Tuchačevskij, Michail 54 Tylor, motori 41 Type 59, carro da combattimento 161, 168 Type 62, carro leggero 161 Type 63, carro leggero anfibio 161 Type 89, carro medio 154 Type 89B, carro medio 154 Type 95 Ha Go, carro leggero 156 Type 97 (Chi-Ha), carro armato 155, 156

U

U-5T, cannone ad anima liscia da 115 mm 168 Ucraina 102, 112, 188 «Ultra» 142, 150 Unione sovietica, crollo dell’ (1991) 47, 50, 54, 58, 59, 62, 102, 105, 106, 125, 128, 156, 158, 168, 169, 170, 175, 187

V

Valentine Vickers-Armstrong, carro di fanteria 126, 129

Vauxhall Motors 80, 81 «Veicoli Militari n. 20» 47 Verdun, Battaglia di (1916) 3, 28, 52, 152 Versailles, Trattato di (1919) 46, 52 Vickers Defence Systems 187 Vickers E, carro armato 67 Vickers-Armstrong 42, 128 Vickers, mitragliatrici 89 Vietnam, Guerra del 161-163, 168 Villers-Bretonneux 34, 37, 40, 41 Volkssturm (Guardia Nazionale tedesca) 139

Vollmer, Joseph 36 Vorošilov, Kliment 54

W

Wade, Aubrey 40 War Office 7, 8, 18, 132, 164 Watson, maggiore 14 Wavell, Archibald 86, 89 Wespe (Vespa), obice 50 Whippet 37, 40, 41, 154 Musical Box (N. 344) 41 William Foster & co. vedi Foster macchine agricole

Wilson, Walter Gordon 8, 35, 36

Y

Yamamoto, Isoroku Stefano 156 Yamashita, Tomoyuki 156 Yemen 174, 188 Ypres, Seconda battaglia di (1915) 6, 44 Ypres, Terza battaglia di (Passchendaele) (1917) 18, 21

Z

Žukov, Georgij 54, 114, 154

IL TANK MUSEUM

REFERENZE FOTOGRAFICHE

Il Tank Museum del Dorset fa rivivere la storia dei carri armati e dei loro equipaggi. Con oltre 300 carri di 26 nazioni, detiene la collezione più completa e storicamente importante al mondo e le sue suggestive esposizioni raccontano la guerra corazzata lungo un secolo di storia militare. Bovington è la «patria del carro armato». Nell’ottobre 1916 divenne la nuova sede della Sezione Pesante del Corpo Mitraglieri, la prima unità con i tanks in dotazione. Qui vennero formati i pionieri della guerra corazzata e ancora oggi è sede del Royal Armoured Corps. Dopo la Prima guerra mondiale, centinaia di carri armati in sovrannumero furono rispediti a Bovington per essere smantellati. Si pensa che fu Rudyard Kipling a proporre la creazione del Tank Museum, dopo una visita ai luoghi. Nel 1923 avanzò la richiesta al War Office che si conservasse integro un veicolo per ogni tipo. Frutto di tanta lungimiranza fu il nucleo iniziale dell’odierna collezione, ma il Tank Museum è stato ufficialmente inaugurato solo negli anni Cinquanta. I suoi curatori sono tra le figure più autorevoli nel campo. Spesso vengono interpellati per fornire consulenza e assistenza ad altri istituti con collezioni di veicoli storici in tutto il mondo. Il loro expertise è richiesto dai media in programmi d’attualità o nella produzione cinematografica, come per il film Fury, con protagonista Brad Pitt. L’Archive and Reference Library è il più importante centro di ricerca sul tema della guerra corazzata, con la sua vasta raccolta di documenti, progetti, manuali tecnici, diari di guerra, libri e scritti personali, nonché una collezione di oltre 250.000 immagini. Il Tank Museum è un ente museale indipendente e un ente benefico registrato. La sua pagina web è consultabile al link: www.tankmuseum.org.

André Deutsch Book desidera ringraziare quanti seguono per la gentile concessione a riprodurre le fotografie contenute in questo libro.

BIBLIOGRAFIA SCELTA Campbell, Christie, Band of Brigands, 2008 Cathart, Tom, Iron Soldiers: How America’s 1st Armored Division crushed Iran’s Elite Republican Guard, 1994 Cross, Robin, Citadel: The Battle of Kursk, 1993 Doherty, Richard, Hobart’s 79th Armoured Division at War, 2011 Essame, H., Patton the Commander, 1974 Fletcher, David (a cura di), Tanks and Trenches, 1994 Guderian, Heinz, Achtung Panzer! (1937); trad. ing.: Panzer leader (1952); trad. it.: Ricordi di un soldato, Baldini & Castoldi 1962 Horne, Alistair, To Lose a Battle: France 1940, 1969; trad. it.: Come si perde una battaglia, Mondadori 1970 Kershaw, Robert, Tank Men, 2009 Liddell Hart, Basil, The Other Side of the Hill, 1948 Macksey, Kenneth, Tank versus Tank, 1999; trad. it.: Carri armati, gli scontri decisivi, Fratelli Melita 1991 Mellenthin, F.W. von, Panzer Battles, 1955 Ogorkiewicz, Richard, Tanks 100 Years of Evolution, 2015 Rotmistrov, Pavel, Tank against Tank, 1987 Zaloga, Steven e Forczyk, Robert, Battleground: The Greatest Tank Duels in History, 2011

Fotografie originali: Matt Sampson Foto d’archivio: The Tank Museum Archive, eccetto p. 60 (a sinistra in basso) Mary Evans/J. Bedmar/Iberfoto, p. 64 (in alto) Photo © Paris - Musée de l’Armée, Dist. RMN-Grand Palais, p. 186 Uri Kadobnov/AFP/Getty Images, p. 147 (a destra in basso) AKG-Images Titolo originale: Tanks. The History of Armoured Warfare La presente edizione è stata pubblicata per la prima volta nel 2018 da André Deutsch La prima edizione è stata pubblicata nel 2016 da André Deutsch, un marchio del Carlton Publishing Group, 20 Mortimer Street, London WIT3JW Testi, fotografie e memorabilia: © The Tank Museum 2016 Design: © Welbeck Non-fiction Ltd 2016, 2018 Tutti i diritti riservati.

Per l’edizione italiana: Traduzione di Irene Annoni per Studio editoriale Littera, Rescaldina (Milano) Editing e redazione: Studio Newt, Firenze Si ringrazia Sandro Matteoni per la consulenza. In copertina: Un Cromwell IV schierato nella 1a Divisione corazzata polacca (Europa nord-orientale, 1944)

www.giunti.it © 2020 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165, 50139 Firenze – Italia Via G.B. Pirelli 30, 20124 Milano – Italia ISBN: 9788809906914 Prima edizione digitale: settembre 2020